僕は孤独さ – No Signal

di Chemical Lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il caso Embalmer - 1 di 5 ***
Capitolo 2: *** Il caso Embalmer - 2 di 5 ***
Capitolo 3: *** Il caso Embalmer - 3 di 5 ***
Capitolo 4: *** Il caso Embalmer - 4 di 5 ***
Capitolo 5: *** Il caso Embalmer - 5 di 5 ***
Capitolo 6: *** Primo Intermezzo - 1 di 2 ***
Capitolo 7: *** Primo Intermezzo - 2 di 2 ***
Capitolo 8: *** Il caso Kamata - 1 di 4 ***
Capitolo 9: *** Il caso Kamata - 2 di 4 ***
Capitolo 10: *** ll caso Kamata - 3 di 4 ***
Capitolo 11: *** Il caso Kamata - 4 di 4 ***
Capitolo 12: *** Secondo intermezzo - 1 di 3 ***
Capitolo 13: *** Secondo intermezzo - 2 di 3 ***
Capitolo 14: *** Secondo intermezzo - 3 di 3 ***
Capitolo 15: *** Il caso Tightrope Walker - 1 di 5 ***
Capitolo 16: *** Il caso Tightrope Walker - 2 di 5 ***
Capitolo 17: *** Il caso Tightrope Walker - 3 di 5 ***
Capitolo 18: *** Il caso Tightrope Walker - 4 di 5 ***
Capitolo 19: *** Il caso Tightrope Walker - 5 di 5 ***
Capitolo 20: *** Terzo Intermezzo - 1 di 2 ***
Capitolo 21: *** Terzo Intermezzo - 2 di 2 ***
Capitolo 22: *** Il caso Lisca - 1 di 3 ***
Capitolo 23: *** Il caso Lisca - 2 di 3 ***
Capitolo 24: *** Il caso Lisca - 3 di 3 ***
Capitolo 25: *** Quarto intermezzo - Parte unica ***
Capitolo 26: *** Il caso Nagachika - 1 di 4 ***
Capitolo 27: *** Il caso Nagachika - 2 di 4 ***
Capitolo 28: *** Il caso Nagachika - 3 di 4 ***
Capitolo 29: *** Il caso Nagachika - 4 di 4 ***
Capitolo 30: *** Quinto Intermezzo - 1 di 2 ***
Capitolo 31: *** Quinto Intermezzo - 2 di 2 ***
Capitolo 32: *** Il caso Arakawa - 1 di 3 ***
Capitolo 33: *** Il caso Arakawa - 2 di 3 ***
Capitolo 34: *** Il caso Arakawa - 3 di 3 ***
Capitolo 35: *** Sesto Intermezzo - Parte Unica ***
Capitolo 36: *** Il caso Re - 1 di 6 ***
Capitolo 37: *** Il caso Re - 2 di 6 ***
Capitolo 38: *** Il caso Re - 3 di 6 ***
Capitolo 39: *** Il caso Re - 4 di 6 ***
Capitolo 40: *** Il caso Re - 5 di 6 ***
Capitolo 41: *** Il caso Re - 6 di 6 ***



Capitolo 1
*** Il caso Embalmer - 1 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さNo Signal

Parte prima: il caso Embalmer

 

 

 

Capitolo uno.

 

Il corridoio nel quale stava aspettando non aveva niente a che spartire con quelli della sede centrale a cui era abituato. Era corto e ben arredato, con pareti di un cupo rosso scuro come il sangue rappreso  e delicati tendaggi blu notte bordati di oro e argento. Un vaso di vetro italiano lavorato a mano era appoggiato su un tavolino di ferro battuto e pieno di gigli bianchi e lilium profumati. Quell’odore delicato lo stava stomacando.

Era arrivato in anticipo di più di mezz’ora, ma né lui né Higemaru avevano chiuso occhio quella notte, quindi si erano avviati presto. Lo chateau era immerso in un silenzio tombale quando era sceso al piano di sotto, dopo essere tornato a casa da nemmeno venti minuti per vestirsi di tutto punto in vista di quella riunione straordinaria. Non aveva trovato Saiko ad attenderlo, ma Touma, con i capelli pervinca spettinati e il completo gessato nuovo e ancora mai messo. Faceva effetto in quella camicia inamidata, comunque meno pallida delle sue gote.

L’aveva portato con sé per non andare da solo, perché ci fosse qualcuno con cui scambiare uno sguardo di sostegno o un cenno appena visibile. L’aveva portato perché era consapevole che quella riunione non sarebbe potuta finire bene in nessun caso e, se qualcuno avesse tirato fuori un qualche asso nella manica, sarebbe potuto anche finire a marcire in una prigione.

Me lo meriterei. Urie ne era conscio. Me lo meriterei.

I primi ad aggregarsi alla loro attesa furono i classe speciale Ui e Aura, entrambi dal volto stanco di chi ha passato la notte a farsi interrogare esattamente come era successo al capo dei Quinx, avviliti per i fatti avvenuti nei sotterranei del quartier generale della prima circoscrizione e ancora un po’ increduli per aver permesso al loro zelo di offuscare il  loro sguardo e distoglierlo da Aogiri.

Poi arrivò Akira.

Anche lei aveva il volto segnato dall’assenza di sonno. Gli si era accostata, appoggiando una mano sulla spalla di Kuki in quel modo materno eppure distaccato che riusciva a trasmettere dalle iridi celesti e sottili. Lui non la ringraziò, né la salutò.

Rimase appoggiato coi fianchi a un termosifone, chiedendosi come fosse possibile che tutto il calore gli fosse stato portato via. Quando arrivò Hirako Take, per qualche secondo, Urie non riuscì a non guardarlo con disprezzo, che venne ricambiato con un’espressione ferma, anche se gli occhi del prima classe tradivano una certa tristezza. Insieme a lui, seppur non fosse richiesto, c’era anche Kuramato.

Lui rimaneva in disparte, alle spalle del suo ex patner e mentore, con il capo chino nascosto dalle scomposte ciocche bionde. Era presente, ma solo fisicamente.

Al gruppetto si aggiunsero solo secondariamente anche Hachikawa e Hogi e, solo dopo diversi minuti, anche Juzou fece il suo ingresso uscendo dall’ascensore senza il solito entusiasmo, seguito da Abara, che reggeva fra le mani una tazza di the e latte che ogni tanto passava a Suzuya, unita a qualche biscotto. Questi accettava di buon grado la colazione imposta dall’angolino nel quale si era seduto a terra, poco distante dal tavolino di ferro battuto, silenzioso e chiuso in un mutismo che lo rispecchiava poco.

Per ultimi, quando ormai il corridoio iniziava farsi claustrofobico, avvolti da un’atmosfera sospesa di tensione, arrivarono gli shinigami del ccg.

Il bianco e il nero, fianco a fianco come ogni volta, con negli occhi lo stesso sguardo e sulle labbra le stesse domande.

Gli occhi di Urie si scontrarono con quelli di Sasaki e ciò che vi lesse fu solo una grande, profonda delusione che gli seccò le labbra e gli chiuse lo stomaco.

Non aveva idea di come fosse successo, ma dall’istante in cui lui e Haise si erano incontrati la notte precedente, dopo aver visto la tragedia consumarsi davanti ai loro occhi, aveva percepito che l’altro aveva capito tutto.

Tutto.

Non si scambiarono nemmeno una parola, però. Non era quello il momento giusto. Arima aprì la porta dell’ufficio, scostandosi dall’uscio per lanciare un’occhiata impenetrabile a Hirako e per permettere a Sasaki di entrare per primo, poi lo seguì, chiudendo delicato la porta e lasciandoli sprofondare tutti in un silenzio carico di tensione.  

Aspettarono poco, però.

Il direttore Washuu riaprì la porta dopo qualche minuto, guardandoli attentamente uno ad uno «Coloro che sono stati convocati, entrino ora.»  disse con tono piatto, ordinando a Hachikawa di chiudere una volta entrato per ultimo.

Urie fu  il primo a varcare la soglia non appena il direttore si fu fatto da parte. Sotto lo sguardo di tutti sfilò fra le persone con risoluzione, come un condannato a morte verso la sedia elettrica, con le spalle basse e gli occhi stanchi volti all’interno della stanza.

Camminò per tutto lo stanzone, arrivando di fronte alla scrivania dove il presidente li stava aspettando tutti. Si mese proprio di fronte a lui, subito circondato da Akira e Ui, sapendo di non poter contare su Higemaru che avrebbe dovuto attenderlo fuori insieme a Ito, Hogi e Abara.

Nella stanza, col presidente, c’erano Arima, Sasaki e Marude, che doveva essere arrivato insieme al direttore molto prima di loro. «Qualsiasi cosa sia successa» disse proprio quest’ultimo, facendo gli onori di casa «Le circostanze legate alla morte del prima classe Aiko Masa sono poco chiare anche dopo aver interrogato ogni singola persona presente sul posto. Oggi siamo qui per parlare proprio di questo.»

«Il caso è di Haise» lo ribeccò subito Arima, con la solita calma nella voce, ma un tono che non ammetteva repliche «Sarà lui a condurre questa riunione. Noi che eravamo presenti verremo interrogati nuovamente e il direttore, insieme al presidente, decideranno se chiudere il caso, chiedere accertamenti o condannare qualcuno. Tu, Marude, sei solo un uditore, oggi.»

«Vorrei iniziare sentendo cosa ha da dire il prima classe Hirako» Haise, che aveva in mano un piccolo registratore grigio, lo accese, appoggiandolo al centro della scrivania. Guardò quindi la persona chiamata in causa, che fece un passo avanti «Non tralasci nulla di quello che è successo, per cortesia.»

Take annuì, portando le mani dietro alla schiena. Urie avrebbe tanto voluto usare Gishi per straccargli a morsi quell’espressione di penosa non curanza dal volto una volta per tutte.

«Erano circa le ventitré e trenta, quando ricevetti la chiamata...»

 

 

 

Dieci mesi prima.

 

L’odore del disinfettante ospedaliero era insopportabile.

Per quanto cercasse di non prestarvi attenzione, non ci riusciva. Aveva sempre avuto un problema con gli odori troppo forti, ma dopo l’intervento la situazione era peggiorata. Dato ancor peggiore, sembrava diventata incapace di abituarsi ad essi, come se costantemente una ventata intensa e acre le colpisse il naso.

Alzò gli occhi dallo schermo del cellulare, puntandoli sulla finestra e chiedendosi se da quella distanza sarebbe mai riuscita ad aprirla senza alzarsi, quando adocchiò un ospite inatteso a spiarla attraverso il doppio vetro.

Lo guardò, sentendosi a sua volta osservata.

L’obbiettivo mutò e, a quel punto, si domandò se sarebbe stata capace di afferrarlo senza stritolarlo. Come si poteva gestire una cosa del genere? Grande e mostruosa.

Le prime prove non erano andate poi così male, ma ancora non aveva idea di come potersi giostrare con quelle nuove abilità. Avrebbe dato tempo al tempo, non avrebbe aggiunto altre preoccupazioni alla sua mente.

Lasciò scivolare di nuovo le dita sul telefono, aprendo le chat. Più di una recava qualche messaggio non letto. La prima in cima all’elenco era quella di Ito. Sapeva benissimo che le augurava un buon ritorno a casa dall’ospedale e un buon ingresso nella nuova squadra.

Quando aveva chiesto il trasferimento, la scena era stata un po’ patetica. Si era sentita messa in discussione per due anni dal suo precedente caposquadra, non potevano biasimarla se aveva pensato di cambiare aria. Senza contare che non aveva di che giustificarsi. Lo faceva per più motivi, quasi tutti totalmente estranei al rapporto che aveva avuto con Take.

Poi c’era sua madre, che si lamentava come sempre perché non tornava mai a casa. Qualche altro collega della sua vecchia squadra e poi quel tipo strano. Il nuovo capo, che aveva visto tre volte e non era ancora riuscita ad inquadrare.

La sola persona da cui aspettava un segno di vita, però, non si era ancora fatta sentire. Si chiese se avesse  dovuto scrivere per prima, ma poi qualcosa la fece desistere. Una sorta di scarica elettrica lungo tutta la colonna vertebrale, che la portò a voltarsi.

Sull’uscio lasciato aperto c’era il dottore, con la cartella medica sotto al braccio e un sorriso serafico sulle labbra. «Vedo che ti sei già vestita, secondo livello Masa» le disse con tono pacato, andando verso di lei e porgendole la documentazione per le dimissioni, che lei prese nel mentre si alzava «Ogni settimana devi venire qui a fare gli esami. Ti prego di ricordarlo anche ai tuoi compagni di squadra, appena li conoscerai. La maggior parte di loro sembra dimenticarlo con facilità.»

«Sarà fatto, dottor Shiba

La giovane donna si inchinò leggermente all’uomo, sentendo la pelle della schiena tendersi in modo anormale poco più in alto delle reni, come se quel preciso punto si fosse fatto improvvisamente molto sensibile. Si chiese se fosse un effetto placebo, oppure se effettivamente la pelle laddove erano stati applicati i punti di sutura, ormai guariti alla perfezione, fosse più sottile.

Sentiva il suo corpo in modo nuovo, diverso. Si sentiva un fascio di nervi scoperti e la prospettiva di uscire dalla clinica per non tornarvi se non per le analisi era a dir poco meravigliosa.

«La ringrazio per tutto quello che ha fatto per me, dottore.»

«Sono io a ringraziare te. Allora, a buon rendere.»

Aiko si irrigidì, tenendo sempre il capo chino e non riuscendo a non sbarrare gli occhi. Fortunatamente, il dottore aveva lasciato la stanza.

Per puro istinto, andò a chiudere la porta, addossandosi poi ad essa mentre una leggerissima patina di sudore andava a inumidirle la fronte. Dalla tasca anteriore dei pantaloni neri prese una capsula piena di pastiglie. Ne ingoiò due senza nemmeno afferrare un bicchiere d’acqua, strisciando poi lentamente lungo la porta.

Lì, si afferrò il capo fra le mani.

Era libera, poteva uscire.

Poteva andare dove voleva dopo due mesi e mezzo di ricovero.

Come se qualcuno sospettasse già delle sue intenzioni, il telefono prese a trillare insistentemente. Aiko gattonò sul pavimento, arrivando ad appoggiarsi al materasso con i gomiti per afferrarlo.

A mala pena lesse il nome del mittente. Uzume.

«P-pronto

-Quando mi vieni a trovare, Aiko-chan?-

 

 

 

 

«Buongiorno, Midori

Haise Sasaki pareva di buon umore, nonostante fosse mattina. Non era famoso per essere una persona puntuale, quando aveva degli appuntamenti in ufficio centrale, ma il motivo per cui quel giorno era riuscito a non fare tardi era palese: non aveva portato con sé i Quinx.

La riunione era a porte chiuse, solo per agenti superiori alla prima classe.

«Buongiorno, Haise» rispose con tono civettuolo la ragazza alla reception, appoggiandosi con i gomiti al ripiano per poterlo squadrare come si deve «Cosa posso fare per te?»

«Mi chiedevo se il prima classe Hirako è già arrivato.»

Midori lo guardò stupida. Non dovevano essere in molti quelli che chiedevano di Take, sopratutto a quell'orario. Sopratutto perché se poteva, l'uomo sfuggiva ad ogni conversazione superflua. Haise però aveva bisogno di parlargli. Non con urgenza, ma aveva una questione da chiarire con lui che gli stava a cuore.

«Credo sia arrivato, sì.» rispose cauta la giovane «Solo che è molto... Silenzioso.»

Anonimo sarebbe stato il termine adatto, ma non sarebbe stato educato mancare di rispetto a un veterano di quel calibro. Take Hirako era diventato una macchina da guerra perfetta, sotto le direttive di Kishou Arima, del quale era stato il secondo per molti anni prima della promozione.

«Allora penso che salirò a parlare con lui subito, buona giornata!» con un sorriso serafico, Sasaki si avviò agli ascensori. Quarto piano, stanza A4. L'ufficio di Take era uno dei primi sul corridoio. Non era spazioso come quelli delle classi speciali, adiacenti al suo, ma era molto caratteristico.

Non per merito suo.

Ito aveva attaccato alla parete dietro alla sua scrivania qualsiasi cosa gli fosse capitata per le mani. Ricevute di pagamenti, biglietti del cinema, fotografie vecchie o recenti e bigliettini con su segnati numeri di telefono e nomi utili. In un certo senso, spezzava un po' la monotonia delle pareti bianche attorno ai cubicoli degli agenti.

«Haise!» fu proprio il braccio destro del capo squadra a notarlo dalla porta lasciata aperta.

«Ciao, Kuramoto

Il caposquadra alzò gli occhi dal giornale che aveva aperto sulla scrivania e dopo aver appoggiato la tazza piena di caffè al ginseng nel solo spazio vuoto che trovò sulla superficie di legno, fece cenno al capo dei Quinx di entrare e chiudere la porta. Pensò che se non l'avesse fatto, quello sarebbe rimasto fermo sull'uscio come un allocco tutto il giorno. Tipico di Haise.

«Cosa posso fare per te, prima classe Sasaki?» domandò col solito tono neutrale, recuperando di nuovo la tazza e cercando di smacchiare con un tovagliolino un documento dall'aria importante, che si era macchiato su un lato.

«Volevo sapere-»

«Sarà venuto a chiedere com'è Aiko, non pensi, Hirako

Ito aveva colto nel segno, ma l'aveva fatto in quel suo solito modo irriverente e leggero che aveva fatto arrossire pesantemente il giovane investigatore. Haise s'era imbarazzato parecchio e per riflesso, aveva fatto ciò che faceva sempre in quei casi. Si era inchinato alla scrivania dietro la quale sedeva Hirako.

«Non metto in dubbio uno dei tuoi uomini, prima classe Hirako!» si era affrettato a dire, come per dissipare ogni dubbio «Ero solo...Curioso di sapere perchè

«Perchè un agente con un’ottima posizione in una squadra di primo piano si sia sottoposta a un intervento chirurgico così rischioso per cambiare equipe? Già. Appena lo scoprirai, prima classe Sasaki, vorrei che lo facessi sapere anche a me.»

Messa giù così sembrava ancor più interessante di come l'aveva percepita Haise quando Akira glielo aveva comunicato. Quel trasferimento non sembrava così ingiustificato, a dirla tutta: i Quinx percepivano uno stipendio superiore, una migliore polizza assicurativa e costanti controlli medici. Per non parlare del fatto che, in caso sospensione del servizio per qualsiasi motivo, sarebbe il CCG a provvedere al mantenimento dell'agente. Il che è molto più di quanto potesse vantare qualsiasi altro dipendente.

Non tutti pensavano che il gioco valesse la candela, ma i vantaggi oggettivi c'erano.

Per questo Haise non aveva pensato che il seme della discordia potesse essere il trasferimento in sé. Voleva solo sapere cosa aspettarsi.

Nervoso, prese a torcersi le mani.

Kuramoto ridacchiò, allungandosi per dare un leggero buffetto sulla spalla di Take «Haise sicuramente voleva solo sapere qualcosa di più preciso su Aiko

«Sì, è vero» concordò ancora imbarazzato il ragazzo, grattandosi nervosamente la nuca mentre sulle guance, quell'alone rosso, non pareva intenzionato ad andarsene. «Volevo solo sapere cosa devo aspettarmi dal mio nuovo sottoposto, parlandone in modo confidenziale con voi.»

Take, inspiegabilmente, parve concordare sul fatto che non era una mossa poi così stupida. Strano, Haise si sentiva un vero cretino. Forse sarebbe stato meglio parlarne prima con Arima, ma il pensiero di poterlo in qualche modo disturbare lo assillava.

«Non c'è molto che posso dire sull'agente di secondo livello Aiko Masa» iniziò Hirako, dopo aver preso un piccolo sorso dalla bevanda che si stava inesorabilmente raffreddando «Non è particolarmente acuta o brava sul piano tattico, anche se non l’ho mai fatta lavorare da sola su casi ad alto profilo. Non spicca in bravura nell'utilizzo della quique, anche se nel corpo a corpo è abbastanza brava. Per concludere, non sa fare gioco di squadra, come se la sua mente funzionasse solo in totale autonomia, smettendo di cooperare nei lavori di gruppo. Ma non solo. Ho sempre pensato che preferirebbe mandare avanti gli altri al macello che macchiarsi la camicetta.» fece una piccola pausa, spiando il viso sconcertato di Sasaki «Detto questo, sappi che qualsiasi ordine le darai, verrà eseguito. Penso sia molto brava a fare quello che le viene detto.»

«Sei stato incredibilmente crudele.» Kuramoto si concesse una lieve scrollata di spalle, prima di tornare a sorridere al collega più giovane «Aiko è una persona molto particolare, con un carattere originale. Amichevole, se la si sa prendere, ma bisogna un po’ abituarsi al fatto che è lunatica! Secondo me si troverà molto bene fra voi che siete tutti molto strambi.»

Haise si chiese se quello fosse o meno un insulto, ma non ebbe il coraggio o il tempo di indagare più a fondo sulle reali parole del collega. Una chioma immacolata sbucò dalla porta, fissando silenziosa gli occupanti della stanza, prima di schiarirsi la voce per attirare l'attenzione.

«Classe speciale Arima! Ma buongiorno!» fu il trillo allegro di Kuramoto, i cui occhi sarebbero potuti brillare di ammirazione, se solo li avesse aperti in quell'incontrollabile entusiasmo.

«Buongiorno, Arima» fu il più dimesso ma altrettanto sentito saluto di Haise, che gli sorrise.

Take riabbassò semplicemente gli occhi sul giornale, sperando di scamparla.

«Sono passato perchè devo parlare a Take, ma visto che sei qui, Haise, preferisco dirti un paio di cose prima della riunione. Take, tieniti libero per pranzo.»

No, non sarebbe scappato.

«Come vuoi» fu la sua sola risposta, che però non venne minimamente tenuta in considerazione. Arima era già uscito, seguito da uno scodinzolante Sasaki, lasciando i due partner da soli a guardarsi in faccia.

«Cosa hai fatto di sbagliato?»

«Stai zitto, Ito

 

 

 

 

Haise si rendeva conto di perdere colpi.

Il semplice fatto che avesse passato due ore in una stanza con il nuovo membro della squadra Quinx, quando era andato a trovarla appena superato l’intervento chirurgico per l’installazione del kakuhou, parlandole dello chateau senza però darle l’indirizzo, ma solo la fermate della metro, ne era un esempio.

Nemmeno la nuova leva sembrava un’aquila, però.

Sasaki non si sentiva di giudicarla dopo la pessima figura fatta, ma anche lei non si era mostrata molto organizzata quando l’aveva chiamato dicendo di essere all’uscita della stazione indicata senza idea di che strada prendere.

Fortunatamente, era vicina.

Era uscito avvertendo di sfuggita Mutsuki, che se ne stava seduto al tavolo della cucina con gli occhi incollati alla lista della spesa incompleta, senza nemmeno curarsi del fatto che addosso aveva un paio di pantaloni del pigiama di un grigio spento e un paio di pantofole blu scuro sotto al trench di servizio.

Aveva zompettato vivacemente per un paio di isolati, arrivando a destinazione in poco più di due minuti. Ad attenderlo, come da aspettativa, c’era una ragazza.

La prima cosa che Haise notò in lei, erano le gambe. Erano lunghissime, sottili e avvolte da un paio di jeans chiari dall’aria vissuta. Secondariamente, era una fumatrice. Se ne stava infatti in piedi accanto a una valigia piuttosto voluminosa nera, con il cellulare in una mano e una sigaretta nell’altra.

Sembrava diversa.

L’aveva vista qualche volta, in giro per gli uffici o durante le missioni, ma in quel frangente gli sembrava diversa. Eppure non aveva nulla di strano. I capelli neri erano come sempre tagliati corti e spettinati in una zazzera scomposta. Le unghie, smaltate di nero tremavano appena a causa dell’aria gelida di gennaio, mentre la pelle bianca d’alabastro le si arrossava sulle guance per il medesimo motivo. Gli occhi grandi, color ambra, avevano sempre la solita espressione perennemente malinconica, triste.

Solo quando le fu di fronte, Haise realizzò; ad essere diverso era il suo odore.

Come era normale che fosse, dopotutto.

«Masa!» la chiamò allegramente, ricevendo come risposta quelle iridi accese dentro alle sue. Si rese conto che lo metteva un po’ a disagio. Sembrava vedere qualcosa dentro di lui che lo stesso Haise non poteva cogliere. Come facevano sempre anche Akira e Arima, in realtà.

Non si sarebbe mai abituato a quella sensazione.

«Mi dispiace» si scusò quindi, portando una mano al capo per l’imbarazzo «Dovevo mandarti almeno un messaggio.»

Lei non pareva scocciata. Tirò un lievissimo sorriso, che parve quasi di cortesia visto che svanì quasi subito «Belle pantofole.»

Haise avvampò, prendendo a ridacchiare «Lo so, è solo che sono uscito di fretta. Ma vieni! Lo chateau è proprio qui dietro! Ti aiuto.»

«Non è necessario.»

«Insisto!»

Nonostante la ragazza sembrasse molto decisa sul fatto che non voleva una mano, Sasaki non si fermò, afferrando il manico della trolley e iniziando a tirarla. Per le dimensioni, sembrava incredibilmente leggera. Sbatté le palpebre sorpreso, osservando anche la sacca che Aiko portava sulla spalla, scendendo poi fino alla valigetta metallica della quique, che teneva nella mano destra.

«Devi passare a prendere altre cose? Possiamo usare la mia macchina.»

«Non occorre, ho tutto qui con me. Non ho molti oggetti personali.» Si avviarono lungo il viale fianco a fianco e la mora non attese nemmeno un istante prima di riprendere a parlare «Volevo parlarti di una cosa, Sasaki

«Puoi chiamarmi Haise, se lo desideri.»

Lei lo guardò di sfuggita, prima di puntare nuovamente lo sguardo sulla strada, per memorizzarla «Dicevo. Volevo scusarmi con te, Sasaki

Haise decise di accantonare per qualche istante la questione ‘nomi’, improvvisamente perplesso. In una frazione di secondo iniziò al motivo per cui Aiko si stava scusando. Per averlo fatto uscire? Per non aver chiesto la via? Per averlo disturbato?

«Non capisco cosa-»

«Per averti trafitto con la mia lancia nello stomaco, alla fine dello scontro con il Serpente.»

Ah.

Così come era avvampato poco prima, l’investigatore di prima classe di ritrovò a sbiancare. Era in compagnia del nuovo membro della QS da cinque minuti scarsi e ci stava già rimettendo in salute. La pressione doveva essergli crollata improvvisamente al solo pensare a quell’episodio.

Aveva perso il controllo di sé, messo in pericolo altri investigatori e i suoi uomini.

«S-stavi facendo solo il tuo lavoro.»

«Sì, è vero. Però il pensiero di avere ripetutamente penetrato il mio capo squadra con la mia quique mi fa pensare che forse è meglio chiarire subito. Quindi accetta le mie scuse, così possiamo iniziare.»

«Scuse accettate» volenteroso di cambiare velocemente discorso, Haise alzò una mano e indicò la villetta di fronte a loro «Siamo arrivati!»

«Che posto carino.»

Che fosse seria o meno, Haise non seppe dirlo. Ito aveva ragione, era una persona da capire. Le fece comunque strada, scostandosi dall’uscio solo per farla entrare per prima. Lei si sfilò velocemente gli stivali, mentre il primaclasse si vedeva costretto ad abbandonare le pantofole umide di terriccio, lasciando le valigie lì nell’ingresso.

«Cerchiamo gli altri, così te li presento.»

Non ce ne fu bisogno. Tre teste sbucarono dal divano.

Cinque occhi e una benda scrutarono avidamente la nuova arrivata oltre lo schienale e Haise si sentì padre di quattro piccole pesti. Solo tre erano presenti, però. Si chiese dove potesse essersi cacciato il figlio ribelle.

«Ti presento i Quinx.» commentò divertito, mentre Masa passava lo sguardo da un volto all’altro. «Ragazzi, lei è il secondo livello Aiko Masa, come sapete da oggi è una di noi»

Alzò una mano, per salutare «Un paio di volti li conosco già. Ciao Shirazu  l’altro ricambiò il saluto, ma lei non lo guardò. Si sollevò sulle punte, guardando oltre il divano mentre lei e Haise si avvicinavano «Quello con i capelli viola, i nei sotto gli occhi da serial killer e il muso lungo non c’è, oggi?»

Sasaki e Mutsuki la guardarono sorpresi, mentre Saiko e Shirazu ci davano dentro a ridere. «Arriverà» rispose proprio il capo gruppo, passandosi un dito sotto all’occhio per asciugare una lacrima solitaria «Non c’è mai, di giorno.»

«Si allena da solo» le fece sapere Mutsuki, scrollando le spalle esasperato «Difficilmente rimane allo chateau se non abbiamo nulla da fare.»

«Teoricamente» si intromise Haise «Abbiamo ancora aperto il caso della Lavandaia.»

«Che caso?» si informò Masa immediatamente, sedendosi con lui sul divano parallelo a quello dove i Quinx osservavano, chi convinto e chi meno, la nuova compagna.

«Probabilmente ti affiderò qualcosa di diverso, domani» le fece presente Haise, così da non mettersi a spiegarle un caso che a cui non avrebbe partecipato «Hai più esperienza sul campo e so che è un cold case.»

«Un caso tutto per lei?» chiese con tono lamentoso Shirazu «Non è molto giusto!»

«Non sarebbe sola, naturalmente! » si difese il prima classe, portando avanti le mani, prima di sospirare pesantemente «Non parliamo di lavoro, adesso. Dobbiamo spiegare a Masa come funzionano le cose in questa casa. Magari finire anche la lista della spesa così dopo ci vado io con Mutsuki

«Lista della spesa?»

Cogliendo lo stupore negli occhi della nuova arrivata, Shirazu si sentì in dovere di fare il caposquadra e spiegarle al meglio le dinamiche «Condividiamo tutto, qui.» fu il suo modo di esordire, attirando l’attenzione generale su di sé, mentre si sporgeva con il solito sorriso sornione in avanti per poterle parlare quasi in confidenza «Laviamo i vestiti insieme, ci alleniamo insieme, mangiamo insieme. Sasan cucina per noi tutti i giorni!»

Masa a quel punto, si voltò verso il prima classe, con lo stupore negli occhi. Poi gli sorrise, decidendo di esternare ciò che le passava per la mente con straordinario candore.

«Cucini tu, nonostante tu sia un ghoul? Che cosa incredibilmente bizzarra, ma carina.»

Calò il gelo più totale.

Nessuno ebbe il coraggio di dire niente in risposta.

Aiko registrò immediatamente di avere esagerato, notando come il viso di Haise si fosse fatto granitico e come gli altri avessero trattenuto il respiro, nemmeno avesse intenzione di sparare al povero capo.

«Oh, ma non è un’offesa!» si affrettò a mettere avanti le mani la mora, appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendo la presa, solidale «Un complimento, piuttosto. Io adoro i ghoul

Da lì si aprì una spirale che non ebbe fine tanto presto.

Shirazu, mentre la ascoltava sproloquiare, si chiese perché. Perché non si apriva una voragine nel pavimento per inghiottirli tutti, meno il povero Haise Sasaki, vittima dell’entusiasmo di quella folle.

Perché questo sembrava.

Folle.

«Sono contraria a quel pensiero retrogrado e incivile che metà degli investigatori hanno riguardo i ghoul. Per esempio, io credo che possano amare. Avere una famiglia. Diventare persone di spicco come il nostro capo!»

«Aiko ti mostro la tua stanza!»

La situazione andava presa di petto e visto che Mutsuki si era ammutolito, mentre Yonebashi aveva avuto la faccia tosta di chiudersi dietro lo schermo del cellulare, stava a lui farlo. Lui, che era il caposquadra.

Per gentilezza, le portò anche la valigia al piano di sopra, fino alla stanza libera, la prima del corridoio che dava sulle scale. Masa entrò per prima sotto invito di Shirazu, esaminando l’ambiente tutto in legno.

Era più grande del suo vecchio monolocale, quasi.

«Ho esagerato, vero?» domandò retorica, appoggiando la sacca e la valigetta sulla scrivania, mentre l’altro chiudeva la porta e si sedeva sul materasso nudo, ondeggiando appena il capo.

«Noi non ne parliamo.» le rispose tranquillo, facendole così notare che nessuno ce l’aveva con lei per quello che era successo, ma che sarebbe stato saggio evitarlo «Sasan è molto sensibile sull’argomento e noi non vogliamo farlo sentire diverso.»

«Però lo è.»

Per l’ennesima volta, Masa riuscì a lasciarlo completamente senza parole. La guardò sedersi accanto a lui, con le mani in grembo e gli occhi piantati sulle sue stesse unghie, laccate di nero.

«Lui è diverso. Un mezzo ghoul. Forse è anche meglio di noi.»

Un brivido attraversò la schiena del caposquadra, che si limitò a schiarirsi la voce, accarezzandosi la nuca, a disagio.

Che strana ragazza.

«Non voglio dire che quello che hai detto sia sbagliato ma-»

«Ma lo pensi?» domandò Aiko con un sorrisetto consapevole.

A quello, Shirazu non rispose. Piuttosto, si limitò a scrollare le spalle «Non voglio entrare nel merito, semplicemente. Solo, ti chiedo di non parlarne mai davanti a Uriko. Quello potrebbe incazzarsi sul serio.»

Eccome se si sarebbe incazzato. Gli pareva già di vederlo, col kagune estratto alla carica, contro la povera Aiko che però non sembrava rincitrullita come il prima classe Hirako l’aveva dipinta a Sasaki.

Era solo parecchio strana.

Il pensiero che forse avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di patner di Urie – visto che Haise si trovava così bene con Mutsuki e lui ormai si era preso a carico di motivare Saiko- gli fece venire i brividi.

«Non dire a Sasaki che è un ghoul e non parlare di quanto sono belli i ghoul di fronte a Urie Kuki. Posso farcela, caposquadra.» si scambiarono un sorriso incoraggiante, quasi a suggellare una promessa che Shirazu se lo sentiva, lei non avrebbe rispettato «Avanti!» proseguì quindi Masa, dandogli una pacca giocosa sulla coscia «Spiegami tutto ciò che devo sapere su come funzionano le cose in questa casa.»

Passarono le successive due ore a parlare di allenamenti, schemi di indagine e regole casalinghe, da quelle serie a quelle meno importanti. Come non lasciare dolci in giro quando Saiko è libera per il salotto e non offrirne mai a Urie.

Alla fine Shirazu arrivò a pensare che Masa poteva essere strana finché voleva. Non si sarebbe sentita fuori posto.

Kuramoto Ito aveva ragione. Erano tutti strani, i Quinx.

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

---------N.d.A--------

 

Quando ho iniziato a scrivere questa storia mi sono detta ‘al massimo dieci capitoli’.

Dopo aver plottato cinque casi, ancora non mi sono fermata, anche se le linee di margine le ho tratteggiate già nel pezzettino iniziale (nel quale ovviamente non si capisce niente).

Come sempre, non manterrò la mia promessa di ‘soli dieci capitoli’, ma dopo tutti i consigli ricevuti da diverse amiche mi sono detta che non importa. Fare bene una cosa è gratis.

 

Dopo questa premessa di cui nessuno sentiva davvero il bisogno (io davvero non le so fare le note finali di un capitolo, che schifo, ignoratele), passiamo alle cose serie.

Per modo di dire. La serietà mi schifa.

 

Ho deciso di scrivere su questo fandom per differenti motivi, anche se purtroppo vedo che è poco popolato.

Principalmente perché è una figata. No davvero, io ne leggo di manga, ma Tokyo Ghoul credo sia il mio preferito.

Ha così tanti scenari, personaggi e colpi di scena da cardiopalma che non è possibile riassumerli.

Adoro ogni personaggio, per questo selezionarne una parte e basta non è stato semplice.

Ho scelto i Quinx perché sono troppo ignorati purtroppo.

 

Ci saranno più di un OC, chi mi segue su altri fandom sa che li amo, ma Aiko Masa è in tutto per tutto la protagonista.

E io ho deciso di iniziare a pianificare tutto dalla sua morte.

Povera ragazza, sono stata infame, ma lo faccio sempre. Su di lei c’è ancora poco da dire, questa è solo una piccola introduzione.

 

Detto questo, passo brevemente a spiegare come pensavo di impostare il lavoro; sarà diviso per casi e ci saranno anche tutte quelle cose strane e compromettenti che si chiamano flashback e flashforward. Cercherò sempre di farvi capire il senso, se deciderete di seguirmi, promesso.

Ho inserito i personaggi che maggiormente toccherò, ma è una storia improntata sul ccg. Ci sarà un sacco di  Ito, un sacco di Take, e qualche accenno soft alla Arima x Haise, ma solo per chi vuole vederli, visto che ho deciso di scrivere una het e a questo mi attengo.

Insomma, chi vuole intendere intenda, non forzerò la mano.

Ma li shippo, ecco.

Quel ‘sorpresa’ fra i personaggi è una grossa sorpresa, non posso anticipare ora.

Sorry a tutti.

 

Passo a ringraziare gli angeli che mi hanno aiutata nella stesura, a iniziare da Virgy che ha letto e sentito le mie mene che…. Le hanno spoilerato tutto :re.

Scusami ancora.

Luna, che mi ha dato una mano nella pianificazione, in particolare nella creazione di una caso in cui appare la protagonista della storia che sta scrivendo lui. Come per snk, scriveremo intrecciate.

La cosa migliore che possa succedere a una fanwriter. Escono delle perle.

In ultima, ma non in ordine di importanza, la mia coinquilina  (madonna) Maia che ha betato e fatto questo bellissimo banner che io non saprei nemmeno come partire per farlo (ps, trovate anche la mia pagina autrice nel link e no, non è un caso.)

 

Ok, detto questo, smetto di scrivere.

Non avrete voglia di leggere altro. Manna se avete avuto la pazienza di arrivare qui.

Vi invito solo a scribacchiarmi un commentino se avete gradito o se avete odiato il primo capitolo.

Avere un riscontro sarebbe un massimo, ma ultimamente su efp tira un po’ un’aria solitaria.

Si sente nel vento (?).

 

Grazie ancora, a presto.

C.L.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Il caso Embalmer - 2 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte prima: il caso Embalmer

 

 

 

 

Capitolo due.

 

Il primo incontro di Kuki Urie con la sua nuova partner non fu affatto eclatante. Non aveva avuto il piacere di fare la sua conoscenza la sera precedente per il semplice motivo che non era rincasato in tempo per la cena. Non lo aveva fatto con l’intenzione di evitare il nuovo componente dei Quinx, ma il tempo era volato via e si era ritrovato a uscire dalla sede centrale che ormai erano passate le ventitré.

Al suo arrivo aveva trovato in piedi solo Saiko, tatticamente posizionata di fronte al megaschermo del salotto con la consolle accesa su un videogioco rumoroso. Dalla stanza di Shirazu, quella accanto alla sua, proveniva ovattata la riproduzione casuale di qualche playlist di dubbio. Mutsuki e Sasaki già dormivano o fingevano di farlo, giusto per non iniziare la settimana col piede sbagliato la mattina successiva.

Per quel che riguardava la nuova venuta, non s’era affacciata dalla porta per tutta la notte, nonostante la luce fosse rimasta accesa fin quasi all’alba. Quando però Urie la vide, seduta al tavolo della cucina con una tazza di the nero in mano e una penna con cui stava scarabocchiando qualcosa su un foglio nell’altra, non gli parve assonnata o stanca. Come faceva a sapere che non aveva quasi chiuso occhio? Nemmeno lui ci era riuscito e le loro stanze erano divise solo da una sottilissima parete di cartongesso. Il suo udito potenziato dall’incremento delle cellule rc nel suo organismo lo aveva costretto a sorbirsi ogni spostamento e ogni passo nella camera adiacente.

Contando anche quella collegata alla parete opposta, in cui dormiva Shirazu – che russava e parlava nel sonno- era stata una vera festa.

Addossare il letto all’altro muro, appena trasferitosi lì, si era rivelato inutile.

Nonostante non avesse grandi aspettative di partenza, Urie rimase comunque abbastanza perplesso dal modo in cui l’altra lo aveva liquidato in fretta, con una stretta di mano frettolosa, fatta alzando a mala pena gli occhi dal questionario che Sasaki si era ricordato all’ultimo momento di farle compilare circa lo spostamento dalla squadra Hirako alla Quinx. Si erano già visti, dopotutto. Di fronte alla macchinetta del caffè per esempio, visto che quello era il vero ufficio di Ito e Masa.

Ogni preoccupazione in merito però annegò in una tazza di caffè nero, il vero buongiorno che l’agente di secondo grado (ancora per poco, sarebbe stato promosso ad aprile) pretendeva.

Sasaki smise di spignattare, appoggiando al centro del tavolo una torre di Babele di pancakes americani fatti in casa, prima di prendere posto fra Saiko e Mutsu.

«Itadakimasu!» disse allegramente, congiungendo le mani sotto al mento. Fu imitato solo da Tooru. Shirazu non ci riuscì, sbadigliando a bocca larga e rischiando di cavarsi un occhio con le mani giunte, mentre Masa e Urie sembravano troppo presi da altro per considerare il povero leader. Nemmeno a dirlo, Saiko si stava già ingozzando con i primi due pancakes e un lago di sciroppo d’acero.

«Ora che siamo tutti insieme» iniziò quindi Sasaki, lanciando a Urie un’occhiata paterna alla ‘so che sei tornato tardi anche ieri’ che non solo venne contraccambiata da uno sguardo di puro menefreghismo, ma non ottenne nemmeno come risposta una pallida scusa. Non gliene fregava proprio niente di niente «Ho un paio di annunci. Per prima cosa, tra quattro giorni si terrà una riunione della squadra Mado al completo, in cui riporteremo i dati delle indagini in corso. Secondariamente, Urie ti sollevo dal caso Lavandaia.»

Solo a quel punto, Kuki si sentì in dovere di aprire, finalmente, bocca «Per quale motivo?»

«Da oggi lavorerai insieme a Masa a un altro caso.»

Una caso da solo? Va bene, non proprio da solo, ma Urie non aspettava altro da tanto, troppo tempo. In realtà, aveva sempre fatto un po’ quello che gli importava, lavorando per conto suo anche nelle indagini con il resto della squadra, ma in quell’occasione avrebbe avuto solo un’altra persona da portarsi dietro e poteva provare a sopportarlo. Senza contare che Masa non sembrava particolarmente sveglia. Avrebbe senza dubbio fatto la sua figura, spiccando su quel manipolo di stupidi.

«Cosa abbiamo?» domandò la ragazza, appoggiando la penna e scaldando anche l’altra mano contro la porcellana bollente della tazza, soffiando piano attraverso le labbra sottili sul liquido scuro, prendendo un piccolo sorso.

Haise tirò su col naso, come per spezzare il silenzio ricco di aspettativa dei due sottoposti, deciso poi a sganciare la patate bollente con molta calma. «Questo è un caso molto vecchio, passato da così tante mani da non capirci più nulla. Era stato archiviato, ma hanno ritrovato un altro cadavere un paio di mesi fa e-»

«Si tratta del caso Embalmer, vero?»

Urie capì perfettamente il motivo per cui il tono di Aiko era uscito dimesso e demotivato, nel chiedere una conferma. Sasaki annuì, dopo tanto tergiversare, facendo sospirare entrambi con una certa rassegnazione.

Le indagini sul caso Embalmer erano aperte da oltre quindici anni. Seppure Urie non avesse mai avuto sotto mano i fascicoli delle indagini, poteva immaginare quanto fosse intricata la faccenda. L’assegnazione al caso aveva fatto il giro degli uffici in quel lasso di tempo, un po’ di qua e un po’ di là, come la pallina di un flipper. Anche la squadra Hirako l’aveva avuta in gestione per quasi nove mesi, due anni prima.

Il problema di base, anche senza aver svolto una lettura preliminare i rapporti, era la penuria di prove e le indagini all’acqua di rosa, in quanto il periodo di inattività del killer ghoul variava dai due ai sei anni di buco totale. Nei momenti di inoperosità del soggetto, nessuno era stato in grado di far luce su di esso. Quando era stato rinvenuto l’ultimo cadavere, alla fine di novembre, tutti avevano iniziato a temere l’assegnazione al caso. Dopo più di un giorno in cui la scena del crimine era rimasta a raffreddarsi nelle mani della polizia di Tokyo, esso era stato preso in gestione dalla squadra Ui.

A quanto pare, l’agente speciale Koori era troppo oberato di lavoro per perdere tempo.

«Ci stai scaricando un caso impossibile, Sasaki?»

Kuki non aveva avuto nemmeno un problema a domandarlo, anche se quella suonava più come un’affermazione, che un vero e proprio quesito.

Haise lo guardò un po’ imbarazzato «No, ecco io non pensavo a questo», gli disse, appoggiando la mano al mento e spostando gli occhi dalla parte opposta del tavolo, guardando Yonebashi spazzolare gli ultimi due pancakes «Solo, Masa sa sicuramente qualcosa in più di noi avendoci già lavorato e noi siamo presi dall’altra indagine. Tu, poi, sono mesi che mi domandi di poter lavorare un po’ per conto tuo e mi sembra un’ottima possibilità per te. Sono certo che lavorerete bene insieme! Per questo ho deciso di accoppiarvi

In quel giro scombinato di parole, Haise aveva messo troppa carne al fuoco. Intanto, aveva esplicitamente detto loro che avrebbero lavorato in coppia da quel momento in poi. Secondariamente, non aveva dato alcuna speranza per l’avanzamento delle indagini.

Aveva solo detto che avrebbero lavorato bene insieme, il che era tutto un programma.

La mazzata finale la diede Aiko che, alzando una mano per attirare su di sé l’attenzione, non si fece scrupoli a confessare che «Non lavoravo al caso Embalmer. Forse ne so poco più di voi, in realtà, ma io al tempo lavoravo con il prima classe Orihara e il caso era di Michibata e Masami.»

Ottimo, sei inutile,  fu tutto ciò che Urie pensò in merito.

Fece due conti mentali veloci.

Se anche avesse fatto un solo, piccolo avanzamento, sarebbe stato riconosciuto come una grande vittoria. Era realistico, difficilmente sarebbero riusciti a risolvere qualcosa, ma potevano comunque far avanzare di una casella le indagini, no? Non avevano molto da perdere. Quel caso era rimasto infruttuosamente adagiato sul groppone di diversi investigatori di alto profilo, non avrebbe rovinato la carriera a due livelli così bassi.

Poi sarebbero stati soli, liberi di agire.

Valeva la pena provarci.

«Dove è la documentazione?» domandò quindi al leader dei Quinx, dando il suo  via libera. Lo avrebbe fatto, il classe speciale Sasaki poteva prenderne nota.

«Al ccg.»

La risposta fu così tanto stupida che nessuno si sentì in grado di rilanciare.

Finirono la colazione più o meno in silenzio.

 

 

 

 

«Soggetto sconosciuto numero 098, meglio conosciuto come Embalmer.»

Urie non poteva credere ai suoi occhi. Di fronte a lui, disposti in tante piccole pile, dovevano esserci qualcosa come centocinquanta cartelline, più o meno rigonfie di fogli. Molte di esse erano scritte a mano, perché risalenti ai primi anni di indagini, quando i computer ancora non avevano preso il loro posto nelle vite degli investigatori. Sarebbe stato delirante cercare di barcamenarsi fra tutte quelle testimonianze che, per la maggiore, non avevano niente da dire.

«Ci impiegheremo una vita a leggere tutto.» fece notare alla collega, che stava appoggiando un’altra scatola piena di documentazioni sul tavolo. Non sono finite? si chiese avvilito il giovane agente, domandando poi a una qualsiasi entità celeste cosa avesse fatto di male nella vita.

«Sembra una puntata di Accumulatori Seriali» gli rispose divertita Aiko, lanciandogli un sorrisetto, indicando poi un paio di scatole vuote e dall’aria sana, contrariamente a quelle che avevano disposto più o meno ordinatamente sotto al tavolo, che pareva stessero insieme con lo sputo «Riempiamo queste con i fascicoli definitivi della chiusura del caso o di trasferimento a un’altra unità. Sarebbe inutile prendere anche quelli dei resoconti preliminari. Tanto dicono tutti le stesse cose e a noi servono solo i nominativi delle vittime, no?»

Avevano deciso di procedere alla vecchia maniera, analizzando una ad una le vittime e cercando qualcosa in comune. Qualsiasi cosa. Apparentemente, non sembravano esserci connessioni. Uomini e donne adulti, ragazzi, un bambino e un pensionato.

Giapponesi e stranieri, sia in visita che trasferiti a Tokyo.

Avrebbero potuto lavorarci per mesi.

«Ripetimi il modus operandi» disse senza domandarlo, mentre iniziava a rendersi collaborativo almeno a fatti, divedendo le cartelle come Aiko aveva chiesto. Uno dei fascicoli che gli spasso fra le mani era di Kureo Mado e sembrava scritto nell’anteguerra con una calligrafia a dir poco ignobile.

«Non sappiamo come sceglie le sue vittime, ma sappiamo che le rapisce, lasciando sulla scena tracce del liquido secerne dal kagune» iniziò la mora, cercando di ricordare attentamente quello che Michibata le aveva detto al telefono nemmeno quaranta minuti prima, facendole poi le condoglianze per l’assegnazione «Le porta poi in un luogo che non conosciamo, le sventra e probabilmente si nutre degli organi. Poi le imbalsama usando un metodo superato, con composti chimici che andavano di moda negli anni venti, e per qualche strana ragione ce li fa trovare in posa, in un luogo pubblico» girò verso Urie una fotografia eloquente. Una giovane donna, vestita come una bambola, seduta sui gradini di fronte al Senso-Ji. «Sembra stia leggendo, mentre in realtà è più dura di una tavola da surf.»

Kuki ignorò volutamente l’ultimo commento «Quindi non sappiamo niente?»

«Sappiamo che opera nell’undicesima» gli rispose, porgendogli un fascicoletto leggero, ma eloquente. La stesura portava una sola firma.

«Come è possibile che sia vivo se il classe speciale Arima ha indagato su di lui?»

«Perché non stava seguendo lui. Si è imbattuto nell’Embalmer per caso mentre si occupava dello smantellamento di un gruppo di Ghoul nel quartiere di Bunkyo. Ha rilasciato una descrizione abbastanza accurata della sua maschera e del suo kagune. Tuttavia, nel rapporto c’è scritto che aveva altre priorità e lo ha lasciato scappare. Si suppone però che Embalmer l’abbia condotto fino al quartiere in cui vive, visto che conosceva abbastanza bene il luogo da scomparire nel nulla di punto in bianco.»

Soggetto maschile di età indefinita post puberale, bikakou, maschera nera e azzurra, parziale a coprire il volto solo nella metà inferiore.

Almeno sapevano da dove partire.

«Quindi, la undicesima?»

«Così pare.»

Avrebbero indagato sulle attività dei ghoul in quella zona, anche se non sarebbe stato semplice. Sapevano che Ōta, undicesima circoscrizione, era sotto l’influenza di Aogiri. Sarebbe stato complesso tirare fuori uno solo di quei mostri dai cunicoli del quartiere, ma non avevano prove che il ghoul fosse collegato in qualche modo alla cellula terroristica.

Speravano non fosse così, non volevano alimentare quella che era già una guerra aperta. Sarebbe stato come buttare benzina sul fuoco.

Decisero di iniziare a portare a casa tutti i fascicoli, ritrovandosi con cinque scatoloni pieni zeppi da trasportare fino alla macchina. Urie ne prese tre, impilandoli davanti alla faccia mentre Masa arrancava di fronte a lui tenendone due, che però sembravano più pieni.

«Sento il cartone che cede.»

«Non farci caso o ci ritroveremo a raccogliere dei documenti per sei piani di scale.»

Dovevano parlare con un investigatore assegnato all’undicesima, fare un’indagine vittimologica su ogni caso per carpirne le similarità e leggere tutti i rapporti di chiusura, uno ad uno.

Forse non sarebbe bastata una giornata intera di lettura, se non avessero iniziato subito.

Arrivati in ascensore, impilarono tutti gli scatoloni, già stanchi del caso. «La cosa peggiore è sapere che stiamo lavorando per niente.» Il commento amaro di Aiko arrivò lieve alle orecchie del secondo livello, che finse di non aver sentito affatto. Non voleva pensarci. Stava per premere il pulsante del piano terra, quando una figura di per sé massiccia si ficcò nell’ascensore stipato. Urie non si voltò a guardarlo. Bastò la sua voce per fargli provare immediatamente un forte senso di fastidio e un’emicrania incipiente.

«Ei Aiko, ti hanno licenziata finalmente?»

«Ciao Takeomi!»

Takeomi Kuroiwa era forse la persona che Urie tollerava meno nel grande circo itinerante che era diventato il ccg negli ultimi anni. Non solo non poteva perdonare al padre del ragazzo quello che aveva fatto al suo, ma non riusciva nemmeno a guardare in faccia il compagno di accademia senza provare un forte senso di nausea. Il modo in cui Masa gli stava anche parlando, amichevole e confidenziale come era normale che fosse fra ex compagni di squadra, gli diede ancor di più sui nervi. Stava ponderando di uscire dall’ascensore e fare le scale a piedi, ma avrebbe fatto la figura del pazzo e no, non ne aveva voglia. Senza contare che, a prescindere, le porte si erano già chiuse a un palmo dal suo naso.

Fu il minuto più lungo della sua vita.

Una volta arrivati nella hall, dopo aver firmato i documenti di rilascio per prendere i fascicoli, Kuroiwa ebbe anche la faccia tosta di essere così gentile da portare ben tre scatoloni fino alla loro auto, non rompendone nessuno durante il tragitto, seppur Urie pregasse affinché succedesse.

Una figura pessima da parte del perfettino avrebbe avviato con un altro spirito quella che sarebbe stata l’indagine più estenuante della sua vita.

 

 

 

 

Che venga chiamata ironia, che venga chiamato Karma, alla fine tutti vengono puniti per i loro stessi pensieri malevoli.

Urie aveva percepito che quella non sarebbe stata la sua giornata nel momento in cui, di fronte alla porta di casa, gli si ruppe uno degli scatoloni in mano. Fece tutto da solo, rovesciando cartelle su cartelle per tutto il patio in legno dello chateau.

Si scambiò solo uno sguardo con Masa, entrambi apatici in viso, prima di chinarsi per iniziare a raccogliere quel disastro prima dell’arrivo di Sasaki, riuscendo anche a darsi una testata nel mentre. Non stava andando bene.

La loro collaborazione era nata sotto una cattiva stella.

In un modo o nell’altro riuscirono ad organizzare il loro campo base. Si sistemarono attorno al kotatsu del salotto, non facendosi scrupoli di accendere la stufetta elettrica sotto di esso e coprendosi le gambe col il piumino per scappare al freddo di gennaio che aveva attanagliato tutta la casa. Il resto della squadra era impegnato nelle investigazioni e, di conseguenza, avevano spento tutto, uscendo di casa . Qualche Nobel aveva pensato anche di lasciare basso il termostato.

«Ora, se i pinguini non ci portano via i fogli, possiamo iniziare» aveva esordito Masa, guardando Urie disporre ogni singolo fascicolo in ordine cronologico. Erano le dieci meno due minuti del mattino e i giochi si aprivano ufficialmente.  Dieci minuti dopo erano immersi in una lettura esasperante, che li tenne impegnati fino al pranzo, che consumarono alternati per non smettere di lavorare e poi, fino alle sei. Quando Shirazu e Yonebashi rincasarono, i due erano alla fine della seconda di tre pile di documentazioni di indagini.

Ci vollero altre tre ore prima di riuscire a finire di leggere tutto quanto. Undici ore e un quarto dopo aver iniziato a scartabellare, avevano ufficialmente il cervello in fiamme, ma un quadro completo della situazione.

Da soli ci avrebbero impiegato giorni.

Urie quanto meno, poté constatare che a parte qualche distrazione –Masa non aveva perso di vista il cellulare nemmeno un secondo, ma era abituato a Saiko che era di gran lunga peggiore- la sua partner faceva ciò che le veniva detto. Non risparmiandosi costanti battute che non facevano ridere e lavorando al computer per prendere appunti e tracciare diagrammi o segnare semplicemente i punti sulla mappa della città. Per quanto insipida sembrasse, Aiko aveva una sua utilità: aveva studiato scienze forensi e aveva anche preso un master negli ultimi due anni. Sapeva muoversi molto bene durante le indagini.

Finalmente, a mezzanotte e quaranta, avevano finito di fare tutto.

«Vado a chiamare Sasaki.»

Così Haise venne brutalmente buttato giù dalla branda. Con un pigiama composto dai soliti pantaloni grigi e da una felpa nera troppo grande per lui scese in salotto, passando una mano nella zazzera spettinata dei capelli bicolori, al seguito di Urie. Sorprendentemente, anche il resto dei Quinx sembrava non aspettare altro, ad eccezione di Saiko che aveva detto di essere troppo occupata da una sessione di D&D. Shirazu, che aveva bighellonato tra il salotto e la cucina, con il portatile sempre con sé e una qualche serie tv a tenergli compagnia fu il primo ad avvicinarsi al leader, sedendosi con lui in attesa di sentire come avanzava il recupero delle informazioni.

Quindici anni di casi, dovevano essere parecchie.

Mutsuki invece arrivò per caso, mentre Shirazu proponeva un caffè che tutti rifiutarono, convinti ad andare a dormire appena finita la discussione. Anche lui aveva addosso un pigiama esageratamente grande, che cadeva scomposto sui fianchi e sul petto. Si sedette sul bracciolo del divano, accanto al caposquadra, mentre il leader dei Quinx guardava i due accaniti lavoratori tirare le somme fra fogli di appunti e fotografie di scene del crimine.

«A che punto siete nella rilettura dei rapporti?»

Masa alzò gli occhi stanchi dallo schermo del suo laptop, concedendosi un brave sorriso sfiancato, ma vittorioso «Abbiamo finito.»

Haise la guardò, non capendo «Nel senso che…?»

«Nel senso che abbiamo finito.»

Sasaki, a quel punto, non sapeva come reagire. Sollevò le sopracciglia, passando gli occhi su tutte le piccole torrette di fascicoli che circondavano il tavolino basso, cercando anche solo vagamente di contarle.

Shirazu fischiò ammirato «Quanto ci avete messo, ragazzi?»

Urie lanciò uno sguardo a Masa, che controllò l’ora sul computer «Quattordici ore, ventidue minuti e qualche secondo che non ho voglia di calcolare.»

«Pazzi» fu il solo commento, seppur vagamente ammirato di Mutsuki.

«Avete fatto un buon lavoro, vero?» intimidito dalla sua stessa domanda, Haise tirò verso di sé un ginocchio, abbracciandolo per tenerselo al petto.

Urie non gli diede nemmeno l’importanza di una risposta. Piuttosto si schiarì la voce, mettendosi in ginocchio accanto a Masa che stava ancora digitando qualcosa e iniziò a parlare «I rapporti sono un po’ carenti. Molti dei fascicoli delle autopsie sono andati smarriti o peggio ancora, in un paio di casi non sono state proprio eseguite se non in modo sommario. Domani andremo dall’anatomopatologo di turno e ci faremo dare la loro copia delle documentazioni. Ho già inoltrato richiesta oggi pomeriggio.»

Il caposquadra Shirazu sorrise, sornione, appoggiandosi col braccio alla gamba di Mutsuki, che gli mise una mano sul capo «Spera che non ci sia Aizawa.»

«Lo stiamo sperando tutti» aggiunse Aiko, prima di guardarli a sua volta, rompendo la concentrazione. Aveva finito, era pronta «Ci siamo concentrati su due metodi di ricerca criminologica: seriale e vittimologica. Purtroppo, per quello che riguarda la ricerca standard di metodologia per i crimini seriali ci siamo arenati subito perché è impossibile tracciare una spirale di violenza territoriale sulla mappa della città.» per dimostrazione, girò il laptop verso il divano su cui sedevano i presenti, mostrando loro cosa intendeva. «Più che una spirale è una linea, se non si tiene conto di due casi molto distanti rispetto agli altri. Non abbiamo potuto circoscrivere il centro, perché tutti i corpi sono stati portati in quartieri differenti, anche se non possiamo escludere che la preparazione dei corpi sia avvenuta in un luogo in particolare.»

«Ipotizziamo che il fatto di non trovare una localizzazione precisa geografica sia voluto» Urie sistemò un plico di fogli, prima di proseguire «Di conseguenza, abbiamo tracciato un profilo delle vittime per trovare correlazioni fra loro e identificare un tipo comune che possa avere attirato il killer ghoul.»

«Sentiamo allora.» li incitò Sasaki con un sorriso incoraggiante.

Aveva così tanta voglia di andare a letto che glielo si poteva leggere in viso.

Nonostante ciò, nei suoi occhi brillava anche una certa fierezza di fronte alla dedizione al lavoro che avevano  i suoi sottoposti. In realtà, si erano voluti levare dai piedi un mucchio di scartoffie per rivederle solo in caso di estremo bisogno.

«Vai, inizia.» disse la ragazza, passando a Urie uno dei fogli più lontani.

Lui lo prese, tirando vicino anche uno dei moltissimi post it che aveva scarabocchiato lui stesso «Prima vittima: Tadashi Hayashida, un uomo di sessantaquattro anni, vedovo, ex insegnante di matematica presso un liceo di Kita.  È stato ritrovato il sette febbraio del 2001 in un parco del medesimo quartiere, imbalsamato ad arte su una panchina vicino al laghetto. In mano aveva un cannocchiale e vestiti nuovi, comprati per l’occasione. Ad investigare sul caso, così come per i tre successivi, sono stati gli allora prima classe Kami Horata e il secondo livello Kureo Mado, entrambi deceduti nell’adempimento del loro dovere.» mentre parlava, Masa selezionò le foto della scena del crimine facendo partire un’anteprima, così da farle scorrere da sole. Si era divertita peggio che durante un progetto scolastico «Sono stati interrogati sia la figlia di trentadue anni che un vicino di casa, che aveva segnalato la scomparsa dopo non averlo visto rincasare per oltre trentasei ore. Così è stato possibile risalire ad una identità. Non è stata formalizzata nessuna accusa.»

«La seconda vittima è Shintaro Kono, atleta di diciannove anni, attivo nella primavera della squadra di calcio del Machiva Zelvia.» proseguì da dove era arrivato lui Masa, incrociando le gambe sotto al piumino per mettersi comoda «Il giovane Kono è stato ritrovato due mesi dopo il primo omicidio, in piedi di fronte ad uno specchio del bagno del Shibuya Club Quattro, durante il concerto dei the Gazette, nel quartiere Shibuya.  Mado e Horata hanno interrogato gli amici e la famiglia e, anche in questo caso, non sono emersi elementi probatori che hanno portato a individuare un sospettato. Anzi, nessuno sapeva spiegarsi come fosse sparito il ragazzo, semplicemente non era tornato dagli allenamenti.»

«Poi abbiamo» Urie cercò il nome con gli occhi, trattenendo uno sbadiglio. Si concentrò parecchio per riuscire a pronunciarlo bene «Ivan Novikosvkji, un dipendente salariato di trentasei anni, divorziato, trasferitosi in Giappone da circa dodici anni. È stato trovato imbalsamato alla sua scrivania, pressi gli uffici di una compagnia telefonica di Adachi. Le telecamera di sicurezza non hanno ripreso niente e Mado ha ipotizzato che l’omicida sia entrato da una finestra. È stato possibile interrogare solo i colleghi di lavoro, poiché dal divorzio Novicoso si era chiuso in se stesso. La moglie, di nazionalità giapponese, aveva non solo l’affidamento esclusivo die due figli, ma anche Horata la possibilità di impedirgli di vederli. Qui però entra in scena il primo sospetto.» Urie allunga un braccio, passando a Sasaki un foglio con le generalità della sola persona mai accusata seriamente degli omicidi «Il dottor Yoshiro Shinya viene accusato dalla madre della seconda vittima, la signora Hakina Kono, che sostiene di averlo visto troppo interessato al caso del figlio. e Mado indagano alacremente, ma non emerge nulla. Inoltre, la conta delle cellule rc risulta nella normalità e il dottore viene immediatamente prosciolto.»

«Come mai hanno indagato così tanto su di lui? » chiede a sua volta Mutsu, prendendo in mano il foglio e dandovi un’occhiata veloce «Un rispettabile chirurgo dell’undicesima?»

«Le prime due vittime sono collegabili a lui. Sono state sue pazienti.» rispose Kuki, «Ma non la terza.»

«Tutta un’altra storia per la quarta» Masa riprende a parlare, recuperando il post it e cercando di capire cosa Urie vi avesse scarabocchiato. «Taro Watabe viene ritrovato il ventuno di agosto del 2004, tre anni e mezzo dopo il primo caso, presso un parco divertimenti del quartiere di Nerima. Gli elementi macabri della vicenda sono essenzialmente due: il corpo è stato spostato in pieno rigor mortis, post imbalsamazione e in pieno giorno. L’assassino l’ha collocato sulla giostra sotto il naso di tutti e nessuno si è accorto di niente. Secondariamente, la vittima è un bambino di otto anni, affetto da idrocefalia congenita che, seppur curata, gli ha lasciato un latente ritardo mentale.»

«Ricordo questa storia, in televisione non si parlava d’altro» Shirazu si sporse, guardando le foto del bambino sorridente in braccio al padre, con un cipiglio intristito «Ha fatto clamore.»

«E ha anche lanciato l’Embalmer.» Haise non riusciva a non guardare a sua volta quelle foto, «Come si fa a fare una cosa del genere a un bambino?»

«Parliamo di un ghoul» fu la risposta secca di Urie, assolutamente priva di qualsivoglia tatto, che zittì il leader.

Masa si sbrigò a continuare «Il bambino è stato rapito da scuola il diciotto di agosto, tre giorni prima il ritrovamento del corpo imbalsamato. Gli investigatori addetti al caso hanno interrogato le maestre, i genitori e anche tutte le persone presenti nel parco al momento del ritrovamento. Come per ogni altro caso, nessun sospettato è emerso dalle investigazioni, anche se il numero di segnalazioni anonime a maniaci e pedofili è stato ingente.»

«Non spiegherebbe le vittime precedenti, in ogni caso» Haise sfogliò il fascicolo del caso che si era alzato a cercare in mezzo a quel marasma di fogli, soffermandosi a pensare a un dettaglio «Chi erano i titolari del caso?»

Aiko non riuscì a non lanciare uno sguardo al suo partner, prima di rispondere a Sasaki «Il classe speciale Mikito Urie, deceduto durante uno scontro con il Gufo col Sekigan e l’allora livello uno Mina Tomashi, che ha accettato di parlare con noi, domani.»

Nessuno fece commenti, ma era lampante per tutti che il padre di Kuki fosse la persona di cui si parlava. Il capo delle indagini. Nemmeno Urie disse nulla o fece niente per dimostrare interesse sulla questione. Aveva però insistito molto per essere lui ad occuparsi della documentazione di quel caso specifico, quel pomeriggio. Anche in quel caso, la cartella era stata compilata a mano. «Quinta vittima, uccisa nel 2009. La sua è forse la fotografia più famosa, perché prima dell’arrivo degli investigatori addetti al caso, molti curiosi hanno scattato foto del suo corpo messo in posa, con in mano un libro, seduta sulle scale di fronte al tempio buddista di Senso-Ji, a Asakawa.» riprese il ragazzo, «Sakura Tsukawaki, una modella da passerella di ventiquattro anni, fidanzata. La prima vittima di sesso femminile del nostro psicopatico.»

«Qui riappare anche il nome del dottor Shinya» Masa passò un altro foglio ad Haise, che ormai non sapeva più dove metterli «Ha operato la ragazza qualche mese prima dell’omicidio, rifacendole gli zigomi e installandole un paio di impianti ai seni.»

«Il fidanzato è stato a lungo sospettato dai titolari del caso, ovvero Kureo Mado, promosso alla prima classe proprio posteriormente a queste indagini e allora seconda classe Shinohara. Nessuno dei due può più parlare con noi per ovvi motivi.» Urie fece una pausa, prima di riprendere «Alla fine delle loro indagini, hanno nuovamente congelato il caso, ipotizzando che il ghoul abbia deciso di attendere cinque anni per il clamore generato dall’omicidio di Tako Watabe e la paura di essere preso. Nonostante questo, ha scelto una modella mediamente famosa, per far parlare di sé.»

«Abbiamo di fronte un narcisista» Mutsu sospirò, pregando che ci fossero ancora pochi casi da analizzare. Non per stanchezza, ma perché era deleterio vedere quelle persone e poi quelle scene del crimine.

«La sesta vittima è anche la più anomala.» Aiko si passò una mano fra i capelli, stringendo gli occhi per ricordare come si pronunciava quel nome difficilissimo «Fernando Harnandez, trent’anni, padre di famiglia nato e cresciuto a Barcellona. Era in viaggio con la famiglia a Tokyo, quando la moglie e il figlio di otto anni l’hanno perso di vista. È stato ritrovato dieci giorni dopo, il quattordici maggio 2013 nella chiesa cristiana di Santa Maria a Bunkyo. Lo ha trovato un prete, che stava chiudendo la chiesa, seduto su una delle prime panche sotto all’altare. Lui è l’unica vittima ad essere stata rapita fra i turisti. Di nuovo, il killer ha trovato un modo di stupire il suo pubblico. » Masa girò il computer verso di lei, riaprendolo poi su un paio di schermate internet «Sono nati in questo periodo i primi siti internet dei suoi…. Fans. Persone che idolatrano la sua bravura e il suo talento artistico nell’utilizzo dei corpi umani come materia prima. Ha una rete di supporter accaniti che aspettano sempre nuove opere, tra di loro ci sono anche quelli che dicono di essere ghoul. I titolari del caso, che hanno offerto la loro totale collaborazione sono Machibata e Umeno della squadra Hirako. Ciò che sappiamo di per certo, è che questa volta, il ghoul ha commesso un passo falso. Mentre collocava il corpo, è stato visto dall’investigatore di classe speciale Kishou Arima che lo ha inseguito fino a Ota, prima di perderlo. Ha anche disegnato la sua maschera e dato il miglior identikit che poteva. In questo modo abbiamo potuto comprendere quanto meno da dove proviene il colpevole.»

Haise prese in mano quel disegno con la stessa grazia che avrebbe riservato alla sacra sindone il povero Hernandez «Lo ha fatto davvero Arima-san?»

«L’ultima vittima, uccisa due mesi fa, è una ragazza di diciotto anni di nome Rieko Mishima» Tagliando corto, Urie iniziò a parlare di quel macabro epilogo, parecchio recente se tenuto conto degli altri «studentessa all’ultimo anno di superiori, single e residente con la madre vedova, Mishima è stata trovata sulla linea blu della metropolitana, nel quartiere di Meguro in direzione Nakano. Gli investigatori addetti al caso sono stati il classe speciale Ui e il suo secondo, Hairu Ihei, prima classe. Abbiamo parlato al telefono con entrambi e ci hanno comunicato che a parte il contenimento mediatico e la raccolta delle prove sulla scena, non hanno praticamente investigato. Il caso è quindi passato a noi ancora vergine, con l’interrogatorio alla madre della ragazza e a un paio di amiche.»

«Dovreste interrogarla di nuovo» propose Shirazu «La madre è l’ultima persona che l’ha vista viva, immagino. È successo da poco, la pista è tiepida.»

«Impossibile» gli rispose Masa, chiudendo il portatile «Si è suicidata.»

Tutti si presero qualche secondo per incamerare tutte le informazioni registrate. Haise portò le mani agli occhi e li stropicciò, prima di guardarli entrambi «Avete fatto un ottimo lavoro in poco tempo. Bravi. Però così non va molto bene.»

Entrambi lo guardarono male.

Molto male.

Tanto che lui dovette correggere il tiro «L’approccio vittimologico è un po’ debole, però è notevole come siate arrivati alla conclusione che…. Queste persone non hanno nulla in comune fra loro.»

«Ma è sempre così gratificante?» domandò Masa a Shirazu e Mutsu, come se Haise non fosse nemmeno presente nella stanza.

«Vi consiglio di parlare con gli investigatori ancora in vita dei casi» proseguì Sasaki, sperando di farsi capire meglio «Quando avrete più elementi, che magari non traspaiono dai registri, allora potremo riparlarne. Dovreste indagare anche dal punto di vista legale e scientifico. Disponiamo di mezzi che quindici anni fa non avevamo.»

«Ho pensato di chiedere l’analisi delle ceneri dei corpi sperando di trovare qualche sostanza anomala» gli fece sapere Urie, mentre si alza, sentendo le ginocchia dolere dopo tutte quelle ore seduto.

Aiko sembrò pensare a qualcosa molto intensamente, prima di sospirare rassegnata «Quando ho fatto il master ho conosciuto un professore dell’università Imperiale del Giappone. Era molto bravo come patologo e aveva tenuto un seminario sulla conservazione dei cadaveri. Potrei contattarlo e mostrargli i dati delle autopsie.»

«Mi sembrano due ottimi punti di partenza» anche Haise si alzò e, come il Papa, fu imitato da tutti «Ora a letto e voi due» indicò Aiko e Kuki «Prendetevi la mattinata. Recuperate un po’ di ore di sonno e poi iniziate ciò che abbiamo concordato.»

«Puoi scommetterci che mi prendo la mattina» Masa passò una mano fra i  capelli di Sasaki, che si pietrificò per la loro vicinanza, prima di alzarla per salutare.

Sparì in due secondi netti, verso la sua camera.

Urie fece lo stesso, ma non prima di averli minacciati. Dovevano passare parola anche a Saiko: ciò che c’era su quel tavolino non doveva spostarsi di un millimetro. Ci aveva messo ore a trovarci un senso.

Mutsuki, che stava già pensando di sistemare, lo seguì con la coda fra le gambe, dando la buona notte ai capisquadra.

«Sembra che se la stiano cavando bene, Urie e la nuova arrivata.»

Haise guardò verso Shirazu, abbassando lo sguardo sul tavolino.

Poi annuì convinto «Così pare! Lo sapevo che avevano il carattere giusto per lavorare insieme.»

 

Contina…

 

 

 

 

---------N.d.A--------

 

 

Sono incredibilmente veloce, non so per questo il furor artistico durerà, ma proviamo a farlo durare v.v

Grazie mille a coloro che hanno letto e alle ben tre persone che hanno commentato!

Sono rimasta piacevolmente sorpresa anche dal numero delle letture, grazie davvero.

 

Grazie anche a Maia per aver betato di nuovo il capitolo.

 

Non mi dilungo, se non dicendo che questo è un capitolo molto incentrato sulle indagini e sulla sfiga di Urie, di come ce ne saranno pochi.

Il caso andava introdotto bene e ora ci saranno anche molte interazioni più personali dei personaggi, come penso che alla fine sarete interessati a leggere.

 

Grazie di nuovo!

A presto!

C.L.

 

 

Come sempre, rinnovo il mio vito a visitare la mia pagina face book Chemical Lady (EFP), dove ho postato un paio di disegni fatti dalla mia amica Luna su questa storia!

 

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Capitolo 3
*** Il caso Embalmer - 3 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte prima: il caso Embalmer

 

 

 

 

Capitolo tre.

 

Alle sette e venti, nonostante il permesso di Sasaki di riposare tutta la mattinata, Urie aveva lasciato lo chateau alla volta della sede centrale del ccg, nella prima circoscrizione. L’aveva fatto senza nemmeno provare a svegliare la sua partner, convinto di potersela sbrigare da solo dall’anatomopatologo.

Fu un errore da novellino, perché a quanto sembrava doveva aver controllato male la tabella dei turni. Infatti, alla postazione nella sala autopsie, non aveva trovato Kurito. No. Ci aveva trovato il flagello del laboratorio medico del ccg, Ivak Aizawa.

I capelli di un biondo  pagliericcio, sciatto, incorniciavano perfettamente pettinati un volto dai tratti particolari. Gli occhi verdi erano ben piantati dentro al corpo che stava esaminando,visibili nonostante la mascherina e gli occhiali protettivi trasparenti.

Urie era convinto che non stesse bene di cervello.

Lo spiò per diversi minuti da dietro il vetro che separava l’ufficio dalla sala autopsie, chiedendosi perché stesse già operando a quell’ora, prima di scuotere il capo, entrando risoluto. «Hai ricevuto la mia email?» gli domandò secco, mettendosi di fronte a lui mantenendo però una distanza di sicurezza per evitare qualsiasi schizzo. Lo fece col solito tono sfrontato, risparmiandosi i convenevoli.

Anche l’altro non sembrava troppo in vena di giri di parole. Sollevò appena lo sguardo su di lui, tenendo sempre le mani in quello che poteva essere il busto di un ghoul maschio come di un uomo di mezza età. Era difficile dirlo, in quel momento «Quella in cui chiedevi con la solita eloquenza un riesame su sei -anzi sette- casi?»

Urie lo guardò male «Non credo di averti mandato molte altre email negli ultimi giorni. Facciamo presto, niente giochetti oggi. Ho un mucchio di cose da fare.»

Non doveva dirlo.

«Oh, sei di fretta? Ma che peccato.» Nonostante la mascherina, Urie poteva benissimo immaginare il sorrisetto che gli si era dipinto sulle labbra dell’anatomopatologo. Si era fregato da solo, aveva dato un pretesto all’altro per diventare molesto «Anche io sono stato molto occupato, sai? Avevo di meglio da fare che scartabellare su vecchie autopsie e fascicoli corrosi. O litigare con l’ambasciata spagnola.» con una mano andò ad afferrare un seghetto, procedendo alla rimozione del cuore, mentre portava avanti il discorso con tono leggero, quasi mellifluo «Poi, come puoi vedere da te, il mio amico Shinra ha catalizzato tutta la mia attenzione» puntò nuovamente le iridi smeraldine in quelle scure dell’investigatore, facendo un cenno al corpo sul tavolo «Quindi credo proprio che ora finirò con lui prima di – spoiler alert-  dirti cosa ho trovato. Perché qualcosa l’ho trovato. Puoi accomodarti su quello sgabello, ho praticamente appena rimosso lo sterno e devo anche aprirgli il cranio.»

«Aizawa, ascoltami-»

«Si tratta di un caso della squadra Hirako.» lo informò sottile Ivak, senza dar segno di volergli dare la minima attenzione «Mi piacciono, loro. Tra l’altro, Takeomi mi ha portato il caffè questa mattina, sai? Che gentile. Non come te.»

Quello era un colpo basso anche per Aizawa. Urie lo guardò come avrebbe guardato una pulce da schiacciare, prima di avanzare un passo verso il tavolo.

«Puoi dirmi a che ora stacchi il turno oggi?» domandò con tono sottile, irritato «Così posso venire ad incontrare un dottore serio, che sa fare il suo lavoro.» Poteva dire molte cose di lui, ma lì dentro, Ivak era forse il migliore. Aveva occhio e notevoli conoscenze mediche, unite a una buona cultura legale. Aveva sempre la risposta pronta ed era irritante, ma era anche quello meno inquadrato. Sapeva collaborare bene alle indagini. Nonostante questo, Urie ricordava ancora bene lo strazio del giorno precedente e parlare di Takeomi non era stata la mossa migliore. Preferiva ripassare dopo l’incontro con Mina. «La mia situazione è già di per sé delicata. Non mi va di aggiungerci anche le stronzate di uno scienziato pazzo.»

«Staccare?» Aizawa lo guardò sentitamente confuso «Che vuol dire? Quando non c’è un cadavere sopra, questo tavolo di metallo è praticamente il mio letto.»

Non se la sarebbe cavata.

Quasi per inerzia, Urie andò a sedersi sullo sgabello prima indicato, prendendo le cuffie dalla tasca del trench. Non riuscì però ad infilarle, perché l’altro parlò nuovamente.

«Posso sapere cosa hai fatto a Sasaki per farti dare un caso così del cazzo?» chiese, senza nemmeno provare  a mascherare una punta di sano divertimento. Era risaputo che Urie era bravo, non a caso Matsuri gli aveva messo gli occhi sopra da tempo. Era una piccola, giovane promessa, cosa poteva mai aver combinato per avere un caso senza sbocchi? «Perché sai, mi sono preoccupato. Se è diventato vendicativo io sono fottuto, con tutte le cioccolate calde che gli ho fatto bere.»

Il bello dei patologi era che sapevano sempre tutto. Il loro laboratorio collegava un po’ tutti gli altri, perché non  era loro compito lavorare solo alle indagini, ma anche estrarre i kakuhko per  creare le quique. Prima o poi, quindi, ogni investigatore passava di lì. In più erano in ottimi rapporti con il laboratorio analisi, collocato nel piano superiore a quello interrato in cui si trovavano. Ancor più materiale.

Aizawa sapeva che Sasaki era un ghoul e sicuramente sapeva molto di più. Nonostante ciò, gli offriva sempre una cioccolata in tazza ogni volta che lo vedeva e Haise era troppo buono per declinare. Passava quindi la notte piegato sul water a vomitare, per la gioia dei coinquilini.

«Io non ho fatto niente. Ha solo preso la palla al balzo con l’arrivo del nuovo membro dei Quinx e ha scaricato a noi due la patata bollente che nemmeno il classe speciale Ui ha voluto.»

«Un nuovo volto nello spettacolo dei fenomeni da baraccone del ccg. Senza offesa, siete tanti piccoli prodigi della medicina.» con un fegato in mano e l’aria poco professionale, Aizawa si voltò a guardarlo «Mi pare sia Masa, no?» Ripose l’organo in un piccolo contenitore di acciaio, prima di riprendere il discorso «Un rinkakou davvero vistoso. L’ho estratto io dal ghoul che ha deciso di prestarcelo senza consenso. Mi mangio ancora le mani per non aver assistito al trapianto affiancando Shiba, ma purtroppo le persone non smettono mai di morire. Come ti trovi con lei? Ora sono curioso. Ho sentito che siete partner.»

Ovviamente sapeva già tutto, Urie si diede dello stupido per non essersi preparato un discorso prima. Poi diede dello stupido ad Aizawa per tutte quelle domande retoriche delle quali, almeno in buona parte, conosceva già le risposte.

«Per ora non ho niente da dire. Mi sembra strana, ma non è diversa dal resto degli stupidi che vivono in quella casa. Ieri abbiamo letto tutta la documentazione del caso Embalmer e almeno sembra saper fare il suo lavoro. Nonostante questo dovrebbe parlare meno.»

Il dottore ridacchiò malevolo, scuotendo le spalle mentre ficcava entrambe nel mani nel torso del ghoul, estraendo un pezzo di intestino «Beh, mi hanno detto che come partner è molto brava. Se capisci cosa intendo, Oreo

Tralasciando la solita distorsione del suo nome, Urie lo guardò «No, non capisco.»

Ivak sbuffò, incredulo di fronte a tanta ingenuità «Tralasciando che è andata a letto anche con Ito, si è fatta una certa reputazione.» la voce, ora spogliata di qualsivoglia traccia di sarcasmo, suonò incredibilmente seria e schietta «C’è chi dice che si sia fatta anche il buon vecchio Take, ma lui ha negato. Per quel che ne so, le piacciono particolarmente gli agenti, ma è solo una diceria. Ci sono diverse persone che però millantano l’essersela ripassata.»

Urie non trovò niente da dire, in merito. Era un fiero sostenitore della legge per la quale la vita privata di un agente rimaneva tale, se non inficiava sul lavoro. Per ciò che lo riguardava, poteva farsi sbattere da Arima in persona, se continuava a lavorare bene.

«Magari ti ci trovi in affinità anche tu. Non ti farebbe male, Oreo

Con tutta la freddezza che poté soffiare fuori, Kuki rilanciò al volo quell’insinuazione «Con Masa? »

«No, con Take.»

Come risposta, Urie si alzò dallo sgabello, stizzito, ponderando di tirarglielo addosso prima di lasciare la stanza.

«Ti sei offeso? E pensare che stavo per dirti che non ti facevo un tipo interessato alle donne. Come Sasaki, insomma.» si chinò sul corpo «Cazzo, si è rotto il canale terminale dell’intestino crasso. Cazzo. Proprio su un bikakou eh? Dovrò togliere la merda dall’organo predatorio se voglio estrarlo. Comunque! Se vuoi un modesto parere, fama o non fama, un pensierino su di lei me lo farei. Sarà anche più svalvolata di una molla, ma è simpatica e magari ti insegna come relazionarti con le persone. Sai, Ito mi ha raccontato che mentre loro-»

«Cos’altro sai di lei?» a quel punto tanto valeva conoscere ogni dettaglio che il non fare cameratismo aveva nascosto a Urie per tutto quel tempo. Sapeva che non gli conveniva, che si sarebbe lasciato influenzare come un fesso, ma non sapeva niente di lei e voleva avere un’idea di chi avrebbe dovuto parargli il culo.

Aizawa era una fonte preziosa di informazioni.

«Onestamente, quando ho iniziato a lavorare qui, era una persona completamente diversa. Poi, va beh, l’Anteiku ha cambiato tutti coloro che hanno partecipato alla missione di eliminazione del Gufo.» Il giovane investigatore infilò le mani nelle tasche del trench, ascoltandolo attentamente quelle informazioni «Insomma, prendi per esempio Akira Mado, prima era Robotcop, ora è la mamma di tutti. Comunque, Masa è cambiata moltissimo. Diavolo, sembrava passata in un frullatore, i primi tempi. Più schizzata di Sasaki contro il Serpente. Però ci credo che possa succedere, quando vedi tutta la tua squadra morire per permetterti di accoppare un class S e riportare la pelle a casa.»

La storia di Aiko Masa era diventata abbastanza famosa, ai tempi. Un gruppo distaccato della squadra S1 che stava cercando Amon Koutaro l’aveva trovata seduta a terra, con una quique in mano e lo sguardo piantato sul corpo mutilato del suo caposquadra. Il mistero di come fosse sopravvissuta era diventato motivo di scambi di opinioni, soprattutto perché c’erano delle storie messe in giro da chissà chi. Ad esempio, il fatto che lei stesse dicendo a cantilena una parola senza senso o che la sua quique, nonostante lo scontro, fosse immacolata. Anche Urie aveva sentito quelle storie, etichettandole come fantasie in fretta. Era facile finire nel mirino dei colleghi, quando finiva una missione di quella portata, poiché sorgevano eroi con la stessa velocità con cui crollavano poveracci. Era una bilancia.

«Dovresti parlarne con Ito» proseguì il medico, togliendosi i guanti e la mascherina, per poi sollevare gli occhiali protettivi sopra al capo. Andò verso la macchinetta del caffè, afferrando la sua solita tazza «Tra una scopata e l’altra parlano quei due. Lui penso sia una delle poche persone che si fidi davvero di lei. Chissà che strane perversioni ha a letto una così. Non so tipo mangiare i capelli o bere urina.»

«Aizawa…»

«Il punto è che è strana. Come se ora la sua allegria fosse finta.»

L’aveva notato, Kuki, nelle ore passate a scartabellare fascicoli su fascicoli, come fosse sempre malinconica. Triste. «Sai altro?»

«Ho sentito dire che lei e Noriko hanno avuto un bel po’ di problemi. Certo, se fai la psichiatra qui devi aspettartelo.» sedendosi alla sedia di fronte alla sua scrivania, il medico si guardò bene dall’offrire il suo caffè riscaldato anche all’altro «Pensa che pare si siano anche messe le mani addosso, una volta. Se cerchi ccg catfight su youtube potresti trovarci un video, ne parlavano tutti, anche ai piani alti. Credo che però, nonostante siano state richiamate entrambe, Noriko abbia avuto molti più problemi della tua partner. Insomma, se non sono pazzi, qui non ci piacciono. Prendi Suzuya per esempio, rispetto a due anni fa ora sembra normale, ma mette comunque i brividi. E il tuo amico dei Quinx con la benda sull’occhio, ecco. Non so come abbiano fatto a passare i test attitudinali, questi qua. Vuoi vedere una cosa fighissima? Questo è un pancreas…» Sorvolando sul fatto che stava parlando di Mutsuki in modo non esattamente carino –e Urie non ci trovava niente di strano in lui, era forse il solo Quinx che avrebbe salvato da un camioncino diretto in un ospedale psichiatrico- Kuki prese un bel respiro. Guardò l’altro che teneva in mano uno di quei contenitori con dentro gli organi. «Non ti fa strano pensare che una cosa così, tu ce l’hai nella pancia in questo momento?»

«Io ora vado. Ripasso dopo per le cartelle sui casi che ti ho chiesto. Metti per iscritto quello che hai scoperto sul mio caso o passerai tu i guai, questa volta.»

Il medico ridacchiò saccente «Che fai, mi mandi Sasaki? Io gli do da mangiare, è il mio cucciolo.»

Scuotendo il capo, l’investigatore si avviò all’uscita.

Venne però trattenuto.

«Senti, Oreo» alzandosi dalla sedia, Ivak lo guardò. Sembrava di nuovo serio, avrebbe dovuto fare qualcosa per lo sbalzo di umore prima o poi «Te lo dico da quasi amico, ok? Non ti affezionare troppo a Masa. Tu non fai molto gioco di squadra, ma lei è un’individualista su tutta la linea. Per esperienza, una persona così non arriva alla pensione. Ancora c’è chi parla dello strano modo in cui è morto il suo primo partner nella squadra Hirako, Shizo Orihara

L’altro si sorprese, ma decise di non indagare oltre. Aprì la porta «Sembra quasi che ti importi qualcosa di me.»

«Certo che mi importa, sei la mia marca di biscotti preferita.» Si scambiarono un cenno di saluto e Aizawa lo guardò allontanarsi, fino agli ascensori. Portò una mano in tasca, sorseggiando il caffè e tenendolo d’occhio, fino a che non fu sparito alla sua vista. Poi tornò al lavoro.

«Che bel casino, Kuki Urie.»

 

 

 

 

Al contrario del collega, Aiko si era svegliata con tutta la calma del mondo.

Aveva preso tempo per fare quella chiamata e prendere un appuntamento dall’esperto di tecniche di conservazione dei corpi. L’aveva poi fatta arrotolata nel suo piumone rosso scuro, cercando riparo in esso dal gelo che la voce di quell’uomo sprigionava.

Solo verso le undici si era alzata e aveva fatto una doccia, provando a contattare Urie che sembrava disperso nel nulla. Poco male, se voleva lavorare da solo, le faceva un piacere.

Per prima cosa, contattò Masami per avere il suo taccuino, sicura di trovarci dentro molte annotazioni sull’ultima vittima dell’Embalmer e sulla scena del crimine che lui e il suo partner avevano analizzato. Mentre aspettava gli incartamenti del medico legale, decise di concentrarsi sul caso più fresco.

A metà del lavoro di stesura di tutti i nominativi delle persone coinvolte nelle indagini che potevano avere dei dettagli su Reiko Mashima, ricevette una chiamata da Ito. Nemmeno un’ora dopo se lo ritrovò alla porta, con degli onigiri al salmone cotto fatti da lui stesso e gli appunti di Masami sotto braccio, volenteroso di darle una mano nonostante quello fosse il suo giorno libero. Alla fine, dopo aver mangiato un’intera confezione da diciotto mochi, riuscirono a mettere in fila tutti i dettagli del caso.

Avevano riempito almeno una decina di fogli con i nomi di tutti coloro che potevano essere utili alle indagini e poi, insieme, avevano iniziato a fare telefonate per avere appuntamenti. Avevano contattato il poliziotto che era accorso alla chiamata e che aveva successivamente avvertito il ccg, il passante che aveva avuto la sfortuna di sedersi accanto al corpo imbalsamato e anche una vicina di casa che si era accorta del suicidio della signora Mashima a causa del forte odore di decomposizione che filtrava attraverso le sottili pareti che dividevano i due appartamenti.

Avevano iniziato proprio da lì, rompendo i sigilli ed entrando nella casa che aveva visto crescere la povera Reiko. La casa era stata sistemata prima del suicidio e un pezzo della corda che aveva racchiuso il cappio e il collo della povera donna pendeva ancora da una trave. «Non hanno nemmeno raccolto la sedia» le fece notare Kuramoto, indicando con un cenno l’oggetto riverso a terra. Masa si guardò attorno storcendo il naso dall’olfatto sensibile disgustata, prima di chiedergli di guardarsi attorno e vedere se potevano trovare qualcosa.

«Questo posto puzza ancora di decomposizione» rifletté Aiko, prima di infilarsi nella stanza di Reiko silenziosamente, cercando di essere rispettosa verso quell’anima prematuramente spirata, speranzosa di trovare un diario o qualsiasi cosa potesse essere loro utile per risalire agli ultimi giorni di vita della ragazza. Chi le aveva fatto questo? Come l’aveva avvicinata? Dove l’aveva vista? Perché l’aveva scelta?

Quelle erano le domande che dovevano trovare una risposta, se volevano arrivare in fondo al caso. Rovistò fra i cassetti, cercò un cellulare e alla fine forzò la password del laptop che trovò sulla scrivania. Dentro trovò solo fotografie di feste e campeggi, qualche tesina scolastica e serie tv nella cartella dei download. Come ogni altra ragazza adolescente di quell’età. Aprì quindi il motore di ricerca, controllando la cronologia e qualcosa le balzò agli occhi subito.

Come si nutrono i ghoul senza uccidere?

Ristoranti per ghoul segreti a Tokyo.

Come posso dire ai miei amici che sono un ghoul?

Quasi tutte queste ricerche rimandavano a un singolo forum, che Masa si sbrigò ad annotare sull’agenda, invisibile alla ricerca indiretta. Un forum oscurato per ghoul.

«Cosa diavolo…

«Aiko! » Quasi spaventata da quell’urlo, la mora si alzò di scatto dalla scrivania. Chiuse il portatile, portandolo con sé e raggiungendo Ito. Lui la aspettava in cucina, con in mano una pentola chiusa maleodorante e un’espressione palese sul viso. «..Ho seguito l’odore della decomposizione fino alla fonte.»

Masa scosse il capo «Non c’è bisogno che lo apri» gli disse, sperando che non lo facesse «La nostra vittima era un ghoul, quindi so cosa c’è lì dentro. Come hanno fatto Hairu e Ui a non accorgersene?!»

«Magari quando sono state qui, non puzzava ancora così tanto da risaltare rispetto al profumino lasciato dalla padrona di casa. Ad ogni modo, questo cambia tutto.»  Kuramoto fece qualche passo verso di lei, tenendo il macabro rinvenimento del frigo fra le mani «Abbiamo sempre pensato che fossero attacchi di un ghoul agli esseri umani per nurtrirsi…. Ma se lo fa anche ai suoi simili, allora chi stiamo cercando?»

«Una kakuja? Ciò lo renderebbe ancora più pericoloso.»  Masa gli mostrò il portatile «Era iscritta ad un forum di ghoul. Se guardiamo nei mp, magari troviamo un contatto fra il nostro assassino e la sua vittima.»

«Ottima idea» ne convenne il biondo «Prima, però, devi vedere anche tu. Questo è il tuo caso non posso beccarmi questo schifo solo io.»

«Kuramoto non provarci!»

Ogni lamentela le morì sulle labbra. Dentro alla pentola, avvolta da una melmetta fetida a causa dei liquidi della decomposizione, c’era quella che una volta doveva essere una spalla umana con una porzione di scapola. L’odore arrivò al naso della giovane agente amplificato di cinque e sei volte rispetto a come doveva percepirlo Ito, che comunque faticava a reggere quella pentola, trattenendo l’impulso di vomitare.

«Disgustoso, eh?»

«Torniamo allo cheteau. Me la paghi.»

 

 

 

 

Dopo aver passato quaranta minuti nella centrale di polizia di Meguro a parlare con un agente di polizia per niente collaborativo e restio a dare informazioni troppo utili – aveva un chiaro odio per il ccg che aveva fatto suo il caso Mashima senza dar riconoscimenti a lui che, a detta sua, aveva messo in sicurezza la scena del crimine dalla quale era stato poi allontanato in modo sgarbato da un uomo con la faccia e i capelli da ragazza. Che il classe speciale Ui non ci andasse alla leggera era risaputo, ma cosa si poteva pretendere per aver tirato un nastro giallo attorno a un vagone della metro?

«Abbiamo comunque fatto una scoperta determinante, oggi. Nonostante non siamo riusciti a parlare con il ragazzo che ha trovato il corpo e nonostante quel grasso agente ha fatto lo stronzo.» Masa tamburellò le dita sul portatile della settima vittima, che teneva appoggiato alle cosce avvolte da un paio di pantaloni neri aderenti «Grazie per l’aiuto. Mi hai scarrozzato in giro tutto il giorno.»

Il biondino sorrise, accostandosi al marciapiede per farla scendere «Non c’è problema, mi ha fatto piacere passare del tempo con te ed essere utile. Si sente la tua mancanza in squadra.»

Aiko ridacchiò «Non c’è più nessuno che bisticcia con Take, eh?»

«Per quello ci sono sempre io.»

Si sorrisero, poi Aiko si sporse per lasciargli un bacio sulla guancia, aprendo la portiera subito dopo «Grazie per gli onigiri. Erano deliziosi.»

«Ricordati che sono un uomo da sposare, Masa

La morettina scese dall’auto, tenendo sotto mano ciò che avevano raccolto e la sua valigetta,  poi salutò Ito mentre questi faceva manovra e si allontanava. Lo chateau era immerso nel silenzio quando entrò. La sola presenza era una figura esile, seduta sotto al piumino, nell’unico centimetro libero che i fascicoli del caso Embalmer avevano lasciato libero, con un mano un plico di fogli inconsistente e una tazza di the.

Si salutarono mentre Masa lasciava il suo trench sull’appendiabiti, parcheggiando anche la valigetta del quique al suo posto, nello scomparto a lei dedicato con tanto amore e precisione da Haise. Una volta messa in sicurezza Inazami, libera dagli anfibi che le avevano letteralmente ucciso i piedi, andò verso il tavolino.

«Giornata libera?» domandò con un sorriso al collega, che ricambiò, appoggiando la tazza e un foglio per dedicarle attenzione.

«Non mi sento molto bene, oggi.» le rispose, con naturalezza, sottolineando il perché di quel pallore sul viso «Così sto facendo del lavoro a casa.»

Aiko lo guardò, prima di alzare di poco il mento, come per odorare l’aria. A quel punto le labbra si incurvarono in un piccolo sorrisetto «Capisco» disse quindi a Tooru «Anche io ho qualche problema in quel periodo del mese.»

Accese il portatile di Reiko Mashima, collegandolo al wifi della casa, non guardando verso Mutsuki per paura di averlo infastidito. Nonostante ciò, mentre digitava veloce sul laptop rosa, non riuscì a non essere come al solito invadente. Non lo faceva apposta, semplicemente le parole uscivano incontrollate.

«Dalla prima volta che ti ho visto, mi sono chiesta una cosa» evitò comunque il contatto visivo per non mettere l’altro a disagio «Quale trauma può aver portato una ragazza così bella a voler passare per uno stupido uomo?»

A quel punto, solo a quel punto, spiò la reazione di Tooru con la coda dell’occhio. Il tono che aveva usato era stato volutamente leggero, amichevole, ma loro non erano amici. Erano a mala pena conoscenti e Masa viveva lì da poco più di quarantotto ore.

Il volto del ragazzo era abbassato, nascosto dalla benda che portava sull’occhio destro e da qualche ciuffo dei capelli verdi come l’erba.

«Mi dispiace se io ho-»

«Diciamo che mi sono sempre sentito così.» rispose quindi, con un sorriso un po’ pallido sul viso, facendola voltare completamente verso di lui «Non sono molti ad accorgersene, sei brava.»

Aiko si appoggiò un dito al naso, premendolo «Sentirei una singola goccia di sangue da cinquanta metri di distanza, ora come ora. Mi sento uno squalo, Spielberg dovrebbe fare un film su di me.» incrociò meglio le gambe sotto al piumino, prima di guardare ora interessata da quella confessione quasi spontanea l’altro. Avrebbe continuato a riferirsi a Mutsuki come ad un uomo, anche se ora aveva la conferma che non lo era «E sei quindi sei un uomo gay, no?» proseguì in quella fiera dell’invadenza, riuscendo però a far arrossire e quindi prendere colore alle guance dell’interlocutore «Ti piacciono i tipi alla Sasaki, per esempio, no? O il futuro serial killer Urie?»

«N-no loro sono solo colleghi! » insistette Tooru, muovendo le mani di fronte al viso come a voler scacciare quel pensiero. Non la faceva fessa, però. Aiko aveva visto il modo in cui guardava Haise e quello con cui si rivolgeva a Kuki, ma doveva ammettere che l’attaccamento al classe speciale sembrava molto più palese.

Come dargli torto, Haise era bellissimo.

«Hai mai baciato una ragazza?»

«Tu?»

La domanda le tornò indietro come un boomerang, facendola ridacchiare piano. Qualcosa, però, cambiò. Masa smise di sorridere, guardando le proprie mani appoggiate sulla tastiera illuminata del portati. Le strinse l’una nell’altra, abbassando lentamente il capo, improvvisamente malinconica.

Tooru notò il cambiamento repentino nel suo atteggiamento, come se qualcosa l’avesse ferita. A quel punto gli venne voglia di dirle che non importava, che poteva non dirlo, ma Aiko lo precedette.

«In realtà, sì. Più di una volta, ma sempre ad un’unica ragazza. La più bella che io abbia mai visto in vita mia.»

C’era una sfumatura dolce nel tono di Masa, ma gli occhi, che vennero ripuntati in quelli grandi di Tooru, tradivano invece una certa inquietudine.

«Cosa è successo?»

Il labbro di Aiko tremò impercettibilmente, mentre forzava una risata fasulla, tornando a voltarsi avanti, cercando rifugio da quegli occhi che sembravano aver capito tutto. Ma non poteva aver capito niente.

Almeno, così credette lei.

«Una tragedia.» le rispose comunque, mentre la porta d’ingresso che si apriva troncava definitivamente quel discorso che era caduto sempre di più di tono «Bentornato, Urie! Il telefono l’hai perso?» gli andò incontro, tenendo fra le mani qualche documento che aveva fotocopiato anche per lui «Che espressione determinata» gli disse, colpendolo con la cartellina sul braccio «Con quella camminata e quella faccia, mi aspetto di sentir partire le Piogge di Castamere da un momento all’altro. Chi mi manda i suoi saluti?»

«Aizawa

«Ah. Potenzialmente mortale, in effetti.» gli sorrise, notando però che lui sembrava meno partecipe del giorno precedente. Non che si fosse mai dimostrato allegro o amichevole, anzi. Aveva perennemente sul viso quell’espressione da completo distacco, come se gli pesasse condividere il suo ossigeno con gli altri. In quel momento sembrava anche seccato dalla presenza di Aiko attorno a lui «Ho trovato qualcosa di interessante.»

«Anche io» la interruppe, passandole a sua volta un plico di fogli che recavano l’intestazione del coroner «Secondo Aizawa-»

«Alcune vittime sono ghoul? Lo so già.»

Masa si godette tutto lo stupore che gli occhietti sottili di Urie riuscirono a trasmettere prima che esso scemasse in fastidio «L’hai chiamato?»

«No, ho trovato un sacco di cose buone nel frigo di Reiko Mashima.» gli fece cenno di seguirla, tornando a sedersi davanti al computer. Lui le si mise dietro, sul divano, ignorando Mutsuki che lo guardò con la coda dell’occhio, tristemente abituato a quel modo di fare «Ho trovato questo forum nel suo computer. Se lo spulcio per bene, magari mi ricollego a un profilo che può appartenere al nostro soggetto. Forse è così che si è messo in contatto con lei: un forum illegale di ghoul

«Ha senso» acconsentì secco e infastidito l’altro, prima di realizzare che gli mancava un tassello «Sei andata a casa dell’ultima vittima?»

«Ho pensato semplicemente che studiare tutte le prove che potevo sul caso più fresco avrebbe dato dei risultati. Infatti. » gli sorrise soddisfatta, «La polizia non mi ha dato nessuna notizia, ma a casa dei Mashima ho trovato resti umani, questo portatile e anche il telefono della madre. Analizzando anche quello forse-»

«Ti ha portato Shirazu in moto o Sasaki ti ha lasciato la macchina?» indagò ancor più a fondo Urie.

Lei alzò un sopracciglio, iniziando a sentirsi un po’ indispettita «No.» rispose a tono, sentendosi sotto interrogatorio. Cosa voleva dimostrare con quell’atteggiamento? «Mi ha accompagnata Kuramoto Ito

Il partner irrigidì la mascella senza nemmeno provare a mascherare il fastidio «Senti, non so come funzionava nella tua vecchia squadra. Qui però non vogliamo che altri investigatori ficcanasino nei nostri affari, ok? Non voglio che Ito o Hirako lavorino al mio caso.»

Masa non si fece mettere i piedi in testa. Si voltò, sporgendosi verso di lui. Appoggiò una mano al divano, accanto al fianco del giovane e gli piantò il viso a un centimetro dal suo, determinata «Per prima cosa, dovresti calmarti» gli soffiò sul naso, mentre Mutsuki spostava gli occhi da uno all’altro «Una persona che si chiama Cookie, come i biscotti americani, dovrebbe comprendere che non fa molta paura.»

«Ragazzi, calmatevi» provò il ragazzo in disparte, non ottenendo l’attenzione degli altri due.

«Inoltre» aggiunse Masa, tornando a sedersi sui talloni, in ginocchio, sorridendo falsamente serena «Tu te ne sei andato all’alba senza svegliarmi, non mi hai risposto al telefono e potresti aver fatto qualsiasi cosa alle mie spalle. Quindi stai molto, molto tranquillo, Cookie. Perché io non posso spostarmi col pensiero e odio la metropolitana. Quindi se una persona mi offre un passaggio e una mano non solo accetto – perché non sono una pazza come te- ma dico anche grazie. Detto questo, torno a lavorare sul computer.» prese una bustina con dentro un telefono e gliela lanciò sulle gambe, dandogli subito dopo le spalle «Tu vedi di fare la tua parte. Io faccio schifo nel gioco di squadra, ma tu sei quasi ridicolo.»

Urie si sentì paralizzato sul posto. La guardò tornare al lavoro come se nulla fosse, prima di realizzare quanto quella stupida l’avesse umiliato. Di fronte a Mutsuki, per giunta. Non si azzardò a guardare il ragazzo in questione. Si alzò, deciso a finire quel lavoro da un’altra parte e si avviò su per le scale.

Aiko sorrise leggermente, in modo appena accennato, senza staccare gli occhi dalla pagina web «Non gli risponde mai nessuno, vero?»

Tooru tornò a guardarla, chiedendosi fino a che punto fosse stato saggio da parte sua trattare così l’altro «In realtà Sasaki lo ha preso anche a schiaffi…»

«Meglio. Se proprio dobbiamo trattarci da schifo, non voglio essere la sua prima grande delusione.»

 

Continua.

 

 

 

---------N.d.A--------

 

Ringrazio come ogni volta chi legge e, in modo particolare, chi spende anche solo due secondi della sua giornata a recensirmi.

È bello scrivere con la consapevolezza che qualcuno, in qualche modo, apprezza.

 

Al prossimo capitolo!

Un abbraccio

C.L.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Il caso Embalmer - 4 di 5 ***


saboteur

 

 

僕は孤独さ  No Signal

Parte prima: il caso Embalmer

 

 

 

 

 

Masa Aiko, a nove anni, era una bambina dalle lunghe trecce nere e un sorrisetto impertinente a storcerle costantemente le labbra. Possedeva già da allora paio di occhi irriverenti come quelli di un gatto, che iniziavano ad affacciarsi sul mondo con una curiosità quasi molesta.

Per questo non riusciva a scollare lo sguardo dall’uomo che stava parlando con la signorina Yume, facendolo scivolare avidamente lungo il cappotto argentato fino alla valigetta metallica che teneva stretta nel pugno. Non sembrava di per sé particolarmente imponente o minaccioso, ma aveva qualcosa, emanava una sorta di aurea, che lo rendeva quantomeno altero.

«Sembra un poliziotto» era stato il commento apatico di Kuma Satoshi, più interessato a spiare sotto il coperchio del suo bento per verificare cosa sua madre gli avesse procurato per pranzo, piuttosto che curarsi dell’estraneo.

«Sarà venuto per la settimana della carriera» rilanciò pratica come sempre Umi Midori, che di quel progetto s’era appassionata a tal punto da decidere sin da quell’età la professione che avrebbe intrapreso, ovvero quella del medico. Aiko non era interessata a sentire parlare altri adulti. Era una bambina ambiziosa, audace, molto diversa dall’adulta che sarebbe diventata. Aveva deciso che avrebbe fatto la ballerina e viaggiato per il mondo, allontanandosi quanto più velocemente possibile da quella città. E dalla sua famiglia, che non era in grado di darle il calore che una bambina di quell’età si aspettava.

La maestra portò il silenzio riprendendo proprio lei  e guadagnandosi quindi una linguaccia che fece ridacchiare i compagni di classe. Non si scompose, la giovane donna, guardandola torta «Masa, smettila o ti caccio fuori.» le disse seria, ma la moretta non si fece di certo spaventare.

«Come sempre!» esclamò strappando qualche altra risata e un’ennesima sgridata, mentre l’uomo misterioso sorrideva divertito da quello scambio di battute fra l’istruttrice al a piccola.

«Questo signore è venuto a parlarvi di una cosa molto seria» spiegò ai suoi studenti, ignorando Aiko e congiungendo le mani sul grembo «Ascoltatelo con attenzione.»

Gli cedette quindi la parola, scostandosi di lato. Lui appoggiò la preziosa valigetta sulla cattedra, prima di affondare entrambe le mani nelle tasche del trench di un vibrante argento. Li spiò tutti uno per uno attraverso le iridi strette come quelle di un rettile, tentando poi un nuovo sorriso sicuro.

«Il mio nome è Urie e sono un agente di classe speciale presso la commissione anti-ghoul di Tokyo.»

 

Ogni giorno Masa prendeva da sola la strada che dalla scuola portava fino alla palestra nella quale, poi, frequentava le sue lezioni di danza classica. Ogni giorno, seppur non fossero quelli i patti che aveva con i loro genitori, Aiko sosteneva sempre che suo fratello Shin la accompagnava per quel breve tragitto.

Non era vero, ovviamente. Alla sua età, Shin preferiva passare del tempo con gli amici alla spasmodica ricerca di una ragazza che a prendersi cura della sorellina. Non che Aiko se ne lamentasse. Passava il suo tempo con il walkman accesso e le cuffie sulle orecchie, cercando di ricaricare le pile al limite sfregandole contro alla tuta. Quelle strade erano conosciute, i volti famigliari. Seppur di inverno facesse notte prima, rendendo quindi i vicoli oscuri più spaventosi, lei zampettava con passo sicuro fino alla meta, continuando a coprire il fratello di nove anni più grande, cercando così di entrare nelle sue grazie.  Allora non capiva che Shin non era irresponsabile o menefreghista nei suoi confronti, ma era solo un ragazzo. Cercava di attirare la sua attenzione e farsi vezzeggiare almeno da lui, visto che vedeva loro padre a malapena a causa del suo lavoro salariato.

Quella sera qualcosa era diverso. Aiko l’aveva percepito, lasciando il cancello della scuola alla volta del viale che l’avrebbe condotta alla palestra. Aveva avvertito un brivido freddo percorrerle la schiena per tutta la lunghezza della colonna vertebrale e, anche se non se l’era spiegato, aveva comunque voltato il capo indietro per buttare uno sguardo oltre la spalla. Non aveva visto nessuno, ma si era comunque sentita seguita.  Aveva affrettato il passo, cercando di arrivare alla fine della strada, per sboccare su una via principale, ma non vi era arrivata.

Una mano l’aveva presa per la spalla, spingendola con forza e facendola capitolare sull’asfalto freddo. Aveva battuto la fronte contro il gradino del marciapiede, perdendo per un attimo la vista. Tutto si era fatto offuscato e instabile con rapidità, impedendole di riconoscere inizialmente la figura che troneggiava su di lei.  Era stata sollevata con sorprendente facilità da quella stessa mano che l’aveva spinta e che in quel momento le stringeva la gola. Avverti delle unghie penetrare la sua carne, mentre delle sottili stille di sangue caldo iniziavano a macchiarle la pelle del collo e il colletto bianco della divisa scolastica. Poi, come la stessa intensità di un pugno, un forte odore di profumo femminile le schiaffeggiò il naso.

«Signorina Yume?» chiamò in un singhiozzo disperato, cercando di aggrapparsi con entrambe le mani a quel polso, al fine di sottrarsi alla stretta soffocante. La vista le impedì di mettere bene a fuoco quel viso, ma un paio di orribili occhi dalla sclera nera e l’iride sanguinea la stavano fissato maligni.

«Non mi nutrirei mai con una mia studentessa, attirerei l’attenzione su di me» sibilò quella voce un tempo materna, ma ora pregna di odio represso e rabbia «Ma non ti sopporto più. Ho sempre odiato le bambine impertinenti come te. Non è carino cercare di attirare l’attenzione in quel modo fastidioso!»

Quella fu la prima volta che Aiko si ritrovò di fronte a un ghoul.

Rischiava anche di essere l’ultima.

La presa si intensificò e la bambina venne sollevata di qualche altro centimetro. L’altra mano andò a coprirle la bocca, impedendole di respirare bene. Aiko pensò che la volesse soffocare, ma così non era. Una fitta lancinante le arrivò dal braccio, poco più in alto del gomito. Quella mano servì ad impedirle di gridare nel momento in cui una buona porzione di carne le venne strappata con un morso.

Il dolore fu tale da intorpidirla. Mentre il sangue correva lungo l’arto fino alla mano, gocciolando dalle dita sul terreno freddo, socchiuse gli occhi, sfinita. La stretta soffocante aumentò nuovamente di potenza, rischiando di far cessare l’afflusso di ossigeno al cervello. Sarebbe morta di lì a pochi minuti così, in silenzio, in un fetido vicolo poco illuminato. Non sarebbe diventata nessuno, non sarebbe mai riuscita a guadagnarsi l’amore del fratello o il calore degli applausi su un palco.

Sarebbe morta in quel momento, se non fosse stato per quell’uomo.

Era stato così silenzioso da non essere udito dal mostro e l’aveva trafitto con quella che pareva una spada. La punta sbucò dal centro del petto della maestra, che immediatamente lasciò cadere Aiko a terra.

«Iwa, allontanala!»

La voce autoritaria dell’uomo spezzò il silenzio funereo della notte, mentre un lampo accecante illuminava il buio. Prima ancora che potesse registrarlo, Aiko si era ritrovata fra le braccia di un uomo alto, piazzato, che l’aveva tirata indietro fino a un muro. Un paio di ali di un accecante giallo spuntavano dalle spalle della signorina Yumeil ghoul- che riuscì giusto a sferrare un patetico tentativo di attacco prima di venire decapitata con un movimento fluido di quel silenzioso salvatore.

Mikito Urie.

 

Il gattino di peluche che l’agente le aveva portato durante la sua convalescenza in ospedale la guardava attraverso i vitrei occhi finti, mentre lo stringeva fra le mani.

Il classe speciale Urie si era presentato sulla porta della sua stanza al limitare dell’orario di visita, ma nessuno aveva avuto il cuore di farglielo presente quando l’avevano visto stringere fra le mani quel dono. Le aveva appoggiato la mano sul capo, con un sorriso leggero sul viso stanco, prima di rivolgersi alla madre di Aiko.

«Anche io ho un bambino un po’ più piccolo» aveva rivelato, tornando a ficcare le mani nelle tasche del trench, mentre la signora Masa si perdeva di nuovo in una serie di ringraziamenti sentiti. Aveva punito a dovere il primogenito per l’aver lasciato sola la sorellina, poi aveva richiesto esplicitamente il nome dell’investigatore che aveva salvato la figlia, ma quello aveva preferito presentarsi personalmente a portare un saluto.

«A questa età fanno come vogliono» disse con tono leggero la signora, come per evitare di incolpare Aiko dell’essersi trovata in quella situazione. Lo faceva solo di fronte all’agente e la piccola lo sapeva bene. Non se la sarebbe cavata a buon mercato perché nell’ottica dei suoi genitori, lei non era mai una vittima. Quanto meno, né lei né il marito sapevano che la mattina precedente all’incidente, lo stesso investigatore che ora presenziava nella stanza si era presentato alla scuola  della figlia per comunicare agli studenti e al corpo docenti che un ghoul si aggirava nelle vicinanze e fare qualche domanda. Di bambini ne erano spariti parecchi e il suo intuito l’aveva portato a indagare sulle maestre, anche se non su quella in particolare.

«Mio figlio, per esempio, ha già deciso che da grande farà anche lui l’investigatore. Al giorno d’oggi, i bambini sono decisi.» proseguì Mikito, con tono leggero, tenendo così la conversazione informale.

Il signor Masa aveva ruggito una risata, appoggiandosi con il polso alla mano, mentre lo spiava quasi annoiato e con un cipiglio superiore dalla poltroncina su cui si era accomodato da ore «Lei è fortunato ad avere un figlio così ambizioso, Urie-san. Mia figlia è ancora in quell’età in cui vuole fare la ballerina.»

Aiko aveva abbassato lo sguardo ormai da parecchio sul peluche, stringendolo forte fra le braccia. Si era persa nei suoi pensieri, su quel braccio che avrebbe portato per sempre un’orrenda cicatrice a deturparlo e sul collo, che ancora pulsava mentre le ferite delle unghie del ghoul avevano già iniziato lentamente a guarire. Solo la mano dell’investigatore, di nuovo appoggiata sulla sua testa, la portò ad lo sguardo cerchiato da occhiaie spesse sul quel volto ugualmente emaciato. Lui le porse un cartoncino bianco, un biglietto da visita, con lo sguardo consapevole sull’espressione rassicurante «Se avrai di nuovo bisogno di me, puoi chiamarmi.»

La bambina lo accettò, annuendo ammirata, mentre questi salutava con educazione. Si allontanò  dalla stanza, sempre portando con sé quella buffa valigetta di cui ora Aiko conosceva il contenuto. Tenne quel bigliettino sempre con sé, prima in un astuccio bianco e poi nel portafoglio, ma non chiamò mai quel numero. Non ebbe occasione di farlo quando terminò le scuole e il pensiero di iscriversi all’accademia le attraversò la mente con la stessa intensità di uno sparo nella notte.

Non poté farlo, perché un paio di mesi dopo quell’incontro che le cambiò le vita, quell’investigatore morì. Il suo viso le apparve una sera sullo schermo del televisore e lei, per risposta, versò la pentola che stava portando verso la tavola apparecchiata, subendo le ire della madre che invece, di quell’uomo che aveva definito un portento, non aveva conservato alcun ricordo.

 

 

 

 

Capitolo quattro.

 

La collaborazione con Aiko Masa, nata sotto una cattiva stella e degenerata un quello che poteva essere definito solo come un litigio fra ragazzine aveva toccato l’apice del disagio, per Urie, nel momento in cui si era visto costretto a minacciarla. Per qualche strana motivazione, la donna non sembrava volerlo portare con sé al colloquio con l’esperto in tecniche di conservazione dei cadaveri, un tale Jen Haung che al giovane investigatore non diceva proprio niente.

«Perché vuoi venire ad ogni costo? Posso trascriverti qualche appunto dopo.»

«Vuoi portati Ito o posso seguirla io la mia indagine? Preferisci discuterne con Sasaki

E dire che Urie lo stava facendo proprio su ordine del suo superiore, al quale era arrivata voce del loro screzio e aveva pregato il seconda classe di comportarsi più gentilmente con la sua collega, accompagnandola in automobile invece di costringerla a chiedere a terzi. Come se poi lei non potesse munirsi di un mezzo di trasporto come aveva fatto lui. Il pensiero di lavorare in coppia non lo aveva mai entusiasmato, quindi in un certo senso stava solo rigando dritto facendo ciò che Sasaki chiedeva per riavere il suo posto da caposquadra. Se doveva andare a parlare con vecchi e bavosi professori universitari allora pazienza, l’avrebbe fatto.

Aveva in mente di piegarsi anche di più, se necessario. Matsuri ne era una prova tangibile.  Dall’alto della sua arte manipolativa, Urie si chiedeva quanto avrebbe ancora sopportato.

Masa da parte sua si era comportata in modo strano tutta la mattina, ma quando era arrivati di fronte al lungo viale che li avrebbe condotti dentro la struttura principale dell’università Imperiale del Giappone, aveva iniziato a manifestare qualche strana psicosi che Urie non si era spiegato.

Sembrava che dovesse andare in contro a un qualche demone, pronto a divorare la sua anima da un momento all’altro. Peccato che l’uomo che si erano ritrovati di fronte, seduto dietro una bella scrivania d’altri tempi laccata e molto ordinata, non sembrasse altro che un comune professore universitario, per l’appunto.

Aveva le spalle larghe e sembrava alto per essere cinese, ma non aveva niente di speciale. Solo i capelli molto chiari per l’età che dimostrava, ovvero una trentina di anni. Gli occhi sottili attraversarono Masa da parte a parte quando entrambi presero posto di fronte a lui, inchiodandola contro lo schienale della sedia.

Kuki fece un breve inchino all’uomo mentre si presentava, non guardandolo davvero, troppo intento a controllare che la sua partner non stesse avendo un attacco di panico. L’aveva molestata, per caso?!

Rimasero in religioso silenzio mentre il professore leggeva attentamente il referto del coroner, aggrottando le sopracciglia e stringendo appena gli occhi dietro le lenti degli occhiali da vista. Poi, con uno sbuffo, lasciò cadere il foglio sul ripiano di legno.

«Avrei potuto darvi queste informazioni io stesso, senza attendere i risultati delle analisi» commentò seccato, come se quella perdita di tempo fosse tutta colpa loro. Poi, asettico, unì le mani sotto al mento, sporgendosi leggermente indietro. Urie non si perse il modo in cui Masa, quasi per istinto, si schiacciò contro lo schienale della poltrona «Per lo più si tratta di formalina. Ovviamente, come potrete immaginare voi egregi investigatori, i derivati della forma aldeide sono reperibili in diversi negozi, fra cui quelli che riforniscono i cacciatori. Il metodo di imbalsamazione utilizzato dal vostro killer, in effetti, è molto simile a quello che viene impiegato nella conservazione della selvaggina: i corpi vengono svuotati degli organi, gli occhi sostituiti da sfere di vetro temprato colorate. Il busto viene riempito di segatura dopo aver immerso il corpo nei liquidi battericidi e aver lasciato essiccare il derma, mentre gli orifizi vengono sigillati con il silicone per impedire la fuoriuscita di liquidi. La formaldeide viene iniettata nel sistema circolatorio e in parte di quello linfatico mediante l’utilizzo di un particolare macchinario, ma è un’attrezzatura molto sorpassata quindi dubito che possiate risalire a un compratore recente investigando.»

Urie si sentì un fallito di fronte a quello sguardo profondo e seccato. L’uomo aveva appena detto che tutto ciò che avevano trovato non aveva valore e che potevano anche darsi all’ippica, in pratica «Magari possiamo indagare su qualche altro dettaglio. Per esempio, il metodo utilizzato per prevenire il rigor mortis

«Sarebbe inutile, visto quanto semplice è questa procedura» ora, il professore, gli parve annoiato.  Come se li avesse sopravvalutati. «Basta recidere i tendini, tagliare le palpebre e utilizzare dei cavi di metallo per mantenere rigidi gli arti. Cosa che, fra parentesi, è scritta nel rapporto. Me l’ha portato senza leggerlo, investigatore Urie?»

Il ragazzo ingoiò quella provocazione, prima di voltarsi di nuovo a guardare Masa. Se cercava del sostegno da lei, però, avrebbe dovuto rinunciare in partenza. La partner fissava con insistenza un punto imprecisato del pavimento, vicino al piede della scrivania. Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione e quando lei rimandò il suo sguardo, Urie sentì che stava per scoppiare «Pensi di concentrarti e dare una mano nelle indagini?»

Prima ancora che lei potesse anche solo avanzare una risposta, il professor Huang riprese la parola «Potete fare poco. Al massimo informarvi se ci sono dei luoghi nell’undicesima circoscrizione che vendono grossi stock di formalina.»

«Hai parlato di dettagli così specifici del caso? Kuki inveì contro Masa, che se possibile sbancò ancora di più.

Si mise seduta diritta, allargando il trench sul petto in cerca di aria «Dovevo. Se no come avrebbe fatto il professor Huang ad aiutarci?»

«Non che ci stia aiutando molto, in ogni caso.» Come le è saltato in mente di parlare dell’undicesima senza consultarmi?  pensò amareggiato  «Aizawa ha detto pressappoco le stesse cose.»

«Non è colpa né mia né del professore se i risultati delle analisi sono inconcludenti!»

Nessuno dei due si curò più dell’esperto, che non aveva assolutamente voglia di starli a sentire. Prese a sfogliare con disinteresse i risultati delle autopsie, prima di passare alle foto. Guardò i primi due fascicoli, prima di venire folgorato da un’intuizione.

Prese quindi tutte le cartelle, non considerato dagli agenti, e iniziò a disporre di tutte le fotografie lì contenenti. Quando riuscì a concretizzare quel sentore, li fermò tirando un pugno sulla scrivania. Questa vibrò sotto al colpo e mentre Urie si voltava a guardarlo scocciato, Masa rimaneva pietrificata sul posto. Il professore la guardò negli occhi spalancati dalla paura, prima di prendere un respiro profondo, afferrandosi la radice del naso fra pollice e indice per massaggiarla.

«Se dovete comportarvi come due bambini, potete anche uscire.» fece loro presente, per poi iniziare «Visto però che spero di non rivedervi mai più, penso di aver risolto il vostro caso.» velocemente, prese a disporre le fotografie sotto al loro naso. Erano per lo più dettagli, dei volti e dei corpi, ma quando entrambi compresero il punto, i loro occhi si spalancarono per lo stupore «Ognuna delle vostre vittime ha un segno distintivo unico, che sia esso un difetto o una malformazione.» puntò in dito sulla prima foto, che rappresentava la prima vittima e poi via a via tutti gli altri sino all’ultima «Un naso molto grande con una deviazione importante e visibile del setto, la presenza di molti nei sulla regione facciale, un’eterocromia parziale molto evidente, i risultati di una idrocefalia congenita, la sindrome di Marfan, una grande cicatrice che deturpa il viso da uno zigomo all’altro e agenasina – ovvero nascere con quattro dita invece che cinque- della mano destra.»

Sia Aiko che Kuki si sporsero in avanti analizzando tutte le fotografie, dagli occhi azzurri e marroni del russo fino alla mano malformata di Reiko Mashima. Il solo che avevano notato, eccetto ovviamente il cranio irregolare del piccolo Watabe, era stato il volto sfigurato di Hernandez.

«Cerca di rendere eterno un singolo istante di imperfezione» sussurrò pensierosa la giovane donna, sovrappensiero.

Il signor Huang tornò a sedersi composto con un mezzo sbuffo mal contenuto «Questo sta a voi scoprirlo. Non c’era però un chirurgo plastico fra gli indiziati? Una persona del genere ha sicuramente l’occhio giusto per notare un simile dettaglio. Anche un cieco lo noterebbe, in effetti, ma a quanto pare non gli agenti del ccg. Mi chiedo come facciate a fermare i ghoul…»

«Il dottor Shinya» lo fermò Urie, desideroso di levarsi dalle scatole, prima di iniziare a raccattare le fotografie, che avrebbe poi riordinato una volta a casa. Quella sì che era una buona pista, magari un po’ campata in aria, ma era la cosa più concreta a cui potevano ambire al momento. «Dobbiamo interrogarlo di nuovo. La ringrazio per la collaborazione dottor Huang, buona giornata.»  passò tutta la documentazione alla collega che la ficcò in una tracolla mentre si alzava, avviandosi per prima verso l’uscita dopo un breve inchino al professore. Urie notò che stava lasciando la valigetta con la quinque lì, così prese Inazami e si inchinò a sua volta, seguendola.

La loro permanenza, però, non sembrava terminata.

«Fermati un minuto e chiudi la porta, Aiko-kun

Il tono con cui il dottor Huang lo disse non era carezzevole, tutt’altro. Quello era un ordine bello e buono, che inchiodò la giovane sull’uscio. Non rispose, passò semplicemente la tracolla a Urie, che invece doveva uscire, chiudendo poi la porta di fronte a lui e tagliando così il loro contatto visivo.

Tutto era successo in silenzio e il volto granitico di Masa lo aveva lasciato molto confuso e pensieroso. Quasi preoccupato. Lei aveva paura. Glielo aveva letto nelle iridi gialle, nella mano che gli aveva porto la borsa tremando e nel modo in cui aveva quasi inconsciamente morso il suo labbro inferiore affondandovi i denti troppo forte.

Si accostò alla porta, cercando di sentire qualcosa, ma oltre di essa non provenne nessun suono. Trattenne il respiro nel tentativo di captare una parola o un gesto, ma niente.

Il silenzio insistette.

Quando l’uscio si aprì di nuovo non si ritrovò di fronte Masa, ma il professore. Piantò gli occhi gelidi in quelli di Urie, che non mostrò pentimento dall’essersi fatto scoprire ad origliare. Fece giusto un passo indietro, sfidandolo apertamente a dire qualcosa. Questi però si mise di profilo, facendo passare l’investigatrice che seppur pallida come un cencio, sembrava stare bene.

Lei sfilò accanto all’uomo alto, accostandosi a Urie per riprendere la sua valigetta. Guardò Huang come in cerca di approvazione e lui fece un veloce cenno del capo, guardando poi di nuovo l’altro agente.

«Buon viaggio di ritorno, Urie.»

Quando la porta si richiuse nuovamente, Masa era già in fondo al corridoio.

Fece di tutto per non far sì che il collega si accorgesse di niente durante il viaggio in auto, ma lui aveva notato con che discrezione andava a tenersi il polso destro. Si domandò quanto grande fosse il livido che le aveva fatto venire Huang afferrandola con cattiveria, ma non le chiese niente. Non le disse che lo aveva capito.

Tanto sarebbe sparito da solo grazie al prodigioso modo di guarire dei Quinx.

Era convinto che quelli non fossero affari suoi.

 

 

 

 

Masa aveva sentito parlare della caffetteria nella quale i Quinx solevano radunarsi, ma non era mai entrata al :re prima di quella mattina.

Urie l’aveva portata lì una volta concluso il colloquio con Huang, convinto che farle fare di nuovo colazione avrebbe salvato entrambi dall’impiccio di vederla svenire. Aveva parcheggiato poco lontano dal locale e poi avevano camminato fianco a fianco fino ad esso, in silenzio. Aiko non ci stava nemmeno provando ad avviare una conversazione, ma alla fine quella era la prassi. Nessuno dei due era particolarmente amichevole di prima mattina, quindi si limitarono a sfilare lungo il marciapiede godendo della temperatura mite nonostante fosse fine gennaio. Il sole illuminava la città di Tokyo e baciava i loro visi, rendendo sopportabile il clima invernale.

Una volta entrati nel bar si ritrovano di fronte la figura imponente del signor Yomo, che stava servendo un paio di cappuccini a una coppietta. Urie lo salutò con un cenno, mentre Masa con un pallido sorriso, mentre entrambi prendevano posto ad un tavolino vicino alla modesta vetrata. La mano della mora corse al menù, mentre i suoi occhi si puntavano sulla vetrinetta dei dolci e adocchiavano una torta al cioccolato dall’aspetto delizioso.

«Che posto carino.»

«Sasaki lo adora.»

Ripiombare di nuovo nel silenzio fu semplice. Masa non sembrava dell’umore e Urie un po’ si sentì in colpa per non averle chiesto come stesse dopo quella manciata di minuti da sola con Huang. Aveva smesso di tenersi il polso, certo, ma il viso rimaneva emaciato e stanco. Aveva sottovalutato il fatto che fosse una donna? Forse lo aveva fatto, ma Aiko Masa aveva a disposizione un kagune, uno anche abbastanza portentoso a sentire Aizawa, che poteva utilizzare per levarsi da ogni impiccio. Per questo e per un’altra serie di motivi meno intelligenti non le aveva chiesto nulla. Era un’investigatrice,  era armata. Poteva liberarsi da quella grana senza che Urie si mettesse fra lei e la sua vita privata, quindi insistette nel non parlare della loro esperienza.

«Dovremmo chiedere il trasferimento nell’undicesima per indagare più a fondo su Shinya.» brontolò con tono basso il giovane, attirando l’attenzione della compagna che stava spiando il cellulare. Masa lo fece ricadere nella tasca quando l’altro proseguì «Non so nemmeno a che squadra è stata assegnata.»

«Okada e Miura» rispose prontamente Aiko, passandosi una mano dietro al collo, lasciato scoperto dal taglio corto «Lo so perché la squadra Hirako ha lavorato molto lì, per colpa del Caso Aogiri

Urie assottigliò gli occhi «La tua vecchia squadra aveva in carico di indagare sull’Aogiri

«Lo fanno ancora, come tutte le squadre della S3 di Arima

Quell’informazione doveva essergli in qualche modo sfuggita. Loro, a quanto ne sapeva, non lavoravano al caso Aogiri, nonostante la squadra Mado a cui facevano capo fosse anch’essa sotto le direttive del classe speciale Arima.

«Allora forse dovremmo chiedere anche al tuo vecchio capo se ha qualche informazione .»

Dopo il coinvolgimento di Ito, l’idea di avere anche Take a gironzolare per lo chateau lo disturbava un po’, ma qualsiasi informazione poteva diventare improvvisamente molto preziosa. Si era sentito un inetto di fronte al professor Huang, come se avesse sempre vissuto con un enorme paraocchi. Non si sarebbe fatto cogliere impreparato mai più, ma non solo. Si era sentito in difetto, come se la sua sete di gratificazione fosse più forte della voglia di portare un po’ di pace alla famiglia delle vittime.

Era vero, era così, non poteva negarlo a se stesso.

Non era una brava persona a quei tempi, Kuki Urie, ma aveva comunque una coscienza e chiudere un caso in modo dignitoso sarebbe stato importante.  Parlare con Hirako aveva quindi la precedenza.

Masa però non gli rispose e quando alzò gli occhi su di lei per capire cosa non andasse di nuovo, la collega non lo stava nemmeno calcolando. Fissava con intensità spaventosa la cameriera del :re,  come se in quel viso dolce semi nascosto dai capelli azzurri vedesse qualcosa che solo lei poteva captare.

La cameriera, del resto, non palesò nervosismo. Se mai, curiosità. «Smettila di comportarti come una psicopatica con tutti» la riprese scocciato, prima di sospirare «Scusala, Kirishima. Non so cosa le prende oggi.»

«KirishimaMasa ripeté il nome della ragazza, pesandolo sulla lingua, prima di sorridere sinceramente. Il primo sorriso decente della giornata «Ti chiedo di perdonarmi!»

«Non importa» fu la risposta posata di Touka, che prese il blocchetto dalla tasca, pronta per le ordinazioni «Un nuovo membro della squadra?» chiese, per educazione.

Aiko annuì «Fresca di nemmeno una settimana, in effetti. Mi porteresti un caffè americano e una fetta di quella torta al cioccolato? Sembra deliziosa.»

«Per me un caffè nero.»

Touka sorrise ad entrambi «Arrivo subito, investigatori.»

Urie attese lo stretto necessario per vederla allontanarsi, prima di sporgersi di nuovo verso la sua partner «Hirako

«Ho capito, Cookie. Dopo lo chiamo e gli chiedo di vederci. Felice?» si lanciarono una lunga occhiata, poi Urie si allungò scocciato verso il tavolo accanto per rubare un giornale e iniziare a leggerlo. Masa, da parte sua, prese ad aggeggiare con il cellulare. «Lungi da me il volerti mettere a disagio» gli disse poi di punto in bianco, attirando l’attenzione dell’altro, che abbassò il quotidiano per guardarla «ma c’è una donna in fondo al bar che sta continuando a fissarti.»

Touka appoggiò le loro ordinazioni sul tavolo e mentre la ragazza si dedicava del tutto al suo dolce, Kuki si voltò per niente discreto. Poi sbuffò e tornò a girarsi.

«Un po’ grande per essere una tua ex. Bella camicia a sbuffi…»

«Lascia perdere. È una giornalista, una abbastanza pedante. Ignorala.»

Prendendo un sorso della sua bevanda, Urie cercò di non pensarci su troppo. La prospettiva di iniziare una lunga conversazione con Shukumei non era allettante per niente. Doveva già fare da balia a Masa.

Non ebbe comunque nemmeno la grazia di poter terminare il suo caffè. Moleste, un paio di dita corsero da una spalla all’altra del giovane agente, mentre Shukumei sfilava accanto al suo tavolo per avviarsi all’uscita. L’occhiata che gli lanciò era eloquente. Sapeva che era una battaglia persa in partenza e giusto per evitarsi la grana di ritrovarsela dietro mentre faceva jogging, si alzò.

«Torno subito.» disse alla collega che sorrise divertita e smaliziata, non prendendo nemmeno il trench.

Seguì la donna fuori, dove lei lo stava aspettando «Ciao Urie.»

«Cosa vuoi, Mei

Un sorrisetto piegò le labbra della donna, che si sporse appena verso di lui «So che stai lavorando al caso Embalmer

Lo sapevo. Trattenendo a mala pena un’imprecazione fra i denti, Kuki assottigliò gli occhi in una muta minaccia «Abbiamo un patto» le ricordò «Niente domande sui casi ancora aperti.»

«Questo però è aperto da quindici anni» gli fece notare lei «Tu ne avevi tre, al tempo della prima vittima, no? Rischia di non venire mai chiuso. Almeno dimmi qualcosa di piccolo che posso sbattere in un trafiletto.»

Lui parve pensarci attentamente, poi tornò a guardare attraverso la vetrata del bar «Diciamo solamente che stiamo rivedendo qualche vecchia pista già battuta. Fattelo bastare per ora.»

«Un po’ misero. Sei a un appuntamento, comunque? Molto carina la ragazza.»

Urie le lanciò un’occhiataccia, pronto a rispondere nel peggior modo possibile, ma ciò che accadde nel locale lo distrasse un po’. Kirishima si era avvicinata a portare via il piattino ormai vuoto e ben ripulito dalla torta, ma aveva versato un bicchiere d’acqua che era sua intenzione offrire a Masa. Il motivo non pareva chiaro, ma Aiko doveva averle detto qualcosa di strano per farla distrarre così tanto. Non solo. Sul viso di Touka si era congelato il sorriso, sostituito da un’espressione da prima di panico e poi, lentamente, sempre più a disagio mentre l’investigatrice donna si scusava, muovendo le mani di fronte al volto per farle intendere che non era sua intenzione creare quella situazione.

«Non è un appuntamento, quella è la mia partner e ora devo andare a impedirle di farci estromettere da questo bar per sempre.»

Mei lo guardò con una strana espressione. Fissò Masa attraverso gli occhi nocciola, prima scostare i capelli castani dal viso, portando una ciocca dietro al’orecchio. Sembrava quasi che stesse pensando a qualcosa che proprio non le piaceva. «La tua partner, eh? Non era in squadra con Kuramoto

«La conosci anche tu, ora?!»

Mei ridacchiò «No, ma l’ho vista con lui qualche volta.»

Urie ci rinunciò. Masa portava solo delle grane, comportandosi da pazza. Non gli ci voleva molto a credere che fosse riuscita ad attirare anche l’attenzione della giornalista. Alzò la mano e salutò Mei, che ricambiò con un cenno del capo e una pacca veloce sulla spalla e rientrò.

«Smettila di fare danni» riproverò subito Masa, prendendo nuovamente posto di fronte a lei.

Lei, per risposta, ridacchiò. Quanto meno, aveva ripreso colore.

 

 

 

Dopo aver passato un intero pomeriggio a compilare scartoffie per la richiesta di trasferimento nell’undicesima circoscrizione, Kuki si sentì sollevato nell’aprire la porta di ingresso dello chateau. Appoggiò con cura la valigetta nel suo scomparto, notando che quello sotto di proprietà di Masa era pieno. La sua partner doveva essere tornata dal colloquio con Hirako Take prima di lui, cosa che gli fece presagire che forse aveva poco o niente in mano.

Poco male, ci avrebbero lavorato.

Appese il suo trench e si avviò in salotto, tenendo fra le mani il portatile che aveva sfilato dallo zainetto nero che aveva portato con sé in ufficio dopo pranzo. Visto che con Huang, il giorno precedente, avevano avuto qualche sviluppo positivo e che per inoltrare certe richieste c’era bisogno di tempo, aveva dormito anche lui un paio di ore in più, per poi sfiancarsi di allenamenti in palestra.

La casa deserta lo aveva aiutato molto a rilassarsi.

Purtroppo non era più così.

La situazione era mutata radicalmente, visto che al tavolo della cucina sedevano Mutsu, Shirazu e Saiko, mentre a spignattare come suo solito c’era Sasaki.

«Oh, sei tornato!» fu l’osservazione che Urie definì arguta nella sua mente. Rispose ad Haise con un cenno, andando ad appoggiarsi col portatile poco lontano da loro, ma pur sempre a un paio di posti vuoti di distanza.

«Masa è tornata presto?» chiese per amore di conversazione e per avere le notizie che lo interessavano. Non aprì il laptop, perché la risposta di Shirazu non gli piacque affatto.

«Non è proprio uscita.» gli fece sapere questi, appoggiandosi fiacco al polso col mento, deluso dal fatto che Haise avesse scelto Saiko per gli assaggi. «Dovevo accompagnarla io in moto, ma ha detto che Take le ha faxato tutto quanto e non ce n’era bisogno.»

Kuki sbuffo. Tipico di Masa, non alzare il culo dal divano «Ne parleremo a cena.» liquidò la conversazione velocemente Kuki, cercando di aprire il portatile. Di nuovo, un’informazione sgradita lo fece bloccare.

«Masa non cena a casa» gli fece sapere Sasaki col tono di una mamma in pena.

Saiko ridacchiò «Esce con Kuramoto

La reazione di Urie fu strana. Inizialmente si limitò a guardare negli occhi Saiko come se cercasse una motivazione per continuare a respirare, per poi alzarsi di scatto, facendo strisciare la sedia sul pavimento. «Inaccettabile» fu il suo solo commento, mentre tutti sospiravano.

«Urie, lasciala stare» gli disse Shirazu, scuotendo il capo.

«Abbiamo un caso aperto e questa va a divertirsi?»

Sasaki gli puntò contro il mestolo, cercando di intimidirlo dall’alto dei suoi dieci centimetri secchi in meno. Come se poi l’altezza fosse un problema e non lo fosse il grembiulino a fiorellini «Dovresti uscire anche tu! Il vostro caso non è freddo, è congelato. Prendervi una serata ti farebbe solo bene.»

Non gli diede retta. Arrivò fino alle scale, pronto a contrattaccare che era proprio per quello che avrebbero dovuto fare le ore piccole sui verbali forniti da Hirako, quando il ticchettare delle scarpe alte di Masa che scendeva le scale lo distrasse.

Seppur non si fosse mai detto un gran donnaiolo, anche Urie dovette per forza ammettere che la ragazza aveva delle gambe davvero belle. Chilometriche, magre e messe in risalto dalla gonna corta dell’abito sbrilluccicante che indossava. Come se non bastasse la scarsa metratura del tessuto, anche gli stivali alla coscia facevano la loro parte.

Lei lo guardò sorpresa, sistemandosi la borsetta nella mano.

Si era anche truccata per bene. Non sembrava nemmeno lei.

«Puoi spostarti, Cookie? Mi intralci.»

Bastò quella provocazione per riportarlo sulla terra, più irritato di prima «Cosa stai facendo?! Abbiamo un caso aperto.»

Esasperata, la donna sospirò «Urie. È venerdì sera.»

Quella che sembrava una scusa perfetta per tutti, non lo era per il ragazzo. Schioccò  un’occhiata di fuoco alla collega, che però non sembrava disposta a negoziare. Saiko, che li aveva raggiunti insieme a Shirazu per godersi la scenetta, ridacchiò «Noi li raggiungiamo dopo cena.» disse facendo anche un cenno al caposquadra «Perché non ti unisci?»

«Non credo vorrà farlo…»

La frase di Masa rimase a penzolare nell’aria senza una chiara spiegazione. Il campanello trillò e fu Yonebashi e buttarsi all’uscio per aprire «Kuramoto!» sbraitò praticamente il nome del biondo, buttandosi ad abbracciarlo mentre una terza figura, non prevista, entrava nella casa con un sorriso.

«Ciao, Urie.»

«…Kuroiwa…»

Takeomi. Perfetto.

«Sai, volevo parlarti di una cosa, posso?»

Sempre meglio.

Kuki si spostò verso la zona dei divani, tenendo stretto al petto il computer e combattendo contro l’impulso di spaccarglielo sopra a quella faccia dalle sopracciglia eccessivamente cespugliose.

Cosa voleva da lui?

Takeomi però non si era minimamente accorto del fastidio. Era troppo intento a sorridere e salutare Mutsuki e Haise, rimasti nella zona cucina come a cercare di scappare timidamente a quegli intrusi così festosi, per rendersene conto.

«Scusa se ti disturbo» iniziò con quella sua nauseante buona educazione. Nauseante per Urie; il resto del mondo pareva amarlo «Volevo parlarti un attimo di Masa» continuò con fare cospiratorio, assottigliando la voce e chinandosi verso di lui, riuscendo ad infastidirlo ancora di più «So che siete partner e vorrei chiederti un favore…»

«Takeomi!» fu proprio Aiko a chiamarlo, mentre si sistemava la giacca di pelle sulle spalle, usando già Ito come porta borsa mentre questo parlava animatamente con Shirazu e Saiko di Dio solo sa cosa «Dobbiamo andare! Lo sai che Suzuya alle undici va a letto e vogliamo salutarlo!»

«Come non detto» il perfetto Kuroiwa sorrise rassegnato, prima di voltarsi di nuovo verso il suo interlocutore «Sarà per la prossima volta, ok? Passa dall’ufficio della squadra Hirako appena puoi.»

«Certamente» Perché dai per scontato che sarò io quello libero e non tu? Guarda che io lavoro «Contaci.» Idiota scimmione «Buona serata.»

«Ti chiederei di raggiungerci dopo» gli fece sapere Masa, appoggiandogli una mano contro la fronte e spingendolo lievemente per il solo gusto di infastidirlo «Ma rovineresti l’atmosfera con quest’espressione da becchino. Ci vediamo domani mattina.»

Per risposta, Kuki assottigliò gli occhi «Io parto per l’undicesima alle nove meno un quarto, che tu ci sia o meno.»

Lei gli fece l’occhiolino.

«Potrei mai mancare?»

Haise non riuscì a comprendere cosa successe per prima, se la porta a richiudersi dietro i tre in festa o Urie a infilarsi su per le scale, sparendo nei meandri oscuri della sua stanza. Si sporse per le scale per adocchiarlo e chiedergli se aveva o no intenzione di cenare, ma decise di non sprecare la voce, tornando al tavolo dove il resto dei Quinx si era tornato a sedere in blocco.

«Almeno sembrano andare d’accordo» commentò con un piccolo sorriso Mutsuki, che di lì non si era schiodato minimamente.

Saiko alzò le spalle, tornando al suo lavoro di assaggiatrice «Più sale» commentò dopo aver masticato con gusto il riso, tornando poi a dedicarsi alla questione «Se Masa non lo ammazza. Urie è passivo aggressivo, difficilmente farà qualcosa di più. Voglio dire, non si viene nemmeno a lamentare dalla mamma.»

«Ucciderlo?»  Shirazu alzò un sopracciglio, prima di batterle una mano piano sul capo, esattamente in mezzo ai due codini «Saiko-chan non ne capisci molto di affari amorosi, vero? Uriko e Masa hanno attorno una tensione sessuale tale da rendere l’aria dello chateau irrespirabile. Finiranno a letto in breve, ve lo dico io.»

Mentre Mutsuki lo guardava parecchio dubbioso, indeciso se renderlo o meno partecipe del fatto che probabilmente Masa era attratta dalle donne – cosa che aveva percepito dalla loro conversazione qualche giorno prima – ci si mise anche Sasaki.

«Secondo me potrebbero innamorarsi!» la sua vena romantica si palesò. Sventolò il cucchiaio di legno sotto al naso del suo caposquadra, «Io non vedo attrazione sessuale, ma solo potenziale per una bellissima storia d’amore.»

«E da dove viene tutta questa esperienza, Sasan

Mentre Haise avvampava, Mutsu ci provò «Ragazzi-»

«Scommettiamoci su metà stipendio!» a troncare ogni discussione, ci pensò Yonebashi. Unendo le mani sotto al mento come il cattivo di un fumetto, per giunta «Io dico che lei lo prenderà a mazzate, Shirazu che diventeranno amici con benefici e Sasaki che scoccherà la scintilla amorosa. Chi vince, si becca metà degli stipendi di chi perde. Tu partecipi, Mucchan

Tooru la guardò, prima di ridere. I tre, perplessi, lo fissarono «Scusate» si difese quindi, certo delle sue convinzioni: Masa era attratta dalle donne e forse era addirittura fidanzata. Non voleva però rovinare il gioco o scommettere con quella consapevolezza. Senza contare poi che era stata una confidenza, quella di Aiko, e che non la voleva spiattellare.

«Io passo. Divertitevi.»

Shirazu allungò la mano sulla quale si appoggiarono quelle di Haise e di Saiko. «Scommessa accettata!»

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

---------N.d.A--------

 

Chiedo profondamente scusa per il ritardo nell’aggiornamento. Per farmi perdonare, ho fatto un capitolo più lingo.

Non mi bando in ciance e ringrazio Maia per aver betato, così come Virgy per il commento.

Grazie anche a chi solo mi legge e mi ha inserita nei preferiti o nelle seguite.

Passate un bel weekend!

 

C.L. 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il caso Embalmer - 5 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte prima: il caso Embalmer

 

 

 

 

Quando i suoi genitori le dissero chiaramente che non c’erano soldi per farle frequentare l’accademia di danza, Aiko dovette scendere a patti con la consapevolezza che non eccelleva in nulla, se non in quell’arte. Non le piaceva studiare per impostazione, anche se non faceva fatica a leggere libri su libri per diletto, di conseguenza l’università era da escludersi. Senza tener conto del fatto che la sua media scolastica non era mai stata così alta, quindi non sarebbe stata ammessa in quei pochi corsi che avrebbero potuto attirare la sua attenzione.

L’idea iniziale quella di andare a lavorare per sua madre e suo padre nel negozio di famiglia. I Masa gestivano da diverse generazioni una bottega di antiquariato, i cui affari non erano mai andati troppo male, ma nemmeno così bene da potersi adagiare sugli allori. Il fatto di non venire pagata non le pesava, visto quanto scarni fossero i suoi turni.

Poteva continuare a studiare danza nella sua vecchia palestra e farsi pagare le lezioni di recitazione, magari nella vana speranza che una compagnia dilettantistica l’avrebbe presa con sé seppur con quelle scarse referenze.

Quella vita le andò bene per poco più di tre mesi, prima di capire che voleva una svolta.

Aveva ancora quel biglietto da visita nel portafogli e si ritrovò a pensare che se non poteva realizzare un sogno, quanto meno, avrebbe potuto estinguere un debito.

 

Durante l’addestramento presso l’accademia formativa del ccg, Masa fu costretta a diventare brava in tutte le discipline per conseguire le borse di studio che le servivano per andare avanti. Ovviamente a suo padre non stava molto bene l’avere una figlia investigatrice, ma non di certo per preoccupazione. Se anche lei si distaccava da loro, non ci sarebbe stato nessuno a mandare avanti il negozio di famiglia.

Aiko decise di non prendersi carico degli scarti di suo fratello e di andare avanti per la sua strada. Riuscì a piazzarsi sesta nella graduatoria finale del suo anno, ma il giorno della cerimonia del diploma, il signor Masa non fece altro che vantarsi di quel figlio laureato in ingegneria che di lì a qualche mese si sarebbe trasferito a Ginevra per iniziare un importante progetto architettonico.

Suo fratello non partì mai per la Svizzera, mentre Aiko divenne il secondo di Kaori Makoto, investigatrice di prima classe della squadra Itadashi, sotto le direttive del classe speciale Mougan Tanakamaru. 

Il primo stipendio andò a coprire i costi del suo primo appartamento, un monolocale davvero microscopico, ma suo, poco lontano dalla sede della seconda circoscrizione, nella quale lavorava come supporto logistico per i laboratori scientifici.

Non fu un lavoro di lunga durata. Chiamati a supportare i classe speciale Shinohara e Marude, l’intera squadra Itadashi venne completamente annientata dal grado ss Tatara durante lo scontro per l’eliminazione del Gufo, nella ventesima circoscrizione.

Aiko fu la sola superstite. Riuscì a uccidere un ghoul di grado s, portando in salvo la pelle, ma a caro prezzo. Quando venne trovata, rannicchiata contro un muro con a circondarla i membri della sua squadra fatti a pezzi, nessuno si sarebbe mai aspettato di rivederla al bureau. Invece, cinque settimane di congedo dopo quella che poi venne rinominata la battaglia dell’Anteiku, Masa venne inserita in una delle squadre più prestigiose dell’intera divisione di Tokyo e passata dal terzo al secondo livello.

Nessuno però poteva dire di riconoscerla, perché qualsiasi cosa fosse successo quella notte, Aiko era cambiata permanentemente, vittima del trauma.

 

La sala delle riunioni della squadra Hirako era grande. Quattro tavoli di media dimensione erano disposti a quadrato con otto sedie a costeggiarli. Masa, che era arrivata per prima, si era ritrovata nella difficile posizione di decidere dove sedersi, temendo di occupare il posto di qualcun altro. Per giusta misura, non prese posto al tavolo. Si appoggiò alle vetrate, con la fronte contro la superficie fredda e il cappuccio alzato sul capo. Rimase ferma così, con gli occhi sbarrati da un pensiero che le annichiliva la mente, fino a che un uomo dai capelli brizzolati e il sorriso gentile la riscosse.

«Mi chiamo Daisuke Orihara e da oggi saremo partner. Benvenuta nella squadra Hirako, Masa

Sembrava un tipo gentile, alla mano. Diverso dalla maggior parte degli altri membri, che li raggiunsero poco dopo. Per tutta la riunione, Aiko si sentì fuori posto.

Il caposquadra sembrava un uomo tutto d’un pezzo. Non sorrideva, né sembrava alterato. Semplicemente leggeva i casi aperti e dava disposizioni con fare sbrigativo, come se ci fossero cose molto più importanti da fare che star lì a parlare del nulla. Non fece nemmeno una menzione all’ingresso di Masa nella squadra, ma si rivolse a lei con naturalezza, come se si fosse sempre trovata seduta di fronte a lui. Lo stesso fecero anche Nezu e Umeno, ma Machibita le sorrise incoraggiante dalla sedia alla sua destra, mentre Hirako le domandava i dettagli del suo lavoro su qualche caso della squadra Itadashi.

Ad Aiko, quell’uomo metteva una soggezione unica. Tutti lo chiamavano Take, scherzavano sul fatto che le signorine non si mettono a disagio, ma lui rimaneva impassibile, rilassato, come se non comprendesse lo scherzo o semplicemente non volesse prendervi parte.

Masa ancora non lo sapeva, ma di lì a poco sarebbe diventata una sorta di principessina per ogni membro della  squadra, eccetto Hirako. Il motivo poteva essere perché era la sola donna a farvi parte, o forse perché così minuta, magra in modo quasi innaturale e con gli occhi perennemente stanchi e tristi doveva fare tenerezza. Una giovane dal viso scarno di bambina, con grandi occhi gialli e lunghi capelli neri. Ebbe un piccolo assaggio dell’ospitalità del gruppo alla fine della riunione, quando Orihara la invitò ad incontrarlo di lì a un quarto d’ora per raggiungere la sede della ventitreesima insieme, dove avrebbero operato. A lei si avvicinò il solo altro ragazzo giovane che faceva parte del team, un biondino dall’aria divertita con il quale Masa aveva parlato già altre volte.

«Sembra stronzo, ma non morde.» le disse divertito, facendo un cenno a Take, che essendo il sui partner gli concedeva qualche libertà in quale senso. Di fatto passò gli occhi sul volto dei due ragazzi, prima di alzare un sopracciglio in direzione di Ito ricordandogli che partivano in dieci minuti. «Se Orihara ti importuna, chiamami» proseguì Kuramoto, sempre sorridendo, mentre iniziava a camminare lentamente all’indietro verso la porta «Diventerò il tuo angelo custode, da oggi!»

Aiko sorrise pallidamente di fronte a quella che le sembrava una promessa stupida.

Non aveva idea di quanto invece sarebbe stato vero.

 

 

Capitolo cinque.

Il lavoro nell’undicesima circoscrizione non aiutò Urie e Masa a rendere il loro dinamico duo più coeso. Dopo sei giorni di indagini sul campo, non avevano ottenuto assolutamente niente, nemmeno un interrogatorio al potenziale sospettato.

Il dottor Shinya sembrava essersi dissolto nel nulla. Ogni giorno si erano recati alla clinica nella quale operava per sentirsi dire che era ancora impegnato ad un convegno estero o che presiedeva a delle lezioni universitarie chissà dove. Le sue infermiere e le impiegate della reception continuavano a coprirlo, rendendolo al contempo la sua posizione sempre più compromessa. Non potevano emettere un mandato di arresto senza nessuna prova materiale, se non qualche intuizione e la riottosità del medico a vederli.

«Ditegli che la prossima volta che verremo qui, sarà per mettergli delle manette ai polsi. Il ccg ha di meglio da fare che perdere tempo.»

Urie si sentiva frustrato. Uscì dalla clinica tirandosi dietro la porta di vetro con forza e tornando verso l’auto. La sua partner lo aspettava sul sedile del passeggero, con un bicchiere di carta che un tempo era pieno di caffè e gli occhiali da sole da aviatore sul naso.

«Ancora niente, eh?» chiese con tono ovvio, mentre lui prendeva posto al volante con un diavolo per capello «Io ho chiamato Okada per quel mandato di perquisizione che ti dicevo ieri. Quando hanno passato al setaccio il capannone hanno trovato tutto il necessario per degli interventi clandestini, ma niente che potesse ricondurre a delle macchine per l’imbalsamazione. Abbiamo trovato un chirurgo che opera illegalmente, secondo te vale lo stesso per non farci fare la figura degli incapaci?»

Urie l’avrebbe presa a schiaffi. Sembrava non importarle niente.

Scelse di non rispondere, mettendo in modo e avviandosi. La meta non la conosceva, perché che tornassero alla sede dell’undicesima o andassero direttamente al diavolo era la stessa cosa.

Decise di non lasciar perdere e si diresse verso l’università dove, a detta della caposala, Shinya stava tenendo un seminario sulla correzione di Dio solo sa cosa. Chi se ne fregava, della chirurgia estetica e dei suoi tecnicismi, Urie non ne poteva più.

«Dovresti prenderla meno seriamente» gli fece presente Masa, appoggiandosi con il gomito alla portiera mentre svuotava definitivamente il bicchiere in un solo sorso, storcendo il naso a causa del caffè ormai freddo «Insomma, non stiamo facendo progressi in un caso impossibile, nel quale nemmeno la créme  de la créme della ccg ha fatto un singolo progresso. Chissà che gran tragedia è.»

«Non capisci che il problema è che non riusciamo a fare un interrogatorio?» la riprese subito il ragazzo, domandandosi perché doveva avere a che fare con una tale cretina. Era quasi meglio Saiko che almeno giocava alla psp e non rompeva le scatole «Se non riusciamo a parlare con quello stronzo, possiamo anche darci al lavoro da ufficio.»

«Meglio se non ci riusciamo, no? Vuol dire che è colpevole. Ora dobbiamo solo prenderlo, ma fidati quando ti dico che non lo troveremo all’università. Se è furbo, è già a Tahiti.»

Stringendo le mani attorno al volante, Kuki non rispose subito. Se non avesse avuto un paio di guanti neri, sicuramente le sue nocche sarebbero sbiancate tanto forte era la presa. Lanciò una breve occhiata alla sua sinistra, dove Aiko sembrava godersi la vista del porto baciato dalla giornata di sole.

La voglia di prenderla a schiaffi aumentò esponenzialmente.

«I ghoul non sono furbi. Sono mostri senza anima che non devono far altro se non aspettare la morte per mano nostra.»

A quel punto, fu Masa a voltarsi verso di lui. Sollevò gli occhiali da sole sul capo, fra le ciocche spettinate, guardandolo come avrebbe guardato un totale deficiente. Anche se era fermo sulle sue convinzioni, mentre prendeva lo svincolo per entrare sulla superstrada, Urie si sentì esattamente così: un idiota. Quello sguardo lo aveva fucilato.

«Certo che con questa mentalità protostorica riuscirai sicuramente a risolvere il caso» lo prese in giro ironica, accavallando le gambe «Infatti pensa un po’, questo ghoul è così tanto stupido da non averla fatta franca per più di quindici anni, laureandosi in medicina e aprendo anche una clinica piuttosto rinomata nel frattempo. Un vero idiota, sìsì

«Stai zitta.» Cretina. «Se devi parlare per dar fiato alla bocca, allora non farlo.»

«Vale la stessa cosa per te, Cookie. Se sei incazzato con il mondo perché non sei ancora entrato nei venti e vuoi goderti gli ultimi istanti di adolescenza, non è un mio problema.»

Di nuovo, si ritrovarono a litigare. Lui alterato e lei indispettita, con stizza. Solitamente l’argomento cadeva così, con Urie che si offendeva e lei che, vittoriosa, si infilava le cuffiette nelle orecchie isolandosi fino alla loro destinazione.

Quel giorno, però, Masa si sentiva particolarmente in forma.

«Vorrei tanto sapere come fai a lavorare pieno di pregiudizi come sei.»

Lui continuò a tenere gli occhi fissi sulla strada, mentre l’ira si accumulava nei suoi polsi facendoli tremare «Non sono pregiudizi, ma un solido dato di fatto. Nessuna persona che si reputi un investigatore dovrebbe pensarla diversamente da me.»

«Partendo dal presupposto che io sono una fiera sostenitrice delle implicazioni morali nell’uccidere un altro essere senziente» Masa iniziò a fargli il verso,  parlando saccentemente «Credo che tu semplicemente non riesci ad accettare che colui che ti ha rovinato la vita era consapevole di quello che stava facendo.»

Ci fu un momento nel quale Urie cercò di pensare di aver capito male. Che Masa non stava andando a parare in quella zona oscura che nessuno poteva permettersi nemmeno di citare.

Lei, però, continuò levandogli ogni dubbio.

«Sono una profiler. È il mio lavoro entrare nelle menti deviate e problematiche.»

«Stai dicendo che la mia è così?»

«Sei una persona rovinata, ma non distrutta. Non finire il lavoro che ha iniziato qualcun altro.»

Urie avrebbe preferito ricevere una quinque nello stomaco che affrontare un discorso del genere con una totale sconosciuta. Perché se poteva considerare anche solo vagamente dei compagni gli altri membri della Quinx Squad, Aiko non era altro che una collega fin troppo impertinente. Ormai era già incazzato, ma lei riusciva a peggiorare la situazione con un sorprendente talento naturale.

«Non sai nulla di me.»

Masa sbuffò una mezza risata, priva di colore «Certo, la frase tattica di chi è messo con le spalle al muro. La dicono sempre anche nei film.» scostò lo sguardo dal profilo dell’altro, appoggiandosi  di nuovo alla portiera «Sai che vengono uccise molte più persone negli incidenti stradali che dai ghoul? Assurdo, ma vero. La percentuale è davvero alta, tanto che se tutti coloro che hanno perso un caro iniziassero a odiare le automobili il mercato colerebbe a picco. Tu detesti una razza intera perché un singolo membro ti ha fatto un torto e fai pagare a ogni ghoul esistente il peso della colpa che provi tu stesso, banalmente, per la morte di tuo padre.»

Aiko rischiò di mordersi la lingua grazie a Urie, che inchiodò di colpo il veicolo. Lo guardò con gli occhi sbarrati, mentre un camion li superava, suonando il clacson a tutta forza.

«Vuoi ucciderci!? È proprio quello che intendo, gli incidenti stradali sono-»

«Scendi! Scendi adesso!»

Lei lo guardò con espressione vacua, prima di voltarsi verso la portiera.

«Non c’è il marciapiede e siamo in mezzo alla superstrada.»

«Non mi riguarda, scendi. Ora.»

Masa continuò a fissarlo sperando di vederlo cedere, di guardarlo inserire la marcia e partire, ma non aveva mai visto Urie così tanto determinato per tutta la durata della loro collaborazione. Così stiracchiò un sorriso consapevole, prima di allungarsi per prendere la sua valigetta dai sedili posteriore.

Fece appena in tempo a chiudere la portiera, che l’altro ripartì di gran carriera, senza rimorsi.

Masa sospirò «Dovremmo lavorare sulla comunicazione….» prese il cellulare dalla tasca, controllando l’ora.

Poi lo spense.

«Ma non oggi.»

Allungò una mano, pronta a scroccare un passaggio dal primo benefattore che si sarebbe fermato, impietosito.

 

 

 

 

Aiko si fece scaricare di fronte a un motel per amanti, controllando che non ci fosse nessuno a notare una colomba nella zona. Entrò, facendo sfrusciare il cappotto argentato lungo fino alle caviglie mentre si avvicinava alla reception.

«Buongiorno, vorrei una stanza per un paio di ore» disse, mostrando il distintivo «Secondo livello Masa, investigatrice del ccg

La ragazza alla reception guardò con interesse la figura appena arrivata, prima di sorridere, passando una chiave grande e metallica «Sedici b, agente-san. Posso avere un suo documento, per cortesia?»

«Sto lavorando sotto copertura, quindi gradirei venir registrata con il mio numero di matricola» le lasciò un biglietto con su i suoi dati, prima di ampliare il sorriso «E vorrei chiederle in prestito anche questa bellissima giacca, per favore. In cambio può avere la mia.»

Dieci minuti dopo, Aiko stava lasciando nuovamente la struttura, dopo aver appoggiato nella stanza la sua valigetta e qualche effetto personale, fra cui il portafoglio. Prese con sé il telefono, ancora rigorosamente spento, giusto per precauzione.

Salutò la giovane alla reception, che si stava pavoneggiando con un paio di clienti circa il modo in cui aveva ottenuto in prestito un trench di ordinanza del bureau anti-ghoul, prima di calarsi il cappuccio nero sul capo, prendendo una mascherina e appoggiandola sul viso.

Con le mani ben ficcate nelle tasche, si avviò alla metropolitana, recandosi verso la zona portuale.

Era stata dura con Urie, lo ammetteva lei stessa, ma lui era stato abbastanza stupido da abboccare all’amo, quindi un po’ se lo meritava. Masa voleva chiudere quel caso in fretta e non aveva intenzione di portarlo con sé dal suo informatore. Non era come il dottor Huang, non avrebbe avuto modo di motivare la loro conoscenza, quindi farsi scaricare le era sembrata una buona idea.

Si ritrovò a girovagare per un quartiere sporco e fetido, cercando di andare a memoria per trovare lo stabile di cui le avevano parlato. Lo trovò, seppure a fatica, e prima di bussare controllò di non essere stata seguita. Un pannello si spostò, rivelando una fessura sulla pesante porta di legno massello.

«Sei molto lontana da casa, passerotto» ringhiò una voce bassa, pesante, dall’alito putrido «Ti conviene voltarti e tornarci.»

Aiko sorrise, inclinando di lato il capo e mostrandogli il sekigan «Sono proprio dove dovrei essere, visto che devo parlare con il ragazzino.»

Il pannello venne richiuso di colpo e poi, con un cigolare sinistro di cardini, le venne spalancata la porta.

 

Urie non si era per niente pentito della sua condotta, ma la lavata di capo di Sasaki gli aveva fatto intendere che forse, forse aveva esagerato.

«Masa ha un cappotto argentato, la noteranno prima di investirla.»

La scusa non aveva retto per niente e il suo capo non lo aveva giustificato. Aveva ordinato al suo sottoposto di recuperare la sua partner, la quale però aveva avuto la brillante idea di staccare il telefono.

L’immagine di un tir che aveva sparso pezzi di Aiko per tutto il tratto autostradale gli era balenato nel capo, ma poi aveva registrato che un incidente del genere sarebbe stato sulla bocca di tutti e aveva smesso di pensare al peggio.

Tre ore dopo, mentre stava pensando se pranzare o meno, dell’altra non c’erano ancora tracce. Incazzato e rassegnato, si era seduto su una panchina con la valigetta della quinque accanto e il capo ribaltato all’indietro verso il cielo.

Lei lo aveva ferito di proposito, marciando sulla sola cosa su cui lui non era disposto a discutere, ci era arrivato dopo. Perché lo aveva fatto? Era davvero così stupida?

Così insensibile?

Non aveva il diritto di fare la vittima, visto che lui era certo di aver fatto piangere Haise Sasaki e in più di un’occasione. Portò una mano agli occhi, conscio che non poteva più trattenere i rimorsi, quando dal suo auricolare, la voce della sua partner arrivò chiara e soprattutto molto calma per il messaggio che stava per dare.

-Qui agente di secondo livello Masa. Ho individuato il nascondiglio dell’Embalmer e sto per entrare in azione. Chiedo che le forze dell’ordine di terra facciano recintare la zona attorno al Tokai 143, a cinquecento metri dalla zona di carico del porto nord. La palazzina è un condominio residenziale grigio, chiedo autorizzazione per procedere.-

Non poteva essere vero. Quindici anni di silenzi e poi lei lo trovava così?

Urie si mise seduto diritto, alzandosi e chiedendosi quanto lontano potesse essere dal luogo in cui si trovava lui.

Portò la mano all’orecchio per comunicarle la sua esatta posizione e dirle di aspettarlo, ma Sasaki lo precedette.

-Ottimo lavoro. Attendi Urie e agite con estrema prudenza. Non sappiamo esattamente quanto forte sia, è stato catalogato come ghoul di classe s, quindi non siate precipitosi. Se avete dei dubbi, attendete il supporto della squadra incaricata di sovraintendere l’undicesima. Non fate di testa vostra.-

A quel punto, rispose «Ricevuto.»

Cercò di attirare l’attenzione di un taxi, mentre attendeva la risposta di Aiko.

Essa però non arrivò.

 

 

 

 

Forzare la porta d’ingresso fu troppo facile. Aiko, che se ne stava accovacciata accanto alla serratura cercando di aprirla con un paio di ferretti dall’aria professionale quanto illegale, si rialzò afferrando la maniglia non appena riuscì nel suo intento, per poi affacciarsi  lentamente nell’androne.

L’odore nauseante della decomposizione e del sangue rappreso la investì facendole torcere le viscere, confermando che si trovava nel posto giusto. Istintivamente prese dalla tasca del trench un pacchetto di fazzolettini profumati alle fragole, ma non lo aprì colta da un colpo di genio.

Se c’era un ghoul all’interno l’avrebbe fiutata velocemente e non voleva facilitargli i lavoro. In ogni caso, sperò di non trovarlo in casa. Agganciò la porta ed avanzò cercando di non fare rumore, tenendo la valigetta con la quinque in una mano, mentre l’altra andava ad aprire i bottoni del cappotto d’ordinanza recuperato al motel, sciogliendone anche il cinturino.

Nessuno aveva mai combattuto contro l’Embalmer, che aveva preferito fuggire da Arima che ingaggiare un vero e proprio scontro, ma non intendeva rischiare.

La ricetrasmittente che aveva nell’orecchio sibilò e la voce di Sasaki le intimò di non prendere iniziative. Di aspettare l’arrivo di Urie, il quale continuava a tenere aggiornata la sua posizione. C’era però uno strano campo magnetico che faceva fischiare l’apparecchio elettronico e che fece dissolvere le parole del mentore nell’etere.

Per evitare di venire assordata, lo spense, ficcandolo in tasca.

Mano a mano che avanzava per la stanza, il fetore aumentava. Per puro istinto portò una mano al naso, comprendendo. Per quanto l’operazione l’avesse privata della sua natura umana, l’essere una Quinx non la rendeva di sicuro un ghoul. Era vomitevole.

La fonte di quel puzzo che impregnava l’intero appartamento proveniva da un secchio appoggiato ai piedi di un tavolo, il solo mobile all’interno della stanza per il resto spoglia.  Dentro di esso, lasciato a marcire da parecchio tempo tra fluidi e mosche, c’era l’apparato digerente di un essere umano. Masa si chinò, constatando che poteva appartenere alla giovane donna ritrovata due mesi prima, ma non poteva esserne certa.

Quelli dovevano essere gli scarti che il ghoul aveva ottenuto durante il processo di imbalsamazione che era avvenuto su quello stesso tavolo. A testimonianza di questa deduzione, nascosto da un panno bianco che Masa buttò a terra, c’era un macchinario dall’aria datata nell’angolo della stanza. Un dedalo di tubi simile a dei tentacoli si diradavano dal corpo centrale del marchingegno, il quale era stato sapientemente ripulito. Spostò la sua attenzione su ciò che era stato lasciato in bella mostra sul tavolo, prendendo nella mano una delle tante boccette lì presenti. Formalina, posta accanto al nitrato e alla glicerina, ovvero tutte le componenti per una bella flebo di forma aldeide. Liquidi imbalsamatori molto in voga alla fine degli anni cinquanta, in linea con il modus operandi del loro ricercato, così come Huang aveva detto.

Mentre analizzava attentamente la scena, era però caduta a piè pari nell’errore del novellino: si era distratta e aveva permesso all’avversario di prendere il vantaggio e  fare la sua mossa per primo.

Non aveva sentito quella figura sconosciuta strisciare verso di lei e prima ancora di esserne vagamente consapevole, un paio di mani forti le avevano preso un braccio, spingendola oltre la finestra a vista del salotto. Il vetro si infranse nell’urto con il suo corpo e Aiko si ritrovò a cadere da oltre tre piani.

Sotto, ad accoglierla in un abbraccio ruvido, c’era una bella siepe, alla quale dovette molto. Non la vita, ma le gambe e la schiena di sicuro. Ci avrebbero rimesso un po’ a rigenerarsi e lei aveva tutto, tranne che il tempo.

Si tirò su a tentoni, mentre dalla finestra sfondata scendeva con un salto agile anche l’imbalsamatore in persona. Masa lo guardò, massaggiandosi la spalla che aveva accusato un contraccolpo nel tentativo di salvare la preziosa valigetta. Era un uomo, forse alla cinquantina, se non di più. Non aveva avuto il piacere di incontrarlo prima, ma di fronte a lei si ergeva il dottor Yoshiro Shinya in persona.

Take le aveva sempre detto di non sottovalutare mai l’avversario per l’età, perché più anni significava anche più esperienza. E un ogni ghoul che invecchia è un ghoul che l’ha scampata in passato.

«Dottor Shinya» pronunciò con voce determinata, anche se non riusciva a tenerla ferma come avrebbe voluto.  «Non diamo spettacolo. Si arrenda.»

L’altro non fece nulla. Non rise, né mutò la sua espressione. Sistemò solo il guanto che portava nella mano destra, mentre la luce del sole rendeva impossibile la visione dei suoi occhi a causa del riverbero sugli occhiali da vista ovali. «Mi chiedo come reagirebbero i tuoi colleghi trovandoti seduta fuori dalla panchina della sede centrale, signorina investigatrice. Dovrò fare in fretta però a portarti via, prima che questo posto si riempia di colombe.»

Capendo perfettamente che non se la sarebbe cavata a buon mercato, Masa si sfilò l’impermeabile. Non voleva rischiare di rovinarlo. «In realtà, sono tutti molto abituati a vedermi seduta» gli fece sapere, cercando di mantenersi rilassata, seppur non lo era affatto. Non aveva mai avuto buoni risultati in uno scontro, figurarsi da sola, ma aveva avuto un aiuto chirurgico non da poco. Aprì un paio di bottoni della camicia all’altezza dell’ombelico, prima di prendere di nuovo in mano la quinque «Sarebbero più sorpresi di trovarmi in piedi e in orario.»

Sganciò i blocchi che tenevano chiusa la valigetta e in un baleno si ritrovò Izanami nel pugno. La quinque gemella di Senza era di un caldo e vibrante magenta screziato di toni più scuri e neri lungo tutta l’asta. Decise però di agire sfruttando anche la difesa.

La camicetta si alzò, mentre dalle sue reni iniziava a generarsi una strana pressione, ancora ben lontana dal sembrarle famigliare. Come un ventaglio di spade, il suo kagune venne alla luce, per la prima volta lontano dall’ambiente sicuro dell’ospedale interno del ccg.

Il suo occhio sinistro mutò, tingendo la sclera nera e l’iride rossa, per poi andare a spiare la reazione dell’avversario, il quale sicuramente non poteva aspettarsi nulla di simile.

«Che razza di abominio vi siete inventati ora, mostri

Non gli diede però (niente però) il tempo di pensare troppo alla questione. «Non credo che un ghoul dovrebbe essere così razzista»

Per la prima volta in due anni e mezzo aveva la possibilità di utilizzare tutte le nozioni che aveva appreso in quel lasso di tempo e non sarebbe sembrata sospetta.

 

Il luogo indicato da Masa nell’ultima comunicazione che erano riusciti ad avere era un piccolo appartamento, incastonato in un palazzo di otto piani. Urie non aveva bisogno di entrarvi per capire che lo scontro si era spostato altrove. Guardò la facciata dalla vetrata sfondata, passando poi gli occhi lungo la siepe semi distrutta, fino alla macchina in parte demolita al limite dell’isolato. Si sarebbe chiesto se il CCG avrebbe pagato di tasca propria i danni, ma era un po’ nervoso per farlo.

Non volendo contattare nuovamente Sasaki, si ingegnò. Dove potevano essersi cacciati? Il litorale si estendeva dopo il vicolo sulla destra e lui sperava che non si fossero recati lì. C’erano molti turisti nella zona. Raccolse da terra il trench argentato della collega, portandolo al volto per sentirne l’odore. Non ci aveva mai provato, ma dopo l’intervento di potenziamento il suo olfatto era migliorato. Magari avrebbe potuto trovarla così.

Non servì.

Un grido piuttosto distinto arrivò esattamente dal luogo in cui sperava di non doversi recare. Affrettò il passò, stringendo la valigetta nella mano e sbucando sulla strada per ficcarsi in quella principale, alla fine della quale, ad attenderlo, c’era l’oceano.

E quelli che sembravano due ghoul nell’atto di uccidersi a vicenda.

Il sospetto ricercato – Urie ancora non poteva crederci che l’avesse davvero trovato dopo essere stata abbandonata da lui sulla superstrada- era di tipo bikakou. La lunga coda del ghoul, uncinata sulla punta, fendeva l’aria rapida.

Masa però sembrava abbastanza padrona della situazione, nonostante dei tagli sul braccio destro che sanguinavano, macchiandole la pelle e la camicetta bianca a brandelli.

Urie rimase fermo a guardarla, spiazzato.

Il kagune dell’agente di secondo grado Aiko Masa era molto, molto simile a quello di Sasaki. Una serie di tentacoli sottili come le zampe di un ragno le uscivano dalla schiena e lui si sentì un po’ stupido per non averle mai chiesto che tipo fosse. Un rinkakou, difficile da gestire, e poco efficace contro un bikakou.

Le similitudini col prima classe Haise però finivano nella tipologia.

Il kagune di Aiko comprendeva ben otto code, dalle scaglie definite e affilate rispetto a quelle piccole e compatte dell’altro, ma non solo.  Brillavano dei toni del viola e dell’acqua marina e quando la donna saltò indietro per schivare un attacco, aprendole a raggiera, parevano in tutto e per tutto simili alla coda di un pavone.

Credo che questa sia la cosa più vistosa ed eccessiva che abbia mai visto. Trash.

Non attese comunque di esternare quel pensiero. Lo tenne per sé, scrocchiando il collo prima di alzare appena la spalla. Rilasciò l’aria dai polmoni, mentre una fitta di dolore gli annunciava che anche lui si stava armando di ciò che il buon dottore l’aveva fornito.

Con un balzo, fu anche lui nel mezzo della lotta.

Non l’avevano visto arrivare, dalla stradina, ed entrambi i combattenti si stupirono. Calcolò però male le tempistiche e seppur riuscì a tranciare un pezzo della lunga coda, non bastò per infrangere quel resistente kagune. Con una botta nello stomaco, Shinya lo lanciò contro un bidone della spazzatura.

«Urie!» Masa si chiese come fosse possibile fare una tale figura, visto che fra loro, Kuki era il più forte. Non poteva però curarsi di lui. L’occasione presentò proprio grazie all’arrivo dell’altro agente. Distratto, l’imbalsamatore si espose, finalmente. Agitando tutte e otto le sue code riuscì a mandarlo in confusione, ma bastò una sola per afferrargli la coda uncinata. La tirò verso di sé, conficcando con tutte le sue forze Inazami nello stomaco del sospetto, vedendola sbucare dall’altra parte, oltre le sue spalle. Questi trasalì, sputandole un po’ di sangue sul volto. Lo guardò negli occhi, mentre il bikakou svaniva nella sua presa, leggendo nelle iridi tornate di un caldo castano dai toni nocciola, solo paura e smarrimento.

Niente di più umano.

Fu un contatto breve, quello fra i loro sguardi. Urie, con un singolo colpo secco, gli mozzò il capo dal collo, il quale rotolò via, vicino a una vecchia Audi parcheggiata al limitare della strada, lasciando a boccheggiare la donna. Il corpo decapitato cadde sull’asfalto con un tonfo morbido, mentre lei ancora osservava il luogo dove il macabro feticcio sembrava ricambiare lo sguardo.  Gli occhi, fissi nella plastica posa della morte, erano rivolti in tutt’altra direzione, ma lei li sentiva pungerle la pelle come spilli.

Cosa aveva fatto? Come era successo? 

Le mani di Urie la afferrarono per le spalle, scuotendola «Perché hai agito senza di me?» le urlò in pieno volto, ma lei sembrava lontana galassie. Teneva la testa bassa, gli occhi vitrei fissi che s’erano spostati sull’asfalto e chissà quale pensiero ad assillarla. Aveva ancora il kagune in vista e attorno a loro iniziavano a radunarsi dei curiosi che scattavano foto con gli smartphone.

«Masa, torna in te» le disse,  guardando quella che ora pareva una coda unica, distesa sulla pavimentazione stradale, che finiva dietro alle sue caviglie quasi come se l’avesse lasciata correre lì per proteggerlo da qualcosa.  «Fai sparire il kagune

«Non ci riesco, il mio corpo reagisce come se mi sentissi ancora in pericolo…»

«Come è possibile?!»

«Sei tu che mi metti ansia!»

In un moto di cocente disperazione, la giovane portò le mani al volto. Una gamba le tremava per il nervosismo, mentre cercava di riprendere il controllo del suo corpo. Le sue code presero a muoversi come serpenti inquieti, prima di iniziare a ritirarsi, fino a diventare grandi come pugnali conficcati alla base della sua schiena. Un altro paio di respiri e svanirono totalmente, assorbite dalla carne delle reni. Lo verificò, Aiko, portando una mano sotto alla camicetta e sentendo contro le dita solo la sua pelle liscia.

Urie la stava ancora guardando, impassibile, ma nel contempo aveva confermato l’abbattimento del ghoul Embalmer a Sasaki. Un successo rapido e lo doveva tutto alla collega. Eppure non poteva perdonarle l’avventatezza. «Avresti dovuto obbedire agli ordini e attendere i rinforzi. È stato stupido affrontarlo da sola, potevi morire. Questa è la prima missione in cui usi il kagune, poteva finire molto male.»

«Ti stai davvero preoccupando per me?» chiese senza particolare inflessioni della voce Aiko, andando a sedersi sul bordo del marciapiede dopo aver recuperato il suo trench, che Urie aveva appoggiato sulla valigetta rimasta inutilizzata.

Si sedette lì, tenendo Inazami sulle gambe, mentre lo guardava dal basso «Tu non lo avresti fatto? Sei famoso per la tua cooperazione nulla, volta a farti promuovere anche a rischio della salute dei tuoi compagni di squadra. Me lo ricordo cosa è successo durante l’operazione Asta, sai? Ero presente.  Ma non tenere, ti lascio tutto il merito dell’uccisione di Embalmer. Io non lo voglio. Prenditelo. »

Quello era troppo.

Stupida, sei solo una stupida. Ovviamente mi sono preoccupato.

Giro sui tacchi e si curò di allontanare i curiosi, mentre i rinforzi li raggiungevano transennando l’area.

Non parlò più a Masa fino all’arrivo di Sasaki, ma la vide spostarsi dal nastro giallo tenendo fra le mani una sigaretta e il cellulare all’orecchio. Si chiese chi mai fosse così importante da dover ricevere una chiamata in quel momento, ma poi realizzò che non gliene importava nulla. Quella ragazza era fuori controllo e la cosa peggiore era che era stata lei a trovare tutte le prove, lasciandolo fuori.

E questo bruciava molto più di qualsiasi traccia di preoccupazione.

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

---------N.d.A--------

 

Nello scorso capitolo ho omesso una cosa molto importante: due dei personaggi originali di questa storia, ovvero Aizawa e Shukumei, non mi appartengono. Sono protagonisti di una storia che si spera verrà pubblicata presto dall’autrice RLandH.

Posta Luna.

 

Detto questo, ringrazio che legge e chi mi segue, ma in particolare chi perde dieci minuti del suo tempo per recensirmi.

Wow, ho finito il primo caso.

Sono stupita da me stessa per la rapidità.

Spero che questi momenti di folle furor creativo continuino.

 

Detto questo, vi saluto!

Alla prossima!

C.L.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Primo Intermezzo - 1 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Primo intermezzo: Gratificazione.

Parte prima.

 

 

La seconda rampa delle scale che conducevano al magazzino era stata completamente distrutta dal mostruoso kagune del ghoul, rendendo impossibile la loro fuga verso il basso e poi via, attraverso i condotti fognari .

Masa si era acquattata contro la parete, cercando di avvistare qualche movimento neo buio in cui erano sprofondati da diverse ore. Non sapeva se fosse stato il ricercato a distruggere i fusibili del pannello di controllo o se era stato uno dei loro al fine di facilitare le operazioni, rendendo però solo più difficile la sopravvivenza.

Prese un respiro profondo, prima di trattenere il fiato per spostarsi il più silenziosamente possibile, arrivando ad aprire la porticina della piccola stanza nella quale aveva fatto sedere il suo collega ferito. Kuramoto se ne stava nell’esatto punto in cui lo aveva lasciato, con la caviglia storta in una posizione innaturale e l’espressione concentrata a cercare di riparare almeno una delle loro trasmettenti, entrambe andate in offline per chissà quale motivo.

«Se ha installato un disturbatore di segnale, è un genio.» sussurrò il biondo, appoggiando la nuca alla parete rigida alle sue spalle e osservando la mora che tornava verso di lui, controllandogli l’arto ferito «Notizie di Take?»

Sconsolata, scosse il capo «Non ho visto nessuno, credo che ci abbiano lasciati indietro.»

«Ti perdono questa bestemmia solo perché sei arrivata da una settimana.»

Aiko sbuffò una risata incolore, prendendo dalla tasca interna del giubbotto antiproiettile delle garze. Si guardò quindi attorno, trovando un bastone sottile, che spezzò cercando di attutire il rumore con la mano «Il mio battesimo del fuoco» gli disse, iniziando ad immobilizzare la gamba. Ito strinse i denti, soffocando un gemito di dolore «Resisti. Dobbiamo uscire di qui in qualche modo e tu non puoi appoggiare questo piede. La tua quinque

«Oh, » Kuramoto lanciò uno sguardo verso quel poco che rimaneva della sua valigetta, mostrando alla collega la maniglia «Questa forse riesco a ficcargliela in un occhio.»

«Mi piace la tua positività.»

«Quindi usciamo insieme, domani sera?»

Masa a quel punto sorrise sinceramente, scuotendo il capo con divertimento «Sei terribile, anche con una gamba rotta.»

«Prima passiamo al pronto soccorso, poi potremmo andare in un locale molto buono dove fanno solo cucina thailandese.» aiutato dalla giovane e facendo forza sulla gamba sana, Ito riuscì a rialzarsi. Aiko si passò il suo braccio attorno alla vita, prima di afferrare la sua prima quinqe, Gaku, tenendola con la mano libera «Farei qualsiasi cosa per un piatto di goong doi in questo momento.»

«Le scale per scendere sono impraticabili e i corridoi che portano all’uscita saranno sicuramente sorvegliati.» iniziarono ad avviarsi molto lentamente verso la porta e Ito riusciva a stento a reggersi in piedi appoggiato a lei. Sarebbe stato impossibile per lui correre e questo significava solo una cosa: Masa avrebbe dovuto lasciarlo indietro in caso di bisogno. «Dobbiamo spostarci silenziosamente e sperare che non fiuti l’odore del sangue.»

«In quel caso, diventeremo noi la portata principale.» quando lei lo guardò tesa, lui sorrise tranquillo in risposta «Scusa, ho davvero fame.»

«Quale è il segreto per prenderla così bene?»

«Semplice, so che quando usciremo da quella porta troveremo Take ad aspettarci.»

Aiko non si stupì quando, spalancato l’uscio lentamente in uno stridere di cardini che li tradì, non trovò proprio nessuno. Quanto meno, non c’era nemmeno il ghoul.

Spostarsi fu un incubo. Non riuscirono ad essere silenziosi e quando si ritrovarono di fronte l’oggetto delle loro ricerche, chino sul corpo di un membro del gruppo di avanguardia, non se ne stupirono per niente. A Masa si gelò il sangue nelle vene, mentre il ghoul si metteva di diritto, con la bocca piena di interiora e carne, fissandoli con i suoi occhi mostruosi.

Gli parve di essere tornata indietro di un mese e mezzo.

«Oggi non morirai» a parlare, era stato Ito. Masa si voltò a guardarlo con gli occhi sbarrati, mentre una dopo l’altra, le immagini della battaglia dell’Anteiku si riproponevano nella sua mente. Sarebbero finiti fatti a pezzi esattamente come era successo ad Itadashi e ai suoi uomini «Oggi tu non morirai perché non hai fatto niente per essere ricordata e nessun membro della squadra Hirako non si guadagna almeno un riconoscimento. Vai e fallo a pezzi, tigre.»

«Non so farlo» sussurrò Aiko a mezza bocca, mentre il ghoul denominato l’Incantatore di Serpenti si voltava a fronteggiarli. Da entrambe le spalle spuntarono i kokakou rossi magenta striati di viola «Ito, fallo tu.» e gli porse la quinque.

«Lo farei, ma sono impossibilitato e se non fai la tua mossa, la farà lui!»

Scostandosi dalla collega, Kuramoto si addossò alla parete. Aiko strinse nella mano l’impugnatura dell’arma, messa con le spalle al muro e impossibilitata a fare altro se non avanzare di qualche tremolante passo nella direzione della morte. Il ghoul la spiava in silenzio, come se attendesse un attacco, ma la mora non fece niente. Rimasero a fissarsi per qualche minuto, poi gli occhi di Aiko corsero oltre la spalla dell’ avversario, fino alla porta. Se fosse arrivata fin lì, avrebbe avuto in salvo la vita.

Doveva solo lasciarlo con Kuramoto, che difficilmente sarebbe riuscito a scrollarselo di dosso.

Doveva solo lasciarne morire un altro.

Si morse il labbro, alzando l’arma, mentre l’immagine di un uomo imponente totalmente vestito di bianco con due occhi rossi raccapriccianti le appariva di fronte, pronto a farla a pezzi ancora e ancora.

«Non posso.» la quinque le cadde e lei con essa, in ginocchio, «Non posso.»

«Va bene così.» una mano le si appoggiò sulla spalla e quando voltò lo sguardo annebbiato dalle lacrime, Kuramoto le si era messo accanto. Lo osservò raccogliere l’arma, sempre mantenendo quel serafico sorriso sulle labbra «Quando te lo dico, punta la porta e corri più veloce che puoi, ok?»

«Cos-»

«ORA!»

Non fece in tempo a ragionare, che la sopravvivenza vinse sull’umanità. Si spostò a destra, mentre Ito si lanciava con la sola gamba funzionante contro il ghoul, intrecciando la quinque ai suoi kagune. Arrivò alla porta e si appoggiò con la mano allo stipite, non riuscendo a varcarne la soglia. Si bloccò, girando il capo e focalizzandosi su cosa stava succedendo.

Stava scappando. Stava lasciando una persona meravigliosa a morire.

Non riuscì a smettere di piangere, consapevole, ma qualcosa si mosse veloce dentro di lei. Quando Kuramoto cadde a terra, lei lanciò una pietra con forza contro il ghoul.

«Ho finito di perdere compagni di squadra.» sussurrò rivolta verso di lui, alzando i pugni a protezione del viso come pronta ad affrontarlo a mani nude, terrorizzata ma stanca di sentirsi una codarda.

L’Anteiku era passato, quello era il presente.

Forse sarebbe stato meglio morire che continuare quel genere di vita.

Ciò che accadde nell’istante successivo fu abbastanza rapido da perdersi. Il mostro scattò e lei portò entrambe le braccia a protezione del viso, pronta a sentire entrambi i kagune dilaniarla. Non accadde, però. Quando trovò il coraggio di scostare l’avambraccio per spiare oltre di esso, a pochi centimetri dal suo volto c’era la punta di Gaku, che sbucando dall’occhio dell’essere, gli aveva trafitto il cranio per intero. Ito, in terra, aveva ancora il braccio alzato e il fiato corto, incredulo a sua volta che quel lancio avesse effettivamente funzionato. Il corpo privo di vita crollò al suo con un tonfo che sollevò una nube di polvere e quando anche Masa si sedette sulla pavimentazione sporca, lanciando lontano il casco, dei passi annunciarono l’arrivo del resto della squadra.

Take si affacciò, notando che entrambi erano vivi e più o meno sani. Scavalcò Aiko, che venne subito fatta alzare dalle braccia forti di Orihara, mentre il capo si avviava a passi venti verso il suo secondo «Sono in ritardo, vero?»

«Questa volta c’è mancato tanto così.»  Take se lo caricò praticamente in spalla, iniziando ad avviarsi all’uscita, mentre Machibita avvisava il team medico «Ma per fortuna avevo un’ottima partner» .

Passando, Ito alzò una mano per farsi dare il cinque, ma tutto ciò che Masa riuscì a fare fu stringerla, prima di crollare di nuovo contro la spalla del suo superiore.

 

Masa aveva accompagnato Kuramoto dal professor Chingyou, qualche giorno dopo la chiusura del caso dell’Incantatore. Il biondo doveva destreggiarsi con le stampelle, ma non aveva per niente perso il solito buon umore che lo caratterizzava.

Nel grande laboratorio doveva le quinque venivano preparate e potenziate, c’erano solo loro tre. Ito salutò bonariamente l’esperto, battendogli una mano sulla spalla e rischiando di perdere un appoggio, il tutto senza ovviamente perdere entusiasmo.

«Sei riuscito a fare quel che ti avevo chiesto?»

Kouitsu annuì, portando entrambe le mani nelle tasche del camice «Aizawa me li ha fatti avere entrambi ieri. Volete vedere il risultato?»

Masa annuì, allungando il collo per spiare sul tavolo, quando questi venne scoperto. Lucenti, due lance gemelle brillavano di magenta e viola scuro, quasi nero, sotto i loro occhi.

«Sei stato veloce questa volta.»

«Il koukau era sorprendentemente collaborativo. Sono venute bene, non credi Kuramoto

Il biondo appoggiò entrambe le stampelle al tavolo, liberando le mani ma prestando attenzione a non mettere peso sul gesso. Poi prese entrambe le lance, annuendo. Alla fine, con attenzione, ne passò una a Aiko.

Lei non capì il gesto e la prese, facendo un passo indietro per girarsela nella mano «Leggera» constatò alla fine «Usarne due non sarà semplice però.»

«Infatti non intendo usarne due. Una è tua.»

Lei continuò a non capire, fino a che abbassando gli occhi sulla superficie lucida dall’arma, ci arrivò. «Non posso accettare, tu l’hai ucciso.»

«Se tu non fossi tornata indietro e non ti fossi divertita a prenderlo a sassate, non sarei nemmeno qui! Prendi questa maledetta quinque e stai zitta.»

Mentre Ito ridacchiava, Masa corrugò la fronte «Posso davvero? Insomma, non sono soggetta a restrizioni sulle quinque

«Chi se ne frega, a quello ci deve pensare Take. Allora, come pensi di chiamarla?»

Aiko gli sorrise, quasi imbarazzata «Ancora devo incassare il regalo. Tu che idea avevi?»

Kuramoto se la rigirò fra le mani, pensieroso e rischiando di colpire Chingyou, che decise che forse era il caso allontanarsi un po’ «Mi piace Senza.»

«Senza.» ripeté Aiko, prima di incrociare l’arma del biondo alla sua «e Inazami

Lui rispose al sorriso «Sento che questo è l’inizio di una bella collaborazione. Non scappare più!»

L’imbarazzo tornò, tanto che la poverina avvampò, «Hai rovinato l’atmosfera.» sussurrò attraverso le dita della mano che aveva portato a coprirsi il viso. Quindi tornò ad appoggiare la lancia sul tavolo, incrociando le braccia «Per rimediare, mi offrirai la cena. Thailandese, quindi?»

Kuramoto la imitò, recuperando poi le stampelle e porgendole simbolicamente il braccio «Te la offrirei tutte le sere, Aiko-chan

«Un vero cavaliere. Andiamo ad invitare anche gli altri.»

«Un giorno mi spezzerai il cuore!»

 

Capitolo sei

«Non posso credere che tu riesca a comportarti come un vero stronzo anche dopo aver risolto un caso importante.»

Haise prese un lungo respiro paziente, prima di allacciarsi la sciarpa di lana attorno al collo. Dopo la chiusura del caso Embalmer, circa due giorni prima, sperava di poter festeggiare il raggiungimento di un tale obiettivo tutti insieme. Certo, era il caso di Masa e Urie, ma aveva portato un certo lustro all’intera squadra Quinx, quindi era un po’ una vittoria collettiva. Peccato che quei due non fossero affatto collaborativi.

«Io mi comporto da stronzo? Tu hai consegnato un rapporto inconcludente e adesso il direttore vuole vederci!»

«Ho fatto come mi ha detto Sasaki! Quante volte devo ripetertelo? Scusa, ma sei stupido?»

Tirando il miglior suo sorriso, Haise si voltò a guardarli. Aiko aveva un diavolo per capello, Urie sembrava un punto di estrarre il kagune e picchiarla, mentre Shirazu guardava male Saiko perché, da giorni, sosteneva di essere vicina alla vittoria della scommessa. A dirla tutta, Sasaki iniziava a credere che avesse ragione lei, che presto Masa avrebbe fatto fare a Urie un bel volo dalla finestra. Scambiò uno sguardo con Mutsuki, in piedi accanto a lui, percependo il suo disagio mentre la battaglia continuava ad infuriare senza che nessuno dei due avesse cura di risparmiarsi colpi bassi.

Ed erano solo le otto e un quarto del mattino.

«Ragazzi, che ne dite di salire in macchina e-»

«Il rapporto non era inconcludente! Ho scritto esattamente quello che è successo!»

Sospirò. Sarebbe stata una giornata molto, molto lunga.

Shirazu, capendo che Sasaki non avrebbe riportato la pace, portò le dita alla bocca, fischiando acuto e riuscendo ad interromperli. «In macchina» decretò il caposquadra «Su, subito!»

Aiko prese un bel respiro prima di annuire, raccattando la sua valigetta e uscendo per prima nel freddo di quella mattina di fine gennaio. Saiko le fu accanto in un battito di ciglia e le prese la mano, intrecciando le dita alle sue e parlandole con fare cospiratorio «Io non lascerei correre certe accuse, Macchan

«Le accuse di un biscotto mi scivolano, Saiko.» le rispose lei, salendo negli ultimi posti insieme all’altra ragazza e lasciando che invece l’antagonista momentaneo si sistemasse nel posto davanti, accanto al loro leader. Come un vero bambino offeso.

Kuki aveva compreso che qualcosa non andava durante la prima rilettura del rapporto preliminare. Masa aveva spiegato come era arrivata al covo del sospetto dopo averlo pedinato per oltre un’ora, motivazione per la quale non aveva nemmeno risposto al suo collega. Lo aveva visto lasciare la clinica da una porta sul retro e lo aveva seguito fino all’appartamento.

Quando Haise aveva domandato il motivo per cui era lì e come era possibile che l’avesse visto così facilmente, lei aveva detto semplicemente che voleva intrufolarsi illegalmente da una porta sul retro per perquisire discretamente l’ufficio del dottor Shinya. Per pura fortuna questi si trovava lì. Avevano dovuto tenere conto anche delle testimonianze delle infermiere e della receptionist, ma dopo un paio di accertamenti esse non erano risultate essere ciò che dicevano: due di loro erano  ghoul, mentre una delle due assistenti venne indagata e messa sotto processo per aver favorito e protetto dei ghoul non denunciandoli.

Le loro parole avevano quindi perso ogni valore.

La sola colpa che Sasaki aveva quindi imputato a Masa era stata quella di non attendere Urie, entrando in azione da sola e mettendosi in pericolo. Le aveva detto di omettere la cosa, sostenendo un mal funzionamento della trasmittente e di consegnare tutto in fretta alla sede centrale. In effetti, lei aveva eseguito gli ordini del suo diretto superiore. Urie doveva farsene una ragione.

Per tutta la durata del viaggio in auto, sembrò esserci riuscito. Poi però scesero nel parcheggio dei dipendenti e Aiko lo vide tornare all’attacco.

«Non metterò a rischio la mia promozione per te, Masa. Se il direttore mi chiederà qualcosa, dirò che non mi hai aspettato e hai agito alle mie spalle.»

Aiko, con la valigetta stretta nel pugno, aveva accelerato il passo, staccandosi dal resto dei Quinx durante tutto il tragitto fino all’atrio della sede centrale, lungo il vialone d’ingresso. Urie l’aveva seguita parlandole con un tono che non ammetteva repliche.

«Questa sarebbe una minaccia? Che paura!» aveva risposto lei sarcastica, voltandosi di tre quarti per lanciargli uno sguardo sprezzante, non smettendo di avanzare e anzi, affrettando il passo già di per sé lungo «Dì quello che ti pare, Cookie. Anche io ho da raccontare un aneddoto divertente. Mi hai scaricata sulla superstrada, se ti ricordi, quindi dimmi: che figura pensi di farci?!»

Colpito e affondato. Il giovane rallentò, rimanendo indietro e stringendo la mano attorno alla maniglia della valigetta metallica, prima di riprendere a camminare rapidamente, deciso a non cedere terreno.

Avrebbe avuto l’ultima parola.

«Credi che la tua fortuna durerà per sempre?» le chiese in un soffio dopo essersi accostato a lei «Pensi davvero che non faranno domande?? Il caso non esiste e tu sei stata solo baciata dalla sorte.»

Questa volta, fu Masa a fermarsi. Il modo in cui lo guardò era palese. Quegli occhi di ambra stavano gridando a squarcia gola un solo concetto: tu mi fai schifo.

«Credi che io sia fortunata?» gli domandò a denti stretti, sentendo il resto della squadra raggiungerli molto lentamente «Ho visto morire tre miei partner, Cookie. Mi chiamano il gatto nero del ccg, quindi ricordati molto bene quello che sto per dirti: io non sono favorita dalla sorte, io sono brava. So fare solo due cose nella vita e una di questa è l’investigatrice, non permetterò a un pivello come te, che lavora da meno tempo di me, di mettere in dubbio questo fatto. Oltretutto, porto molta sfiga a chi agisce fianco a fianco con me. Stai attento che non finisca la tua, di fortuna.»

«Per caso mi stai minacciando tu, adesso?»

«Chiamiamolo dato di fatto facilmente dimostrabile. Ma puoi chiedere anche questo a Aizawa, mentre indaghi sul mio conto.»

Un moto di fastidio scosse le viscere di Urie. Aizawa doveva avere parlato a Masa delle informazioni che lui stesso aveva dato spontaneamente, o al limite era stato Shimura a mettersi in mezzo. Certo, lui non le aveva poste, quelle domande, ma non si era nemmeno distaccato dal discorso chiedendogli di smetterla, ma anzi. Era diventato avido dopo ciascuna parola detta dal patologo. Avrebbe voluto parlargli di nuovo per davvero, perché Urie sapeva solo di Orihara, mentre Masa aveva parlato al plurale, riguardo al numero di partner deceduti al suo fianco. Per non darle soddisfazione, però, non lo avrebbe fatto. Esisteva internet per quel tipo di ricerche o magari l’archivio.

Rimasero in stallo qualche secondo a guardarsi con disprezzo misto a rabbia, fino a che qualcuno non li raggiunse. E non era un Quinx, bensì un ragazzetto biondo dai capelli bizzarri, simili a un nido di rondini sfatto «Ehi Aiko! Bel lavoro con il caso Embalmer.» appoggiando una mano sulla spalla della mora, il giovane lanciò una lunga occhiata a Urie «Va tutto bene qui?»

E tu che cazzo vuoi? sarebbe stato tutto ciò che Urie aveva intenzione di chiedergli, ma si trattenne quando constatò che doveva essere un superiore.

Lei rilassò i muscoli della schiena, distendendosi e schiarendosi la voce  «Ciao, Mizurou» lo salutò cordiale, «Sì certo, tutto bene.» si sbrigò poi a dire, certa  che la loro lite avesse attirato più di una persona, ma che solo l’ex compagno di accademia doveva aver effettivamente deciso di intervenire. «Conosci Kuki Urie? Biscotto, lui è Tamaki, della quadra Suzuya

«Lieto.»

La scocciatura non poté che aumentare per il Quinx, il quale pensò che ci mancava giusto un paladino della giustizia per iniziare quella già poco piacevole mattinata. Guardò i due amici salutarsi, quando il biondo sparì dietro alla porta di accesso, lui socchiuse le labbra pronto a insistere. Lei però lo bruciò con’occhiata di fuoco «Andiamo? Il direttore ci aspetta e tu non devi sprecare saliva parlando. Te ne servirà parecchia per leccargli il culo.»

Nemmeno il tempo di una parola e si erano ritrovati nuovamente a camminare fianco a fianco, come se nessuno dei due intendesse cedere terreno. Entrarono insieme, spingendo le porte e affacciandosi all’atrio in un ultimo, lungo, sguardo di sfida e rancore. Ebbero di meglio a cui pensare, poi.

Uno scrosciare di applausi si levò, lasciandoli entrambi sbalorditi.

L’atrio era invaso di persone, compresi i membri della loro squadra che dovevano averli superati mentre loro erano intenti a scannarsi. Applaudivano tutti guardandoli, e dalla cima delle scale, accanto al classe speciale Ui, Urie notò anche Arima. La notizia del loro successo si era sparsa molto velocemente negli ultimi giorni, così come il racconto approssimativo e poco chiaro rilasciato in quel rapporto che doveva essere passato per molte mani. Urie fissò lo Shinigami bianco sorpreso, spostando poi lo sguardo su Fura e Shiba e infine su Aizawa che lo stava fissando storto, sicuramente perché avevano coinvolto un perito esterno e non lui nella raccolta delle informazioni. Quando poi si voltò verso la partner, convinto di specchiarsi negli occhi vittoriosi della donna pronta a dirgli che aveva ragione lei, notò che non lo stava per niente guardando.

Gli occhi di ambra di Masa erano leggermente macchiati di lacrime, lucidi di commozione verso quello che non era altro che un grande riconoscimento al suo merito. Urie non si era mai accorto di quanto si sforzasse per essere apprezzata, almeno fino a quel momento, quando gli sorrise, prendendolo a braccetto e avanzando verso la squadra Quinx, che li aspettava con Ito, pronti a ricevere altri complimenti.

 

 

La cerimonia che si era appena conclusa era stata più per la stampa che per loro.

Urie teneva in una mano la scatolina di velluto che conteneva al suo interno una spilla veramente brutta, con un colombo in rilievo e una singola ala bianca. Gli era stata donata dal direttore Washuu durante una cerimonia formale piuttosto sbrigativa, seppur pubblicizzata in pompa magna, insieme alla gemella, ricevuta da Masa.

Non avevano fatto discorsi impegnati, si erano limitati a rimanere immobili nella loro divisa bianca di alta rappresentanza, si erano fatti sistemare quello screzio della natura sul petto e poi avevano scattato qualche foto.

Eccolo il loro riconoscimento per aver chiuso un caso lungo quindici anni.

Urie si era sentito un po’ disilluso. Aveva immaginato molte volte come sarebbe stato ricevere il riconoscimento dell’Ala Bianca, ma nessuno scenario si era mai concluso con un flash e una pacca sulla spalla. La sua collega, al contrario, sembrava più felice che il giorno del suo compleanno, tutta sorrisi e strette di mano. Si era dovuto allontanare da lei, perché quell’entusiasmo poco le si addiceva.

Aveva preso posto su una sedia lasciata libera tra il pubblico, mentre la sala si svuotava e aveva preso ad osservare quel ninnolo più significativo che di valore, chiedendosi quanto avrebbe dovuto impegnarsi davvero per essere notato. Per avere una promozione fuori stagione ed essere spostato nella squadra SIII.

«Secondo livello Urie, congratulazioni.» ad interromperlo fu Matsurie Washuu, il classe speciale figlio del direttore e lui non poté far altro se non alzarsi, salutandolo con un inchino rispettoso. Aveva compreso da un po’ di tempo l’interesse nemmeno troppo velato di quell’uomo nei suoi confronti e non si era tirato indietro, considerando ogni singolo mezzo per ottenere il suo scopo. Il fatto che un uomo tutto d’un pezzo come lui si fosse preso la briga di andare a congratularsi, era un chiaro segnale di quanto bene stessero andando i suoi piani su quel fronte «Ho sentito che è stato uno scontro piuttosto duro e che tu se la sei cavata egregiamente, coprendo la tua partner. Non credevo però che fossi così modesto da non prenderti direttamente il merito, mi hai stupito positivamente. Questo è l’atteggiamento giusto di chi vuole fare carriera.»

….Cosa?

«Credo di non capire, classe speciale Washuu

L’agente di livello superiore abbozzò un sorrisetto «Non ti è stato riferito?» chiese in modo superfluo, prima di fare un cenno verso il palco. Su di esso, Masa e Sasaki stavano parlando con il classe speciale Ui  e la sua partner sembrava lievemente in imbarazzo mentre cercava di frenare Haise dal dire chissà cosa sui suoi uomini «Masa è andata dal direttore ieri mattina, sostenendo che nonostante sia stato omesso nel rapporto, ha agito contro gli ordini del suo superiore non aspettandoti ma che tu non solo l’hai coperta, ma hai anche salvato la sua vita in azione. Ha chiesto un doppio avanzamento di carriera per te, durante le promozioni di aprile, ma il direttore ha convenuto che sei troppo giovane per la prima classe. Nonostante questo è rimasto molto colpito dal gesto e sta prendendo in considerazione di promuovere anche Masa

Tralasciando la scarsa privacy che dilagava per l’ufficio centrale – Urie prese appunti in merito- il ragazzo si domando solo perché. Perché Masa si era scoperta e aveva esagerato la soluzione? Quando era arrivato Urie aveva visto con i suoi occhi che per quanto la situazione fosse complessa, la compagna non era in pericolo. Anzi.  L’Embalmer era stato ampiamente sopravvalutato e la sua reale classe era forse una A+, più che una S. Non sarebbe stato produttivo abbassarla, per evitare di fare la figura degli incompetenti che ci hanno messo ben quindici anni e la capacità intellettiva del dottor Shinya li aveva ingannati al punto tale che infondo si era meritato di vedersi un po’ gonfiata la pericolosità, ma se fosse arrivato dieci minuti dopo, Kuki avrebbe trovato Masa con in mano la testa di quel ghoul. Lei aveva risolto il caso. Lei lo aveva stanato.

Allora perché aveva voluto far ricadere il merito solo sulle sue spalle? Così come aveva detto quel giorno sul molo, non voleva averlo lei. Perché?

«La ringrazio per le belle parole, signore.»

«Te le sei guadagnate.» La mano di Matsurie si appoggiò sulla sua spalla, scivolando poi in quella che sembrava una carezza lungo il braccio lungo il gomito.

Urie rimase impassibile, anche se non fu facile. Non spostò nemmeno gli occhi da quelli dell’altro, nascosti dalle lenti degli occhiali da vista. Repellente «Se mi scusa, signore, andrei a ringraziare la mia partner.»

«Certamente.» gli rispose Matsurie, scostandosi «Non farle sapere che sono stato io a dirtelo» sottolineò in quello che voleva sembrare come un tono scherzoso. Ma che fallì miseramente alla base «Un’ultima cosa, se mi permetti, Urie.» lo trattenne ancora, a parole, «Non fare troppo l’eroe. Lavora di testa.»

«Grazie del prezioso consiglio, arrivederci.»

Grazie, prego, a mai più se possibile. Un ultimo inchino e poi Urie gli diede le spalle, allontanandosi. Pensava di essere libero dal sentirsi assillato dopo aver scaricato così gentile e accomodante Matsurie Washuu, ma si sbagliava alla grande. A placcarlo a pochi metri dalla sua meta, fu la persona che meno di tutti voleva vedere.

«Ei!»

«Ciao, KuroiwaMa ultimamente mi sta tallonando!? «Ora sarei occupato se tu devi-»

«Ci metterò poco, devo dirti solo un paio di cose. Le stiamo rimandando da un po’ in fondo.

Due settimane? Accidenti, tutta la vita. Urie sospirò discretamente e annuì, giusto per non mandarlo al diavolo. C’era molto vicino e non voleva fare la figura della ragazzina in crisi isterica proprio il giorno in cui gli era stata conferita una medaglia. Che Takeomi non aveva ricevuto.

«Volevo parlarti di Masa» iniziò il giovane dagli occhi a palla, come quelli di un gufo «Ora come ora, però, penso che il mio discorso sarebbe superfluo. Ne avrete già parlato tra di voi, dopo tutto.»

Urie non aveva capito ovviamente nulla. Come poteva, del resto? Non era stato chiaro per niente «Non credo di seguirti, Kuroiwa

L’altro si grattò la nuca, imbarazzato « Ok, ricominciamo» gli disse, forse conscio che il mettersi in mezzo a cose che non lo riguardavano rischiava di farlo passare per come Urie lo stava già definendo. Un ficcanaso «Io sono entrato nella squadra Hirako da un solo anno e Masa c’era già, al mio arrivo. Viveva anche già con Kuramoto, in effetti, ma comunque è sempre stata un po’… Strana. È una persona che sembra essere molto aperta e allegra, ma non lo è. Noi siamo un po’ preoccupati per lei, perché ha vissuto situazioni e tende a isolarsi e sentirsi sola.»

Ah si? «Come tutti noi, ha vissuto situazioni estreme. Siamo agenti, non gelatai.» Kuki fece una pausa, assimilando tutte le informazioni arrivate. A iniziare dal fatto che Aiko viveva con… Ito? Interessante. Urie iniziava a chiedersi seriamente, soprattutto alla luce di ciò che Aizawa gli aveva detto, quale fosse il loro reale rapporto. «Io cosa c’entro col fatto che si può sentire sola?»

Masa era passata dall’essere la stellina preziosa dalla squadra Hirako a uno dei tanti casi umani dei Quinx. Non sarebbe stata la preferita di nessuno, tra loro.

Takeomi poteva anche mettersi il cuore in pace.

«Insomma, Urie. Visto quello che le è successo…. Con tuo padre. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere avere un occhio di riguardo per lei.»

«Mio padre?»

«Masa non te lo ha detto?»

Per la seconda volta in quella mattinata, Masa non gli aveva detto proprio un cazzo.

«Detto cosa!?»

Sul viso di Taokeomi si dipinse un’espressione sempre più contrita e di puro disagio. Stava parlando di qualcosa che Masa aveva volutamente omesso? Ottimo.

«Forse dovreste parlarne, non credo dovrei mettermi in mezzo io. Scusa se mi sono permesso .»

Oh fantastico, lancia il sasso e ritrae la mano. Non avrebbe dovuto farlo, perché c’erano poche cose che potevano venir discusse con Urie, ma ancora meno che lui non avrebbe mai lasciato correre.

Soprattutto se di mezzo c’era il nome di suo padre.

 

 

«Tra dieci minuti in palestra, Masa. Non farmi aspettare e vedi di vestirti in modo consono a un allenamento.»

Questo era stato il modo poco gentile con cui Urie aveva interrotto un’accanitissima partita a CoD tra Aiko e Saiko, con l’incitamento di Tooru per l’una e per l’altra. Aveva girato i tacchi, infastidito dall’espressione stupita dei tre colleghi, chiedendosi il perché di quelle facce. Forse dimentico del fatto che lui non si allenava mai con nessuno.

O forse perché erano un paio di giorni che l’agente si comportava in modo strano, rispetto al solito.

Certo, era sempre sfuggente come una volpe nel periodo della caccia, ma era la motivazione ad essere cambiata.

Ed era tutta colpa di Takeomi.

Alla fine, per rispondere alla sua assillante curiosità riguardo quella faccenda introdotta dal collega coetaneo e mai approfondita con Masa, aveva ceduto e si era fatto strada da solo verso la verità, decidendo deliberatamente di non parlarne con la ragazza come avrebbe fatto qualsiasi essere umano decente, ma andando a chiederlo a qualcun altro.

Ad Aizawa.

Parlarne con l’interessata sarebbe stato molto più semplice, ma lui non se l’era sentita di intavolare un discorso senza sapere dove questo sarebbe potuto andare a parare. E aveva fatto bene, perché di fronte a ciò che un riottoso e ancora offeso Aizawa aveva avuto da dirgli, si era ritrovato inaspettatamente senza parole.

Aiko Masa era diventata un agente del ccg per onorare la memoria dell’uomo che le aveva salvato la vita, impedendo a un ghoul di divorarla quando aveva solo nove anni. E quell’uomo si chiamava Mikito Urie.

Suo padre.

La donna che lui non faceva altro che denigrare e che aveva – ricordiamolo- scaricato in mezzo a una super strada aveva deciso di dare la sua vita alle colombe per onorare quello che forse lei sentiva come un obbligo, un debito. Ciò doveva averla anche spinta a parlare con il direttore Washuu per quella faccenda della doppia promozione, aveva senso. Era la sola cosa che poteva avere senso in quel contesto.

Per la prima volta nella storia, Urie si era sentito in colpa nei confronti di un suo collega Quinx. In effetti, anche quando aveva trafitto Mutsuki con il braccio si era sentito uno schifo, ma quello era tutto un altro livello di torto: aveva avvertito come se con un solo gesto, fosse riuscito a disonorare suo padre, la sua memoria e ciò che di buono aveva fatto nella sua vita.

Ed era bastato questo per fargli rivedere le sue posizioni nei confronti di Aiko.

Quasi come se, improvvisamente, fosse diventato un obbligo.

Lei sembrava più collaborativa, anche se semplicemente non serbava rancore dopo un litigio. Aveva rispettato la richiesta di Urie e quando lui era entrato nell’ampia palestra con in mano due spade di legno, l’aveva trovata a fare stretching, praticamente in spaccata frontale, sul pavimento. Masa alzò lo sguardo su di lui, appoggiandosi con i gomiti alla pavimentazione in legno, per poi concentrarsi sulle spade.

«Cosa vuoi farmi?»

«Devi imparare a padroneggiare il kagune come si deve.» Kuki buttò una delle due armi di fronte a lei, appoggiandosi poi con le mani all’altra mentre la guardava tirarsi su, tenendo la sua come un ombrello «Non puoi permetterti di dare troppo spettacolo o, peggio ancora, diventare un pericolo per te stessa e per gli altri. Ti serve disciplina.»

Masa gli sorrise, smaliziata «E vuoi darmela tu?»

«Sai cos’è l’Aikido?»

La ragazza sbatté le palpebre più volte, presa in contropiede «L’arte… Marziale?»

«Le basi dell’Aikido sono il riuscire a trovare un’armonia con lo spazio universale, unificare l’energia del corpo e dello spirito e la concentrazione che serve per percorrere la via dell’auto perfezionamento.» le spiegò, sistemando la maglietta aderente senza maniche e prendendo dei guantini senza le dita dalla tasca dei pantaloncini sportivi «Da oggi, studierai Aikido con me ogni giorno, anche i giorni in cui lavoreremo. Ti insegnerò le basi del combattimento corpo a corpo e con la spada e tramite la disciplina intimista imparerai a padroneggiare meglio il kagune. Ti serve qualcosa di più utile delle quattro cazzate che ci insegnano in accademia, se vuoi diventare un agente di livello alto. Come Quinx, è un tuo dovere essere in grado di avere il controllo totale sul tuo corpo e sulla tua mente.»

Kuki non sapeva perché, ma si aspettava una risata e un arrivederci come risposta. Al contrario, Masa rialzò gli occhi sempre colmi di stupore su di lui «Perché?»

«Te l’ho appena spiegato. Perché tu non hai-»

«Sì, quella parte l’ho capita» si avvicinò di un paio di passi, la mora, quasi sospettosa per quell’improvviso cambio di atteggiamento nei suoi confronti «Non capisco perché sei tu a prenderti questa responsabilità nei miei confronti e non lo fa, invece, Sasaki. Perché ti dai pena?»

Se Urie fosse stato coraggioso abbastanza, avrebbe continuato a spiazzarla dicendole che voleva ripagare un po’ il suo debito verso suo padre portando avanti qualcosa che lui aveva iniziato, oppure che lo faceva perché inconsciamente voleva avvicinarsi di più a qualcuno che aveva ammirato e guardato a suo padre come a un eroe come aveva sempre fatto lui.

Ma non era coraggioso per niente, quindi la buttò sul cinismo come al solito «Sei la mia partner, quindi è un mio problema se non sei in grado di controllarti, non credi?»

Un sorrisetto amaro si dipinse sulle labbra di Aiko «Già» ne convenne, anche se un po’ forzatamente, prima di dargli le spalle per avvicinarsi a un paio di sedie su cui lasciò cadere la felpa. Tornò da lui, indossando solo la canottiera grigia e i pantaloni sportivi neri, tenendo fra le mani la spada «Sappi comunque che non ti chiamerò mai Cookie-sensei.» gli fece presente, ritrovando un po’ del suo sarcasmo.

Lui scosse il capo, sconsolato «Mettiti qui, accanto a me. Oggi iniziamo dalle posizioni base e dalla respirazione.»

Lei eseguì, muovendo il capo per distendere i muscoli del collo e successivamente, delle spalle. Mentre si sistemava, gli occhi del ragazzo scivolarono sul suo profilo, fino al braccio destro, dove una grande cicatrice sfigurava la carne chiara, visibile nonostante su di essa vi fosse tatuato un  crisantemo magenta dai petali dischiusi.

 

 

Continua.

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Capitolo 7
*** Primo Intermezzo - 2 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Primo intermezzo: Gratificazione.

Parte seconda.

 

 

 

Capitolo sette.

Yoohei Kenta aveva poche ambizioni nella vita. Essere un ghoul in un mondo governato dagli esseri umani aveva influito molto sulle sue scelte. Non aveva avuto il privilegio di avere un alterego, una maschera da indossare fra quelle persone, quindi si era precluso molte delle esperienze fondamentali della crescita.

Non aveva frequentato la scuola primaria, figurarsi l’università. Aveva imparato giusto a usare in modo dignitoso l’hiragana e il katakana, ma conosceva sì e no una cinquantina di kanji al massimo, livello più basso di quello di un bambino di otto anni.

Quando era arrivato il momento di trovare un lavoro, non aveva avuto grandi scelte. L’Aogiri arruolava personale sette giorni su sette e lui era un ragazzo sporco e stanco, cresciuto per la strada con un fratellino e tutte le migliori ragioni per credere in quegli ideali rivoluzionari.

Alla fine si era ritrovato a gestire un nutrito gruppo affiliato, sotto le direttive di uno dei principali boss dell’organizzazione.  Il loro scopo era quello di difendere e governare la diciannovesima circoscrizione nel nome del Re col Sekigan.

Il loro capo era un ghoul sfuggente, che raramente si era mostrato ai loro uomini. Il suo nome era sconosciuto a tutti loro, che gli si rivolgevano con l’appellativo che era stato attribuito dal ccg: Labbra Cucite. Così come il suo nome, anche il possessore sapeva ben tenere la bocca chiusa e parlava solo a Kenta, trasmettendogli gli ordini e pretendendo da lui di sapere qualsiasi cambiamento negli equilibri della loro zona.

Nascosto sotto alla mantella color vinaccia che recava sulla schiena l’emblema dell’Albero di Aogiri, celando il viso con il cappuccio e la mezza maschera di cuoio, Labbra Cucite lo fissava in attesa.

«Gli ordini di Tatara?»

Lo sfrusciare della veste accompagnò i passi dell’altro e una voce sottile, femminile e ovattata dalla pelle conciata, arrivò alle sue orecchie con inspiegabile calma, viste le notizie che portava «La tredicesima sta per cedere, mentre la ventiquattresima è ancora sotto assedio. Tatara-san ha detto di tenerci pronti a fornire supporto. Io non ci saròall’attacco che avverrà prossimamente, per rivendicare il carico che trasporta l’acciaio quinque, ma voi dovrete creare le condizioni necessarie affinché gli investigatori siano troppo impegnati per accorrere a fermarci. Sai già com’è il piano, portalo a termine.»

«Conta su di me.»

Una mano coperta da un guanto di seta nero si appoggiò sulla spalla del giovane, mentre la figura misteriosa gli si accostava, sussurrando piano «Le colombe sono contente per la chiusura del caso del buon dottore. Starà a noi far passare loro la voglia di festeggiare. Tienilo bene a mente, Kenta: questo è solo l’inizio. Aogiri li distruggerà partendo dalle fondamenta. Siamo già nella loro pancia. Io non conto su di te, io credo in te. Tienimi aggiornata.»

Si scambiarono un ultimo sguardo e poi Labbra Cucite lasciò la stanza, uscendo dalla finestra e sparendo nell’abbraccio della notte sulla città. Lui si sedette sul davanzale dal vetro sfondato, spaccandone un pezzo con la mano e finendosi col ferirsi un dito. Lo accompagnò alle labbra, mentre una brezza di vento invernale spettinava la sua zazzera di capelli rossa come il sangue.

Era in arrivo una tempesta, iniziava a sentirne l’odore nell’aria.

Non avrebbe deluso il suo capo, non in quella fase di cambiamento. 

 

 

Haise Sasaki era fiero nell’affermare che i suoi uomini erano un po’ i suoi figli.

Non si era mai sopravvalutato nel dire che li stava crescendo bene o che stava facendo un buon lavoro, perché era convinto che certi tipi di rapporto risentissero del tempo e che loro erano suoi da troppo poco per poter già dire di aver fatto centro. C’erano tante variabili che potevano manifestarsi e cambiare la carte in tavola.

Una di quelle variabili era Masa. La ragazza stava un po’ compiendo il miracolo, portando la pecora nera – anzi, viola- di nuovo all’ovile.

Da quando erano iniziati i loro allenamenti, Urie aveva iniziato a cenare con loro un po’ più spesso, seppur sempre molto silenzioso.

«Io credo di poter ancora vincere, non cantate vittoria voi due» erano le parole serafiche di  di Yonebayashi, la quale aveva comunque dovuto concedere che vedere il collega allenarsi con qualcuno che non fosse il suo enorme ego era strano e faceva effetto. Non che gli allenamenti fossero prove d’amore. Il termine corretto per definire quello che lui e Masa facevano era ‘bastornarsi’. E anche piuttosto forte. Di buono c’era che entrambi stavano imparando un minimo di gioco di squadra e lavoro di coppia.

Per Haise, quella era una vittoria e una prova del fatto che come leader, allora, non faceva poi così schifo. La sua intuizione di nominare partner i suoi due figli più problematici aveva dato i suo i frutti.

Se non era un buon capo, almeno era una brava mamma.

Una mamma preoccupata per le tappe che i suoi giovani ragazzi stavano bruciando.

«Dovremmo andare a ballare, ora che abbiamo chiuso tutti i casi.»

La dichiarazione di Sasaki venne accolta con un silenzio generale. Saiko non dava segni di aver sentito nulla, con la faccia concentrata e gli occhi ficcati sul suo DS. Shirazu ci era rimasto un po’ male, come se si sentisse buttato fuori casa. Mutsuki aveva forzato un sorriso, sussurrando un ‘buona idea’ sforzatissimo, perché avrebbe detto di sì a qualsiasi cosa proposta dall’uomo, seppur per niente convinto. Urie non l’aveva nemmeno degnato di uno sguardo, continuando a sorseggiare il suo tè nero, con gli occhi che scivolavano fluidi sulle pagine del libro che aveva aperto di fronte a sé.

«Andiamo! Sarà divertente!»

Ancora silenzio.

Poi la porta d’ingresso si aprì e Aiko entrò con un sorriso e il naso arrossato dal freddo «Buonasera, signori» disse raggiungendo il tavolo dove tutti si trovavano radunati, appoggiando una mano sulla spalla di Shirazu.

Haise andò all’attacco immediatamente «Ti va di andare a ballare, venerdì?» domandò speranzoso. Un sorriso sfavillante gli apparve sul volto quando Masa rilanciò con altrettanto entusiasmo.

«Certo! A dire il vero ho già progetti, ma siete tutti invitati, ovviamente!»

«Strano» Urie commentò con le labbra già sulla tazza, lanciando un lungo sguardo alla sua partner «Sei in ritardo per gli allenamenti.» le fece quindi notare, cercando di troncare ogni progetto per il weekend «Dov’è che sei stata tutto il giorno?»

Aiko si levò la giacca, sedendosi di fronte a lui, accanto al caposquadra «Da mia madre» fu la risposta ovvia, mentre gli sfilava la tazza dalle mani per prenderne un sorso, con supremo disappunto dell’altro «E comunque ha ragione Sasaki a proporre un po’ di svago. Sembra di vivere in uno strano incrocio fra un asilo nido e una casa di riposo. Siete bambini pensionati.» gli rese la tazza, che lui allontanò velocemente «Andiamo, Cookie. Ci divertiremo un sacco, puoi scommetterci!»

 

Aiko aveva perso la scommessa dieci minuti dopo aver messo piede in quel posto.

Urie non poteva credere di essersi lasciato convincere, ma quando alla loro porta si erano presentati Kuroiwa e Ito per prendere la piccola compagnia di Quinx, Shirazu aveva smosso qualcosa nel suo ego.

«Andiamo, non puoi lasciarmi solo con quei due e le nostre ragazze. Mutsuki è molto più uomo di me, certo, ma scommetto che sarà ubriaco in dieci minuti. Devi aiutarmi a difendere le ragazze dagli uomini che troveremo al locale.»

Lo aveva toccato sull’orgoglio maschile e lui, come un coglione, ci era cascato. Si era ritrovato in balia di Tooru e Aiko che lo avevano sistemato, sfilandogli la camicia dai pantaloni, levandogli la cravatta e pettinandolo in un modo che a lui non piaceva per niente. Poi Masa aveva tirato fuori una giacca di pelle dall’armadio e lo aveva costretto a metterla, sostenendo che con un completo elegante non l’avrebbe fatto andare con loro.

Avrebbe dovuto cogliere la palla al balzo e rimanere a casa.

Aveva ottenuto ben poco di positivo. Solo i drink. Di negativo invece c’era da parlarne per ore, a detta del giovane investigatore. Tanto per iniziare, il locale non era una discoteca, il che poteva sembrare positivo, se non fosse che quella era la serata dei latino americani e quindi la musica lo stava portando sul baratro del suicidio.

Altro fatto di importanza rilevante, aveva passato gran parte della serata seduto fra Taokeomi Kuroiwa- male, molto male- e Hirako Take, che poteva benissimo essere un termosifone vista la quantità di volte che avevano interagito, a guardare Masa e Shirazu fare gli stupidi con Saiko e Ito al centro della sala da ballo. Loro si erano divertiti parecchio, avevano ballato e riso insieme ad Akira, che era andata via presto, poco dopo Suzuya e con Aizawa, che si era avvicinato a Urie solo per sbattergli in faccia il fatto che stava andando via prima di mezzanotte perché aveva una donna ad aspettarlo a casa per divertirsi un po’.

Inutile dirlo, Urie lo aveva platealmente ignorato.

Haise invece, che non aveva niente da bere, aveva iniziato la serata tentando di ballare con gli altri (e sembrando un autentico incapace con tanto di rara malattia che rendeva difficile camminare, figurarsi ballare) per poi finire a fare da balia a Mutsuki che, come previsto da Shirazu, aveva finito per sbronzarsi.

Il fatto che il caposquadra avesse passato la prima ora a mettergli in mano dei drink, sicuramente aveva influito in qualche modo.

Alla fine della fiera, anche Hirako li aveva abbandonati salutando frettolosamente, lasciandolo seduto da solo dal momento che anche Kuroiwa aveva deciso di buttarsi con gli altri a fare bagordi fino all’alba.

Kuki stava giusto ponderando quanto ci avrebbero messo tutti ad accorgersi che se la stava per dare a gambe, quando a rovinare la meravigliosa solitudine in cui era sprofondato, si palesò Aiko. La ragazza si mise a sedere troppo in fretta, rimbalzando appena sui cuscini e ridacchiando. Urie la guardò con un sopracciglio alzato «Smettila di bere, sei ridicola.»

«Perché non riesci mai a farmi un complimento?»

 Non sembrava offesa o arrabbiata, anzi, era divertita. Urie la guardò prendere dalla borsa un fazzolettino, per poi passarselo dietro al collo. Le guance della ragazza erano arrossate, dall’alcool e dal caldo insopportabile di quell’enorme stanzone. Quando si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano languidi del solito «Tu non balli?»

«No.»

«Hai mai provato?»

«No.»

Aiko sbuffò, scuotendo lentamente il capo mentre il sorriso che aveva sulle labbra non veniva minimamente intaccato «Mi arrendo, sei impossibile.»

«Non vai a ballare ancora? Se ti stacchi da lui per più di cinque minuti, il primo livello Ito potrebbe iniziare a soffrire di sindrome da abbandono.»

La ragazza alzò le sopracciglia, prima di appoggiarsi con il mento alla sua spalla, mentre andava a stringergli il  braccio con le sue «Sei geloso?» domandò con una certa malizia, impedendogli poi di risponderle a tono «Preferisco stare qui, perché so che ti do fastidio.»

Urie non rispose, ma nemmeno la scacciò. Si limitò a puntare il cocktail che Shirazu gli aveva portato al tavolo quasi mezz’ora prima – bel caposquadra, rifornire così i suoi uomini di alcolici è da irresponsabile- prendendone un sorso. Il ghiaccio dentro si era quasi del tutto sciolto, rendendo la bevanda un po’ meno fredda. Mordicchiò la cannuccia, prima di tornare ad appoggiare il bicchiere, sistemando uno dei guanti neri che portava alle  mani. Quel posto faceva un po’ troppo schifo per i suoi gusti.

Istintivamente, appoggiò la mano sinistra sul braccio della mora che solo a quel punto parlò di nuovo «Takeomi te ne ha parlato, vero?»

Lo chiese così a bruciapelo da gelarlo in quella posizione. Non sapendo come rispondere, Urie si limitò a sgranare gli occhi, rivelando ad Aiko, la quale aveva sollevato il capo per spiare la sua reazione, che sì, era andata esattamente così. E non aveva nemmeno bisogno di specificare a cosa si riferisse.

Con uno sbuffo scocciato, tornò ad appoggiarsi contro la spalla del ragazzo «Gli avevo detto di non farlo, mi piace il nostro antagonismo. Se diventi carino con me poi dovrò per forza innamorarmi di te.»

«Come scusa?!» Urie girò così di scatto il busto da rischiare di vederla cadere in avanti. La sorresse con la mano libera, mentre lei ridacchiava scuotendo il capo.

«No, niente.» fu la risposta della partner e a lui andò bene così. Diede la colpa alla musica alta, ai superalcolici e alla situazione paradossale e decise che gli bastava questo. Aiko, dal canto suo, si rimise in piedi, sistemando la gonna gonfia del vestitino, lisciandone le pieghe mentre lo guardava «Non posso convincerti a venire a ballare, vero?»

«Voglio tornare a casa, Masa. Divertiti per altri dieci minuti e poi andiamo.»

Lei gli fece il saluto militare, prima di scendere i gradini che separavano la zona dei divanetti dalla pista in modo molto precario, tremando suo tacchi. Urie la fissò dubbioso, certo che l’avrebbe vista cadere di faccia da un istante all’altro.

«Sei un pirla, avresti dovuto portarla in bagno. Lei non chiede altro.»

«Shirazu?!»

Gishi era inquietantemente apparso alle sue spalle e ora lo guardava con profonda delusione negli occhi serpentini. Scosse addirittura il capo, mentre con gli avambracci appoggiati allo schienale si teneva in qualche modo in piedi «Sei una delusione per l’intera categoria maschile. Io venderei Saiko per una donna così.»

«Ti sembrano cose da dire? Sei il nostro caposquadra. Dovresti sconsigliare qualsiasi tipo di rapporto non professionale fra i tuoi sottoposti, se non lo fai rischi di-»

«Mi stai facendo venire voglia di buttarmi da un ponte Uriko! Hai diciannove anni, goditi la vita!»  glielo sbraitò in faccia e poi, colto da un’improvvisa rivelazione, prese il cellulare dalla tasca. Quando rialzò lo sguardo, Urie pensò che magari poteva aiutarlo a morire prima «Ma è già il dodici! Tanti aug-»

«Non farlo o Sasaki mi cucinerà una torta e io non la voglio. Dimenticalo. »

Shirazu continuò a scuotere il capo, mentre si allontanava borbottando fra sé e sé, fermandosi solo quando si trovò ad orbitare di nuovo attorno a Yonebayashi, la quale si stava divertendo parecchio per essere una nerd incallita.

Kuki sospirò, constatando che erano in un locale rumoroso ad ascoltare musica latino americana di dubbio gusto. Era molto meglio se, in una condizione simile, nessuno si fosse ricordato che quel giorno lui era, a tutti gli effetti, un vent’enne.

Non avrebbe retto anche ai coretti. No, davvero.

 

 

Alla fine, i ‘dieci minuti’ chiesti da Urie si erano trasformati in altre tre ore di agonia. In ultimo, i sopravvissuti totalmente sobri alla serata sembravano solo quattro. Oltre lui, a comprendere cosa stesse succedendo in quel momento nel mondo, sembravano esserci solo Haise, Saiko e, ovviamente, il perfettino Takeomi.

Shirazu non era in grado di camminare diritto e come lui, nemmeno Masa sembrava molto in sé. L’aria fredda fece un po’ di effetto su entrambi, anche se ondeggiarono avanti e indietro fino alla fermata della metro, tenendosi a braccetto e ridendo in modo a dir poco fastidioso. Almeno per Urie. Ito sembrava morto. Camminava per inerzia, sostenuto da Kuroiwa che gli parlava senza ottenere una risposta concreta. Quello messo peggio, però, rimaneva Mutsuki, il quale non riusciva nemmeno a camminare. Completamente in coma, venne trasportato in spalla da Sasaki dal locale, per due minuti a piedi fino alla metro e poi, una volta scesi, per altri cinque minuti.

Avevano fatto bene a non prendere la macchina, in ogni caso.

Appena messo piede allo chateau, l’ennesimo dramma.

«Perché non rimanete a dormire qui? È tardi per mettersi al volante.» la proposta di Sasaki al cadavere di Ito e a Kuroiwa venne accolta molto positivamente da quest’ultimo. Urie in ogni caso non rimase ad indagare.

Seguendo Saiko, la quale li aveva salutati tutti immediatamente dicendo «Un gruppo di gentiluomini mi sta attendendo per una sessione notturna di D&D online», sparì al piano di sopra, pronto per una doccia decontaminante.

L’acqua bollente, scivolando sul suo corpo, portò via non solo il rodimento di culo, ma anche il sudore e lo schifo di quel locale. Se la godette tutta, rimanendo sotto al getto qualche minuto di più, prima di avvolgersi in un asciugamano, asciugandosi sommariamente. Aveva troppo sonno per essere preciso. Si infilò i boxer e un paio di pantaloni al ginocchio con cui di solito si allenava e, frizionandosi i capelli, tornò in camera sua cercando di ignorare il fatto che Shirazu avesse deciso di entrare a pisciare in bagno mentre lui stava ancora finendo di usarlo. Visto che il caposquadra sembrava non averlo nemmeno visto nonostante fosse andato a sbattergli addosso, Urie fece lo stesso e si dileguò a piedi nudi.

La pace, però, aveva abbandonato quei lidi.

Appena aperta la porta, trovò la luce accesa e Masa seduta sul davanzale della finestra socchiusa. La guardò, cercando di non lasciar scivolare lo sguardo sulle gambe lasciate nude  e fallendo miseramente nella cosa.

«Cosa ci fai qui?»

«Ho lasciato la mia stanza a Ito e Kuroiwa, non sapevo dove andare. Tutti gli altri già dormono e Shirazu non credo mi abbia sentito mentre lo chiamavano.»

Urie fece mente locale. Haise aveva parcheggiato Mutsuki nel letto, sostenendo che serviva un monitor per bambini nel caso si fosse sentito male. In fondo aveva quasi vent’anni, il povero Tooru, quindi un’ubriacatura non lo avrebbe ucciso. Sasaki aveva sistemato un secchio del pattume vuoto accanto al letto, una bottiglietta e del colluttorio sul comodino e poi si era a sua volta ritirato a dormire un paio di ore, visto che erano quasi le cinque. Saiko giocava al computer e a giudicare dai tonfi nella stanza accanto, anche il caposquadra era planato fra le lenzuola, collassando sicuramente vestito e senza coprirsi.

«Quindi devi stare in camera mia?»

«Ti infastidisco?»

Il ragazzo ci pensò su.

Urie poteva superare il fatto che Masa fosse in camera sua, con addosso solo una maglietta rossa un po’ sbiadita con su una stampa della casata Lannister – il fatto che avesse riconosciuto lo stemma gli faceva ampiamente capire che lei e Yonebayashi lo stavano trasformando lentamente in un nerd – e un paio di slip scuri. Poteva anche superare il fatto che dopo aver passato la serata seduto accanto a Kuroiwa, lei non  gli permettesse ancora di dormire anche se erano quasi le cinque.

Ma non poteva lasciar correre il fatto che stesse fumando in camera sua.

«Spegni subito quella sigaretta.»

«Non riesco a dormire se non fumo» fu la risposta quasi immediata, sintomo che se l’era preparata. Il ragazzo la guardò con la stessa intensità di sempre, pensando se fosse o meno il caso di buttarla dalla finestra aperta sulla quale se ne stava seduta. Masa tremò appena per il freddo, guardandolo divertita prima di sporgersi per soffiare fuori il fumo «Da quando ero al liceo, la nicotina mi rilassa. Se non fumo faccio gli incubi. Mi è anche capitato di recente, sai? Mentre rileggevo gli appunti del caso Embalmer. Mi sono addormentata e mi sono dovuta alzare a fumare.»

Urie pensò che fosse un grado piuttosto grave di malattia mentale, ma non disse niente. Si limitò a continuare a frizionarsi i capelli bagnati, andando poi a recuperare una maglietta comoda con cui dormire, che infilò.

«Sei scocciato perché parlo?» Masa non si era fermata nemmeno un attimo, riempiendo il silenzio con parole inutili. «Sei fortunato. Non mi pagano per farlo.» Un ultimo tiro e buttò il mozzicone dalla finestra, chiudendo fuori il freddo di inizio febbraio. Si passò le mani sulle braccia, scendendo dal davanzale con un piccolo saltello. Poi accadde qualcosa che l’altro non si sarebbe mai nemmeno sognato.

Masa non andò verso la porta.

Masa andò al letto.

«Che cazzo fai?»

«Dormo con te.»

«Prego?!»

Non è possibile.

«Nel mio letto ci sono Kuramoto e Takeomi! Dove dovrei dormire?!»

«Non qui!»

Entrambi si guardarono scossi dall’indignazione reciproca. «Sono la tua partner!»

«Esiste un divano al piano di sotto!»

A nulla valsero gli sforzi della ragazza di fargli capire che la notte il termostato si abbassava e sarebbe morta di freddo, oltre al distruggersi la schiena sui cuscini duri del mobile. Lui ribatté diverse volte che poteva non dormire in mutande e allora non avrebbe avuto freddo. La guerra andò avanti nonostante fossero tutti a letto e loro stessero praticamente urlando.

«Siamo ancora in un paese libero, Urie.»

«La libertà è ben altra. Ora fuori.»

Masa prese un lungo respiro, prima di guardarlo determinata. Gli si avvicinò veloce, con un balzo di gatto, mandandolo a sbattere coi fianchi contro alla scrivania per la sorpresa. Quella era la prima volta che la ragazza guardava il suo viso vagamente allarmato. Un sorrisetto smaliziato le increspò le labbra, mentre si sporgeva verso di lui, inclinando il viso di lato.

Quasi come se avesse intenzione di baciarlo.

Lui rimase immobile, praticamente di marmo, mentre lei lasciava scivolare il volto  ancor più verso destra, sussurrandogli all’orecchio.

«La libertà è dire alla gente ciò che non vuole ascoltare.»

Un battito di ciglia dopo lei si era ficcata nel letto, sotto al piumino nero, tirandoselo fino al mento.

«Non hai altre coperte?»

«Ti ho detto di metterti un pigiama, stupida!»

«Non mi piace, mi viene caldo dopo.»  Facendo spuntare una mano, la ragazza scostò le coperte, pattando il materasso accanto a sé per invitarlo a stendersi «Vieni dai, Cookie. È per una notte solamente, penso che anche un verginello come te sia possibile dormire con un paio di tette nel letto.»

Le risposte che vennero in mente a Urie furono entrambe molto poco carine. La prima era che di tette non ne vedeva poi così tante e la seconda era che, per Dio, era la sua fottuta camera e lui aveva la stessa proprietà decisionale di un cittadino della Corea del Nord. Poi però constatò che si sentiva sfinito, che erano quasi le cinque e venti del mattino e che tanto anche se l’avesse presa in braccio e sbattuta fuori di peso, lei sarebbe tornata.

La conosceva da poco più di due settimane ma aveva capito che molte battaglie, con Aiko, erano perse in partenza.

«Che non diventi un’abitudine» fu la sola cosa che riuscì a dire, prima di spegnere la luce e ficcarsi a sua volta sotto al piumone.

Che fatica, le donne.

Nel buio, lei ridacchiò piano «Ho vinto» soffiò a se stessa, per pura soddisfazione personale, mettendosi sul fianco.

Kuki si stese sulla schiena, invece, girando il viso per guardarla non appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità. La luce della luna filtrava nitida dalla finestra lasciata per metà libera dai pesanti tendaggi scuri, illuminandole una porzione del viso e la spalla. Anche lei lo stava guardando, con gli occhi grandi da gatta e una certa soddisfazione.

Rimasero in silenzio un attimo e alla fine lui si sentì in dovere di spezzare quella situazione «Hai vinto perché ti ho permesso di farlo.»

«Ti piace avere il controllo su tutto, vero? Interessante.»

Urie non comprese cosa la ragazza stesse intendendo e quindi, per giusta misura, non rispose. Si sistemò meglio col capo sul cuscino, chiudendo gli occhi e inspirando lentamente. Che strana ragazza.

Il frusciare delle coperte gli solleticò le orecchie, tanto fu lento e calibrato. Masa si era sollevata su un braccio, non aveva bisogno di aprire gli occhi per saperlo, perché poteva chiaramente percepire il suo respiro sul volto. Era molto più vicina di quanto lui avrebbe normalmente permesso, ma per qualche ignobile ragione, era sicuramente colpa di Shirazu che gli metteva in testa stronzate, non fece nulla.

Continuò a non fare nulla persino quando la mano della mora si appoggiò al centro del suo petto,scivolando sotto al bordo del piumino. Urie sperò con tutto se stesso che non si stesse accorgendo del battito accelerato del suo cuore, causato da quella vicinanza alla quale non sapeva come rispondere, ma a conti fatti era impossibile che non se ne rendesse conto.

Alla fine, dopo quelli che gli sembrarono minuti interminabili, Aiko si decise e si abbassò del tutto, andando a coprire le sue labbra con le proprie.

Di nuovo, Urie non seppe come reagire. Complici quel paio di drink e l’assoluta consapevolezza che poteva solo spingerla via e correre oppure rispondere a quell’accortezza, socchiuse le labbra, iniziando ad assecondarla senza nemmeno essere sicuro che fosse saggio.  Il suo cervello si spense da solo. La lingua della ragazza scivolava con lentezza studiata contro la sua, mentre la mano di Aiko si spostava dal petto alla sua guancia e poi indietro, percorrendo con i polpastrelli la parte rasata, fino a stringere fra le dita le ciocche più lunghe.

Fu lento e piacevole, fino a che Masa non si mosse. Spostò il peso sulle braccia, scivolando col corpo su quello dell’altro e  spostando la gamba destra oltre i suoi fianchi, portandosi a cavalcioni su di lui. Urie, a quel punto, aprì gli occhi come folgorato, guardandola sedersi sul suo bacino. Nella penombra della stanza la guardò, non riuscendo a scorgere la sua espressione. Fu solo quando la vide portare le mani alla maglietta e alzarla, scoprendo solo in parte la rotondità dei suoi seni, che qualcosa di razionale scattò nel suo cervello.

No, non deve succedere.

La prese per le spalle, ribaltando la loro posizione e spingendola con la schiena sul materasso mentre la sovrastava a sua volta. Lei lo guardò un po’ sorpresa, prima di schioccare la lingua «Che stupida, abbiamo appena finito di dire che ti piace condurre il gioco.»

Una scarica di brividi attraversò la schiena di Urie «Hai bevuto troppo» sussurrò, notando che la gola gli si era seccata improvvisamente. Sulle labbra sentiva ancora il sapore del dentifricio di Masa e del tabacco, mentre l’odore della giovane, che percepiva amplificato grazie ai suoi sensi di mezzo ghoul, gli iniziava a dare alla testa.

«Forse sei tu che non hai bevuto abbastanza» provò lei, allungando il collo per incontrare di nuovo le sue labbra. Quando Urie si scostò non le rimase altro che ributtare il capo sul cuscino, con un sospiro «Va bene, ammettiamo che abbia bevuto troppo. Sarebbe un problema?»

«Sì.»

Aiko lo guardò negli occhi e Kuki sapeva che sa quella posizione non poteva davvero vederli. Quando sul volto della ragazza apparve quella che sembrava costernazione, la lasciò andare, tornandosi a stendere.

«Scusami.»

«Non è successo niente.» Lo disse perentorio, come per farle capire che non avrebbero dovuto parlarne mai più. Facciamo finta che non sia successo per davvero e concludiamola qui. Si rimise sotto alle coperte, girandosi sul fianco opposto.

Peccato che tutta la stanchezza si fosse infranta con una fastidiosa mezza erezione e un turbinio di domande per niente simpatiche nella mente. Che fare? Doveva andare sul divano? Doveva rimanere?

Aveva passato l’intera serata a guardarla ballare con Ito, domandandosi perché non poteva semplicemente alzarsi e chiederle di ballare, per poter godere lui delle sue attenzioni e dei suoi sorrisi. Non sapeva nemmeno il perché ci aveva pensato. Masa non gli piaceva in quel senso. Almeno, ne era piuttosto convinto.

Quella era la situazione più assurda nella quale si fosse mai trovato e la sua mancata esperienza nelle relazioni sentimentali lo stavano portando forse a fare la figura dell’idiota. Senza il forse.

Avvertì Masa spostarsi di nuovo, scivolando dietro di lui. Quando si sollevò, lui trattenne il respiro. Non fece nulla però, lo baciò semplicemente sulla guancia, prima di accoccolarsi contro la sua schiena, tenendo una mano sul suo petto.

«Auguri di buon compleanno, partner.»

Oh. Oh.

«G….Grazie.»

Anche volendolo, non avrebbe detto altro. Non ce n’era bisogno, perché il respiro rilassato di Masa contro alla sua nuca gli provocò altri brividi, oltre che a dimostrargli che lei si era pacificamente addormentata.

Lui avrebbe preso sonno, invece?

In quel momento era sicuro che no, non avrebbe chiuso occhio.

 

 

«Spero che tu sia consapevole che è solo colpa tua se ora ti trovi in questa situazione.»

C’era qualcosa di estetico in Masa, con i capelli sconvolti, avvolta in una coperta, con addosso un paio di pantaloni lunghi della sua vecchia tuta dell’accademia. Senza dimenticare che se ne stava appoggiata con i gomiti alla tazza del water, dopo aver rimesso anche qualche organo insieme a tutto l’alcool trangugiato la notte precedente. Lui, da parte sua,  non aveva fatto altro se non portarla in braccio fin lì e sedersi su un piccolo sgabello di fronte alla sciagurata, reggendo in mano una stufetta elettrica per scaldare almeno l’ambiente del bagno, con il getto puntato verso l’agonizzata compagna.

Kuki non si era mai ritrovato nella condizione di dover indossare una giacca imbottita in casa, insieme a un maglione e due paia di calze. Dopotutto, non si era nemmeno mai ritrovavo a condividere la casa con un deficiente come Haise Sasaki.

Facciamo un passo indietro…

Urie si era stupito, svegliandosi, nel realizzare che alla fine in un modo o nell’altro si era addormentato. Anche piuttosto velocemente, visto che ricordava di aver interrotto un pensiero a metà.  La sorpresa era aumentata quando, avvertendo un certo prurito al naso, si era ricordato di non essere solo. La causa erano i capelli di Masa, che si era compattata in pochi centimetri di materasso al fine di rintanarsi contro il suo petto. Dormiva pacificamente, con una mano stretta a stringere la sua maglietta sul petto.

All’inizio non aveva compreso cosa stesse succedendo, poi i ricordi della notte precedente lo avevano investito, insieme alla consapevolezza che in camera sua si gelava. Letteralmente.

Si era scostato il più delicatamente possibile, non per accortezza ma perché non voleva affrontarla e, mettendosi seduto, aveva avvertito il gelo entrargli fin dentro le ossa. Cosa cazzo succede?! Chiunque avesse messo di nuovo mano al termostato sarebbe incorso nella sua ira funesta. Scostare il piumone era stato traumatico, ma almeno era riuscito a raggiungere l’armadio per prendere un maglione. Era stata l’anta a fregarlo, cigolando come quella di una vecchia casa infestata e svegliando la sua ospite.

Masa non era riuscita a dire molto. Urie aveva visto la sua pelle tingersi di una sfumatura verdognola e quando, alzandosi, era ricaduta sul tappeto come una pera cotta, non aveva avuto altre scelta se non portarla in bagno dove lei aveva iniziato a vomitare come in un orribile film splatter di serie b. E di lì non si era più spostata per i successivi quarantadue minuti, pregandolo solo di portarle qualcosa con cui coprirsi.

«Ti prego, prestami un paio di pantaloni. Se possibile, della tuta da scii.»

Dopo averla coperta alla meno peggio e aver recuperato il famigerato cappottone da montagna, aveva iniziato a cercare le cause di quel freddo polare. La colpa era ovviamente di Sasaki e Urie ebbe il tempismo giusto per sentirlo raccontare la sua mirabolante storia a Kuroiwa e uno Shirazu più morto che vivo, mentre invece Saiko sembrava allegra e pimpante e li ignorava totalmente, gustando la cioccolata calda che il loro leader aveva preparato per scaldarli.

«Non sono riuscito a chiudere occhio, ero preoccupato per voi.» aveva iniziato Haise, pulendo il viso di Yonebayashi nel suo grembiulino, mentre Urie si stringeva le braccia al petto, guardandolo con pietà negli occhi. Sei così stupido che mi fai venire voglia di piangere, Sasaki «Verso le sette mi sono alzato a preparare qualcosa per colazione e ho chiamato Arima.» improvvisamente, tutti alzarono la soglia di attenzione «Lui mi ha detto che qui in casa abbiamo sempre la temperatura molto alta e che se qualcuno si fosse svegliato con la nausea, allora si sarebbe sentito peggio….»

«…Così hai spento il termostato?»

Le guance di Haise si tinsero di rosso porpora, mentre annuiva. Kuki spostò gli occhi per non tirargli un pugno e concentrarsi su altro. Notò che fuori dalla finestra c’era un po’ troppa luce.

Aveva preso a nevicare.

 

L’ultima persona a resuscitare dal mondo dei morti fu Kuramoto Ito.

Non si fece vedere al piano di sotto fino all’una meno dieci e quando si palesò agli altri, era così pallido da far contrasto netto con la giacca nera sgualcita che aveva ancora addosso.

«L’alba dei morti viventi» aveva commentato però divertito, sicuramente in preda alla nausea e all’emicrania, ma positivo come suo solito, ficcandosi sotto la coperta di Saiko, la quale era già a sua volta addossata a Shirazu.

Quanto meno, per il suo arrivo, la casa aveva assunto nuovamente una temperatura vagamente decente. Haise aveva approfittato nell’avere tutti presenti, compresa Akira che era arrivata circa un’ora prima con un’intera farmacia in gastroprotettori e compresse di silimarina, per sparire nell’angolo della cucina, lasciandoli a vegetare sui quattro divani.

Mutsuki, che stava sorprendentemente bene, allungò una mano per rubare un salatino, continuando però a bere i litri di acqua che Sasaki si era raccomandato di assumere a tutti coloro che avevano deciso di sbronzarsi il giorno prima.

«Ora che state passando i venti anche voi, sappiate che non sarà più facile la vita» stava dicendo intanto Masa, tenendo il cellulare in una mano e un bicchiere nell’altra, mentre la coperta le scivolava un po’ di dosso, cadendo sulla spalla di Urie, seduto accanto a lei.

«Per favore, è una leggenda metropolitana quella dei venti.» aveva subito rilanciato il caposquadra dei Quinx, prendendo in mano uno dei codini di Saiko che sembrava sul punto di farsi una pennichella. Il che aveva senso, visto che grazie al gioco di ruolo su piattaforma virtuale, non era ancora andata a letto.

Akira lo guardò con compassione dal divano di fronte a lui, «Non puoi capire quanto in fretta il tuo fegato di dirà addio, Shirazu. Questa è stata solo la prima di una lunga serie di sbronze.»

«Andiamo, la persona più vecchia in questa stanza ha quasi venticinque anni e sono io.» si intromise immediatamente Ito, come se potesse in qualche modo tirare su di morale tutti quanti. Era ridotto peggio di uno straccio strizzato «Non siamo drammatici.»

«Mi dispiace dirtelo, Kuramoto, ma la più grande sono io.» proseguì divertita l’associato alla classe speciale Mado «E non illuderli di qualcosa di non vero. Sono grandi abbastanza per affrontare la realtà.»

«Tu sei bella e giovane come quattro anni fa, Akira.»

«Posso avere un attimo la vostra attenzione?» non appena Haise la chiese, Tooru abbassò il volume del televisore al minimo. Tutti voltarono il capo verso l’uomo che teneva fra le mani quella che sembrava una bellissima torta.

Urie pensò che doveva essere uno scherzo.

«Oggi è il compleanno di qualcuno» iniziò Sasaki, tutto pimpante, manco stesse parlando di un bambino. Appoggiò il piatto sul tavolino di fronte al festeggiato, con tanto di candelina già accesa, indicandogliela «Questa è una mousse vegetale. È una torta salata, visto che non ti piacciono i dolci.»

«Sembra buonissima» convenne Aiko, sporgendosi verso il dessert per guardarlo, mentre Shirazu cacciava fuori il telefono iniziando a scattare foto a destra e manca. Metà degli invitati non avrebbero mai e poi mai voluto rivedere le foto.

Sasaki tornò con un altro vassoio pieno di dolcetti di ogni tipo, anche mochi, mentre Tooru lo aiutava, iniziando a servire the nero per tutti.

«Avresti dovuto svegliarci per aiutarti» gli disse Mutsuki quando ebbe finito di distribuire le tazze.

Il prima classe scrollò le spalle «In realtà mi sono divertito, anche se non avevo assaggiatori. Spero sia tutto buono.»

«Forza Cookie» Masa riportò l’attenzione su Urie, battendogli il gomito nelle costole. Lui la maledì, quella situazione era imbarazzante «Esprimi un desiderio e vedi di non pensare una cazzata.»

Cercando di non pensare al fatto che tutti gli occhi dei presenti erano ora puntati su di lui e che gli scatti di Shirazu iniziavano a fargli venire voglia di costringerlo a ingoiare il telefono, spostò gli occhi serpentini sulla candelina. Cosa voleva davvero?

Per un attimo, in un flash, penso che gli sarebbe piaciuto tornare alla notte precedente. No, non doveva nemmeno provarci a fare quel tipo di pensieri stupidi. Aveva delle priorità. Alzò gli occhi su Sasaki che sorrideva incoraggiante da seduto sul tappeto accanto a Tooru e poi si sporse in avanti, soffiando.

Più di qualsiasi altra cosa voglio tornare ad essere il caposquadra dei Quinx. Non c’è niente che io voglia di più.

Uno scrosciare di applausi invase la stanza e poi tutti ripresero a parlare e commentare divertiti la serata precedente, mentre a lui rimaneva l’ingrato incarico di preparare le porzioni, mentre Haise gli porgeva piattini uno dopo l’altro.

Quando tutti ebbero il loro the, la loro torta e i loro dolcetti, anche il festeggiato iniziò a mangiare. Lanciò uno sguardo alla ragazza alla sua sinistra, che stava scambiandosi dei messaggi più o meno da tutta la mattina con un nome che era balzato sotto lo sguardo del ragazzo più di una volta, negli ultimi giorni.

Uzume.

Era un nome di donna, no?

«Qualcosa di tuo interesse?»

Il ragazzo alzò gli occhi in quelli gialli della partner, che gli stava sorridendo, masticando quello che sembrava un piccolo muffin viola ai frutti di bosco. Anche la torta era di quel colore e il fatto che Haise avesse imitato la sfumatura dei suoi capelli per il design dei dolci faceva largamente intendere che non poteva essere etero per nemmeno un 1% del suo essere. Come se poi ci fossero mai stati dubbi.

«Mi chiedevo chi ti fa stare al telefono così tanto.»

«Un’amica» fu la risposta un po’ evasiva di Aiko, che si allungò a prendere la tazza per tirare un piccolo sorso «Sei ancora geloso? Smettila, mi monto la testa.»

Masa portò l’indice dentro al piattino, raccogliendo un po’ di mousse sulla punta di esso, per poi andarla ad appoggiare sul naso del festeggiato.

«Cento di questo giorni, piccolo biscotto ventenne.»

«Non ti stanchi mai di dire cose che non hanno senso, vero?» Figurarsi…

Lei non colse la provocazione, ridacchiando mentre lo guardava pulirsi nel tovagliolo. Akira stava raccontando di quella volta che, dopo aver bevuto troppo, un suo superiore l’aveva riportata a casa e aveva deciso di passare la nottata a fare flessioni sul suo balcone come un maniaco, omettendo il nome del diretto interessato nonostante le insistenze generali, tutti per altro iniziavano a immaginare Houji come un maniaco, quando Kuroiwa li interruppe, attirando l’attenzione.

«Perdonatemi.» disse con il solito tono educato, eppure estremamente serio «Mutsuki, potresti alzare il volume del televisore? È successo qualcosa.»

Aveva ragione.

Appena il volume venne ripristinato, la voce concitata di un giornalista stava annunciando il motivo di quell’edizione straordinaria del telegiornale.

-….. ancora incerta è invece la stima delle vittime, ma è stato confermato da fonti certe, presenti sulla scena, che si tratta di un attacco del gruppo terroristico Albero di Aogiri.-

In contemporanea al cellulare di Akira, anche quelli di Ito e di Sasaki iniziarono a suonare. Tutti e tre si alzarono, allontanandosi dai divani mentre il resto del gruppo teneva lo sguardo puntato sulla scia di distruzione lasciata dal gruppo radicale di ghoul.

Mutsuki portò una mano sulla bocca, mentre una panoramica aerea mostrava i resti di un palazzo che pareva essere esploso dall’interno.

-Verso le tredici e venti di questo dodici febbraio 2016, un gruppo interno di Aogiri, avrebbe attaccato un deposito giudiziario del ccg, rubando, a detta di un superstite al massacro, tre camion e un paio di auto vetture. Il tutto è avvenuto nei pressi della già caduta base del medesimo gruppo di forze armate, nella diciannovesima circoscrizione. I morti, fra civili e dipendenti attivi nonostante il sabato mattina lo stabile fosse chiuso al pubblico, sono almeno una ventina. Secondo indiscrezioni, al momento dell’attacco, i ghoul presenti sulla scena non erano più di dieci, ma le loro azioni si sono rivelate ugualmente devastanti..

«Maledetti ghoul.» Urie quasi non realizzò di averlo detto a voce alta.

Shirazu prese un bel respiro «Addio ozio e festa.»

«Non dovremo occuparcene noi, vero?» si lamentò Saiko, guardando di sottecchi i presenti. Urie si stava alzando, abbandonando il piattino con ancora un pezzetto di torta al suo interno, diretto al piano di sopra per prepararsi.

«Credo di sì.» gli rispose Masa, prima di sporgersi verso Takeomi «La diciannovesima? Non abbiamo mai lavorato lì, vero? Chi è a capo di quella circoscrizione?»

Kuroiwa smise di guardare Ito, che stava sicuramente parlando al telefono con Take, voltandosi verso la ex collega «Non ci abbiamo mai lavorato perché non era mai successo niente. Quella è una circoscrizione tranquilla, di solito. Io mi ricordo solo che il gruppo di Aogiri che milita e controlla la zona si fa chiamare le Facce di Cuoio e il loro capo è un certo Labbra Cucite. Non so altro. »

«Mai sentito nominare in vita mia.» Shirazu diede voce al pensiero di tutti.

Masa si appoggiò al bracciale del divano, dove il corpo caldo di Urie aveva scaldato i cuscini, sospirando «Aogiri arruola nuovi adepti ogni giorno. Molti di loro sono ghoul pericolosi che cedono alle pressioni dei capi. La squadra Hirako ci lavora da moltissimi anni, ma ogni tanto salta fuori qualche nuovo piantagrane. Questo Labbra Cucite deve essere qualcuno che sta facendo carriera.»

«Come Black Rabbit» aggiunse Takeomi «O Miza delle Lame.»

«Signori» Akira attirò la loro attenzione, tornando per prima « Via i pigiami. Ogni squadra entra in azione da subito.»

«Che meraviglioso post sbronza.» Ito sospirò, guardando Takeomi con un mezzo sorrisetto. Nemmeno questo sembrava abbatterlo «Noi andiamo subito. Gli altri sono già arrivati e Take ha detto che possiamo anche non andare a cambiarci, perché è abituato al nostro odore muschiato. Che vuol dire, secondo te? Ha insinuato che puzziamo?»

«Ma voi puzzate.» sottolineò Masa, ricevendo una piccola pacca sulla spalla del biondo, che poi si sporse sul divano per stamparle un bacio rumoroso sulla fronte «Ci vediamo lì, piccolo tasso dorato. Sai che c’è, ora ti rinomino così sul telefono.»

«Questa me la segno.»

Ci furono solo altri saluti sbrigativi, corse per le scale e confusione.

Quando uscirono dalla porta, i Quinx avevano ufficialmente finito di festeggiare Urie.

Andava portato avanti un lavoro che non sembrava avere mai fine.

 

 

Continua.

 

 

⇀✸Nda✸↽

 

Non posso crederci che ho già finito anche il primo intermezzo.

Il prossimo caso sarà già meno tecnico e un po’ più dal punto di vista degli investigatori.

La criminologia in pillole v.v

 

Grazie a Maia per la betatura e a Virgy per il bellissimo commento <3.

Come sempre, grazie anche a chi legge solamente.

 

Alla prossima.

C.L.

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Capitolo 8
*** Il caso Kamata - 1 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

-Dovremmo farlo davvero, sai? Partire per Parigi, andarcene. Abbandonare tutto. Se non lo facciamo ora, finiremo come Orihara, come Osaki e come tuo padre. Come Shirazu. Io non voglio morire su un campo di battaglia prima di capire chi davvero voglio posso diventare.-

Urie si era convinto che la sua stessa mente stesse remando contro di lui perché, di tutti i momenti che lui e Masa avevano trascorso insieme in dieci mesi, quello era il solo in grado di distruggerlo completamente. Il ricordo della sua voce, dei suo occhi, del suo sorriso divertito, che pareva schernirlo con la dolcezza di un’amante. Erano tutte coltellate che lo paralizzavano in piedi come una statua, immobile in un dolore che non sapeva gestire. Cosa avrebbe fatto?

Come sarebbe andato avanti dopo questa ennesima perdita?

Non ne aveva idea e la sensazione di vuoto sotto ai piedi era destabilizzante tanto quanto la consapevolezza della perdita stessa.

Schiacciato dal peso titanico di quelle soffocanti domande, non aveva realizzato che al gruppetto già nutrito disposto di fronte al presidente, si era aggiunto anche Matsuri. Il rampollo dei Washuu aveva portato la documentazione che era stata richiesta e che ora suo padre e suo nonno stavano vagliando in silenzio. Sasaki si era spostato su un piccolo tavolo, al lato della stanza e stava rivedendo le deposizioni che i presenti avevano rilasciato. Nella stanza si poteva udire solo il frusciare dei fogli e qualche debole parola detta a mezza bocca dal direttore, ma niente di più. Riscuotendosi, Urie notò Matsuri. Notò anche che in piedi erano rimasti solo lui, Hirako, Arima e Suzuya. Gli altri erano stati lasciati andare, perché in fin dei conti, avevano perso gran parte dell’azione. Sotto lo sguardo indagatore del classe speciale Washuu, Urie non riuscì a non voltare il volto per sfuggirgli. Sentiva il suo disappunto, ma anche un apprensione che non avrebbe dovuto rivolgergli.

Quel sentimento di folle desiderio che lui stesso aveva provveduto ad alimentare come un fuoco ora lo metteva a disagio. Molto più di quanto mai avrebbe potuto immaginare.

Cercò di concentrarsi su altro, per non aggiungere un carico da novanta al peso che gravava sul suo petto, anche se in fondo Matsuri che poteva disapprovarlo non era nemmeno vagamente paragonabile al resto delle sue preoccupazioni. Non aveva fatto in tempo ad assicurarsi che Mutsuki stesse bene, per esempio. Non aveva voluto tirarlo in mezzo a quel casino e approcciarlo in quel momento avrebbe fatto sorgere delle domande. Senza contare che avrebbe voluto parlare di nuovo con il resto della squadra, come un vero leader. Quella notte, invece, non aveva fatto altro che guardarli seduti su quei divani, perplessi e vagamente spaventati per ciò che poteva essere successo.

Li aveva guardati uno ad uno e poi, cercando di ostentare non curanza, aveva detto che c’era stato un incidente alla sede centrale. Aveva blaterato qualcosa su Aogiri e poi aveva detto la sola cosa che davvero era importante riferire: “Masa è morta.” Poi aveva voltato le spalle al volto spiazzato di Higemaru, che lo aveva pregato di rimanere, di spiegare cosa era successo di preciso. Lo aveva implorato di dire loro il perché. Urie però non lo sapeva il perché. Aveva preso il poco di se stesso che ancora riusciva a rimanere insieme ed era andato a darsi una rinfrescata in vista della riunione straordinaria, lasciando Aura a fissare un punto imprecisato del pavimento e Saiko a piangere fra le braccia di Hsiao, anch’essa del tutto attonita nel suo mutismo.

Era stato uno sparo nella notte, una bomba che aveva squarciato la loro normalità. Stava per succedere di nuovo? Stava per squarciarsi di nuovo la loro vita?

Aveva affrontato la lacerante certezza che un’altra parte di sé sarebbe diventata irrecuperabile a muso duro, recandosi in quel posto e rimanendo in piedi per oltre un’ora e venti.

E nessuno si era ancora preso la briga di interpellarlo.

I superiori presenti avevano chiesto a Hirako di raccontare la sua versione e lui era stato incredibilmente preciso, anche troppo. Aveva ricevuto la chiamata, aveva  portato il suo culo fin lì e poi aveva ammazzato una persona. Quindi era andato a fare colazione con Arima per ‘calmarsi’. Un moto di rabbia lo aveva riscosso. Poi avevano chiesto ad Arima di confermare la deposizione del suo pupillo e si erano chiusi a scartabellare carte su carte.

Tutto questo è ridicolo. Vi odio tutti, dovevate morire voi. Non lei. Dovreste morire adesso. Dovrei uccidervi io.

«Primo livello Urie, dovrei farti una domanda.» Fu Sasaki a riconoscere la sua effettiva presenza. Lui si voltò a guardarlo girando solo il capo, facendogli capire che era in ascolto mentre i suoi occhi scivolavano sulle mani inguantate di rosso dell’ex leader dei Quinx.

Tu dovresti morire per primo, mostro. Hai lasciato tutto a me e io non so cosa fare.

«Ti ha interrogato il classe speciale Houji, vero?»  Urie annuì, non sprecando la sua voce per dare un’informazione che poteva tranquillamente leggere da solo nel foglio che teneva di fronte «Hai dichiarato di esserti recato sul posto perché hai avuto una sensazione? Cosa significa di preciso?»

Con la coda dell’occhio, Urie notò come tutti lo stessero fissando, in attesa «Non so come spiegarlo, associato alla classe speciale Sasaki. Semplicemente ho avuto un’intuizione che stesse per succedere qualcosa.»

«Come mai?»

Con tutta la calma del mondo, Urie inspirò «Perché Masa ha detto qualcosa che me lo ha fatto intuire, qualche giorno fa.»

«Sapevi quindi che l’agente di prima classe Masa aveva intenzione di avanzare una tale presa di posizione?»

Mi vuoi incastrare, maledetto stronzo?! «Certo che no, lo avrei impedito. La vita dei miei compagni vale molto di più di un’azione eroica.»

Haise non rispose, ma lo guardò esattamente come se non gli stesse credendo. Come se pensasse che Urie aveva usato una scusa di comodo e che lo conosceva. Che sapeva che non era così tanto altruista e in circostanze simili no, non lo era stato. Sasaki scarabocchiò un paio di parole al margine del documento, prima di sistemarsi gli occhiali da vista sul naso «Un ultima cosa.» gli fece sapere, senza guardarlo. Sembrava sul punto di dirgli che gli faceva schifo, che in fondo non lo aveva mai apprezzato e che lasciare a lui i Quinx era stato il più grande errore della sua vita, ma non lo disse. Fece di peggio «Masa ha chiesto il trasferimento di unità a tempo determinato. Nonostante ciò, è rimasta a vivere allo chateau, è corretto?»

Urie strinse i denti «Sì, esatto.»

«Perché voi due avevate una relazione pubblica? Per questo non si è trasferita nella sede adibita alla squadra Suzuya, nella tredicesima?»

Il ragazzo rimase in silenzio, senza parole. Poi, umettandosi il labbro inferiore con la lingua, trovò la forza per rispondere «Non comprendo la pertinenza di questa domanda.»

«Rispondi e basta, primo livello Urie.» lo ammonì severamente il direttore.

«Mi serve per avere un quadro definito della questione.» gli rispose Sasaki, cercando di ammorbidirsi. Il volto di Urie trasudava disprezzo, così l’altro dovette abbassare ancor di più i toni. «Siamo tutti stanchi e io non ti sto accusando di nulla» gli fece sapere brevemente, «Vogliamo tutti andare a dormire, quindi non farla difficile: avevate una relazione pubblica e per questo lei è rimasta allo chateau o no?»

Non aveva scelta. «Non era pubblica.»

«Ma era una relazione di qualche natura?»

«….Sì.»

Kuki si rifiutò di guardare i suoi superiori. Era il caposquadra dei Quinx e aveva una relazione con il suo vice. Il che era di per sé abbastanza sconveniente, se poi aggiunto al modo in cui le cose gli erano sfuggite di mano così in fretta e alla conseguente richiesta di trasferimento a tempo determinato di Aiko, il quadro non era per niente positivo per lui.

Mi meriterei la prigione. Mi meriterei molte cose.

Sasaki sembrava stesse facendo quanto in suo potere per far sembrare ogni sua azione come preterintenzionale o colpevole. «Per me possiamo anche finirla qui.» concluse alla fine proprio Haise, guardando verso la scrivania del presidente «Sono pronto ad aprire un’indagine, se mi verrà ordinato.»

L’avrebbero aperta eccome. Lo avrebbero fatto sicuramente anche senza l’ultima affermazione che uscì dalla bocca di Suzuya e che riuscì a raggelare la stanza, strappando il poco di colore dal volto di Hirako e lasciando senza parole l’intero clan Washuu. Persino Urie rimase immobile, con gli occhi leggermente sgranati sul piccolo uomo al suo fianco. Nessuno se lo aspettava, ma alcuni dettagli di quella notte avrebbero minato per sempre la fiducia che i vertici potevano avere nei confronti non solo del caposquadra dei Quinx, ma anche di un altro membro.

Alla fine di quella storia, se l’intuizione di Juuzou Suzuya si fosse rivelata vera, non sarebbe stata la testa di Urie Kuki a cadere.

«Le ultime parole di Aiko-chan sono importanti. Abara mi ha detto che anche se nessuno mi ha ancora interrogato, devo riferirle al presidente.»

 

Capitolo sette.

Haise non smetteva di osservare la ragazza del Re spostarsi con grazia e un sorriso caloroso da un tavolino all’altro. Teneva il mento appoggiato al palmo della mano, mentre la studiava discretamente, chiedendosi perché ogni qualvolta che l’aveva attorno, avvertiva una piacevole pressione alla bocca dello stomaco.

La sua vita era una continua altalena di emozioni, un rollercoaster di sentimenti discordanti e indecifrabili. Viveva sospeso fra il presente e il futuro, privato del passato. Avrebbe potuto trovarsi di fronte suo padre  o il suo migliore amico e non li avrebbe mai riconosciuti, eppure quella ragazza aveva smosso qualcosa nella sua mente che ora faticava a tornare al suo posto. Si era aperta una ferita profonda nelle sue convinzioni e la lacerante consapevolezza del sentirsi spaccato in due – una parte felice e una che si convinceva di esserlo- ogni tanto gravavano su di lui rendendogli difficile il sonno.

Grazie al cielo aveva i suoi ragazzi ad aiutarlo a distrarsi.

Bé, forse non era una fortuna, dopotutto.

«Perché non le chiedi di uscire, mamma?»

Saiko fece capolino nel suo campo visivo, facendogli sbattere le palpebre un paio di volte, non comprendendo quel che gli era appena stato detto «Uhm?»

«Alla cameriera. Perché invece di fissarla come un futuro stupratore seriale, semplicemente, non la inviti ad uscire? Magari non a prendere un caffè, però.»

Tutto il suo viso e fino alle orecchie si accesero di un rosso sgargiante per l’imbarazzo. Haise si raddrizzò in un colpo solo, fissando incredulo Yonebayashi che sorrideva sorniona di fronte a lui «Non potrei mai!» pigolò insicuro, prima di infossare il capo fra le spalle.

A compiere il danno ci pensò Shirazu «Perché no? Per caso non… Rientra nei tuoi gusti

In qualche strano modo, Sasaki divenne ancora più rosso, tanto che Mutsuki temette per la sua vita. Rischiava di accendersi per autocombustione, come un fiammifero «No! Sì! Non lo so! Shirazu, parliamo d’altro.»

Il caposquadra dei Quinx sorrise, convinto di essere nel giusto «Scopriamolo.» alzò una mano, attirando l’attenzione di Touka, mentre Sasaki e Mutsu si irrigidivano, lasciando invece piacevolmente divertita Saiko «Ciao Kirishima» le disse quando lei si fu fatta vicina.

«Volete un altro giro di caffè?»

«Per quello aspettiamo i due dispersi» le fece sapere Ginshi, mentre nessuno provava a fermarlo. «Senti, ti piacerebbe uscire con il mio capo?»

Haise passò dal rosso semaforo al bianco cadavere in tre secondi netti. Praticamente era di marmo a quel punto, quando la ragazza passò gli occhi su di lui, un po’ imbarazzata.

«Oh, mi dispiace» disse loro, seriamente mortificata «Ho il ragazzo.»

Silenzio.

Gli occhi di Sasaki scivolarono fino al bancone, dove il signor Yomo se ne stava serafico a fissarli.

«Peccato, sarà per la prossima volta» concluse pacifica Saiko, lasciando andare la povera malcapitata e sporgendosi per mettere la mano su quella di Haise «Non preoccuparti mamma, sei ancora bello e giovane. Troverai anche tu un principe azzurro che ti porti via sul suo cavallo bianco.»

«Grazie» fu la risposta sbrigativa di Sasaki, che ricambiò la stretta alla mano mentre riprendeva a respirare come un essere umano normale.

«Potrebbe essere il ragazzo con gli occhiali che spesso aiuta qui?» Tooru lo chiese con sincera curiosità, appoggiando un dito al mento, mentre Haise corrucciava la fronte. Non credeva di aver mai visto nessuno dietro al bancone, eccetto Yomo-san e Touka.

«Spero di no, è acido come il latte scaduto» le rispose Shirazu, giocherellando con una briciola sul ripiano del tavolino. Poi controllò l’ora «Masa e Urie sono ancora dispersi» constatò, sorridendo poi maliziosamente verso Saiko e Sasaki «Magari hanno usato quella scusa ridicola per rimanere soli e scopare.» sussurrò con tono cospiratorio, facendo sospira gravemente Mutsuki.

«Masa ha perso il badge» gli fece notare Haise, per la millesima volta da quando erano arrivati « Senza non supera i tornelli per entrare in ufficio.»

«E grazie a questa perdita Urie si è ritrovato con le braccia infilate fino al gomito nel cesto della biancheria sporca di Masa» gli fece notare sempre ammiccante Shirazu.

«Non sembrava felice della cosa» soppesò Tooru, appoggiandosi con il capo alle mani, mentre lanciava uno sguardo a Sasaki «Secondo me ha maggiori possibilità di vittoria Saiko, professore.»

Yonebayashi lo guardò con gli occhi a cuore «Oh Macchan! Ho sempre saputo che tifavi per me!»

«Guardate che la sfida è ancora aperta» fece presente Shirazu, senza scomporsi «Io so di avere la vittoria a portata di mano. Urie deve solo uscire dal tunnel dello sfigato verginello e cogliere l’occasione.»

«Non è educato scommettere sulla vita sessuale dei tuoi amici.» lo riprese Haise, con tono paterno, ottenendo come risposta uno sguardo di puro rimprovero.

«Tu che scommetti sui sentimenti saresti meglio, Sassan?»

L’altro lo guardò quasi offeso, arrivando addirittura ad appoggiarsi una mano sul petto, come per fargli capire quanto invece sperasse nel meglio «Io spero che trovino l’amore!»

«Buon per te mamma, anche io lo spero, ma non ci ho buttato dei soldi. Pensa se dovessero lasciarsi perché lui l’ha tradita. Starebbero malissimo entrambi» gli fece notare Saiko, con un velo delicato di malignità nella voce, mentre prendeva un sorso di latte macchiato, sporcandosi così il labbro superiore.

«Lei lo ha tradito» la corresse al volo Shirazu, con tono saccente «Non credo che Urie sappia nemmeno come è fatta una vagina. La prima volta che finiscono a letto uscirà dalla stanza con la faccia di chi ha avuto un’esperienza trascendentale e non parlerà per due giorni.»

«Almeno ce ne accorgeremo subito, no?»

«Accorgervi di cosa?» la voce di Urie li face saltare tutti sulla sedia. Lui e Masa erano sgattaiolati verso di loro in silenzio, cogliendoli in fallo ma perdendosi purtroppo tutto il discorso.

Panico.

Haise balbettò due parole mentre invece Mutsuki e Saiko riprendevano a bere le loro bevande per svicolare qualsivoglia domanda. Aiko, che in tre nanosecondi arrivò a capire di cosa si potesse trattare, aprì il trench sul petto per sfilarlo, non riuscendo a sorridere divertita.

Alla fine, per salvare capre e cavoli, Shirazu sparò la prima cosa che gli venne in mente «Se a Sasaki possono piacere le donne» spiattellò senza pudore, mentre Touka affiancava il tavolino dove si erano messi Masa e Urie per prendere le loro ordinazioni, godendosi la scena «Per questo abbiamo chiesto a Kirishima, ma lei è una così bella ragazza da avere reso molto fortunato un altro giovincello.»

«Mi dispiace di aver rovinato il vostro esperimento di antropologia sociale» disse la cameriera, prendendo la matita da dietro l’orecchio, per poi guardare i due appena arrivati «Cosa vi porto, agenti?»

«Un caffè senza zucchero e un cappuccino al ginseng» ordinò Kuki, senza nemmeno pensarci, visto che ormai in quel bar erano di casa.

Aiko si sporse verso di lei con un sorrisetto da bambina «E una fetta di torta al cioccolato.»

«Arrivano» rispose la cameriera, prima di lanciare un’occhiata risentita a Sasaki, che riuscì ad impallidire per l’ennesima volta, prima di sparire.

«Quindi» Masa appoggiò il cellulare sul tavolino, guardando il mentore dei Quinx «Ci siamo persi una bella figura di merda, ma ne abbiamo procurata una seconda. Un ottimo modo di affrontare la settimana lavorativa.»

«Hai trovato il badge?» chiese Shirazu, mentre Haise profondava il viso fra le braccia incrociate sul tavolino, brontolando qualcosa e permettendo a Mutsuki di passargli una mano sulle spalle, a mo’ di consolazione.

«Sì, era nel suo trench» rispose la mora indicando il partner, che roteò gli occhi «Lo aveva scambiato per il suo perché è ritardato.»

«La motivazione non fa una piega» commentò Shirazu «Ci avete comunque messo un sacco.»

«Il genio si è perso» fu la risposta masticata di Urie, mentre Masa alzava un sopracciglio, guardandolo esattamente come avrebbe guardato un deficiente. «Cosa c’è adesso? Io ti avevo detto di andare a destra.»

«Infatti siamo andati a destra» rilanciò lei immediatamente, dandogli a mala pena il tempo di finire la frase «E ci siamo persi grazie a te. Ti avevo detto che all’uscita della metropolitana era meglio chiedere a qualcuno e non andare a caso.»

«Abbiamo chiesto a un gruppo di ragazzini che si stavano facendo le canne» di nuovo, Urie usò il tono migliore per farle pesare la situazione «Che sono scappati senza dirci niente e buttando l’erba che tu hai intascato.»

«Si chiama sequestro.»

«Da quando siamo della narcotici?»

«Bambini vi prego, è lunedì mattina» Haise, che stava avendo solo dei desideri di morte, giusto per smettere di soffrire, portò le mani agli occhi. Se li strofinò per bene, prima di guardarli attentamente tutti e due «Da oggi affiancheremo il classe speciale Houji in un caso che sta andando avanti da diversi mesi, quindi mi servite lucidi e calmi. E non voglio sapere cosa ne farete dell’erba.»

«Io sì invece» si intromise Shirazu e Aiko gli strizzò l’occhiolino. Urie li guardò entrambi come se volesse picchiarli con il tavolino «Dai non fare il geloso, rimarrai sempre il preferito di Massan.»

«Non lo è mai stato» sbuffò in una mezza risata la mora, ringraziando Touka che aveva appena portato le loro ordinazioni.

Haise le sorrise, sperando di farsi perdonare, per poi arrendersi e cacciare fuori un fascicolo non appena la cameriera si fu allontana.

«Va bene ragazzi, qualche anticipazione su ciò che sentirete anche alla riunione.»

Tutti si fecero seri, avvicinando il capo per guardare il plico di fogli spesso che Sasaki teneva di fronte a sé.

«Il caso Kamata…»

 

 

«Kamata è un quartiere densamente popolato al centro dell’undicesima circoscrizione. A causa della sua posizione, è molto difficile mandare avanti le indagine, poiché delle quattro sedi dislocate dell’agenzia antighoul dell’undicesima, solo una resiste ai continui attacchi da parte dell’Aogiri, che la fa da padrona. Per questo motivo, lo smantellamento del clan Noburiko procede a rilento. Ci sono però stati dei vantaggi, dall’arrivo di Aogiri su questa zona. Il clan ha smesso di spacciare droga e gestire le trattative per l’importazione illegale di armi pesanti e da assalto e ha concentrato la sua attività in un giro di prostituzione piuttosto articolato. La nostra priorità è l’annientamento totale di questo clan di ghoul, di cui è rimasto ormai un solo esponente: un nipote del boss, ovvero Osho Noburiko. Se non ci sono domande, passerò ad illustrarvi i due attacchi che verranno rispettivamente sferrati a due location diverse a distanza di una settimana.»

Kousuke Houji passò gli occhi sottili su ognuno dei presenti, soffermandosi poi sulla mano alzata che svettava dal piccolo gruppetto di sedie che ospitava i Quinx.

«Mutsuki, dico bene?»

L’agente di terzo livello si alzò in piedi, facendo un piccolo e rispettoso inchino «Sì, classe speciale» rispose con garbo, prima di proseguire, incoraggiato da un cenno del capo dell’operazione «Mi chiedevo…. Se posso porre una domanda riguardo a questo giro di prostituzione.»

«Certamente, terzo livello.»

Tooru si morse il labbro inferiore, passando lo sguardo sulla cartina appesa alla parete, prima di parlare nuovamente «Di cosa si tratta di preciso? Donne umane?»

«No, in realtà no» rispose immediatamente l’uomo, infilando una mano in tasca e appoggiando l’altra sullo schienale della sedia di fronte a lui «Sono per lo più femmine ghoul, ma i clienti sono spesso umani.»

Shirazu lanciò un’occhiatina a Urie, che ricambiò freddamente, come per intimargli che se avesse detto una cazzata, sarebbe stata l’ultima.

Per fortuna non lo fece.

«Lo scopo di voi Quinx è solo quello di dare supporto durante questi attacchi» chiarì Houji, guardandoli tutti uno ad uno, prima di cercare gli occhi di Sasaki «Questo è un caso che mi sta molto a cuore, perché il clan Noburiko è nato nella quinta circoscrizione, la quale è sotto la mia responsabilità. Anche se hanno cercato di spostarsi, forse per riprendere i loro vecchi affari utilizzando il porto, sono ancora una mia preoccupazione. I Quinx avranno a disposizione tutto il materiale di indagine, ma a loro chiedo solo di aiutare nel lavoro sporco.»

«Lo faremo senz’altro, classe speciale.» Sasaki confermò la loro partecipazione e nell’ora e mezzo che seguì, Houji snocciolò loro ogni minimo dettaglio su ciò che sarebbero stati i due attacchi: modalità, orari e locazione geografica.

Quando anche l’ultima virgola venne recitata a dovere, il classe speciale li liberò, ringraziandoli per la collaborazione con quello che sembrava un pallido tentativo di sorriso e lasciandoli nelle mani di Akira.

Haise le si affiancò con un sorriso sulle labbra, pronto a dirle che era molto felice di poter lavorare gomito a gomito, ma lei era presa ad ascoltare ciò che i Quinx stavano dicendo. Quando colse il discorso, si pietrificò come un padre messo in ridicolo da una progenie ribelle.

«Non posso crederci che non ti sei mai fatto nemmeno una canna» stava dicendo Masa, con tutta la nonchalance del mondo, appoggiata a Shirazu che se ne stava seduto sul tavolo che aveva ospitato i loro superiori poco prima «Non hai mai fatto sesso, non hai mai fumato…. Cos’è che facevi di preciso all’accademia, scusa?»

Urie la guardò male, alzando gli occhi dalla sua copia del rapporto, piena di sbrigativi appunti e disegnini «Mi allenavo per diventare un ottimo investigatore. Tu, invece?»

«….Scopavo e fumavo!» tutti e tre gli altri esplosero a ridere di fronte a tanto candore. Masa invece sembrava solo allibita «Assurdo! Sei una persona così noiosa da farmi venire voglia di piangere! Ti sei perso un sacco di tappe importanti nella crescita e moltissime esperienze divertenti. Io e Takami, una volta, eravamo così fatti che abbiamo visto lo stesso foglio trasformarsi in un camaleonte, nello stesso momento e con gli stessi colori!»

«Persino io ho fumato, una volta» gli fece sapere Saiko, masticando una stecca di liquerizia rumorosamente «E io non avevo amici con cui farlo!»

«Chi non ci ha mai provato, andiamo. Eccetto Drama-kun, ovviamente»  continuò Shirazu, guardando con delusione profonda Urie.

Tooru prese un respiro «Anche io non facevo…. Molto, in accademia.»

Masa gli portò un braccio attorno alle spalle immediatamente «Ti apriremo un nuovo mondo, non temere. Tu sei recuperabile, Mutsu.»

«Lui no» aggiunse Shirazu, rischiando davvero di vedere la matita che Urie reggeva in mano conficcata in uno dei suoi occhi.

«Sono così mortificato» sussurrò Haise, con le mani sulla faccia, parlando al suo superiore, che smise quindi di origliare le conversazioni dei ragazzi.

«Per cosa? È un bene avere dei ragazzi così navigati in squadra» a sorpresa, l’associato alla classe speciale Mado sembrava molto divertito dalla situazione «Vorrei raccontarti cosa ho fatto io, in accademia, ma poi non mi guarderesti più in faccia.»

«…Meglio che non sappia nulla, allora.»

La bionda si concesse una piccola risata che le scrollò le spalle e le fece arricciare il naso, prima di appoggiare le mani sulle braccia dell’altro «Divertiti anche tu, Haise. Non sei ancora così vecchio da dover fare da madre.»

Perché nessuno si rivolgeva mai a lui come a un padre, ma tutti come a una madre? Sasaki se lo chiese, ma per risposta, le rubò un abbraccio. Poi si staccò in fretta per paura di ricevere una quinque in pancia «Ci proverò. Grazie per le spiegazioni di oggi, ti tengo aggiornata sul nostro schema di attacco per la retata.»

«Va bene, buona giornata allora.» Mado salutò  anche i ragazzi, che con calore le auguravano di rivedersi presto.

Sasaki batté quindi le mani per attirare la loro attenzione «Andiamo a pranzo» decretò con tono stanco, come se quella giornata fosse destinata a non finire mai «Decidete un posto ma state leggeri, oggi dobbiamo lavorare e non abbiamo tempo per il pisolino pomeridiano.»

Concluse guardando soprattutto Saiko. 

«Nessuna proposta vegetariana!» disse Masa, uscendo per prima dalla stanza sempre tenendo stretto Mutsuki e subito seguita da Saiko, che sosteneva che aveva voglia di Katsudon e che quindi dovevano trovare un buon locale che lo sapesse preparare a dovere.

«A me va bene qualsiasi cosa» disse Shirazu, mentre aspettava che Urie e Haise finissero di sistemare i documenti nelle loro cartelle. Si sporse col collo oltre la porta, cercando di vedere se le ragazze e Tooru fossero ancora in zona, per poi parlare al collega molto spicciolo «Quindi, cosa stai aspettando ancora? Una chiamata divina? Che ti piovano i preservativi in testa? Che me la scopi io? Fammi capire

Urie parve non cogliere molto e a dirla tutta, nemmeno Sasaki. Shirazu non poteva crederci che doveva ridursi così, sottolineando il soggetto e il verbo, perché quei due sembravano Spock in certe situazioni. Soprattutto quelle di natura intima.

«Masa» sillabò a Urie, alzando le mani e iniziando a gesticolare «Ti ricordi cosa ti ho detto in discoteca? Perché io me lo ricordo.»

«Chi l’avrebbe mai detto, visto quanto hai bevuto.»

«Cosa stai aspettando ad andarci a letto?» insistette Ginshi, sinceramente frustrato, manco fosse lui quello che non poteva fare sesso per chissà quale impedimento. Haise lo chiamò per rimproverarlo, ma non riuscì a fermarlo «Siete sempre insieme, sai addirittura come prende il caffè! Sai cosa significa, vero? Che il prossimo passo è quello. Non è difficile, lo giuro, devi solo sfilarti i pantaloni e sono sicuro che lei farà tutto il resto!»

«Ora basta, esci.» Sasaki iniziò a colpirlo con la sua tracolla, spingendolo verso la porta.

«Mi stai davvero picchiando con una borsa, Sassan?!»

«Esci!»

La porta si chiuse dietro al prima classe, che sembrò spossato da quella sorta di guerra fra nonne in fila alle poste. Passò una mano sulla fronte che si era leggermente imperlata di sudore e poi alzò deciso lo sguardo in quello di Urie, che per un attimo sentì dei brividi lungo la schiena. Non gli piaceva il modo in cui lo stava guardando.

«Urie, siediti. Dobbiamo parlare»

Oh no. Per favore, no.

«Dovremmo andare, ci aspettando per il pranzo.»

«Possono attenderci per cinque minuti.»

Non aveva vie di fuga. Urie si rimise seduto e in un attimo, Sasaki prese posto di fronte a lui, guardandolo imbarazzato. Se era Haise quello che partiva a disagio, l’esito di quella conversazione informale si sarebbe rivelato catastrofico.

Kuki si diede come obiettivo quello di rimanere impassibile.

«Non voglio indagare le relazioni interpersonali del mio team» iniziò come premessa il prima classe, invalidando tutte quelle belle parole con il resto del discorso «Però mi sento in dovere di prendermi cura di voi e del vostro benessere non solo mentale, ma anche fisico. Urie, il consenso è molto importante, soprattutto nelle prime relazioni affettive. Quindi ti pregherei di parlarmi se qualcosa dovesse diventare motivo di disagio.»

Il ragazzo alzò le sopracciglia, sorpreso «Credo che Masa sappia molto bene cosa fare. Non ha bisogno che tu faccia discorsi per proteggerla.»

«Infatti non parlo di Masa. Sto parlando di te. Che lei se la cava lo so benissimo.»

Esternamente, Urie non manifestò nessuna reazione eccetto un leggerissimo rossore sulle guance. Internamente, invece, era esploso con l’intensità di cento petardi cinesi. Rimase rigido come una tavola da surf su quella sedia, guardando l’altro vacuamente, come se in realtà non lo vedesse davvero.

Solo a quel punto Sasaki registrò che forse aveva esagerato e provò a raddrizzare il tiro.

«Sono felice che vi troviate in sintonia!» nel panico, iniziò a sua volta a gesticolare, in una quasi imitazione di ciò che aveva fatto poco prima Shirazu «Spero che questo non infici sul vostro lavoro, però mi fido di entrambi e so che non sarà così! Sono contento se avete una certa chimica, ma non deve essere per forza come dice Shirazu. Non deve essere per forza solo sesso, non credo che dovresti buttarti via così e a prescindere dalla scommessa, credo fermamente che tu dovresti pensare molto bene a cosa provi per Masa Aiko e fare quello che ti senti.»

Urie rimase fermo a una sola frase «Scommessa? Che scommessa?»

«…Del destino!»

«Sasaki…»

«Sei un ragazzo giovane ed è normale non aver ben chiaro cosa provi per un’altra persona, soprattutto se non hai mai sperimentato questi sentimenti prima di oggi. Se vuoi parlarne, io ci sono e sarei onorato di aiutarti in un momento così delicato. So che non sempre ci capiamo, ma per me sei una persona importante e voglio che tu sia felice. Sareste una bellissima coppia, il vostro legame è indubbio anche perché di solito ti comporti come uno stro…. Come una persona un po’ strana, eccentrica, invece da quando Aiko è arrivata tu-»

«Fermati, ti prego, preserva un minimo di dignità.» afferrandosi la radice del naso fra indice e pollice, Kuki chiuse momentaneamente gli occhi. Voleva ucciderlo così tanto, ficcandogli il kagune in gola e impedendogli di aggiungere altro. Quando tornò a fissarlo, Haise lo guardava contrito «Io non ho idea di cosa voi quattro malati di mente abbiate scommesso su me e Masa e non so nemmeno come lei lo abbia capito, ma ti dico quello che ho detto a lei quando me ne ha parlato: solo gli sfigati scommettono sulla vita degli altri invece di cercare di valorizzare un minimo la loro.»

Con uno scatto si alzò in piedi, afferrando il trench con una mano e la tracolla di pelle con l’altra «Tutto questo ti sembra professionale? Sei il nostro capo e ti concentri sulle nostre relazioni interpersonali, parlandone come una ragazzina a un pigiama party. Smettila di comportarti come se fossi mio padre o un mio amico, perché grazie a Dio non lo sei.», sfrecciando poi fuori dalla stanza e lasciando il leader a boccheggiare come un pesce rosso.

«…Ho fatto un guaio.»

 

 

Continua.

 

 

 

♠ Nda ♠

 

As always, ringrazio la mia coinquilina Maia per la betatura.

Lo scorso capitolo non ha riscosso molto successo, spero di rifarmi con questo nuovo caso.

Se non vi piacciono i capitoli divertenti non temete, ce ne saranno pochi.

 

A presto,

C.L.

 

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Capitolo 9
*** Il caso Kamata - 2 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

Aveva undici anni quando Hiroshi Katō entrò a far parte della sua quotidianità. Figlio di suo padre e della sua prima fidanzata del liceo, era un promettente studente di legge. Aveva quasi la stessa età di Shinichi, ma non per questo i due andavano d’accordo, anzi. Sua madre, poi, lo detestava.

Il bravo, perfetto Hiroshi, specializzando e tirocinante presso uno dei migliori studi di legge di tutta la capitale. L’orgoglio di quel padre che aveva abbandonato sua madre per un’altra donna quando il primogenito aveva poco più di un anno e mezzo. Sembrava quasi che il signor Masa cercasse di espiare le sue colpe nei suoi riguardi, in quel modo, con continui vezzeggiamenti e regali nonostante le loro precarie condizioni economiche.  Gli regalò anche una macchina per permettergli di andare al lavoro senza prendere i mezzi pubblici. Aina Masa fu costretta a chiedere alla sorella di darle i soldi per pagare la scuola di danza ad Aiko e quella di calcio per Shin.

Hachiro non  mancava mai di riempire Hiroshi di complimenti, di vantarsi di lui. Se non si vantava di lui, esaltava il modo in cui Shin stava concludendo il liceo con il massimo dei voti, complice la rivalità col fratellastro. Poi arrivava Aiko, con i suoi mediocri voti a scuola, la scrittura un po’ storta e sbavata e la risposta sempre pronta a ogni sgridata. Aiko, la quale era diventata improvvisamente invisibile.

Per questo nessuno si accorse di niente.

In fondo, Hiroshi era il solo a prestarle davvero attenzione, in quella casa.

La prima volta che successe, Aiko aveva dodici anni e Hiroshi ventiquattro.

Lei sapeva cosa stava succedendo solo in parte, eppure non lo disse per paura di perdere anche quella persona. Che smettesse di volerle bene anche lui o che venisse mandato via, a Kyoto. Suo padre l’avrebbe detestata, lo sapeva.

Era cambiato tutto, però.

Non poteva ignorare che l’odore nella sua cameretta, quando lui se ne andava, era diverso. Quelle quattro mura, che avrebbero dovuto schermarla dal male del mondo, erano in realtà il suo inferno.

E l’odore nauseabondo che rimaneva sulle lenzuola e non aveva niente di famigliare.

 

 

Capitolo nove

Miza delle Lame non si sarebbe mai abituata all’atmosfera pesante che si respirava durante le riunioni con gli altri capi di Aogiri. Non si sarebbe mai abituata agli sguardi di Tatara, alle parole apparentemente senza senso di Naki degli Smoking Bianchi o alla permanente consapevolezza che quell’equilibrio precario in cui tutti loro si trovavano era determinato semplicemente dalla paura.

Tirando le somme, non sarebbe mai riuscita a scendere a compromessi con la sensazione che quelli che avrebbe dovuto vedere come alleati, sotto sotto, erano tutti dei potenziali avversari. Delle minacce. Solo l’influenza labile del Re col Sekigan li teneva tutti buoni, sotto una coltre di incertezza, perché anche se Tatara parlava attraverso la bocca del sovrano, egli non si era mai mostrato loro. L’ultimo capo che aveva richiesto un’udienza, aveva perso la testa sotto i colpi di Noro e di conseguenza nessuno aveva più provato a incontrarlo.

Spostando gli occhi dal centro dello stanzone, dove Tatara li studiava sulle gradinate di quello che un tempo doveva essere un palazzetto dello sport ora lasciato andare in malora, trovò poco lontano da lei lo sguardo graffiante del giovane Ayato. La osservò pensieroso, senza la solita grinta, prima di tornare ad abbassare gli occhi vagamente stanchi sulla punta delle scarpe lise. Hinami era stata confinata nella Cochlea ormai da diversi mesi e nessuno si era preoccupato di aprire una breccia per lei. Non era un soldato importante in quella lunga guerra di logoramento. Guerra che da qualche tempo a quella parte, non si stava più risolvendo a favore dei ghoul.

«Ho sentito dire che abbiamo perso anche l’ultimo avamposto nella quattordicesima.» stava sussurrando qualcuno, qualche metro più avanti, colto in fragrante dall’udito sensibile di Miza «Hanno detto che è quel mostro che chiamano il Joker, Suzuya Juuzou, ad aver annientato tutta la squadra di Biichi

«Io invece ho sentito che lui controlla solo la tredicesima e che la quattordicesima se l’è ripresa quell’investigatore di classe speciale col caschetto. Quello che sembra una donna e che si dice abbia ucciso il fratello di Yanji mentre fumava una sigaretta con una mano e teneva la quinque con l’altra.»

Chiacchiere da bar, niente più. Cosa fosse successo davvero nella quattordicesima lo sapevano solo coloro che ci erano morti. Miza smise di prestare loro attenzione, abbassando gli occhi sull’orlo della vestaglietta che indossava sopra ai vestiti sudici. Che vita era, la loro? Servire un re senza nome e campare di lotte. Non stavano vivendo.

Stavano sopravvivendo.

Ne valeva ancora la pena?

Quasi a rispondere alle sue domande arrivò, leggera come il vento che accarezza l’acqua, Labbra Cucite. Al suo seguito, dentro a quella giacca militare nella quale Miza l’aveva visto crescere, c’era il Soldato. Mentre di quest’ultimo conosceva il nome, la guerriera delle Lame a stento avrebbe saputo dire qualcosa del capo della diciannovesima circoscrizione. Sapeva solo che era una donna, ma quello lo si poteva capire da molte cose, e che era molto vicina a Tatara. Molti fra loro sostenevano che fossero addirittura amanti e a Miza non sembrava poi così strana, come ipotesi.

La guardò avvicinarsi al cinese ammantato di bianco, senza abbassare il cappuccio della mantella color vinaccia che solitamente indossavano solo i loro sottoposti, ma che lei non aveva mancato di avere nemmeno una volta. Kenta l’aveva seguita e, al contrario della sua padrona, non s’era risparmiato di liberarsi della maschera antigas che gli celava il volto e gli appiattiva i capelli ribelli rossi come il sangue.

Labbra Cucite si era accostata a Tatara, appoggiando una mano sulla sua spalla per domandargli di chinarsi su di lei. Lui aveva eseguito e aveva ascoltato molto attentamente tutto ciò che aveva da dirgli, sibilandogli nell’orecchio e tenendo così private le sue informazioni.

Solo una volta concluso, lui la guardò facendo un impercettibile cenno di approvazione verso di lei e permettendole di andare a sedere alle sue spalle, sui gradoni, a poca distanza dalla ragazzina avvolta dalle bende che se ne stava sempre in disparte, accucciata nello sporco, nonostante potesse permettersi di camminare sulla luce.

Eto.

Kenta si accomodò accanto a Labbra Cucite, accavallando le gambe e lasciando tintinnare le lunghe catene che dalla sua schiena scendevano fino a terra, tornando poi a infilarsi nella cintura. A Miza non sfuggì lo sguardo freddo che scambiò con Ayato, registrando quella loro disputa da ragazzini per quello che era: giocavano semplicemente a chi fosse il galletto del pollaio. Erano poco più che bambini, dovevano andare a scuola, non fare rappresaglie.

«Oggi siamo qui solo per definire i ruoli nell’operazione che avrà luogo di qui a due giorni» Tatara aveva preso la parola senza prepararli e generando sin dall’inizio un silenzio assordante attorno a sé «Come già stipulato, la squadra di Ayato e quella di méi méi si occuperanno di dirottare i camion contenenti l’acciaio quinque nel punto di scambio. Dopo di che, gli Smoking Bianchi dovranno supportarli in caso di uno scontro. Le altre unità cercheranno di distrarre gli investigatori presenti nella seconda circoscrizione, anche se il diversivo migliore sarà un altro.»

Miza non si era lasciata sfuggire il modo in Tatara di solito si rivolgeva a Labbra Cucite. Aveva cercato il significato di quelle parole, méi méi, per comprendere quale fosse il loro corrispettivo in giapponese e tutto ciò che aveva trovato era ‘sorella’. Sorella minore, per la precisione, il che però aveva meno senso che mai. Non aveva mai visto il volto di Labbra Cucite, ma non sembrava cinese.

Forse però lo era, non poteva escluderlo.

Non aveva nemmeno mai visto il suo kagune e quella maschera a mezzo volto di cuoio ricordava vagamente quella di Tatara. Senza contare che non aveva nemmeno mai udito il suono della sua voce.

Ironicamente, parve che a voler aiutare a far luce su quella faccenda, fosse proprio il meno sano fra loro. Mentre Tarara spiegava come le squadre si sarebbero dovute alternare, Takizawa scese le scalinate a saltelli, reggendo in mano il macabro bottino della giornata. Con quel braccio stretto in pugno, mezzo mangiato, dalla mano senza dita, pareva più un avvoltoio che un gufo. Scese tutte le scale, evitando accuratamente Eto, che invece sporse il braccio come per cercare di afferrarlo. Poi si acquattò dietro a Labbra Cucite, portando il braccio attorno alle spalle della donna e iniziando a dondolarsi contro di lei, cantilenando qualcosa che venne coperto dal tono baritonale di Tatara, il cui rimbombo riempiva lo stanzone vuoto.

Miza, che non faceva parte dei loro piani per quell’operazione, non vi prestò più attenzione. Era affascinata dal modo in cui Takizawa sembrava interessato ad infastidire quel capo banda, nonostante solitamente preferisse rimanersene acquattato da qualche parte, nascosto.

Poi le sfilò il cappuccio dal capo, ridacchiando e facendo interrompere anche l’oratore, che si voltò a fulminarlo con una singola occhiata che ebbe come effetto quello di far rannicchiare il mezzo ghoul, timoroso.

Miza non voleva sapere cosa Tatara avesse fatto a quella povera anima.

Era più interessata al volto di Labbra Cucite, che però era celato, così come i capelli, da fitte bende  che le coprivano il viso e la nuca, lasciando come unico spiraglio gli occhi. Velocemente, rimise il cappuccio, mentre Kenta spiava la stanza cercando qualche spettatore. Quando notò Miza, lei finse noncuranza, tornando a guardare Tatara.

Ghoul strani in ogni dove, si disse. 

«Ora parliamo del nostro miglior diversivo.» facendo un passo indietro, Tatara prese una borsa sportiva, apparentemente di una palestra, nera e rossa. Dentro di essa, però, c’era qualcosa che lasciò Miza senza parole per qualche minuto.

«Colpiremo il ccg diritto al cuore. Qualche volontario?»

 

 

Urie aveva iniziato a trovare confortante l’atmosfera famigliare che si avvertiva al :re. Passava anche due o tre ore del suo giorno libero seduto a uno di quei tavolini, con le cuffie nelle orecchie e la tazza di caffè americano che veniva di tanto in tanto rimboccata dalla cameriera del viso gentile.

Kirishima.

Quel giorno, però, non era lì perché voleva solo godersi un po’ di pace. Aveva un appuntamento con la persona probabilmente più insistente che avesse mai camminato per quel mondo. Khurei Shukumei, giornalista di cronaca che, da qualche tempo a quella parte, aveva iniziato ad assillarlo. Per la prima volta si erano visti alla fine della retata contro la casa d’aste e per qualche via traversa aveva ottenuto sia il suo numero di telefono che l’indirizzo dello chateau. Per evitare di ritrovarsela di nuovo accanto durante il suo jogging mattutino, Urie aveva accettato di dedicarle qualche minuto del suo tempo alla fine di ogni caso. Quando veniva chiuso il fascicolo e siglata l’indagine come risolta o congelata, allora sostenevano delle interviste informali, nelle quali lui si dichiarava teste anonimo.

Quel pomeriggio, quindi, aspettava proprio lei, pronto a rilasciare qualche esclusiva sul caso Embalmer senza però lasciarsi andare eccessivamente in chiacchiere. Sarebbe stato richiamato formalmente se si fosse scoperto che aveva contatti con la stampa, ma Shukumei era incredibilmente discreta.

Quando un paio di mani si posarono sulle sue spalle, sfilò gli auricolari pronto a salutarla e a concludere in fretta. Non era la persona che stava aspettando, però.

«Ei, sexy. Cosa ci fa un bocconcino come te tutto solo al bar?»

Era Masa. Urie la guardò ribaltando il capo all’indietro e godendosi il sorrisetto della mora visto al contrario. Non la degnò di risposta mentre le mani scivolavano verso il basso, lungo le braccia coperte dalla giacca di pelle, mentre lei si chinava.

«Stavi aspettando me?» proseguì, in un misto di malizia e divertimento, appoggiandosi con il mento alla spalla.

«No. Non so nemmeno perché sei qui.»

Per risposta, lei gli soffiò, tirandosi su in fretta dopo aver recuperato una borsa di carta riciclata da terra. Gliela mostrò con fierezza «Sono stata tutto il giorno in giro con Saiko. Abbiamo fatto shopping. Vuoi vedere?»

«No.»

«Sono manga» proseguì lei, allentando la sciarpa prima di afferrare la sedia per scostarla e prendere posto di fronte a lui, come sempre «Ho un certo kink per i fumetti americani, però. Specialmente la DC. Potremmo fare il cosplay dei miei villans preferiti se ti va. Preferisci lo Spaventapasseri o l’Enigmista? Secondo me staresti meglio come Pinguino perché-»

«Non puoi sederti, sto aspettando una persona.»

Per la prima volta da quando lavoravano insieme, Masa ci rimase sinceramente male e Urie se ne rese conto subito dal modo in cui sbatté le ciglia, tenendo quei grandi occhioni da gatto un po’ sgranati su di lui. «Oh» fu il suo commento, mentre lasciava andare la sedia come se fosse incandescente. Tirò quindi il sorriso più falso che potesse esistere sulla faccia della terra «Allora mi prendo un caffè e ti lascio ai tuoi affari.»

«Aiko-»

«Ci vediamo a casa.» La salutò come se ne stesse andando, ma andò semplicemente a sedersi al bancone, appoggiando la borsa e la giacca di jeans sullo sgabello vuoto accanto a lei «Kirishima, il solito.» disse rivolta alla giovane cameriera, incrociando le mani sotto al mento.

Urie capì che non si sarebbe voltata verso di lui per il resto della serata, scivolando fuori dal bar nell’esatto momento in cui si sarebbe distratto. Si sentì un po’ in colpa, tanto che abbassò gli occhi sulla manica della giacca di pelle, peggiorando la sensazione. Quella era la giacca che la ragazza aveva deciso di regalargli. Lui l’aveva indossata per quella serata fallimentare al locale con metà squadra Hirako e al ritorno si era dimenticato di restituirla a Masa. Quando se ne era ricordato, lei aveva deciso di lasciargliela come regalo di compleanno. “Era di mio fratello, non credo verrà a chiedermela tanto presto”.

Urie aveva chiesto perché.

“Perché mio fratello è scomparso.”

Da un paio di anni o poco meno. Urie non aveva voluto indagare le ragioni, ma era stata lei a rivelargli che non sapeva cosa fosse successo. La compagna di suo fratello era incinta e lui, dal giorno alla notte, non si era più visto. Né un biglietto, né una chiamata. Poteva essere vivo, come non poteva esserlo, per quanto ne sapevano.

Quella era solo una delle tantissime cose che lui non sapeva di lei, che probabilmente in pochi sapevano, ma nonostante questi attimi solo loro nei quali Aiko si apriva, Urie non riusciva mai a fare lo stesso. L’aveva tenuta a distanza più che aveva potuto, a dirla tutta. Prima di tutto perché, della notte del suo compleanno, non voleva parlare. Non voleva parlare del bacio né di quello che poteva seguire, mentre invece la ragazza continuava a flirtare senza ritegno, non superando però mai il limite e incassando ogni brutta uscita del partner.

Come quella appena avvenuta. Non era stato carino dirle di non sedersi perché aspettava qualcuno, Kuki lo sapeva, ma non aveva comunque intenzione di fare niente per migliorare le cose fra loro.

Aveva riportato le cuffie nelle orecchie, fermandosi a guardarla oltre il bordo del libro che aveva riaperto sotto al naso, pronto a immergersi di nuovo nella lettura dopo l’interruzione.

Non era riuscito però a leggere più di dieci righe, visto che i suoi occhi continuavano ad alzarsi dalle pagine. Masa aveva iniziato a parlare con il signor Yomo, poi con il ragazzo dai capelli chiari che aiutava spesso nel locale e che quel giorno non sembrava in servizio. Le aveva rivolto lui la parola, sistemandosi gli occhiali sul naso e scivolando sullo sgabello accanto a lei, con il braccio mollemente appoggiato allo schienale di quello della sua partner. Le parlava con espressione confidenziale, quasi cospiratoria, sotto lo sguardo leggermente scocciato di Kirishima, che sembrava riprenderlo ogni due minuti.

Alla fine, rassegnato dalla sua stessa curiosità, Urie aveva spento il lettore mp3, senza però liberarsi degli auricolari.

«Avanti Nishio» stava dicendo la mora, con tono leggero e l’espressione sorniona sul viso, guardando quel ragazzo strano come se fossero vecchi amici. «Dimmi quello che vuoi dirmi e facciamola finita. Si vede che stai impazzendo a tenertelo per te.»

«Come se poi fosse un grosso segreto» fu la risposta sagace, a tratti sarcastica dell’altro, che si sistemò per l’ennesima volta gli occhiali. Urie pensò che quella fosse la mossa da figo più triste che avesse mai visto in vita sua. «Fai parte del progetto Quinx, no? ho letto sui giornali che siete esseri umani a cui hanno trapiantato l’organo schifoso dei ghoul. Sbaglio?»

«Sei informato quasi quanto me.» trillò Aiko, prendendo un sorso di caffè.

«Che cosa repellente» rimarcò storcendo il naso Nishiki «Voi colombe fate molte cose strane, non siete poi così diversi da quei pazzi, l’Albero di Aogiri

Urie drizzò le spalle, stava avendo un dejavù. Dove ho già sentito queste parole?

«Siamo ben diversi dall’Aogiri» Masa difese la loro posizione, dondolando la gambe che teneva accavallata all’altra come se fosse la coda di un serpente «Poi non è repellente, sai? Come direbbe un dottore di mia conoscenza; siamo dei prodigi scientifici.»

«Abomini verso la natura. Non so come si possa avere la malsana idea di offrirsi volontari per qualcosa del genere.»

«Nishiki, smettila di infastidire l’agente Masa» Kirishima li interruppe, mettendo un muffin ai frutti di bosco sotto al naso di Aiko «Questo lo offre la casa per compensare la maleducazione di questo qua

«A chi stai dicendo ‘questo qua’, stupida Touka

Un’occhiata ammonitrice della cameriera lo bloccò dal dire qualsiasi altra cosa, mentre la figura che prese posto di fronte a Urie gli impedì di origliare oltre.

«Scusa il ritardo, ho mancato la metro di due minuti e ho dovuto aspettare quella dopo.»

Nonostante parlasse come se fosse reduce dalla maratona di New York, Shukumei non aveva un singolo ciuffo di capelli in disordine. La camicetta con le maniche a sbuffo celeste non sembrava sudata, così come nemmeno la giacca di pelle marrone dall’aria costosa. Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni bianchi aderenti, che risaltavano le sue forme esaltate dai tacchi a spillo sottilissimi sui quali Urie era abituato a vederla ondeggiare. E con i quali lo aveva anche rincorso più di una volta.

«Facciamo in fretta» le disse spicciolo, mentre lei estraeva dalla tasca della borsetta una confezione di salviette profumate, che si passò dietro al collo e sulle mani. «Cosa vuoi sapere, di preciso?»

«Almeno fammi ordinare, prima. Maleducato.»

Shukumei lo riprese bonariamente, con l’affetto di una madre, senza malizia. Si voltò per chiamare a sé la cameriera, incontrando gli occhi di Touka «Un caffè e una fetta di torta alle fragole. Porta due forchette, per favore, il mio accompagnatore mi aiuterà a finirla.»

«Odio i dolci, Khurei

«Due forchette, grazie.»

Laddove la giornalista sembrava divertita, Urie ovviamente non lo era. La guardò prendere un blocchetto per gli appunti e aprirlo di fronte a sé, un po’ contro voglia. Shukumei preferiva di gran lunga usare il registratore, ma i loro patti erano chiari: Urie voleva poter avere la possibilità di negare ogni cosa. Vecchio volpone.

L’intervista iniziò con alcune domande di routine; come si era venuti a sapere chi fosse l’Embalmer e qualche indiscrezione sulla vita privata del dottor Shinya. Urie aveva anche pensato di fornire a Shukumei qualche dettaglio sulla tipologia delle vittime, di cui aveva discusso in una conferenza stampa il direttore, ma con qualche arricchimento. Per farla breve, aveva descritto il profilo psicologico del serial killer che aveva stilato Masa. La stessa Masa che se ne stava ancora seduta al bancone, presa da quella che sembrava una conversazione parecchio divertente.

Persino quel Nishiki stava ridacchiando, certo, ma Masa….

Lei aveva letteralmente buttato il capo indietro, mentre si lasciava andare a una risata che parve salirle dal cuore. Appoggiò una mano sul petto di Nishio, come a volerlo allontanare, mentre Touka li guardava entrambi in tralice.

«Sei stata tu a iniziare.»

«Va bene, allora facciamo così.» Aiko si rimise seduta diritta, voltandosi di tre quarti per guardarlo negli occhi direttamente «Sei interessato dal mio kagune, lo capisco. Facciamo un patto?»

Nishiki prese un sorso di caffè, incuriosito «Tu non stai bene, non so se voglio stringere accordi con te. Però prova a convincermi.»

«Io di faccio vedere il mio…» iniziò con voce sottile l’agente, indicandosi la schiena, laddove il suo kakuho era stato trapiantato. Poi affilò la voce, ma Urie la sentì forte e chiara come se lo avesse gridato «…Se tu mi fai vedere il tuo.»

Nisho sollevò il lato della bocca in un mezzo sorrisetto «Ma che sporcacciona. Almeno prima pagami il caffè, agente.»

Kirishima si portò una mano sulla fronte «Fermatevi voi due» disse esasperata come se stesse parlando a due bambini «Nessuno farà vedere nulla a nessuno, in questo locale.»

«Ma quella è la tua collega?» Shukumei costrinse Urie a tornare in sé. Improvvisamente si rese conto che gli faceva male la mano tanto stava stringendo il pugno. Allentò la presa, rispondendo con un leggero cenno di assenso. La giornalista si voltò a guardarla, sembrando parecchio pensierosa. Poi tornò a voltarsi verso il ragazzo «Invitiamola qui.»

«No.»

«Agente!»

Inerme, Urie guardò Shukumei presentarsi come si deve a Masa, farle un paio di complimenti sui capelli corti sparati in tutte le direzioni per poi invitarla a sedere con loro. Aiko parve tentennante, ma non si curò di guardare verso Urie per chiedergli il permesso o se si sentisse a disagio. Alla fine si sedette alla sua destra, anche lei di fronte alla donna «Quindi non è un appuntamento ma un’intervista? Mi sembrava strano che Urie potesse interessarsi a qualcosa che non fosse lavoro.»

«Troppo giovane per me» lo difese debolmente la donna, rigirandosi la penna fra le dita «So che lei è stato il profiler del caso, agente di secondo livello Masa

«Prego, chiamami pure Aiko. Posso chiamarti Shukumei

Le donne sono davvero terribili, era tutto ciò che Urie riusciva a pensare mentre le ascoltava cincischiare di profili psicologici, raptus omicidi e cura dei dettagli nella ricostruzione delle scene ‘fittizie’ dell’Embalmer. Dal momento in cui Aiko era stata invitata al tavolo, lui era diventato invisibile. Poteva anche andarsene, Khurei non sembrava più interessata a chiedere a lui.

Quando le domande furono esaurite, Shukumei passò oltre «Tu facevi parte della squadra Hirako, vero Aiko-chan

Masa annuì «Sì, è vero. Come lo sai?»

«Sono un’amica di Kuramoto Ito

L’altra ragazza sorrise divertita, finendo il suo muffin «Ovviamente, chi non lo è? Cosa vuoi sapere sulla squadra Hirako? Ti avverto, non ti venderò informazioni sui loro casi, verrei uccisa da Take in modi e maniere che non voglio nemmeno immaginare.»

«Voglio solo parlare in modo generico.» le rispose vaga Shukumei.

«Parlare di cosa?»

«L’Albero di Aogiri, per esempio.»

Masa annuì «Va bene» concesse, come se in fondo se lo aspettasse «Il caso Aogiri è ancora aperto, quindi non posso far trapelare informazioni inerenti.»

«Voglio solo scambiare due chiacchiere con te in merito.» per dimostrare la sua buona volontà, Shukumei richiuse il blocco note e appoggiò la matita «Voglio farlo per chiarezza personale, a dirla tutta.» prese un po’ della sua torta, guardando la fragola prima di portarla alle labbra, masticandola con gusto «Aogiri è un gruppo terroristico a formazione piramidale, al cui vertice c’è una figura misteriosa che viene chiamata il re con il sekigan. Almeno, questo è di pubblico dominio. Vorrei sapere qualcosa di questi sekigan, per iniziare.»

«Con sekigan si intende un ghoul che possiede un solo occhio mutato.» iniziò Masa con fare professionale «Solitamente, questo tipo di ghoul è incredibilmente raro, perché è il frutto dell’accoppiamento fra un ghoul solitamente maschio e una femmina umana.»

«Come mai raro? E perché hai specificato che la donna deve essere umana?»

«Perché a logica, il nostro sistema alimentare è molto diverso. Il nutrimento per un bambino è diverso per quello di un cucciolo di ghoul. Per nascere un ibrido devono essere equilibrati i nutrienti acquisiti e nel caso di una femmina di ghoul gravida, rischierebbe di riconoscere il bambino come cibo in quanto in parte umano e finirebbe con il mangiarlo

«Quindi il re con il sekigan è un ibrido?»

Masa, a quel punto, scrollò le spalle « Non è detto. C’è una leggenda popolare fra i ghoul e gli uomini che dice che molti secoli fa, la comparsa di un ghoul imbattibile con il sekigan portò alla fondazione del ccg. Potrebbe essere un simbolo. Se lo chiedi a me, per me nemmeno esiste, ma è più che altro una figura inventata usata per tenere uniti tutti i ghoul sotto un’unica bandiera.»

«E il gufo con il sekigan, invece? Cosa sai di lui? Magari è il re?»

Istintivamente, Aiko lanciò un’occhiata alla sua destra, restia a parlare di fronte a Urie del mostro che aveva fatto di lui un orfano. Contrariamente alle sue aspettative, lui sembrava preso nell’ascolto e ciò la spinse a rispondere «Non sappiamo molto del gufo. Si è fatto vedere ben poco dopo il raid della ventesima, quasi tre anni fa. Io però dubito che sia il re, agisce spesso in solitaria.»

«Non credi faccia parte di Aogiri

«Non sto dicendo questo, ma penso che possa essere un ghoul che simpatizza per Aogiri. Ci sono molti gruppi di ghoul a Tokyo che non vantano un tale membro, ma lo vorrebbero. Poi a me, lei è sempre sembrata troppo preoccupata a perseguire scopi personali che ad aiutare attivamente Aogiri

«Lei? Il gufo col sekigan…. È una femmina?»

Ci fu un attimo di stallo, poi l’agente Masa prese un respiro «A me ha dato questa idea.»

«Quando l’hai incontrata, vero? Il giorno che ha ucciso Orihara Daisuke

«Hai incontrato il gufo col sekigan?!»

Le domande di Shukumei vennero coperte quasi per intero da quella di Urie. Tutto il bar si bloccò e molte teste si voltarono nella loro direzione. Aiko strinse gli occhi, abbassando il capo e incassandolo fra le spalle. «Sì. Sì è successo, ma non ricordo molto di quel giorno. Quindi, per cortesia, andiamo avanti.  Anche se hai fatto i compiti a casa e hai chiesto di me, Shukumei, non intendo parlare di Orihara. E del gufo ho ricordi contrastanti, mi ha rotto quattro costole e la testa contro un muro.»

«Mi sarebbe andato bene se mi avessi detto che non potevano escludere che fosse una donna» con un sorrisetto che sapeva di scusa, la giornalista lasciò perdere quell’argomento spinoso. Aveva visto il viso di Urie sbiancare ripetutamente parola dopo parola e non valeva la pena rovinare il rapporto che aveva maturato con lui per qualche supposizione stupida «Ma parlavi di gruppo di ghoul. Quali gruppi?»

«Per esempio i Clown.» visibilmente a disagio, nonostante fingesse che non fosse così, Masa andò avanti «Però non ne so molto. Non ho mai avuto il piacere di indagare molto su di loro, anche se ho conosciuto il loro capo.»

«Donato Porpora» sussurrò a denti stretti Urie. Sembrava una congiura contro di lui.

Aiko annuì «L’ho interrogato diverse volte negli ultimi anni.»

«Non ho mai provato interesse verso di loro, sono inquietanti» per sollevare il morale collettivo, Shukumei la buttò sulla battuta «Altro?»

«Bande più o meno grandi, groppi e lupi solitari. Io penso anche che alcuni ghoul potrebbero essere infiltrati nella Yakuza o addirittura essere delle intere famiglie dell’organizzazione mafiosa.»

Urie appoggiò la tazza nuovamente vuota «Smettila Masa, non parlare del caso in corso.»

«Io stavo parlando in via totalmente generica.» lo liquidò la partner, prima però di appoggiare una mano sul suo ginocchio, sotto al tavolo. Scusa, voleva dire quel gesto, perdonami se ti ho turbato. Lui non rispose, ma non poté negare che sortì un certo effetto in lui «Parlando sempre per supposizioni, ho una teoria in merito al motivo per cui molte organizzazioni muoiono prima che noi o Aogiri possiamo arrivarvi.»

«Adoro le tue teorie» con un’ultima forchettata, la giornalista terminò la torta di fragole. Passò un tovagliolo attorno alle labbra, attenta a non sciupare il rossetto.

«E se esistesse una grande organizzazione di ghoul il cui compito è quello di controllare eliminare i propri simili che passano il limite? Un gruppo così antico e nutrito da agire con segretezza, magari appoggiato dalle istituzioni, come un’agenzia di agenti segreti?»

Ci furono diverse reazioni. Urie la guardò confuso, assottigliando lo sguardo e corrugando la fronte, dimostrando che no, non aveva capito. Shukumei, invece, aveva afferrato il concetto molto bene. I suoi occhi scintillarono.

«Un’agenzia segreta, come un’intelligence interna ai ghoul…»

«Sarebbe un bel problema» da dietro di loro, la voce di Nishiki, li fece voltare. Se ne stava ancora al bancone, di spalle, ma aveva palesemente sentito tutto. Si girò per guardarli, appoggiandosi con la schiena alla superficie di legno, prima di parlare «Dimostrerebbe che sono abbastanza intelligenti da creare una sorta di impero sotterraneo, unirsi e far fronte comune, all’occorrenza.»

«Io credo che certi ghuol siano molto più intelligenti di tanti, tantissimi umani.» e con questa frase, Masa gelò nuovamente il bar.

«Molto interessante.»

Aiko si rivolse di nuovo a Shukumei «Ovviamente sono solo miei castelli in aria» disse con una mezza risata, scrollando le spalle «Non ho assolutamente idea se una cosa del genere possa o meno essere credibile, ma se noi abbiamo il Mossad o il KGB, che per secoli hanno portato avanti segreti che ancora il mondo ignora, perché i ghoul dovrebbero essere diversi da noi? Shinya era un chirurgo rinomato, ad esempio, con una laurea anche piuttosto altisonante. Questa è già di per sé una dimostrazione che differiscono da noi solamente per la dieta.»

«Stai esagerando» Urie soffiò fra i denti, guardandola gelidamente.

«Sto mentendo?» chiese lei tagliente, di rimando. Lui la guardò solo come se volesse spararle, ma non poteva dire che non avesse ragione, perché anche lui era a conoscenza di quei fatti. «Ripeto, sono solo stupide teorie  che faccio quando mi annoio. Niente di dimostrabile, perché hanno lo stesso peso del mostro di Lockness

«Immagino» Shukumei mise via il suo blocchetto, al sicuro nella borsa, prima di alzarsi  e pagare il conto per tutti e tre «Non scriverò niente di tutto ciò nel mio articolo, perché voglio scrivere sull’Embalmer. Ho però un’ultima domanda per te, Aiko, perché sei un agente così navigato nonostante la giovane età che mi fai venire un sacco di curiosità.» Masa annuì dandole il permesso di chiedere «Quale è il ghoul che temi maggiormente?»

Lei non ci pensò nemmeno «Tatara.» sputò fuori, con lo sguardo duro e le labbra tirate.

La giornalista la guardò sorpresa «Più del gufo?»

«Non esiste un ghoul che mi faccia rabbrividire come Tatara» insistette Masa «Se dovessi dare un volto al re col sekigan, allora sarebbe lui.»

Khurei ringraziò molte volte Masa per l’intervista, dandosi appuntamento con Urie per la prossima e pregandolo di portare nuovamente la sua partner. Quando il ticchettio delle sue scarpe venne chiuso fuori dalla porta di ingresso, Urie si voltò a guardarla furente «Non credi di avere esagerato?»

Masa non lo stava nemmeno ascoltando «Ti sei reso conto che quella donna sta cercando qualcosa?»

Kuki prese un respiro profondo per calmarsi. Era come parlare a un cane stupido che non vuole farla fuori, ma continua imperterrito a pisciarti sul tappeto. Sì, per lui, Masa era un cane incontinente. Si prese un paio di secondi per metabolizzare la stizza, poi parlò nuovamente «Perché lo pensi?»

«Ha fatto tante domande su tanti argomenti, quindi non so dirti quale sia l’oggetto della sua ricerca, ma posso garantirti che non è per un articolo di giornale.»

«Poco ma sicuro» Nishiki, che si era seduto con loro, guardava il punto in cui Shukumei era sparita, mentre Urie si chiedeva chi diavolo fosse. «Sembra pericoloso però, o sbaglio?»

Masa annuì piano «Più che pericoloso, direi mortale.»

 

 

«Ti avevo chiesto una cosa sola, Cookie! Una sola!»

«Avevi detto che ci saresti passata tu, smettila di scaricarmi le tue incombenze!»

Aiko sembrava allibita, ma quello che avrebbe dovuto indignarsi era lui. Urie aveva un chiaro ricordo della collega che sosteneva che sarebbe passata lei a prendere i documenti importanti richiesti da Sasaki quella mattina. Dopotutto, era stata lei stessa ad offrirsi di fargli quel piacere.

Ovviamente, nel loro giorno libero, Masa non si era presentata alla sede centrale, mentre Urie aveva passato la mattinata a controllare rapporti sul caso Kamata e a parlare con il dottor Shiba. Secondo la ragazza, lui poteva benissimo ritirare la documentazione urgente al suo posto e, per risposta, Urie rilanciava sostenendo che se non glielo aveva detto, allora lui non poteva leggerle la mente.

Dopo mezzora di litigata incessante in automobile, erano arrivati alla sede della prima circoscrizione e si erano infilati nell’atrio, entrambi neri in volto, incolleriti con l’altro.

Se avessero passato tutto quel tempo a conoscersi, invece che a litigare, sarebbero diventati migliori amici. O forse qualcosa in più. Se poi si fossero dati allo studio del sanscrito antico, a quel punto sarebbero in grado di usare tutti e dodici gli alfabeti.

Avevano lasciato le quinque in auto –gravissima violazione del codice- come dichiarazione dell’intento di far presto e si erano diretti spediti verso il secondo piano. Lì, però, avevano incontrato un ostacolo non da poco.

«Noriko, non ora!» aveva sbraitato Masa, improvvisamente scorbutica. Era strano vederla così, solitamente solare, diventare quasi stronza con qualcuno che non fosse Urie. In realtà, la sua faida con la psicologa del dipartimento Rico Noriko aveva radici molto profonde.

Urie aveva guardato la dottoressa seguirli imperterrita, continuando a chiamare la sua partner, non volendo cedere terreno. I capelli biondi, striati da sfumature bianche, ondeggiavano in un caschetto gonfio mentre gli occhiali le davano un’aria più altera. Anche lei solitamente gentile seppure un po’ esaurita –se esistevano investigatori in servizio come Suzuya, era chiaro che nessuno la ascoltava davvero – era strana in quelle vesti da pazza isterica.

«Masa Aiko fermati!»

«Cosa c’è!»

Le due donne si ritrovano una di fronte all’altra, entrambe fiammeggianti nello sguardo. Per buona misura, Urie si levò di mezzo, facendo un passo indietro e lasciandole a scannarsi fra loro. Anche lui aveva visto il video catfight al ccg e aveva visto come si erano accapigliate. Prima di quella brutta mattinata, Noriko aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, ma la maggior parte erano rimasti in mano a Masa.

E ancora non aveva un kagune, quindi meglio levarsi di mezzo.

«Dal cambio squadra non sei più venuta a una visita.» iniziò la psicologa, con le mani ben ficcate nel camice e lo sguardo di chi non ammette repliche «Ho già inviato otto notifiche al tuo nuovo mentore. Perché Sasaki non ti ci sta portando a calci in culo?»

«Perché magari anche lui è a conoscenza dell’inutilità del tuo mestiere» Kuki alzò un sopracciglio nel sentire tutta la grinta che Masa ci stava mettendo. Praticamente strappò dalle mani di un poveraccio ciò che Haise voleva e se lo ficcò in borsa, tornando verso l’ascensore. Nokiro continuò a seguirli, ignorando comunque la presenza di Urie «Se parlare con una pazza alcolizzata mi aiutasse a superare i problemi, chiamerei mia madre.»

«Forse anche di questo dovremmo parlare» il commento di Rico le strappò uno sbuffo profondamente seccato «Queste sono le leggi interne al dipartimento. Siete obbligati a tenere un numero di sedute bimensili. Devi fartelo andar bene, non sei al di sopra della legge.»

«Chi viene davvero a tutte le sedute?» domandò come provocazione Aiko, alzando un sopracciglio «Immagino in pochi. Eccetto Suzuya, che viene portato per mano da Abara e Arima, che penso parli con pochi esseri umani e quindi si tenga buoni quelli che lo fanno per lavoro. Magari anche Sasaki, ha troppo la faccia del bravo ragazzo per mandarti al diavolo, tu e le tue domande inconsistenti. Urie, tu vai alle sedute??»

Preso in castagna, il ragazzo guardò entrambe «Ehm.»

«Non metterlo in imbarazzo, è il tuo partner!»

«Vedi che nemmeno lui ci viene?! E lui è un leccaculo di professione, farebbe qualsiasi cosa per sentirsi dire bravo!»

«Grazie» le disse Urie, ormai anche stanco di prendersela. Uscì per primo, lasciandole a urlarsi addosso.

Stava quasi pensando di andare ad aspettare in macchina, quando un fragore forte come il rombo di un tuono lo assordò. Il pavimento tremò, mentre il suono si faceva sempre più vicino, così come le urla. Di punto in bianco, al centro dell’ingresso del palazzo principale della sede centrale del ccg di Tokyo, un enorme camion bianco sfondò completamente la facciata a vetrate, arrivando più avanti di quanto avrebbe dovuto e distruggendo il passaggio per il rilevamento delle cellule rc.

Arrivando a circa venti metri a lui.

Non ebbe la prontezza di riflessi di reagire subito, ma quando dalla cabina distrutta del velivolo uscì un uomo con in mano una grande sacca, ritrovò un po’ di lucidità. Sembrava una borsa sportiva, forse di una palestra, nera e rossa.

«Fermo!» qualcuno lo gridò, ma non fu lui. Tutto ciò che Urie fece fu estrarre il kagune, perché quello non era un essere umano.

Era un ghoul.

E aveva appena fatto irruzione con un camion.

Assurdo.

«Ho detto fermo!» a urlare nuovamente fu il classe speciale Ui. «Appoggia quella borsa immediatamente!» proseguì, padrone della situazione, tenendo bene alzata la sua quinque Ajite.

Il ghoul da parte sua, non fece ciò che gli venne richiesto. Non fece nient’altro, però. Non estrasse il kagune, né attaccò per primo. Si limitò a sorridere, appoggiando una mano sul borsone e afferrando una sottile cordicella nera, che fece venire un brutto presentimento a Urie.

Poi, con un sorriso serafico, il ghoul si mise in pace con il suo Dio, qualunque esso fosse.

«L’Aogiri vi distruggerà.»

«Urie!»

Ci fu un istante di sospensione.

Kuki avvertì la mano di Masa strattonarlo per la giacca, mentre l’assalitore tirava quella cordicella.

Poi al silenzio teso seguì il boato della bomba che, deflagrando, faceva esplodere tutte le vetrate di cui era composto quel palazzo. 

Direttamente in faccia a loro.  

 

Continua

 

 

Nda

 

Ho notato che ci sono persone che mi hanno aggiunta fra le seguite (ben sette!) e tra le preferite (due angeli)! Grazie mille a voi che avete deciso di seguire questo lavoro che è diventato incredibilmente lungo rispetto alle aspettative di partenza.

Spero di non deludervi nemmeno con questo capitolo e, se vi va, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.

I riscontri, sia positivi che negativi, danno sempre una mano.

 

Grazie a Maia che mi ha sistemato il capitolo, facendomi notare che Nishiki si è imbucato senza chiedermi il permesso (?).

Questi personaggi che fanno il cavolo che vogliono.

 

 

A presto,

C.L.

 

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Capitolo 10
*** ll caso Kamata - 3 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

«Inseguimento del ghoul Serpente sospeso. Kuramoto e Takeomi, occupatevi delle sezione C5 e C9. Aiko, chiudi le danze e mettilo in posizione. Gli altri, che restino di supporto. Ora ci occuperemo del ghoul di livello SS Haise.» Take  spiegò spicciolo come sempre la formazione, impassibile nonostante stessero per attaccare un loro collega. Un sangue freddo del genere poteva vantarlo solamente Arima in tutto il ccg e, non a caso, quello era il suo pupillo.  

Tutti e quattro si liberavano dei cappotti per prepararsi allo scontro, lasciandoli cadere mollemente a terra e Kuramoto si voltò verso Masa, sornione come al solito  «Tentacolo sinistro, tentacolo destro e centro. Te lo sistemiamo bene bene, Ai.»  le disse, estraendo Senza dalla valigetta, lasciandola cadere al suolo con un piccolo tonfo, «Vedi di non sbagliare angolazione.»

Mentre i tre uomini si lanciavano in avanti, quinque sguainate e concentrati nello schivare il grande kagune di Sasaki, Masa si voltò per scrupolo verso il palazzo alle sue spalle, calcolando l’angolatura corretta «No che non mi sbaglio…»

Lasciò scivolare gli occhi verso il terreno, dove tre figure si stringevano fra loro, come pulcini sotto la pioggia. Non aveva il tempo di osservarli troppo. Con la lancia stretta in pugno, guardò Take asportare una larga porzione del fianco destro di Sasaki, mentre Takeomi e Kuramoto si preoccupavano dei tentacoli rossi, che si muovevano senza una logica fendendo l’aria. Attese di vedere il kagune spezzarsi, poi li raggiunse a sua volta conficcando Inazami nel petto dell’obiettivo, precisamente nel polmone destro, bloccandola contro il terreno e usandola come sbarra di appoggio per impalarlo sul posto. Riuscendo ad impedirgli di avanzare, l’avrebbe avuto in pugno.

Dopo di che aveva circa 0.1 secondo per capire come agire. Se avesse ritardato anche di soli 0.05 millesimi, allora Take l’avrebbe ripresa. Un battito di ciglia e aveva una siringa in mano. Due e Aiko aveva affondato l’ago nell’occhio di Sasaki, senza sfiorarlo con nient’altro. Tre e la lancia era caduta a terra, allontanata con un calcio deciso. Quattro e Masa, facendo perno sulla sua stessa gamba destra, era riuscita a girare il ghoul, che con una mano l’aveva afferrata sulla schiena. Cinque e la ragazza poteva giurare di aver sentito il proiettile che aveva impattato la schiena di Sasaki per sedarlo scuotere il suo intero corpo, rendendolo molle e debole. Lo accompagnò nella caduta per non farlo crollare rovinosamente, portando la mano sinistra dietro alla sua nuca, fra i capelli bicolore, mentre con l’altra stringeva il suo braccio. Lo fece  stendere, specchiandosi negli occhi normali e spaesati dell’essere, prima di appoggiare entrambe le mani sul ginocchio.

«Con calma, primo livello Sasaki.» gli disse dolcemente, mentre Take le si avvicinava, facendo cenno al resto degli uomini che il codice era appena diventato verde «Questa battaglia è stata lunga e impegnativa, si prenda il suo tempo.»

«Io sono…. Io sono…

Masa assottigliò lo sguardo, chinandosi di poco verso Haise per sentire cosa aveva da dire ed evitando per un soffio la mano di quest’ultimo, scattata verso l’alto nel tentativo di afferrarle la gola.

«Attenta» la ammonì con voce pacata Hirako, senza particolare entusiasmo.

Lei stava quasi per rilanciare che si era accorta che la situazione non si era ancora risolta del tutto, ma a chetare ogni animo di pensò l’associato alla classe speciale Mado, appena arrivata con ancora stretto in pugno un fucile di precisione. «Ci penso io da qui. Vi voglio tutti quanti ad almeno quindici metri di distanza da Sasaki. Anche i tuoi uomini, Hirako

«Subito, Akira. Muoviti, Aiko, devi farti medicare.»

Masa, che si stava rialzando scrollando i jeans chiari all’altezza del ginocchio, lo guardò spaesata, ma lui non le rispose a parole. Le alzò invece il braccio, prendendole il polso con una delicatezza che non lo rappresentava. Aiko sentì la pelle della schiena tendersi e bruciare e quando portò le dita alla zona lesa, le ritirò indietro sporche di sangue.

«Ti ha graffiata.»

«Grazie Take, non l’avevo notato.»

Il caposquadra la guardò con il solito lieve rimprovero negli occhi, prima di schioccare la lingua contro al palato. «Smettila di fare la stupida, recupera la quinque e fila a farti medicare. Ordine di-»

«Un tuo superiore» lei terminò la frase per lui, dandogli una leggera pacca sul braccio mentre gli passava accanto per recuperare Inazami. La impugnò con decisione, usandola poi come bastone da passeggio mentre insieme al mentore si avviava alle ambulanze. A terra, circondati da un paio di paramedici, c’erano ancora gli stessi ragazzi che aveva notato prima. «Quindi questi sono i famosi Quinx» soppesò «Non sembrano molto forti.»

«Sono giovani» rispose Take come se quella di Masa fosse una domanda, mentre invece era una lapidaria osservazione «Chi lo sa cosa ha in servo il destino per loro.»

Lei lo guardò di sottecchi, annuendo lentamente per poi tornare a guardarli. Uno di loro stava rimandando il suo sguardo. Sembrava offeso, ferito nell’orgoglio e arrabbiato. Aiko non gli sorrise, ne disse niente, limitandosi a girare le spalle mentre Kuramoto iniziava a lamentarsi di quei tagli sulla sua schiena, di come li avrebbe presi volentieri lui al suo posto.

Masa però non lo ascoltava. Pensava semplicemente che la collera vestiva bene quegli occhi serpentini, che lei aveva visto già sul volto di qualcun altro, in passato.

 

Capitolo dieci.

Urie era rimasto in uno stato confusionale per quasi dieci minuti, dopo l’esplosione della bomba. Quando aveva ritrovato il senno, in un inferno di fuoco, urla lontane e macerie, si era prima di tutto chiesto come avesse fatto a sopravvivere. La risposta era arrivata quasi immediatamente. La forza dell’esplosione doveva avergli fatto perdere i sensi, ma il muro viola e verde che lo circondava quasi interamente come il guscio di un uovo lo aveva protetto dalla forza del fuoco, oltre che dalla maggior parte delle onde d’urto. Lo toccò, sentendolo caldo, bollente, e comprese di cosa fosse fatto.

Il kagune di Masa, che spuntava dal pavimento dopo averlo penetrato dal basso, lo aveva isolato alla meno peggio dalla deflagrazione che lo avrebbe ridotto a un pezzo di carne ben cotta, visto quando vicino si trovava dal punto di innesco. Si era sollevato, sentendo le orecchie fischiare a causa dell’acufene, adocchiando quattro altri piccoli involucri, sparsi lungo la pavimentazione dalle mattonelle smosse, come se un gigantesco verme le avesse sollevate dal basso. Da dietro una di essere, Hairu Ihre si stava affacciando confusa, ma viva e quasi per nulla scossa. Da quella accanto, anche il classe speciale Ui fece capolino, tenendo una mano alla testa.

«Masa!» chiamò, sentendo la sua stessa voce come lontana, osservando come una delle piccole uova aveva preso a tremolare, aprendosi come un piccolo bocciolo di rosa. Il kagune della collega aveva retto bene all’esplosione, tanto da essere ancora ben attaccato al suo corpo. Mentre scendeva dal bozzolo protettivo, tenendosi le mani alle orecchie disturbate, la partner iniziò a ritrarne i tentacoli, che strisciarono sotto terra per poi riemergerne di nuovo, seguendola mentre si avvicinava a lui. «Stai bene?!» le urlò in faccia, mentre le appoggiava una mano sulla spalla. Notò che dall’ultima protezione era emerso il corpo di Noriko. Aveva perso i sensi, ma non aveva nemmeno una ferita sul corpo.

«Cosa?!» gridò di rimando Aiko «Non ti sento!» sillabò, portando la mano sulle labbra, per dirgli di leggerle. Poi, in un impeto, si buttò contro di lui, abbracciandolo stretto. Urie rimase fermo, ma per poco. Sollevò le braccia stringendola di rimando e appoggiando la fronte alla sua spalla, sollevato.

Sto bene, si stavano dicendo a vicenda, e sono felice che anche tu non abbia perso arti.

Dal momento in cui si ritrovarono, le cose presero a muoversi molto rapidamente. Arrivarono poliziotti, altri agenti dislocati nelle sedi vicine della seconda e della quarta circoscrizione e le ambulanze. Loro due stavano bene, ma aiutarono i paramedici a spostare i feriti dalla confusione della scena, fatta di pezzi di cadavere, pozze di sangue e detriti. Soprattutto vetrate che, in un paio di casi, erano state la causa del decesso di qualche vittima.

Mentre tutti iniziavano a fare domande, fotografavano la scena e parlavano con il direttore Washuu, accorso immediatamente nonostante non fosse di servizio quel giorno, Masa aveva iniziato a vagare per quello che ormai era uno stanzone vuoto, privo di pareti.

«Quella dovresti spegnerla per buon giusto» le disse, quando Aiko si accese una sigaretta.

«Anche Koori sta fumando» gli fece notare senza peli sulla lingua lei, prendendo un tiro, prima di chinarsi su un busto straziato. Inclinò di lato il capo, osservandolo con attenzione, poi lo guardò «Hai dei guanti di lattice, vero?» Kuki annuì, passandogliene un paio neri e guardando poco convinto la sigaretta che lei gli stava chiedendo di reggere mentre faceva ciò che aveva in mente. Con cura, Masa prese a toccare il busto, portando una mano sotto e sporcandosi di sangue la manica del trench. Prese quindi a tirare con delicatezza, allargando una ferita con l’indice, fino a che non riuscì nel suo intendo.

Sollevò di fronte al viso quelli che sembravano tre fili tenuti insieme da una vite, un cilindro metallico e un fil di rame circondato da quella che a colpo d’occhio gli parve una molla «Cosa hai trovato?»

Lei sorrise, mostrandoglielo, senza però permettergli di prenderlo. Col cavolo che lo avrebbe fatto, in ogni caso, sporco come era «Questo, amico mio, è l’innesco della bomba» gli riferì, orgogliosa di quella scoperta «Sai che ogni dinamitardo ha una firma? Dentro alla bomba, solitamente, ci sono dei pezzi disposti in un determinato modo, cavi tagliati con attrezzi unici o ritorti su loro stessi per far si che sia riconoscibile il lavoro. Si chiama firma ed è particolare per ogni attentatore.»

«Perché dovrebbero firmarsi? Non è più semplice essere presi così?»

«Perché i dinamitardi sono, per definizione, narcisisti. Amano rimanere nei paraggi, assistere alle deflagrazioni, compiacersi del loro operato.» Masa fece una pausa «Cosa hai studiato in accademia?»

«I ghoul, non faccio parte della polizia anti crimine.»

«Bene, allora prendi nota: il nostro uomo è un perfezionista.» Aiko fece una pausa, portando più vicino al viso l’innesco «Ha tagliato tutti i cavi in modo perfetto, li ha uniti fra loro usando una pinza piatta, lavorando solo metalli di qualità, niente di economico. Questa non è vecchia scuola, né qualcosa che puoi imparare a fare su internet. Abbiamo a che fare con un giovanotto, forse dai sedici ai trent’anni di età. Dovremmo controllare le telecamere di sicurezza attorno allo stabile, per vedere se c’era qualcuno che si stava godendo lo spettacolo.»

«Lo faremo subito, secondo livello Masa, ma prima dobbiamo scambiare un paio di parole.» una voce alle spalle di Urie lo fece voltare. Di fronte si ritrovò un ragazzetto giovane, con i capelli biondi paglierino pettinati con ordine e due grandi occhi nocciola. Addosso aveva una lunga giacca nera e, sul braccio, una bada del medesimo colore con cucito in rosso un tredici in numeri romani.

«Sì, primo livello Nakarai» rispose con educazione Masa, alzandosi e mostrandogli ciò che reggeva in mano «Immagino che l’indagine sia vostra, quindi dovrei darvi questo.»

«Ora cerco una bustina» le rispose il giovane, prima di sospirare grave «Vado subito al tasto dolente, non ho intenzione di girarci attorno: ci sono persone che hanno detto di averti vista estrarre il kagune prima dell’esplosione, con un anticipo da non sottovalutare. Puoi spiegare come facevi a sapere cosa sarebbe successo?»

Gli occhi di Urie tornarono su Masa, che rispose con tranquillità «Certo che posso. Ho sentito l’odore.» fece un cenno verso il centro dell’impatto, a pochi metri da loro, poi guardò anche il camion, che era stato sbalzato indietro di qualche metro dal botto «Quando il ghoul è sceso dalla cabina, aveva in mano una borsa da palestra, rossa e nera. Al mio naso è arrivato un odore dolciastro, che avevo già sentito una volta, quando abbiamo smantellato un’organizzazione clandestina insieme alla squadra Hirako, facendo detonare un ponte di scambio. Ho capito subito che era piano di nitroglicerina.»

«Perché ha un odore dolce…» soppesò Nakarai, pensieroso, confermando l’informazione appena data da Aiko.

Urie, spinto da un raro momento di cameratismo, si intromise con educazione «L’olfatto di Masa è il più sviluppato tra i nostri» gli fece sapere «Mi fiderei della sua perizia.»

«Senza contare che ha provato a salvare delle vite, fra cui la mia.» il classe speciale Ui si avvicinò, scavalcando un pezzo di muro. Appena fu accanto a loro, Masa si riprese la sigaretta, per finirla e fare compagnia all’uomo, che stava a sua volta fumando. «Secondo livello Masa, con i mezzi e il tempo, saresti in grado di ricomporre la bomba?»

«Secondo le mie competenze forensi? Sì. Secondo il buon senso….» La donna si guardò attorno, sospirando «Devono andarsene tutti. Chissà quanti agenti e paramedici hanno attaccati alle suole dei componenti metallici e se li porteranno a casa stasera.»

«Sgombriamo tutto» senza mezzi termini, Koori iniziò a far cenno ai suoi uomini di far spostare tutti dalla scena «Squadra Suzuya, continuate ad indagare a partire dalla sorveglianza e dalla matricola del camion» Nakarai annuì, allontanandosi in fretta verso i compagni «Masa, tu pensa alla perizia scientifica insieme ad Aizawa. Non lasciare niente al caso.»

«Sarà fatto, Signore.»

Salutarono con rispetto il classe speciale, poi Kuki tornò a guardare Aiko. Non trovò i suoi occhi di rimando, però. Con il naso puntato al pavimento, la ragazza aveva già iniziato a setacciare ogni sasso per trovare pezzi in metallo o in plastica «Ci vorrà molto?»

«Tutta la notte» fu la risposta candida di Masa, «Chiamiamo il resto della squadra, ho bisogno anche dei vostri occhi. Poi penserò da sola alla fase di montaggio, ma non posso trovare ogni singola vite da sola.»

«…Vite

«Chiamali, Urie. Abbiamo una scena del crimine di sessantadue metri quadrati e anche l’esterno. E procurami delle bustine di plastica per la raccolta prove, per cortesia. E altri guanti!»

Lui alzò le mani, «Poi mi spiegherai dove hai imparato queste cose.»

«In America» rispose sbrigativa, prendendo quello che sembrava il cappuccio di un cilindro in plastica nera del raggio di cinque centimetri e esaminandolo per bene «E durante il master. Dovrò spiegarti piuttosto come si raccolgono e si catalogano le prove, quindi sbrigati.»

Capendo il punto, Kuki si allontanò in fretta, ma non sarebbe tornato subito. Da una delle zone più esterne di quello che una volta era l’atrio della sede centrale, insieme a molti altri colleghi, Shukumei lo stava salutando. Quando gli fece cenno di avvicinarsi, sventolando il blocco note, Urie comprese che sarebbe stato meglio fare prima la telefonata.

La giornalista non l’avrebbe lasciato andare facilmente.

 

 

Masa non fu per niente vaga quando disse a Urie che ci avrebbero messo tutta la notte a trovare ogni singolo componente della bomba. Alle sette del mattino riuscirono a tornare a casa, con Saiko che si era addormentata ore prima con la faccia appoggiata sulla schiena di Sasaki, il quale era stato incaricato della repertazione di ogni singolo schifosissimo pezzetto di plastica o fil di ferro da due millimetri. Aiko non tornò con loro. Non la videro fino alle due di quel pomeriggio, presa dall’assemblaggio della bomba, che portò a termine con successo nonostante molti pezzi mancassero. Alcune parti di quel puzzle suis generis le arrivarono dall’ospedale o dalla sala autoptica, estratti dai cadaveri e dai feriti. Ebbe così modo di farsi perdonare da Aizawa, che venne coinvolto in ogni fase della ricostruzione, al termine della quale spiegò tutto quanto a Tamaki, prima di rientrare allo chateau. Per il rapporto avrebbero dovuto aspettare. Aiko infatti aveva preferito  dormire almeno quattro ore prima di quello che sarebbe stato il raid iniziale dell’operazione Kamata. Sasaki aveva provato a dirle di non unirsi a loro e di riposare, magari concentrandosi sul caso dell’assalto nella sede centrale, ma lei non aveva voluto sentire ragioni.

Sarebbe andata con loro.

…Se ne sarebbe pentita in fretta.

 

Aveva avuto il sentore che quella serata sarebbe andata male quando, mentre parlava al cellulare con Kuramoto durante lo spostamento in camionetta verso quella che sarebbe diventata una zona di guerra, si era sentita dire da Take tutte quelle raccomandazioni puntigliose che per due anni e mezzo si era sorbita ogni singolo giorno.

Non perdere tempo. Non buttarti a capofitto, ma pensa razionalmente. Non fare l’eroina.

La trinità di Hirako, sentita così tante volte che ormai Masa poteva distintamente immaginare la faccia con cui le aveva spiattellate dall’altra parte della cornetta. Poi c’era stato il raid vero e proprio. Smantellare la palazzina non era stato difficile, soprattutto perché dava direttamente sul porto e quindi chiudere i ghoul si era rivelato semplice, tagliandogli la sola via di fuga che avevano. Non c’erano stati soggetti particolarmente forti, solo livelli A, qualche A+, ma niente di davvero degno di nota. Hoiji aveva poi mandato i Quinx a controllare una casetta sulla spiaggia, poco distante  e collegata da un sentiero di assi di legno nella sabbia alla palazzina principale. Sasaki aveva ordinato a Saiko e Mutsuki di seguirlo nel controllare l’esterno, lasciando agli altri tre la casetta.

Lì dentro avevano trovato una sorpresa ben poco gradita. Una botola chiusa con un lucchetto, che fu semplice far saltare in aria. Più difficile fu la visione di ciò che quella botola nascondeva. A decine, giovani donne mezze nude, tenute la sotto al buio e al freddo.

«Ora vi facciamo uscire!» aveva urlato Shirazu, cercando una scala, ma Urie lo aveva trattenuto. Quelli erano tutti ghoul. Una parte delle femmine che il clan Noburiko costringeva a prostituirsi. La visione fu così penosa che nessuno disse nulla, nemmeno quando vennero affiancati dalla squadra principale. Gli uomini di Hoiji fecero uscire ogni singolo soggetto, sopprimendo sul luogo solo coloro che cercavano di azzannarli, sicuramente spinti da una fame cieca. A giudicare dalle loro condizioni, non si nutrivano da molto. Il resto di loro, una ventina di ghoul, venne spostato nella Cochlea. Venne poi impartito l’ordine di controllo di un terzo stabile, disabitato, nel quale alcuni ghoul erano stati visti scappare. Il classe speciale diede direttive su come dividersi in quadranti e ai Quinx toccò il lato ovest.

«Ci dividiamo di nuovo in due gruppi.» Sasaki, che aveva subito l’impatto di quelle immagini forti più di qualsiasi altro membro della sua squadra, mantenne un certo controllo. «Shirazu e Saiko verranno con me. Entreremo dalla porta ovest, mentre Urie, Masa e Mutsuki cercheranno una via di accesso dalla parete che fa angolo verso nord. Cerchiamo di chiudere in una morsa chiunque ci ritroveremo di fronte per attaccarlo tutti insieme. Schema di azione Q5.»

Si separano in silenzio, iniziando quell’ennesima operazione e sperando di non incontrare nessuno. Akira diede il via alle danze dalla trasmittente e Urie fu il primo a scavalcare la finestra, porgendo una mano a Mutsuki che si tenne alle sue spalle per fare lo stesso. Dentro era così buio che quando Masa li ebbe raggiunti, non poté trattenersi dall’accendere una torcia, che tenne con la mano libera da Inazami, illuminando l’ambiente circostante con il fascio luminoso ad altezza spalla.

Inspirò quindi l’aria, alzando il mento «Via libera sul corridoio di destra.»

Urie, che stava a sua volta fiutando quello di sinistra, annuì piano «Aria stantia, probabilmente un vicolo cieco. Non credo che ci passi qualcuno da molto. Andiamo a destra.» Si avviarono, tenendo le orecchie bene aperte sulle comunicazioni. Fino a quel momento, nessuno aveva ancora trovato niente.

«Non credete che sia stato orribile?» A spezzare il silenzio con un sussurro sottile fu Tooru. Non lo fece con cattiveria o con l’intenzione di creare zizzanie, ma quelle immagini brutali, quelle donne magre e stanche, l’avevano scosso e non riusciva più a tenerlo per sé.

Ovviamente si scatenarono le guerre puniche.

«No, visto che quelli non sono esseri umani, perché dovrebbe dispiacermi?» fu di fatto il diplomatico esordio di Kuki, che ebbe lo stesso effetto della prima pietra scagliata.

«Figurarsi» Masa non si fermò, mentre l’uomo accanto a lei non si degnava nemmeno di chiederle cosa intendesse. Non l’avrebbe comunque finita lì. Riprese a parlare quasi subito «Sei così insensibile che mi fai paura, Spock. Come fai a non sentirti nemmeno un po’ toccato?»

«Sono ghoul

«Sono donne costrette a vendere il loro corpo a schifosi maiali per un pezzo di carne ogni tanto. Tenute in scacco dalla paura e dalla violenza, probabilmente picchiate e stuprate. Non è poi così diverso da ciò che succede a molte donne umane. È disumano in ogni caso, dannazione.»

«Abbassate un po’ la voce» suggerì Tooru, guardandoli in tralice, mentre un leggero tremore parve diffondersi nelle sue membra. «Non avrei dovuto parlarne.»

«Non hai fatto niente di male, Mutsuki» lo difese immediatamente Aiko, prima di prendere un respiro profondo, abbassando il tono «Sono io che mi aspetto sempre qualcosa di più dall’Omino di Latta qui presente. Ma perché, poi? Non hai un sentimento altruistico nemmeno a cercarlo con un lanternino.»

Lui ci mise poco a risentirsi «Non capisco cosa non ti sia chiaro del fatto che non provo pena per i mostri. Non farne una questione personale da femminista. Non hanno un’anima, non provano sentimenti come i nostri. Sono solo delle macchine assassine, i nostri nemici naturali. Non provo pena per chi mi mangerebbe!»

«Vedi quale è il punto? Io, io e io. Tu sei così egoista, Urie. Sei un bambino viziato che vuole il giocattolo del momento. Nel tuo caso, la promozione.» a quel punto si erano anche fermati, per litigare meglio «Ma cosa ti importa dell’oggettivazione del corpo femminile? Magari potresti anche essere uno degli stronzi che va a letto con loro, per quel che ti importa. Tanto non hanno sentimenti, no?»

«Ragazzi…»

«Mi stai accusando di cosa, di preciso? Di essere ambizioso?! Cosa c’entra?! Poi proprio tu parli dell’oggettivazione del corpo femminile, che non fai altro che andare in giro a darla

Oh. Questo è esagerare, ma non sono pentito nemmeno un po’.

«Urie!» Tooru portò le mani alle labbra subito dopo quell’urlo inopportuno, sentendosi comunque abbastanza sconvolto da quella mancanza totale di tatto. Urie si voltò verso di lui e gli parve prenderlo sul personale a sua volta.  «Chiedile scusa!»

«Perché dovrei? Non starò qui a farmi fare la morale a qualcuno con la sua reputazione.»

Masa però non si aspettava delle scuse, no. Non sembrava nemmeno risentita. Lo guardava con gli occhi da gatta nascosti nei buio e appena visibili grazie alla gioca luce della torcia, impassibile. Forse delusa, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ferirla, se era tutto ciò che voleva in quel momento «Questo è quello che pensi di me?» rimasero fermi, a guardarsi e quando lui non la degnò nemmeno di una risposta, lei allora parlò nuovamente «Sai cosa penso io di te, invece, Urie Kuki? Che tuo padre si vergognerebbe dello stronzo che sei diventato.»

Ancora una volta, il secondo livello non rispose. Girò semplicemente sui tacchi, prendendo un altro corridoio, come se quella fosse la sua risposta alla provocazione di Masa. Non voleva mostrarle quanto quella frase l’avesse toccato, quanto arrabbiato fosse e quando, sotto sotto, credesse che quelle parole fossero veritiere. Così si distaccò da loro, in modo anche abbastanza stupido, ignorando Mutsuki che lo richiamava ricordandogli lo schema e che si sarebbe messo in pericolo. Non voleva più respirare la stessa aria di Aiko, aveva bisogno di levarsela di torno, di pensare e magari di scongiurare quel minimo senso di colpa che aveva provato nell’esatto momento in cui le dava della troia. Lei però aveva giocato sporco come suo solito, arrivando a scomodare suo padre. Quello era il solo modo che aveva di ferirlo davvero e lo sapeva, lo sapeva eccome. Lo aveva detto lei stessa, durante la loro prima indagine, che era una profiler e che il suo lavoro era quello di entrare nella mente della gente.

Con lui ci era riuscita molto bene.

Si lasciò prendere dalle emozioni che tanto scongiurava, tirò un calcio a una sedia rotta riversa sul pavimento e si fermò come un fesso in quella stanza vuota, vagamente illuminata dai raggi lunari. C’erano giorni in cui li odiava tutti, momenti in cui sperava di rimanere solo al mondo. C’erano momenti in cui si chiedeva perché fosse costretto a sopportarli, a vedersi intralciato e scavalcato da un ghoul e i suoi piccoli, stupidi sottoposti.

E c’erano giorni in cui lo stupido era lui. Quello era uno di quegli ultimi giorni.

«URIE!»

Non fece in tempo a voltarsi che qualcosa di duro lo colpì con forza sulla nuca, facendolo sbilanciare in avanti. Cadde a carponi sulla pavimentazione sporca, mentre un lampo argentato illuminava la stanza in una frazione di secondo, facendola ripiombare in un silenzio statico e oscuro. Portò la mano alla zona dolorante, sentendo la stoffa impregnarsi di sangue.

Non aveva idea di cosa fosse successo, tutto si era verificato nell’arco di un grido e a essere urlato era stato il suo nome. Gli bastò voltarsi per comprendere che a colpirlo era stata la parte finale di Inazami, quella opposta alla lama. Non gli ci volle molto nemmeno a capire il motivo per cui Masa lo aveva fatto cadere. Una serie di squame d’argento si erano conficcate nel muro, alcune sul pavimento e ora riflettevano la luce lunare, brillando. Guardando la traiettoria, Urie si sarebbe ritrovato decapitato se non si fosse spostato.

La parte peggiore era un'altra. Masa gli aveva impedito di morire, ma era stata colpita a sua volta da qualche scheggia. Una le usciva dal centro del petto.

Un’altra l’aveva colpita alla gamba, staccandola di netto.

 

 

Il caso volle che quell’ukaku non fosse interessato a loro, ma che quelle schegge di kagune fossero il risultato di uno scontro che si stava svolgendo all’esterno della struttura. Questo diede il tempo a Tooru di chinarsi su Masa per aiutarla. Ci fu più sangue che parole di incoraggiamento, così come il rifiuto categorico di Aiko di lasciarsi soccorrere dal compagno. Ci volle l’intervento di Haise, che riuscì ad estrarre quella squama acuminata, finendo per ferirsi a sua volta le mani e che, in un modo o nell’altro, riuscì a calmare la mora che pareva essere uscita totalmente di testa.

«Va tutto bene!» continuava a ripeterle, tenendole il viso fra le mani, mentre lei si dibatteva, tenendosi la coscia, con gli occhi puntati sul terreno come se non vedesse nulla, in realtà. «Stai già guarendo, guarda.»

Aveva ragione, come fili sottili, gambe di ragno slegate da un corpo, i tessuti della ragazza iniziavano a ricompattarsi da soli. Non ci volle molto, una manciata di minuti che quasi tutti passarono attorno a lei, chi con una mano sulla spalla o chi, come Shirazu, a cercare di distrarla con tutte le volte che era stato lui a perdersi dei pezzi. Senza contare che Masa aveva un kagune di tipo rinkaku, quindi godeva di capacità rigenerative a dir poco straordinarie, grazie alla consistenza fluida che avevano le sue cellule rc. In poco fu come nuova e venne rimessa in piedi dai suoi compagni, che la guardarono sollevati riprendere colore.

«La prima amputazione non si scorda mai» le stava dicendo il caposquadra, offrendole un braccio per aiutarla a spostarsi per la stanza buia. «So che è strano vedere pezzi di te sparsi per una stanza, ma posso assicurarti che è possibile farci l’abitudine.»

Urie si era tenuto a distanza, inquietato dalla reazione della sua partner, alla quale fra l’altro doveva la vita di nuovo. Aveva visto i suoi occhi perdere il contatto con la realtà e l’aveva sentita dire qualcosa di strano, a cui però non trovava un senso logico.

“Non farlo di nuovo, migliorerò.”

 

Masa ebbe un secondo crollo al termine dello sgombero, ma non fu di natura psicologica come il precedente. Ebbe un cedimento sul piano fisico, reduce da una nottata di fuoco che si concluse solo quando l’alba era visibile sul pelo dell’acqua dell’oceano che baciava il porto. Si addormentò sulla camionetta mentre facevano ritorno al quartier generale e a portarla nel tragitto dall’auto alla sua camera da letto fu Sasaki.

Il mentore si prese cura della ragazza tutta la mattina, premurandosi solo di lasciare a Saiko il compito di svegliarla e aiutarla a cambiarsi.

«Per una persona che è famosa per non fare gioco di squadra, non si sta molto risparmiando» fu tutto ciò che ebbe da dire Shirazu, con le mani appoggiate sulla nuca e l’espressione pensierosa «Allora proprio tutti possono migliorare, Uriko.» concluse senza mancare di spedire una frecciatina direttamente all’altro ragazzo presente nel corridoio in quel momento, mentre Tooru ridacchiava piano.

«Quando si sveglia, dovresti davvero scusarti per quello che hai detto.»

Abbandonato anche da Mutsuki, che pareva essersela presa più di Masa per le insinuazioni fatte durante il raid, a Kuki non rimase molto da fare se non andare a sua volta a dormire qualche ora, godendo della giornata che avrebbero avuto libera. Doveva stilare il rapporto, ma si concesse di essere pigro e farlo solo al risveglio, almeno per quella volta.

Masa non si vide per il resto della giornata, fino all’ora di cena. Sembrava ancora pallida e provata e si scusò sentitamente con tutti loro per averli fatti preoccupare. «La prossima volta che Haise mi dirà di dormire, dormirò. Promesso.» concluse quel discorso, alzando le mani quando il mentore le fece notare che non era lì solo per dire cazzate, sempre con il solito sorriso gioviale sulle labbra.

Non mangiò con loro, in ogni caso, sostenendo che aveva da finire il rapporto sull’indagine preliminare sulla ricostruzione della bomba. Con questa palese scusa prese il suo piatto, strisciando di nuovo al piano di sopra, indossando come al solito solo una canottiera chiara e un paio di culottes blu scuro sotto a un kimono da casa, leggero a fiori.

«Avresti dovuto prenderti cura tu di lei, non Sasan. È la tua partner e ti ha salvato il culo. Devo per caso ricordatelo di nuovo?»

Quella che arrivò come l’ennesima provocazione della giornata da parte del suo caposquadra stupido, fece irritare moltissimo Urie, al punto tale che arrivò anche a chiedersi perché diavolo avesse smesso di indossare le cuffie durante i pasti. Lo guardò, in silenzio, decidendo di non rispondere per non essere sgarbato. Fatti i fatti tuoi, riusciva solo a pensare, che la tua partner non riesci nemmeno a farla alzare in tempo dal letto.

«Guarda che ha ragione» a sorpresa, anche Saiko sembrò decisa a prendere una posizione in merito «Non ti stai comportando bene per niente.»

«Andiamo, ragazzi.» Haise cercò di placarli «Io sono il vostro responsabile e-»

«Non sei nostra madre.» Yonebayashi non cedette terreno «…La mia sì, ma non sei la mamma di Masa. Senza contare che non è una bambina, sarebbero bastati un paio di gesti da parte sua, tutto qui.»

«Quanto meno» anche Tooru si sentì in vena di sputare sentenze, a detta di Kuki «Dovresti interessarti.»

«O almeno far finta che ti importi qualcosa di noi.»

«Shirazu…» Sasaki annuì, cercando di essere severo nel farlo e ottenendo come solo risultato un’occhiata da parte del suo caposquadra. «Non stiamo facendo un processo a nessuno. Ora smettetela, mangiate e filate e completare il rapporto. Solo Aiko me l’ha consegnato.»

«Levatemi una curiosità.» la voce di Urie non sembrava irritata, al contrario del suo sguardo serpentino che passava da un viso all’altro, indagatore «Chi ha scommesso cosa? Perché se c’è tutto questo interesse verso cosa faccio o non faccio nei confronti della mia compagna di indagini, ci devono essere molti soldi in palio.»

«Non si tratta della scommessa, brutto imbecille!» come volevasi dimostrare, Shirazu scattò, inveendo contro di lui «Si tratta del cameratismo che abbiamo fra noi. Masa è una nostra compagna e per quanto stramba, si impegna a uniformarsi a noi. Tu invece, che sei quello che è qui da più tempo, cosa fai?! Un bel niente, Urie!»

«Ora basta!» a sorpresa, Sasaki alzò la voce «Non tollero che vi rivolgiate così l’uno all’altro. Shirazu, smettila.»

La sedia di Urie strisciò sul pavimento e con un gesto secco, il ragazzo cacciò il tovagliolo al centro della tavolata, «Mi è passata la fame.» fu tutto quello che disse, prima di lasciare la cucina, andandosene al piano di sopra.

Nessuno disse nulla, eccetto Haise che prese un bel respiro, scostando il piatto vuoto che aveva di fronte giusto per scena, incrociando le braccia sul tavolo. Lì nascose il viso esasperato, decidendo di prendersi qualche secondo per cercare di capire come fare per far diventare quel gruppo di giovani una squadra.

Sembrava fallire ogni tentativo.

 

Per rispetto ad Haise, Shirazu lasciò perdere l’argomento, reclutando Mutsuki e Sasaki per un giro notturno in centro e una bevuta veloce prima di buttarsi a letto nuovamente, ancora un po’ provati dalla nottata precedente.

Soprattutto Sasaki, che non aveva ancora chiuso occhio.

Saiko invece col cavolo che si sarebbe arresa. Piazzò un muffin al cioccolato in mano a Urie, con decisione tale da rischiare di spappolarlo, prima di dire con tono pretorio che lei sarebbe andata a finire una campagna a CoD, mentre lui avrebbe dovuto impegnarsi a tenere un po’ di compagnia ad Aiko.

Urie avrebbe potuto tranquillamente riportare il dolcetto in cucina e ritirarsi nella sua stanza, magari a dipingere. Doveva finire un quadro da quasi due mesi, continuava a non ritenersi soddisfatto dei giochi di luce sulla tela, ma qualcosa gli disse che scappare non sarebbe servito a niente.

Per questo si armò di pazienza e arrivò di fronte alla porta della stanza della partner, bussando un paio di volte. Tempo due secondi e lei gli diede il permesso di entrare.

La camera di Aiko era più piccola rispetto alla sua, ma leggermente più grande dello stanzino in cui dormiva Shirazu. Era allungata, visto che costeggiava le scale, e in fondo ad essa c’era un letto a una piazza e mezzo con un semi baldacchino avvolto da fili e fili di lucine natalizie. Quella era la sola fonte di luce, insieme a una piccola lampada appoggiata sul comodino alla destra della ragazza, che lo guardava con la solita espressione da gatta nera da dietro lo schermo del portatile.

«Ti serve qualcosa?» domandò, fermando la musica e abbassando gli occhi sul muffin, che lui le porse al volo. Lei lo prese, dandogli un morso mentre si scostava per fargli posto. Ingerito il boccone, alzando la voce «Grazie Saiko

L’altra non rispose, ma non c’erano possibilità che non avesse sentito.

«Ripeto: ti serve qualcosa?»

Devo avere pazienza, mi ha salvato la vita. Devo avere molta pazienza.

«Ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere farmi leggere il rapporto che devi consegnare domani al classe speciale Ui. Posso correggertelo e magari migliorare qualche parte, se vuoi.»

Lei lo guardò con le labbra socchiuse, prima di riprendere a mangiare con non curanza «Fai schifo a chiedere scusa» gli fece sapere, facendogli cenno di sedersi e ficcandogli il mano la cartellina che teneva aperta sul comodino e nella quale si era appuntata l’intero rapporto in questione «Prego, divertiti.»

Lui si accostò maggiormente alla lampada, iniziando a lavorare in silenzio e lanciando di tanto in tanto occhiate al portatile di Masa. Sullo schermo si stava consumando quella che sembrava un’accanita partita a scacchi. Le lasciò fare la sua mossa, prima di chiedere delucidazioni riguardo il nome della persona che stava sfidando «JHuang? Il dottore?»

Lei mugolò in assenso, guardando l’alfiere bianco spostarsi per minacciare la sua torre «Ogni tanto non ha niente da fare e mi chiede di sfidarci.»

«Non sembravi in buoni rapporti con lui, quella volta che siamo andati a parlarci.»

«Infatti non sai molto di me.»

Il desiderio di tirarle la cartellina e andarsene era forte, ma alla fine della fiera era stato lui a comportarsi come uno stronzo. Quindi tanto valeva scendere a compromessi con il suo orgoglio. La guardò allungarsi e afferrare una scatolina dal cassetto del comodino, notando la presenza di un peluche bianco su di esso. Doveva essere un gatto o qualcosa del genere. Gli sembrò famigliare, forse lo aveva già visto da qualche parte, o uno simile.

«Sembravi spaventata da lui.»

«Diciamo solo che è una persona un po’…. Impegnativa.» senza nemmeno avvertirlo, Aiko prese da quella scatola tutto l’occorrente per fare una canna. L’erba che aveva sequestrato a quei ragazzini compresa. La guardò un po’ male, ma alla fine era la sua stanza e non poteva dirle proprio nulla «Avevo paura che non avrebbe apprezzato la tua presenza lì.»

«Non l’ha apprezzata, immagino.» lei annuì lentamente, appoggiando la cartina sul computer, per andare ad aprire il sacchetto del tabacco «Per questo ti ha fatto del male? È un amante geloso?»

Aiko lo guardò stranita, con il filtrino di cartoncino fra le labbra e una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso, prima di iniziare a ridere «Ti sei fatto un’idea molto sbagliata di lui. E di me. Ma di quello mi ero accorta prima.» continuò il lavoro certosino, tenendo gli occhi sul tabacco che stava rullando sapientemente con le dita per modellarlo «Gli avevo detto che andavo da sola ed è una persona molto esigente sotto certi aspetti. Se dico una cosa, poi la devo fare. Non ama le sorprese e temevo si sarebbe offeso e non ci avrebbe aiutato.»

Era una bugia grande come il Giappone, ma Urie non se la sentiva di approfondire un discorso delicato di quel calibro. Preferì girare la conversazione su qualcosa di meno impegnativo «Invece questa abilità dove l’hai acquisita?»

Sorprendentemente, lei sorrise divertita, prima di portare la punta della lingua sulla cartina per chiuderla e godendosi l’espressione dell’altro che seguì il momento del muscolo «Durante l’anno di interscambio con l’America.» lui continuò a guardarla, chiedendo implicitamente ulteriori spiegazioni «Al secondo anno abbiamo vinto un concorso di scambio con un’università di New York, dove abbiamo frequentato l’accademia del FGI.»

«Federal Ghoul Investigations? C’era la possibilità di partecipare anche quando frequentavo io» le restituì il rapporto praticamente intonso e lei lo lanciò senza grazia sulla poltroncina accanto al letto «Non pensavo fossi brava nelle materie pratiche.»

«Non lo sono.» gli passò l’accendino e lo spinello e quando non ebbe reazioni sospirò, accendendolo lei «Io e Takami non lo siamo mai stati. Eravamo pigri, molto più di adesso. Però c’era questo nostro compagno di corso, Kenzo, che era un piccolo genio. Voleva fare l’agente, ma sarebbe stato un ottimo ingegnere se l’avesse voluto. Ha inventato questo sistema di sblocco per la valigetta che invece di aprirsi, si sfila. In America lo usano già, qui dicono che costi troppo modificarle tutte. Comunque, lui non aveva amici e i gruppi dovevano essere almeno da tre. Ci ha arruolati con la promessa che ci avrebbe portati a New York e l’ha fatto. Gli sono grata, mi ha permesso di frequentare un sacco di corsi di criminologia molto affascinanti, avanti anni luce rispetto ai nostri.»

«Kenzo? Non credo di conoscerlo.»

Aiko prese un tiro, prima di sorridere un po’ tristemente. Buttò fuori il fumo, guardandolo svanire nell’aria di fronte a loro «Perché non eri ancora un investigatore quando è morto. In servizio, a due mesi dal diploma.» a quel punto, quando la ragazza gli passò nuovamente la canna, lui decise di accettarla. Stavano impelagandosi in discorsi che non poteva affrontare nel pieno delle facoltà mentali «Peccato, era un bravo ragazzo. Troppo ingenuo però, mi hanno raccontato si è fatto prendere di sorpresa e l’hanno aperto in due come un gamberetto. Ogni tanto ripenso a come, malgrado fosse un nerd sfigato, risultasse di compagnia. Era una persona dolce. Mi manca.» Urie evitò il contatto visivo prendendo un tiro di fumo, che soffiò fuori subito dopo, disturbato dal sapore amaro che gli era rimasto sulla sua lingua. «Inspira» gli disse lei, alzando un sopracciglio divertita «Stasera stai bruciando la prima tappa di ogni adolescente normale»

«La droga?»

«La trasgressione delle leggi.»

Kuki provò a fare come lei aveva detto, ottenendo come solo risultato gli occhi lucidi a causa della tosse che cercava inutilmente di trattenere. Masa ridacchiò, guardandolo e lui, per orgoglio, ci riprovò un paio di volte, riuscendoci «Non sento niente.» le fece sapere alla fine, ripassandole lo spinello.

Lei lo prese fra le dita, sospirando mestamente «Deve essersi alzata molto la nostra soglia di tolleranza. È stato così anche con l’alcool dopotutto. Prima non reggevo niente.»

«Voglio farti una domanda, ma so che mi daresti una risposta sgradevole e finiremmo a litigare nuovamente» appoggiando la schiena al muro dietro di lui, Urie si allungò sul letto. «Ho mal di testa, quindi forse è meglio se lascio perdere.»

Aiko lo guardò perplessa, prima di spegnere il mozzicone nel posacenere e chiudere il laptop, che andò ad appoggiare accanto alla scatola. « Posso prometterti di provare a non fare la stronza, ma solo se anche tu proverai a trattenere la tua vena insopportabilmente sarcastica.» propose sedendosi accanto a lui, con le caviglie incrociate e le spalle contro la superficie fredda della parete.

Urie deglutì, sentendo la bocca pastosa e la testa un po’ più leggera. Un minimo effetto doveva averlo avuto, anche se non aveva perso in lucidità. «Difendi i ghoul, provi pena per loro, nonostante non ti abbia vista mai indecisa durante gli scontri.» iniziò con le mani incrociate sul ventre e gli occhi ben piantati di fronte a lui «Dopo tutto quello che ti hanno fatto, le persone che hanno portato via, il dolore che è rimasto…. Come puoi farlo? Perché non li odi?»

Perché non sei come me?

Aiko lo guardò sorpresa, voltando il capo verso di lui e spiando il suo profilo a zone d’ombra a causa della moltitudine di lucine che li circondava. E capì che per quanto storto e bislacco, quello era un passo che Urie stava muovendo verso di lei, per sotterrare l’ascia di guerra. Forse solo per capirla.

«Per mio fratello» sussurrò alla fine, stupendolo al punto tale che alche lui si voltò a guardarla. «Lui ha preso e se n’è andato dal giorno alla notte, senza curarsi di dirlo nemmeno a nostra madre. La sua fidanzata mi odia, dice che è a causa mia se non c’è più, che un ghoul deve essersi vendicato di me uccidendolo, ma io sento che non è morto. È solo scappato via, come un codardo. Se esistono persone così, che lasciano un’intera famiglia a soffocare nell’angoscia e un figlio non ancora nato, perché dovrei odiare i ghoul? Loro mi hanno fatto del male, ci sono stati degli istanti, due anni fa, in cui credevo che non sarei mai sopravvissuta all’eredità dell’Anteiku. Mi svegliavo nel cuore della notte, piangendo, immaginando un mostro per ogni angolo buio della stanza. Avevo smesso di mangiare, ho perso dieci chili in tre settimane. Soffrivo di insonnia e ho quasi smesso di lavorare. Poi, di punto in bianco, ho realizzato che ciò che mi era capitato, gli orrori che avevo visto e vissuto, erano solo un prezzo da pagare per la professione che mi sono scelta e che mai, mai mi avrebbero ferita come la consapevolezza che a mio fratello non importava un cazzo di me, così come a mio padre. Di mia madre meglio non parlarne nemmeno, non vorrei deprimerti più di quanto tu non lo sia già.»

C’era qualcosa di incredibilmente devastante negli occhi di Masa, mentre gli raccontava ciò che provava in merito alla sua famiglia. Urie, che aveva perso i suoi genitori da bambino, non aveva mai pensato che forse era meglio avere di loro un ricordo dolce, che sopportare il peso di una famiglia inconsistente. Non se la sentì di dire niente, però in un timido gesto di affetto, appoggiò la mano sulla sua gamba nuda, poco sopra al ginocchio, voltando poi nuovamente il capo per evitare di continuare a torturarsi di fronte a quegli occhi malinconici.

Lei, per risposta, prese quella stessa mano e la strinse alla sua, intrecciando le dita.

«Ora te la faccio io una domanda» sussurrò con tono basso, rispettando il suo volere di non incontrare i loro sguardi e prendendo a fissare l’elaborata cucitura sulla manica del suo stesso kimono «A vent’anni stai per essere promosso al livello uno. Hai terminato l’accademia con dei voti d’eccellenza e sei entrato a fare parte del progetto più folle e pericoloso che il ccg abbia mai pensato. Immagino che tu abbia sacrificato molto per arrivare al punto in cui sei, tutto ciò che ha tenuto me in piedi in questi anni: gli amici, l’affiatamento fra colleghi e compagni di corso e anche l’amore. Mi domando solo se tu credi che ne sia valsa davvero la pena. Se ogni rinuncia, ogni singolo istante di solitudine, quel doppio strato di filo spinato in cui hai avvolto il tuo cuore…. Tutto questo, è valso la pena?»

La risposta si stava rivelando più complessa della domanda stessa, perché lei non aveva chiesto se ne era valsa la pena, ma se lui lo credeva. Gli stava chiedendo di fare una stima di quegli ultimi quattro anni di vita, gioie e dolori, fino ad arrivare a tirare le fila e decretare se il tenere gli altri molto lontano da sé avesse avuto un effetto positivo o meno. Ripensò ad alcuni fatti recenti, ad iniziare dall’assalto alla casa d’aste, al modo in cui Mutsuki aveva percepito l’agonia della sua solitudine e aveva cercato di porvi rimedio, fino a ogni singolo giorno sotto quel tetto, a discutere con i compagni di squadra semplicemente perché era lui a non essere in grado di relazionarsi a loro.

Poi pensò alla notte del suo compleanno, alle labbra di Aiko che ora gli sedeva accanto e a ciò che aveva impedito che succedesse.

Se ne era pentito? Parecchio. Lo avrebbe impedito di nuovo? Conoscendosi, di certo.

Arrivò quindi alla spiazzante conclusione che no, non aveva una risposta.

«Non lo so» le rispose sinceramente, con tono incerto, il quale gli fece accapponare la pelle. Masa era incredibilmente brava a capire le persone. Troppo brava.

La stretta delle loro mani si intensificò.

«Rischiamo di morire ogni giorno, Kuki. Ogni singolo giorno può essere l’ultimo e posso garantirti che il mondo non cambierà se tu avrai o meno qualcuno al tuo fianco. Il mondo rimarrà esattamente lo stesso, a cambiare sarai tu. Se hai qualcosa in cui credere, qualcuno per cui combattere, allora lo farai più intensamente, con più coinvolgimento. Sarai un soldato migliore.»

Si voltò di nuovo verso di lei, ma il suo sguardo non venne ricambiato «Non sempre avere qualcuno a casa ti fa combattere meglio. Senza contare che, se muori, coloro che restano devono sopportare un dolore che non ha mai fine. Preferisco vivere da solo che far vivere a qualcun altro ciò che ho vissuto io.» Una singola lacrima percorse la guancia di Aiko, che ancora evitava i suoi occhi, mentre lui la fissava insistentemente, cercando di rimanere impassibile nonostante quel discorso lo stesse pugnalando. Perché cazzo stai piangendo al mio posto?

«Tuo padre avrebbe fatto qualsiasi cosa per tornare da te. Qualsiasi cosa.»  si interruppe, tirando su col naso e sciogliendo le loro mani per portarle entrambe alle guance e asciugarle «Un genitore ha molta più paura di deludere suo figlio che di morire. Almeno, un buon genitore e scommetto che lui lo era. Scusami.» prese un respiro, stringendo gli occhi mentre il viso le si storceva nella smorfia del pianto. Asciugò di nuovo gli occhi, prima di allungarsi verso il comodino per afferrare un fazzoletto.

Lui comunque non glielo permise.

La prese per il braccio, poco sopra il gomito, tirandola verso di sé per farla voltare e poi, senza nemmeno un minimo di esitazione, condusse la mano libera sulla sua guancia umida, sporgendosi col busto e incontrando per propria scelta le sue labbra salate in un bacio. Non fu nemmeno lontanamente come il primo che si erano scambiati. Non era stato strappato un po’ a tradimento da Aiko, sotto i fumi dell’alcool e l’euforia, ma veniva direttamente da Urie. Quella che era stata etichettata come la sera della sua trasgressione sarebbe stata vissuta fino alla fine.

Masa smise di piangere, mentre le loro labbra si accarezzavano con lentezza. Socchiuse gli occhi per spiare il volto rilassato dell’altro e poi si staccò lentamente, continuando a guardarlo con un mezzo sorrisetto, finendo di levare via le guance dal suo viso con i palmi aperti «Scusa, deve essere la sindrome pre mestruale» soppesò con divertimento, riuscendo a strappare un sorriso anche a lui. Poi tornò seria, sistemandogli i capelli sulla fronte con la punta delle dita «Ormai è tardi, Kuki. Se tu morissi, io sarei distrutta. Non azzardarti a farmi questo, non tu.»

Ci sarebbero state parecchie cose che avrebbe voluto chiedere Urie in quel momento, ad iniziare dalla sua relazione con Ito, passando alla vera natura di quella con il dottor Huang. Gli sarebbe piaciuto sapere anche perché era sempre così ammiccante, perché flirtava con lui quando aveva già altri uomini disposti a fare qualsiasi cosa per lei. A come riuscisse a fargli perdere la testa, nonostante non fosse altro che una ragazza molto comune. Voleva anche sapere cosa le passava per la mente quando i suoi occhi si oscuravano, quando un’ombra attraversava le sue iridi e si chiudeva in se stessa, ostentando una felicità che non provava davvero.

La regina dei falsi.

Non lo fece perché metà di quelle risposte non le voleva. Portò l’indice alla cravatta, che si era fatta insopportabilmente stretta e ne allentò il nodo, pentendosi di essere vestito nonostante non avesse messo il naso fuori casa. Aiko gliela sfilò completamente, mentre continuava a fissarlo attraverso quei due medaglioni dorati che aveva al posto delle iridi. Poi, con mani delicate, iniziò ad aprire uno ad uno i bottoni della sua camicia, accarezzando lentamente la pelle che iniziava a scoprirsi sotto di essa con la punta dei polpastrelli, come se gli stesse dando il tempo di razionalizzare l’intera situazione e alzarsi, all’occorrenza.

Urie non aveva intenzione di farlo e glielo dimostrò portando una mani sui suoi fianchi e slacciando il cordoncino che teneva chiuso il kimono, il quale cadde a terra seguito poco dopo dalla sua camicia nera. La tirò piano a sé, facendola sedere sul suo bacino e sollevandole la canottiera fino al seno. Quando lei alzò le braccia, con un sopracciglio alzato e un sorrisetto irriverente che lo invitava a sfilargliela, la liberò anche di quell’indumento. Sotto non indossava nulla, eccetto una sottile asticella argentata che attraversava il suo capezzolo destro, tenuta ferma da due palline metalliche. Si fissò parecchio su questo dettaglio, mentre le sue mani fredde le accarezzavano la schiena nuda, facendola inarcare.

«Carino, vero?» gli domandò scanzonata, inclinando la testa di lato e spiando le sue reazioni, mentre la mano sinistra parava indietro i capelli viola di Kuki «So a cosa stai pensando e sì, sono una donna piena di sorprese. Devi ancora trovare l’ultimo tatuaggio…»

C’era qualcosa di intrigato nello sguardo di Urie, quando riuscì a scollare gli occhi dal suo seno per osservarle il volto, quasi come a chiedere conferma di ciò che aveva appena affermato, ma non gliene diede il tempo. Esattamente come un fuoco tenuto controllato che prendere il sopravvento e brucia ossigeno ingigantendosi, Urie si lasciò andare definitivamente. Prese fra le labbra quell’asticella argentata, sentendo i dolci gemiti che lasciavano le labbra della compagna. Motivato da quella reazione la fece stendere sulla schiena e solo quando entrambi ebbero finito di spogliarsi, tornò a guardarla.

Lei non sembrava a disagio nel trovarsi sotto di lui, completamente nuda ed esposta ai suoi occhi. Gli permetteva di osservare ogni porzione del suo corpo dalla pelle di alabastro e, al contempo, faceva lo stesso con quello allenato del partner.

«Sapevo che dovevi avere un grosso pregio.» gli fece sapere, senza nemmeno avere l’accortezza di alzare gli occhi, ma aprendo le cosce e tirandolo maggiormente a sé per baciarlo nuovamente, man mano che i loro corpi andavano fondendosi, le loro carni unendosi.

Ansiti e sussurri diventarono gemiti sempre più alti, mentre le carezze che percorrevano la pelle bollente accrescevano di intensità fino a sfociare in piacere puro.

C’era qualcosa di lui che doveva aver toccato un nervo scoperto dentro alla giovane, così come anche Masa era stata in grado di sfiorare corde di Urie che il ragazzo non  credeva nemmeno di avere.

 

Continua…

 

 

 

Nda

 

Non credevo che sarei mai arrivata a questo punto, e invece eccoci qui.

Urie, il tuo fiore è stato colto.

Masa è un tipetto strano, uhm? Che idea vi siete fatti di lei, dopo ben dieci capitoli.

 

Ho postato a distanza di un paio di giorni per pura fortuna, perché ho tempo da dedicare alla scrittura.

Sarebbe bello se questo periodo di ispirazione continuasse.

 

Grazie a chi legge!

Grazie come sempre a Maia per la betatura del capitolo.

 

Alla prossima, folks.

 

C.L.

 

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Capitolo 11
*** Il caso Kamata - 4 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte seconda: il caso Kamata

 

 

 

 

Aiko non si era seduta alla sua scrivania, una volta entrata in ufficio. Era rimasta in piedi di fronte a Take, che sedeva dietro la sua, con le mani strette in grembo e l’espressione seria, impossibilitata a tenere gli occhi sul prima classe.

Come se fosse già un’estranea fra quelle pareti.

Il caposquadra non le prestò attenzione sino a che non finì di leggere la richiesta di trasferimento e anche allora, prima di rivolgersi alla ragazza, fissò la firma di Kishou Arima, proprio nello spazio accanto a quello in cui avrebbe dovuto siglare anche la sua.

«Hai già parlato con il classe speciale?» si informò superfluamente, intingendo il pennino nell’inchiostro. Non diede il tempo a Masa di rispondere. Firmò molto velocemente e timbrò il documento, prima di controllare l’ora nell’orologio da polso. «Se ti sbrighi, magari puoi andare questa sera stessa da Noriko, per fare richiesta per la visita psicologica necessaria per accedere al programma scientifico.»

Mordendosi il labbro, Aiko annuì «Lo farò.» Si sporse a prendere il foglio dalla mano dell’uomo, stropicciandolo appena per quanto forte lo strinse. Poi si rivolse ad Hirako, incapace mettere a tacere ciò che le ronzava per la testa « Ho lavorato per te per quasi due anni. Sei stato il mio mentore, il mio capo e un amico. Non mi chiedi perché ora voglio andarmene?»

Take, finalmente, la guardò negli occhi. Non c’erano tracce di risentimento sul suo volto, solo la solita, apatica espressione. «Hai scritto tutto ciò che di importante c’è da sapere nella domanda che mi hai presentato questa mattina. Ammetto che mi hai preso in contropiede, Aiko-kun. Non mi aspettavo una tale richiesta da parte tua.» fece una pausa, tamburellando la base pulita del pennino contro il tavolo e sporcandosi appena il dorso della mano con un paio di gocce color petrolio «Il progetto Quinx è sperimentale. L’intervento è pericoloso e potresti anche non sopravvivere o rigettare l’organo, perdendo l’uso delle gambe se qualcosa va storto e il kukaku ti verrà trapiantato sulla schiena.»

«Ti sei informato bene.»

«Sei uno dei miei uomini, Masa Aiko. Ho fatto molte telefonate prima di decidermi a firmare.» ci fu una lunga pausa, che venne interrotta con un sospiro di Take «Arima ha minimizzato come sempre e io ho deciso di parlare direttamente con Shiba e Chingyou. Se credi che questa sia la tua strada, se vuoi provare qualcosa di estremo, vai pure. Mi dispiace solo che la mia direzione non sia stata di tuo gradimento.»

Aiko, che aveva abbassato lo sguardo sulla punta degli stivaletti, li rialzò di colpo «Non ho scritto questo nella mia richiesta di trasferimento. Ho detto che voglio sottopormi alle procedure mediche per accedere al progetto QS perché stimolata dai risultati ottenuti dal primo gruppo.»

«No, è vero. Non lo hai fatto, ma l’ho sempre saputo. Non ti piace essere messa sotto pressione e non ti piace lavorare con gli altri, ad eccezione di Kuramoto. Senza contare che io ho sempre rigettato qualsiasi tua proposta di indagini criminologiche o psicologiche approfondite, perché non credo che questo sia il nostro lavoro. Questo fatto in particolare ti ha sempre penalizzata e magari pensi che avendo un’arma del genere impiantata direttamente sotto pelle, allora non avrai bisogno del resto della tua squadra e potrai fare ciò che preferisci.» Masa aprì la bocca per ribattere, ma Take alzò la mano per fermarla subito. Drizzò la schiena, sporgendosi verso di lei col busto e appoggiando i gomiti alla scrivania. Per la prima volta le parve arrabbiato, ma solo nel modo di porsi. Di nuovo, nessuna espressione tradì le sue emozioni «Non si sopravvive da soli, te l’avrò detto mille volte. Sasaki è sicuramente un capo migliore di me, più caloroso ed empatico, tanto che magari saprà viziarti come desideri. Forse ti farà capire l’importanza del gioco di squadra. Io in questo ho fallito.»

Stizzita da quelle ultime affermazioni, Masa andò alla porta dopo uno sbrigativo inchino, fatto giusto per essere educata. Le paternali di Hirako non le sarebbero mancate affatto. Non era suo padre, per quanto si impegnasse nell’esserlo. Non era mai soddisfatto, non era mai contento, non aveva mai pazienza. E Masa si era convinta che non lo avrebbe mai capito, anche se sapeva che entrambi provavano un sincero affatto verso l’altro, dopo tutto quel tempo passato a lavorare gomito a gomito.

«Aiko-kun.» di nuovo, la bloccò, stavolta sulla porta. Lei si voltò a guardarlo di tre quarti, con una mano già sulla maniglia e la voglia di evadere per sottrarsi ai suoi occhi sottili «Ito lo sa?»

Quel briciolo di umanità esternata quasi per obbligo la fecero sorridere amaramente «Lui lo sa da un po’. Forse da prima di me.» Lasciò la stanza in fretta, camminando per il corridoio con il cuore pesante. Nonostante non lo avesse mai dimostrato, aveva amato il suo tempo trascorso nella squadra Hirako. Aveva detto addio a tanti amici, si era sentita amata come una figlia o una sorella, anche se spesso in disaccordo con la linea di guida di Take.

Si era sentita amata e basta.

Però era arrivato il momento di cambiare.

Era obbligata a farlo.

 

Capitolo undici.

Shirazu aveva capito che c’era qualcosa di strano nell’aria quando, una volta sistemate le chiavi della macchina sull’apposito gancio dell’ingresso, aveva notato la testolina azzurra di Yonebayashi sbucare con entrambi i codini oltre il bracciolo del divano. Erano quasi le undici e trenta di sera, orario durante il quale la ragazza si rintanava nella sua stanza a guardare serie tv o puntate di anime, cibandosi con alimenti di dubbia provenienza e ben poco salutari che facevano arruffare Sasaki. Certo, avrebbe potuto farlo anche in salotto, ma lì mancava la massima potenza del wifi, che non arrivava molto bene al piano di sotto rispetto alle stanze.

«Ei, che ci fai qui?» le chiese precedendo i suoi due compagni di bevute nella stanza, mentre Sasaki sottolineava per la trentesima volta quanto avesse bisogno di dormire tutta la notte a Mutsuki, il solo che davvero continuava a prestagli attenzione mentre si lagnava come un bambino. Akira era arrivata a ficcargli in bocca un intero pugno di arachidi a costo di farlo vomitare per ore, solo per zittirlo.

La ragazza non rispose. Non alzò nemmeno gli occhi dallo schermo del telefono e quando Shirazu notò che indossava gli auricolari, ci mise due secondi a schiaffeggiarla ripetutamente con un cuscino sul capo.

«Caposquadra!» trillò quasi estasiata per non essere più sola. Altra cosa che fece insospettire l’altro, visto quanto asociale diventava durante le maratone di D&D online o quando usciva qualche nuovo videogioco per la consolle «Finalmente siete tornati» proseguì tirandosi seduta e appoggiando entrambe le mani sullo schienale del divano per spiare anche gli altri due, che la salutarono con un sorriso. «Mamma, ho una brutta notizia.»

«Oh» Haise sbattè gli occhi un paio di volte, prima di sospirare rassegnato «Quanto forte si sono picchiati Urie e Masa in queste due orette scarse?»

Saiko non sapeva bene come rispondere. Così, per evitare di dover trovare le parole giuste, prese a frugare nella generosa scollatura lasciata visibile dalla vestaglia mezza aperta, estraendo una piccola mazzetta di banconote dal reggiseno. Lo porse quindi a Shirazu, che continuò a guardarla senza capire.

«Cosa-»

«Questo è un quarto del mio stipendio mensile» gli fece sapere non appena l’altro ebbe accettato i soldi, tornando a stendersi con non curanza «Il resto lo avrai con la prossima busta paga.»

Le reazioni che seguirono furono molto differenti fra loro. Shirazu ancora non capiva, guardando perplesso la ragazza e alternando sguardi alle banconote che stringeva ancora nel pugno. Haise sbadigliò, lanciando uno sguardo verso le scale ancora chiedendosi quale fosse il problema, prima di irrigidirsi con gli occhi ben puntati verso i gradini e una mano a grattarsi i capelli, folgorato dalla consapevolezza. Mutsuki, che invece aveva capito subito, si era ghiacciato sul posto, immobile e un po’ pallido rispetto al suo solito colorito bronzeo.

«Quindi? Chi mi spiega?»

«Shirazu ha vinto la scommessa??» Tooru quasi lo spinse di lato, affacciandosi sul divano e strappando via uno degli auricolari di Saiko.

Lei lo guardò con espressione ovvia «Secondo te perché sarei qui sennò, Mucchan? Quello che stanno propinando quei due io lo chiamo inquinamento acustico.»

A quel punto, messo di fronte al fatto molto chiaramente, anche il caposquadra ci arrivò. Sgranò gli occhi fino all’inverosimile, prima di lanciare a sua volta uno sguardo alle scale. E poi prese a ballare. «Hai sentito Sassan?? Sono ricco! Ricco!»

«Come è potuto succedere?» si lamentò sofferente Haise, tenendo una mano alla fronte come se fosse sul punto di piangere. Si trascinò al divanetto di fronte a quello su cui si era arenata Saiko, sedendosi senza grazia su di esso, mentre Tooru si appoggiava allo schienale, più preoccupato per il loro mentore che per tutto il resto di quella storia ai limiti dell’incredibile. Solo per lui era incredibile, il resto dei residenti della casa si chiedeva perché non fosse successo prima. Persino Sasaki, nonostante stesse montando un teatrino degno di una drama queen. «Ti è sembrato consensuale, Saiko?»

«Non credo che Macchan avrebbe problemi a ucciderlo se non lo fosse.»

«Parla di Urie» le disse Tooru, mentre Shirazu continuava ad agitarsi come una scimmia ubriaca per tutto il salotto, sventolando le banconote di Yonebayashi come se fosse un bellissimo ventaglio.

«Lui è andato da lei» proseguì la ragazza, con gli occhi piantati sullo schermo «A dire il vero ce l’ho mandato io, ma si vedeva che gli serviva solo una scusa. Le ha portato un muffin e dopo un po’ ho sentito Aiko singhiozzare. Poi è iniziato un concerto degno di un porno.»

«E ora?» si informò Mutsuki.

«Ora io vado a dormire, non voglio sapere altro.» Haise si alzò, traballante. Si era preso cura di Masa la notte precedente, quindi non chiudeva occhio da più di ventiquattro ore. Non gliene importava niente della scommessa, ma avrebbe dovuto affrontare quella situazione a mente sgombra. «Ne parliamo domani mattina.»

Tutti lo guardarono allontanarsi verso le scale e quando lo sentirono fermarsi all’ultimo gradino, velocizzando poi il passo una volta ripartito, Yonebayashi sorrise divertita «Io non salirei per ora, se fossi in voi due. »

 

La mattina seguente Shirazu stava ancora ballando, quando Haise lo vide scendere le scale a saltelli. Non servì a nulla intimargli di fare attenzione per non cadere, era semplicemente troppo felice. Lo fu di più quando il mentore gli mise in mano un rotolino di banconote decisamente più grosso di quello di Saiko, deciso a pagare il debito con in un’unica volta, al contrario della ragazza.

«Non abbiamo ancora dimostrato del tutto che hai vinto tu» soppesò, mentre serviva un po’ di riso bianco a Tooru, guardando verso il caposquadra che si era messo a contare la vincita con la stessa flemma di un mafioso «Voglio dire, come facciamo a sapere che non sono innamorati?»

«Il fatto che si urlino addosso le peggiori bestemmie mai udite dal genere umano dal mattino alla sera non basta?» chiese con disinteresse Shirazu, prima di lanciare uno sguardo a Sasaki «Non sono innamorati. La tensione sessuale fra loro si tagliava col coltello da burro perché ne avevano entrambi bisogno.»

«Ci sono diversi modi per manifestare amore» insistette Haise, sventolando una paletta per staccare il pesce dalla padella come se fosse una bacchetta magica «Loro hanno questo carattere un po’…. Particolare.»

«Va bene» concesse quindi il giovane, sporgendosi sul tavolo per guardarlo meglio «Ti concedo che sono entrambi un po’ ruvidi. Però non ho mai visto un gesto un minimo coinvolto da nessuno dei due. Aiko è flirtosa e Uriko un palo in culo.»

«Bevono dalla stessa tazza.»

«Perché Masa gliela ruba.»

«Hanno anche dormito insieme questa notte.»

«Non vuol dire niente. Conoscendo i soggetti, lei lo ha spompato e lui è svenuto.»

Saiko versò un po’ di nattō sul riso bollito, dopo aver scansato uno a uno i semi di sesamo, guardandoli entrambi «La mamma non sa perdere.»

Haise arrossì di colpo «N-non è questo il punto! Ho anche già pagato pegno! Dico solamente che non possiamo esserne sicuri al cento per cento.»

«Se ora si innamorassero? Che succederebbe?» chiese con voce piccola Tooru, come se non intendesse davvero mettere naso nella faccenda.

Shirazu alzò le spalle «Nulla.» decretò «La scommessa era su ciò che sarebbe successo, non sugli svolgimenti. Ora smettetela di fare domande, voglio iniziare a fantasticare sul modo in cui spenderò i miei soldi.»

Tutte le persone presenti sapevano che quei soldi sarebbero andati a coprire le enormi spese mediche per Haru, la sorella di Ginshi, ma apprezzavano come tendesse sempre a rimanere positivo, sdrammatizzando per non far pesare loro quelli che dovevano essere dei pensieri molto pesanti. Dopotutto, per questo era entrato nella ccg. Per questo aveva aderito al progetto Quinx.

Passi veloci lungo le scale li fecero allungare il collo curiosi. Masa si stava ancora infilando la felpa bianca quando apparve con i jeans aperti e le scarpe slacciate in cucina. «Sono in ritardo» uggiolò come un cane ferito, afferrando al volo la tazza che Sasaki le aveva già preparato «Koori mi sta chiamando ininterrottamente e non ho il coraggio di rispondere.»

«A che ora dovreste vedervi?»

Aiko prese un sorso, prendendo il braccio di Sasaki per spiare il suo orologio da polso. Poi lo guardò «Dieci minuti fa.»

«Corri.»

«Ti serve un passaggio?» si informò Shirazu, sventolando qualche banconota «Posso anche pagarti un taxi, volendo.»

Lei si abbassò e lo baciò sulla guancia, abbracciandogli le spalle «Ah quindi hai vinto tu la scommessa? Congratulazioni. Comunque non preoccuparti, mi porta Urie in macchina.»

«Non arriverete mai, allora» gli rispose questo, guardandola chinarsi per allacciare le scarpe e, successivamente, il bottone dei jeans chiari «Uriko guida come mia nonna. Che è cieca.»

Haise cercò di attirare l’attenzione della mora, sventolandole sotto al naso una confezione di ciambelle glassate. Lei ne rubò una, mentre prendeva il telefono dalla tasca, osservando il nome del classe speciale Ui lampeggiare sullo schermo «Dovremmo parlare di quello che è successo questa notte. Così che tutti possiamo sentirci a nostro agio a-»

«Certo, di’ tu a Ui che mi stai trattenendo e parleremo per tutto il tempo che vorrai.» gli disse, ficcandogli in mano l’apparecchio e addentando il dolcetto. E Sasaki lo fece, rispondendo alla chiamata e scusandosi con Koori che aveva preso a gridargli addosso.

«Ti sei fatta Urie e hai accollato le tue colpe alla mamma» le disse Saiko mentre guardava vagamente spaesata Haise inchinarsi al nulla, supplicando per il perdono «Non so se essere spaventata o ammirata dalle tue doti manipolative, Macchan.»

«Entrambe le cose vanno bene.»

Mutsuki guardò il mentore, dispiaciuto «Non è stato molto carino da parte tua, Aiko-kun.»

«Come mai sei in ritardo?» la domanda di Shirazu coprì la voce di Tooru, mentre dalle scale si avvertivano i passi decisi di Urie raggiungerli «Avete fatto un round mattutino?»

Lei lo guardò sorridendo sorniona, mentre il ragazzo arrivava in cucina e le rubava la tazza dalle mani, attirando l’attenzione di Sasaki che indicò Shirazu come se si fosse appena verificata una sorta di conferma. Questi però non ebbe il tempo di dir nulla, folgorato dalla risposta della collega «Già, è andata così.» rispose Masa senza paura di mettere a disagio il suo partner che, intelligentemente, aveva indossato le cuffie prima di apparire di fronte agli altri.

Shirazu la guardò spaesato per un paio di secondi, prima di esplodere in una risata divertita. Gli altri due Quinx continuarono a mangiare mentre scuotevano piano il capo, Saiko divertita mentre Mutsuki non sapeva bene dove o chi guardare «Sei la mia eroina.»

«Ero una maiko» la informò Masa, finendo la ciambella e pulendosi le mani in un tovagliolino per rimuovere le ultime tracce di glassa al cioccolato «Sai no, l’arte della geisha…. Irretire gli uomini e fargli fare quello che voglio.» gli spiegò prima di ridere, muovendo teatralmente le mani come se tenesse due ventagli dentro di esse.

Saiko la guardò, mentre Shirazu si lanciava in un lungo fischio di approvazione «Da noi a scuola sono venute delle donne a selezionare delle ragazze per iscriverle a una scuola per geisha» disse Yonebayashi, leccandosi le dita per pulirle «Io sono stata scartata perché ho ruttato mentre bevevo il the.»

«Sei tu la vera eroina, Saiko» le disse Aiko, prima di battere una mano sulla spalla di Urie, che non si era seduto ma stava sfogliando velocemente il giornale «Vamos, chico.» e quindi sfilò il cellulare dalle mani del mentore, portandolo all’orecchio «Sto arrivando, classe speciale. Chiedo ancora scusa, ci stavano dividendo gli incarichi della settimana. Sa, chi lava le mutande, chi le stende…» salutò tutti, seguendo l’altro fuori dalla casa.

I quattro al tavolo si scambiarono uno sguardo.

Poi a parlare fu Saiko «Forse potrebbero innamorarsi, sì. Potrei innamorarmi io di una donna così!»

 

 

Miza ammetteva a se stessa di essersi fissata sulla questione, ma il suo desiderio di scoprire qualcosa di più sulla  misteriosa Labbra Cucite era diventata un’ossessione, un pallino personale. Ne ebbe occasione quasi una settimana dopo il raid dell’Aogiri contro il ccg, quando i capi maggiori della cellula vennero convocati per parlare di quella che si era rivelata essere una grande vittoria. Il fallimento del tentativo effettuato mesi prima in concomitanza con lo smantellamento della casa d’aste aveva ripagato la perseveranza: avevano portato via più di due tonnellate di quel prezioso materiale, distribuito su diversi camion, riuscendo a fermare i classe speciale Mougan e Aura, seppur con non poche perdite. Le due squadre si erano rivelate un po’ meno sveglie della S1 di Ui Koori, che invece li aveva rispediti indietro con l’aiuto di Hoiji la prima volta che ci avevano provato.

Miza non sapeva cosa ne avessero fatto di tutto quell’acciaio, ma se ne avessero rivenduto anche solo metà, si sarebbero potuti pagare non pochi sfizi. I costi della loro organizzazione erano ingenti, seppur non pagassero coloro che vi prendevano parte, ma solo alcuni dei capi. Quelli presenti quella sera, per la precisione. Tutti i soldi che entravano andavano a coprire spese secondarie.

Tre Lame era arrivata in anticipo e si era seduta a uno dei tavolini di ferro battuto dalle intemperie, non riuscendo a non notare come Labbra Cucite se ne stesse beata sul fondo, su quello che sembrava un piccolo palco da karaoke, con alcune tavole di legno marcio a comporlo e una tenta blu sbiadito sullo sfondo a decorarlo. Sedeva con in mano un libro di poesie in cinese, immersa nella lettura e immobile, ad eccezione della mano destra che scivolava fra le ciocche bianche di Seidou Takizawa, il gufo pazzo, il quale se ne stava seduto a terra appoggiato contro le gambe della giovane, con gli occhi chiusi e il respiro regolare. Sembrava addormentato.

Chiunque fosse quella misteriosa figura, sembrava avere un vago controllo sull’ex agente. Non totale, certo, ma quello non poteva averlo nessuno. La sua psiche era stata troppo rovinata. 

Miza osservò che aveva delle bende, le quali coprivano gli arti fino alla fine degli avambracci, dove iniziava la manica larga della tunica color crema che indossava. Le gambe erano coperte dalla stoffa che cadeva lunga ed elegante su di esse mentre il capo, sempre coperto dal cappuccio bianco, era avvolto dalle bende immacolate e dalla maschera di cuoio conciato. Sembrava a suo agio, imperturbabile.

A rovinarle la festa ci pensò Ayato. Arrivò come una furia, probabilmente deciso a cogliere al volo l’opportunità di parlarle liberamente, in assenza di Kenta a spalleggiarla. Le strappò il libro dalle mani e lei si tagliò il pollice con la carta. Non fece comunque una piega, portandolo alla maschera, che abbassò per poter passare la piccola lingua rosa sulla ferita. Aveva delle belle labbra.

«Non credi sia ora di iniziare a fare dei conti, stronza frigida?!» le gridò praticamente in viso e lei, di nuovo, non si scompose.

«Tài hǎo le, Ayato-nán hái.» rispose con tono carezzevole e, naturalmente, in cinese. Miza strabuzzò gli occhi, chiedendosi cosa avesse mai detto e il ragazzino parve fare lo stesso.

La fissò in tralice, prima di afferrarla per la tunica, scuotendola. «Quando hai bisogno di me parli un giapponese perfetto. Vedi di farlo anche ora se non vuoi che ti butti di sotto da questo palazzo.»

«Ayato» la voce di Tatara, che stava uscendo sulla piccola terrazza seguito da Eto, fece sobbalzare Kirishima, il quale sperava di avere più tempo «Dacci un taglio o sarai tu a fare un volo.»

Avvilito, stanco e incazzato, il ragazzino lasciò andare la presa. Sapeva che non avrebbe avuto nessun appoggiò lì, non da loro. Erano mesi che insisteva sulla necessità di andare a prendere Hinami per portarla in salvo dalla Cochlea. Perché continuava ad illudersi che pigiare su quella stronza fosse una buona idea?

Labbra Cucite si alzò in piedi, disturbando Seidou che gonfiò il petto come un gufo offeso, poco prima di venire investito da Eto che ebbe la brillante idea di buttarsi su di lui. Ayato li guardò rotolare per un metro, prima di tornare a rivolgersi alla sua interlocutrice,  che si era chinata di fronte a lui con le mani giunte di fronte al viso sussurrando un debole duìbuqǐ, che ebbe l’effetto di offenderlo «Se questo significa che ti stai scusando, allora tienitelo per te. Non mi servono a niente le tue scuse.»

La voce di Tatara attirò l’attenzione, tanto che persino Kirishima dovette smettere di attaccar briga. Non avrebbe comunque ottenuto nulla «Abbiamo riportato una grande vittoria. Ora dobbiamo passare alla fase successiva. Prenderemo la quindicesima e la sedicesima, così da avere il controllo di tutta la zona del litorale e nord-ovest della città. Abbiamo perso la tredicesima e la sesta, ora dobbiamo impegnarci per riconquistarle.»

Miza lo ascoltava fiacca, alternando sguardi al ghoul cinese fino alla figura che ancora se ne stava accanto a lui.

«Potrebbe essere la sua amante» soppesò a voce moderata, attirando però l’attenzione dei tre Smoking Bianche che le sedevano dietro. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati anche loro, tanto si era focalizzata sulla giovane.

«Lo pensano in molti» le fece sapere Hooguro, facendola sobbalzare per la sorpresa. Poi, con tono complice, si sporse verso di lei «Ho sentito che è la donna che la sua famiglia gli ha ordinato di sposare. Ora che Tatara ha perso tutto, dopo la fine dei Chi She Lian, vuole onorare questo debito.»

«Potrebbe anche essere semplicemente una sua kohai.» rilanciò subito dopo Shousei «Così potremmo anche spiegarci il motivo per cui la Piccola Bin la detesta tanto.»

Miza li guardò sorpresa «Io non ricordo nemmeno quando è arrivata…»

I due ghoul si scambiarono un’occhiata di pura intesa, poi il biondo si rivolse alla sola persona che poteva saperne qualcosa. Naki. «Capo» lo chiamò di fatto, cercando di attirare la sua attenzione «Cosa sai su Labbra Cucite?»

Questi però guardava spaventato una delle lanterne «Ora non posso, quell’ape vuole attaccarmi.»

Tre paia di occhi si alzarono, per poi riabbassarsi sconsolate «Quella è una falena» gli disse rassegnata Miza, sapendo che non ne avrebbero cavato un ragno dal buco.

E invece si stava rivelando una serata ricca di sorprese «Non so niente. Eccetto che tutti i capi di Aogiri si sono piazzati sui loro sgabelli faticando.» spiegò loro non perdendo di vista la maledetta falena, mentre Hooguro spiegava a Miza che quello che Naki intendeva era che, nell’organizzazione, ottenevi la posizione che meritavi combattendo «Quella lì invece no. Dal giorno alla notte è apparsa e Tatara le ha dato la diciannovesima, uomini e potere. Non so nemmeno che kagune abbia.»

«Nessuno lo ha mai visto?» si informò curiosa la donna. Naki  scosse il capo «Potrebbe non averlo. Se fosse umana?»

«Perché dovrebbe? Tatara non è un simpatizzante degli esseri umani» Shousei sospirò piano, incrociando le braccia sul petto «Non credo sia il caso di indagarci su. Vuole tenersi ben nascosta.»

«Senza contare che non sappiamo molto nemmeno di Tatara» soppesò Hooguro « O di Noro. Cosa sappiamo di loro? Io non so che kagune ha Eto per esempio. Cosa ci importa? Saranno così forti da far sbiancare i denti ai barboni per lo spavento.»

«Non lo so» Miza non sembrava convinta «Vorrei sapere con chi abbiamo a che fare…» i suoi interlocutori non parevano convinti e Naki non stava nemmeno ascoltando, ma lei pensava che sapendo qualcosa in più da quella giovane forse l’avrebbe aiutata a capire meglio anche gli altri. Forse voleva studiarla rispetto a Tatara perché sembrava una persona molto tranquilla.

Forse era solo curiosa.

Quando voltò di nuovo verso di lei, però, era sparita e con lei anche Takizawa.

Quale era il suo vero scopo?

 

 

La seconda e ultima retata ai danni del clan Noburiko si tenne la settimana successiva alla prima incursione, sempre diverse ore dopo il tramonto del sole. Il tutto avvenne secondo i piani, tanto che alle otto del mattino l’intera organizzazione poteva dirsi distrutta. L’ultimo rappresentante della famiglia aveva scelto di morire combattendo, ma erano comunque riusciti a mettere mano su alcuni pezzi grossi del giro, che erano stato immediatamente trasportati al Corniculum.

Il classe speciale Hoiji, il quale aveva portato avanti il progetto, venne convocato dal presidente il giorno stesso. Riportò  ai Quinx, tramite Akira, che si sarebbe tenuto molto conto della loro partecipazione durante le promozioni che si sarebbero tenute a inizio aprile. Non che fosse molto rilevante, visto che tutti loro avrebbero avanzato di un grado, addirittura sembrava che Tooru ne avrebbe acquisiti due. Fu comunque molto gratificante sentirsi dire che il loro contributo era stato prezioso. Masa non aveva capito il perché di tutta quella sorpresa e fu Aizawa a darle una delucidazione.

«Ma che ne sai tu degli strambi, che vieni dalla squadra Hirako? Certo, la sera dell’asta si sono tutti dimenticati di voi perché stavate perdendo tempo con Senza Faccia, ma pensa che dei Quinx non si scordano mai. Li schifano e basta.»

«Grazie, Ivak.» Haise gli servì il the con leggero sarcasmo, che gli si ritorse contro quando il meticcio gli mise sotto al naso una scatola di biscotti pregandolo di servirsi. Non lo avevano invitato, ma quando si era palesato con dei dolci alla loro porta, Saiko lo aveva fatto accomodare.

Di nuovo, Sasaki non ebbe la faccia tosta di mandarlo al diavolo. Cercò di declinare, ma sotto le insistenze del dottore prese quello più neutrale possibile che, alla fine, si scoprì essere alla cannella. Molta cannella. «Che buono» fu il solo commento –per nulla convinto- del mentore dei Quinx, che sparì velocemente in cucina con la scusa di portare altro the.

«Smettila di avvelenare il nostro ghoul.» borbottò Masa, tirandogli un cuscino, lanciando poi uno sguardo verso la cucina per accertarsi che il mentore non l’avesse sentita. Aveva notato quanto lo rattristasse venir definito a quella maniera, quindi aveva iniziato a darsi una regolata. Per lei era un notevole passo avanti.

Urie le si sedette accanto, tenendo gli occhi puntati sul dottore. «Che ci fai qui, Aizawa? Sono costretto a vederti abbastanza al lavoro, mi pare.»

Il biondo portò una mano al petto, come se gli avesse appena sparato al cuore «Come puoi dirmi questo, Oreo? Io ho aiutato a crearti. Ho spostato il tuo polmone destro, tenendolo in mano per qualche minuto prima di cambiarlo di sede per far posto al kakuoho.» l’altro non parve impressionato, solo disgustato, così si affrettò ad aggiungere qualcos’altro, con una certa fierezza «Fortunatamente non sono tutti antipatici come te, per questo sono venuto a dirti che ho seppellito l’ascia di guerra. Masa mi ha gratificato nel suo rapporto, sottolineando che senza di me non sarebbe mai riuscita a rimettere insieme quella bomba così in fretta e ho deciso di perdonarvi entrambi in quanto – ormai anche fisicamente a quanto mi è stato detto – unica entità.»

«Ma parli ancora di quando ti sei offeso con questi due per il caso Embalmer?» chiese divertito Shirazu, sviandolo anche dal discorso sesso, che era stato affrontato così tante volte da far venire a Urie istinti omicidi del tutto nuovi.

Aizawa, che teneva a mettere le cose in chiaro, alzò un dito, saccente «Non mi sono offeso perché mi hanno escluso dalle indagini. Anche se la cosa mi ha ferito.» ripeté come al solito, facendo sorridere divertito sia Tooru che Saiko, che avevano sentito quella storia mille volte «Ma perché hanno chiesto un aiuto alla mia nemesi

«Povero dottor Huang.» sussurrò Masa, scuotendo il capo «Lui lo sa di essere la tua nemesi?»

«Ha, quanti? Otto anni in meno di me?» proseguì imperterrito Ivak, mentre tutti ridacchiavano sotto i baffi eccetto Kuki, che sembrava davvero scocciato dalla sua presenza in casa loro «Come diavolo fa ad avere quattro cattedre all’università Imperiale, aver scritto una ventina di libri ed essere diventato il maggiore esperto del mio campo in tutto lo stramaledetto Giappone?!»

Haise stava per dirgli molto gentilmente che lo riteneva il miglior anatomopatologo col quale avesse mai lavorato, ma il campanello che suonava abbastanza insistentemente gli fece fare una veloce deviazione. «Che posso dirti» rilanciò Masa, alzando le spalle «Huang è un luminare. Non credo abbia molto altro nella vita, eccetto il suo lavoro. Tu hai la ragazza invece, no?»

«Quella  che nessuno ha mai visto?» chiese tagliente Yonebayashi mentre Sasaki salutava educatamente qualcuno alla porta.

Ivak aprì la bocca per sottolineare che la ragazza ce l’aveva sul serio, ma una voce chiara e decisa zittì l’intero salotto.

«Salve, il mio nome è Masa Hachiro e cercavo mia figlia.»

«…. Papà?» Aiko parve spiazzata. Nessuno in quella stanza l’aveva mai vista a quel modo, come se le sue difese fossero improvvisamente crollate. Sasaki lo fece accomodare  e solo a quel punto, spinta dalla necessità, si alzò in piedi con un sorriso tirato sul viso, avvicinandosi all’uomo. Si abbracciarono così brevemente che, battendo gli occhi, quel gesto sarebbe andato perso «Cosa ci fai a Tokyo?» chiese stranita, stringendosi nel maglione largo che indossava su un paio di pantaloncini da casa «Non mi hai chiamato per dirmi che saresti venuto.»

«Lo so, scusami» le rispose lui, sfilandosi il cappello per grattarsi la nuca per metà calva. Lanciò quindi uno sguardo al resto dei presenti «Questa è la tua nuova squadra?» si informò, non dandole comunque il tempo di rispondere «Sono passato al tuo appartamento, ma Kuramoto mi ha detto che lo hai lasciato per un ragazzino appena ventenne, sei diventata matta?»

Shirazu rischiò di strozzarsi con il the per quanto prese a ridere. Non fu comunque l’unico. Aizawa unì le mani sotto al mento, alzando gli occhi al soffitto «Quanto amo Ito.»

«Punto primo: smettila di parlare con Kuramoto, papà. Sono anni che ti dico che ti prende in giro. Non è mai stato il mio ragazzo, è stato il mio compagno di squadra e coinquilino.» la mora sospirò rassegnata, già decisa a farla pagare a Ito non appena lo avesse incontrato «Secondariamente sì, questa è la mia nuova squadra. Il mio mentore Sasaki è questo figurino qui e loro sono il resto dei ragazzi. Eccetto il tipo losco sulla poltrona. Quello è solo un coroner.» Ivak protestò velatamente, ma lei non gli diede retta come sempre «Squadra, lui è Papà Masa. Papà Masa, i Quinx.»

«Che nome pittoresco, sembra quello di una marca di detersivi per piatti.»

«Perché sei a Tokyo?» Aiko non aveva detto niente a suo padre dell’operazione. Non sapeva che aveva rivoluzionato tutto negli ultimi mesi e non aveva intenzione di metterlo al corrente. Per questo incrociò le braccia sotto al seno, spostando il peso da una gamba all’altra mentre lo guardava in attesa.

«Non posso essere qui per vedere mia figlia?» domandò con voce carezzevole, cercando sostegno negli occhi di Haise, che se ne stava ancora in piedi accanto a loro.

«Perché dovresti? Non mi chiami da quasi due anni. Non ci vediamo da di più. Non credo nemmeno che tu sappia il giorno del mio compleanno.» Di nuovo, Aiko riuscì a stendere una patina di gelo in quel salotto. Il suo era proprio un talento naturale. La sua sfacciataggine però era mirata a mettere a disagio solo il padre, il resto delle persone presenti erano un danno collaterale che poteva avere sulla sua coscienza.

Hachiro ridacchiò nervoso «Sei proprio uguale a tua madre» le disse, riuscendo in qualche modo a farla incazzare, visto come mutò la luce all’interno di quegli occhi gialli e rotondi «Certo che so il giorno del tuo compleanno, Aiko.»

«Quindi dillo.»

Passarono alcuni secondi «Il quindici di marzo.»

«Quello è il compleanno di Shinichi. Il mio è il nove di novembre.» alzando le mani, la mora iniziò a palesare tutta la sua irritazione. Gli diede le spalle, tornando verso i divani «Vuoi che dica io perché sei qui? Ti servono dei soldi? Hai fatto qualche casino e vuoi che tua figlia del ccg – che non volevi nemmeno iscrivere all’accademia – ti faccia uscire pulito? Magari hai deciso di provare a sposarti di nuovo per l’ennesima volta e vuoi sbattermelo in faccia? O magari hai deciso di smettere di bere e cercarti un lavoro decente?»

«Aiko, ora basta.»

Lei non sembrava intenzionata a smettere di metterlo in imbarazzo. Voleva che tutti sapessero che persona si era permessa di presentarsi alla loro porta «Perché ancora non l’hai trovato un lavoro, vero? Immagino che non aiuti nemmeno i nonni con l’agriturismo e ti aspetti che io ora sborsi qualcosa perché state andando in rosso? Sì, la nonna me l’ha detto. Lei mi chiama.»

Nessuno si intromise, nemmeno Sasaki che solitamente preferiva mettersi in mezzo e far da pacere piuttosto che vedere due persone che si supponeva dovevano volersi molto bene arrivare a disintegrarsi a quel modo.

«Non ti ho chiesto nulla.»

«Ma lo stavi per fare, vero?» ormai Masa era un fiume in pena. Portò le mani alle tempie e prese un respiro, perché l’espressione colpevole che si dipinse sul viso del padre le dimostrò che sì, era venuto solo per quello. Per sfruttarla. Come sempre «Io non ci posso credere che tu sia così perfido. Quando Shin è sparito non sei venuto a Tokyo nemmeno una volta, hai a malapena chiamato, ma per scroccare soldi a tua figlia invece corri subito, vero? Chi ti ha pagato il biglietto da Kyoto? Lo hai chiesto al nonno!?»

«Smettila di fare così. Non ne hai il diritto. Non dopo il modo in cui ti sei comportata durante il funerale di Hiroshi!» ora erano in due ad urlare e persino l’uomo pareva così pieno di rancore da essere sul punto di esplodere, come la figlia «Hai portato quel ragazzo con te, quella sorta di punk o qualsiasi cosa fosse, solo per metterci in ridicolo e disonorarci.»

«Disonorarti? Non hai nulla che sia nemmeno lontanamente vicino all’idea di onore. Non hai dignità. Ti ho visto buttarti piangente sulla bara dell’unico figlio che tu abbia mai amato, ma che hai comunque abbandonato quando aveva due anni per scappare con mia madre. Lo hai fatto di fronte a me, davanti alla tua bambina, che era appena sopravvissuta a uno scontro con un ghoul di livello SSS e ne era uscita distrutta nel corpo e nella mente. Avevo un braccio rotto, il bustino per le costole incrinate e i postumi di una commozione cerebrale, ma sono venuta nonostante questo e tu cosa ti ricordi? Il mio accompagnatore. Hai pianto sulla bara di un figlio morto e non hai mai cercato quello che è sparito!»

«Nessuno ti ha detto di fare l’investigatrice, Aiko!» evitando accuratamente di parlare del secondogenito, il signor Masa si buttò su quello che riteneva un colpo sicuro «Tu hai scelto questa vita e i rischi connessi ad essa!»

«Vero, e quante volte sono finita in ospedale?! Parecchie. Non mi sei mai venuto a trovare o mi hai chiamato minimamente preoccupato. Non ti darò nemmeno un centesimo e credo che ora dovresti andartene e non farti vedere mai più. Mi hai chiusa fuori dalla tua vita da molto, molto tempo. Ti ho cercato, ho avuto bisogno di te e non ho trovato altro che un muro. Ora sono io che ho deciso di chiuderti la porta in faccia, perché sei senza speranza, non dopo essere venuto qui a parlare a me di Hiroshi. Dovresti vergognarti dopo tutto quello che è successo.»

L’espressione dell’uomo mutò e parve furente «Non osare mentire di nuovo. Non osare infangare la memoria di tuo fratello. Non sarai mai come lui, non vali abbastanza.»

«Già, lo so. Me lo dici da quando ho undici anni. Più o meno da quando ho smesso di tenere in considerazione la tua opinione.»

«Basta così.» Aiko trasalì nel sentire la mano di Haise sulla spalla. Essa scivolò sulla schiena, accarezzandogliela e solo a quel punto si rese conto che stava per venirle un colpo per quanto era tesa « Prendi un po’ di acqua, Aiko. Signor Masa, la prego di andarsene ora. La accompagno alla porta.»

Si guardarono negli occhi, padre e figlia, poi l’uomo annuì. Troppo codardo per aggiungere altro, troppo orgoglioso per chiedere scusa. Aiko gli permise di fare pochi passi, prima di parlare. Fredda come il ghiaccio «Metà delle persone qui dentro sono orfane. C’è anche qualcuno che non se la ricorda neanche, la sua famiglia, o che l’ha persa in modo davvero orribile, ma sono fortunati. Meglio un padre morto che uno che non ti ama.»

Haise le parve sconvolto, con gli occhi fissi sulla porta aperta e il labbro che tremava. Hachiro Masa invece non le diede la soddisfazione di guardarla. Si bloccò per pochi secondi, prima di infilare l’uscio e andarsene in fretta.

Masa sospirò pesante, portando le mani al viso «Scusate» sussurrò quindi, guardando mortificata il gruppo di persone che, alle sue spalle, aveva smesso di esistere per tutta la durata della lite «Una bella scena pietosa» commentò amaramente, infilando le mani nelle tasche del maglione «Solo che non ce l’ho fatta a trattenermi. Mi ha fatto passare un’infanzia da schifo, quello stronzo e vederlo qui oggi…» lanciò uno sguardo alla porta, scuotendo piano il capo «Disgustoso.»

«Non scusarti, occhi di gatto» il primo a rompere il ghiaccio fu Ivak, che le sorrise incoraggiante, facendole cenno di sedersi sul bracciolo della poltrona. Lei eseguì e lui ne approfittò per circondarle i fianchi con un braccio «Bambina, se conoscessi mio padre ti ricrederesti sull’essere sfortunata. Certo, anche il tuo non sembra il massimo, ma il mio vecchio…. Ti dico solo che è un gran bastardo e lo odio. Tratta mia madre in modo disumano, non lo perdonerò mai per questo e anche la mia infanzia ha fatto schifo.»

«Nemmeno la mia è stata molto bella» rilanciò Saiko, con una mano appoggiata al labbro «Il problema però non è papà, oh no. Lui non ha potere decisionale. Il problema è mia madre.»

«Non capisco perché le persone decidano di mettere al mondo un bambino per poi comportarsi così.» Aiko appoggiò il braccio sulle spalle di Ivak, sospirando pesantemente «Se fai un figlio sei obbligato ad amarlo, sostenerlo e farlo sentire voluto. Io non ero una bambina. Io e Shin eravamo un’opera di carità verso nostra madre che voleva una famiglia e, alla fine, l’ha comunque lasciata.»

«Quando mio padre si è suicidato…» Aiko voltò il capo verso Shirazu, che aveva appena parlato con tono basso, tanto che la voce uscì roca. La schiarì un paio di volte, prima di sporgersi in avanti sul divano, appoggiando i gomiti alle ginocchia per guardarla «Quando mio padre si è suicidato, ha lasciato me e mia sorella da soli. Io sono dovuto diventare un uomo prima di quanto avessi voluto e fidati, so cosa si prova ad essere abbandonati. Se vuoi parlare, sai dove trovarmi.»

Lei gli sorrise stanca, prima di guardare anche gli altri «Grazie ragazzi, siete molto dolci. E grazie Sasaki per averlo mandato via.»

Haise, che si era seduto a terra accanto a Mutsuki, come solito, mosse la mano «Non dirlo nemmeno. Questa è la tua casa, devi sentirti a tuo agio.»

«Domani non lavoriamo, giusto?» si informò quindi Aiko «Se non è un problema vorrei andare a dormire a casa di mia madre, questa sera. Così le racconto questa avventura. Torno in mattinata, se mi dai il permesso.»

Sasaki annuì «Certo, nessun problema. Prenditi anche la mattinata se vuoi, la riunione di domani si terrà alle tre e mezzo, quindi il tempo non ci manca.» Masa lo ringraziò, prima di proporre di guardare qualcosa in tv. Tooru si stava allungando per afferrare il telecomando, quindi Haise riprese a parlare di colpo, facendolo sussultare «Aspettate! Stavo dimenticando una cosa!» tutti lo guardarono sorpresi mentre, lentamente ma in modo evidente, Sasaki arrossiva. «Ci sarebbe una cosa di cui dobbiamo ancora parlare da un paio di giorni…» e passò gli occhi su Urie e Masa.

I quali si guardarono a loro volta.

Kuki prese un respiro profondo e alzò gli occhi al cielo, prima di guardarlo nuovamente come a chiedergli di non farlo. O di farlo in fretta. Aiko invece sembrava aver ritrovato un minimo di buon umore «Se devi farci un discorso sul sesso protetto, non serve: ce lo ha già fatto Aizawa.» il dottore, accanto a lei, alzò il pollice verso Sasaki, fiero di sé.

«No, non è questo.» Haise appoggiò entrambi i gomiti sul tavolino, passando gli occhi un po’ su tutti «Come sapete, le relazioni amorose non sono permesse. Ora, non sto dicendo che voi due non possiate provare qualcosa l’uomo per l’altro. Non ve lo impedirei! Solo…. Cercate di tenere questa storia fra queste mura o, al massimo, fra pochi fidati.»

Aiko spostò gli occhi dal volto del mentore a quello di Urie, «Glielo dici tu o glielo dico io?»

«Noi due non stiamo insieme» lapidario, Kuki decise che lo avrebbe detto lui.

L’espressione gelata sul volto di Sasaki valse la pena.

«Mi dispiace tanto» sottolineò Aiko «Non hai proprio speranze di recuperare terreno sulla scommessa. Scusa, capo.»

Shirazu, soddisfatto, stirò le gambe per appoggiare i piedi sul tavolino.

«Scacco matto, Sassan.»

 

 

Più l’ascensore saliva di piano in piano, più Aiko iniziava a sentire i muscoli distendersi. Era stata una giornata dura, peggio di qualsiasi incursione o missione. Suo padre aveva riportato a galla pensieri che aveva cercato in ogni modo di affogare dentro alla sua memoria, sperando di non doverci mai più fare i conti.

Tragicamente, sapeva che non si sarebbe mai liberata del suo passato, per quanto marcio esso fosse. Forse proprio per questo sarebbe rimasto indelebile. Era un passato torbido, fatto di ricordi tristi e di sporadici istanti nei quali si era detta felice.

Un alternarsi di guerre casalinghe, abusi e silenzi peggiori delle urla. Il tutto senza che i suoi genitori si fossero mai accorti di nulla. Senza che avessero mai chiesto alla figlia niente.

Perché avrebbero dovuto farlo se, quando alla fine ne aveva parlato, si erano sentiti in dovere di difendere Hiroshi? Persino sua madre, per evitare lo scandalo, aveva preferito appoggiare quel ragazzo che non aveva mai voluto in casa, che prendere le sue parti.

Ormai quel tempo era finito, quelle ferite si erano asciugate e di esse rimaneva solo una cicatrice in superficie. Indelebili, ma che non facevano male.

Erano solo brutte da portare alla mente.

Non era mai semplice scendere a compromessi con esse e sapeva che aveva bisogno di parlarne un po’ per sentirsi dire che era andata. Che suo padre sarebbe tornato a Kyoto rancoroso e scontento. Non poteva però farlo con i Quinx.

C’erano cose che loro non potevano e non dovevano sapere.

Per questo si era recata in quel palazzo. Era uscita dall’ascensore, scegliendo con naturalezza una chiave dal mazzo ricco di portachiavi e pupazzetti e aprendo la porta. Appoggiò a terra lo zainetto con dentro un paio di cambi per la notte e il giorno successivo, sfilò la giacca, appendendola. Si liberò subito dopo degli stivaletti, entrando ufficialmente nell’appartamento.

«Sono io.» disse con tono alto, sentendo solo un debole mugolio come risposta, proveniente dal salotto. Un sorrisetto si aprì sulle sue labbra, mentre raccoglieva il suo misero bagaglio e seguiva quel rumore, arrivando fino al grande tappeto trapuntato della sala luminosa.

Prona su di esso c’era una ragazza. La guardava dal basso, sorpresa.

«Sei qui?»

«Già.» Masa si liberò dalla felpa, faceva sempre caldo in quella casa, sedendosi accanto all’altra. Questa le sorrise, mettendosi in ginocchio dopo aver richiuso il portatile che teneva di fronte. «Ho detto a Sasaki che tornavo a casa da mia madre, così non mi disturberà almeno per una notte.»

«Ma che furbetta!» trillò la vocetta acuta dell’altra, mentre le appoggiava un dito sul naso «Potevi avvisarmi, però. Mi sarei fatta carina per te.»

«Sei sempre carina, per me. E comunque l’ho fatto.» prendendo il telefono dalla tasca dei jeans attillati, le mise sotto al naso lo schermo illuminato sulla chat.

Messaggio per Uzume: Stasera torno per una notte. Sei libera?

«Stavo lavorando e non l’ho proprio visto. Mi farò perdonare, promesso. Cucinerò io!»

Masa rise, scuotendo piano il capo mentre la guardava con sguardo dolce «Quindi non mangerò nulla fino a che non arriveranno le pizze che ordineremo per disperazione, come sempre?»

«Che stronza!»  Risero insieme come non facevano da un po’ e quando Aiko si sporse su di lei, cogliendo le sue labbra in un bacio delicato come un petalo di ciliegio, l’altra non si scostò. Lo accolse, prima di appoggiarsi contro il suo petto, raggomitolandosi «Mi sei mancata. Aspettavo proprio che qualcuno venisse a farmi un bagno…»

Aiko ridacchiò di nuovo, portando poi una mano sulla sua schiena «Mi sei mancata anche tu.»

E tutto, anche suo padre, scomparve.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Secondo intermezzo - 1 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Secondo intermezzo: Agonia.

Parte prima.

 

 

 

C’è una sottile linea tra amore famigliare e amore romantico. Ciò che di netto esiste, invece, è il senso di totale disagio di fronte alla manifestazione di una sua forma differente da quella provata dall’altra persona.

Aiko sguazzava in un senso di colpa denso come petrolio mentre, lentamente, ripiegava una ad una le sue magliette, sistemandole nella valigia insieme al resto del suo armadio. Camice, pantaloni, cornici e foto. Tutto venne accuratamente messo in ordine, pezzo dopo pezzo e solo a quel punto Masa capì che non aveva poi molto.

La sua vera ricchezza era ben altro.

«Hai già finito?»

Voltò il capo incontrando il volto di Kuramoto, sorridente. Se ne stava appoggiato allo stipite della porta ormai da diverso tempo, lei lo aveva sentito avvicinarsi prima con l’udito e poi con l’olfatto, entrambi acuiti dall’intervento. Gli sorrise di rimando, sedendosi sul letto e aprendo il cassetto del comodino, ficcando scatoline di medicinali e ninnoli di poco conto all’interno della tasca della valigiona che chissà come avrebbe chiuso.

«Mi aspettano per oggi pomeriggio.» gli rispose, prendendo anche il caricatore del telefono e arrotolandolo con cura prima di chiuderlo nella tasca dello zaino del computer, che sarebbe finito nell’ampia borsa da spalla «Questa è la vera avventura, non l’intervento: vivere con i Quinx e vedere che succede.»

«Ti troverai bene. Sono ragazzi simpatici.»

Fece un paio di passi nella stanza e lei si alzò, andandogli incontro e avvolgendo le braccia attorno al suo collo per stringerlo in un abbraccio. Chiuse gli occhi, sentendo il cuore pesante come se lo avessero incatramato.

Kuramoto affondò il viso nel suo collo e le accarezzò la schiena, in silenzio.

Quando Aiko si staccò, gli prese il viso fra le mani «Lavorare con te è stato un onore, ma lo è stato molto di più vivere qui. Questo non è un addio, lo sai.»

«Lo so, ma allora perché sei tu quella che sta piangendo?»

 

Capitolo dodici.

Aprile.

L’alcool che stava ingurgitando era molto di più del cibo che nel frattempo consumava, spiluccato dal buffet. Ito le aveva riempito un piattino conoscendo molto bene i suoi gusti, così da non farle venire il mal di stomaco mentre litri e litri di champagne andavano ad alzarle l’euforia, già abbastanza alta in seguito alla promozione che aveva ricevuto quella mattina stessa.

Avvolta nell’abito bianco formale, dalla giacca un po’ stretta sulle spalle e la gonna scomoda, Masa osservava la sala con gli occhi un po’ lucidi a causa dei diversi bicchieri vuoti che infestavano il tavolo a cui era seduta. Si era già liberata delle scarpe alte, abbandonate accanto alla sedia, mentre la gamba accavallata dondolava piano.

Guardava verso i Quinx, in particolare verso il punto in cui Urie stava cercando di fondersi con la parete, al fine di ignorare i tentativi di socializzazione di Kuroiwa. Sia lei che il suo partner erano entrambi stati promossi al primo livello quel giorno. Un bel passo avanti sia per lo stipendio che per la posizione. Ito, che le sedeva accanto e chiacchierava allegramente con chiunque passasse vicino a loro, era salito alla prima classe.

Lo stesso grado di Take, che invece aveva preso posto di fronte a lei e sembrava perso in chissà quale pensiero.

«Cosa ti assilla?» aveva chiesto alla fine la mora e lui, senza venir chiamato direttamente per nome, alzò gli occhi castani in quelli ambrati della giovane. Non rispose, scuotendo appena il capo e arricciando la fronte, come per voler comunicare che non era niente di che. È il vostro giorno, stava continuando a dire in silenzio, guardando lei e Kuramoto, io sto bene. Il fatto che l’avesse capito nonostante il silenzio era inquietante. «Sicuro? Hai una brutta cera.»

Per giusta misura, prese un altro bicchiere da un vassoio che passava.

«Tu non stai bevendo troppo?» chiese Hirako, facendo finalmente sentire la sua voce.

«Io non ti sono mai piaciuta.» rilanciò invece lei, con un mezzo sorrisetto, mentre con gli occhi accarezzava il bordo della tovaglia bianca «Ma va bene così. Io non ti piaccio perché tu sei una brava persona.»

«Sei ubriaca.» alzandosi di poco, le sfilò il bicchiere, ficcandole in mano un crostino. Aiko ridacchiò piano, un po’ malinconica, portandolo alle labbra mentre Take passava il calice a Ito, il quale aveva appena finito di parlare con Nakarai. Anche lui era salito alla prima classe «Lei non beve più.» furono le sue ultime parole, prima di allontanarsi dal tavolo.

«Rimane un padre migliore di quello biologico.» soppesò Masa, inclinando di lato il capo mentre lo guardava sparire dalla sala.

«Come la mamma però non c’è nessuno!» Saiko prese posto nella sedia vuota alla destra della collega, sorridendo a Kuramoto mentre questi la salutava e congratulandosi con lei. Yonebayashi ricambiò quelle moine, prima di guardare Masa «Non vai a salvare Urie?»

«Perché dovrei?» domandò quella, vagamente divertita «Mi ha scaricato in  superstrada e mi bulleggia quando ci alleniamo insieme. Se lo merita un po’ di Takeomi

«Takeomi è una persona squisita.» fu la difesa del biondo, che guardava entrambe di sottecchi.

«Sì, ma Cookie lo odia.»

«Strano che Oreo odi qualcuno.» Aizawa passò un calice a Masa, nonostante Ito gli stesse chiedendo di non farlo e poi brindò con lei alla salute del Quinx scorbutico «Ora scusatemi, ma mi hanno appena detto che Matsuri ha quasi riso prima. È di buon umore ed è il momento di tirare fuori tutto il mio repertorio di barzellette sugli ebrei. Se causerò anche una piccola risata o un pallido sorriso, verrò ricordato per sempre qui dentro.»

Aiko guardò il dottore allontanarsi con divertimento, scuotendo piano il capo prima di prendere un sorso di vino frizzante «Chissà cosa ci fa lui qui. Non è un agente.»

«Nemmeno Aogiri lo fermerebbe dal mangiare gratis a spese del dipartimento, Aiko.» entrambe le ragazze risero e quando Masa si alzò in piedi un po’ traballante, anche Kuramoto scattò su, tenendola su con una mano dietro al gomito «Dove vai? Ti accompagno.»

«Non ne ho bisogno, grazie.»

«Insisto, non cammini diritta.»

Lei lo guardò con espressione complice e quando ancora non ci arrivò, prese un respiro «Mi accompagni al bagno a cambiare l’assorbente, Kuramoto

Due secondi ed era di nuovo seduto. «Forse meglio se viene Yonebayashi con te.»

«Posso andare da sola!»

Saiko non venne fatta alzare o almeno non ne ebbe il tempo. Tenendo le scarpe dal tacco alto in mano, certa che se le avesse infilate si sarebbe schiantata contro qualcuno o direttamente sulla pavimentazione, Aiko si avviò cercando di compiere una traiettoria rettilinea fatta di sorrisi e saluti ai colleghi che incontrava lungo la strada. Solo quando lasciò il salone e i suoi piedi coperti solo dalle calze fini passarono dall’accarezzare la moquette multicolore alle mattonelle fredde del corridoio, si lasciò andare in un lungo sospiro. Si appoggiò con il braccio alla parete, avviandosi lentamente verso i servizi. Quella usata con Kuramoto era solo una scusa, in realtà voleva solo sciacquarsi il viso. Non avrebbe mai e poi mai ammesso che la sola cosa che aveva bisogno di cambiare era l’aria.

Arrivò fino ai bagni ma, prima di entrarvi, si sentì chiamare. Dal fondo del corridoio, Tooru la stava raggiungendo a passi veloci. «Oi.» lo salutò con un cenno, «anche tu necessiti della toilette?» chiese quindi, scivolando appena contro la porta a causa di una piccola vertigine.

Mutsuki la prese al volo, «No, ma visto come camminavi ho pensato che magari avevi bisogno di una mano.»

«Sei saggio.» Masa fece un cenno di assenso, socchiudendo appena gli occhi, prima di ridacchiare, brilla «Mi fa così schifo tutto questo che vorrei solo tornare a casa.»

«Non ti senti a tuo agio?»

«Non sentirsi a proprio agio è un modo di dire che solo una persona dolce ed educata come te può usare. A me tutto questo fa cagare. E sai perché? Perché non me lo merito. Per niente.» ci fu un piccolo stallo e alla fine, perdendo la voglia di scherzare, Aiko aprì la porta, facendo per entrare «Tu vieni?»

Tooru guardò la porta del bagno delle donne, poi deglutì piano, per poi entrare. Non poteva di sicuro lasciarla sola in quello stato.

Masa si appoggiò ai lavandini, facendo scivolare la spallina della piccola borsa bianca per poterla appoggiare accanto a sé. Poi si guardò e per poco prese paura. Era bianca come un morto. Dall’interno della borsa prese una matita nera e tracciò di nuovo il contorno dell’occhio, recuperando anche un blush rosato per dare un minimo colore alla pelle delle guance. Il tutto sotto lo sguardo indagatore del collega.

«Raramente ti trucchi.» le fece notare Tooru, appoggiandosi alla parete accanto all’asciugamani elettrico. «Stai bene così.»

«Grazie» le rispose lei, aprendo l’acqua e umettandosi una mano, che passò poi dietro al collo, all’attaccatura dei capelli scuri «Ti senti a disagio in questo bagno?» chiese quindi, guardandolo attraverso il riflesso dell’ampio specchio. «Cosa senti? Un senso di rigetto? Magari non credi che sia il tuo posto perché gli altri potrebbero pensarlo o è qualcosa di unicamente tuo?»

Mutsuki abbassò gli occhi, a disagio «Parli come Noriko

«I nostri lavori si somigliano molto. Con la differenza che io entro nella mente degli psicopatici per metterli dietro alle sbarre e lei è  inutile.» fece una piccola pausa «Con questo non sto dicendo che sei psicopatico, sia chiaro.»

Sentendo che la ragazza ancora aspettava una risposta, Tooru decise di dirottare la conversazione su qualcosa che, effettivamente, lo tormentava da qualche settimana «Tu e Urie state insieme, ora?»

Masa lo guardò intenerita da tanta ingenuità, sempre senza voltarsi verso di lui «No.» confermò, «A lui non piaccio abbastanza e io farei fatica a non volerlo uccidere.» lentamente si voltò, appoggiando i fianchi al lavandino «Hai paura che voglia fare la stronza con lui? Sei gentile. Non preoccuparti, è lui che fa lo stronzo.»

Mutsuki sorrise «Sei dura con lui.»

Una serie di battute di pessimo gusto nacquero nella mente di Aiko, ma non poteva farle perché di fronte a lei non c’era Shirazu. C’era Tooru e lui era innocente come un giglio bianco. Semplicemente incrociò le braccia sotto al seno «Sai, le relazioni sentimentali non sono mai semplici.» disse alla fine, parodizzando un tono falsamente saccente «E spesso l’attrazione fisica e l’attrazione mentale non vanno di pari passo. Probabilmente potrebbe funzionare, se solo lui non-»

«Non volevo farti un terzo grado» la interruppe Mutsuki «Solo, il giorno che abbiamo parlato poco dopo il tuo arrivo, avevo capito dalle tue parole che tu fossi…. Omosessuale. »

«Sono bisessuale, in realtà.» gli confidò con sicurezza «Penso sempre che l’attrazione vada oltre il sesso della persona che ho di fronte. Ci sono uomini che non vedrei nemmeno se provassero in ogni modo a conquistarmi e donne per le quali perderei la testa.»

«Deve essere bello avere tutte queste certezze nella vita.»

Aiko gli sorrise incoraggiante, recuperando la borsa per poi avvicinarsi «Devi scoprire te stesso se  vuoi capire gli altri» gli disse semplicemente, prima di prenderlo a braccetto «Dopo questo momento cuore a cuore torniamo di là o penseranno che ti ho rapito per sedurti. E noi non vogliamo che Sasaki lo pensi, no?»

Il volto di Mutsuki andò in fiamme fino alle orecchie. Provò a balbettare qualcosa, ma l’altra era come un tornado. Si strinse meglio al braccio dell’altro, trascinandolo fuori mentre proseguiva a farfugliare di tutti i modi in cui Tooru avrebbe potuto farsi notare dal professore.

Non c’erano molte possibilità che potesse nascere un’amicizia vera.

Però c’era spazio per lavorarci.

 

 

«Così gli ho detto Kijima, se vuoi fare di testa tua, sappi che te lo impedirò con ogni mezzo. Questo è il mio caso, non il tuo.’ E lui cosa ha fatto? Ha comunque deciso di testa sua.»

Masa prese un lungo tiro dalla sigaretta, facendo uscire un po’ di fumo dalle narici, «Sei diventato troppo tenero, Koori»  disse rivolta al classe speciale Ui, che la liquidò con un gesto della mano. «No, davvero. Un paio di anni fa lo avresti preso e lanciato fuori dalla finestra per un affronto come questo.»

«Io concordo» Fura, il terzo tabagista, passò il peso da un piede all’altro «Una volta eri molto più di polso.»

Che lo stessero prendendo in giro era ovvio, ma la poca libertà che avevano nei suoi riguardi era legata al fatto che ogni giorno si incontrarono ad orari decisi e fissi su quel tetto, per fumare. Una sorta di club esclusivo di persone con vizi malsani.

Fumare unisce le genti.

Rilassa anche.

 Koori più di tutti ne aveva bisogno, tanto quanto di dormire. Il caso Rose aveva preso piede da poco più di due settimane, ma non avevano ancora ottenuto grandi risultati. Era una questione di immagine per Ui, che si era preso a carico di quella faccenda incresciosa unendo le squadre Shimeugi, Sasaki e Kijima sotto una unica bandiera. A far fronte comune con loro c’era anche la squadra Ito, capitanata proprio dal neo prima classe, il quale teneva sotto di sé tutti coloro che erano rimasti della squadra Hirako.

Masa aveva capito cosa tormentasse tanto Take la sera delle promozioni. Aveva intenzione di lasciare la squadra al suo secondo, non interessandosi del fatto che questi non solo non se lo aspettasse, ma che non se la sentisse. Perché Kuramoto aveva accettato con il cuore in gola e la sensazione di non essere abbastanza.

Ma Aiko glielo aveva detto chiaramente: sarebbe stato un leader molto migliore di Take, che aveva scelto per chissà quale motivo di riportare il culo al sicuro come braccio destro di Arima. Il perché rimaneva un mistero, visto che la spiegazione che la S3 fosse a corto di organico non stava in piedi. C’erano tanti valenti giovani pronti a dare la loro vita allo Shinigami Bianco, perché Hirako aveva scelto di perdere gradi e soldi sulla busta paga?

No. Non torna.

«Aiko?» gli occhi ambrati della moretta tornarono a spostarsi sul classe speciale, che assottigliò lo sguardo a causa degli ultimi raggi caldi del sole, i quali finivano direttamente a colpire il suo viso di porcellana. «Quindi? Il rapporto di Sasaki quando arriverà?»

Masa aveva intuito che qualcosa non quadrava. Ui era una delle persone più altere dell’intero bureau, ma anche una di quelle più gentili. Dietro a        quella che sembrava una scorza dura si nascondeva un ragazzo a tratti insicuro. Koori Ui viveva per avere l’approvazione di un solo, singolo uomo. Egli rispondeva al nome di Kishou Arima, colui a cui tutti facevano capo, colui che tutti volevano impressionale nonostante fosse la persona meno impressionabile al mondo.

Aiko pregò di non doversi mai trovare al posto di Ui, a invidiare il rapporto di Haise e Arima e, soprattutto, a cercare di farsi notare dallo Shinigami della ccg. La sua vita non sarebbe potuta andare in senso più opposto rispetto a quella di quell’uomo, per quanto ne sapeva lei.

Nonostante non fosse la segretaria del suo capo, Aiko sorrise all’uomo «Glielo ricorderò appena lo vedo. Entro la fine della settimana lo avrai di certo.»

Lui annuì, facendo ondeggiare il caschetto lucente e finendo per spegnere la sigaretta nel posacenere a muro. Poi salutò educatamente e rientrò, seguito qualche istante dopo da Fura. Aiko, che se la stava prendendo con una certa calma – il suo turno era finito da un po’, in effetti- allungò lo sguardo lungo lo spiazzo di fronte a lei. Sul tetto della sede centrale c’erano solo lei, un paio di agenti  interni che cenavano un po’ in anticipo e poi, seduta poco lontana su una delle rare panche di legno, Noriko. Aveva accanto a sé quello che sembrava un bento mezzo vuoto e in mano un termos. L’aria cambiò, portando con sé l’odore acre della bevanda lì contenuta.

Di sicuro non era caffè.

Quando la psicologa la colse in fallo, con gli occhi ancora appoggiati con insistenza sul suo viso, si voltò per guardarla. Non correva buon sangue fra le due, Masa poi non riusciva a tollerare che quella donna sapesse cose del suo passato, conservate all’interno di un fascicolo troppo spesso per una ventitreenne. Non si salutarono, né parlarono.

Aiko continuò a fumare, senza abbassare lo sguardo e l’altra donna fece lo stesso, creando uno stallo.

Esso si infranse solo con l’arrivo di Urie, che spinse con forza la porta taglia-fuoco, adocchiando subito la partner poco distante da essa.

«Fumare fa venire il cancro.»

«Anche tu, ma non posso rinunciare né a te, né alle sigarette.»

Aiko gli sorrise, notando con divertimento che nonostante l’altro avesse alzato gli occhi da rettile al cielo in un moto di esasperazione, le sue orecchie si erano tinte di rosso a causa dell’imbarazzo.

«Ad ogni modo, la giornata è ufficialmente finita. Stiamo pensando di tornare a casa.» le fece sapere sbrigativo, mentre Aiko prendeva l’ultimo tiro di sigaretta.

«Oh sì, ti prego» mugolò, tirando le braccia verso l’alto per stirare la schiena, mentre il ragazzo andava a sistemarle l’orlo della camicetta azzurrina che indossava sotto al maglioncino primaverile, tirandolo verso il basso per coprirle il ventre piatto «Grazie mamma.» lo prese in giro per quel gesto, prima di appoggiargli una mano sulla spalla «Non vedo l’ora di ficcarmi nella doccia.»

«Dopo i nostri allenamenti, spero.»

«…Sei un mostro. Oggi abbiamo fatto due riunioni.»

Lui non diede segno di averla ascoltata «Oggi possiamo prendere le bici e andare fino al campo da calcio per allenarci con i nostri kagune

Masa sospirò piano, «Così spaventiamo di nuovo i bambini?»

«…Lo facciamo dopo cena.»

«Perché non usiamo la nostra palestra?»

«Perché tu hai distrutto tutto l’ultima volta.»

Lei lo guardò quasi offesa, prima di ammorbidire il viso in un sorrisetto malizioso, piegando il braccio per passarlo dietro al suo collo e attirarlo a sé. Era alta abbastanza per guardarlo negli occhi «Magari tu non sai cosa si prova, ma quando hai delle appendici molto ingombranti non è semplice manovrarle.»

«Non dicevi così l’altra sera.»

Per la prima volta da quando si conosceva, fu Masa a rimanere del tutto senza parole. Lo guardò per un istante con gli occhi sgranati, le labbra socchiuse per l’incredulità, a corto di argomentazioni valide. Poi scoppiò a ridere, soprattutto perché l’altro aveva pronunciato quella che era indubbiamente una battuta anche abbastanza spinta nella più totale apatia, appoggiandosi con la fronte alla spalla di Kuki.

«Sei impossibile.» sussurrò piano la ragazza, avvertendo la mano dell’altro appoggiarsi sul suo fianco, mentre con una certa circospezione si guardava attorno. Non che fosse strano vedere qualcuno in atteggiamenti più o meno intimi. C’erano più agenti con l’amante al lavoro che senza. Però Urie ci teneva particolarmente a mantenersi apparentemente perfetto, soprattutto con Matsuri.

Ad Aiko stava bene, perché ciò che aveva detto a Mutsuki e Sasaki era vero. Non erano una coppia, semplicemente, avevano costretto loro stessi a inventarsi una sintonia che, non essendo spontanea affatto, aveva trovato il suo sfogo nel sesso. Il dormire insieme, letteralmente, li aveva decisamente uniti.

E non solo sul piano fisico.

Lavoravano molto meglio, forse anche in virtù della chiacchierata avuta precedentemente alla loro prima volta.

Per buona educazione, comunque, Masa si scostò, ma non si separarono. Lasciò parlare Urie di come e quanto avrebbero potuto allenarsi, anche in vista della mattinata di riposo che li spettava il giorno seguente. Studiò attentamente il suo profilo, chiedendosi se lo trovasse o meno bello. C’era qualcosa di affascinante in Urie, anche se oggettivamente non era il ragazzo più avvenente che avesse avuto a sua disposizione. Forse erano i nei particolari sotto l’occhio sinistro. Forse il suo modo di atteggiarsi sempre un po’ ruvido, scontroso e distaccato.

Il fascino del bad boy.

Inesorabili, una serie di note inconfondibili arrivarono fino alle loro orecchie e Masa dovette per forza di cose smettere di fantasticare sul suo collega. Si guardò attorno e ci mise un attimo ad adocchiare un braccio che sbucava dalla porta di metallo, reggendo fra le mani un cellulare. La fonte di quella musica era proprio quello.

«Questa è Celiné Dion?» domandò prima di ridere, guardando l’espressione soddisfatta di Shirazu, mentre questi faceva capolino dall’uscio. Urie non si voltò nemmeno a guardarlo, mentre Aiko colta da un attimo di puro coinvolgimento si azzardava anche a intonare la canzone «Once more you open the door and you’re here in my heart and my heart will go on..»

«Avevo anche pensato a Witney Houston, ma non volevo esagerare e Urie non assomiglia per niente al protagonista di the Bodyguard»

La mora stava praticamente gongolando «Be my Di Caprio, Cookie.» Inutile dirlo, il diretto interessato si staccò dalla ragazza di almeno otto passi pensando a come fare per ficcare l’apparecchio nella gola del caposquadra, che li stava raggiungendo.

«Smettetela di tubare» li apostrofò a voce alta, così che tutti coloro che non si fossero ancora accorti di nulla, potessero arrivare a tirare le somme di tutto quello stupido teatrino. La vena sul collo di Urie prese a pulsare visibilmente «Sassan ci aspetta di sotto. Andiamo?»

«Voi andate avanti» a sorpresa, Aiko si tirò indietro, controllando l’ora sul cellulare. Di fronte all’espressione perplessa dei due, sorrise facendo l’occhiolino «Passo a trovare un pezzo grosso e mi faccio dare un passaggio. Tanto gli allenamenti oggi ci sono dopo cena.»

 

L’ufficio non era mutato per niente da quando Kuramoto era diventato il caposquadra. La sola cosa ad essere cambiata era l’aria che si respirava all’interno. Per Aiko era più distesa, per Ito invece asfissiante.

«Shirazu mi ha ascoltato e ha usato Baciala da la Sirenetta?»

Aiko ridacchiò sotto ai baffi, sistemandosi sulla sedia di fronte alla scrivania dell’amico «No, ha deciso di darsi ai classici e si è buttato sulla colonna sonora di Titanic.»

«Ah, perché nessuno mi ascolta mai?»

Si scambiarono una lunga occhiata, prima di iniziare a parlare del più e del meno per dieci minuti. Masa gli spiegò per filo e per segno come Ui aveva bocciato il progetto sotto copertura ideato da Haise, di quanto inquietante fosse il padrone del negozio di maschere e dei suoi pensieri riguardo all’astio che Koori covava nei confronti del capo dei Quinx. Lui non la interruppe nemmeno una volta, rimanendo rilassato contro lo schienale della sua sedia, con il solito sorriso serafico sulle labbra.

«C’è un motivo preciso per cui volevi vedermi, comunque?» di punto in bianco, Masa si ricordò dell’urgenza con cui Kuramoto l’aveva chiamata in mensa, chiedendole di passare appena possibile. Non aveva detto che l’avrebbe fatto in giornata ben sapendo che gli allenamenti di Aikido dovevano venire prima per quieto vivere domestico, ma visto che erano stati posticipati dal maestro in persona aveva colto la palla al balzo.

Passava troppo poco tempo insieme a Ito in quell’ultimo periodo, voleva rimediare. Un anno prima erano stati inseparabili.

«In realtà sì.» le disse il biondo, improvvisamente con nervosismo mal celato. Si mise diritto sulla sedia, facendo una piccola pausa prima di iniziare ad articolare quello che sembrava un discorso che si era preparato prima «Sai che è difficile per me prendere il posto lasciato vuoto da Take. Abbiamo passato tre ore a sviscerare la cosa il giorno stesso in cui è successo, fino a che il sake non ha vinto e io mi sono ubriacato.» Quell’ultima affermazione strappò un sorriso alla ragazza, che a sua volta si sentiva tesa. Kuramoto serio non era se stesso «Il punto è che  devo scendere a patti con questa nuova realtà e sto cercando di armarmi di tutto ciò che penso possa essermi indispensabile. Per questo ti sto chiedendo, anzi  ti sto pregando di tornare in questa squadra. Ho bisogno di te.»

Nel giro di nemmeno un’ora, Aiko si ritrovò di nuovo ammutolita. Non in termini piacevoli, però. Si sentì uno schifo, ma sapeva che doveva stroncare ogni minima scintilla di speranza in merito.

«Kuramoto-»

«So che sei nei Quinx da nemmeno quattro mesi» la interruppe lui, deciso a spiegarle per filo e per segno il suo punto di vista prima di sentirsi dire di no. «Ti sei sottoposta a un intervento chirurgico invasivo, hai fatto un addestramento intensivo e ora che ti sei stabilizzata ti sto chiedendo di mollare tutto e fare marcia indietro. Lo so, non ha senso. Però aspetta di sapere cosa ho da offrirti.» lei si morse il labbro, incerta sul volerlo o meno sapere, ma poi annuì facendogli cenno di andare avanti «Se torni in questa squadra avrai carta bianca sulle indagini, come hai sempre voluto tu. E potrai farlo perché voglio promuoverti.» Allungò la mano, chiedendole di poter stringere la sua. Aiko glielo concesse. «Ho già parlato con Machibita e anche a lui sta bene: puoi diventare il vice caposquadra. Per questo ti chiedo almeno di pensarci.»

Masa rimase in silenzio per almeno due minuti, soppesando ogni singola parola dell’amico. Poi gli strinse di più la mano «Ok. Ci penserò su, ma sappi che difficilmente potrò accettare la tua offerta. Ora come ora non sono più un agente normale e assumerti il rischio di avere un Quinx in squadra è troppo. Soprattutto ora.»

Lui sorrise, vittorioso nell’essere riuscito almeno a farla riflettere sulla questione. «Va bene, mi sembra un ottimo compromesso.»

Entrambi si sollevarono, stringendosi in un abbraccio che durò forse un po’ troppo. Quando tornarono a prendere posto, l’aria si era distesa.

Kuramoto però non aveva finito di liberarsi di certi sassolini nelle scarpe.

«Lui sa cosa è successo?» chiese quindi a bruciapelo «Urie Kuki, intendo. Gli hai raccontato di cosa è successo due anni fa?»

Aiko si raggelò sulla sedia, guardandolo «No.»

La risposta arrivò lapidaria e tagliente come una lama d’acciaio.

Tanto affilata da stroncare il discorso sul nascere.

In realtà, Aiko non sapeva bene a cosa si riferisse Ito. Erano successe parecchie cose due anni prima. Forse intendeva lo scontro col Gufo in cui avevano perso Orihara. Magari la notte in cui Osaki era stata assassinata, mentre raggiungeva il ristorante dove lui e Take stavano cenando. O magari parlava dell’incidente stradale.

La risposta non sarebbe cambiata in ogni caso.

«Abbiamo parlato di suo padre.» per riportare di nuovo un’atmosfera rilassata, Masa proseguì a parlare «Non voglio turbarlo, però. Non sembra, ma è una persona che prende parecchio a cuore le situazioni.»

Non era vero. Urie era un muro. Masa avrebbe potuto provare a buttarlo giù in ogni modo, le sarebbe sempre sembrato apatico e insofferente. La sola volta che si era un minimo interessato a lei era stata la sera in cui, per l’appunto, avevano parlato di Mikito Urie.

«E dimmi, Aiko, lui ti piace oppure ti stai divertendo come sempre?»

Non c’era nessuna cadenza sarcastica o amara nella domanda di Ito. L’aveva posta con la solita leggerezza nonostante Masa fosse a conoscenza dei suoi reali pensieri. Non era nella natura del biondo fare lo stronzo. Piuttosto, se lo sarebbe tenuto per sé.

«La prima volta che l’ho baciato ero ubriaca. La prima volta che ci sono finita a letto, prima stavo piangendo e ci siamo fatti anche uno spinello. Non è esattamente la storia d’amore che vorresti raccontare ai tuoi figli, non credi?»

La conversazione si stava allontanando un po’ troppo dalla sua zona di confort, così Masa si alzò prima di rendere la cosa insopportabile. Sorrise, nonostante si sentisse atterrita. Non le era mai successo prima di sentirsi a disagio con Kuramoto. Era sempre stata la persona a cui si era sentita più vicina, lì dentro.

Avrebbe dovuto aspettarselo però, una volta cambiata squadra.

«Torno a casa, gli altri mi stanno aspettando.» gli mentì, sporgendosi sulla scrivania per baciargli la guancia «Tienimi aggiornata per il concerto dei リンガール, mi raccomando.»

«Lo farò, tu fai la brava!»

«Come sempre, buonanotte!»

Chiuse la porta dietro alle sue spalle, prendendo un respiro e chiudendo gli occhi, prima di avviarsi decisa fino all’ascensore. Si sentì scossa nell’anima dalla permanenza in quell’ufficio e quando guardò l’ora sullo schermo del suo smartphone trasalì nel realizzare che vi era rimasta solo quindici minuti. Le era sembrata un’ora.

Si chiese se ci fossero possibilità che i Quinx non fossero ancora tornati, quando il nome di Yonebayashi apparve lampeggiando sull’apparecchio che stringeva ancora in mano. Un po’ sorpresa, accettò la chiamata «Saiko? Stavo pensando di chiamar-»

-Macchan…. Ti prego, vieni qui.-

La voce della compagna di squadra era spezzata. Sembrava spaventata. Masa si mise subito in allerta «Cosa sta succedendo?» domandò quindi «Dove sei? Sei in pericolo?!»

-Aogiri- disse l’altra, sottovoce, come se temesse di essere sentita –Ci hanno attaccati nel parcheggio. Sono tra il terzo e il quarto piano e-

La linea cadde. «Saiko! Merda!» Aiko provò a richiamare, pigiando velocemente il tasto dell’ascensore, come se quel gesto potesse aiutarla ad andare più veloce.

«Aogiri!? Non è possibile!»

Permise a mala pena all’ascensore di arrivare al piano terra. Sfrecciò nell’atrio rapidamente, rendendosi conto che non aveva con sé la sua quinque e che quindi si sarebbe basata solamente sulle sue abilità col kagune.

Avrebbe anche chiesto aiuto, ma non incontrò nessun investigatore sulla sua strada e non aveva di certo il tempo di chiamare.

Se Saiko aveva chiesto a lei, cosa poteva essere successo agli altri?

Doveva far presto, l’avrebbe scoperto da sola cosa diavolo stava succedendo.

 

Aiko aveva trovato Saiko immobile, ai piedi della rampa interna delle scale che portavano al terzo livello del parcheggio custodito del ccg. L’Aogiri doveva avere avuto una discreta dose di coraggio per attaccarli in casa loro, ma in effetti il parcheggio era un po’ distaccato dal palazzo principale e arrivarci le aveva impiegato cinque minuti di corsa.

E lei non era umana.

«Sei ferita?!» le aveva chiesto, inginocchiandosi accanto a lei. L’altra l’aveva guardata con gli occhi a palla e il colorito chiaro sul viso tirato, prima di scuotere il capo lentamente. «Ti sei battuta? Con chi?»

«Non lo so, non l’ho mai visto.» tenendosi il braccio con la mano paffutella, la più giovane delle due mostrò il cappotto strappato e il sangue rappreso sul suo tessuto «Mi ha morsa, ma sto già guarendo.»

«Come te la sei cavata?»

Mentre Aiko la aiutava ad alzarsi, Yonebayashi guardò oltre la sua spalla, per quanto le era possibile a causa del discreto divario fra le loro altezze «Un uomo mi ha salvata, ma non so perché. Sembrava un ghoul

Masa la guardò stupita «Cazzo, oggi è la giornata delle sorprese incredibili» ironizzò, prendendole la mano e avviandosi per le scale. Dovevano ricongiungersi agli altri e trovare soprattutto Sasaki «Come era fatto?»

«Grosso» ponderò Saiko, tenendosi vicina a lei «Aveva addosso una mantella che sembrava fatta di stracci e in mano aveva una quinque. Sembrava rotta però.»

A quelle parole, Aiko si pietrificò. Si voltò verso di lei, con le labbra socchiuse e gli occhi sgranati, con una domanda che le ballava sulla punta della lingua ma che non voleva abbandonarla. Non ebbe il tempo di porla.

Una risatina leggera le gelò il sangue nelle vene e portò via il poco colore sulle guance di Saiko.

Tornando a guardare in alto, sulle scale di fronte a loro, Aiko la vide.

«Eto

La bambina con le bende ridacchiò nuovamente, portando le mani dietro alla schiena e dondolando sui piedi.

Masa sciolse la fibbia del cappotto lungo fino ai polpacci e lo lasciò cadere dietro di sé, tenendo protetta Saiko, mentre i suoi occhi non si spostavano da quell’immagine grottesca.

Falsamente innocua.

«Perché siete qui?» chiese, denti stretti, mentre un tremore alle gambe la tradiva.

Eto non rispose, si limitò a dondolare dalla punta dei piedi ai talloni, inclinando di lato il capo. L’abominevole occhio rosso dalla sclera nera la trapassava come un proiettile.

Aiko non riuscì a trattenersi.

Con tutta la forza di cui disponeva, abbatté quattro delle sue code sul ghoul rompendo il muro alle sue spalle quando questi scansò il colpo. La vide appoggiarsi ai tentacoli e scansarsi, prima di salire in piedi sulla finestrella che dava sull’esterno, sprovvista di vetro.

«MACCHAN NO!»

Saiko non aveva ancora finito di gridare, che Aiko si era lanciata in una corsa su per i gradini rotti, saltando poi dalla finestra, esattamente come aveva appena fatto Eto.

 

Contrariamente a qualsiasi previsione, Masa tornò più di mezzora dopo, sporca di terra e sangue, con un taglio quasi guarito sulla guancia e i jeans laceri sulla coscia della gamba destra.

Il resto dei Quinx, circondati dai colleghi, la videro arrivare a capo basso. Sasaki si precipitò da lei prima ancora che la ragazza si fu avvicinata la nastro che separava l’ingresso del parcheggio, reso inagibile dallo scontro, dal marciapiede pedonale.

«L’ho persa.»

«Meglio così» le disse il mentore, tenendosi una mano sul petto, mentre Yonebayashi li raggiungeva, abbracciando la vita della mora, la quale le appoggiò una mano fra i codini blu. «Sono felice di vederti tutta intera. Mi sono spaventato a morte quando Saiko mi ha detto che hai seguito un capo di Aogiri

«Perché ci hanno attaccati?» chiese stanca Masa, provata dalla corsa.

A risponderle, fu Urie «Sono alleati con Rosenwald

Masa prese un respiro.

Chiuse gli occhi.

Poi li alzò al cielo.

«Cazzo, è proprio un giorno ricco di sorprese.»

 

 

Nonostante vi fosse una parete a separarla dal magazzino di cemento nel quale si stava consumando la violenza, poteva nitidamente sentire non solo l’odore ferroso del sangue misto a quello ben più acre del liquido secreto dal kagune, ma anche il ticchettio incessante e fastidioso delle sveglie, che continuavano a suonare e suonare senza fermarsi.

Labbra Cucite, accomodata sui gradini freddi della scalinata che conduceva in quel seminterrato buio, ascoltava e aspettava che il divertimento di Eto avesse fine. Con il mento appoggiato al ginocchio e lo sguardo distante, perso in un pensiero, sospirò chiedendosi quale follia avesse spinto quel tedesco pazzo a commissionare un lavoro di quella portata proprio ad Aogiri. Il gioco non poteva valere la candela.

Un altro urlo, straziante, arrivò alle sue orecchie, sfumando sostituito dall’incedere cadenzato di passi appena udibili. Alle sue spalle, qualcuno stava scendendo i gradini senza fretta. Portò una mano alla maschera, che pendeva lungo il collo, per nascondere il viso, ma non servì. Il profumo che le arrivò alle narici era famigliare, al punto tale che abbassò anche il cappuccio che le copriva i capelli.

«Lǎoshī»

«Méi méi

Tatara le si fermò accanto, guardandola serio dall’alto, prima di chinarsi a sua volta per sedersi un paio di gradini più in basso. Lei lo osservò mentre portava le mani grandi ma sottili dietro alla nuca, iniziando ad allentare la maschera rossa per sfilarsela, liberando così il viso.

Lo sguardo dell’altra mostrava un interesse mal celato di fronte alla sua presenza lì, in quel momento «Perché sei venuto? Oggi sono io che devo occuparmi di lei. La accompagnerò a casa non appena avrà finito. Credevo fossi stanco.»

«Infatti lo sono. Però, voglio assistere a ciò che uscirà da quella porta quando Eto avrà terminato la trasformazione, prima che venga affidata a Noro

La fronte della giovane si increspò, perplessa «Affidata?»

«Sì, anche lei è una donna, a quanto pare.» La lasciò a meditare su quell’ultima affermazione, estraendo dalla manica del cappotto lungo e bianco un contenitore per alimenti. Glielo sventolò sotto al naso, costringendola a prenderlo e ad aprirlo «Ora mangia, sarà una nottata lunga.»

«Sai che non posso rimanere fino all’alba…» In ogni caso, non contestò quello che più che un gesto gentile, sembrava un ordine. Guardò dentro al contenitore di plastica, inclinando di lato il capo, prima di afferrare una strisciolina di tessuto chiaro «Prima i poi capirò perché hai questa passione per il cervello.»

Lui non la guardò nemmeno, prendendo un cellulare e tenendo gli occhi  rossi sullo schermo «Ognuno ha i suoi vizi.»

«Ok, ma è pieno di colesterolo e la consistenza non è il massimo.» portò il boccone alle labbra, masticandolo rapidamente. Ne mangiò un po’, prima  di passare quella sorta di merenda condivisa al ghoul di fronte a lei, che terminò il pasto, tornando poi ad occuparsi di chissà quale cavillo. Dal modo in cui si scambiava email con il suo interlocutore, sembrava importante.

I minuti divennero mezz’ore, le mezz’ore divennero ore. Era abbondantemente passato il momento di coricarsi quando, finalmente, la porta pesante di fronte al loro si aprì in uno sfrigolio di cardini.

Eto indossava solo un sorriso compiaciuto e il sangue della sua vittima, quando si mostrò ai due. Le punte dei capelli erano annodate a causa dei grumi rossi che le ricoprivano. Li spiò divertita, notando come la giovane si tenesse appena un po’ distante rispetto al corpo massiccio dell’albino.

«Ci vorrà ancora parecchio.» trillò deliziata di fronte alla prospettiva di chissà quante ore –forse giorni- di torture. Labbra Cucite si domandò cosa mai potesse averla attratta di Rosenwald, cosa stesse cercando di distruggere. Non sapeva niente del ghoul aristocratico, ma avrebbe presto chiesto delucidazioni a qualcuno. Magari ad Eto stessa  «Tesoro, tu vai pure.» le disse addolcendo il tono «Non vogliamo mica che la tua Colomba, si insospettisca notando la tua assenza.»

Annuendo, questa si alzò in piedi «Non sospetta di nulla.» decretò con tono morbido, avvicinandosi per spostarle la frangetta verde dalla fronte «Fino a che continueremo ad usare il nome Uzume, andrà tutto come deve andare. Non ci sono le basi per sospettare nulla.»

Tatara le guardò apatico, prima di tornare a dedicarsi ai suoi affari, come se fosse ben abituato a quella sorta di moine.

Eto sembrò fare le fusa come una gatta, mentre guardava l’altra donna alzare la maschera e sistemare le bende che aveva allentato sul viso «Ormai ci siamo quasi. Quando il ccg farà la sua mossa, allora la faremo anche noi. Si sa, dopotutto, che i bianchi muovono per primi.»

Non appena Labbra Cucite ebbe sistemato il cappuccio della mantella bianco sporco, si scambiarono un ultimo sguardo. Poi questa si rivolse a Tatara «Lǎoshī. » Lo chiamò, incoraggiata da Eto «Se ce ne sarà l’occasione, voglio farti un grande dono.»

Lui non parve sorpreso «Per quale motivo?»

«Per rimediare alla mia debolezza in passato.»

L’albino spostò gli occhi sottili sul Gufo, prima di rispondere all’apprendista «Deve essere un regalo molto grande per compensare.»

«Se uno non bastasse, provvederò con altri.»

Unì il pugno alla mano aperta, inchinandosi a lui, prima di superarlo, salendo le scale a rapidi passi. Eto la guardò sparire, prima di fissarsi nuovamente su uno dei capi dell’organizzazione, con entrambe le sopracciglia alzate e le braccia incrociate sotto ai seni tondi.

Lui alzò il mento, come per invitarla a parlare.

«Sei troppo duro con lei. È migliorata.»

«Peggiorare non poteva.» si levò anche lui in tutta la sua altezza, portando le mani alla maschera rossa per rimetterla sul naso e sulla bocca. Quando si fu di nuovo nascosto dietro di essa, concluse il discorso «Nemmeno se mi donasse la Cina intera potrebbe rimediare alle perdite di tempo che mi ha dato negli ultimi anni.»

«Signor Tatara, hai il cuore più duro della pietra con cui hanno costruito la Muraglia.»

Gli lanciò uno sguardo obliquo, prima di tornare ai suo svaghi, chiudendosi la porta alle spalle con lentezza, così da continuare a scrutarlo con i suoi grandi occhi verdi.

Rimasto solo, Tatara non trovò più un senso nella sua presenza lì. Raccolse il contenitore di plastica, avviandosi per le scale.

«Non sarà mai freddo quanto il tuo, Eto

 

 

Continua…

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Capitolo 13
*** Secondo intermezzo - 2 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Secondo intermezzo: Agonia.

Parte seconda.

 

 

 

Masa, a diciassette anni, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, tinti di un rosa confetto molto intenso. Quella tinta faceva risaltare ancora di più gli occhi, già di per sé grandi e tondi, fino a farla sembrare molto più giovane della sua età.

Mizuro Tamaki, invece, portava il ciuffo di un biondo scuro striato di verde a cadergli sul viso, nascondendo parzialmente l’occhio destro.

Insieme a loro c’era sempre un ragazzetto allampanato, magro come una pertica, con i capelli di un azzurrino tenue, che rispondeva al nome di Kei Iruka, anche troppo chiacchierone.

Infine, veniva Kinben Kenzo, con gli spessi occhiali a fondo di bottiglia e un grosso libro di scienze perennemente sotto braccio. Non sarebbe potuto essere più differente dai tre compagni di classe, ma in definitiva l’anno trascorso in America con i primi due, che erano migliori amici sin dall’inizio dell’Accademia, lo aveva reso più intraprendente.

Era stato lui a presentare Iruka ad Aiko ed era scattata sin da subito la scintilla.

«Per colpa tua, ora giriamo con una coppietta.» Lo sfotteva sempre Mizuro, bonariamente, mentre arrotolava uno spinello e apriva un paio di lattine di birra, spiaggiato insieme agli altri sul tetto della Quinta Accademia del ccg. «Comunque, il professor Matsubita mi ha preso da parte sostenendo che sono io che trascino voi nella perdizione. Ma ci rendiamo conto?? Ma lo conosce Kei? »

«Io sono un bravissimo ragazzo.» lo riprese subito l’amico, prima di porgere il pacchetto di sigarette alla sola ragazza presente, «Ne vuoi una?»

Aiko inclinò di lato la testa, pensierosa. Poi annuì, «Va bene, ma una sola. Non voglio diventi un’abitudine.»

«In cinque anni saremo quattro fumatori accaniti, intanto.» sostenne con fermezza Mizuro, passando la lingua sulla cartina, porgendo quindi tutto a Masa per farle accendere, come un vero cavaliere. Lei portò la sigaretta dietro all’orecchio, sfilando l’accendino dalle mani del migliore amico e aspirando  un lungo tiro.

«Avete sentito cosa è successo nella sesta?» si informò proprio quest’ultima, attirando su di lei l’attenzione dei tre, compreso Kenzo che stava ricopiando i compiti di algebra per Iruka. «C’è stato un attacco di un paio di ghoul abbastanza forti, classe S- e A+. Sono morti sette agenti, di cui un associato alla classe speciale. Alla fine è intervenuta la S3 di Arima.»

«Che figo Arima» sussurrò sognante Iruka, inclinando il capo all’indietro per spiare il cielo terso.

«Deve essere un duro colpo.» Kenzo scosse il capo, quando lo spinello gli venne porto, scostandosi affinché Kei potesse prenderlo al suo posto. Poi guardò Aiko negli occhi e a lei parve rattristito. «Perdere un compagno di squadra, dico. Credo sia una delle prove più difficili.»

«Mio padre non conosce nessun collega che non ha perso almeno un membro del proprio team.» gli fece sapere in modo ben poco incoraggiante Iruka, «Quando sei in prima linea e fai questo lavoro, è la normalità purtroppo.»

«Non dovrebbe esserlo.» si incaponì l’altro, insistendo «Troppi agenti muoiono in azione. Se succedesse a uno di voi non so cosa farei.»

«Io spero che non ci troveremo mai in squadra insieme, infatti.»

«Ok, Mizuro, ma finirai comunque per affezionarti a chi ti verrà assegnato.» Kei, alzò le spalle, prima di sporgersi per passare a lui lo spinello e rubare la lattina di birra che aveva in mano «Ci manca un solo anno di accademia, poi verrà il nostro momento. Mio padre è un prima classe da tanto, troppo tempo. Io voglio diventare classe speciale entro i trenta.»

Masa ridacchiò «Io voglio arrivare ai trenta, invece. Chiedo troppo?»

«Finalmente qualcuno con un cervello.» brontolò Kenzo, alzandosi con in mano ancora i libri «Io rientro, ci vediamo a lezione. Non fate tardi.»

«Oi! Ma dove vai?» Kei non ebbe comunque risposta. Lo guardò allontanarsi a passi veloci, senza voltarsi mai.

Tamaki sospirò «Oh no, mi ha lasciato di nuovo da solo con voi.»

«Lo ha indispettito parecchio il discorso.» Aiko prese l’altra lattina, alzandola «Un brindisi al buon Kenzo. Il solo che ha davvero un minimo di sensibilità qui.»

«Ha parlato miss Lacrimuccia.» Kei le tirò piano la guancia, prima di battere  la lattina contro la sua «A noi. Alle future promozioni.»

Senza nulla con cui brindare, Mizuro lanciò quel poco che rimaneva del mozzicone dal tetto «A una lunga, lunghissima vita.»

Vennero beccati a bere e ripresi nemmeno dieci minuti dopo. Davanti al preside si presentarono come tre anime pentite del purgatorio, come ogni singola volta e non vennero sospesi nemmeno in quell’occasione.

Il discorso non venne più ripreso, fino a più di un anno e mezzo dopo quella mattinata di aprile, di fronte alla bara che conservava i pochi resti di Kinben Kenzo. Davanti ad essa, i due agenti di terzo livello si ripromisero di ricordarlo sempre mentre, giorno dopo giorno, avrebbero continuato a lottare contro qualcosa che ancora non aveva assunto una forma definita. Ma non Kei. Lui, che faceva parte della stessa squadra del suo amico di infanzia, chiese il congedo dal lavoro sul campo, diventando l’Interno Iruka. La possibilità di essere promosso che sfumava faceva comunque meno male della paura e della consapevolezza che un compagno che muore è un compagno che non tornerà mai più.

Perché chi muore cessa di esistere, mentre i vivi fanno i conti con la realtà.

 

Capitolo tredici.

Il locale era claustrofobico, tanta era l’affluenza di avventori per lo più abituali. I corpi che ballavano, strusciando uno contro l’altro, accalcati in una danza che sembrava più un’orgia erano un po’ distanti dal luogo in cui si trovava lei, seduta al bancone, con un abito rosso corto che lasciava scoperte le gambe lunghe e magre.

Aiko sorrise al suo interlocutore, facendosi offrire un altro bicchiere pieno di un liquido rosso dall’odore forte e pungente. Sangue fermentato, la sola cosa in grado di fare ubriacare un ghoul e che, doveva ammetterlo, iniziava a darle un po’ alla testa.

Se non avesse bevuto, però, sarebbe sembrato sospetto.

Il lavoro sotto copertura le piaceva molto, soprattutto perché approvando l’operazione Maschera, Ui aveva anche dato il suo benestare per farli un po’ divertire. Come fossero poi finiti allo Psiche, un famoso locale itinerante per ghoul e umani simpatizzanti della razza, era un’altra storia.

E ovviamente c’entrava l’uomo delle maschere, Uta.

L’obiettivo dell’operazione era di scoprire da dove fosse nata la collaborazione fra i Rosenwald e Aogiri, magari comprendendo anche come agivano insieme. Ui non ne era entusiasta, ma alla fine c’erano state molte più mani alzate a favore dell’idea di Sasaki che contro e lui se ne era fatta una ragione, soprattutto perché anche la sua seconda, Hairu Ihei, aveva appoggiato il prima classe. Di contrari c’erano stati solo Koori, Shimoguchi e i suoi, contro Ito, Machibita, Kijima, Furuta, Fura e, per l’appunto, Ihei. Dopo due settimane avevano raccolto ogni tipo di informazioni, ma utili alla ricerca ben poche.

Tornando a Uta, lui non aveva solo trovato per Masa e Sasaki un invito per quel locale esclusivo, ma aveva anche disegnato e prodotto una maschera per ogni Quinx.

Aiko sistemò sul viso la sua, che la copriva solo a metà, per la precisione tutto il lato destro. Mostrava quindi fieramente il kakugan e le riusciva parecchio bene spacciarsi per un ghoul. Mentre Saiko e Shirazu facevano cameratismo e si facevano raccontare le cose inventando storie strampalate, il modus operandi di Urie e Mutsuki era un po’ più diretto. Perché lo era Urie.

Masa invece lavorava praticamente da sola. La maschera di Sasaki faceva letteralmente scappare a gambe levate chiunque.

«Quindi sei in Aogiri, che cosa…. Interessante.» ammiccando, si pulì un po’ di sangue che le era scivolato sul mento. «Ho sempre apprezzato particolarmente chi si sforza di fare qualcosa di concreto. Soprattutto ora che c’è questo nuovo appoggio influente.»

Nonostante la maschera nera che nascondeva i suoi occhi, Masa notò che il suo interlocutore aveva arricciato perplesso la fronte «Non ti seguo. Che appoggio?»

Aiko nascose la delusione, sorridendogli nuovamente, prima di parlare con tono civettuolo «Non farci caso, alle volte parlo troppo.» gli passò la mano sull’avambraccio, prima di notare l’ora.  Si accostò quindi al suo orecchio, suadente come una serpe «Senti, qui c’è un po’ troppa musica. Perché non ci spostiamo da me?»

Ovviamente, ottenne quello che voleva. L’uomo si alzò, aiutandola ad indossare la giacchetta scura, seguendola come incantato mentre lei ondeggiava sinuosa sui tacchi.

Quando arrivarono all’esterno, le passò la mano sul fianco e poi dietro, lentamente, sul fondoschiena. «Mi stavo chiedendo» ruppe il silenzio, mentre Aiko cercava qualcosa nella borsetta «Cos’è la tua maschera? Un gattino?»

«Miao» rispose lei con divertimento, mentre svoltavano un angolo cieco, verso un’altra ala del parcheggio «No, è una volpe.» gli fece quindi sapere, toccandosi la singola orecchietta della maschera bianca e rossa. «Sai la leggenda del Kitsune?»

«Oh capisco, quindi hai molte code?»

Lei sorrise ancora di più, mentre le labbra prendevano una piega diversa da quella del divertimento «Moltissime.»

Anche il sorriso del ghoul mutò. Vomitò sangue quando la prima coda lo penetrò nello stomaco. La seconda gli mozzò la testa di netto ed essa rotolò per qualche metro, fino ai piedi della figura che la aspettava nell’ombra.

«Era necessario?»

«Era viscido e non sapeva nulla dei Rosenwald. Poi non potevo lasciarlo dentro, sarebbe sembrato sospetto uscire da sola dopo averci flirtato due ore.»

Sasaki sospirò, lanciando uno sguardo attorno prima di avvicinarsi. Buttarono il corpo in un cassonetto, poi tornarono alla macchina insieme «Cosa facciamo col locale? lo denunciamo?»

Aiko lo guardò di sfuggita, prendendo dal sedile posteriore il cambio di abiti. «No» gli disse, appoggiandosi alla sua spalla per sfilarsi i tacchi vertiginosi. Anche senza, era più alta di lui, «Può ancora servirci. Si trovano belle informazioni lì dentro e poi ho anche riconosciuto un paio di funzionari del sindaco, sotto alcune femmine di ghoul. Sarebbe un iter troppo lungo.» Si tolse la parrucca lunga e bionda, passando una mano fra i corti capelli corvini per ravvivarli. Poi appallottolò la giacca e la lanciò dentro, dando le spalle ad Haise. Lui rimase immobile e quindi lei dovette spiegargli cosa voleva. «…Coraggio capo, aprimi il vestito o staremo qui tutta la sera.»

Lui strabuzzò gli occhi e arrossì, prima di abbassare la cerniera il più velocemente possibile. Non fece comunque in tempo a voltarsi, che Masa se l’era già sfilato, rimanendo con addosso solo la biancheria. Veloce, Haise si voltò, rigido come un tavolo e palesemente in imbarazzo. «Ehm.» strinse gli occhi, cercando di riorganizzare i pensieri «Quindi anche stasera niente?»

Masa si vestì in fetta, indossando una mantella grigia sui soliti vestiti. Alzò il cappuccio e tornò a voltarsi, abbracciandolo da dietro e giocando con la cerniera sulla sua bocca. «Sei così carino, mi fai tenerezza.» gli sussurrò, prima di dargli una pacca sulla spalla.

Salirono in macchina e lui tolse la benda e abbassò la maschera, mentre anche Masa si sfilava la sua. Appoggiò i piedi al cruscotto, massaggiandoli «Niente di niente. Inizio a pensare che non esista nessuna collaborazione fra Rosenwald e Aogiri.»

«E perché ci hanno attaccato?»

«Saranno stati pagati. Come dei mercenari.» Lui annuì pensieroso, non dicendo altro mentre Aiko portava alla sua attenzione un altro problema. «Ei, Sasaki, Cookie mi ha detto che ieri, mentre era sotto copertura nella diciannovesima, ha incontrato quella giornalista, Shukumei. Sta impicciandosi in cose rischiose, non è meglio farle avere un richiamo?»

«I giornalisti fanno sempre quello che vogliono, Macchan. Preoccupiamoci dell’indagine e teniamo tutto quello che scopriamo per noi.»

Quello era un avvertimento dopo la fuga di notizie che era nata dall’uscita di un articolo proprio della sopracitata giornalista. L’intervista che lei aveva fatto proprio a Masa e Urie. Per fortuna nessuno aveva capito che erano loro i colpevoli.

Aiko di sicuro non l’aveva confessato ad anima viva. Si accoccolò sul sedile, constatando che erano quasi le quattro del mattino. Si sentiva stanca, ma forse sarebbe riuscita a ottenere qualche coccola se avesse giocato bene le sue carte col suo partner, ora impegnato in un lavoro gomito a gomito con Mutsuki. Sul perché Haise li avesse rimescolati così, non ne aveva proprio idea.

«Macchan, cosa sai di Benda sull’Occhio?»

Quella domanda arrivò improvvisa.

Gelò Masa lì dove stava, mozzandole il fiato e facendole strabuzzare gli occhi. Quando si voltò stupita nella direzione del superiore, purtroppo Sasaki la stava guardando. Dannato semaforo.

«Non molto. Quasi nulla, in realtà.» cercò di liquidarlo con naturalezza, nonostante ormai  avesse fatto la figura di merda della vita. «Era un caso di alcuni agenti sulla ventesima. Io, a quei tempi, lavoravo nella squadra Itadashi, che militava la ventitreesima. Mi dispiace. Ho fame, kebab?»

«Sai il suo nome?»

Aiko si morse il labbro, molto a disagio. La macchina era ripartita, ma l’ipotesi di lanciarsi da essa mentre era ancora in corsa non era poi così male.

«Dell’agente incaricato?»

«Di Benda sull’Occhio.»

Doveva aspettarselo, perché dal momento in cui Sasaki aveva indossato quella maschera, tutti i ghoul che avevano incontrato si erano spaventati al punto da fuggire. Aiko non aveva detto nulla, anche perché sapeva davvero poco. In ogni caso non ci voleva un genio per capire cosa avesse combinato Uta. Ci poteva arrivare chiunque.

Aveva riesumato Ken Kaneki e ora, la sua brutta copia casalinga la stava interrogando.

«…Lo sai anche tu, Haise. Non farmelo dire, ti prego. Akira mi ucciderà.»

Il superiore non chiese altro. Aiko notò solo il modo in cui stava stringendo il volante, chiedendosi se lo avrebbe spezzato presto o tardi. Non poteva nemmeno immaginare come si sentisse. Non sapeva nulla di sé stesso e senza un passato, il presente va stretto.

«Noi siamo un agglomerato di sensazioni, emozioni ed esperienze.» gli disse con tono basso, appoggiandogli la mano sulla gamba mentre lui si accostava, portando una mano al volto. Sembrava al limite, così decise di aiutarlo senza farlo davvero. «Non posso dirti niente di… Benda. Non posso, ma posso dirti dove cercare qualcosa che forse non è stato…. Eliminato.» gli occhi di Sasaki schizzarono di nuovo nei suoi e il loro brillare speranzosi la costrinse a parlare. Non sarebbe tornata indietro. Arima l’avrebbe uccisa, «Va in archivio e cerca Amon Kotaro. Non dire a nessuno che te l’ho detto io, ma lui era l’agente che lavorava sul caso di Benda.»

«Amon… Kotaro…. Come lo sai?»

«Lo sanno tutti, quell’uomo era una leggenda.»

«Cosa gli è capitato?»

«Lo hanno ucciso.»

Si scambiarono un lungo e significativo sguardo, poi Haise sganciò la sua cintura, allungandosi per abbracciarla. Affogò il volto nell’incavo del collo della giovane sottoposta, nascondendolo. «Grazie.» sussurrò semplicemente, con tono tirato.

Masa portò una mano alla sua zazzera scomposta, accarezzandola «Non tradirmi, Haise. Non voglio nemmeno pensare alle conseguenze di ciò che ti ho detto.»

«Non dirò nulla, ma io devo…. Dovrei sapere qualcosa. Sono felice ma-»

«Non devi dirmi che sei felice.» si scostò da lui e gli sorrise, un po’ pallidamente, «Devi esserlo per te stesso, non per i Quinx, non per Arima o per Mado. Ora andiamo, ok?»

Lui annuì velocemente, portando una mano al naso e grattandoselo velocemente, prima di rimettere in moto, con la mente proiettata verso una nuova possibilità.

Aiko era contenta per lui. Solo per lui.

Non voleva essere nei suoi stessi panni, a quel punto.

 

 

«Quindi, ricapitoliamo: l’avanguardia sarà formata dalle squadre Ihei e Kijima, mentre il secondo gruppo sarà composto da quelle Ito e Quinx. Il classe speciale Ui si destreggerà in modo da garantire la supervisione, mentre alla squadra Shimoguchi e Toga andrà la retroguardia. Se ingaggeremo un combattimento alla villa degli Tsukiyama o in qualsiasi posto scapperanno, dovremo attenerci a questo piano. Dobbiamo tenerci pronti a tutto, anche all’entrata in scena di Aogiri.»

La voce di Hairu si interruppe, permettendo così a tutti quanti di alzare gli occhi dai tablet o dai fogli che spiegavano in maniera molto più approfondita tutto ciò che il secondo del classe speciale Ui aveva appena spiegato loro. Mancavano ventiquattro ore all’inizio dell’operazione ‘Sterminio della Famiglia Tsukiyama’, la quale si era rivelata essere alla base della discendenza dei Rosenwald. Il vero coordinatore dell’intera azione sarebbe stato Matsuri Washuu, che non era intervenuto in quell’ultima riunione decisiva, lasciando al collega col caschetto l’onere di raccogliere i testamenti.

Aiko stava firmando il suo, seduta sulle gambe di Takeomi. In quella stanzetta non c’erano abbastanza sedie, sembravano tutti stipati in malo modo. Un’accozzaglia di agenti pronti al martirio, con una strana consapevolezza però. Dopo l’Anteiku, le missioni venivano vissute tutte in virtù di un possibile sterminio totale e tutti, nel bene o nel male, lo avevano accettato. Forse i soli che ancora faticavano a scendere a compromessi con questa realtà erano le nuove leve, come i Quinx, che se fatta eccezione per l’assalto alla casa d’aste, non avevano ancora assaggiato come si deve il sangue su un campo di battaglia.

«Cosa mi hai lasciato?» chiese Kuroiwa, spiando oltre la spalla dell’ex compagna di squadra, che gli lanciò una mezza occhiata divertita girando il capo.

«Una serie di bellissime spillette per capelli. Ti doneranno da morire.»

Takeomi ridacchiò piano, spostando gli occhi a palla sul resto delle persone lì raccolte. Ito stava parlando in un angolo, sottovoce e cospiratorio con Sasaki, mentre accanto a loro Saiko stringeva nelle manine paffutelle il suo testamento, spiegazzadone i  bordi.

«Secondo me andrà tutto bene.» disse quindi, mentre la ragazza chiudeva il foglio e lo allungava ad Hairu, che lo riponeva con tutti gli altri, rigorosamente in ordine alfabetico «Siamo due squadre molto forti, non c’è motivo di essere così scuri in viso.»

Lei si girò, senza scendere, portando le gambe di lato alla sedia e passando il braccio attorno alle spalle del collega più giovane. Lanciò uno sguardo attorno a sé, salutando divertita Urie che si era perso a guardarli male. Nemmeno a dirlo, il ragazzo le diede le spalle immediatamente. «Io la penso come te.» gli rispose quindi, inclinando di lato il capo e osservando che anche Kijima sembrava aver perso un po’ del suo entusiasmo. E dire che fino a qualche minuto prima pareva pronto a spaccare il mondo. «Non sono così ingenua però da pensare che domani notte guarderò di nuovo verso il gruppo, trovando ogni viso.»

«Abbiamo stimato che se avremo il quaranta per cento delle perdite sarà un successo.» a interromperli era stato Nimura. Si era avvicinato con un vassoio di cartone, porgendo ad entrambi un bicchiere di polistirolo pieno di caffè. Era andato a prenderlo in una caffetteria lì vicino per evitare di farli bere la brodaglia delle macchinette.

«Sei un angelo, Furuta.» gli disse Aiko, prendendo un sorso, prima di sospirare beata, «Il quaranta per cento, uhm? In effetti non sarebbe male.»

«Se possiamo abbassare al venti, sarebbe meglio.» Hairu prese il suo bicchiere, facendo un cenno a Nimura, prima di appoggiarsi con i gomiti al tavolo di fronte a loro tre. «Ad ogni modo, io devo tornare per forza.»

«Cosa ti ha promesso il classe speciale Arima?» le domandò divertito Furuta.

«Mi farà usare IXA per un mese se faccio fuori qualcuno di importante!»

Aiko fischiò bassa, ammirata «Io faccio il tifo per te.» disse indicando la ragazza con i capelli rosa, «Ma solo se me la fai provare.»

«Sei la sesta persona che me lo chiede, Masa-san

«Un attimo di silenzio, per favore.» Tutti si zittirono all’istante, non appena Ui lo chiese. Si mise di fronte alle scrivanie, con le mani dietro alla schiena, pensieroso certo, ma con gli occhi che brillavano di determinazione. «Non so che progetti avete per stasera. Alcuni di voi torneranno dalle loro famiglie, altri usciranno a cena con me e altri colleghi – e per favore moderatevi con il sakè, non vogliamo che succeda quello che è successo durante l’operazione ‘Porto Liberò.» una serie di risate si sollevò dai partecipanti di quell’azione, mentre Aiko scuoteva piano il capo, memore dei racconti di Ito. «Che stiate a casa o per le strade di Tokyo, soli o in compagnia, voglio solo una cosa da voi: rimanete sempre concentrati su ciò che c’è in ballo. Non la vostra vita, non la buona riuscita di questa singola operazione, ma il quadro totale: noi siamo gli agenti del ccg, le colombe del comando anti ghoul. Da noi dipendono tante, troppe vite. Quando domani sera ci ritroveremo qui di fronte alla sede centrale, vestiti per la guerra, avremo fra le mani la nostra arma più pericolosa: la giustizia. Ora basta, tutti fuori, non voglio vedervi fino a domani!»

Una serie di applausi si sollevò dagli agenti presenti, che si alzarono anche in piedi per ringraziare il classe speciale.

«Prima la foto!» urlò Hairu, stoppando Fura che stava già preparando la sigaretta.

Nemmeno con la forza di volontà sarebbero riusciti a scattare la foto di rito in quella stanzetta. La fecero fuori dallo stabile, sui gradini, costringendo un povero interno che stava staccando un lungo turno a scattarla per loro. Aiko si era posizionata fra Mutsuki e Saiko, con le braccia attorno alle spalle di Ito che se ne stava un gradino più in basso e la mano destra sulla spalla di Sasaki, accanto a Kuramoto. Era una foto bella, tutti sorridevano più o meno, ma sarebbe stata un bel ricordo e certamente sarebbe finita appena nello studio di Yoshitoki Washuu insieme a tutte quelle delle missioni precedenti. Dovevano solo ottenere un risultato importante.

«Ok, signori e signore.» Masa tornò verso i Quinx, che aveva lasciato per andare a mettere becco nella scelta del ristorante che avrebbero assaltato. Morivano tutti di fame. Fronteggiò la sua squadra, sfilando le mani dalle tasche dei giubotto di pelle che indossava, sventolando il pacchetto di sigarette mentre gesticolava. «Abbiamo scelto di andare al Messicano, perché Ui non c’è mai andato e la cosa è molto triste.» li mise al corrente, sfilando una sigaretta e passando poi l’intero pacchetto a Shirazu, che aveva sporto la mano, «So che il capo non viene.» disse rivolta a Sasaki, che annuì attirando su di sé lo sguardo perplesso del resto del gruppo. «Quindi io ho da offrire ben due posti auto con me, Kuroiwa e Ito. Se volete venire tutti, anche Fura può offrirci uno strappo.»

«Io passo, voglio andare a dormire presto.» le rispose subito Tooru, prima di voltarsi verso Haise. «Come mai non vai?»

Sasaki avvampò, «Devo vedere una persona, in realtà.»

«Anche io passo.» nemmeno a dirlo, era stato Urie a tirarsi indietro. «Se nessuno è disposto a tornare allo chateau, posso prendere la metropolitana.»

«Vengo con te.» a sorpresa, anche Saiko preferì non uscire per cena, «Ho un appuntamento online con un giocatore che si chiama Strawman.»

«Vuoi davvero avere a che fare con qualcuno che si fa chiamare uomo di paglia, invece di venire a sbronzarti con noi?» le chiese Masa, fingendosi offesa, prima di girare il  capo verso Shirazu.

«Io ci sono, contami pure.» le disse questi, dandole una gomitata leggera. «Non intendo perdermi Ui che cerca di non far bere i suoi sottoposti, prima di afferrare a sua volta la grappa di rosa.»

«Tequila, andiamo al messicano.» Masa alzò la mano e il caposquadra le diede il cinque, «Allora ci vediamo domani verso pranzo, persone tristi.» prima di allontanarsi, passò la mano sul braccio di Urie «Takeomi sarà molto triste…»

«Vaffanculo

Il ragazzo provò a scostarsi, ma Aiko fu più veloce. Portò una mano sulla sua nuca, avvicinandosi per stampargli un bacio rumoroso sulla guancia, prima di scattare per schivare un calcio che, se le fosse arrivato, l’avrebbe sentito bene. Prese a braccetto Shirazu, piegato in due dalle risate sin quasi alle lacrime, e si avviarono verso il gruppetto di avventori per la cena.

«Potrei abituarmi a tutto questo.» le disse.

«Io che perculo Urie?» chiese divertita.

Lui rise. «No, a quello non mi posso abituare, è troppo bello. Intendo dire a questa atmosfera.» fece una pausa, alzando le spalle. «La preparazione dei piani, il cameratismo con le altre squadre…»

Lei sorrise, appoggiando la testa alla sua spalla, mentre Ito e Takeomi facevano cenno loro di seguirli alla macchina.

«Sarà sempre così, non preoccuparti.»

 

 

Il corpo di Shirazu era ancora caldo quando il classe speciale Matsuri li raggiunse. I volti di coloro che erano sopravvissuti allo scontro con Noro erano segnati dalla disperazione e dall’incredulità per il numero dei caduti. Il poco che rimaneva del ghoul era riverso in quella che pareva un pozza nera come petrolio, che si diramava in raggi scombinati e asimmetrici laddove i tentacoli cadevano scomposti. La testa e la maschera bianca giacevano qualche metro di più là rispetto a dove, riverso, c’era anche il corpo spezzato in due di Shirazu.

Matsuri si era guardato attorno in silenzio, adocchiando prima Urie che stringeva ancora fra le braccia il corpo senza vita del capo squadra, con accanto Saiko Yonebayashi che piangeva rumorosamente, invocando il nome del caduto in una lenta litania.

Mutsuki sedeva un po’ distante, accanto a Taokemi che l’aveva aiutato a mettersi seduto e gli aveva passato un po’ di acqua, ma solo dopo aver coperto con il suo trench quel poco che era rimasto di Machibita.

In un angolo, infondo, Matsuri aveva poi scorto altri due superstiti, in disparte rispetto a quella tragica composizione. Ito respirava a fatica, rumorosamente, appoggiato ad Aiko, che lo teneva a sé, appoggiato sulle cosce. La ragazza non aveva ancora rinfoderato il kagune e fissava con occhi sgranati i tre compagni al centro del corridoio ampio, spompata di ogni energia.

Il classe speciale non diede nessun segno di essere impressionato o dispiaciuto da quanto accaduto loro. Li squadrò, domandando se qualcuno fosse ancora in grado di combattere e seguirlo sul tetto. Chiamò Kuroiwa e Urie, ma nessuno dei due sarebbe andato. Taokemi non si spostò, abbassando gli occhi sui suoi tre compagni fatti a pezzi. Urie invece stupì tutti.

Non si voltò  verso il superiore. Strinse di più a sé Shirazu, mentre le lacrime calde scivolavano silenziose sul viso sconvolto. «Non le importa nulla di tutto ciò, non è vero?» chiese con tono basso.

«Cosa?» si informò quindi Matsuri, avanzando di un paio di passi per spiare la sua espressione.

Gli occhi serpentini del ragazzo furono subito nei suoi, feriti eppure mordaci come quelli di un bestia messa all’angolo. «Ha visto cosa è successo qui. Davvero non prova nulla, classe speciale?» chiese con tono tagliente.

Matsuri non gli diede soddisfazione alcuna, non cambiando espressione, mentre rispondeva con tono ovvio. «No.»

Il gelo che venne a crearsi per quella risposta rese difficile a Masa respirare. Per un attimo, si chiese se a essersi rotte, fossero la sue costole e non quelle di Kuramoto. Istintivamente strinse la mano sulla spalla del biondo, irrigidendosi, mentre le sue code avevano un piccolo scatto, strisciando come serpenti irati. Taokeomi le lanciò un’occhiata, alzando una mano con discrezione, come per farle intendere che andava tutto bene.

Ma poi il classe speciale rincarò la dose.

«Pensavo che tu fra tutti saresti stato il più ansiosi di seguirmi nella lotta.» insinuò con un leggero grattare nella voce, come se si sentisse seriamente deluso dalla decisione di Urie di non abbandonare il fianco del suo compagno anche una volta che tutto era finito. Gli concesse qualche secondo, prima di girare sui tacchi, procedendo verso il tetto dove a detta sua si stava ancora svolgendo lo scontro. «Va bene, come ti pare, Urie Kuki. Io pensavo che tu avessi del potenziale.»

Li lasciò lì così, a boccheggiare. Masa non ebbe però modo di sentirsi colpevole, non per quello. Decise di concentrarsi sul respiro pesante di Kuramoto, passando la mano sulla sua schiena con delicati movimenti circolari, fino all’arrivo dell’unità medica che la fece allontanare per poterlo medicare.

Ci mise qualche istante di concentrazione, ma quando riuscì a ritirare il kagune, si rese conto che anche Sasaki li aveva raggiunti.

«Ogni mancanza in questo mondo è data dall’assenza di abilità.»

Haise Sasaki arrivò seguito dai mormorii degli investigatori. L’uomo che aveva respinto da solo il gufo col sekigan sul tetto del Lunar Eclipse dedicò a Urie e alla sua rabbia parole molto dure. Gli rinfacciò che a combattere al fianco di Shirazu c’era lui e che quindi avrebbe dovuto addossarsi quella colpa.

La sua assenza di abilità erano stati determinanti e Urie parve realizzarlo, perché mentre il mentore lo superava chinandosi accanto al corpo del sottoposto, lui rimase impalato lì, in mezzo al corridoio, con gli occhi sgranati.

Aiko li guardò in disparte, muovendo qualche passo verso Urie solo quando vide Sasaki aggrapparsi a Shirazu insieme a Tooru, con Saiko a tenersi alla sua camicia mentre continuava a piangere, inconsolabile. Quella scena le chiuse lo stomaco, ma non sentiva di poter biasimare Haise, così come non voleva incolpare di niente Urie.

Era stata una disgrazia, una tragedia.

Non era colpa di nessuno.

«Kuki…»

Gli si avvicinò, prendendogli il viso fra le mani dopo aver lasciato cadere a terra i guanti. Lui non si scostò sino a che non ebbe recuperato il contatto visivo con lei. A quel punto parve come destarsi. Tirò indietro il capo con un gesto secco, prendendole i polsi. Quasi con rabbia.

«Hai rotto lo schema.» fu tutto quello che disse in un sibilo. «Stavamo attaccando e tu hai rotto lo schema.»

Aiko socchiuse le labbra, cercando di ritirare le braccia, ma senza successo.

«Non puoi essere serio.» gli disse, corrugando la fronte. «Mi stai dando la colpa?»

«Se tu-»

«Kuramoto poteva morire!» Tutti, nessuno escluso, si voltarono verso di loro. Anche Sasaki, che tenne il capo basso, ma le orecchie tese ad ascoltare l’alterco. «Cosa dovevo fare!? Lasciarli scoperti!? Machibita lo stava curando e non avevano modo di-» un singhiozzo le spezzò la voce. Lui le lasciò andare una mano e lei la portò alla bocca, mentre una smorfia le storceva il volto, preannunciando il pianto. «Io non sapevo cosa fare.» insistette quindi, come se giustificarsi in quel momento fosse importante più per se stessa che per gli altri. «Io potevo non aiutarli, ma ho rotto lo schema. È vero, ho rovinato la formazione! Cosa sarebbe cambiato se non l’avessi fatto!?» gli diede un pugno al centro del petto, non forte, ma riuscì comunque a farlo tremare dalla testa ai piedi per il gesto. «Dimmelo, Urie, se lo sai allora dimmelo!»

Il ragazzo non rispose, spostando lo sguardo di lato, mentre Masa iniziava a piangere, con le mani a coprirle il volto, come se si vergognasse di se stessa. Nonostante tutto, la strinse a sé, facendola appoggiare alla sua spalla e rimanendo così, fermi in piedi. Si concesse qualche minuto, sopprimendo i singhiozzi. Quando si staccò, prendendo un fazzoletto che uno dei paramedici le stava porgendo. Poi guardò Kuramoto sulla barella.

Tornò a parlare ad Urie. «Senti, io-»

«Ci vediamo fuori.»

Si scambiarono un ultimo sguardo e Masa comprese che non c’era rancore negli occhi di Kuki. Non si stava offendendo se lei voleva accompagnare Ito, lasciandoli lì. Non ci avrebbero messo molto a portare fuori anche Shirazu.

Nel piazzale di fronte al Lunar Eclipse si stava consumando il solito caotico delirio postumo a un’operazione. Avevano perso molto uomini, molto più del quaranta per cento. Aiko non poteva esserne sicura, ma il via vai di cadaveri era molto più frequente delle barelle con i feriti. Tenne la mano a Kuramoto fino a che non lo caricarono sull’ambulanza, ma quando la invitarono a salire, declinò.

«Verrò in ospedale così in fretta che nemmeno ti accorgerai che sono mancata.» sussurrò al biondo, accarezzandogli i capelli con un sorriso pallido, prima di scendere dal velivolo, chiudendo le porte. Lo guardò sfrecciare via, sirene spiegate, avendo la sensazione che Ito avrebbe dovuto sopportare almeno un intervento chirurgico.

Cercò le sigarette nelle tasche strette dei pantaloni neri, estraendo il pacchetto stropicciato con le mani che le tremavano. Aveva dimenticato Inazami dentro, ma sapeva che qualcuno se ne sarebbe preoccupato al posto suo. Portò la sigaretta alle labbra, realizzando che non aveva l’accendino.

Prese un respiro, chiuse gli occhi e si guardò attorno. I rumori le arrivavano alle orecchie ovattati, come se si fosse improvvisamente chiusa dentro a una sfera di vetro, isolandosi dal mondo. Vide Matsuri parlare con Marude, prima di seguire con gli occhi una barella che si muoveva velocemente verso un’altra ambulanza.

La persona stesa su di essa aveva il volto così pesto da sembrare una grottesca maschera deforme, ma grazie al neo sotto all’occhio e ai guanti rossi, Aiko lo riconobbe. Era Nimura Furuta.

Controllò l’ora sul telefono, contando quanto tempo aveva ancora.

«Furuta ha perso tutta la sua squadra.» una mano apparve sotto al suo mento e le accese la sigaretta, facendola sussultare.

«Koori.»

«Kijima è morto.» Ui prese un tiro, forse anche troppo profondo, prima di passarsi il polso sulla fronte, laddove la frangetta si era incollata alla pelle. «Anche io ho perso tutti.»

«Hairu…?»

Koori scosse il capo e Aiko si attaccò alla sigaretta. «Ho saputo di Shirazu.»

«Anche l’intera squadra Ito eccetto il supervisore e Kuroiwa sono morti.» Masa si morse il labbro, sbuffando quella che sembrava una risata, prima di piantare gli occhi pieni di lacrime in quelli del classe speciale. «Decisamente non è stata la nostra serata.»

«Non lo è stata per molti. Di Shimugochi ho trovato solo la testa.»

Non avevano ottenuto la vittoria sperata. Aiko non sapeva se quanto meno l’eliminazione della famiglia fosse andata a buon fine e non lo chiese. Abbassò il capo, portando via una lacrima dalla guancia sinistra, prima di guardare di nuovo il superiore. «Koori, è vero che Haise ha respinto da solo il gufo col sekigan?»

Ui non rispose subito. Prese un ultimo tiro, lasciando poi cadere a terra il mozzicone. Poi la guardò, «Io non so spiegarti cosa potrebbe essere successo lassù.» iniziò, soppesando ogni parola «So solo che Sasaki ha impedito una tragedia ancora più grande. Se il gufo avesse avuto l’opportunità di arrivare ai piani più bassi, non credo che ora saremmo qui a parlare, Masa-chan.»

Una barella che trasportava un sacco nero passò accanto a loro e, con essa, proprio Haise. Teneva una mano sulla superficie di plastica e rimase lì accanto fino a che non fu caricata sul furgone nero del coroner insieme a un altro paio di colleghi. Aiko lasciò scivolare gli occhi fino all’asfalto, sulla targa, prima di scuotere il capo.

«Scusami, ho bisogno di un attimo.» sussurrò rivolta a Ui, che annuì, passandole una mano sulle spalle.

Aiko si allontanò dallo spiazzo, passando accanto all’autovettura dei pompieri e infilandosi nello stretto vicolo di lato al palazzo, che dava su una seconda struttura, liberata dalle unità speciali.

Passò le mani sulle guance, singhiozzando un paio di volte, prima di appoggiarsi con una spalla la muro. A quel punto controllò l’ora e notò che era giusto in tempo.

Poteva concludere quella serata, liberarsi di un peso, che però ne avrebbe portati molti altri.

Dalla tasca interna del giubbotto di protezione prese una bustina trasparente, contenente una sim card. La sostituì alla sua nel telefono, lanciando uno sguardo oltre le spalle, verso la fine del vicolo. Poi, senza esitazione, selezionò un numero non registrato nella rubrica dall’elenco della chiamate in entrata.

L’apparecchio squillò tre volte, prima che una voce bassa si decidesse ad accettare la chiamata.

Aiko rimase in silenzio due secondi, poi strinse gli occhi.

Doveva farlo.

«Lǎoshī…»

-Méi méi.-

La voce del ghoul la fece sentire insieme più tranquilla, ma anche più preoccupata, destabilizzandola. Lanciò un altro sguardo alla strada alle sue spalle, chiudendosi poi in sé, incurvata in avanti e con le orecchie ben tese.

«Il mio dono per te.» sussurrò con tono basso, eppure stranamente deciso dato il suo interlocutore. «C’è un furgone nero del coroner che si sta dirigendo verso il laboratorio centrale del ccg proprio in questo momento. La sua targa è A-46 44. Dentro di esso c’è il corpo di uno dei Quinx.»

-Questo dono è per me, per te o per Kanou?-

Masa si morse il labbro. « Per te, Lǎoshī . Ma anche per te, così che quel medico folle possa smettere di mettermi le mani addosso.»

Sicuramente compiaciuto dal tono rabbuiato della giovane donna, Tatara decise di accettare. Non glielo disse, naturalmente. Non la gratificò.

-Come sempre sarò io a farmi sentire.-

«Eto?» chiese Masa, preoccupata di vedere la chiamata terminare tropo presto. «Lei-»

-Preoccupati per te stessa e attendi istruzioni. Ora vai.-

Il telefono prese a suonare a vuoto e l’agente non perse tempo. Si sedette su un gradino, tornando a sostituire le schede e nascondendo accuratamente quella incriminante. Poi rimase lì a pensare alle conseguenze delle sue azioni.

Avrebbe preferito continuare a vendere se stessa piuttosto che permettere a Kanou di mettere le mani su Shirazu, ma a che prezzo? Aveva in fretta imparato che non ha senso cercare di proteggere i morti, perché a farne le spese sono i vivi.

Quella compensazione avrebbe dovuto tenere buono Tatare per almeno un paio di settimane, magari dargli un po’ di buon umore. Così l’avrebbe lasciata in pace e non ne avrebbero pagato le conseguenze le persone attorno a lei.

Non come era successo a Shin.

Tirò le ginocchia al petto, appoggiandovi la fronte, decisa a rimanere così per qualche tempo. Almeno fino a che non la fossero andata a cercare.

Hirako però rovinò tutto.

Arrivò così silenzioso che lei non si accorse di nulla fino a che non le appoggiò il cappotto argentato sulle spalle, facendola sobbalzare. Alzò repentina il capo verso di lui, guardandolo stupita.

«Cosa ci fai qui?» fu la sola cosa che riuscì a dirgli, mentre lui la scrutava in silenzio.

Quando si decise a parlare, sembrava normale, tanto che lei ritrovò un po’ di colore sul viso constatando che no, non doveva aver sentito niente. Poi, a meno che non fosse diventato madre lingua di cinese, difficilmente avrebbe potuto comprendere cosa aveva detto al signor Tatara.

«Sono corso quando ho saputo cosa è successo.» le rispose con ovvietà, quasi come se trovasse superfluo ricordarle che coloro che erano morti, un tempo, erano suoi uomini. «Andiamo ora, vieni con me.»

Aiko si alzò in piedi, stringendo con le mani quella giacca larga, mentre lo seguiva fuori dal vicolo, senza la forza di opporsi. «Vorrei poterti dire  che se tu fossi stato qui sarebbe finita diversamente.» gli disse, facendolo fermare «Però so che non è così. È stato un massacro, non ho mai visto niente di simile.»

«Lo so.»

Take le appoggiò una mano sui capelli schiacciati, prima di riabbassarla, riprendendo a camminare.

«Ora andiamo. Quando Kuramoto si sveglierà dall’anestesia, vorrà averti lì con lui.»

Lei annuì, riprendendo a seguirlo. Non vedeva i Quinx da nessuna parte, ma difficilmente si sarebbero dimenticati di lei. Decise che avrebbe scritto un messaggio in macchina, con un solito appoggio sotto al sedere e la stabilità.

Si sentiva schiacciata, come appena uscita da una lavatrice.

«Mi sento in colpa.» sussurrò affrettando il passo per camminare accanto all’ex capo.

Lui le lanciò un’occhiata di sfuggita, prima di aprirle la portiera, «Non devi, non hai fatto niente di male.»

Aveva venduto ad Aogiri i piani dell’operazione, così come di molte altre.

Aveva detto loro come potersi impossessare del corpo di un Quinx.

Aveva protetto Kuramoto rompendo lo schema.

Era una bugiarda.

Poco importava per lei se era costretta a fare tutto ciò. Le era stata stravolta la vita, le avevano detto che poteva diventare grande o poteva guardare il suo mondo andare in pezzi. Alla fine, però, aveva preferito vivere piuttosto che uccidersi e farla finita con i trucchi e i mezzucci.

Era una debole.

«Grazie, Take.»

Ma come ogni altra volta, fece finta di nulla e nascose tutto dietro a un malinconico sorriso.

 

Continua

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Capitolo 14
*** Secondo intermezzo - 3 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Secondo intermezzo: Agonia.

Parte terza.

 

 

La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.

Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.  Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati la sola superstite della squadra Itadashi.

Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del ccg. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul, incapace di distoglierli.

Sto morendo, si diceva in una lenta litania, sto morendo.

In mano aveva ancora la sua quinque. Intatta e inutilizzata, stretta nel pugno sottile che tremava inesorabilmente, sembrava più un ombrello fra le mani di una vecchietta che un’arma da combattimento. Le cadde, addirittura, mentre il mostro avanzava un passo silenzioso verso di lei.

Aiko Masa, vent'anni sprecati a rincorrere le persone sbagliate, stava morendo. Non si chiese cosa avrebbe trovato una volta compiuto il passo, né se avrebbe incontrato nuovamente Kenzo. Non pensò ai suoi genitori che non avrebbe più rivisto, quel fratello con cui non parlava e quello che aveva abusato della sua ingenuità. Non dedicò nessun pensiero ai suoi cari, ai suoi compagni caduti o alla sua nobile causa che l'aveva condotta al martirio.

No.

Si maledì per la vita che aveva scelto, per essersi iscritta all'accademia e per essere arrivata fino a quel punto, pronta a morire per niente. Si maledì pentendosi del suo modo di prendere le scelte con leggerezza e ingenuità. Si maledì perché quel kagune rosso come il fuoco l'avrebbe spezzata in due da un istante all'altro.

…Allora perché non lo faceva? Perché la squadrava impassibile, con l’espressione celata dietro alla maschera rossa che portava sulla bocca?

La risposta risiedeva nella piccola figura comparsa alle sue spalle.

Aiko non l'aveva sentita parlare, i sensi le si erano come paralizzati per il terrore, né l'aveva vista sino a che questa non era apparsa da dietro la sagoma maestosa del ghoul albino, affacciandosi come una bambina timida che vuole uscire a giocare.

Seppur più piccolo, quell’essere riuscì a incuterle ancor più terrore, tanto che ritrasse le gambe verso il petto, portando un braccio sul viso a schermarlo. Le bende che la avvolgevano celavano il volto e ogni minima porzione di pelle. Sembrava una bambina, con quelle orecchiette sul cappuccio della mantella e la sciapa a fiorellini. Era la cosa più inquietante che avesse mai visto in tutta la sua vita. Ciò che maggiormente la raggelò, fu la sua voce. Una risata di cuore, leggera come una cantilena, uscì ovattata dalle bende, mentre un occhio mostruoso la spiava intensamente. Aiko si sentì come se quell'unica iride visibile sarebbe stata in grado di sbirciare la sua anima e strappargliela via.

«Qual è il tuo nome?»

Il ghoul bendato l'aveva chiesto con tono leggero, mostrando se possibile nuovi aspetti infantili e terrorizzandola ancor di più. Aiko sobbalzò, guardandola chinarsi sulle gambe a pochi centimetri da lei. Non parve metterle fretta. Portò un gomito al ginocchio e il volto coperto di garza sul polso, in evidente attesa.

La ragazza passò gli occhi su di lei e poi, di nuovo, sul ghoul bianco, ben più famoso.

Tatara.

«Masa. Il mio nome è Masa.»

«Ciao, Masa.»

Accadde qualcosa di molto strano. Un paio di dita bendate passarono sulla fronte dell'agente, scostandole i capelli corvini. Con quel solo occhio scoperto, la bestia le stava osservando il volto giovane. «Dovresti tagliarli, sei così carina. Con un volto del genere, una frangetta sarebbe-»

«Perchè non mi ammazzi?!»

Una mano saettò fino alle labbra di Aiko, quando registrò che era stata lei a parlare. Non aveva controllato i nervi e aveva caduto alla tentazione di porre quella domanda che le ballava sulla punta della lingua dall'arrivo della figura bambinesca. Ora sì che l'avrebbe uccisa. Si sarebbe infuriata e avrebbe concesso al ghuol albino di far scempio delle sue carni.

Ma non accadde nemmeno questo.

Qualsiasi cosa si fosse immaginata, Aiko dovette ricredersi; il ghoul non fece una piega, limitandosi a sporgersi ancora di più verso di lei. La mano, dalla fronte scese alla guancia, che tirò leggermente in un buffetto. «Perchè io credo che ogni vita debba avere un'utilità. Un senso. Oggi tu non morirai, Masa del ccg. Non senza aver avuto un solo istante determinante nella tua patetica vita.»

Qualcosa si ruppe nel petto di Aiko. Cosa poteva mai saperne quel mostro di lei?

Avrebbe dovuto spingerla via, correre a perdifiato per qualche metro e attendere che il lungo kagune di Tatara la trafiggesse nella schiena. Sarebbe dovuta morire così, come la codarda che era, trapassata da parte a parte, con le spalle rivolte al fronte della battaglia.

Invece rimase lì ad ascoltarla e determinò il suo destino.

«Scommetto che sia una persona molto codarda» la voce suadente del ghoul bendato la investì, raggelandola. Avvertì le sue dita scorrere sotto il mento per sganciarle il casco, che cadde con un tonfo poco lontano da lei, al suo fianco. «Non ti piacerebbe, per una volta, essere straordinaria come un'eroina uscita dalle pagine di un romanzo?» Aiko non comprese e questo il ghoul dovette percepirlo, perchè ridacchiò fra sé e sé. «La farò molto semplice, Masa: la tua vita, da oggi, appartiene a me

«Credi sia saggio?» la voce dell'altro ghoul la fece sussultare. Persa in quell'occhio, si era sentita come se in quel luogo si trovassero da sole. Si sentì molto stupida, al pensiero che invece anche l'altro poteva parlare. Il bendato, però, non ascoltò quel pallido tentativo di protesta.  Le bende si mossero impercettibilmente. Il piccolo ghoul le stava sorridendo.

«Io sono Eto.»

«Eto...» Assaporò quel nome particolare, ripetendolo in un leggero sospiro. Poi tutto terminò in un istante, perché essa si scostò da lei. Chiunque fosse quel mostro, era maledettamente importante.

«Oh, è quasi ora di entrare in scena» canticchiò Eto, saltellando sui piedi. Poi si voltò un'ultima volta verso Aiko, indicandola scherzosamente. «A buon rendere, allora. Tornerò a riscuotere questo mio favore! Mi raccomando…» il tono si fece più tagliente, come un ammonimento «Che rimanga fra noi! Un segreto fra ragazze.»

Così com’era apparsa, Eto sparì e quello divenne  l'inizio dei giochi.  Aiko passò lo sguardo sulle sue mani, cercando poi di alzarsi in piedi nonostante il tremore alle gambe. Sentiva i pantaloni umidi, non riuscendo però a vergognarsi per l'essersela fatta sotto. Era stata salvata? Da un ghoul? Poteva dirsi un salvataggio? E da quel momento la sua vita sarebbe appartenuta ad Eto. Ci poteva fare l'abitudine? Poteva accettarlo? Doveva.

A fugare ogni dubbio, prima di andarsene, ci pensò Tatara. La guardò con il disgusto negli occhi, volgendole un’ultima occhiata indisposta, prima di darle le spalle per allontanarsi. Non prima di averla ammonita a dovere: «Arriverà il giorno in cui ti pentirai molto amaramente di non aver implorato Eto di averti divorata oggi.»

 

Capitolo quattordici.

Quando il conto dei morti ebbe fine e gli agenti superstiti ebbero l’opportunità di spiare l’alba dallo spiazzo di fronte al Lunar Eclipse o da una stanza d’ospedale, tutto ciò che pareva palese allo sguardo era il coinvolgimento diretto di Aogiri. L’intera operazione era stata orchestrata dal gruppo terroristico, il quale aveva dimostrato di essere a conoscenza di ogni singolo spostamento degli agenti, oltre che delle formazioni. Ai gruppi più forti, di fatto, erano stati contrapposti i membri più determinanti.

Era iniziata sin da subito una vera e propria caccia alla talpa, ma le indagini e gli interrogatori del classe speciale Marude non avevano portati a nessun risultato. Chiunque fosse l’informatore interno alla ccg, era stato bravo a nascondere le sue tracce ed evitare quindi di essere scoperto.

Quello che Marude non sapeva era che le talpe, in realtà, erano due.

Tre, se tenuto conto anche del legame fra Furuta e Kanou. Legame del quale nemmeno Masa era al corrente, così come del fatto che non era la sola spia dentro alle mura di vetro della sede centrale.

La sigaretta le si consumava fra le dita velocemente a causa del vento che tirava quel pomeriggio. Le esequie dei caduti erano terminate da quasi un’ora, ma molti di loro ancora non trovavano la forza di spiantare i piedi dal terreno erboso del piccolo cimitero marziale. Di fronte a lei Saiko singhiozzava, stretta ad Akira, che la stava invitando a sfogare tutto quel dolore che covava nel petto da ormai quattro giorni. La lapide di Shirazu era semplice, il suo nome inciso con ideogrammi spessi e ben visibili. C’erano dei fiori, qualche bigliettino, ma nulla di più.

Per fortuna, Shirazu non lasciava dei figli e una moglie. Non come Machibita, Umeno e Nezu, vittime della squadra Ito, i cui parenti avevano lasciato il campo santo da diversi minuti, lasciando ritto come un lampione di fronte alle lapidi Kuramoto. Teneva gli occhi bassi, i capelli a nascondere il viso distrutto e vergognoso. Dietro di lui, silenziosi nel loro supporto, Hirako e Kuroiwa aspettavano di riaccompagnarlo a casa. L’intervento alle costole era andato bene, ma il dottore si era raccomandato almeno due settimane di riposo. Questo non lo aveva comunque fermato dal firmare un’uscita anticipata dall’ospedale contro il consulto medico, per assistere ai funerali.

Era così Kuramoto, dopotutto. Venivano sempre prima gli altri e il vivere quella  situazione come una sua mancanza lo stava uccidendo.

Gli occhi di Aiko si scontrarono con quelli di Take, che le fece un cenno inequivocabile.

«Scusatemi.» disse a Yonebayashi e a Mado, notando solo in quel momento la mancanza di Mutsuki. Si avvicinò al terzetto, appoggiando le mani sulle spalle di Ito e accarezzandogli le braccia, liberandosi anche della sigaretta seppure non l’avesse finita. Cercò il suo sguardo, guardando preoccupata il suo viso. «Non tormentarti, non potevi fare nulla.» gli sussurrò per quella che sarebbe potuta essere tranquillamente la cinquantesima volta «Ora devi andare a casa. Non rischiare di mandare l’intervento all’aria.»

Il biondo annuì senza replicare, cercando di tirare un pallido tentativo di sorriso. Si abbracciarono molto delicatamente e poi si avviò con passo cauto insieme a Takeomi. Take rimase indietro, accostandosi ad Aiko, che non riusciva a staccare gli occhi preoccupati dalla schiena del ragazzo.

«Tu come ti senti?» chiese all’uomo, senza voltarsi a guardarlo.

«Come vuoi che mi senta?» rilanciò lui, con tono neutro, facendola voltare nella sua direzione un po’ stupita. Si guardarono. «Erano miei uomini.»

«Lo erano.» Il tono di Masa uscì un po’ più duro di quanto avrebbe voluto, ma Take la irritava. Sbuffò una risata incolore, «Si sgretolerà mai il marmo di cui sei fatto o dovrai seppellirci tutti, prima?» Hirako non replicò e lei, irritata, alzò una mano, iniziando ad allontanarsi. «Buona serata, prima classe.»

Aiko si sentiva incoerente. Lei aveva fornito ad Aogiri le armi per ciò che era accaduto, ma Take aveva lasciato la sua squadra, per codardia o per mancanza di talento, chi lo sa, ma lo aveva fatto. Durante l’operazione non lo aveva registrato, ma dentro di lei, per quanto avesse detto a Hirako che non lo pensava, credeva fermamente che se tutto fosse andato come doveva andare con lui presente, allora non sarebbero morte così tante persone.

Non sarebbero morti Umeno e Nezu. Non sarebbe morto Machibita. Non sarebbe morto Shirazu. Era più semplice incolpare Take, in quel momento. Era più facile pensare che lei avesse solo riportato le informazioni e che se avessero avuto un talento nel combattimento del genere con loro, forse sarebbe finita diversamente.

Sapeva a monte che ad aspettarli a quel piano c’era Noro. Lo sapeva e non aveva comunque detto nulla per mantenere solida la sua copertura. Quello che però le era sfuggito era la portata del disegno di Eto: loro non dovevano passare e basta. Se lo avesse saputo, se Eto le avesse detto di non avvicinarsi al tetto, forse si sarebbe inventata qualcosa. Ito coordinava le squadre, sarebbe stato dannatamente semplice.

Molto più semplice di uno scontro all’ultimo sangue, quanto meno.

Come fosse passata da quei pensieri che la tenevano sveglia la notte all’affibbiare l’intera colpa a Take, che effettivamente non era presente perché non era di sua competenza, non le era chiaro. Ma andava bene così. Era abituata a scaricare sull’ex mentore ogni cosa e lui era abituato a incassare, fregandosene.

Questo almeno era quello che pensava lei.

«Perché hai quella faccia?»

Aiko si accostò a Urie, di fronte alla lapide di Shirazu, unendo le mani sul grembo. Lui le lanciò un’occhiatina, tornando poi a guardare la pietra incisa. «Non è venuto.» Masa annuì, non avendo bisogno di chiedere conferma per sapere che parlava di Sasaki. «Tu invece?»

«Ho fatto la stronza con Hirako e mi sento in colpa.» Guardandosi attorno, Aiko notò che gli altri erano spariti. «Saiko e Tooru?»

«L’associato Mado le ha portate a casa.» rispose Urie senza colore, non rendendosi nemmeno conto di aver sbagliato genere. O di averlo indovinato dopo tanto tempo a sforzarsi di dire qualcosa che non pensava. «Io aspettavo te.»

«Scusa, è stata dura mandare Kuramoto a riposarsi.» si accostò di più a lui, passando il braccio attorno al suo e appoggiandosi con il capo alla sua spalla, mentre gli occhi accarezzavano i kanji impressi sulla targa commemorativa. «Speravo che sarebbe venuto, sai? Non lo vediamo da quella notte, in pratica. Ha anche liberato la stanza, stamattina.» lui si irrigidì appena «Non lo hai sentito? Non sapevo cosa volesse fare, così l’ho chiesto ad Akira. Lei ha detto che ora che lo hanno sollevato dall’incarico di essere il nostro mentore, tornerà a casa del classe speciale Arima.»

«Non ci ha messo molto a dimenticarsi di noi dopo la straordinaria promozione fuori stagione, non pensi?»

Aiko sollevò il capo, spiando il profilo del nuovo caposquadra e mentore. Poi sbuffò piano.

«Tra me e te, non so dire chi sia più acido, oggi.» soppesò, tirandolo per il braccio, così da iniziare ad avviarsi all’auto. «Per il resto dell’anno, direi tu.» Urie non si spostò di un centimetro, così la ragazza dovette ricorrere a qualche parola incoraggiante per costringerlo a staccarsi da quel luogo. Parole che, però, la stavano uccidendo dentro a causa del costante e martellante senso di colpa che le attanagliava lo stomaco. «Troveremo chi ha portato via il corpo di Shirazu e anche chi ha permesso che succedesse.» gli sussurrò, accarezzandogli la nuca con gentilezza. Ottenne così il suo sguardo, dopo non poca fatica. «Ora però andiamo, sei stanco morto e anch’io ho bisogno di dormirci su.»

Ottenne un veloce cenno di assenso, così iniziò a incamminarsi per prima, prendendogli la mano come per tirarselo dietro. Quando il passo dell’altro si fece più deciso, tornarono a parlare. «Credi che ci sia qualcosa sotto?» domandò, riferendosi a Sasaki.

Di nuovo, Aiko non ebbe bisogno di domandare delucidazioni sul soggetto.

«Non lo credo. Ne sono sicura.»

 

 

La prima volta che Masa Aiko incontrò Hsiao Ching Lì era appena uscita dalla doccia. Si stringeva addosso un accappatoio viola chiaro con tanto di cappuccio calato suoi capelli corti che gocciolavano, tenendo in mano i vestiti da buttare nel cestone della lavanderia e il phon nell’altra.

Aveva sentito che un nuovo Quinx sarebbe entrato in famiglia di lì a qualche giorno, ma non se lo aspettava quella domenica sera. Si erano avvicinata per prima, notando la luce accesa in quella che era stata la camera di Shirazu per tutta la sua permanenza allo chateau, trovandosi di fronte quella bellissima donna taiwanita, molto garbata e dal viso gentile, seppure altero.

Lei e Saiko avevano passato la cena a guardarla. Il suo corpo era a dir poco perfetto, così come le sue maniere, estremamente educate. Aveva una voce delicata, da bambina, seppure sembrasse più grande dei suoi diciotto anni. Sembrava più donna di Masa, che lì dentro era la più vecchia.

A una settimana precisa dal funerale del precedente caposquadra, quattordici giorni dopo la sua morte e solo tre da quando nell’arco di un pomeriggio Aiko e Kuki avevano svuotato quella stanza, un nuovo elemento del team era entrato a far parte delle loro vite e prometteva bene. Questo perché Hsiao era una giovane donna estremamente talentuosa, proveniente dall’accademia speciale del ccg, ovvero il ben poco conosciuto Giardino Soleggiato. Si sapeva poco su quel posto, solo che da esso venivano anche Arima, Furuta e la povera Hairu. Eccetto Nimura, che doveva essere una triste eccezione, sfornava agenti di alto livello.

«Domani devo consegnare a Matsuri, a cui d’ora in avanti i Quinx faranno rapporto diretto, le riassegnazioni.» Urie, che non sembrava aver voglia di mangiare il riso che Mutsuki si era tanto impegnato a preparare loro, scostò il piatto per poter piazzare sul tavolo una serie di fogli. Passò gli occhi su i componenti della squadra, in particolare la nuova arrivata, prima di tamburellare la penna sul primo modulo. «Come sapete, ora sono io il caposquadra. Dobbiamo decidere il mio vice e dividerci di nuovo in coppie.»

«Il vice è Yonebayashi, no?» chiese Aiko, prendendo la salsa di soia e iniziando ad annegarci quel riso tristemente insipido, sorridendo comunque a Tooru che sembrava un po’ demotivato da quel tentativo andato male di cena. «Si va in base all’anzianità di servizio?»

Urie e Saiko si scambiarono uno sguardo, poi fu lui a risponderle. «In realtà, ne abbiamo parlato oggi pomeriggio e Saiko mi ha suggerito un altro candidato per questa promozione.»

«Chi?»

«Tu.»

Aiko lo guardò sorpresa, sbattendo le palpebre rapidamente. Lei, tolta Hsiao, era l’ultima arrivata all’interno del team. Lavorava da un po’ più tempo di loro, ma per merito, in quel progetto, veniva dopo Yonebayashi. A dirla tutta, prima di lei, doveva esserci anche Mutsuki.

La sorpresa del giorno doveva essere il passaggio dalla squadra Mado a quella di Matsuri Washuu. Invece Urie le stava proponendo qualcosa di grosso. «Perché avete deciso di nominare me?»

Saiko prese un sorso di acqua per buttare già quel boccone pesante, prima di risponderle, con Urie che già compilava tutte le varie scartoffie, infischiandosene allegramente. «Tra il caposquadra e il suo vice deve esserci coordinazione.» disse semplicemente la ragazzotta, guardandola con una punta di malizia. «E nessuno qui è affiatato quanto lo siete voi due.»

«Quando non litigate.» puntualizzò Tooru, allungando un vassoio con dentro degli spiedini di gamberi un po’ bruciati.

«Ma se accetto non saremo più partner, Cookie. Tu poi come li risolvi i casi?»

Lui la guardò esattamente come se le stesse internamente dando della stronza, riuscendo quindi a strapparle un sorriso sinceramente divertito. Poi sospirò, girandole i fogli «Fammi un autografo qui e stai zitta.»

«Quindi è deciso? Sono il tuo secondo? Che onore.» Masa firmò, prima di ripassarglielo, incrociando le mani sotto il mento «Come hai deciso di riorganizzare l’organico, capo?»

Lui non ci dovette nemmeno pensare, tutto preso dallo scrivere. «Aspettiamo due nuovi acquisti.» spiegò, «Fino al loro arrivo, tu lavorerai in coppia con Mutsuki e io con Hsiao. Saiko invece sarà relegata al lavoro di ufficio che dovrà fare andando effettivamente in ufficio. Non come quando c’era Sasaki, che te ne stavi in casa a dormire.»

Tooru e Aiko si guardarono stupiti e Saiko decise di non replicare alla frecciatina. Si schiarì la voce, così da attirare l’attenzione di Urie. «Sicuro che non preferiresti mettere me con Masa?»

«No. Lei è un’investigatrice molto abile, ha bisogno di qualcuno che non la rallenti.»

«Ma caposquadra!»

Kuki parve percepire un cambiamento d’aria, così osservò Mutsuki con attenzione. «Qualcosa non va?»

«No, nessun problema.» rispose questo, grattandosi la nuca un po’ a disagio.

Aiko prese in mano la situazione, «Siamo solo tutti stupiti che tu mi abbia fatto un complimento.» lo prese in giro, prima di rivolgersi a Hsiao. «Questa è una cosa molto rara.»

«Non è vero.» si difese immediatamente Urie, prima di sospirare «Rimane un solo problema, a questo punto. Come facciamo con le stanze? Quando arriveranno i due ragazzi, ne mancherà una.»

«Quella di Sasaki si può dividere.» disse Mutsuki, abbassando gli occhi sul piatto, continuando a storcersi le mani come aveva iniziato a fare dall’inizio di quella conservazione, manifestando il suo disagio di fronte alla necessità di ricalibrare la squadra. Più di tutti, Tooru stava soffrendo quei cambiamenti.

Urie però non era d’accordo. «Negativo» disse di fatto, «L’ho presa io quella di Sasaki. Così c’è più posto per i miei…. Oggetti personali.»

«Hai già montato il cavalletto nella stanza vuota?» chiese stupita Aiko, alzando le sopracciglia. Lui annuì «Sei peggio dei barboni abusivi.»

«Allora sembra proprio che dovrete dividerla voi due.» Saiko li guardò con ovvietà, mentre entrambi socchiudevano le labbra per contrattaccare. Lei però fu più veloce e si rivolse a Hsiao, «Anche se è contro le regole, stanno insieme.»

«Questa è una stronzata!»

«Saiko, smettila con la disinformazione!»

Hsiao, dal canto suo, non sembrò particolarmente toccata dalla cosa.

«Lo avevo capito.»

Aiko si passò la mano sulla faccia, cercando di non mostrarsi divertita come in realtà era. Urie cercò di darsi un contegno, dopo aver fulminato con gli occhi Saiko. Terminò di compilare le carte in silenzio, prima di prendere una busta e ficcare tutto dentro.

A quel punto si alzò in piedi, serio «Abbiamo a disposizione un paio di giorni per entrare in confidenza con questa nuova realtà. Abbiamo perso due membri importanti, ma noi siamo ancora qui e mi assicurerò che tutte le mancanze che ci sono state durante l’amministrazione Sasaki non si propongano più. Buonanotte e Saiko, tu inizi subito domani mattina. Alle sette alla sede centrale. Ti conviene partire presto, la metropolitana potrebbe tardare.»

Deciso a chiamare Matsuri per comunicargli le disposizioni, Urie sparì su per le scale, ignorando le lamentele di Yonebayashi, che lo rincorse disperata. Non voleva alzarsi alle cinque e mezzo.

«Tutto questo non è normale.» spiegò Masa alla nuova arrivata, «Di solito Urie non spadroneggia in questo modo. Ma non preoccuparti, ci penso io a quietarlo.»

Hsiao le sorrise,alzandosi con in mano il piatto da lavare «Ne sono certa.»

Aiko guardò soddisfatta Mutsuki, prima di realizzare. «No aspetta, cosa hai capito?!»

 

 

Tenere in mano due sacchetti pieni di cibo stava diventando difficile, soprattutto perché non trovava le chiavi nella tasca. Si appoggiò alla parete accanto a lei per ben due volte, prima di riuscire ad estrarre il maledetto mazzo, aprendo infine la porta.

Una musica leggera si espandeva per l’aria, sorprendendola. Era convinta che non avrebbe trovato nessuno.

«Sono io.» si identificò subito per evitare di avere dei guai. Ci mancava solo un kagune nella pancia per concludere al meglio la giornata. Andò diretta in cucina per appoggiare tutto quanto, iniziando a disfare la spesa sul ripiano.

Un paio di braccia le strinsero la vita, strappandole un sorriso.

«Fameeee.» uggiolò Eto, strusciando il viso contro il braccio dell’altra ragazza. «Hai portato i mochi?»

«Pistacchio e fragola.»

«Se ti chiedessi di sposarmi, lo faresti?»

Masa rise, passandole entrambe le scatole. La più bassa delle due le saltellò attorno, prima di accomodarsi sul ripiano, seduta con le gambe a penzoloni, già con un dolcetto in bocca, mentre spiava l’altra spostare i contenitori per alimenti pieni di carne umana per fare spazio al resto. Che Eto potesse camminare sulla linea di metà fra i due mondi era risaputo e questo le permetteva anche di mangiare cibi di ogni tipo, anche se la carne le serviva per il grande dispendio di cellule RC che era causato dal suo kagune. O peggio, dalla kakuja.

«Sei venuta presto.» le fece notare la scrittrice, sospettosa «Non è che ti hanno seguito?»

«Perché dovrebbero?» chiese Masa a quel punto, appoggiandosi con il fianco al ripiano, mentre rubava un dolcetto dalla scatola che Eto aveva in mano. «Sono stata promossa a vice caposquadra e le indagini per cercare la spia all’interno del dipartimento si sono spostate sugli interni della sezione operazioni. Credono che sia uno degli strateghi ad aver spifferato tutto, ci sarebbero delle chiamate sospette da dentro la sede centrale.»

«Che noi non abbiamo mai fatto, no?»

«Figurarsi. Non sono un genio come te, Eto. Però non sono nemmeno così cretina.» La mora ci pensò su, mentre apriva la giacca di pelle per liberarsene. La appoggiò allo schienale dello sgabello, prima di sedersi su di esso, guardando Eto dal basso. «Sasaki è andato via, comunque.» le comunicò seria, «Sono entrata nella Quinx Squad solo per tenerlo d’occhio per te ed ora sono ufficialmente bloccata lì. Non posso chiedere il trasferimento alla squadra Arima senza motivo, sarebbe sospetto, soprattutto dopo questa promozione che non mi aspettavo.»

Eto non aspetto di deglutire il biscotto, per rispondere. «Non devi andare da nessuna parte, infatti. Ora i Quinx sono sotto Washuu in persona, no?» Aiko annuì, per niente colpita dal fatto che l’altra avesse quel tipo di informazioni. Il Gufo sapeva sempre tutto quanto, sempre. «Tienilo d’occhio per me. La sua famiglia di fedifraghi stronzi va tenuta controllata.» Eto fece una pausa, soppesando un pensiero, prima di esternarlo «Se l’avessi potuto prevedere prima non ti avrei fatto sottoporre a quell’intervento. A conti fatti, però, ora sei molto più interessante, Aiko-chan.»

«A conti fatti» riprese Masa «Se tutto va come deve andare, avere un kagune potrebbe essermi molto utile.»

La porta d’ingresso si aprì nuovamente e a distanza di qualche secondo, all’interno della piccola cucina ad angolo, furono in tre. Un uomo alto, dai tratti somatici cinesi, con i capelli chiari e gli occhi severi si presentò di fronte a loro tenendo in mano una cartella da professore di pelle marrone conciata. Guardò Aiko per qualche istante, prima di rivolgersi a Eto.

«Non hai bisogno della spesa, quindi?»

«Hanno promosso Aiko-chan!» disse questa senza rispondergli, mentre il dottor Huang si spogliava della parrucca e delle lenti a contatto, tornando a essere Tatara. «Non sei contento della tua apprendista?»

«Perché si sta costruendo una carriera sui cadaveri dei suoi amici?» domandò tagliente quest’ultimo, facendo abbassare gli occhi a Masa. Non aveva ancora finito. «Kanou ti manda i suoi saluti e i più sinceri ringraziamenti. Si sta divertendo molto con il corpo che gli hai regalato.»

«Prego.» fu tutto ciò che Aiko ebbe da ridire, secca ma conscia di non avere il potere di rispondere male al ghoul albino,  prima di alzarsi. «Sarà meglio che vada.» indossò nuovamente la giacca, mentre Eto buttava in fuori il labbro, scontenta del fatto che l’altra se ne stesse già andando. «Se è tutto, farò rapporto non appena mi verrà assegnato una caso. Ad ogni modo, ci vediamo venerdì. Vengo a prendere Seidou per portarlo fuori.»

Tatara non le diede il tempo di fare un passo. «Devi fare un lavoro molto prima di venerdì, Mèi mèi.» le comunicò, attirando la sua attenzione. «Devi andare a parlare con lo scarafaggio. Ha informazioni su un probabile acquirente per una parte dell’acciaio quinque. Lui ha chiesto personalmente di te.»

Masa controllò l’ora sul cellulare, notando che aveva un paio di messaggi di Urie in segreteria, «Vado ora. Ti faccio sapere in un paio di giorni, Lǎoshī

Gli fece un piccolo inchino, prima di allungare una mano per sfiorare il braccio di Eto. Uscì in fretta, senza dilungarsi troppo in saluti, consapevole che se Tatara si era diretto lì subito dopo aver lasciato l’università, doveva avere qualcosa di molto importante da comunicare.

Quanto meno, il luogo in cui era diretta era relativamente vicino.

 

 

-Torni per cena? Oggi pensavo di cucinare io.-

Aiko sorrise, parcheggiando l’auto sotto a un fatiscente palazzone grigio dall’aria degradata. Lanciò uno sguardo a una delle finestre, notando che era socchiusa e che quindi la persona che cercava doveva essere per forza in casa.

«Pensavo di tornare, però ora che mi hai dato questa informazione…»

-Sto cercando delle ricette decenti su internet, forse darò fuoco alla cucina.-

Accomodandosi meglio sul sedile, Aiko controllò l’ora sul telefono. Premette uno dei due auricolari meglio nell’orecchio, ridacchiando. «Cookie, l’ho appena realizzato: ora sei tu la mamma.»

-….Stai zitta. Mi hai già invaso la camera con la tua roba. Non sei nella posizione di dire niente.-

«Come se l’avessi deciso io di dormire insieme a te. Dà la colpa a Yonebayashi.» fece una piccola pausa, sentendolo imprecare sotto voce, «Sarò a casa fra un paio di ore, devo passare al supermercato perché manca qualcosa?»

-No, abbiamo tutto. Quello che manca sarà il cibo vero, visto che questa roba non riuscirò mai a cucinarla.-

«Abbiamo i depliant di diversi ristoranti d’asporto, in caso. Ci sentiamo dopo, capo.»

-Alle otto, Aiko.-

La ragazza agganciò scuotendo piano il capo, sinceramente divertita dalla svolta che avevano avuto gli eventi. Urie che cucinava per tutti, assurdo anche solo pensarlo. Prese un bel respiro, scordandosi per un attimo di quella bella vita parallela e tornando a cucire i panni di Labbra Cucite, anche se solo mentalmente.

Non aveva bisogno della maschera per quello che stava per fare.

La porta di ingresso del palazzo era stata scardinata mesi prima, così non ebbe motivo di suonare il campanello e avvisare del suo arrivo. Salì quattro piani per le scale, giacché in quel posto schifoso anche l’ascensore aveva deciso di non funzionare. Non c’erano probabilmente i soldi per ripararlo, ma in quel buco di quartiere ai margini della ventitreesima con la ventiquattresima c’era da aspettarselo. Quella era in assoluto una delle zone più disagiate e problematiche dell’intera Tokyo. Per tutti i giapponesi, la ventiquattresima circoscrizione della capitale era tristemente famosa per la sua delinquenza e per i crimini violenti che si consumavano ogni giorno al suo interno.

Eto era cresciuta in quel luogo senza luce e Aiko non la biasimava quando nei suoi occhi leggeva il desiderio di dare fuoco al mondo.

Il vero problema di quella zona non era solo la marcata povertà dei suoi residenti, ma anche una forte sovrappopolazione. I palazzoni come quelli in cui si trovava in quel momento erano comuni, vecchie case popolari donate dall’imperatore per gli indigenti della città come dimora provvisoria, che però era diventata definitiva per un numero di famiglie in continua crescita.

E per molti ghoul, consapevoli che la mano della giustizia faticava ad arrivare fin lì.

L’uomo col quale doveva parlare viveva in un appartamento confinante con altri due appartenenti, per l’appunto, a dei ghoul. Masa ne sentiva l’odore attraverso le pareti, il piscio che le fece storcere il naso misto al forte tanfo della cadaverina.  Portò la manica al viso per schermarsi, mentre con l’altro pugno batteva sulla porta.

Un uomo sui trentacinque anni, magro in modo quasi malsano e con  due occhi magenta taglienti le aprì la porta, mostrandole lo scorcio di un appartamento carino, in netto contrasto con l’ambiente circostante.

«Ti aspettavo tra qualche giorni, primo livello Masa.»

«Invece eccomi qui ora, secondino Tsubasa.»

Si fece da parte, consentendole di entrare e sfilarsi le scarpe. Con i piedi ben appoggiati sul parqué riscaldato, Aiko si guardò attorno, constatando che le entrate di Huso Tsubasa dovevano essere aumentate di molto.

«Uno schermo piatto da quaranta pollici, una consolle di ultima generazione…. Computer Apple…. Te la stai cavando davvero bene.»

Lui sorrise serafico, facendole segno di sedersi al tavolino. In strada esplosero alcuni colpi di pistola, seguiti da un urlo e Masa si augurò solo che la macchina stesse bene. Non sarebbe stato divertente spiegare a Urie perché l’aveva riportata bucata.

La ragazza si sistemò, guardandolo servirle il tè in modo molto elegante. Per un ragazzo nato e cresciuto in quel quartiere, non era altro che una recita.

«Fallire il test finale per diventare un agente anti ghoul è stata la tua fortuna.» lo prese in giro senza gentilezza, mentre lui incurvava le labbra in un sorriso serafico, per niente toccato da quella provocazione. «Io non guadagno così tanto in nemmeno due anni.»

Tsubasa era una giovane promessa del ccg, ma non aveva passato il profilo psicologico per essere ammesso. Gli era stata diagnosticata una sindrome di disturbo dissociativo, invece che venirgli dato un diploma e alla fine si era ritrovato a fare il secondino nella Cochlea, terzo livello, con i ghoul di grado S+ e SS. Una vita infame, che però lui aveva saputo svoltare, trovando le amicizie giuste.

«Il mio maestro mi ha inserito nel giro.» le fece sapere, come se non fosse ovvio. «Ora lavoro per lui sia dentro che fuori dalla Cochlea. Il tuo maestro, invece? Non ti ha ancora mangiata, quindi suppongo che prima o poi ti darà anche lui quello che meriti, sempre che tu te lo meriterai.»

Aiko gli sorrise, tagliente «Il mio maestro respira aria libera e passa le serate a con gli occhi rivolti verso le stelle. Sappi che è molto più probabile che a finire divorato, sarai tu. Sai che un antico proverbio cinese recita che i meriti di un apprendista vanno valutati-»

«Scusa se ti interrompo, tesoro. Non vorrei dirlo così sfrontatamente, ma dei proverbi di un assassino come Tatara, non me ne faccio poi di molto.»

«Allora parliamo di affari» lo riprese indispettita la ragazza, ignorando la tazza fumante che le era stata messa sotto il naso. «I miei superiori mi hanno detto che hai un potenziale acquirente per una parte dell’acciaio quinque che abbiamo rubato. Quantità e prezzo, grazie

«Diretta come al solito, penso sia per questo che fai girare la testa molti uomini.» fece una pausa, dopo aver insinuato e lei colse la palla al balzo per rilanciare.

«Molti, sì. Tu non fai parte del mio club esclusivo di amanti, però. Che peccato, Tsubasa. Non farmi perdere altro tempo, ti ricordo che ora ho un kagune e che i vicini ti mangerebbero molto prima dell’avvio di un’indagine.»

Lui rise, inclinando di lato il capo, mentre le dita andavano a tamburellare il ripiano del tavolo, tradendo quindi un certo nervosismo. Era affetto da un disturbo istrionico della personalità, vedersi svilito in quel modo doveva essere a dir poco avvilente.

«Alle volte mi chiedo come sia possibile che tu abbia superato quel test e io no. Hai un problema di gestione della rabbia, agente.»

Comprendendo l’andamento della conversazione, Aiko prese un sorso di tè. «Questa è una bella domanda, sai? Noriko cerca di farmi sospendere da due anni e mezzo, ma non ci è ancora riuscita. Cosa posso dirti, non sono pazza come te che ti sei attaccato alle sottane di Donato Porpora di tua spontanea iniziativa.»

«Effettivamente, farsi fottere dal proprio fratello causa una certa pena negli altri. Scommetto che il tuo amico Hirako ne prova parecchia.»

La tazzina ripiena di liquido caldo gli arrivò addosso, lasciandolo senza parole per quel gesto. Due occhi differenti, uno giallo come il miele e l’altro rosso con la sclera nera lo stavano fissando, mentre la giacca di pelle tremava all’altezza delle reni.

Doveva fare dietro front, Tsubasa lo sapeva. «Mi dispiace, ho esagerato. Sai, fatico a controllare le parole. Forse ho anche un po’ l’Asperger.» pulendosi con un tovagliolino, l’uomo cercò di sorriderle leggero, nonostante la vena sulla sua fronte pulsasse. «Torniamo ai nostri affari, che dici?»

«Ti conviene.»

Lui si schiarì la voce, incrociando le mani di fronte a sé, «Duecentoquaranta mila yen per venticinque chili.»

Masa alzò le sopracciglia, senza controllare il suo occhio di proposito.

«Ne voglio almeno il doppio e solo perché mi stai sul cazzo, Tsubasa.»

«Allora penso che dovrai parlare personalmente con il signor Uta.»

Masa si alzò in piedi, sistemandosi la giacchetta. «Preferisco lui a te, schifoso scarafaggio.» Si avviò alla porta, recuperando le scarpe e maledicendo l’altro per quella perdita di tempo. A quanto pare però non avevano ancora finito.

«Credo che ci vedremo presto in Cochlea.» le disse sciolto, come se non avesse appena fatto il bagno nel tè e visto un affare sfumare. Lei si voltò a guardarlo, perplessa «Non ti anticipo niente, ma ci sono grandi cambiamenti dentro ai Clown. Potresti aver bisogno del signor Porpora molto presto.»

«Che sfiga, speravo di non rivederti per molto tempo.» lo guardò alzare il dito medio verso di lei, poi aprì la porta, uscendo senza nemmeno salutarlo. Lasciò sbattere la porta con forza quando la lasciò andare, cercando di gestire la rabbia che le faceva formicolare le dita della mano. Piegò il collo di lato, chiudendo un attimo gli occhi per cercare di calmarsi, ma quel fetore schifoso che la circondava non stava aiutando il processo.

Quando una porta si aprì, spalancò di nuovo le palpebre. Due bambini sussultarono, tornando in casa e gridando «Un sekigan! La fine è arrivata! Un sekigan!»

Aiko strinse gli occhi cercando di controllarsi e quando ci riuscì, si sbrigò a lasciare il palazzo. Tornata in macchina, dopo aver  constatato che era ancora integra, prese un respiro. Poi prese il telefono, mettendosi di nuovo gli auricolari e attese di mettere in moto e avviarsi per part partire la chiamata.

-Si?-

«Sto tornando, ma c’è stato un incidente, potrei metterci un po’.» mentì con la solita abilità, sistemandosi seduta e ritrovando almeno un po’ la calma.

Almeno le mani avevano smesso di tremare.

«Quindi, quale piatto della cucina giapponese intendi profanare stasera?»

 

Continua…

 

 

 

 

N.d.A.

Il capitolo non è stato betato.

Grazie a chi continua a leggere e a Virginia che imperterrita commenta in solitaria.

 

C.L.

 

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Capitolo 15
*** Il caso Tightrope Walker - 1 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

«Le ultime parole di Aiko-chan sono importanti. Abara mi ha detto che anche se nessuno mi ha ancora interrogato, devo riferirle al presidente.» Tutti si voltarono a guardare stupiti Suzuya, colpiti non dal fatto che avesse parlato senza permesso, ma da ciò che aveva detto. A Urie non sfuggì lo sguardo veloce che Hirako scambiò con Arima, senza però tradire nessuna emozione, immobile nella sua permanente apatia. Forse era allarmismo quello? Forse c’era qualcosa di cui Kuki non era a conoscenza? C’era ancora speranza?

«Quali sarebbero state queste parole?», a rompere il mutismo fu proprio il presidente Washuu. Fino a quel momento aveva lasciato parlare gli altri, senza entrare nel merito della discussione, ma arrivati a quel punto voleva far sentire anche la sua voce.

Juuzou guardò verso Haise e con un piccolo sorriso paterno lo incitò a parlare.

Quando lo fece, la stanza si gelò.

«Ha chiesto a chi andasse la fedeltà di Hirako. Poi stava per dire il nome del Re col Sekigan

Urie si voltò con gli occhi sgranati verso il piccolo agente, che lo guardò a sua volta confuso, inclinando il capo come un gattino. Il Re col…

«Take ha sbagliato», fu Arima ad intervenire, pacato come suo solito, tenendo le mani dietro il busto in una rigida posizione marziale. «Dovevamo risparmiarla in quanto agente e informatrice, è vero. Aiko avrebbe potuto raccontarci ciò che le era successo, se fosse stata costretta o ricattata in qualche modo, ma in quella circostanza abbiamo dovuto trattarla non come una collega, ma come un ghoul. Stava per attaccarci di nuovo col suo kagune, quello che ha detto potrebbe essere stato solo un modo per prendere tempo.»

«Era umana.» A quel punto, Urie non si trattenne oltre. Conseguenze o meno, non ce la faceva più. Perché nessuno gli aveva chiesto nulla se non per parlare della loro vita privata? Lui, che era la persona che le era stata più vicina, declassato a semplice amante e lei elevata al livello di un mostro pericoloso da abbattere. Non lo poteva accettare. «Una ragazza di neppure ventitré anni. Non era un ghoul. Le ferite che il prima classe Hirako le ha inflitto durante lo scontro erano potenzialmente mortali, forse non sarebbe arrivata nemmeno in ospedale. Come poteva attaccare di nuovo col kagune? Non sarebbe mai riuscita a rigenerarlo!»

«Primo livello Urie, attendi il tuo turno per parlare», lo ammonì severamente il direttore.

Kuki Urie, che aveva sempre rigato diritto, che aveva sempre rispettato l’autorità al fine di venire promosso il più velocemente possibile, non riuscì a trattenersi. «Era un essere umano!», insistette, stringendo le mani lungo i fianchi. «Aveva dei problemi mentali ed era sola, in mezzo a un combattimento, contro due investigatori molto abili. Perché nessuno si è fermato a chiederle perché!?»

«Urie!», Haise lo guardò con gli occhi fiammeggianti oltre le lenti degli occhiali, «Smettila.»

«Kishou», il presidente, per nulla scosso da tutto quel fracasso, si rivolse ad Arima. « Aiko Masa è stata trasferita dalla squadra Quinx alla Suzuya e successivamente, per circa un mese, è stata la tua partner, confermi?», domandò retorico, tenendo fra le mani il fascicolo della giovane ragazza. Quando Arima confermò, l’anziano uomo procedette. «Credi che fosse ancora una minaccia?»

La Morte Bianca si prese un istante per pensare, prima di replicare. «Metterei nelle mani del prima classe Hirako la mia vita. So a chi va la sua fedeltà e va a me. L’ho addestrato io a capire quando e come percepire un pericolo. Penso che abbia agito bene, in quel caso. Magari non è un’azione che possiamo perdonare a cuor leggero, ma è largamente giustificabile.»

Stronzate. Urie avrebbe tanto voluto urlarlo, ma non poteva. Non poteva spingersi troppo oltre. Strinse solo le mani guantate così tanto da sentire le nocche far male.

Il presidente si rivolse quindi a Juuzou. «Tu cosa ne pensi, Suzuya? Eri presente anche tu e hai anche testimoniato delle parole molto precise. Credevi fosse una minaccia?»

Il ragazzino lo guardò con i grandi occhi vermigli sgranati da sotto i ciuffetti neri, fissandosi sul suo volto rugoso prima di rispondere con una certa sicurezza: «Io credo che Urie-kun abbia ragione. Non era una minaccia, non riusciva nemmeno a sollevare la testa dal pavimento.»

«Ci troviamo a un bivio. Entrambe le versioni sono attendibili allo stesso modo, quella del primo livello Urie e quella del prima classe Hirako, poiché sostenute da altrettanti testimoni oculari.» Il direttore si voltò guardando il padre, prima di sospirare gravemente. «Il punto fondamentale però è uno solo: avevamo un membro di Aogiri fra le nostre file e nessuno di voi se n’è accorto. Tutte le persone presenti in questa stanza hanno lavorato a stretto contatto con lei, gomito a gomito, anche per lunghi periodi di tempo. Ci hanno vissuto insieme. Esigo che Sasaki approfondisca le indagini e se ci sono altri coinvolti, verranno giudicati.»

«Per garantire il mantenimento dell’integrità del bureau, sospendo a tempo indeterminato sia l’agente Hirako che l’agente Urie.» Il presidente prese questa decisione molto in fretta, lasciando Kuki a boccheggiare, irrigidito. Non avrebbe potuto collaborare alle indagini, visto che non avrebbe nemmeno potuto accedere alla struttura. «Nel caso in cui la questione si faccia più problematica, la conduzione dell’istruttoria passerà automaticamente nelle mani del classe speciale Washuu per ulteriori accertamenti, ma per il momento Sasaki può procedere. Potete andare tutti eccetto Arima e Matsuri.»

Take fu il primo a lasciare la stanza, stringendosi nel suo trench argentato e non ricambiando lo sguardo di Ito, quando questi cercò di fermarlo nel corridoio. Non lo seguì, quando comprese che stava andando via, non intenzionato a parlare con nessuno.

Urie uscì seguito da Sasaki, che gli lanciò una lunga occhiata penetrante, decidendo poi di accompagnare Abara e Juuzou a lasciare la loro testimonianza, sostituendosi di diritto ad Hoiji.

«Allora?» domandò nervoso Higemaru non appena lo ebbe raggiunto.

Urie guardò sia lui che Ito, poi Takeomi che doveva essere arrivato nel mentre. Non si sentì nemmeno lontanamente irritato dalla cosa, il suo petto era sprofondato in un pozzo nero e niente avrebbe potuto scuoterlo. «Sono stato sospeso», disse infine. «Anche Hirako. Hanno avviato un’indagine per capire se qualcuno dall’interno ha aiutato Masa.»

«Ma come-»

Urie prese un respiro, poi scosse il capo. «Andiamo a casa, Hige

«Riposati», Kuroiwa gli appoggiò una mano sulla spalla, scostandosi per farlo passare.

Come avrebbe potuto dormire? Come sarebbe riuscito a chiudere occhio dopo averla vista morire, impossibilitato a fare qualsiasi cosa? Avrebbe rivisto quella scena nella sua mente, in un delirante loop per il resto dei suoi giorni.

Come  era successo per Shirazu.

In ascensore non parlò, nemmeno quando si accorse che Higemaru stava cercando di nascondere il fatto che stava piangendo. Non gli disse niente, non lo toccò. Uscirono nell’ingresso sempre chiusi nel mutismo, ma lì vennero fermati.

«Aizawa, non ora», cercò di dire Kuki, ma il medico non gli diede tempo di aggiungere altro.

«Ti hanno sospeso, vero?» chiese sbrigativo. «Hanno sospeso anche me.» C’era una scintilla folle nei suoi occhi, quando lo prese per il braccio, tirandolo di nuovo nell’ascensore.

«Cosa diavolo fai?! Se sei sospeso devi tornartene a casa!»

«Col cazzo. Ci stanno nascondendo qualcosa di grosso e io non intendo lasciare che Arima insabbi tutto. Non di nuovo.» Attese che anche Higemaru ebbe avuto modo di rientrare nell’ascensore, poi guardò il primo livello. «Io sto andando a fare comunque l’autopsia per cercare di capire cosa vogliono impedirmi di vedere. Vieni anche tu o no?»

Urie tentennò, ma solo per un istante. Poi premette il bottone del piano interrato e le porte si chiusero.

 

Capitolo quindici.

L’insonnia era una vecchia compagna di vita, per Aiko. Fin da quando era bambina, aveva difficoltà a coricarsi la sera. Durante la sua adolescenza aveva subito diversi ricoveri in strutture specializzate per cercare di riprendere il controllo della sua psiche. Una volta entrata nel bureau, ci aveva rinunciato direttamente.

Quando riusciva a dormire cinque ore filate era una festa e ad ogni azione dalla parte di Aogiri le ore di sonno diminuivano fino a che il senso di colpa la mangiava viva, per poi riprendere ad aumentare progressivamente.  A due settimane dalla morte di Shirazu non riusciva ancora a dormire bene. Ogni volta che chiudeva gli occhi, dopo aver preso le gocce per aiutare il sonno, rivedeva il suo viso sorridente, alle volte di scherno, sentiva la sua voce e poi lo rivedeva in pezzi, sul tavolo operatorio di Kanou. Era insopportabile, così insopportabile che preferiva non dormire direttamente e collassare per la stanchezza anche dopo trentadue ore consecutive sveglia, certa che non avrebbe sognato in quelle condizioni.

Era diventato difficile anche tenerlo per sé. Da quando aveva ceduto la sua stanza alle nuove leve – che ancora non era chiaro quando sarebbero arrivate – doveva dividere la camera e quindi il letto con Urie, il quale aveva il sonno così leggero che bastava uno starnuto per svegliarlo. Era un bel problema, anche se il ragazzo dormiva quasi meno di lei. A tenerlo sveglio non erano solo i brutti ricordi di quella notte, ma anche le tante preoccupazioni che derivavano dalla sua nuova posizione.

«Anche oggi si dorme domani.» Era diventata la frase di rito che quotidianamente uno dei due proferiva quando l’alba bagnava la stanza, illuminandola parzialmente attraverso le grate delle veneziane.

Più o meno era quello il momento in cui entrambi riuscivano a trovare un po’ di pace. Quando il cielo si rischiarava e avevano a disposizione un paio di orette prima dell’inizio della giornata lavorativa.

Dopo averli chiusi per poco più di venti miseri minuti, Aiko riaprì gli occhi. Prese il cellulare sotto al cuscino, constatando che erano le cinque e quaranta. Sbadigliò, con lo sguardo puntato al soffitto, riflettendo che mancava ancora una preziosa ora e venti alla sveglia. Ruotò il capo, osservando Urie che invece sembrava dormire abbastanza bene. Si spostò sul letto, abbassandosi e appoggiando il capo alla sua spalla, prima di tornare a chiudere gli occhi per riprendere a dormire.

Sorprendentemente ci riuscì e quando si svegliò in via definitiva, si sentiva quasi bene. Nell’aria c’era un odore forte, che le colpì il naso non appena riemerse dal mondo dei sogni. Socchiuse le palpebre, allungando una mano e sentendo il cuscino accanto al suo vuoto. Alzando il capo vide Urie al cavalletto, con la mascherina sul viso e i guanti neri di lattice sulle mani.

Se stava dipingendo, questo voleva dire solo una cosa.

«È domenica?», chiese con tono roco, senza spostarsi di un centimetro. Tornò a chiudere gli occhi, mentre sentiva le delicate pennellate colpire la tela.

«Così pare», fu la sola risposta che le arrivò dall’altro.

«Ci siamo dimenticati che è domenica, facciamo schifo.»

«Vero anche questo.»

Masa riprese il cellulare in mano, controllando l’ora e constatando che erano quasi le undici. Con la consapevolezza che non avrebbe dovuto mettere piede nella sede centrale prima del giorno successivo, la ragazza decise che avrebbe dormito ad oltranza fino a che non si sarebbe sentita davvero riposata. Appoggiò il gomito sul materasso, facendo leva per sollevarsi. Spiò il quadro che il ragazzo stava realizzando, cercando di capire dove avrebbe potuto aver visto quel tramonto sul mare. Non sembrava inventato, c’erano dei dettagli piuttosto precisi dipinti sul molo, ma non chiese nulla perché sapeva che tanto sarebbe stata liquidata in fretta o peggio, sarebbe stata ripresa perché lo stava disturbando. In ogni caso, Urie non aveva le cuffie, segno che forse non gli dispiaceva un po’ di conversazione.

«Perché non ti rimetti un po’ a letto?», gli domandò, cercando di domare i capelli passandoci le dita attraverso.

«Mi sono già vestito», fu la replica del ragazzo che però sembrava vagamente esitante.

Aiko sorrise e lui la notò dal riflesso dello specchio che aveva sulla sinistra. «Non credo sia un problema, sai? Ho letto su delle riviste scientifiche che i vestiti si possono sfilare e rimettere più volte nell’arco di una giornata.»

Lui la fissò consapevole che lo stesse prendendo in giro dal riflesso, senza voltarsi, poi riprese a dipingere fino a che non ebbe finito tutti i colori aperti sulla tavolozza. Una volta fatto ciò lavò il pennello in un bicchiere di acqua pulita, sfilandosi la mascherina e i guanti. Si voltò verso la sua ormai ex partner, che sembrava essersi riaddormentata. Asciugò il pennello in un pezzo di carta assorbente, andando verso il letto e sistemando le coperte in modo da potersi stendere sulla trapunta vestito. Passò le setole umide del pennello sulla spalla nuda della ragazza, che arricciò le labbra in un sorrisetto, senza aprire gli occhi. Si limitò solo ad allungare una mano, appoggiandola sul fianco dell’altro, spostandosi sul materasso per puntellarsi contro il suo petto.

Venti meravigliosi secondi di pace, poi il telefono di Urie si mise a suonare.

«Spero che chiunque sia, possa sperimentare i dolori della dissenteria da qui alla fine della giornata», cantilenò con tono amabile Aiko, sollevando il capo per spiare lo schermo del telefono, quando Kuki lo recuperò dal comodino. «Cosa cazzo vuole Matsuri la domenica mattina? Hai passato tutto il giorno con lui, ieri, a fare finta di lavorare.»

«Inizia a diventare un po’ fastidioso.»

«Un po’?», chiese scocciata la mora, prima di buttarsi supina sul materasso, con le braccia aperte e gli occhi sgranati per l’irritazione. «Un po’. Le ragadi sono un po’ fastidiose. Forse la bomba su Hiroshima è stata un po’ fastidiosa. Matsuri è un cancro sociale.»

«Esagerata. Ora stai zitta.» Le lanciò un’occhiata vagamente minacciosa, prima di accettare la chiamata con il solito tono da leccaculo. «No, non stavo dormendo, signore.» Lei gli fece il verso, mimando le sue parole con qualche smorfia connessa. Lo guardò ascoltare in silenzio, come se Matsuri avesse deciso di candidarsi a sindaco, costringendolo a sentire il discorso. Un sorrisetto furbo si dipinse sulle sue labbra, non appena un pensiero all’apparenza divertente le attraversò la mente. Tornò a sposarsi sul fianco, sporgendosi per baciarlo sul collo, notando con soddisfazione la pelle della gola incresparsi per i brividi. Lui non fece una piega, naturalmente, cercando solo di impedirle di aprirgli la cintura, fermandole entrambi i polsi con la mano libera. Ficcò il cellulare tra il collo e la spalla, premendole il cuscino sulla faccia quando lei si mise a ridacchiare, ma poi si bloccò. Masa si affacciò da sotto il cuscino, notando il cambiamento di umore.

«Arrivo subito.»

Urie scattò in piedi, alzandosi dal letto come se avesse sempre avuto una molla bloccata sotto alla schiena. Lo vide mettere via il telefono e cercare le scarpe.

«Hai deciso di dargli il culo oggi, così da permettere ad entrambi di passare piacevoli ore la domenica mattina?», gli domandò prendendo il pennello e passandoselo da sola sull’avambraccio.

«La quinque è pronta.»

Aiko schiuse le labbra, sorpresa. Urie si era appena infilato la giacca, quando anche lei scese dal letto. «Posso venire anche io?»

Erano giorni che non si parlava di altro, allo chateau. Secondo un offesissimo Aizawa, non gli era stato permesso di mettere le sue mani su Noro perché Matsuri aveva detto che ci avrebbe pensato lui alla futura quinque del capo dei Quinx. Nessuno si era davvero scandalizzato o stupito, ma la curiosità non era poca.

Urie ci pensò su.

«No.»

Lei spalancò la bocca, indignata. «Stronzo!», gli urlò dietro, mentre lo guardava infilarsi fuori dalla porta con i mocassini in mano e una sola manica del completo gessato infilata. «Me ne ricorderò!»

«Sarai la prima a provarla, ma dopo!»

La porta di ingresso si aprì e si richiuse in un battito di ciglia e alla giovane non rimase molto altro da fare, se non buttarsi di nuovo sul letto. Si coprì le gambe lasciate nude dai pantaloncini del pigiama e sollevò uno spallino della canottiera, incrociando poi gli occhi con quelli di Hsiao, che probabilmente stava tornando dal bagno, pronta con addosso una misé da allenamento.

«Mi ha scaricata per Matsuri», le fece sapere con semplicità, strappandole un sorrisetto divertito. «So che non dovrei farne un caso di stato, ma penso di essere più carina io.»

«Cambiati», le rispose pragmatica la taiwanita. «Due ore di corsa prima di pranzo ti faranno dimenticare ogni delusione amorosa.»

«Sai cosa ti dico? Ci sto. Due minuti e scendo.»

Aiko chiuse la porta, decisa a cambiarsi in fretta per seguire la nuova arrivata negli allenamenti. Prese prima il telefono, leggendo un paio di messaggi di Eto che aveva solo visualizzato la sera prima. Quando chiuse la chat con Uzume, però, era più amareggiata di prima. Si aggrappava a Urie per sentirsi normale, ma alla fine tornava sempre da lei. Si chiese se prima o poi sarebbe riuscita a trovare le energie per fare una scelta.

Tenere il piede in due scarpe iniziava a pesarle, perché rischiava di inciampare ad ogni passo.

 

 

Masa picchiettava il pennarello contro il palmo aperto della mano, tenendo sott’occhio il fascicolo del caso aperto. Stavano aspettando il direttore Yoshitoki per iniziare e lui aveva avvisato che avrebbe ritardato a causa di un meeting. Urie e Matsuri si erano già seduti alla scrivania di fronte alla lavagna luminosa, di fronte alla quale Aiko se ne stava ritta come una pertica, un po’ scocciata dall’attesa, con Mutsuki seduto accanto a lei, con la testa altrove, come al solito.

Lavoravano al caso da ormai due settimane e gli unici sviluppi che c’erano stati erano derivanti dal numero di cadaveri che andava accumulandosi sotto i loro occhi. Aiko controllò nuovamente l’ora, prima di alzare una mano per salutare Koori attraverso la vetrata che separava la stanza dal corridoio.

E ancora il direttore non si vedeva.

«Fortuna che abbiamo pranzato», soppesò lanciando un sorrisetto a Tooru, che ricambiò pallidamente, facendo per replicare.

Matsuri però prese la parola, rivolgendosi direttamente al vice caposquadra dei Quinx. «Non preoccuparti Masa, queste che spendi ad aspettare sono ore che ti paghiamo.»

Che lui non la sopportasse non era un segreto e Aiko sapeva benissimo anche il perché. Non riusciva a guardarlo senza rischiare di ridargli in faccia a causa di tutte le battutine e gli scherzi stupidi che lei e Aizawa lanciavano a Urie a causa dell’ossessione del classe speciale per lui. Anche in questo caso, Masa trattenne un sorrisetto divertito, ricacciando indietro ogni singolo pensiero malevolo. «Sono solo ansiosa di proporre la mia idea.»

«Ho due interrogatori da fare», si intromise anche Kuki, cercando di sviare l’attenzione dalla collega che rischiava davvero di ridergli in faccia. «Spero che il direttore non abbia avuto un brutto contrattempo.»

I due uomini si misero a parlare fra loro e Aiko girò le spalle alla platea, appoggiandosi con i fianchi alla scrivania e parlando direttamente con Tooru, a mezza bocca, così da non farsi sentire. «Penso sia geloso perché io ho una vagina e Urie è etero», disse al partner, che sorrise complice.

«Lo penso anche io», asserì, ridacchiando quando la mora gli fece l’occhiolino. Entrambi comunque si diedero un contegno, poiché il direttore era arrivato. Si misero diritti con educazione e anche i due uomini seduti si alzarono, rispettosi verso il superiore.

«Perdonate il ritardo.» Washuu andò a sedersi accanto al figlio, facendo cenno a tutti di rilassarsi e smetterla con le formalità. Guardò quindi i due investigatori pronti a esporre le loro tesi. «Primo livello Masa, primo livello Mutsuki, iniziamo.»

Tooru si rimise seduto al computer, mentre Aiko prendeva la parola. «Stiamo lavorando da ormai quattordici giorni sul caso del Funambolo, o Tighrope Walker se vogliamo essere internazionali. Questo ghoul di livello S- è stato per la prima volta avvistato all’interno della ventunesima circoscrizione, anche se la maggior parte delle sue vittime sono state rinvenute in diversi punti della ventiquattresima.» Sullo schermo apparvero le foto delle scene del crimine. «Le vittime sono in tutto dieci: due coppie, quattro donne e due uomini. L’età media è ventotto anni e sono tutti casi di predazioni al fine di reperire la carne per il nutrimento. È nostra opinione credere che questo ghoul abbia sempre cacciato, ma che si sia ritrovato improvvisamente solo, distaccato dal gruppo di appartenenza con cui ha lavorato da quando è diventato famoso alle forze del ccg.»

«Di chi parliamo?», chiese Matsuri.

Lei lo guardò, alzando un sopracciglio. «Non sa nulla dei funamboli, classe speciale? Stanno al circo.»

«Come i Clown», a concludere fu il direttore, che guardò suo figlio come se si stesse chiedendo come avesse fatto a mettere al mondo un essere tanto stupido. Fatto che diede non poca soddisfazione a Masa. «Ho capito cosa vuoi chiedermi, primo livello.»

«Devo parlare con Donato Porpora», tagliando la testa al toro, Aiko fu diretta. «E devo farlo il prima possibile. Dieci morti in quattordici giorni sono inaccettabili e non abbiamo piste. Sembra essersi dissolto come fumo.»

Yoshitoki chiese il fascicolo, che sfogliò con attenzione. Lesse i rapporti del corner molto velocemente e poi passò ai rapporti di Aiko sull’indagine sulle scene. «Ricordo molto bene il lavoro superbo che hai fatto con il caso Embalmer, primo livello Masa», soppesò sotto voce, con gli occhi ancora inchiodati a quelle foto. Quando le rese il rapporto, lei aveva già capito che era fatta. «Interroga Porpora tutte le volte che ritieni necessario alla risoluzione di questo caso. Hai l’accesso libero alla Cochlea. Vado subito a fare le telefonate.» Si alzò in piedi, rispondendo con un cenno all’inchino rispettoso di Aiko. Augurò a tutti un buon proseguimento e poi lasciò la stanza in fretta.

«Vuoi che venga con te?», le chiese Urie, mentre Masa tornava da Tooru, che stava chiudendo il portatile. Lei lo guardò sorpresa.

«Tu hai il tuo caso aperto», gli ricordò, alzando le spalle. «Poi il signor Porpora non mi spaventa. È una vecchia conoscenza.»

«Non essere eccessivamente ingenua, Masa», di nuovo Matsuri si frappose fra lei e un minimo di gratificazione, alzandosi per lasciare la stanza. «Donato Porpora è un ghoul molto pericolo e manipolativo, capace di convincerti di cose che tu nemmeno puoi immaginare. Non passare più tempo del necessario in sua compagnia.»

«Donato Porpora sarà dietro a un vetro molto, molto spesso, classe speciale. Ho avuto esperienze più dirette con ghoul che mi hanno spaventata molto di più. La ringrazio comunque per i preziosi consigli.»

C’era una palese presa in giro nel suo tono, ma l’altro non poteva di certo provarlo. La guardò quindi con la solita irritazione, prima di tornare alle sue mansioni, lasciando i tre Quinx nella stanza da soli.

«Dovresti evitare di provocarlo.»

Aiko sorrise a Urie con la solita espressione da furba, sistemandogli il nodo della cravatta che si era storto durante la giornata. «Non posso farci niente. Sembra il figlio sfigato dell’imperatore del Giappone. Per colpa di Aizawa non riuscirei a prenderlo seriamente nemmeno impegnandomi.»

Lui sospirò, rassegnato. «Questo è un caso importante. Non lasciare che il tuo caratteraccio ti porti via meriti.»

«Punto primo: il mio carattere è fantastico. Secondariamente, non è che io sia particolarmente interessata ai meriti.» Aiko inclinò di lato il capo, lasciando scivolare la mano dalla cravatta al petto del ragazzo, un po’ civettuola. «Voglio evitare che questo Funambolo crei una Aogiri 2.0, lavoro molto seriamente sul caso.»

«Credi voglia fondare un nuovo gruppo di ghoul?»

«Se no perché staccarsi dai Clown? O è stato buttato fuori o ha grandi ambizioni e io preferisco pensare in negativo per non avere brutte sorprese.»

Si guardarono negli occhi per alcuni secondi, poi, per una volta, fu il cellulare di Aiko a suonare. Lo prese dalla tasca dei pantaloni neri, leggendo velocemente un messaggio e sorridendo divertita.

«A fine turno ho un appuntamento, quindi ceniamo alle otto e mezzo», fece sapere al caposquadra.

Urie assottigliò lo sguardo, curioso. Spiò lo schermo. «Shukumei? Cosa vuole adesso? E perché chiama te e non me?»

Masa ridacchiò «Perché tu sei intrattabile», gli fece notare con ovvietà, prima di rispondergli. «Vuole parlare di un vecchio caso della squadra Hirako a cui io ho partecipato. Non so chi, ma mi ha spiegato che è una cosa personale.»

«Capisco. Alle otto e mezzo però vedi di esserci.»

«Porto anche Tooru.» Il diretto interessato tornò considerare i due, quasi come se si fosse isolato in una bolla per riuscire ad ignorarli. Era quasi meglio quando litigavano che quando facevano così. «Così ci prendiamo un caffè da Touka

Mutsuki fece per dire qualcosa, ma alla fine tirò un mezzo sorrisetto. «Ti accompagno volentieri, Macchan.»

Non sembrava così, ma Masa non ci diede peso. Erano giorni che Tooru era strano, sembrava disinteressato o distratto.

Chissà per quanto ancora avrebbe sofferto l’assenza di Sasaki.

L’investigatrice se lo chiedeva spesso.

 

 

Il :re era quasi deserto quando Mutsuki e Masa vi misero piede. Mancava ancora un’ora alla chiusura, quindi Touka li fece accomodare come sempre, con un sorriso gentile e la solita disponibilità.

«Un caffè e un cappuccino al ginseng», le disse Aiko, aprendosi il trench e appoggiandolo sullo schienale della sedia, prima di spostare la valigetta tra le gambe del tavolo. Si accomodò di fronte a Tooru dopo aver avuto un cenno di assenso dalla cameriera, accavallando le gambe con uno sbuffo stanco. «Domani abbiamo un lavoraccio da portare a termine», gli disse, distraendolo dalla sua osservazione del bancone. «Donato Porpora è un abile manipolatore di menti, non credere a quello che ti dice e non mostrarti spaventato. Farai il suo gioco se no.»

«L’ho già incontrato», le fece sapere l’altro, aprendo svogliato uno dei menù e osservando le diverse composizioni di gelati senza l’intento di ordinarne uno. «Quella volta mi ha colto impreparato, ma domani non sarà così.»

«Se preferisci aspettare fuori, lo capisco.»

«Non sono così debole.»

Aiko gli sorrise, appoggiando una mano sul suo polso e stringendolo. «Lo so», disse con fermezza, come se non l’avesse mai pensato. «Voglio solo che tu ti senta a tuo agio. In questi giorni ti vedo smarrito.»

«Non mi sono ancora ripreso del tutto da quello che è successo all’Eclipse.»

La partner annuì, ben consapevole di cosa stesse parlando. «Piccoli passi», gli disse, ringraziando Touka quando appoggiò le loro ordinazioni sul tavolo, prima di sparire di nuovo nel retro bottega, sotto lo sguardo di Mutsuki. Aiko aveva notato il modo in cui il ragazzo controllava la cameriera, ma non aveva intenzione di chiedere nulla. Non voleva fare la sfacciata come suo solito in un momento di debolezza del collega. Senza contare che il suo appuntamento aveva appena varcato la soglia, dondolando con eleganza sui tacchi a spillo come suo solito. «Ciao, Shukumei», la accolse, guardandola appoggiare una borsa spaziosa di un rosso brillante laccato sulla sedia libera.

«Ciao Aiko», le rispose, sbottonandosi il giacchetto da parata blu e appoggiandolo insieme alla borsa, prima di ordinare un caffè e un pezzo di torta alle fragole al signor Yomo. Successivamente si voltò verso Tooru. «Non ci conosciamo. Io sono Shukumei Kurhei

«Una giornalista», chiarì subito Masa, facendo ridacchiare la nuova arrivata. Anche Tooru si presentò, prima di schiacciarsi sulla sedia, con la tazzina già vuota di fronte, a disagio. «Come posso aiutarti questa volta?», domandò, diretta come sempre, l’agente di primo livello, strappando un sorrisetto divertito a Shukumei.

La giornalista prese il solito taccuino dalla borsa, aprendolo con già la penna impugnata in mano come la spada di un cavaliere. «Ho letto qua e la dei  nomi di ghoul che la squadra Hirako ha incontrato o su cui ha indagato. Volevo un paio delucidazioni.»

«Sentiamo i nomi.»

«Dente di Fata e Lisca.»

Masa prese un sorso di cappuccino, sporcandosi il labbro superiore con la schiuma. «Su Lisca non posso dirti praticamente nulla», le fece sapere, pulendosi con un tovagliolino di carta. «Non solo perché è un caso aperto che il classe speciale Hachikawa ha chiesto e richiesto per mesi e mesi. Ma perché non so nulla. L’ho incontrata il giorno in cui abbiamo annientato proprio Dente di Fata. C’è stato una sorta di scontro, ma lei è scappata.»

«Lei?»

«Lisca è un ghoul femmina.» Aiko accavallò le gamba, muovendo la mano per gesticolare come sua abitudine. «La notte che abbiamo eliminato Dente di Fata siamo arrivati alla conclusione che stavano per avere un incontro con alcuni membri di Aogiri, ma che non ne facevano parte.»

Shukumei scrisse un paio di appunti, prima di guardarla. «Come fate a dirlo?»

«Perché noi stavamo indagando su una serie di reti di informazioni legate a Naki degli Smoking Bianchi», spiegò Aiko. «Quella notte forse dovevano incontrarsi per gestire delle trattative. Aogiri non è solo terrorismo. Aogiri è anche un agglomerato di attività, una vera e propria mafia. Per tenere in piedi un’organizzazione del genere servono molti soldi e grazie all’acciaio quinque che hanno rubato recentemente saranno tranquilli per un po’.»

«Ho sentito cosa è successo. Una bomba nella sede centrale per distrarvi. Astuti.»

Mutsuki le lanciò un’occhiatina, prima di tornare a voltarsi verso Touka. Masa seguì il suo sguardo, poi riprese. «Di Dente di Fata non sappiamo molto altro. Era un ghoul che predava per due e visto che Lisca non è mai stata vista uccidere non abbiamo mai potuto provarlo. Non negli ultimi otto anni per lo meno.» Fece una pausa, per riprendere il filo del discorso. «In definitiva, pensiamo che Dente di Fata predasse anche per lei e che ora Lisca si sia trovata un nuovo amico per la caccia.»

Shukumei ridacchiò. «Scusa, Aiko. Solo mi sembra assurdo che un ghoul possa provare sentimenti così forti da uccidere per nutrirne un altro.»

Masa notò che sembrava davvero divertita dalla cosa. «I ghoul da questo punto di vista non sono poi così diversi da noi. Amano, provano dolore, felicità e paura. Per quest’ultima emozione, posso garantire anche io. Non ero in quella stanza quando il combattimento è iniziato. Ma quando sono arrivata per dare appoggio al mio caposquadra, Dente di Fata aveva lo sguardo di un cane in gabbia, pronto per essere ucciso. Era massacrato, a pezzi, distrutto. Eppure, con solo il busto e un braccio, ancora arrancava contro il suo nemico. L’ho sentito io stessa dire che si sarebbe portato qualcuno di noi con sé e ci è quasi riuscito.»

«Un ragazzo ostinato.» Shukimei smise di scrivere per un paio di secondi, come fissa su un pensiero definito. Poi scarabocchiò un altro paio di parole, portando una mano ai capelli lunghi per spostarli dietro alle spalle. Passò la penna tra le dita dalle unghie curate, prima di parlare nuovamente. «Ci sono altri ghoul legati a lui?»

Aiko scosse il capo. «Non lo sappiamo. Era un lupo solitario, a quanto abbiamo scoperto a posteriori dal prima classe Toga, che ai tempi indagava su di lui. A noi è capitato per puro caso di averlo lì e grazie alla sua entrata in scena, Naki è scappato.»

«Posto sbagliato nel momento sbagliato?»

«Secondo me dovevano incontrarsi. Non possiamo provarlo, ma chi entrerebbe in uno stabile occupato dal ccg? Si sarebbe quanto meno dovuto nascondere.»

La giornalista fece una pausa, controllando qualche appunto. «Possiamo parlare del massacro del Lunar Eclipse?»

A parlare, questa volta, fu Mutsuki. Rispose al posto del superiore, che stava prendendo un altro sorso di cappuccino, mentre guardava con interesse la torta che il signor Yomo aveva appena servito a Shukumei. «Abbiamo firmato un documento per garantire il massimo riserbo. Abbiamo perso molti compagni lì dentro.»

La donna lo guardò sbattendo le palpebre un paio di volte, prima di tirare un sorriso accondiscendente. «Immagino, agente Mutsuki. Non volevo mancare di rispetto ai caduti, ma ho sentito che l’operazione ha fatto molte vittime sia umane che ghoul e che alla fine, i due capi famiglia degli Tsukiyama sono entrambi scappati. Uno era già sotto custodia, vero?»

«No comment

Masa sorrise divertita, appoggiando la mano sull’avambraccio di Tooru. «Scusaci, ma non possiamo davvero parlarne.»

«Dovete aver fatto molto danno, allora.» Shukumei non si interessò minimamente dello sguardo duro di Mutsuki, non si rimangiò quell’affermazione. «Ultima cosa, allora.»

«Aspetta, vedo uno spettro.» Aiko la bloccò, sporgendosi in avanti per salutare la persona ammantata di nero che aveva appena fatto il suo ingresso silenzioso. «Associato alla classe speciale Sasaki, quanto tempo!»

L’ex mentore dei Quinx alzò la mano guantata di rosso in segno di saluto, sorridendo alle tre persone al tavolo, ma contrariamente alle aspettative dei due ex sottoposti, non si avvicinò. Andò filato al bancone, sussurrando la sua ordinazione a Touka.

«Allora Urie ha ragione, ci sta evitando» disse Masa alzando le sopracciglia, prima di sospirare leggermente amareggiata. L’espressione sul viso di Mutsuki era impagabile. Sembrava un misto di tristezza e delusione, con gli occhi leggermente granati fissi su quello che fino a due settimane prima era il ragazzo che preparava loro la colazione, puliva le orecchie di Saiko e li trattava come se fossero i suoi cinque figli. Aiko studiò il partner, non sentendosela però di dire nulla di fronte a Shukumei. L’essere ignorato così dall’uomo di cui era palesemente innamorato doveva fargli male. Molto male. «Quindi, l’ultima questione?»

Shukumei, che si era tenuta fuori da tutta quella situazione, reggendo in mano la penna mentre osservava i due agenti seduti allo stesso tavolo e le loro reazioni, balbettò una risposta sconnessa, controllando nuovamente gli appunti.

«Labbra Cucite»  ricordò alla fine, controllando un paio di vecchi fogli annotati dagli angoli stropicciati. «Di questo ghoul non so proprio nulla di nulla.»

Masa non fece una piega. Tenne lo sguardo sollevato, annuendo alle parole di Shukumei come se avesse capito di chi stava parlando, pronta a raccontare qualcosa su se stessa. Ormai ci era abituata, infondo.

«Non sappiamo molto di Labbra Cucite. Sappiamo quasi meno di lei che di Lisca» le spiegò, appoggiandosi con le braccia al tavolino. «Stando a quanto ci hanno detto alcuni ghoul che abbia catturato e imprigionato nella Cochlea, è il boss della diciannovesima e che il suo secondo è il famoso Soldato. Non sappiamo il sesso, ne la provenienza, anche se un paio di informatori sostengono ch e sia una giovane ghoul femmina di provenienza straniera, probabilmente cinese, alle dirette dipendenze di Tatara.»

«Sapete solo questo?»

«Sì, questo è quanto ci ha detto Fueguchi. Abbiamo stimato il rating Labbra Cucite a S-, ma non sappiamo nemmeno che tipo di cellule rc abbia. Quando c’è stato l’attacco alla sede del ccg della diciannovesima non ha agito direttamente e non era presente al furto dei camion di qualche mese fa.»

«Oggi mi è andata proprio male.» Shukumei chiuse l’agenda e la ripose in borsa, prendendo il portafogli. «Non ho puntato i ghoul giusti.»

«Spero per te che tu non li incontrerai mai, questi ghoul.»

«Sicuramente Dente di Fata no.» Con un sorriso, passò i soldi a Touka, offrendo l’ordinazione anche ai due agenti per il disturbo. Quando la cameriera si allontanò dal tavolo, la giornalista non si trattenne oltre. «Se devi continuare a guardarla così la consumerai» constatò, ammiccante. «Dovresti chiedere il numero a Kirishima

«Non sono interessato a persone del genere, grazie.»

Tutto nella frase di Tooru suonò sbagliato. Per iniziare, il tono sfrontato che non lo rappresentava affatto. Poi le parole scelte, per niente gentili, in netta contrapposizione col suo modo di essere. Aiko lo guardò con le labbra socchiuse per lo stupore per tutti i secondi di silenzio che passarono. Poi, quando Mutsuki si alzò in piedi bonfonchiando delle scuse sbrigative e indossando il trench, ritrovò la parola. «Ehi, tutto ok?»

«Vado a casa» rispose, prendendo la sua valigetta.

«Ok, andiamo.»

Non la fece alzare. «Preferisco prendere la metropolitana. Ho bisogno di un attimo per pensare. Ci vediamo allo chateau.»

Ad Aiko non rimase molto, se non guardarlo andare via.

«Ho detto qualcosa di sbagliato, vero?»

Riportando gli occhi sulla giornalista, Masa sospirò. «A quanto pare. È un periodo molto difficile per lui e io non sono la persona adatta per fargli da partner. Non ho la delicatezza d’animo di Sasaki, anche se non sembrerebbe, visto che se ne è andato senza dire nulla.» Anche Masa si alzò, indossando il cappotto di ordinanza che arrivava fino alle caviglie, velocemente. Magari sarebbe riuscita a convincere Tooru a tornare insieme e, magari, parlare con lei. «Vado anche io. Domani ho un appuntamento con la morte, non vorrei mancare o arrivare stanca.»

«La morte.»

«Puoi chiamarla Donato Porpora se preferisci.» Shukumei la guardò impressionata, alzandosi a sua volta per andarsene. «Non hai mai provato a ottenere un’intervista con lui? So che l’iter è molto lungo, ma posso assicurarti che è un’esperienza formativa.»

«Il problema è la Cochlea.» Salutarono insieme Kirishima, che rispose invitandole a tornare presto. «Mi mette i brividi.»

«Non posso darti torto.»

Si salutarono proprio di fronte all’ingresso. Shukumei si avviò sulla sinistra, mentre Masa cercava con gli occhi il collega. Si dovette arrendere presto; la strada era deserta e a lei non rimase altro se non tornare per conto suo, prendendo in mano le chiavi della macchina.

«Odio guidare», sussurrò tra sé e sé, entrando nell’abitacolo a appoggiando la valigetta della quinque nel sedile accanto al suo, prima di avviarsi, con la prospettiva di un bagno e un piatto di riso, probabilmente, scondito. Ciò le strappò un sorrisetto un po’ ironico.

«Amo la mia vita.»

 

 

Continua…

 

 

NdA

 

Nuovo caso, nuovi indizi.

Grazie a Virginia per aver betato questo capitolo e per quelli che beterà d’ora in avanti.

Ho pronto tutto fino al capitolo diciotto, quindi spero di metterne qualcuno in più nei giorni  che seguono, in concomitanza con le vacanze di Pasqua.

Se avrò voglia.

Fatemi venire voglia voi, visto che ho sforato le seicento letture.

 

Buona serata e buona settimana!

C.L.

 

 

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Capitolo 16
*** Il caso Tightrope Walker - 2 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

Nella Cochlea faceva sempre freddo. Forse erano le grida, la tristezza e la disperazione dei prigionieri a rendere il carcere gelido.

Masa c’era già stata e nonostante non fosse particolarmente impressionabile, non si sentiva a suo agio. Le guardie tenevano gli occhi vigili ma bassi e salutando in modo stiracchiato gli agenti che arrivavano per portare a termine gli interrogatori. Appoggiandosi al parapetto di cemento armato, Aiko guardò prima in basso, verso l’ultimo livello che sembrava avvolto da un’ombra oscura, e poi in alto, verso i tre piani sopra alla sua testa e all’enorme soffitto a raggiera metallica, in quel momento chiuso.

Non l’aveva mai visto aperto, ma sapeva che era da lì che Aogiri aveva fatto breccia oltre un anno prima.

Si appoggiò con i gomiti alla barriera, lasciando spaziare lo sguardo su tutte le dimensioni, attendendo il ritorno di Hirako. Non aveva ben capito perché aveva chiesto a lei di accompagnarlo lì e non Kuramoto. Dava per scontato che lui la ritenesse un’inetta, per questo l’aveva presa sotto la sua ala protettiva dopo la morte di Orihara e il suo periodo di congedo, terminato la settimana precedente. Magari voleva darle una lezione di vita, tenendo conto del prigioniero che dovevano visitare, o forse voleva solo fare qualcosa per lei con cuore sincero.

«Mikasa ha detto che dobbiamo aspettare ancora qualche minuto. Porpora non è pronto a riceverci.» Take si appoggiò accanto a lei, tenendo il telefono in mano. La guardò, studiandone il profilo, ma Aiko non si voltò per ricambiare lo sguardo. Il caposquadra pensava di sapere cosa le passasse per la testa. «Vuoi parlarne?»

«Purtroppo non c’è troppo da dire», sussurrò lentamente, abbassando gli occhi sul tutore nero che le teneva fasciato il polso destro, ancora provato dall’incontro con il Gufo col Sekigan. Era fortunata ad avercelo ancora quel braccio. Ipocrita. «Sai, i miei fratelli sono sempre stati in competizione per qualsiasi cosa. Scuola, sport, donne e poi lavoro, stipendio e riconoscimenti. Quando Shinichi è sparito nel nulla mi sono chiesta come Hiroshi avrebbe potuto rilanciare. Sicuramente non mi aspettavo di andare al suo funerale, ma non posso negarti che non mi dispiace poi così tanto. Triste, vero?»

Hirako incrociò le dita delle mani di fronte a sé. «Non credo di avere i mezzi per poter in qualche modo esprimere un giudizio in merito.»

«Eppure il mio fascicolo l’hai letto bene. Nelle mansioni di un caposquadra c’è anche l’obbligo di conoscere molto bene i propri sottoposti.»

Take alzò un sopracciglio, quando Aiko si accostò appoggiandosi con la fronte al suo braccio, sospirando pesantemente come se si sentisse stanca. In effetti, sembrava che non dormisse da giorni. «Sei fortunata che io non sia un buon capo, allora.»

«Poco ma sicuro, mai classe speciale

«Hirako? Potete venire entrambi ora, se volete. L’abbiamo fatto entrare nella stanza degli interrogatori.» Masa sollevò il capo senza fretta, trovandosi a guardare quello che a primo impatto sembrava un ragazzo poco più grande di lei. Scontrò i suoi occhi con quelli magenta del secondino, che ricambiò per nulla a disagio. Il sorrisetto che le dedicò rivelava quanto fosse sicuro di sé. «Io sono Huso Tsubasa», le si presentò mentre percorrevano il corridoio, allungando una mano per stringere quella della giovane e mostrandosi quindi molto occidentalizzato nei modi. Lei ricambiò, senza fare una piega, prima di guardare la porta bianca di fronte alla quale sarebbero presto entrati. «C’è chi dice che Donato Porpora sia il vero volto del diavolo.» Aiko si voltò verso Tsubasa, studiandone il viso. Era ancora agli inizi dei suoi studi di psicologia, ma sapeva riconoscere la soddisfazione quando la vedeva. «Sei pronta per entrare all’inferno?»

«Sei cristiano?», gli domandò a bruciapelo, adocchiando poi una collanina d’oro che spariva dentro le divisa beige da secondino. Sicuramente doveva portare una croce sul petto. «Interessante. Per questo sei il suo secondino?»

Lui fece un passo indietro, senza nascondere una sottile vena di divertimento.

«Aiko», la richiamò Take mentre lei ancora lo studiava. «Sii seria ora.»

«Non posso essere seria», rispose la ragazza, lasciandolo fare mentre le allacciava i bottoni della camicia viola che indossava quel giorno fino al colletto. «Così come tu non puoi essere divertente. Ma stiamo per partecipare a una messa?»

«Fidati, non vuoi dargli motivi di provocarti.»

Nell’arco di dieci minuti, Masa aveva già compreso cosa intendesse Hirako. Donato Porpora era un uomo all’apparenza innocuo, anziano. I suoi occhi e il suo sorriso invece avevano qualcosa di puramente diabolico. Ogni volta che la guardava, le veniva la pelle d’oca, come se la stanza si fosse improvvisamente fatta più fredda. Nella sua pura malvagità, Donato sembrava trarre piacere non solo dalla paura, ma anche dalla loro frustrazione.

Non collaborò e dopo quaranta minuti, Take aveva finito le argomentazioni sufficienti. Lanciò uno sguardo alla ragazza accanto a lui, ma lei non aveva staccato gli occhi nemmeno per una frazione di secondo da Porpora. Sembrava un cane in punta costante, non rispondeva nemmeno alle provocazioni.

«Forse le è venuto un colpo, Hirako», suppose il ghoul, inclinando di lato il capo, mentre si massaggiava un polso. «Una bella ragazza, molto giovane. Scommetto che è nuova.»

«Perché non ci dici tutti i nomi e la chiudiamo qui, Donato?», lo incalzò nuovamente Take, con il solo risultato di sentirsi ridere in faccia.

«Perché non mi puoi dare nulla in cambio. Perché dovrei farti rovinare i miei affari per niente?»

La porta della stanza si aprì alle loro spalle e Mikasa si affacciò, facendo riflettere parecchio Masa sul fatto che quell’individuo dall’aria malata faceva molta più paura del ghoul dall’altra parte del vetro. Chiamò Hirako dicendogli che c’era un problema e questi si alzò, lasciando il suo trench sulla sedia. Quando guardò Aiko, la ragazza scosse piano il capo.

«No, io rimango», rispose alla domanda silenziosa del suo capo, sventolando la mano. «Anche io voglio provare a parlare con lui.»

«Non credo che-»

«Sarà un bell'esercizio in vista dell’esame di psicologia criminale. Vai, non preoccuparti per me.»

Hirako non sembrava per nulla convinto, ma alla fine annuì, girando attorno alla sedia e seguendo il direttore del carcere. Aiko voltò il capo per guardare la porta chiudersi e quando furono soli, si alzò in piedi a sua volta. Si sfilò il cappotto, guardando Donato Porpora che aveva iniziato a ricambiarle il favore, studiandola attentamente e in silenzio, con un certo divertimento ad animargli gli occhi.

«Signor Porpora», iniziò Aiko, lanciando uno sguardo alla telecamera e aprendosi i due bottoni della camicetta che Take aveva provveduto a chiudere prima del loro ingresso. «Perché non mi viene incontro? Io do qualcosa a lei e lei dà qualcosa a me.»

«Pensi di avere qualcosa che possa volere da te?», le chiese lui, appoggiandosi con i gomiti al tavolino di fronte a sé. La guardava con attenzione. «La sola cosa che potresti darmi è un pezzo della tua carne, ma non credo che tu ne abbia abbastanza su quelle ossa lunghe per farmi fare anche solo uno spuntino.»

Anche Masa si avvicinò al tavolino, che era parte integrante della parete del vetro antiproiettile. Si mise a sedere su di esso, parlando piano. «In cambio dei nomi che ci servono, sono pronta a darle informazioni importanti su una persona a cui lei tiene molto.»

Lui ridacchiò sotto i baffi, per nulla impressionato da quella sicurezza. Le mani di Masa tremavano, lo aveva notato subito. Apprezzava però il tentativo, era affascinato dal coraggio che ci stava mettendo, tradito dalle iridi liquide. «Chiunque sia il tuo informatore, deve averti ingannata.»

«Io so cosa è successo ad Amon Kotaro.» Come una stilettata, un lampo attraversò le iridi di Porpora, facendole venire un tuffo al cuore. «Il mio informatore non mi ha ingannata.»

Le labbra del ghoul si sciolsero in un sorrisetto appagato. «Molto bene, uccellino. Inizia prima tu, allora.»

Cinque minuti dopo, Aiko uscì da quella stanza. In mano teneva le due valigette e il trench del collega, che trovò alla fine del corridoio. Parlava fitto con Mikasa e si stupì non poco di vederla arrivare.

«Hai deciso di scappare?», le domandò senza particolare crudeltà, prendendo i suoi effetti personali.

Per risposta, Aiko alzò un sopracciglio. Infilò la mano  dalla tasca della giacca elegante che indossava, mostrandogli poi un foglio come se fosse scontato o di poco conto. Glielo schiacciò contro il petto, avviandosi agli ascensori. «Io ti aspetto fuori, ho bisogno di fumare.»

Hirako lesse i nomi scarabocchiati con una calligrafia piccola, rialzando però gli occhi sulla collega che si stava allontanando. «Aiko», la chiamò con tono fermo, costringendola a fermarsi. «Come?»

Lei sbuffò, incolore. «Non faccio così schifo come credi tu, vedi?»

Fece un cenno di saluto a Mikasa, prima di entrare nell’ascensore. Non appena le porte si richiusero di fronte a lei, si passò una mano nei capelli corti, sorridendo appena.

La sua nuova vita era iniziata esattamente come aveva predetto Eto.

Come l’attimo di silenzio prima di uno scrosciante applauso.

 

Capitolo sedici.

«Buongiorno, Donato. Ti trovo bene. Nuovo taglio di capelli?»

C’era qualcosa di malsano nel modo in cui Aiko si era rivolta al ghoul di rating SS che le guardava da dietro il vetro antisfondamento, Tooru ne era sicuro. C’erano delle situazioni in cui la sua partner era disturbante, ma quella le batteva ufficialmente tutte.

La guardò accomodarsi sulla sedia con infinita naturalezza, un po’ come aveva fatto anche Sasaki mesi prima, quando si erano rivolti al medesimo informatore. Quella volta l’aveva preso in contropiede, sperava che non sarebbe successo più.

«Agente Masa, ma che piacere.» Con un sorrisetto di sbieco, Porpora osservò il volto del vice caposquadra, concentrandosi subito dopo sulla presenza dell’altra colomba. «Il secondo di Haise Sasaki. So che ha deciso di tornare alla squadra Arima.»

Aiko non sembrò colpita dal fatto che Donato fosse così informato. Sapeva più cose di loro riguardo i colleghi del ccg, ne era sicura. «Stiamo subendo delle risistemazioni dell’organico, non sto nemmeno a raccontarti che brutta storia sia.»

Lui non voleva saperne di smettere di fissare Tooru. «Quindi ti ha abbandonato? Immagino che grande vuoto abbia lasciato.»

«Donato.» Masa lo richiamò, così da fare in modo che guardasse lei e non Mutsuki, che non si era ancora seduto, in apnea. «Abbiamo poco tempo, purtroppo. Oggi sei determinante più che mai.»

«Cosa fareste senza di me?» Con mani bramose afferrò i fogli che l’agente gli passò attraverso la sottile feritoia, iniziando ad osservare con curiosità le scene del crimine raffigurati in quelle foto. «Ah, so benissimo di chi parliamo», disse con tono carezzevole, passando il dito su un dettaglio. «Questi segni sul muro sono unici, fatti da un kagune che conosco molto bene. Conoscevo almeno, lo avete ammazzato.»

«Se l’avessimo ammazzato non sarebbero morte dieci persone.» Il telefono di Aiko suonò e lei lanciò uno sguardo allo schermo, prima di rigettare la chiamata. Urie avrebbe aspettato ancora un po’. «Dimmi qualcosa di sorprendente, andiamo.»

«La prima volta che ho visto una cosa del genere è stato nel sessantasei», iniziò a raccontare con cipiglio quasi malinconico. «Il primo della famiglia dei Funamboli si chiamava Mihino Saburo ed era un vero artista. Un ottimo elemento, certo, ma suo figlio Kairo era anche meglio. Ha lavorato molto bene per me, fino a che non ha incontrato quell’agente pazzo, quello che ha perso la moglie a causa del Gufo.»

«Non mi hai dato molto per stringere il campo», disse sarcastica Masa, segnandosi il cognome, in grande al centro del foglio, sull’agenda. Lanciò un’occhiatina a Mutsuki, ma sembrava persistere nella sua condizione di lampada da interni, così proseguì quell’intervista da sola. «Penso che tu stia parlando di Kureo Mado», aggiunse infine, guardando Porpora annuire.

«Che brutta faccia aveva quello.»

«Non dirlo a sua figlia», gli fece presente Aiko, prima di scioccare la lingua. «Parlando di figli, Saburo ne aveva?»

«Uno solo. Un ragazzo dalla faccia poco sveglia, di uno stampo diverso rispetto il resto della sua famiglia.» Donato guardò una delle foto più attentamente, scuotendo il capo. «Una buona imitazione degli schemi del padre e del nonno, ma c’è troppo caos in questa composizione. Poi non c’è passione, non c’è la sincera vena sadica dei Saburo. Per questo Senza Faccia lo ha bandito dai clown.»

«Quindi lo avete buttato fuori?»

«Non aveva proprio la stoffa della grandezza e mancava completamente del senso dell’umorismo. A cosa può servire un clown che non fa ridere?» Restituì le foto, incrociando le mani di fronte a sé e studiandone le rughe che ricoprivano il dorso, in un dedalo complesso. «Sai, Masa, io non sono un uomo nostalgico, ma ci sono collaboratori che ogni tanto mi ritrovo a ricordare. Se avessero visto cosa è diventato l’ultimo dei Saburo, si sarebbero vergognati. Per questo supporto la decisione di Senza Faccia, soprattutto dopo il grande tradimento che ci ha fatto quel pivello.»

Aiko sentì che c’erano quasi. La risposta era proprio dietro l’angolo. «Quale tradimento?»

«A quanto ne so, era innamorato di una ragazza umana. Ha trovato un lavoro e ha cercato di inserirsi nel mondo.» Donato scosse il capo, grave. «Che pessima, pessima decisione.»

«Dammi qualcosa di consistente, Donato.»

Il ghoul sorrise, mostrando i canini. «Posso farlo?»

«Sì. Decisamente.»

La guardò, prima di annuire. «Va bene, allora. Stai cercando Youto Saburo. Se posso consigliarti da dove iniziare penso che dovresti…», il telefono riprese a suonare e per la seconda volta, lei lo spense. «Sembra importante.»

«Forse è meglio che facciamo una pausa o stasera lo strozzo.» Aiko si alzò, appoggiando la penna sul tavolino. Lanciò uno sguardo a Tooru, che annuì piano, senza spostarsi di un centimetro. Poi si rivolse a Porpora. «Un secondo solo, Donato.» Si avviò quindi, tenendosi però fuori dalla porta chiusa, senza spostarsi. La chiamata durò circa due minuti e la causa scatenante di tutta quella fretta era ovviamente Matsuri che pretendeva di avere immediatamente delle informazioni. Dopo aver liquidato velocemente il caposquadra riattaccò, facendo per entrare.

Tooru uscì in fretta, rischiando di sbatterle contro. Non le diede il tempo di parlare e le ricordò un po’ se stessa, quando a sua volta era uscita da quella stanza,incontrando Take. Non aveva la stessa determinata e vittoriosa espressione però. «Saburo lavora alla banca Imperiale di Tokyo», le fece sapere, scartandola mentre cercava di uscire. «Chiamo io per avere il mandato per i loro registri. Ti aspetto in auto.»

«Tooru?», allargando le braccia, Masa lo guardò sfrecciare via. Gli arti ricaddero lungo i fianchi e non le rimase altro che rientrare. «Cosa gli hai detto?»

«Non so di cosa parli.»

«Va bene, non importa.» La mora tornò a sedersi, alzando una mano in un movimento preciso. Sapeva che c’era Tsubasa a guardarla oltre la telecamere e sapeva che di lì a cinque secondi non ci sarebbe stato più l’audio nella registrazione. Guardò di nuovo Donato, sapendo a che punto erano di quella visita.

Lui però la sorprese. «Io non ho detto nulla», sussurrò con tono canzonatorio, come se quell’intera situazione lo stesse divertendo parecchio. «Il ragazzo è già abbastanza squilibrato di suo. Fossi in te farei una ricerca su di lui.»

Aiko riflettè su quelle parole, realizzando che però non era il caso di giocare al ‘caro diario’ con Donato Porpora. Tirò un sorrisetto, passando oltre.

«Parliamo di Amon.»

Un sorriso si dipinse sulle labbra del prete, crudele e freddo come l’inverno.

 

 

Dopo aver passato la mattinata a controllare e ricontrollare i permessi che puntualmente Matsuri le rigettava sostenendo che non erano chiari abbastanza, Masa aveva ottenuto il via libera di andare personalmente alla banca Imperiale a fare qualche domanda, senza però avere fra le mani un mandato.

Matsuri si divertiva a metterle i bastoni fra le ruote, questo era poco ma sicuro, e lei sapeva che non poteva biasimarlo visto che il passatempo preferito della ragazza era quello di deriderlo o fargli fare figure ben poco onorevoli. Seminava ciò che raccoglieva. In ogni caso, scavalcandolo, aveva chiesto direttamente alla sola persona che sapeva avrebbe firmato qualsiasi cosa senza leggere. Per questo aveva preso Komoto e lo aveva scaricato direttamente di fronte alla sede centrale della banca, con in mano un mandato firmato da Arima Kishou per visionare le registrazioni inerenti al personale di sicurezza. Aveva un identikit molto dettagliato datole da Porpora in persona ed era certa che Saburo non avrebbe mai usato il suo vero nome per ottenere un contratto lavorativo.

Aveva scavalcato il classe speciale Washuu senza farsi nemmeno un problema, ben decisa a continuare a sfruttare lo Shinigami Bianco. A nessuno sarebbe mai venuta la malsana idea di fargli rapporto o andare anche solo da lei a dirle che non poteva. Arima valeva molto più di Matsuri, nonostante non fosse lui il figlio del direttore Yoshitoki.

Non si sarebbe più sottomessa all’umiliazione di presentare dodici richieste per vederle tutte rigettate o ridimensionate.

Dopo averlo detto nemmeno troppo candidamente al capo della squadra S2, che si era inalberato nel suo solito modo vagamente contenuto, era tornata a casa senza avere nemmeno una notizia di Tooru. L’aveva chiamato due o tre volte, prima di realizzare che aveva blaterato qualcosa circa una pista che voleva provare a seguire. Aveva quindi preso quel pomeriggio da sola per farsi un lungo bagno avvolta dal vapore dell’acqua bollente a contatto con la pelle, fino a renderla rossa. Cullata dei profumi dei sali da bagno aveva perso un po’ di tempo. Quando era uscita erano quasi le sei e la stanza non era più vuota.

«Mi hai comprato la cioccolata?», fu la prima cosa che chiese a Urie, quando lo vide. Quando questi alzò una mano, senza staccare gli occhi da un fascicolo, mostrandole la tavoletta avvolta dalla carta bianca e azzurra, lei andò verso di lui contenta. «Buonasera», gli disse, afferrando il dolce e stampandogli un bacio proprio sopra all’orecchio, nel modo più rumoroso possibile. Kuki tremò sul materasso, guardandola male e cercando di scostarla, quando Aiko si appoggiò a lui con i capelli bagnati. «Il rapporto di Tooru sull’interrogatorio a Porpora?»

«Come mai lo hai fatto fare a lui?»

«Perché non ha mai lasciato la cella, al contrario di me. Dovevo rispondere a un rompipalle.» Aiko tornò verso il comò, portando con sé lo sgabello sul quale Urie di solito si appoggiava per dipingere. Sistemò l’asciugamano sul petto, prima di accendere il phon per asciugare i capelli, con un pezzo di cioccolato che le sporgeva dalle labbra sottili.

«Sai a cosa stavo pensando?», domandò retorica quando spense l’apparecchio rumoroso, senza voltarsi a guardarlo. Nei cassetti condivisi non trovava mai niente, così prese ad aprirli più o meno tutti, incasinando anche la roba dell’altro.

«Non mi interessa, Aiko.»

«Abbiamo maturato un sacco di ferie.» Lei ovviamente proseguì, incurante. «Dovremmo prenderci una settimana a giugno. Andiamo al mare?»

«Andiamo? Andiamo chi? Senti, questo rapporto ha parecchie omissioni, lo hai letto? Tooru non ha scritto nemmeno una riga su ciò che è successo mentre tu eri in corridoio.»

«Se pensi di fare il taccagno ti sparo. Non rimarremo a Tokyo, perché la spiaggia di Odaiba fa un po’ schifo. Voglio andare a Shirahawa o su una delle isole di Okinawa, tipo Main. L’ideale sarebbe andare proprio fuori dal Giappone, perché conoscendoti staresti sempre al cellulare con il tuo scopamico Matsuri che oggi mi ha-»

«Aiko

Lei lo guardò, prima di puntargli contro il reggiseno minacciosa. «Io non ho contatti con Mutsuki da questa mattina a colazione. Poi mi sono occupata della parte legale mentre lui seguiva una pista di cui non mi ha parlato. Anche io l’ho letto e aspettavo solo che fossi tu a fare il tuo lavoro di caposquadra. Non pretenderai che faccia tutto io, no?»

«Tutto tu?», Urie alzò un sopracciglio, tornando al rapporto. Il reggiseno gli arrivò in faccia, preciso al millimetro. «Non hai il diritto di offenderti. Non fai proprio niente.»

«Chi ha cucinato ieri?»

«Io.»

«…Chi ha fatto il bucato per tre giorni di fila?!»

Il ragazzo lasciò perdere quell’ennesima battaglia persa in partenza. Sospirò, sfogliando velocemente il fascicolo prima di richiuderlo. Sembrava pensieroso. «Vado a parlarci non appena rincasa, allora. Hai provato a chiamarlo?»

«Per tutto il giorno.» Tenendo in mano l’intimo, Aiko andò a sedersi dietro di lui. «Però non mi risponde.»

Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi il caposquadra passò a un altro rapporto, stavolta di Hsiao. Masa lanciò un’occhiata alla scrittura perfetta della taiwanita, prima di schioccare la lingua contro il palato. Sorrise maliziosamente, appoggiando il mento sulla spalla di Urie. «Quindi, dove mi porti in vacanza?»

«A Fukushima.»

La ragazza lo sorprese. Invece di lamentarsi per quella battuta per nulla simpatica allungò le mani avanti, aprendogli la cintura dei pantaloni.

«Ok, Cookie. Riproviamo.»

Urie guardò verso il basso, prima di allungare un occhio indietro. Accanto alla sua spalla era apparso il braccio della ragazza che reggeva in mano l’asciugamano giallo che l’aveva avvolta fino a quel momento. Gli si asciugò la bocca.

Aiko lo lasciò cadere a terra.

«Dov’è che mi porti?»

 

Alla fine della sessione di sesso Masa aveva ottenuto otto giorni di ferie insieme a Kuki a metà giugno. La data precisa era ancora da definirsi, ma grosso modo avevano un’idea e lei avrebbe prenotato entro la fine della settimana da qualche parte, così da non dargli il tempo di ritrattare.

Avevano perso tempo a letto, lei a prenderlo in giro e lui a concederglielo, notevolmente ammorbidito dall’amplesso e dalle carezze che lo avevano succeduto. Nonostante giocassero entrambi la carta dell’amicizia con benefici, il tempo che trascorrevano insieme iniziava a diventare imbarazzante. Lei aveva passato le dita fra i suoi capelli umidi di sudore per lunghi minuti, così tanti che si erano fatte le otto e mezza. Convinti che Mutsuki fosse tornato e che Saiko e Hsiao stessero aspettando la cena, si erano costretti a rivestirsi. Urie aveva optato per una doccia veloce, dando precise disposizioni a Masa: accendere il forno, mettere a bollire una pentola di acqua e preparare una padella con dell’olio, magari iniziando a tagliare le cipolle senza lasciarci le dita.

«Tanto ricrescono e nessuno disdegna troppo la carne umana», lo aveva ripreso lei ridendo, mentre si infilava un paio di culotte nere e la camicia dello stesso Urie, a mo’ di trofeo. Poi aveva ignorato le lamentele del ragazzo sul fatto che quella fosse la sua ultima camicia nera pulita ed era sfrecciata giù per le scale, con i piedi scalzi che battevano piano il parquet di legno.

«Saiko!», aveva trillato saltando gli ultimi quattro gradini e atterrando con agilità. «Mucchan è tornato?», aveva proseguito, lanciando uno sguardo ai divanetti e immobilizzandosi subito dopo. Oltre alle due colleghe, c’erano altre due paia di occhi a fissarla.

Rimase ferma di fronte a loro, con le gambe lasciate nude dagli slip e dalla camicia, che arrivava di pochissimo a coprirle quel poco di coscia. Urie non aveva poi il busto molto più lungo del suo, ma quella era palesemente una camicia da uomo. Si vedeva dalle spalle.

«Uhm?»

Yonebayashi, che stava sogghignando senza pudore, alzò una mano indicando quelli che erano palesemente due adolescenti molto interessati allo spettacolo. «Macchan, ti presento i due nuovi Quinx arrivati in anticipo: Higemaru Toouma e Aura Shinsempai. Lei è il vicecaposquadra Masa Aiko.»

Entrambi rimasero imbambolati su quelle gambe chilometriche per un paio di secondi, mentre l’ossigeno tentava di affluire al cervello. Solo quando Aiko parlò, tornarono in contatto con la realtà e si alzarono contemporaneamente, chinandosi con rispetto al superiore, rossi in viso come due pomodori maturi.

«Piacere di conoscervi ragazzi.» Lei non sembrava nemmeno lentamente a disagio, solo sorpresa. «Siete giovincelli eh? Dovrò iniziare a mettermi dei pantaloni.» Nonostante questo, comunque, non andò a cercare qualcosa con cui coprirsi nell’immediato. Guardò piuttosto Saiko, mentre Higemaru blaterava qualcosa che somigliava molto a un ‘amo questo lavoro’ detto a mezza bocca. «Perché non ci hai chiamati?»

«L’ho fatto.»

La mora sviò. «Tooru?»

Saiko le fece spazio, togliendo il braccio così che Aiko riuscisse a sedersi sul bracciolo del divanetto, perplessa. «Non lo abbiamo ancora visto», le rispose, sorpresa. «Non lavora con te?»

«Oggi avevamo da fare troppe cose, tutte insieme.» Portando il telefono all’orecchio, Masa riprovò a chiamare. Nessuna risposta. «Ti dirò, inizio a preoccuparmi un po’. Non lo sento da questa mattina e sta indagando sul caso del Funambolo.»

Saiko parve condividere la sua preoccupazione, mentre Hsiao lanciava uno sguardo abbastanza eloquente alle due nuove leve, distratte in modo eccessivo da quelle gambe. «Forse dovremmo dirlo al caposquadra?»

«Tanto ora scende.», le rispose Masa, alzandosi e andando verso la cucina, prendendo una pentola e una padella. Non ricordava quale era l’altro ordine di Urie, così con molta nonchalance fece finta di non averlo proprio sentito. «Quindi, siamo diventati tanti in questa casa. Preferenze alimentari?»

Aura era troppo imbarazzato per aprir bocca. Higemaru invece non si fece nemmeno uno scrupolo a raggiungerla nell’angolo della cucina, sedendosi al tavolo. Ironicamente, al posto di Urie. «Qualsiasi cosa il vicecaposquadra cucinerà, andrà bene.»

«Io so fare il riso bianco», rispose lei, cogliendo al balzo quella sorta di flirt molto dolce. Higemaru sembrava un quattordicenne. «Lo chef sta arrivando», lo mise al corrente, sentendo dei passi per le scale.

«Aiko, giuro che se mi hai già sporcato la camicia, te la ficco in gola!»

Masa e Yonebayashi si scambiarono uno sguardo di puro divertimento, ma nessuna delle due riuscì a trattenersi dal ruggire una risata di fronte alla faccia dei novellini. Higemaru aveva guardato Urie, che fra l’altro lo stava fissando piuttosto perplesso dalla presenza sua e dell’altro giovane, con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa. Aura era diventato praticamente di marmo.

Non c’erano speranze che i due non avessero capito la situazione, tanto che Hsiao sospirò, ripetendo le esatte parole che erano state dette a lei al suo arrivo. «Stanno insieme.»

«Non è vero!», ripeterono quei due a copione, mentre Hige iniziava a guardarli entrambi con la faccia di chi si è fatto una bella idea in testa. «Chi siete, quindi?», domandò stanco il caposquadra, accendendo il forno e facendo ricordare a Masa che anche quello era suo compito.

«I due nuovi Quinx.», aveva risposto proprio Aiko, lasciandolo un po’ a corto di risposte. Bell'inizio, notevole anche per noi due, era stato il primo pensiero del ragazzo, che però poi era arrivato alla conclusione che era meglio tenere i panni sporchi in casa. «Siamo preoccupate per Tooru, comunque. Non riusciamo a contattarlo.»

Urie rizzò le orecchie a quelle parole, puntando gli stretti occhi serpentini sul suo vice. «Non risponde ancora al cellulare?»

«No. Sono quasi dodici ore che non mi fa sapere la sua posizione.»

Il ragazzo allungò la mano. «Dammi il tuo telefono, provo io e se non risponde allora allerterò Matsuri. Sai almeno dove potrebbe essere?»

Masa gli diede lo smartphone, scuotendo il capo. «No. Ma non credo sia ancora nella prima. Mi aveva detto che voleva fare qualche domanda al negozio di maschere e partire da lì, ma non so altro.»

«Quindi ha iniziato nella quarta? Hai il numero di quel tipo strambo, no?»

«Uta?», Masa non sembrava convinta. «Preferisco non chiamarlo. Vediamo prima se riesci a contattare Tooru.»

Non appena Kuki portò il telefono all’orecchio, seppur ovattata, una melodia arrivò alle loro orecchie. Un grattare di chiavi nella toppa precedette l’entrata di Mutsuki, che reggeva fra le mani il telefono. «Aiko?», chiamò, permettendo così a Urie di riagganciare.

«Mucchan!», lo chiamò Saiko. «Eravamo tutti preoccupati, dove sei stato?»

Il ragazzo era più pallido del solito. Sorrise tirato a Yonebayashi, guardando verso la cucina dove Hige e i due superiori lo esaminavano in attesa. Sia Urie che Masa erano visibilmente sollevati, in ogni caso. «Vi chiedo scusa», sussurrò, imbarazzato, prima di rivolgersi solamente a Urie. Sembrava teso. «Posso parlarti in privato?», domandò, stringendo fra le mani la cintura del trench, strizzandola.

Il moro annuì, rivolgendosi ad Aiko. «Taglia le cipolle», le disse con tono tirato, ferendola un po’. C’era qualcosa in quel suo modo di porsi, come se la stesse già preventivamente incolpando di qualsiasi cosa potesse essere successo a Tooru.

Masa comunque gli rispose che l’avrebbe fatto subito, guardandoli sparire al piano superiore, prima di avvicinarsi al divano, seguendo una scia d’odore.

«Lo hai sentito?», le chiese subito Saiko. Masa annuì. «Non è umano, vero?»

«No.» Aura guardò alternativamente Aiko, ferma come un cane da caccia in punta e poi i due Quinx da poco arrivati come lui, poi tornò sul vice. «Non credo nemmeno che sia ghoul, ma è forte. E tanto

«Cosa succede?», chiese Higemaru, che non stava capendo assolutamente niente. Per evitare di creare qualsiasi incidente diplomatico, Masa mosse la mano davanti al viso, tornando da lui in cucina.

«Niente», gli sorrise, prendendo dal frigo la cipolla e un tagliere, che mise sotto al naso del ragazzo. «Aiutami a cucinare e dimmi qualcosa di te, avanti.»

Il ragazzo rispose entusiasta, ma non gli sfuggì l’occhiata veloce che Aiko scambiò con Saiko.

Sembravano sapere qualcosa che non avrebbero condiviso con lui.

 

Urie e Mutsuki non si videro per un po’, così a cucinare ci finì Hsiao. Quando Urie riapparve era scuro in volto e mangiò poco del pollo saltato con le verdure che la taiwanita aveva preparato, rivelandosi una cuoca decisamente migliore di lui.

Mangiò in silenzio, mentre i due nuovi acquisti si raccontavano, sotto lo sguardo velatamente preoccupato di Aiko. I piatti da lavare spettarono alle due colleghe, così dopo aver sistemato nelle stanze i ragazzi – Hige avrebbe dormito nella vecchia stanza di Masa, mentre Aura in quella di Urie – andarono spediti in camera.

Anche lui sembrava desideroso di parlarle.

«Allora?», chiese con una certa apprensione Masa, mentre il ragazzo andava al letto, lanciando nel cestino il rapporto di Mutsuki. Quel gesto la lasciò per un istante senza parole. «Cookie, cosa è successo?»

«Tooru oggi non ha fatto nessuna ricerca», la informò spicciolo il moro, sedendosi sul materasso che cigolò sotto di lui. «Ha parlato con Suzuya e poi col direttore Washuu, chiedendo un trasferimento a tempo indeterminato verso un’altra unità, come supporto a causa della scarsità di personale nelle squadre di prima linea.»

«Aspetta», lo interruppe lei. «Mutsuki ha deciso di lasciare i Quinx?»

Urie non rispose direttamente alla domanda. «Ha chiesto un’aspettativa di una settimana e poi inizierà a lavorare con Suzuya e i suoi, fino a che non verrà riassegnato a un’unità bisognosa. A quanto pare, solo quella squadra ha deciso di accollarsi il rischio di avere un Quinx fra le proprie file.»

Masa andò a sedersi accanto a lui, con le labbra schiuse per lo stupore. Quella notizia arrivava come una fucilata nella notte. Tutto si sarebbe aspettato, ma non quello. «Ti ha detto il motivo?»

«Ha detto che non si sente a suo più agio nella squadra, da quando abbiamo cambiato gli assetti. Mi ha ripetuto che non ha niente a che fare con il lavoro che stavate svolgendo insieme, me lo ha detto così tante volte che inizio a pensare che volesse convincersene da solo per non scaricare su di te tutta la colpa.»

Aiko lo guardò, improvvisamente all’erta. «Stai dicendo che pensi che sia colpa mia se ha deciso di andare via?»

«Lo hai lasciato da solo con Porpora.»

«Due minuti! Avevo un grado molto inferiore al suo la prima volta che Hirako mi ha lasciata in una stanza da sola con lui.»

Lui non la ascoltò nemmeno. «Forse le hai messo qualcosa in testa?»

«Non gli ho messo nulla in testa», corresse calcando soprattutto sul maschile, prima di alzarsi, fuori dalle grazie del cielo. «Sai cosa penso? Non accetti il fatto che la tua leadership gelida, rispetto a quella di Sasaki, potrebbe aver messo Tooru nella condizione di voler provare qualcosa di diverso. Per questo preferisci scaricare a me la colpa, perché ammettere che forse sei un capo di merda è troppo per il tuo enorme ego.»

Sapeva di averlo ferito profondamente, soprattutto perché Aiko era perfettamente a conoscenza dei sentimenti contrastanti che Kuki provava verso Mutsuki. Forse si era innamorato dell’idea che sotto Tooru fosse una ragazza, che forse lo capiva o chissà quale altra parabola mentale, ma Aiko non avrebbe accettato niente di tutto ciò perché, alla fine di quella storia, quando Tooru avrebbe liberato la stanza, ci sarebbe stata lei a raccogliere i cocci di Urie per tutta la casa.

Come sempre.

Però lui non si era minimamente curato di denigrarla, dimostrando che allora pensava davvero che lei non solo non sapesse fare il suo lavoro, ma che forse non era nemmeno portata a essere un capo.

«Mi chiedo perché mi hai nominata tuo vice, quando non ti fidi di me.» Lo disse tagliente come una spada, soffiato, in modo che dalla voce trasparisse tutta la delusione che provava in quel momento. Si rifiutò di guardarlo, prendendo un cuscino e una coperta dall’armadio.

Lui non la fermò.

Non disse niente.

Lei arrivò a prendere anche un paio di pantaloni e infilarli, prima di lasciare la stanza. Non se ne andò in silenzio, ad ogni modo.

«Sai, ti atteggi a grande investigatore, ma non ti sei nemmeno accorto che il vero problema di Tooru è il non lavorare più con Sasaki. Perché lo ama, coglione.»

Uscì tirandosi dietro la porta, puntando diritta il divano sul quale avrebbe dormito di lì al giorno in cui si sarebbe liberata la camera di Mutsuki. Non sarebbe probabilmente successo, non avrebbe lasciato la stanza di Urie, ma in quel momento bruciava così tanto che avrebbe preferito chiederlo lei, il trasferimento.

Si sentiva messa in discussione per qualcosa che non aveva fatto, perché delle tante cattiverie delle quali si era vista protagonista in quegli anni, l’impegno che metteva nei Quinx ne rappresentava il riscatto.

Impegno che però non vedeva riconoscimenti.

 

 

Continua.

 

 

 

Nda.

Grazie a Virgy per la betatura <3

Grazie a chi legge.

 

C.L.

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Capitolo 17
*** Il caso Tightrope Walker - 3 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

Il colpo fu così tanto forte da mandarla al tappeto, in uno stato di semi incoscienza. Attorno a lei le ombre si spostarono caotiche, i suoni si ovattarono, mentre il tempo si dilatava. Poi, come uno schiaffo in pieno viso, la realtà si ripresentò insieme a un forte senso di nausea che la costrinse a reprimere un conato. Si spostò sull’asfalto a gattoni, afferrando Inazami e usandola come sostegno per mettersi in piedi. L’allora associato alla classe speciale Juuzou Suzuya aveva preso una strada che da uno svicolo ad ovest sbucava direttamente sulla base operativa di Aogiri, la quale era l’obiettivo primario da smantellare. Supportata dalla squadra Hirako e da quelle di Hachikawa e di Aura, la squadra Suzuya stava facendo piazza pulita di ogni ghoul che si trova di fronte, ma non con poca fatica.

«Stai bene, Masa?»

Orihara, il suo partner da quando è stata spostata nel team guidato da Take, sei mesi prima, la guardò preoccupato. Orihara era un uomo tutto d’un pezzo, con i capelli argentati e un’età tale che sarebbe potuto essere suo padre. Si comportava un po’ come se lo fosse. Come se quella ragazzina magra, allampanata, con gli occhi gialli come quelli di un gatto sempre all’erta fosse una bambina da proteggere, più che qualcuno da cui farsi guardare le spalle.  Dopo aver abbattuto l’elemento che aveva la aveva, aveva avanzato qualche passo verso di lei e le aveva scostato i capelli, notando il taglio sulla fronte, provocato dal casco. Il ghoul l’aveva urtata con il kagune, facendola sbattere forte contro il muro di mattoni rossi a vista di un palazzo.

«Potresti avere una costola rotta, siediti.»

«Sto bene.»

«Torna verso il campo base di Marude, avverto l’equipe medica di venirti incontro.»

«Sto bene!»

Erano stati distanziati dal resto della squadra a causa di quell’attacco codardo sulle retrovie. La trasmittente di Aiko era danneggiata e solo quella di Orihara poteva servire come ponte di collegamento fra loro e Take. Senza contare che non aveva la minima intenzione di abbandonarlo da solo. Per questo parò via il sangue dalla fronte con il guanto, per impedire che le finisse negli occhi, guardandolo poi risoluta «Avanziamo. Questi sono gli ordini. Non separiamoci.»

Lui sospirò, prima di annuire, facendole strada. Aveva preso a cuore quella ragazza per due motivi. Primo fra tutti, aveva una figlia di poco più piccola, quindi non poteva che rivedere una similarità fra le due. Secondariamente, quando aveva per la prima volta incontrato Aiko Masa, era un’anima spezzata. Non aveva mai visto tanta angoscia dentro un paio di occhi così grandi. Era stato lui a chiedere a Hirako di poterla avere come partner, perché era certo che dopo l’Anteiku, quell’orfana di squadra avrebbe potuto fare una sciocchezza. Ogni tanto si ritrovava ancora a pensarlo.

«La squadra di supporto tattico è stata annientata», disse a voce alta il prima classe, mentre le camminava di fronte. «Anche un ramo della squadra S1. Sapevano che stavamo arrivando e si sono organizzati. Fra noi c’è una spia.» Erano mesi che lo diceva, Orihara. Erano state aperte anche delle indagini interne dopo la strage che si era perpetrata durante l’operazione ‘Cielo aperto’ di due mesi prima. Quella di quel giorno, che era una diretta conseguenza dello smantellamento totale delle sedi principali che Aogiri utilizzava nelle varie circoscrizioni, si stava rivelando l’ennesima mattanza.

E la spia, ancora, non si trovava.

Alla sue spalle, Masa abbassò gli occhi sulla punta dei suoi stivali. La vista, leggermente offuscata dal dolore al capo e al busto, le mancò un attimo, tanto che dovette appoggiarsi ad Inazami per riprendere il respiro. Daisuke se ne accorse. Le si avvicinò, costringendola a guardarlo, con la mano sotto al mento e gli occhi velati di preoccupazione.

«Sto bene.»

«Col cazzo che stai bene, Masa. Dovresti aspettare i medici invece di andare verso i guai.»

Un fruscio sinistro arrivò alle loro orecchie troppo tardi. Due ghoul velati da una mantella color vinaccia scesero da un terrazzino basso. Il primo colpì Orihara sulla schiena, facendogli cadere e perdere la presa sulla quinque, prima di venire infilzato nella testa da Aiko, che in uno scatto adrenalinico aveva alzato Inazami appena in tempo.

Il secondo, però, fu più veloce.

La colpì alle gambe, facendola cadere di lato proprio mentre il partner si alzava, prendendole in prestito la lancia per combattere il mostro. Gliela rese una volta recuperato Masamoto, il suo quinque ukaku, col quale iniziò a sparare raggi di calore verso l’avversario.  Aiko, boccheggiando per il dolore alle costole, strisciò fino alla sua Inazami, appoggiandoci sopra una mano. Essa però venne calpestata subito dopo da un piccolo piede avvolto da ganze bianche sporche di terra e sangue.  Il volto coperto non permise a Masa di spiare alcuna espressione, così come non glielo aveva mai permesso dal giorno che le aveva unite per la prima volta, ma era certa che Eto le stesse sorridendo. Portò un dito alle labbra, intimandole di non dare nell’occhio, mentre una leggera risatina si sollevava e le sue spalle tremavano leggermente.

Doveva trovarlo molto divertente.

Aiko stava perdendo di vista la situazione, schiacciata dalla presenza della sua padrona. Alle spalle di Eto si stagliò la sagoma di Orihara che dopo aver settato la quinque nella modalità lama, si stava apprestando a colpire la piccola figura che ancora la sovrastava.

La mente di Masa andò in confusione.

Sentì una fitta allo stomaco e quando socchiuse le labbra per gridare, la lama si era già abbattuta sferzando l’aria, poiché di Eto non era rimasto più nulla. Al suo posto arrivò il fetore del sangue.

Orihara giaceva al suolo, di fronte a lei, privato delle gambe da sotto il ginocchio.

«No!», Aiko gridò, guardandolo rantolare, prima di portare entrambe le mani sulla bocca. Non poteva spostare gli occhi sgranati dall’immagine sofferente dell’uomo, sollevandosi in ginocchio e chiudendosi su se stessa. Non riuscì a dire altro, mentre lui la chiamava, pregandola di combattere, di alzare Inazami. Non avvertì nulla se non le mani di Eto sulle spalle, mentre le si chinava accanto, scostandole il casco di poco per poterle sussurrare piano all’orecchio, in un sospiro delicato. «Non smettere mai di guardare.»

Qualcosa si infranse nel cuore di Daisuke Orihara. La fiducia gli venne meno, quando comprese che quel ghoul non stava per uccidere la sua partner.

Stava per uccidere lui.

«Aiko!», gridò con tutto il fiato che gli era rimasto, cercando di scivolare in avanti per afferrare la lancia, lasciata a terra. Per difendersi e per vivere. «Aiko presto! Alzati! Uccidilo!»

«Sarebbe davvero spiacevole se succedesse.» Seppur Eto fosse così piccola, sembrò pesare tonnellate quando, premendo un piede sulla schiena dell’uomo, lo schiacciò sull’asfalto. Si chinò su di lui, sollevandogli il capo per i capelli e costringendolo a guardare verso Masa. «Aiko-chan non farebbe mai del male a me, vero?»

Strana, la consapevolezza. Colpì Orihara come un treno merci in corsa e lui si sentì come se, per la prima volta, potesse vedere la sua partner in modo cristallino, senza barriere. Una ragazzina, piangente, rannicchiata su se stessa.

Una traditrice codarda.

Una vittima, forse.

«Sei sempre stata tu…», sussurrò, come se improvvisamente la paura fosse scemata in favore di qualcosa di molto peggiore. La delusione.

Aiko non riuscì ad alzare gli occhi per guardarlo. Portò le mani sulle orecchie dopo aver lanciato via il casco in un impeto, dondolando in avanti mentre le lacrime le oscuravano definitivamente la vista. «Mi dispiace!», gridò, in preda agli spasmi per quei singhiozzi violenti. «Mi dispiace così tanto!»

«Devi guardare!», Eto l’aveva imposto e lei non rimase altro che ubbidire. Come ogni volta.

La testa di Orihara si staccò dal collo con un suono orribile. Eto non pareva averci messo la minima forza. La tenne in mano come un macabro trofeo, guardando il sangue zampillare fuori fino a svuotarla. Poi la lanciò con non curanza di lato, portando le dita alle bende e sporcandole di rosso liquido vermiglio. Masa la guardò impietrita e singhiozzante cibarsi della carne attorno alle spalle, prima di aprire un buco nella divisa da sommossa utilizzando un singolo kagune che le usciva da sotto la mantella ampia. Quando strappò il cuore fuori dalla schiena, ormai Aiko era arrivata al limite. «Eto… Ti supplico…»

Voleva andarsene. Voleva cancellare dalla mente quegli ultimi secondi.

Voleva morire.

Il ghuol però non intendeva risparmiarla e aveva in mente qualcosa di molto peggiore. Avanzò verso di lei, reggendo l’organo nel piccolo pugno, insozzando di sangue il cotone delle bende. Poi si chinò alla sua altezza, appoggiando le ginocchia a terra e glielo porse. «Mangialo tutto, Aiko- chan

Masa la guardò, avvilita. Non riuscì a trattenersi dall’agire sconsideratamente. Buttò le braccia attorno al collo del ghoul, stringendosi a lei mentre i singhiozzi si facevano sempre più acuti e alti e il pianto irrefrenabile. Sentiva sulle mani il sangue di Orihara e di tutte le persone che stavano perdendo la vita in quelle missioni che lei stessa riportava ad Aogiri. All’essere al quale ora si stringeva.

«Ti supplico! Uccidimi subito!»

La mano libera di Eto andò ad appoggiarsi al centro della sua schiena, battendola piano. «Come sei stupidina. Io non voglio ucciderti!» le disse, riuscendo solo ad incrementarne il pianto. «Facciamo un patto.» Se la staccò di dosso nemmeno troppo delicatamente, allungando una mano verso di lei come per volergliela stringere. «Tu ora mangerai questo cuore e io ti mostrerò il mio volto.»

Fu strano ciò che successe subito dopo. Come mossa da un demone che la possedeva e la divorava, Masa non strinse nemmeno la mano di Eto. Piuttosto le afferrò il polso di quella che reggeva ancora l’organo. Lo guardò, constatando che non era poi così tanto grande. Iniziò a spaventarsi quando realizzò che stava iniziando a pensare che sì, poteva farlo per vedere il viso della sua aguzzina. Del mostro che la perseguitava e che lei non riusciva ad allontanarsi.  Non era riuscita nemmeno a suicidarsi, spaventata per chissà cosa. Poteva solo continuare quel gioco malato.

«….Solo un morso.»

Eto ridacchiò di nuovo. «Solo un morso», ripeté accondiscendente, alzando il pugno per portarlo di fronte al suo volto. «Ma non imbrogliare, Aiko-chan. Un bel morso. Come a una mela.»

L’odore ferroso era nauseabondo. La consistenza sembrava spugnosa, ma non poteva più tirarsi indietro oramai. Avvicinò il viso due o tre volte, mugolando e piagnucolando, prima di stringere la presa sul polso sottile del ghoul. Quando i denti affondarono nell’organo, staccandone un pezzo generoso, credette di vomitare anche l’anima. Trattenne quel boccone raccapricciante con entrambe le mani, mentre i conati la facevano piegare in due.

«Non vomitare o non vale!» Eto si mise a gambe incrociate, spiando l’investigatrice, cercando di capire se stesse imbrogliando. Dopo aver masticato frettolosamente, Aiko riuscì ad ingoiare. Le sembrò di aver mangiato del fegato crudo d’oca. Il naso le si era riempito col tanfo del sangue e dei tessuti morti, mentre la voglia di rimettere aumentava.

Eto però riuscì a distrarla. Si ficcò in bocca ciò che era rimasto, masticandolo con gusto, prima di spostare il peso sulle ginocchia, abbassando il cappuccio. Le bende iniziarono a sciogliersi, rivelando prima un ciuffo e poi una cascata di capelli di un verde acqua marina singolare, arruffati e selvaggi come le onde dell’oceano. Un viso di bambina sorridente le apparve di fronte, puntellato da due profondi occhi vispi, di un verde bellissimo, come un fiume fresco.

Era bellissima quanto terribile.

«Tu sei…. La scrittrice.» Masa schiuse le labbra, stupita per quella rivelazione.  «Takatsuki Sen.»

«Preferisco che tu continui a chiamarmi col mio vero nome, Aiko-chan.»

Masa si sentì stranamente sollevata. Si era aspettata qualcosa di ben peggiore, invece di fronte a lei c’era un demone assassino sotto le sembianze di una giovane donna. Improvvisamente però, le fece ancora più paura. Abbassò di colpo il capo, ma l’altra non le permise di sfuggire al suo sguardo.

«Ora anche tu sai un mio segreto, piccola sciocca», la prese in giro con tono dolce, bonario, come quello di un’amante. «Stasera è stata una sera importante.» Quando si sporse, coprendo le labbra dell’investigatrice con le proprie, una scarica di adrenalina percorse la colonna vertebrale di Masa. La bocca di Eto sapeva ancora di sangue, ne era impregnata, eppure era calda e soffice. La esplorò con la lingua non appena Aiko glielo concesse, portando la mano coperta di bende ad accarezzarle la linea soffice del volto. Poi, si staccò. «Il nostro primo bacio», sussurrò contro la sua bocca, appoggiandole poi il dito sulla punta del naso, come aveva fatto la prima volta «Non sarà l’ultimo se ti comporterai bene.» Ridacchiando si rialzò, porgendo una mano ad Aiko per aiutarla a fare lo stesso. L’altra compì quei gesti quasi in trance, lasciandosi guidare. «Possiamo anche cenare insieme, una di queste sere. Ora possiamo mangiare le stesse cose, no?» Un brivido attraversò la spina dorsale di Masa. Quella prospettiva era spaventosa, raccapricciante.

Ma eccitante allo stesso tempo, seppure in modo malato. Si sentì spossata da questi sentimenti contrastanti ed Eto parve comprenderlo. Le strinse di più la mano, pulendo con le bende i lati della bocca dell’altra dal sangue rappreso che era sceso fin sotto al mento.

«Che guaio. Se ti trovano viva faranno domande», con un sospiro esageratamente contrito, il ghoul la guardò. «Dovrò mandarti al tappeto.»

«Sopravvivrò?»

Un sorriso si allargò sulle labbra di Eto «Certo che sopravvivrai, se no come facciamo ad andare a cena? Ora buonanotte.»

 

La linea coerente dei suoi ricordi  si infranse su quel sorriso. Ciò che successe dopo rimase un mistero per molto, molto tempo. Quel che ricordò successivamente fu un letto d’ospedale che puzzava di disinfettante, con le coperte troppo rigide. La testa le doleva e non riusciva a muovere un braccio, che realizzò essere appoggiato al petto, coperto da un pesante gesso. Eto glielo aveva spezzato per dare più credibilità alla sua storia. Accanto a lei, addormentato su una sedia, con le braccia incrociate sul petto e il capo a penzoloni, c’era Kuramoto Ito. Masa ci mise qualche minuto a realizzare però si trovasse lì, fino a che venne investita da un forte senso di nausea.

Il taglio sulla fronte. Inazami abbandonata al suolo. Lo sguardo di disgusto. Il sorriso di Eto. Il cuore. Il cuore. Il cuore.

Si sporse oltre il bordo del letto iniziando a vomitare quel poco che aveva nello stomaco, mentre la saturazione saliva insieme al battito cardiaco facendo fischiare le macchine a cui era collegata. Fotogramma dopo fotogramma, la morte di Orihara tornò a tormentarla. Perse il senso della logica, non capendo più se ciò che vedeva riflesso negli occhi dell’uomo, nei suoi ricordi, fosse reale o semplicemente una sua esagerazione mentale.

Un’infermiera arrivò con un bicchiere di acqua e un fazzoletto, mentre Kuramoto cercava di farla smettere di piangere. Oltre al braccio rotto e all’emorragia cerebrale, Aiko aveva anche due costole incrinate e un trauma da compressione allo sterno. Per evitare che potesse in qualche modo ferirsi da sola muovendosi troppo, la sedarono.  

Sconfitta dai fumi del calmante, Aiko si rivolse a Kuramoto, che le teneva la mano accarezzandole piano il dorso. «Devo dire a Take che è tutta colpa mia», sussurrò con tono spento, sconfitto.

Per risposta, Ito portò via ognuna di quelle lacrime che le scendevano silenziose sulla guancia con la punta di un dito. «Non lo è. Ora dormi, Aiko. Ti sentirai meglio, domani.»

Non si sarebbe sentita meglio. Lui non avrebbe capito.

Ma avrebbe presto imparato a sopportarlo. Non l’avrebbe fatto per se stessa, ma perché sarebbe stato più semplice diventare la persona che Eto voleva.

Non aveva scelta, non poteva sottrarsi, ma non voleva nemmeno sentirsi in quel modo.

 

Avrebbe rinunciato alla sua umanità, quindi?

 

Capitolo diciassette.

Con Tooru in aspettativa nell’attesa del trasferimento, a Masa venne a mancare il partner. Ebbe la possibilità di scegliere tra i due nuovi membri e alla fine decise che a lavorare con lei sarebbe stato il giovane Higemaru Touma.

«Mi piacciono i suoi nei», fu la giustificazione causale che diede al caposquadra, il quale non aveva notato che il ragazzo aveva una coppia di nei paralleli, più piccoli dei suoi, ma sotto ciascun occhio. «Ormai mi sono abituata a certi dettagli.»

La verità era che Hige guardava al mondo con occhi curiosi e ad Aiko, quella curiosità, piaceva parecchio. Era una mente ancora acerba su cui poteva mettere le mani, magari indirizzarlo verso una specializzazione più investigativa e meno fisica. Soprattutto in virtù del fatto che al contrario di Shinsampei, Higemaru sembrava sottile come un rametto.

E anche parecchio con la testa fra le nuvole, così tanto da dimenticarsi di ritirare il suo badge. Fu quindi costretto ad accedere all’interno della struttura con un pass da visitare, iniziando il luogo iter per ottenere i permessi di accesso come Quinx e non come cadetto. Masa aveva colto la palla al balzo per andare alla macchinetta del caffè, dove aveva incontrato i tre piccoli porcellini.

«Komoto, Shimura e Aizawa. Perché non sono stupita?»

«Perché anche tu sei sempre qui?»

Ivak le aveva lanciato uno sguardo colmo di ovvietà, prima di passarle la sua chiavetta prepagata, come per farle intendere che un vero gentiluomo offriva sempre il caffè a una signora. Lei ne aveva approfittato ringraziandolo, certa che in qualche modo, conoscendolo, Aizawa avrebbe riscosso successivamente i frutti di così tanta magnanimità. Si era appoggiata al divanetto su cui era accomodato composto Komoto, fra le mani un termos azzurro, pieno del caffè che si era preparato da solo prima di lasciare il suo ufficio. Quello era già un diretto indizio della sua percezione della realtà un po’ sballata, che l’aveva portato non sono a tingersi i capelli di un improbabile quanto acceso fucsia, ma anche a pensare che qualsiasi cosa potesse entrare in contatto con altri esseri umani, allora era da dirsi contaminata.

Aiko non voleva sapere come facesse ad andare in bagno negli orari lavorativi.

Era però un’eccellenza nel suo mestiere, come del resto anche gli altri due uomini lì presenti. Se non fosse stato così, sarebbero stati licenziati da tempo per la loro poca voglia di sbrigare i loro doveri.

«Ho trovato il tuo uomo», disse di fatti l’informatico, passandole una cartellina con dentro le foto prese dalle telecamere di sorveglianza. Il tizio in questione aveva davvero una faccia poco raccomandabile, Aiko lo pensò subito. «Ho eseguito una comparazione fra l’identikit fornito da Porpora e tutti i dipendenti di tutte le sedi della banca Imperiale del Giappone qui a Tokyo e lui corrisponde al profilo.»

Masa tamburellò il dito sulla foto, nel punto in cui era raffigurato il collo dell’uomo, dove spiccava il tatuaggio di un piccolo omino che camminava su una corda tesa. Piccolo, stilizzato, ma evidente. Komoto aveva anche effettuato un ingrandimento. «Senza dubbio è il nostro uomo. Sede?»

«Sedicesima.» Komoto prese un sorso di caffè, guardandola con il capo appoggiato allo schienale e l’espressione un po’ abbattuta. «Non posso fare altro per te? Mi annoio.»

«Puoi rintracciare il simpaticone che mette sempre fuori uso il mio conto in banca e i miei pagamenti online.», gli rispose lei, facendolo sospirare.

«Quel tizio odia tutta la ex squadra Hirako. A Take ha di nuovo fatto saltare tutte le carte di credito.»

Non avevano idea di chi fosse questo piccolo genio informatico che si divertiva a prendersela con loro, ma erano certi che fosse una vendetta sottile. Avevano Komoto però, che era uno degli hacker migliori in circolazione e annullava gli effetti tragici del loro anonimo nemico.

«Povero Take», disse Masa con molta poca convinzione, mentre continuava a guardare le foto.

«Siamo acidelli oggi, eh», la riprese subito Aizawa, «Non dirmi che il mio biscottino preferito ha fatto cilecca a letto.»

Nemmeno a farlo apposto, Hige riapparve giusto per assistere alla scenetta. Masa gli sorrise, passandogli il fascicolo, per poi rispondere al dottore, «Se il suo unico compito fosse quello di scoparmi, allora forse la nostra relazione non andrebbe così male», gli rispose a tono, facendolo ridere, mentre gli altri tre uomini si chiedevano come reagire alla dichiarazione abbastanza esplicita della donna. Alla fine anche Hige ridacchiò, capendo molto bene le dinamiche che intercorrevano in quella che era diventata anche casa sua, ma non staccando comunque gli occhi dalla testa pelata di Saburo. «Il problema è  uno solo: deve fare il capo, ruolo che non lo veste molto bene visto il suo caratterino assai poco mite. Abbiamo litigato e ora non ci parliamo.»

«Da quanto?»

«Dodici ore. E ho dormito sul divano.»

«Così non va bene», scosse il capo Aizawa. «Non è così che l’ho cresciuto. Non si lasciano le signore a dormire sui divani.»

Shimura riportò l’attenzione sul lavoro, facendo un cenno alla ragazza. «Come pensi di andare avanti col caso?», le chiese, realmente interessato.

«Alla vecchia maniera.» Aiko riprese e appoggiò il fascicolo sul divano, permettendo così a Komoto di prenderlo, visto che il ragazzo non accettava niente che gli venisse porto direttamente. Tenne però una foto da mostrare. «Niente dispacci telematici, rischieremmo di farlo scappare. Vado alla banca e vedo se qualcuno mi sa dire dove vive, come si faceva chiamare e magari dove posso trovare la sua ragazza. Direi che è la pista migliore che abbiamo al momento. Se siamo fortunati entro cena avremo qualche posto da rovesciare da capo a piedi.» Dopo averlo spiegato, appoggiò la mano sulla spalla di Higemaru. «Pronto?»

«Attenta Aiko», le disse Ivak, non permettendo a Touma di rispondere. «Questo è piccolo. Se ti porti a letto anche lui sicuramente andrai in prigione.»

Lei non gli diede nessuna soddisfazione. Portò il braccio attorno alle spalle del nuovo partner, facendolo arrossire appena. «Non ascoltarlo, Hige-kun. È solo geloso perché lui deve inventarsi una fidanzata fittizia per non passare da vecchio scapolo probabilmente vergine.»

Ivak parve indignato. «Come scusa? Non è inventata, lei esiste. Certo che litigare con tuo marito ti fa proprio male, Masa.»

«Non preoccuparti, Aizawa, c’è chi trova l’amore solo dopo la mezza età. Anche se tu ci sei già no?», gli sorrise la bastarda, dandogli la schiena insieme al partner per avviarsi all’uscita, rotta sedicesima circoscrizione. «L’amore arriverà. Magari ti presento un’amica di mia madre!» proseguì alzando il tono per coprire quello del dottore che si stava già lagnando acidamente con Shimura. «Ciao ragazzi!»

«Ma quelli chi erano?» le domandò perplesso Hige non appena uscirono di nuovo sotto al sole.

Aiko si abbassò gli occhiali scuri sugli occhi, prima di sospirare piano. «Tre topi di laboratorio che è meglio se tieni alla larga.», blaterò, prima di precederlo verso la macchina. Dover guidare la rendeva acida, non le liti con Urie.

Quelle erano la normalità.

 

Alla sede della banca Imperiale nella sedicesima molti dipendenti identificarono Saburo come Ogawa Kaede, una ex guardia giurata che aveva lavorato per loro per circa otto mesi. La coppia di investigatori ottenne un indirizzo, le coordinate bancarie del conto su cui veniva versato lo stipendio e, infine, un nome parziale della sua fidanzata.

Kikyo, la cameriera del Mondo del Pancake.

Alla fine, il conto risultò intestato a un’anziana donna deceduta da quattro anni – era normale che i ghoul rubassero le identità o alcune comodità degli esseri umani passati a miglior vita- così come anche l’appartamento. Lo ispezionarono, trovando dei vestiti maschili e qualche residuo di carne andata a male nel frigo, ma Saburo sembrava aver lasciato quel nascondiglio da almeno un mese.

Secondo il suo ex datore di lavoro, il capo della sicurezza, ai piani alti avevano deciso di licenziarlo a inizio gennaio perché il suo temperamento era diventato ingestibile. Era sempre sull’attenti, scattava con poco e si era rivelato minaccioso verso i suoi superiori e il personale della banca più di una volta. Secondo Porpora, i Clown lo aveva buttato fuori in via definitiva a febbraio. Dagli ultimi giorni di marzo, non era stato più in grado di essere discreto e aveva preso a uccidere in modo indiscriminato per nutrirsi e, forse, per sfogarsi.

«Un topo in trappola», constatò Masa, digitando un paio di parole sul motore di ricerca. Gli occhi erano fissi sul telefono, tanto che Hige si rese conto che parlava con lui solo quando riprese. «Trovarsi da solo a questo mondo, senza più l’appoggio dei Clown…. Deve essere stato spaventoso per lui.»

«Sembra che ti dispiaccia.»

Aiko sorrise lievemente, senza guardarlo. «Sentirsi soli, isolati, è uno dei dolori più strazianti che si possano provare in vita.»

Lui rimase a boccheggiare, stordito dal tono striato di sofferenza che la ragazza aveva usato. Negli occhi di Masa era dipinta una malinconia evidente, ma Hige se ne accorse solo in quel momento. «Mi dispiace», soffiò, col tono di un bambino colto in fallo, durante una mascalzonata.

Masa lo guardò con la coda dell’occhio, scuotendo il capo. «Sei una persona così pura e spontanea», constatò l’investigatrice con tono vago. Poi tirò un sorrisetto amaro, «Ti prego di rimanere così sempre, Touma

Lui non replicò, abbassando il capo e chiedendosi cosa stesse succedendo. Era strana, quella situazione, ambigua. Non aveva capito come ci erano arrivati, né come ne sarebbero usciti. Aiko copiò e incollò un numero nella rubrica, prima di chiamarlo, mostrandogli la via per tornare alla normalità. Inserì il vivavoce e attese, guardando gli occhi chiari dell’altro. Poi qualcuno rispose.

-Buongiorno, risponde il Mondo del Pancake. Come posso aiutarla?-

«Buongiorno, sono l’agente Masa Aiko, posso parlare con Kikyo?» Un borbottare rapido le preannunciò che l’avrebbero subito chiamata. «Non diciamo che siano del ccg», aggiunse mentre attendevano di poter parlare con la ragazza. «Era la fidanzata di un ghoul da quasi un anno. Non accetterà di incontrarci senza una convocazione ufficiale se sa che siamo noi a dargli la caccia. Vorrei evitare di portarla in sede o non potrò non denunciarla.» Hige annuì, senza chiedere nulla. Fu lei ad aggiungere altro. «Anche se è contro la legge, capisco chi protegge i ghoul. Non decidi di chi innamorarti, non credi?»

«No, immagino di no.»

Una vocina sottile rispose alla chiamata e subito Aiko si presentò come un agente, sostenendo che stava indagando sulla sparizione del signor Ogawa e che voleva farle qualche domanda. La giovane dall’altra parte della cornetta si disse sollevata, perché aveva chiesto alla polizia di fare luce su quella mancanza ormai da giorni, ma che non avevano fatto nulla. Aiko le garantì che ci avrebbero pensato loro e le chiese di potersi incontrare per rispondere a qualche domanda di routine.

Ebbe un appuntamento per quella sera stessa, alle sette, al bar :RE.

«Una volta arrivata, chieda alla cameriera di me. Sicuramente le saprà indicare il tavolo. Le auguro buona giornata.» Riattaccata la chiama si voltò verso il collega. «Io devo andare ancora in un posto, ma visto che è presto, puoi prendere la metropolitana e tornare a casa a riposarti e mangiare qualcosa.»

«Se vuoi posso accompagnarti!»

Aiko gli sorrise, coinvolta da tutto quell’entusiasmo. «Scusami, ma è una cosa che voglio fare da sola.», ammise, stroncandolo un po’, prima di tirargli la guanciotta. Rimise in modo la macchina, avviandosi verso la prima circoscrizione. «Ora ti spiego il motivo, se vuoi.»

 

 

Una rosa bianca su una lapide nera. 

Una ragazza seduta sull’erba verde del cimitero, circondata dal silenzio e dal vento.

C’era qualcosa di poetico in quella scena, Aiko doveva ammetterlo bene a se stessa nonostante non fosse mai stata particolarmente egocentrica.

Strappò con la mano un paio di fili d’erba che finivano sopra alla lastra di granito nero, prima di prendere un fazzolettino per ripulire la superficie lucida, passando dentro ogni singola incisione che segnava il nome della persona che riposava in quel punto. Quando arrivò alla foto non esitò, mettendoci tanto olio di gomito quanto bastava per levare ogni residuo delle intemperie dal vetrino protettivo.

Rimase lì per un po’, seduta sul suo trench, con accanto la valigetta di metallo della quinque e le braccia lasciate nude dalla maglietta a maniche corte nera.

«Mi sono sempre chiesto chi è che ogni diciannove di aprile veniva a portare una rosa bianca sulla tomba di mio padre.»

Non lo aveva sentito arrivare, segno che anche lui stava iniziando a diventare bravo ad apparire magicamente nei posti meno adatti. Molto male, si ritrovò a pensare la ragazza. «Oggi è martedì», disse lei, senza alzare gli occhi per guardarlo, ma allungando le gambe per accavallare le caviglie. «Non sei a pranzo con Matsuri?»

«Non mi andava.»

«Cazzo, gli avrai spezzato il cuore.»

Il caposquadra non commentò, limitandosi ad aprire i bottoni del suo trench e lasciandolo cadere a terra come aveva fatto poco Aiko. Si sedette su di esso, accanto a lei, controllando l’ora sull’orologio. Poi rimase in silenzio meditativo, sistemando uno dei due guanti neri che indossava nonostante il caldo.

Masa iniziò a pensare seriamente che fosse tutta una questione di eccessiva igiene personale e che glieli avrebbe visti addosso anche a luglio. «Ti ha detto Higemaru che potevi trovarmi qui?» L’assenza di risposte fu la risposta stessa. «Piccolo traditore. Pensare che lo sto anche viziando. Oggi gli ho permesso di mangiare non uno, ma due cornetti al cioccolato, per colazione.»

«Sei ancora arrabbiata con me?»

«No, solo che dormire sul divano mi ha fatto venire male al culo», fu la risposta pregna di sarcasmo della mora, che poi prese un bel respiro. Stavano per litigare al cimitero, fantastico. «Mi fa incazzare che quello che ci siamo urlati addosso ieri è stato ingiustamente squilibrato. Io ho detto cose che non pensavo, mentre tu sì. Devo correre ai ripari e trovare subito un paio di cattiverie da sbraitarti addosso.»

«Nemmeno io le pensavo. Non credo che fossi tu la causa della decisione di Mutsuki», le disse lui, con tono tranquillo, facendole abbassare le spalle fino a quel momento tese come quelle di una fiera pronta ad attaccare per prima. «Mi ha solo preso in contropiede.»

«Una metafora calcistica, interessante.» Per il nervosismo, Aiko strappò un paio di margheritine, facendole letteralmente a pezzi. «Mi dispiace se la tua cotta ha deciso di cambiare aria. Prendertela con me però non farà cambiare idea a Tooru.»

Urie aggrottò la fronte, guardandola. «Non ho capito.»

«Ah, non ti sei ancora accorto che lui ti piace?»

Lui la scrutò in tralice, come se effettivamente non stesse capendo cosa stesse succedendo. «Posso evitare di assecondare i tuoi vaneggiamenti, per oggi?», le domandò diretto, prima di sbuffare. «Cosa devo fare per fare pace con te?», rilanciò stizzito e Aiko non gli rispose, dando per scontato che ci poteva arrivare da solo alla conclusione che il solo modo che aveva per chiarire l’intera situazione era scusarsi come si doveva. Sorprendentemente, fece di meglio. Si sporse verso di lei così da riuscire a prendere qualcosa dalla tasca posteriore dei pantaloni.

Quando gliela passò, Aiko rimase un attimo senza parole. «Hai comprato dei biglietti aerei? Mi stai chiedendo di scappare a Las Vegas per sposarci?»

«Abbiamo deciso Okinawa, no?» Non la stava guardando, troppo imbarazzato dall’idea mostrare che allora, sotto sotto, anche lui aveva un’anima. «Sei giorni e non usciremo dal Giappone. Mi sembra legittimo, così non ti darò tutta la soddisfazione di avere deciso l’intera vacanza. Sono anche le mie ferie, dopotutto.»

Masa rimase ferma con quei pezzetti di carta densi di molti significati in mano, prima di annuire lentamente, con gli occhi fissi in un punto imprecisato del prato. «Wow. Non so proprio come commentare, sai? E poi credo che limonare di fronte alla tomba di tuo padre potrebbe risultare un po’ offensivo.»

«Un po’

«Va bene, evitiamo scandali.» Lo sguardo di Masa si era già spogliato di ogni ostilità e addolcito, quando si sporse per lasciare un casto bacio sulla guancia di Urie. Appoggiò poi il capo alla sua spalla, tornando a guardare verso la tomba nell’esatto istante in cui anche lui lo fece. «Tutti fanno errori. Per questo su ogni matita c’è una gomma.»

Kuki ci pensò su. «L’ho sentito dire da diversi anziani, sai?»

Una gomitata lo mise di nuovo a tacere, permettendo al soffiare del vento di riempire i silenzi fra loro. Aiko rimase ferma per diversi minuti, con gli occhi chiusi e una sensazione di sollievo alla bocca dello stomaco. Si sentiva molto meglio dopo aver chiarito, doveva ammetterlo.

Urie riprese a parlare, rivelandosi più chiacchierone del solito. «Mi chiedevo», iniziò cauto, facendo presagire a Masa che qualsiasi cosa stesse per dire, non le sarebbe piaciuta poi così tanto. «Cosa hai provato quando ti sei trovata di fronte al gufo col sekigan?»

Pensava che sarebbe andata peggio di così. Non avrebbe nemmeno dovuto mentire, nonostante fosse abituata a farlo ogni qualvolta ci si avvicinava all’argomento Eto. Prese un piccolo respiro, prima di ricordare nitidamente la prima volta che l’aveva vista davvero, consapevole che invece Urie si riferisse allo scontro nel quale aveva perso la vita Orihara. Infondo quella era anche la prima volta che aveva avuto la possibilità di vedere il vero volto di quello che era un piccolo mostro travestito da coniglietto. Sul momento, non aveva mai provato tanto terrore in vita sua.

«Ho pensato solamente che non esistevano possibilità che una cosa del genere potesse venire sconfitta.» La mano della ragazza cercò quella di Kuki, stringendola delicatamente e facendo intrecciare le loro dita. «Quando ho potuto rifletterci un po’ su, oltre a ringraziare ogni divinità mai inventata dall’uomo per avere avuto una possibilità come quella di andare avanti con la mia vita dopo averla incrociata con la sua, mi sono chiesta come è possibile che esistano persone così coraggiose da dire ‘vai, sarò io ad affrontare questo enorme ammasso di schifo sotto forma di kakuja’. E allora ho capito che no, non sarò mai così tanto coraggiosa da frappormi fra i miei uomini e un ghoul potente.»

Il ragazzo appoggiò la guancia alla sua testa, «Non hai provato a ucciderlo?»

«No. Non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello. Da quell’esperienza ne sono uscita con un braccio rotto, quattro costole incrinate, una commozione cerebrale e la metà della poca sanità mentale che già mi era rimasta. Un po’ patetico, non pensi?»

Lui non rispose.

Aiko ci pensò su, poi si ritrovò ad aggiungere, «Non sono Arima, dopotutto. Certi esseri umani nascono con la grandezza nel sangue. Io al massimo posso offrire un po’ di tentacle porn

Urie, così concentrato e preso dalla conversazione e dal suo peso, si fece trovare impreparato a quella battuta. Sbuffò una mezza risata, prima di staccarsi di dosso la ragazza e alzarsi in piedi. «Io ci rinuncio, con te è impossibile avere una conversazione decente.» Aiko lo guardò pulirsi i pantaloni, così da levare la polvere. Quando le porse la mano per aiutarla a tirarsi su lei la accettò, chinandosi per raccattare il trench. Poi notò quello di Urie.

«Grigio scuro?» gli chiese, passando una mano sul tessuto così opaco da sembrare nero anche sotto alla luce del sole. «Suzuya penserà che stiamo cercando di emulare la sua squadra.»

Urie scosse il capo, prendendo la valigetta della giovane. Quindi, le porse il braccio.

«Andiamo a casa?»

Lei sorrise e lo accettò, passando il suo contro quello dell’altro e stringendolo.

«Andiamo a casa.»

 

 

«Vice caposquadra, posso farti una domanda?»

Masa prese un tiro dalla sigaretta, arrivando a consumarla fino al filtro. La spense quindi in uno dei posacenere al lato della strada,  guardando Higemaru.

«Chiamami Aiko», gli disse con tono gentile, ma un po’ da presa in giro. «Durante uno scontro, se urli vice caposquadra siamo tutti morti prima della P.» Il ragazzino arrossì appena, blaterando un cenno affermativo a quella richiesta, mentre entrambi entravano all’interno del :re. «Ciao, Kirishima», salutò come sempre Masa, indicandogli il giovane dai capelli rosa dietro di lei. «Nuovo partner.»

«Ormai ne cambi uno al giorno», fu la risposta di Touka, «Il solito?»

«Per me sì, Hige

Il ragazzo mosse una mano, «Il the freddo andrà bene.»

Aiko lo guardò divertita, mentre si sedevano a un tavolino vicino alla vetrata laterale del bar. «Sei proprio un adolescente», lo canzonò bonaria, aprendo il trench che iniziava a diventare difficile da portare. La bella stagione era ufficialmente arrivata, portando con sé un frizzante vento caldo. «Quindi?», lo incalzò. «Cosa volevi chiedermi? Abbiamo qualche minuto prima che la signorina Kikyo del Mondo del Pancake

arrivi.»

Lui pareva incuriosito, ma usò comunque un certo tatto nel porre la sua domanda. «Mi chiedevo cosa ci facevi al cimitero militare oggi pomeriggio. Il caposquadra ha capito subito quando gliel’ho detto – e tra parentesi non ho avuto scelta, è spaventoso quando vuole qualcosa.»

Aiko accavallò le gambe, infossandosi nelle spalle mentre con i gomiti si appoggiava ai braccioli della sedia di legno. «Oggi sono…. Fammi pensare.» Mordendosi il labbro, contò a ritroso. «Quattordici anni. Sì, ne sono già passati così tanti dal giorno in cui il padre di Urie mi ha salvato la vita, uccidendo un ghoul che stava per divorarmi.»

«Oh», gli occhi di Touma brillarono. «Il classe speciale Urie», ricordò, annuendo attentamente e mostrandosi anche uno studente modello che aveva prestato lezione durante le lezioni di storia del ccg all’accademia. «E ora lavorate insieme, conducendo una squadra. È una cosa così-»

«Se dici romantica di faccio ingoiare il porta tovaglioli, Hige

Touma non terminò, prendendo il bicchiere ricolmo di the freddo con tanto di ghiaccio e limone direttamente dal vassoio di Touka per bere e tenersi la bocca impegnata. La cameriera servì anche il cappuccino, prima di allontanarsi, sorridente come sempre. Sicuramente, soppesò Masa, si sentiva molto meglio con Higemaru che con Mutsuki attorno. La poteva capire, l’ultima volta che Aiko si era recata al :re con Tooru, questi si era comportato da pazzo.

Uno scampanellio preannuncio l’apertura della porta. Entrarono due ragazze molto giovani, sulla ventina, una castana dai lunghi capelli ondulati e l’altra più bassetta, biondiccia con una miriade di forcine colorate a tenere domati i ricci vaporosi. Andarono al bancone e fu quest’ultima a chiedere a Touka dell’agente Masa della polizia. La cameriera la guardò sorpresa, prima di indicarle il tavolo dove le due colombe osservavano la scena in silenzio.

«Di agente Masa ne conosco una sola», disse Kirishima. «Però non è della polizia.»

La reazione delle due giovani fu abbastanza eloquente. Mentre la brunetta sistemava la borsa sulla spalla, abbassando gli occhi sul pavimento con una mano che lentamente lisciava la gonna a ruota a fiorellini gialli, l’amica si irrigidiva, diventando di cemento. Guardò entrambi gli investigatori di ghoul, che si alzarono con educazione per salutare.

«Cercate me», si presentò la donna. «Io sono il primo livello Masa Aiko, mentre questo è il mio collega, il terzo livello Higemaru Touma. Vi prego di accomodarvi.»

Riluttanti, le due giovani, eseguirono. Il solo ragazzo al tavolo prese dalla tasca del trench un blocchetto note, pronto a segnarsi tutto. «Immagino che sia lei Kikyo del Mondo del Pancake», domandò con educazione alla mora, piuttosto remissiva.

Fu l’altra a rilanciare, senza fare nulla per nascondere la palese irritazione e mostrando al contempo un caratterino tutto dire. «In realtà sono io», iniziò. «Per gli amici sono anche Oneda Kikyo, comunque. Questa è una mia amica, Koijima Sadako, mi ha accompagnata visto che dalla sedicesima è un viaggio piuttosto lungo.»

Touma segnò entrambi i nomi, lasciando la parola al suo superiore. «Mettiamo le carte in tavola», disse con franchezza, dopo aver preso un sorso di cappuccino al ginseng. «Lei è infastidita perché siamo del ccg. Sa benissimo quindi anche perché l’abbiamo contattata.»

«In realtà mi sfugge.»

«Perché lei era fidanzata con un ghoul e questa è una netta quanto grave violazione delle nostre leggi, signorina Oneda

Ciò che accadde dopo fu abbastanza grottesco. Kikyo iniziò a fingere di non sapere di cosa la donna stesse parlando, dicendo che il suo ragazzo, Ogawa, era un gran lavoratore con qualche grillo per la testa, ma assolutamente una brava persona. Lo fece in modo così teatrale che nessuno le credette. Persino la sua amica la guardava con un certo biasimo negli occhi.

«Signorina Oneda», la richiamò Masa. «Questa cosa può finire in due modi: lei parla e io faccio finta di non sapere che lei ha coperto per mesi un ghoul, oppure la arresto seduta stante con l’accusa di aver protetto un pericoloso ghoul che ha commesso dieci omicidi nelle ultime settimane e lei può giocarsela fra l’ergastolo senza condizionale e la pena di morte per associazione e collaborazione all’atto criminale. Cosa ne pensa?»

«Parla», a dirlo era stata la mora, seguendo l’affermazione con una gomitata. «Dì loro tutto quello che sia, è inutile negare. Lo sanno.» Pareva avere una fretta del demonio di andarsene.

La biondina si morse il labbro, guardando un po’ male l’amica, prima di sospirare pesantemente. «Va bene, parlerò.»

«Mi dica tutto quello che sa di Saburo Youto.» Masa utilizzò il vero nome del ghoul e un’ombra passò di fronte gli occhi di Kikyo. Abbassò il capo, iniziando a torturare un angolo della tovaglia blu scuro. Sembrava costarle molto parlare, ma aveva le spalle al muro in ogni caso. Non l’avrebbero lasciata mai andare con un nulla di fatto e quegli omicidi erano lì, di fronte ai suoi occhi.

«Stavamo insieme da dieci mesi e tre giorni», raccontò dal principio Oneda, guardando alternativamente Aiko e Touma. «Ho sempre saputo che lui era…. Era un ghoul. Ci siamo conosciuti in un locale gestito da ghoul e anche le persone con cui sono andata lo erano.» Sadako sospirò come rassegnata, forse perché certe informazioni poteva anche risparmiarsele. Nonostante questo, Aiko non la fermò, né fece domande. «Lui è un brav’uomo», insistette su questo punto a fondo, guardando entrambi con occhi supplichevoli. «Se anche voi lo vedete come un mostro, non lo è. È dolce e gentile, sempre attento. Mangiava i pancakes che cucinavo, anche se lo facevano stare male, solo per farmi felice.» Una lacrima le rotolò sulla guancia, fino al mento. Tirò su col naso, prima di chiedere con voce timida, «Verrò arrestata, vero?»

«No», sorprendentemente, Masa negò quell’eventualità. Entrambe le ragazze e Higemaru la guardarono sorpresa. «Io non ne ricaverei poi molto, non crede signora Oneda? Sono una fervida sostenitrice del fatto che al cuore non si comanda e sarei anche ipocrita se volessi fare la morale su questa storia. Mi serve però qualche nome, a iniziare da quello del locale. Dirò ai miei superiori che lo ha sentito nominare dal suo fidanzato e che non vi è andata personalmente, ma deve dirmi tutto quello che sa. Tutto, signorina Oneda

«Il pub si chiama Psiche», le rispose subito Kikyo. «Quello è un posto molto esclusivo, che apre e chiude continuamente in luoghi diversi. So che è gestito dai Clown, ma non so dove potrebbe essere ora. Ho perso quel giro di amicizie e se non si ha almeno un conoscente che è tesserato al club, allora non si può accedere.»

«Lo Psiche, uhm?» Masa sorrise e c’era una certa vittoria dentro quel gesto. «Fortuna che io le conoscenze giuste ce le ho. Hige, incontrerai una persona molto particolare, sai? Magari è la volta buona per farti fare una maschera.» A quelle parole, Sadako alzò gli occhi e ad Aiko non sfuggì. Non disse nulla però, rivolgendosi di nuovo a Kikyo. «Persone che potrebbero indirizzarmi verso Saburo

«Aoshi, uno dei barman. È un grande amico di Yoo o almeno lo era prima che quei figli di puttana dei Clown lo buttassero fuori.» C’era della rabbia ora negli occhi grandi di Oneda, mentre parlava rivolgendosi prettamente a Masa. «Lo hanno escluso solo perché non ha voluto eliminare una donna incinta. Una donna incinta, agente. Si rende conto? Sono dei mostri. Quando sono andata da Senza Faccia a implorarlo in ginocchio di riprenderlo con loro, lui mi ha detto che ero fortunata a tornare a casa viva. Non conoscono vergogna quegli schifosi-»

«Che cosa hai fatto??» Sadako ora la guardava con gli occhi fuori dalle orbite. «Sei andata da Senza Faccia?»

Kikyo gonfiò il petto. «E lo rifarei! Quello stronzo, mi ha fatta uscire dall’Helter Skelter senza nemmeno farmi finire di parlare.»

«Certo che ne hai di palle.» Higemaru era seriamente impressionato da quella ragazza.

Masa ringraziò la poca esperienza del partner. Questi non chiese infatti dell’Helter Skelter e Aiko si sentì graziata. Ci mancava solo una retata in quel posto per farla finire in una bruttissima posizione. Aogiri non poteva permettersi nessun tipo di problema con i Clown al momento e lei era pur sempre Labbra Cucite. Doveva per forza metterci una pezza, così come aveva fatto con lo Psiche. Convincere Sasaki a lasciarlo stare non era stato difficile, per amore dello status quo. Con Higemaru sarebbe stato anche più semplice.

«Abbiamo finito?» domandò Sadako e Masa annuì.

Kikyo però no, evidentemente. «Lo ucciderete ora?», chiese con l’angoscia negli occhi. «Deve credermi, agente Masa: Yoo non è una brutta persona. È solo nato nel posto sbagliato, nella famiglia sbagliata e nella pelle sbagliata.»

Aiko sospirò, sapendo che quello era un discorso delicato. «Non posso di sicuro prometterle niente, signorina Oneda. Sappia solo che a me farebbe più comodo un informatore di un ghoul morto, perché non ho bisogno di quinque. Certo, dipende tutto anche da Saburo e da quale sarà la sua risposta alla mia proposta. Se si arrende civilmente e si fa portare al Corniculum, allora forse avrà la vita salva, ma passerà il resto dei suoi giorni nella Cochlea.»

Kikyo sorrise amaramente, sentendo di nuovo le lacrime agli occhi. «Allora preferirà combattere con voi fino a morire, temo. Non mi fraintenda agente Masa, ma spero che non lo prendiate.»

Aiko inclinò la testa di lato, guardandola negli occhi. «Sa, signorina Oneda, il crimine c’entra poco con la specie. Che siamo ghoul o umani penso che-»

Il fragore della vetrata che si infrangeva, seguita dal fischio di mille dardi che spezzavano l’aere attorno a loro, non permise all’agente di terminare il discorso. Tutti si buttarono a terra, mentre si scatenava il panico. Un cliente urlò, mentre il kagune di Masa spaccava la sedia, schermando però la tavolata da quello che si rivelò essere l’attacco di un potente ukaku.

Aiko abbassò gli occhi sulle persone sedute con lei, poi verso il bancone dove Touka fissava pallida come un morto di fronte a sé, appoggiata alla parete. «State tutti bene?», chiese, mentre Higemaru cercava di liberarsi della sedia, insieme alla quale era caduto. Sadako aveva la parte superiore del vestito spaccata lungo la spalla e il braccio e un odore pungente colpì il naso di Masa.

Il liquido secreto da un kagune diverso dal suo misto al sangue di Kikyo.

«Tampona la ferita!» Masa strappò la tovaglia dal tavolo e la lanciò al collega, «Non rimuovere quel coso però o morirà dissanguata. Io lo inseguo.»

Oneda, con la testa sorretta dall’amica e la mano stretta alla zona ferita che vomitava il sangue, osservò raccapricciata il grosso kagune verde e viola di Masa, che intanto aveva scavalcato la finestra utilizzando proprio uno dei tentacoli come appoggio.

«Voi…. Voi siete…»

«Colombe.» terminò per lei mora, prima di afferrare la valigetta con un'altra escrescenza squamosa. La aprì, caricando il lancio e cercando di colpire la motocicletta che stava partendo a qualche metro di lei. Il ghoul però fu più veloce, si schermò con il kagune e poi partì, sparando qualche colpo per fermare Aiko lì dove era arriva.

Si protesse dai dardi di energia, scoprendo amaramente che l’angolo cieco della strada le aveva impedito di vedere che direzione avesse preso il ghoul. Non perse tempo, aprendo la macchina con le chiavi che teneva in tasca. Il kagune svanì così come era spuntato e lei entrò nell’abitacolo, dalla parte del passeggero, accendendo la radio e settandola in fretta e furia.

«Qui charlie077 Masa.» Cercò il nome della strada, allungando il collo. «Io e charlie145 Higemaru siamo stati attaccati all’angolo con Okiraka, al bar :re. Sospetto in fuga su una moto blu targata Ok4589, ripeto Okaido Kyoto 4 5 8 9. Mandate supporto medico, ci sono dei feriti.»

-Ricevuto, agente Masa. Inviamo supporto.-

A quel punto, doveva pensare in fretta. «Chiedo il sopporto del prima classe Ito.»

Attese mordendosi il labbro, fino a che non ebbe la conferma che Kuramoto era libero. A quel punto, sospirò pesantemente, sollevata.

Recuperò Inazami, tornando indietro e rientrando dalla vetrata rotta. Higemaru le andò incontro.

«L’ho perso. La signorina Oneda

Il ragazzo era pallido in volto, tanto da sembrare fatto di amido di riso invece che sangue. «Sembra che si riprenderà», le disse, indicandole Touka che dava da bere alla giovane ferita, mentre Sadako premeva la tovaglia sulla spalla dell’amica, attenta a non spostare il pezzo di kagune.

A quello puntò Masa, avvicinandosi al muro. Una serie di frammenti grandi come la sua mano, ma più sottili, avevano colpito tutta la zona dietro al bancone, mancando per fortuna Kirishima. L’investigatrice guardò proprio la cameriera, che ricambiava lo sguardo con una supplica negli occhi. «Mi prenderò cura della cosa», rispose a quella domanda silenziosa, prima di prendere un guanto di lattice dalla tasca dei pantaloni, ringraziando di averli portati. Un tentacolo più piccolo le strisciò fuori da sotto la camicia, sollevandola fino a metà schiena. Sotto lo sguardo attento di Hige estrasse uno di quei pezzi di kagune del muro, passandoselo in mano per esaminarlo.

«Sembra cristallo», soppesò il giovane.

Aiko sospirò pesantemente. «Io direi più diamante.»

Sapeva benissimo a chi apparteneva e forse anche perché.

Tornò a guardare verso Sadako, realizzando dove aveva sentito prima l’odore di quel liquido. In un vicolo fetido, la notte in cui Hirako aveva fatto di Dente di Fata un minestrone. Ora, con il suo nuovo naso, era riuscita a ricondurlo alla memoria.

Lisca.

«Non si mette molto bene.»

Non si metteva bene per niente.

 

 

NdA

 

Per capire al meglio l’intera situazione, dovrete leggere la storia di RLandH, la cui protagonista è proprio la fantomatica Lisca. E il caro Aizawa, entrambi suoi oc.

Link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3654801&i=1

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Capitolo 18
*** Il caso Tightrope Walker - 4 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

L’odore del sangue appestava la stanza. Il suo sangue.

Aiko non si era mai sentita così debole e debilitata. Non ricordava da quanti giorni non mangiasse, né che sapore avesse l’acqua fresca, diversa da quella che era costretta a raccogliere con mani tremolanti dal gabinetto posto infondo alla stanza, come solo arredo. Sistemò il tutore che portava sul braccio, sentendo il polso sotto di esso dolerle. Si era addormentata seduta a terra, con la schiena rigida come una tavola di legno contro il muro e la mano a fare da sostegno, ma in quel momento ne pagava le conseguenze. Non si azzardò a controllare sotto alla maglietta lo stato della ferita sul suo fianco. La carne viva portava l’odore maleodorante dell’infezione che doveva essere in corso e non ci teneva proprio a vederla. Il cavo orale umano contiene centinaia di migliaia di batteri al suo interno. Quello dei ghoul era, se possibile, anche peggio, poiché doveva iniziare un processo digestivo molto più impegnativo di quello di una persona qualunque. Per questo non voleva sapere in che stato si trovassero le sue carne, dilaniate dai denti dell’uomo che in quel momento le dormiva in grembo. Aiko passò la mano fra quelle ciocche chiare, bianche come il latte, non provando nessun sentimento negativo verso di lui. Né ira né odio. Non provando sentimento alcuno.

Era una vittima allo stesso modo in cui lo era lei.

«Come ti senti?»

La voce dall’altra parte del muro si fece sentire nuovamente e Aiko sospirò piano, appoggiando il capo contro la parete solida.  Se non ci fosse stato quell’altro uomo sarebbe finita divorata e al posto di una porzione di fianco, ora le mancherebbe la vita.

«Amon-san», sussurrò col poco fiato che le rimaneva in gola, spezzato dal pianto incontrollabile che l’aveva scossa per ore e ore, portandola poi a versare nello stato catatonico in cui si trovava in quel momento.«Sono così stanca…. Avrei dovuto permettergli di divorarmi. Se l’avessi fatto, l’incubo sarebbe terminato a quest’ora.»

«Per te di certo, ma lui avrebbe continuato ad accumulare colpe come croci sulla sua schiena. »

Come per istinto, la ragazza si strinse di più attorno al corpo caldo del suo compagno di cella. Le braccia scivolarono verso il basso, così da stringerlo a sé, affondando il viso fra quelle ciocche candide. Avrebbe potuto ucciderla. L’aveva quasi fatto, poi un lampo di lucidità l’avevano riportato sulla terra. Quanto sarebbe durato? Non sapeva nemmeno da quanti giorni di preciso era prigioniera.

Singhiozzò. «Perché Take non viene a salvarmi?» sussurrò contrita, col tono spezzato, mentre una lacrima le rotolava dalla guancia fin sul naso di Takizawa, destandolo. Il mezzo ghoul rimase però fermo in quell’abbraccio a tratti quasi soffocante, raggomitolandosi su se stesso per farsi ancor più piccolo. «Perché nessuno è venuto a cercarmi? Perché?»

«Avranno trovato un modo per farti sparire. Lo fanno sempre, sono bravi. Eri in licenza, vero?»

Aiko lo era da quasi tre settimane nel momento in cui era stata rapita da Noro, di fronte al portone di casa sua. Il ghoul l’aveva fatto alla luce del sole, senza nemmeno temere di essere visto. Tutti davano per assodato che si sarebbe dimessa, lo leggeva sui volti dei colleghi quando andavano a trovarla o passavano anche solo per un saluto. Dopo due settimane di ospedale il suo corpo si era quasi rimesso, ma la morte di Orihara aveva definitivamente minato la sua psiche.

Poi Takatsuki Sen si era rivelata essere Eto e Eto aveva predisposto che Noro la rapisse e la desse a Tatara. L’albino l’aveva picchiata, umiliata, spogliata dei suoi abiti e lasciata così, nuda, di fronte al suo sguardo col solo intendo di farle perdere la poca dignità rimasta. Le violenze fisiche erano state innumerevoli, ma quelle psicologiche…

Non poteva affrontarle.

Hiroshi le aveva insegnato che il suo corpo non valeva niente. Era solo un agglomerato di carne e sangue, ma la sua anima invece? Quella era segnata da solchi profondi che mai sarebbero guariti. Chiuderla in cella con Takizawa era stato il coronamento di giorni e giorni di perfidia e lenta agonia.

“Non mangiarla.” Era stato tutto ciò che l’albino aveva detto, per poi sparire. Quando avevano smesso di nutrirlo, Aiko aveva compreso che non era un test per lei, per vedere la sua sopportazione e verificarne l’utilità. Era un esperimento su Seidou, che l’aveva quasi sbranata all’alba del sesto giorno di digiuno.

Ma la sua umanità non era ancora del tutto svanita.

«Amon-san, tu sei cattolico, vero? Ti ho sentito pregare.» Col capo appoggiato al muro, la ragazza sospirò mestamente. «Credi che questo martirio servirà a qualcosa? Avremo salve le nostre anime dopo tanta sofferenza?», su di lei, Takizawa fremette come un bambino lasciato fuori al freddo. Lo strinse di più.

Amon indugiò, per poi rispondere. «No.»

La risposta le lasciò l’amaro in bocca, ma apprezzò la sincerità. Rimase in silenzio, stremata. Si ritrovò anche a chiudere gli occhi, appoggiando la nuca contro i mattoni esposti della parete, in quella stanza che sembrava il riflesso della sua stessa anima: in rovina. Sospirò ancora, chiedendosi da quanto non si concedeva un sonno ristoratore. Non vi erano brande in quella stanza o stracci. Avevano riposato seduti o stesi sul nudo pavimento, al freddo. Kotaro Amon non disse altro, ma Aiko sentiva il peso dei suoi pensieri attraversare la parete. Avevano parlato un po’, tutti e tre. Aveva scoperto cosa ne era stato dei due investigatori, gli interviti di Kanou e la riuscita di Takizawa sul fallimento che era stato Amon. Aveva parlato con entrambi e aveva capito dalle parole di Tatara che c’erano tre vie per lei: sopravvivere a quell’inferno perché Eto aveva afferrato in lei una certa utilità; venire mangiata da Takizawa qual’ora non l’avessero considerata idonea a diventare una loro marionetta oppure, nella peggiore delle ipotesi, diventare come loro. Un ibride innaturale, pregando che l’intervento vada male e che le venga quindi rovinato per sempre il corpo. Perché se fosse andato bene, allora avrebbe patito l’inferno che stava patendo Seidou. C’erano giorni nei quali tornata in cella, dopo essere passato a filo di lama da Kanou, in cui sembrava più un oggetto che un essere vivente; fissava la parete, stravolto, mangiandosi le dita in silenzio.

Masa avrebbe preferito morire che subire tutto ciò. Aveva già rischiato di rompersi in quel modo e il recupero era stato straziante.

Non voleva finire così.

Ma il suo destino era già stato deciso, nonostante faticasse a comprenderlo. 

Concordò con l’albino, quando durante il loro primo incontro le aveva detto che avrebbe rimpianto di essere stata sbranata da Eto mentre i corpi dei membri della sua squadra ancora erano caldi. A pezzi, ma caldi.

La porta della cella si aprì con un suono secco e su di essa apparve il ghoul bianco. «In piedi, muovi», esortò senza specificare il soggetto, arrivando però a tirare la ragazza per la spalla, rischiando di disarticolargliela. Takizawa rimase a terra, impotente e raggomitolato su se stesso, mentre la guardava spinta fuori dal loro aguzzino comune.

«L’hanno portata via?», chiese Amon, cieco, comprendendo la profondità della preoccupazione e del senso di colpa di Seidou dal suo silenzio.

 

Aiko, intanto, veniva condotta per quei corridoi, strattonata fino a una stanzetta nella quale non c’era nessuno. Pensò che quella sarebbe stata la sua fine, la sua battuta di arresto. Punto e a capo, la storia non si sarebbe di certo fermata con la sua morte.

Invece no.

Tatara le spiegò per filo e per segno cosa era successo in quei giorni e cosa sarebbe successo per il resto di quella che lui definì la miserabile vita di Masa Aiko. Aveva chiamato la sede del ccg, sostenendo di essere un dottore di un ospedale di Kyoto. Aveva riportato al suo capo, il prima classe Hirako, che Aiko aveva avuto un incidente stradale mentre approfittava della licenza per andare a trovare suo padre e, per questo, nessuno l’aveva cercata. Mostrò ad Aiko delle lastre false e un certificato attendibile, dicendole esattamente cosa avrebbe dovuto dire per giustificare la sua sparizione. Poi le restituì i suoi vestiti, costringendola a spogliarsi della vestaglia bianca che le era stata data al suo arrivo di fronte ai suoi occhi. Non c’era però malizia o voglia di farle del male carnale negli occhi del ghoul.

Qualsiasi cosa Aiko facesse, sembrava disgustarlo nel profondo.

Poi la fece sedere su uno sgabello, completando l’opera e spogliandola di ogni dignità.

«Da oggi mi chiamerai maestro», le disse sbrigativo, tirandole i capelli che le arrivavano oltre la metà della schiena e arrangiando una treccia sbrigativa. «Ti insegnerò il cinese e ti rivolgerai sempre a me con rispetto, ubbidendo ad ogni mio ordine. Ti renderò più forte, perché di una larva allo stadio in cui sei tu ora non posso farmene di nulla. Ti insegnerò un’arte marziale molto raffinata chiamata Sanshou e a usare il Dao. Ti metterò nella condizione di sopravvivere e di servire Aogiri, così che tu possa valere qualcosa.»

Gli occhi della ragazza si sgranarono nella consapevolezza che no, non sarebbe morta. Non in quel frangente, almeno. Non riuscì però a gioirne, perché la prospettiva di avere tutti quei contatti con il suo aguzzino non le piacque. Non che avesse molta scelta. Con un colpo unico – Aiko non aveva visto armi, così ipotizzò che Tatara avesse usato le unghie o il kagune- recise la treccia. I capelli neri della giovane le vennero messi in mano e lei rimase immobile, con quel feticcio stretto nel pugno e gli occhi spalancati.

Lui le girò attorno, buttandole poi una maschera in cuoio sulle gambe.

«Se ti rivelerai degna, ti verrà affidata una circoscrizione e degli uomini. Se diventerai brava, potresti anche venire pagata o avere dei vantaggi. Eto vede qualcosa in te che a me è oscuro, ma il solo fatto che tu abbia saputo controllare Takizawa mi fa ben pensare che tu possa avere una qualche abilità. Spero ti piacciano i cani, perché da oggi lui sarà una delle tue responsabilità.»

Aiko prese quella maschera fra le mani, incapace di proferire ancora verbo.

Tatara aspettò e quando vide che non aveva intenzione di alzarsi perché quelle gambe magre e tremolanti non l’avrebbero retta, le buttò ai piedi un mantello color crema. «Da oggi sarai Labbra Cucite e correrai da me ogni qualvolta verrai chiamata. Ti prenderai cura dei bisogni di Eto, comunicando con noi attraverso i nostri pseudonimi e con un numero di telefono differente che ti darò io stesso. Vedi di non fallire nei tuoi compiti, perché nessuno qui ha intenzione di accollarsi una spesa inutile.»

«Perché mi fate questo?», domandò alla fine, incapace di tacere oltre. «Perché devo essere una spia, tradire tutto ciò in cui ho sempre creduto mentre Takizawa e Amon sono diventati… dei mostri?»

«Preferiresti sostituirti a loro?», chiese tagliente il ghoul. «No che non vuoi, piccola sciocca. Ti è stata offerta una possibilità unica. La lampada di Aladino. Se non sei stupida come sembri, potresti anche trarne vantaggi, col tempo.» Tatara fece una pausa, aprendo la porta per uscire. «Sarò onesto con te, perché non me ne viene niente in tasca di tacere, ora come ora. Non so cosa Eto ha visto in te. Io sento che mi farai solo perdere tempo…. Però non posso sottrarmi ai compiti che mi affida. Quindi stai zitta e non fare mai domande, mi infastidiscono.» Fece un passo fuori. «Vado a cercare una fiamma ossidrica per scaldare una piastra, poi ti cauterizzerò il fianco. Alla fine, Noro ti porterà ovunque vorrai essere portata.»

La porta si chiuse dietro di lui, lasciandola sola in un silenzio che di confortante non aveva nulla. Strinse la treccia nel pugno, portando la mano libera alla nuca spoglia e iniziando a singhiozzare. Non c’era via di scampo, non c’era una luce da seguire. Il suo mondo di sarebbe fatto buio e silenzioso. L’oscurità stava per inghiottirla, soffocandola e levandole l’aria. Tatara aveva parlato di vantaggi, ma allora Aiko non li vedeva.

 

Tatara era stato incredibilmente bravo nel mettere le cose in chiaro, quando dal molo di Rue la congedò. Lei, che nemmeno sapeva di essere stata portata su un’isola, rimase ferma come una tavola di legno mentre lui l’avvertiva che se avesse anche solo provato a denunciare i fatti avvenuti in quel luogo, lui si sarebbe curato di uccidere tutti coloro che la circondavano, a partire dai suoi genitori fino ad Hirako e la sua squadra intera. Lei invece non l’avrebbe uccisa. L’avrebbe ributtata nella cella con Takizawa, lasciandola lì un paio di anni a pensare per bene alle sofferenze a cui aveva costretto le persone che amava, prima di cenare con quel poco che sarebbe rimasto di lei.

«Avete ucciso voi Shin, vero? Non è scappato, è stata Aogiri… Sbaglio?»

Tatara l’aveva guardata impassibile, prima di alzare il mento con fierezza. « Non sbagli.» Aveva quindi fatto cenno a Noro, che aveva fatto partire la barchetta motore, portando via la ragazza dal suo inferno personale. Ci sarebbe tornata molto presto.

Takizawa era una sua responsabilità, da quel momento in poi. Avrebbe dovuto tenerlo controllato o almeno provarci, perché una volta che si fosse presentata la necessità, T-Owl avrebbe dovuto combattere per loro. I suoi fallimenti sarebbero stati i fallimenti di Aiko.

 

Appena toccata terra, Masa si allontanò dal ghoul silenzioso. Nella sua tasca aveva ancora la tessera delle metropolitana, mentre nella borsa che Tatara aveva confiscato c’erano ancora il suo telefono e il suo distintivo. Non le era stato portato via nulla.  Nel cellulare trovò aperte molto conversazioni. Tatara o chi per lui aveva tenuto i contatti con Kuramoto e con Midori, le sole due persone che si erano effettivamente interessata a lei, ad eccezione di un paio di sms scambiati con Orihara e Hirako.

Seduta sulla poltroncina, mentre una dopo l’altra le fermate si susseguivano, Aiko comprese la sua meta.

 

Il condominio era piccolo e carino, baciato dalle prime luci dell’alba. Sembrava una zona tranquilla, molto tradizionalista e pittoresca. Aiko era già stata lì, ma le parve infinitamente più bello tornarci dopo ciò che aveva passato.

Non era tornata a casa sua a cambiarsi e la ferita cauterizzata e ben curata da Tatara- il suo pseudonimo era un dottore di nome Huang e sapeva davvero destreggiarsi nell’arte medica, seppure avesse rubato un’identità e non si fosse mai laureato- doleva ad ogni passo. Appoggiò la mano sulla fasciatura pulita, toccandola attraverso la maglietta nera, mentre aspettava una risposta.

Quando il citofono gracchiò, seppure l’ora, lei si sentì improvvisamente rincuorata.

«Sono io, sono Aiko.»

Fece a mala pena in tempo a scostarsi, che la porta si spalancò di colpo. Aiko non avrebbe mai dimenticato il modo in cui Kuramoto la stava guardando in quel momento, in un misto di angoscia e sollievo.

«Aiko, grazie al cielo, sono passati dieci giorni dall’ultima volta che ti ho visto! Come stai? Come è successo l’incidente? Perché sei qui? Sono le cinque e mezzo del mattino!»

Per risposta, Masa lo abbracciò. Si strinse a lui, affondando il viso nel suo collo, gemendo di dolore quando ricambiando l’abbraccio, il biondo le urtò la ferita. Allentò subito la presa e lei ebbe tutto il tempo di riprendere a respirare, mugolando sofferente una risposta fra le lacrime. «Non sapevo dove andare e non so cosa fare. La mia vita si sta disintegrando sotto le mie mani e io non posso fare niente per impedirlo.»

Kuramoto rimase in silenzio, ponderando la situazione. Aiko sapeva a cosa stava pensando, perché non era a conoscenza di tutto il quadro. Sicuramente stava pensando che la ragazza si riferisse alla strage dell’Anteiku, allo scontro con il Gufo in cui era morto Orihara e a quell’ennesima sfortuna. No. C’era molto di più ma lui non poteva saperlo.

«Vieni dentro.» Glielo disse con tono dolce, sorridendo come faceva sempre, per infonderle un senso di tranquillità. Andava tutto bene, potevano lavorarci su. «Domani ti aiuterò a prendere le tue cose e verrai a vivere qui con me. Possiamo affrontarlo insieme, non sei costretta a fare niente di più di quello che non ti senti.»  Le passò una mano fra i capelli corti, come se anche quella cosa fosse marginale, come se non si fosse nemmeno accorto del cambiamento per non metterla a disagio. Aiko li aveva sistemati, aiutata da una ragazza di nome Fueguchi che non aveva mai visto prima, qualche ora prima di lasciare l’isola di Rue. Eppure si doveva intuire che non erano stati una scelta di stile. «Sei sempre molto bella, Aiko.»

Quel candore a tratti innocente la fecero piangere ancora di più. Si strinse al ragazzo, mentre questi la accompagnava dentro, capendo che avrebbe fatto tutto quello che Tatara chiedeva di lì alla fine della sua vita.

Non avrebbe messo in pericolo più nessuno.

Gli altri si sarebbe presa cura di Masa Aiko mentre Labbra Cucite si prendeva cura di loro.

 

Capitolo diciotto.

Il :re venne sgomberato dal ccg dopo aver interrogato tutti i presenti. Aiko era stata schietta fin dall’inizio, raccontando a Kuramoto di cosa stessero parlando lei e le due signorine, le quali erano state portate d’urgenza all’ospedale prima del suo arrivo. Aveva saputo che Kikyo non era in pericolo di vita da un paramedico, ma avrebbe dovuto sopportare un intervento chirurgico il prima possibile per asportare il pezzo di kagune ancora conficcato nella sua spalla.

«Suppongo temessero che potesse spifferare qualcosa, ma per non sporcarsi le mani i Clown hanno preferito ingaggiare Diamante.» Prendendo un tiro dalla sigaretta- sembrava la ventesima della giornata- Aiko concluse con quella supposizione. «Peccato che la ragazza sapesse poco o nulla. Mi ha solo detto che ha sentito il suo ragazzo parlare di un locale chiamato Psiche mentre era al telefono, ma non sapeva né che luogo fosse né che il suo uomo in realtà si chiama Saburo e non Ogawa

Ito le credette ciecamente, come qualsiasi altra volta. «Poverina, ingannata in questo modo», scuotendo il capo, il biondo fece cenno a Takeomi. Attorno a loro le macchine della polizia stavano iniziando a levare le tende. «Vado a parlare con la signorina Kirishima e poi torno alla sede, allora.»

«Lo faccio io», Aiko gli rubò i fogli dalle mani. «La conosco bene ormai, sarà più contenta di sentirsi dare le brutte notizie da me.» Il biondo la lasciò fare, salutandola con un sorriso prima di sparire con Kuroiwa nel parcheggio dall’altra parte della via. Masa rientrò nel bar passando per la vetrata sfondata, avvicinandosi al bancone e lanciando solo un’occhiata a Higemaru che, aiutandosi con la sua coda, stava staccando ogni singolo dardo organico dalla parete. «Come ti avevo detto, ho sistemato tutto», disse a Touka, appoggiata fiaccamente con il fianco alla superficie del bancone. Accanto a lei il signor Yomo osservava la colomba intenta a parlare con estrema attenzione. «Sono tutti convinti che l’attacco ci sia stato per uccidere la ragazza che stavo interrogando, quindi nessuno verrà a ficcare il naso nei tuoi affari, stai tranquilla.»

«Ne sei certa?», la giovane ghoul non sembrava molto convinta.

Aiko però sorrise furbescamente, assicurandosi che Hige non fosse a tiro di orecchio. Era troppo concentrato a usare il kagune per prestar loro attenzione. «Sicura. Non devi preoccuparti.» Le passò i fogli, «So che non vorrai fare richiesta di risarcimento danni, ma nel caso in cui dovesse sfiorarti l’idea di farlo…. Beh, devi pagare per la vetrata e poi inoltrare questa richiesta di rimborso al ccg.»

«Non lo farò.»

«Lo so. Magari puoi alzare qualche soldo tra gli avventori del locale.»

Nemmeno finì la frase che il signor Yomo le mise sotto al naso un grosso barattolo di vetro. Masa prese il portafogli dalla tasca del trench, ficcando un paio di banconote belle grosse dentro di esso. Poi si fece più vicina all’altra ragazza. «Kirishima, senti. Tu che sei più di me dentro al giro, sapresti dirmi se la ragazza assieme alla mia testimone oculare era Lisca?»

Touka sospirò piano, «Proprio non lo so», sussurrò con tono piuttosto convincente, «Non so molto di Lisca. Cosa te lo ha fatto pensare?»

Aiko portò la mano al naso. «L’odore.» Fece un paio di passi indietro, portando le mani nelle tasche del cappotto, prima di chinare il capo. «Ora sarà meglio che vada. Perdonami ancora per il trambusto.»

«Non sono certa che mirassero a voi. Hanno colpito anche il bancone e mi sono fatta qualche nemico, di recente.» Kirishima le passò un sacchetto con dentro qualche dolcetto – tanto avrebbe dovuto chiudere prima- «Però ti chiedo una cortesia: vieni qui quando vuoi, ma non portarci più il lavoro.»

«Roger», annuì l’agente, prendendo quel regalo inaspettato e portando anche la mano alla fronte, per farle il saluto militare. «Non deve ricapitare, se no chi lo sente Ayato

Touka non indagò mai la natura della conoscenza di Aiko con suo fratello, anche se ormai si era fatta un’idea molto precisa. In quel momento Touma finì di lavorare e dopo aver raccolto su le loro cose, uscirono permettendo a Touka di chiudere.

«Quindi miravano a Kikyo

Seduti sul cofano della loro automobile, un muffin al cioccolato a testa per compensare la perdita di energie dovute allo spavento di prima, Hige e Masa si guardarono. Per rispondere all’amico, la mora si diede a una citazione. «Gli indizi rimasti, per quanto improbabili, portano sempre alla verità.» Lui la guardò senza capire, così lei sbuffò, prima di ficcarsi in bocca l’ultimo pezzo, battendo le mani per pulirle dalle briciole. «Questa è una frase detta da Sherlock Holmes, brutto ignorante. Leggiti uno dei libri della sua saga, aiuterà le tue doti investigative.»

Higemaru aveva ancora un’espressione perplessa mentre prendeva nota sul cellulare di quel nome, senza essere sicuro di averlo scritto bene, quando una macchina entrò nel parcheggio con una sgommata. Aiko era già pronta a fare il vigile del traffico contro quel pirata della strada, ma esso si rivelò essere il suo capo. Urie uscì dall’auto senza nemmeno spegnere il motore, incazzato come una vipera. Lei sospirò, «Oh-oh». Scese con un saltello dal cofano, facendo segno all’altro di non seguirla. «Rimani qui, questa non è una scena che vuoi vedere.»

Sapeva che sarebbe successo. «Hai chiamato Ito invece di me?? Sei cretina??»

Eccome se lo sapeva.

Non gli rispose direttamente. Lanciò le chiavi dell’auto a Hsiao non appena la taiwanita scese dal velivolo e questa le prese al volo. «Porteresti a casa Hige? È stata una giornata molto lunga.» L’altra ragazza annuì, passandole accanto, mentre Masa si avvicinava a Urie, che fumava di rabbia. «Parliamone mentre torniamo anche noi, ok?», propose, accarezzandogli il braccio. Lui non ci cascò e si scostò da lei, guardandola con gli occhi socchiusi. L’altra auto lasciò il parcheggio mentre Aiko sospirava. «Non ti ho chiamato per evitare un conflitto di interessi, in primo luogo. Poi anche perché Ito non ha nessun fascicolo aperto, per ora. Me lo ha detto stamattina. Non volevo distoglierti dal tuo caso per niente.»

«Niente? Tu e Higemaru avete subito un’aggressione!»

Lei annuì, consapevole che effettivamente poteva fare di meglio. «Hai ragione», disse infine, sapendo che era l’unica via. Riprovò ad avvicinarsi, «Avrei dovuto chiamarti, ma ho pensato di non volerti fare preoccupare. Ci sono comunque riuscita e mi dispiace.»

Lui parve più tranquillo, a quel punto, solo perché Aiko aveva ammesso di essere nel torto. Le permise anche di baciarlo. «Andiamo a casa», disse quando le loro labbra si separarono. «Mi racconterai tutto in auto.»

 

 

Masa aveva provveduto ad andare a trovare Kikyo in ospedale il giorno dopo, assicurandole che le avrebbe riportato informazioni se avesse scoperto qualcosa circa lo stato di salute di Saburo, ma tacendole tutte le operazioni che erano state messe in atto al fine di stanarlo. Aveva inoltre promesso alla giovane di avere un occhio di riguardo per il suo amante e poi l’aveva lasciata riposare in compagnia di quella che si era presentata come un’amica. Non era Sadako però, della quale aveva anche chiesto notizie per sapere come si sentiva dopo l’attacco. Il nuovo volto prese il nome di Kimi Nishino, che si presentò un po’ riluttante, sostenendo di essere un’amica di Kikyo che faceva tirocinio presso l’ospedale e che quindi poteva garantire anche per la salute della signorina Kiojima. La faccenda si faceva sempre più ovvia, perché entrambe le ragazze risultarono essere abbastanza schive a parlare di Sadako, confermando a Masa che non solo era un ghoul, ma era anche un ghoul parecchio ricercato. Soprattutto da Hachikawa, che nel tempo libero si dedicava anima e corpo alla ricerca di Lisca.

Ottenne però un’importante informazione: sia Kikyo, che Kimi, che Sadako facevano parte di quella che era chiamata La Grande Ruota. Essa era un’organizzazione incentrata sul concetto che i ghoul e gli esseri umani dovessero avere gli stessi diritti. Il loro motto era semplice e chiaro: è solo un mero caso essere nati umani. Mentre Kikyo gliene parlava sotto gli occhi di Kimi, la quale non sembrava molto convinta della conversazione, Aiko si fece un appunto mentale: Eto avrebbe potuto spiegarle quale fosse il vero fine del fondatore di quel gruppo di ferventi pacifisti. Non disse nulla, ma tutto l’astio della signorina Nishino non aveva ragione di esistere; Masa la pensava esattamente allo stesso modo, circa i diritti. Più o meno.

Quella conversazione terminò presto e Masa tornò al quartier generale del ccg. Scavalcando deliberatamente Matsuri per la seconda volta nel giro di una mezza settimana andò spedita da Arima, che l’aveva vista arrivare con le mani nelle tasche del giubotto di pelle e un mezzo sorrisetto sul viso. Per fare le cose il più pulite possibili si era rivolta a lui, richiedendo e ottenendo immediatamente l’autorizzazione per una serie di operazioni segrete a scopo cautelativo. In altre parole, poteva fare quello che voleva fino alla chiusura del caso senza dover rendere conto a nessuno. Nemmeno al classe speciale Washuu Matsuri. Qualsiasi cosa sarebbe successa allo Psiche, sarebbe rimasta allo Psiche. Era stato incredibilmente facile convincere Arima dell’importanza di mantenere quel luogo attivo. Si trovavano buone informazioni e infondo non avvenivano omicidi all’interno della struttura itinerante.

Ovviamente ciò fece incazzare Matsuri oltre ogni dire, ma lei si perse quell’esplosione di petardi poiché avvenne durante una riunione fra il direttore e i classe speciale. Matsuri non aveva diritto di replica sulla parola di Arima, però doveva essere parecchio avvilente per lui l’intera situazione. A pagar pegno fu ovviamente Urie, che dovette scusarsi cento volte al posto di Masa per poi farle una ramanzina al telefono.

Ramanzina che entrò da un orecchio e uscì dall’altro.

-Smettila di farlo avvelenare, non posso passare la giornata a prendermi cura delle stronzate che fai tu!-

La chiamata era durata il tempo della predica, lasciando poi la giovane investigatrice al lavoro sotto copertura. Higemaru non sembrava molto convinto, con la maschera di Urie sul viso e un pastrano grigio addosso.

«Non sono sicuro di poterlo fare.»

Davanti allo Psiche si stavano iniziando a radunare un po’ di persone. Masa cercava con gli occhi il barman, che probabilmente aveva già montato il turno. Male, sarebbe stato più complesso parlargli. «Sì che puoi farlo, Hige. Puoi e soprattutto devi.»

Lo prese per mano e insieme superarono la fila di persone che stavano attendendo di entrare, attirando su di loro più di uno sguardo irato. Quando arrivano di fronte al bodyguard, Masa mostrò una tessera dorata con disegnato su di esso un occhio stilizzato, in stile egiziano. Questo passò il codice a barre nello scanner e non appena lesse il nome del proprietario di quell’invito speciale, sbarrò gli occhi da dietro la maschera. «Vi auguro buona permanenza», disse con tono remissivo, aprendo loro il cordone.

«Chi è il tuo contatto?», chiese il suo partner sorpreso per quanto esclusivo fosse stato il loro lascia passare. Masa, che non poteva di certo fare il nome di Uta o peggio, il suo pseudonimo, finse di non aver sentito a causa della musica.

Si avvicinarono al bancone e lei disse a Hige di sedersi su uno sgabello. «Stai qui e tieni la trasmittente accesa», gli spiegò parlandogli direttamente nell’orecchio, dentro alla maschera a becco di corvo. Prima di riprendere fece segno a una ragazza, alzando due dita. Questa annuì, afferrando due grandi bicchieri e iniziando a riempirli. «Se vedi qualcosa di strano o sospetto, allora comunicamelo e esci senza dare nell’occhio. Se ci sono problemi ci vediamo alla macchina. Ok?» Il ragazzino annuì e anche se Aiko non poteva vedergli gli occhi, capì che si sentiva a disagio. Era normale, soprattutto la prima volta che finiva sotto copertura, circondato da ghoul. Quando i bicchieri vennero serviti, Masa passò alla barista un paio di banconote. «Bevi questo, ti darà non solo coraggio, ma anche un po’ di energie nel caso in cui servirà il kagune.»

Touma portò il bicchiere alle labbra, fermandosi quando avvertì il forte odore che quel liquido emetteva. «Questo è sangue?», domandò cono tono traballante.

«Sì.»

Lo lasciò così, a boccheggiare per quella risposta secca che proprio non si aspettava. Girò attorno al bancone, appoggiandosi ad esso quando trovò uno spazio vuoto. Osservò attentamente gli avventori che la circondavano, sistemandosi la maschera del Kitsune sul viso. Poi richiamò l’attenzione della stessa ragazza che le aveva preparato il drink proprio mentre le prendeva un bel sorso dalle cannucce. «Qualcosa non va, tesoro?», le domandò la femmina di ghoul, appoggiandosi con i gomiti alla superficie di fronte ad Aiko.

«Oh no, è delizioso.» Con un sorriso civettuolo e il kakugan che brillava di malizia, si sporse verso di lei, sussurrandole a un sospiro dalle labbra. «Mi chiedevo se potessi dirmi dove posso trovare Aoishi

«Dipende chi lo cerca.»

Higemaru non aveva perso di vista la sua partner nemmeno per un istante. La guardò flirtare con la barista in un misto di eccitazione e paura, chiedendosi come facesse a sentirsi così a suo agio circondata da mostri. Quando Masa mostrò la tessera dorata alla donna di fronte a lei ottenne un sorriso più ampio e questa la fece passare dietro al bancone, indicandole una porta.

Touma rimase solo, senza nemmeno un’ultima occhiata incoraggiante da parte di Aiko. Prese un sorso della bevanda, sentendo il forte sapore del sangue accentuato dalla fermentazione. Attorno a lui ghoul e avventori umani si alternavano in danze, bevute e chiacchiericcio soffuso.

Poteva farcela, doveva solo tenere d’occhio la situazione.

 

Aoishi Ichii era in pausa insieme a una delle guardie di sicurezza del locale, quando Masa lo raggiunse. Li guardò entrambi, con la mano destra bene infilata nella tasca del kimono azzurro, sotto al quale faceva capolino un vestito bianco corto e un paio di ti stivali alla coscia neri. Quando la videro arrivare, le gambe furono tutto quello che notaro dell’investigatrice sotto copertura.

«Ti sei persa, bellezza?», domandò l’energumeno, mentre il barista prendeva un tiro dalla sigaretta.

Aiko stava intanto bevendo il suo drink, con l’aria più serafica che potesse assumere. Sorrise smaliziata all’uomo, prima di schioccare la lingua contro il palato. «Oh no, posso assicurarti che sono esattamente dove voglio essere.» Fece scattare quindi l’occhio dalla sclera nera sull’oggetto della sua ricerca, «Mi manda il capo del tuo capo, Aoishi

Quando mostrò anche a loro la tessera dorata, fugò ogni dubbio. Di quel colore ne giravano solo quattro, per quel che ne sapevano loro. Una era del proprietario del locale, l’Ipnotista. Una era di un morto, l’altra simbolica apparteneva a un ghoul molto conosciuto, chiuso nella Cochlea da diciotto anni.

L’altra era di Senza Faccia.

E Aoishi lo sapeva benissimo che poteva essere solo lui a mandare quella donna. Era proprio nel suo stile, dopotutto. «Cosa vuole sapere da noi?»

Aiko appoggiò il bicchiere sul muretto, sedendosi poi lì accanto e accavallando le gambe.«Vuole sapere esattamente dove si trova Saburo. È ora di tagliare la corda sotto ai piedi del Funambulo.»

Il barista prese un profondo respiro, spegnando la sigaretta contro alla parete alla sue spalle senza voltarsi e dare quindi le spalle alla sconosciuta. Passò una mano sul viso, combattuto. Doveva volergli bene se si rifiutava così apertamente di dare informazioni a un emissario del Clown più potente in circolazione. Incrociò le braccia meditativo, prima di parlare. «Vorrei essere io a riferirlo a Senza Faccia.»

«Non hai capito la gravità della situazione, credo.» Aiko scosse piano il capo, incrociando le mani sul ginocchio, prima di voltarsi di nuovo verso di lui con aria grave. «Non c’è posto per mercanteggiare, qui. Né per chiedere favori in nome di patetiche vecchie alleanze. Immagino che tu voglia marciare sull’antica amicizia fra Porpora e i parenti di Saburo. Mi dispiace doverti comunicare che non c’è posto per la pietà fra noi.»

«Aspetta un secondo, io lo so chi sei.»

Ci fu un istante nel quale anche Masa si pietrificò. Perse per un istante la sua espressione sicura, sgranando il solo occhio visibile e fissandolo sulla guardia di sicurezza, che la stava a sua volta guardandola altrettanto stupido.

«Ho sentito la tua voce tempo fa», proseguì, cercando le parole per spiegarsi. «Quando sono fuggito dalla diciannovesima, dopo la caduta della sede delle colombe. Tu sei dell’Aogiri! Tu sei Labbra Cuc-»

Zack.

La testa si staccò di netto dal capo e una frazione di secondo dopo Aiko se ne stava con il kagune ben impiantato contro la parete, sollevata di tre metri da terra, con i piedi saldamente appoggiati ai mattoni a vista nonostante i tacchi.

Altri tre tentacoli puntavano tre diverse porzioni del cranio di Aoishi, che impietrito, fissava il corpo senza vita del ghoul accanto a lui.

«Hai trenta secondi», lo avvisò Aiko, «Poi farai la sua stessa fine. Voglio un indirizzo e lo voglio adesso.»

Il ghoul deglutì, mentre dalla spalla sinistra un grosso kagune appuntito, nero come la pece, si apriva a raggera attorno al braccio.

«Ho sempre odiato Aogiri.»

Ah, merda.

 

Higemaru aveva provato a lasciare il locale con assoluta nonchalance quando Aiko l’aveva avvertito via trasmittente di tornare al parcheggio senza dare nell’occhio. Manco a dirlo, il sangue fermentato gli aveva un po’ dato alla testa e aveva finito con l’andare a sbattere contro ogni persona frapposta fra lui e l’uscita.

Alla fine era passato solo per il classico ubriacone un po’ maniaco e nessuno si era davvero curato di lui. Aveva riscontrato più di un problema nel portare a termine quell’ultimo ordine, tanto per iniziare, gli erano sorti dei dubbi circa dove avessero parcheggiato. Dopo quindici minuti di vagabondare errabondo aveva ritrovato la stradina che dava su un vicolo un po’ oscuro. Ciò che si era ritrovato di fronte una volta svoltato l’angolo lo aveva fatto rinsavire immediatamente dai fumi alcolici.

«Aiko!», aveva sbraitato come un’oca sgozzata, correndo verso la partner, appoggiata contro il cofano della macchina nera, sul quale stava abbondantemente sanguinando. Con gli occhi fuori dalle orbite, Higemaru si liberò della maschera, esaminando la ferita sul fianco e quella sul braccio, che avevano preso a rimarginarsi piuttosto in fretta, ma nemmeno lontanamente abbastanza per farlo smettere di preoccupare.

«Cosa è successo?»

La mora aveva spostato la mano dalla zona lesa, poco più in basso del gomito, guardando il ragazzino con una smorfia sofferente in volto. Non aveva idea di come fosse riuscita ad arrampicarsi sul tetto e poi da lì tornare alla macchina. Quando l’aveva fatto le sue condizioni erano di gran lunga peggiori di quelle in cui versava una volta che Hige l’aveva raggiunta.

«Diciamo che Aoishi Ichii si è rivelato meno collaborativo del previsto», rivelò al partner, mentre questi osservava la carne rigenerarsi e ricucirsi da sola, come una serie di piccoli vermi che attaccavano fra loro le porzioni di pelle del fianco. «Mi dispiace, Hige. Non sono riuscita ad ottenere nulla.»

Lui rialzò gli occhi, risoluto. «Non avresti dovuto combattere da sola», le disse con tono serio. «Io a cosa servo, se no?»

Aiko sorrise mestamente. «Hai ragione, non sarei dovuta andare da sola, ma avevo paura che avrebbero fatto storie se avessimo chiesto di andare sul retro tutti e due. In ogni caso l’ho ucciso, quindi possiamo dire addio anche a questa pista. Ciò che mi ha detto non aiuta molto.»

Il ragazzo dai capelli pervinca continuò a guardarla determinato. «Non importa, troveremo qualcos’altro. Per favore, però, non mettermi in panchina. Sarò anche inesperto, ma non sono inutile. Siamo partner e tu devi potermi affidare la tua vita come io la tua.»

Masa, che non si aspettava un discorso così maturo da Higemaru, lo attirò a sé per abbracciarlo. Si rese conto che seppur impercettibilmente, tremava. Lo aveva sovraccaricato e lasciato a lavorare da solo, per poi riapparire come un grumo di sangue con le gambe. «Hai ragione», gli disse mentre anche lui, seppur non sapendo dove mettere le mani, ricambiava l’abbraccio. «Scusami Hige, non sono brava a fare il capo. Non succederà più.» Se lo staccò di dosso, guardandolo negli occhi. E per un attimo fu indecisa se metterlo o meno a parte di qualcosa che le frullava per la testa da qualche giorno. «Mi fido di te», decretò in fine. «Metterò la mia vita nelle tue mani e sono anche pronta a dimostrartelo.»

Lui annuì, «Cosa devo fare?»

«Devi fare il palo.»

 

 

Higemaru non pensava che quel devi fare il palo si sarebbe rivelato letterale. Aveva creduto a una qualche figura retorica, per dire guardami le spalle. Invece no,  doveva farlo letteralmente.

Successe anche piuttosto in fretta. Tre giorni dopo il buco nell’acqua dello Psiche avevano recuperato un’altra pista. Aoishi aveva un numero di telefono intestato a suo nome e quindi avevano preso a scartabellare con tabulati telefonici e a litigare con le varie compagnie per ottenere i mandati di accesso alle banche dati. Si trovavano tutti e due in salotto per ore, infilati fino al collo nelle scartoffie (la firma di Arima ricorreva più spesso del previsto, iniziando a rendere l’intera situazione quasi imbarazzante), quando Mutsuki li raggiunse.

«Vado a fare un po’ di spesa, visto che voi siete tutti presi dal lavoro», disse loro con un sorrisetto, appoggiandosi coi gomiti allo schienale del divano dove si era spiaggiato Higemaru col portatile sulla pancia. «Urie mi ha dato una lista, ma se volete qualcos’altro…»

«Prendi qualcosa di schifoso da mangiare mentre lavoriamo?» gli chiese Aiko, staccando gli occhi dallo schermo del laptop per guardarlo. «Patatine, marshmallow, bibite gasate… Mi fido del suo gusto.»

«Va bene», confermò Tooru, sistemandosi il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni stretti. «Quando torno vi do una mano, se volete. Prendo la macchina.»

«Grazie Mucchan. A dopo.»

Hige alzò una mano oltre lo schienale, sventolandola. «A dopo Mutsuki.»

La porta si chiuse. Aiko contò fino a venti. Poi si voltò di scatto verso il partner, facendolo sobbalzare. «Tieni il telefono a portata di mano. Se torna prima fammi uno squillo. Devi fare il palo.»

Lui la guardò alzarsi in piedi, stralunato. Poi registrò cosa stava succedendo. «Voi, tipo, entrare in camera sua e cercare qualcosa?», domandò stranito.

Lei sistemò i pantaloncini del pigiama, appoggiandosi poi allo schienale e al bracciolo per chinarsi su di lui, facendolo diventare rosso come un pomodoro. «Sono preoccupata per lui», lo mise al corrente. «Visto che lui non parla, parlerà per lui la sua stanza.» E stampandogli un rumoroso bacio in fronte, si allontanò, salendo i gradini a due a due. «Mi fido di te, fai uno squillo se torna!»

Lui rimase lì, come un baccalà, facendo solo lo sforzo immane di estrarre dalla tasca stretta dei jeans il cellulare.

Aiko si sentiva un po’ in colpa per il modo in cui stava coinvolgendo il giovane partner, ma era stato lui a voler avere la sua fiducia. Senza contare che non aveva idea di cosa avrebbe potuto trovare, quindi una spalla a cui appoggiarsi per non farsi beccare sarebbe stata più che gradita. Tooru aveva sviluppato una personalità strana, nell’ultimo periodo. A Masa ricordava gli esempi sui suoi libri di profilo criminale, in particolare quelli elencato sotto le voci psicosi e disturbi dissociativi. Difficoltà a mantenere la concentrazione, alienazione sociale, allontanamento degli amici…. Tooru non stava bene.

Non stava bene per niente. E Masa avrebbe capito perché definitivamente.

Trovò la porta della stanza di Mutsuki socchiusa. Il fatto che non avesse chiuso a chiave l’uscio indicava che, nonostante tutto, si fidava ancora di loro o li riteneva troppo impegnati per potersi accorgere di lui. Si guardò a torno un’altra volta, forse per paura di vedere apparire Tooru o peggio Urie, prima di entrare, chiudendosi dentro. Andò diretta alla finestra, spalancandola. Non poteva permettersi che il suo odore permeasse nella stanza. Una volta fatta questa semplice operazione, poté dedicarsi alla stanza attorno a sé. Non ci era mai entrata e per un attimo comprese il motivo. Mutsuki non sembrava abitare lì. Fatta eccezione per un quadro appeso alla parete, – che Masa aveva l’impressione che potesse aver dipinto Urie- un paio di tappeti, un piccolo comodino e un armadio a muro, non c’era niente nella stanza. Era completamente vuota, più sterile di una camera di un motel per amanti.

Per un attimo la sfiorò l’idea che forse, Mutsuki avesse già iniziato il trasloco. Però non aveva visto scatoloni per casa e aveva sempre lei una delle due macchine, mentre l’altra la usava tutti i giorni Urie. Come si sarebbe potuto spostare? No. Non essendoci ancora nessuna autorizzazione, era da escludersi.

Sapendo che Tooru aveva un passato tutt’altro che facile, – la sua famiglia era stata uccisa da un ghoul di fronte ai suoi occhi, per non parlare poi del cambiamento di sesso e di tutte le implicazioni psicologiche che ne erano derivate- così Aiko pensò di cercare un diario segreto. Gli psicologi incoraggiavano spesso anche lei a tenerne uno, ma aveva sempre pensato che suo fratello avrebbe potuto trovarlo. Alla fine Shinichi aveva comunque scoperto tutto, ma non si era mai decisa a scriverne uno. Nemmeno Tooru, considerato che dopo aver sollevato il materasso, i cuscini e controllato il comodino, non trovò nulla. Notò solo un libro di poesie che sapeva essere appartenuto a Sasaki appoggiato sul bordo della superficie di legno accanto al letto, ma lo lasciò lì. Passò all’armadio, realizzando che nell’aria c’era un odore strano, ma trovando difficile identificare la fonte. Controllò i vestiti appesi e ben stirati, aprì un paio di cassetti di un piccolo armadietto di stoffa ripiegabile trovando solo biancheria. Niente nemmeno nelle tasche dei cappotti o nella cappelliera. Non c’era molto altro da controllare, così si sedette semplicemente sul letto, sbuffando.

Prese il libro fra le mani e da dentro di esso cadde una fotografia. La raccolse, notando che era un primo piano di Haise Sasaki, piuttosto vecchio considerando che aveva cambiato look durante l’attacco al Lunar Eclipse. Benedette cellule rc. Che a monte di tutta quella situazione ci fosse l’ossessione per l’ex mentore? Il suo abbandono poteva davvero aver fatto sentire Tooru così male, così solo da richiudersi in se stesso?

Poteva essere, ma continuava a non spiegarsi lo scatto verso Shukumei, il modo in cui aveva lasciato l’interrogatorio con Porpora e anche il suo volersi estromettere dalla Quinx Squad. Non poteva essere solo Sasaki, quindi cos’altro poteva essere?

«Stai solo ingigantendo tutto, Aiko», sussurrò a se stessa, sbuffando una mezza risata incredula. «Dovresti smetterla di dare retta a pazzi come Donato Porpora. Indagare su Tooru…. Indagare su cosa, poi?»

Scosse il capo, mettendo il libro esattamente come lo aveva trovato e sistemando anche le coperte, nascondendo così la sua presenza nella stanza. Andò alla finestra per chiuderla, sentendo una delle assi del parquet scricchiolare sotto al suo piede. Non ci diede peso, ma quando fece un altro passo e la stessa cosa avvenne con la tavola sotto alla finestra, si fermò. Molleggiò le gambe, sentendo che la consistenza del pavimento in quel punto sembrava diversa. Si chinò, spostando uno dei tappeti e notando dei segni caratteristici vicino all’asse in questione. Ci passò il dito sopra, realizzando che sembrava che qualcuno avesse volutamente sollevato quella parte di pavimentazione con l’utilizzo della punta di un coltellino. Si ricordò di averne visto uno a serramanico nel cassetto, così tornò a prenderlo, sollevando il pavimento. Tolse l’asse e un forte odore le investì il naso, mentre il cellulare le vibrava in tasca. Si immobilizzò, realizzando che non avrebbe mai rimesso tutto a posto in tempo. Sbirciò lo schermo e sospirò sollevata, leggendo un messaggio di Kuramoto.

«Che infarto, benedetto ragazzo», borbottò, chinandosi per afferrare qualsiasi cosa fosse nascosta lì sotto. Una busta della spazzatura nera celava il reale contenuto. Aiko la aprì, mentre l’odore si intensificava, facendola sbuffare per il fastidio. Sembrava sangue misto a decomposizione, ma non umana. Né ghoul.

Infilò la mano dentro al sacco, estraendo un vasetto di vetro piuttosto grande. Dentro di esso, per metà in putrefazione, c’erano delle lingue piccole e sottili. Aiko represse la voglia di buttare tutto dalla finestra, osservando lo spettacolo raccapricciante e chiedendosi quanti gatti doveva avere ucciso per collezionarne così tante.

A occhio e croce più di cinquanta.

«Ah, Tooru. Sono i serial killer quelli che iniziano dagli animali piccoli e arrivano alle persone», constatò a voce alta. Rimise tutto esattamente come era, nascondendo il barattolo e rimettendo a posto le assi e il tappeto.

In ultimo, mise il coltellino nel cassetto e lasciò arieggiare la stanza per almeno cinque minuti, prima di chiudere la finestra e andarsene, accostando  nuovamente la porta.

Aveva avuto un bell’indizio delle condizioni mentali del collega, arrivando a comprendere quanto fossero degradate rispetto a quello che si era immaginata. Si chiese cosa nascondesse la cartella contenente il suo profilo psicologico. Avrebbe dovuto attendere la chiusura del caso, ma poi sarebbe valsa la pena di andare a fare due chiacchiere con Noriko.

Una cosa era sicura: nessuno di loro aveva capito nulla della persona con cui vivevano.

Donato, avevi ragione. Come sempre, del resto.

 

 

Quando aveva messo piede nel fatiscente palazzo che ospitava la sede di Aogiri della ventiquattresima circoscrizione, Labbra Cucite aveva trovato Tatara in piedi su una rampa di scale dall’aria parecchio decadente. Immobile come imbalsamato, l’aveva osservata entrare avvolta nella mantella color crema, con la maschera e le bende sul viso. Lei l’aveva guardato, concedendogli una piccola riverenza col capo, prima di prendere le scale in senso contrario, per scendere fino al semi interrato.

Lì aveva allentato la presa della garza bianca sul viso, lasciandola cadere mollemente lungo il collo insieme alla maschera di cuoio chiara. Si era guardata attorno, seguendo una scia di odore fino a un punto imprecisato, avvolto dall’oscurità. La sola fonte di luce proveniva da una piccola finestrella al livello della pavimentazione stradale, che lasciava entrare pochi raggi caldi del tramonto. Un’ombra di forma indefinita di proiettava sulla parete, facendo comprendere che la persona che cercava doveva essere lassù, accovacciata contro il vetro.

Sicuramente l’aveva sentita arrivare, quindi la stava ignorando.

«Seidou», chiamò con il tono ammorbidito dalla tenerezza che quella scena le rimandava. Sapeva che il ragazzo era offeso a morte con lei per l’aver mancato il loro appuntamento settimanale, tre giorni prima. L’aver però avuto quell’inghippo allo Psiche le aveva fatto perdere tempo e le ferite che si erano rimarginate a costo di un buon dispendio di energie non le avevano permesso di arrivare fin lì. «Andiamo, non fare l’offeso. Sono venuta appena ho potuto. Vieni giù, appena cala il buio ti porto fuori e possiamo rimanere in giro anche tutta la notte, se vuoi.»

Questi non l’aveva degnata di risposta. Si era sistemato nella sua posizione accovacciata, facendo tremare la sua stessa ombra, non dando altri segnali della sua presenza nell’ampio stanzone. Masa si guardò attorno, andando verso un tavolino. Prese da sotto alla mantella uno zainetto, da cui iniziò ad estrarre delle bottigliette di acqua, sostituendole a quelle vuote. Controllò l’ora, constatando che non erano nemmeno le sette e mezzo, poi sistemò anche il letto improvvisato che aveva arrabattato lei stessa, sprimacciando il cuscino e battendo via la polvere dalle coperte. Tornò quindi a dedicarsi all’altro ghoul, arrivando fin sotto alla finestra. Lentamente, il suo kagune sbucò da sotto gli strati di stoffa in due morbidi tentacoli, che la aiutarono a sollevarsi da terra fino a raggiungere l’altro.

«Ei, bestiolina», lo chiamò nuovamente, appoggiandosi con i gomiti al davanzale di cemento su cui l’altro era seduto. «Pensi di tenermi il broncio?» Ancora nessuna risposta. Aiko sospirò grave, prima di riprovarci, «Da quanto mi hanno promossa a vice caposquadra, il mio tempo si è di molto ridotto.» Glielo spiegò sempre gentilmente, allungando la mano per tirare la stoffa nera del mantello in cui era avvolto. «Ma ora sono qui, che senso ha non rivolgermi nemmeno la parola?» Attese un paio di secondi, indecisa sul da farsi. Seidou era pericoloso e imprevedibile anche per lei. «Posso sedermi con te?»

Senza voltarsi a guardarla, Takizawa annuì col capo.

Cauta, Masa si mise accanto a lui. Lo vide muoversi lentamente, col petto gonfio proprio come un gufo che arrabbiato aveva sprimacciato le piume. Si appoggiò col capo alla sua spalla e lei avvolse le sue con un braccio. Appoggiò il capo al suo, in silenzio.

Poi alzò gli occhi verso il soffio.

Due secondi dopo il suo kagune fu tutto quello che poté schermarsi fra la bocca di Takizawa e il suo collo. L’aveva previsto, visto che non era la prima volta che lui la attaccava in quel modo subdolo. Nell’ultimo periodo le cose avevano preso a peggiorare molto velocemente e lui stava smettendo di risponderle.  Non andava bene.

Lo guardò straziare il suo tentacolo, sentendo un leggero fastidio più che vero e proprio dolore. Con un salto all’indietro, Masa scese dalla finestra, atterrando di nuovo sulla pavimentazione del sotterraneo.

«Se devi comportarti così, allora rimani da solo.» Girò sui tacchi, avviandosi all’uscita dopo aver recuperato lo zaino vuoto. «Io non ho bisogno di respirare aria fresca, Seidou. Io sono libera.»

«Questo lo pensi tu», soffiò la voce del Gufo, prima di venire tagliata malamente dalla pesante porta che Masa si chiuse alle spalle.

Ripercorse le scale al contrario, sentendosi amareggiata dal modo in cui era stata trattata, dopo tutta la strada che aveva fatto e le scuse che aveva campato in aria per non destare sospetti. Iniziava a finire le idee e non poteva concedersi il lusso che qualcuno potesse in qualche modo sospettare qualcosa. Stava giusto pensando di chiamare Midori, quando, arrivata al piano terra, una spada atterrò di fronte ai suoi piedi. A lanciarla era stata Tatara, che non sembrava essersi mosso dalle scale.

«Méi méi», la chiamò, rivolgendosi a lei nella sua lingua natia. «Se sei venuta fino a qui, almeno cerca di far fruttare il tuo tempo. Raccoglila e vieni con me, ci alleniamo.»

Un sabato sera passato con Tatara. Anche se non fremeva di pura eccitazione all’idea, Aiko annuì, prendendo il Dao da terra e seguendolo su per le scale fino a un grande stanzone che all’apparenza doveva essere stato impiegato, in passato, come magazzino di stoccaggio.

Si spogliò del mantello, appoggiandolo su una pila di mattonelle accatastate in un angolo, mentre Tatara si sfilava la maschera e la giacca lunga e candida. Masa lasciò scivolare gli occhi sulle spalle larghe del cinese, apprezzando il suo fisico ma un po’ meno la sua compagnia. Se ci fosse stata Eto, nei paraggi, probabilmente avrebbe fischiato in segno di approvazione solo per infastidirlo. Tendeva però a volare parecchio basso quando erano soli.

Chissà come mai…

«Sono pronta, Lǎoshī», gli disse estraendo la lama dal fodero. Fecero entrambi un inchino e poi lei si mise all’erta, con la spada alzata sul capo e gli occhi fissi sull’albino, pronta a un suo scatto.

Dopo i primi dieci minuti, Aiko sgrondava già di sudore, ansante e con un taglio in via di guarigione rapida sullo zigomo. Tatara non sembrava aver nemmeno iniziato a scaldarsi, invece. «La tua scherma è cambiata», le fece notare con tono carezzevole dietro all’espressione granitica, ruotando la spada nel polso e facendo cantare l’aria mentre essa veniva tagliata dalla lama affilata. «Si è fatta più rapida, ma molto più debole.»

Masa soppesò che doveva essere causato dalle lezioni di aikido di Urie, che non erano mai cessate in quei mesi. In qualche modo, non riusciva a scindere più le due tecniche e Tatara avrebbe fino per rendersene conto, presto o tardi. E non l’avrebbe presa affatto bene.

«Perdonami, sono solo stanca», cercò di difendersi, ma capì di aver fatto male i conti quando gli occhi del ghoul diventarono neri come la pece. La serie di fendenti che arrivò subito dopo fu molto difficile da evitare. Così come il pugno che le arrivò in pieno volto, sul naso. Saltò all’indietro, usando il kagune alla cieca, mentre cercava di recuperare la vista, annebbiata dalle lacrime per il dolore.

Non lo colpì con nessuno dei suoi tentacoli, perché l’albino si era spostato di lato con rapidità.

«Lo sai che non sopporto quando mi menti», soffiò, continuando ad attaccare.

A Masa cadde la spada e per schermarsi dalla lama del maestro usò il braccio destro. Lo alzò al livello del volto e solo per una fortuita coincidenza non venne staccato di netto. Sentì comunque la spada conficcarsi nel radio, dopo aver tranciato in due l’ulna, e lì rimanere conficcata. Cadde indietro con un latrato di dolore, guardando Tatara dal basso.

«Duìbùqǐ», si scusò con tono spaventato e sofferente, rimanendo in ginocchio di fronte a lui. Il ghoul bianco si riprese la spada, facendola urlare di dolore quando la sentì strappata dalla carne viva. Poi non fece altro, rimase immobile a godersi quello spettacolo pietoso.

Aiko non si aspettava di venire colpita di nuovo, non era da lui infierire. Non si aspettava nemmeno ciò che infine successe. Nella sua testa lo visse come a rallentatore, sin dall’instante in cui l’odore di Takizawa le arrivò al naso fino a quello in cui lo vide colpire con forza inaudita la faccia di Tatara con entrambi i piedi, praticamente lanciandolo dall’altra parte della stanza.

Anche il ghoul albino rimase spiazzato. Riuscì a non cadere solo perché fu abbastanza pronto di riflessi da appoggiare una mano a terra e usarla per darsi lo slancio e rimettersi in piedi. Il collo però era disarticolato in modo orribile e quando lo rimise a posto, usando una mano per aiutarsi, fece un suono orribile, quasi come se si fosse spezzato. Tatara guardò con occhi furenti Seidou, che invece sembrava incredibilmente divertito dalla cosa. Abbassò la mano sul pavimento, dove un po’ di sangue fuoriuscito dal naso di Tatara aveva formato qualche goccia. Ci passò il dito e lo portò alla bocca, assaggiandolo, per poi sputare.

«Sai proprio di merda, Shittara

«Seidou!»

Era corso in suo aiuto, in modo contorto si era posto fra lei e Tatara e in quel momento doveva essere Masa a fare lo stesso. Riuscì a mala pena ad afferrare Takizawa e ad aprire tutte e otto le code del suo kagune per circondarli, prima di venire entrambi investiti da una fiammata forte. Aiko si sentiva sconvolta.

Da dove diavolo era partita?

Non aveva il coraggio di sciogliere la barriera. Fissava con gli occhi sgranati l’altro sekigan, certa che sarebbero morti. Non aveva mai visto tanto odio e rabbia negli occhi sottili del cinese, li avrebbe fatti a pezzi. L’altro invece sembrava molto tranquillo.

E quando la quarta persona presente nella stanza parlò, Masa capì anche il perché.

«Tutta questa confusione per un po’ di scherma? Signor Tatara, stai diventando un vecchiaccio scorbutico.»

«Eto», sospirò Aiko sollevata, mentre il kagune svaniva attorno a loro. Guardò la donna avvicinarsi al gruppetto con un sorriso amichevole, passando gli occhi nascosti dietro le lenti rotonde degli occhiali da vista su ognuno di loro. Seidou prese il braccio della mora in mano, leccando via il sangue dalla ferita e trattenendosi dal succhiarla, prima di guardare di nuovo Tatara in cagnesco, come a sfidarlo a fare qualcosa ora che era arrivato il vero capo.

«Eto», la chiamò l’albino, fuori dalle grazie di Dio. Nonostante questo rimase stoico, immobile. «Non dovresti interferire durante la mia educazione a Aiko, tu stessa hai-»

«Bla bla bla.» Eto sospirò afflitta. «Ho detto basta o sbaglio? Sono piccoli, due pulcini. Lasciali stare.» L’intera situazione doveva divertirla davvero molto. Le piaceva spingere Tatara oltre, sempre più lontano e sempre più verso quel baratro da cui non sarebbe mai riuscito a riemergere. Le piaceva spronarlo e vederlo reagire. «Sbaglio o noi due abbiamo del lavoro da fare? Metti dentro quei bei muscolazzi, o noi signorine potremmo anche perdere tempo a guardarli.» Poi si rivolse agli altri due, studiando il modo in cui Seidou si era acquattato accanto a Masa, che aveva preso a lisciargli le ciocche bianche con il braccio sano. «Voi due divertitevi e mi raccomando: non fatevi vedere dalle colombe.»

Takizawa a stento attese di sentirla finire. Prese in braccio Aiko come una sposa, avviandosi alla finestra.

«L’abbiamo scampata per poco e lui si vendicherà», sussurrò, prima di alzarsi la maschera sul volto.

Seidou sbuffò una risata priva di colore. «Deve sbrigarsi a farlo prima che io lo ammazzi.»

Lei lo guardò sorpresa, ma non fece in tempo a chiedere nulla. La lasciò cadere oltre la finestra, nel vuoto, prima di buttarsi a sua volta nella sera che calava su Tokyo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Il caso Tightrope Walker - 5 di 5 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte terza: Il caso Tightrope Walker.

 

 

 

La sola persona che si fosse mai accorta che dietro alla figura di Masa c’era qualcosa di inspiegabilmente marcio, fu il prima classe Osaki Mari.  Trasferitasi da Nara due mesi dopo la morte di Orihara, ad aprile, venne affidata sin da subito alla squadra Hirako. Divenne la partner di Aiko, la quale era a sua volta tornata da poco in servizio dopo le cinque settimane di malattia che aveva ottenuto in seguito allo scontro col Gufo col Sekigan, nel giro di pochi giorni. Era una brava persona, una madre single e una donna incredibilmente bella. Ad Aiko dispiacque un po’ dividere le luci della ribalta con lei. Era sempre stata la sola ragazza dell’intero team, fino all’arrivo di Osaki, la quale si era rivelata sin da subito più abile nell’arte investigativa, più tenace e sicuramente più amabile. Avevano un carattere molto diverso, ma  andavano d’accordo. Almeno fino a che non l’aveva sorpresa con le mani nella sua borsa, alla ricerca probabilmente del suo cellulare. Fu a quel punto che Aiko aveva capito. Doveva aver sentito una telefonata o magari doveva aver mal interpretato un messaggio di troppo.

Nonostante si trattasse solamente di un dubbio, non aveva avuto molta scelta. La sua copertura non poteva cadere.

Era stata costretta a dirlo a Eto.

E Eto aveva deciso molto velocemente come sbarazzarsi della questione.

 

Il turno era finito ormai da un’oretta e le due avevano pensato di unirsi a Take, Kuramoto e il nuovo arrivato, Kuroiwa Takeomi, per cena. Aiko era silenziosa e Mari non aveva ben chiaro il perché, ma dopo due doppi turni si sentì di poterla giustificare.

«Non devi l’ora di andare a dormire?», le domandò gentile,  mentre la seguiva nel dedalo di viuzze che le avrebbero condotte al ristorante.

«Accidenti, sì», le rispose la più giovane, scostando il ciuffo di capelli all’indietro per allontanarli dalla fronte, velata da una leggera patina di sudore. L’aria di giugno era calda, nonostante il sole fosse tramontato. «Anche tu, immagino.»

«Mi piacerebbe», le fece sapere Osaki, mentre passava la valigetta da una mano all’altra per cercare qualcosa in una tasca della giacca leggera. C’erano delle volte in cui le ricordava un po’ sua madre da giovane, forse nel modo di portare i capelli o nel modo in cui la guardava. Non lo sopportava. «Stasera devo aiutare Maiki a finire il costume per la recita scolastica.»

«Tua figlia?»

La donna annuì, «Sì. Le fanno anche fare un balletto. Le piace molto andare a danza, mi ha detto che da grande vuole fare la ballerina. Povera me! Le accademie costano così tanto.»

Masa si bloccò in mezzo alla strada, con gli occhi sbarrati. Osaki se ne accorse subito, visto che rischiò di andarle a sbattere contro. Spiò il suo viso, fisso in fondo alla via. Sembrava incerta.

«Qualcosa non va?», domandò perplessa la donna.

«Mi chiedevo se ci conviene cambiare strada», soppesò Aiko, tremando appena. Poi chiuse gli occhi e prese un respiro. «No, da qui faremo prima.»

«Mi fido del tuo giudizio», Osaki le sorrise, «Mi sentirò per sempre una straniera a Tokyo?» Masa ricambiò il sorriso tirato, facendo increspare la fronte dell’altra donna. «Sei sicura di stare bene? Oggi sei così cupa. Qualcosa ti preoccupa?»

«Quando mai non c’è qualcosa che ci preoccupa?», rilanciò rapida Aiko, tenendo in mano la sua quinque, mentre svoltavano su un’altra strada, camminando ancora per un paio di minuti, improvvisamente in silenzio.

Ad un certo punto, Osaki iniziò a intuire che qualcosa non andava. «Non siamo mai passate da questa strada, sicura che non ci siamo perse?», domandò, col tono rigido come la corda di un violino.

«Sì, è una scorciatoia per far prima», le rispose pacata Aiko, cercando di tenere una buona faccia di bronzo. Buona come quella che aveva avuto per tutto il funerale di Hiroshi, di fronte a suo padre e alla sua intera famiglia.

Arrivano ad un vicolo, infrascato fra alti condomini e abbastanza isolato. Osaki guardò il muro di fronte a loro, mentre Aiko si spostava di lato.  Rimase in silenzio, tenendola alle spalle, prima di sospirare. «Non abbiamo preso una scorciatoia, vero?»

«No.»

Complice la calura, che faceva sudare le mani bollenti, fu molto semplice per Masa sfilare la valigetta dalla presa della collega. Questa fu colta alla sprovvista e perse la stretta sul manico, sbilanciandosi in avanti. Aiko si scostò, «Mi dispiace», fu tutto quello che le disse mentre alle sue spalle una figura nera si ergeva in tutta la sua altezza, sbucando dal nulla. «Mi dispiace davvero tanto, ma saresti dovuta rimanere a Nara

Osaki rimase impietrita, fissò la morte diritta sulla maschera bianca, mentre un ciuffo lungo le ricadeva sul viso, scioltosi dallo cighion perfetto. La sua compostezza crollò, «Ti prego, Aiko», supplicò. «Ho una figlia. Rimarrebbe sola al mondo…»

«Lo so. Ma non cambia il fatto che hai capito, vero?» Prese un respiro, la giovane investigatrice, prima di buttare via la valigetta di Osaki. Essa cadde di lato, tra due bidoni per la raccolta dei rifiuti, virtualmente difficile da raggiungere per la povera donna.  «Lascio tutto nelle tue mani, Noro.»

Poi diede le spalle alla scena, ignorando le grida di aiuto e camminando velocemente, fino a che esse non furono altro che un leggero sussurro trasportato dal vento afoso di giugno.

Scivolò per strade deserte, lontane dai grandi palazzi, così da non venir vista.

E fu come se non si fosse mai trovata lì.  

 

A svegliarla fu Kuramoto.

La stava scuotendo con forza, il viso deformato dal sollievo, ma al tempo stesso provato. Lei si mise seduta, passandosi una mano sul viso, mentre l’altra prendeva il polso del biondo per farlo fermare. Alle sue spalle, Takeomi Kuroiwa, guardava la scena in religioso silenzio.

«Sei per caso diventato stupido?», domandò con tono roco, sbadigliando. «Perché mi scuoti? Ho fatto un doppio doppio turno e ti ho anche aspettata alzata!»

Itou la guardò, come folgorato da una consapevolezza. «Dopo il lavoro…. Sei tornata qui?»

Era arrivato il momento di fingere. E di farlo molto bene. Con espressione perplessa, Aiko guardò il coinquilino, poi Takeomi. «Sì», disse semplicemente, come se non stesse capendo la situazione. L’aveva capita benissimo. «Ho fatto quasi due giorni di turno consecutivi, Kuramoto. Non ce la facevo più. Perché avete queste facce? È successo qualcosa a Take?» I due si scambiarono un’occhiata e lei alzò le sopracciglia. «Non si sarà mica strozzato con un raviolo, vero? Sarebbe una fine un po’ misera anche per lui.»

«Aiko, hanno attaccato Osaki

«Cosa?!»

Trattenne il respiro

Fu Takeomi a concludere il discorso, appoggiandole una mano sulla spalla mentre si sedeva accanto a lei. «Mi dispiace, Aiko, ma è morta.»

La mora portò una mano al viso, prima di sporgersi per affondarlo contro il petto di kuramoto.

Per nascondere il sollievo.

 

Capitolo diciannove.

Ricevere una chiamata da Tatara nel cuore della notte l’aveva destabilizzata. La fortuna volle che Urie si era perso su una pista, chiuso nel vortice del suo caso, e che quindi non aveva assistito all’espressione inorridita di Aiko quando aveva letto il numero del dottor Huang a lampeggiarle sullo schermo.

Aveva capito che doveva essere una questione di primaria importanza, perché l’aveva contattata direttamente su quel numero, senza avere nemmeno l’accortezza di farsi chiamare utilizzando l’altra sim card e le aveva fatto capire che avrebbe dovuto portare a termine un lavoro per lui. C’era un persona da prelevare presso i giardini di Hamarikyū a Chuo e che avrebbe dovuto accompagnarla a casa di Takatsuki entro l’alba. Non solo.

“Devi fare tutto ciò che è in tuo potere per convincerla a desistere. Non deve incontrarla per nessun motivo. E porta Seidou.”

Erano le due e mezzo. Aveva tempo fino alle sei e mezzo e avrebbe dovuto trovare anche un modo di raccogliere Takizawa per strada. Non c’erano possibilità di coprire tutta quella distanza in così poco. Quando lo aveva detto a Tatara, come sola risposta, si era sentita dire che avrebbe fatto bene a trovarlo, un modo. O lui avrebbe trovato qualcosa da fare con lei.

«Meraviglioso. Ti voglio bene anche io», sibilò tenendo gli occhi sullo schermo ormai spento del telefono. Non aveva un minuto da perdere, quindi si ficcò un paio di abiti anonimi, chiamando la sola persona che avrebbe potuto portarle   quello che le serviva nel minor tempo possibile. «Ayato, mi serve un’auto e Seidou al mio rifugio nella diciannovesima.»

-Cosa mi dai in cambio?-

«Quello che mi chiedi da mesi: notizie su Hinami.» Lo aveva sentito esitare, per poi iniziare a mercanteggiare ciò che davvero bramava davvero: le chiavi della Cochlea. Quella però era una carta che Masa non intendeva giocarsi così. Sapeva che avrebbe potuto ottenere molto, molto di più da lui. «Non sono qui per mercanteggiare», si zittì il tempo di scendere le scale, infilandosi prima in cucina e poi in garage. Con un casco in mano guardò la moto priva di assicurazione di Shirazu, consapevole che quello era il mezzo di trasporto più rapido di cui disponeva. Se l’avessero fermata i poliziotti o se  Urie se ne fosse accorto, si sarebbe inventata una scusa al volo, come sempre. «Quindi? Non ho tempo da perdere. Sì o no?»

-Devi essere molto disperata per chiedere a me.-

«Ayato, sì o no

-Farai meglio a darmi delle informazioni che siano degne di questo nome.-

Era andata. Per tutto il viaggio verso il rifugio trovò valide argomentazioni per convincere Tsubasa a mandarle quanto più poteva sul livello SS Fueguchi. Alla fine riuscì anche in questo, sotto promessa di un lauto pagamento che però temeva non sarebbe stato in moneta sonante. Sperò che Tsubasa si sarebbe al massimo spinto a chiedere informazioni e non altro.

Alle quattro meno venti non solo era arrivata al suo covo, si era vestita infilando una cappa color vinaccia dell’Aogiri e aveva preso la sua maschera, ma aveva anche vagamente spiegato a Kenta cosa stava succedendo. E che stava arrivando Kirishima quindi non sarebbe dovuto scendere.

Nemmeno a dirlo, Ayato non ebbe il tempo di parcheggiare l’auto che si ritrovò il rosso appoggiato alla portiera con un sorriso sornione in volto. Lanciò uno sguardo al coetaneo, mentre Masa nascondeva la moto dietro un muro basso, tenendo il casco sotto il braccio. «Quindi hai deciso di passare da boss a facchino?»

Kirishima lo guardò con gli occhi che lampeggiavano, ma non rispose quando nella tasca dei jeans aderenti, il suo telefono segnalò l’arrivo di una email. «Il mio pagamento», gli fece sapere Masa, facendogli cenno di spostarsi perché aveva fretta. Fece una pausa, dopo aver aperto la portiera. «Ti avevo detto di portare Seidou.»

«Per chi mi hai preso? Io i lavori li porto sempre a termine», rispose scocciato il ragazzino, prima di battere una mano sul bagagliaio. Quando Aiko lo guardò male, lui alzò una mano, «Guarda che è stato lui a chiedermi di mettersi lì dentro.»

«Ok, allora ci rimarrà, non ho tempo per questo.» Buttò il casco nelle mani del suo secondo, che lo prese al volo. «Tornerò entro l’alba. Devo per forza. Tieni d’occhio la situazione e se ci sono problemi non chiamarmi. Stanotte è una nottata di fuoco.»

Kenta annuì velocemente, «Avanti vai, sembra una cosa importante. Poi mi dirai di che si tratta?», domandò. Ayato stava seguendo l’intera conversazione nel più totale mutismo, attento però a non perdersi nemmeno una battuta, curioso.

«Appena lo avrò capito anche io volentieri», fu la risposta della donna, che poi fece rapidamente retromarcia, sparendo in fretta dalla circolazione.

«Quando Tatara le ordina di saltare nel cerchio di fuoco lo fa subito», soppesò Kirishima. Poi sbuffò, portando le braccia dietro alla testa e avviandosi alla prima entrata utile della metropolitana per tornarsene indietro. In realtà non vedeva semplicemente l’ora di rimanere solo per controllare molto bene ogni singolo documento speditogli da Masa, augurandosi per lei che fosse materiale buono. «Mi fa tristezza.»

«Perché tu sei molto diverso, vero? Sei sempre stato il suo cocco, me lo ricordo bene quando facevi le cose per compiacerlo!»

La sola risposta che Kenta ottenne fu un dito medio sollevato nella sua direzione. Ayato non aveva molto margine per giustificarsi.

 

Alle quattro e dieci, con un certo anticipo, Aiko parcheggiò l’auto in uno dei tanti spazi vuoti a causa dell’orario di fronte all’ingresso del famoso parco di Chuo. Con un sospiro si appoggiò allo schienale, controllando nuovamente l’orologio del cellulare per quella che sembrava la centesima volta. Chiuse gli occhi per qualche secondo, sentendo l’ansia scivolarle addosso. Poteva ancora farcela, a finire quell’orribile notte.

«Siamo arrivati?»

Aiko sobbalzò così forte da tirare una testata al tettuccio dell’auto. «Seidou…», sibilò, massaggiandosi la sommità del capo prima di voltarsi a guardarlo. I suoi occhi si scontrarono con quelli caldi e color nocciola dell’altro mezzo ghoul, particolarmente divertito dalla situazione. Doveva essere uscito sganciando i sedili posteriori e chissà da quanto tempo aspettava di fare il simpatico a quella maniera. Lei era troppo chiusa nei suoi pensieri per rendersi conto che si era sporto in avanti. «Sì, siamo arrivati», rispose con un sospiro accondiscendente, prima di appoggiare la fronte al manubrio.

«Chi stiamo cercando?»

«Non lo so.»

«Come è fatta questa persona? È un ghoul?»

«Non lo so.»

«…Certo che fai proprio schifo.»

Masa l’aveva guardato piccata attraverso lo specchietto retrovisore, prima di replicare spicciola, «Non credo troveremo molte persone in un parco a quest’ora della notte, non credi?» Si guardarono negli occhi, poi il ragazzo annuì, scendendo per primo dall’auto. Lei lo imitò immediatamente, passandosi una mano fra le ciocche nere per pararle indietro, alzando. Non aveva nemmeno portato le bende, ma chiunque fosse quella persona, godeva della simpatia di Tatara. Difficilmente avrebbe raccontato ciò che sarebbe successo quella notte. Alzò comunque la maschera sul viso, allacciando la cerniera dietro al collo per farla aderire perfettamente, prima di alzarsi il cappuccio della mantella color vinaccia.

«Vediamo di far presto, così potremo passare il resto della nottata a cercare qualcosa da mangiare.»

Sapeva che quelle parole avrebbero avuto l’effetto sperato. Gli occhi di Takizawa si illuminarono come le lucine dell’albero di natale. Lo guardò strusciarsi contro il suo braccio come un gatto, prima di appoggiare le mani a terra, avanzando acquattato, come se stesse cercando delle tracce. I ghoul avevano un odore molto più intenso di quello umano e il naso di Seidou era molto più sensibile di quello di Masa, già di gran lunga acuto di suo. Guardò il ghoul iniziare ad avanzare, scavalcando la cancellata chiusa e lei lo imitò, guardando verso la telecamera di sicurezza ma decidendo di non usare il kagune per distruggerla. Non poteva permettersi di lasciare tracce.

Il parco era, ovviamente, deserto. Procedettero in silenzio e Aiko si distrasse solo un secondo, riuscendo però a perdere di vista il suo accompagnatore.

«Merda», sibilò, portando una mano alla fronte e domandandosi quante possibilità ci fossero che Takizawa potesse combinare un casino. Non molte, in effetti e sicuramente l’avrebbe ritrovata prima lui di quanto avrebbe fatto lei se si fosse impegnata con ogni fibra del suo essere.

«Coraggio Aiko, concentrati su pensieri felici e porta a termine anche questa stronzata», continuò a parlare a se stessa per infondersi coraggio, passando una mano sulla fronte per abbassare su di essa il cappuccio. «Pensa agli addominali di Cookie, che potresti stare a casa a leccare, ma no. Sei in uno schifo di parco, a notte fonda, come uno spacciatore di infima categoria, a cercare qualcuno di cui non sai nulla. Tutto ordinario.»

Hamarikyū non era poi un parco così grande. Ogni volta che c’era stata, soprattutto quando era più giovane ed era una navigata cosplayer che amava le convention di anime e manga, si era sempre data appuntamento con gli amici conosciuti in rete al vecchio ponte di legno. Quello era il luogo più famoso e chiunque con un minimo di cervello si sarebbe recato lì.

Fece centro.

Esattamente in mezzo alla struttura lignea, posta sullo scorrere artificiale di un fiume circolare che abbracciava l’intera zona verde dentro Tokyo, c’era una figura mascherata. La prima cosa che notò furono i tratti tipicamente femminili, ammantati di scuro. Aveva un paio di anfibiacci alti, al ginocchio e una maschera ricamata di un pizzo molto fine in vantablack a celarle gli occhi e l’identità. Solo quando le fu più vicina e anche l’altra donna notò la sua presenza, si rese conto di alcuni dettagli, come la giacca di pelle di un blu riflessato e i capelli neri tenuti insieme da una coda alta.

Di fronte a lei c’era Lisca. Sorprendentemente, si sarebbe tolta anche un dubbio.

…Poi però calcolò la possibilità di essere riconosciuta, possibilità che si sarebbe rivelata sicura al cento per cento perché Sadako l’aveva vista, ma soprattutto fiutata. Così scelse di giocare d’anticipo, parlando con un tono più basso del solito, facilitata dal cuoio della maschera che ovattava la sua voce.

«Kiojima Sadako

L’altra si irrigidì un poco, rizzando le spalle, prima di staccare i fianchi dal parapetto e avvicinarsi di qualche passo a lei. «Come fai a-» la domanda le morì sulle labbra non appena il vento primaverile mutò. L’aria solo leggermente fresca prese a tirare nella sua direzione, portando così sé il profumo dei capelli di Masa e la sua identità. A quel punto sentì che la ghoul la stava fissando negli occhi, tragicamente unici, nella speranza di trovarci dentro la verità. Quello che disse Lisca subito dopo lasciò sorpresa persino Aiko. «Questa proprio non me la aspettavo.»

Complice quel clima teso, dove per la prima volta dai tempi di Osaki si era sentita compromessa, Masa dimenticò un dettaglio fondamentale. Seidou era ancora in giro, da qualche parte. Piombò letteralmente dal cielo in quel frangente, atterrando su Lisca e tirandosela dietro fino a terra. Con un morso deciso le staccò un’ampia porzione di muscolo fra la spalla e il collo, sputandolo subito dopo con evidente stizza sul volto.

«Sei disgustosa.»

La donna non parve fare nemmeno una piega. Storse solo la bocca in una smorfia sofferente, prima di guardarlo dal basso, poiché lui la sovrastava standosene a cavalcioni sul suo fianco. «Scusa, sai…. La cadaverina.»

Aiko afferrò il cappuccio del suo gufo, tirandolo verso di sé e sentendolo gemere una sorta di latrato strozzato. Lo portò dietro alle gambe e lui rimase lì, affacciato fra le ginocchia di Masa, con gli occhi grandi e spiratati ben piantati su Lisca. «Sei tu la donna che ha chiesto di parlare con Aogiri?», domandò senza ulteriori giri di parole. Quella scena si stava facendo grottesca.

«Se avessi voluto parlare con Aogiri sarei andata diretta da Tatara, non pensi?», la donna si mise in piedi, sistemandosi la giacca e coprendo così l’orribile scarnificazione che seppur lenta, aveva iniziato a rimarginarsi. «Ti ha mandato lui, vero? Perché non è venuto di sua iniziativa? Sei la sua seconda?»

Aiko mise le carte in tavola. «No, perchè sono la sua seconda», le rispose, abbassando il cappuccio, visto che ormai era stata scoperta, ma tenendo la maschera.

«Allora perché tu, Labbra Cucite? O preferisci agente Masa?»

«Perché lavoro per il Gufo col Sekigan, che tu stia cercando.»

Takizawa spinse con entrambe le mani le ginocchia della mora, facendola inclinare in avanti, mentre vi passava attraverso per posizionarsi di fronte a lei. «Sa chi sei», soppesò con un sorriso crudele. «La uccidiamo, sì? La uccidiamo.»

Aiko fece per parlare, ma Lisca la precedette. «Sentite, no», iniziò con tono deciso, quasi stanco. «Io non voglio problemi visto che ne ho già a sufficienza e figurarsi se ne voglio con Aogiri. Io so chi è lei, ma lei sa chi sono io, anzi sono pronta a fare ancora un altro passo verso di voi, purché mi permettiate di parlare con Yoshimura. Io devo parlare con lui.» Masa appoggiò una mano sulla testa di Takizawa, che non sembrava per niente felice di quell’eventualità, prima di fare un cenno verso l’altro ghoul. Questa portò le mani alla maschera e la sfilò, mandando a monte ogni teoria che Aiko aveva mai avuto.

«Shukumei?», domandò, sbalordita. «Credevo che tu fossi Sadako

«Lo sono», confermò la donna, «Così come sono e sono stata anche molte altre persone nella mia vita. Ma ora basta.» La guardò con decisione. «Devo parlare con il Yoshimura e lo devo fare stasera, prima che sia troppo tardi.»

Aiko annuì lentamente, sentendosi ancora stranita per l’essere stata presa così alla sprovvista. «Va bene», le rispose, «Però mi è stato detto di dirti che potresti non tornare più indietro. Se deciderai di incontrare il Gufo, non posso garantire per la tua vita e Tatara mi ha esplicitamente chiesto di farti desistere usando ogni argomentazione.»

Un sorriso dolce attraversò le labbra di Lisca, facendole assumere un’aria malinconica. «Se dovessi morire così, stanotte, almeno lo avrò voluto. Rispondigli questo, quando lo vedrai.» Aiko annuì, ma la donna non si fermò lì. «Per quanto ami Tatara e lo abbia amato in passato e Dei, l’ho fatto davvero, ha perso il diritto di veto sulle mie decisioni da tanto tempo. Ascolto il suo consiglio, ne prendo atto, ma proseguo sulla mia strada come ho sempre fatto. Da sola. Per favore, se stasera dovessi morire, digli addio da parte mia e ricordagli che mi ha fatto una promessa che deve mantenere.»

Aiko e Seidou si scambiarono una lunga occhiata con tanto d’occhi. Poi Takizawa aprì la bocca, «Forse parla di un altro Tatara. Quello che conosciamo noi non ha un cuore.»

«Lo sa nascondere bene», rivelò Shukumei, prima di prendere un profondo respiro. «Mi porterai dal Gufo, ora? Voglio parlare con lui e levarmi questo peso.»

«Lei» Gli occhi di Shukumei si illuminarono di una consapevolezza. «Ti ricordi la nostra conversazione? Quando mi hai domandato perché credessi che dietro al Gufo si nascondesse in realtà una donna? Ecco la risposta vera: perché io lo so.»

 

Il viaggio in auto durò più di mezzora. Quando si addentrarono nel cuore della seconda, in una zona residenziale benestante, Aiko voltò di nuovo il capo verso la donna che sedeva accanto lei, al posto del passeggero.

«Non stiamo andando a una base Aogiri», le fece sapere buttando la maschera nel porta oggetti. «Il Gufo col Sekigan non vive più nella ventiquattresima. Ti sto portando direttamente a casa sua.»

Alle sue spalle Seidou aveva deciso di fare la persona normale, con il gomito appoggiato alla portiera e lo sguardo fisso fuori in un punto indefinibile della pavimentazione stradale. «Io ancora non ci credo che Tatara ha mai avuto una donna, non è proprio giusto.» Aiko gli lanciò uno sguardo divertito dallo specchietto retrovisore, mentre il suo telefono suonava. Lesse velocemente il messaggio di Eto.

Li stava aspettando. Tutti e tre.

Si fermò a un semaforo, girando il capo per guardare Shukumei, ma la donna non stava minimamente seguendo la conversazione. Fissava il cruscotto ancora aperto, rigirandosi l’anello nella mano sinistra e tenendo gli occhi puntati e immobili. Sembrava completamente persa e al suo posto lo sarebbe stata anche Masa. Sospirò, proseguendo verso la loro meta, che raggiunsero dopo qualche altro minuto in silenzio.

Seidou scese dall’auto come un’ombra prima che Aiko entrasse nel parcheggio custodito per lasciare la macchina.

«Ci raggiungerà quando saremo dentro», disse all’altra a scopo informativo mentre camminavano verso l’ingresso, dopo aver recuperato la borsa e essersi liberata della mantella di Aogiri. Arrivarono al portone e Aiko lo aprì con le chiavi, invitandola poi ad entrare nell’ascensore.

Selezionò il piano, inspirando profondamente. Erano quasi le cinque.

«Pensi davvero che morirò?»

Aiko sollevò gli occhi dallo schermo del telefono, ignorando le quattro chiamate perse di Tatara e rificcando l’apparecchio nella tasca dei jeans skinny. Socchiuse le labbra, cercando parole di conforto, ma l’altra proseguì, con tono piatto, come se stesse avendo una crisi di nervi davvero sconvolgente ma si sforzasse per non crollare al suolo piangendo istericamente. «Posso essere egoista e dire che non voglio morire? Posso essere egoista e dire che in questo momento vorrei essere da tutt’altra parte, insieme a un’altra persona?»

Masa appoggiò il capo alla parete dell’ascensore, sospirando. «Vorrei poterti dire che siamo in due, ma ora che siano quasi arrivate, io sono sollevata.»

Shukumei ricambiò il suo sguardo per la prima volta da quando s’erano incontrate al parco. «Ho davvero paura che nonostante tutto, anche se stasera potessi andarmene via con le mie gambe, morirei in ogni caso molto presto», le confidò con il tono rotto e incerto, spezzandole il cuore per quanta sofferenza vi era in quelle parole. «Quel giorno al bar sono venuti per me, non per Kikyo

«Ci avevo pensato», le rispose la mora, mentre le porte si aprivano sul piano. Fu la prima a uscire, rigirandosi le chiavi in mano.

«Non mi ero accorta di nulla. Tu, un’agente. Una spia.» Aiko si voltò a guardarla, aspettando ad aprire la porta. «Come fai ad essere così tranquilla?»

Si prese quindi un istante, voltandosi del tutto verso quella che fino a poche ore prima, per lei, era solo una giornalista. «La prima volta che l’ho incontrata, pensavo mi avrebbe uccisa.» Un piccolo sorrisetto, amaro, le increspò le labbra. «Da allora ho passato mesi di inferno, mi sentivo debole e sottomessa, volevo che mi mangiasse e poi…. Poi sono rinata.» Il sorriso si fece più acceso, più vero. «La mia vita è sua e se non lo fosse, non sarebbe così importante

«La prima cosa che mi viene da pensare è che tu sia una sciocca. Se lo pensassi davvero, però, dovrei dire lo stesso anche di Tatara, ma lo giudico in molti modi, ma non stupido.» Lisca prese un enorme sospiro, per calmarsi e per frenare quel fiume di pensieri che le allagavano la mente. Aveva davvero bisogno di parlare però, sarebbe implosa altrimenti e non poteva permetterselo. Quello era un incontro importante. Unico. «Sai, credo di capire cosa si provi nel dare la propria vita a qualcuno, però. È difficile da spiegare, ma lo capisco.» Masa alzò di nuovo le chiavi, ma l’altra non aveva finito. «Ora, cosa c’entri un agente del ccg, una colomba come te, con l’Aogiri e il Gufo non ne ho proprio idea. Però mi dispiace per te. Per la vita che hai avuto.» Aiko le tenne le spalle, fissa contro la porta, con il labbro inferiore intrappolato fra i denti. «E mi dispiace per Urie», aggiunse, mandando completamente all’aria il castello di carte che erano i sentimenti del Quinx. «Io ci ho messo mesi per penetrare la sua scorza, per avere un contatto con lui. Sembra fatto di amianto, ma in realtà è fragile come il vetro. Ci tiene davvero a te, si vede da come ti guarda e tutto questo gli spezzerà il cuore, visto che forse sei la prima persona ad averglielo fatto battere per davvero dopo tanti-.»

«Starà bene», la interruppe brutalmente Aiko. Però non si voltò «A prescindere da tutto,lui starà bene.»

«Non puoi garantirlo.» Shukumei parlava con sicurezza, mentre l’altra tremava appena, rivelando quanto debole fosse dietro alle sue molte maschere. Ne aveva tante quante Shukumei, ma non avevano un nome. «So cosa può fare il Gufo, l’ho visto. In una notte mi ha tolto due delle persone che ho mai amato di più nella mia vita, facendole a pezzi. Una fisicamente, l’altra in un modo molto più crudele. Per questo io credo che tu sia pazza, Masa Aiko, perché anche se forse sei stata costretta a fare tutto questo, ora ti piace. Sbaglio? A te piace essere in grado di decidere della vita e della morte degli altri.»

«Forse è così», a quel punto, Aiko si voltò a fronteggiarla, improvvisamente arrabbiata. Ma non come Shukumei. Era furente verso la verità. «Forse lo faccio perché per tutta la vita sono stati gli altri a decidere per me e ora sono io che ho il coltello dalla parte del manico.»

Lisca scrollò le spalle, amaramente. «Ricordati che la ruota gira per tutti e quando verrà il momento non sarà chi ti aspetti a venire per te.»

Non poteva rilanciare a questa dichiarazione. Strinse le chiavi in mano fino a ferirsi il palmo, ma non proseguì quel discorso. Fu grata quando la porta si spalancò su un sorriso sfavillante, un cespuglio di capelli verde acqua arruffati e un pigiama di Totoro.

«Cos’è questa? Una riunione fra ragazze? E non sono invitata?»

«Eto…» Masa portò una mano al viso, passandola sulla fronte. Poi allungò la mano per tirare la maglietta larga che la scrittrice aveva addosso. «Lo hai messo?»

«Io uso sempre i tuoi regali», la brontolò la ragazza, prima di fissare i grandi occhi verdi nascosti dalle lenti ovali degli occhiali da vista in quelli di Shukumei. «Entriamo», disse scostandosi e permettendo alle donne di sfilarsi le scarpe. Masa lo fece velocemente, senza sedersi, andando poi in salotto. Sul divano trovò Takizawa con un mano una ciotola di vetro piena di straccetti di carne. Si lasciò cadere accanto a lui con un sospiro stanco.

«Sen Takatsuki», sentì dire a Lisca. «Sul serio? Voglio dire, sei tu il Gufo col Sekigan? Ti ho anche intervistata, mesi fa! ho accompagnato un collega e poi… Sul serio?» Eto trillò una risata divertita, «Tatara sarebbe capace di organizzare un incontro fasullo e tu sei… Tu sei Eto, la bambina con le bende…»

«Non solo, lei è anche Yoshimura», le disse Masa mentre la guardava mettere piede a sua volta nella zona soggiorno insieme alla padrona di casa, che sembrava davvero felice di averli tutti lì a farle compagnia. «Ti presento il mio capo, Shukumei.»

«Assurdo. Però sento che non dovrei essere stupita, infondo assomigli molto a-», lasciò cadere la frase quando ebbe gli occhi di tre sekigan ben puntati su di lei. «Mi immaginavo un omaccione grosso e incazzato.»  La risata che le lasciò le labbra era nervosa, tanto che anche Takizawa iniziò a prestarle attenzione, nonostante il pasto. «Voglio dire, sei la terza faccia più famosa del Giappone dopo l’Imperatore e il primo ministro.»

«Che posso dire, mi piace essere famosa in entrambi i mondi», con un sorriso pragmatico, Eto le mostrò la stanza, allargando le braccia come se volesse abbracciarla tutta. «Ma prego, fai pure come se fossi a casa tua.»

Seidou allungò la ciotola verso Masa, guardandosi bene dall’offrire a Shukumei. L’investigatrice dal canto suo prese una strisciolina di carne, portandola alle labbra e masticandola velocemente.

«Di cosa vogliamo parlare, Nergui?» si informò Eto, strappando l’ennesimo espressione sorpresa a Lisca. «Oh sì, so molto bene chi sei tu. Anzi, posso dire con certezza che so tutto di te, ma non è stato il signor Tatara a dirmelo. Si è sempre guardato molto bene dal farlo.»

Aiko si chiese quanto davvero l’albino tenesse a quella donna se teneva addirittura dei segreti ad Eto. Non credeva ne avessero. Le due donne continuarono a parlare fra loro, fino a che Lisca rivelò il vero motivo della sua presenza lì, facendo accapponare la pelle di Masa, apparentemente senza una vera ragione logica.

«Sono qui per V.»

Quel poco che l’investigatrice sapeva dell’argomento bastava.

Eto annuì, perdendo di poco il sorriso. La cosa comunque non la buttò giù di morale. Si voltò semplicemente verso Masa, che sedeva sul divano dietro al tavolinetto sul quale si era accomodata la mente di Aogiri, al fine di stare il più vicino possibile a Shukumei. «Ai-Ai?», la chiamò e questa si alzò subito in piedi, seppur stanca. Eto ribaltò il capo all’indietro, appoggiandosi alla superficie sotto di lei con le mani per non sbilanciarsi e la guardò. «Puoi andare per stasera. Puoi lasciarmi qui Seidou. Va a riposare, hai lavorato molto bene.»

«Qualcuno di voi chiami Tatara, dopo», chiese con tono lamentoso Aiko, affiancandosi a lei e chinandosi sulle ginocchia per essere quasi alla sua altezza. Si abbracciò le gambe e  studiò il viso di Eto. «Per qualche giorno sarà meglio non dare troppo nell’occhio, non credi?»

L’altra annuì, passandole la mano sul viso. Poi si sfilò gli occhiali, baciandola a fior di labbra e sorridendole. «Allora buonanotte.»

«Buonanotte.»

Aiko si rimise in piedi, avviandosi alla porta. Shukumei la fermò, «Ricorda a Tatara la promessa che mi ha fatto», le chiese «E digli che l’ho amato per davvero. Prima, però, assicurati che io sia morta.»

Eto parve quasi gongolare. Aiko annuì, «Va bene.» Glielo concesse, domandandosi quale sarebbe stata la risposta del ghoul bianco. Poi lanciò uno sguardo al divano. «Ciao bestiolina, ci vediamo in settimana.

Takizawa alzò una mano fiaccamente, seguendola con gli occhi fino a che non fu sparita oltre la porta. Non attese nemmeno di arrivare all’ascensore per cambiare la scheda nel telefono. Naturalmente Urie aveva notato la sua assenza e lo aveva portato alla sua attenzione con una quindicina di chiamate perse.

«Scusa, ho avuto un’emergenza e ho dimenticato di avvertirti.» Fu la prima cosa che gli disse, mentre l’ascensore si apriva sul piano terra. Che cazzata gli avrebbe detto questa volta.

-Possa sapere dove cazzo sei?? Sono ore che ti chiamo. Sei andata via con la moto di Shirazu?-

Arrivata alla macchina, Aiko si sedette. Poi strinse gli occhi, buttando fuori la prima cosa che le venne in mente. «Mia madre mi ha chiamata, era isterica», spiattellò, «Sono qui da lei, ha avuto una ricaduta.»

La scusa della depressione fittizia della signora Masa – che in realtà stava benissimo- era sempre comoda. Ma per quanto ancora avrebbe funzionato? Per quella sera parve di sì. Urie le chiese anche scusa per avere insistito così tanto a chiamare e lei, memore del suo discorso con Shukumei, si sentì una vera stronza.

«Sto tornando, comunque. Dovrei essere lì in un’ora.»

-Va bene, ti aspetto per colazione.-

«A dopo.»

Non riattaccò semplicemente il telefono. Lo scaraventò sui sedili posteriori, prima di dare un pugno al volante che fece partire il clacson.

Non avrebbe scordato facilmente quella conversazione. Decisamente no.

 

 

-A tutte le unità: il sospetto è pericoloso, ripeto, il sospetto è pericoloso. Si ordina a tutte le volanti attive nell’inseguimento ad attendere il supporto della ccg senza prendere iniziative.-

Il ventisette aprile, alle dieci e mezzo del mattino, nell’incrocio fra Taitō e Arakawa, Youto Saburo venne messo all’angolo. Il duro lavoro sui tabulati telefonici aveva dato i suoi frutti quando Aiko era riuscita, con l’aiuto di Komoto, a risalire a una terza identità del Funambulo. Da lì avevano ottenuto un indirizzo e una ancor più preziosa targa del veicolo che gli ex colleghi dell’uomo avevano descritto nel corso degli interrogatori. Gli investigatori non avevano dovuto aspettare molto per rintracciare l’automobile.

Scendendo dalla sua macchina, incastrata a lisca di pesce in mezzo ad almeno venti volanti della polizia urbana di Tokyo, Masa si era ritrovata di fronte un giovane dal viso emaciato e segnato dalla latitanza. Negli occhi chiari poteva leggere sia la consapevolezza di essere stato braccato che l’assoluta certezza che non avrebbe reso le cose facili a nessuno. Sembrava essere rimasto lì per quel momento, quello in cui si sarebbe confrontato con le colombe. Di fronte a lui ne erano apparse quattro, due donne e due uomini.

Quattro Quinx.

«Non ha cercato di attaccarvi?», domandò Urie al più graduato degli agenti, incrociando le braccia mentre spiava il soggetto oltre la portiera aperta della volante. Il poliziotto scosse il capo e spiegò che dopo l’inseguimento, era rimasto lì.

«Noi siamo armati solo con un caricatore a proiettili Q, in caso di emergenza. Il resto lo lasciamo a voi.»

«Come vuoi procedere, Aiko?»

Lei ci pensò su, prima di girarsi verso Higemaru e Hsiao. «Andiamo io e te», concluse alla fine con Urie e questi parve completamente d’accordo. «Voi ci coprite», aggiunse, «Quindi state pronti.»

«Roger», confermò Touma, mentre si sfilava il trench, prendendo in mano la valigetta.

«Proverò a convincerlo a parole. È sempre stato quello il mio obiettivo», proseguì l’agente Masa, facendo cenno a uno dei poliziotti di passarle il grosso megafono rosso che avevano usato fino a quel momento per incitare Saburo ad arrendersi. Come se poi potesse buttare le sue armi a terra. «Se tutto va secondo i piani, facciamo l’iniezione degli inibitori, lo ammanettiamo e aspettiamo il trasporto al Corniculum. Nel caso in cui non dovesse accettare la resa pacifica, allora tenete conto che è un ghoul di livello S-, rinkaku e molto veloce. Cercherà sicuramente di scappare e non possiamo permetterlo.»

«Va abbattuto oggi», convenne il caposquadra, mentre la guardava accendere il megafono con una mano già sulla katana.

Lei lo notò e abbozzò un sorrisetto. «Non sei molto positivo.»

«Non lo sono quando preparo i tortini di patata. Non vedo perché dovrei esserlo adesso.»

Il suo vice scosse il capo divertita, prima di alzarsi in piedi sulla volante, camminando sul cofano e poi sul tettuccio. Lì si acquattò, catturando già l’attenzione del ghoul. Portò quindi il megafono alle labbra, chiedendosi fino a che punto si sarebbero spinti. In un certo senso, nonostante le belle parole a Kikyo, sperava solo di chiudere la questione in fretta.

«Saburo, rendiamo le cose facili, ti va?» Il ghoul non avrebbe mai reso semplice la sua cattura, persino la sua ragazza lo aveva detto. Sperò di non venire attaccata sopra a quella vettura o conoscendo la polizia urbana, avrebbero chiesto a loro il risarcimento. «Io sono l’agente del ccg Masa Aiko. Per il tuo bene e anche per il nostro, ti consiglio di non opporre resistenza. Fatti prelevare da noi e interrogare. In base alle informazioni che ci darai, garantiremo o meno per la tua vita.»

Aiko abbassò la mano, appoggiando il gomito al ginocchio, in attesa. Osservò come quell’essere non stesse minimamente ponderando quell’opzione, tenendo gli occhi gelidi su di lei. Allungò un’occhiata a Urie che, sempre appoggiato alla portiera, non perdeva di vista il sospetto. Ci riprovò, alzando nuovamente il megafono. «Sai come siamo arrivati a te?», domandò retoricamente. «Abbiamo parlato con i tuoi vecchi colleghi e con Kikyo. Vuoi davvero che lei finisca nei guai per te? Vuoi che-»

Aiko lasciò cadere l’oggetto, mentre prendeva lo slancio per sollevarsi di un paio di metri. Era bastato solo nominare la ragazza, che Saburo si era lanciato in avanti, sfoderando l’organo predatorio e aprendo in due l’automobile con la stressa facilità con cui un bambino avrebbe potuto strappare un foglio di carta.

Aiko se lo aspettava.

Se lo aspettava così tanto da essere pronta. Serpentine, quattro delle sue code si allungarono in avanti, indurendosi man mano che sfrecciavano verso l’obiettivo, cercando di colpirlo. Lui si schermò con i suoi, di tentacoli, formando una barriera di un giallo piuttosto acceso contro il viola e il verde di Masa. Utilizzando le altre code provò a colpirlo dall’alto e dai fianchi, ma lui fu abbastanza veloce da schivare, lasciando che a pagare le conseguenze di quegli attacchi fosse l’asfalto. Esso infatti si increspò e spaccò laddove Aiko lo colpiva con forza.

«Ha attaccato!», Urie prese in mano la situazione, estraendo la katana, mentre Masa si teneva sollevata dal terreno, in piedi su una delle code, appiattita per l’occasione. Guardandola, il caposquadra si chiese quando aveva preso così tanta confidenza col kagune, considerato che fino a tre mesi prima non riusciva nemmeno a ritrarlo. «Cerca di bloccarlo, ci penso io a finirlo.»

«Se ci riesco volentieri», usando le sette membra rimanenti, Aiko cercò di circondarlo, ma era dannatamente veloce. Tirava il suo kagune da una delle sue code all’altra, camminandoci sopra con maestria. Come un vero funambolo poi saltava, aggrappandosi al miscuglio sconclusionato di kagune ammassati. Ci riuscì fino a che Masa non lo colse impreparato, distraendolo sul fianco sinistro per poi infilzarlo senza pietà dal basso. «Hige, Hsiao! Coprite i lati!»

In un ultimo disperato tentativo, Saburo cercò di fermare Urie che si spostava rapido fra i tentacoli di Masa, ma il suo kagune venne intercettato dagli altri due Quinx, lasciandolo disarmato di fronte alla forza distruttiva di Noro, che lo fece suo in un sol boccone.

 

Il viale alberato lungo il quale si era consumato lo scontro era bellissimo. Aiko lo notò solo alla fine, mentre recuperava le energie spese nella battaglia, seduta sul marciapiede con una lattina di una qualche bibita esageratamente zuccherata in mano e il naso puntato verso l’alto. I petali dei ciliegi in fiore cadevano delicati dal cielo, staccati dal vento, cadendo fra i suoi capelli e nella pozza di sangue che iniziava a rapprendersi.

E pensare che la festa di Hanami l’aveva sempre festeggiata, con il tradizionale pick nick con sua madre e suo fratello, fino alla scomparsa di Shinichi. Trovava poetico che passati più di due anni, tutto ciò che le rimanesse di quei ricordi, fosse l’amarezza spazzata via dall’ennesimo successo.

«Mi mette una firma, titolare del caso

Masa spostò gli occhi sulla persona che aveva appena parlato, riconoscendo Aizawa. «Sei venuto a prendere personalmente il corpo?», si informò, afferrando la cartellina e una penna dalla tasca del trench. Firmò sbrigativa, ripassando le scartoffie al dottore.

«Ero per strada», fu la risposta evasiva dell’uomo, che sembrava avere qualcosa di strano. Era più cupo del solito, forse più acido. «Quindi un altro grande successo per la piccola criminologa?», domandò di fatto, con il tono tirato di chi cerca qualcosa da dire disperatamente.

Lei si chiese il perché di quell’atteggiamento, ma lo liquidò in fretta. Aizawa era fatto così, aveva più giornate no che sì. «A quanto pare», gli rispose, senza particolare voglia. Si sentiva sollevata, ma al tempo stesso amareggiata. Non lo aveva ucciso lei anche se lo aveva rincorso per così tanto. Faceva ancora fatica a fare gioco di squadra, però iniziava ad accettarlo molto di più.

«Stasera vai a festeggiare con i tuoi amici?»

Grattandosi la nuca, Aiko lo guardò senza capire. «I miei amici sono anche i tuoi, Aizawa

«Ne sei certa?»

La risposta la lasciò lì così, con le labbra schiuse nel tentativo di comprendere a cosa l’altro si riferisse. Quando Aizawa ci si metteva, poteva essere criptico, ma non parlava mai a sproposito. Almeno, non in quel momento. Aiko lesse molto attentamente il linguaggio del corpo dell’uomo, trovandolo deciso a volerle comunicare qualcosa, sia dalla postura diritta delle spalle fino agli occhi che sembravano fiammeggiare. Era fermo, impassibile e padrone della situazione.

Stava cercando di dire qualcosa, senza dirla apertamente. Era un classico anche questo, Aiko lo aveva sempre trovato un po’ pavido, tanto rumore per nulla e tanto fumo per un ben misero arrosto.

«Cosa stai cercando di dirmi?»

«Assolutamente niente!» Il suo modo di uscire dalla situazione fu come vi era entrato. Con una nonchalance invidiabile. «Se uscite a bere in onore del primo caso chiuso di Higamaru chiamami, ok? Buon proseguimento, io vado a fare quinque!»

Lo guardò allontanarsi verso il furgone del coroner, prendendo un altro sorso dalla lattina.

Molto interessante.

 

 

Il bancone era totalmente libero quando Masa vi prese posto.

Si appoggiò con i gomiti alla superficie liscia, incrociando le mani sotto al mento e attendendo che il barista terminasse di preparare un mojito per un giovane ragazzo che lo attendeva, poco distante da lei. La mora si sentì osservata da quel giovane avventore, ritrovandosi divertita nel constatare che se avesse tirato fuori il suo badge e avesse controllato l’età, difficilmente avrebbe potuto evitare di avvertire la polizia. Non lo fece.

L’Helter Skelter le piaceva, non voleva far brutta figura, nonostante la proprietaria non fosse nei paraggi.

«Ei Haruo», disse rivolta all’uomo dietro al bancone, quando questi si voltò verso di lei. Lui ricambiò il saluto, fronteggiandola con le mani bene aperte sul legno, in attesa. «Itori non viene stasera?»

«Da quant’è che non passavi di qui, Aiko?», rilanciò lui. Pareva parecchio divertito da quella domanda tanto ovvia.

Un sorrisetto si aprì sulle labbra dell’investigatrice. «Un pezzo, in effetti. Oggi non cerco informazioni, però.» Alzò un dito e lui prese un calice, capendo perfettamente l’ordinazione. Mentre versava, lei prese un respiro. «Uta invece viene ancora spesso qui?»

«Come al solito.»

A rispondere era stato proprio quest’ultimo, apparso da chissà dove alle sue spalle. Prese posto alla sua sinistra mentre, a sorpresa, lo sgabello a destra venne occupato da un'altra personalità alquanto bizzarra. Aiko guardò Nico, che le fece l’occhiolino. «Come sembri sciupata», le disse senza giri di parole proprio lui, passandole un dito sulla linea netta della spalla, lasciata scoperta dalla canottiera nera. «Sei sicura di mangiare abbastanza, tesoro?»

«Sei sicura di mangiare le cose giuste?», fu il modo di Uta di rilanciare.

Aiko prese dalla tasca dei pantaloni la tessera dorata dello Psiche, appoggiandola di fronte al  ghoul tatuato. «Sorvolando sulla mia alimentazione, che è buona perché variegata», premise la donna, «Grazie per la collaborazione.»

«Che non si pensi che collaboro con il ccg.» Uta la guardò prendere un sorso dal calice, interessato dal modo in cui le labbra di Masa si sporcarono di liquido vermiglio. «Il signor Porpora aveva solo a cuore questo nostro…. Interesse comune.»

«Il signor Saburo era una così brava persona», disse quasi malinconico Nico, appoggiato mollemente al palmo della mano con il mento. «Non riuscivamo proprio a deciderci su chi avrebbe dovuto farlo fuori, prima che arrivassi tu.»

«Siete stati fortunati, visto che il caso è stato affidato a me.»

Uta sembrò pensieroso. «Fortunati? O bravi?»

Masa spazzò via quel pensiero con un movimento del polso, «Quello che è», concordò. «Sarebbe molto ingenuo da parte mia pensare che non avete infiltrati nel ccg, ma non voglio sapere nulla. Tsubasa mi basta e avanza.»

«Tsubasa non è un Clown», chiarì Uta.

«Lui crede proprio di sì, invece. Forse dovresti farglielo presente come si deve.»

«Trovo Huso così tenero.» Nico ridacchiò sotto i baffi, prima di guardare Masa nei grandi occhi gialli, tenendo i suoi a mezz’asta. «Crede che basti una pacca sulla testa e un biscottino per diventare un ghoul e fare parte di una organizzazione. Mi ricorda tanto te i primi tempi.»

«Non ho mai avuto la presunzione di pensare di essere importante, al contrario suo», con un ultimo sorso, Aiko svuotò il bicchiere, facendo per prendere il portafogli dalla tasca della giacca di pelle. Uta fece per fermarla, ma lei non gli avrebbe permesso di pagare al suo posto. «Io non lavoro per i Clown», chiarì, passando una banconota a Haruo, che osservava la scena un po’ in disparte. «Io ho fatto ciò che i miei superiori si aspettava, né  più né  meno.»

«Naturalmente», fu la risposta accondiscendente di Uta, che addirittura arrivò a fingersi sorpreso per quel fraintendimento. «Però puoi lo stesso accettare la nostra gratitudine, non credi?»

«La accetto», alzandosi dallo sgabello, Aiko infilò la giacca. «Però non vorrei ritrovarmi invischiata in qualcosa che non mi conviene.» Fece un cenno di saluto ad entrambi. «Buon proseguimento signori.»

Nico la guardò andarsene, prima di passare gli occhi sul calice vuoto lasciato sul bancone. A prova della presenza di Masa vi era rimasta solo una sottile patina di rossetto rosso e qualche impronta. «Che piccola arrogante», ridacchiando, prese il bicchiere di cristallo in mano, osservandolo meglio. «Viene qui, beve sangue fingendo di essere una di noi e poi se ne va così…. Come se non sapesse di essere già invischiata in qualcosa che non le sarebbe convenuto.»

L’ultima parola toccò a Senza Faccia. «In ogni caso, non ci riguarda. Teniamola d’occhio come ci è stato ordinato e limitiamoci solo a questo. Sento che presto o tardi, assisteremo alla rovina di Masa Aiko dalla prima fila di un teatro straripante di persone.»

 

Continua…

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Capitolo 20
*** Terzo Intermezzo - 1 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

O

Terzo intermezzo: Cieli di Vetro.

Parte prima.

 

 

La paura raggelante che le aveva ghiacciato il cuore quella notte nella ventesima, durante il raid per l’operazione di Eliminazione del Gufo col Sekigan, era diventata un opprimente ricordo nel corso di quasi un anno. Aiko ancora faceva i conti con gli incubi che ne derivavano, ma era scesa a patti con i demoni che in una sola sera s’erano fatti giudice,  giuria e boia della sua vita.

La sua esistenza aveva preso a seguire un percorso più circolare, più quotidiano. Aveva imparato a scindersi molto bene in due persone distinte, Masa e Labbra Cucite, l’agente e il membro di Aogiri. Era diventata così brava da farsi giustizia da sola un paio di volte e aveva ottenuto il controllo della diciannovesima come premio per la sua fedeltà. Il solo fronte che rimaneva stazionario era quello del suo lavoro vero, nel quale non si sentiva molto stimolata, come se la sua vita reale non potesse più tenere il passo rispetto quella segreta. Nonostante ciò, le indagini andavano avanti, le operazioni anche.

Le articolazioni ne risentivano.

Con la caviglia fasciata, lasciata libera da un paio di infradito nere a fiorellini bianchi, fissava di fronte a sé il fiume che scorreva al centro del parco Chidorigafuchi. Sembrava che tutta la prima circoscrizione si fosse radunata lì per l’inizio della festa di Hanabi, ma forse era proprio così. Seduto accanto a lei, con un braccio a pendergli dal collo e quindi sfilato dalla manica larga del suo yukata tinto dei toni del marrone, Take teneva gli occhi fissi sull’acqua placida, disturbata di tanto in tanto da qualche sasso lanciato dai bambini.

«Ti stanno bene gli abiti tradizionali, lo sai? Dovresti prendere in considerazione l’idea di diventare un samurai. Forse saresti più bravo che come investigatore, visto che riesci sempre a farti ferire.»

Hirako spostò lo sguardo fermo nonostante i tanti, troppi bicchierini di grappa al mirtillo, e fissandoli in quelli decisamente più brilli della giovane collega. «Se ci hanno abbandonati qui è solo colpa tua», le disse senza peli sulla lingua. «Sei tu la ferita che non è in grado di camminare. E comunque anche tu stai bene vestita così.»

Aiko sistemò il bordo del suo yukata bianco, ricamato con tanti piccoli fiori di ciliegio in filo di seta rosa, quasi altezzosa. «Io sto bene con addosso qualsiasi cosa. O senza niente.»

Hirako la guardò assottigliando appena lo sguardo. «Sembra un invito.»

«Potrebbe diventarlo se mi passi di nuovo la bottiglia.»

Lui, per giusta misura, la allontanò facendo lamentare la mora. La guardò gonfiare le guance in modo infantile, prima di appoggiarsi meglio alla coperta che Kuramoto aveva amorevolmente steso per loro prima di lasciarli lì a morire da soli, portando il resto della squadra in un punto che, a detta sua, era molto migliore per vedere i fuochi artificiali sul fiume. Posto stipato di persone e quindi non adatto alla quota di invalidi che l’ultima operazione aveva creato. Take controllò l’ora, prima di sospirare lentamente, scocciato. La cosa non sfuggì alla ragazza, che alzò un sopracciglio. «Se ti stai annoiando così tanto puoi raggiungere gli altri. Tanto stare da sola o con te è circa la stessa cosa. Con me stessa faccio discorsi più lunghi.»

«No, mi piace stare con te», rispose quello, assolutamente a suo agio nonostante non fossero mai rimasti per così tanto tempo in presenza l’uno dell’altra senza Itou attorno. In un anno di conoscenza e senza avere di mezzo il lavoro.

Lei parve sorpresa. «Grazie, Take», gli disse, dandogli una pacca sul braccio ferito. Se ne pentì subito, pronta a scusarsi, ma lui non fece nemmeno una piega. Quindi lasciò perdere, muovendo la mano come per scacciare una mosca, mentre cercava inutilmente di mettersi seduta diritta. Già i movimenti erano limitati dai metri di stoffa, poi aveva decisamente bevuto troppo. «Sei così stoico che se dovesse crollare il mondo ti basterebbe spostarti di lato e guardare tutto andare in pezzi.» Tornò a guardarlo, appoggiandosi con il mento alla sua spalla quando lui non ricambiò. Quando ebbe di nuovo la sua attenzione, sistemandosi uno dei fiorellini che teneva fra le ciocche corte nere, iniziò a soppesare un pensiero che le era rimasto incastrato nella mente e ora le ballava sulla punta della lingua. «Mi sono sempre chiesta che tipo di uomo tu sia, in realtà. Dietro a questa maschera di meccanica compostezza e di nauseante menefreghismo. Mi chiedo a cosa pensi quando torni a casa, nell’intimità del tuo appartamento, dopo aver perso un compagno o provato l’euforia di una schiacciate vittoria. Oppure come ti rapporti con le donne, che tipo di amante sei…. Di solito questo aspetto riserva sempre le sorprese migliori.»

L’impassibilità dell’uomo venne compromessa, quando un lieve rossore iniziò a espandersi sull’arcata del suo naso, fin sulla punta delle orecchie. Lei la notò, trionfante, passando il braccio attorno alle spalle del suo capo. «Ecco ci siamo», gli sussurrò vicino all’orecchio, con la voce di una bambina felice. «Inizio a vedere qualcosa, signor Hirako. Sarà che forse, sotto sotto, anche tu sei un essere umano? Non sei il Robocop del Giappone?»

Voleva però spingersi ancora un po’ oltre. Aveva abbastanza alcool in corpo per trovare il coraggio necessario, ma troppo poco perché non ne fosse abbastanza consapevole. Gli prese quindi il mento fra pollice e indice, sollevando il busto per sporgersi in avanti, alla sua altezza, di poco più alta della sua. Lui portò la mano alla sua spalla, fermo. «Kuramoto.»

Lo disse come se dentro a quel singolo nome ci fosse una lista di lunghe ragioni per le quali non era il caso. E non aveva tutti i torti. Aiko alzò le sopracciglia, umettandosi le labbra prima di proseguire, sempre con tono calcolato e basso, un sussurro che di innocente aveva ben poco. «Andiamo, non giocare questa carta. Se non vuoi devi avere una motivazione un po’ più forte, soprattutto perché tu sai benissimo le dinamiche fra me e Kuramoto.»

Lui per un attimo le parve quasi terrorizzato, ma fu solo per un frangente. Gli occhi si sgranarono una frazione di secondo, mentre alzava il mento per elevare il capo rispetto a quello di Aiko.

Per risposta, Masa glielo riabbassò con una certa prepotenza. Non si era mai visto un uomo così tanto difficile. «Mettiamola così», riprese a parlare, «Non ti sto chiedendo di sposarmi, di avere i tuoi figli e di chiedere al tuo cane di chiamarmi padroncina», spiegò pragmaticamente, peggiorando solo l’imbarazzo dell’altro. «In realtà non lo so nemmeno io cosa ti sto chiedendo. Forse è più semplice se sei tu a dirmi cosa sei disposto a darmi.»

Sapeva molto ben che non ci sarebbe stata una risposta verbale a quelle parole. Take era un uomo a tratti misterioso, che avrebbe potuto mandarla al diavolo finendo di scolarsi quella bottiglia alcolica oppure prenderla in braccio e portarla in macchina, possedendola fino a che entrambi non ne avrebbero avuto abbastanza. Era divertente fantasticarci su, portarlo al limite e vedere solo cosa succedeva. Quella sera avevano abbastanza grappa nelle vene per spingersi un gradino più lontani del solito. Aiko non voleva farlo arrabbiare, emozione che cercava sempre di strappargli via come un foruncolo, no. Voleva spingerlo molto, molto oltre.

Qualcosa comunque scattò. La mano di Take scivolò dalla spalla all’incavatura del fianco magro di Aiko, laddove l’orrenda cicatrice era celata alla vista dalla stoffa pregiata dello yukata. Lei inclinò il capo, come un gatto curioso, in attesa, abbassandosi di poco. Quando lui prese a seguirla nella discesa, lei rialzò il viso all’improvviso, ritrovandosi le labbra del suo capo ad un palmo del naso. Sentiva il suo respiro caldo e incerto sfiorare le sue. Rimasero così per diversi secondi, poi lui levò la mano, facendole perdere la presa e scivolare stesa sulla coperta, ridacchiando mentre Take si rimetteva seduto, con il braccio sano attorno a un ginocchio e gli occhi di nuovo puntati sul fiume.

«Lo sapevo!» Il suo urlo fece voltare più di una persona nella loro direzione. «Lo sapevo che tu sei assolutamente incapace di lasciarti andare e goderti un solo, singolo istante di vita. Di cosa hai paura? Che morendo mi renderai triste? Come se potessi evitare alle persone di affezionarsi a te solo per il lavoro che fai. Che facciamo tutti.»

«Sono fermamente convinto che un gesto intimo come un bacio non sia semplicemente quello che è, ma che nasconda anche un significato molto più profondo», quella era la frase più lunga che Aiko gli avesse mai sentito dire. E non era finita, «Baciare una persona è come suggellare una promessa. Tu e io non abbiamo molto da dirci, Aiko.»

Lei fu presa alla sprovvista. Lo guardò con gli occhi lucidi spalancati, battendo le palpebre velocemente per un paio di secondi. Poi si tirò su, con la grazia di un beluga, appoggiandogli una mano sul braccio. «Stavo giocando», gli disse.  «Puoi davvero offenderti per così poco?»

«Così poco?»

Lo stallo che si creò non si sarebbe mai risolto, se il ritorno di Kuramoto, Kuroiwa e Machibata non li avesse interrotti brutalmente. «Aiko stai molestando Take?», si informò il biondo, brillo come mai prima, mentre Takeomi spiegava ad Hirako che c’erano troppe persone al fiume e che dopo una passeggiata in mezzo alle bancarelle della fiera, avevano preferito tornare da loro.

«Lui? È immolestabile.» Sistemandosi con il capo sulla spalla del coinquilino, Aiko cercò subito consolazione, con tanto di broncio. Lanciò un ultimo sguardo verso Hirako, quasi come se ce l’avesse con lui per qualche motivo, mentre l’altro la abbracciava, appoggiando il capo al suo. «Non posso far nulla con chi non ha sentimenti.»

«Ma che vipera», Kuramoto scosse il capo, divertito. «Ora guarda lo spettacolo pirotecnico, poi mi toccherà portarti a nanna.»

Mezzanotte era di fatto arrivata. In uno scoppiettare costante, i fiori di fuoco accesero il cielo, creando giochi di luce colorata sull’acqua del fiume e illuminando la zona attorno a loro. Rapiti dallo spettacolo, tutti rimasero con il naso verso il cielo in silenzio per qualche minuto.

Fu Kuroiwa il primo a dir qualcosa, spezzando quel mutismo generale e scatenando quella che si rivelò una lunga conversazione, che divenne in seguito un vero e proprio processo alle intenzioni di Aiko

«Take, perché sei così rosso in viso?»

 

Capitolo venti

«Quindi, ricapitoliamo per maggiore chiarezza: in data 2 luglio 2016 lei, signora Izumi, dichiara di avere avvistato un ghoul in zona Asoka, alle ore dodici e quindici circa. Mentre si recava presso la sua abitazione lungo la medesima via ha sentito dei rumori sospetti in uno dei vicoli accanto al convenient store. A quel punto si è affacciata e ha avvistato il suddetto ghoul. Può darmi qualche dettaglio sul suo aspetto fisico? Qualche cosa che possa aiutarci ad identificarlo?»

«Aveva due teste.»

Il battere ritmico sulla tastiera del computer si interruppe bruscamente e Higemaru alzò gli occhi sulla vecchina seduta di fronte alla scrivania che lui e Aiko occupavano. Anche l’investigatrice guardò l’anziana, smettendo di rileggere i suoi appunti cartacei, che il collega stava meticolosamente battendo a macchina, seguendo la sua voce.

«Mi perdoni?»

«Sì, due teste. E un solo braccio! Un solo lungo braccio.»

Masa non sembrava sorpresa come il giovane partner, anzi. Mantenne lo sguardo fisso sulla parrucca ridicolmente gonfia della donna, cercando di dare un senso a quella denuncia.

Quanto odio il lavoro di ufficio, cazzo.

«Quindi, Hige scrivi: il soggetto presenta la peculiare caratteristica di essere bicefalo e dotato di un singolo arto nella parte superiore del corpo, di una lunghezza indefinita ma certamente più del normale. C’è altro, signora Izumi

«Sono abbastanza sicura che stesse cantando.»

«…Signora Izumi, quanto saké ha bevuto a pranzo?» Quando l’anziana parve non comprendere la pertinenza della domanda, Masa ci rinunciò. Prese un sorso di caffè svuotando la tazza di Higemaru, visto che la sua era vuota da un pezzo. «Ora le spiego come funziona, signora Izumi.» Incrociando le mani sotto al mento, la mora riprese a parlare con tono pacato, formale, come un disco inciso e ripetuto all’ennesima potenza. «Ora il mio collega le rileggerà a voce alta la deposizione, poi la stamperà e gliela fornirà così che possa nuovamente controllare precisamente ogni singola parola, valutandola. Una volta fatto, lei ne firmerà una copia che invieremo agli uffici del piano di sopra. Lì un investigatore prenderà atto della sua dichiarazione e a quel punto verrà deciso se affidare o meno il caso a una delle nostre squadre. Ad ogni modo, lei non deve preoccuparsi più di nulla, ci pensiamo noi.»

Ovviamente nessuno si sarebbe avventurato in quella utopistica avventura, ma per il bene della popolazione e per garantire l’ordine, raccoglievano davvero ogni tipo di segnalazione.

Anche le più assurde.

Aiko si alzò, sotto lo sguardo sconsolato del partner. «Lascio finire tutto a te, Hige.» Gli battè la mano sulla spalla, recuperando la sua tazza con sopra una stampa di Feitan, il personaggio preferito di HunterxHunter della ragazza. Le ricordava Urie. «So che puoi farcela, ormai sono tre giorni che raccogli testimonianze con me, è il momento di brillare da solo per le rimanenti quaranta ore di internato che ci toccano.»

«Tu dove vai?», le domandò un po’ spaventato, guardandola avvicinarsi alla porta dopo aver rispettosamente salutato la povera pazza.

Aiko si appoggiò contro il bordo del box. «A prendere un altro ufficio. C’è una folla immensa nella sala d’aspetto oggi. Se lavoriamo tutti magari finiamo entro l’ora di cena. In bocca allo Snorlax

Prima tappa: sala ristoro. Prese un’altra tazza di caffè americano, più acqua che sostanza, versandoci sopra anche della panna vegetale lasciata in frigo da qualche anima pia per tutti gli intolleranti al lattosio. Passò quindi davanti alla sala d’aspetto stipata di persone, guardandole tutte, incazzate come un branco di bisce in una piccola pozza d’acqua, mentre sorseggiava allegramente la sua tazza. Ovviamente non chiamò nessuno, scatenando il panico da abbandono generale. Si affacciò nel primo ufficio. Due scrivanie e Take con un uomo sulla quarantina sudato. Bocciata. Secondo ufficio, Hachikawa e Hogi. Masa non guardò nemmeno se stavano lavorando, bocciò la possibilità di passare altre quattro ore in loro compagnia di principio.

Terzo ufficio, Urie e Saiko impegnati a fissare il vuoto con una scrivania vuota nel mezzo.

«Ci stiamo uccidendo di lavoro qui, eh?», domandò la mora, andando a prendere posizione senza nemmeno chiedere se fosse occupato. Il caposquadra alzò il viso, scostandolo dal ventilatore. Sembrava sul punto di fondersi con il legno. «Andiamo, non fa così caldo.»

«Ah no?», chiese questi con una punta di isteria. «Io odio il caldo.»

«Non lo avevamo mica capito», lo prese in giro Yonebayashi, riprendendo a riportare una denuncia sul computer. «Dopotutto non sei tornato da Okinawa più pallido di come sei partito.» Con una veloce occhiata alle braccia magre e scurette di Aiko, che invece il sole lo aveva preso come si doveva, la ragazzotta sbuffò. «Anche io voglio andare in ferie. Quando cavolo arriva la fine del mese?»

«Alla fine del mese», le rispose Masa, sentendosi particolarmente di buon umore. Erano tornati dalle ferie da cinque giorni, solo Urie poteva essere così scorbutico dopo aver alternato lunghe dormite al sesso, con qualche pausa in mezzo per i pasti,  per sette giorni. No stop. «Facciamo scorrere la fila o aspettiamo che vengano a sventrarci? Ci sono persone particolarmente arrabbiate nella sala d’attesa.»

«Con questo caldo, senza aria condizionata…»

«E tu che ti sei fregato il solo ventilatore della stanza? Oh beh, sto iniziando a vedere rosso pure io in effetti.»

Saiko si alzò. «Chiamo io tre persone, ma prima vado in bagno.» E li lasciò lì a battibecchiare come la vecchia coppia sposata che infondo erano.

Urie attese di vederla uscire, prima di sporgersi verso la scrivania di Aiko. «A che ora hai prenotato il ristorante?»

«Alle nove e un quarto, così abbiamo il tempo di farci otto docce per levare l’odore di cittadino medio di Tokyo dalla pelle.» Gli rispose senza guardarlo, tenendo in mano il cellulare, aperto su una applicazione rumorosa. «Perché non riesco a trovare nemmeno un Evee? Quanto sono sfortunata.»

Un bussare leggero attirò la loro attenzione. Con una faccia composta ma amichevole, Takeomi Kuroiwa li guardava fisso. Fra le mani, un cestino intrecciato di bambù. «Volete dei biscotti?», chiese, dopo averli salutati molto educatamente.

«Io sì grazie!» Masa allungò la mano nel cestino, prendendone otto. Kuroiwa, per giusta misura, gliene mise altri due sulla scrivania. Lei sospirò innamorata. «Se dovessi tornare single fammi un fischio, Taokemi!»

Urie le schioccò un’occhiata assassina, prima di assimilare il vero senso di quella frase. «Non sei single?», si informò, prima di mordersi la lingua per l’essersi mostrato così interessato a un aspetto della vita di Takeomi.

Questo lo guardò, allungando il cestino verso di lui. Lo allontanò non appena Urie si ritrasse quasi come ustionato. «No», rispose, serafico e per nulla offeso da quella mancanza di tatto. «Sto uscendo con una ragazza.»

«Quella della pasticceria, vero? Li ha fatti lei?», chiese Aiko, mentre stava già finendo il terzo. Kuroiwa annuì e lei sorrise, sporgendosi verso di lui. «Voglio andare anche io a mangiarci! Shirazu mi ha detto che-» Le parole le scivolarono sulla lingua senza che lei riuscì a riflettere sul loro vero senso. Solo quando il nome di Shirazu rotolò fuori dalle labbra sottili della giovane investigatrice, questa si interruppe bruscamente, mentre l’atmosfera crollava irreversibilmente. Il sorriso si piegò sotto il peso dell’amarezza e lei chinò il capo sulla tazza, non guardando verso Urie. «Magari ci andiamo nella pausa pranzo, che ne pensi, Takeomi?»

«Certamente», le rispose, prima però di ripensarci. «Magari non oggi. So che voleva passare Noriko e voi due non siete esattamente in buoni rapporti.»

«Lo chiedi perché hai dovuto staccarla dai capelli di Noriko quando si sono prese a schiaffi?», domandò con una piccola nota acida nel tono Urie, che si era probabilmente sentito escluso dai piani per il pranzo.

Masa però schizzò in piedi. «Aspetta, è tornata dalle ferie?»

«Sì, questa mattina ha-» Takeomi non finì la frase. Guardò Aiko sfrecciare fuori dal piccolo box di plastica, dribblando Saiko, che stava facendo ritorno accompagnata da tre persone. Una delle quali, a quanto pareva, avrebbe aspettato ancora.

Kuroiwa si voltò verso Urie. «Dovresti seguirla. Quando lei e Noriko si incontrano di solito succedono brutte cose.»

Il capo dei Quinx sbuffò, senza spostare gli occhi dallo schermo del pc, fingendosi molto indaffarato nonostante la schermata accesa su un’avvincente partita a campo minato.

«Non ho intenzione di mettermi fra la tigre e la sua preda. Se vuoi fare tu, accomodati.»

Nessuno seguì Aiko.

 

Nel corridoio, Aiko si era quasi scontrata con Higemaru. «Dove vai?», domandò, forse con tono un po’ troppo concitato. In realtà le era appena venuta un’idea.

Lui però sobbalzò lo stesso. Poi le mostrò la denuncia, con gli occhi vagamente sgranati, «La sto portando di là così magari una squadra può-»

«Questa è la denuncia della signora Izumi

«Sì, proprio lei.»

Aiko prese il foglio, notò le firme di Hige e della signora e poi lo appallottolò, lanciandolo nel cestino della carta dietro di lei e facendo un sorprendente canestro oltre la spalla, senza guardare. Il ragazzo dai capelli pervinca non seppe se dirsi impressionato o vagamente perplesso. «Non diamo motivo a nessuno di farsi due risate, già non sta lavorando nessuno qui». Lo prese per il braccio, tirandolo con sé verso l’ascensore. «Ora vieni con me. Sei pronto a fare di nuovo il palo?»

«Ok, tanto ormai mi iniziando a piacere il brivido del rischio.»

Si scambiarono un’occhiata complice, prima di arrivare fin quasi alle porte metalliche, che iniziarono a chiudersi. Una mano bianca però le trattenne, permettendo loro di aggiungersi. Quando Higemaru arrivò di fronte alla figura gentile, per poco ebbe un collasso.

«Buongiorno classe speciale, grazie», trillò Aiko allegramente, accostandosi accanto alla figura alta con non curanza, come se non avesse accanto un Dio, ma solo un uomo.

Arima, per risposta, le fece cenno di prenotare per prima in piano. «Ciao, Aiko.»

Quando lei ebbe digitato il sei e lui il nove, l’ascensore finalmente si chiuse. Higemaru lo stava ancora fissando con le sinapsi in panne e gli occhi sgranati. Quando Masa si rese conto che anche Arima aveva preso a guardarlo e che, peggio ancora, Hige aveva preso a sudare, iniziò le formalità di routine con tono divertito. «Lui è il mio nuovo partner, Touma Higemaru.» guardò il giovane ragazzo asciugarsi la mano nei pantaloni, prima di stringerla al classe speciale, che proprio non aveva bisogno di presentazioni.

«Fresco fresco di accademia?», si informò la Morte Bianca.

«S-sì signore! È un onore per me conoscerla di persona!»

Aiko scosse il capo divertita, prendendo un bel respiro. Il loro piano arrivò e lei fece scendere per primo Touma, che aveva bisogno di aria. «Grazie ancora per quei rapporti, classe speciale.»

Lo Shinigami annuì impercettibilmente. «Se hai bisogno sai dove trovarmi. Infondo sei la ragazza di Take.»

Le porte metalliche si richiusero, mentre Aiko veniva scossa da un brivido. «Odio quando lo dice. Più che un mentore, sembra quasi che Hirako sia il mio ex marito.» Guardò il giovane accanto a lei, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Quello è Arima, non è il Buddah. Facci il callo, ogni tanto si ricorda che anche lui lavora qui e si palesa.»

«Lo conosci! Oh mio Dio!»

«Tutti lo conoscono, Hige

Aiko riuscì a fare due passi, prima di venire fermata di nuovo. «E lui conosce te!»

«Che posso dirti, la squadra Hirako faceva capo a lui.»

«Non mi laverò mai più questa mano!»

La mora, a quel punto, non riuscì a non ridere. «Ok, ma non dirlo a Urie. Lo sai che ha una sorta di kink per l’igiene personale, soprattutto delle mani.»  Lo prese a braccetto, tirandolo per gli ultimi venti metri che li staccavano dalla loro meta, così da lasciarlo in quello stato di grazia senza l’onere di pensare a mettere un piede avanti all’altro. Arrivata a una porta, Aiko bussò. Quando ebbe il permesso, aprì senza dare il tempo all’occupante dell’ufficio di dire niente. «Prima che lo chiedi no, non sono qui per parlare. Sono venuta qui in veste ufficiale quindi ti prego, ti prego, per una volta non farmi perdere tempo.»

Touma si riprese giusto in tempo per notare che, seduta su una sedia girevole imbottita e con l’espressione più scocciata che avesse mai potuto notare nello stabile dopo quella del classe speciale Marude, c’era una donna dal lucido caschetto biondo. Sulla punta naso teneva un paio di occhiali dalla montatura rettangolare trasparente e le mani, che reggevano un paio di fogli scritti a mano, tremarono appena non appena avvertì il timbro della voce di Masa invadere la stanza. Passò gli occhi piccoli prima sull’investigatrice, poi su Higemaru e lui si ricordò che quella era la psicologa con qui aveva parlato prima di entrare a far parte dei Quinx. Sempre lei gli aveva riferito che da quel giorno in avanti si sarebbe ritrovato in squadra con persone complesse e non nel senso positivo del termine. In quel momento, realizzò che probabilmente stava parlando della vice caposquadra.

«Accomodatevi», borbottò senza scelta Noriko, facendo cenno loro di sedersi nelle due poltroncine di fronte all’ampia scrivania laccata di un bianco quasi accecante, ospedaliero. «Se non vuoi perdere tempo dimmi cosa posso fare per te, primo livello Masa.»

«Vorrei visionare la cartella di Mutsuki Tooru e ricordarti che, in quanto psicologa, sei vincolata dal segreto professionale.»

Noriko la guardò, offesa da quella insinuazione. Poi si schiarì la voce, battendo l’unghia lunga dell’indice destro ritmicamente sulla superficie di legno. Un suo tick, osservò Masa, soprattutto nelle situazioni di forte nervosismo. «Non vedo perché dovrei. Essendo proprio tutelato dal segreto professionale, non posso mostrarti nulla che riguardi Tooru.»

«Per regolamento interno», la ribeccò nuovamente Aiko, «I capisquadra e i loro vice hanno non solo il diritto, ma anche l’obbligo di visionare le cartelle psicologiche dei loro sottoposti. Non c’è nemmeno bisogno di un permesso, ma se vuoi chiamo Arima. L’ho appena incontrato in ascensore.»

«Arima non è più il capo della squadra Quinx, a quanto so.»

«E quindi? Chi se ne frega, è Arima

Noriko storse ancor di più il naso. «Mi piacerebbe che tu diventassi una persona più gentile.»

«A me piacerebbe molto diventare un personaggio di Bleach. Quindi non preoccuparti, non sei la sola i cui sogni non si realizzeranno facilmente. Ora fai i tuoi controlli e poi dammi quella maledetta cartella.»

La dottoressa ci rinunciò apertamente. Accese lo schermo del computer fisso e prese a digitare velocemente. Solo a quel punto, Aiko si voltò verso il suo partner. L’espressione di Higemaru era indescrivibile. Masa capì che doveva essere per lo più dovuto al suo comportamento da poliziotto cattivo. Di solito tendeva ad essere accomodante, magari non brillava di gentilezza, ma il suo carattere affabile e ammaliante rispecchiava per lo più una persona alla mano.

In quel momento era davvero la prima delle stronze.

Avrebbe spiegato a Touma tutto una volta usciti di lì. C’era un motivo dietro tutta quella scortesia.

«Mutsuki non fa più parte dei Quinx dal quindici di maggio», lesse a voce alta la psicologa, catalizzando di nuovo su di sé tutta l’attenzione. «Ora si è unito alla squadra Suzuya in attesa del ricollocamento in un team per il periodo di aspettativa che ha chiesto.»

«Guarda che è in prestito.» Piccata, Masa si spose in avanti, girando senza cerimonie lo schermo verso di sé e attirandosi uno sguardo di odio. Lesse velocemente, prima di leggere a voce alta. «Collocazione: squadra Suzuya. Cosa c’è scritto però fra parentesi? Prestito. Squadra di riferimento: oh ma guarda, i Quinx! Scegli, sei stupida o analfabeta?»

Noriko girò nuovamente lo schermo. I suoi occhi mandavano scintille. «Non devo comunque darti niente. Se vuoi avere quella cartella, vieni qui con Urie Kuki.» Quando Aiko non rispose, la psicologa capì di avere un vantaggio su di lei. Vantaggio che era sopravvenuto all’improvviso, ma che era ben accetto. «A meno che tu non voglia che lui sappia che stai spulciando gli affari di Tooru.»

«Noriko, cosa vuoi?»

La bionda si appoggiò con soddisfazione allo schienale della sedia. «Dieci sedute, solo tu e io.»

Aiko alzò un sopracciglio. «Cinque. E mi fai fare delle fotocopie.»

«Questo te lo puoi anche scordare, è altamente contro la tutela della privacy. Sei sedute e puoi visionarlo integralmente qui adesso.»

Masa ci pensò su, prima di annuire. «Andata. Comunque complimenti, hai venduto la tua integrità per sei ore insieme a me.»

Noriko si alzò, andando allo schedario e cercando dentro di esso i documenti richiesti da Aiko. «Tanto saresti comunque tornata qui con Hirako, magari con Arima o chissà quale altro dei tuoi tanti uomini. Sbaglio?»

«Non sono io ad avere un figlio bastardo con il mio superiore, qui.»

La cartella le arrivò di fronte, lanciata sulla scrivania senza grazia. Noriko la guardò con commiserazione negli occhi. «Solo i vermi colpiscono in basso.»

«I vermi mangiano anche la carne umana.» Aiko la guardò sfidandola apertamente a dire altro, prima di aprire la cartella, leggendo velocemente le generalità di Tooru per verificare che fosse quella giusta. Nella seconda pagina c’era una sua foto, vecchia, risalente al giorno in cui l’avevano portato via dalla casa impregnata del sangue della sua famiglia. Higemaru non sbirciò nemmeno una volta, preferendo guardare fuori dalla finestra, mentre la psicologa riprendeva a lavorare, dall’altra parte della scrivania. C’era così tanto silenzio da rendere il ronzare di una mosca insopportabile.

Un bussare deciso fece alzare tutte le teste e Marude entrò senza attendere il permesso di nessuno. Guardò sorpreso i due intrusi, sapendo perfettamente che Noriko non doveva avere appuntamenti per la mattinata. Poi, semplicemente, le fece cenno di uscire.

«Classe speciale, buongiorno», lo salutò con rispetto Higemaru.

«Mh», fu il solo commento dell’uomo, mentre Noriko lasciava a malincuore la scrivania, guardando Masa con sospetto. Questa non ricambiò lo sguardo, persa in documentazioni e profili. «Tu saresti?»

«Higemaru della QS! E questo è il mio superiore, il vice caposquadra Masa.»

«Ci conosciamo già». Gli occhi gialli si poggiarono sulla figura del classe speciale, che però non pareva della stessa opinione. «Abbiamo lavorato insieme almeno dieci volte», ma no, ancora nessuna campanella. Aiko sospirò. «Ero la sola donna della squadra Hirako.»

«La squadra Hirako aveva una donna?»

«Di cosa volevi parlarmi, Maru?», domandò la dottoressa e lui le rispose che gliene avrebbe parlato in privato. Appena la porta si chiuse, il rumore della carta strappata risonò nell’aria.

Hige guardò orripilato Aiko piegare in un piccolo quadratino almeno una decina di volte.

Lei precedette qualsiasi domanda. «Metti tutto nelle mutande.»

«Cosa?»

«Nelle mutande, Hige. Non potrà chiederti di levarle.»

 

O

 

La ciotola piena di fragole che le venne offerta aveva un aspetto assolutamente magnifico. Aiko la accettò con un sorriso grato, sistemandosi la spallina della canottiera un po’ troppo larga di un giallo tenue, che le lasciava scoperta la spalla sinistra.

«Grazie, Mei

Si era molto stupita quando Lisca l’aveva pregata di chiamarla così, non appena le aveva aperto la porta di casa sua. Si era anche stupita nel ricevere una sua chiamata, convinta che non avrebbe mai più rivisto quella donna nella sua vita. L’aveva lasciata sola con Eto, consapevole che la giornalista – o quello che era davvero- era a conoscenza dell’identità della bambina con le bende. Eppure era lì, di fronte a lei, appoggiata al ripiano della cucina, con il viso emaciato di chi non dorme molto la notte, disturbato da pensieri orribili, ma fisicamente sana.

«Carino, il tuo appartamento.»

«Lo so, mi dispiace di doverlo lasciare.»

La mora annuì, comprensiva. Sarebbe sparita come una casa nella nebbia, poco ma sicuro. «Cosa vuoi chiedermi? Sembrava urgente, al telefono.»

Sorvolarono sulla notte in cui avevano entrambe scoperto il vero volto dell’altra. Sorvolarono su diverse cose, in realtà.

«In realtà ti ho chiesto di venire qui perché Shukumei Kurhei sta per andarsene per sempre. Mi sono licenziata dalla rivista per cui lavoravo, ma ho promesso un ultimo, grande articolo.» La donna che aveva di fronte non doveva avere che una manciata di anni in più di lei, ma le parve invecchiata di un ventennio. Pareva stanca. «Voglio scrivere qualcosa che attiri l’attenzione, che stupisca. La mia battuta finale prima del sipario. Se Shukumei deve morire, che sia. Sono abituata a sacrificare me stessa per prima, ma verrà fatto a modo mio. E poi…», fece una pausa. «Credo di avere un po’ capito la tua amica

Aiko portò una mano ai capelli neri che le arrivavano a sfiorare il collo. Si erano allungati nell’ultimo periodo e realizzò che anche lei iniziava a perdere il controllo delle sue identità, se non riusciva nemmeno a trovare una parrucchiera per un taglio. «La mia amica?», domandò stranita. «Parli di Eto?»

Mei la guardò con ovvietà. «Chiaramente non sto parlando di Urie», la riprese, strappandole un sorrisetto mentre la mora portava la prima fragola alle labbra sottili. «Andiamo, sei molto più intelligente di così.»

«Scusa, non sono abituata a considerare Eto una mia amica. Nell’amicizia vige un legame di parità. Noi non siamo mai state pari. Comunque, cosa hai capito? Ora sono curiosa.»

«Questo mondo va distrutto.» Le parole di Mei furono lapidarie e crudeli, ma aprirono il cuore di Aiko, che sorrise maggiormente, lasciando che il succo del frutto le scorresse sul mento dopo un morso particolarmente ardito. «Voglio dare il mio contributo, ma non sono abbastanza forte per farlo alle vostre condizioni. Nonostante questo, anche io ho delle armi. Voglio scrivere un articolo sulla ccg in tutto il suo splendore e per questo ho bisogno di te. Cosa sai che il resto del mondo non sa?»

L’investigatrice, inclinò di lato il capo, passando la mano libera sulla clavicola scoperta, pensierosa. «Ci sono molte cose che potresti scrivere per distruggere la ccg», iniziò a dire, come se la cosa non la toccasse affatto. Probabilmente perché era così. «Vuoi sapere il vero marcio? Dovresti parlare con Tsubasa Huso. Lo trovi facilmente, si è fatto una bella fama, lo stupido. Però se vuoi io posso darti un infarinatura generale. Lui purtroppo non è a buon mercato, in quanto informatore.»

«Sì lo conosco, così come i suoi prezzi. Ed al momento sono già tremendamente in debito con lui - diciamo che neanche la ccg vale ciò che sta facendo per me. Forse passerò anche da lui, ma per ora Aiko Masa: cominciamo da ciò che puoi dirmi tu.»

C’era tanto da dire su cosa non quadrasse all’interno del bureau, tanto che Aiko ci mise qualche secondo per mettere in fila un discorso interessante. «Se fossi al tuo posto e dovessi scrivere un articolo, inizierei col parlare del modo distorto che la ccg ha di vedere la gerarchia del comando. Tanto per iniziare, perché deve essere una famiglia a essere a capo di un organo così importante per la tutela della sicurezza nazionale? Voglio dire, perché famiglie e non persone tecnicamente autorizzate o votate? I clan mafiosi pongono il capo famiglia in testa al comando. Non un ente che tecnicamente dovrebbe garantire un servizio pubblico.» Si pulì il mento col tovagliolo di carta, prima di prendere una seconda fragola, alzandola di fronte al viso per guardarla bene, prima di continuare a parlare. «Se vogliamo essere precisi, poi, non esiste proprio uno schema. Ci sono investigatori col potere di un Imperatore e investigatori a loro superiori che hanno il potere decisionale di una vongola. Guarda Matsuri, non avrà mai l’influenza di Arima ed è un Washuu.» Fece una pausa. «Un Washuu legittimo, a voler essere puntigliosi.»

«Sui Washuu ce ne sarebbe parecchio di cui parlare, ma la tua amica mi ha suggerito di non farlo direttamente.»

Aiko annuì, «Ho sentito che parlavi di V. con lei. Non so molto sull’argomento, ma dietro ci sono loro e se sei così interessata a quei pazzi allora non tu conviene sparare questa cartuccia su un quotidiano nazionale.»

Mei non commentò nulla di questa frase. Piuttosto guardò con interesse la fragola, prima che questa venisse a sua volta divorata. «Parlami ancora della gerarchia di comando e dell’onnipotente Arima Kishou», e c’era dell’astio nelle sue parole. Dell’odio. «E di Sasaki.»

Masa schioccò la lingua contro al palato, mentre nell’aria l’odore del frutto rosso iniziava a farsi più intenso. «Non posso dire niente su Haise Sasaki. Eto lo tiene in palmo di mano e non voglio che poi se la prenda per questo. Non voglio renderla triste. Però posso dirti qualcosa di molto interessante sul progetto Quinx. Qualcosa che non dovrebbe uscire dagli uffici della sede centrale.»

«Urie si incazzerà da morire con me, ma ne vale la pena. Volevo lasciargli un bel ricordo, però ammetto che la curiosità ora mi mangia viva.» Prese il portatile da uno scaffale, sedendosi poi di fronte a Masa. «Dimmi tutto.»

«Questo è un progetto fallimentare dalla partenza», snocciolò come se non ne facesse parte anche lei. «La percentuale di recupero è pari a zero. Così come la possibilità di tenere davvero a freno l’afflusso di cellule rc. Non torneremo mai più esseri umani e con una buona probabilità diventeremo dei ghoul a tutti gli effetti, probabilmente anche pazzi.» Ci fu un istante in cui Masa si sentì un po’ triste, poi scrollò le spalle, chiudendo gli occhi per un istante. «Dei candidati che si sono offerti, tutti sono stati accettati. Solo due hanno passato il test psicologico. Due non l’hanno nemmeno fatto. Hanno letteralmente armato delle persone poco sane di mente. Senza contare che c’è un ampio margine che uno di noi possa perdere il controllo e uccidere chissà quante persone prima di venire abbattuto dai suoi compagni. Perché è per questo che noi siano ‘nati’, per tenerci a freno a vicenda e, secondo Kuki, perché quando Arima non sarà più in grado di uccidere Sasaki, possiamo essere noi a farlo.»

«Avrebbero potuto evitare di portare dalla loro parte un cannibale, ma infondo il mondo è bello perché è vario.» Mei accese il laptop, prima di guardare di nuovo l’ospite, mentre non nascondeva affatto la scarsa stima che provava verso Sasaki. «Però sarà molto bello scrivere che il ccg si sta trasformando in un covo di ghoul.»

«Urie si incazzerà anche con me», Masa lo soppesò leggermente, prima di alzare un piede sulla sedia, appoggiando il gomito al ginocchio. «Ah, ho un ultima cartuccia: la Cochlea. Hai presente Himler? Ishiro? Queste persone non sono niente. Anche noi abbiamo il nostro Mengele, senza bisogno di un campo di concentramento.»

L’ombra dell’indecisione si fece largo sul volto di Mei, poi prendendo coraggio disse quel che le passava per la testa. «Volevo proprio chiederti della Cochlea, in realtà.» Ammise con tono dimesso, prima di riprendere nuovamente. «Lo scarafaggio mi ha detto delle cose…. Mi ha fatto venire delle idee strane e ora tu hai detto che-Ok, non importa. Forse ho fatto un grosso errore di calcolo.» Aiko la guardò senza capire, ma lei preferì lasciar perdere. «Parlami della prigione.»

Masa prese dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette, mostrandolo a Mei. «Posso? Sarà un discorso lungo e sofferto. Vorrei affrontarlo armata di pazienza.»

«No, tranquilla. Io sto pensando di farmi un goccio. Tu hai mai bevuto la bile?» Mentre parlava, il ghoul si alzò, prendendo da uno dei ripiani della cucina un bicchiere e una bottiglia piena di un liquido trasparente. «La prima sbronza che ho avuto di questa roba l’ho passata con Tatara, più ubriaco di me. È paragonabile alla vostra vodka, se lavorata in un certo modo», poi fece una pausa, soppesando le sue parole. Aiko ridacchiò, mentre accendeva la sigaretta. «Oh no, ora mi ucciderà.»

«Rimarrà fra noi se me la fai assaggiare.» I tabù alimentari li aveva abbattuti tutti molto tempo prima. «Allora, la Cochlea», battè piano la mano sul tavolo, mentre Mei le offriva un bicchierino e una tazza piena di acqua in cui buttare la cenere. Con la sigaretta fumante in mano, iniziò un lungo discorso. «Esiste un emendamento, che si chiama clausola tredici. I civili non ne sanno molto, ma consiste nel arrecare meno danno possibile durante l’eliminazione di un ghoul. Un deterrente alla cattiveria gratuita di certi investigatori che provavano piacere nell’infliggere atroci sofferenze nelle loro prede.» Prese un tiro, mentre la padrona di casa rimboccava entrambi bicchieri. «Diciamo che questo emendamento viene totalmente ignorato nella Cochlea, dove vengono effettuati esperimenti di ogni tipo su alcuni prigionieri prescelti dal medico capo, un certo Onitoki o qualcosa del genere. Non so dirti di preciso il nome, sono bravi a tenere i segreti, questi sedicenti apprendisti dell’Unità 731. Posso dirti però che fanno test disumani, dal congelamento e riscaldamento degli arti, alla creazione di farmaci per ritardare il processo rigenerativo. Il loro obiettivo è quello di impedirlo del tutto. Ovviamente non esistono anestesie o gentilezze di nessun tipo.» Aiko storse il naso. «Ora ho molti amici ghoul, che lavorano per me o che semplicemente fanno parte dell’organizzazione. Brave persone, molto migliori di tanti, troppi esseri umani.»

«Ho visto con i miei occhi quello che gli investigatori possono fare, ed è orribile.» Mei si rimise seduta, parlando ora con tono malinconico. «Ma ho anche conosciuto tanti ghoul terribili e spietati.»

Aiko si passò una mano sulla nuca, tirando appena i capelli che ora si allungavano sul collo. «Perché non dipende dalla razza», disse, con semplicità. «La crudeltà sta nel cuore di agisce e negli occhi di chi subisce. Vittime o carnefici non sono decisi dal codice cromosomico. Io non sono una brutta persona perché sono umana come Kenta non è una bella persona perché un ghoul. Ognuno di noi è artefice del proprio destino. Sono le scelte a definirci.»

Mei alzò il bicchierino, attendendo che Aiko facesse lo stesso. «Alle nostre scelte future?»

La mora annuì, «E a come ci definiranno.» Buttarono giù quel bicchierino in un sorso, prima di fare una smorfia. Poi si guardarono, ridacchiando. «Cazzo, è forte», constatò Masa, prendendo in mano la bottiglia e aprendola per annusarne il contenuto.

«Te lo avevo detto», Mei scosse piano il capo, creando un documento word. «Va bene, ora dammi tutti i dettagli su quello che ci siamo dette fino ad ora.»

Aiko versò altri due bicchierini, «Fino alle otto», la avvisò. «Poi ho un appuntamento.»

 

O

 

«Sto esplodendo.»

Aiko si mise a sedere sul letto con un piccolo tonfo. Alla fine la loro cena romantica si era trasformata in una autentica gara di sfondamento. Avevano mangiato entrambi fino a scoppiare, approfittando del menù sostanzioso e dei prezzi bassi, per fare i maiali. Quello che non aveva mai avuto la pretesa di essere un appuntamento romantico si era rivelato l’ennesima dimostrazione del loro disagio.

Con una mano sulla pancia che aveva un po’ risentito dell’abbuffata, Aiko guardò Urie sfilarsi la giacca e la cravatta, molto lentamente. Anche lui sembrava provato. Alzò quindi la gamba, attirando il suo sguardo.

«Levami le scarpe.»

«Non sono il tuo servo.»

«Ti ho pagato la cena, piccola puttana. Ora sei il mio schiavo.»

Kuki maledì il giorno in cui aveva deciso di sottostare a quella donna malefica, chinandosi su un ginocchio manco fosse pronto a fare una proposta di matrimonio. Mentre slegava il cinturino dei vertiginosi tacchi rossi che Aiko aveva deciso di indossare quella sera, un pensiero gli attraversò la mente.

«Com’è la ragazza di Takeomi?»

Un sorrisetto increspò le labbra di Masa, mentre alzava anche l’altro piede, non facendo nulla per non mostrare ciò che portava sotto alla gonna corta dell’abito in pizzo nero. «Sei così invidioso, vero?»

«Solo se la donna di Kuroiwa è un po’ più di classe di te. Non che ci voglia molto.» Le dita di Urie inciamparono sulla piccola fibbia posta sulla caviglia di Aiko quando registrò le implicazioni che quella frase detta senza pensare potevano avere. Poi ritrovò il suo centro karmatico, proseguendo il lavoro.

Aiko gli concedette qualche secondo di silenzio per farlo sentire davvero in imbarazzo, prima di appoggiare il piede ora provo della calzatura scomoda sul parquet. Prese il viso del giovane fra le mani, alzandoglielo. «Non l’ho vista, ma Kuramoto sostiene che è adorabile, dolce e molto educata. Ha un bel sorriso ed è anche molto simpatica. Quindi sì, ancora una volta Takeomi ha prodotti più di qualità dei tuoi.»

Tracciò con le dita i contorni appuntiti dei suoi zigomi, specchiandosi negli occhi serpentini del ragazzo. Poi si alzò in piedi, mettendogli letteralmente il sedere in faccia.

«Ora aprimi il vestito, Sebastian

Lui corrugò la fronte, mentre si alzava, eseguendo anche quell’ordine. «Sebastian?», domandò, mentre la cerniera scivolava lungo la colonna vertebrale della ragazza.

«Black Butler», rispose esasperata. «Sei privo di cultura.» Lui bofonchiò qualcosa, borbottandolo come un vecchio inacidito, mentre lei si voltava, lasciando scivolare in avanti le maniche trasparenti del vestito. Iniziò ad aprirgli la camicia. «A proposito di mancanza di qualcosa», iniziò, mentre lui temeva una pessima battuta a sfondo sessuale. Stranamente, non arrivò. «Ti sei accorto di cosa ha perso Aizawa

«Il cervello? Non lo ha mai avuto.»

«La voglia di vivere.»

Il caposquadra ci ragionò su, mentre lei gli sfilava la camicia, andando ad appoggiarla con il suo vestito sulla sedia. Era vero, non era un bel periodo per il dottore. Ci aveva parlato molto poco, effettivamente, ma da quel che aveva capito, aveva dei problemi amorosi in corso. Almeno, questo era stato ciò che aveva detto Shimura.

Non che Urie si fosse preoccupato troppo di chiedere al diretto interessato. «Ti ha detto qualcosa?»

«No, ma ora da i rapporti delle autopsie senza farsi pregare, si comporta come un bastardo nato e fa discorsi strani.»

«Di che natura?»

La mora prese una salvietta struccante, sedendosi di nuovo sul letto. «Per iniziare, ha sollevato un dubbio sul fatto che siamo amici. Poi boh, non l’ho capito.»

«Fa il depresso perché è stato scaricato», fu la conclusione a cui arrivò Urie senza ulteriori giri di parole. «Come se me ne importasse qualcosa.» Tirò verso l’alto lo spallino del reggiseno nero che la ragazza indossava, lasciandolo poi andare. Lei urlò, cercando di colpirlo con un calcio, ma lui fu abbastanza veloce da schivarlo, mentre apriva la cintura dei pantaloni.

«Ti pianto il kagune dove temo potrebbe piacerti.»

«Ancora questa storia del tentacle porn

Gli arrivò una scarpa addosso. Uno dei suoi mocassini, ovviamente.

«Io intendevo tutte e otto le code, Cookie», sottolineò Aiko, prima di lanciare la salvietta usata nel cestino. Poi si lasciò andare sul letto, con le braccia aperte. «Tanto o lo faccio io o lo farà Matsuri. Non voglio dargli soddisfazioni e poi io ti farei godere di più. Come sempre.»

Rimase ferma in attesa di una qualche replica o magari di vedersi raggiungere dall’altro. Non successe e quando si tirò su, appuntellando i gomiti sul materasso, lo trovò alla scrivania. Intento a scrivere.

Le caddero le braccia.

«Se stai lavorando ora io-»

«Sto rivedendo il programma per il camp di formazione dei Quinx», la interruppe lui, alzando una mano. «Citando Matsuri me l’hai messo in mente. Lo invio e arrivo subito.»

«…Sei erotico come una capretta nana. Senza una gamba.» Con un sospiro rassegnato, la mora si alzò in piedi, trascinandosi fino alla scrivania. Quando però si appoggiò alla sedia, facendo per spiare lo schermo del portatile del ragazzo, lui inviò l’email. «Prima o poi mi dovrai dare i dettagli. A meno che non sia un camp a tema e quindi verremo rapiti e buttati su un camion.»

«Non voglio che tu mi prenda in giro prima del tempo.»

«…Dove lo hai organizzato? Dentro casa? Dobbiamo montare le tende in salotto?»

Lui chiuse lo schermo e scansò la sedia, appoggiandole una mano sul fianco per invitarla a sedersi su di lui. Ignorarono entrambi l’orribile rumore emesso dalla sedia nell’esatto momento in cui al peso di Urie si era aggiunto quello di Aiko, a cavalcioni sul suo ventre. Gli prese il viso fra le mani. «… Non lo facciamo in salotto, vero?»

Lui sbuffò, circondandole la sottile vita con le braccia. «No che non montiamo le tende in salotto, maledetta cretina. Solo che è una location particolare e non voglio che Saiko si agiti.»

Gli occhi di Masa brillarono per un istante di autentica puerile eccitazione. «Andiamo agli studios della Wit? Voglio farmi una foto in mano al titano sorridente!» Lui la guardò senza capire, infrangendo quindi il sogno. Rassegnata e delusa, la ragazza si chinò in avanti, intrappolando le labbra del caposquadra in un bacio. «Ok non è lì, ma mi ci porterai lo stesso, no?»

«Forse. Vediamo se mi convinci.»

Lei sorrise maliziosamente sulle sue labbra, prima di baciarle di nuovo, con più passione, facendo passare le dita fra le ciocche viola e sottili del ragazzo. Urie invece permise alle sue mani di accarezzare ogni centimetro scoperto della palle resa ambrata dal sole estivo di Masa, concentrando le sue attenzioni prima sulle gambe e poi sulla schiena. Le fermò sul gancio del reggiseno, che cercò di aprire usando solo la destra. E fallendo. Ci riprovò con entrambe, arrivando anche a interrompere il bacio per concentrarsi.

Aiko rise. «Serve un aiuto?»

«No, ci riesco», fu la sua risposta cocciuta, che se possibile la fece ridere anche di più.

«E io che volevo anche comprare del vino! Non hai bisogno di ulteriori rallentamenti.»

Quando Urie riuscì a portare a termine la missione, scaraventò quel maledetto strumento di tortura maschile dall’altra parte della stanza. Ripresero a baciarsi, più intensamente, mentre le loro mani scoprivano nuovi percorsi sulle loro pelli sempre più calde. Aiko si sporse di più contro di lui, sovrastandolo, mentre con la mancina arrivava a toccarlo fra le gambe. Sarebbe stato tutto molto sensuale, se un ennesimo rumore della sedia non si fosse manifestato, attirando la loro attenzione quando era già troppo tardi. Non si accorsero nemmeno di come successe di preciso, ma si trovarono tutti e due a terra, lui di schiena con lei sopra, seguiti da un boato tale che pareva avessero abbattuto una delle pareti di casa.

Masa tirò su il capo, guardando con gli occhi sgranati l’altro. Poi fu impossibile per entrambi trattenersi del ridere. Solo il bussare alla porta li fece desistere.

«Caposquadra? Macchan? Vi siete uccisi?»

«Quasi», fu la risposta di Masa, mentre si tirava su, porgendo la mano per aiutare l’altro a fare lo stesso. «Saiko, non aprire la porta.»

A rispondere fu Hsiao, «La possibilità non ci ha nemmeno sfiorate. Sicuri di stare bene?»

«Sì,» Urie coprì la bocca di Aiko con la mano, visto che stava continuando a ridere. Nonostante questo sembrava a sua volta divertito. «Si è smontata la sedia.»

«Due persone mica le regge», fu l’acuta osservazione di Saiko, mentre i loro passi indicavano che avevano già preso ad allontanarsi.

A quel punto Urie riabbassò la mano, che lei catturò fra le sue, camminando indietro verso il letto. «Riusciremo a smontare anche questo?», chiese con tono lascivo, riuscendo a recuperare l’atmosfera che aveva rischiato di rovinarsi.

Ci riuscì eccome.

 

L’amplesso si era concluso da un po’ quando Aiko fece scivolare il braccio lontano dal corpo caldo del compagno, cercando di filare via senza svegliarlo, fuori dal letto. Ovviamente non ci riuscì perché, al minimo frusciare delle lenzuola, Urie scuse gli occhi assonnati, guardando la schiena nuda della ragazza.

«Dove vai?», le domandò con tono fiacco, mentre lei recuperava la canottiera del ragazzo e i suoi pantaloncini, infilandoli.

Si voltò a guardarlo, chinandosi sul cuscino per lasciargli un tenero bacio sulla fronte. «Non riesco a dormire, vado a farmi una tisana rilassante. Tu dormi, ok?»

Lui nemmeno rispose. Tornò a chiudere gli occhi, abbassando la mano che aveva alzato per accarezzarle piano il braccio in quella che era una tenerezza sempre meno rara, riprendendo a dormire. Aiko sorrise baciandolo di nuovo, stavolta fra i capelli, per poi alzarsi. Uscì a piedi nudi nel corridoio, constatando che stavano tutti dormendo. Anche la camera di Saiko sembrava silenziosa.

Scivolò fino al fino di sotto, arrivando in cucina e accendendo il bollitore elettrico, prima di aprire il ripiano per scegliere cosa bere. In ultimo, mentre lasciava l’infusore in ammollo nel bollitore, aprì un altro scomparto, prendendo in mano il barattolo della cannella.

Dietro di esso aveva nascosto le carte che aveva rubato dal fascicolo di Mutsuki, consapevole che nessuno- soprattutto Kuki- avrebbe ficcato il naso in quello sportello. C’erano le cose di Sasaki, tutte le sue spezie e i suoi odori per fare dolci e cenette meravigliose. Sicuramente nessuno di loro era ancora al livello di poter compere con lui nell’arte culinaria, ma il caposquadra iniziava a destreggiarsi davvero bene.

Con la tazza in mano e i fogli spiegazzati nell’altra, Aiko iniziò a leggere quello che a tutti gli effetti era un rapporto per un triplice omicidio. Lesse tutto, visionò le foto scannerizzate, arrivando alla stessa conclusione degli inquirenti.

Mutsuki Tooru aveva ucciso la sua famiglia con un’ascia.

Allora perché non era in prigione?

Aiko ebbe una gran brutta sensazione.

 

Continua…

 

 

 

Nda

Come già stato detto, ma ripeterlo non fa mai male, il personaggio di Shukumei e quello di Aizawa non mi appartengono.

Fanno parte della storia di RLandH, strettamente intrecciata con la mia.

La trovate a questo link:Carestia, portami gioia

 

Ringrazio coloro che continuano a leggere, seppur silenziosamente.

A presto.

 

C.L.

 

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Capitolo 21
*** Terzo Intermezzo - 2 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

O

Terzo intermezzo: Cieli di Vetro.

Parte seconda.

 

 

Il traffico della domenica pomeriggio è ingestibile per chiunque, figurarsi per chi odia stare dietro al volante.

Aiko si passò la mano sulla fronte per la decima volta, premendo con forza al fine di impedire a se stessa di scendere dalla vettura per prendere a calci l’idiota che dietro di lei stava continuando a suonare il clacson a ripetizione, come se non fossero tutti fermi in un ingorgo per uscire dalla superstrada da circa un quarto d’ora.

«Vorrei che lo sapesse», disse di punto in bianco, ringhiando. «Vorrei che sapesse che in questa auto c’è il Gufo col Sekigan. Poi voglio vedere se continuerà a suonare, quell’imbecille nato.»

Una risata brillante si levò dal sedile del passeggero e quando Masa spostò le iridi dorate sulla persona in questione, questa smise di giocare con le ciocche ribelli dei suoi capelli per ricambiare lo sguardo. «Sarebbe così divertente farglielo vedere, non pensi?», si informò, allungandosi verso la mora per quanto la cintura di sicurezza glielo permise. Poi si sistemò gli occhiali dalle lenti rotonde sul naso, «Però oggi ho la presentazione di un libro e devo firmare autografi alle brave persone che mi riempiono le tasche di soldini. Quindi niente incidenti mortali sul raccordo autostradale, Ai-Ai

«Allora scendo e glielo ficco in gola, il cazzo di clacson. Tanto ancora per non po’ non ci muoveremo.»

Quando Eto l’aveva chiamata, svegliandola di soprassalto mentre si godeva il dolce poltrire domenicale e chiedendole con una certa concitazione di accompagnare dall’altra parte di Tokyo per una sessione di autografi, Masa aveva pensato che il suicidio non fosse poi una così brutta alternativa. Poi l’altra aveva smosso la mora facendole tenerezza, con voce piccola da bambina, sostenendo che si era svegliata tardi e che non poteva usare i mezzi. E Tatara era virtualmente irraggiungibile. Cosa significasse quella frase era ancora un mistero, che tra l’altro non intendeva indagare. Infondo tra lei e il suo maestro regnava questa sorta di tacito patto mai davvero stipulato nel quale dovevano accollarsi un po’ per uno Eto, la quale quando chiedeva e non pretendeva risultava inoffensiva e tenera. Alla fine si era vestita in tre secondi netti ed era uscita dalla stanza bussando a quella di Kuramoto, per poi scoprire che lui si era alzato presto per andare a scattare qualche foto al parco, lasciandole anche la macchina.

Così tanta fortuna non era normale, l’avrebbe pagata a caro prezzo. Se lo sentiva.

«Sei stata così gentile, Ai. Come posso ripagarti?»

L’investigatrice ci pensò su, mentre con la macchina guadagnavano sì e no otto metri. Tamburellò le dita sul volante, prima di tornare a guardarla attraverso le lenti scure degli occhiali neri da aviatore. Poi le sorrise, «Ci penserò su.»

«Uh, mi piace quell’espressione…»

«Chissà se ti piaceranno le mie condizioni», Aiko le schioccò uno sguardo divertito, prima di sospirare piano, appoggiando il capo contro il poggiatesta del sedile. Chiuse gli occhi un istante, riaprendoli solo quando l’ennesimo tiro di clacson le fece venire voglia di prendere la valigetta dal  bagagliaio per smontare l’auto di quel deficiente con Inazami. Peccato, ancora non aveva un kagune. Non ancora. Fece per aprire la portiera e slacciarsi la cintura, pronta alla rissa, ma Eto le prese gentilmente la mano nelle sue, continuando a sorridere con quell’espressione incredibilmente serafica che gridava quando non ne valesse la pena. Masa annuì, manco questa l’avesse detto ad alta voce, aprendo le dita per allacciarle alle sue. Poi le venne in mente una cosa. «Prendi la mia borsa.»

Eto la guardò sorpresa.

Aiko le indicò con un cenno del capo che si trovava sul sedile posteriore. «Ho un regalo per te, prendila.»

Non fece quasi in tempo a finire la frase che una gomitata la colpì sulla spalla, mentre l’altra ragazza nell’abitacolo arrancava per raggiungere il tesoro promesso, come una bambina a natale. Aiko ridacchiò, scuotendo il capo come se non ci potesse credere. «Il temuto Gufo col Sekigan, signore e signori. Flagello di agenti, nemico dell’umanità.»

«Trovato!» Tornando seduta diritta, Eto esibì il pacchettino con tanto di fiocco come un trofeo. Poi guardò Masa da dietro le lenti, che rendevano se possibile ancora più grandi i suoi occhi. «Lo posso aprire ora?»

«Sì certo. Magari ti serve oggi.»

Uno spacchettare concitato si diffuse nell’auto. Eto appallottolò la carta da regalo e guardò la scatolina bianca con vivo interesse, prima di sollevare il coperchio. Dentro, appoggiata elegantemente su due sostegni, c’era una penna stilografica dall’aria parecchio costosa. Verde, come gli occhi del ghoul e dal pennino lavorato d’argento.

«L’altro giorno meditavo», iniziò a dire Aiko, interrompendo l’osservazione stupita dell’oggetto da parte della scrittrice, «Che non ho idea di quando sia il tuo compleanno. Ho pensato di prenderti quindi qualcosa di carino, visto che ti mi hai permesso di portare Seidou a Kyoto, andando contro il parere Tatara.»

Ci fu un istante di silenzio. Poi Eto sospirò piano.

«Sei proprio una stupida, Masa Aiko.»

«…Già, lo so.»

Un sorriso amaro tinse le labbra sottili della mora, poi queste vennero coperte da quelle di Eto.

«Questo è un regalo bellissimo!», squittì il Gufo, rigirandosela fra le dita, prima di prendere l’agenda dalla borsa, per provarla. «La terrò come il più prezioso dei tesori!»

Aiko sorrise di nuovo, più convinta.

E finalmente il traffico riprese a scorrere.

 

Capitolo ventuno

Massì, hai ragione tu, Cookie; io, te, Hsiao, un diciottenne e due ragazzini con l’età emozionale di una coppia di bambini di otto anni per una notte intera a campeggiare allegri in una foresta dove la gente va a impiccarsi. Cosa potrà mai andare storto?”

Urie era stato bravo a tenere il segreto fino al momento in cui avevano messo in moto l’auto. A quel punto si era visto costretto per forza di cose a dire la reale destinazione del camp di formazione dei Quinx e nel furgoncino si era scatenato il panico. Aiko lo aveva apostrofato così, mentre Saiko urlava come un aquila sostenendo che non avrebbe avuto campo  al telefono e che quindi non avrebbe nemmeno potuto postare un ultimo instant mentre veniva uccisa da qualche demone o fantasma rancoroso. Higemaru aveva perso il dono della parola, mentre Aura e Hsiao lasciavano perdere in partenza, fingendo di non aver sentito.

La grande idea del caposquadra per testare i suoi uomini era quella di buttarli allo sbaraglio in mezzo al nulla letterale, con una bussola e una mappa. “Bussola che smetterà di funzionare”, aveva predetto Aiko senza giri di parole, lasciando tutti con un’espressione di pura amarezza sul volto. “Ci sono molti giacimenti di ferro ad Aokigahara. Fanno impazzire gli aghi delle bussole.” Urie aveva chiesto con una acidità come facesse ad esserne così sicura.

“Perché ci sono già stata, coglione.”

E Kuki si era ridotto al mutismo, lasciando che Aura leggesse a voce alta tutte le peggiori notizie di cronaca legate alla foresta, così per rendere gli animi un po’ più agitati. Successivamente, avevano litigato per la divisione in due squadre. Saiko sosteneva che negli horror era proprio l’idea del cavolo che portava la gente a morire, quella del ‘dividiamoci’, mentre Urie insisteva sull’importanza del cameratismo. Aiko non prese bene l’idea di avere con se Aura e Higemaru, sostenendo che Hsiao e Urie insieme erano troppo forti e avrebbero per forza trovato per primi il campo base. Lei puntava sulla competitività, il resto del furgoncino sul rimanere vivi. Alla fine avevano patteggiato, arrivando al grande classico degli uomini contro le donne. In conclusione, Aiko aveva ottenuto quello che volevano tutti lì in mezzo: Hsiao, che Hige aveva iniziato a chiamare Ginny per praticità. I due adolescenti, se li sarebbe tenuti Urie, che alla fine aveva avuto tutta quell’assurda idea. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

A distanza di un’ora e quaranta da quando avevano lasciato il furgoncino nel parcheggio, si erano caricati gli zaini sulle spalle e si erano divisi in due sentieri diversi, Aiko si trovava sospesa a trenta metri di altezza, facendo leva a terra e sul tronco degli alberi più stabili con kagune, per cercare di capire dove accidenti fossero.

«Abbiamo il Fuji sulla destra!», urlò, decisa, mentre sotto le frasche così fitte da impedire alla luce di filtrare troppo, Ginny controllava la mappa, tenendo la mano di Saiko. «Dobbiamo tenerlo di fronte quindi correggiamo la rotta in…. Questa direzione!» Scendendo lentamente, puntò il braccio avanti a sé.

Yonebayashi alzò il pollice, strizzandole l’occhiolino mentre nuovamente invidiava la sua maglietta, che lasciava in vista la pancia piattissima e con impresse a chiare lettere bianche la parola YANDERE sullo sfondo nero. «Sono con te, Macchan! Dopotutto, una Masa è una Saiko senza la S!»

«Tra poco dovremmo incontrare un corso d’acqua», fece sapere la taiwanita, mentre la ragazzotta più bassa afferrava la mano dell’altra investigatrice, tenendosi così ad entrambe, come una bambina con due mamme.

«Lo scavalcheremo.»

«Il caposquadra ha detto di usare al minimo le nostre abilità da Quinx.»

«Il caposquadra deve andare a farsi fottere.» I passi erano pesanti, nel fogliame del sottobosco. Anche i sentieri battuti erano per lo più impervi e il silenzio totale era sicuramente la cosa più inquietante. «Ho sempre trovato inquietante una cosa, la prima volta che sono venuta qui con Kuramoto», le informò Aiko. «Sarà già passato più di un anno. Voleva fotografare degli uccelli e magari qualche cervo. Abbiamo camminato per ore e ore senza mai lasciare il sentiero principale e sapete quale è la cosa che mi ha lasciata più spaventata dell’intera esperienza? La totale assenza di fauna. Nemmeno un cinguettio.» Si zittì subito dopo averlo detto e Yonebayashi si guardò attorno speranzosa. Nemmeno il minimo rumore arrivò alle sue orecchie, però. «Sembra che persino gli animali preferiscano evitare questo posto.»

«Parliamo di altro?», chiese la ragazza più bassina, annuendo energeticamente a quella sua stessa proposta mentre Masa si chinava a raccogliere qualcosa. «Manga! Sei in pari con Remember, Macchan?... Macchan?»

La mora mostrò cosa aveva trovato e le altre due rimasero in silenzio.

«Quello è un osso?», si azzardò a chiedere a un certo punto Saiko, nascondendosi dietro alla taiwanita.

Questa si sporse in avanti. «Omero. Probabilmente di un maschio adulto.»

«Sì è anche quello che penso io. Non mi stupisce aver trovato dei resti, molte persone che vengono a morire qui non si riescono più a trovare. Questo luogo è un enorme cimitero a cielo aper-»

Un grido spezzò completamente il silenzio, mescolando le loro viscere. Masa, che fino a quel momento si era mantenuta fredda e scientifica nonostante le stranezze, sgranò gli occhi fino all’invero simile. «Higemaru», disse semplicemente, in un sussurro senza voce, prima di lanciare lo zaino in braccio a Saiko e iniziare a correre nella direzione del grido.

«MACCHAN! NON LASCIARCI SOLE! HO PAURA!»

Masa corse. Corse così tanto che quando si ritrovò a realizzare che aveva sempre tenuto una direzione senza calcolare però dove stesse andando di preciso si ritrovò un po’ spiazzata. Si fermò, ansante, portando entrambe le mani a coppa di fronte alle labbra. «HIGE! HIGE!», chiamò con tutto il fiato che le era rimasto, prima di prendere aria rumorosamente e appoggiarsi alle ginocchia con entrambe le mani. In quel punto specifico in cui si era fermata le corolle degli alberi erano così fitte da rendere l’intero perimetro ombroso, in penombra. Non avrebbe avuto senso cercare di spiare dall’alto, non avrebbe visto nulla. Si mise quindi in ginocchio, chiudendo gli occhi e concentrandosi, ma il suo udito però non era nemmeno vagamente valido come il suo naso, offuscato dall’odore forte di chiuso e dal muschio umido. Per dar tregua ai suoi recettori se lo tappò, cercando di concentrare l’udito. Quando sentì dei passi, però, capì che non poteva essere Hige. Erano troppo calmi. Come se qualcuno avesse deciso di fare una passeggiata nel bosco.

Il soggetto in questione fece uno scatto, portandosi vicino a lei. Per riflesso, Aiko si nascose dietro a uno sperone roccioso. Il cuore le batteva nel petto come un martello pneumatico, mentre tutta la razionalità la abbandonava. Strinse gli occhi, prima di spalancarli, con il kakugan in vista e la determinazione di spaventare questo simpaticone. Anche i demoni dovevano aver paura dei ghoul.

Si inumidì le labbra, prendendo un respiro e maledicendo quei forti odori, prima di tentare un’ultima volta. «Hige!», chiamò, con molta meno convinzione. I passi cambiarono direzione, avvicinandosi a lei. Se c’erano dei passi, c’era un corpo. Se c’era un corpo allora c’era qualcosa che poteva affrontare. Strinse le mani sudate, mentre lasciava scivolare fuori una singola coda. Se la arrotolò attorno al braccio proprio mentre sentiva i passi sulla sua testa. Nessuno parlò, nessuno si identificò e quando la figura saltò dalla roccia per scendere al suo livello, lei scattò.

Piantò con tutta la forza che aveva il kagune, utilizzato come una spada stretta all’avambraccio, nello stomaco di quell’essere misterioso.

….Essere misterioso che si rivelò essere Urie.

«OH CAZZO!», gemette, mentre si chinava su di lui, in ginocchio fra il fogliame, a vomitare sangue. «Mi dispiace da morire!», cercò di scusarsi, con una punta di disperazione nella voce, passandogli le mani sulle spalle e sulla schiena fino al buco che faticava a rimarginarsi. «Perché non mi hai chiamata, quando mi hai sentita?? Ma sei stupido?!», scaricò quindi la colpa a lui, velocemente. «Dovevi identificarti! Mi stavi camminando attorno per spaventarmi?!» Urie provò a parlare, ma lei non gliene diede il tempo. Si sfilò la giacchetta di pelle, immancabile anche se poco pratica nelle escursioni, piantandogli il braccio sotto al naso. «Mordi», ordinò. «Io guarisco più in fretta, maledetto Kokaku! Potevo ucciderti!»

«Ci hai provato», ringhiò lui, cercando di allontanare il braccio ma scendendo a compromessi con il fatto che faceva davvero male. Aveva un discreto buco in pancia e non era piacevole. Affatto.

Aveva perso Higemaru, aveva lasciato indietro Aura e aveva anche rimediato una nuova presa d’aria per gli intetestini.

E non erano ancora passate due ore da quando avevano intrapreso quell’esperienza.

Fantastico, fu la sola cosa che pensò, sarcasticamente, mentre gli incisivi affondavano nella carne tenera del braccio della compagna.     

 

«Il camp di formazione lo dovrebbero fare i capisquadra, prima dei sottoposti.»

La sentenza lapidaria di Saiko era stata accolta con un sospiro rassegnato di Masa e Urie, incapacitati a controbattere a quella che era la pura e semplice realtà dei fatti.

Alla fine della storia avevano scoperto che Higemaru  era sempre stato con Aura e il ragazzo dai capelli pervinca aveva raccontato che dopo aver pestato un teschio, era schizzato via di riflesso in modo involontario. Era poi tornato da solo, sfruttando una maestosa botta di culo, parole sue, trovando solo Aura con i due zaini ad aspettarlo seduto sulla radice dove Urie gli aveva chiesto di attendere. Saiko e Ginny avevano trovato per prime i due ragazzi, seguendo semplicemente un percorso in linea retta rispetto al percorso che avrebbero dovuto tenere i ragazzi. Usando quindi i cervello avevano guadagnato un sacco di tempo, godendo insieme ai colleghi il ritorno ben poco trionfale dei due boss del team. Uno con una ferita enorme nello stomaco e l’altra senza una grossa porzione di avambraccio.

Li avevano bendati per evitare che le ferite si infettassero nell’attesa della guarigione e poi erano ripartiti. Yonebayashi aveva ordinato di seguire il sentiero principale e, soprattutto, rimanere tutti insieme.

Urie e Masa non avevano avuto voce in capitolo in merito.

Almeno, la loro misera figura aveva risollevato gli umori generali e anche lo stare tutti insieme aveva i suoi vantaggi. Saiko e Higemaru si sentivano più tranquilli e il percorso principale era più illuminato di quelli che avevano seguito fino a quel momento. I tre obiettivi che avevano stipulato (arrivare al punto di ritrovo, montare le tende e provvedere al fuoco e alla cena e tornare sempre mantenendo i due gruppi il giorno successivo) furono convertiti in un grande obbiettivo primario: evitare di farsela sotto. Urie non volle in ogni caso tornare verso casa, convinto che dopo un inizio del genere niente potesse andare storto.

Dopo aver camminato per ore, sembrava avere ragione. A parte la noia e il segnale nei telefoni che andava e veniva come la loro voglia di uccidere il caposquadra, non successe altro. Raggiunsero una piccola radura, la quale sarebbe stata davvero perfetta per montare le tende.

«Se solo non ci fosse questo albero.» Urie diede una pacca al tronco seriamente dispiaciuto, mentre Hige lo guardava perplesso. «Non si deve mai campeggiare sotto agli alberi. Se cade un fulmine è pericoloso», gli spiegò. «Dovremmo camminare ancora un po’.»

«Non abbiamo visto spiazzi così grandi però.» Aura incrociò le braccia sul petto mentre Aiko si sfilava con nonchalance zaino e giacca, passandola a Hige. «Rischiamo di fare altra strada per poi tornare qui.»

«A due ore a piedi da qui dovrebbe essersi uno spiazzo panoramico», disse loro Ginny, controllando la mappa. Saiko voleva piangere, glielo si leggeva nei grandi occhi blu.

A rimediare ci pensò Masa, tagliando con un colpo secco l’albero all’apparenza centenario. Esso cadde con un boato accanto a loro, sollevando polvere e lasciando senza parole il caposquadra, mentre Higemaru e Yonebayashi si lanciarono in un’autentica ovazione.

«….Hai abbattuto un albero?»

Masa nascose le code dietro la schiena come se fossero delle braccia. «No no, cosa te lo fa pensare?»

«Aiko, hai abbattuto un albero?!»

«Cazzo Cookie, ce ne sono a centinaia di migliaia attorno a noi!»

Lui per poco arrivò a battersi una mano sulla fronte, ripetutamente. «Se ci beccano i guardiaboschi siamo fregati. La multa che ci arriverà farà ridere tutto il bureau di noi per mesi.»

«Anche il fatto che vi siate mangiati a vicenda, credo», gli rispose a tono Saiko, che aveva già lasciato a terra lo zaino, mentre Touma stava iniziando ad aprire le tele della tenda.

«E come potrebbero incolparci? Siamo sei ragazzi senza asce», gli disse pragmatica la mora, aprendo il suo zaino per la prima volta. Quando rialzò gli occhi su Urie per poco gli lanciò la borraccia in faccia. «Mi hai fatto portare tutti i pali di ferro?!»

Lui non parve capire,«Le tele prendono più posto.»

«Io ho lasciato la tenda in macchina.»

«SAIKO.»

«Niente panico», Ginny si mise in mezzo, tenendo le mani bene alzate. «Abbiamo due tende da due persone l’una. Ci si dorme benissimo anche in tre. Possiamo di nuovo dividerci senza problemi.»

«Io dormo con te.» Saiko le abbracciò i fianchi.

E poi Higemaru fu più veloce del compagno. «Anche io!»

Aura guardò Masa. Poi guardò Urie. Alla fine alzò le spalle.

«Fa un così bel clima che penso che dormirò sotto alle stelle.»

 

Prescindendo dalle loro sventure, fu una notte stellata bellissima, di come non se ne potevano vedere dentro alla grande metropoli che era Tokyo.

Nonostante tutte le disgrazie, avevano portato abbastanza cibo per sfamare un piccolo esercito e ne ebbero bisogno, dopo tutto quel camminare. Riuscirono con facilità ad accendere un fuoco con cui cucinare, anche se avevano calcolato male il quantitativo di acqua e quindi dovettero essere particolarmente parsimoniosi.

Alla fine del soddisfacente pasto, Aiko aveva preso in mano il suo ukulele, iniziando a strimpellare canzoncine allegre che anche grazie al crepitare del fuoco interrompevano la placidità statica della notte pesante di Aokigahara.

Persino Saiko, un po’ in crisi di astinenza da internet, si riprese per canticchiare con lei Pink Fluffy Unicorns. Ovviamente Hige intonò con loro la frase ripetuta all’infinito, mentre Ginny filmava i pericolossissmi investigatori della ccg.

Quando l’ukulele venne appoggiato, ormai erano tutti rilassati e tranquilli. Aura e Higemaru, che avevano iniziato una serrata partita a poker, si misero più vicini al fuoco degli altri. Saiko e Hsiao stavano ancora cercando la rete nel telefono e la taiwanita sembrava davvero intenzionata a rendere Yonebayashi felice con una connessione vagamente decente. Masa si era invece appoggiata al tronco dell’albero che aveva precedentemente ucciso e, sorprendentemente, Urie l’aveva raggiunta. Si era seduto accanto a lei, costringendola a stendere le gambe per potersi appoggiare ad esse col capo. Tutti avevano guardato la scena abbastanza colpiti da quella presa di confidenza, visto che di solito di fronte ad un pubblico seppur ristretto come quello casalingo, il ragazzo tendeva a dribblare come un ninja le attenzioni della mora.

Aiko accolse quella dimostrazione rara di affetto e, di conseguenza, preziosa. Iniziò a passare le dita fra le ciocche fini di Kuki, mentre questi chiudeva gli occhi, cullato dal crepitio del fuoco. Anche quando lei gli prese la mano, lui non fece nulla, rimanendo così, in pace dei sensi.

Quando sconfitte, le due ragazze tornarono dagli altri, Hsiao aveva però una validissima alternativa alla noia. «Ho portato il Kaoliang, se volete.»

Gli occhi di Aiko brillarono. «Scherzi vero? Cosa aspetti ad aprirlo?!»

Urie aprì gli occhi. «Cos’è il Ciaojang

«Il Kaoliang», lo corresse il suo vice, chinandosi su di lui per stampargli un bacio  rumoroso sulla guancia, per poi costringerlo a tirarsi seduto. «Un liquore cinese fantastico. Lo ricavano dal sorghum e ti infiamma le budella.»  Aiko allungò la mano e Ginny le passò subito la bottiglia piena di liquido trasparente. «So che lo vendono solo in Cina e a Taiwan, non l’ho mai trovato in Giappone.»

«Allora com’è che lo conosci così bene?», si informò Higemaru, curioso.

Urie la precedette. «Il dottor Huang?»

Masa sorrise maliziosa, sporgendosi verso di lui. «Non è il solo cinese al mondo, sai? Ce ne sono circa 1,39 miliardi.»

Ginny distribuì i bicchierini di plastica, il formato piccolo da caffè, riprendendo poi la bottiglia dalle mani della collega per servire lei gli amici. Tutti, eccetto Aiko, si lamentarono della poca quantità versato. Dopo il primo sorso cambiarono idea in fretta. Dopo solo il primo giro, alcuni iniziavano già a dare segni di cedimento.

Dopo il secondo, iniziarono i discorsi sul senso della vita e la morale.

Dopo il terzo, misero in discussione la loro intera vita.

«Se non foste mai entrati in accademia, cosa avreste fatto?»

La domanda di Aura era pericolosa. Molto pericolosa. Stava per innescare una spirale dalla quale difficilmente avrebbero cavato fuori i piedi.

La prima a rispondere fu Saiko, che sbuffò con tono stanco, guardando il liquido incolore nel piccolo bicchierino. «Sicuramente lavorerei nel bar di mia madre. Non avrei nemmeno finito il liceo, visto che non c’erano i soldi per pagare gli studi a me e a mio fratello. Non sarebbe una brutta vita, in effetti. Però i turni del bar sono assurdi, avrei dovuto smettere con le partite di D&D

«Il bar ha ritmi peggiori dei nostri?», chiese stranito Touma.

Lei lo guardò ovvia, prima di schioccare la lingua al palato. «Mia madre non conosce ferie, ore e giorni di riposo e, soprattutto, domeniche come questa.»

«Meglio che tua madre non ti costringa a dormire in mezzo a Junchai, in balia di demoni e fantasmi. È molto più umana di qualcun altro», colse al volo l’opportunità Masa, prima di prendere un altro sorso, facendo finta di nulla. Urie si militò a darle pizzicotto sul braccio lasciato nudo dalla maglietta, non trovando nemmeno difficoltoso il farlo, visto che lei aveva deciso di usarlo come una poltrona.

Higemaru scattò una foto all’allegra coppietta, cogliendo al balzo l’ebbrezza di Urie che lo rendeva molto più alla mano. Poi mentre la salvava, rispose a sua volta. «Io farei il poliziotto come mio padre. O magari il pompiere come mio zio. O sarei entrato nell’esercito come mio cugino». Appoggiò il telefono di fronte a sé, mordicchiando il bicchierino vuoto sul bordo e ondeggiando appena, confermando quando poco funzionasse in quel momento il suo cervelletto. «Sarei rimasto nel settore pubblico, insomma. Tutta la mia famiglia è così.»

«Io non ne ho idea.» Aura scostò la frangia spessa, incollata alla fronte dal sudore a causa della calura di luglio e del fuoco del falò. «Ho sempre pensato che sarei diventato un agente come mia zia Kyioko. Non ho mai pensato a un’alternativa.»

«Nemmeno io», disse Urie, tenendo le mani incrociate sotto il seno di Masa, che stava seduta fra le sue gambe, con la schiena premuta contro il suo petto. «Non ho mai avuto dubbi sul fatto che sarei entrato nel ccg come mio padre prima di me. Fin da quando sono piccolo ho sempre pensato che questa è la mia strada, quindi se dovessi pensare a un altro lavoro proprio non mi viene in mente.»

«Il pittore», rispose la moretta a quella che infondo non era una domanda, inclinandosi di poco di lato per guardarlo con la coda dell’occhio. «O il personal trainer visto che sei sempre in palestra.»

«Tu invece? La ballerina?» Per una volta, Urie sembrò vivamente interessato a quella questione che avevano solo sfiorato quando avevano avuto la loro prima volta. Aiko prese l’appunto mentale di farlo bere più spesso. Sempre.

«Nemmeno in un’altra dimensione spaziale mio padre mi avrebbe pagato l’accademia di danza. Immagino che sarei finita a fare una lavoro banale come la segretaria o la cameriera solo per mantenermi a vivere da sola. Era quello il piano, in realtà, prima di decidermi a diventare un agente.»

«E ora hai anche un master in profiling, pensa un po’», rilanciò Saiko, lanciandole un sassolino. «Cameriera, certo. Tu sei una persona ambiziosa, Macchan. Se non fossi diventata un agente del ccg avresti comunque trovato il modo per spiccare.»

Urie si stupì parecchio dell’espressione che aveva assunto il viso di Aiko in quel momento. Quasi smarrita. «Tu invece, Hsiao?», domandò alla taiwanita, giusto per spostare l’attenzione dal suo vice.

«Io non credo avrei mai potuto fare altro.»

Hige ridacchiò, «Tutti abbiamo alternative.»

Ginny si lasciò sfuggire un sorriso un po’ amaro. «Forse hai ragione», gli disse e parve quasi stentata.

«Io credo che in un modo o nell’altro ci saremmo comunque ritrovati tutti insieme!»

Masa sorrise, «Saiko, è un pensiero davvero bellissimo.»

«Io spero di no.» Il commento di Aura colse tutti di sorpresa. «Dover dormire in terra anche in un’altra vita perché non voglio stare con una coppia che non ammette nemmeno di esserlo? Non esiste.» Il sorrisetto finale fece capire a tutti che anche lui, allora, sapeva scherzare.

Ci furono delle risa generali, poi Aiko alzò una mano. «Per prima cosa, noi non siamo una coppia», precisò come tutti si erano aspettati che avrebbe fatto, facendo alzare gli occhi al cielo a tutti. Eccetto Urie, che parve quasi volersi nascondere dietro di lei. «Punto secondo, se anche fosse – e ricordo a tutti voi che siete maggiorenni- di sicuro non lo faremmo in una tenda con un’altra persona.»

Shinsapei non parve convinto. «Prevenire è sempre meglio che curare. Scusa, Masa.»

«Ci sarà più posto per me in tenda, allora», concordò la giovane, allungando le gambe con una certa soddisfazione. «Ci perdi tu, dormirai con gli insetti e i fantasmi.»

Higemaru prese un respiro, prima di dichiarare qualcosa che nessuno si aspettava. «Amico», disse rivolto a Shinsapei, «Non ti lascerò solo in tutto questo. Dormirò con te.»

Aura lo guardò sorpreso, «Grazie, amico», disse, mentre alzava la mano per farsi dare il cinque. Poi però ci pensò su. «Lo fai perché da una tenda all’altra si sente tutto, vero?»

«Sì, decisamente, sì.»

«Oh ma basta!» Aiko si sporse in avanti, guardandoli con la bocca spalancata per quelle insinuazioni del tutto gratuite, ma non riuscendo a non sorridere divertita. «Siete pessimi, davvero. Alla vostra età portavo rispetto per i miei superiori.»

«No», Saiko la guardò. «Non è vero. Me lo ha detto Tamaki cosa hai fatto appena entrata nella squadra Itadashi.»

«...Quel fedifrago traditore di Mizuro.»

«Per non parlare di come tratti Hirako», aggiunse Urie, passandole una mano sulla schiena mentre lei si afferrava le caviglie, spingendosi in avanti. «Non sei per niente rispettosa, non puoi fare la morale a loro.»

«Tu nemmeno, visto che sei pronto a dare il culo a Matsuri per essere promosso», rilanciò la giovane, tornando ad appoggiarsi al suo petto.

Lui parve pensarci su. «Sì, è vero.»

«URIE!»

«CAPOSQUADRA, COSA DICI?»

Per evitare ulteriori commenti, Ginny chiuse la bottiglia di liquore e la andò ad appoggiare dentro alla tenda, lontana dagli altri. Urie affogò un sorriso divertito nell’ultimo goccio che aveva, prima di buttare nel sacchetto del pattume il bicchiere. Diede una pacca sulla coscia nuda di Aiko che suonò come uno schiaffo, per farla spostare. «La situazione sta degenerando.» Si alzò un po’ traballante, «Per questo, io vado a letto. Voi non fate tardi, domani abbiamo tutta la strada di oggi da rifare.»

Aiko ci pensò su. «Sì beh, se dobbiamo tornare.» Di nuovo, risate.

Kuki scosse il capo. «Basta alcool per Urie», si disse da solo, prima di sedersi con il sedere nella tenda per levarsi gli scarponcini. «Basta alcool per Urie per un bel po’.»

«A me piaci di più sbronzo», gli disse Aura. «Sei più allegro.»

«Anche a me», disse Aiko, accostandosi a Saiko che le buttò le braccia alla vita per stringersi a lei, sbadigliando, stroncata dall’alcool. «Sei meno rompi cazzo così.»

Lui schioccò un’occhiata che voleva dire tutto o nulla, prima di entrare e chiudere la cerniera della zanzariera dietro di sé. Aiko strinse a sé Yonebayashi, prima di aiutare Hsiao a spostarla per la notte. Augurò la buona notte alle ragazze, tornando da Hige e Aura che stavano gonfiando i materassini da campeggio vicino all’albero abbattuto.

«Dormite bene con gli impiccati», li prese in giro.

Hige ridacchiò, mentre Shinsampei rilanciava incoraggiato dall’alcool. «Dormi bene con le mutande addosso.»

«Queste te le faccio tutte pagare», rispose a tono la mora, ridendo e alzando la mano per salutarli mentre si sfilava una scarpa con l’altra. Le sistemò accanto a quelle del caposquadra, prima di entrare nella tenda. Urie aveva già organizzato l’angolo notte, accostando i due materassini e aprendo entrambi i sacchi a pelo su di essi.

«Fa caldo per dormirci dentro», le disse, alzando gli occhi dal cellulare. Poi abbassò la voce, «E io ho segnale.»

Aiko si sfilò la maglietta ridacchiando e poi i jeans corti che sembravano adatti a tutto, ma non a una gita nei boschi. Prese una maglia larga dallo zaino e se la infilò, «Non dirlo a Saiko o il tuo cellulare verrà preso in ostaggio.» Sciolse le bende attorno all’avambraccio, laddove la carne era ricresciuta perfettamente e non c’era più nemmeno un segno del morso dell’altro. Controllò anche lui, passando le dita sulla pelle risanata, proprio sullo stomaco.

Lui la guardò dal basso, serio fino alla morte. «Non era così che mi immaginavo il tentacle porn

«…Non lo hai detto davvero.»

«Vorrei non averlo fatto, in effetti.»

Aiko lo guardò con un sorrisetto, scuotendo piano il capo. Poi si accomodò contro di lui, stringendosi alla sua vita con un braccio, mentre la testa andava ad appoggiarsi contro la sua spalla. Chiuse gli occhi, sospirando piano rilassata, nonostante la calura estiva l’avrebbe fatta pentire di tutt quella vicinanza. «Devi bere più spesso, deciso.»

«Il mio fegato non ringrazierà.»

«Tanto si rigenera, non funzionano queste frasi fatte.»

La ragazza allungò il collo, pretendendo il bacio della buona notte. Bacio che ottenne nell’immediato, quando le labbra di Kuki si appoggiarono sulle sue. La sua mano andò a sfiorarle il viso, prima di stringersi a lei. Quando Masa si accoccolò di nuovo, dopo aver spento la lucetta appesa sulle loro teste, con gli occhi chiusi e un leggero sorrisetto sulle labbra, era pronta a chiudere quella giornata lunga e decisamente sfiancante.

Urie invece, a quanto pare, no.

«Stavo pensando a una cosa che mi hai detto.»

Lei sorrise di più, senza aprire gli occhi o alzare il capo. Comunque era incuriosita da quella frase, quindi non la ignorò per dormire. «Sarebbe la prima volta», gli rispose in un sussurro basso, giusto per non fare sapere a tutti di cosa stessero parlando. «Cosa ti ho detto da non farti dormire la notte?»

«Mentre parlavamo di Takeomi», rivelò e Masa era già pronta a una serie di battutine circa la sua ossessione per Kuroiwa. Non ebbe il tempo di dirle. «Hai detto che la sua ragazza è davvero eccezionale.»

«Sì», rispose lei un po’ perplessa, non capendo dove voleva andare a parare. «Sono anche riuscita ad incontrarla e confermo. È adorabile.»

«Hai detto anche un’altra cosa.» A quel punto Aiko si sollevò per guardarlo. Era viola in viso, faceva un match perfetto con i suoi capelli. Qualsiasi cosa stesse per dire, doveva costargli non poca vergogna. «Anzi, io ho detto che volevo solo sapere come fosse. Se fosse di classe.» Masa iniziò a capire perfettamente.

«Kuki, fermo…»

«E tu hai detto che, di nuovo, Takeomi aveva dei prodotti più di qualità dei miei.» Ci fu una pausa nella quale, nell’oscurità della tenda, non riuscirono a staccare gli occhi l’una dall’altro. Poi lui inspirò così tanto da aprire la cassa toracica e sollevare di poco la ragazza, che vi era appoggiata sopra. «Questa è una cosa molto stupida da dire, Aiko. Io non credo che tu sia meno di qualcun altro. Anche se rispondi sempre male e rutti. Hai tanti pregi, non importa che tu sia o meno di classe.»

«…Oh mio Dio.»

Masa non seppe come reagire. Rimase ferma per qualche secondo, realizzando molto bene le implicazioni di quelle parole, prima di staccarsi e mettersi seduta, tirando su col naso.

«Non ti metterai mica a piangere ora, vero?»

«Ma no, sono solo scioccata, credevo che trovassi carini i miei rutti», mentì, tornando la solita Masa, tutta sarcasmo per scudo e parole di circostanza. Si passò le mani sugli occhi, tornando a stendersi quando lui la tirò di nuovo verso di sé. «Cavolo è davvero magica questa foresta se riesce a farti dire cose così carine. Non penso di averti mai sentito dire qualcosa di così bello in generale, su qualsiasi argomento, da quando ci conosciamo.»

Lui ci pensò su, «Ti ho anche detto che stai bene nuda.»

«Ah giusto, come dimenticarlo.» Si dovette trattenere parecchio per non saltargli addosso. Così tanto che arrivò a stringere la maglietta del ragazzo fra le dita fino a fare sbiancare le nocche. «Sei pessimo a dire queste cose in un momento del genere. È molto difficile per me ora trattenermi da-»

«Ragazzi…»

«Higemaru smettila di origliare!»

Dall’esterno, il tono arrivò tra l’uggiolante e l’indignato. «Il problema è questo, non lo stiamo facendo!»

Urie sospirò, arrendendosi. «Riprenderemo il discorso a casa.»

Aiko annuì, appuntellandosi sul gomito per guardarlo in faccia. Rimasero fermi così, a fissarsi con chissà quanti pensieri in testa, per diversi minuti.

Poi, dalla tenda accanto, arrivò la voce stanca di Yonebayashi, che si rivelò essere ancora sveglia. «Ma quindi ora vi siete fidanzati ufficialmente o no?», chiese, arrivando al punto. Alla fine era quello che interessava a tutti.

Dalla tenda dei capisquadra non arrivò nessuna risposta.

«Credo proprio di sì», fu il responso finale di Ginny.

«Allora la mamma ha vinto la scommessa, alla fine.»

Hige e Aura si scambiarono un’occhiata e un sorrisetto.

E nessuno disse più niente fino al mattino.

 

O

 

Il silenzio di Tokyo era molto diverso da quello di Aokigahara. Era più denso, più spaventoso sotto certi aspetti, perché ai demoni andavano a sostituirsi i mostri urbani.

Lei però era una di loro, quindi non temeva ciò che sarebbe venuto. Per quanto quella metropoli fosse così diversa dal luogo nel quale era cresciuta, non era pregno della stimolante libertà che si era prefissata durante il lungo viaggio che l’aveva condotta in Giappone.

Era di nuovo in catene e questa volta l’aveva scelto lei.

«Quando arriverà la tua signora?», chiese con tono distratto, smettendo di grattarsi le unghie con la punta di un sottile pugnale.

Kenta si lasciò cullare dalle note distratte dell’accento straniero, prima di mettersi seduto diritto, togliendo i piedi dal tavolo di fronte a lui. «Spero presto. So che ha avuto dei contrattempi, ma non ci farà aspettare molto.» Smise di parlare, poi sorrise leggermente, «Che tempismo.» Il rosso si alzò in piedi, mentre la porta si apriva e una figura ammantata di bianco e col viso avvolto dalle bende si presentò di fronte a loro. «Miss Gawi, ti presento il boss della diciannovesima, Labbra Cucite.»

«Piacere», fu la risposta tirata della donna sconosciuta, «Tatara mi ha già spiegato quel che c’è da sapere. Possiamo parlare in privato?»

Aiko annuì leggermente, facendo cenno a Kenta di lasciare la stanza. Lui piegò il capo nella sua direzione in segno di riverenza, curandosi di guardare molto bene il lato b della loro ospite prima di chiudersi la porta dietro. Allentando un poco la maschera di cuoio, guardandosi bene dal levarla, Masa prese posto sulla sedia. «So che ti hanno arruolata da poco», iniziò a dire, con tono basso. «Da quanto sei in Giappone?»

«Sei mesi.»

«Parli già molto bene. Preferisci che mi rivolga a te in cinese?»

«No. Hai un accento molto marcato, sarà un buon allenamento.» Cogliendo l’invito, la donna si sedette di fronte al tavolo, accettando di buon grado un bicchiere di sangue fermentato, che Aiko le servì in una tazza da the. «Mancanza di stoviglie?»

«Questa è solo una base, non ci vive nessuno. Quindi ci arrangiamo.» Le passò la tazza e l’altra la prese, ringraziando nella sua lingua. «Non te lo aspettavi, vero?» Lo chiese di punto in bianco, con un tono leggermente più pressante. «Fare tutta questa strada per poi servire una causa che infondo non ti appartiene.»

«Lascia che mi presenti meglio, Saiho(nda. Trad:cucitura dal giapponese) La donna scostò la lunga treccia, che le arrivava a sfiorare la vita, dalla spalla fin sullo schienale della sedia. «Il mio vero nome è Mi-Him Choi. Ho vissuto per quasi ventisei anni in Corea del Nord. Nessuno più di me può abbracciare una causa come quella di Aogiri: la libertà, amica mia, è la sola cosa per cui vale la pena morire. Ho deciso di mia iniziativa di unirmi a voi e mi hanno detto di fare capo a te. Non sembri una persona minacciosa e il tuo odore è strano.»

«Lo so, perché la mia natura lo è.»

«Sei un Sekigan come la bambina con le bende?»

Un sorriso divertito incurvò le labbra di Masa, fin sotto alle bende. «Corea del Nord. Ho letto cose piuttosto raccapriccianti, sulla Corea del Nord.»

«Il mio è un paese inimmaginabile e, soprattutto, indescrivibile. Sono qui oggi perché ho camminato sui corpi di tutti coloro a cui volevo bene.»

«Mi dispiace per le tue disavventure.» Le labbra si affacciarono dalle bende e dal bordo della maschera il tempo necessario per permetterle di prendere un sorso. «Noi qui però abbiamo le Colombe. Non sono nemici facili.»

«Non hai idea di cosa ho dovuto affrontare io. Ho visto le vostre Colombe e non sono niente

Ci fu un attimo di silenzio, mentre entrambe sorseggiavano la bevanda alcolica, poi Aiko spezzò quel torpore leggero. «Mi-Him. Bellezza e Forza.» L’altra, con un cenno del capo, confermò. «Gawi invece mi sfugge. Non ho davvero idea di cosa significhi.»

«Cesoie.»        

«Allora immagino che il tuo sia un kagune davvero particolare.» Alzando le braccia sopra al capo e permettendo alle maniche larghe di scivolare mostrando una porzione di pelle bianca attorno alle spalle e sulla clavicola, Labbra Cucite si preparò alle grandi spiegazioni. «So che ti verrà affidato il controllo della sesta. Lì siamo in guerra con un gruppo di ghoul che si sono insidiati un po’ a fatica dopo la caduta del Gufo, durante la guerra della ventesima. Penso che te ne abbiano parlato.»

«La bambina con le bende me lo ha accennato, sì.»

Masa annuì, «Non andarci troppo pesante. Il loro leader è una persona per bene. Cerca solo di tenerli pressati nel loro territorio.»

«Come comandi, Saiho.» Entrambe si alzarono in piedi e la coreana fece un inchino rispettoso, che venne ricambiato dall’altra. «Voglio che tu sappia che preferisco ricevere ordini da una donna, che da un uomo.»

«Intendi Tatara?» Mi-Him fece solo un pallido cenno. «Lui va scoperto poco a poco, giorno dopo giorno, come il crinale impervio di un monte. Non puoi aspettarti di non ferirti le caviglie la prima volta che ne calpesti il suolo.» Pausa. «No, scherzavo, è uno stronzo. Ma uno stronzo importante, non mancargli mai di rispetto. Per lui nessuno di noi è davvero indispensabile.» Le passò accanto, guardandola negli occhi sottili, del colore delle foglie d’autunno. «Sentiti libera di dormire qui, nel nostro rifugio nell’attico di questo palazzo, se lo desideri. Domani Kenta ti farà incontrare il nostro gruppo dislocato nella sesta. Ora perdonami, ma non posso fermarmi oltre. Se necessiti di me, comunica con Kenta

«Lo farò.»

Si salutarono con un cenno e quando Aiko lasciò quella stanza, un strano senso di tranquillità la pervase.

Poi si disse che quello era il tipo di persone più pericoloso in assoluto: calme come l’acqua di un fiume che passa lenta, ma che consuma la roccia e fa crollare il monte.

 

O

 

Quando Masa rimise piede allo chateau, un paio di ore dopo quell’incontro, teneva in mano due borse della spesa piene fino all’orlo e il telefono pressato fra l’orecchio e la spalla.

«Non sto dicendo che mi stai disturbando! Smettila di essere così servile!», stava borbottando esasperata, facendo girare a fatica la chiave nella serratura. «Semplicemente non mi aspettavo una tua telefonata oggi.»

Dall’altra parte della cornetta si sentì un piccolo sospiro. –Non ci parliamo da un mese. Volevo solo sapere se tutto sta procedendo bene.-

Aiko corrugò la fronte, salutando con un cenno Urie che stava già spignattando in cucina e notando che, seduto sullo sgabello della piccola penisola, c’era Aizawa. «Lo apprezzo. Se domani sei libero, andiamo a pranzo insieme. Io intanto ho da fare otto ore di internato.»

-Va bene.-

«Chiedi anche a Kuramoto.»

-Va bene.-

Roteando gli occhi, la ragazza appoggiò le borse sul ripiano, mostrando a Urie le due buste di riso bismati precotto. Lui le prese subito, reggendo già in mano la padella per farlo saltare insieme al pollo al curry. Anche quello gentilmente comprato dalla ragazza. «Allora a domani, buona serata.»

-Anche a te.-

Quando riattaccò il telefono, Aiko sembrò sollevata, prese una boccata di aria e sorrise al caposquadra. «Che palle di uomo!»

Urie non capì e mentre lei salutava il cupo dottore con una stretta veloce delle mani sulle spalle tese, lui non la perse di vista. «Chi era?»

«Hirako.» Scuotendo il capo, la mora si tolse la giacchetta estiva. «Deve sentirsi parecchio solo in questi giorni, se chiama me.»

«Secondo me ha sempre avuto un debole per te.» Ivak girò il bicchiere pieno di sakè caldo nella mano, guardando il liquido profumato danzare contro i margini di ceramica.

«Secondo me tu dovresti bere meno, dottore.»

Kuki smise di svuotare le buste, guardando a sua volta il biondo. Poi socchiuse le labbra, lentamente. «Anche io la penso come lei.»

Ivak sbuffò pesantemente. «Allora Saiko non mi ha mentito quando mi ha detto che vi state per sposare.»

I due interessati si guardarono in faccia e Aiko fu la più veloce a parlare. «Perché non me lo hai detto, Cookie? Lo sai che odio quando mi rifili impegni in agenda senza avvertirmi.» E lo schiaffeggiò con la confezione di polistirolo del pollo.

Urie gliela rubò dalle mani. «Ignoralo. È così depresso dall’essere rimasto solo da vedere amore ovunque.»

«Non hai capito un cazzo, OreoAizawa buttò giù tutto il bicchiere, prima di puntargli contro il dito. «L’amore fa schifo e le donne sono l’incarnazione terrena di ogni male del mondo che l’uomo, causando, si è attirato addosso. Senza offesa.»

«Oh figurati, mio nonno non vuole che cammini nel vigneto quando ho le mestruazioni», rispose con non curanza Masa, muovendo anche la mano come per scacciare quel pensiero stupido. «Ci sono abituata.»

Urie scosse il capo, «Sei un caso perso.» Gli altri due non capirono a chi si stesse riferendo. Poi si voltò a guardare il medico attraverso gli occhi serpentini, ancora con la stessa padella in mano, come se non fosse ben sicuro su cosa fare. «Ti fermi a cena sì o no?»

«Se proprio insisti, allora rimango», rilanciò Aizawa, con il tono di chi è costretto a fare qualcosa per forza.

«Allora siamo quattro.» Aiko lo guardò senza capire e Urie iniziò a fare i conti. «Noi due, questo derelitto e Aura. Gli altri vanno al cinema.»

«Perché noi non andiamo al cinema?»

«Perché abbiamo una riunione con Matsuri domani alle otto e dieci.»

Masa decise che era arrivato il momento di aprire la bottiglia di vino. «Quell’uomo mi rovinerà la vita.»

«Ma voi due state insieme sì o no?»

Urie iniziò a cuocere il pollo, dosando attentamente il giusto quantitativo di burro, farina e cipolle. Un’ottima strategia per non rispondere. Aiko invece si versò un bel calice di vino rosso, prima di darne uno anche al povero Ivak. «Sapessi», gli disse, appoggiandosi al ripiano di fronte a lui con i gomiti. «Ci sono persone che pagherebbero molto per questa risposta.»

«Ok, state insieme ma non volete che si sappia. Dico a Komoto di non mandare una email a tutto il bureau?»

Kuki si voltò a guardarlo male. «Ti ficco il kagune in gola.»

«Meglio che nel culo.»

Aiko prese a ridacchiare, mentre prendeva un lungo sorso di vino. Stava diventando un’alcolista in quella casa. Non ci aveva proprio pensato, comunque, troppo divisa fra le sue due vite.

A tal proposito, il telefono prese a suonarle. Guardò il nome della persona in questione e con molta non chalance riattaccò, appoggiandolo sul ripiano del tavolo. «Vuoi un sorso?», chiese a Urie, sventolando il calice sotto al suo naso. Questi accettò, prendendole il bicchiere dalle mani.

Quando il cellulare riprese a suonare, Masa si stupì parecchio.

Tornò sui suoi passi, leggendo il nome del mittente nello stesso momento mentre in cui lo faceva anche Aizawa. Quando i loro occhi si incontrarono, l’apparecchio si zittì da solo.

«Un nome molto particolare Uzume…» Ivak lo soppesò accuratamente, come se non fosse ben sicuro di palesare o meno quel pensiero.

Masa, dal canto suo, agì con naturalezza. Gli sorrise, prendendo in mano l’apparecchio, «La mia migliore amica», spiegò. «La richiamo e torno.»

Uscì sul patio, lasciando la porta socchiusa ma curandosi di allontanarsi dalla porta di ingresso. Non ce n’era bisogno, era sufficientemente lontana dalla cucina, ma lo fece comunque. Ivak si scolò l’intero bicchiere, guardandone il fondo sporco di liquido vinaccia, prima di parlare nuovamente.

«Masa è strana ultimamente?»

Urie lo guardò con la coda dell’occhio, mentre finiva di versare il curry.

«Non più del solito.»

«Capisco.»

Mentre Kuki soppesava il fatto che entrambi stavano accusando l’altro di comportarsi in modo anomale, il che era già di per sé anomalo, Ivak aveva tutt’altro pensiero per la testa.

E un po’ si pentì di aver deciso di fermarsi per la cena in quella casa.

L’intera situazione gli metteva addosso una tristezza unica.

 

Continua….

 

 

 

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Capitolo 22
*** Il caso Lisca - 1 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quarta: Il caso Lisca.

 

 

Il corpo di Masa era già freddo al tatto ancor prima di venir raggiunta dal patologo. La voragine che aveva al posto dell’occhio sinistro, quello del kakugan, era così profonda da arrivare a mostrare la materia cerebrale dietro l’orbita. Aizawa non riusciva davvero a credere che fosse morta. Nemmeno dodici ore prima stavano pianificando il suo ingresso all’interno della struttura insieme a Komoto. “Un lavoro veloce e pulito”, diceva, “Andrà tutto bene.” Eppure l’epilogo era stato di gran lunga il peggiore di tutti. Avevano giocato con il fuoco e in quel momento Aiko giaceva morta sul suo tavolo autoptico, con il viso straziato, ma incredibilmente rilassato nella placidità del sonno eterno.

Ivak passò la mano fra i suoi capelli, spostandoli dalla fronte. «Mi dispiace tanto», sussurrò con tono spento, prima di prendere un respiro profondo. Dalla tasca del camice estrasse un paio di guanti di lattice, indossandoli rapidamente. Accanto a lui c’era Shimura, immobile e bianco come un cencio. Non gli disse niente quando lo vide aprire la mantella nera della ragazza, iniziando a sfilargliela. Con le forbici tagliò la maglietta, sporca di sangue, rivelando il busto martoriato da due grandi tagli, uno sulla spalla e uno più in basso, all’altezza delle costole che al tatto gli parvero rotte. Una mano era quasi completamente distrutta e così poteva dirsi anche della gamba sinistra, tenuta insieme solamente da un groviglio scomposto di muscoli e lembi di pelle.

«Certo che Hirako poteva evitare di andarci giù così pesante.» Quello fu il primo commento di Korito, il quale sembrava improvvisamente diventato incapace di parlare. Aizawa annuì alle sue parole, appoggiando tutti i vestiti nelle rispettive buste per le prove, infilando l’intimo in un sacchetto di carta più piccolo. Si appoggiò nuovamente al bancone con entrambe le mani, chinando il capo. «Non devi farlo per forza. Possiamo chiamare qualcuno del turno di giorno o magari un collega del laboratorio.»

«No. Lo farò io. Basta cazzate, basta menzogne.»

«Almeno aspettiamo i permessi.»

«No!». Gridò così forte da far sobbalzare il collega, che se possibile perse ancor più colore sulle gote. «Lo faremo adesso. Non mi importa se mi sospendono, licenziano o incarcerano! Se non sai cosa fare prendi una torcia luminol e passala sul corpo. Vedi se trovi impurità. Se ti senti in colpa o se ti senti male al pensiero di infrangere le regole, allora vattene fuori.»

Shimura non si mosse di un passo per diversi secondi, mentre l’altro attenteva una sua reazione. Poi, lentamente, prese il doccino dell’acqua e calibrando la temperatura come se volesse renderla tiepida per non infastidire la collega, iniziò a lavare il corpo partendo dalla punta dei piedi. Aizawa si diede dell’idiota per essersi dimenticato quel il primo passaggio, quindi si prese un attimo. Diede una pacca sulla spalla di Korito, per scusarsi e si avvicinò alla scrivania. Prese il suo registratore, controllando che fosse carico, poi tornò accanto all’altro, con un bisturi in mano e l’oggetto elettronico nell’altra.

«Sono il dottor Aizawa Ivak, sono le nove e dieci del cinque novembre 2016 e sto procedendo all’autopsia numero 6072, Masa Aiko.» appoggiò il registratore il tavolo, tenendo il bisturi con la mano sinistra mentre con la destra si faceva il segno della croce, borbottando qualche parola in una lingua che il collega non comprese. Dopo di che prese un respiro, alzando il bisturi. «Procedo con l’incisione a ipsilon.»

Appoggiò la lama affilata dello strumento sulla spalla della ragazza, ma esitò. Sospirò nuovamente, in modo rumoroso, notando che anche nella morte sembrava pronta a prendersi gioco di lui.

«Vediamo cosa hai da dirmi, Aiko?»

 

Non riuscì a fare niente. Uno degli agenti dell’internato bussò alla porta, dicendogli che il direttore Yoshitoki Washuu lo stava cercando. Venti minuti dopo usciva da quell’ufficio con una sospensione della quale non poteva importargli di meno.  Mezzora dopo era nell’ascensore con Urie e Higemaru.

«Perché ti hanno sospeso?», domandò con tono basso Hige, mentre Urie sembrava troppo chiuso nella sua mente, a doppia mandata, nel tentativo di prepararsi psicologicamente a ciò che sarebbe venuto appena messo piede nella sala del patologo.

Aizawa sbuffò una risata, attendendo a mala pena che le porte dell’ascensore si aprissero per iniziare a camminare veloce per il corridoio. «Il direttore ha detto che mi sospende per mancanza di rispetto verso il classe speciale Arima. In realtà mi ha tolto questo caso perché vuole coprire lo Shinigami di Merda. Ma glielo faccio vedere io. Niente mi impedirà di fare questa stracazzo di autopsia.»

Mai dire mai.

Messo piede nell’obitorio, Aizawa rischiò una crisi di nervi. «Shimura!», urlò con quanto fiato aveva in corpo, guardando il tavolo vuoto e lavato. Così lucido da poterci mangiare sopra, se l’avessero voluto fare. «Perché diavolo hai spostato il corpo?? Lo hai messo in una cella frigorifera?? Ti ho detto che sarei tornato subito!»

Il poverino diventò microscopico, cercando di sparire contro la porta dell’ufficio. «Mi dispiace Ivak», sussurrò a mezza bocca, con gli occhi sgranati dietro alle lenti quadrate degli occhiali da vista. «Non ho potuto impedire loro di farlo.»

«Fare cosa?? E loro chi??»

«Gli affari interni», spiegò, sull’orlo di una crisi di pianto. «Sono arrivati con un mandato firmato dal presidente in persona e hanno preso il corpo. È successo poco dopo che sei uscito e mi hanno fatto largamente intendere che non avrebbero ascoltato una singola parola di ciò che io-»

«Hanno preso tutto? Anche i vestiti?!»

«Sì. Scusami, ti prego perdonami ma io… Sono solo una persona e loro erano così inquietanti. Con i cappotti neri e i cappelli.»

Ivak rimase immobile, realizzando. Poi si lasciò cadere sulla sua sedia, distrutto. Con una mano sul viso, sospirò piano. «Hanno preso anche il sacco dentro cui l’abbiamo trasportata dal piano di sotto fin qui?»

«Lo hanno richiesto. E hanno già smantellato la scena perché ho visto scendere di sotto la ditta di pulizie.»

Ivak si alzò di scatto, dando un calcio così forte alla scrivania da alzarla di una spanna da terra. «Non ci credo! Cazzo! Non abbiamo nemmeno una fottuta goccia di sangue!»

«Ti serve il suo sangue?» A parlare era stato Urie, rivelando che lui e Higemaru erano ancora lì, seppure la sua voce sembrasse arrivare direttamente dalla bocca degli inferi.

«Se avessi almeno un campione di sangue potrei analizzarlo e poi confrontarlo con il referto che quelle enormi palle di merda ci invieranno. Così sapremo da subito se ci stanno mentendo.»

«Allora non ci sono problemi.»

Kuki fece un cenno a Touma, che dalla tasca interna del suo trench prese una busta di carta marrone. La passò al dottore che, utilizzando un guanto, prese fuori dal sacchetto quella che sembrava una camicia nera. Era così impregnata di sangue essiccato da essere rigida. Poi si ricordò esattamente come aveva trovato Urie nel momento in cui era sceso a sua volta nel sotterraneo e si diede dell’idiota. Rimise accuratamente l’indumento nella busta,che chiuse, prima di guardare i due agenti.

«Ora anche noi abbiamo un’arma. Arriverò fino in fondo a questa storia, Kuki, te lo giuro. Fosse l’ultima maledetta cosa che faccio da vivo.»

I due uomini si guardarono negli occhi per qualche breve secondo e in quelli del più giovane, Ivak scorse una vaga parvenza di commozione. La porta che si apriva nuovamente, però, li costrinse a voltarsi.

Sull’uscio c’era Sasaki, che fissava perplesso e vagamente irato Urie. «Tu non dovresti stare qui, non è il momento per dire addio.» Poi gli occhi slittarono su Aizawa. «E lo stesso vale per te.»

«Senti mostriciattolo modificato chirurgicamente, questa è casa mia. Devi usare il tuo lungo e grosso kagune per buttarmi fuori.» Andandogli di fronte, Aizawa lo guardò attentamente. L’altro non si spostò di un singolo centimetro, come se l’intimidazione non fosse stata nemmeno vagamente colta.

«Potrei farlo», gli fece sapere, «Ma ora sono molto più interessato a vedere il corpo.»

Persino Ivak rimase di stucco. «Ma non lo abbiamo noi. Lo hanno preso gli affari interni.»

Sul volto del ghoul lesse la più totale confusione. «No. Non è possibile. Ho disposto io stesso che sia Shimura Korito a fare l’autopsia.»

«Allora abbiamo un bel problema, signor Shinigami Coccoloso. Un bel problema

 

Capitolo ventidue

«Non mi piace né l’ananas né il melone. Mettici qualcosa di rinfrescante, tipo le fragole e il cocco!»

Urie ficcò i due ingredienti nel frullatore, aggiungendo poi un’abbondante dose di latte di riso. Lasciò quindi lavorare l’elettrodomestico, mentre assaggiava l’abbinamento che avevano preparato poco prima, ovvero lamponi, ciliegie e mirtilli, storcendo la bocca per quanto era schifosamente dolce. «No, non ci siamo.»

«Invece questo per ora è il migliore.»

«Ti verrà il diabete entro i venticinque anni.»

Aiko gli fece una pernacchia, prima di appoggiasi al suo busto col capo, chiudendo gli occhi. Nonostante non fosse domenica, avevano qualche ora libera. Entrambi avevano chiuso i loro casi, relegando i rapporti a Higemaru e Hsiao e prendendosi un meritato riposo dopo quasi un mese filato. Agosto era praticamente concluso e  in attesa dell’inizio di settembre, le temperature non parevano aver voglia di abbassarsi.

Per quello avevano deciso di scongiurare l’afa con una colazione a base di frullati di frutta, sperando di trovare una combinazione che potesse piacere ad entrambi. Impossibile. A Urie piacevano i sapori forti, amari. Aiko non beveva nulla che non contenesse un intero sacchetto di zucchero sciolto.

«Dopo voglio provare la papaia e la banana», soppesò il ragazzo, passando una mano fra i capelli di Masa, sempre più lunghetti.

Lei scostò il ciuffo fastidioso dal viso, alzandolo poi per guardarlo. «Che schifo. Io voglio provare lampone, fragola e cacao.»

«….Non commenterò. Ti sei accorta di essere ingrassata, vero?»

A salvare Urie fu solo il campanello che suonava. Masa si alzò guardandolo in cagnesco, facendogli segno che l’avrebbe pagata a caro prezzo entro qualche minuto. Allacciò meglio il kimono che aveva addosso, sotto il quale indossava solo la biancheria, prima di arrivare all’uscio per spalancarlo. Di fronte a lei c’era un ometto che non aveva mai visto prima in vita sua. Lui non si presentò subito. Le gambe nude e lunghe della giovane lo distrassero e lei ebbe il tempo di alzare una mano per salutare Suzuya e Abara che se ne stavano andando dopo aver portato sin lì quell’improbabile avventore. Poi tornò a studiare lo strano giovane. Magrolino, in modo eccessivo, tanto che Aiko si chiese se dovesse offrirgli una bistecca per colazione per farlo rimanere in piedi. Sembrava davverp giovane, ma non era semplice a dirsi, perché era la persona più comune che avesse mai visto in vita sua dopo Take Hirako. Almeno questo sconosciuto aveva un taglio di capelli particolare. Rimaneva comunque così tanto anonimo da non avere nemmeno un odore caratteristico.

«Posso aiutarla?»

Lui si riscosse, avvampando dalla testa ai piedi. «Salve, io sono Nobunaga Jojiro e sto cercando l’investigatore Urie Kuki del ccg.»

Masa si scostò per farlo accomodare, prima di svolazzare in cucina, parlando nell’orecchio al caposquadra. «Dice di voler parlare con te. Un certo Nobunaga

«Chi?»

«A me lo chiedi?»

L’investigatore alzò un sopracciglio, perplesso, prima di togliersi il grembiule a stampa floreale per andare verso l’uomo. Aiko lo seguì con lo sguardo, spegnendo il frullatore e appoggiandosi al ripiano della cucina. Li guardò stringersi le mani e capì che no, Urie non aveva idea di chi diavolo fosse quel ragazzo.

Quando però gli rivelò il motivo della sua visita il giovane ricollegò tutto.

«Sono un collega e amico di Kurhei Shukumei. È scomparsa e ho paura che le sia successo qualcosa. La prego, agente, mi aiuti. Shukumei si fidava di lei.»

 

Mentre si preparavano per uscire e per tutto il viaggio in auto, Urie spiegò a Masa cosa stava succedendo. Lei non vedeva Shukumei dalla serata di gala annuale organizzato dal dipartimento alla fine di luglio e anche allora si erano scambiate ben poche parole. Le aveva dato una mano riguardo ai recenti problemi di Kuki, che faticava a mangiare – quelle pastiglie di ferro ed emoglobina erano una benedizione del cielo- e poi era sparita così come era arrivata. Nel nulla.

Urie invece l’aveva rivista una settimana prima. Era incazzato come una biscia per l’articolo contro la ccg, per il quale aveva ovviamente pagato anche Aiko, ma non si era comunque tirato indietro nell’offrirle una mano. Le aveva lasciato nuovamente il suo biglietto da visita, che lei aveva dato a Nobunaga, il quale era rimasto fermo e zitto sul sedile posteriore fino all’arrivo nell’appartamento che Mei utilizzava come nascondiglio.

«Dovrebbe essere qui, non ha un altro posto dove andare», spiegò sbrigativo il ragazzo, mentre i due agenti tenevano in mano una la sua valigetta di metallo e l’altro la katana nera. «Ho bussato molte volte, ma non ha mai aperto. Non è normale.»

«Che facciamo, sfondiamo?», chiese l’investigatrice, guardando perplessa la porta e constatando però che sembrava parecchio solida. «Tu o io?»

«Tu. Ci sono più possibilità tirando che spingendo.»

Il kagune di Aiko riuscì a penetrare la dura struttura della porta, conficcandosi contro di essa. Tirò poi verso di sé fino a che non l’ebbe completamente sfilata dai cardini. Quando l’ebbe appoggiata contro al muro, un odore sospetto le arrivò diritto al naso. «Lo senti?»

«Sì», Urie le ridiede Inazami, prima di appoggiare la mano destra sull’elsa della sua katana. Si rivolse quindi al giornalista, che fissava sconvolto la donna in loro compagnia. Sapeva che i due erano dei Quinx, ma tra il saperlo e il vederlo, la differenza era moltissima. «Rimanga qui fuori.»

«S-sì», rispose lui, comprensivo, andando a sedersi sui gradini per prendere un po’ di aria. Lasciato il giovane sul giro scale, i due entrarono nell’appartamento con le orecchie ben tese.

«Sento un odore molto forte di decomposizione», lo mise al corrente Aiko, mentre avanzano piano per il piccolo ma labirintico spazio. «E anche altro…»

«Liquido secreto dal kagune», confermò Kuki, vedendola annuire. «Niente di fresco però.»

«No. Qui c’è stato un ghuol. Non serve chiamare la polizia.» Si bloccò al centro di una stanza, puntando la piccola torcia verso un punto sulla moquette sfatta e vecchia. Un’enorme chiazza di sangue la segnava completamente. «Non è un bel segno.»

Urie fissò il pavimento, prima di guardarsi attorno. «No. Però non è questo che puzza così tanto. Controllo il bagno, tu pensa al salotto e alla camera.»

«Roger.»

La prima cosa che Aiko fece fu accendere la luce. Non c’era nessuno lì dentro, se non loro. L’avrebbe percepito attraverso il forte tanfo di morte e l’odore di chiuso. Appoggiò la valigetta a terra, laddove non sarebbe stata un intralcio e proseguì la ricerca. Trovò il liquido del kagune, ormai secco seppur aveva mantenuto almeno in parte la sua struttura gelatinosa. Era schizzato contro una parete, piuttosto in alto, segno che cercavano un kukako o un ukako. Aiko sapeva che Shukumei era  Lisca e che possedeva un kukako, mentre Urie no. Decise di tenere per sé quel segreto, arrivando a dimostrarlo solo con la scienza. Lasciò stare quella traccia, decisa a prelevarne un campione dopo, chinandosi poi sotto a una vetrinetta e trovando la fonte della puzza.

«Cookie», chiamò con tono alto. Lui si affacciò. «Ho trovato un braccio. Chiama Shimura, non posso toccarlo fino a che non c’è il patologo a darmi l’ok.  Però, essendo solo un braccio, probabilmente ci darà il permesso di spostarlo da soli.»

«Fantastico, tanfo di decomposizione in auto.» Lui prese un respiro, appoggiandosi allo stipite della porta, «Pensi sia di Shukumei?»

«Ne sono certa», rispose con tono deciso Aiko. «Riconosco il suo anello.» Si rimise diritta, passandosi un mano sulla fronte, poi guardò nuovamente il ragazzo. «Vai a prendere il mio kit in macchina. Questi reperti vanno fotografati e catalogati, prima di raccoglierli.»

«Tu hai l’abilitazione, puoi farlo.» Quella era una affermazione. Non aggiunse altro, sfrecciando fuori dalla porta, deciso anche a montare la segnaletica gialla e mettere un sigillo alla porta.

Aiko lasciò scivolare gli occhi nella stanza, notando alcune custodie vuote per cassette su una scrivania e tanti cavi su di essa. Qualcuno doveva aver portato via qualcosa, magari un computer. Un registratore, vista la presenza di cassette. Non c’era altro però.

Solo una camicia pulita appoggiata a una sedia e il braccio di Mei. Il resto degli effetti personali delle donna si trovava in camera da letto, stanza che sembrava non presentare alcun segno dello scontro che doveva essere avvenuto fra quelle pareti silenziose.

«Cosa diavolo è successo qui dentro?»

 

 

Urie si sentì un po’ un imbecille a pensarlo, ma Masa con addosso il camice blu scuro del laboratorio tracce e gli occhiali spessi di plexiglass per le analisi chimiche era sexy. Cercò di accantonare quel pensiero poco professionale, spiandola attraverso la parete di vetro, mentre lei armeggiava con fiale di composti chimici e smanettava con lo spettrometro di massa. Dopo circa tre ore di lavoro di analisi, uscì dalla stanza, con addosso di nuovo il trench lungo della ex squadra Hirako che non aveva mai smesso di indossare.

«Dottoressa Abbie Carmicheal, che notizie ha?»

Lei lo guardò compiaciuta, «Iniziamo a parlare la stessa lingua», soppesò, prima di farsi più seria. «Non posso dire che il braccio sia Shukumei Kurhei, però posso dirti che il dna corrisponde a quello dello spazzolino che ho trovato in bagno e anche alle impronte digitali sparse un po’ per tutta la casa. Non ce ne erano di diverse, sembra che non ci sia mai entrato nessuno lì dentro. Ho anche analizzato il liquido del kagune e indovina un po’.»

Urie prese in mano il foglio, proprio mentre entravano in ascensore. Lo lesse tutto, riprendendo a parlare solo quando uscirono verso la sala autopsie. «Lisca?»

Lei annuì. «Stupefacente, non trovi? È passata dall’anonimato all’uccidere. Forse ha ragione Kuramoto, che ha sempre sostenuto che Dente di Fata cacciasse per lei. Anche se non credo che Mei sia vittima di predazione. Dopotutto era una giornalista e mi ha anche chiesto di lui.»

«Ti ha chiesto di Dente di Fata? Aspetta, Mei

Aiko lo guardò impassibile. «Guarda che è un diminutivo di Shukumei. Era anche mia amica e mi ha chiesto lei di chiamarla così.»

Entrando nell’obitorio, trovarono Shimura chino sul braccio. «Notizie?», chiese il caposquadra, ignorando volutamente la macchia nera di odio per il mondo che si spargeva dal punto in cui sedeva Aizawa. Masa, invece, lo salutò con una pacca incoraggiante sulla spalla.

Korito si abbassò la mascherina dal viso, «Una novità che non mi aspettavo.» Fece cenno ai due investigatori di affacciarsi. «Guardate un po’ la ferita. Cosa notate?»

Tutti e due si chinarono sul resto e Aiko rispose per prima. «Linee perfette, nessuna sbavatura. Non c’è rilievo delle creste. Non è stato un kagune.»

«Una quinque», sussurrò Urie, sbalordito.

«L’ho detto io a Shimura», bofonchiò Aizawa, continuando a mangiare i suoi noodles come se niente fosse.

Masa guardò Korito. «Posso usare il tuo pc?» Negli occhi aveva una scintilla di puro genio. Quando Shimura annuì lei si mise a sedere accanto a Ivak, che si scostò per farle spazio. La guardò solo aprire il sistema del dipartimento, prima di tornare a chiudersi in se stesso, evidentemente scoglionato e desideroso di vederli sparire. Voleva il silenzio, nell’ultimo mese s’era fatto davvero intrattabile.

«Perché usare una quinque su una persona?», si chiese Urie.

Shimura alzò le spalle. «Io posso dirti solo che questo braccio è stato tagliato ad una persona viva. Vedi?», gli indicò il bordo. «Abbiamo degli evidenti ematomi perimortem. Il sangue scorreva quando è stato reciso.»

«Abbiamo una persona viva, un kagune morto e un sacco di domande.»

Aizawa si alzò, tenendo in mano il cono pieno di spaghetti di riso e verdure e una forchetta. Aveva fatto l’embargo anche delle bacchette. «Tecnicamente le quinque sono un kagune vivo.»

«Abbiamo anche quello», gli confermò Urie, guadagnandosi un’occhiata perplessa. «Il kagune di-»

«Cookie.»

Il modo in cui Masa lo chiamò era funereo. Tutti e tre gli uomini si voltarono verso di lei. «Ho una corrispondenza certa per il dna del braccio.»

«Hai trovato un modo per dimostrare che è di Shukumei Kurhei

Con un tonfo i noodles caddero a terra. Ivak sgranò gli occhi. «Cosa hai detto?»

«Sì», Aiko si voltò lentamente verso di loro, recitando in modo così impeccabile che si aspettò di vedere entrare Leonardo di Caprio con in mano il suo Oscar, per darlo a lei. «Il dna del liquido secreto dal kagune ha tredici alleli in comune con quello del braccio. Urie, Shukumei era Lisca.»

Successero contemporaneamente tre cose. Shimura si chinò per pulire il casino di Aizawa prima che qualcuno scoprisse che lì dentro ci mangiavano, anche se non si poteva. Urie sgranò così tanto gli occhi che divennero grandi come quelli di Aiko. E Ivak perse totalmente il controllo.

Si buttò praticamente sul computer, controllando la corrispondenza del dna, prima di avanzare verso il tavolo autoptico, iniziando ad analizzare il braccio con cura, passandolo al setaccio. Il tutto in pochi secondi. Poi si rivolse a Urie, con una leggera punta di isteria nella voce che però voleva sembrare controllata. «Voglio il caso.»

L’investigatore lo guardò male. «Scordatelo», soffiò. «Non hai risposto alla chiamata, quindi mettiti il cuore il pace. Il caso è di Shimura

«Per me non ci sono problemi», tentò l’altro coroner, prima di ritrattare all’occhiata omicida del caposquadra dei Quinx. «No, ok. Caso mio. Scusa Aizawa

Aiko intanto aveva ripreso a digitare sulla tastiera, non riuscendo però a non farsi un’idea sulla reazione di Ivak. Un’idea anche molto precisa. «La quinque utilizzata non stata registrata nel  nostro sistema. Strano.» Si alzò, lasciando la postazione informatica. «Quindi teoricamente non l’abbiamo uccisa noi colombe.»

«Ok ricapitoliamo», Urie fece mente locale, parlando ad alta voce per dare una forma ai suoi pensieri, mentre Ivak lo fissava granitico in volto. Sentiva gli occhi dell’investigatrice addosso, ma cercava di non ricambiare. Non voleva che capisse, anche se sapeva che in realtà ci era arrivata. Masa era maledettamente brava a leggere il comportamento delle persone e lui non era molto bravo a dissimulare. Solo Urie poteva ignorare quel modo di fare assurdo. «Shukumei era Lisca. Era nascosta per chissà quale motivo in un appartamento che non era il suo e qualcuno, armato di quinque quindi presumibilmente umano l’ha attaccata e uccisa.»

«Non puoi dirlo», sputò fuori Ivak, mentre cercava di darsi un contegno. Aiko continuava a guardarlo, innervosendolo, ma permettendo anche a lui di farsi un’idea molto precisa di come muoversi. «Un ghoul si rigenera con facilità.»

«Questo è vero», soppesò Masa, annuendo. «Quindi dobbiamo mettere un’allerta di livello quattro. Ghoul ferito e pericoloso. Il punto però rimane solo uno: chi l’ha attacca e perché?»

«Avete trovato qualcosa di utile dentro l’appartamento?», chiese Aizawa, appoggiandosi con la mano al tavolo autoptico. Sembrava tornato in sé, ma tremava. «Qualche… Oggetto, magari. Per esempio, se la ragazza in questione non è schedata, come fate a sapere che è suo il braccio?»

«Andiamo per gradi.»

Urie rispose per lei, avendo analizzato lui stesso gli effetti personali rinvenuti sulla scena. «Custodie vuote per cassette. Di quelle vecchie, da walkie talkie. Vestiti, un paio di parrucche e asciugamani nella camera. Il letto era ancora sfatto, segno che se è successo qualcosa, magari è successo di mattina.»

«O che non era una persona ordinata», fu il commento acido di Ivak. «Poi?»

«Una foto di due ragazzi con scritto dietro ‘estate del 95’ appoggiata al comodino.»

Ivak sbiancò.

Aiko si inserì nella lista. «L’ultimo libro di Takatsuki Sen. Una versione non rilegata, da editoria. Probabilmente doveva recensirlo, era una giornalista.» Dondolò sui talloni. «Per il rispondere all’altra domanda, abbiamo identificato il braccio perché indossava un anello molto particolare che le abbiamo visto al dito diverse volte. Noi la conoscevamo e-»

«Lo posso vedere?»

I due investigatori guardarono Shimura, il quale si sporse verso il tavolo autoptico. Nella parte posteriore, quella dove c’erano appoggiati gli strumenti, c’era anche una bustina trasparente, già etichettata. Ivak la prese in mano, facendo una strana espressione al pensiero che tutto era avvenuto dietro di lui, mentre pranzava. Lentamente, mentre passava gli occhi su quel piccolo gioiello, le sue spalle si abbassarono, i polmoni si svuotarono in un sospiro e gli occhi assunsero una virgola diversa. Rimase zitto e loro, che lo guardavano preoccupati ad eccezione di Aiko, ormai definitivamente consapevole, non poterono far nulla.

Con riluttanza, consegnò la bustina a Urie, che la infilò nella tasca del trench.

«Quindi, come pensate di andare avanti ora?», chiese, ton tono spento, mentre tornava a sedersi.

Urie si preparò a lasciare l’obitorio, ora anche lui preoccupato per le condizioni del dottore. Lo guardò, prima di sospirare. «Ora troviamo ed eliminiamo il ghoul Lisca.» Appoggiò la mano sulla schiena di Aiko, attirando la sua attenzione.  Poi lasciò la stanza, ringraziando Shimura.

Lei rimase ferma ancora un poco, guardando negli occhi chiari Aizawa.

Lui ricambiò lo sguardo con caparbietà, prima di aprire bocca. E facendolo nel modo sbagliato.

«Qualcosa non va, Aogiri

La sensazione che Masa provò fu quella di una coltellata in pieno stomaco. Esternamente non manifestò nulla, ma era convinta di aver perso anche lei un po’ di colore a quella affermazione. Che, ironicamente, era solo un’altra piccola conferma nel mare di rivelazioni che le stava dando con il linguaggio del corpo.

Si sistemò lo scollo del cappotto, prima di freddarlo con uno sguardo. «Troverò l’assassino della tua ragazza», sussurrò, consapevole che Shimura era tornato al suo lavoro e non li stava ascoltando. «Protettore di ghoul…»

Girò sui tacchi, salutando a sua volta Korito. Rimasto solo, su quella sedia, Ivak realizzò che non era mai stato così vicino a morire a sua volta. Si diede una pacca in mezzo alla fronte, si chiamò stupido.

Poi realizzò, guardando quel braccio, che non gli importava poi così tanto della sua vita.

 

Urie si era precipitato da Matsuri per riferire le scoperte recenti e chiedere l’apertura ufficiale dell’istruttoria. Aiko, dopo la frase di Ivak, aveva solo bisogno di un caffè.

Arrivò quasi alla macchinetta, realizzando tutti i doppi sensi delle frecciatine che il dottore le aveva iniziato a lanciare da maggio, quando una furia la prese per il cappotto, all’altezza del petto, e la sbattè con forza contro la parete.

Aiko urtò il muro di nuca e solo dopo aver visto gli uccellini sparire dal cerchio che le si era creato in testa realizzò che ad assalirla era stata Noriko.

«La pazza colpisce ancora!»

«Hai rubato dei documenti, la pazza sei tu!»

La mora sbuffò sonoramente, mentre attorno a loro si radunava qualche collega preoccupato. «Come lo proverai senza telecamere nel tuo ufficio?»

La dottoressa la lasciò andare, disgustata. Poi le puntò un dito sotto al naso. «Un giorno di questi», sibilò, profetica. «La tua fortuna finirà e finirai in galera o in obitorio.» Poi girò i tacchi, scontrandosi con una povera interna che non aveva fatto nulla e facendole cadere una cartella.

Masa la guardò allontanarsi grattandosi la nuca, mentre Take le veniva incontro.

«Buongiorno», le disse Hirako.

«Buongiorno un cazzo», fu la risposta irata che ricevette, prima di vederla sfrecciare via.

La sua giornata era ufficialmente finita.

 

 

Dopo un’oretta di breefing, Urie aveva ottenuto carta bianca per fare quello che voleva col caso Lisca.

Avrebbe lavorato di nuovo in coppia con Masa, visto che l’investigatrice aveva analizzato la scena del crimine e aveva provveduto praticamente a portare avanti le indagini. Matsuri di questo non era entusiasta, ma non poteva negare che in campo criminologico, quella ragazza bisbetica non aveva eguali.

Il caposquadra dei Quinx stava giusto per tornare a casa da solo, visto che Aiko aveva detto che avrebbe fatto spesa e si sarebbe fatta trovare allo chateau, lasciandogli anche la macchina.

Andò nell’ufficio della QS, prendendo la chiave della vettura dal cassetto e stupendosi quando qualcuno bussò. Non era giornata di internato per loro, quindi diede il permesso alla persona che si era palesata di entrare seppur perplesso. Il fatto che poi fosse la psicologa del dipartimento ad attendere alla sua soglia lo stupì ancora di più.

«Posso fare qualcosa per lei, dottoressa Noriko?», chiese, senza sedersi.

Lei gli piazzò in mano una cartella.

«Sì, primo livello Urie», gli rispose spiccia, avviandosi già all’uscita. Sembrava ancora incazzata per lo scontro di quel pomeriggio. «Leggi bene quel fascicolo e vergognati di non avermelo chiesto prima!»

Lui ci rimase di sasso. Rigido, con la schiena che pareva una tavola, abbassò gli occhi sul plico spesso di fogli e constatò che era una cartella clinica.

La aprì e scoprì che era la cartella psicologica di Masa.

Non poteva portarla fuori dal palazzo, quindi prese posto alla scrivania, vagamente preoccupato dalle cose che avrebbe potuto scoprire. C’era qualcosa dentro di lui che gridava di non farlo, che certe cose sarebbe stato meglio non saperle. Si aspettava disturbi di qualche tipo subito dopo l’operazione di sterminio del Gufo della ventesima, magari qualche disagio nel dormire.

Non si aspettava di sicuro le prime venti pagine di psicologia pre puberale in cui c’era, nero su bianco, scritto tutto quello che era successo fra le mura di casa sua da quando Aiko aveva undici anni, fino ai tredici. Più andava avanti a leggere, più raccoglieva informazioni sull’istruttoria che era stata aperta sul fratello, Hiroshi,  per abusi a minore, più gli veniva voglia di chiudere tutto. O vomitare.

Si ritrovò a chiedersi per quale vita l’avesse salvata suo padre.

Passò oltre.

Disturbi alimentari. Il processo che ha spaccato la famiglia.

Sindrome dell’abbandono. Il ritorno di suo padre a Kyoto.

Disturbo da stress post traumatico. La ventesima circoscrizione e quella notte.

Incapacità di contenere gli attacchi di rabbia. Morte del partner Orihara Daisuke.

Disturbo del sonno. Sparizione del fratello Shinichi.

Disturbo da deficit di ansia. Morte del fratello Hiroshi. Uccisione di Osaki.

Disturbo della personalità Borderline.

Certificato di idoneità al progetto Quinx; test psicologico: non superato.

La cartella venne chiusa di botto, mentre uno strano senso di panico nasceva nel petto di Urie. Compose il numero a memoria, senza doverlo cercare il rubrica e attese, con una mano sulla bocca.

-Dica, capo.-

«Aiko, dove sei?»

Dall’altra parte della cornetta ci furono un paio di istanti di silenzio, perplesso.

-Sto andando al supermercato. Mi sono fermata a salutare un’amica, ma tra dieci minuti scendo, compro qualcosa per cena e prendo la metro. Tanto siamo solo noi due, no?-

«Vengo a prenderti. Dimmi solo dove.»

Una risatina che sembrò quasi nervosa gli arrivò alle orecchie, ma  Urie decise che era solo frutto della sua immaginazione. Stava perdendo il senso della realtà, non credeva di essere realmente così preoccupato.

-Allungheresti la via. Vai a casa e preparami un bagno, piuttosto.-

«Sarei più tranquillo se mi dicessi dove posso venire a prendere.»

-Perché, non sei tranquillo ora?- Non sentendo la risposta, Masa sospirò. –Cavolo stai prendendo proprio seriamente la nostra storia di recente, eh? Matsuri ti ha trattato male?-

Kuki strinse la mano sul bracciolo della sedia. «Aiko, per favore.»

-Va bene. Tra mezzora di fronte al centro commerciale, quello vicino alla sede, può andare?-

«Si, può andare», prendendo un lungo respiro, il ragazzo si decise a tranquillizzarsi. «Stai attenta, ok?»

-Prometto che quando passerò di fronte al banco della verdura, starò attenta che delle zucchine non mi attacchino. Tu piuttosto avrai delle spiegazioni da darmi.-

Oh no che non l’avrebbe fatto. Voleva solo vederla e realizzare che quella era sempre la stessa identica persona che lo faceva diventare matto. Ogni singolo giorno.

«A dopo.»

Lei aveva già riattaccato, in realtà. E lui non attese nemmeno un istante. Prese la cartella, deciso a restituirla subito a  Noriko.

Aveva anche un paio di domande da farle, in realtà.

E poi sarebbe andato al parcheggio. Subito.

 

 

«Piede a tavoletta! Piede a tavoletta!»

«…Oggi è il giorno in cui salterà la mia copertura, me lo sento.»

Tatara stava per ucciderle. Entrambe.

«Non capisco perché hai deciso di venire stasera se avevi il tuo capo col fiato sul collo», snocciolò l’albino con il tono leggermente incrinato dall’irritazione, seppure il suo viso si presentasse come di consueto in una granitica maschera di apatia. «Non capisco nemmeno perché Eto è venuta con noi.»

Dal sedile posteriore arrivò una lunghissima protesta. «Smettila di trattarmi come una bambina, signor Tatara. Sono venuta come supporto morale, ovviamente.»

Tatara aveva messo piede nell’appartamento di Eto da meno di un secondo e si era visto attaccato da entrambe, che avevano preteso un passaggio. Un’ora di macchina condensata in meno di venti minuti. Sarebbero arrivate al dottor Huang almeno una decina di multe, le quali sarebbero state pagate da quelle due stupide.

Aiko non parlava, bianca come un cencio e intenta a mordersi l’unghia del pollice, nervosa. Stava per esplodere. Tatara non capiva. «Se il tuo capo dovesse scoprire qualcosa, faremo come in ogni altro caso analogo: lo facciamo sparire»

«Sarebbe troppo strano se un altro mio collega morisse in circostanze strane. Dopo Osaki sono iniziate a girare voci sul mio conto. Quella stupida psicologa avrebbe un altro pretesto per diffondere calunnie sul mio conto»

Eto smise di controllarsi le doppie punte. «Allora a sparire deve essere lei, Ai-Ai

Un lieve sorrisetto increspò le labbra sottili di Masa. Il pensiero di far fuori Noriko era dannatamente allettante. Avevano però tempo per pensarci, magari poteva portare con sé Seidou e lasciarlo divertire un po’ con quell’arpia. Avvistò da lontano il centro commerciale, così si fece passare la spesa – aveva usato delle buste di tela neutre per non farsi beccare- e chiese a Tatara di accostarsi.

«Va bene qui, fammi scendere, Laoshi

« Irresponsabile. Spero che ti investano.»

Precisamente sull’isola spartitraffico, Aiko si sporse per prendere la mano di Eto, ignorando la crudele invocazione dell’albino. «Leggi i fogli che ti ho dato, voglio che tu mi dica cosa ne pensi.»

Il ghoul sventolò il rapporto sulle indagini sulla morte della famiglia di Mutsuki. «Oki doki Ai-Ai! A presto!»

«Laoshi», chiamò quindi in ultimo, che puntò gli occhi chiari coperti dalle lenti azzurre nei suoi. Poi prese un respiro e capì che non poteva ancora dirgli nulla su Mei. Sapeva che lei lo aveva amato molto in passato e che ancora lo amava, ma era totalmente all’oscuro dei sentimenti del maestro su di lei. Se avesse detto lui ciò che aveva trovato forse l’avrebbe fatto infuriare. Forse l’avrebbe ferito. Sicuramente non l’avrebbe lasciata andare via senza i dettagli che poteva fornirgli durante il viaggio. «Non importa. Te ne parlerò la prossima volta. Buona serata.»

Mai fuga fu più veloce. Per poco la investono davvero. Non poteva affrontare anche quello, anche se era andata a casa di Eto principalmente per dirlo a qualcuno. Sperava che la ragazza non l’avrebbe tradita, ma conoscendola non le importava poi un granché dell’intera faccenda. Era sempre Eto, dopotutto. Sembrava sempre al di sopra di tutto ciò che concerneva la sfera dei rapporti interpersonali, degli affetti.

Non era davvero giornata.

Ivak le aveva fatto esplicitamente intendere che sapeva che faceva parte di Aogiri, palesando il fatto che Mei l’aveva tradita rivelandoglielo. Noriko aveva quasi provato a scatenare una nuova rissa. Tatara le avrebbe strappato ogni singolo lembo di pelle per poi ricoprirla di sale marino se non si fosse fatta viva in fretta per dirgli il motivo per il quale l’aveva tenuto sulle spine. Ci mancava solo Matsuri e avrebbe coronato l’intera situazione con una cornice di sterco.

Girò attorno all’enorme stabile, entrando di lato per uscire sul davanti dove la macchina di Urie già la aspettava con il guidatore all’interno.  La giornata finì ufficialmente nel momento in cui appoggiò il culo sul sedile del passeggero. Potevano giusto fare un incidente stradale durante il ritorno. Era l’ultima spiaggia insieme all’eiaculazione precoce, anche se voleva solo mettersi a letto e dormire quindi avrebbe sventato l’eventualità infilandosi in un pigiama antistupro con sopra i Muppets.

«Eccomi!», canticchiò civettuola, appoggiando la borsa sui sedili posteriori e voltandosi a guardarlo. Il sorriso le si gelò sulla faccia quando i suoi occhi cercarono in vano quelli del collega. «Cosa è successo ancora?», guaì, disperata.

Lui non ricambiò lo sguardo. «Oggi è stata una giornata impossibile.»

«A me lo dici, eh?» Urie si mantenne apparentemente normale, ma Aiko capì  che qualcosa non andava. Stava sudando leggermente, aveva allentato il nodo della cravatta e continuava ad evitare con risoluzione il contatto visivo. La mora iniziò a farsi un’idea molto chiara di cosa poteva essere successo e per poco si mise a piangere. «Cosa ti ha detto Aizawa

«….No aspetta, cosa c’entra Aizawa

Il suo stupore fu un chiaro indizio del fatto che il dottore, grazie a Dio, non c’entrava niente. La ragazza riprese a respirare normalmente, sporgendosi a prendere una lattina di lemonsoda dalla borsa, bisognosa di reintegrare gli zuccheri appena persi. «No è solo che oggi è stato strano tutto il giorno e pensavo ti avesse fatto uno dei discorsi catastrofisti dei suoi.»

Lui scosse il capo. «Non mi ha detto niente nessuno. Sono solo molto nervoso per ciò che abbiamo scoperto su Mei

Lei lo guardò attentamente. «Quando menti guardi a sinistra», gli rivelò, prendendo un sorso della bibita leggermente amara che, in fin dei conti, aveva comprato per lui. «Senza contare che mi hai chiamato nel panico più totale. Quindi, quale è il problema?» Lui sembrò restio a dirlo, così lei sospirò rumorosamente, allungando una mano per scostargli i capelli dalla fronte. «Cosa devo fare con te?»

«Ho parlato con Noriko. Di te.»

A quel punto si voltò a guardarla, ma fu lei a scostare gli occhi verso l’esterno del finestrino, sul parcheggio frequentato. Rimase ferma, con la mano ancora alzata, prima di ritrarla in fretta, come se si fosse ustionata. Rimase ferma, a boccheggiare, ritirandosi su se stessa come se fosse stata lei ad esporsi troppo.

Valutò che l’omicidio di Noriko era un’ottima idea e che avrebbe portato avanti il progetto.

Valutò anche che non voleva sapere quanto l’altro avesse scoperto. Lui non sembrava intenzionato a dirglielo. Urie si appoggiò con il capo al sedile, sfinito. «Sto pensato che potremmo passare dall’ospedale prima di tornare a casa. Passiamo a trovare la sorella di Shirazu e poi torniamo, tanto siamo soli a cena.»

E Aiko capì. Si era sempre chiesta come Urie andasse avanti certe volte, come affrontasse determinate situazioni riuscendo a rimanere sempre freddo e razionale. Ora lo sapeva.

Non le affrontava.

Scansava gli ostacoli, li accantonava e fingeva che non esistessero. Se una cosa rischiava di scioccarlo, allora non la considerava più.

Le andava bene, c’erano cose che non avrebbe mai e poi mai potuto discutere né con lui né con nessun altro. Solo Eto poteva capirla davvero su quel fronte, perché erano simili. Urie non avrebbe mai capito e avrebbe iniziato a vederla come una vittima, facendone risentire tutta la loro relazione, sia personale che lavorativa.

Così gli sorrise, seppur pallidamente, appoggiando una mano sulla sua coscia. «Sì, va bene. Volevo comunque passare in settimana.»

Lui, senza esitare, le strinse la mano. «Allora andiamo», disse, chiudendo così definitivamente il discorso.

 

….Aiko contemplò il fatto che forse, se avesse scoperto di Aogiri, sarebbe stato meno umiliante per lei.

Lo rimangiò in fretta, perché se Urie in quel momento stava provando dispiacere, forse dolore o pena per lei, il sentimento che l’avrebbe smosso scoprendo del grande tradimento, sarebbe stato infinitamente peggiore.

L’avrebbe odiata.

E per lei sarebbe stato peggio sentirsi compatita, perché l’avrebbe perso.

 

Non poteva permetterselo.

 

Continua….

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Il caso Lisca - 2 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quarta: Il caso Lisca.

 

 

Luci abbaglianti, tubi, ventose e aghi.

Si sentiva una rana pronta per essere dissezionata.

Cercava inutilmente di reggere il lenzuolo che le copriva il petto, mentre attorno a lei i borbottii si facevano sempre più coincitati. Le doleva ogni singola parte del corpo, a iniziare dalle braccia, fino al ventre. Si sentiva un porta spilli di carne viva, una bestia strana ed esotica da studiare. Un nervo scoperto ripetutamente stimolato.

«Credevo che quella dell’altra volta sarebbe stata l’ultima seduta. Perché sta succedendo di nuovo?»

Tatara spostò lo sguardo dalle lastre appese alla lavagna luminosa al viso della giovane. Una lacrima le  solcava la tempia, mentre tremava per il dolore. Quando gli occhi rossi scivolarono verso il ventre tenuto aperto da un divaricatore anatomico, si ritrovò a realizzare Aiko stava vivendo l’intera situazione come una tortura. E che forse gli importava.

«Non lamentarti. Sono stato io a somministrarti la anestesia locale.»

«Ha terminato il suo effetto da quelle che mi sembrano ore.»

Il metabolismo dei ghoul era molto più veloce di quello umano e anche quello dei Quinx doveva essere simile. Tatara smise però di prestarle attenzione, arguendola con non curanza. «Sopportalo. Sii più forte del dolore stesso.»

«Povera Aiko-chan. Oggi ci sto mettendo più tempo del solito, ma non faccio altro che distrarmi!»

L’albino assottigliò lo sguardo. «Sta facendo perdere tempo a tutti con questo atteggiamento, dottor Kanou.»

Il dottore rise, scuotendo il capo giulivo. «Chiedo scusa. Mi rimetto subito all’opera allora.» Quindi prese in mano la sega chirurgica. Aiko prese dei lunghi respiri, rabbrividendo nel sentire l’attrezzo accendersi. Un dolore cieco la scosse, mentre sentiva Kanou smussare le sue vertebre. Si morse il labbro fino a farlo sanguinare e quando non riuscì più a resistere lasciò cadere quel lenzuolo, incurante del pudore. Allungò la mano e strinse con forza la manica di Tatara, cercando di inarcare la schiena e sottrarsi, ma le cinghie di cuoio che la tenevano inchiodata a quel letto glielo impedirono.

I minuti che passarono le parvero anni, fino a che, di punto in bianco, l’albino parlò di nuovo. «Basta così.»

Kanou smise di affettarla con un bisturi, alzando gli occhi sul generale di Aogiri. «Purtroppo temo di dover necessariamente smettere in ogni caso. Non posso rimuovere la gabbia in nessun modo, per quanto ci abbia provato. Senza contare che ho qualche idea di cosa succederebbe se la rompessi e liberassi il kakuho. Tutte queste teorie però hanno un brutto epilogo.»

Aiko respirò affannosamente, alzando il capo per spiare il ventre, prima di ributtarlo giù, sul cuscino. Si rese conto che stava tenendo la mano di Tatara, così la sfilò velocemente, guardando il maestro. Questi si voltò, afferrando da un carrello una siringa. «Dottore, è questa?»

Kanou allungò il collo, prima di rimuovere il divaricatore. «Sì, esatto. Con quella l’apporto di cellule rc verrà prodotto il doppio più rapidamente. Così si rigenereranno le ossa e gli intestini, visto che gli altri li ho buttati.» Il ghoul bianco fu abile a trovare una vena nel braccio. Fece l’iniezione, mentre il dottore ancora osservava l’interno del ventre della ragazza, ammaliato. «Tutto questo è così affascinante. È un peccato che io non possa smontarti, cara.»

«No, non può.»

La voce di Tatara uscì particolarmente minacciosa in quel frangente. Così tanto che Kanou non replicò oltre, ringraziando Aiko per il sui ‘tempo’, prima di uscire, con tante foto da analizzare e qualche campione anatomico prelevato tramite biopsia. Poteva dirsi soddisfatto. Masa lasciò che Tatara la liberasse, prima di alzarsi seduta. Allungò una mano verso il basso, sentendo il buco con le dita e sfiorando la gabbia metallica in acciaio quinque con la punta del polpastrello. Poi la ritirò immediatamente, tenendo gli occhi sgranati sul lettino.

«Sarebbe tutto più semplice se uno dei tuoi nuovi amici morisse.»

Aiko non rispose a quella frase forte. Tenne il capo abbassato e le braccia strette attorno al petto nudo, chiudendosi su se stessa. Poi, con voce piccola, fece una semplice richiesta al maestro. «Puoi lasciarmi sola, per favore?»

Tatara annuì, buttandole addosso il lenzuolo. Esso le ricadde sulle spalle e sul capo, nascondendola solo parzialmente alla vista. Attraversò la stanza silenzioso e, arrivato alla porta, la chiamò. «Mèi-mèi», sussurrò, con tono basso e quasi carezzevole, facendole alzare lo sguardo. Aveva gli occhi distrutti. «Hai tempo mezzora. Poi ti aspetto per allenarci con il Dao

«Va bene, Laoshi

Non era sicura che sarebbe riuscita a continuare a flettersi a quel modo senza spezzarsi, ma non aveva scelta. Kanou voleva delle cavie e lei era lì, per regalare a Eto quell’esercito che tanto desiderava. Doveva fare la sua parte, lo diceva sempre Tatara. Perché Aogiri è sacrificio totale, non c’è posto per gli egoisti, qui.

Eppure lei, che egoista non lo era mai stata, desiderò diventarlo.

Un’ombra nera e veloce scivolò nella stanza attraverso la porta lasciata socchiusa. Fu impossibile per la giovane accorgersi della sua presenza fino a che non la raggiunse sul lettino operatorio con un balzo.

«Seidou…»

Il ghoul studiò il suo viso segnato dalle lacrime, prima di sospirare. Si abbassò il cappuccio, liberando la chioma candida, prima di iniziare a frugare dentro al suo mantello, tenendo lo sguardo ben piantato sulla voragine che le deturpava il tronco. Le porse un sacchettino che odorava di sangue, «Mangia, guarirai prima.»

Lei lo prese con mani tremanti, prima di buttarsi contro di lui, stringendosi al suo collo come se rischiasse di affogare. Sentì la mano di Takizawa appoggiarsi alle sue reni, mentre le labbra tinte di nero si accostarono al suo orecchio.

«Va tutto bene», dichiarò, sprezzante, con una leggera nota di cieca follia nella voce. «Li ucciderò tutti. Li ucciderò tutti e lo farò presto.»

E l’avrebbe fatto, oh eccome se lo avrebbe fatto.

 

Capitolo ventitré

«Take! Take! Ei!»

Aiko si era letteralmente buttata dalle scale, appoggiando le mani sulla ringhiera come una ginnasta per scendere al piano di sotto e cercare di raggiungere l’ex caposquadra. Questi era chiuso in un’accesa discussione sottovoce con Arima, ma si bloccò in mezzo al corridoio quando la sentì chiamarlo. Il risultato fu che Masa, che lo stava rincorrendo, si schiantò contro la sua schiena, facendo un fracasso del demonio.

Hirako non si smosse e nemmeno Arima al suo fianco. Si voltò semplicemente nella sua direzione, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi, visto che era volata con il sedere per terra. «Buongiorno.»

«Buongiorno ad entrambi», salutò lei, sistemandosi la camicetta. Poi si rivolse a Take, «Hai un minuto? Volevo parlarti di una cosa.»

Questi guardò Arima, che guardò Aiko, che continuò a fissare in attesa Hirako. Lo Shinigami fece un semplice cenno, rubando tutti i fogli che il collega reggeva in mano, «Fai con comodo. Ciao Aiko.»

«Ciao, classe speciale.» Masa alzò una mano, guardando Arima defilarsi piuttosto in fretta, prima di appoggiare entrambe le mani sui fianchi. Tornò a rivolgersi a Take, prendendolo poi per un polso per tirarlo da parte e permettere così ad un paio di colleghi di passare. «Che dici, ci spostiamo da in mezzo al corridoio? Ti offro in caffè.»

Accettò, ma finì comunque per essere lui a pagare il caffè  per entrambi. Come sempre. Lei si lamentò, cercando di impedirglielo e regalando una scenetta iconica agli avventori della sala relax, che poterono godere della vista di una ragazza di cinquanta chili che provava a spostare fallendo un uomo molto più veloce di lei a scansarsi. Un essere umano normale contro un Quinx.

Il Quinx perse.

«Di cosa volevi parlarmi?»

Seduta sul divanetto di fronte a quello del rosso, Aiko abbassò gli occhi sul caffè. «Volevo scusarmi per ieri. Ti ho risposto davvero male, più del solito almeno.» Abbozzò un sorriso, guardandolo di nuovo prima di riprendere. «Penso sia stata la giornata peggiore nell’ultimo anno, tolto ovviamente il casino del Lunar Eclipse. Non mi sembrava che nulla sarebbe andato per il verso giusto.»

«Non sono arrabbiato con te», le disse, con tono pacato, portando il bicchiere di carta alle labbra. «So che conoscevi il ghoul della tua indagine.» Lei si chiese chi potesse averglielo detto, ma Take glielo rivelò subito. «Shimura

«Ah. Pensavo Aizawa

«Aizawa mi ha tolto il saluto, non so perché.» La ragazza ridacchiò, prima di bere il suo caffè. Lui si sporse in avanti. «Vuoi parlarne, comunque?», domandò, «Della giornata di ieri, intendo.»

«Diciamo solo che è stata lunga e sofferta. Non ho molto di cui lamentarmi in realtà, ma sai quando sei così stanco che ti basta una minima provocazione per sentire i nervi stridere?»

«Pensavo che per te fosse così ogni giorno.»

Aiko alzò le sopracciglia, «Mi stai prendendo in giro?»

Hirako si alzò in piedi, «Io? Mai. » Buttò il bicchierino in un cestino. «Se hai bisogno di me sai dove trovarmi. Ora devo tornare al lavoro.»

«Buona giornata, Tappetino di Arima-san.» Lo salutò con la manina e un sorrisetto divertito, realizzando che si sentiva molto, molto meglio. Più leggera. Buttò a sua volta il bicchierino, facendo canestro senza alzarsi dal divano. Poi si allungò con le gambe, appoggiando le mani sul ventre.

«Oi Masa!»

Aprì un occhio solo. «Ciao, Komoto

Il tecnico si mise a sedere di fronte a lei, sorridendo allegro. «Come stai?», le domandò gentile, prendendo da una busta sterile un paio di bicchierini di carta. Li passò in rassegna attentamente, controllando che non fossero sporchi. Poi li riempì  usando il suo bellissimo termos da scuola elementare e gliene porse uno.

Masa si appuntò mentalmente di non berne altri nel corso della giornata o non avrebbe dormito per la seconda notte di fila. Quella appena trascorsa l’aveva passata abbracciata così stretta a Urie da non riuscire a prendere sonno, ma incapace di allentare la presa. «Sono stanca morta. Tu?»

«Alla grande. Ho comprato un bellissimo pesce combattente. È viola e blu scuro, assomiglia al tuo kagune.» Con entusiasmo, iniziò a descrivergli attentamente il nuovo acquisto e il bellissimo acquario che aveva tutto per sé, nel quale aveva anche installato un sistema di piante acquatiche davvero molto belle. Poi fece un’osservazione. «Sei stata in ferie a giugno, no? Come fai ad essere già così stanca?»

«Il lavoro dell’agente è opprimente», rispose, sorseggiando soddisfatta il caffè, di una qualità cento volte migliore di quella solubile della macchinetta. «Ogni tanto si entra in contatto con realtà che avremmo preferito evitare.»

Lui annuì, con la faccia di qualcuno che non ha assolutamente idea di cosa il suo interlocutore stia dicendo, ma che comunque ne rispettava il punto di vista. A prescindere. «Parlami un po’ delle tue vacanze, piuttosto.» Si sistemò sul divanetto, attento a non appoggiarci sopra le mani per non dover correre al riparo con il disinfettante in gel. «So che sei stata a Okinawa. Hai fatto vita da spiaggia? Mi piacerebbe molto farmi un viaggio del genere, ma il pensiero di un gruppo di persone mezze nude che condividono un pezzo di spiaggia, pestando la stessa sabbia, fumandoci e mangiandoci sopra per poi buttarsi in un mare inquinato dalle scorie di Fukushima, mi fa rabbrividire.»

Masa ridacchiò sotto ai baffi. «A me piace molto invece. Il mio sogno è vivere in un posto del genere. Adoro il mare.»

«Scommetto che metà di questo dipartimento sogna di viverci con te», la colse di sorpresa Komoto, arrivando quasi ad ammiccare.

«Cosa intendi, Sheldon Cooper?», gli chiese, facendolo ridere.

«Mi riferisco alla foto che Urie Kuki ha postato su instagram mentre eravate ancora ad Okinawa. Quella di te, che esci dalle onde dell’oceano radioattivo come la Venere del Botticelli, ma senza la conchiglia, con addosso un succinto costumino bianco.» Chiuse gli occhi, riportando alla mente tutti i dettagli in modo davvero inquietante. «La mano fra i capelli corti lucidi perché bagnati, il volto leggermente chino e un bel sorriso. Anche se io preferisco ricordarmi del vecchio in sfondo. Scusami, ma la sua espressione mentre guardava il tuo lato b è impagabile. Credo sia morto di infarto subito dopo.»

«Stai svilendo una bellissima foto.»

«Ha avuto più di cinquecento like non per quello e lo sai benissimo. Sono cinquecento applausi alle tue gambe. Urie non ha mai avuto così tanta visibilità all’account in tutta la sua vita e non credo ne avrà mai più.» Fece una pausa, concedendosi di ridere con la mora. «Nemmeno se si facesse un selfie con la testa del Re col Sekigan in mano. Solo una cosa fa girare il mondo, anche se ammetto di saperne poco.»

Aiko scosse il capo, divertita. «Sei ancora in tempo per perdere la tua verginità. Hai la mia età, non farmi sentire vecchia.» Finì il suo caffè, ripensando alla foto, al fatto che Urie l’avesse definita la sua ‘collega’ sotto di essa e a tutte le risate che si erano fatti notando l’aumentare dei like. Fino a che Urie non aveva smesso di ridere, soprattutto  visti i commenti dei loro amici. Kuramoto si era divertito davvero un sacco a prenderlo in giro.

«Ci proverò. Ma il pensiero di entrare in contatto con il liquido secreto dall’apparato genitale femminile mi fa un po’ rabbrividire.»

«Prova con l’apparato genitale maschile, allora.»

Lui la guardò con disgusto. «Ancora peggio.»

«Masa!»

E così arrivo anche Aizawa.

«Alzati, ti porto al :RE a bere un caffè. Urie ha detto che intanto ora non gli servi.»

Lei lo guardò sorpresa. «Ma ne ho già bevuti due.»

«Allora ti prenderai una spremuta. Avanti, muoviti.»

 

Aiko non aveva avuto molta scelta se non alzarsi, scusarsi con Komoto per quella fuga inaspettata e andare dietro al patologo, che pareva più fuori di testa del solito. Lo seguì in macchina e una volta lì, il biondo alzò il volume della radio, settata su una frequenza che mandava musica country, per non parlare.

E non parlarono fino all’arrivo. Una volta fermi nel parcheggio di fronte allo stabile che ospitava il bar di Kirishima, Aizawa tolse le chiavi dal cruscotto e la radio venne messa a tacere. Si voltò verso Aiko, guardandola serio come mai in vita sua.

«Se oggi non tornerò in laboratorio entro le cinque, una email che ho programmato verrà inviata sulla casella di posta di Urie Kuki. Al suo interno ho raccolto tutte le prove che servono per fargli sapere chi sei veramente, Labbra Cucite

Lei lo guardò, assottigliando gli occhi. «Mi stai minacciando?»

«Sto solo dicendo che ti conviene pensarci molto bene, prima di ammazzarmi.»

Aiko slacciò la cintura, guardandolo ancor più male. «Andiamo. Devi offrirmi qualcosa di molto più forte di un caffè per sopportare la conversazione.»

Lui annuì con un cenno secco, prima di smontare dalla vettura nello stesso momento in cui lo fece anche la mora. Nel bar lei si comportò normalmente, salutando Touka e Nishiki, prima di prendere posto in un tavolino distante dagli altri occupati, di lato rispetto all’ingresso. Lui la seguì, chiedendo a Touka due bicchierini del suo liquore più forte e una fetta di torta alle fragole.

«Lascia la bottiglia», disse poi alla cameriera, con la voce da cowboy e imitando anche il gesto di sistemarsi un cappello immaginario. Kirishima eseguì, sorridente come sempre, lasciandoli sul tavolo, non chiedendo nemmeno se stessero bene. Dopotutto stavano iniziando a bere molto presto. Quando Aizawa prese in mano una delle fragole, lucida a causa della gelatina di frutta, la sovrappose al viso di Masa, di fronte al suo occhio. «Sei un’attrice davvero formidabile, i miei complimenti.»

«Arriviamo al punto. Cosa vuoi sapere da Aogiri?»

Il dottore si sporse in avanti, sul tavolo, guardando gli occhi da gatta di Aiko. In quel momento però era all’erta e lo fissava come una pantera pronta a compiere il balzo per divorarlo. Si ritrovò un po’ eccitato all’idea che quella sarebbe davvero potuta essere la sua ultima conversazione con qualcuno. Nella sua testa, Masa non poteva davvero amare Urie e poi servire l’assassino di suo padre senza nemmeno fare una piega. Anzi, agendo in modo così magistralmente compiaciuto.

«Prima ti dico quello che so, così potrai dirmi o meno se sono cazzate.»

Lei fece un cenno con mento. «Prego, a te il microfono.»

«Sei sulla difensiva? Mi piace. Vuol dire che mi ritieni una minaccia.» Masticò velocemente la fragola, storcendo il naso con espressione disgustata, poi iniziò. «Tutto ha preso una brutta piega quando Mei ha trovato il Ragno.» Fece già una pausa, guardando il viso di Aiko. «Un tuo amico anche lui?»

«Mai sentito nominare. Dimmi di più.»

Il patologo decise di crederle. «Questo simpatico aracnide fa parte dell’organizzazione degli uomini col cappello. Mei non mi ha mai voluto parlare molto di loro, sicuramente per proteggermi o proteggere se stessa. Magari entrambe le cose, chi lo sa cosa cazzo le passasse per la testa. Al massimo si è sbottonata sul fatto che questa organizzazione è composta non solo da ghoul amanti dei copri capi, ma anche da esseri umani. Quando è riuscita a parlare con lui, tutto  andato al diavolo. Si è messa in testa strane cose, blaterava riguardo al fatto che si era fatta un’idea totalmente sbagliata dell’organizzazione e doveva saperne di più. Così ha iniziato a parlare del Gufo col Sekigan, Yoshimura.» Aiko cercò di rimanere impassibile, ma lui notò un piccolo movimento delle labbra. Avevano avuto un tremito. «Non ho idea di come tu ti sia ficcata in questo casino, ma Mei ha insistito per infilarcisi a sua volta. Mi ha detto che un sottoposto del Gufo l’avrebbe condotta da lui e dopo qualche ora è tornata da me e sai cosa mi ha detto? Masa Aiko è Labbra Cucite. Ecco come so tutto.»

«Lo avrà detto, di nuovo, per proteggerti.»

«O per darmi un’arma contro di te. Dio solo sa cosa hai in mente, Aiko.»

La mora svuotò il primo bicchierino. Lui la imitò, per poi versare di nuovo sotto al suo sguardo attento. Masa incrociò le mani sotto al mento. Non avrebbe risposto a quella domanda indiretta. «Va’ avanti.»

«Non so cosa il Gufo abbia detto alla mia ragazza, ma lei è andata ancor più fuori di testa. Mi ha lasciato.» Fece una pausa, prendendo un respiro per riempire i polmoni. «Sembrava insicura su tutto, smarrita. Spaventata. Su una cosa però era molto sicura: mi ha detto che era convinta che sarebbe morta di lì a poco. E che succede? Viene trovato il suo braccio, reciso da una quinque. Chi indaga sul caso? Tu.» La guardò e Masa pensò che se avesse potuto, se avesse avuto conferma dei suoi dubbi, avrebbe provato ad ucciderla a mani nude. Kagune o meno. «Quindi, tirando le somme, ecco cosa penso sia successo: sapeva la tua identità e Aogiri la voleva morta. Per questo l’avete lasciata andare, per farla soffrire un po’, prima di toglierla di mezzo. Ho ragione?»

«Sei così tanto fuori strada da non vedere nemmeno lontanamente la realtà.» Masa si appoggiò al tavolo con il gomito, portando la tempia contro il polso. «Non sai praticamente nulla, dico bene? Non ti ha detto nulla degli uomini col cappello, né di Aogiri. Non sai nemmeno chi è il Gufo. Tu non sei arrabbiato perché pensi che io abbia ucciso Mei. Tu sei furioso perché lei non ti ha mai detto nulla. Sei un bluff vivente.»

Lui abbozzò un sorrisetto amaro, svuotando un altro bicchierino. «Hai ragione, mi fa incazzare tutto questo mistero, anche se è per il mio bene.» Si passò la mano sul viso, sentendosi stanco di tutte quelle macchinazioni, di donne manipolatrici e segreti. «Se sono fuori strada, allora, aiutami a ritrovare il sentiero. Avanti, Labbra Cucite, sono tutto orecchi.»

«Tanto per iniziare, Aogiri non ha interesse nella sua morte. Anzi, ha suscitato una simpatia nel Gufo col Sekigan.» Ivak non le credette, così Masa gli diede qualche altra informazioni. «Diciamo solo che hanno una storia in comune e quindi quando è uscita dal covo nel quale l’ho accompagnata, Mei lo ha fatto in totale libertà. Sono state le informazioni che però ha preteso di sapere che l’hanno portata al martirio, non chi le ha date.»

«Quindi Aogiri non ha ucciso o attaccato Mei

«No, non lo ha fatto.» Aiko soppesò l’eventualità di metterlo al corrente anche dell’altra organizzazione. Poi decise che sì, valeva la pena rischiare. Abbassò tantissimo la voce, così tanto che praticamente prese a parlargli nell’orecchio. «Gli uomini col cappello si fanno chiamare V. e sono molto più pericolosi di quanto lo siamo mai stati noi. È un’organizzazione molto longeva. Non so molto di loro, quasi nulla, però posso dirti ciò che ho colto dalle conversazioni fra il Gufo e Tatara: il loro compito è quello di creare ibridi tra umani e ghoul che possano primeggiare su entrambe le razze. Non solo. Controllano che i ghoul non alzino troppo la cresta, facendo fuori coloro che esagerano con le predazioni, per far mantenere alla specie un profilo il più basso possibile. Essi sono intrecciati con il ccg in modo totalitario, sotto le direttive della famiglia Washuu. Per questo non te ne ha mai parlato, per non metterti in pericolo.»

Aizawa inorridì. «I Washuu», sussurrò, senza fiato.

«Tragicomico che dietro ai ghoul ci siano le colombe, non credi? Il nostro mondo è questo: una ruota di corruzione che gira su se stessa.»

Gli permise di entrare in contatto con quella traumatica realtà, così surreale da sembrare credibile. Quando Ivak annuì lentamente, aveva una sola domanda. «Se tutto quello che mi stai dicendo è vero, allora chi ha ucciso Mei

«L’hanno uccisa loro.» Lapidaria, Masa non aveva dubbi. «Mei mi ha confidato che quel giorno, qui al :RE, stavano attaccando lei. Non Kikyo, non me. Lei. È nei loro obiettivi da tanto, troppo tempo e ora sono arrivati a trovarla. Non ho la minima idea di chi le abbiano mandato contro, ma una cosa è certa: è più probabile che sia morta che in fuga.»

«Non possiamo dirlo con certezza.»

«No, non possiamo. Ma Ivak», portò una mano sul suo avambraccio. «Sono persone pericolose.»

«Se anche Aogiri li teme, allora sì, lo sono.»

Aizawa aveva molte cose su cui rimuginare e la mora lo capiva. Mangiò metà della sua torta perché lui lo stava facendo a forza e ricordò che Mei ne prendeva sempre una fetta. Un’abitudine, sicuramente erano stati in quello stesso luogo per molte volte, insieme.

Rimasero zitti per più di cinque minuti, entrambi con i loro pensieri per la testa. Poi il biondo aprì di nuovo bocca. «Tu lo ami? Urie intendo. Perché io voglio credere che Mei mi amasse davvero, anche se aveva un obiettivo. E tu sei uguale. Hai un obiettivo, anche se non so quale.»

Masa lo guardò e a lui sembrò così triste da spezzargli il cuore. Arrivò addirittura a dispiacersi per lei, per quanto fosse molto complesso per lui empatizzare. Perché la sera che Mei aveva scoperto della donna seduta di fronte a lui, la sua vita era andata in pezzi ed era rimasto solo.

«Il mio obiettivo è sempre stato quello di non morire, né fare morire le persone a cui voglio bene.» Aiko parlava dimessa, spezzata. «Sapevo molto bene di essere debole. Non potevo difendere nessuno, né salvare me stessa. Dovevo quindi diventare forte per poterlo fare, perché non volevo perdere i pochi che mi fanno sentire ancora viva. Ironicamente, negli anni, fra queste persone se ne sono aggiunte molte altre. Sono ghoul. E io voglio molto bene loro, anche se fanno cose terribili. Così ho iniziato a vedere le cose in prospettiva: possiamo condannare il prodotto della natura? Loro devono mangiare carne umana per vivere, non perché vogliono o meno. È solo un mero caso nascere esseri umani. Così ho finito per cadere nel paradosso e assecondare i miei aguzzini fino in fondo, spontaneamente. Ho abbracciato la causa di Aogiri.»

«Il mondo ai ghoul?»

«Il mondo ai forti.»

Lui non capì. «I forti che schiacciano i deboli non sono meglio dei ghoul che uccidono le persone.»

«Ma come essi sono natura. Il più adatto si evolve e sopravvive. Senza contare che il vero progetto di Aogiri è distruggere la nostra realtà minandone le fondamenta. Radere al suolo il nostro mondo per poi ricostruirlo in modo che non ci siano più dislivelli di giustizia. In modo tale che anche i ghoul possano vivere una vita piena.»

Il dottore sospirò piano. «Credo che sia questione di opinioni. Io penso sia aberrante tradire così i propri ideali. Perché è questo che fai ora che sei forte, vero?»

«Da Aogiri non si esce vivi, nemmeno volendolo ora potrei voltare pagina. Però hai ragione. Ora faccio questo», nella sua voce si avvertì una nota sprezzate. «Potevo uccidermi, così da impedire al Gufo di fare del male ai miei cari, e non pensare che non ci abbia provato. Ma non ho avuto possibilità di fuga e ho deciso di lottare. Ho deciso di capire. E non chiederò scusa per questo. Io darei la mia vita per tenere al sicuro tutti voi.»

Ivak si sentì strano nell’essere inserito nel discorso della ragazza, ma dubitava che sarebbe morta per lui. In ogni caso, prese un altro bicchiere, invitando la mora a bere a sua volta. «Allora, lo ami o no? Non evitare la domanda.»

Lei bevve, poi chiese subito un altro giro di liquore. «Evito la risposta perché se ora ammettessi che lo amo, mi sentirei così tanto in colpa che temo non riuscirei a guardarlo in viso. Sai la sua storia e cosa il Gufo gli ha fatto.»

Aizawa annuì lentamente, sospirando così forte da sgonfiarsi come un palloncino mentre si accasciava sulla sedia. «Anche lui ti ama, povero biscotto. Quando si scoprirà tutto – perché lo sai benissimo anche tu che si verrà a sapere in un modo o nell’altro- ne uscirà distrutto.»

«Saremo in due, temo. Spero solo di essere morta per allora.»

Ivak sospirò. «Egoista.»

«Al contrario. Se non sarò morta io lo sarà lui, perché se esce fuori chi sono, allora avrò fallito. In quel caso Tatara, non avrà pietà.» Aiko chiuse la bottiglia, segnando che la loro conversazione aveva raggiunto un punto morto e lui fu d’accordo con lei per la prima volta da quando si erano seduti. «Non parlare a nessuno degli argomenti toccati oggi.»

«Non ti denuncerò, se hai paura di questo. Non è carità, solo mi dispiace davvero tanto per Urie e magari puoi essermi utile in futuro.» La guardò, facendole un cenno. «Il più forte sopravvive, no? Io dico il più furbo.»

«Vero anche questo.» Terminando la torta, Aiko si appoggiò allo schienale. La testa le girava appena, quel liquore era davvero forte. Ironicamente, era anche alle fragole. Schioccò la lingua contro al palato. «Quindi mi hai portato qui per ubriacarci alle dieci e mezzo del mattino?»

«No, sei tu che hai deciso di ordinare qualcosa di forte.»

«Giusto, mi hai portato qui perché pensavi che avessi ucciso Mei

Il dottore annuì lentamente. «Puoi biasimarmi? Una quinque ha reciso il suo braccio.»

La mora alzò le spalle. «Io avrei chiesto a un mio sottoposto di farlo. Per non compromettermi. Anche se ci sono ghoul che usano quinque. Molte sono rubate alle colombe uccise, altre comprate sul deepweb. Arima lavorava a un caso di contrabbando anni fa, magari potremmo chiedergli qualcosa. Alla fine, tutte le quinque lasciano segni distintivi e-»

Masa si interruppe di botto, gli occhi fissi sul muro.

Ivak la guardò in attesa. «Ti si è inceppato il disco rigido?»

«Siamo degli stupidi Aizawa.» Si fece più vicina, cospiratoria. «Se V. è nel seno del ccg, allora alcuni agenti ne faranno parte, non credi?»

Il biondo la guardò perplesso. «Può darsi, quindi?»

«Quindi le loro quinque non saranno nel sistema. Non le hanno registrate proprio per casi come questo.» Gli occhi del medico presero a brillare, consapevoli. «Ma noi abbiamo un modo per confrontare le quinque con la ferita sul braccio senza usare il database.»

«…Usando le foto dei singoli casi.»

«Usando le foto dei singoli casi.»

«Voi due.» Kirishima li fece sobbalzare entrambi. Ottenne la loro attenzione, con uno sguardo piuttosto severo in viso. «Aogiri, ccg, casi, indagini…. Mi state spaventando tutti i clienti. Potete continuare questo discorso fuori?»

«Scusa, Touka.» Masa prese il portafogli, ma la cameriera la fermò.

«Offro io, ma ora andare. Ok?»

Si alzarono insieme e sempre insieme barcollarono. Masa doveva farsi un esame di coscienza, per quanto stava bevendo in quel periodo. Si scusarono con la cameriera, notando un paio di tavoli occupati da ghuol che li seguivano con gli occhi mentre uscivano, spaventati e all’erta.

«Abbiamo alzato la voce, eh?»

«A quanto pare. Fortunatamente non sulla parte più brutta del discorso.» Arrivarono alla macchina, ma non misero in moto. Si diedero il tempo di riprendersi dalla bevuta, tenendo i finestrini belli aperti. «Ok, sentimi bene, Aizawa. Torna all’obitorio e fai un backup del server. Così avremo tutte le foto di tutti i casi. Confronteremo i segni distintivi delle ferite con quelli che abbiamo ricavato dal braccio. Io vado a casa a preparare il programma per il confronto. Poi vieni allo chateau.»

«Ricevuto.»

«Un ultima cosa.» Ivak la guardò, attento. Potevano risolvere quel caso, potevano farlo davvero grazie all’intuizione della ragazza. «Non dire a nessuno che seguiamo questa traccia. Nemmeno a Kuki, per ora.»

Lui non comprese. «Perché?»

«Perché ancora non sappiamo chi è stato e potrebbe rivelarsi una mossa avventata. Ti ricordi l’ultimo articolo di Mei? Esiste una gerarchia interna al ccg che prevarica il grado.»

 

 

Aiko aveva lavorato per quasi due ore sulle fotografie scattate al braccio di Mei. Aveva estrapolato la visuale migliore, mettendo in risalto i dettagli delle creste e degli avvalli creati dall’arma nel momento in cui si era abbattuta sull’arto del ghoul.

Se avesse dovuto ripetere quel lavoro su tutte le foto che Aizawa le avrebbe fatto avere, allora, ci avrebbero impiegato giorni interni. Mesi forse.

Anche con l’aiuto del programma per la rielaborazione fotografica in 3d ci avrebbero impiegato una vita.

Nel momento in cui il medico mise piede allo chateau, con lo sguardo animato da una nuova speranza e un disco esterno in mano, Masa ebbe la conferma che sì, ci avrebbero impiegato una vita.

«Dovremmo iniziare da Kijima.»

La mora corrugò la fronte, smettendo di scrollare la quantità industriare di cartelle che contenevano, a loro volta, una quantità industriare di fotografie. «Ma di cosa stai parlando?»

«Perché porta un cappello», fu la motivazione di Aizawa, che le fece alzare gli occhi al cielo. «Pensaci bene. Ti ricordi quando è successo tutto quel casino con Jail? Alla fine è stato tutto messo a tacere, anche se lui ha-»

«Kijima è morto ad aprile, Ivak

«Oh. È vero.»

Aiko gli fece cenno di scendere dal divano e di sedersi con lei sul tatami, «Concentrati, ok? O staremo qui per tutta la notte. Quale agente che conosciamo potrebbe lavorare per V.?», gli sussurrò, complice, lanciando continue occhiate alle scale che portavano al piano di sopra, dove Higemaru, Saiko e Hsiao stavano ormai da tutto il pomeriggio.

«Immagino debba avere una certa anzianità, no?», fu la prima ipotesi a freddo del biondo, che si passò la mano sul viso. Era già stanco. «Se è così degno di fiducia. O magari direttamente un Washuu. Matsuri?»

«Come inizio non è male. Vediamo.»

Matsuri aveva registrati diversi casi con solamente due diverse quinque. Quaranta minuti dopo, nessuna delle due corrispondeva.

«Una cosa l’ho capita. Facciamo un confronto ad occhio e poi solo se troviamo punti in comune allora li confrontiamo o diventa un lavoro troppo lungo.» Masa si passò la mano dietro al collo pensierosa. «Un altro nome, avanti.»

«Confronta anche quella di Urie. Magari Matsuri lo ha chiesto al suo cucciolo.»

Masa lo guardò offendendosi, «Scherzi? Mei era una sua amica. Senza contare che Kuki era sconvolto quando ha scoperto che lei è un ghoul.»

Ivak si morse piano il labbro, indeciso. «Io voglio bene a Urie», ammise, «Però conosco la sua sete di ambizione. Forse non sapeva chi stava combattendo, non pensi? Poi perché Nokochiwa è andato da lui?»

«Si chiama Nobunaga ed è andato da lui perché Mei lo ha indirizzato, lasciandogli il biglietto da visita di Kuki.»

«Possiamo farlo lo stesso? Per stare tranquillo. Per favore.»

Aiko prese un bel respiro, aprendo una cartella. «Scartiamo Ginsui a prescindere. Quella quinque morde, non taglia.» Sorteggiò un vecchissimo caso, dei tempi in cui usava ancora la sua vecchia arma, datagli appena uscito dall’accademia. Mise sullo schermo il taglio trasversale sul busto di un uomo e il braccio e aumentò i contrasti. «Scagionata anche Tsunagi. Non è stato lui, ma ci avrei scommesso? Vuoi vedere anche Inazami?», gli domandò ironica.

Aizawa sbuffò, «Taglio troppo largo per essere stato fatto da Inazami.»

«Sai chi mi viene in mente?», domandò retorica la ragazza. «Marude. Lui e Yoshitoki sono amici da sempre. Magari ha portato fuori la spazzatura al suo posto.»

«Marude avrà una ventina di quinque.»

Aiko annuì, «Iniziamo da quelle che usa di più e andiamo a ritroso. Che ne pensi?»

Ivak, che intanto aveva preso a sfogliare le foto della scena del crimine dal fascicolo, la fermò. «Aiko aspetta», qualcosa gli balenò nella mente all’improvviso. «Non ci sono altre tracce di sangue se non questa grande e questi schizzi sul muro?»

Lei scosse il capo. «No, credo sia stato un singolo colpo inferto con forza.»

«Però c’era il liquido segreto dal kagune sulla parete.» Lei annuì, non capendo il punto. Lui invece aveva capito eccome. «Come è possibile che se la porta non è stata scardinata e che se Mei ha avuto il tempo di usare il kagune, il suo aggressore non si sia ferito? Poi perché lo ha fatto entrare? Lo conosceva? Voglio dire…» Le mise sotto al naso la pozza di sangue. «Non ci sono altri contributi di dna in tutta la casa. Chiunque le abbia fatto questo è stato bravo, evitando quei maledetti aghi che le escono dal braccio e ti assicuro che  è impossibile non ferirsi quando li usa. Come è possibile? Poi non ci sono segni di lotta, nessun mobile rotto… Nemmeno lo Shinigami Bianco potrebbe…

La frase cadde a metà, perché Aiko era sbiancata. Non solo.

I suoi occhi la stavano tradendo.

«…Non mi dirai che hai sempre pensato che-»

«Arima Kishou è un Washuu», buttò fuori, di punto in bianco Masa, ghiacciandolo. «Me lo ha detto il Gufo, mesi fa. Non ci ho pensato fino ad ora, ma quale sicario migliore della Morte Bianca?»

Ivak non rispose. La lasciò lavorare, prima su Narukami e poi su IXA. Quando vide Masa selezionare dal programma digitale dell’elaborazione 3d la ferita inferta su un ghoul morto da quest’ultima si irrigidì.

Quando Aiko inserì entrambe le immagini riviste nel programma, si voltò, portando le braccia attorno alle ginocchia e costringendosi a non guardare.

Se era vero, se era stato Arima, allora non c’erano speranza.

Mei era sicuramente morta.

Aiko invece non distolse lo sguardo dallo schermo, con le mani unite come in preghiera di fronte alle labbra e gli occhi fissi. Quando arrivò il risultato, abbassò il capo sconfitta.

E la porta di ingresso si aprì.

«I cellulari sono diventati un optional? Ti sto chiamando da due ore, Aiko!», Urie chiuse la porta con un calcio, tenendo in mano un sacchetto pieno di quello che sembrava cibo da asporto. Odorava come cibo da asporto. Attraversò il salotto fino alla cucina e quando arrivò ad appoggiare tutto sul tavolo, notò il dottore. «Oi, Aizawa. Cosa ci fai qui?» E poi vide il viso di Masa e allora si preoccupò. Non l’aveva mai vista così sconvolta, la pelle del viso le si era fatta più grigia che bianca «…Cosa succede?»

Ti prego non dirmi che sei incinta.

«Ho risolto il caso.»

Per i primi secondi Urie non disse niente. Poi, quando Ivak si prese il capo fra le mani, iniziando a piangere, si sentì in dovere di esternare a sua volta i suoi sentimenti.

«Che cosa cazzo sta succedendo?!»

Aiko gli fece cenno di calmarsi, mentre teneva entrambe le mani sulle spalle del biondo, guardandolo come se fosse scemo. «Shukumei era la sua ragazza», disse ovvia, illuminandolo, contato che da solo non c’era arrivato. Kuki ci rimase sinceramente male, ma la pregò di continuare mentre li raggiungeva, sfilandosi i guanti neri. «E l’ha uccisa Arima.»

«Cosa facciamo ora?», guaì Ivak. Disperato. «Come possiamo incriminarlo se quello che mi hai appena detto è vero?»

«Ovvero?»

Masa guardò Urie, «Arima è intoccabile nel dipartimento. Mei aveva ragione nel suo articolo.» Massaggiò le spalle del dottore, prima di pensare accuratamente, lasciando che Urie confermasse le loro conclusioni. Non c’erano possibilità di errore, la verità era lì, nera su bianco.

«IXA non è registrata nel sistema?»

«A quanto pare no. Come procediamo, caposquadra?»

«Lo so io», Aizawa si fece coraggio, pulendosi gli occhi con le maniche della maglia che indossava, prima di guardare Urie con determinazione. «Tu ora vai da Matsuri, gli porti tutto questo e gli dici che quello stronzo bastardo va incriminato!»

Urie titubò e non lo nascose nemmeno un po’. «Ha ucciso un ghoul.»

«Ha ucciso Mei!», gli urlò in viso disperato Ivak, guardandolo con gli occhi che bruciavano di odio. «Cosa faresti se lo avesse fatto a te? Cosa faresti se avesse ucciso Aiko?»

Ci fu una pausa, poi visto il silenzio di Urie, Masa si alzò in piedi con il telefono in mano.

«Io chiamo Take.»

«Cosa??», domandò, attonito, il dottore. «Non puoi chiamare Take! È il suo braccio destro.»

«Sembra anche a me una pessima idea.» Urie storse il naso. «Poi cosa potrebbe farci Hirako?»

«Darmi delle rispose», insistette Aiko, cercando il numero in rubrica.

Kuki le strappò l’apparecchio di mano, alzandosi a sua volta. «Quando lo dirà ad Arima, perché sai anche tu che lo farà, noi saremo tutti fottuti. Non possiamo giocarcela così male.»

«Affiderei a Take la mia vita, Cookie. Lui non mi tradirebbe così.»

«Ah no? Allora perché lo insulti sempre? E perché hai cambiato squadra?» Le domande di Urie arrivarono alle sue orecchie crudeli. Tanto che Aiko si morse il labbro per non prenderlo a schiaffi. «Pensaci molto attentamente, perché se accusiamo Arima senza un motivo preciso e delle prove solide allora potremmo rischiare molto più di una retrocessione.»

«Abbiamo una corrispondenza perfetta della sua quinque sul braccio di Mei. E vuoi sapere l’accusa? Ha ucciso un ghoul senza denunciare l’operazione.»

Urie sbuffò, «Sai cosa otterrà lui? Un buffetto. Noi due invece? L’odio del dipartimento intero.»

Aiko lo guardò, schiudendo le labbra. «Va bene», disse quindi. «Va bene se mi odieranno tutti. Non mi interessa un cazzo dell’opinione altrui, qui si parla di giustizia. Era la ragazza di Ivak

«Grazie per esservi ricordati che sono ancora qui.»

Nemmeno Aizawa si schivò un’occhiataccia da Urie. «Tu potresti finire in galera per averla protetta se questa storia esce fuori di qui, lo sai vero?»

«Per citare la tua ragazza, che è molto più umana di te: Va bene. Non mi interessa niente Urie, hanno ucciso la donna che amo e per quel che mi riguarda possono anche darmi la pena di morte.»  Ivak si alzò in piedi solo per sprofondare sul divano. «Vorrei vederti al mio posto.» Indicò la mora. «Lo ripeterò visto che prima non hai risposto, perché pretendo questa risposta. Se Arima Kishou avesse ucciso Masa, tu non faresti qualsiasi cosa per fargliela pagare? Non lo vorresti uccidere tu stesso? O forse lei per te non conta abbastanza. In effetti, non sembrerebbe.»

«Questo è un colpo basso anche per te, Aizawa

«Al momento posso solo colpire dalla posizione in cui sto, Urie.»

Quello stallo alla messicana fra i due uomini rischiava di non risolversi e Aiko non ce la faceva più. Tornò al computer, salvando i risultati delle loro ricerche e chiedendosi se sarebbero serviti a qualcosa.

Poi, finalmente, Kuki rispose, seppur in modo diretto, alla domanda di Aizawa.

«Andrò subito da Matsuri portandogli quelle foto. Ne parlerò con lui e chiederò di perseguire Arima Kishou per aver infranto il nostro regolamento interno.» Sotto lo sguardo sorpreso di Aizawa, si allontanò verso le scale. «Non spererei molto però, se fossi in voi due.»

Masa lo guardò salire le scale, con un groppo in gola.

Poi Aizawa, che si sentiva tutto meno che un vincitore, le battè una mano sulla spalla.

«Hai detto che moriresti per lui? Bene, lui morirebbe per te. Perché non fate una bella cosa e scappate insieme in Thailandia?»

Masa sorrise pallidamente, scuotendo il capo. «Preparo una chiavetta con i nostri risultati. Inizia a pregare il tuo Dio.»

«Il mio Dio non mi ascolta minimamente, Aiko. Magari il tuo uomo sarà in grado di soddisfare abbastanza Matsuri senza bisogno di raccogliersi in preghiera.»

Non c’era entusiasmo sui loro visi, ne speranza nei loro cuori.

Urie aveva ragione.

Stavano dando la caccia a un cacciatore.

Quindi, per riflesso, le prede erano loro.

 

Continua….

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Il caso Lisca - 3 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quarta: Il caso Lisca.

 

 

- In a parked car in a crowded street, you see your love made complete. Thread is ripping, the knot is slipping, love is blindness…-

«Avresti chiamato veramente Take se Urie non fosse caduto nella tua trappola e non avesse accettato di venire fin qui?»

Aiko, dal sedile del passeggero, alzò una mano per abbassare il volume della radio, poi per sistemare lo specchietto retrovisore. Scontrò lo sguardo con quello di Ivak, accasciato al centro del sedile posteriore, con le gambe divaricate e le spalle abbassate. Se non glielo avessero impedito, si sarebbe volentieri fermato in un negozio di liquori per prendersi una bottiglia con la quale affrontare l’attesa.

«Sì», ammise la ragazza, senza particolare inflessione nella voce.

Lui rise. «Bugiarda. Sempre più bugiarda

Lei non parve turbata da quell’insinuazione. Trovava quell’aggettivo particolarmente incalzante se riferito a lei. Inclinò di lato il capo, tanto da appoggiarsi con la tempia al vetro del finestrino. «Puoi anche non crederci, ma io e Take abbiamo un rapporto basato sulla reciproca comprensione. Se io ho un problema, gliene parlo.»

«Lui con te lo fa?»

«Lui non ha problemi.»

Il biondo scosse il capo, prima di sporgersi in avanti, con le mani arpionate ai due sedili, per guardarla. Masa aveva gli occhi chiusi e sembrava stanca, seppure fossero arrivati lì da nemmeno dieci minuti. «Secondo me ne ha il doppio di te, e sai il motivo?» Attese che Aiko aprisse gli occhi per guardarlo, prima di risponderle con una certa  cattiveria nella voce. «Deve sistemare anche le merdate che combini tu.»

«Sei parecchio volgare da quando hai smesso di piangere, mh?»

L’altro non le diede la soddisfazione di una nuova imprecazione. Semplicemente la guardò  con una ironia. «Scusa se scoprire che Mei è sicuramente morta mi sta facendo perdere quel poco charme che avevo. Da domani riprendo con le lezioni di bon-ton.»

«Il tuo problema è la sua morte o la consapevolezza che non puoi farci nulla?» Il dottore si lasciò ricadere contro lo schienale, mentre Masa partiva all’attacco, decisa a non lasciare che la frustrazione dell’uomo ricadesse su di lei. «Sei il figlio di un capo clan della Yakuza e non puoi fare niente per sistemare la situazione. Non puoi pagare nessun sicario e non puoi punire nessuno.»

Ivak alzò un sopracciglio. «Sai che c’è? Credo tu abbia ragione, Aogiri. Arima secondo me non ce l’ha l’anima. Non si farebbe problemi a uccidere delle persone.»

«Stai delirando per caso? Dovevamo permetterti di comprare del liquore, almeno saresti giustificato.» L’investigatrice si arrese, tornando a sedersi sul sedile, con la spalla appoggiata contro lo schienale e il capo al poggiatesta, in silenzio.

«Deve avere avuto paura», soppesò il dottore, sentendo nuovamente gli occhi bruciare per la rabbia e la frustrazione. «Mei non era una combattente. Non deve avere avuto nemmeno il tempo di fare una mossa quando se l’è trovato di fronte.»

«Eppure lo ha lasciato entrare spontaneamente.» A quelle parole, Ivak si immobilizzò, impietrito. «La porta non era forzata dall’esterno. Arima è stato invitato ad entrare.»

«Non deve avere avuto scelta, se l’ha fatto entrare.»

«Magari ha sperato di ricevere delle informazioni visto che anche lui fa parte di V.» Masa lesse la confusione sul volto di Aizawa. «Avanti, fai due più due.»

«Kishou Arima…»

«Anche lui è un Washuu, anche se non ha il timbro ufficiale

Il dottore espirò così tanto da sgonfiarsi come un palloncino. Si abbassò sul sedile, strisciando in avanti con il bacino. «Perché siamo qui allora?»

Aiko abbassò il capo. «Perché non credo che Matsuri lo sappia. Non credo che Matsuri sappia molte cose riguardanti la tua famiglia.»

«Tu lo sai perché te l’ha detto il Gufo?» Masa annuì. Ivak sbuffò. «Che ragazzo utile…» Ci fu un secondo di stallo fra i due, poi il medico umettò le labbra con la lingua, intercettando nuovamente gli occhi opalescenti della giovane di fronte a lui. «Ei, Aogiri, ma almeno lo ami?»

Lei sospirò pesantemente. «Ti ho già detto che non voglio dirlo ad alta voce.»

«Non parlo di Urie, parlo del Gufo. Lo proteggi come se fosse importante.»

Aiko non rispose, rimanendo immobile come una preda che attende la calata del falco. Esso si palesò in modo inatteso, permettendole così di tacere quell’ennesima omissione.  La portiera del conducente si aprì e Urie buttò la giacca di pelle sulle gambe di Masa prima di prendere posto. I due lo guardarono con tanto d’occhi fuori dalle orbite. Poi Ivak controllo l’ora.

«Sei rimasto in quella casa un quarto d’ora appena.»

Il caposquadra dei Quinx passò la mano fra i capelli tenuti indietro dal gel, voltandosi di poco per guardarlo. «Allora?»

«Come allora?!», guaì disperato Ivak, sentendosi deficiente. «O ti ha liquidato o è un nuovo record di eiaculazione precoce!»

Masa rise apertamente, quasi in modo liberatorio, portando poi la mano alle labbra incurvate in un sorriso divertito quando Urie la guardò male. Poi parlò di nuovo. «Mi ha fatto accomodare nel suo studio, mi ha permesso di spiegargli il risultato delle vostre ricerche e dopo averci pensato ha detto che riporterà tutto a suo padre domani in mattinata.»

«Ma come, nemmeno un pompino?!»

«Aspetta, ha detto che andrà a dirlo al direttore?!» Aiko e Aizawa parlarono uno sopra all’altro e non fu possibile dire chi fosse più allibito fra i due. Masa proseguì, «Matsuri ha deciso che andrà da suo padre a chiedere un’istruttoria contro Arima?» Urie annuì. «..Ma è stupido?!»

Il caposquadra la guardò truce. «Voi donne non siete mai felici. Se mi avesse mandato via mi avresti detto che sono inutile. Ora che siamo riusciti a passare al livello successivo in modo sorprendente, devi comunque lamentarti!»

La mora portò una mano al viso, concludendo che allora Matsuri non doveva essere davvero a conoscenza di nulla. Si sporse quindi verso Urie, baciandolo sulla guancia con uno schiocco sonoro mentre le braccia si allacciavano attorno al suo collo. «Sono fiera di te. Hai portato a termine la missione suicida che ti abbiamo affibbiato e sei riuscito a mantenere integro il tuo onore.»

«E il tuo culo.» Aiko sbuffò una mezza risata a quell’ultima osservazione di Ivak, rimettendosi seduta e allacciando la cintura, mentre il caposquadra metteva in modo l’automobile. «Sono serio, ragazzi; quell’uomo deve amarti davvero molto per mettersi contro Arima senza pretendere niente in cambio.»

«Ha la mia lealtà.»

«….Biscotto non sei più vergine, dovresti aver capito come funzionano certe cose ormai.»

Aiko sventolò una mano, come per spazzare via quelle ultime parole del dottore. «Basta così. Abbiamo risolto il caso e Matsuri proporrà l’avvio di un’istruttoria contro Arima. Possiamo andare a casa a festeggiare.»

Questo parve bastare ad Aizawa che, remissivo e col morale ancora a terra, pensava più a consolarsi che a festeggiare.

«Spero che abbiate qualcosa di più forte del saké in quella casa della bambole.»

 

 

La notizia della chiusura forzata del caso arrivò come una pioggia di sassi sulla testa di Masa la mattina successiva. Non erano nemmeno le otto quando Matsuri convocò sia lei che Urie nel suo ufficio. Sembrava reduce da un incontro di pugilato e lui doveva averle incassate tutte senza rilanciarle.

Ovviamente in senso figurato.

La camicia del figlio del direttore era perfettamente inamidata e la cravatta nera allacciata alla perfezione. Eppure, nonostante l’apparenza impeccabile, aveva l’espressione sconfitta. Suo padre doveva averlo rimproverato parecchio per aver portato delle prove che accusavano lo Shinigami della ccg di qualcosa che, in fin dei conti, non era un crimine.

«Ha ucciso un ghoul, non un essere umano», aveva di fatto detto Matsuri, con le mani incrociate sulla scrivania laccata e gli occhi severi. «Non manderemo alcun tipo di richiamo formale al nostro miglior investigatore per questo. Chiudete il caso e siglate un rapporto che sostiene che il grado A+ Lisca è morto in seguito a uno scontro con un altro ghoul sconosciuto. Niente investigatori, niente quinque e soprattutto nessuna parola con i vostri colleghi. Potete andare.»

Masa aveva già schiuso le labbra per replicare, ma un’occhiata di Urie la fece desistere. La mora abbassò il capo, mentre il collega rispondeva pacatamente al capo della S2 che avrebbero eseguito quelle direttive alla lettera, scusandosi per avergli arrecato disturbo fuori dall’orario di lavoro.

«Quindi è finita?», domandò Aiko a Kuki quando si ritrovarono nuovamente soli nel corridoio.

C’era amarezza negli occhi serpentini dell’altro. «Faccio io il rapporto, tu dillo ad Aizawa.»

«Ah, un lavoretto facile. Spero che nessuno debba mai venire da me a dirmi che hanno riservato questo trattamento a te, perché lo farei a pezzi», borbottò ironicamente crudele, passandogli accanto. «Ma tanto noi non stiamo insieme, no?»

Kuki la guardò senza capire il punto. «Te la stai prendendo con me?»

Aiko non rispose, gli tenne le spalle –e il muso- mentre spariva lungo le scale. Non voleva nemmeno prendere lo stesso ascensore, aveva bisogno di sbollire la rabbia verso il sistema, non verso di lui. Ma Urie era integerrimo, avrebbe blaterato pillole di saggezza e amor di patria verso il ccg e no, non poteva sopportarlo.

In quel momento la nauseava il distintivo che portava.

 

Aizawa era appena entrato nel palazzo quando Aiko lo intercettò. Lo stava aspettando, a dire la verità, seduta su uno dei divanetti con le gambe lunghe accavallate. Si scusò con Kyoko, con la quale stava parlando nella zona fumatori, affrettandosi per raggiungerlo e sistemando la gonna blu del completo elegante che aveva indossato quel giorno. Urie pensava che si sarebbero poi avrebbero dovuto presentare dal presidente i fatti, ma non era servito a nulla tirarsi a lucido. Non avrebbero incontrato nessun Washuu più importante di Matsuri, quel giorno. Il ché era tutto dire.

Aizawa in ogni caso arrivò alla stessa conclusione quando la vide così elegante. Quasi sorrise, guardandola con gli occhi che brillavano nonostante le occhiaie pesanti come sacchi per rifiuti. «Quindi? Come è andata?»

Lei gli riversò uno sguardo così penoso da far sprofondare ogni speranza dentro al suo petto in una frazione di secondo. «Ivak, mi dispiace così tanto», iniziò, cercando di essere delicata per una volta nella sua vita. «Abbiamo fatto tutto in nostro potere, ma il direttore ha rigettato la richiesta di provvedimento disciplinare e ha ordinato a tutti e due di non farne parola con nessuno.»

Lui si inalberò subito. «E nel rapporto cosa ci mettete? Che avete pestato accidentalmente il braccio e le si è staccato??»

Lei alzò una mano, per fargli abbassare la voce, mentre con l’altra andava a toccargli il braccio. «Ha detto di scrivere che è presunta morta in seguito allo scontro con un altro ghoul. Ora non fare nulla di stupido o avventato, ok?»

Detto fatto.

Forse puntuale per la prima volta nella sua vita, con un tempismo contro natura, Arima mise piede nella struttura, arrivando alle loro spalle e salutandoli con rispetto, mentre passava lì accanto. In tre secondi netti Aizawa aveva buttato a terra la tracolla contenente, fra le altre cose, anche il portatile e gli si era scagliato addosso. Aiko aveva trattenuto il fiato mentre lo guardava tirare con energia il braccio dello Shinigami Bianco, il quale si voltò sorpreso verso il dottore, non dando però cenno di fastidio per quello che alla fine, più che uno strattone, fu un leggero invito a guardarlo.

«Tu!», gli urlò in faccia, attirando gli sguardi di tutti coloro che albergavano quella zona dell’edificio. A Ui cadde una cartellina di carta, mentre Furuta, appena arrivato a sua volta, scrollò l’ombrello affiancandosi ad Aiko.

«Cosa succede?», sussurrò Nimura.

«Una catastrofe.»

Furuta sorrise, serafico come sempre, «Che bello allora sono in tempo per lo spettacolo.»

Le mani di Masa andarono a coprirle la bocca, mentre Ivak si immobilizzava sotto lo sguardo di ghiaccio dell’uomo di fronte a lui. Arima, dal canto suo, non pareva offeso. Lo guardava semplicemente in attesa. Si voltò del tutto verso di lui, inclinando di lato il capo come un cucciolo confuso. «Posso fare qualcosa per te, Aizawa?»

«Tu…. Tu….»

Aizawa tremava, di rabbia sì, ma anche di paura. Cosa doveva fare? Urlare di fronte a così tanti testimoni che cosa aveva fatto quell’uomo? Rovinarsi la vita per cosa, poi? Non poteva nemmeno dirsi una vendetta, quella.

Il ticchettio dei tacchi di Masa arrivò a coprire quel carico di pensieri. «Classe speciale», sorrise con una faccia di bronzo la giovane investigatrice. «Scusalo per i modi, ma gli ho detto io di fermarti. Con queste scarpe sono agile come una mangusta morta.»

Arima spostò quindi la sua attenzione su di lei, cercando di ignorare il modo in cui Ivak lo stava guardarlo. Sembrava quasi che volesse strangolarlo a mani nude, finendo anche per morire nel tentativo. «Posso esserti di aiuto, Aiko?»

«Ho appena chiuso un indagine sul caso Lisca», buttò fuori lei, con non curanza. «Ho preso fischi per fiaschi, questa volta e ho ipotizzato che fosse stata una quinque ad ucciderla.» Rimase in silenzio un istante, per verificare qualche reazione nell’uomo di fronte a lei. Naturalmente non reagì in alcun modo. «Mi sbagliavo. È stato uno scontro fra ghoul. Volevo però informarmi un po’ in merito al giro di vendita illegale di quinque. So che te ne eri occupato tu, in passato.»

Arima annuì, «Saranno passati almeno dodici anni», ammise. «Però se vieni con me posso passarti qualche fascicolo. Potrebbero esserti utili in futuro, anche se potresti chiederlo tranquillamente a Tsubasa.»

Ci fu uno stallo.

Aizawa non comprese il senso di quelle parole, ma Aiko ebbe un crollo di pressione. Barcollò addirittura sui tacchetti, mentre il viso le si faceva esangue. «T-Tsubasa?»

«Sì, lui.» Imperterrito Arima tenne gli occhi nei suoi, prima di spostarli. «Vieni allora?»

«Magari posso più tardi», svicolò rapidamente Masa, cercando di sorridere nuovamente con pacatezza. Non ci riuscì molto bene. La sua voce tremolò, prima di farsi sicura. «Devo aiutare Urie nel rapporto. Ci vediamo dopo pranzo in ufficio?»

«Certamente. A dopo, primo livello Aiko.»

La lasciò lì, a boccheggiare come un pesce caduto fuori dall’acquario. Era bastato un nome, un singolo nome per zittirla. Lei aveva provato a stuzzicarlo ed era finita col l’ustionarsi.

Aizawa, accanto a lei, ribolliva.

«Io dovrei-»

«Tu ora andrai a lavorare», la voce di Masa uscì bassa, roca. Teneva il capo chino, come se fosse stata sconfitta, seppure l’avesse appena salvato. «Farai quello che devi fare, non mi importa cosa, ma starai lontano da Kishou Arima o ti manderò a raggiungere Mei personalmente.»

Lui non parve spaventato dalla minaccia. Ne riceveva parecchie da Masa nell’ultimo periodo e iniziava a pensare che fossero aria e basta. «Chi è Tsubasa, Aog-Masa? Il tuo ennesimo amante?»

«Un informatore dei ghoul.»

La mora partì di gran carriera verso l’ascensore, non volendo rispondere ad ulteriori domande. Lui rimase fermo lì, ancora tremolante, quando una mano guantata di rosso gli porse la sua tracolla. Con un sorriso, Furuta gli rese i suoi effetti personali, prima di guardare verso l’ascensore. «Quella è una ragazza davvero incredibile», constatò. «Fossi in te però lascerei stare, ha anche troppi pretendenti.»

«Sei uno di loro?»

Nimura gli fece l’occhiolino. «Non dirlo a nessuno. Soprattutto a Hirako!»  Con una pacca sulle spalle lo lasciò lì a pensare che Furuta Nimura fosse davvero uno stupido.

Su questo però nessuno di loro aveva capito niente.

 

 

«Prendi la spada e alzati, Tomoe.»

Il tono pacato di Tatara rimbombava contro le pareti spoglie del magazzino, senza nessuna traccia di incitamento in esso. La ragazzina dagli occhi di sangue allungò la mano verso l’elsa del Dao, stringendola fra le dita sottili della piccola mano. Poi puntellò a terra l’altra e tremolante si alzò. Hakatori, di nuovo sui piedi, seppur poco stabile, fronteggiò il suo maestro, decisa.

Tatara, che di lei ammirava la tenacia più che in qualsiasi altro allievo avesse mai avuto, non fu comunque compassionevole; menò fendenti da ogni parte, guardandola mentre si chiudeva di nuovo su se stessa, cercando di difendersi come meglio riusciva, ma rimediando così solo ferite.

«La miglior difesa è l’attacco», le disse il ghoul albino, mentre la guardava cadere col sedere sul cemento della pavimentazione, stanca e dolorante. «Non ti ho dato il permesso di prenderti una pausa. Alzati, Tomoe. Fino a che non riuscirai a eseguire un buon affondo non ti lascerò riposare.»

Lei ci provò. Fece leva sul braccio, ma la stanchezza vinse sulle sue piccole membra, facendola ricadere subito dopo in ginocchio. Col capo chino di vergogna, Hakatori ci riprovò ancora una volta, appoggiando cautamente la pianta del piede e poi provando a far leva sull’altra gamba, che però aveva una profonda ferita a solcarne la coscia. Non aveva alcuna intenzione di arrendersi e stava ponderando una qualche maniera per dimostrare al maestro la sua determinazione, quando una mano gentile la prese da sotto il braccio e la rimise in piedi.

Alzò subito gli occhi incontrando quelli rossi di Tatara, che la guardava senza alcuna evidente espressione sul viso. L’aveva rimessa diritta e ora la spiava come se si aspettasse qualcosa. Quel qualcosa arrivò, perché senza esitazione, la ragazzina alzò la spada e gliela conficcò decisa nel fianco. L’affondo fu di ben poco conto, vista la scarsa forza applicata, ma nel momento in cui Hakatori si rimise in ginocchio, ansante, lui non le chiese altro.

Sfilò dalla sua stessa carne la lama, guardando il tessuto squarciato della canottiera nera e il sangue che macchiava i pantaloni bianchi, prima di lasciar cadere a terra anche il suo Dao.

«Per oggi abbiamo finito», le concesse, andando verso  la sedia su cui aveva lasciato i suoi effetti. «Il coniglio ha più ragione della volpe di conoscere le debolezze del nemico, poiché è-»

«Per natura predisposto a soccomberle.»  La voce arrivò prima di lei, ma quando Aiko mise piede nella stanza, sapeva che ad averla tradita non era stata di certo quella, ma il suo odore. «L’importante non è la forza, ma l’ingegno. Lo dici sempre, Laoshi, ma allora perchè ci addestri?»

Tatara non le rispose subito. Si sfilò i guanti neri, guardandosi le mani pallide e incredibilmente lisce per essere quelle di un gran lavoratore. «Eto crede che ogni donna possa ottenere quello che vuole solo perché è nata con qualcosa in meno fra le gambe», disse infine, voltandosi a guardarla. Aiko stava porgendo la mano ad Hakatori per aiutarla ad alzarsi, ma questa, invece, le sputò ai piedi sussurrando un ‘colomba’ appena udibile. Però in quella stanza arrivò forte alle loro orecchie come un grido. «Io invece credo che non importi essere donna o uomo. L’arte della seduzione non funziona con tutti, méi méi. La lama sì. La disciplina anche. Soprattutto credo nel dolore.»

«Ma lei mi ha insegnato come entrare nelle menti», fu la difesa che Aiko usò per Eto.

«Non credo tu dovresti ringraziarla per queste lezioni che ti ha dato.» L’albino scrollò il capo, prendendo un sorso di acqua da una bottiglietta, prima di lanciarla alla ragazzina, che la prese al volo, finendone tutto il contenuto avidamente. Aiko si era intanto avvicinata a lui, con circospezione maggiore rispetto al solito. Sembrava in apprensione, così lui arrivò velocemente al dunque. «Perché sei qui? Forse per dirmi ciò che hai taciuto l’altro giorno in auto?»

Labbra Cucite annuì. Poi prese un respirò così grande da alzarle il petto. E nell’esalazione sputò l’amara realtà. «Laoshi, Lisca è morta.» Attese per qualche secondo una qualsivoglia reazione, che però non arrivò. Aiko non si stupì, ma comunque unì le mani in grembo e chinò il capo, in segno di rispetto per quel lutto. «Prima di morire mi ha chiesto di dirti che ti amava molto e che devi mantenere la promessa, quella a cui tu hai acconsentito a-»

«Come è morta?»

Aiko sgranò gli occhi, davanti al tono rigido del maestro. Non alzò il viso per guardarlo, rimase in prostrazione di fronte a lui. «Se l’è presa lo Shinigami Bianco, Laoshi. Suppongo per conto di V.»

Il respiro di Masa si fece un po’ pesante, mentre aspettava una qualsiasi risposta. Non le piaceva quel silenzio, che però rappresentava molto bene Tatara. Sapeva che lui provava qualcosa per Mei, se no non l’avrebbe protetta, a modo suo, quando aveva domandato di parlare con Yoshimura. Quello era stato il vero inizio della sua fine. Temette quindi una qualche ripercussione, visto che Tatara l’aveva punita per molto meno, in passato.

Non successe.

La mano fredda dell’albino passò fra le ciocche nere di Aiko in quella che risultò essere una carezza. Lei rialzò gli occhi, colmi di stupore, trovando quelli dell’altro come sempre vuoti. Apatici, eppure velati da una leggera patina di malinconia. Che quello fosse dolore?

Quando riabbassò il braccio indossò la maschera e poi il lungo cappotto bianco, superandola. «Occupati di Tomoe. Che mangi e dorma bene, stanotte. Domani ci alleneremo di nuovo e tu avrai modo di dimostrare che sei il mio miglior allievo, Aiko.»

Un turbinio di emozioni forti attraversò la mora, ma quando si voltò per chiamarlo, Tatara aveva già lasciato lo stanzone. Andò quindi verso Hakatori e la sollevò quasi di peso, mentre questa glielo permise, forse affranta dalle parole del maestro.

Parole che, per la prima volta, avevano premiato Aiko.

Non credeva fosse così, la gratificazione vera.

Aveva un sapore dolce sulla lingua e le dava un senso di calore nel petto.

Si chiese se forse fosse così che doveva sentirsi una figlia elogiata da un padre.

 

 

Aizawa organizzò un funerale per Mei. Aveva spiegato a Masa e a Urie che non erano tenuti a parteciparvi se non volevano, che si sarebbe trattato solamente di una cerimonia tranquilla, in una zona di campagna fuori Tokyo. Entrambi avevano comunque insistito per parteciparvi e Masa aveva diffuso la notizia fra i pochi che l’avevano conosciuta, chi come Shukumei, chi come Sadako.

Essendo un ghoul, Mei non aveva il diritto a delle esequie vere, così avrebbero improvvisato qualcosa in segreto. Un paio di parole scarabocchiate su un foglio di carta, un completo elegante e frasi di circostanza. Sarebbe bastato. A sentire Aizawa, era anche di più di quello che aveva potuto immaginare.

Il giorno prestabilito arrivò in fretta, quel venerdì. Aiko, insieme a Kuki e a Hige, si cambiò in ufficio, vestendosi formalmente per la cerimonia. Aveva poi salutato i due, sostenendo che doveva passare a prendere un amico di Shukumei e che quindi li avrebbe raggiunti lì. Lì dove, però, rimaneva un mistero che nemmeno il navigatore satellitare poteva svelare. In loro aiuto spedì Kuramoto, che le era parso sinceramente dispiaciuto per la morte della giornalista con la quale aveva un rapporto molto superficiale. Itou però tendeva sempre ad affezionarsi con naturalezza alle persone, quindi aveva chiesto di poter prendere parte dalla celebrazione e si era visto buttato in macchina con Urie e Touma, tenuto fatto che tecnicamente lui era più navigato nell’esplorazioni delle zone di campagna e boschive attorno a Tokyo. Questo grazie alla sua passione per la fotografia.

Aiko si era attardata in ufficio, tra una chiamata e l’altra, prima a Kikyo e poi a Nobunaga, per confermare loro l’esatto luogo dove avrebbero sepolto il braccio, il solo misero resto che avevano. Quando uscì, con un borsone a tracolla che le pendeva sul fianco destro e un abito nero di pizzo con la gonna a ruota e le maniche a pagliaccetto, per poco si scontrò con Take.

«Se sei venuto a cercare Kuramoto, è già andato», gli disse, nel mentre si stava sistemando un paio di orecchini ad anella.

Hirako le sfilò la sacca, passando la mano sulla pelle arrossata dalla tracolla. «Cercavo te, in realtà. Volevo farti le condoglianze, so che era una tua amica.»

«Amica è un po’ eccessivo», gli rispose la mora, prendendo dalla borsa il cellulare e controllandolo, prima di riporlo nuovamente. Camminarono fianco a fianco, lentamente, lungo il parcheggio. «Però sì, la conoscevo. Era una brava persona, faceva un lavoro parecchio rischioso. Ora ho capito perché le veniva così bene. Vuoi venire anche tu?»

Take scosse il capo, «Ho un affare urgente da sbrigare per sua maestà.» Masa rise, scuotendo la testa e aprendo la macchina per permettere ad Hirako di appoggiare la sacca sui sedili posteriori.

«Se ti sente potrebbe offendersi.»

«Arima non si offende mai o ora temerei per Aizawa.»

Aiko annuì lentamente. «Lo hai saputo, quindi.»

«Non si è parlato d’altro per due giorni in ufficio.»

Era la verità. Tutti coloro che avevano assistito, soprattutto stagisti e investigatori di terzo livello, lo avevano spifferato ai sette venti. Raramente qualcuno si era posto in quel modo nei confronti della Morte Bianca in persona, più per rispetto che per paura.

Arima era amato o odiato nel bureau, ma tutti lo rispettavano. Tutti, nessuno escluso.

Aizawa aveva violato un tabù, aveva rotto uno specchio al centro della stanza e attirato su di sé chiacchiere. Ovviamente a lui non importava un cazzo.

Hirako attese di sentirsi congedato, ma Masa non sembrava interessata a spostarsi da lì. Appoggiata alla portiera chiusa, con le braccia incrociate sotto al seno e una brezza autunnale ancora calda a spettinarle la zazzera mora, gli parve triste per la prima volta. Triste in modo sincero, rammaricata.

«A cosa pensi?», le domandò, diretto.

Lei spostò gli occhi grandi nei suoi, sottili e stretti, di un indefinito colore nocciola. « Aizawa era fidanzato con lei. Con Lisca. Da quando lo abbiamo scoperto non riesco a smettere di pensare a quanto debba essere devastante scoprire che la persona che ami, in realtà, non è chi dice di essere. Un mare di bugie per nascondere una realtà scomoda può distruggere un rapporto, secondo te? Le menzogne possono venire perdonate se due persone si amano davvero?»

Take rimase immobile, preso in contropiede. Poi sospirò, «Se io ti dicessi che non sono chi dico di essere, non sapresti se perdonarmi o meno? È questo che mi stai chiedendo?»

«Non esattamente. Mi sto chiedendo se quella che potrebbe venire perdonata sono io

Lui le si avvicinò, appoggiandole una mano sulla spalla. Per riflesso, Masa gli passò le braccia attorno ai fianchi, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Poi Hirako parlò. «Io lo farei.»

«Mi perdoneresti?»

«Sì.»

Lei sospirò, alzando gli occhi verso il cielo, scuotendo piano il capo. «Io invece non ti perdonerei, e sai perché?», chiese, scostandosi da lui lentamente. «Perché sicuramente la tua rivelazione sarebbe la seguente: Aiko, io sono un cyborg programmato per simulare le funzioni di un normale essere umano. E io ti risponderei che allora ti hanno programmato proprio male.»

Take sorrise, facendo allargare quello della ragazza.

«Muoviti, farai tardi.»

«Guarda che ti ho visto. Sei imbarazzato.»

Hirako fece qualche passo in direzione del palazzo. «Io? Assolutamente no.»

«Lo vedo da qui, Take Hirako! Io ti conosco!»

L’investigatore le voltò le spalle, alzando una mano in segno di saluto.

Aiko lo guardò sparire fra le auto, entrando nella sua.

«Voglio proprio vedere se mi perdonerai davvero, Hirako.»

 

 

Urie non era un grande fan delle scampagnate all’aria aperta durante l’orario lavorativo. Quella ad Aokigahara era stata la dimostrazione plateale che il suo senso dell’orientamento su area non urbana poteva essere alquanto scarso. Nonostante le  numerose spiegazioni di Aizawa, il navigatore satellitare e l’esperienza diretta di Itou, si persero per ben tre volte durante le due ore e un quarto di strada che li separava dal luogo nel quale i pochi resti di Mei avrebbero trovato il riposo eterno.

L’appuntamento che si erano dati, circa verso l’una di pomeriggio, venne ampiamente superato e i tre investigatori riuscirono ad arrivare solo un’ora e mezza dopo. Higemaru era più blu di un mirtillo a causa del mal d’auto, ma comprese che ne era valsa la pensa quando, alzando gli occhi, colse di fronte a loro, alto e imponente, il Fuji.

Ad attenderli trovarono Komoto, Shimura e quel poco che rimaneva di Ivak Aizawa, abbracciato a una bottiglia di vodka alle fragole, seduto su una coperta accanto a un freezer medico per il trasporto di parti del corpo.

«Il ghiaccio comincia a sciogliersi», fu il modo che ebbe Korito di salutare il loro arrivo, mentre l’informatico continuava a spruzzare repellente per insetti e a sistemarsi una mascherina sul viso. Tutti e tre gli investigatori rimasero molto colpiti dal fatto che i due patologi fossero riusciti a portarlo in mezzo alla natura matrigna. «Siete i primi ad arrivare.»

«Aiko?», si informò subito Urie, con il telefono già in mano. A sentire la ragazza, avrebbero preso parte a quel funerale improvvisato più persone del previsto. E invece si erano ridotti in sei.

Itou si buttò col sedere sulla coperta, allentando il nodo della cravatta. «Arriveranno. Il posto non è semplice da trovare.»

«Siamo in mezzo al nulla», pigolò Komoto, disperato.

Urie si guardò attorno, osservando che dire che erano dispersi era riduttivo. Non c’erano punti di riferimento attorno a loro, niente con cui orientarsi. Solo un oceano di alberi e stradine a una sola corsia.

«Come mai hai deciso di seppellirla qui?», chiese Kuramoto con tono delicato, appoggiando una mano sulla spalla del patologo che, nel frattempo, si era attaccato nuovamente alla bottiglia senza nessun pudore. Si staccò giusto per rispondere al collega e solo perché Itou era troppo gentile per essere mandato al diavolo.

Era arrabbiato con il mondo, voleva dare fuoco a ogni singolo albero.

«Perché da qualche parte qui attorno c’è sepolta anche sua madre. Me lo ha detto lei di portarla qui, se le fosse successo qualcosa.»

Urie aveva notato un po’ di terra smossa lì attorno e qualche segno del passaggio di più di una persona, nonostante non sembrasse esserci niente di rilevante. Camminò attorno a una quercia per qualche minuto, osservando la lussureggiante natura che Komoto stava tanto odiando, per poi iniziare ad annoiarsi. E poi ad innervosirsi. Non aveva voglia di sedersi su quella coperta, che ad eccezione dell’informatico ipocondriaco era diventata il rifugio dei reietti. Non ne aveva voglia per due motivi: aveva un completo nero gessato che si sarebbe sporcato di polvere e non voleva sentire di racconti di Ivak ubriaco.

Appena udite le parole ‘primo appuntamento’ e ‘braccio quasi staccato a morsi’ si era girato, riprendendo a camminare attorno alla quercia.

Dopo quaranta agonizzanti minuti arrivò qualcun altro. Da prima un furgoncino bianco seguito da un paio di automobili. Da questi velivoli erano smontate almeno una ventina di persone, una delle quali aveva riservato uno sguardo di puro odio a Higemaru.

Lui però non si era lasciato abbattere. «Signorina Oneda!»

Kikyo lo osservò, prima di sospirare di fronte a quella pura gentilezza. «Agente. Non credevo che l’avrei più rivista.»

«Accompagno un amico», rispose il ragazzo, infilando le mani nel completo grigio elegante dopo aver indicato Urie, ancora preso dalla sua quercia di cui ora stava studiandone le ghiande cadute al suolo. «E l’agente Masa che sta arrivando.» Fece una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore. «Senta, signorina Oneda…. Per quel che riguarda Saburo, io-»

Con un gesto repentino della mano coperta da un guanto di velluto nero, Kikyo lo fermò, sentendo già le lacrime premersi contro gli occhi per scorrere selvagge sulle sue guance. «Oggi siamo qui per un funerale, agente Higemaru. Non ricordiamone un altro.»

Urie li aveva guardati scambiarsi un piccolo abbraccio e aveva scorto un certo turbamento negli occhi del giovane Quinx. Assottigliò gli occhi serpentini su di lui, quasi a rimproverarlo, così come aveva fatto con Aiko quando questa aveva candidamente ammesso che non avrebbe fatto rapporto su Kikyo. Poi scrutò il resto della combriccola. La Grande Ruota. Così li aveva chiamati proprio Masa quando gli aveva spiegato che Kikyo le aveva richiesto di poter fare intervenire alla cerimonia con alcuni dei membri di quella che agli occhi di Kuki era una setta sovversiva e potenzialmente pericolosa.

Perché simpatizzante per i ghoul.

Un branco di pazzi maniaci come quelli che venerano gli Ufo e si accampano attorno all’area 51.

Sospirò pesantemente, l’investigatore, con le mani avvolte nei guanti neri appoggiate al tronco solido e i pensieri lontani. Ormai erano quasi le quattro e mezzo quando un’altra auto si accostò al ciglio. Il conducente non scese dall’abitacolo, lasciando però che due figure si avvicinassero alla zona dove si stavano raccogliendo tutti. Urie rimase sorpreso. Una delle due era Kirishima, del bar :RE, la quale sorreggeva quello che un tempo doveva essere un ragazzino. In quel momento sembra più un nervo scoperto, del tutto sconvolto dal pianto che lo faceva tremare dalla testa ai piedi come un albero scosso dal vento. Ivak si alzò per andargli in contro, traballante per un motivo per diverso, ma dimostrando per la prima volta il suo interesse verso coloro che si erano presentati lì quel giorno. Appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo, sussurrandogli qualcosa mentre Kirishima si faceva da parte incrociando le mani sul ventre. Poi il ragazzo scoppiò in un pianto ancor più disperato, stringendo Aizawa alla vita.

Lui gli permise di farlo, rimanendo immobile con gli occhi verso la strada. In silenzio.

«Dovremmo iniziare», esordì con tono alto Korito, per attirare la sua attenzione. «Ivak…. Il ghiaccio è completamente andato. Tra poco inizierà a puzzare e non credo sia una bella scena da far ricordare a tutte queste persone.»

«Masa ancora non è arrivata», ricordò Komoto, saltando quando un’ape gli si avvicinò troppo. Urie prese un respiro per allontanare la stizza a proposito.

Aizawa, invece, annuì mesto, tornando sui suo passi e sorreggendosi al ragazzino biondo, mentre la cameriera si teneva un po’ a disparte. Lei e Urie si scambiarono un cenno di saluto, ma niente più.

A mani nude, il ragazzino e Aizawa iniziarono a scavare una fossa sotto a un pesco. Un ragazzo dai capelli ricci e neri appoggiò contro il tronco una targa, inchiodandola alla corteccia dura.

Ushiro sugata ga waratte iru.

La tua ombra sta ridendo.

Un proverbio che Urie trovava particolarmente incalzante se rivolto a Mei e a come aveva vissuto. Solo la sua ombra le apparteneva, chi lo sa quale fosse davvero il suo nome o la sua storia. Nel suo piccolo, l’investigatore sosteneva che tutte le cose che quella donna aveva detto ad Aizawa fossero bugie, come tutto il resto.

A interrompere quel pensiero presuntuoso fu l’arrivo di un’auto elegante, nera. Sembrava molto costosa e aveva anche i vetri oscurati. Non parcheggiò al margine della via, ma direttamente sul sentiero fra gli alberi poco distante da loro.

Da essa uscì un uomo alto, con un paio di occhiali da sole scuri sul naso e un trench beige dal bavero alto. Dalla parte del passeggero, invece, apparve Aiko, avvolta in un vestito di pizzo nero che le arrivava di poco sopra al ginocchio e con i capelli pettinati in un caschetto corto ordinato, per una volta. Si affiancò, tremolando sui tacchi a causa del terreno scosceso e tenendosi al braccio del suo accompagnatore. I loro occhi furono  la sola cosa ad incontrarsi, visto che lei non andò da lui, ma Urie aveva una sola domanda dentro di essi: cosa ci faceva lì il dottor Huang?

 

Aiko aveva fatto qualsiasi cosa in suo potere per tenere lontano Tatara da Urie. La sua paura era ovvia; temeva che l’albino venisse a conoscenza della loro situazione e filasse a dirlo a Eto. Non voleva avere un’ulteriore leva sulla quale l’aguzzino/amante avrebbe potuto spingere per ottenere da lei più di quel che già otteneva. Che infondo era tutto.

Si era quindi tenuta in disparte assieme al ‘dottor Huang’, affiancandosi senza quasi rendersene conto a Touka, rimasta sola a sua volta nelle retrovie della funzione. La cameriera si era irrigidita come un tavolo di marmo quando aveva capito con chi aveva a che fare in quel momento, ma Tatara non l’aveva degnata nemmeno di uno sguardo.

Aveva osservato Aizawa prendere il braccio di Mei con delicatezza, come se si trattasse di un neonato avvolto da fitte bende bianche, appoggiandolo nella terra nuda. Aveva buttato un pugno di terriccio su di esso, facendosi quindi il segno della croce e blaterando qualcosa in lingua slava, mentre accanto a lui il ragazzino biondo tremava, scosso da singhiozzi incontrollabili, che gli rendevano difficile il tenere le mani unite di fronte al viso.

Poi si erano rispettosamente spostati di lato, permettendo al resto delle persone accorse di dire addio a Mei, un pugno di terra dopo l’altro. Urie e Higemaru si erano avvicinati subito dopo Kuramoto e Shimura, mentre ancora Komoto cercava un guanto per poter toccare quella che ai suoi occhi era una sorta di fanghiglia demoniaca. Urie gliene aveva passato uno dei suoi, prima di chinarsi con un ginocchio ben piantato sull’erba, augurando a quella donna che infondo non conosceva per nulla un buon viaggio sino al luogo che la sua anima avrebbe raggiunto. Tenne le mani unite di fronte al viso per poco più di cinque secondi, il tempo di formulare questo pensiero, poi si alzò, andando a mettersi accanto a Aizawa. Era così distrutto che si sarebbe quasi aspettato di vederlo scavare un’altra fossa in cui buttarsi.

Touka appoggiò un giglio bianco accanto ai tanti fiori portati dai ragazzi della Grande Ruota, inginocchiandosi insieme a un ragazzetto dall’aria emaciata. Sembrava malaticcio, in effetti. Portava una sciarpa rossa che sembrava pesante nonostante il clima ancora mite. Era il primo settembre, ma lui sembrava pronto per la prima neve di novembre. Quando notò che Urie lo stava fissando, i suoi occhi si incurvarono come in un rispettoso sorriso di saluto, quindi si alzò e si allontanò con Kirishima, che lo guardava senza però venire ricambiata in alcun modo dallo strano ragazzo. Poi lei tornò dove era rimasta tutto il tempo, trovando Nishiki che la aspettava, con il cappuccio sulla testa e lo sguardo perso verso una giovane donna dai capelli rossicci e l’aria irritata.

Fu lei ad accompagnare Kikyo, che piangeva più discretamente, con il viso affondato in un fazzolettino di carta rosa a gattini. «Kimi, hai portato-?»

La ragazza annuì e le diede una scatolina. Kikyo la aprì e dentro c’erano delle fragoline essiccate di bosco. La appoggiò nella fossa, prima di buttarci altra terra.

Quanto tutti ebbero effettuato la loro sfilata, anche Aiko e Tatata si fecero avanti.

«Questo chi è?»

A porre la domanda era stata la persona più inaspettata di tutte le presenti. Urie si voltò meravigliato verso Kuramoto, mentre il biondino teneva gli occhi fissi sui due. «Il dottor Huang», fu la risposta soffiata di Kuki, ma l’altro non sembrava saperne nulla. «Non avete vissuto oltre un anno insieme? Come fai a non sapere chi è?», soffiò stranito il capo dei Quinx, corrugando la fronte. «Mi chiedo perché lo ha portato qui. L’ultima volta che li ho visti insieme, lei sembrava aver paura di lui.»

Un lampo attraversò le iridi di Itou, gelando Urie. Kuramoto aveva gli occhi azzurri.

«Allora ho capito chi è», decretò lapidario il prima classe. «Il suo fidanzato abusivo, come lo chiamava Take.»

Per un attimo fu come se ogni cosa fosse andata improvvisamente al suo posto nella mente di Urie. Aiko che si comportava in modo strano, spariva, il modo in cui sembrava spaventata da Huang…

Eppure non doveva vederlo più tanto spesso. Urie l’avrebbe saputo. Avrebbe percepito il suo odore. Anche se per la situazione sembrava sospetta. Forse per quello non gli si era avvicinato fino a quel momento. Non voleva che scoprisse che era venuta con il suo ex violento.

«Cosa sono quelli??», tuonò Aizawa,  mentre il dottor Huang adagiava un mazzo grande e pieno di fiori dai colori brillanti contro il tronco dell’albero.

Aiko fece finta di nulla, accendendo un tronchetto di incenso e portando le mani unite con ancora l’accendino fra le dita di fronte al viso. Tatara le lanciò un’occhiata, ma lei aveva già gli occhi chiusi, quindi rispose al patologo. «Sono papaveri. Erano i fiori preferiti di Nergui

«So benissimo cosa sono», sibilò imbufalito Ivak, prima di sbuffare una mezza risata. «Tutto questo è anche colpa tua, lo sai, vero??»

Masa spalancò gli occhi, ma non guardò i due uomini. Fissò la fossa ormai quasi del tutto ricoperta di terra chiedendosi quanto ci avrebbero messo i denti di Ivak a raggiungere il braccio di Mei.

Non successe nulla, però.

Tatara si appoggiò con le mani alle ginocchia, ignorandolo e iniziando a pregare in cinese. Così anche lei riprese a recitare qualche frase di circostanza a mente. Quando si alzarono, Aizawa prese l’albino per il braccio, strattonandolo.

«Credo che dovresti andartene.»

Questi lo scansò, senza troppe cerimonie, sistemandosi poi il bavero del cappotto. «Lo credo anche io.» Appurò l’altro, «Ma non mi sembra che la funzione sia finita.» Fece una pausa, avvicinandosi di un passo, come a sfidarlo a dire altro. Non parlava, ma quegli occhi avrebbero potuto trafiggere l’acciaio.

Aiko lo prese delicatamente per il polso, tirandolo indietro. «Jen», lo chiamò, usando il suo nome fittizio, «Per favore. Siamo tutti sconvolti per quello che è successo. Cerchiamo di concludere la giornata come si deve, per cortesia.»

Tatara non le diede molta retta, ma si allontanò di qualche passo, mettendosi di lato alla fossa, ma dall’altra parte rispetto ad Aizawa. L’aria che si respirava si era fatta così densa che fu Shimura a prendere in mano le redini dell’intera situazione, così da sbloccarla. «Qualcuno vuole dire qualche parola?»

Inizialmente, nessuno mosse un passo, poi a rompere il ghiaccio ci pensò Kikyo. «Era una buona amica», decretò con il tono rotto, ma convinto. Asciugò una lacrima al lato dell’occhio, prima di proseguire. «Mangiava sempre ciò che le cucinavo anche se poi la faceva stare male. Lei non lo sapeva, ma non mi importava che fosse un ghoul. Era la mia migliore amica e mi manca. Era una persona davvero meravigliosa.»

«Chi se ne frega se era un ghoul», a parlare, ora, fu il ragazzino biondo scosso dai tremiti.

«Moryumaru», lo chiamò con un filo di voce Ivak, cercando di fermarlo.

Questi però aveva già fatto un passo o due avanti, arrivando alla fossa, con il petto gonfio di coraggio. «Shinra si è sempre presa cura degli altri, ha sempre dato tutta se stessa per coloro a cui voleva bene. Mi è stata accanto quando la persona che amo è morta e mi ha permesso di andare avanti nonostante tutto ciò che volevo era vendetta. Il mio odio veniva lavorato dalle sue mani gentili come argilla e lo ha trasformato in accettazione. Ma come posso accettare anche questo? Colombe, ghoul, esseri umani…. Tutti abbiamo dei sentimenti!» stava gridando così forte da affannarsi, quel ragazzetto minuto, con la forza di un leone. «E nessuno di noi la conosceva! Nessuno di noi conosce mai le persone che ama, ma va bene così! Il nome è solo un nome. Ciò che resta sono i fatti e lei era una donna meravigliosa.» Con odio, voltò il viso verso Urie e Kuramoto. «Nessuno dovrebbe permettersi di uccidere solo perché ha un distintivo e-»

«Va bene così», Aizawa lo interruppe bruscamente.

Touka era così bianca da sembrare di marmo. Nishiki sembrava pronto a una lotta.

Tatara, annoiato, osservava la scena.

Aiko non sapeva come ne sarebbero usciti ora che quel giovane aveva dichiarato apertamente di essere un ghoul.

E con ben pochi giri di parole.

C’erano quattro agenti e, apparentemente, quattro ghoul.

Aiko ci mise due secondi netti a comprendere che doveva dire qualcosa in fretta per distrarre l’attenzione da Moryumaru.

«Non conoscevo molto bene Shukumei», iniziò, schivando la palla come se nessuno avesse quasi scatenato una tragedia. «Era una donna particolare, lo ammetto, molto elegante e di classe, attenta nel suo lavoro.» scambiò un’occhiata veloce con Nobunaga, che per tutta la celebrazione si era tenuto sul lato destro, accanto a un paio di colleghi, atterrito. «Non conoscevo bene nemmeno Sadako», proseguì quindi, «Che pareva l’opposto, almeno esteriormente. Ho avuto l’opportunità di incontrare Lisca, se vogliamo chiamare incontro quello che è successo fra noi. Di conseguenza, io non so niente di questa donna, assolutamente niente. Mi ha intervistato due volte e io l’ho interrogata una sola. Fine dei giochi, cala il sipario. Però oggi sono venuta non solo per supportare Ivak e…» Guardando Tatara comprese che era meglio non fare il suo nome. «E gli altri che la amavano. Sono venuta principalmente perché volevo vedere questo; quando una persona muore lascia dietro di sé lacrime e sorrisi mesti. Quando una persona muore è una candela che si spegne e un’anima che svanisce. Metà di noi non sapeva che fosse un ghoul. Probabilmente, l’altra metà non sapeva che si spacciasse per umana. Io la chiamavo Mei, altri Shukumei, alcuni Sadako, altri Shinra. Il fatto che abbia lasciato qualcosa nei nostri cuori dovrebbe essere motivo di forte riflessione, non di disputa. Ghuol? Umani? Chi siamo noi per giudicare un altro essere vivente?»

Moryumaru rise, spento, «Detto da una colomba.»

A quel punto, Aiko scrollò le spalle. «Magari è ora che le cose vengano cambiate.»

«Farò finta di non avere sentito», sbottò Urie, portando poi una mano alla fronte. «Così farò finta di non avere visto.» Guardò profondamente Moryumaru, scambiando uno sguardo di intesa con Komoto. Poi alzò le spalle. «In ogni caso, in quanto pubblico ufficiale, dichiaro il funerale concluso. Coprite quella fossa e andiamo tutti quanti a casa.»

Non voleva incidenti.

Sarebbe stato difficile spiegarlo a Matsuri, poi.

Il ragazzo con la sciarpa rossa passò lo sguardo in quello giallo di Masa, ma lei non lo notò, troppo grata che tutto si fosse concluso così.

Aizawa però voleva la battuta finale.

«Voi tutti mi fate schifo», ubriaco, si staccò dal braccio di Shimura, il quale ormai era arrivato al limite di sopportazione umana. «Ma tu», e indicò Tatara, facendo tremare nuovamente Aiko. «Tu più di tutti.»

L’albino, nuovamente, incassò. Guardò Ivak attraverso le lenti a contatto azzurre, facendo un passo indietro per iniziare ad allontanarsi.

Poi ci ripensò. E fronteggiò il medico. «Il sentimento che provava per te non era paragonabile a quello che l’ha legata a me. Per quanto tu possa odiarmi ed essere invidioso, sai che è così. Perché tu non l’hai mai capita, Junichi Aizawa. Mettiti l’anima in pace.»

Aizawa scattò.

Fu così veloce che se fosse stato sobrio sarebbe anche riuscito a rifilargli un pugno. Da sbronzo riuscì solo a sbilanciarsi e a cadere sul manto erboso senza gloria, mentre il dottor Huang salutava Aiko con un cenno. «Fallo disintossicare dall’alcool. Il suo fegato ha un limite di rigenerazioni», soffiò dispiaciuto di quella premura. Poi lanciò un ultimo sguardo ad Aizawa. «Addio», gli disse semplicemente.

Tranquillo e pacato.

In trionfo.

Aiko lo guardò andare via, mentre Shimura e Urie cercavano di rimettere in piedi Ivak, che si dibatteva come un salmone incollerito. «Io lo uccido! Quel maledetto bastardo! Non hai portato la maschera oggi? Mi fai schifo! È colpa tua! Tua

«Dobbiamo portarlo a casa», disse Korito, con gli occhiali storti sul naso, fissando poi truce Komoto che si era tenuto a debita distanza da tutto quel polverone non metaforico.

Masa si chinò su Ivak, togliendogli con uno strattone la bottiglia, che in tutto quel casino aveva tenuto fieramente al petto. Poi andò a svuotarla dentro alla fossa, buttando il resto della terra su di essa con il piede fasciato dal tacco dieci.

Aveva evitato una carneficina, non le sarebbe importato più di tanto di sembrare irrispettosa.

 

 

«Mi chiedo quanti ghoul ci fossero a quel funerale.»

Aiko non si prese la briga di aprire gli occhi. Continuò a canticchiare a bocca chiusa una canzone lenta, mentre appoggiata al cuscino, passava le dita lunghe e sottili fra i capelli rasati dell’undercut di Urie.  Era stato lui a porre quella domanda, quasi come se quel quesito lo assillasse sin dal momento in cui avevano rimesso piede allo chateau. In realtà non era così. A quel singolare funerale si erano presentate più persone di quante se ne fosse aspettato in un primo momento. Credeva che eccetto qualche sporadico conoscente, Shukumei non avesse amici. Né una famiglia. Non era nemmeno a conoscenza della Grande Ruota o di quante effettive identità avesse assunto in vita. Se solamente due di esse avevano attirato un numero del genere di persone, allora forse sarebbero riusciti a riempire un piccolo campo se avessero scavo più a fondo nella storia di Mei.

Non era il caso di farlo. Ormai era morta ed era giusto che si fosse portata con sé i suoi segreti e i suoi peccati.

Senza contare che avevano rischiato una rissa con meno di venticinque persone. Il doppio avrebbe portato sicuramente a una ressa da stadio.

«Mei ha avuto una relazione con il dottor Huang, vero?»

Masa, sempre tenendo le palpebre abbassare, arricciò la bocca in un sorrisetto. « Quando erano due ragazzini, a quanto so. Però non essere geloso, ho fatto il viaggio in auto con lui per non farlo venire da solo, anche se alla fine è scappato con la mia giacca sul sedile posteriore per colpa di Ivak.»

Urie sbuffò, scocciato. «Come al solito non hai capito il punto. Voglio solo sapere che collegamento c’è fra lui, Shukumei e te.»

«Perché me ne ha parlato lei», mentì spudoratamente Aiko. Si era naturalmente preparata un copione, nel caso in cui Urie avesse chiesto. «Ti ricordi quando siamo uscite a pranzo insieme? Abbiamo parlato dei nostri studi e alla fine è saltato fuori che anche io conoscevo Huang.»

«Lo hai chiamato tu per avvisarlo?»

«Sì, a quanto sapevo, sono sempre rimasti in buoni contatti e ho pensato che avrebbe voluto saperlo.»

Di nuovo, Urie sbuffò. Sembrava un treno a vapore. Non voleva tirare fuori la questione e rischiare di litigare dopo una giornata così stressante, ma quello che Kuramoto aveva detto lo aveva un po’ scombussolato. L’ex fidanzato abusivo, secondo Take.

Aiko socchiuse gli occhi, abbassandoli sul viso del ragazzo, premuto contro il suo petto.  «Mi stai facendo un interrogatorio? Se è così, allora voglio un avvocato.» Buttò fuori scherzosa, chinandosi per baciarlo sul volto. Poi abbassò la voce, «Non dirlo ad Aizawa, ma credo che si siano amati veramente molto, un tempo. E forse si amavano ancora, ma ci sono persone che non possono stare insieme anche se è tutto quello che vorrebbero.»

Il giovane non espresse apertamente il suo pensiero, ma si ritrovò a provare pena per Aizawa. Era distrutto, ridotto all’ombra dell’uomo che era sempre stato e tutto questo per una donna che forse, per intuizione velata di Masa, non gli era nemmeno stata fedele. Naturalmente se lo sarebbe tenuto per sé. Tornò ad affondare il viso contro i piccoli seni morbidi di Aiko, chiudendo gli occhi e rannicchiandosi su se stesso, nel disperato tentativo di scacciare dalla mente qualsiasi pensiero, al fine di poter riposare un po’ prima di cena. Raramente avevano a disposizione tutto quel tempo per riposare e anche se Aiko avrebbe avuto circa cinque giorni di fermo a causa dell’accumulo di ore di servizio sul campo, lui non avrebbe avuto la stessa opportunità.

Doveva approfittarne.

Sospirò piano, lasciando che la ragazza continuasse ad accarezzargli i capelli con tocchi delicati che non sembravano rappresentare il suo carattere a tratti spinoso, rendendosi contro sempre più che aveva permesso a quella ragazza di penetrare la spessa corteccia che si era costruito attorno dopo la morte di suo padre.

«Se io morissi tu saresti disperato come Ivak?»

La domanda arrivò a bruciapelo, facendogli socchiudere gli occhi. Non le diede comunque la soddisfazione di una reazione teatrale, tenuto soprattuto conto del fatto che lui non era mai teatrale. «Che domanda stupida.»

«Io sarei distrutta

Il tono di Aiko non tradiva nessuna reazione in particolare. Sembrava parlare in via puramente ipotetica. Se avesse provato ad indovinare il tempo atmosferico del giorno dopo, avrebbe avuto esattamente la stessa cadenza. Fu questo disinteresse per la sua stessa vita a spingere Urie a sollevarsi, arrivando ad appoggiare il capo sul cuscino, parandosi con una mano all’indietro i capelli spettinati.

«Vorrei solo capire a cosa cazzo pensi, Aiko.»

Anche lei si spostò, mettendosi a pancia sotto, con i gomiti bene appuntellati al materasso. Lo guardava dall’alto, con un’espressione indecifrabile, mentre il lenzuolo che li copriva le scivolava via dalle spalle, lasciando nuda la schiena del colore della porcellana.

«La vita è così imprevedibile», gli rispose, inclinando di lato il capo, prima di sorridere. «Oggi sei fidanzato con una tipa da paura e domani scopri che è un ghoul. La vita di Aizawa è stata completamente sconvolta nel giro di un battito di ciglia, questa consapevolezza mi spaventa, sai?» Fece una piccola pausa, prima di alleggerire l’intera situazione con una risatina sforzata. «Se ci trasferissimo in Francia? Mi hanno detto che Parigi è bellissima. Tu potresti fare il pittore, vivere di arte e io sarei la tua musa.»

Urie alzò un sopracciglio. «Nessuno vive più di arte.»

«Che schifo il cinismo. Sogna in grande, sei giovane.»

Aiko portò le mani a contornarsi il viso, mentre continuava a guardarlo. Urie avrebbe voluto solo una cosa in quel momento, ancor più di una promozione o di qualsiasi gratificazione; guardare quelle iridi dorate e capire cosa nascondessero. «Sei così inquietante», si ritrovò invece a borbottare, girandosi sul fianco, messo alle strette da quello sguardo che di limpido non aveva nulla, ma lo faceva sentire nudo.

Che poi lo fosse nel senso letterale del termine, non c’entrava affatto.

Masa rise, appoggiandosi col mento alla sua spalla e abbracciandolo da dietro. Poi espirò così profondamente che lui avvertì le costole premere contro la sua schiena nuda.

«Dovremmo farlo davvero, sai? Partire per Parigi, andarcene. Abbandonare tutto. Se non lo facciamo ora, finiremo come Orihara, come Osaki e come tuo padre. Come Shirazu.» La voce le si affievolì fino a sparire, quando nominò il loro ex compagno di squadra. Kuki si ritrovò a chiedersi come fosse possibile che dal nulla fossero tornati a parlare di tematiche così delicate. Quel rollercoaster di emozioni non faceva per lui. «Io non voglio morire su un campo di battaglia prima di capire chi davvero voglio posso diventare.»

La spiò oltre la spalla, prima di tornare a voltarsi, facendola appoggiare con la mano al centro del suo petto. Le passò il dorso della mano sulla guancia, andando poi a giocare con una ciocca dei capelli neri come la pece, lucidi e lisci, che arrotolò attorno all’indice.

«Non credevo avessi paura di morire…»

«Mi stupisce che tu non ne abbia.»

Anche quella era una bella osservazione. Aveva paura di morire? Urie non lo sapeva. Guardava sempre così tanto avanti da non tenere conto delle variabili. Aveva sempre visto uno sfavillante futuro di fronte a sé, privo di qualsiasi distrazione. Aveva separato la parte umana del suo cuore e l’aveva relegata in profondità nel suo animo al fine di fare sempre le scelte più oculate. Eppure eccolo lì, steso in un letto con una donna, invece che chino su una scrivania nel suo giorno di riposo, a mostrarsi dedito al lavoro e alla causa del ccg.

Variabili.

La vita era fatta di variabili e la più definitiva di essa era la morte.

Eppure lui la esorcizzava.

«Non moriremo», decretò lapidario, come se fosse lui a deciderlo. Come se ne avesse il potere. «Siamo più forti e siamo in due. Vorrà pur dire qualcosa tutto questo tempo che mi fai perdere.»

Aiko sbuffò, non riuscendo però a non sorridere di nuovo. Si chinò, facendo per prendere le sue labbra e chiuderle in un bacio. All’ultimo, però, si bloccò. Allungò la mano verso il comodino, afferrando il gattino bianco di peluche e piazzandoglielo davanti al viso.

«Se dovessi morire prenditi cura di lui», gli disse, come se stesse parlando di un gatto vero. «E magari anche del cane che potremmo-»

«Non prenderemo un cane.»

«Antipatico!»

Gli tirò in faccia il gattino, senza metterci troppa forza, prima di recuperarlo e accoccolarsi dall’altra parte del materasso a una piazza e mezzo. Urie portò una mano a coprirsi gli occhi, totalmente esasperato.

«Donne», sussurrò sfinito, girando subito dopo il capo per spiarla. Gli aveva rivolto la schiena nuda, lucida tanto era chiara, con le scapole in evidenza a causa della magrezza della giovane. Urie prese un bel respiro, decidendo che poteva perdonarla.

Le si avvicinò, sollevando le coperte per coprila fino al fianco, oltre cui passò il braccio. Quando si accoccolò di nuovo, con la guancia contro la spalla di Aiko, sperò di non essere disturbato ancora per l’ennesima volta.

Però, se mai si fosse offesa, allora avrebbe preferito sentirla blaterare.

Aiko fu clemente. Appoggiò una mano sulle sue, incrociate sul ventre piatto della ragazza, mentre con l’altra teneva il prezioso pupazzo.

Lui si addormentò, sollevato.

Lei, invece, non chiuse occhio, continuando a stringerle la stoffa morbida dell’animaletto e con la mente proiettata al discorso che aveva avuto con Take.

Era un chiodo fisso per lei. Un argomento che iniziava a diventare sempre più prioritario nella sua mente.

Perché sapeva che Urie, al contrario di Hirako, non l’avrebbe perdonata.

Se avesse scoperto tutto non ci sarebbero più state vacanze, pomeriggi passati a letto, liti e prese in giro sottili.

Non ci sarebbe stato nulla.

Ironicamente, pensò proprio a Shukumei, alla loro ultima conversazione vera, sedute al tavolo della sua cucina, mentre preparavano l’articolo contro la ccg. Ripensò al loro brindisi e alle scelte future che le avrebbero definite.

Quelle di Mei l’avevano condotta alla tomba.

Quelle di Aiko dove avrebbero portato?

Probabilmente in un luogo, se possibile, ancora più freddo.

 

Continua…

 

 

Nda

Canzone citata a inizio capitolo: Love is Blindness, dalla colonna sonora del Grande Gadsby.

 

 

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Capitolo 25
*** Quarto intermezzo - Parte unica ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Quarto intermezzo: Fiori di Fuoco.

Parte unica.

 

 

Fu l’investigatore che l’aveva trovata a terra, paralizzata dallo shock, seduta nella sua urina e nel sangue dei suoi compagni di squadra, ad offrirsi di riaccompagnarla a casa una volta dimessa dall’ospedale. Era gentile con lei. Si era premurato di aiutarla a mettere in una borsa i pochi vestiti che le aveva portato Shinichi i primi giorni di ricovero, ma poi il fratello poi non si era più fatto vedere. Così come sua madre.

Lei non trovava le parole per ringraziare il superiore, seguendolo con un braccio che le pendeva appeso al collo con un foulard a fiori azzurro, coperto da un pesante gesso. Dall’Operazione per lo Sterminio del Gufo col Sekigan della ventesima, Aiko era uscita quasi indenne. Una semplice dislocazione della spalla, che i dottori avevano rimesso al suo posto direttamente sul campo di battaglia.  Era stata trattenuta in ospedale per accertamenti, ma non di natura fisica. Avevano temuto un crollo mentale, una procedura standard per tutti i novellini superstiti, così come ai veterani navigati. Aiko aveva visto diversi colleghi venire brutalmente uccisi e quelli che invece erano sopravvissuti all’orrore lo rivivevano nelle loro menti, ad ogni ora del giorno e della notte, in preda ai deliri.

«A questo lavoro devi farci in fretta il callo», le aveva detto l’investigatore gentile, mentre la aiutava ad allacciarsi una camicetta leggera, così da non dove chiamare le infermiere. Le sue mani erano delicate e gentili quanto il tono della sua voce. «Dopo un’esperienza come quella che hai vissuto, agente Masa, può fare solo due cose: crescere o scappare. Se deciderai di rimanere, farò in modo che ti inseriscano in una buona squadra.»

Lei aveva sorriso tirata, un po’ imbarazzata per quelle premure totalmente ingiustificate, ma grata. Quando si era ritrovata la mattina della dimissione da sola, senza che né sua madre né suo fratello si fossero curati di rispondere a una chiamata dell’ospedale, aveva già iniziato a pensare di come fare per evitare la metropolitana. Poi aveva incontrato il suo salvatore, che quella notte l’aveva rimessa in piedi a forza nonostante anch’egli fosse spompato, senza energie. L’aveva caricata a forza su un’ambulanza e in quel momento l’avrebbe anche riportata a casa.

«Grazie, classe speciale Ui. Non dovrebbe disturbarsi tanto per me.»

Lui sorrise, di nuovo gentile e posato. «Intanto ero in ospedale. Sono venuto a trovare un amico. Non è un peso per me darti un passaggio.»

Le aveva porto il braccio come appoggio e si erano avviati verso l’uscita, deviando solo lungo un corridoio più interno.

«Un ultimo saluto e poi possiamo andare, ti dispiace?», le aveva domandato temendo che lei potesse essere troppo provata, ma Aiko annuì velocemente, per fargli capire che stava bene e poteva accompagnarlo ovunque volesse. Dopotutto le stava facendo un grande favore. Si tenne al suo braccio, parando i ciuffi neri che sfuggivano alla lunga coda di cavallo dietro alle orecchie con fare nervoso.

L’idea di tornare là fuori la agitava.

L’idea di ritrovarsi Eto di fronte, magari in casa ad aspettarla, la rendeva isterica.

Eppure non aveva scelta. Di tornare a vivere con sua madre non se ne parlava. Aiko per prima avrebbe preferito dormire sotto un ponte, constatando che almeno la compagnia dei ratti sarebbe stata migliore. Forse Shin poteva ospitarla un paio di notti, ma la sua fidanzata sembrava avere una qualche sorta di avversione verso di lei. “Ho sempre odiato i piedi piatti”, insisteva ogni volta che la vedeva, storcendo il nasino alla francese e scrollando il capo pieno di ricci tinti di un appariscente rosso. A nulla serviva spiegare che il ccg era ben diverso dalla polizia; l’aveva sempre odiata e apparentemente senza motivo, visto che lei e Shinichi non erano affatto affettuosi l’uno nei confronti dell’altra. Tutt’altro, negli ultimi anni  i loro rapporti si erano fatti ancora più freddi di quanto lo fossero mai stati.

Un cigolio la costrinse a smettere di pensare alla miseria in cui era sprofondata. Una porta lasciata aperta regalava l’immagine di quello che a primo impatto gli parve una bambina, ma che poi si rivelò essere Suzuya. L’aveva riconosciuto subito, nonostante fosse seduto su una sedia a rotelle, con il poco della gamba che aveva perso avvolta da garze candide, come la mantellina che indossava. Vegliava il letto del classe speciale Shinohara, in silenzio, con gli occhi grandi e amaranto che si spostarono su di lei non appena Aiko si fermò sull’uscio per dedicargli un istante.

Timidamente alzò una mano e lo salutò, vedendo il gesto ricambiato, con sorpresa. Sembrava una persona così diversa da quella che aveva visto lanciarsi con la moto di Marude in mezzo al caos più totale, nemmeno un anno prima. Suzuya, l’eccellenza, lo sterminatore di ghoul, in quel momento gli parve piccolo e fragile.

Proseguì per la sua strada solo quando sentì bussare forte contro un’altra porta, poco distante dal punto in cui si era arrestata. Era stato Ui, fermatosi a un paio di stanze di distanza. «Posso?», aveva domandato, «O vieni tu ad aprirmi per invitarmi ad entrare?», era stata poi la domanda canzonatoria. Aiko non ne aveva capito il senso. Lo colse solo quando, entrando di seguito al classe speciale, vide un uomo nel letto. Aveva il collarino a bloccargli i movimenti del capo e quello che sembrava un bustino rigido svettare oltre il bordo delle lenzuola. Non sembrava passarsela molto bene, emaciato in viso, con qualche cerotto qua e la sulla fronte e sulle tempie. Una mano era completamente avvolta dalla garza medica.

Le sole a sembrare sane erano le gambe.

«Io allora torno a casa», stava dicendo Koori, infilando una mano nella tasca dei pantaloni scuri. «Se hai bisogno di qualsiasi cosa, di agli infermieri di chiamare me. Non aspettarti che arrivi lui a darti una mano.»

L’uomo nel letto sospirò  incolore, «Arima arriverà solo quando sarò morto e anche in quel caso con calma. Tanto dirà che non c’è fretta, non posso andare molto lontano. »

L’investigatore col caschetto ridacchiò, mentre gli occhi sottili dell’uomo nel letto si spostavano su Aiko, ferma accanto alla porta, lasciando ai due amici il loro spazio in modo rispettoso. Quando se ne accorse, Ui la presentò. «Lei è il terzo livello Masa Aiko», disse verso l’uomo coi capelli rossi, prima di indicarlo alla giovane con un gesto veloce, ma elegante, della mano. «Questo è il prima classe Hirako. Penso tu abbia sentito parlare di lui.»

A dire il vero no, fu il pensiero di Aiko, che però annuì ugualmente. Avanzò verso il letto e fece per stringere la mano dell’uomo, ma la destra le pendeva dal collo mentre quella di Hirako era bendata. Fece quindi il giro del letto e si strinsero la mancina.

«Piacere di conoscerla, prima classe.»

«Take», le disse lui, semplicemente.

Masa sorrise appena, «Aiko.»

«Se volete vi organizzo un appuntamento». Li informò Ui, controllando l’ora. «Non adesso però. Devo tornare in sede. Masa vieni, ti porto a casa, devi riposare.» La mora ubbidì immediatamente, tentando di scappare allo sguardo affilato dell’altro che non mostrava nessuna emozione. «Ti dimettono la prossima settimana, vero Take?»

«Se riesco a convincerli, dopodomani.»

Il ragazzo col caschetto scosse il capo, salutandolo con un cenno e uscendo per primo, di nuovo seguito fedelmente dalla ragazza. «Dopodomani», ripeté con tono divertito. «Nemmeno la schiena rotta lo ferma». Accorciò il passò, così da accostarsi ad Aiko, che lo osservava in silenzio. Era troppo imbottita di ansiolitici per permettersi il lusso di essere curiosa. «Ha combattuto contro il Gufo col Sekigan», le fece sapere, non suscitando nessuna emozione in lei. Non sapeva ancora così tanto di Eto, in ogni caso. «Dovresti fartelo amico, è una brava persona.»

Masa accettò quel consiglio con un sorriso di circostanza. «Lo terrò a mente, classe speciale Ui.»

La luce del sole, brillante e accecante, la paralizzò poco oltre le porte scorrevoli dell’ingresso. L’aria fresca la fece sentire nuovamente libera.

«Koori», disse l’investigatore gentile, prendendo il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni. «Solo Koori.»

Aiko ne accettò una, sapendo che tutto ciò che stava facendo quell’uomo per lei, faceva parte di una terapia riabilitativa che i dottori e gli infermieri non potevano capire. Ma lei sì, perché era come se fosse una delle regole di un codice non scritto fra colleghi.

Il sorriso le divenne vero, pieno e di nuovo luminoso.

«Grazie, Koori.»

 

Capitolo venticinque.

«Questo è formaggio?»

Aiko alzò la busta che emanava un tanfo incredibilmente forte, così tanto che se non se ne fosse sbarazzata nel giro di qualche minuto avrebbe anche potuto appestare l’intero appartamento. Non si azzardò ad aprire il sacchetto, si fidò del suo olfatto e reprimendo la voglia di vomitare se ne liberò in fretta, utilizzando la rampa per i rifiuti che dava sul secchio esterno del pattume misto. Strofinò le mani come per pulirsele, ritrovandosi poi a fissare uno dei vicini. Lui non voleva proprio staccarle gli occhi di dosso così Masa prese di nuovo la porta, chiudendola con una mandata doppia.

«Attenta, accanto a te vive un maniaco.»

Eto non alzò nemmeno gli occhi dal portatile che teneva sulla pancia. Sogghignò divertita, «Ci credo, Ai. Ti sei accorta di come sei uscita?»

Aiko alzò un sopracciglio, prima di abbassare gli occhi sui pantaloncini da casa e il reggiseno nero che indossa. Non aveva altro addosso.

«Non conta», proseguì il lavoro di pulizia, iniziando a buttare delle cartacce dentro al cestino che si stava portando dietro per tutto il salotto. «Si sarebbe dovuto voltare molto pudicamente e farmelo presente.»

«Finisci di fare la santarella per un minuto e vieni qui, voglio farti leggere una cosa.»

La mora lasciò perdere quello che stava facendo – sistemare l’intera casa avrebbe impiegato tutto il giorno, intanto- e si arrampicò sul divano ad angolo nero, appollaiandosi accanto all’altra. Spiò lo schermo, inclinando di lato il capo.

«Cavolo, sono un bel po’ di soldi», constatò, dopo aver finito di leggere le annotazioni dell’editore. «Però vuole che apporti dei tagli.»

«Tagli che non apporterò», decretò decisa Eto, serafica come al solito, mentre chiudeva la casella email e apriva un documento del desktop. «Beijng Re sarà la mia ultima opera e di conseguenza sarà la mia eredità. Non permetterò che-»

«Aspetta. Ultima opera? Hai intenzione di uccidere Takatsuki Sen?»

Eto sorrise sinceramente di fronte al dispiacere che lesse negli occhi di Aiko. Le poggiò una mano sul ginocchio. «Tutto prima o poi finisce», le disse, senza il minimo rimpianto, prima di indicarle una parte del suo elaborato. Masa si chinò sullo schermo e lesse. «Non mi ricordo questo personaggio.»

«Perché arriva alla fine», le rivelò quindi la scrittrice, prendendo una radice di liquerizia e iniziando a succhiarla avidamente.

«Chi è?»

«La Regina dei Ghoul.»

Aiko continuava a non capire. Corrugò la fronte, sistemandosi meglio contro il fianco di Eto, che risultava più bassa di lei di una ventina di centimetri quasi. Scrollò le pagine una ad una, fino ad arrivare alla conclusione di uno dei capitoli conclusivi. Il terzultimo. Poi tornò a guardarla.

«Sembra che tu stia parlando di te stessa.»

«No», le rivelò Eto, col capo appoggiato al suo braccio nudo e lo sguardo perso da qualche parte sulla carta da parati chiara. «In realtà mi sono ispirata di più a te che a me.»

A quelle parole, Aiko rise. Scosse il capo, portandosi una mano alla tempia e guardandola dall’alto, come se improvvisamente Eto si fosse rimbecillita, «Io non sono così», disse con disarmante consapevolezza. «Stai mangiando troppi dolci.»

Le tolse dalle mani un sacchetto pieno di liquerizie multi gusto, credendo di aver suscitato nel temibile Gufo una certa insoddisfazione. Non era stato il suo gesto però.

«Come credi di essere, allora?»

Masa portò un dolcetto alle labbra, prima di sigillare la busta e appoggiarla su uno dei tanti ripiani della libreria. «Manipolabile e manipolativa. Bugiarda. A tratti debole», si grattò la guancia, scrollando quindi le spalle magre, mentre iniziava a raccattare maglioncini e gonne colorate, sparsi per il pavimento e i divani. «Spero attraente», terminò, ammiccando pericolosamente.

Eto non sembrava ancora soddisfatta, quindi Aiko smise di fare tutto quello che stava facendo per ascoltarla. Il ghoul minuto prese un respiro enorme, gonfiando il petto e chiudendo gli occhi come se le costasse fatica sopportare quella situazione. Poi si sgonfiò rapidamente, come una camera d’aria tenuta aperta.

«Devi leggere tutto il mio libro, Ai-chan. Sei una delle poche persone che non l’ha ancora finito.»

«Questo perché l’unico elaborato definitivo che mi è capitato fra le mani era parte di un caso e quindi sigillato nella sala prove.»

Il caso Lisca. Avevano trovato il manoscritto di Takatsuki Sen sul letto sfatto, ma nessuno vi aveva prestato attenzione. Shukumei Khurei era una giornalista, sicuramente l’aveva ricevuto per poterlo recensire. Masa sapeva che non era così, però. Doveva averglielo mandato la stessa Eto.

«Prima di andare via prendine una copia dalla mia scrivania. Così non avrai più scuse!»

«A proposito di cose da leggere», come folgorata, Masa tornò a sedersi accanto all’altra. Guardò il ghoul chiudere il portatile e buttarlo senza delicatezza fra i cuscini morbidi dall’altra parte del divano, prima di allungarle una spazzola. Aiko si sistemò, mentre Eto le dava le spalle, iniziando a scostare i capelli lunghi sulla schiena per poterli pettinare. «Il rapporto sull’omicidio della famiglia di Mutsuki-»

«Sono affascinata, sai? Ammazzare ad asciate il proprio padre, la propria madre e anche il fratellino», Eto sospirò quasi ammirata, chiudendo gli occhi ai primi colpi di spazzola. «Forse ho sbagliato agente, sai? Avrei dovuto prendere lui al tuo posto. Avrebbe già sterminato metà del ccg senza nemmeno avere un ordine.»

Aiko alzò un sopracciglio, prima di colpirla piano sul capo. «Credi Tooru che potrebbe diventare un problema, per me?»

Il ghoul soppesò la questione, prima di rispondere. «No. Quel ragazzo, per quanto fuori controllo in modo assolutamente imprevedibile, finirà solo col rovinare se stesso. Non curartene o fai un po’ la carina con il tuo capo per farglielo notare.»

«Meno parlo con Urie meglio è», fu la risposta pronta di Masa, mentre cercava di domare le ciocche verdi, le quali non andavano mai nella medesima direzione. «Lo sai che non lo sopporto.»

Di nuovo, Aiko le mentì riguardo il suo rapporto con Kuki.

Di nuovo, Eto finse di crederle.

«Invece di perdere tempo su svitati ragazzini con l’ascia, perché non mi fai un favore?»

Masa fermò il braccio, stupita dal tono utilizzato dall’altra. «Qualsiasi cosa, lo sai.»

«Trova Amon Kotaro.»

L’investigatrice rimase momentaneamente senza parole. Sembrava semplice, buttata così, come una richiesta elementare. Come se le avesse chiesto di portare fuori la spazzatura –magari vestita, questa volta- oppure di farle le trecce.

«La pista è un po’ fredda», tentò Aiko, mentre nel suo cervello iniziavano a vorticare così tante teorie da farle salire la nausea. «Senza contare che non sappiamo ancora chi lo ha aiutato nella fuga.»

«Voglio sapere soprattutto questo, in effetti.»

Da sotto un cuscino, Eto prese un oggetto. Lo alzò dietro la spalla, passandolo alla mora, che lo afferrò stranita fra le dita pallide. «Questo è un contenitore di gas CRC», pensò a voce alta, come se stesse parlando più a se stessa che all’altra. «In dotazione agli agenti del ccg. Lo avete trovato nel luogo in cui Amon è stato prelevato?»

Eto si voltò di tre quarti, rovesciando indietro il capo per guardarla. «Esattamente.»

Masa pensò che potevano esserci scarse possibilità di ricavare delle impronte digitali decenti da quel misero contenitore di metallo. La stessa Eto glielo aveva passato senza utilizzare guanti. «Se è stato qualcuno di interno al ccg si sarebbe in qualche modo saputo. Tsubasa conosce gli affari di tutti, me l’avrebbe detto.»

«Come se lo scarafaggio sapesse tutto. I sono piuttosto sicura del fatto che ci sia qualcuno dei tuoi colleghi con un grosso segreto. Magari ex colleghi.»

Aiko annuì. Aveva in mente un paio di persone che avrebbero potuto darle delle risposte e la prima era sicuramente Takizawa. Chi era vicino a Amon? Chi aveva la possibilità di strisciare su un’isola piena di ghoul per portarlo via? O magari era stato un ghoul a farlo? In quel caso, come aveva ottenuto il gas CRC?

Doveva iniziare a lavorarci il prima possibile.

«Ti tengo aggiornata», disse ad Eto, infilandosi la maglietta e un paio di jeans, prima di sparire nell’ingresso. Quando dopo pochi istanti la porta della camera da letto si aprì, per poi richiudersi in un battito di ciglia, Eto sospirò.

Si appoggiò contro lo schienale del divano, con gli occhi dissi al soffitto.

Dalla stanza da letto, un’ombra si affacciò.

«Avevi ragione, non sembra saperne nulla riguardo lo Spaventapasseri. La teoria di Tatara era sbagliata.»

Il Gufo annuì, prima di voltare il capo per guardarla quella figura misteriosa. «Ne sono sollevata, ma tienila d’occhio. Sta diventando troppo avventata e potrebbe mettersi nei guai.»

L’ombra annuì, per poi sparire di nuovo.

 

 

Masa timbrò l’ultimo cartellino prima della sua settimana di ferie arretrate, dopo tre ore di straordinari probabilmente non pagati, quella domenica sera. Due giorni dopo il funerale di Mei.

C’era stata una improvvisa epidemia di influenza tra gli investigatori interni e quindi a tutti quanti gli agenti di livello inferiore alla prima classe era stato imposto un minimo di servizio interno a raccogliere deposizioni deliranti. Tutto nella norma.

«Stasera cerchiamo di trascinare Aizawa a Omohara?», chiese la mora, mentre Urie le camminava a fianco, ignorando del tutto il fatto che il povero Ivak se ne stava a qualche passo da loro, muto come un pesce, così grato del passaggio che gli era stato concesso da non rispondere a tono. Nonostante continuasse a recarsi al lavoro seguendo i suoi turni e anche quelli degli altri gli era stato interdetto l’uso dell’automobile.

Prima da Shimura.

Poi dalla polizia urbana di Tokyo, che lo aveva trovato stampato contro un palo dello stop con una mano sul volante e l’altra su una  bottiglia. Tre mesi di sospensione della patente e avevano chiuso un occhio solo perché aveva un cognome ‘carino’, altrimenti quella patente gliela avrebbero fatta ingoiare intera.

«Fai come vuoi, ma io non vengo», disse Kuki, come se fosse ovvio. Aiko lo guardò un po’ male e lui sospirò. «Una festa in una discoteca all’aperto per festeggiare la fine dell’estate? No grazie, passo. Ti aspetto a casa.»

«Col cazzo che vengo a una festa», aveva intanto borbottato il medico, sì grato per il passaggio ma un po’ meno per il modo in cui Urie quella mattina stessa lo aveva buttato giù da letto gettando tutte le bottiglie che aveva trovato per casa nel cassonetto. Dalla finestra aperta.

«Va bene, va bene», li interruppe la ragazza, entrando per prima nel parcheggio custodito della sede centrale e tenendo aperta per loro la porta taglia fuoco. «Chiederò a qualcun altro di venire con me. Sicuramente Kuramoto e Takeomi saranno più da party e meno da gerontologia.»

«Sono diciotto ore che faccio avanti e indietro dal laboratorio all’ufficio», dichiarò Urie, senza nemmeno nascondere minimamente il fatto che fosse stanco. «Ti prego di avere pietà di me.»

«Niente mezzucci per farti cambiare idea?»

«Niente mezzucci per farmi cambiare idea.»

Ivak storse la bocca, iniziando a salire le scale di cemento, sempre al seguito. «Il giorno del vostro matrimonio potrò fare il testimone dello sposo?», chiese a bruciapelo, gelando entrambi. Attese una risposta che non arrivò mai, passando gli occhi da un profilo all’altro di quella, secondo lui, era la coppia più felice che conosceva.

Il che la diceva lunga.

«Così potrò dire di avere avuto anche io un ruolo importante nel grande giorno di qualcuno.»

«Aizawa, smettila», lo supplicò Urie, al limite.

«Io non mi sposerò mai. Morirò da solo e non avrò nemmeno un gatto perché mi scorderei di lui e morirebbe di fame. Vorrei almeno essere bravo con i pesci, come Komoto

Arrivarono alle fine delle scale che davano sul terzo livello del parcheggio e Aiko lo guardò con compassione. «Lo so che è presto», iniziò con delicatezza, dicendo però come sempre la cosa più sbagliata. «Però ci sono tanti pesci nel mare. Troverai sicuramente la donna giusta per te prima o poi. Devi solo avere pazienza.»

Urie le prese il braccio, tirandola dietro ad un SUV.

«Perché lo hai detto?» Aiko socchiuse le labbra per rispondere, ma lui gliele coprì con la mano guantata. «Questa è l’ultima cosa che una persona in lutto vuole sentirsi dire. Dopo un mese puoi dirlo. Non dopo una settimana, Aiko. »

Lo morse, per poter rispondere. «Questa è la classica frase di circostanza», borbottò, sporgendosi verso di lui per tenere il tono basso. «Tu gli hai buttato l’alcool e io non posso fare osservazioni banali? Sei il solo che ha la prerogativa sui cliché?»

Urie non capì. «Quello che hai detto non ha senso», puntualizzò, mentre si massaggiava la zona dove i dentini piccoli ma affilati della collega erano affondati con una certa forza, tale da lasciare il segno sotto al cuoio  nero. «Io gli ho evitato la cirrosi epatica, tu lo hai depresso ancora di più. Ho visto la vita abbandonare i suoi occhi mentre parlavi.»

Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo, mentre uscivano entrambi da quel nascondiglio di fortuna per andare alla loro aiuto. «Sei come al solito esagerato. Cosa vuoi che succeda per due parole dette per circostanza?»

Non videro subito il medico.

Dovettero spostare lo sguardo fino a un posto auto vuoto.

Il dottore biondo se ne stava in piedi sul muretto di protezione di cemento, con lo sguardo verso il cielo, nell’attesa palese di buttarsi di sotto e terminare così la sua vita.

«AIZAWA!»

Lo sbraitarono insieme, più o meno con la stessa intensità, seppure la voce di Urie uscì più acuta di quella della ragazza. Lo raggiunsero con una piccola corsa, ma lui li fermò, voltandosi col capo e alzando una mano. «Non avvicinatevi! Lo faccio! Io mi butto!»

«No, non buttarti, ti prego!», gli disse Masa, portandosi le mani al volto esangue. Era già pronta a prenderlo al volo col kagune, ma la calibrazione della forza poteva essere sbagliata e avrebbe rischiato di tagliarlo in due. Era semplice usare uno scudo, difficile una lenza. «Non sprecare la tua vita così!»

«Guarda cosa hai combinato!», stava nel frattempo sbraitando Urie, isterico. «Perché non stai mai zitta?!»

Aiko socchiuse le labbra, guardandolo con gli occhi spalancati. «Colpa mia!?», domandò, sensibilmente offesa. «Io ho detto una cazzo di frase di circostanza

«Questo lo hai già detto!»

«Ma evidentemente tu sei idiota e non l’hai capito!»

«Ragazzi,» Aizawa li guardava dall’alto, un po’ basito. Lui voleva porre fine alla sua vita vuota e loro riuscivano comunque a litigare fra loro in un momento del genere. Fu questo a innescare una molla nella mente del biondo. La vita, purtroppo, va avanti. Avrebbe trovato qualcuno? Ne dubitava, così come dubitava che sarebbe mai stato pronto, ma infondo quella frase di Masa che lo aveva fatto precipitare in un abisso di sconforto non era così sbagliata.

«Sei un idiota Cookie! Devi sempre attribuirmi la colpa di tutto!»

«Aiko, cazzo, fai suicidare le persone!»

Aizawa scese da quel muretto e loro nemmeno se ne accorsero, troppo presi.

«Tu invece? Tu fai venire la cistite alle persone!»

«Perché non stai zitta, stupida oca?!»

Le braccia di Ivak, che abbracciarono le spalle di entrambi, praticamente lasciandosi cadere contro di loro, li fecero infine desistere.

«Almeno voi amatevi. E amate soprattutto me.»

Aiko espirò profondamente, sentendo la rabbia scemare. Appoggiò una mano al centro della schiena del dottore, trovandoci già quella di Urie.

«Scusa Ivak», sussurrò la ragazza, prima di staccarsi per guardarlo. «Ti portiamo a casa, va bene?»

Il biondo annuì mestamente, avviandosi con loro all’auto.

Il recupero sarebbe stato lungo e doloroso e anche qualora fosse riuscito a lasciarsi alle spalle la sensazione di non poter mai più essere felice nella sua vita, ci sarebbero sempre stati giorni nel quale si sarebbe sentito sul ciglio di un precipizio di venticinque metri.

Esserne cosciente lo avrebbe aiutato, ma non subito.

 

 

Lasciarono Aizawa a casa sua, premurandosi che stesse bene e che avesse qualcosa da mettere nello stomaco eccetto le bottiglie di alcool che doveva aver seminato per l’appartamento, lontano dai loro occhi.

Portarono fuori la spazzatura e arieggiarono il suo appartamento, finchè non fu lo stesso dottore a buttarli fuori, facendo promettere a Urie di ripassare la mattina successiva per riprenderlo. Voleva rimanere un po’ solo per i fatti suoi e loro lo capirono.

Non parlarono granché in auto, ancora un po’ offesi dalla loro precedente lite e soprattutto imbarazzati da come essa aveva messo da parte il tentativo goffo dell’amico di farla finita. Difficilmente si sarebbe buttato per davvero, Aizawa aveva qualche mania di protagonismo e voglia di attenzioni, soprattutto nell’ultimo periodo, ma come potevano saperlo per certo? C’erano dei momenti in cui erano sicuri che tutto quel dolore fosse solo il suo modo di ingigantire platealmente ogni cosa.

Altri in cui erano sicuri che non ne sarebbe uscito vivo.

Quello era uno di quei momenti.

 

Quando rimisero piede allo chateau ad accoglierli ci fu un odorino invitante e il dolce sottofondo delle risa.

Era parecchio che non succedeva ed entrambi sapevano il perché.

Di fronte ai fornelli, con i capelli neri che gli ricadevano sul viso celandolo di poco alla vista, c’era Sasaki. aveva addosso il suo vecchio grembiule a fiori, i soliti occhiali da vista sul naso e la sua maestria culinaria non doveva essere mutata nel tempo, a giudicare dal profumo che quello stufato aveva.

Il suo sorriso però non aveva niente con quello che sia Aiko che Kuki ricordavano. Era malinconico, pietrificato sulle labbra sottili, velato di tristezza. Sembrò però sinceramente contento nel vederli arrivare e unirsi a loro.

«Io mi fermo giusto per cena», gli disse Masa dopo averlo abbracciato, rubando poi un pezzo di pane di riso per assaggiare lo stesso il sughetto che la carne stava rilasciando durante la cottura. «Mi dispiace, ma dopo ho un impegno.»

«Anche Hsiao non c’è», fece notare Higemaru, mentre osservava come Saiko paresse del tutto estasiata dalla presenza della mamma, di nuovo a casa. Solo quando Aiko si voltò verso di lui notò che, nascosto dalla figura alta di Aura, c’era anche Tooru.

«Sembra proprio di essere tornati a qualche mese fa», commentò ingenuamente Yonebayashi, mentre Urie le appoggiava la mano fra i codini azzurri. «Con qualche aggiunta.»

«E qualche mancanza», aggiunse Haise, sorridendole mesto. «Ho pensato che sarebbe stato bello, anche solo per una sera, ritrovarci tutti. Spero che per te non sia un problema, caposquadra Urie.»

Il giovane dagli occhi serpentini scosse il capo, prendendo posto sulla sedia accanto ad Aura. Lanciò anche un veloce sguardo a Mutsuki, prima di sospirare, stanco e un po’ afflitto. Masa colse la palla al balzo. Gli montò letteralmente sopra, sedendosi sulle sue ginocchia, con la bocca ancora piena di pane e le dita sporche di sugo. Marcando il territorio anche laddove non ve ne era alcun bisogno. «Finite. Sedie», bofonchiò con le guance piene come quelle di uno scoiattolo.

Lui si arrese di partenza, prima di voltarsi verso l’uomo ai fornelli. «Ti trovi bene con la tua nuova squadra, associato alla classe speciale Sasaki?»

Aiko si stupì molto del fatto che il tono del giovane fosse totalmente epurato da ogni minima traccia di sarcasmo o cinismo. Urie era cresciuto molto in quegli ultimi mesi. Era diventato lui la mamma dei Quinx ed eccetto qualche incidente – come quello di Aokigahara- stava portando avanti un lavoro quanto meno dignitoso per un ragazzo di soli vent’anni. Doveva ancora lavorare un po’ sul suo carattere, ma Aiko non aveva dubbi sul fatto che fosse enormemente migliorato.

Subito dopo la morte di Shirazu avrebbe cacciato Sasaki a calci in culo da casa loro. Gli costava ancora non poca fatica la sola vista dell’ex mentore, ma riusciva a mantenersi lucido e professionale abbastanza.

Il suo modo di approcciarsi era comunque così gelido da poter ghiacciare anche il Sahara. Però molto educato.

Haise non rispose con molto entusiasmo, si limitò a raccontare di come la S3 fosse una squadra un po’ a parte, perché la supervisione di Arima era… Beh, ciò che era.

«Siamo molto liberi di muoverci.»

Masa si ricordava molto bene dei racconti di Take. Arima sceglieva in modo molto oculato i suoi uomini, così da non doverli controllare. Lo capiva, era lo Shinigami, non una balia. Sarebbe stato un capo sprecato per una squadretta come la loro.

«Furuta non è venuto?», chiese Mutsuki, facendo notare la mancanza del partner del maestro. Aiko notò subito quanto sembrasse a suo agio Tooru. Sembrava tornato indietro di mesi. Chissà se avrebbe mai buttato le lingue di gatto, nel caso in cui fosse riuscito a tornare in squadra insieme a Sasaki.

«Mi ha detto di avere impegni», rivelò senza particolare interessa Haise, iniziando a servire le porzioni.

Mangiarono così, con Masa sulle gambe di Urie e Saiko che raccontava accuratamente ogni singolo dettaglio della loro scampagnata per il camping formativo. Detto da lei risultò ancor più imbarazzante di quanto non fosse in realtà, tanto che alla fine Kuki fu felice di avere la mora in braccio. Potè nascondersi dietro di lei, con tanto di piatto in mano, per evitare le occhiate divertite di Sasaki.

Quando meno, Saiko evitò di dire ad Haise che la scommessa, infondo, l’aveva vinta lui. Tacque su ogni aspetto della convivenza in casa, compreso il fatto che Aiko e Urie condividessero addirittura la camera da letto perché lei non aveva nemmeno preso in considerazione l’idea di spostarsi al piano di sotto, nelle camera per gli ospiti.

Forse non voleva riportare alla mente troppi ricordi su Shirazu, per evitare di intristire la vecchia avanguardia dei Quinx.

Forse, sotto sotto, anche lei aveva capito che Sasaki era cambiato in modo profondo e drastico.

E che non sarebbe più tornato ad essere la loro mamma.

 

 

Midori Umi era una ragazza tutt’altro che semplice;  un vestito lungo pieno di pailette argentate, lo scollo profondo e i capelli biondo fragola solitamente ritti come spaghetti che le ricadevano in morbide onde, che odoravano ancora dei liquidi chimici che venivano impiegati per la permanente. Aiko lo avvertì prima ancora di esserle vicina, nonostante il fumo artificiale che arrivava dalla piattaforma del dj e la moltitudine di cocktail fruttati che le passarono sotto al naso.

Non andò subito da lei, una volta arrivata alla festa. Si limitò a guardarla un po’ da lontano, chiedendosi come fosse possibile che la sua più vecchia amica fosse allo stesso tempo una totale estranea.

La vita di Umi non era stata più semplice della sua e forse erano state le avversità ad unirle tanto, da bambine. Era figlia di una madre adolescente, una poco di buono a sentire gli abitanti del loro quartiere, che l’aveva scaricata alla nonna sola fin da quando era piccolissima. Le loro condizioni economiche erano a dir poco catastrofiche, tanto che spesso la signora Masa aveva offerto loro una zuppa di miso o qualche spiedino di pollo per farle arrivare alla fine del mese e all’ennesima pensione troppo leggera per due bocche da sfamare. La casa in cui veniva sempre presa di mira dagli agenti di polizia, a causa dei cumuli di immondizia che inondavano il giardino e l’interno della dimora. Quando aveva dodici anni, Umi fu costretta a lasciare quella casa, che venne confiscata. Lei venne affidata ad una zia, mentre la nonna finì in un istituto di igiene mentale, nonostante l’accumulo compulsivo non l’avesse resa incapace di intendere e volere.

Con sua zia le cose non andavano meglio, ma quanto meno non era stata costretta a lasciare il quartiere. Umi era stata la sua confidente e la sua migliore amica per tutta l’adolescenza. Era stata la custode del suo segreto più profondo, nonché la sola ad aver sentito la sua versione dei fatti su ciò che Hiroshi le aveva fatto più e più volte. Erano state inseparabili, un tempo.

Poi Aiko era entrata nell’accademia del ccg. Umi aveva continuato con il liceo pubblico, lavorando instancabilmente per  avere le borse di studio migliori per potersi iscrivere alla migliore università di medicina di Tokyo: la Hitotsubashi.

Ci era riuscita e Aiko lo aveva scoperto con quasi quattro mesi di ritardo. Quello era stato il loro punto di rottura. Il momento in cui avevano entrambe compreso che non erano più necessarie per l’altra, perché avevano di meglio.

Umi aveva di meglio, era andata avanti, aveva avuto la sua rivalsa.

Aiko aveva creato attorno a sé una fitta schiera di colleghi/amici, che però non l’avevano protetta da vendere l’anima al diavolo in persona.

«Ei, agente!»

«Cosa diavolo ti sei messa addosso? Brilli come una palla da discoteca!» Le due ragazze si scambiarono un abbraccio stretto, ma incredibilmente breve. Poi la mora mise di nuovo le mani nelle tasche della giacca di pelle, che le copriva il vestitino blu scuro almeno in parte, schermandola dal vento settembrino. Tirava particolarmente forte sul tetto di quel palazzo. «Come mai hai deciso di organizzare la festa qui, quest’anno?», domandò all’amica, chinandosi verso di lei per farsi sentire bene. La musica era alta e le persone su di giri.

Umi sorrise, raggiante. «Il padre di Kuma ha aperto una sede della figliale della sua banca in questo palazzo!», la mise subito al corrente di quell’ultimo gossip. «Lui è diventato il direttore!»

Aiko ridacchiò. «Sato-kun? Direttore di una banca? Povero suo padre. Ora che ci penso, non lo vedo in giro, ha vinto la sua battaglia ed è rimasto a casa? »

Midori la guardò, alzando un sopracciglio. «Ci vediamo poco, te lo concedo. Ma dovresti ricordarti bene che io odio perdere.» Con un cenno del capo, la giovane le indicò la zona dei divanetti. Seduto lì, con in mano lo smartphone e lo sguardo di chi vorrebbe solamente andare a dormire, c’era Satoshi Kuma, un altro ex compagno di classe delle elementari. Masa aveva incassato la notizia del loro fidanzamento con stupore totale, perché iniziato il liceo, lo avevano completamente perso di vista. Solo più di recente, Umi le aveva raccontato come si fossero incontrati nuovo, per puro caso. Durante una delle loro sporadiche cene, la bionda le aveva messo sotto al naso la mano, mostrandole l’anello tutt’altro che sobrio e ricoperto di diamanti che le aveva regalato il ragazzo dopo soli quattro mesi dalla loro riunione.

Nonostante fossero passati due anni, non avevano ancora fissato una data.

«Dopo passo a salutarlo. Sembra un cane messo in punizione in garage.»

Umi rise, appoggiandosi a lei con la mano in quello che voleva essere un gesto intimo, ma che Masa avvertì un po’ meccanico. «Non torturarlo solo perché sei un agente.»

Aiko alzò le spalle, «Mica sono un poliziotto. A meno che Satoshi non abbia un paio di occhi molto bizzarri nascosti sotto quelle lunghe ciglia brune, non avrà problemi con me.»

L’amica scrollò il capo. «Sempre la solita. Tu piuttosto? Sei venuta con il tuo famoso fidanzato segreto?»

La mora prese un respiro. Si era pentita di avere accennato a Urie una sola volta, quando aveva incontrato Midori per puro caso al centro commerciale poco lontano dello chateau. Nemmeno a dirlo si era ritrovata a cena con lei dopo tre ore per sapere ogni dettaglio. Ai tempi non c’erano molti dettagli. Il caso Rose era ancora in corso, Aiko aveva la testa sempre altrove, tra il passare informazioni a Tatara senza farsi scoprire e il lavorare attivamente insieme alla squadra Itou sulle tattiche di combattimento.

Pensandoci bene, non c’erano poi molti sviluppi.

«Piuttosto che venire a una festa in un giorno lavorativo si sarebbe ucciso, impiccandosi con la cravatta», fu la risposta pacata di Masa, che ricevette come risposta uno sguardo deluso.

«Sei venuta da sola, quindi?»

«No, sono con un amico, ma conoscendolo sarà vicino alla zona del parchetto.»

Come poteva chiamare quell’ammasso di alberi posti sul tetto di un palazzo? Grossa aiola? Vaso eccessivo?

«Non ama le persone?»

«Oh no, le adora. Ma è un’anima solitaria.»

Umi la guardò con la faccia di chi ha già capito tutto. «Un amante? È tipico di te.»

Aiko non commentò acidamente come aveva pensato, ovvero con un ‘a dire il vero è tipico di te’, ma si limitò ad alzare un sopracciglio. «Esistono le amicizie uomo-donna. Io ho più amici maschi, sai? Trovo le donne oche.»

Midori scrollò i capelli falsamente ondulati, «La solita Masa, sempre un gradino sopra.» Le sorrise, più per cortesia che per altro, poi si guardò attorno. «Vado a salutare qualche amico. Tu fai un giro, magari incontri qualche altro compagno di classe.»

«Certo, ci vediamo dopo», le rispose Aiko, grata di potersi spostare di lì. Filò diritta al bancone dell’open bar, ordinando un mojito e un gin tonic, prima di constatare, per l’ennesima volta, che quando un’amicizia muore dovrebbe venir abbandonata a se stessa. Loro si stavano trascinando avanti, nonostante le loro inconciliabili distanze.

Midori era un fiore nato dal letame, si era fatta da sola e si era ritrovata a frequentare la creme de la creme della capitale.

Aiko? Aiko sarebbe sempre rimasta un out cast in qualunque contesto, incapace di ammettere che non era stato il salto di qualità di Umi ad allontanarle.

Solo, non aveva più bisogno di lei.

 

La vista dal Tokyo Plaza era molto bella. Nonostante il roof garden affollato, la zona lasciata in penombra dai lampioni spenti del famigerato boschetto garantiva un po’ di privacy.

Come da previsione, Aiko trovò il suo accompagnatore.

Si era appollaiato sul cornicione, con la felpa nera troppo larga per la sua stazza che gli cadeva in modo ridicolo sulle spalle. Il cappuccio tirato sui capelli nascondeva il suo volto, mentre le mani, dalle unghie laccate di nero, torturavano il  bordo inferiore dei jeans chiari che Masa gli aveva fatto indossare.

«Sei a disagio?», gli chiese, sedendosi accanto a lui con un salto agile. Non gli passò nessuno dei due bicchieri. Semplicemente appoggiò il mojito accanto a sé, decidendo di iniziare dal gin.

«Mi chiedo solo perché mi hai portato qui. Vorrei ucciderli tutti solo per quanto mi fanno schifo.»

La giovane lo guardò con la coda dell’occhio giallo, contornato di trucco nero. «Questo è un premio, Seidou. Da quanto non andavi ad una festa?»

«Da un bel po’», ammise alla fine Takizawa, battendosi il dito sul mento. «Ora mi spiego perché mi hai fatto mangiare così tanto prima di uscire, ma ho ancora una domanda che mi tormenta.»

«Ovvero?»

«Un premio. Questo è sicuramente un premio. Per cosa, di preciso?»

Aiko non rispose subito. Prima di tutto, finì il suo drink, mentre ponderava come chiedere a Seidou un grande, grande favore. Non sarebbe stato semplice e con una buona probabilità, il Gufo avrebbe preso il volo piuttosto che risponderle, costringendola a rincorrerlo per tutta la terza circoscrizione. E lei aveva la gonna corta.

Alla fine vuotò il sacco direttamente, senza giri di parole, come faceva sempre. Senza delicatezza.

«Mi hanno incaricato di trovare Amon e la persona che lo ha aiutato a fuggire. Crediamo che possa essere un agente del ccg, più probabilmente qualcuno che lavorava all’interno del bureau al tempo dell’Operazione della ventesima. Vorrei che tu mi dessi un punto di partenza, perché io non ho idea di dove mettere le mani.»

Non le arrivò nessuna risposta.

Così riprovò. Sino a che Takizawa non fosse scappato, aveva un briciolo di speranza.

«Ti ricordi di qualcuno vicino ad Amon? Che avrebbe potuto aiutarlo a fuggire arrivando a mettere mano alle scorte di gas CRC della ccg?»

«Mi stai chiedendo di tradire Amon?»

Aiko non esitò. «Perché non dovresti? Lui ha tradito te.» Gli occhi di Seidou schizzarono su di lei, improvvisamente, come se si stesse preparando ad attaccare. Ma fu lei a farlo, seppure a parole. «Lui è scappato da mesi, Seidou. Non è mai tornato per te, per salvarti così come tu ti sei sacrificato per lui. Ti ha lasciato indietro, nonostante sapesse cosa Kanou ti faceva ogni singolo giorno della tua vita.» Fece una pausa, poi ripeté nuovamente, «Lui ti ha lasciato indietro, anche se tu sei tornato per lui quel giorno, nella ventesima. E Tatara ti ha presto.»

Zittito dalla realtà dei fatti, Takizawa si incurvò su se stesso, schiacciato dal senso di colpa, nonostante non avesse ancora detto nulla.

Aiko gli diede il suo tempo, conscia che  l’altro stesse ripensando a quel giorno, quando la sua vita aveva iniziato a finire.

Mentre iniziava il mojito, Seidou si decise. «Ti ha chiesto Tatara di cercarlo?»

«No, Eto.»

Fu come se il solo sapere che l’esecutore fosse qualcuno di diverso dal suo carnefice a sbloccarlo del tutto. «Tutti ammiravano Amon», confidò, forse con un velo di invidia mascherato dalla tristezza. «Mado, forse…

«Escludo che Akira sia arrivata fino a Rue per salvare Amon per poi tornarsene a-»

«No. Questo lo so. Intendo dire che lei era la sua partner e forse potrebbe sapere qualcosa che io non so. Non ero così intimo con Amon.»

Masa sospirò, paziente. «Non credo di poterlo chiedere a lei, sai?» Fece una pausa, prima di schiarirsi la voce, passando il braccio attorno alle spalle del ragazzo, nel tentativo di sdrammatizzare. «Associato alla classe speciale Mado, mi domandavo se potesse aiutare Aogiri a trovare Amon Kotaro. Ah sì, è vivo, ma il fatto che sia svenuta o che si stia attaccando a una bottiglia di grappa di mirto che nasconde in ufficio, ma che io posso fiutare anche attraverso il legno della scrivania, mi ha fatto capire che non lo sapeva.»

Un leggerissimo sorrisetto imperlò le labbra di Seidou, mentre chinava il capo, remissivo.

Aiko decise di lasciar perdere. Non valeva la pena turbarlo oltre, tenuto conto del fatto che lei era una delle poche persone a cercare di non distrugge la sua psiche. Bensì, di preservarla. Appoggiò il capo a quello dell’altro, mentre nel cielo iniziavano a scoppiettare i fuochi d’artificio, illuminando la notte e i loro volti e attirando più di un urlo di festa alle loro spalle, oltre gli alberi.

«L’estate è finita», soppesò Aiko, quasi malinconica.

«Bruciando in un mare di fiori di fuoco», concluse Seidou per lei, con una vena quasi poetica e gli occhi ipnotizzati dalle luci.

Guardarono insieme lo spettacolo pirotecnico e lei, quasi per ironia, ripensò a quella volta, sul fiume, con Take.

Lui riprese, interrompendole a metà un pensiero malinconico. «Prima di tutto questo, non ero una bella persona. Non mi piacevano le feste come questa, non mi piaceva uscire con gli amici o trovarmi un hobby che mi distraesse. Volevo solo andare avanti, ottenere risultati, superare tutto e tutti. La sola volta in cui mi sono distratto, in cui ho pensato a qualcun altro prima di me stesso, ho perso tutto.»

La mora sospirò, accarezzandogli il braccio. «Non devi dirmi niente, se non vuoi denunciarlo, dirò a Eto che non-»

«Non sto parlando di Amon».

Takizawa non alzò il viso, mentre finiva di parlare. «Lei era spaventata, la squadra quattro non era reperibile in trasmittente e io mi sono detto perché no? perché non posso essere io a riportare indietro Amon? Credevo che ci sarei riuscito. Così l’ho lasciata lì e sono andato avanti e avanti…. Per poi finire su un tetto, con un'altra persona che si trascina in mezzo a una pila di cadaveri e sangue, senza nemmeno una destinazione.»

Masa non rispose.

Aveva intuito qualcosa riguardo i sentimenti di Seidou verso Akira dopo il caso dell’asta. Qualcosa era mutato in lui dopo averla vista e lei era là, sulle tribune più alte del teatro, insieme a Kuramoto e alla retroguardia incaricata di dare supporto a chi ancora poteva combattere. Lo aveva visto nascondere il viso, vergognoso, nel primo vero gesto umano che avesse mai riservato a qualcuno, eccetto lei stessa.

E ora glielo stava dimostrando.

«Eto ti farà del male, se non trovi nulla.»

«Non credo». Lo rassicurò, rassicurando anche se stessa. «Vorrebbe solo venirne a capo. Lo sai che odia non sapere le cose.»

«Nagachika

Ci fu un piccolo stallo.

Aiko guardò stranita il ghoul alla sua destra, che ora stava finalmente ricambiando lo sguardo. «Nagachika

«Era l’assistente investigatore di Amon e Mado. Non so dirti perché un ragazzo che non ha frequentato l’accademia potrebbe riuscire a…. Non lo so. Ma era sveglio. Ricordo che Marude lo teneva sempre d’occhio e anche quando parlava con me sapeva fare le domande giuste nel momento giusto. Me ne sono accorto a posteriori, ma una persona del genere potrebbe riuscire a liberare un ghoul da Rue.»

Aiko cercò nella sua memoria, ma si arrese subito. « Non conosco nessun Nagachika

«Forse lavora ancora nella ventesima. Ti ripeto che non era un investigatore. Magari, dopo ciò che è successo quella notte, ha preferito ripiegare sul suo vecchio lavoro di fattorino e ora consegna pizze.»

Masa annuì, sporgendosi per abbracciarlo stretto. «Grazie.»

«Non lo faccio per te.»

Lei non gli disse che sapeva che, invece, lo faceva proprio per lei. Perché non era nell’anima di Seidou la vendetta e l’odio. Era stata dura per lui sganciare un singolo nome, perché per quanto Amon l’avesse ferito lasciandolo indietro, nonostante lui fosse in quelle condizioni per non averlo fatto a sua volta, non serbava rancore.

Il che era incomprensibile per un animo vendicativo come quello di Aiko.

«Andiamo a ballare», gli disse di punto in bianco, tirandolo giù da quel cornicione e prendendolo a braccetto.

«Non voglio ballare.»

«Invece ballerai. E ti divertirai. Poi andremo a mangiare di nuovo.»

La promessa di un pasto fece ingoiare a Seidou ogni rospo. Permise ad Aiko di tenersi a lui, voltandosi però di punto in bianco per guardarsi alle spalle.

«Credevo ci fosse qualcuno», rispose alla domanda silenziosa che lampeggiava negli occhi di Masa, «Mi sono sbagliato.»

«Vuoi controllate?»

Seidou puntò la notte, poi scosse il capo. «Non c’è nessuno.»

E invece si sbagliava.

Qualcuno c’era eccome.

 

 

Continua…

 

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Capitolo 26
*** Il caso Nagachika - 1 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

A meno di ventiquattro ore dalla loro ultima riunione, tutti i classe speciale vennero richiamati nuovamente dal direttore Washuu in persona, sotto consiglio dell’associato alla classe speciale Sasaki.

Secondo Haise, era necessario per lui avere un colloquio con tutti loro, così da poter gestire al meglio quella circostanza incresciosa. La morte del primo livello Masa era molto più di questo per lui, ma anche per Yoshitoki, seppur in modo diverso, che si ritrovava fra le mani una bella grana.

«Associato, quando vuole.»

Haise controllò nuovamente il foglio fitto di appunti che aveva  finito di riassumere pochi minuti prima di quel meeting, nel suo ufficio, alzandosi in piedi. Passò gli occhi su tutti i dieci partecipanti alla riunione, prima di prendere la parola.

«Le indagini preliminari, che ho potuto effettuare nelle prime dieci ore dall’assegnazione del caso, hanno riportato alla mia attenzione discrepanze fra le testimonianze di alcuni presenti in questa stanza. Vorrei solo fare chiarezza, ricostruendo i vostri movimenti di questa notte.»

«Fermati un secondo, boyMougan smise di lisciarsi i baffi, assottigliando lo sguardo in direzione dello Shinigami Nero il quale, nonostante il nomignolo, non si scompose. «Pensavo che lo scopo della riunione fosse quello di metterci al corrente di ciò che è successo. Non di indagare su di noi.»

«Non posso risolvere il caso se non so precisamente tutto ciò che è successo durante la notte, classe speciale.»

«Lasciamolo parlare», intervenne Haisaki, forse desideroso di tornare presto a dirigere la  Cochlea, lontano da tutto quel gran fracasso. Sarebbe saltata qualche testa e lui non voleva finirci in mezzo.

«Ora farò un breve riassunto delle mie conclusioni, tratte da ciò che avete riportato al classe speciale Hoiji in sede di interrogatorio informale.» Haise si sistemò gli occhiali rotondi sul naso, recuperando il foglio, prima di iniziare a riassumere. « La riunione ha avuto inizio in ritardo alle ventidue e trenta circa e si è protratta per un’ora. Ciò che è stato discusso non è rilevante al fine dell’indagine, quindi non lo citerò.» Un leggero sbuffò di Matsuri riuscì a distrarre Ui e Kiyoko, ma non Sasaki, che proseguì imperterrito. «Alle ventitre e quaranta circa la sala della riunione è stata abbandonata dai classe speciale e dal direttore. Il suddetto è stato il primo a lasciare la struttura insieme ai classe speciale Washuu, Marude e Tanakamaru. Successivamente, tra le ventitré e quarantacinque e le ventiquattro e dieci anche i classe speciale Hoiji e Haisaki hanno fatto ritorno alle loro dimore o al loro servizio attivo in un’altra sede. Al momento dell’incidente, attorno alle ventiquattro e dodici minuti da quando le barriere di sicurezza si sono abbassare per isolare il sotterraneo, in sede erano rimasti solamente i classe speciale Arima, Hachikawa, Ui, Suzuya e Aura, insieme ad alcuni loro collaboratori, il secondo livello Abara, il prima classe Hirako, il primo livello Hogi e, apparentemente ancora senza alcuna spiegazione, il primo livello Urie. Quest’ultimo, secondo la registrazione dei dati di accesso del suo badge, sarebbe arrivato a mezzanotte e nove minuti, mentre si stava già consumando la battaglia fra l’agente Masa e l’agente Hirako. Approssimativamente per quell’ora, anche il ghoul di raiting SS Tatara è stato localizzato all’esterno della struttura dalle telecamere che.»

«E il ghoul?», aggiunse Matsuri, annoiato, attirando su di sé lo sguardo di coloro che a quell’inferno avevano preso parte e interrompendo così Sasaki. «Se Tatara è rimasto all’esterno, contro chi hanno combattuto nel sotterraneo?»

«Non c’è nessun altro ghoul», specificò Haise, comprendendo che nessuno aveva avvisato coloro che non erano presenti, ad accezione di Marude che, di fatti, non si scompose. «Ogni iniziativa ostile al ccg è stata intrapresa solo e unicamente da Masa Aiko.»

Haisaki si irrigidì. «A noi è stato detto che l’agente Masa è morta combattendo contro un ghoul, a causa di un errore di calcolo dell’agente Hirako.»

«Non è andata così.» A prendere la parola fu il direttore Yoshitoki. «Abbiamo messo in giro questa voce in modo tale da proteggere almeno in parte l’integrità del bureau e del progetto Quinx. La verità è che Masa Aiko ha agito contro di noi, come spia e infiltrata di Aogiri.»

«Non abbiamo ancora prove certe di questo», sottolineò Ui.

A quel punto, a sbuffare una risata divertita oltre il bordo alto del cappoto, fu Hachikawa. «Tatara è venuto fin qui e se né andato nel momento in cui è stato comunicato che lei era stata abbattuta. Se non fossero stati in combutta allora non si sarebbe mai-»

« Morta.» Stringendo i denti e i pugni, Ui fulminò con lo sguardo l’altro investigatore. Non si curò di averlo interrotto. «Parliamo di una persona, una collega. Non è stata abbattuta. È deceduta.»

«Rimane il fatto che ci ha traditi, sbaglio? Eri presente anche tu, Koori.»

Gli occhi di tutti tornano ad incollarsi a quelli di Sasaki che, per riflesso, cercò quelli di Arima. Peccato che la Morte Bianca fosse il solo a non ricambiare lo sguardo. «Non ho ancora trovato molte è prove in merito, ma Masa indossava la maschera di un noto ricercato di Aogiri, Labbra Cucite.» Qualche foto venne fatta passare di mano in mano, fino ad arrivare al presidente. «Altezza e corporatura paiono coincidere e ciò spiegherebbe anche perché durante gli scontri, Labbra Cucite non ha mai usato il kagune per difendersi.»

«Per non farsi scoprire», sottolineò l’ovvio Matsuri. «Abbiamo un’idea da quanto tempo Labbra Cucite ha fatto il suo esordio come leader della diciannovesima?»

«Poco meno di un paio di anni, a giudicare dal fascicolo sul caso Aogiri redatto, ironicamente, dalla ex squadra Hirako», rispose Sasaki.

«Ironicamente a dir poco. Doveva farne parte da molto prima, se le hanno dato un ruolo tanto di spicco.»

Kiyoko non aveva tutti i torti. Questo fu quello che il ghoul si ritrovò a pensare, mentre gli veniva porta la sola domanda che sperava di evitare. E a farla, inaspettatamente, fu Suzuya. « Non ricordo una cosa. Chi aveva in carico lo smantellamento della sede di Aogiri della diciannovesima?»

Haise abbassò il capo, fingendo di leggere. Lo ricordava benissimo. «La Squadra Quinx.»

«La squadra di Urie», disse con tono freddo Yoshitoki, guardando il figlio come se la colpa potesse essere sua e non del suo subordinato.

«Prima era competenza della squadra Hirako», si difese quello, «Posso garantire io per i miei uomini, Arima può fare lo stesso?»

Finalmente, lo Shinigami Bianco parlò. «Non lo faccio da stamattina, per caso?»

«Basta così», riprese il controllo della situazione il direttore. «Entrambi sono stati sospesi e sono oggetto di indagine. Verranno giudicati o meno a seconda del loro coinvolgimento. Sasaki, prosegui.»

Haise riprese come se non fosse mai stato interrotto. «Da mezzanotte e cinque a mezzanotte e quindici circa c’è stato un malfunzionamento degli impianti di sicurezza. Non abbiamo quindi filmati dal cavò né dai corridoio adiacenti. Ciò che sappiamo è che in questo lasso approssimativo di tempo si è consumato lo scontro fra il primo livello Masa e il prima classe Hirako, in presenza dei classe speciale Suzuya e Arima. Durante lo scontro, Masa è deceduta per ciò che presumiamo essere un forte trauma al cervello. Non possiamo esserne certi perché il corpo è stato prelevato dagli affari interni sotto richiesta specifica del presidente, nonostante io avessi domandato diversamente.»

Sasaki lo notò. Notò lo sguardo che Yoshitoki lanciò ad Arima, il quale però fu abbastanza bravo da non fare nemmeno un movimento. Continuava ad ascoltare, con gli occhi a mezz’asta e una  penna a sfera chiusa fra le dita, un po’  assente.

«Mi è stato quindi impedito di trarre delle conclusioni pertinenti sul corpo» Haise voltò il foglio. «A mezzanotte e diciassette è stato annunciato il cessato all’arme nel momento in cui, secondo la testimonianza dei classe speciale Hachiawa, Ui e Aura e dei primo livello Hogi, Tatara si è ritirato. A mezzanotte e ventitré è tornato in sede il classe speciale Marude, seguito poco dopo dal direttore e dal classe speciale Washuu. Infine, anche Hoji, Mado e il sottoscritto sono arrivati, qualche istante prima dell’una di notte. Il caso mi è stato affidato dal direttore nell’esatto istante in cui ho messo piede sulla scena del crimine, che ho fatto sgomberare in fretta. Alle sette e venti di questa mattina, dopo la riunione, il corpo è stato prelevato e la scena ripulita senza il mio consenso, tarpandomi le ali e impedendomi di procedere. Domando quindi al direttore Washuu di potere avere accesso ai file personali di ogni dipendente della struttura al fine di poter identificare un possibile collegamento fra questo trasporto di cadavere che io reputo non autorizzato e uno dei nostri agenti.»

Yoshitoki sistemò la schiena, ben diritta, sulla sedia. Non poteva concederglielo, ma non poteva nemmeno farlo sapere così a tutti quanti.  «Inoltrerò alla fine della riunione una richiesta formale al presidente in merito, associato alla classe speciale.» Il direttore osservò attentamente Haise, prima di sospirare piano, rilassandosi contro lo schienale. «Hai ricostruito gli eventi molto in fretta, associato. Scegliere di affidarti le indagini è stato saggio, eppure manchi dell’esperienza. Per questo avrai l’affiancamento del classe speciale Marude, come pattuito con lui precedentemente. Ti aiuterà solo nel lavoro interno, negli interrogatori al resto dello staff. Aiko Masa era la talpa di Aogiri che cercavamo da anni e qualcuno doveva saperlo o averlo anche solo vagamente immaginato. Due dei suoi partner sono morti per questo, probabilmente. A causa sua i corpi di Shirazu Ginshi e Ihre Hairu non sono stati sepolti come avrebbero dovuto. Ha venduto i nostri piani e le nostre operazioni per potere o soldi, chi lo sa, facendoci subire molte perdite, soprattutto durante i casi più recenti. Voglio trovare ogni responsabile,  ogni ignavo che non ha parlato e farlo pagare per ogni vita che si è spenta per colpa della nostra negligenza. Potete andare tutti a casa, ora. Sasaki, vai avanti così.»

Le  sedie strusciarono sul pavimento coperto da una moquette compatta verde. Haise mise via tutti i fogli, salutando garbatamente coloro che gli passarono accanto, in particolare Koori, che appoggiandogli una mano sulla spalla sembrò comunicargli almeno in parte tutto il dolore che sentiva in quel momento. Erano amici, lui e Aiko. Amici nel vero senso del termine, non solo compagni di pausa sigaretta. Ui l’aveva salvata e lei gliene è sempre stata riconoscente.

L’averla scoperta una spia fu per tutti un duro colpo, come se non l’avessero mai davvero conosciuta.

«Un ultima cosa.» Il direttore li fermò. «Credo sia superfluo dirlo, ma la verità sulla morte di Aiko Masa deve rimanere segreta. Se trapelasse che faceva parte di Aogiri verrebbe messo a rischio non solo il ccg, ma soprattutto il progetto Quinx. La versione ufficiale, che verrà anche annunciata domani in conferenza stampa, è che è deceduta durante uno scontro con un ghoul a causa di un errore di un collega. Non possiamo e non vogliamo proteggere nessuno, ma non possiamo nemmeno rivelare troppo. Non parlatene nemmeno ai vostri sottoposti.» Li guardò tutti severamente, in modo più freddo rispetto alla sua solita indole pacifica, fermando poi lo sguardo su quello di Arima. «Kishou, mi concedi un minuto?»

Attesero che la stanza si svuotasse prima di iniziare a parlare. Prima ancora che Yoshitoki riuscisse a formulare la domanda più importante, Arima lo incalzò. «Ho chiesto io al presidente di prelevare il corpo. Sicuramente ha mandato Kaiko mentre tutti erano ancora impegnati con gli interrogatori e tu stavi sospendendo Aizawa inutilmente.»

Il direttore prese un respiro profondo. «Non l’avrei sospeso se avessi saputo prima di questa tua richiesta. Non volevo ficcasse troppo il naso in questa questione, non mi fido molto di lui. Credo che sia compromesso tanto quanto Masa. Erano amici dopotutto, no?»

Arima annuì lentamente. «Dirò ad Haise di indagare in questo senso.»

«Perché hai chiesto che il corpo venisse prelevato, in ogni caso? La causa della morte era lampante. Nemmeno un Quinx avrebbe mai avuto la forza di rimarginare una ferita di tale portata.»

Lo Shinigami Bianco osservò attentamente il consanguineo, prima di spostare gli occhi sulla finestra. La luce del tramonto infastidiva l’occhio sensibile, non sfiorando minimente quello che ormai non poteva più cogliere le sfumature rosse del cielo. «L’ho fatta portare via perché Masa Aiko era la mia partner.»

«Non volevi le facessero l’autopsia? In qualche modo dovremo dare loro delle informazioni attendibili in ogni caso.»

«No. Non per questo. Aiko aspettava un bambino.»

Yoshitoki non recepì bene la notizia, perché di tutte le informazioni che l’altro poteva dargli, quella era la sola che non si aspettava affatto. «Aspettava un-»

«Non potevamo rischiare che indagassero la natura del feto. Così ho coinvolto V.»

Il direttore lo sfidò a rispondere anche all’ultima domanda. «Il bambino…. Era tuo?»

Arima si limitò a guardarlo, zittendolo per quanto tagliente fu il suo sguardo. «Non potevo permettere che indagassero la natura del feto», ripeté molto lentamente.

E quindi lasciò la stanza.

 

Capitolo ventisei

«Hideoshi Nagachika, hai detto?»

Akira aveva reagito con sorpresa quando Masa l’aveva avvicinata, poco prima di raggiungere il suo ufficio, e le aveva chiesto se poteva farle alcune domande su un suo vecchio collaboratore. Per un istante aveva visto la bionda vacillare, ma poi l’aveva invitata a entrare e si erano chiuse nel luminoso ambiente, per poter parlare senza che troppe orecchie indiscrete rischiassero di metterci becco.

«Sono passati anni dall’ultima volta che ho sentito parlare di lui.»

Aiko annuì lentamente, prendendo un sorso del tea che le era stato offerto dal superiore, proveniente direttamente dalla sua scorta personale. Nonostante fossero i primi giorni di settembre, l’aria aveva già iniziato a cambiare e si era fatta più fresca, quindi la bevanda non poteva che risultare gradevole.

«Ho quattro giorni di ferie obbligate», le spiegò Aiko, con le spalle ricurve e una mano appoggiata alla scrivania di fronte a lei. «Ho sempre voluto iniziare un progetto di questo calibro: cercare le persone che nessuno ha mai più visto dopo lo scontro dell’Operazione di Sterminio del Gufo. Dopo essere stata promossa a vice caposquadra ho pensato di avere più possibilità, così ho deciso di iniziare da Nagachika perché non era un investigatore, ma si è comunque ritrovato coinvolto, in qualche modo.»

Akira annuì lentamente, gli occhi amaranto persi su un pensiero indefinibile. «Una iniziativa molto nobile.»

«Non voglio che quel giorno venga mai dimenticato e dopo quello che abbiamo scoperto sul secondo livello Takizawa, ci sono possibilità che anche Nagachika possa essere vivo.»

Quell’ultima affermazione aveva scosso l’associato Mado come un salice dal vento. Aiko sapeva di aver toccato un nervo lasciato scoperto al tempo e al dolore, per questo non aggiunse nulla, limitandosi a prendere un altro sorso, per poi abbandonare la tazzina.

Fu proprio la stimolazione di quel nervo a portare Akira a dirle ciò che sapeva. «Nagachika era un ragazzo molto giovane, che Marude affidò a me e al mio partner di quel tempo in qualità di assistente investigatore.»

«Amon Kotarou», disse Masa al sui posto, così che l’altra investigatrice potesse solo annuire e proseguire, senza citarlo necessariamente.

Un’altra ustione mai guarita.

«Era brillante, nulla da dire in merito. Una perdita enorme per noi, sarebbe potuto diventare qualcuno qui dentro pur non avendo frequentato l’accademia.»

«Ti ricordi qualcosa di lui che possa aiutarmi nella sua ricerca?»

Mado la guardò con un leggerissimo biasimo negli occhi e Aiko non poté che comprenderne il motivo. Erano passati tre anni e poco più, ormai era un po’ tardi per aprire un’istruttoria in merito, però Eto aveva chiesto e Seidou fornito quel nome. Tanto valeva provarci.

Akira la sorprese, prendendo dalla scrivania un foglio e iniziando a scarabocchiarci sopra qualcosa. «Non so niente di lui», ammise quindi, prima di porgerle quella che si rivelò essere una domanda formarle di prelievo di un documento riservato. «Però Nagachika ha lasciato un testamento per la sua fidanzata di allora. Magari parlando con lei potresti scoprire qualcosa, però non ci spererei troppo. Se gli è successo quello che è successo al secondo livello Takizawa o se è anche solo morto, finito divorato o mutilato, non caverai un ragno dal buco.»

«In quel caso potrò comunque dire di averci provato e passerò al prossimo caso.» Aiko si alzò in piedi, stringendo la mano della bionda. «Grazie, associato alla classe speciale.»

Akira non si scompose oltre, mentre l’altra si dirigeva alla porta. Le chiese però un ultimo favore. «Primo livello Masa, in confidenza», sussurrò così piano, che se Aiko non avesse avuto un udito sviluppato non l’avrebbe mai sentita. «Tienimi aggiornata, se scopri qualcosa.»

Masa le sorrise, prima di chinare il capo, educatamente.

Ammirata per il peso che Akira portava sulle spalle e sul cuore, eppure ancora inconsapevole di tante, brutte faccende.

«Lo farò, grazie associato Mado.»

 

 

L’archivio riservato del personale era gestito da un agente in pensione, il prima classe Kaiamo, a cui mancavano non solo un occhio, ma anche parte del braccio destro. Non riuscivano però a mandarlo via di lì e, oggettivamente, nessuno sembrava davvero intenzionato a prendere in suo posto nel duro lavoro di archiviazione e detenzione dei testamenti.

Il loro mestiere poteva essere abbastanza deprimente anche senza veleggiare fra le ultime volontà dei colleghi, così lo avevano semplicemente lasciato lì a spendere gli ultimi anni della sua vita nel suo complesso e a tratti inspiegabile metodo di archiviazione che invece che essere in base agli anni e dei mesi di archiviazione, era in base all’età del personale.

Ancora più triste.

Aiko aveva presentato la sua richiesta ormai da quarantacinque minuti, quando un altro agente si presentò, chiedendo invece un avviso di notifica per un’infrazione del regolamento di un membro della squadra Aura, che lui doveva retificare e invalidare per conto della sua caposquadra.

Il poveraccio ci mise cinque minuti a far capire a Kaiamo cosa effettivamente volesse. Quando ci riuscì si lasciò scivolare su una poltroncina poco distante da quella di Aiko, con un lungo sospiro rassegnato. Lei lo guardò vagamente divertita, notando che sembrava giovane e che forse non era a conoscenza delle leggende metropolitane circa quell’ufficio specifico.

E che avrebbe dovuto aspettare almeno un’oretta.

«Spero ti sia portato un sudoku», gli disse di fatto, accavallando le gambe lunghe e sorridendo divertita verso il muro, mentre lasciava dondolare il piede coperto dalla scarpa di vernice nera. «Rimarrai qui un po’.»

«Il classe speciale Aura mi aveva informato», borbottò questi, rassegnato.

«Sei nella quadra di Kiyoko? Ragazzo fortunato.» La mano della mora si allungò oltre i due seggiolini che li separavano, incontrando subito quella dell’altro. «Masa Aiko, squadra Quinx.»

Lui la guardò sorpreso. «Siete le quinque umane», osservò ammirato mentre la stretta di mano si prolungava. Poi registrò che non si era presentato, quindi corse hai ripari. «Secondo livello Ikari Naoki

«Ti chiami come il protagonista di Neo Genesis Evangelion? Che invidia.»

«Sì, ma mio padre è un tipo simpatico.»

Si scambiarono un sorriso divertito, poi Aiko schioccò la lingua contro il palato. «Ho un test per te, Naoki: per Shinji, Asuka o Rei?»

Lui sbuffò. «Kaworu, ovviamente»

«Test superato a pieni voti, mi piaci già.»

Lui ridacchiò sotto i baffi, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia. «Tu sei in squadra con Mutsuki Tooru, dico bene? Abbiamo fatto l’accademia insieme.»

Quella frase diede un’informazione preziosa ad Aiko. Non solo conosceva Mutsuki ed era quindi un potenziale testimone per delle future indagini su Tooru, ma così aveva anche potuto ‘datare’ il giovane. Aveva l’età di Urie, seppure sembrasse più giovane. Aiko valutò che doveva essere il taglio di capelli, decisamente pretenzioso: una cresta di un blu elettrico con il rasato ai lati nero corvino.

Lo faceva sembrare un liceale. «Primo livello Masa?», la voce di Kaiamo la fece tornare sulla terra. Schizzò in piedi e si avvicinò allo sportello, prendendo in mano una busta bianca dentro cui doveva esserci una copia del testamento di Hideoshi Nagachika. Ringraziò l’anziano uomo, che sparì nuovamente fra gli scaffali, prima di rivolgersi di nuovo ad Ikari.

«Era. Ora penso che l’abbiano trasferito nella squadra Hachikawa

«Una squadra che fa per lui, credo.»

Aiko alzò un sopracciglio. «Perché sono inquietanti?»

Per riflesso, Naoki arrossì fino alla punta del ciuffone blu. «No, ecco, io…»

«Sono d’accordo», lo freddò, con un sorriso vagamente divertito. Sventolò quindi la busta, «Mi aspetta del lavoro, ma appena ci rivediamo ti offro un caffè. Dobbiamo parlare di Evangelion

Superando la figuraccia appena fatta, Naoki alzò una mano in segno di saluto. «Mi farebbe piacere, primo livello.»

Masa lo lasciò lì, entrando in ascensore e resistendo a stento alla voglia di leggere subito il contenuto della busta.

Però si trattenne.

Quello sarebbe stato un ottimo allenamento anche per Higemaru.

 

 

Ti sorprenderà ricevere questo testamento.

Anche io sono sorpreso, perché ho deciso di indirizzarlo a te. Infondo, non mi è rimasto più nessun altro e i miei genitori meritano di ricordarmi per come ero, non attraverso qualche frase di circostanza scarabocchiata con la mia orribile calligrafia su un foglio bianco.

Non ho molto da lasciarti, però puoi andare a sgomberare il mio appartamento e tenere ciò di cui hai bisogno. Magari troverai anche qualcosa di interessante, lì dentro.

 

Avrei preferito riferirti personalmente queste parole, ma a quanto pare non ho potuto.

Sappi che non ho scusanti. Ti chiedo solo scusa per 14 Volte per ciò che è successo e per il dolore che ti sto arrecando.

Sicuramente, quel poco che è rimasto di me ora è abbandonato a se stesso dove l’oscurità incontra la luce, di fronte a un campo pieno di fiori di sangue. Lì vicino al luogo in cui lui si è incontrato con il bambino che gioca nel giardino baciato dal sole.

Se un giorno vorrai, porta lì una rosa in mio ricordo.

 

E guardati dall’ultimo dei draghi della famiglia falsa e ipocrita.

Farà qualsiasi cosa per distruggerlo. Per distruggere qualsiasi cosa.

Per ora, però, va bene così.

Non cercarlo, non portarlo a ricordare.

È dove deve essere.

E un giorno tornerà.

 

Addio.

Hideoshi Nagachika, assistente investigatore.

 

 

Aiko aveva lasciato a Higemaru il semplice compito di leggersi il testamento di Nagachika ancora chiuso nella busta che Kaiamo le aveva consegnato per poi riassumerglielo, mentre lei si concedeva una doccia. Quando era tornata da lui, con i capelli ancora umidi e l’abbigliamento da casa, l’aveva trovato disperato come un ragazzino di fronte a un test impossibile di algebra. Dopo aver buttato un occhio sulle poche righe che rappresentavano l’eredità del defunto assistente investigatore, si era ritrovata a pensare l’opposto del collega, che riteneva il tutto privo di qualsiasi senso logico.

«Affatto, Hige. Qui dentro c’è scritto qualcosa che noi non dobbiamo capire, ma che qualcun altro deve ricevere forte e chiaro. Qualcosa di serio, fra l’altro. »

Il giovane dai capelli pervinca non pareva molto d’accordo. Non si  azzardò a dire nulla, tenendo conto di due fattori: la sua poca esperienza e l’acuto intuito della sua partner. « Cosa te lo fa pensare?», si informò, però.

«Guarda per esempio qui: 14 Volte. Perché quattordici? È un numero molto insolito. E la V maiuscola? Che senso ha?» Aiko rilesse di nuovo, una, due, dieci volte. Quando schiuse di nuovo le labbra, forse sarebbe stata in grado di recitarlo a memoria. «Di chi si parla poi? Chi è questo fantomatico lui? Una famiglia ipocrita e il drago come simbolo…»

Touma sospirò pesantemente, sgonfiandosi come un palloncino. «E il bambino che gioca nel giardino baciato dal sole? Non dimenticartelo.»

Le labbra della mora si incresparono appena a quell’ultima affermazione del collega. «Possiamo solo andare a parlare con il destinatario di questo testamento, non credi? Chi è?»

Un sorriso sornione riaccese il volto del giovane. «Questa ti piacerà di sicuro.»

 

 

«Touka Kirishima

La cameriera del :RE dava loro le spalle, china a raccoglie un sacchetto pieno di caffè da uno degli scaffali dietro al bancone, ma si voltò immediatamente quando sentì il suo nome recitato a quella maniera. Di fronte al naso si ritrovò Aiko e Touma, entrambi avvolti nei loro trench d’ordinanza e, a giudicare dall’odore nell’aria, accompagnati dalle valigette. Non poteva vederle però, perché i due avevano preso posto al bancone. Per la prima volta sembravano aver deciso di abbandonare il loro solito tavolino.

«Il solito, agenti?», aveva domandato con tono delicato, appoggiando le mani al ripiano di fronte a lei e guardandoli.

«In verità, questa volta siamo venuti in veste ufficiale», le fece sapere Masa, godendosi il modo in cui l’altra non si scompose affatto con una certa soddisfazione. Touka non sapeva molto di lei, ma abbastanza da cacciarla in un mare di problemi, quindi era abbastanza tutelata da poter mantenere i nervi saldi in presenza di due investigatori.

«Se posso aiutare il ccg in qualche modo, lo farò più che volentieri», recitò di fatto la giovane dal caschetto azzurro spettinato, con voce armoniosa. Non riuscì però a non sbiancare lievemente quando vide il documento che Masa aveva estratto dall’interno del cappotto e che poi aveva appoggiato di fronte a lei. Tentennante, Touka aveva allungato la mano pallida come porcellana e sottile verso di esso, tirandolo verso di sé e accarezzando con la punta del polpastrello dell’indice la parola ‘testamento’.

Non aveva avuto bisogno di aprirlo per capire il contenuto.

«Chiedetemi quello che volete.»

 

 

L’ufficio era sgombro nonostante fossero solo le cinque del pomeriggio.

Urie si trovava a suo agio nella solitudine, con un paio di rapporti da leggere e convalidare di Saiko e una tazza di caffè fumante, direttamente dalla scorta privata di Komoto e gentilmente concesso da quest’ultimo in un gesto di profonda empatia.

Aveva sempre ammirato il fatto che Kuki portasse i guanti in qualsiasi stagione. L’aveva etichettato come una persona pulita ed era entrato nelle sue grazie da quel momento. L’upgrade da una veloce chiacchierata all’avere ogni tanto dell’ottimo caffè raccolto a mano e lasciato a tostare alla perfezione era avvenuto molto velocemente.

Prese un sorso di quella miscela paradisiaca, alzando di una tacca il volume delle musica e sistemandosi l’auricolare nell’occhio destro.

Delle quattro scrivanie presenti, solo la sua era occupata, eppure era la più spoglia. Quella di Saiko, che fra l’altro era la più vicina, era stipata di schifezze, cartacce, involucri di dolciumi di dubbio gusto e fotografie. La più grande, Urie, la poteva vedere chiaramente semplicemente alzando gli occhi serpentini.

La prima foto scattata alla squadra Quinx, addirittura prima dell’arrivo di Masa. In quella foto, nella sua uniforme di alta ordinanza candida, c’era anche Shirazu. Urie non aveva il coraggio di scoccargli nemmeno un’occhiata, seppure si sentisse fissato.

Doveva essere qualche tipo di strano giochetto mentale giostrato dall’opprimente senso di colpa che provava ormai da cinque mesi. Non aveva ancora nemmeno una pista per ritrovare il corpo dell’ex compagno caduto e per quanto lavorasse sull’Aogiri, grazie anche alle agevolazioni che Matsuri gli garantiva, non aveva ottenuto nulla.

Frustrato, chiuse il fascicolo, per poi alzare finalmente lo sguardo.

Per poco si rovesciò dalla sedia, tanto veloce scattò all’indietro nel ritrovarsi di fronte un paio di occhi neri come la pece.

«Furuta?», chiamò con tono incerto quell’ospite inatteso, che gli sorrise amichevolmente.

«Non intendevo spaventarti, ma per quanto bussassi e ti chiamassi, non riuscivi a sentirmi.»

«Ti chiedo di scusarmi, non mi aspettavo che qualcuno sarebbe venuto a cercarmi. Oggi non faccio orario da ufficio.»

Sono qui solo perché a casa Yonebayashi e Hsiao stanno organizzando qualche stupido scherzo ai danni di Aura e mi disturbavano. Come sempre, del resto.

«Non c’è bisogno di scusarsi», lo rabbonì Nimura, muovendo la mano guantata di rosso di fronte al viso come per scacciare via un pensiero inutile. «Mi manda Sasaki, dicendomi di riferirti che questi sono i documenti che hai richiesto.»

Alla buon ora, stupido Sasaki. Li ho chiesti oltre un mese fa.

«Grazie, secondo livello Furuta.»

Il moretto sorrise di nuovo, chiudendo gli occhi per una contentezza che l’altro non colse. Poi girò sui tacchi per uscire, ma qualcosa lo trattenne. «Ah! Primo livello Urie!», chiamò con urgenza il Quinx, il quale lo guardò abbastanza perplesso. «Credo di doverti delle scuse.»

La fronte di Kuki si corrugò. «Per quale ragione?»

«Ieri sera ti ho visto insieme al Primo livello Masa alla festa di Omohara, ma non sono riuscito a raggiungervi sulla pista da ballo per salutarvi. Era proprio affollata quella festa, non trovi?»

Le labbra dell’altro si schiusero. Poi le riaprì nuovamente, quasi tentennante. «Io ieri sera non c’ero alla festa.»

Furuta alzò le sopracciglia, stupito, prima di portare entrambe le mani sulla bocca, esibendo la sua miglior espressione colpevole. «Oh! Mi dispiace allora magari ho visto male.»

Urie corrugò la fronte, prima di scrollare le spalle con non curanza. «Masa c’era, però. L’avrai vista con la sua amica.»

«No, era sicuramente un ragazzo quello con cui ballava.»

Ci fu un lungo silenzio, nel quale entrambi si guardarono in viso, apparentemente non sapendo cosa dire.

Poi Furuta svicolò rapidamente. «Forse però era un suo amico, quasi del tutto sicuramente lo era. O forse il suo ragazzo? Non so se è fidanzata.» Alzò le spalle, «Ora devo proprio tornare al lavoro. A presto, Primo livello.»

Quando la porta si chiuse, con un click distinto, Urie non seppe bene come reagire.

Se essere stupito perché lui e Aiko erano riusciti in qualche modo a tenere davvero segreta la loro storia almeno a Furuta.

Oppure se spaccare la scrivania con il suo kagune, in modo del tutto razionale e che non lo rappresentava per niente,  e chiamare immediatamente la mora.

Alla fine prese un sorso di caffè, ormai tristemente tiepido e rovinato, decidendo di reagire come meglio riusciva, ovvero ignorando il problema fino a che ci fosse riuscito, mentre dall’altra parte dell’uscio di legno, Furuta ancora ghignava.

«Chi sceglierebbe mai una persona così noiosa, avendo a disposizione un Gufo?»

 

 

Per delicatezza nei confronti di Touka, Masa aveva domandato a Higemaru di aspettarla dentro al :re, mentre le due donne salivano nell’appartamento della cameriera per parlare.

In realtà lo aveva chiesto per un fine puramente egoistico: far sì che la ragazza potesse esprimersi liberamente, non temendo che l’altro giovane investigatore potesse intuire nulla. Soprattutto la sua vera natura.

Si era quindi ritrovata in un salotto che profumava di detergente al pino, con una porta finestra brillante che dava sull’esterno della facciata. Seduta a terra sul tatami, osservava incuriosita una scatola che Touka le aveva appoggiato di fronte già da qualche minuto.

L’ultima eredità che Hideoshi Nagachika si era lasciato alle spalle.

«Tutto qui?», aveva chiesto Aiko, un po’ delusa, spostando qualche vestito, una copia dell’Odissea di Omero con il frontespizio in greco e un paio di scarpe.

«C’erano anche molte altre cose», le aveva rivelato senza remora Kirishima, incrociando le mani sotto al mento. «Foto, articoli di giornale, raccolte di prove…. Tutto appeso alle pareti. Ma ho buttato via tutto. Credevo fosse quello il motivo che lo ha spinto a scrivere a me. Non voleva che nessun altro pensasse che fosse morto per seguire quelle piste, credo.»

«Credi?»

«Sì, come ti ho spiegato prima, non era il mio ragazzo. Non so perché ha lasciato detto questo ai vostri superiori, forse per farmi arrivare il testamento senza beghe legali. Eravamo appena conoscenti. Lui era l’amico di Kaneki Ken, per me.»

Masa non si ritrovò spiazzata come la prima volta che aveva sentito Touka nominare l’alterego di Sasaki, mentre ancora sostavano al piano di sotto. Anche quello era uno dei motivi che l’aveva spinta a portare altrove la conversazione. Finalmente poteva chiederle.

«Lavoravi con Kaneki Ken all’Anteiku, vero?»

«Non chiedermi cose che già conosci. So per chi lavori, anche se non capisco il motivo. Loro ti avranno detto tutto.»

Aiko abbassò il capo, come per scusarsi. «Hai ragione, questo non è un interrogatorio quindi verrò al sodo: Che rapporto avevi con Kaneki?»

«Lo conoscevo appena», rispose freddamente Kirishima, mentre i suoi occhi cambiavano. Da gentili come lo erano sempre stati, s’erano fatti più freddi e distaccati. «So a cosa stai pensando. Quel lui sottointeso nel testamento è Kaneki? Probabile. Potrebbe esserlo, però non mi interessa. Forse Nagachika pensava di farmi felice o di confortarmi, ma le sue parole non hanno fatto altro che confondermi. Kaneki Ken è un ragazzo che ha scelto la sua strada, nonostante l’aiuto che il signor Yoshimura gli ha fornito. Posso dire che non lo conosca meglio di quanto conoscessi Nagachika

«Eppure ti ha dato indicazioni ben precise», la incalzò l’investigatrice. «Portare un fiore nel luogo in cui luce e ombra si incontrano, in un campo di fiori di sangue.»

«Scusandosi quattordici volte», aggiunse Touka. «Mi sono scervellata per tanto tempo su quella parte, poi un mio cliente mi ha raccontato che esiste un luogo, alla fine delle fognature che passano sotto alla ventesima che si chiama Uscita 14 V. Ci sono stata, ma non ho trovato nulla.»

«Credo sia il luogo dove il Centipede e lo Shinigami si sono scontrati», soppesò Masa, cercando di ricordare i dettagli di quella battaglia che era passata di bocca in bocca dentro al ccg. Almeno fino all’arrivo di Sasaki. Da quel momento era calata una coltre di polvere su quell’argomento. «Avrebbe un senso, ma come faceva Nagachika a prevederlo?»

«Potrebbe essere una coincidenza?»

«Non credo.»

«Nemmeno io.»

Prima di recarsi al :re, Aiko aveva fatto i compiti. Aveva cercato qualche informazione su Nagachika nel database e lo aveva ritrovato citato in un rapporto di Marude circa l’attacco avvenuto all’undicesima circoscrizione, la notte in cui Kenzo era morto. Era la stessa notte in cui Juuzou Suzuya aveva abbattuto il boss di Aogiri, Yamori.

La stessa in cui Touka le aveva detto di aver visto Kaneki per l’ultima volta, mentendole. Masa sapeva che le mentiva, ma dopotutto lo aveva visto molte volte negli ultimi mesi, prima che le visite di quello strano avventore cessassero definitivamente.

Per lo Shinigami Nero, il :re non era più un’opzione.

In ogni caso, Nagachika era stato citato dal classe speciale Marude poiché aveva localizzato lui stesso la sede della base di Aogiri. Infilando in qualche modo un ricevitore nella scarpa di Yamori. Qualcosa di eccezionale che gli era valsa la sedia di assistente investigatore senza aver fatto un singolo giorno di corso preparatorio.

Un piccolo genio.

Un investigatore infallibile.

Masa iniziava a tratteggiare un profilo via via sempre più netto di quel ragazzo misterioso, con qualche tratto narcisistico e sicuramente con ben poco interesse nella sua stesa vita.

Dopotutto era riuscito a farsi ammazzare pur avendo l’ordine di rimanere nelle retrovie, no?

«Ho la forte convinzione che Nagachika sia vivo», le disse Aiko, guardandola negli occhi e sperando che Touka tradisse una qualsiasi emozione. «Credo inoltre che stia facendo qualcosa di molto, molto losco. Come, per esempio, mettere i bastoni fra le ruote ad Aogiri rubando qualcosa

«Se anche fosse vivo», le rispose a tono Kirishima, «Non mi interesserebbe altro se non una spiegazione di questo testamento. Mi mancano alcuni punti e dopo tutti questi anni lo trovo ancora seccante.»

«Seccante, dici?», domando Aiko, tornando all’attacco mentre la sua mano scivolava nella scatola e afferrava una felpa nera, dalle maniche gialle. «Eppure hai conservato le sue cose in casa tua per tutto questo tempo.»

«Credevo che Kaneki, un giorno, sarebbe venuto a chiedermele. Però ammetto di aver sopravvalutato quello stupido.»

Stringendo la felpa fra le mani, Aiko la annusò. C’era ancora abbastanza profumo su di essa per poterlo distinguere da quello del tempo che stava consumando la stoffa. «Per essere quasi due sconosciuti, per te, li conosci entrambi molto bene.»

Qualsiasi cosa controbattuta da Touka non riuscì uscì dalle sue labbra a causa di un rumore di fogli che scivolavano a terra. Masa vide con la coda dell’occhio l’oggetto caderle accanto e quando lo prese in mano si rese conto che era una mappa. La osservò per un istante, prima di aprirla avidamente.

C’erano dei luoghi segnati in penna.

Alcuni contrassegnati da piccola stelline.

Altri da cerchi.

Infine, qualche triangolino.

Un sorrisetto le incrinò le labbra, ampliandosi nel notare che Touka era appena sbiancata, colta alla sprovvista.

«Non ti dispiace se prendo questa scatola con me, vero?»

La cameriera scostò i capelli dall’occhio destro, guardandola col capo chino, come un gatto messo all’angolo.

«Fa’ pure. Ma ti prego di farmele riavere quando il tuo delirio sarà terminato.»

Aiko buttò la felpa con il resto degli oggetti, infilando la mappa direttamente nel cappotto. «Lo troverò», comunicò, lapidaria, scoprendosi. «Troverò lui e Amon Koutaro e poi tornerò per avere delle vere risposte. E questa volta non vestirò un cappotto, ma una maschera.»

«Suona come una minaccia.»

«Ogni frase suona diversa a seconda dall’orecchio che la ascolta.»

La riaccompagnò al piano di sotto, in silenzio, e lì Masa si stupì. Voleva chiedere a Nishiki qualcosa riguardo a Nagachika, visto che Touka le aveva rivelato che era stato il suo senpai, ma non trovò il ragazzo con gli occhiali a tenere compagnia a Hige, bensì qualcuno di più chiassoso.

«Ciao Ikari

«Ei Masa!» Il giovane dai capelli blu ridacchiò, alzando il bicchiere di cedrata fresca verso di lei, mentre Touma si voltava a guardarla, spicciandosi a prendere la scatola dalle sue mani. «Mi hanno detto che anche tu sei un abituer qui. Peccato non esserci incontrati prima.»

«No, infatti», confermò la mora. Prese il portafogli per pagare ciò che Higemaru aveva consumato, ma Touka la fermò.

«Metto tutto sul tuo conto», le disse, con tono basso. «Infondo penso che ci rivedremo molto presto.»

«Lo credo anche io.» Le due donne si scambiarono un’occhiata, poi Aiko sorrise più rilassata, salutando tutti i presenti e lasciando il bar per prima, seguita dal suo partner.

Touka attese di vedere la berlina nera allontanarsi, prima di prendere il cellulare, isolandosi dal chiacchiericcio di Naoki, che stava raccontando come al solito la sua giornata a un passivo signor Yomo.

Sospirò pesantemente, comprendendo di aver appena permesso qualcosa che andava impedito.

Era stata una sciocca a credere di poter abbassare la guardia con quell’investigatrice dalla doppia vita.

 

 

Touka: Come avevi previsto, hanno mandato qualcuno per cercare il tuo fuggitivo.

Touka: Non volevo, ma ho mostrato all’agente Masa Aiko lo scatolone con gli oggetti che ho conservato e lei ha trovato una mappa dentro.

?: Una mappa?

Touka: Era nascosta in una vecchia felpa, deve essermi sfuggita. Sembrava una mappa di Tokyo, sulla quale c’erano segnate delle zone della città.

?: @#[?

Touka: Deduco che ora tu abbia un problema un problema.

?: Solo se trova anche il quaderno. A che punto è col testamento?

Touka: Sai del testamento, dovevo saperlo. Comunque non lo so, ma sa più di noi perché ha dei capi che sanno il fatto loro.

?: Non importa.

?: Forse è meglio che trovi tutti i tasselli che le mancano, potrei trarne vantaggio sui suoi capi.

?: La terremo d’occhio, tu non fare niente. Sarà lo spettro che cerca a perseguitarla.

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Il caso Nagachika - 2 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

Iruka era vestito bene, con addosso una camicia elegante e la cravatta dal nodo impeccabilmente diritto. Era carino, mentre riduceva a piccoli pezzettini quella pagnotta di pane, intascato durante la cena, e lo gettava alle carpe che iniziavano ad ammassarsi sotto il piccolo ponte.

Aiko, invece, non sembrava altrettanto graziosa. I capelli si erano sfatti a causa del caldo e del bel cighion nero pece era rimasto poco più che una coda bassa, con qualche ciuffo che sfuggiva al controllo delle forcine.

Il vestito era leggermente spiegazzato sulla gonna, sul bordo, nel punto che aveva stretto ancora e ancora durante la cena, in preda al nervosismo.

Kei era stato crudele nel chiederle sostegno nel momento in cui ha annunciato a suo padre che non avrebbe più lavorato come agente del ccg, ma si sarebbe accontentato di una carica tranquilla dentro al bureau, dietro una scrivania. A nulla erano valse le spiegazioni. La morte di Kenzo durante l’operazione dell’undicesima circoscrizione guidata da Marude l’aveva segnato e al funerale si era deciso. Non aveva il fegato di rischiare la vita, giorno dopo giorno.

«Dovresti chiedere il congedo dal ruolo operativo anche tu.»

«In realtà dovrei tornare a casa a stendere. Se rimangono troppo nella lavatrice, le camicie inizieranno a puzzare di umido.»

Il ragazzo aveva sbuffato una mezza risata, terminando il pane e voltandosi a guardarla, appoggiata mollemente con un gomito alla ringhiera di legno massiccio del ponte e gli occhi inchiodati sulle voraci carpe.

Sapeva che non l’avrebbe convinta facilmente, perché Tamaki l’aveva indottrinata bene durante tutte le esequie del loro vecchio amico. «Dovevamo parlarne subito. Se non mi fossi chiuso in me stesso e tu non fossi rimasta in ospedale con Mizuro credo che-»

«Stai insinuando che io sia così manipolabile?», domandò con tono annoiato e con una punta di risentimento la mora, spostando gli occhi di un giallo accecante in quelli del fidanzato. «Non è più plausibile che sia stata io a dire a Mizuro di rimanere nella sua squadra e che anche io avrei fatto così?»

«Lui sembra più convinto di te.»

«No, è solo più entusiasta. Poi cosa ti aspettavi davvero? Sapevo che prima o poi saremmo morti tutti dal primo giorno di accademia.» Staccandosi col fianco dal legno, la ragazza lo accarezzò con il palmo della mano, non distogliendo gli occhi dall’altro. Non lo compativa, però non lo biasimava nemmeno nella sua scelta. Lei però aveva fatto la sua scelta e non voleva avere ripensamenti. «Tu più di tutti avresti dovuto pensarci bene prima di diventare un agente. Tuo padre è un classe speciale, Kei. Quanti amici ha seppellito? Quanti compagni in vent’anni nel dipartimento? Io spero solo di arrivare al punto in cui è arrivato lui.»

Kei non riuscì a trattenersi, mentre un leggero tremore gli scuoteva le membra. «Ma perché fai così?! La mia vita, la tua e quella di Mizuro hanno un valore! Tu non c’eri, non hai visto cosa è successo a Kenzo. In che stato lo hanno ridotto. Non hai idea di cosa sono stato costretto a vedere e io non voglio vederlo mai più!»

Aiko annuì in modo poco percepibile, mentre muoveva qualche passo verso di lui. «Lo capisco», sussurrò piano, mentre passava le braccia attorno al suo collo e lo stringeva in un abbraccio. «Ma la mia vita vale qualcosa perché una volta un agente mi ha salvata. Non ho altro, se non questo e voglio portare avanti il mio dovere fino alla fine.»

«Hai me.»

Un leggero sorriso le increspò le labbra, mentre lo stringeva di più. «Puoi fare il padre casalingo mentre io picchio i ghoul brutti e cattivi. Non sarebbe una brutta vita, non credi?»

«Questa è la vita che ti immagini?»

«Sì, non sarebbe male.»

«Sei una pessima bugiarda.»

Allora non c’era nessuna Eto pronta a richiamarla a sé tirando il corto guinzaglio che le aveva legato al collo. Allora non c’erano la paura di essere scoperti, la disperazione e il peso di dover denunciare ogni attività del dipartimento. Non c’era nemmeno la voglia di assecondare quel mostro dal sorriso ammaliante, il desiderio di essere guardata da lei, seguita e di avere incarichi sempre più importanti.

Non c’era nessun tradimento, nessuna bugia dietro Masa Aiko.

Solo una triste verità.

«Hai ragione, non so mentire», gli disse, sciogliendo l’abbraccio. «Per questo ammetto che sarà dura giorno dopo giorno affrontare i miei limiti. Ma va bene così. Questa è la vita che ho scelto io. Presto tuo padre ti perdonerà, non ti vedrà più come un codardo e potrai tornare a cena da lui a testa alta e raccontare del tuo importantissimo lavoro di segretario o addetto alla stesura delle denunce.»

Un sorriso un po’ amaro apparve sul volto del giovane, ma apprezzò ad ogni modo lo spirito della ragazza. «Sei sempre così ottimista.»

«Il mio segreto è questo. Andiamo, accompagnami a casa e comprami un paio di taiaki lungo la strada. Oggi tua madre non ci ha servito il dolce.»

Avviluppando il braccio a quello del fidanzato, Aiko si sporse per stampargli un veloce bacio sulle labbra.

E si sentì fiera del suo coraggio nel voler cambiare vita tanto quanto fiera di se stessa nel non volerlo fare. Nel perseverare.

Per rendere Mikito Urie fiero di lei.

Per far notare il suo valore alla sua famiglia.

…. Per tante altre motivazioni che di lì a pochi mesi si sarebbero rivelate solo menzogne.

 

Avrebbe fatto meglio ad ascoltare Iruka e non diventare così brava a mentire.

 

Capitolo ventisette

La stanza asettica dell’ospedale era bollente. Aiko cercò di far arieggiare un po’ l’ambiente, mentre nel corridoio sentiva le infermiere lamentarsi di quel settembre sorprendentemente afoso.

«Le persone sono abitudinarie», disse la mora, prendendo posto sulla sedia accanto al letto e spostando di poco la valigetta di metallo contenente Inazami. «Pensi sia vero che non ci sono più le mezze stagioni? Io credo semplicemente che non esistano le mezze misure.»

«Parli sempre per enigmi…» La ragazza che giaceva inerte fra le lenzuola che odoravano di disinfettante abbozzò un sorrisetto, mentre le rivolgeva un’occhiata stanca con l’unico occhi che poteva utilizzare. «Grazie per essere venuta a trovarmi, Aiko. Però so che siete sempre tanto impegnati, al distretto. Non dovresti sprecare il tuo tempo libero per me.»

Mesta, Masa le sorrise di rimando. «Non dire così, Haru. A me fa piacere venire a trovarti. Senza contare che ora ho qualche giorno libero, quindi non abbiamo fretta, oggi.»

«Ginshi te ne sarebbe molto grato. Io te ne sono grata.»

Con un sorriso più convinto, Aiko spiegò un giornale che aveva acquistato nel chiostro di fronte all’ospedale. Si sistemò meglio sulla sedia, prima di schiarirsi la voce. «Vuoi sapere il tuo oroscopo?»

La giovane nel letto ridacchiò piano. «Sì. Voglio che mi dica che incontrerò l’amore, questo mese.»

 

-Risponde la segreteria telefonica di-

Con un mugolio frustrato, Aiko premette sull’enorme cornetta rossa del touch screen, vedendo il nome di Urie sparire da sopra di esso. Non parlava con lui dal giorno prima, da quando era tornata a casa, dopo il colloquio avuto con Touka Kirishima e una mappa piena di strani misteri irrisolti.

Contando che stava lavorando per Eto, non smaniava di certo per condividere con lui troppe informazioni sul caso. Voleva solo stare un po’ in sua compagnia, ma il ragazzo non era tornato a casa fino a tarda notte. Si era lavato in fretta e poi si era detto troppo stanco per prestarle attenzione. Quando era uscito di casa senza nemmeno fare colazione con la squadra, Aiko aveva capito perfettamente l’antifona: Kuki era offeso a morte per qualcosa che lei doveva avere fatto. Si era scervellata sulla motivazione per tutta la mattinata, anche mentre parlava con la povera Haru Shirazu, ma non era arrivata da nessuna parte.

Decise di rinunciarci nel momento in cui lei e Higemaru arrivarono a visitare il terzo posto segnato sulla cartina.

Il collega la aspettava in disparte, appoggiato con la spalla alla parete in ombra del palazzo e si stava facendo aria proprio con la loro preziosissima prova. Aiko lo guardò per metà divertita e per metà ammonitrice, quindi il ragazzo smise subito. «Non risponde? Sta svolgendo un’operazione rischiosa?»

«Frena i bollori Hige», lo riprese immediatamente la mora, controllando qualcosa che aveva segnato lei stessa sulla sua agenda, spiando in seguito i campanelli disposti in ordine uno accanto all’altro. «Si starà sicuramente facendo delle seghe con Matsuri.» Naturalmente la frase non era ancora terminata quando un signore anziano uscì dalla struttura, tenendo loro la porta aperta affinché potessero entrare. Aiko non provò nemmeno un minimo di vergogna per l’essersi rivelata così sboccata, mentre al contrato Touma arrossì così tanto da iniziare a diventare dello stesso colore dei suoi capelli. «Sul campanello c’era segnato che il signor Koshi Wakaba vive al terzo piano. Facendo un confronto fra gli spostamenti bancari di Hideoshi Nagachika e questo indirizzo, ho scoperto che ha versato un affitto mensile per due anni a quest’uomo.»

«Quindi questa potrebbe essere casa sua?»

«No, lui viveva nella ventesima. Questo forse era una sorta di nascondiglio o magari un luogo per riuscire a lavorare meglio.»

Touma corrucciò la fronte. «Per il ccg?»

«Magari contro il ccg, chi lo sa.»

I due in ascensore si scambiarono un’occhiata e alla fine Higemaru esalò esasperato, «Non ho capito.»

«Credo che il signor Nagachika non sia solo vivo, ma anche invischiato in affari poco legali. Per questo ho chiesto ad Arima un mandato per verificare se ora ci sia un regolare contratto di affitto per la stanza vuota del signor Wakaba. Lui ha fatto due chiamate confermandomi che ogni mese, un certo Taro Yamoto affitta la stanza pagando in contanti.»

«Quindi la stanza è regolarmente affittata, ma i pagamenti sono in nero. In effetti è sospetto. Poi davvero? Taro Yamoto? John Doe sarebbe stato più internazionale.»

Nel gergo giuridico giapponese, Taro Yamoto era il nome che veniva utilizzato per nominare le persone morte non identificate, o scomparse. Masa iniziava a pensare che quello non era altro che un gioco malato che avrebbe portato un bel po’ di casini al dipartimento. Sempre meglio al ccg che ad Aogiri, in ogni caso. Per questo aveva preferito lavorarci su con il distintivo in mano e non con il kagune estratto. O con Tsubasa.

Arrivati al piano vennero accolti sull’uscio da una bella donna dalla pelle olivastra e una chioma lunga e scarlatta. «Mi scusi, signorina», si fece avanti Higemaru, spavaldo con la valigetta in mano e il petto gonfio. «Stiamo cercando il signor Koshi Wakaba. Potrebbe indicarmi quale è il suo appartamento?»

La ragazza si scostò il ciuffo dal viso con le dita allungate dalle unghie finte, guardandolo con gli occhi tinti di un verde strano. Sicuramente erano lenti. Masa notò un moto di imbarazzo, ma in ogni caso, sorrise al collega. «Sono io», ammise quindi, candidamente, la sconosciuta. «Koshi era il mio nome prima della transizione», spiegò a Masa, visto che Higemaru sembrava entrato in stanby cerebrale. Troppe cose che non aveva previsto in troppo poco tempo. «Potete chiamarmi Rea. Siete  agenti di polizia? Non ho avuto ancora il tempo di andare al catasto per il cambio di sesso perché non ho finito con gli interventi chirurgici. So che c’è una multa da pagare, ma io-»

«Signorina Wakaba», la interruppe Aiko, con un sorriso gentile. «Non siamo poliziotti. Siamo agenti del ccg e vorremmo rivolgerle solo un paio di domande.»

«Ccg?», chiese stupita la donna, corrugando le sopracciglia. Poi successe una cosa molto strana che non sfuggì ad Aiko. La donna appoggiò a terra il cagnolino bianco che teneva sotto al braccio, insieme alla borsa, giusto dietro l’uscio della porta, la quale venne poi chiusa alle sue spalle.

«Non ci invita ad entrare?», le domandò mordace l’investigatrice, senza però dar troppo l’impressione di aver notato quella stranezza.

«La casa è in disordine, sto ristrutturando», si giustificò quella, «Però possiamo parlare qui. I vicini sono molto tranquilli, non ci riprenderanno. Senza contare che non so cosa la ccg possa volere da me, non ho sporto denunce né mai visto un ghoul in vita mia.»

«Stiamo cercando un suo ex affittuario», disse Aiko, mostrandole una foto.

«Ah, sì, Hide.» Un sorriso malinconico incurvò le labbra spesse della donna, mentre passava le dita grosse sul volto del ragazzo. «Me lo ricordo bene. Mi hanno detto che è morto. Lavorava anche lui per il ccg, vero?»

«Era assistente investigatore, sì.» Masa riprese la foto, «Quindi non ha più avuto nessun contatto con lui?»

«No, signora. È sparito dal giorno alla notte e ora ho un nuovo affittuario.»

Gli occhi dell’investigatrice si affilarono, «Possiamo parlare con lui?»

«Purtroppo non c’è quasi mai. Ha preso la stanza perché è più vicina all’università, ma non soggiorna qui se non per le sessioni d’esame. Oppure quando deve incontrarsi con qualche compagno di corso. Almeno, questo è ciò che mi ha detto lui. Non siamo in rapporti stretti, è solo un affittuario come molti altri.»

«Signorina Wakaba, è nervosa?» Higemaru si insospettì a sua volta, attirando su di sé il falso sguardo verde della donna. «Se è a conoscenza di qualche attività illecita, dovrebbe denunciarla. Voglio dire, Taro Yamoto? Ha davvero deciso di fare un contratto a questo nome?»

«Il mio affittuario è una persona molto riservata», lo ribeccò con voce grossa lei, prima di riprendere a parlare più delicatamente, schiarendosi la voce. «Ora vi chiedo di perdonarmi, ma se non avete un mandato per entrare e richiedermi di visionare il contratto d’affitto, torno a occuparmi della mia casa.» Si inchinò di fronte ai due, in segno di rispetto, prima di infilarsi rapidamente dietro l’uscio e chiudersi dentro a doppia mandata.

«Ho sbagliato, vero Aiko?»

Lei gli spettinò i capelli, mentre si avviava all’ascensore. «No Hige, hai fatto bene. Hai dimostrato che nasconde qualcosa. Ora dobbiamo solo capire cosa e procurarci le prove per un mandato.»

Touma sorrise, prima di iniziare a pavoneggiarsi. «Non me l’ha raccontata giusta dall’inizio. Secondo te non ci ha invitati ad entrare perché è un ghoul?»

Le porte dell’ascensore si chiusero e Masa aprì la mappa, controllando i posti mancanti. «No, dall’odore è un essere umano, anche se la cura ormonale rende difficile capirlo.»

Il giovane annuì, sbrigativo. Quasi in imbarazzo.

«Non avevi mai visto un transessuale, Higemaru?», domandò intenerita l’investigatrice, guardandolo con gli occhi di una madre che sorprende il figlio mentre scopre qualcosa di nuovo.

«Non ci avevo mai parlato, in realtà.» Uscirono nuovamente alla luce del sole e lui portò la mano sugli occhi chiari, per schermarli. «Mi sono comportato male?»

«Ti sei comportato normalmente, quindi no.» Entrati in auto, Aiko accese il motore pregando che l’aria condizionata iniziasse presto a fare il suo lavoro. Intanto continuava a guardare la cartina.

«La prossima tappa è questo luogo nella ventesima?», si informò il giovane, tirando la cintura verso di sé mentre con l’altra mano colpiva piano la mappa in un punto.

«No, lì non c’è più niente. Il palazzo è stato demolito tre anni fa.»

«Come fai a saperlo?»

«Perché conosco questo indirizzo a memoria: è dove una volta sorgeva l’Anteiku.» La bocca del ragazzo si schiuse in una piccola ‘o’, mentre osservava ammirato Aiko in quanto superstite di quell’operazione. «Smettila, sei inquietante.»

«Avrei tanto voluto partecipare a quella operazione. Dicono che fu magistrale.»

Lei lo guardò negli occhi e dentro di essi Hige vi lesse un po’ di compassione. «Fidati non avresti voluto esserci. Ad ogni modo, andiamo nella seconda circoscrizione, così ci avviciniamo a casa. Qui c’è segnato un luogo all’angolo fra due strade e accanto c’è una stellina. Dovremmo iniziare anche a capire il senso dei simboli, prima o poi.»

Il ragazzo sorrise, ottimista.

«Sono sicuro che scopriremo qualcosa di importante a questo indirizzo!»

 

 

Un altro bar.

Ad attenderli nelle seconda circoscrizione c’era solamente l’ennesimo locale aperto al pubblico. Lo sguardo di Aiko verso Higemaru divenne di puro biasimo. Ma era più per se stessa, visto che iniziava a credere che non avrebbe cavato un ragno dal buco.

«Riassumendo», brontolò con voce bassa, prendendo dalla tasca del trench il pacchetto delle sigarette. «Abbiamo visitato due bar, un ristorante, una sala di lettura, un terreno abbandonato e un appartamento nel quale, però, non ci hanno permesso di entrare. Adesso siamo al terzo locale e io, francamente, inizio a pensare che quella fosse la mappa dei locali migliori secondo Nagachika. Niente di losco.»

Higemaru le impedì di accendersi una sigaretta, rubandole dalle mani l’accendino. «Prendiamoci qualcosa di fresco da bere», le disse, con un sorriso che avrebbe sciolto anche la calotta polare. «Almeno non saremo venuti fino a qui per niente.»

Aiko sospirò, abbassando il capo e annuendo. Almeno dentro al locale avrebbero trovato un po’ di riparo dall’afa e goduto dell’aria condizionata.

Seguendo il collega all’interno, la moretta notò che non era un bar come tutti gli altri. Ovunque c’erano scaffalature su scaffalature di libri. Sembrava più una sala di lettura all’inglese di un bar. Eppure la lista dei te freddi era così invitante che Aiko non resistette dal prendere un te nero aromatizzato al lampone e amarena. Higemaru fece il bis con uno alla banana e fragola e entrambi presero posto ad un tavolino che si era appena liberato. Aiko sprofondò nella poltroncina dopo essersi sfilata in fretta il trench, spiando i libri sopra alla sua testa mentre Higemaru prendeva due o tre tiri voraci dalla cannuccia.

Stava andando tutto a rotoli, ma lì Aiko si trovò bene. Era un locale silenzioso, fresco e quasi famigliare. C’era qualcosa di confortante nell’aria.

Quando Touma aprì di nuovo bocca, l’altra comprese cosa si era persa.

«Quella dietro alle tue spalle è Takatsuki Sen!»

Masa rimase bloccata così come si trovava, col naso rivolto verso un libro di Goethe e la mascella rigida, inerme di fronte alla probabilità che se si fosse voltata, avrebbe contrato un paio di occhi verde acqua conosciuti.

Se era davvero lei, Eto aveva sicuramente sentito l’esclamazione del partner, quindi poco valeva far finta di nulla. Aiko si rimise diritta e si voltò, guardando nella direzione indicata dal collega. Seduta in modo scomposto su una poltroncina di pelle ad angolo, con addosso una salopette azzurrina e una maglietta a maniche corte di uno strano color senape che le andava larga, c’era proprio Eto.

Anzi, Takatsuki Sen, famosa scrittrice.

«Deve vivere nelle vicinanze», fu il commento laconico di Masa, che non fece nient’altro se non rimettersi seduta diritta, dando le spalle alla donna che difficilmente non s’era accorta di lei. Ad ogni modo, doveva agire come se non le importasse.

«Perché non le chiedi un autografo? Hai tutti i suoi libri. Me lo ha detto il caposquadra che anche se non ti piace molto leggere, non ti sei persa un singolo libro di Takatsuki Sen!»

Di nuovo, a tono alto, Higemaru fu assolutamente fuori luogo. Anche se mai quanto Urie, che a quanto pare non solo parlava di lei, ma anche degli argomenti sbagliati.

«Non voglio disturbare la signorina dalla sua lettura.»

«Allora lo farò io per te!»

«Hige non serve che-»

Masa ci provò davvero a fermarlo, ma il ragazzo era già partito per un mondo al quale lei non poteva nemmeno vagamente ambire. Quello dell’innocenza. Rimase ferma, non si voltò, non volle vedere.

Non seppe nemmeno quanto tempo il partner ci mise, ma le parve un eternità e quando tornò, non era solo.

Con lui c’era anche lei.

«Volevo conoscere l’agente Masa Akiko a cui ho fatto l’autografo», disse tutta pimpante Eto, sorridendole, prima di aggiustarsi gli occhiali sul naso. «Oh, chiedo scusa, Aiko. Posso?»

«Prego, signorina Takatsuki, si sieda con noi!», Aiko, che era schizzata in piedi nell’esatto momento in cui le loro iridi si erano incontrate, tornò anche lei a sistemarsi sulla poltroncina, di fronte al Gufo, alla quale Touma aveva ceduto il posto per poi andare alla ricerca di uno sgabello per sé.

«Per me è davvero un onore conoscere una scrittrice così talentuosa, signorina Takatsuki», chinò il capo Masa, per non sorridere divertita. Eto se la stava proprio spassando in quel frangente, glielo leggeva nello sguardo. Avevano la possibilità di atteggiarsi come due sconosciute e non poteva lasciarselo sfuggire, che Masa volesse o meno.

«Oh, per favore, agente, chiamami per nome.» Un sorriso enorme si aprì sul volto piccolo e tondo di Eto, «Io posso chiamarti Aiko, vero? E tu sei Touma. Sono un disastro con i nomi, perdonatemi se sbaglio.»

«La ringraziamo per il privilegio della sua compagnia, signorina Sen», trillò tutto allegro Higemaru, mentre Eto prendeva un sorso del suo the, appoggiando il libro che stava leggendo fino a quel momento sul bracciolo della poltrona. «Le Metamoforsi di Kafsha

«Kafka», lo corresse Eto, alzando un dito come una maestrina. Dito che poi andò ad appoggiare sul naso del ragazzo, che avvampò di imbarazzo. «Sei così tenerello, lo sai? Ti mangerei di baci. Comunque, questo è un libro che ho sempre amato particolare. Lo avrò letto almeno trenta volte e quando mi sento un po’ triste, lo riprendo sempre in mano e alla terza riga mi sento meglio.»

«Ormai lo avrà imparato a memoria.»

«Non me ne sazio mai, come delle persone.» Con un ultimo sorriso al ragazzo, si rivolse a Masa. «Adoro il ccg», cinguettò allegramente, muovendo la cannuccia dentro al bicchiere di plastica trasparente. «Ho parlato con un paio di voi qualche anno fa. Mi pare si chiamassero Mado e Amon.» Prese un altro sorso, dondolando le gambe sotto al tavolo mentre si sistemava più comoda. «State indagando su qualcosa, ultimamente? Sono una vecchietta curiosa, perdonatemi se vi importuno in una pausa.»

«Non è un’indagine ufficiale», le disse Aiko, «Stiamo cercando una persona. Se lei è una frequentatrice abituale del posto, signorina Sen, magari può aiutarci.»

Gli occhi del ghoul brillarono. «Farò qualsiasi cosa in mio potere, agente.»

Masa le mise sotto al naso prima la foto del ragazzo, poi la mappa che aveva trovato nella sua felpa e che stavano cercando di decodificare da tutto il giorno. «Il soggetto in questione si chiama Hideoshi Nagachika ed è sparito dalla ventesima circoscrizione, più di tre anni fa, in seguito ad una operazione speciale della ccg. Non abbiamo indizi su di lui, né che sia vivo o meno, ma abbiamo ritrovato fra i suoi oggetti personali questa mappa. Guardandola, lei cosa ci vede?»

Eto prese fra le mani la cartina, ignorando totalmente la foto.

Hige si sporse verso di lei. «Va bene mostrargliela? È una civile.»

«Non è un’indagine ufficiale, va bene fino a che non riveliamo dettagli personali di Nagachika.»

Aiko avrebbe voluto anche citargli la clausola, ma non ci riuscì. L’espressione sul volto di Eto mutò così repentinamente che le mozzò il fiato in gola. Ora mi ucciderà, davanti a tutti. Questo riuscì a pensare, mentre poteva avvertire un’aurea scura alzarsi dal corpicino del Gufo. Durò pochi secondi, ma bastarono per raggelarla e gettarla nello sconforto. Quando tornò a rivolgersi a lei e a Hige, Eto aveva di nuovo il sorriso. «Temo di non potervi aiutare per questa», ammise candida, ripassando a Masa la mappa, la quale la prese con la mano che tremava appena. Poi il ghoul afferrò la foto, studiandola per bene da dietro le lenti spesse degli occhiali tondi. «Hideoshi Nagachika, uhm?»

«Io vado a prendermi un altro the»  Higemaru attirò su di sé gli occhi delle due donne e, senza saperlo, fu provvidenziale. «Ne volete un altro anche voi?»

«Io sono a posto con gli zuccheri per i prossimi vent’anni dopo questo», gli disse Aiko, mostrandogli il suo, ancora a metà.

Eto scosse semplicemente la mano. «Non preoccuparti, giovanotto. Non rimarrò qui ancora per molto.»

«Faccio presto allora, così posso salutarla, signorina Sen.»

Lo guardarono allontanarsi al bancone e solo a quel punto, Aiko si sporse in avanti per parlare. Eto fu però più veloce, come sempre. «Mi piace, questo tuo nuovo partner. Sembra un tipetto poco sveglio, eh?»

«Sta imparando», prese le sue difese Masa, prima di sospirare grave. Poi fece un cenno alla mappa. «Cosa ci vedi?»

«Vedo qualcosa che non mi sta bene. Ovvero queste stelline.» Eto la guardò seria come poche altre volte aveva fatto, inchiodandola su quella poltroncina. «Questi sono luoghi molto importanti, per me.»

«Posso sapere il motivo?»

«In questi locali è dove mi incontro con il Re.»

Aiko sgranò gli occhi, scioccata da quella rivelazione. Poi però nella sua mente si disegnò già un piano. «Non ci hanno permesso di avere una stanza che credo abbia affittato sotto falso nome», snocciolò velocemente. «Posso mandare Kenta a-»

«No. Andiamo noi due, Ai Ai. Stanotte.» Eto le mise sotto al naso la sua agenda. «Scrivimi l’indirizzo, ci vediamo direttamente lì appena riuscirai a liberarti dei tuoi colleghi.»

«Va bene, Eto.»

Tutto ciò che desideri.

Touma le raggiunse mentre Masa le stava restituendo la Molang rosa. Eto sorrise allegra e gli rese il posto, congedandosi in fretta. Si scambiarono un ultimo sguardo e poi il ghoul lasciò il locale e il libro sul bracciolo della poltrona.

«Cosa le hai scritto nell’agenda?», si informò Hige, che le aveva guardate conversare da lontano. Il suo udito però non era così buono da coprire il brusio degli altri avventori e le due avevano parlato piano.

Aiko lo guardò negli occhi, mentre beveva. «Mi ha chiesto il numero.»

A quel punto, il ragazzo rise. «Un vip che ti chiede il numero! Questa vorrei raccontarla a tutti, ma se dovesse venirlo a sapere il caposquadra…»

«Diglielo invece, così magari impara a rispondere alle mie chiamate.»

Aiko si sporse verso di lui, afferrando le Metamorfosi, prima di riaffondare nella poltrona. Aprì la prima pagina e lesse una frase, scarabocchiata leggermente con una matita.

Ci sono solo due tipi di uomo perfetto al mondo: uno morto e l’altro mai nato.

Era un proverbio cinese detto e ridetto da Tatara. Eto doveva averlo scarabocchiato in quel libro sovrappensiero, prima che arrivassero al locale. Magari mesi o anni prima di quel giorno. Una cosa era certa però.

Ora il Gufo col Sekigan aveva motivo di preoccuparsi di qualcosa.

Che Nagachika conoscesse la vera identità del Re con un Occhio Solo?

Tutto ciò che Aiko pensò fu che era impossibile. Quello era il segreto più grande di Aogiri di cui nemmeno lei sapeva nulla. Solo Eto e Tatara avevano contatti diretti con sua maestà in persona, visto che la terza persona a saperne qualcosa era stata Noro. E Noro ormai era diventato una quinque.

Come era possibile, quindi, che conoscesse quei luoghi?

Avrebbe fatto meglio a venirne a capo e trovarlo.

O Eto non l’avrebbe più protetta.

 

 

«Ai-Ai, vedi qualcosa di interessante?»

Una goccia di sudore rotolò della fronte sul naso di Masa, mentre con mani ferme e decise scollegava il terzo di diversi cavi di alimentazioni connessi da altrettante cariche esplosive. Esse erano state installate accanto alle due porte di accesso alla piccola stanza che Taro Yamoto aveva affittato dalla signorina Wakaba, probabilmente come garanzia che nessuno sarebbe mai riuscito davvero a ficcare il naso nei suoi affari.

Era stata una pura intuizione quella di entrare dal soffitto, creando un buco nell’appartamento del piano di sopra. L’idea di Aiko aveva causato un paio di quelle che Eto aveva definito vittime collaterali, ovvero una coppia di poveri anziani che si erano ritrovati alla porta la Bambina con le Bende e Labbra Cucite.

Se non ci avesse pensato su avrebbero scatenato l’inferno, per tornarsene a mani vuote.

«Una bomba incendiaria rudimentale», spiegò con tono alto verso la stessa porta che stava fronteggiando. Non aveva senso mettere in sicurezza quella che non dava sull’interno dell’appartamento padronale, visto che Eto aveva intenzione di spremere Wakaba di ogni informazione utile. «Un lavoro da pivelli.»

«Detto da una dinamitarda come te, ci credo.»

Un piccolo sorriso lusingato allargò le labbra di Aiko, mentre seguiva con gli occhi il cavo dell’innesco, dalla maniglia fino a un cilindro, connesso a sua volta a una tanica. «A occhio direi che ha usato centoventi grammi di polvere da sparo per i due cilindri, mezzo litro di benzina a tanica per l’innesco rapido e due bombole di propano da duecento millilitri. Voleva essere certo che l’intera stanza sarebbe bruciata in fretta. Non c’è abbastanza potere deflagrante nemmeno per abbattere un muro, ciò mi porta a pensare che non voleva cancellare il palazzo dalla faccia della terra, ma qualche prova di sicuro. E magari evitare di uccidere qualcuno.»

«Hai visto se c’è qualcosa di interessante lì in giro?»

«Non ancora, sono impegnata a disinnescare questo lavoretto mediocre. Per essere un piccolo genio che ci sta scappando da mesi, dovrebbe lavorare un po’ sullo stile. Anche se, pensandoci bene, credo che abbia architettato questo trucchetto alla svelta. Sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a cercarlo.»

Eto tacque per un attimo, poi di seguito a qualche rumore sordo, parlò nuovamente, più vicina alla porta. «Intendi dire che potrebbe essere qualcosa di improvvisato recentemente?»

«Ne sono quasi del tutto sicura. Nagachika, se è davvero lui il signor Spaventapasseri Yamoto, può fare di meglio di così, considerando cosa ha fatto per liberare Amon. Anche una persona senza la minima esperienza in materia potrebbe creare questo tipo di bomba.» Senza esitazione alcuna, Aiko aprì la porta, guardando dal basso della sua posizione genuflessa Eto. «Ho finito.» La mora sorrise, con le labbra libere dalla maschera di cuoio che aveva abbassato quando si era messa al lavoro. Mostrò all’altra uno dei cilindri metallici, ne aveva contato uno per ciascuna porta, ora scollegato dal resto dell’impianto. «Un cavo di metallo elettrificato da una batteria da auto si collega direttamente a un cilindro pieno di polvere da sparo. Una volta cercato di forzare la porta dall’esterno, nell’esatto momento in cui la serratura viene aperta, un impulso viene liberato e fa esplodere la polvere da sparo, che incendia la benzina. La benzina crea la fiammata primaria, che colpisce le bombole di propano, le quali deflagrando per l’alta temperatura fanno un po’ l’effetto del napalm sul Vietnam, ma in versione casalinga.»

«Sembra studiato comunque bene per qualcuno che aveva fretta.»

«Ciò che mi stupisce però è che non c’è modo di entrare nemmeno per il bombarolo», disse Masa, guardandosi attorno. «In qualsiasi modo la porta fosse stata aperta, con una chiave o con la forza, questo posto sarebbe esploso. Non ha calcolato la possibilità del soffitto, grazie al cielo, perché qualsiasi cosa ci sia qui dentro, lui non vuole che qualcuno la trovi.»

«Allora mettiti al lavoro, mentre io continuo un po’ con la nostra nuova amichetta di là.»

Eto le strinse l’occhiolino, prima di alzare una benda sulle labbra e il cappuccio sul capo, compiendo ad ampi saltelli il corridoio che la separava dal salotto nel quale aveva legato la povera vittima, in quelle che sarebbero state le sue ore peggiori. Aiko non poteva vedere nulla da lì, ma sentiva la voce bassa e carezzevole di Eto come se le fosse accanto, così come ogni singolo singulto di Wakaba.

Cercò di isolarsi, facendo ciò che le era stato ordinato. Ribaltò quella stanza aprendo ogni andata e ogni cassetto. Squarciò il materasso e i cuscini del divano. Tutto ciò che trovò di utile fu qualche yogurt scaduto da pochi giorni in frigo, prova che avvalorò la sua tesi che quello era stato il nascondiglio del soggetto della sua ricerca fino a poco meno di due settimane prima, a occhio e croce.

Aiko passò le dita su una mensola e guardò il guanto bianco, solo leggermente sporco di polvere. Quel posto era stato abitato e forse da più di una persona. Nel frigo aveva avvertito anche l’odore del sangue umano ristagnato, ma non aveva trovato prove in merito.

In bagno cercò ovunque, ogni anfratto, ogni mattonella, ma era pulito come il salotto e la cucina. Il piccolo letto appoggiato in fondo alla stanza, ora distrutto dai colpi di Dao della mora, era l’unica cosa che un po’ stonava col resto dell’arredamento nuovo. Erano letteralmente tre materassi impilati, come se in realtà fossero stati usati da più di una persona, magari stesi a terra a mo’ di futon. Per scrupolo, Masa li odorò. Due non avevano odore. Uno sì.

«Eto, credo che Amon abbia dormito qui, sento l’odore di Seidou su questo materasso.»

«Ah sì? Come è possibile allora che la nostra amica non abbia visto niente? Voglio dire, il mio fratellino è bello grosso! A cosa le serviranno mai questi occhioni!?»

Aiko sospirò, lasciando ricadere i materassi, prima di voltarsi verso la porta. Fu lì che notò uno specchio. Era grande abbastanza da poter renderle l’intero riflesso del suo busto, avvolto dalla mantella color vinaccia. Gli si avvicinò, sistemando le bende che poi avrebbe riabbassato sull’occhio destro. Fu in quel momento, nell’angolo sinistro dello specchio, che notò qualcosa.

Una pianta.

Era ancora incredibilmente verde per essere stata lasciata sola a se stessa, nascosta dietro un pesante tendaggio, accanto alla sola finestra dell’intera stanza, i cui scuri erano stati chiusi da molto prima che l’appartamento venisse abbandonato. Le si avvicinò incuriosita e ne toccò una foglia, constatando che era finta, di plastica.

Si chiese il perché di quella scelta di stile e quando l’occhio scivolò verso il vaso, notò che la terra invece era vera. Sollevò il gambo sintetico, scavando con la mano per spaccare quella zolla secca e sotto di essa, in corrispondenza con il fondo del vaso, trovò un piccolo squadernino nero.

Lo prese con mani tremolanti, ricca di aspettative.

Esse non vennero deluse quando al suo interno trovò una serie di annotazioni, altri indirizzi, date e orari.

E una fotografia di due liceali, uno moro e timido, l’altro dai capelli arancione acceso e gli occhi furbi.

«Eto!», esclamò, incapace di trattenere l’entusiasmo. «Ho trovato qualcosa!»

Non ottenne una risposta, ma ciò che lesse fra quelle righe la spinse a non preoccuparsi più del ghoul che l’accompagnava. Ogni singola pagina iniziava e finiva con quelli che erano palesemente una serie molto lunga di appostamenti. Ogni riga iniziava con un orario, un luogo e due lettere puntate. Poi una serie di parole scarabocchiate velocemente, molte delle quale erano ‘inconcludente’ o ‘non solo’.

Il fiato le si mozzò quando realizzò che molti di quei posti li conosceva perché erano frequentati dai Quinx o lo erano stati prima della morte di Shirazu. Qualcosa in particolare le paralizzò mente e corpo.

2 luglio 2016 – ore 21.12 – Ristorante Maruka, 3-16-1 Kanda Okadacho, Chiyoda 101-0052, Circoscrizione 1. RA-B e CN cenano.

Il suo appuntamento con Urie, la sera in cui hanno rotto la sedia. È ironico che fino ad allora l’aveva sempre ricordata come una serata divertente. Se avesse saputo di essere osservata forse avrebbe goduto meno della compagnia e avrebbe tenuto maggiormente gli occhi aperti.

Di nuovo, si ritrovò a ringraziare mentalmente Eto. Se non le avesse chiesto di indagare su Nagachika, allora non avrebbe mai scoperto niente. Non avrebbe mai realizzato che erano seguiti, studiati.

Soprattutto questo RN, che ricorreva spesso, molto più di qualsiasi altro nome.

«Eto!», chiamò nuovamente, percorrendo il corridoio in fretta fino al salotto. «Avevi ragione, Nagachika o Yamoto che sia sta-»

Non riuscì a terminare la frase.

Il salotto era invaso di sangue.

La testa della signorina Wakaba, era collegata al collo solo da una sottile striscia di muscolo. Aiko guardò quel volto sfigurato e quel cranio esposto, dopo che ogni singola ciocca di capelli era stata strappata a mano e lasciata cadere a terra, sul tappeto.

«Credevo che fosse una parrucca, chi mai si farebbe crescere tanto i capelli per poi tingerli di un rosso così volgare», sussurrò Eto, seduta sulla poltrona, mentre rimirava quello scempio con gli occhi assenti. Aiko si spaventò, non l’aveva mai vista così. Sembrava quasi stesse avendo una brutta psicosi a cui sicuramente l’investigatrice non avrebbe saputo far fronte, così abituata alla Eto manipolatrice e abile a gestire ogni situazione. Quello era però uno scenario che andava ben oltre ogni sua possibile previsione.

«Eto», la chiamò esitante Aiko, inginocchiandosi accanto a lei e cercando il suo sguardo. Appoggiò il quaderno sul tavolino del salotto, accanto alla lingua di Wakaba e comprendendo perché non l’aveva sentita gridare. «Ho trovato qualcosa di importante. Ho trovato degli appunti da decodificare. Si è lasciato qualcosa alle spalle, commettendo un passo falso.»

Con mani gentili, scostò le bende dal viso della bestia e lo accarezzò lentamente.

«Andrà tutto bene, lo prenderemo.»

Eto le sorrise, sardonica. «Io scommetto che invece voleva proprio che lo trovassimo. E sai perché? Perché questa qui non sapeva nulla, non era una sua complice. Non ha lasciato nulla al caso.»

«Allora prenderlo sarà ancora più soddisfacente, non credi? Lui pensa di essere un passo avanti a noi, ma saremo più furbe. Insieme

Ci fu un momento in cui il Gufo sembrò quasi vacillare ulteriormente, poi le sue iridi tornarono brillanti. Si sporse a baciare Aiko, costringendola a sedersi di prepotenza sul pavimento sporco di sangue e interiora.

Il bacio fu seguito da bende e tessuto che caddero attorno a loro, fino a che le loro pelli nude non entrarono in contatto. Solo quando Eto si ritenne soddisfatta, dopo quelle che sembravano ore, lasciò Aiko a terra, ansante, sporca di sangue rappreso e sudore.

Il ghoul prese il quaderno usando un tovagliolo di carta per non impregnarlo col sangue della padrona di casa, poi si voltò verso la mora, con un sorrisetto.

«Dobbiamo sparire in fretta, tra poco albeggerà», sussurrò con il tono dolce di un amante, mentre Aiko soppesava l’idea di farsi una doccia da qualche parte per non tornare con addosso le prove incriminanti di un omicidio, oltre che l’odore del sesso.

Si mise seduta, guardando Eto che a sua volta fissava la foto di Nagachika e Sasaki. No, non Sasaki.

Kaneki Ken.

«Questa la tengo io», le disse semplicemente il ghoul. «Il resto è tuo. Decodificalo.»

«Sarà fatto.»

«Prima, però, hai un’idea per sistemare questa incresciosa situazione?»

Eto si era lasciata prendere un po’ troppo dall’entusiasmo e aveva fatto un bel casino.

Aiko si abbracciò le ginocchia, calcolando che ripulire tutto con la candeggina non aveva senso. Non avrebbero mai rimosso tutto il liquido secreto dal kagune di Eto dalla stanza e sarebbe suonata sospetta la presenza del Gufo col Sekigan lì.

Senza contare che i loro dna erano sparsi sul tappeto, insieme al sangue.

Poi Masa ebbe un’intuizione.

Si voltò, guardando le bombole di propano e la benzina, in mostra grazie alla porta lasciata aperta in fondo al corridoio.

«…Forse ho un’idea.»

 

 

Quando Aiko rincasò allo chateau s’erano fatte ormai le otto del mattino.

Trovò tutti seduti al tavolo della colazione, quasi come se la stessero aspettando, nonostante si fosse impegnata a rimanere in contatto tutta la notte con Higemaru il più possibile per non destare sospetti. La doccia alla fine l’aveva fatta da Eto, allungando così la sua assenza da casa. Si era poi premurata di non avere l’odore addosso del ghoul una volta entrata in macchina. Sarebbe stato spiacevole lasciare la fragranza di Gufo col Sekigan sui sedili di pelle dell’auto di servizio.

In ogni caso, una volta rincasata, sapeva che non avrebbe avuto vie di scampo. Avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda per tutte quelle ore di assenza.

«Macchan, pensavano di poter subaffittare la tua stanza, ormai», le disse divertita Saiko, prima di corrugare la fronte. «Ah, tu non ce l’hai più una stanza.»

«Scusate, ho passato la notte nella biblioteca della Kami a lavorare sul caso Nagachika», disse loro appoggiando la tracolla sul divano e anticipandoli con le spiegazioni. «Non hanno una grande sicurezza in quell’università.»

«Potresti provare a chiedere il permesso invece di entrare dalle finestre», la arguì subito il caposquadra, continuando a padellare frittelle senza voltarsi a guardarla, né a chiederle se avesse fame. «Magari lo troveresti più comodo.»

Masa ignorò Urie, guardando direttamente Higemaru mentre si sedeva al suo posto, a capotavola. In mano aveva un plico di fogli. «Nagachika ha scritto diversi saggi sui ghoul o sulle leggi anti ghoul. Indovina quale sarà il tuo compito mentre io mi riposo un po’.»

«Leggere tutto e riassumere?», domandò il ragazzo dai capelli pervinca, attirando a sé quella mole di lavoro e annuendo, senza esitazione. «Consideralo già fatto. Ci pensa Hige.»

«Ti do una mano se vuoi, oggi sono di riposo», gli disse Aura mentre si alzava sazio dal tavolo, con addosso ancora il pigiama sformato, andando verso i divanetti. Si sentiva ancora in debito dopo che Touma aveva deciso di dormire fuori dalla tenda, ad Aokigahara, quindi gli parve un buon modo per appianarsi.

«Macchan ti è arrivata una lettera stamattina», disse di punto in bianco Saiko, guardando verso Urie, il quale aveva ritirato la posta stupendosi parecchio dell’arrivo del postino così presto.

Fu lui a consegnarla alla giovane, prendendola dalla tasca dei pantaloni.

«Prego», le disse a denti stretti, risentito per il non essere stato ringraziato. Aiko però non sembrava essersene nemmeno accorta.

Fissava la busta, come in trance.

Poi, cercando di mantenere la calma, fissò negli occhi Urie.

«L’ha consegnata il postino?»

«Chi, se no? Il farmacista?»

«Ha suonato alla porta?»

«Sì.»

«Lo hai visto in faccia? Hai notato qualche dettaglio strano? Che divisa aveva?»

«Non-Non lo so, non aveva niente di strano. Perché tutte queste domande.»

Aiko sollevò la busta, in modo che potesse vederla bene anche lui.

«Perché non c’è l’indirizzo del mittente, né in francobollo qui sopra. Ecco perché.»

Touma si sporse per guardare a sua volta, mentre Hsiao assottigliava gli occhi, appoggiando le bacchette. Aiko scambiò uno sguardo preoccupato con Saiko, poi palpò la busta. Sembrava totalmente vuota ad eccezione di qualcosa di rigido e lungo, adagiato sul fondo.

Non poteva essere una bomba.

Se anche fosse stato un tipo di innesco a cartellina – e Masa conosceva bene quella tipologia di bomba ad innesco automatico o luminoso- era troppo piccola per contenere abbastanza esplosivo per poter far loro del male.

Nel silenzio più totale, ad eccezione della televisione che Aura aveva acceso con incuranza, la mora aprì la busta.

Era davvero vuota, ad eccezione di un piccolo oggetto.

Una foglia di plastica, strappata da una pianta finta.

«Che tipo di scherzo è mai questo?», domandò Urie, stranito. Aiko non rispose, appoggiando l’oggetto sul tavolo velocemente, manco scottasse.

«Non ne ho idea», mentì, prendendo poi una frittella e costringendosi a mangiarla, nonostante il senso di nausea.

Come era possibile che la pianta fosse sopravvissuta a ciò che lei e Eto avevano fatto?

«C’è stata una esplosione nella settima circoscrizione», disse con tono di voce alto Shinsampei, «Otto morti e sedici feriti. Pare sia saltato in aria un intero appartamento.»

«Cosa?», chiese stupita Saiko, distraendo così ironicamente l’attenzione da quella foglia.

Tutti ascoltarono la notizia del telegiornale, eccetto Hsiao.

Lei continuava a guardare il profilo di Masa, che dovette trattenersi parecchio per risultare tranquilla. Dentro non lo era affatto, ma aveva recitato quella solfa per tre anni. Un giorno in più non faceva più la differenza.

«Ci siamo stati ieri io e Hige», rivelò subito con non curanza, senza peli sulla lingua.

«Letteralmente», le rispose con tono allibito il partner, mentre sullo schermo lampeggiava la foto di Kisho Wakaba, ancora uomo. «La signorina Rea…»

Aiko spiò quel volto così diverso, ricordandosi della testa quasi decapitata. L’assenza di emozioni le scatenò la nausea.

Smise di mangiare.

«Terribile», commentò, semplicemente, alzandosi dal tavolo per raggiungere il salotto.

Lo fece soprattutto per sfuggire allo sguardo sottile della taiwanita.

«Dovremmo fare rapporto?», chiese con voce piccola Higemaru.

Urie schiuse le labbra, per rispondere, ma Aiko lo precedette. «Perché dovremmo? Hanno detto che la natura dell’esplosione è quasi del tutto accidentale. Se si rivelerà dolosa parleremo con la polizia. Fino ad allora, io vado a dormire un paio di ore. Sto lavorando più durante queste ferie che quando sono di turno.»

«Ti devo parlare», le disse sbrigativo Urie.

Aiko si bloccò ai piedi delle scale, con la sua cartella in mano e un sorrisetto sulla labbra.

«Non ora, Cookie. Viviamo insieme, puoi farlo dopo quando sarò lucida.»

Gli fece l’occhiolino, come dimenticando ogni attrito fra loro e poi salì rapida i gradini, arrivando fino alla stanza che divideva col caposquadra.

Prese dalla tracolla il quadernino e lo sfogliò.

CN.

RA.B.

Chi era lei? Perché la pedinava? E quella foglia? L’aveva conservata perché voleva che lei trovasse il quadernino? Come faceva a sapere che era nelle sue mani?

Quella era un messaggio chiaro.

Io ti osservo sempre, Aiko Masa.

Ma ‘io’ chi?

Nagachika? Spaventapasseri? Yamoto?

Poco importava.

L’avrebbe trovato, perché lui da solo avrebbe potuto distruggere il lavoro di anni con una sola lettera più decisiva.

E indirizzata a qualcun altro.

 

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Capitolo 28
*** Il caso Nagachika - 3 di 4 ***


saboteur

 

僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

«Il mio nome è Nakarai Kejin e vengo da parte del classe speciale Aura Kiyoko, Comandante della prima Divisione della Circoscrizione uno. Secondo livello Masa Aiko, il suo periodo di aspettativa è stato prolungato di altri dieci giorni, al termine dei quali però dovrà aver preso una decisione: vuole ancora essere un agente del ccg oppure rinuncia ai gradi e prende congedo? Non c’è vergogna nell’essere vigliacchi, ma nel farci perdere tempo inutilmente sì.»

A parlare con lei dovevano aver mandato il più simpatico degli agenti a loro disposizione, che non si era risparmiato nemmeno un’osservazione sull’aspetto a dir poco pietoso della ragazza. I segni delle ferite infertale da Eto dopo l’uccisione di Orihara erano ancora in via di guarigione, ma il problema non era tanto il suo corpo, quanto la sua psiche.

Ora che conosceva il nome del suo aguzzino, oltre al suo volto, aveva possibilità limitate di fronte a sé. Poteva denunciarla, farsi mettere in un programma di protezione e guardare i suoi colleghi morire uno ad uno per punizione, oppure poteva iniziare a fare ciò che Eto le domandava. Ad iniziare dallo svelare tutti i piani che la ccg aveva in atto come controffensiva ad Aogiri. Per motivo questo aveva fatto domanda per altri dieci giorni di aspettativa. Così da potere avere altri dieci giorni per poter decidere la strada da prendere.

Aogiri non le aveva ancora chiesto nulla, certo, ma Aiko sapeva che presto sarebbero arrivate le prime direttive. Stavano ancora operando su di lei una strategia di assoggettamento che era andata concludendosi quando aveva mangiato un pezzo del cuore del suo partner. Ormai aveva perso l’innocenza, non era più una semplice vittima, ma era ancora ben lontana dall’essere una complice. Era riusciti solo a distruggerla completamente, rendendola fragile come cristallo, ma non l’avevano ancora corrotta.

Per questo motivo, a forza, si aprì una terza via. Una nuova alternativa, che avrebbe consentito a tutti di continuare a vivere senza che lei diventasse una persona orribile, un burattino dei ghoul.

Se fosse morta lei, allora tutto sarebbe finito.

 

«Io esco a fare una passeggiata, ci vediamo dopo.»

Kuramoto stava parlando al telefono, quando lei l’aveva salutato con un veloce bacio sulla guancia e poche scarne parole. Non aveva atteso il responso del coinquilino, non aveva guardato i suoi occhi. Tanto presto o tardi avrebbe trovato la sua lettera e Kuramoto avrebbe capito. Lì, nero su bianco, c’erano scritte un sacco di cazzate. Non riesco più a vivere col peso di ciò che ho visto…. Sono troppo debole…. Il Gufo col Sekigan avrebbe dovuto uccidere me….  Si era impegnata parecchio per sembrare più depressa di quanto non fosse in realtà. Se tutti avessero visto quel suo gesto estremo come una via di fuga dal dolore, allora non si sarebbero aperte istruttorie e nessuno avrebbe fatto domande. Non sarebbe stata che l’ennesimo agente crollato sotto il peso di un mondo troppo marcio e di una realtà troppo difficile.

Le dispiaceva arrecare del dolore ai suoi colleghi, soprattutto a Itou, conscia che la sua famiglia non l’avrebbe pianta quanto loro. Avrebbero fatto finta di niente, andando avanti con le loro vite rapidamente, così come non avevano fatto quando Shin era scomparso. Senza contare che lei aveva sempre avuto meno valore del fratello agli occhi di sua madre. Aveva sempre pensato che suo padre avesse un buon cuore infondo, ma non si era preoccupato minimamente del figlio scomparso, quindi non si sarebbe interessato nemmeno a lei. Forse Hiroshi si sarebbe sentito un po’ triste, ma doveva odiarla dopo quello che aveva passato per colpa sua.

Di conseguenza sarebbe finita sepolta nel cimitero del ccg, con uno scarno funerale spesato dal bureau.

Mentre fissava rigida in basso dal seggiolino della metropolitana e attendeva la fermata che l’avrebbe poi condotta al luogo prescelto per attuare il suo ultimo piano, Masa si ritrovò a pensare a Take. Non sapeva nemmeno lei il motivo. In quei sei mesi non avevano empatizzato affatto lei e il suo capo, eppure sentiva che sarebbe stata una fonte di delusione per lui. Le dispiacque di non averlo conosciuto meglio, compreso.

Sembrava solo e triste quanto lei, infondo.

 

Il ponte di Nijubashi non era eccessivamente alto. Forse meno di cinque metri, ma poco importava. Lei non sapeva nuotare. Non aveva mai imparato a farlo e quindi sarebbe andata giù come un sasso, assorbita dal lago che abbracciava il parco.

Era un bel posto per morire. Voltandosi, poté guardare per un ultima volta il palazzo imperiale stagliarsi nel buio della notte. Il suo telefono suonò e non era nemmeno la prima volta. Nell’ultima ora e mezzo Itou si era fatto sempre più insistente e Masa iniziava a credere che avesse trovato la lettera.

Anche Hirako la stava chiamando e con loro Tamaki.

Quando notò sullo schermo che l’ultima spiaggia di Kuramoto era stata sua madre, Masa rifiutò la videochiamata in entrata, lanciando il telefono per primo nel lago.

Poi, con determinazione ammirevole, appoggiò la sola mano sana sul parapetto spesso di pietra del ponte e si issò in piedi su di esso, traballante e dolorante. Con le costole ancora dolenti e la spalla sinistra bloccata dal tutore che le teneva fermo il braccio e il polso, Aiko prese un respiro profondo.

Non l’avrebbero mai trovata lì. Chiuse gli occhi e cercò di formulare un bel pensiero, qualcosa che la aiutasse a lasciare quel mondo con un sorriso, senza nessun rimpianto.

Non le venne in mente nulla, così rimase ferma per diversi minuti. Più ragionava sul fatto che non aveva nemmeno un singolo ricordo felice a cui aggrapparsi, eccetto qualche stupidaggine senza importanza, più capiva che doveva buttarsi per il bene di tutti.

Eppure i suoi piedi rimanevano incollati al parapetto, come cementati ad esso.

«Allora? Hai deciso? Lo fai o non lo fai?»

La voce era così vicina da spaventarla. Barcollò, Aiko, rischiando di perdere l’equilibrio e sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene al solo pensiero. No, non lo voleva fare. Però la donna che la stava guardando con un sorriso sornione a storpiarle il volto quasi fanciullesco non meritava di vincere. Non dopo averle fatto mangiare il cuore di una persona a cui si era affezionata.

«Devo.»

«Devi? Hai firmato un contratto, per caso? Oppure ti stanno costringendo a ucciderti? Se mi dici chi è ci penso io, Aiko-chan.»

Masa strinse la mano sana in un pugno, fissando Takatsuki Sen direttamente negli occhi, «Tu non puoi avere la mia vita.»

«Quindi la sprechi?», con uno sbuffo infantile, Eto si rimise diritta con la schiena, passando una mano alla base di essa quasi come se le dolesse. «Così facendo sembra quasi che tu non ti dia valore.»

«Hai detto che la mia vita ora è tua no? Quindi non ne ha per me.»

Il ghoul sbuffò. «Allora fallo e basta.»

Le diede le spalle per una frazione di secondo, prima di voltarsi per proporle una via di accordo. Di fronte a lei però trovò solo la notte. Poi sentì le acquee del lago infrangersi, sotto il ponte.

«Quindi è questo che hai deciso, Aiko-chan? Ma che peccato.»

 

Quando riprese conoscenza, Aiko era stesa su un divano di pelle con addosso una coperta nera. Non realizzò subito dove si trovava, almeno fino a che Eto non apparve dalla cucina con in mano due tazze di the. A quel punto, qualcosa scattò dentro la mora. Non poteva nemmeno uccidersi, farla finita e basta.

Quello era un incubo dal quale non sarebbe mai uscita.

Portò il braccio sano sul viso e scoppiò a piangere disperatamente, sussultando per il dolore al costato ad ogni singhiozzo.

«Oh, andiamo, Aiko-chan, non c’è motivo di essere tristi!» Eto poggiò le due tazze, prima di andare a sedersi accanto a lei, costringendola a guardarla. «Sei viva! Hai di fronte un mare di possibilità!»

«Quali possibilità?», ringhiò la ragazza, furiosa. «Io sono una tua pedina! Finirò con il fare ammazzare i miei amici per colpa tua! Maledetti, maledetti ghoul!» Cercò di divincolarsi, scostando la coperta. «Lasciami! Maledetta tu e la tua specie!»

«Ma se odi tanto i ghoul perché lavori per il ccg?», domandò ingenuamente Eto.

«Per proteggere il genere umano da voi.»

«Ma i Washuu sono ghoul.»

Aiko si pietrificò, attonita. «Non dire idiozie», farneticò, mentre Eto ancora le teneva il braccio con espressione limpida e divertita allora stesso tempo. «Non è possibile.»

«Allora lascia che ti racconti una storia, Masa Aiko. Poi rivedremo la tua posizione all’interno di Aogiri, che ne pensi?»

Seguirono quelli che per Aiko furono quarantacinque minuti di puro delirio. I Washuu erano ghoul, lo Shinigami stesso era un Washuu e anche se non era uno di quegli esseri disumani, non era una persona qualunque. Dentro alla Cochlea esisteva un vero e proprio campo di concentramento dove venivano svolti esperimenti sui ghoul, come facevano i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anche su bambini, o cuccioli o qualsiasi altro nome Masa avesse voluto affibbiare loro. Perché Donato Porpora era ancora vivo e come era a conoscenza di qualsiasi cosa al di fuori della Cochlea? Perché la gerarchia centrale del bureau non aveva un senso per coloro che vi lavoravano? Da dove veniva davvero il ccg? E infine la leggenda dal Ghoul da un Occhio Solo che aveva quasi vinto sul genere umano.

Al termine del lungo discorso di Eto, la mora era sicura di una cosa: se le aveva mentito, era estremamente brava a farlo, perché ogni singola parola sembrava impregnata di un senso di veridicità. Sembravano le parole di un profeta, pronto ad aprirle di occhi sillaba dopo sillaba.

«Se quello che dici è vero», sussurrò Aiko, con gli occhi sgranati e il labbro inferiore che tremava. «Io lavoro…. Per un sistema corrotto.»

«E non ti ho ancora accennato V., ma per quello avremo tempo. Non vorrei sovraccaricarti. O ucciderti. Ma dovrò comunque farlo se non sarai brava a tenere il segreto sulla nostra conversazione di stasera.»

Eto si fece pensierosa.

Masa rimase in silenzio, pietrificata.

Trasalì solo quando il Gufo schioccò le dita, colta da una epifania. «Ho capito quale è il punto, Aiko-chan. Farti mangiare un cuore non è bastato a corromperti, mi serve qualcosa di più incisivo.» Ci pensò su bene, poi socchiuse le labbra. «Parliamo della tua famiglia, ti va? Troverò un modo per renderti il mostro che mi serve per distruggere questo mondo marcio.»

«E poi? Quando tutto sarà distrutto, dove vivremo?»

Eto sorrise.

«Poi? Poi il Re lo ricostruirà da capo per tutti noi, Aiko-chan.»

 

Capitolo ventotto

Quando la mano di Masa sbattè forte sul bancone del bar ebbe l’effetto di una pistola puntata contro la cameriera. L’intero locale ammutolì mentre la colomba, con tanto di cappotto d’ordinanza e valigetta, fissava Kirishima.

«Te lo ripeto nuovamente», sussurrò con tono basso Touka, certa che intanto l’altra l’avrebbe chiaramente sentita. «Quella mappa non l’avevo mai notata. Io ho tenuto solo uno o due effetti personali nel caso in cui Kaneki Ken fosse tornato a-»

«Riprendersi le cose del suo amico», terminò per lei la frase la mora. Aiko assottigliò gli occhi gialli, «Pensi che io sia stupida?», domandò quindi, a bruciapelo. «Mi ha inviato una lettera. Da quando i morti riescono a farlo? O magari siete stati voi? Siete per caso i suoi emissari?»

«Senti bene, Aogiri.» La voce di Nishiki fendette l’aria, velenosa. «Cosa dovremmo nascondere, noi? Sai benissimo di cosa ci occupiamo qui. Ora smettila di fare la bulla, spaventi i clienti. Prenditi un cazzo di cornetto di merda o vattene.»

Aiko infilò la mano nella tasca del cappotto, prendendo la fogliolina di plastica e mettendola sul bancone, prima di chinarsi per recuperare la quinque. «Ditegli che se pensava di spaventarmi, si sbagliava di grosso. Mi ha solo spronata a fare di tutto per trovarlo e assicurarmi che paghi.» Sistemò il bavero del trench, prima di sfidarli di nuovo, con lo sguardo improvvisamente affilato. «Perché io lo troverò, presto o tardi.»

«Sai cosa si dice dei fantasmi, Masa-san?», a parlare, questa volta, fu il signor Yomo. Le arrivò alle spalle, entrando dalla porta di ingresso del bar con due grandi borse fra le mani. «Che spesso sono loro a trovare le persone e non viceversa.»

«Mi leverebbe un bel po’ di lavoro così.» sprezzante, Aiko mostrò ciò che teneva nascosto nella tasca interna della giacca argentea. «Ditegli pure che ora ho anche il quaderno. Non l’ha nascosto bene e quelle bombe erano un lavoretto da bambino dell’asilo che si diverte con la carta igienica e la colla vinilica.» Girò attorno a Yomo, senza aggiungere altro.

In collera.

Nient’altro, se non una frase.

«Finirà la sua fortuna insieme alla fortuna di questo bar, forse.»

La porta si chiuse, lasciando Touka immobile, con una mano che appena le tremava contro il fianco.

Nishio se ne accorse, ma non fece nulla per consolarla. Piuttosto, prese la fogliolina e la buttò via.

«Certe persone non imparano mai», disse con tono brusco. «Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Si dice così, no? Chissà cosa cazzo intendeva con ‘ho il quaderno’

«Non lo voglio sapere», sussurrò in fretta Kirishima, sistemando il grembiule, pronta a tornare al lavoro. «E non mi riguarda. Abbiamo dei clienti vero?»

«Quindi lo informerai dopo della novità?»

Nishiki non ottenne risposta. La conosceva già, dopotutto.

 

 

Il vero piano di Aiko non era minacciare o mettere in allarme il :re. Voleva semplicemente che alla sua preda arrivasse il messaggio che non avrebbe smesso con la caccia, sino alla cattura. La sua cattura.

Loro avevano contatti con lui, contatti che a lei erano preclusi.

L’insieme di vicoli ciechi che si erano susseguiti con la mappa avevano però portato al ritrovamento del quadernino prezioso.

Certo, aveva pagato pegno per questo. Alla sua scrivania si era presentato un certo Okita Arashi, detective della omicidi, che aveva fatto più di una domanda sul motivo per cui lei e Higemaru si fossero presentati alla porta di un appartamento che era esploso qualche ora dopo.

«Mi dispiace molto per ciò che è successo alla signorina Wakaba», aveva detto cercando di suonare sinceramente affranta Aiko, con le mani in grembo e accanto un Higemaru cadaverico. «Forse la persona che cerchiamo è tornata per eliminare ogni prova dei suoi reati. Credevo di essere alla ricerca di un disperso, ma ora come ora potrebbe essere un terrorista o un sostenitore di Aogiri, chi lo sa.»

Okita se l’era bevuta, perché infondo non c’erano le basi per dubitare delle parole dei due investigatori del ccg. Aveva preso appunti e loro si erano dimostrati disponibili ad ulteriori domande.

«Comunque non siamo mai entrati in quella casa, ce lo ha negato la proprietaria stessa. Forse era addirittura sua complice», aveva sostenuto a sorpresa Touma, rendendo il lavoro di Aiko più semplice. Avevano dirottato Okita sulla possibilità che la vittima fosse in realtà una complice, ma non essendoci prove materiali, il caso non poteva passare alla ccg. Avere un sospetto non portava ancora a nessuna sentenza definitiva, in quel periodo. Non prima di Furuta al comando, quanto meno.

Erano tempi diversi.

«Se nelle vostre indagini doveste per caso trovare il signor Yamoto, vi prego di contattarmi», li aveva ringraziati il detective, dando loro un biglietto da visita bianco e ricevendone uno in ritorno da Masa. «Aiko della Quinx Squad», aveva letto l’uomo, ignorando totalmente il povero Higemaru, ancora presente. «Spero di collaborare con lei in futuro, allora.»

La donna strinse la sua mano, appena le venne porta. «Lo stesso vale per me, Arashi-san.»

«Ma che gli fai tu agli uomini?», era stato il commento smaliziato di Touma appena rimasto solo con la superiore. Come ricompensa aveva ricevuto in testa un grosso raccoglitore e l’ordine di esaminare ogni singola virgola sul passato di Nagachika. Anche il numero di denti persi e i voti scolastici.

Ogni minimo dettaglio.

Lei, invece, si era buttata a capofitto sul quaderno.

Tramite una serie di annotazioni scarabocchiate o riassunte in poche lettere apparentemente prive di senso aveva colto che lei era stata rinominata come RA.B. mentre Urie era CN. C’era anche Take, perché vicino a una data e il nome di un ristorante in cui erano stati insieme a pranzo alcune settimane prima del ritrovamento del prezioso quaderno, c’era la nota ‘RA.B e CB n.s.s.a.p.’

Masa non aveva idea di cosa significasse, ma la affascinava come Yamoto avesse utilizzato solo lettere dell’alfabeto occidentale per segnare i nomi e le annotazioni. Non se lo aspettava, ma era  stato uno studente di letteratura straniera molto dotato dopotutto e la calligrafia indubbiamente cambiava sul piano estetico, non potendo ricollegare nemmeno questa con alcuni documenti o relazioni firmati dal ragazzo che avevano recuperato.

Fra una riga e l’altra spuntavano anche RA.N e R.B., ma dalle singole annotazioni Aiko non riuscì a capire chi potessero essere, così come TB, TN, AB e AN, molto più presenti dei due precedentemente citati.

Arrivò anche ad ipotizzare che alcuni nomi potessero rappresentare più di una persona per una semplice questione logistica. Ad ogni modo, il più bersagliato di tutti era il famoso RN. Compariva in ogni singolo foglio, almeno cinque volte, vittima di un pedinamento serrato.

Aiko si decise a iniziare da lì.

Da quel RN, che pareva un tipo piuttosto abitudinario.

 

 

«Aiko! Hai un secondo?»

Masa arrestò il suo passo quasi militare, trovandosi a sorpresa di fronte qualcuno che non credeva avrebbe rivisto prima del suo ritorno a lavoro.  «Ciao Nimura», salutò con educazione, alzando una mano mentre lui la raggiungeva, sistemandosi una scarpetta rossa che penzolava male su una spalla. «Cosa ci fai da queste parti?»

«Ah, vengo a prendere Sasaki», le rispose con cortesia il ragazzo, tutto sorridente nonostante fossero le dieci di un uggioso mattino di inizio settembre. «Tu invece?»

«Io sto seguendo una pista su un caso personale», gli rispose vagamente, comprendendo che mentire sarebbe stato stupido. Furuta avrebbe raccontato a tutti del loro incontro, intanto. Aiko si era abituata in fretta alla sua ingenuità. «Mi raccomando», ci provò lo stesso però. «Non dire a nessuno che mi hai visto qui.»

Nimura finse di cucirsi le labbra. «Muto come una marionetta.»

«Comunque», si ricordò Masa, «Mi hai fermata perché volevi chiedermi qualcosa?»

«In realtà sì.» vergognoso, Furuta si grattò la nuca, a disagio. «Temo di averti messo nei guai con il primo livello Urie senza volerlo, Aiko.» La ragazza lo guardò senza capire e gli fece cenno di andare avanti. «Gli ho detto che vi ho visti insieme alla festa di Omohara ma…. A quanto pare non era lui quindi ho fatto fare ad entrambi una pessima figura.»

Aiko si sentì sollevata. Ora almeno sapeva perché Urie faceva tanto il difficile. Erano passati solo tre giorni da quella sera, tre caotici e pienissimi giorni, così stipati di cose da fare, luoghi da visitare e appartamenti di dare alle fiamme da non farla ragionare troppo su cosa effettivamente potesse aver irritato tanto il compagno di stanza, che infondo non vedeva mai.

«Non hai fatto niente di male, Nimura», rassicurò il ragazzo, muovendo una mano con noncuranza di fronte al viso. «Era un vecchio compagno di scuola quello con cui mi hai visto e in ogni caso io e il primo livello Urie non dobbiamo niente l’uno all’altra. Siamo solo colleghi e lui è  il mio capo.»

Furuta la guardò, non capendo. Sbatté le ciglia sugli occhioni neri leggermente acquosi, prima di parlare nuovamente. «Sapevo che lui avrebbe negato tutto quando sono andato a parlargli», soppesò quindi a voce alta. «Ma da te mi aspettavo che mi avresti detto la verità.»

«Questa è la verità», disse Aiko, scrollando le spalle. «Non  c’è niente di ufficiale fra me e il primo livello Urie. La prossima volta ballo con te.»

«Ne sarei così onorato», gongolò Nimura, «Ma purtroppo il mio cuore appartiene a un’altra donna. Sappi però che ho sempre voluto un appuntamento con te, Aiko. Ne avremo uno finto prossimamente.»

«Affare fatto», i due si strinsero la mano e si salutarono.

Poi Furuta si infilò nel bar in cui ad aspettarlo c’era Sasaki.

«Quindi ora è con questo posto che tradisci il :re, eh Haise», parlò fra sé e sé Aiko, controllando il quadernino e notando che tutto combaciava. ‘Ore 10.02, Orahikashi bar, prima circoscrizione. RN nel locale fino ad arrivo di TN’.

Poteva essere una coincidenza?

 

Smise di essere una coincidenza quando incontrò Sasaki anche in un altro posto, due ore dopo. E di nuovo, in un terzo più lontano, verso sera.

Quando arrivò nel quarto luogo nel quale RN soleva stazionare ogni mercoledì sera, ovvero una piccola libreria, e lo trovò dentro fra gli scaffali, Aiko comprese.

RN era Haise Sasaki.

No, più sottile.

RN era Kaneki Ken.

 

 

Lo chateau sembrava deserto quando Aiko vi rimise piede poche ore dopo aver sistemato anche quell’ultimo controverso tassello.

In realtà, essendo passate le dieci di sera, ogni membro della squadra si trovava nella propria stanza. Il che avrebbe reso molto interessante la conversazione che intendeva affrontare con Urie. Grazie al loro udito sensibile, i Quinx avrebbero anche potuto origliare l’intera conversazione dal piano di sotto, quindi in quella circostanza non c’erano possibilità per i due di avere un minimo di privacy.

Contava che almeno Hsiao si sarebbe messa un paio di cuffie.

Salì le scale senza nemmeno pensare che in fondo doveva ancora cenare e aveva un certo languorino. Camminò con passo lento fino all’ultima stanza infondo al lungo corridoio del secondo piano ed entrò senza bussare.

Urie stava lavorando alla scrivania e non staccò nemmeno gli occhi dal portatile per guardarla. Probabilmente l’aveva sentita arrivare dai primi gradini. Lei non si scompose di fronte a quella mancanza di interesse da parte di Kuki; litigavano e si ignoravano così spesso che pareva la normalità.

Andò al letto, sfilandosi la felpa che aveva utilizzato quel giorno, preferendola al trench visto che si era data al pedinamento. Rimase con addosso solo una maglietta nera che le salì sul tronco scoprendole l’ombelico quando si stese stanca sul letto. Scostò la frangetta lunga dalla fronte con le dita e tenne lo sguardo sul soffitto.

Dovette comunque attendere poco perché il silenzio si interrompesse.

«Sei tornata prima, oggi. Hai deciso di mettere un freno alla tua inconcludente indagine?»

Aiko storse il naso, cogliendo la provocazione con in mano già le armi per contrattaccare. Si mise a sedere. «Devo parlarti di una questione molto urgente. Ecco perché sono tornata prima.»

Urie smise di digitare sulla tastiera, irrigidendosi. «Hai combinato un guaio?», domandò, senza però voltarsi.

«No, sono preoccupata per i tuoi testicoli.» Questo lo fece girare piuttosto in fretta. «Insomma, lasciarli per così tanto tempo dentro la borsetta di Matsuri non li farà essiccare?»

«Cosa cazzo stai dicendo?»

Aiko si trattenne parecchio dal ridergli cinicamente in faccia. «Sei incazzato con me perché ho ballato con un mio ex compagno di scuola alla festa a cui tu eri invitato e a cui tu hai deciso di non venire, facendomi andare da sola. E me l’ha dovuto dire Nimura. Sei patetico.»

Kuki cercò di non fare una piega di fronte a quelle parole. Ci provò davvero, ma una piccola rughetta sulla sua fronte ebbe una contrazione involontaria, finendo per tradirlo. «Non sono incazzato con te.»

«Ah no? Non mi rispondi al telefono e mi ignori perché hai il ciclo? Povero. Se vuoi ho dell’ibuprofene.» Masa si decise a non risparmiargli nemmeno una parola. La frustrazione dell’indagine l’aveva resa meno paziente e la persona di fronte a lei era la sola in grado di risollevarla o mandarla completamente in frantumi. Stava premendo molto per la seconda, in quel momento. «Non sei voluto venire.»

«Ero obbligato a farlo? Cos’altro vuoi che faccia, Aiko?»

«Spiegami, tanto per cominciare, perché non mi hai chiesto niente», sostenne a testa alta la ragazza. «Hai ventuno anni, per il Grande Demone Celeste. Non quattordici. Oppure vuoi ancora giocare la carta del ‘non stiamo insieme’? Perché mi pareva molto chiara la situazione fra noi due ad Aokigahara, anche se di fronte agli altri è top secret.»

Urie si ritrovò zittito. Effettivamente quello scoglio sembrava superato, almeno fra loro due. Invece eccolo di nuovo, imponente, a rischiare di affondare la nave tenuta insieme con lo sputo su cui la sua vita cercava di trascinarsi avanti. Si morse le labbra. «Mi ha infastidito che Furuta abbia fatto allusioni su-»

«Credi che solo Furuta sappia? Cazzo, sei un investigatore! Tutto il dipartimento sa che ti scopo e sì, la scelta di parole che ho usato è accurata perché sei una femminuccia.»

«Smettila di insultarmi, Aiko!»

«Perché dovrei? Sei l’incarnazione vivente del toyboy. Vieni a letto con me perché ti risolvo i casi, no? A questo punto è la sola risposta che mi do. Se no col cazzo che ti avrebbero dato la medaglia d’Osmanto. O pensi di essertela guadagnato da solo? Chi ti ha risolto tutti quei casi? Chi ti ha portato avanti nelle indagini quando eri fermo, in un punto morto, con gli occhi da trota e i fascicoli di fronte, aperti come se fossero carta da cesso?! Dopo tutti questi mesi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, non hai ancora le palle per venire da me a chiedermi se mi sto scopando un altro?!»

«AIKO!»

«Chi ha risolto il caso Embalmer? E il caso Lisca? Chi ha portato avanti le indagini sui traffici del caso Kamata? Vogliamo parlare del caso del Funambulo? O tutti i casi di minore importanza?! Chi ha rimesso insieme la bomba che ha distrutto la sede centrale?! Non tu. Tu non stai facendo nulla se non chiuderti dietro le stupide scartoffie processuali che impone il dipartimento, quando eri il primo a metterti in pericolo per farti strada, fino a qualche mese fa. Ora ha come un freno! Non sai più spingerti oltre quel limite invalicabile che la tua stupida mente si è prefissa! Non riesci a vedere il mondo a trecentosessanta gradi perché ti limiti da solo e per questo non sei un buon investigatore. L’intuito e l’intelligenza li hai, ma non li usi o sapresti che io non ti avrei mai fatto questo, idiota! E sai perché?? Perché dalla morte di Shirazu tu sei seduto sulla sedia che ti hanno dato grazie alla mia bravura.»

Masa non si rese nemmeno conto che Urie si era alzato. Fu così veloce da coglierla alla sprovvista, quando la più agile dei due era sempre stata lei. Le afferrò la gola con la mano destra, stringendo mentre la spingeva stesa sul materasso. Si ritrovò così, colto da un raptus, seduto su di lei a cavalcioni.

Lo destabilizzò quell’eccesso di violenza, ma mai quanto la reazione della mora.

Aiko rimase impassibile, con la solita arroganza negli occhi, fissi nei suoi. Gli prese il polso, ma non per farsi lasciare andare. Lo tirò di più verso di sé.

«La verità fa male», snocciolò, a fatica, ma con ancora abbastanza fiato per infierire. «Ma se pensi di spaventarmi ti do una notizia: ho vissuto una vita infernale e sicuramente non sarai tu a farmi abbassare lo sguardo.» Ci fu uno stallo. Lui era immobile, con la mano che aveva perso la forza, ma che non si staccava dalla pelle candida della gola della donna sotto di lui, arrossata laddove l’aveva strinta. Gli occhi erano sgranati, confusi, mentre il suo cervello lavorava a una velocità troppo elevata per metabolizzare la situazione. «So che hai parlato con Noriko», insistette Aiko, con voce ferma ora che la laringe era stata liberata dall’oppressione delle dita. «Cosa c’è, hai paura di ferirmi a parole e non sai come lasciarmi? Pensi che perderei il controllo, se tu lo facessi? Per questo preferisci ignorarmi fino al punto in cui non sono io ad affrontarti? È un comportamento parecchio codardo, alzare le mani su una donna.»

Il labbro inferiore dell’investigatore tremò appena, poi Urie deglutì. «Se volessi, potresti infilzarmi col tuo kagune nello stomaco anche ora. Lo hai già fatto.»

«Perché rovinare il letto?», domandò sarcasticamente lei, prima di appoggiargli una mano sulla spalla, facendo leva per ribaltare le loro posizioni. Quando si sedette su di lui, il braccio di Kuki ricadde sul materasso, privo di forze. «Non ho bisogno del mio kagune per stenderti. Bastano le parole», gli fece presente, prima di prendere un respiro. Riempì la cassa toracica di aria, facendola alzare, prima di espirare profondamente, chiudendo gli occhi e alzando il capo verso il soffitto, con le braccia incrociate sotto al seno. Sembrava in meditazione, ma a Urie non importava. Si sentiva così male che non aprì bocca nemmeno per scusarsi per l’irruenza. «Abbiamo davanti due strade», parlò alla fine Aiko, tornando a guardarlo, con decisione. «Prendo tutti i miei vestiti e mi trasferisco al piano di sotto, nelle stanze libere degli ospiti, oppure accetti la nostra relazione e il fatto che tutti coloro che ancora non lo sanno, lo scopriranno presto.»

«Sai che è contro il regolamento per un caposquadra avere una relazione interpersonale con un suo sottoposto.»

Aiko sorrise amaramente di fronte a quella zelante risposta. Non si aspettava altro se non lo snocciolarsi di regole interne. Erano probabilmente il solo scudo che Urie aveva da porre fra loro due.

«Allora non esiste altra scelta, no?»

Cercando di mantenersi calma, Masa lanciò uno sguardo all’armadio. Il solo pensiero di doverlo svuotare con lui sul letto, la destabilizzò. Non si era aspettata che il discorso sarebbe dirottato così precipitosamente su una rottura. Eppure riusciva a rimanere lucida al pensiero che una volta buttata la valigia in una stanza vuota e fredda, avrebbe potuto chiedere asilo da un’altra parte.

Dove forse non era più voluta che in quella casa.

Non riuscì però ad alzarsi, perché Urie le prese il polso.

«No, non esiste altra scelta. Devi andare via dalla Quinx Squad.»

Senza parole, dopo il fiume che aveva riversato sul ragazzo sotto di lei, Aiko si limitò a guardarlo.

Anche Kuki rimase in silenzio, spiando il volto totalmente sconvolto della seconda e scoprendo che non aveva mai visto quella luce nei suoi occhi, così genuinamente sorpresi.

Capì che doveva aggiungere qualcosa. «Devi esserne davvero convinta, perché se hai davvero intenzione di continuare la nostra storia, per il bene di entrambe le nostre carriere e non solo, lascerai i Quinx il prima possibile e ti trasferirai per un periodo di prova in un’altra squadra. Quando ti avranno inserito a pieno titolo in essa e scadrà il prestito, tu firmerai per rimanervi e io non sarò più il tuo capo. Allora potremo sposarci e tu potrai anche tornare nei Quinx, secondo il regolamento.»

«Sposarci?», fu la sola cosa che il cervello di Aiko assimilò davvero.

Il ragazzo si mise seduto, portando le mani sulle reni dell’altra per non farla cadere oltre il bordo del letto. Se non l’avesse fatto, lei non si sarebbe riuscita a reggere a lui. sembrava più sconvolta per quelle parole che per tutto ciò che era successo prima di esse. «Due persone sposate possono far parte della stessa squadra a sei mesi e un giorno dalla firma dell’atto matrimoniale. Ho controllato l’altro giorno, mentre ignoravo le tue chiamate.»

Le mani della mora si appoggiarono sulle sue spalle, tentennanti al pensiero di un ulteriore contatto. «Devo ammettere che questo è davvero un modo originale per pararsi il culo», sussurrò piano, indecisa.

«Ho scaricato tutte le norme e ti ho fatto un pdf. L’ho anche stampato.»

«Sono ammirata da tutta questa dedizione. Allora perché non mi parlavi?»

Urie non rispose subito. Spostò gli occhi sul copriletto, prima di tornare a guardarla, così da dimostrarle la sua sincerità. «Perché non è esattamente il tipo di discorso che pensavo di essere pronto a fare. Posso verificare tutto ciò che voglio, ma una volta che esce dalle mie labbra, diventa reale. Me l’hai detto tu una volta, ti ricordi?»

Aiko non se lo ricordava.

Però si ricordava di averlo detto ad Aizawa.

«Quindi? Vuoi iniziare questa lunga procedura oppure preferisci trasferirti nella stanza del piano di sotto?»

Le dita lunghe della mora scivolarono nell’undercut del ragazzo, mentre appoggiava la fronte alla sua. Un piccolo sorriso amaro le distorse le labbra mentre pensava che molto probabilmente non avrebbe vissuto abbastanza per arrivarci. O che sarebbe stata scoperta molto prima.

Decise però di sognare e concedere all’altro di fare lo stesso.

Fu molto egoista da parte sua, illuderlo. Non poteva però predire il futuro o controllare gli avvenimenti. Vivere quella vita parallela le dava speranza, anche se non avrebbe voltato le spalle a Labbra Cucite per questo. Poteva continuare a convivere con il suo alterego, poteva farcela.

Ed essere anche felice, nel mentre.

Perché non voleva nulla quanto voleva Urie, però non era disposta a sacrificare niente.

«Va bene. Facciamolo. Ma poi pretendo una proposta di matrimonio decente, perché questa con tentato strangolamento e pdf informativo non è stata granché.»

Le braccia di Aiko scivolarono oltre le sue spalle, mentre lo stringeva in quell’abbraccio rappacificatore.

E per la prima volta sperò di sopravvivere ad Eto, così da poter scegliere l’abito bianco.

 

 

«Oggi hai chiesto a Matsuri il trasferimento? E lui ha firmato?»

Aiko sorrise divertita, prendendo un sorso di the, mentre di fronte a lei Nimura rimaneva con il braccio appeso e la tazzina contenente il suo espresso in mano.

Quel loro finto appuntamento si stava rivelando più divertente del previsto.

«Questa mattina», precisò la ragazza, appoggiandosi con il gomito al tavolo, mentre spiava di sottecchi Futura, i cui occhi brillavano manco stesse ascolta la più bella delle storie d’amore. «Sono andata insieme a Urie e il classe speciale Washuu non ha nemmeno voluto una spiegazione. Mi ha detto che posso iniziare anche da domani visto che ho appena avuto delle ferie, se voglio.»

«Così sembra quasi che volesse liberarsi di te», soppesò l’investigatore di secondo livello, terminando in un sorso solo la sua bevanda. «Hai già idea di dove ti trasferirai?»

«Ho avuto una conversazione di due intensi minuti con Suzuya», rispose la mora, sempre più divertita dalla situazione. «L’ho incontrato per caso nel corridoio e mi ha detto che ora che Mutsuki è passato alla squadra di Hachikawa, a lui farebbe molto piacere avere un altro Quinx nel team. Dice che lo divertono.» Aiko lanciò un’occhiata di intesa a Furuta, che ridacchiò sotto ai baffi. «Hanbee ha detto che preparerà tutte le carte entro la fine della giornata e poi farò ufficialmente parte della squadra Suzuya.»

«Sei in prestito con aspettativa?»

«Sì, a scadenza. Due mesi.»

Nimura annuì. «Poi speri che ti riconfermi lui?»

«Conosco praticamente tutti in quella squadra, sono pazzi esattamente come lo sono io», rispose Masa, lanciando uno sguardo oltre la vetrina del bar scelto dall’altro per quel loro incontro. «Starei bene con loro e sicuramente da uno come Suzuya ho solo da imparare. Mi piacerebbe firmare per almeno un paio di anni.»

«Così tu e Urie avreste tutto il tempo per sistemarvi, insomma.»

«Sei troppo recettivo, lo sai?»

Furuta ridacchiò. «Sono un buon investigatore», la corresse. «Debole come sono nel combattimento posso solo usare il cervello, in mancanza dei muscoli.»

Aiko sbuffò piano, prima di sistemarsi contro il sedile della poltroncina imbottita. «Tu piuttosto? Mi hai detto di avere una signora Furuta, ma non hai aggiunto i dettagli che voglio.»

Lui schiuse le labbra, arrossendo pudicamente mentre le mani correvano alle gote per coprirle, imbarazzato. «Non chiamarla così, non siamo ancora sposati purtroppo. Diciamo che abbiamo avuto qualche impedimento.»

Masa corrugò la fronte. «La preoccupa i rischi a cui sei esposto col lavoro?» Nimura scrollò il capo. «Non piace ai tuoi genitori?»

A quelle parole, Furuta esplose a ridere. «Oh, magari fosse questo il problema», le sorrise, come al solito sereno, mentre si alzava sistemando la cravatta blu elettrico che indossava quel giorno. «Io sono un bambino del Giardino Soleggiato, proprio come Arima-san o Hsiao. Non ho genitori a cui presentare la fidanzata. Ora perdonami ma devo usare un secondi i servizi igienici.»

Aiko rimasta quasi frastornata dalla semplicità con cui Furuta snocciolò quel dettaglio personale e non riuscì a nasconderlo. «Fa con calma, ti aspetto qui.»

Un altro sorriso e poi Nimura sparì oltre la porta, lasciandola lì seduta come un allocco, gli occhi sgranati sulla sua tazza e una strana sensazione alle viscere.

Sicuramente Furuta non poteva sapere le cose di cui era a conoscenza Masa, come il fatto che il Giardino fosse direttamente connesso a V. Per ciò aveva ingenuamente fatto quella dichiarazione, anche in virtù del fatto che Masa viveva con Hsiao e sapeva cosa fosse il Giardino. Almeno, sapeva quello che i Washuu avevano lasciato trapelare su di esso: un orfanotrofio speciale per agenti incredibilmente dotati.

Furuta poteva anche dirsi debole, ma effettivamente era molto intelligente.

Arima e Hsiao erano invece innegabilmente superiori nella lotta corpo a corpo. Anche Hairu, prima di morire, aveva dimostrato di avere qualcosa in più rispetto agli altri.

Masa però sapeva di più.

Masa sapeva che i bambini provenienti dal Giardino non erano esattamente umani. Non erano nemmeno ghoul, però, ma Eto non era mai stata molto chiara in merito né lei aveva chiesto con la dovuta attenzione informazioni.

Non era rilevante che Nimura fosse un bambino del Giardino, ma Aiko rimuginò improvvisamente su qualcosa.

E poi ricordò cosa.

Il testamento di Nagachika parlava di un bambino che giocava in un giardino baciato dal sole e Touka Kirishima aveva visitato il ponteggio V14, come le 14 Volte in cui con lei si era scusato il ragazzo.  Quel bambino era Kishou Arima e quel testamento parlava dello scontro fra Arima e Kaneki durante l’operazione della ventesima.

Peccato che quello stesso testamento fosse stato scritto almeno cinque giorni prima.

Mancava ancora un tassello. Chi era l’ultimo drago da cui guardarsi?

Di nuovo, Aiko sentì le viscere contrarsi.

Parlava dei Washuu, il cui simbolo era il drago?

Velocemente, controllò sul telefono la copia del documento e lo rilesse, comprendendolo per intero. Nagachika sapeva che sarebbe morto dove il sole e incontra le tenebre, ovvero alla fine del canale di scolo del ponteggio 14 V. Sapeva inoltre che lì Arima e Kaneki avrebbero combattuto e che poi Kaneki sarebbe diventato Sasaki, perché Touka Kirishima non avrebbe dovuto cercarlo.

Perché sarebbe tornato da solo da loro.

Ma l’ultimo dei Washuu avrebbe cercato di distruggerlo e di distruggere ogni cosa.

Non poteva parlare di Matsuri. Doveva essere un altro Washuu, magari figlio bastardo di un ramo cadetto, come Eto le aveva detto essere lo stesso Arima.

Lì, in mano, aveva una predizione che si era avverata in toto e che avrebbe dovuto tenere a mente nel momento in cui avrebbe trovato Nagachika, perché glielo avrebbe domandato di persona, come aveva fatto.

Come aveva predetto il futuro.

 

 

-Hai ritirato tutta la documentazione?-

«Sì.»

-Hai chiesto anche una copia controfirmata?-

«Credo che Suzuya si ricorderà di avermi assunto»

Aiko sospirò rassegnata, mentre al telefono Urie le ricordava l’importanza della burocrazia, soprattutto in quelle delicate questioni, come trasferimenti e aspettative di lavoro. Sbuffò apertamente, ricordandosi quando Urie era ancora un ragazzino isterico che prendeva iniziative stupide e rischiava di farsi uccidere senza badare minimamente al regolamento. Diventare il capo lo aveva fatto invecchiare precocemente e molto in fretta.

«Fra due giorni mi dovrò trasferire nella tredicesima, non sei triste nemmeno un po’?», chiese con tono canzonatorio, mentre il sole tramontava su quella quieta giornata che era stata il quattro settembre del 2016.

Non lo sapeva, ma Aiko aveva meno di due mesi di vita.

-Tanto so che ti avrò sempre tra i piedi.-

«Ti amo anche io!»

Un po’ si pentì di averlo detto e non si stupì quando non avvertì la risposta di ritorno. Poteva però immaginare il volto di Urie, colto del tutto alla sprovvista.

«Senti, finisco un paio di commissioni e torno a casa, va bene?»

-Ok.-

La chiamata terminò su una risatina della mora, stroncata dall’imbarazzo del caposquadra. Scrollando il capo, Aiko si sistemò la borsa a tracolla con la mano libera dalla valigetta.

Imboccò una strada secondaria per passare da un contatto diretto di Ayato. Avrebbe comunicato così a Tatara quel trasferimento, senza fare chiamate o andare direttamente la quartier generale di Aogiri. Dalla morte di Lisca era difficile trovalo lì in ogni caso. A Eto invece l’avrebbe detto di persona, spacciando quel trasferimento come una imposizione di Matsuri. Non si sarebbe stupita, Masa le aveva sempre detto quanto il classe speciale la disprezzasse apertamente.

Sperava solo che avrebbe creduto a quella bugia.

Era persa in queste elucubrazioni quando lo vide.

Un ragazzo, con addosso un paio di jeans dall’aria vissuta e felpa nera. Un pezzo di liuta che sbucava da sotto il cappuccio, cadendo sul petto. Una maschera, per la precisione, che lei non vide direttamente, ma che non poteva essere fraintesa.

«Spaventapasseri», sussurrò, non credendo ai suoi occhi. Non rifletté adeguatamente e si buttò in mezzo alla strada per attraversarla, saltando sul tettuccio di una macchina per poterlo raggiungere.

Corse fino all’imbocco del vicolo in cui l’aveva visto sparire. Si trovò di fronte un muro alto e nulla più. Di nuovo, aveva visto volatilizzarsi la sua preda di fronte ai suoi occhi.

Sbattè il pugno contro i mattoni a vista, prima di voltarsi per tornare indietro. Non era più sola, però. L’enorme figura di fronte a lei non aveva un odore, per questo non l’aveva sentita arrivare. Nonostante la stazza non aveva emesso un suono.

Quel volto, però, non poteva nasconderlo in modo alcuno.

«Amon Kotarou», sussurrò Aiko, stringendo la valigetta.

Non fece in tempo a fare nulla che la mano sana del mezzo ghoul scattò repentina contro il suo viso. Un solo colpo, un centro.

Una siringa le bucò la sclera dell’occhio sinistro, che s’era annerita in vista del combattimento.

Amon fu rapido a somministrarle i soppressori, che ebbero un effetto immediato. La valigetta le cadde di mano, mentre le forze la abbandonavano.

«Amon…», sussurrò, aggrappandosi alla caviglia del mezzo ghoul, mentre il mondo attorno a lei iniziava da prima a tremare e poi ad offuscarsi.

«Alla fine ti ho trovato…»

 

‘In che guaio ti sei cacciata, Aiko?’

La voce era materna, nell’oscurità. L’investigatrice voleva aprire gli occhi per verificare chi le stesse parlando con tono di dolce rimprovero, ma era troppo debole per farlo.

Le parve quasi di sentire delle dita fresche scostarle i capelli dalla fronte imperlata di sudore.

‘Sei stata tu a dire che le nostre scelte future ci avrebbero definite. Perché hai deciso di arrivare a questo?’

Un dolore lancinante attraversò il capo di Aiko, mentre si dimenava, cieca e con le mani legate dietro alla schiena.

‘Perché non hai scelto di fermarti?’

«Mei?», chiamò con voce fievole Masa, presa da quel febbricitante delirio.

Le costò caro lo sforzo.

Il mondo si fece di nuovo nero attorno a lei.

 

Riprendere conoscenza fu più duro del previsto.

Amon doveva avere usato una dose non necessaria di inibitori per non rischiare che Aiko potesse svegliarsi durante il trasporto.

Dove si trovasse in quel momento era quindi un mistero, ma l’odore pesante dell’aria, stantio e umido le fece presagire che doveva essere una stanza interrata. Un magazzino.

Non c’era nulla all’interno di essa se non la sedia alla quale era legata e una lampada, fastidiosamente posizionata sopra alla sua testa, che la faceva sudare per il caldo e incrementava l’emicrania.

Non era tutto, però.

C’era anche un’altra sedia, su cui sedeva una figura silenziosa.

Sin dall’istante in cui Aiko aveva definitivamente ripreso conoscenza si era ritrovata a fissarla. Questa non aveva emesso una sillaba per tutto il tempo, ne si era spostata.

Il fascio di luce ne illuminava il petto, rivelando a Masa che doveva trattarsi per forza di un ragazzo. Giovane a giudicare dalle mani.

Era sicuramente la persona che stava cercando.

«Alla fine siamo faccia a faccia», sussurrò, sfinita, ma decisa a rendere quelli che credeva i suoi ultimi minuti di vita memorabili agli occhi di quella persona. Aveva visto la morte così spesso da essere pronta ad accoglierla come una vecchia conoscenza. Non era più la ragazzina sprovveduta incapace di saltare da un ponte, se non senza il dovuto incitamento. «Vorrei poter dire che ti ho finalmente trovato, ma forse sei tu ad aver trovato me. Il signor Yomo aveva ragione. Sono i fantasmi a perseguitare i vivi, non viceversa.»

La figura prese dalla tasca un coltello a serramanico e si alzò.

Aiko potè finalmente vedere il suo viso.

Un viso che la ammutolì e che mai avrebbe dimenticato per il resto della sua vita.

Quando le corde che le tenevano bloccate le braccia vennero recise, il giovane tornò a sedersi.

Per istinto, Aiko si massaggiò i polsi, prima di guardarlo.

Inclinò la lampada, così da ampliare il fascio di luce, poi sospirò.

«Non posso usare il kagune, ma non ti dirò nulla. Né sul ccg, né su Aogiri», gli disse, questi scosse il capo, come se non fosse interessato.

Poi iniziò a muovere le mani e Aiko le osservò agitarsi con grazia.

Le lesse e quindi sgranò gli occhi.

Poi capì tutto.

«Quindi, come devo chiamarti? Yamoto va bene?»

 

 

 

Continua.

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Capitolo 29
*** Il caso Nagachika - 4 di 4 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quinta: Il caso Nagachika.

 

 

«Secondo te cosa dovremmo farcene dei vestiti che abbiamo addosso? E della macchina?»

«Taci, mi deconcentri.»

Aiko si zittì immediatamente, stringendo nel pugno in manico dell’ascia ancora insanguinata. Il solo suono che poteva sentire realmente, eccetto il rombare del motore del veicolo che Seidou stava guidando, era l’insistente gocciolio del sangue che andava rapprendendosi sul tappetino sotto ai suoi piedi. Fissava con sguardo vacuo il cruscotto di fronte a lei, gli occhi innaturalmente sgranati e nelle orecchie ancora lo spettro delle grida di Hiroshi. Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di puro terrore negli occhi del fratellastro, il suo lamento, la richiesta di risparmiarlo. Né avrebbe mai cancellato dalla mente il modo in cui lo aveva colpito con poca forza nella mano a causa della mancina, ancora fasciata e appesa al collo a causa delle ferite infertale da Eto la notte  della morte di Orihara. La convinzione che era aumentata al secondo e al terzo colpo, prima di passare quella stessa ascia a Seidou che l’aveva massacrato, smembrandolo dalle gambe fino al torso, così da fargli penare ogni singolo istante di quella tortura.

Eppure, nonostante avesse visto morire in modo orribile un membro della sua famiglia, in quel momento si sentiva più leggera. Più tranquilla. Uno dei molti fantasmi del suo passato stava piano a piano sbiadendo di fronte ai suo occhi. C’era qualcosa in quella vendetta che rendeva il tutto più giusto.

Ormai Hiroshi era morto e tutto ciò che rimaneva di lui era un sacco di sangue sparso per un salotto, una testa mozzata appoggiata a un mobiletto e qualche pezzo di carne riposto dentro a un frigorifero da campeggio che lo stesso Takizawa si era portato da Tokyo fin lì, in quel piccolo paesino di mare, nella provincia di Kyoto.

«Quando siamo lontani da Hamaotsu

La voce di Seidou non accarezzò nemmeno le sue orecchie e il mezzo ghoul se ne accorse subito, tanto che per la stizza decise di far tutto da solo. Sterzò con violenza, accostandosi alla piazzola e facendo sbilanciare la ragazza sul sedile del passeggero, che mugolò di dolore.

«Scendi, cretina. Ci liberiamo qui della macchina, poi farai tu l’autostop per fermare qualcuno.» Takizawa non le era sembrato così lucido nemmeno nei primi giorni di prigionia, quando l’aveva incontrato. In quell’istante, negli occhi che trasudavano isteria, c’era però una venatura pianificatrice. «Gli rubiamo l’auto e torniamo a Tokyo prima che faccia giorno e trovino tuo fratello.»

«Non è meglio prendere un treno?»

«No.»

«Temi che possano riconoscerci se ci saranno indagini?»

«Non posso assicurarti di starmene tranquillo col culo sul sedile di un treno per tutte quelle ore, va bene? Guidare mi tiene concentrato, vuoi che siano i passeggeri innocenti di un treno notturno a farlo?», spalancando la portiera, Takizawa uscì fuori nel buio della notte. «Dobbiamo lasciare la macchina qui», proseguì, appoggiandosi al guardrail per spiare l’oceano nero sotto quello sperone roccioso. «L’acqua e il sale laveranno via le prove. Muoviti a spogliarti.»

Mentre Aiko si sfilava la camicetta e la canottiera sporche di sangue, Seidou faceva lo stesso, liberandosi della maglia larga  e i pantaloni sbiaditi che Tatara gli aveva buttato addosso quando erano partiti, il primo pomeriggio di quello stesso giorno. Mancavano ancora pochi minuti a mezzanotte. Ed era necessario che tornassero prima dell’alba per non destare sospetti. Kuramoto non doveva chiedersi dove avesse passato la notte la coinquilina e soprattutto avrebbe dovuto essere con lei nel momento in cui avrebbero chiamata da Kyoto per darle la brutta notizia.

Eto era stata chiara su questo punto. Non le avrebbero coperto le spalle se fosse stata così stupida da farsi beccare.

Aiko sapeva benissimo che poteva fidarsi del fatto che Eto non si sarebbe scoperta per lei.

Buttò quindi tutto nella macchina, tenendo addosso solo l’intimo e fissando incerta lo spallino del reggiseno, che si era anch’esso macchinato un poco di sangue. Aveva superato la barriera dei vestiti al di sopra, nel momento in cui aveva ripetutamente colpito il busto di Hiroshi.

Stava pensando come fare, quando un mantello nero le venne messo sotto al naso.

Takizawa glielo porgeva senza guardarla, quasi pudico, stringendo con la mano libera il tessuto liso dei pantaloni sformati.

«Butta tutto e spostati.»

Aiko prese il mantello con mani tremolanti, mentre l’altro scaricava la borsa frigo e l’appoggiava vicino al ciglio. Poi, a mani nude, Seidou sollevò il guardrail e lo ruppe, per poi spingere l’auto fino al bordo. Quando cadde nell’oceano, il boato riecheggiò attorno a loro, ma la zona era deserta.

Sfinita come se fosse stata lei a fare lo sforzo fisico, Aiko si sedette sul ciglio della strada. Al petto nudo teneva il tessuto nero senza però indossare l’indumento, mentre lo sguardo andava a fissarsi sul contenitore che raccoglieva i resti di suo fratello. Seidou le si sedette accanto tirandosi dietro l’oggetto, per poi aprirlo e afferrare un pezzo di carne. Senza preoccuparsi della sensibilità della giovane, tolse il coperchio e prese un pezzo di carne, inghiottendolo in due morsi.

«Gran figlio di puttana, tuo fratello», le disse, tornando a guardarla negli occhi mentre si leccava le dita per lavar via ogni residuo di sangue. «Però ammetto che è saporito.»

«Seguiva una di quelle diete vegane del cazzo», rispose Masa, scrollando le spalle per poi cambiare totalmente argomento e tornare al punto. «Cosa facciamo ora?»

«La prima macchina che passa, la facciamo fermare.»

Aiko rise amaramente. «Hai visto le nostre facce? Nessuno si fermerà. E tu non puoi usare il tuo kagune per non lasciare tracce. Tatara ha detto che-»

«Si fotta, quel cinese raggi UV-repellente», con un grugnito, Seidou si sistemò seduto, prendendo altra carne. Staccò vorace un pezzo di muscolo, prima di sventolare la mano sotto al naso di Aiko, che girò il capo. «Fingerai di scappare da me, un uomo brutto e cattivo che cerca di stuprarti. Chiunque si fermerebbe per farti salire.»

«Per il brutto ci siamo. Cattivo, abbastanza. Ma tu che tenti di stuprare una donna? Sei vergine, Seidou.»

«Ma il guidatore non deve saperlo. Poi meglio una chiave esclusiva che apre un cancello su un giardino, della tua serratura che viene aperta con ogni chiave esistente.»

«Stronzo.»

«Troia.»

Si scambiarono un mezzo sorrisetto, poi Aiko appoggiò il mento al braccio ingessato, spiando verso l’oceano. «Eto ha vinto.»

Takizawa sbuffò, forte. «Eto vince sempre, tanto. Se c’è una cosa che sto imparando stando con questo branco di bastardi ghoul, è questo. È come giocare a poker con un uomo che può leggere la mente.» Il rumore delle onde fu tutto ciò che rimase della loro conversazione per parecchi minuti. Poi, Takizawa si drizzò. «Arriva una macchina. Alzati e preparati, voglio essere a Nakatsugawa entro le tre o non torneremo mai in tempo.»

La ragazza si limitò ad annuire, alzandosi in piedi.

Lasciò cadere a terra il mantello e prese un respiro, prima di ripensare a ciò che avevano commesso quella notte.

Non riuscì però a sopperire alla sua espressione apatica con i ricordi del macello di Hiroshi.

Così recitò.

 

Kuramoto dormiva profondamente quando rimise piede in casa, pochi minuti prima dell’alba. Con addosso nulla se non una maglietta presa in un autogrill e un paio di culotte sporche di terra, Aiko si diresse in camera sua, ignorando il miagolare insistente del gatto.

Quando si chiuse piano la porta alle spalle, realizzando che l’avevano fatta franca, per poco scoppiò in una risata liberatoria.

Appoggiò il capo contro il legno massiccio duro dell’uscio, chiudendo un istante gli occhi, prima di prendere il suo cellulare, che non aveva lasciato l’appartamento per evitare che venisse tracciato in futuro.

Avevano ucciso tre persone quella notte, eppure non c’erano indizi che avrebbero portato a loro se non tre cadaveri irriconoscibili, un’auto infondo all’oceano e una in fiamme a Shibuya.

«L’abbiamo fatta franca», sospirò piano, scorrendo nella rubrica un numero memorizzato sotto il nome Mamma.

Ovviamente, non era sua madre.

-Sono pronta.-

Fu tutto ciò che scrisse.

-Ne sono compiaciuta. Presto inizieremo.-

Fu tutto ciò che le rispose Eto.

 

E lo era davvero.

Era pronta a distruggere quel mondo, perché ormai anche lei era diventata il mostro che era nata per essere.

 

Capitolo ventinove

«Mi dispiace di avere esagerato e parlato a sproposito. Non sarei dovuta venire qui nel pieno della frustrazione. Prego tutti e tre quindi di accettare le mie scuse.»

Masa rimase china in due, di fronte al bancone, fino a che su di esso venne appoggiato un cappuccino al ginseng. Touka la guardava serenamente quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, giallo dorato su viola placido. Prese quindi posto sullo sgabello, scambiando uno sguardo anche con il signor Yomo, mentre Nishiki, accanto a lei, sbuffava.

«Come tutte le colombe, tubi tanto, ma non concludi molto, vero Masa-san

«O forse hai trovato le tue risposte e quindi non serve più tenere le ostilità con noi?»

La mano con cui Aiko stava accompagnando la tazza alle labbra si fermò a mezz’aria, mentre guardava l’altra ragazza. Prese un piccolo sorso, dopo aver soppesato un pensiero, pulendosi il labbro superiore dalla schiuma con un piccolo tovagliolino di carta.

«Vero. Ho trovato Nagachika

L’ammissione fece voltare di scatto Nishiki. «Tu sei una pazza che crede di-»

«Le sue ossa», proseguì indisturbata la mora. «Riposavano in uno degli svincoli fognari che dal 14 V portano verso il cuore della ventesima. Abbiamo anche eseguito un esame del dna usando un piccolo campione epiteliale che abbiamo trovato sulla felpa nera e gialla. Sul colletto, per la precisione. Non ci sono dubbi, Hideoshi Nagachika è morto e oggi, insieme alle mie scuse sincere, ti ho riportato lo scatolone con le sue cose, Kirishima

Touka prese un respiro e chiuse gli occhi, prima di riaprirli per spiare il volto dell’investigatrice. «Sono felice che tu abbia trovato quello che cercavi, agente.»

Il suo tono era sinceramente impregnato di menzogna.

Menzogna che Aiko acconsentì ad assecondare, con un sorriso tirato.

«Anche io. Ho portato a una povera famiglia quel poco che rimaneva di loro figlio. Ora avranno una tomba piena su cui piangere. Ora scusatemi, ma devo proprio andare.» Si sollevò dallo sgabello che aveva a mala pena toccato, lasciando a metà il capuccino offerto con pace dalla cameriera ghoul. Lanciò un ultimo sguardo al contenitore con le cose di Nagachika, prima di infilarsi il trench. «Anche io ho da riempire uno scatolone. Forse per un po’ non ci vedremo.»

«Forse», rispose Touka, «è meglio così. Buona fortuna agente Masa.»

«Anche a voi.»

Ne avremmo entrambe bisogno.

 

Aiko aveva scarsi ricordi della notte in cui Yamoto l’aveva rapita. Era stato lui chiederle di chiamarlo così e non con il suo vero nome, almeno sino a che non fosse stato lui a permetterle di pronunciarlo. Per correttezza, andrebbe detto che quella notte Yamoto aveva mandato Amon a prenderla per parlarle. Non era stato molto gentile però.

L’aveva imbottita di inibitori, così tanti che quando avevano finito, non era stato difficile per l’ex agente del ccg, collaboratore dell’uomo che l’aveva liberato, sedarla nuovamente.

Masa si era risvegliata scossa da Mi-Him, in mezzo al nulla, con addosso tutti i suoi averi, comprese le chiavi della macchina e il suo badge da agente. La coreana le aveva detto di averla tenuta d’occhio per giorni sotto l’ordine diretto di Eto, ma che comunque non era riuscita a fermare Amon Kotarou dal prenderla, perché era stato incredibilmente veloce nonostante la sua enorme mole.

Lui e una donna l’avevano portata via e a Cesoie non era rimasto nulla se non tornare indietro per cercare indizi. Alla fine l’aveva trovata per puro caso mentre stava per buttare la spugna.

Tutto ciò che Aiko aveva fatto dopo era stato andare in un cimitero cristiano e frugare per ore nell’ossario alla ricerca di ossa che potessero in qualche modo combaciare con quelle di un ragazzo pressoché ventenne. Aveva letteralmente fatto un collage con quello scheletro, prima di chiamare Tsubasa.

Aveva sporcato le ossa di terra, si era a sua volta infangata per bene e poi era tornata allo chateau con il macabro reperto avvolto in una coperta che teneva nel bagagliaio, pronta per affrontare Urie. Lui l’aspettava fuori dalle grazie di Dio, dopo tutte quelle ore di silenzio. Lei si era limitata a mostrare le ossa a lui e al resto della squadra, che l’aveva attesa in ansia.

E aveva detto solo una cosa.

«Con un’intuizione ho trovato Nagachika

 

Tsubasa le aveva fatto avere una falsa comparazione del dna il giorno successivo, falsificando i moduli di uno studio privato.

Urie aveva intercesso con Matsuri e lei aveva avuto il permesso di andare dalla famiglia Nagachika per portare loro i resti del figlio.

Aveva a tutti gli effetti insabbiato quanto più possibile il caso.

 

Perché di esso non doveva rimanere traccia.

Quelle erano state le condizioni per permetterle di tornare a casa.

 

 

«Il funerale si terrà dopodomani. I genitori hanno parlato di una cerimonia intima con pochi amici e parenti, ma sarebbero contenti se tu andassi, Akira. Hai lavorato con lui e lo conoscevi, dopotutto.»

Aiko terminò il suo rapporto, chiudendo il quadernino che aveva falsificato, impiegandoci quasi tre ore. Lì sopra aveva riportato esiti di indagini fittizie, false interpretazioni del testamento e qualsiasi altra cosa potesse venire insabbiata. Lo porse quindi alla bionda, che lo prese con entrambe le mani.

«Ti sono grata per aver tenuto fede alla tua parola e per avermi informata.» Mado le sorrise sincera e Aiko ricambiò, seppur pallidamente. «Hai fatto un grande servizio a una famiglia. Hai dato loro la pace, nonostante tutto ora possono chiudere questo capitolo.»

Probabilmente quelli non sono nemmeno i genitori di Nagachika, ma altre pedine di questo  teatro di maschere grottesche e burattini tenuti in piedi da fili di sangue.

«Sono felice di esserci riuscita, associato alla classe speciale. Vorrei poterlo fare anche per altri, se ne avrò occasione.»

«Non essere modesta. Questo è l’ennesimo caso che risolvi e hai anche pagato un analisi del dna di tasca tua. Questo va oltre la dedizione al mestiere. Dovrebbero affidarti solo indagini di alto profilo, hai un intuito a dir poco eccezionale. I Quinx perdono un ottimo membro, oggi.»

Masa prese un respiro. «Io perdo una parte della mia quotidianità. Nessun lavoro potrà mai ridarmela.» Facendo una pausa Aiko guardò gli occhi amaranto dell’altra donna. Akira era bellissima, eppure così fredda. E triste. «Cambiare compagni di squadra è sempre stressante, ma alle volte non possiamo scegliere il nostro futuro.»

Madò annuì, consapevole. «Diciamo che ho sentito delle voci di corridoio», le disse, educatamente e discreta. «Credo che la scelta tua e del primo livello Urie sia la più responsabile possibile. Lui ha davanti un futuro promettente e tu…» Indicando il quaderno, Akira scrollò le spalle, «Cosa posso dire di te? Probabilmente verrai ricordata come una delle investigatrici più brillanti che il ccg abbia mai avuto.»

«Credo tu stia esagerando. Non sono niente di ché. Lo diceva sempre anche Hirako che dovevo migliorare tanti aspetti.»

«Lo hai fatto», sostenne la bionda. «Il lavoro di gruppo ormai non è quasi più un problema, o non avresti potuto fare da mentore a Higemaru. Hai migliorato le tue abilità in combattimento, grazie all’intervento per il trapianto di kakouh ma soprattutto perché tu sei stata forte abbastanza da sostenerlo. Sei intelligente, Aiko. Non devo dirtelo io che lo sei.» Una pausa più lunga si frappose fra loro. Alla fine Mado si alzò in piedi, tendendole la mano. «La squadra Suzuya è una delle migliori che abbiamo», le disse, mentre anche la mora si alzava e stringeva il palmo contro quello pallido dell’altra. «Sono dei fuori classe, tutti loro. In questi due mesi affinerai molto le tue tecniche di combattimento grazie a Suzuya e darai il tuo contributo per tenere più pulita una delle circoscrizioni peggiori di Tokyo. Quando ci rivedremo, ti offrirò un pranzo, anche se suppongo sarai impegnata quando ripasserai per la prima.»

Aiko sorrise, sempre più in imbarazzo. Tutti quei complimenti, quei modi gentili…. Non li meritava.

Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. Sono una bugiarda. E ora sono doppiamente in trappola.

«Avrò sempre tempo per i miei mentori, Akira. Grazie per avermi aiutata quando ho fatto il trasferimento nei Quinx. Sarò felice di pranzare con te il prima possibile.»

«Buona fortuna nella tredicesima, primo livello Masa.»

 

Masa si era pentita di aver mandato a casa Higemaru non appena si era ritrovata da sola in ufficio, con la riproduzione casuale del telefono a tenerle compagnia e nemmeno un’anima pia a portarle un caffè.  Andava detto che erano quasi le otto e un quarto di sera e per quell’ora tutti avevano iniziato a tornare verso le loro dimore. I pochi ancora nella struttura avevano sicuramente il loro bel da fare se si trattenevano fino a quell’ora tarda alla scrivania.

Aiko stava finendo di prendere le sue cose dalla scrivania di Urie – che le aveva detto molto chiaramente di stare attenta a non portare via nessun documento che appartenesse a lui o avrebbero dovuto rincorrersi per due circoscrizioni parecchio distanti– quando bussarono alla porta.

«Avanti» sussurrò cercando di non concentrarsi su quanta tristezza le mettesse quel pensiero e non prestando quindi attenzione a chi stava entrando. Prima ancora di una voce, a raggiungerla fu un odorino invitante. Sorrise, non guardando ancora avanti a sé, presa da un paio di fascicoli vecchi che poteva anche lasciare al caposquadra, ma capendo. «Sasaki» disse, di fatto, «Qual buon vento?»

Il ghoul le sorrise di rimando, anche se mancava la sua solita vivacità. Quella era sparita, morta insieme a Shirazu in quel palazzo, mesi addietro. Lo Shinigami nero era molto più cupo di quanto il nome non rivelasse già. «Ho pensato di passare a portarvi un po’ di pollo saltato. Lo so che abusate del take away, da quando sono andato via.»

Lei prese fra le mani il sacchetto di carta, schiudendolo per bearsi del profumino di carne e peperoni rossi. «Colpevoli, ma il primo livello Urie si sta davvero imparando per arrivare al tuo livello, anche fra i fornelli», concesse alla fine, facendogli segno di sedersi di fronte a lei. Lui eseguì, sfilandosi il cappotto lungo e nero, ma tenendo sulle mani quei buffi guanti rossi. Aiko si chiese cosa nascondessero.

«So che oggi è il tuo ultimo giorno nei Quinx, Aiko-chan.»

La mora annuì, «Purtroppo sì. Anche io prendo il volo come hai fatto tu. Sei venuto a darmi qualche consiglio in merito al trasferimento?»

«In realtà» la gelò Haise, spaccando nettamente il discorso e arrivando al sodo. «Sapevo che eri qui da sola e speravo di poter scambiare due parole in privato.»

«Certamente», gli rispose lei, sempre sorridente, appoggiandosi allo schienale della sedia girevole. «Di cosa volevi parlarmi?»

«Ho sentito che hai indagato su Hideoshi Nagachika. Volevo discutere di questo caso con te, se non ti dispiace.»

Se Aiko ci avesse scommesso un miliardo di yen, a quel punto si sarebbe ritrovata ricca da fare schifo. Finse comunque, come sempre, di non capire. Aggrottò le sopracciglia, falsamente pensierosa,  mentre sapeva benissimo che quella situazione si sarebbe presentata. Tutti sapevano che aveva riconsegnato le ossa di Nagachika, in tanti si erano complimentati con lei. In realtà aveva aspettato una mossa di Sasaki tutto il giorno. «Ah sì. Possiamo parlarne se vuoi, anche se come avrai sentito, è un caso chiuso. Ho trovato il poco che rimaneva di quel povero ragazzo.»

«Come mai ci hai messo mano?», Haise sembrava tranquillo, ma i suoi occhi tradivano una certa fretta. Dopotutto era arrivato subito al punto, senza perdersi in convenevoli stupidi. Sembrava aver sempre furia di finire le cose, nell’ultimo periodo, come se lo infastidisse avere troppe persone attorno, per troppo tempo.

Masa aveva iniziando a farsi una sua idea.

«In realtà perché volevo trovarlo, non c’è un altro motivo.» Proseguì con estremo candore l’ex vice caposquadra dei Quinx, incrociando le mani sul legno della scrivania. «Volevo formare un po’ Higemaru, quindi ho preso una delle persone scomparse durante il raid della ventesima, tre anni fa, e abbiamo iniziato a fare qualche domanda in giro. Ci tenevo perché quella notte ho rischiato anche io di finire così, morta da qualche parte, senza che mia madre potesse più vedermi o parlarmi. Penso che in futuro mi dedicherò ad altri casi simili.»

«Capisco», Sasaki le parve molto pensieroso in merito «Come mai hai scelto proprio lui, però?»

«Quel ragazzo era un civile, non era uno di noi. Non meritava di fare una fine del genere, divorato in un canale di scolo senza nessuno a poterlo aiutare.» Scrollando le spalle, la mora lo guardò aspettando che l’altro dicesse ciò che davvero aveva da riferirle. Era lì per un motivo. «Poi è quello che hai fatto tu: hai dato a me e a Urie un caso impossibile da risolvere e ci hai buttati allo sbaraglio. Sbattendoci il muso si impara e infatti ho notato dei miglioramenti in Higemaru. È giovane, ma sa il fatto suo.»

Un piccolo sorrisetto malinconico tinse le labbra dell’altro, che poi portò la mano nella tasca della giacca nera. Afferrò un oggetto e lo portò all’altezza delle ginocchia, guardandolo con espressione tersa, prima di buttarlo sulla scrivania, di fronte a Masa.

«Quindi non sei stata tu a farmi trovare questa sulla mia scrivania?»

Aiko si sentì presa in contropiede. Afferrò con incertezza la fotografia che Haise le aveva praticamente sbattuto in viso, che lo raffigurava da bambino insieme a un coetaneo dai capelli biondi accesi e un sorriso birbante sul volto. La stessa fotografia che aveva visto per l’ultima volta quasi una settimana prima, nella mano di Eto, mentre un palazzo bruciava.

«No, non sono stata io.»

«E scommetto che non eri nemmeno tu a pedinarmi, vero? Andiamo, Aiko. So che non è la prima volta che la vedi.»

Lei alzò nuovamente lo sguardo, ora serio e scuro, sul volto dell’altro. Come se la sarebbe cavata? Era una situazione senza via di fuga. La faccia innocente non avrebbe più attaccato. Quindi fece un salto nel vuoto e gli diede quello che voleva, evitando accuratamente di parlare del pedinamento. Avrebbe dovuto poi mostrargli il quaderno che aveva restituito a Yamoto, ma che ovviamente fotocopiato per intero in precedenza. E avrebbe dovuto parlare di RB, quindi dello stesso Sasaki, senza contare che si sarebbe dovuta sbottonare su Yamoto stesso e quello era fuori discussione. «No, non è la prima volta.»

Si creò una situazione di stallo fra i due. Lei gli rese gentilmente la foto, che lui ripose con cura nella tasca interna del completo, lisciando poi la cravatta di seta contro al petto. Non smisero di guardarsi nemmeno per un istante, lei pronta a qualsiasi domanda, lui fermo sulla sua posizione, granitico. Sembravano sul punto di attaccarsi a vicenda, come due serpenti, ma alla fine il ghoul si alzò in piedi. Non sembrava più interessato a quella incresciosa situazione e Aiko non colse il perché. Riprese il cappotto, tenendolo sul braccio, mentre sistemava la sedia al suo posto.

«Io non lo so in che situazione sei andata a ficcarti, Aiko-chan.» il tono che usò fu dolce, come quello di un padre preoccupato. Lo stesso trasmettevano i suoi occhi, oltre le lenti degli occhiali da vista ovali. «Non so cosa vuoi ottenere o per chi pensi di lavorare. Solo non farti uccidere. Non ne vale la pena.»

Quell’amore non richiesto e non atteso la destabilizzarono. Masa si alzò di scatto, sbattendo il fianco contro la scrivania mentre la aggirava. Non disse nulla mentre lui continuava a guardarla con quell’espressione.  Cosa voleva dirle? Perché abbandonare i Quinx per poi non indagare su una cosa del genere? Perché non torchiarla fino a farle sputare la verità? Aveva il potere per farlo, di denunciarla. Non lo voleva?

Avrebbe dovuto ringraziarlo, invece si sentiva amareggiata.

Perché se ne ere andato, allora?

«Torno a casa», le disse, alleggerendo ulteriormente il tono. «Stasera Arima vuole vedere un nuovo quiz a premi e non vorrei perdermi la prima parte. Porta il pollo agli altri e salutali tutti da parte mia, Aiko-chan.»

Masa si rese conto che non stava respirando. Lo realizzò quando sentì la porta aprirsi e registrò che Sasaki stava per lasciare la stanza e lei non aveva ancora detto assolutamente nulla. Per questo si buttò, senza pensare.

«Kaneki, aspetta.»

Quel nome ebbe lo stesso effetto di una fucilata nella schiena, per Sasaki, il quale rimase impalato sulla porta, di spalle alla ragazza, con gli occhi sbarrati che non vedevano nulla. Un vortice di emozioni contrastanti lo colse, ma alla fine, riuscì ad incamerarle in un respiro profondo. Chiuse un attimo le palpebre, cercando di ignorare i brividi che aveva provato lucidamente nel sentirsi chiamare in quel modo dopo tanto, tanto tempo.

Poi si voltò di nuovo verso di lei. «Sì, Aiko-chan?»

Lei si morse il labbro, incerta «Nagachika…. Pensi che sia morto, vero?»

Gli occhi di Haise scapparono dai suoi immediatamente. «Lo è. Tu hai trovato le sue ossa.»

«…Ne sei sicuro?»

Di nuovo, senza guardarla, parlò «Sì, ne sono sicuro.»

«….Hai ragione, non so perché te l’ho chiesto, scusami. Mi dispiace per la tua perdita...»

Non ci fu una risposta. Haise lasciò velocemente l’ufficio, lasciandola sola a pensare a ciò che era successo. Nella realizzazione, il panico la colse. Cosa aveva combiato?!Portò entrambe le mani sul viso, sopprimendo un urlo per l’essersi tradita da sola in modo così stupido. Tirò un calcio al bidone della carta, mentre le mani scivolavano a coprire le labbra che fremevano dalla voglia di gridare tutto il disappunto. Con le gambe che tramavano scivolò fino alla scrivania, prendendo il telefono in mano.

Poi lo ripose, comprendendo che non c’era nessuno che poteva chiamare per dirgli cosa era successo. Aveva fatto tue ammissioni terribili, aveva scoperto le sue carte e ora Sasaki sapeva che lei era lì per lui. Forse era addirittura arrivato a comprendere che lei era entrata nei Quinx per controllarlo. Non andava bene.

«Sono completamente nella merda, uhm?»

Per risposta, il suo telefono prese a suonare. Kuki.

Lei ci pensò su, se rispondere o meno, ma se non lo avesse fatto sicuramente lui glielo avrebbe fatto notare almeno dieci volte i primi due minuti a casa. Inspirò quindi profondamente, poi accolse la chiamata. «Cookie.»

-Che vuoi per cena?-

C’era qualcosa di incredibilmente famigliare e quotidiano nella sua voce. Masa non riuscì a non lasciarsi sfuggire una piccola smorfia, pensando che oltre a tutto lo schifo che doveva gestire dopo l’incontro con Yamoto e a questa nuova perla con Sasaki, ora avrebbe anche cenato nella sua casa per l’ultima volta. Voleva urlare. Invece rispose con tono dimesso, spezzato. «Sei stupido come un scimmia.»

Il ragazzo non rispose subito, si prese un paio di secondi. Sicuramente aveva notato il tono –Grazie- convenne alla fine, facendola ridere piano, -Stai di nuovo bevendo in ufficio? Per questo hai mandato a casa Higemaru?-

«No. Quando mai avrei bevuto in ufficio, scusa?», rispose la ragazza, ruotando con la sedia verso la vetrata e tenendo gli occhi puntati verso le luci sotto di lei. Cercò di non accavallare pensieri negativi su pensieri negativi. «In realtà sono solo stanca ed ero sovrappensiero. Alla cena ci penso io, Sasaki mi ha portato un paio di chili di pollo saltato con le verdure.»

-Allora muoviti a portare a casa quel pollo. Così magari ti riposi anche e la smetti di sembrare psicopatica. Poi ricordati che dobbiamo parlare agli altri del tuo trasferimento. Non chiedermi come, ma non lo hanno saputo da nessuno in tutto il giorno.-

«Io che pensavo di scaricare questo onere a qualcun altro. Non ce la faccio a dirlo a Hige, mi si spezza il cuore al pensiero.» facendo leva sulla schiena, Masa si alzò in piedi. Tornò a guardare lo scatolone, passando una mano fra i capelli sulla nuca. «Kuki», lo chiamò con voce piccola, insicura.

Lui rimase in attesa per qualche secondo, ma ciò che Aiko voleva dirgli non arrivò. Lui parve capire che non stava bene, quindi glissò –Torna a casa, ok?-

Gli occhi le si riempirono di lacrime e non riuscì a non tirare su col naso «Arrivo.»

E riattaccò, prima ancora che lui avesse il tempo di chiederle se stesse piangendo. Appoggiò il telefono sulla scrivania, prendendo un fazzolettino dal dispenser. Poi si appoggiò con la vita contro al legno massiccio.

Sasaki sapeva qualcosa, mentre Eto sapeva sempre tutto.

E lei stava mettendo a rischio qualcuno che, giorno dopo giorno, iniziava ad amare davvero.

«Abbiamo fatto proprio bene a chiedere il mio trasferimento, Kuki. Riuscirò a non trascinarti sul fondo come, se non trovo una soluzione ai casini che mi sono creata con le mie stesse mani.»

 

 

«Perché questa riunione? C’è qualcosa di cui dovete parlarci?»

«Riunione? Stiamo facendo una riunione

C’era della genuina sorpresa nel tono di Saiko mentre questa, rivolta con il naso all’insù per spiare il profilo di Hsiao, sbatteva le palpebre sugli occhioni celesti perplessi.

Le due donne erano stipate su un unico divano, pressate contro Higemaru e Aura, con di fronte seduti vicini di due capisquadra, in religioso silenzio.

Era decisamente una riunione.

«Cosa ho fatto di male?», chiese in un latrato Yonebayashi, sculettando per farsi spazio e tirando una gomitata nelle costole a Hige, che si sporse in avanti, colto alla sprovvista e a corto di fiato.

«Dobbiamo parlarvi di una cosa molto seria», iniziò con tatto Urie, unendo le mani di fronte a sé mentre Aiko sospirava, appoggiandosi molle allo schienale del divano, con le mani dietro alla testa. Sembravano entrambi tesi, ma il ragazzo lo era di più.

Ad ogni modo, Urie non ebbe il tempo di aggiungere altro, che Shinsanpei schiuse le labbra.

«Il vice caposquadra è già incinta?»

Gli occhi di Urie divennero grandi come due piattini da caffè, mentre Hsiao e Higemaru alzavano in contemporanea le sopracciglia e Saiko rimaneva impietrita sul posto, con ancora il gomito ficcato nel costato del più giovane. Lentamente, il marmoreo mentore dai capelli violetti si girò verso Masa, chiedendo palesemente supporto in quella situazione.

Lei lo guardò senza capire.

«Non credo», gli rispose, come se avesse seriamente preso in considerazione quella possibilità e non aiutando per niente. «Ho avuto il ciclo la settimana scorsa. Lo sai.»

«Oddio diventerò zia!», guaì con tono alto Saiko, in totale estasi, coprendo totalmente le parole della mora. Portando le mani al viso trasognato, Yonobayashi iniziò già ad immaginarsi spingere una carrozzina piena di merletti e pizzi rosa. «Sarà sicuramente una bambina bellissima.»

«Non c’è nessuna bambina!», si inserì di nuovo Urie nella discussione, rosso come un pomodoro. «Non è di questo che dobbiamo parlare.»

«Il sesso del bambino lo sapremo solo al terzo mese, no?», chiese Touma con sguardo critico rivolto verso la pancia piatta di Aiko, scossa però dalle risate trattenute. Il suo divertimento era direttamente proporzionale al disagio del caposquadra. «Quindi non si può escludere che sarà un bambino.»

«Dipende dalla genetica», proseguì Aura. «Di solito ci sono persone più propense ad avere più figli maschi o femmine. Avete fratelli o sorelle?»

«Io avevo due fratelli.»

«Basta! Basta! Aiko non è incinta! Aiko se ne va dalla squadra!»

Le risposte di entrambe i capi squadra zittirono i quattro colleghi. Aiko sospirò grave, chiudendo gli occhi per non vedere la delusione o il dispiacere sul volto di nessuno di loro. «Che tatto…»

«Non mi hanno permesso di averlo», ribatté Kuki, piccato. Poi inspirò a sua volta, profondamente, spiegandosi meglio. «Da mezzanotte, Masa Aiko non sarà più un membro attivo della Quinx Squad. Andrà in prestito per due mesi alla squadra Suzuya e poi-»

«Dovrai anche cambiare casa?» Higemaru la guardò, atterrito, con gli occhi che brillavano. Era pronto a piangere. «Perché mi abbandoni?! Pensavo di essere un bravo kohai

«Lo sei!» Aiko si sporse in avanti con uno scatto, prendendogli entrambe le mani nelle sue e pregando di non assistere a una scenata. Poteva tornare sui suoi passi per impedire che Higemaru piangesse. «Sei il migliore che potesse capitarmi, però….» Con la coda dell’occhio, la mora spiò Kuki. Lui non disse ovviamente nulla, scaricandole la patata bollente. «Però le cose se devono essere fatte, devono essere fatte per bene. Ci sono delle regole, nel dipartimento. Io e Urie non possiamo lavorare più insieme per un conflitto di interessi.»

Stupore generale.

«Avete deciso di ufficializzare?», domandò Aura, grattandosi il mento.

«Quando Urie non sarà più il mio capo, tra due mesi, probabilmente sì.»

Ci fu una piccola pausa. Poi Saiko assottigliò gli occhi. «Te ne stai andando per un probabilmente?», le domandò con tono deluso. «Prima Mucchan, poi anche tu. Perché tutti andate via, come ha fatto la mamma?»

Aiko abbassò il capo, lasciando scivolare in avanti i capelli. Non aveva una risposta a quella domanda.

«Non ci sono eventualità. Ho intenzione di prendermi le mie responsabilità per questo trasferimento che ho io stesso richiesto ad Aiko.» Sorprendentemente, Kuki prese in mano la situazione, che stava degenerando rapida. E lo fece con un po’ troppa professionalità, visto il carattere del discorso «Non possiamo avere una relazione se lei è il mio vice. Se non possiamo avere una relazione, non possiamo comunque lavorare insieme, ora come ora. Ci siamo spinti troppo oltre, almeno per me è così. Aiko ha chiesto il trasferimento perché così potrà tornare, poi

Higemaru non capì. Aura schiuse le labbra, stupito. Hsiao, invece, sgranò gli occhi.

Saiko reagì come Touma, ma chiese. «Perché ora no, ma poi sì?»

Aiko e Kuki si guardarono negli occhi, poi lei si voltò verso Yonebayashi. «Le persone sposate possono lavorare insieme a distanza di un mese e un giorno dalla celebrazione del matrimonio.»

Mentre i tre ragazzi si chiedevano come reagire, Saiko sospirò sollevata. «Quindi sarai di nuovo qui fra massimo quattro mesi, che bello.»

«…Non siamo precipitosi, per favore.»

Saiko ignorò Urie. «Per allora, sarà tornato anche Mucchy e saremo di nuovo tutti insieme. Ne sono sicura.»

Un piccolo sorriso si aprì sulle labbra di Aiko, che però non si voltò più verso il compagno. Non voleva vedere la sua espressione pensando a Mutsuki. Avrebbe rischiato di rendere tutto ancora più insulso. «Lo spero anche io, Saiko. Per allora, però, ti lascio in mano la vicepresidenza. Sei la first lady, ora.»

Yonebayashi la guardò in tralice. «Cosa?! No! Non posso farlo! Non so cosa fare e non sono abbastanza brava per svegliarmi tutte le mattine in orario.»

«Nemmeno io lo ero. Non credo di esserlo nemmeno adesso.» Alzandosi in piedi, Masa le porse la mano. «Tienili al sicuro quando Urie sarà troppo pieno di paranoie per rendersi conto che qualcosa non va.»

Gli occhi di Yonebayashi brillarono, mentre si alzava in piedi sul tavolino che si frapponeva fra loro, abbracciando stretta Masa, che ricambiò forte. Si strinsero per diversi secondi, poi Urie parlò di nuovo. «La nuova organizzazione è questa», prese a dire, formale. «Fino a che non tornerà Mutsuki, Higemaru e Aura faranno capo a Saiko, mentre io continuo a lavorare con Hsiao. Ci sono delle carte da firmare, Yonebayashi, ma puoi farlo domani.»

«Sarai il mio giovane padawan, Hige», disse Saiko, mentre scendeva goffamente dal tavolino. Masa sospirò pesantemente, prima di abbracciare forte anche Higemaru.

«Ci vedremo spesso, promesso», sussurrò fra le ciocche pervinca, mentre lui si asciugava l’angolo dell’occhio con la mano e annuiva. Passò quindi ad Hsiao ed infine ad Aura, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni neri, alla fine. «La mia prima squadra è stata totalmente sterminata. La seconda credevo fosse come una famiglia, però c’è sempre stato un senso di distacco fra me e più della metà degli altri componenti dell’ex squadra Hirako. La mia vera famiglia siete voi.» Aiko si battè la mano sul cuore. «Io questo non lo dimenticherò quando sarò nella tredicesima a sfornare biscotti per Suzuya

«Basta scenette», la interruppe Urie, alzandosi dal divano, dal quale aveva osservato l’intera scena in silenzio. «Voi quattro, preparate la cena. Dovete solo scaldare il pollo che Sasaki ha cucinato e sistemare il tavolo, potete farcela. Aiko, tu vieni di sopra.»

Nessuno fece commenti sconvenienti. Ora che ci sarebbe stata l’ufficializzazione, non erano più divertenti. Si concentrarono piuttosto sul famigerato quanto delizioso pollo di Haise, mentre Urie precedeva Masa su per le scale. Lei lo seguì, guardando verso la cucina e scuotendo il capo divertita quando vide Hige prendere il contenitore del pollo, per poi farselo rubare da Hsiao, alla quale arrivò uno sguardo raggelante.

Le sembrò di vedere Shirazu e Urie dei bei vecchi tempi, per un attimo.

«Incredibile che siano passati otto mesi da quando sono arrivata. Sembra ieri.»

Sul letto c’era la valigia aperta che Aiko avrebbe portato con sé nella tredicesima. Era la stessa enorme valigia che aveva quando aveva per la prima volta messo piede in quella casa, accompagnata da Sasaki che era andato a prenderla alla stazione della metropolitana. Poteva contenere un cadavere, ma molte delle sue cose le avrebbe lasciate lì.

«Sono già passati otto mesi?», domandò Kuki, come stranito. Prese qualcosa dal cassetto della scrivania, mentre Aiko buttava un paio di pantaloni leggeri nel bagaglio aperto, intristita. Lui la guardò di sottecchi. «Oggi ho parlato con Suzuya», le fece sapere. «Gli ho detto che mi servivano un paio di giorni per le scartoffie. Non vai via domani. Ti aspetta per il sette di settembre.»

Masa lo realizzò lentamente. Poi sorrise nella sua direzione. «Mi stai dicendo che ho altri due giorni per godermi il letto caldo con te?», alluse, muovendo un paio di passi nella sua direzione.

«Non solo», convenne lui, porgendole un fascicolo. «Ho fatto registrare formalmente le tue conclusioni sul caso Nagachika. Ora esiste un’indagine che è stata chiusa.»

Un brivido attraversò la schiena di Aiko mentre afferrava la cartellina di carta. «Lo hai fatto davvero?»

«Tu e Hige vi siete impegnati molto, quindi ho chiesto ad Akira una copia di quel quadernino che le hai portato. Lei lo stava già battendo al computer per verbalizzarlo. Potrà aggiungersi al tuo curriculum, così.»

Aiko lo sfogliò, soffermandosi sulla falsa comparazione di dna e quindi sul volto del giovane Hideioshi. Poi tornò a guardare Urie, allungando la mano per sfiorare i capelli rasati da poco del suo undercut. Lo tirò a sé per baciarlo lasciando scivolare la documentazione sulla scrivania contro cui lo pressò. Con mani delicate fece scivolare via dalle sue spalle la giacca elegante e poi con dita abili sciolse il nodo della cravatta.

«Grazie», gli sussurrò a fior di labbra, scontrando lo sguardo col suo.

Lui deglutì piano. «Prego», replicò, conscio di essere completamente fuori luogo. «Dobbiamo scendere per la cena o gli altri penseranno che-»

«Lo pensano già e da mesi.» L’indice sottile di Masa si appoggiò sulle labbra del caposquadra, per zittirlo. «E capiranno anche che questi due giorni dovremo fare in modo che ci bastino per due mesi…»

Lui non replicò. Scostò solo la sua mano per baciarla di nuovo, lasciando che si aggrappasse a lui mentre iniziava a sbottonarle velocemente la camicetta.

Il bacio fu lungo e passionale, fino a che Aiko non si mise in ginocchio.

 

 

«Non credo di avere capito, Ai-Ai

Masa strinse i pugni sulle cosce, mentre con il capo chino, prostrata sulle ginocchia ai piedi della sedia su cui Eto sedeva, si aspettava una reazione da parte del Gufo col Sekigan molto più incisiva.

Non tardò ad arrivare.

Eto aprì una busta di patatine, prendendone una manciata, prima di riprendere a parlare cinicamente, muovendo fiaccamente il piede. «Stai dicendo che il corpo di Nagachika che hai consegnato non è il suo, ma che non hai intenzione di proseguire le indagini per me. Sostieni che sei stata rapita da Yamoto, ma che non vuoi dirmi né se lui è Nagachika o lo Spaventapasseri, né cosa vi siete detti.»

Masa scambiò uno sguardo veloce con Tatara, in piedi dietro alla sedia di Eto, ma non vi lesse nulla. Persino l’albino sembrava in bilico, col fiato sospeso, come lei.

«Hai capito bene, Eto.»

Una risata leggera lasciò le labbra del Gufo, mentre scostava il pacchetto e batteva fra loro le mani per ripulirle dalle briciole. Si mise seduta diritta, con entrambi i piedi appoggiati sul pavimento, prima di guardarla diretta negli occhi. «La tua vita mi appartiene, ricordatelo. Solo perché ti tratto bene, non ti permetto di prenderti gioco della mia intelligenza così, agente Masa Aiko.»

Un leggero tremore scosse il braccio dell’investigatrice, mentre una goccia di sudore freddo le rotolava lungo la tempia. «Ti prego di perdonarmi, Eto. Perdonami. Non posso proprio dirti nulla.»

«Non va bene così. Forse dovrei ricordarti che devi temere più me di qualsiasi altra persona.»

Eto fece per alzarsi, ma Aiko alzò di scatto il capo e una mano, bloccandola. «Aspetta!», gridò, appena notò il sekigan della donna di fronte a lei. Era pronta per essere punita in modo esemplare, torturata se necessario, ma c’era una cosa che Yamoto le aveva detto, per salvarle la vita a quelle condizioni. E negli occhi differenti del ghoul di fronte a lei non c’era nessuna traccia di pietà. Se lo aspettava da lei, non poteva nemmeno dirsi ferita.

«Cosa dovrei aspettare?»

«Lui mi ha detto che se ti avessi riportato una frase, tu avresti smesso di farmi domande. Inoltre, ha detto che una volta sentita questa frase, non l’avresti più cercato, ma avresti chiesto al Re in persona.»

Quelle parole parvero avere un effetto nuovo. Affascinarono Eto, che si rimise seduta, sistemando le bende che sul seno iniziavano ad allentarsi. «Sentiamo cosa hai da dirmi, allora, Ai-Ai. Hai una sola possibilità, però. Se queste parole non mi convinceranno e tu non inizierai a dirmi le cose che voglio sentirmi dire, allora ti manderò da Kanou e gli dirò che può fare di te quello che desidera. Forse così ritroverai il senno.»

Aiko deglutì, sentendo la gola secca. Poi rievocò alla mente le mani di Yamoto. Ciò le bastò per ricordare perfettamente la frase che lui le aveva ripetuto almeno tre volte, poiché la riportasse più fedelmente possibile.

«La sola volta che siamo usciti alla luce del sole, è stato un caldo giorno di luglio. Abbiamo fatto un picknick e tu hai intrecciato fra loro delle margherite per creare una corona, Eto. Conservo ancora una di quelle margherite e la uso come segnalibro, così che possa ricordarmi che c’è stato spazio per la felicità anche per noi due ogni volta che volto una pagina.»

«A me sembra molto più di una frase», commentò Tatara. Eto, invece, rimase in silenzio e quando l’albino registrò che erano state quelle parole ad ammutolirla, girò attorno alla sedia per poterla guardare. Persino i suoi occhi si spalancarono di fronte all’espressione stravolta del Gufo. Come Aiko, non riuscì a smettere di guardarla, sino a che dalle labbra del sekigan uscì una singola parola.

«Fuori.»

Aiko non se lo fece ripetere, mentre il suo viso riprendeva colore. Sollevò la maschera di cuoio sul volto e fece un rapido inchino, prima di lasciare la stanza accompagnata dal fruscio del suo mantello e del cappotto di Tatara.

Una volta fuori, scesero una scalinata.

Fermi sul pianerottolo, l’albino la fermò senza bisogno di toccarla. «Cosa significano quelle parole, méi-méi

Masa si voltò verso di lui, lentamente. Lo guardò come un cucciolo maldestro può guardare il suo padrone, prima di rispondere. «Non lo so. Ho preferito non chiedere il loro significato a quell’uomo, Laoshi

«Credo che tu sia stata saggia per la prima volta nella tua vita, méi-méi

Lei sorrise leggermente, ma Tatara poté notarlo solamente dalla virgola che assunsero i suoi occhi grandi, poiché la maschera le celava le labbra. Non aggiunsero altro.

Un urlo forte ruppe il silenzio dello stabile.

Eto era furente, ma non aveva il potere di fare nulla.

Ciò l’avrebbe resa solo più furente.

«Vai via.» Tatara la invitò ad andarsene, facendole cenno verso le scale. «Se rimarrai, potrebbe ripensarci.»

«Non può farlo. Credo che Yamoto le abbia mandato un messaggio che non può ignorare.»

Nonostante ciò, Aiko si alzò il cappuccio della mantella crema, dando le spalle al suo maestro e dirigendosi verso l’uscita.

Non lo disse ad alta voce, ma qualcosa l’aveva intuito anche da sola. Se Yamoto sapeva la vera identità riguardo il Re, aveva trovato il modo per comunicarlo al Gufo col Sekigan in modo piuttosto inequivocabile. Sapeva così che lei avrebbe desistito a mettergli i bastoni fra le ruote una volta per tutte.

Furbo, ma dall’uomo che era riuscito a rapirla e a mandarla nella confusione più totale, sommergendola di informazioni delle quali lei non aveva la benché minima idea, non poteva aspettarsi di meno. Iniziava quasi a credere che tutto ciò che le aveva detto fosse vero e non solo tante piccole dritte volte a mandarla in confusione.

Peccato che non aveva avevo il coraggio di porgli la domanda più importante.

RB, RAB, RN, RNB, AB e le loro identità rimanevano ipotesi nella mente della giovane investigatrice, che però aveva compreso che se RN era Ken Kaneki, allora RB doveva essere il Re col Sekigan.

Perché il Re Nero, secondo Yamoto, avrebbe preso il posto del Re Bianco molto presto.

Lei però non ci teneva a prendere il posto della Regina Nera, che stava sfogando la sua ira qualche sulla sua testa.

 

 

Aiko sfruttò i due giorni concessile da Suzuya per salutare tutti.

Avrebbe dedicato il giorno prima della partenza a Urie – che aveva promesso di tenersi libero, anche se lei dubitava che sarebbe riuscita a tenerlo lontano dalle scartoffie per molto- mentre la sera del suo penultimo giorno nella prima circoscrizione fece un giro di chiamate per invitare il vecchio gruppo a bere qualcosa.

Kuramoto era passato a prenderla, puntuale, per portarla al locale dove si radunavano sempre. Per la prima volta dopo tanto tempo, c’erano tutti quanti.

La sola sedia a essere rimasta vuota, era quella di Hairu.

Ui la guardava di tanto in tanto, con le mani unite davanti al mento, prima di rispondere a una battuta di Itou con una mezza risata o di voltarsi dall’altra parte, sulla sedia dalla sua destra, dove sedeva Hirako Take.

«Dovevo partire per farti uscire di casa, uhm?», era stato tutto quello che gli aveva detto la mora quando l’aveva visto entrare e prendere posto.

Con loro quattro c’era anche Takeomi, che era stato l’ultimo ad essere stato invitato in quel piccolo ed esclusivo gruppetto di persone, più amici che colleghi di lavoro. Con sé aveva portato la sua ragazza, Yoriko, la quale si era inserita nelle conversazioni un po’ intimidita e sempre rispettosa.

Quando anche Arima e Fura si erano fatti vedere, sotto le probabili insistenze di Ui che non aveva appoggiato un attimo il telefono fino al loro arrivo, si erano ritrovati tutti a guardarsi in faccia.

La presenza Arima aveva abbassato un po’ il tenore delle conversazioni.

Almeno fino a che non avevano iniziato a bere.

I soli che si erano astenuti erano stati Takeomi, che non voleva sfigurare di fronte alla fidanzata astemia, Fura, che aveva una figlia a casa e una moglie da non disonorare così alla leggera e Take, che sosteneva a giusta ragione che qualcuno avrebbe dovuto poi riportare tutti a casa.

Ci aveva visto giusto. In due ore Masa, Itou, Ui e Arima – il quale però rimaneva stoico- avevano di gran lunga superato il tasso alcolemico legale. Di almeno tre volte.

«Quindi ci lasci perché devi sposarti, questo mi stai dicendo?» Con un occhio più chiuso dell’altro, Kuramoto formulò la domanda. Il suo tono era strascicato e sembrava molto ubriaco.

Nonostante difficilmente si sarebbe ricordato della risposta, Aiko doveva darne una visto che tutti la stavano aspettando. «Non lo so», brontolò, appoggiando le fronte al tavolo. «Sono confusa.»

«Basta bere allora», intervenne Hirako, cercando di prenderle il bicchiere. Lei però strinse così tanto la presa da mandarlo in frantumi.

Rialzò il capo per guardare il suo mentore. Poi si voltò verso Kuramoto, alzando la mano che nonostante perdesse sangue, stava già guarendo da sola. Il vetro venne rigettato dalla carne viva del palmo, mentre una ferita profonda sul palmo iniziava a rimarginarsi in una ragnatela rossa di vive cellule Rc. «Credo di sì, però. Quella sembrava proprio una proposta di matrimonio. Se non lo fosse stata, non avrei lasciato quella che è la mia famiglia. Amo i Quinx. Tutti loro.»

Take tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, mentre Ui lo guardava con un po’ di pietà negli occhi. Kuramoto, invece, gonfiò le guance. «Noi non ci amavi, allora?? Quando sei andata via dalla squadra Hirako non sembravi così triste!»

«Sì che lo ero, Bakamoto», lo prese in giro la mora, sporgendosi verso di lui. «Però è diverso. Sono stata il mentore di un cadetto. Ho sopportato un interveto chirurgico molto invasivo. Non sarò mai più umana, mai più. Almeno nei Quix mi sentivo una pari.»

«Ok, direi che è ora di pagare e andare a casa, la conversazione mi sta deprimendo», farfugliò Koori, appoggiando il capo fra le braccia conserte, in netto disaccordo con la sua idea di andarsene.

Arima parve d’accordo. Si alzò, prendendo il portafogli e guardando Masa. «Pago io», le disse, bloccandola dal replicare. «Di solito a offrire è chi chiede agli altri di uscire, lo so. Ma oggi pago io. Accettalo come un in bocca al lupo per il futuro.»

Aiko, che era poco in sé, alzò il pollice.

«Grazie, Shinigami Bianco. Se me lo auguri tu, deve avverarsi per forza.»

«Avanti, vi porto a casa io.» Take si alzò per secondo, guardando la scena con biasimo. «Aiko, Kuramoto, Koori. In piedi.»

«Sì, senpai», brontolò l’agente col caschetto, tornando ad alzare il capo. Prima di cercare di mettersi in piedi si voltò nuovamente verso la sedia alla sua sinistra, tragicamente vuota. A Masa non sfuggì.

Ogni volta che vedeva Ui, sperava di rivedere anche Hairu.

Ma sapeva che non sarebbe mai successo.

Perché la testa della ragazza galleggiava nella formalina, nel laboratorio di Kanou, sull’isola di Rue.

 

Il primo a venire scaricato sotto casa fu Koori.

Take lo aiutò a mettersi diritto e visto che non aveva rigettato la cena solo perché aveva trascorso il viaggio sul sedile posteriore appoggiato testa a testa con Itou, lo portò fino al portone, dove si fece dare le chiavi.

Tornò all’auto mentre una leggera pioggerella iniziava a cadere, con una piccola corsa.

Masa, che aveva visto l’intera scena dal sedile del passeggero, lo osservò rimettersi al volante con gli occhi socchiusi. «Credo che Kuramoto sia morto.»

Take le lanciò un’occhiata, prima di voltarsi per spiare il biondo che, in assenza della stabilità che il busto di Koori gli aveva donato per quei dieci minuti scarsi di auto, era crollato steso a faccia in giù sul sedile posteriore. Hirako sospirò grave. «Peccato. Lo ricorderemo con amore.»

Aiko ridacchiò, brilla. «Quando fai le battute sei più carino, dovresti farne più spesso.»

«Sconveniente frase per una donna fidanzata.»

«Stai zitto e portami a casa prima che questa donna fidanzata ti ritinteggi la tappezzeria della macchina di vomito.»

«Che schifo, Ai.»

Lei rise di nuovo, prima di accoccolarsi, con gli occhi chiusi. Il ticchettio della pioggia sui finestrini e sul parabrezza la fecero quasi appisolare, ma in pochi minuti raggiunsero anche la sua destinazione. Take si accostò al vialetto dello chateau e spense l’auto, facendo riprendere la mora.

«Ti accompagno.»

«Ce la faccio.»

Masa si sporse, per baciarlo sulla guancia. «Mi mancherai anche tu, Take. Fai il bravo mentre picchio i ghoul cattivi della tredicesima e vedi di non finire più in barella.»

«Aspetta.»

Confusa dall’alchool e dalla stanchezza, Aiko lo guardò stranita. «Take, fammi andare a letto.»

«Il giorno che ti sei trasferita nei Quinx, ho parlato di te a Sasaki.»

Masa, che inizialmente guaì spaventata all’idea di un lungo pippone da parte del mentore, si ritrovò a rizzare le orecchie. Questa storia non la conosceva.

«Che gli hai detto?»

«Riassumendo? Che eri incompetente in tutto.»

«….Grazie Take.»

«Ho ingigantito alcune delle tue lacune perché non volevo che te ne andassi. Volevo che rimanessi nella mia squadra, ma ora come ora capisco quanto sono stato stupido. Mi dispiace.»

Quella confessione ebbe l’effetto di una iniezione di caffeina nelle vene della ragazza. Aiko riuscì a spalancare gli occhi, che aveva tenuto socchiusi fino a quel momento. Non dissipò però la nebbia confusa dei suoi pensieri. «Perché me lo dici ora?»

«Perché è ora che anche io guardi avanti.» Si guardarono negli occhi per minuti infiniti, poi lui le indicò il finestrino battuto dalla pioggia che ora infieriva pesantemente. Oltre di esso, sul portico illuminato, la aspettava qualcuno. «Il tuo cavaliere dall’armatura scintillante è uscito per prendere la sua dama ubriacata.»

«Ci rivedremo presto.»

«Me lo auguro. Chiama ogni tanto, Ai.»

Aiko annuì e scese dall’auto, prendendosi tutta la pioggia mentre camminava relativamente piano fino al cancello e poi al sentiero che l’avrebbe condotta dentro casa. Urie le andò incontro, schermandola dall’acqua con un ombrello grande e passandole il braccio attorno al suo per evitare di vederla scivolare.

«Sembri parecchio più instabile del solito, su questi tacchi. Quanto hai bevuto?»

Lei non rispose subito. Guardò Take rimettere in moto e andarsene.

Poi prese un bel respiro, passando entrambe le braccia attorno al busto dell’altro, mugolando.

«Evidentemente non abbastanza», fu la risposta, che Kuki non comprese. «Portami a letto.»

Lui non se lo fece ripetere. Le ficcò in mano l’ombrello, si caricò la borsetta sulla spalla e la prese in braccio.

 

 

Continua…

 

 

 

 

Nda

 

Mancherò per un paio di settimane per motivi di lavoro.

Ci risentiamo dopo il diciotto di settembre, folks!

 

 

 

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Capitolo 30
*** Quinto Intermezzo - 1 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Quinto intermezzo: Distacco

Parte prima.

 

 

 

«Così non funziona.»

Aiko aveva appena colto quella frase. Non ne aveva a pieno assimilato il significato, fino a che non si era ritrovata a specchiarsi negli occhi di Iruka.

E non ci aveva trovato assolutamente niente di interessante.

«No, non funziona. Mi dispiace, Kei. Credo che la colpa sia mia.»

La mano del ragazzo si strinse attorno al cartone del bicchiere, rischiando di sporcarsi il completo di caffè a causa di un tremito del polso. «Non sembra nemmeno importarti. Da quanto tempo stiamo insieme, Aiko?»

Lei dovette pensarci, altro dettaglio che a lui non sfuggì. Poi sospirò e scrollò le spalle. «Non lo so, tre anni? In quale mese siamo ora?»

«Quattro anni e due mesi, Aiko.»

Masa schioccò la lingua contro il palato. «Ops», fu il suo solo commento, prima di prendere un altro sorso di cappuccino, camminando piano avvolta da una sciarpa ampia color crema che le nascondeva il collo dal freddo pungente di quella mattinata invernale. Kei la seguì con gli occhi. Guardò come tutto il corpo sembrasse oscillare, come fronde di salice al vento, eccetto il braccio destro che teneva la valigetta della quinque.

«Sei cambiata», disse, facendole arrestare il moto. «Da quanto sei entrata nella squadra Hirako e io mi sono ritirato dal servizio sul campo, tu sei cambiata. Cos’è? Non mi giudichi più alla tua altezza?»

Gli occhi brillanti della ragazza non rilucevano, quando si voltarono verso i suoi. Sembravano stanchi, cerchiati dalle pesanti occhiaie. «Sono cambiata?», ripeté con tono basso, prima di alzare il viso verso il cielo. Quasi cercasse una risposta nel leggero rischiarare dell’alba. «Sì, penso di esserlo», valutò con consapevolezza, «Non mi ricordo nemmeno com’ero prima, quando eravamo felici. Perché ora non lo siamo, no? è questo che stai cercando di dirmi in questo momento così opportuno, vero?»

«Quando avrei dovuto dirtelo?»

«Non alle sette del mattino, quando sto per iniziare un turno dopo aver smontato il precedente tre ore e mezzo fa.»

Il ragazzo parve indispettirsi ulteriormente a quella precisazione. «So che ore sono, anche io sto montando il turno.»

«Al caldo, dietro a una scrivania, con la tazza del caffè sempre piena e il cesso a due passi per pisciare quando vuoi? Scommetto che deve essere sfiancante per te arrivare all’ora di pranzo garantito, così come alle cinque del pomeriggio, per poi tornare a casa.»

«Se sei frustrata per il lavoro, dovevi pensarci bene. Ti avevo detto di ritirarti dal servizio e fare lavoro da agente interno. Proprio come me.»

«Tu non sei un agente.» La voce di Masa vibrò per l’aria, trafiggendolo per la crudeltà che ci mise. Si voltò del tutto per fronteggiarlo, avanzando un paio di passi nella sua direzione. «Un agente è colui che mette la sua vita in pericolo per il bene della città e dei suoi abitanti. Qualcuno che versa il suo sangue ogni giorno, sui casi e sulla strada. Tu fai fotocopie, Kei. E cosa farai in futuro? Fotocopie. Forse, se avrai fortuna, ti assegneranno ad uno dei tanti archivi che abbiamo sparsi per Tokyo. Questo è ciò che farai mentre io guiderò una squadra in qualità di agente di classe speciale.»

«O sarai morta.»

Aiko scrollò le spalle con non curanza, come se quella eventualità non la smuovesse minimamente. «Può essere. La mia vita avrà comunque avuto un senso. Non sarò la delusione di nessuno. Non sarò mai la prima della classe che è scappata come una codarda perché è morto un mio amico. Sai quanti amici ho perso all’assalto dell’undicesima, insieme a Kenzo? E quanti all’Anteiku? Sai quanti agenti di supporto conosco, invito a cena dopo aver pianificato un assalto e poi mi ritrovo a scansarne i pezzi sparsi per una stanza? Tu non hai le palle nemmeno di lasciarmi, ma la faccia di bronzo per proclamarti agente non ti manca. Tu sei un segretario, Kei.»

«E tu sei una stronza.» Le gambe di Iruka ripresero a funzionare in quel frangente, smosso dalla voglia di andarsene e lasciarla ad annegare nel brodo di rancore nel quale era caduta. «E le palle per lasciarti ce le ho eccome. Non ti sopporto più, Aiko. Buona fortuna per la tua sfavillante carriera come classe speciale

La urtò, passando.

Lei non versò il cappuccino, che aveva provveduto ad allontanare dal busto. Non emise un solo suono, fino a che non si rese conto di essere sola e sicuramente in ritardo. Si sedette su una delle panchine, rigirandosi in mano la bevanda che andava raffreddandosi e realizzò che andava bene così.

Con un sorriso amaro pensò che Aogiri non poteva fare male al suo fidanzato, se non ne aveva uno. Ancora non sapeva cosa volevano da lei, ma ridurre al minimo i punti deboli era essenziale.

Se non poteva vivere lei, potevano farlo le persone che amava.

E andava bene così.

 

La fotocopiatrice che buttava fuori decine e decine di circolari da portare di porta in porta, di ufficio in ufficio, lo infastidiva. Le parole di Aiko gli rimbombavano ancora nelle orecchie e il solo pensare che quello era stato il primo incarico che gli avevano assegnato quella mattina, lo faceva ribollire interiormente.

«Problemi in paradiso?», gli domandò Kobayashi, il suo supervisore.

Kei sbuffò, prima di scuotere il capo. Gli venne offerto sostegno con un semplice sguardo e lui non resistette alla tentazione di sfogarsi un po’. «Sai che la mia ragazza è Masa Aiko, no?»

«La sola ragazza della squadra Hirako, certo. Take ci litiga spesso, sono divertenti. Avete litigato?»

«Ci siamo lasciati.»

«Mi dispiace, Iruka. Come mai?»

Kei si passò una mano dietro al collo, nervoso. Non era facile come discorso. Senza contare che, più ci pensava, più comprendeva che doveva essersi perso un passaggio importante del cambiamento della ragazza. Aiko era passata dall’essere allegra, positiva e vitale a una macchina da lavoro instancabile. Quando prima erano gli orari di lui a non conciliarsi mai con quelli della ragazza, lo attendeva sveglia per ore. Poi c’era stata una frattura.

L’aver vissuto l’inferno della ventesima ed esserne uscita quasi indenne aveva spento una luce dentro di lei.

Ammettendo tutto questo, allora Iruka avrebbe dovuto anche accettare il fatto che, quindi, era stato lui a pretendere troppo da Aiko. Poteva farlo, ma le parole della ragazza gli rimbombavano ancora nelle orecchie. Sapeva dove colpire, lo sapeva sempre. Sapeva che l’aver deluso suo padre l’aveva segnato, soprattutto perché suo padre era stato gravemente ferito in una delle ultime operazioni e aveva dovuti chiedere la pensione anticipata. Non ci sarebbe più stato un agente Iruka, dopo generazioni e generazioni di sostenitori dei Washuu, a tenere al sicuro Tokyo.

Lei lo sapeva eppure aveva premuto quel tasto, tormentato quella ferita che non si era ancora rimarginata a dovere. E lui voleva solo fargliela pagare. Per questo prese scioccamente la decisione sbagliata.

«Perché va a letto con Itou Kuramoto», disse con candore, stupendo il supervisore, il quale lo guardò da prima preso in contropiede e poi con gli occhi bramosi di avere dettagli ulteriori. «E ti dirò di più, non mi stupirebbe se si fosse infilata nel letto dello stesso Hirako. Masa è sempre stato così dopotutto. È sempre stata sveglia, se mi capisci.»

«Lascia, faccio io.» Kobayashi prese le circolari dalle mani del giovane, battendogli una pacca sulla spalla. «Prenditi una pausa, ok? Poi trascrivi il verbale della riunione della sottocommissione di inchiesta di ieri. Rimani in ufficio, per oggi.»

Kei annuì e sparì nel corridoio.

Kobayashi non attese altro.

Scaricò le incombenze a un altro sottoposto, uscendo dalla zona degli uffici.

«Ichiho!» chiamò, facendo voltare verso di lui un uomo allampanato, dai folti capelli neri. Con lui, c’era anche Aizawa. «Non saprai mai cosa mi ha detto uno dei miei uomini.»

Il capo supervisore degli interi lo guardò senza interesse. «Ancora questi gossip?»

«A me interessa, invece.» Aizawa stava già pregustandosi la notiziona. «Chi  è andato a letto con chi, stavolta?»

«A quanto pare con chi non è andata a letto. Conosci Masa Aiko?»

 

Capitolo trenta

«Prima regola: gli orari di tutti sono scanditi, giorno dopo giorno, da quelli del caposquadra Suzuya. Noi ci alziamo, facciamo colazione, ronda, pranzo, riunioni, giardinaggio e cena a seconda di come il caposquadra decide di organizzarsi. O Abara, dipende da che tipo di giorno si tratti. Seconda regola: Questo posto non è un ostello dal quale entrare e uscire a tua discrezione; se vuoi avere un permesso per uscire basta che conferisci verbalmente con me o con Abara. Non chiedere al caposquadra, direbbe sempre di sì e non sarebbe equo verso chi non riesce mai ad arrivare per primo a lui. Terza regola: il dresscode è importante, deciso sempre da Suzuya: cappotto neri, fascia con il tredici in numeri romani rossi sul braccio destro. Quarta regola: ti è permesso usare più di una quinque contemporaneamente e, nel tuo caso specifico, il kagune. Abbiamo già lavorato con Mutsuki Tooru e ci siamo trovati bene con i colleghi quinx. Ti verranno insegnate le formazioni, che riadatterò sul modello del tuo specifico kagune che se non sbaglio è di tipo rinkakou. Quinta regola-»

«Il cesso del piano terra è sempre intasato. Non usarlo.»

L’interruzione non piacque a Nakarai. Non gli piacque per niente. Rifilò un sonoro cazzotto in testa a Tamaki, che prese a sfregare velocemente il punto dolente, prima di riprendere la parola. «Quinta regola: se parlo io, tu taci.»

Masa annuì rapidamente. Gli occhi su Tamaki, piegati in una virgola divertita. «Tutto chiaro, signore.»

«La tua stanza è la terza sulla sinistra. Ora questo somaro da passeggio ti porterà la valigia di sopra», sempre adocchiando male il povero Mizuro, Kejin assottigliò gli occhi. Tornò ad appoggiare le iridi grandi, di un castano scuro vibrante, su quelle dorate di Aiko, proseguendo col discorso. «Io sarò il tuo partner. Non hai bisogno di un senpai che ti insegni il mestiere, quindi mi aspetto che tu abbia le abilità tattiche e investigative che il tuo precedente caposquadra ha segnato sul tuo fascicolo. Se così è, lavoreremo da pari. Per quanto sei stata il vice dei Quinx?»

«Sei mesi, signore.»

Aiko era entrata in un loop marziale. Si sentiva come il soldato Palla di Lardo di fronte al sergente Hartman, ma cavolo, Nakarai metteva soggezione. Un piccolo shouta dagli occhi vagamente psicopatici, autoritario e inflessibile. La sola persona davvero seria della squadra Suzuya.

«Allora sai il fatto tuo. Mi aspetto di vederlo già dalla ronda di domani. Mizuro, la valigia.»

Aiko attese il saluto del biondino e la sua relativa sparizione in cucina, prima di accostarsi all’ex compagno di corso, battendogli la mano sulla schiena. «Ho tre volte la tua forza, ora. Però lascerò che sia tua a portare la valigia.»

«Sempre la solita simpatica», le fece eco lui, tentando di tirare il grande e pesante trolley per le scale. Aiko, con  in mano la borsa del computer e la sua valigetta quinque, lo precedette. Qualcuno aveva già attaccato una targa sulla porta della stanza, con sopra il suo nome fatto a tempere colorate e sgargianti pois, in una cascata arcobaleno. «Il caposquadra non vedeva l’ora arrivassi», le fece sapere Mizuro, mentre lei entrava e iniziava a guardarsi attorno, scaricando il pesante bagaglio accanto alla porta. Sospirò per riempire di aria i polmoni. «Credo voglia usare le tue capacità da quinx per farsi lanciare. Sai no? come una catapulta.» Tamaki andò al letto, aprendosi a stella marina e lasciandosi cadere sul materasso ancora nudo. Quei dieci gradini sembrava l’avessero distrutto. «Come ti sembra?»

Aiko gli sorrise, appoggiando valigetta e borsa sulla scrivania laccata. «Carina», ammise quindi, passando gli occhi dalla piccola ma capiente cabina armadio, divisa dal resto della stanza da una tendina di iuta lasciata aperta, fino al materasso a una piazza su cui l’amico si era svaccato. Si sedette accanto a lui, guardando la scrivania piccola, incastrata accanto a una modesta libreria.

La classica stanza da caserma, piccola e funzionale.

«Quanti bagni abbiamo in comune?»

«Due. Però davvero, non usare quello al piano di sotto. Se hai voglia di fare come faceva Tooru, vai a usare quello all’esterno, accanto alla palestra e al vivaio.»

Aiko corrugò la fronte. «Mutsuki usava il bagno fuori?»

«Sì, penso lo facesse perché non voleva che vedessimo che anche lui è una…» Senza tatto alcuno, Tamaki si indicò il petto, come a tratteggiare un seno immaginario. Per risposta, ricevette uno schiaffo in pancia che lo fece sussultare. «Non discrimino mica! Anzi, ci vuole coraggio a volere essere uomini quando è così facile essere una ragazza.»

«Ora sei anche misogino, oltre che omofobo?»

«Nakarai ha predisposto le riparazioni del bagno, così che tu possa usarlo senza doverlo per forza dividere con quattro uomini virgulti. E il caposquadra… Non che Keijin sia particolarmente virile, dopotutto.»

«La porta è aperta.»

Lui alzò la testa lentamente, raccapricciato all’idea che il vice caposquadra avrebbe potuto sentirlo. Ma niente gli arrivò in testa, quindi tornò a rilassarsi. «Vivere insieme sarà fico», le disse di punto in bianco, puntando i furbetti occhi castani nei suoi. «Sarà come tornare in accademia, in un certo senso.»

«Ci eravamo detti che non saremmo dovuti mai stare in squadra insieme», gli ricordò Masa, prima di sospirare con una punta di amarezza. «Non è finita bene a Kenzo e Iruka.»

Tamaki puntellò i gomiti al materasso, sollevandosi di poco. «Eravamo giovani e stupidi. I nostri discorsi lo erano. Questa è una delle migliori squadre di tutta la ccg. Ce la caveremo alla grande e potremo fare un sacco di cose insieme, la sera, come i pensionati.»

«Come guardare gli anime?»

«E arrostire i marshmallow con gli accendini. Tanto tu fumi ancora, no?»

Masa sbuffò, trovando quell’affermazione ridicola. «Da quando le mie cellule si rigenerano più velocemente di quanto io possa anche solo immaginarlo, fumo il doppio.»

«Nakarai te lo farà pesare, sappilo.» Ci fu un momento di silenzio, che ovviamente non durò molto. Mizuro non taceva mai per troppo tempo consecutivamente, a meno che non ci fosse sotto qualcosa di grosso. «Parli più con Iruka?»

«Da quanto mi ha insultata di fronte all’intero bureau, dopo avermi lasciata? No, non è capitata la possibilità di prenderci un caffè.»

Mizuro annuì, serio. «Lo hanno spostato nella decima. È vice supervisore degli archivi di non so nemmeno che sezione del dipartimento.»

«Spero quella di notazioni delle morti.» Aiko assottigliò gli occhi, fissi in un punto sul muro. «Non si trova lì, per caso?»

«No, quella è nella quattordicesima.»

«Peccato. Sarebbe stato un privilegio per lui servire almeno una volta dei valorosi agenti che hanno dato la vita per ccg.»

Tamaki non aggiunse altro. Si mise seduto diritto, appoggiando il capo alla spalla di Aiko e chiudendo gli occhi, dopo un lungo sbadiglio. «La regola più importante, Nakarai non te l’ha detta.» Lasciò scorrere un significativo numero di secondi per aggiungere pathos, con tanto di occhio socchiuso e volto saccente. Si sentiva misterioso. Sembrava solo più coglione di quanto fosse in realtà. «Non mangiare dolci a meno che non siano stati comprati da te e successivamente nascosti. Suzuya potrebbe alterarsi se intacchi le sue scorte. Ah, grazie per avermi liberato di Keijin. Ora lavorerò solo con Mikage e magari riuscirò a non prendermi un calcio in culo al giorno.»

Con una mezza risata, Aiko appoggiò il capo a quello castano e spettinato dell’amico.

Poi chiuse a sua volta gli occhi.

Come benvenuto, non era stato niente male.

 

 

Dopo soli tre giorni di servizio attivo, scanditi per lo più da ronde per l’aspra tredicesima circoscrizione e giardinaggio per evitare che i primi freddi potessero portare alla morte dell’albero di limoni, a Masa fu concessa la serata libera fuori sede. Fu Nakarai stesso a comunicarglielo senza preavviso, stupendola per tutta quella gentilezza. A quanto pare non importava se non aveva ancora portato a termine la prima settimana, se non per emergenze gravi, avrebbe potuto avere ben due sere libere e un giorno di riposo alla settimana.

Non tornò nella prima circoscrizione, però.

Con Urie concordò un incontro a metà strada, così da permettere ad entrambi di tornare puntuali al lavoro la mattina successiva.

«Com’è vivere a Shibuya?», era stata la prima domanda che le aveva fatto il ragazzo appena sceso dall’auto, parcheggiata di fronte a un albergo scelto da Urie e le sue manie igieniche. Un motel per amanti sarebbe costato loro la metà, ma lui non ci sarebbe entrato nemmeno dentro a una tuta anticontaminazione.

«Burrascoso. Tu che mi dici, invece? Com’è vivere senza di me?»

«Sorprendentemente tranquillo. Fastidiosamente noioso.»

Non si erano detti molto altro. Avevano preso una stanza e lì i discorsi erano passati a tutt’altro piano. Nessuno dei due si azzardò a dire quando l’altro gli mancasse, ma lo espressero molto bene tramite i loro gesti, mentre facevano l’amore con una pacata calma, molto diversa dalle loro consuetudini. Come per non voler sprecare quel momento. Avevano di fronte una serata e una notte intera, dopotutto.

Fu solo quando, dopo un bagno caldo, Masa prese i depliant dei ristoranti associati all’albergo per scegliere la cena, che riaprì bocca. E lo fece per lamentarsi. Non era normale per loro passare più di venti minuti insieme senza litigare, dopotutto. «Non ti sarai portato dietro il lavoro, vero? Abbiamo una notte sola per noi!», gli chiese allibita, mentre lo guardava infilarsi un paio di boxer scuri. Urie non rispose subito, preferendo prendere uno degli asciugamani per frizionarsi i capelli violetti. «Cookie, sei odioso.»

«Volevo chiederti un parere su una operazione in corso, in realtà. Non sono molto sicuro di quello che succederà e tu hai un occhio critico migliore del mio, per quanto mi costi ammetterlo.»

Aiko mutò lo sguardo in uno di pura soddisfazione, tanto che lui si aspettò di sentirla iniziare a fare le fusa. «E come si chiama questa iniziativa per la quale hai bisogno del mio prezioso aiuto, primo livello Urie Kuki?»

«Operazione per la liberazione della sede della diciannovesima circoscrizione.»

Il sorriso si congelò sul volto della giovane, che però si voltò verso il fascicolo per nascondere il pallore che le aveva sbiancato le guance. Gli diede le spalle, mentre apriva con calma la cartellina. «La diciannovesima», soppesò, fingendosi pensierosa. In realtà voleva urlare. Perché la circoscrizione che Tatara aveva dato a lei? Perché proprio in quel momento e perché proprio ai Quinx? «Non ci sono stati tafferugli ultimamente, a quanto ne so. Perché mobilitarsi contro un gruppo di Aogiri di cui si sa poco o nulla?»

«Abbiamo avuto una soffiata anonima», continuò Urie, mentre cercava il phon nella borsa da palestra che si era portato. «Dammi un attimo e ti faccio sentire la registrazione della chiamata. Intanto leggiti il fascicolo. È così magro da farmi pena, ma le poche informazioni che abbiamo sono maledettamente precise.»

Aiko non lesse nulla.

Non ci riuscì, troppo concentrata a contenere il tremore agli arti, dato dalla rabbia e dall’impotenza. Non sapeva nemmeno se sarebbe riuscita a giostrarsi in quell’intreccio. Per iniziare, doveva prendere tempo perché non poteva perdere la credibilità, ma nemmeno la sua circoscrizione. Non dopo averne già perse così tante.

«Per ora ho solo una sera libera la settimana», si voltò a dirgli, mentre lui si asciugava i capelli. Spense l’apparecchio per poterla sentire, mentre lo ripeteva. «Una sera libera e un giorno di riposo. Nelle prossime settimane però dovrei averne uno in più.»

«Va bene, vedremo come organizzarci. Quando sai il giorno di riposo comunicamelo, così cercherò di prenderlo anche per me. Lavoro permettendo.»

Aiko gli sorrise, prima di tornare a concentrarsi sul come far fronte a quella situazione. La sola cosa che lesse, fu che erano implicate quattro squadra nell’operazione: la squadra coordinatrice sarebbe stata quella del classe speciale Aura, appoggiata nelle indagini dalla squadra Itou e da quella della circoscrizione caduta, ovvero la squadra Jaina. I Quinx avevano un ruolo prettamente tattico e di appoggio, invece. Dovevano dare man forte nelle operazioni.

Aver deciso già chi coinvolgere e come indicava che avevano elementi sufficienti per poter attaccare. Come potevano disporre delle informazioni necessarie?

A risponderle fu lo stesso Urie, quando, dopo aver asciugato anche la matassa mora che la ragazza aveva in capo, prese il computer e si sedette sul letto. Lei lo imitò, tenendo addosso l’asciugamano morbido e decidendosi di mettersi un po’ dietro di lui, con il viso appoggiato alla sua pelle per sentirne il profumo.

Così facendo non si sarebbe nemmeno tradita con qualche strana espressione.

«Ciò che ti sto dicendo e che sto per farti sentire è strettamente confidenziale, Aiko. Solo io, il prima classe Itou, l’associato Jaina e il classe speciale Aura e…. Higemaru siamo a conoscenza del continuato di questa chiamata. Oltre ovviamente al direttore Washuu,  che ha dato il suo via libera.»

«Io non so niente, non sento niente, non vedo niente. Ma adesso fammi sentire, sono curiosa.»

Urie annuì lentamente. «Questa è la registrazione di una chiamata anonima. La voce è sicuramente femminile, anche se la persona in questione è stata furba e ha modificato elettronicamente il timbro. Secondo Komoto, ha usato un oggetto per distorcerla. Non riusciamo a pulirla più di così, in ogni caso. Senti e dimmi che ne pensi.»

Aiko non rispose, passando le braccia attorno al busto solido e caldo del ragazzo. Rimase immobile e in silenzio, valutando ogni singola parola detta da quella voce sì distorta, ma sicuramente di donna. Una voce che non avrebbero potuto ricondurre a nessuno, purtroppo.

Per la fortuna della sua posseditrice.

-Non dirò il mio nome, né perché sto chiamando. Dirò però che oggi sono dalla vostra parte. La diciannovesima circoscrizione è un ottimo punto di inizio per un possibile piano di recupero delle zone perse dalla ccg. Dentro alla sede occupata ci sono poco più di quindici ghoul, una ventina quando sono davvero tutti riuniti. È un bersaglio semplice da attaccare, perché non è il luogo centrale da cui partono le operazioni di Aogiri. Il quartier generale è in un altro palazzo, sempre nella medesima circoscrizione, dove vivono i capi e qualche orfanello. Non è nel mio interesse che voi sappiate anche la locazione precisa di questo palazzo, ma è più in vista di quanto possiate immaginare. Se attaccherete, sappiate che i ghoul di raiting alto che incontrerete sono solamente quattro: Soldato, il cui vero nome è Yuuhei Kenta, diciassette anni, bikakou, livello S+; Cesoie, chiamata Mi-Him Choi, ventisei anni, bikakou, livello S+; Firestone, chiamato Gatsumi Nijishima, ventinove anni, ukakou e il Ripper, trentasei anni, nome sconosciuto, koukakou. Questi ultimi due non hanno il raiting aggiornato, ma stimiamo attorno al S- o addirittura A+.- ci fu una pausa, nella registrazione, poi la voce riprese. –Difficilmente il boss della circoscrizione apparirà per dare supporto ai suoi uomini che, eccetto i venti prima citati, saliranno al massimo a una cinquantina, sempre che arrivi supporto dal quartier generale. Se apparirà, di lei non c’è molto da sapere. Si fa chiamare Labbra Cucite e il suo nome è…- Masa schiuse le labbra, espirando piano non appena il discorso venne concluso. -…ancora sconosciuto. Sappiate però che ha un rinkakou molto forte, forse livello SS-. Ed è molto brava a trattare con gli agenti del ccg. Così brava che non escluderei che con lei potrebbe arrivare una vostra vecchia conoscenza. Takizawa Seidou, T-Owl. Livello SS+. Spero per voi di no. Buona fortuna.-

«Finisce così?», si informò Masa, staccandosi dal compagno per allungare una mano verso il computer. Non era un’esperta di analisi audio-video, però controllò lo stesso i picchi. Alla fine gli sfilò il portatile dalle mani e fece un paio di tentativi.

La voce non migliorò molto, mentre lasciava scorrere nuovamente l’intero discorso, da capo, ampliando alcuni picchi e abbassandone altri. Aveva usato un buon distorsore e se ci aveva già lavorato Komoto, lei non poteva migliorare proprio nulla.

«Sì, non c’è altro. Non ha dato il tempo all’agente che ha risposto di poterle rispondere», le disse il primo livello, tenendo controllato ogni singolo gesto della mora, così da imparare qualcosa. Il divario fra loro due in fatto di pratica criminologica era enorme, ma non incolmabile. «Cosa ne pensi?»

«Qualcuno di Aogiri che si è stufato di lavorare per loro, forse», fu la risposta della mora, mentre continuava a lavorare sulla traccia. Voleva sentire la voce di quella laida. La voleva riconoscere, perché per avere tutti quei dettagli, doveva per forza conoscerla. Conoscere Aogiri. Una donna che poteva denunciarla….

Non poteva essere Mi-Him, le mancava l’accento. Nemmeno Miza delle Lame, era troppo ignorante per articolare un così buon discorso. Eto era da escludersi a prescindere, perché per quando amasse i giochetti mentali, non avrebbe mai rischiato un tale autogoal alla sua stessa organizzazione. Quindi, chi rimaneva a parte lei? Qualche protetto che covava del risentimento? Magari Itori aveva avuto ordini? Oppure….

La gola le si seccò un attimo. «Kuki», chiamò con voce piccola. «La chiamata  è stata fatta da una cabina telefonica così da non poter essere tracciata, dico bene?»

«Dici bene.»

«Ed è arrivata al quartier generale dopo il mio trasferimento qui o prima?»

Urie corrugò le sopracciglia. «Ha importanza?»

«Voglio farmi una idea temporale. Non posso entrare nella mente di un potenziale sospettato se non conosco le tempistiche.»

Il primo livello le parve confuso, ma rispose in ogni caso. «La chiamata è arrivata ieri pomeriggio, ma non al quartier generale. È arrivata allo chateau. Per questo Hige sa tutto: ha risposto lui.»

Aiko ascoltò di nuovo ogni singola parola, prima voltarsi verso di lui, sorridendogli, tesa. «Queste informazione sono preziose. Incredibilmente preziose,  ma come facciamo a sapere che non è una trappola?»

«Non lo sappiamo, possiamo solo ipotizzare che esse siamo vere e agire però con la consapevolezza che potremmo trovarci di fronte, invece che cinquanta ghoul di basso raiting, almeno al triplo di questo numero.»

Mentre Urie parlava, Masa riuscì a connettere il portatile al wifi dell’albergo. Poi, facendo attenzione a non fare mosse stupide, cercò sul motore di ricerca l’indirizzo della sede della ccg della diciannovesima. Indirizzo che sapeva già, ma che doveva fingere di non avere mai visto in vita sua. Aprì maps e inserì l’indirizzo, selezionando la visuale satellitare, la zona.

«Abbiamo pensato di avanzare attraverso la pineta che costeggia il lato nord ovest della foresta», le spiegò Kuki, appoggiando il dito sullo schermo del portatile e spiattellando, senza sapere, l’intero piano a Labbra Cucite. «Li aggireremo così, sperando di non farci vedere fino a che non saremo alle loro porte. Se anche dovessero vederci, andrebbe bene lo stesso, il classe speciale Aura ne ha tenuto conto.»

«Perché fra gli alberi avreste un vantaggio», annuì Masa, facendogli capire che aveva intuito il piano di Riyoko. «Fra gli alberi i ghoul avranno meno spazio dove aprire i loro kagune.»

«Sì, esatto. Dopo di che avanzeremo di piano in piano come sempre, per liberare ogni singolo livello, come da protocollo. Riconquistata la sede cercheremo di fare prigionieri.»

«Baratterete una vita intera chiusi nella Cochlea in cambio della posizione precisa del quartier generale, vero?»

«Esattamente. Una volta smantellato anche quello, avremo di nuovo la diciannovesima. Un ottimo ponte fra la diciottesima di Miza delle Lame e la ventunesima, conquistata da noi dopo il crollo della famiglia Tsukiyama.»

Aiko chiuse piano il portatile, allungando il busto per appoggiarlo sul comodino, prima di tornare a sedersi, rivolta verso l’altro. «Quando avrà luogo l’operazione?»

«Venerdì prossimo. Ci siamo presi una settimana di preavviso perché, in caso in cui le cose dovessero mettersi male, arriverà anche un supporto della S3 e della S0. Arima ha detto che non poteva intervenire prima di una settimana, quindi ci siamo adattati.»

«Speriamo che fino ad allora, questo reo confesso di Aogiri non venga scoperto.» Masa alzò la mano, spostando i capelli di Urie indietro, per guardarlo negli occhi. E continuare a mentirgli in faccia. «Ammetto che sono un po’ preoccupata. Questa operazione ha fondamenta friabili come crackers.»

«Poetico.»

«Smettila, sono preoccupata davvero. Se non ci sono io a salvarti il culo, chi lo farà.»

Kuki sbuffò, «Mi hai salvato una volta sola e-»

«Due.»

«…Mi hai salvato un paio di volte e pensi che non sappia badare a me stesso? Io sono preoccupato ogni giorno, sapendo che sei nella tredicesima.»

Investigatrice chiuse gli occhi, sospirando con un sorriso malinconico a storcerle le labbra. Aveva già un’idea precisa di chi le avesse lanciato quel tiro mancino, ma parlarne con Urie era fuori discussione. Il solo fatto di essere al corrente di ogni singola mossa della ccg però la destabilizzava.

Per un attimo, dubitò di Urie. Che fosse un test? Qualcuno aveva fatto la spia su di lei e ora volevano verificare che fosse davvero Labbra Cucite? Oppure quello era solo un gioco malato orchestrato da un burattinaio folle e Urie si fidava di lei così tanto da tradire la parola data e parlarle del piano?

Quale  fosse la verità, lei non poteva saperlo.

Poteva solo assecondare gli eventi.

«Secondo me, dovreste controllare l’avanzata, ma lasciare l’avanguardia a chi conosce la zona.» Aprì di nuovo gli occhi, guardando il compagno che, ancora in attesa di un responso, prese nota mentale. «Se vi anticipano e vi attaccano? Non abbiamo ancora preso la spia, quindi siate cauti e aspettatevi una mossa in contropiede, sempre e comunque.»

«Sappiamo di questo piano in sei. A meno che la spia non sia Itou o Jaina, non credo che il direttore Washuu si diverta a diffondere informazioni diffamanti sulle operazioni in corso.»

Aiko scosse piano il capo. «Cosa hai appena fatto, tu?», gli domandò. «Anche gli altri potrebbero avere qualcuno con cui confidarsi per un consiglio.»

Kuki parve non capire. Corrugò la fronte, appoggiandole la mano sul ginocchio. «Che significa? Tu sei tu. È naturale che io non abbia riserve sul dirti ciò che faccio, anche se non dovrei.»

Una piccola parte di Masa, quella ancora intoccata dalle mani corrotte di Eto, tremò di fronte a quella spiazzante sincerità. No, non era un test. Urie non era così bravo a mentire. Quella stessa parte di lei si contorse, tanto da farle salire le lacrime agli occhi, che trattenne a stento. Era la parte che, per un istante, la spinse quasi a mostrare a Urie i polsi per essere arrestata come traditrice.

Non sapeva come, ma riuscì a resistere.

«Questo è un colpo basso. Sai che non so resistere alle romanticherie.»

«Non è una romanticheria, stupida. È un dato di fatto. Se non posso fidarmi di te, di chi allora?»

Masa appoggiò le labbra sulle sue, respirando in quel contatto che alla fine era solo uno sfiorarsi leggero. Come se volesse in qualche modo fargli capire che era lì per lui, mentre dentro di sé voleva solo farlo tacere, perché quelle parole la stavano uccidendo. Non poteva tacere di fronte a una tale dichiarazione, però.

«Se c’è una persona che io non tradirò mai, sei tu.»

Cercò di essere il più specifica possibile, per non venire meno alla parola data. Non giurò fedeltà al ccg. Non lo fece con i Quinx.

La giurò a lui e forse, giocando bene le sue carte, ci sarebbe anche riuscita.

Nel caso in cui non avesse potuto, avrebbe comunque perso tutto.

 

 

«Come hai ottenuto tutte queste informazioni?»

Gli occhi di Masa saettarono in quelli di Tatara, mentre portava la tazza alle labbra. Fra loro due, con una parrucca biondo platino a comprimerle le ciocche indomabili e il naso affondato in un libro di Mishima, c’era Eto. Non sembrava molto interessata alla conversazione, ma nemmeno scocciata dall’idea di essersi dovuta spostare fino alla tredicesima circoscrizione, al contrario di Tatara che sembrava furente. L’idea di doversi piegare alle nuove incombenze della sua allieva lo faceva imbestialire.

Aiko non se ne curò solo perché sapeva di avere i minuti contati. Nakarai sarebbe arrivato nel giro di pochi minuti e lei si sarebbe dovuta alzare dal tavolo, buttando fuori una scusa veloce, nell’esatto momento in cui il suo partner si fosse palesato nel piccolo caffè.

«Il tuo lavoro è servire il re, Laoshi», gli rispose, discretamente. «Il mio è servire te spiando la ccg. Ho molti amici nella sede centrale.»

«Il come non è importante. Non ci è mai interessato come Ai-Ai si procura le informazioni.», buttò fuori Eto, con disinteresse, voltando pagina. «Mi chiedo solo come pensa di agire ora Labbra Cucite...»

Aiko strinse i pugni sulle cosce, abbassando lo sguardo. «Vorrei occuparmene di persona.»

Finalmente, Eto la guardò. E sorrise, «Certo che te ne occuperai tu. Quella è la tua circoscrizione. Ti è stata data come premio per la tua fedeltà all’Albero di Aogiri ed è tuo dovere preservarla. Spero per te che tu abbia un buon piano.»

«Ce l’ho. Ho solo bisogno di molto nitroglicerina, un laboratorio e delle tue bende.»

«Le mie bende?»

«Usate.»

Eto sbatté gli occhioni più di una volta, prima di sospirare piano. «Va bene, avrai quello che ti serve. Scrivimi una lista precisa e farò in modo di farti avere i materiali. Il buon Nishijima ti aiuterà?»

«Certo, anche lui è in ballo ora. Se cade la diciannovesima, cade casa sua.» Aiko prese un respiro, prima di parlare nuovamente. «Farò saltare in aria la sede del ccg, evitando lo scontro aperto per evitare che qualcuno dei nostri venga fatto prigioniero. Il mio obiettivo è quello di proteggere il quartier generale.»

«No. Il tuo obiettivo è quello di proteggere i tuoi amici, Ai-Ai.» Eto si appoggiò col mento al polso, osservandola da vicino. «Fammi indovinare, ci saranno anche i Quinx? Magari la squadra di Itou Kuramoto?» Masa inclinò maggiormanente il capo, colpevole. Eto trillò una risatina. «Sei ancora troppo prevedibile, Ai-Ai. Ma ti concedo di salvarli tutti, se ci riesci.»

«Eto.»

Il Gufo ignorò il richiamo dell’albino, proseguendo. «Se riuscirai ad evitare che muoia anche un solo agente, prenderai il posto di Tatara nell’organizzazione.»

Cadde il gelo sul tavolino. Aiko tenne gli occhi sgranati sulla figura imparruccata di Eto, stravolta. Prendere il posto di Tatara significava diventare la seconda persona più potente in comando. La terza, se contato il Re con il Sekigan. Avrebbe conosciuto il suddetto sovrano, comunicato con lui e sarebbe diventata la sua consigliera. E l’uomo che chiamava maestro sarebbe diventato un suo subalterno.

Quella mole di potere le fece girare la testa, così tanto che non pensò che se avesse fallito, avrebbe subito le ripercussioni delle sue parole. «Farò del mio meglio.»

«Come sei boriosa e saccente. Non ti ho insegnato niente in questi anni.» Tatara la guardò, gli occhi coperti dalle lenti colorate che bruciavano come il suo kagune. «Fai come vuoi, méi-méi, ma se fallirai darò il tuo posto ad Hakatori. Così imparerai a sfidarmi. E porta con te Takizawa.»

«Non sto sfidando te, Eto ha detto-»

«E Shikorae.»

Aiko deglutì, realizzando che non sarebbe mai riuscita a contenere quei due insieme. Far ragionare Seidou era un conto, ma quando si trovava in compagnia di Rio perdeva il senso della misura. Sembravano fatti a posta creare un cimitero da un parco giochi.

«Come ordini, Laoshi.»

«Prima di andare, toglimi una curiosità.» Eto richiamò l’attenzione su di sé, chiudendo il libro a tenendolo al petto. «Credi che sia stato il tuo nuovo amico Yamoto a farti questo scherzetto?»

«Ne sono quasi del tutto certa. Mi aveva detto che avrei pagato per il dolore che abbiamo inferto alla signorina Wataba. Ha detto anche che chi fa del male agli innocenti deve aspettarsi le ritorsioni del karma.»

Eto rise, scuotendo il capo. «Lo sto aspettando da tanti anni, Ai-Ai. Non farti intimidire da lui. Non come ho fatto io.» Aiko tenne il capo basso, mentre sentiva l’amaro nelle parole che il Gufo snocciolò, prima di allungarle il libro sotto al naso. «Leggilo», le disse, mentre lei e Tatara si alzavano, pronti a togliere il disturbo prima dell’arrivo del prima classe Nakarai. «Potresti trovarlo interessante.»

Masa lesse ad alta voce il titolo. «Una virtù vacillante, di Yukio Mishima. L’ho studiato a scuola. È lo scrittore che si è tolto la vita dopo aver occupato il ministero giapponese, vero?»

«Un uomo il cui onore l’ha portato alla morte. Tu non leggi abbastanza, Ai-Ai. I libri possono aprirti la mente molto di più di qualsiasi insegnamento o disciplina», le riferì Eto, sistemandosi la borsa a tracolla, mentre l’albino la precedeva, andandosene senza salutare. «Questo in particolare è il mio preferito. È la storia di una donna che, stanca di vivere una vita impostale dalla madre con un matrimonio combinato, decide di avere una relazione adultera con un uomo molto più giovane di lei. Si abbandona quindi a una passione cieca e sfrenata, ricercando nell’erotismo quella libertà che non ha mai avuto. Alla fine, però, il giovane si rivela molto più simile al marito di quanto avesse pensato, così lascia il focoso amante per tornare a casa, alla sua monotonia, che riduce la sua anima in una sterile entità, che lei stessa riconduce a quella delle statue di pietra che possiede nel giardino di casa.»

«Mi hai spoilerato la fine», disse Aiko, infilando il libro nella borsa con un sorriso mesto. «Posso sapere anche la morale?»

«Con questo libro, Mishima denuncia il conflitto fra amore e ragione.» Ci fu una breve pausa, nella quale Aiko sentì il cuore iniziare a batterle così in fretta nel petto da farle dolere le costole. «La doppia vita, le scelte sbagliate…. Tutto questo per un uomo che credeva di amare. Credo che ti aiuterà molto a riflettere sulla tua situazione attuale, perché io non voglio perderti, ma non posso nemmeno continuare a trattenerti per i capelli.»

«Non vuoi… Perdermi?»

«Ci ho messo tanto a piegarti, Aiko. Mi servi ancora. Non posso permettermi il lusso di concedere al Re di avere più accesso alla ccg di me.» Prendendo un respiro profondo, Eto, avvistò con la coda dell’occhio il partner dell’altra entrare insieme a un uomo alto dai capelli neri. «Non abbiamo più tempo. Leggi e poi dimmi le tue impressioni.»

«Da quanto tempo lo hai capito?»

Eto sorrise, chiudendo gli occhi in una virgola quasi intenerita. «Da prima di te. Ti conosco meglio delle mie tasche, ormai. Questo trasferimento? Andiamo, sappiamo entrambe la verità. Però non preoccuparti, non lo dirò a Tatara. Divertiti a far bombe, Ai-Ai.»

Eto le diede le spalle, salutando con un sorriso i due membri della squadra Suzuya, mentre Masa cercava di darsi un contegno. Non doveva mostrarsi spaventata a morte di fronte a Mikage e Nakarai, anche se lo era.

«Quella chi era?», domandò proprio il suo partner, prendendo posto dove prima sedeva Tatara.

«Una cliente abituale», rispose vaga Aiko, «Mi ha visto da sola ed è venuta a fare conversazione.»

«Una della molte persone riconoscenti di questa circoscrizione. Da quando ci siamo noi le cose vanno molto meglio», sottolineò il biondino, facendo un cenno alla cameriera. Notò il turbamento sul viso di Masa, così la spiò attraverso i grandi occhi neri. «Cosa succede? Tamaki mi aveva detto che sei sempre così frizzante e chiassosa, come lui. Mi aspettavo una persona diversa da quella che ho di fronte.»

«Di che segno zodiacale sei, Aiko?», proruppe Mikage, permettendo così alla mora di non rispondere a Keijin.

«Scorpione.»

«Oh, si spiega tutto. Gli scorpioni sono di umore ballerino. Scommetto che è solo nervosa per il test di stasera. Di solito gli scorpioni prendono molto a cuore le situazioni, per risaltare e far bella figura. Uno nato sotto il segno dello Scorpione è sempre al centro dell’attenzione, con un fascino che attira le persone come la Luna attira le maree. Riesce con arguzia e intelligenza a mantenere vivo l’interesse nei suoi confronti, anche se ogni tanto sa ferire con la sua lingua tagliente e-»

«Mika piantala, o ti taglio la lingua con il coltello del burro. Ci vorrà parecchio per farlo e non ti divertirai.»

«Tu invece sei del segno della Vergine, ma devi avere un ascendente molto forte per essere così antipatico.»

Keijin gli rivolse uno sguardo annoiato, prima di aprire il menù della caffetteria.

«Non azzardarti a perdere l’entusiasmo per questo mestiere, o ti ucciderai da sola, primo livello», disse semplicemente Nakarai, non alzando gli occhi dai vari infusi che il locale aveva da offrire. «Questo è un ordine.»

Aiko sorrise, un po’ sghemba, sentendole pesare quel libro sulla spalla come un macigno.

«Agli ordini, prima classe.»

 

Un rivolo di sudore le scese sulla tempia mentre, con mani abili, rigirava il contenitore di plastica molto, molto lentamente.

Lo lasciò andare, sciogliendo le spalle, mentre i grandi occhi amaranto di Suzuya la guardavano con serietà. «Non avere fretta Aiko-chan.»

«Se fai così rischi che esploda», suggerì Tamaki, alternando sguardi dall’amica d’accademia al caposquadra, mentre accanto a lui Nakarai lo guardava scettico.

«Taci», lo arguì, prima di zittirsi a sua volta.

Aiko aveva sollevato il contenitore con un gesto così repentino da far scattare tutti sull’attenti e trasalire Abara. Lì, di fronte a tutti loro, in un piattino di ceramica giallo becco d’oca, un budino si ergeva verso l’alto, tronfio.

«Peccato, un pezzetto del bordino è rimasto dentro», disse Masa, amareggiata.

Keijin sbuffò, interiormente contento di tornare a leggere quel libro che cercava di concludere inutilmente da mesi, ma che puntualmente doveva accantonare a causa di interruzioni stupide. Come quella. «Hai fatto comunque meglio del cinquantesimo tentativo di Tamaki.»

«Un giorno capirò perché mi odi così tanto, prima classe.»

Nakarai non si prese nemmeno il disturbo di guardarlo, mentre si acquattava sulla poltrona. «Perché sei stupido.»

Aiko li guardò divertita, voltandosi verso Juuzou e allungandogli piattino e cucchiaio. «Sono passata?», chiese, prendendo posto sullo sgabello accanto al suo.

Il coetaneo sgambettò felice, ficcandosi in bocca una grossa porzione di gelatinosa sostanza rosata, prima di dare il suo verdetto. «Dobbiamo lavorare molto sulla tecnica», ammise, con un certo senso critico che non sembrava possedere. «Però le potenzialità ci sono. Tooru ci è riuscito al primo colpo.»

Masa si appoggiò col mento alle mani unite, guardandolo mangiare. «Tooru riesce a fare molte cose al primo colpo», sussurrò fra sé e sé, prima di voltarsi verso Hanbee. «Domani che programmi abbiamo?»

Pronto, l’alto ragazzone dai capelli neri prese in mano un blocco note.  «Tamaki e Mikage devono pattugliare l’angolo fra Homayashi e il supermercato. Tu e Nakarai invece avete orario d’ufficio. Ci sono un po’ di scartoffie.»

La mora annuì, lentamente. «Allora credo che andrò in camera mia. Posso concedermi un’oretta al telefono prima di dormire.»

Juuzou la guardò con la coda dell’occhio, aprendo la bocca, ma zittendosi immediatamente. Per un istante, Aiko pensò che l’avesse scoperta. Che si era accorto che sarebbe sgattaiolata via dalla finestra. Però non fece niente del genere. «Penso che anche io andrò a dormire», disse tutto felice per aver concluso il dolce.

«Prima si ricordi di lavarsi i denti, classe speciale», gli fece eco dalla cucina Hanbee, che era andato via col piatto vuoto, per poterlo mettere nella lavastoviglie.

Quando Suzuya si alzò, tutti gli diedero la buonanotte, guardandolo sgambettare apparentemente spensierato su per le scale. Aiko si chiese quando dovesse sentirsi solo quel giovane, seppur circondato da persone che lo adoravano a tal punto. Anche lei sentiva già di volergli un gran bene, seppure lo avesse visto solo a cena e durante la cura dell’orto, che doveva ammettere era un’idea geniale. Trovava incredibilmente rilassante tenere pulite le verze mentre Nakarai si occupava della voliera con dentro i suoi pappagalli.

Erano una famiglia, molto più dei Quinx sotto diversi aspetti.

Eppure, come Masa ben sapeva, nessuno poteva prendere il posto di qualcuno che davvero si ama. Questo pensiero le fece tirare un sospiro lungo, che si spezzò a metà quando Abara le mise sotto al naso una tisana che odorava di melissa e fiori di arancio.

«Per aiutarti a dormire», le disse, gioviale, sedendosi accanto a lei e prendendo un sorso dalla sua tazza. «I trasferimenti sono sempre stressanti.»

«Grazie, Hanbee, sei la nostra mamma.»

Lui rise piano a quelle parole, fissando con le iridi bianche un punto al centro del tavolo. «Faccio il possibile per rendermi utile.»

«Non essere umile», lo rimbeccò divertito Tamaki, raggiungendo il tavolo e superarlo. «Io vado a togliere Mikage dal telescopio, piuttosto. Pioggia di meteoriti o meno, domani lavora con me e ho bisogno che sia reattivo. Poi penso proprio che spenderò metà del mio stipendio in qualcosa di utile.»

«Un cervello?», chiese in lontananza Nakarai, girando pagina.

«No, un giacchetto di jeans. Torneranno di moda, ve lo dico io.» Mizurou le fece l’occhiolino, prima di voltarsi verso il biondo. «Se vuoi posso comprare qualcosa di utile anche per te. Non lo so, un amico, magari?»

E poi si guardò bene di infilarsi su per le scale prima ancora di sentire lo sguardo profondo e assassino del vice caposquadra sulla schiena.

Hanbee si ricordò improvvisamente di qualcosa che lo fece scattare. «Devo sostituire le ciabatte prima che si addormenti.»

Aiko non capì. Lo fissò in tralice finire la tisana, ma non riuscì a chiedergli nulla, perché questi rischiò di strozzarsi, pur di fare in fretta, sparendo a sua volta alla volta del piano di sopra.

«Tutte le sere mette un paio nuovo di ciabatte rosse di fianco al letto del caposquadra, mentre questi si prepara per la notte», la mise al corrente Nakarai, continuando imperterrito a cercare di leggere. «Abara pensa che Suzuya creda che sia sempre lo stesso paio, ma tutti sappiamo che si fa in quattro per girare tutti i negozi di calzature della capitale per trovare sempre la stessa marca e lo stesso rosso scuro. Anche Suzuya lo sa.»

«…. Abara è davvero la mamma, prima classe.»

Aiko si prese il suo tempo per godersi quella tisana casalinga, prima di andare a lavare entrambe le tazze, per non lasciare dell’altro lavoro al collega-babysitter. Tornò verso il grande salone, appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla, incrociando le braccia sotto al seno. «Una lettura interessante?»

«No, questo libro è terribile», le rispose Nakarai, appoggiando l’oggetto sulle gambe e tenendo fra le pagine l’indice, così da non perdere il segno. «Però detesto non portare a termine le cose che inizio.»

«Allora ti lascio alla lettura, boss.» Masa gli sorrise, staccandosi dal muro. «Buonanotte.»

«Dormi bene, primo livello. Quanto meno provaci, le tue occhiaie sono così grandi ormai che mi parlano.»

La mora scosse il capo, divertita, salendo i primi gradini con una mano sulla ringhiera. «Non si dicono queste cose a una signorina.»

«Immagino sia dura dormire da soli, quando si è abituati a dividere il letto.»

Quell’affermazione di Nakarai non venne interpretata dalla ragazza. Non sembrava esserci tono d’accusa dietro o una voglia di indagare la sua vita sentimentale. Però l’aveva detta, proprio mentre riapriva il libro, lanciandola così, senza un motivo apparente.

Nakarai era davvero difficile da decifrare anche per Masa, che credeva di avere imparato quell’arte da Eto molto bene. Eppure di fronte le pareva di trovarsi un muro di mattoni grezzi e stucco. Dietro era impossibile capire cosa ci fosse.

Però sapeva come rispondere. «In realtà è molto più triste accettare che è meglio un letto vuoto.»

Si lanciarono un ultimo sguardo e lei capì di avere esagerato. «Prima classe-»

«Buonanotte, Masa. Ricordati che ci vogliono dieci minuti per arrivare alla sede, da qui. Quindi devi scendere alle sette meno dieci se vuoi fare colazione.»

Aiko non aggiunse altro, pensando che infondo con Keijin era così. Rispondere o sottomettersi. Lei era già sottomessa a troppe persone e preferiva avere un rapporto cristallino con Nakarai, che infondo le piaceva come partner. Ed era molto diverso da Urie, quindi non poteva permettersi le confidenze che si era permessa con lui nei primi tempi. Keijin era schietto e chiaro. Le diceva cosa fare e lei eseguiva. Nonostante in quella squadra la sua attività investigativa si fosse quasi azzerata, Aiko era lo stesso contenta. Stava imparando il vero significato di unità di squadra.

Nessuna era come la squadra Suzuya.

Per questo non riusciva ad essere frizzante come lo era stata al suo ingresso nei quinx.

Le dispiaceva sinceramente ingannarli.

Erano una squadra molto più unita di quanto lo fossero mai stati i Quinx.

 

 

«Non sei riuscito a trovare di meglio?»

«Purtroppo non ho agganci nella tredicesima. Da quanto è stata ripulita dal ragazzino con la falce è diventato molto difficile portare avanti gli affari qui. Quindi, Labbra Cucite, prendere o lasciare?»

Una mazzetta di banconote finì sul palmo di Tsubasa, ma non bastò a mandarlo via. Ci volle una buona dose di pazienza per liberarsi dello scarafaggio, che aveva osservato molto attentamente un paio di sgherri delle Facce di Cuoio, il gruppo della diciannovesima che Aiko gestiva, portare con attenzione delle grosse casse nel magazzino che lui stesso aveva procurato ad Aogiri.

Alla fine sotto un invito poco gentile di Enoki, detto il Ripper, Aiko era riuscita a liberarsi di quella piaga sociale. «Mettiamoci subito al lavoro. Nishijima, osserva bene, io farò solo le prime due, poi tu dovrai replicare in modo identico le altre. Ti preparerò i detonatori prima di andare via, in ogni caso. Quelli sono la mia firma.»

Lavorare direttamente nella tredicesima e poi trasferire cinque bombe contenenti ciascuna almeno venti kg di nitroglicerina era molto rischioso, soprattutto per il trasporto e le condizioni pessime in cui lavoravano. Tenere stabile la temperatura dei candelotti sarebbe stato difficile e anche impedire che avvenissero incidenti per strada. Però Aiko non poteva allontanarsi troppo. Si trovava letteralmente a cinque minuti a piedi dalla casa in cui si era trasferita.

La squadra Suzuya non era come i Quinx. Loro facevano domande, anche senza fondamento di accusa, ma Aiko si sentiva controllata. Sentiva gli occhi amaranto di Juuzou sulla schiena costantemente e ogni secondo poteva vederlo calarsi da una delle finestrelle del seminterrato. Allora nessuno dei suoi uomini sarebbe uscito di lì vivo, né lei libera.

Per questo non aveva chiesto a Kenta di raggiungerla, lasciandolo al loro quartier generale a comandare al posto suo. Aveva chiesto solo a Enoki di fare da palo e tenere controllata la zona e a Nishijima, che in quanto chimico, avrebbe saputo gestire molto meglio gli esplosivi di chiunque altro. Sarebbe stato meglio un fisico, ma non ne aveva uno disponibile in famiglia.

«Un po’ mi ricordi mia sorella», le aveva detto quasi sognante l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso da porcello, mentre il sudore che gli imperlava la fronte e rendeva i suoi capelli appiccicosi colava per il nervosismo. «Una mossa falsa e saltiamo in aria. Però tu non sembri turbata.»

«La mia prima bomba l’ho fatta quando avevo dodici anni», gli rivelò Aiko, continuando a tranciare pezzi di metallo con le cesoie e ripiegandoli su loro stessi in modo molto specifico, creando delle piccole spirali. Si zittiva solo nel momento in cui doveva collegare fra loro i candelotti di dinamite ai percussori a tamburo degli inneschi a distanza. «Una molotov. Mi insegnò mio fratello Shin a farle. A lui piaceva dar fuoco ai cassonetti e io volevo solamente passare del tempo con lui. Poi ho realizzato che far saltare in aria è meglio che incendiarle.»

«Allora perché sei entrata nella ccg? Non erano meglio gli artificieri?»

«Perché se fossi entrata negli artificieri non avrei potuto far saltare in aria la sede dove lavoro, come invece è successo mesi fa. Dovevi vedere la faccia di uno dei miei superiori, Ui.»

Nishijima ridacchiò. «Pensa se sapesse che ci sei dietro tu.»

«Spero non lo venga mai a sapere.»

«Hai paura di lui?»

«No, gli voglio bene.» Il walkie talkie che le pendeva dalla vita si accese in quell’istante, cancellando tutta la voglia che aveva di scherzare. La voce di Enoki la chiamò, seria come sempre. «Arriva qualcuno?», domandò subito, per nulla pronta alla fuga. Aveva appena finito la prima bomba e stava lavorando alla seconda e alla terza insieme al chimico. Stavano imbevendo la segatura di nitroglicerina, quindi erano nel momento peggiore di tutti.

-Sì e non posso fermarlo.-

La porta si aprì sul terminare della frase. Con la giacca bianca e la maschera rossa, Tatara entrò nella stanza. Guardò Nishijima, che si chinò ripetutamente, prima di lasciare la stanza, lasciando la mora al bancone da lavoro improvvisato. «Non ti aspettavo», ammise Aiko, sistemandosi i guanti spessi di gomma nera, prima di prendere altra segatura e la pipetta con il liquido esplosivo. «Non è sicuro rimanere qui, Laoshi. Se Suzuya dovesse-»

«Deciderò io cosa è saggio e cosa no. Tu non ne hai la facoltà visto cosa stai preparando, méi méi

La mora sospirò, contrita. Lo spiò discretamente da dietro le lenti spesse degli occhiali protettivi, prima di parlare nuovamente, con la voce che usciva ovattata dalla mascherina da lavoro che teneva sulla bocca per non aspirare fumi chimici. «Ti ho deluso, vero?»

Tatara non le rispose subito. Era chino sul tavolo, sul primo impianto esplosivo concluso. Lo guardava con occhi curiosi, che mutarono però quando si spostarono su di lei, tornando apatici. «In realtà no», la stupì, avvicinandosi per mostrarle cosa aveva portato.

«Queste le manda Eto, immagino», disse Aiko, guardando tutte le bende che annodate sembravano essere state buttate dentro a quella borsa alla rinfusa. «Ho ancora quattro giorni per portare a termine ogni preparativo, inizio a sentire la pressione. Spero che l’idea che ho avuto e che implica l’utilizzo delle bende funzioni, o sono spacciata.»

«Spiegami di nuovo cosa hai intenzione di fare», la esortò l’albino, accomodandosi su uno sgabello un po’ distante.

Masa appoggiò il candelotto concluso, prendendo l’innesco e attendendo per inserirlo nella bocca dell’involucro. «Il piano della ccg è prendere la sede della diciannovesima passando per la pineta che sta sul lato nord ovest del palazzo. Pensano di incastrare possibili vedette fra gli alberi, ma in realtà noi arriveremo dal fianco destro, lasciato scoperto dalla retroguardia. Conosco abbastanza la squadra Aura per sapere che dopo dieci minuti di silenzio tranquillo, avanzeranno per dare supporto ai Quinx, creando una certa distanza fra loro e la squadra Itou. Il mio piano è attaccare fra i tre gruppi di colombe e tenerli impegnati abbastanza mentre Nishijima fa detonare il palazzo. Se non hanno una sede da prendere, non possono proseguire l’operazione, quindi dovranno ripiegare. Io ordinerò la ritirata strategica mentre gli agenti si staranno ancora chiedendo cosa è stato quel botto.»

Tatara la ascoltò in silenzio. Poi sollevò la mozione più logica. «Se la squadra che deve distaccarsi non lo farà, come agirai?»

«Attaccheremo la retroguardia guidata da Jaina. A quel punto dovranno tornare indietro per dare supporto. Conto molto sulle doti di Kenta di dirigere i nostri uomini in modo coerente, mentre io, Enoki e Mi-Him ci occupiamo dei pezzi grossi e li teniamo occupati.»

«Takizawa e Shikorae che ruolo hanno?»

«Rimanere in attesa di istruzioni. La ccg chiamerà Arima in caso di attacco, così anche io ho deciso di tenermi un asso nella manica. Il mio asso saranno quei due. Non devono fare nulla se non richiesto.»

L’albino non emise nemmeno un sospiro. «Non deve morire nessuno se vuoi il mio posto.»

«Non lo voglio.»

«Sembravi bramarlo molto, l’altra sera.»

Aiko si sfilò uno dei guanti, alzando gli occhiali fra le ciocche nere, per poterlo guardare senza filtri. «Eto è sempre troppo allettante, quando fa proposte.»

Il ghoul bianco non sentì il bisogno di controbattere a questa affermazione. «Sai cosa è il dharma?», le chiese invece, a tradimento.

Lei si preparò psicologicamente. Sapeva che ora le sarebbe arrivata una pillola di saggezza non richiesta, ma imposta. In qualche modo malato e contorto, temeva Tatara tanto quanto teneva a lui. Però quello non era il momento. Stava lavorando in fretta per tornare nel suo letto prima che qualcuno potesse rendersi conto della sua assenza.

Doveva assecondarlo, così da concludere prima. «Sì, Laoshi, mi hai parlato spesso del dharma d’onore e del dharma famigliare che ti lega alla tua famiglia e che ti porta a volere vendetta per loro.»

L’albino annuì impercettibilmente. «Nella Bhagavadgītā, uno  scritto antico collocato nel VI parvan del grande poema epico Mahābhārata, viene raccontata la storia di Arjuna, un valoroso principe che viene messo di fronte alla più grande delle sfide per un uomo: porsi contro la sua stessa famiglia.» Tatara fece una piccola pausa e Aiko iniziò a capire cosa voleva dirle. «I suoi cugini, usurpatori del trono che gli spetta di diritto, devono essere uccisi così come i suoi mentori e coloro che si sono apertamente schierati contro di lui, e tutto ciò deve avvenire in una battaglia che avrà la durata di diciotto giorni. Colto dallo sconforto, Arjuna decide di non combattere. Non vuole vedere morire o essere lui stesso a far strage dei suoi parenti. Così il suo auriga, Krsna, che in realtà è una incarnazione del dio Visnù, gli rivela che ciò che conta è che lui porti a termini il suo dharma; lui non è un cugino, non è un fratello e non è un allievo. Lui è un re e il suo dharma è quello di riprendersi il trono e provvedere al benessere del suo popolo. Solo realizzando il proprio dharma, l’uomo può ambire alla purificazione e all’innalzamento supremo, il nibbana.»

«Credevo si dicesse nirvana.»

«Come sempre, credi male.»

Masa prese un respiro profondo e poi guardò il suo maestro. «Laoshi, il mio dharma è verso Aogiri o verso il ccg?», gli domandò, apertamente. Se l’avesse fatto un anno prima, lui le avrebbe staccato di netto il capo dal corpo con un singolo colpo. In quel momento, però, sapeva che Tatara era venuto con intenzioni pacifiche.

L’avrebbe uccisa già da tempo se non avesse voluto impartirle una lezione.

«Nessuno dei due», le rispose, sorprendendola. «Il tuo dharma è ciò che tu credi sia giusto. Quale è la via migliore per la tua realizzazione? Cosa ti fa andare avanti ogni giorno?»

Aiko non doveva nemmeno pensarci. «Un mondo diverso. Forse non migliore, né più giusto. Ma diverso.»

«Allora il tuo dharma è il mio dharma. Dovrai fare dei sacrifici perché si possa realizzare.»

Masa sbuffò una risata priva di colore, mentre il suo volto si adombrava di amarezza. «Orihara, Osaki, mio fratello, Shirazu…. Quanti altri sacrifici vorranno le divinità vediche per far sì che io, piccola Stannis spaurita e nel dubbio, possa riprendermi il mio trono senza paura?»

«Tutte quelle necessarie.»

L’albino si alzò e lei si rimise il guanto, imponendosi di non tremare. Non poteva. Doveva lavorare con dei composti troppo pericolosi che però l’avrebbero distratta dai brutti pensieri.

«Ci saranno dei morti, méi méi. Non lo dico perché temo che tu possa sostituirmi, perché non accadrà mai. Lo dico perché sai benissimo che sarà così. Moriranno dei tuoi uomini, da entrambe le parti. Però, se Eto si deciderà, presto potrai prendere definitivamente una parte.»

A quelle parole, gli occhi dorati di Masa saettarono su Tatara. «Cosa significa?»

«Lo scoprirai. Ora rimettiti al lavoro. Se necessiti di altri strumenti, chiama Ayato.»

Prendere una parte.

Sembrava semplice quella frase, lanciata dopo una serie di filosofici insegnamenti. Non lo era, però. Voleva dire tutto o niente.

Il mondo di Masa era spaccato in due come una mela, come poteva scegliere da che parte stare?

Senza contare che poteva avere male interpretato, ma dalle parole di Tatara, sembrava quasi che in quella scelta, lei avrebbe avuto voce in capitolo.

Ne dubitava.

E lo sperava.

Perché da sola non avrebbe scelto proprio un bel niente.

 

 

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Capitolo 31
*** Quinto Intermezzo - 2 di 2 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Quinto intermezzo: Distacco

Parte seconda.

 

 

Gli spallacci della tuta anti sommossa gli parevano opprimenti, come se, sotto di essi, il suo kakou stesse scalpitando dalla voglia di entrare in azione. Non era una sensazione piacevole e adrenalinica, però.

Urie era conscio di non sentirsi a suo agio in quella situazione. Aveva come una brutta sensazione, un pensiero che non lo faceva concentrare. Si era svegliato quella mattina stessa con la consapevolezza che quell’operazione, a tratti semplice in modo quasi imbarazzante se comparata a molte altre che aveva affrontato, sarebbe andata comunque in malora.  Una sensazione di schiacciamento al petto lo opprimeva,  mentre si sentiva quasi sovraccaricato dalla mole di lavoro che aveva dovuto portare avanti nelle ultime sei ore. Aveva avvertito la squadra che avrebbero lavorato in notturna, li aveva scortati come criminali fino alla sede centrale, senza proferire parola, e lì il classe speciale Aura aveva spiegato loro e a tutti i partecipanti ciò che sarebbe successo.

Non era poi stato permesso loro di parlare con nessuno al di fuori di quella stanza. Si sentiva in colpa, Urie. Stavano trattando i suoi uomini come dei sospettati, ma quello era un trampolino di lancio per capire quanto vantaggio avesse l’Albero di Aogiri su di loro. Nessuno doveva sapere niente, eccetto i quattro capisquadra e il direttore Yoshitoki Washuu.

Fu proprio la voce di quest’ultimo a riportarlo con i piedi sulla terra ferma, ridestandolo dai pensieri che lo assillavano da giorni insieme al senso di colpa. Aveva richiesto la loro attenzione e quando Urie si era ritrovato accanto Itou, aveva letto sul viso del prima classe la stessa amarezza che decorava il suo.

«La missione avrà inizio fra pochi minuti», stava nel frattempo dicendo il direttore del bureau, in mezzo a loro. A occhio e croce dovevano essere meno di una trentina di uomini, ma i quinx potevano essere considerai più di una singola unità. «Secondo le vedette sui palazzi qui attorno, non ci sono stati spostamenti nell’arco delle ultime tre ore. Solo un paio di accessi all’interno della struttura, ma non hanno contato più di otto o nove ostili in tutto. Non possiamo sapere quanti ghoul ci siamo effettivamente dentro quel palazzo, però possiamo farli uscire allo scoperto per scoprirlo. Io rimarrò nel furgone delle comunicazioni radio per coordinare le operazioni. Primo livello Urie, come da accordi, guiderai l’avanguardia nella pineta, seguito dalla squadra Itou che avrà il compito di proteggervi alle spalle. Dei fianchi si occuperà la squadra Aura, mentre la squadra Jaina rimarrà nella retroguardia, per impedire una sortita nemica da dietro. A quanto sembra, non si aspettano niente di ciò che sta per accadere. È tutto molto tranquillo, ma questa eccessiva di tranquillità mi rende nervoso.» L’uomo fece una pausa, guardando in faccia i suoi capisquadra, prima di proseguire. «Non vi negherò che le peggiori operazioni mai condotte dal ccg sono iniziate esattamente così. Come la quiete prima della tempesta. In ogni caso, sono in contatto con il classe speciale Arima. La S3 e la S0 sono a nostra disposizione, con un tempo di arrivo di una decina di minuti, in caso di bisogno. Non li abbiamo fatti avanzare per evitare di mettere in allarme i ghoul. Non vogliamo che chiamino i rinforzi, scoprendoci.»

«E conoscendo Arima arriverebbe in elicottero», a parlare era stato un ragazzo giovane, con i capelli blu elettrico che spuntavano sulla fronte da sotto il casco.

«Ascolta in silenzio, Ikari», lo aveva arguito un suo superiore e questi l’aveva fatto, ma non prima di lanciare uno sguardo complice a Urie. Complicità che non venne ricambiata con nulla, se non con serietà.

«Dividetevi nelle vostre squadre. Appena le vedette segnaleranno il via, inizieremo. Urie, a te il primo lancio. Segna un home run di apetura, ok?»

«Non mi interesso di baseball, direttore», rispose il quinx, serio. «Ma posso assicurarle che non ne lascerò scappare nessuno e che nel minor tempo possibile sarò dentro quel palazzo.»

Yoshitoki sorrise appena, prima di dargli le spalle. «Ne sono certo. Vediamo di fare in fretta, non voglio dover chiamare nemmeno una vedova, stanotte.»

Urie attese di vederlo entrare nel camioncino, parcheggiato tatticamente dietro una cancellata, prima di girare sui tacchi e richiamare i suoi uomini. «Avanzeremo in direzione nord ovest lentamente», iniziò a spiegare loro, mentre infilava il cappotto nero sopra alla tuta, muovendo le spalle per allineare il taglio nella stoffa che avrebbe permesso al suo kagune di uscire senza recidere nemmeno uno degli strati che indossava. «Come avanguardia, è nostro dovere eliminare potenziali ostacoli lungo strada. Li abbatteremo nel modo più silenzioso possibile e quando arriveremo alla porta, aspetteremo la squadra Itou per irrompere. Lavoreremo meglio con loro.»

Un attimo veloce e il flash della battaglia contro Noro gli attraversò la mente, gelandogli il sangue. Sembrava l’inizio di un brutto racconto, che non voleva ascoltare di nuovo.  «Tutto ok, caposquadra?», chiese Higemaru nervoso, tenendosi una mano sull’elmetto che gli andava un po’ largo.

«Sì», rispose velocemente Kuki, riprendendo il controllo della situazione. «Come stavo dicendo, avanzeremo piano, silenziosi. Saiko, voglio che tu e Higemaru rimaniate almeno cinque metri dietro di me, con le orecchie bene aperte. Non devono prenderci alle spalle. Aura, a te lascio la parte centrare della formazione. Il tuo compito è quello di dare per primo supporto a loro o a noi, in caso di attacco. Devi essere pronto a ogni evenienza. Infine, io e Aiko guideremo il gruppo.» Ci fu un momento di silenzio, uno stallo, mentre Urie realizzava e si schiariva la voce. «Hsiao», si corresse. «Io e Hsiao guideremo il gruppo. Domande?»

Higemaru alzò la mano, timidamente. «Se dovessi andare in bagno?», domandò, con tono ironico.

«Spero che tu ti sia messo un pannolone, giovane padawan», lo schernì bonariamente Yonebayashi, mentre Aura chinava il capo e andava ad augurare buona fortuna alla zia.

Urie rimase solo con la taiwanita, che lo continuava a fissare con insistenza. «Non sei presente.»

«Sono proprio qui», la ribeccò.

«Magari col corpo, ma la tua mente è altrove.» Gli occhi sottili della ragazza osservarono accuratamente il suo viso inespressivo. «Ti fa sentire a disagio il fatto che il primo livello Masa non sia qui a darci appoggio, vero?»

«Ammetto che un kagune come il suo ci sarebbe utile», le rispose Kuki, sistemandosi i guanti neri, per poi appoggiare la mano destra su Ginsui. «Sarebbe un appoggio molto prezioso, per non parlare del suo olfatto. Però non sono turbato per la sua assenza, stavo solo pensando a una cosa che mi ha detto un po’ di tempo fa.»

«Posso sapere cosa, caposquadra?»

Lui non esitò nel rispondere. «Butterfly effect», disse, semplicemente. «Una farfalla sbatte le ali qui in Giappone e in Florida inizia a scatenersi un uragano.»

«La teoria del caos», confermò Ginny, incrociando le braccia sotto al seno. Addosso aveva, come sempre, una sottile tuta di pelle. Non sembrava avere freddo, né sentire il bisogno di una divisa che la proteggesse maggiormente. «Ci credi?»

«Lei ci crede», fu la risposta del caposquadra. «Almeno, questo è quello che mi ha detto. Non ricordo quando me lo ha detto, forse prima dell’inizio dell’operazione Kamata, ma ricordo che farneticò qualcosa sul fatto che le modificazioni dei fattori iniziali all’interno di un sistema fisico o un modello matematico portano a variazioni a lungo termine nell’intero sistema.»

La taiwanita sorrise leggermente, incurvando di pochissimo le labbra. «Quindi sei preoccupato perché lei non è qui.»

«Sono terrorizzato che questo cambiamento dalla condizione iniziale possa portare a un disastro, lo ammetto. Non volevo diventare così dipendente da un’altra persona. L’ultima me l’hanno portata via e io odio la sensazione di impotenza che si prova nell’essere soli.» Ginny si stupì molto per quella confessione. Però non avevano più tempo.

Yoshitoki parlò nei loro auricolari e l’operazione per lo sgombro della diciannovesima ebbe inizio.

 

 

La pineta era silenziosa e buia. La luna filtrava a malapena attraverso le fronde fitte, rendendo molto complicato per loro continuare a mantenere un percorso diritto. L’obbligo di non utilizzare torce o altre luci artificiali per non segnalare la loro posizione stava diventando più uno svantaggio che un vantaggio.

Urie teneva le orecchie così tese da iniziare ad avvertire un mal di testa fastidioso. Il passo più pesante lo stava tenendo Aura, ma per quanto lui l’avesse intimato di fare attenzione, il giovane agente non poteva fare meglio di così, forse anche a causa della sua stazza e non solo per la poca esperienza.

Ad ogni modo, Urie iniziò a convincersi che non avrebbero incontrato nessuno fino allo spazio sgombro dagli alberi che li divideva dalla porta di accesso allo stabile.

Non c’erano odori nell’aria, né rumori nel vento. I loro occhi non scorsero movimenti.

Ormai che l’estate si era conclusa, nemmeno le cicale erano disposte a far loro compagnia.

Arrivarono senza intoppi in uno spiazzo, un piccolo parco giochi seminato di attrazioni per bambini e Urie diede l’ordine di aggirarlo, dopo aver comunicato la loro posizione a Itou. Stava già puntando il sentierino che li avrebbe portati fuori dal labirinto sempreverde, quando Hsiao lo bloccò, premendogli una mano sul braccio. Il caposquadra seguì con lo sguardo quello fisso della taiwanita, prima di alzare il pugno di scatto, per fermare Aura dall’uscire a sua volta allo scoperto.

A pochi metri da loro, seduta su una altalena, una figura ammantata di bianco se ne stava immobile. Il capo incassato fra le spalle e le mani bendate strette alle catene statiche furono le sole cose che Urie notò distintamente. Anche le gambe sembravano avvolte dalle garze, ma il pastrano largo che la avvolgeva rendeva difficile comprendere se si trattasse di un uomo o una donna.

L’odore che aveva però era forte, penetrante. Urie capì da esso il sesso dell’avversaria. Non aveva mai sentito niente del genere, ma il liquido secreto dal kagune che doveva avere impregnato il tessuto della garza era indescrivibile. Intenso.

Acre.

Senza pensarci due volte, sfoderò la katana, che fendette l’aria in un sibilo. Il ghoul alzò il capo a quel punto e si alzò lentamente.

«Non fare una mossa!», la ammonì subito Kuki, mentre anche Hsiao si preparava, posizionandosi al suo fianco con le lame sguainate lungo gli avambracci. Il ghoul parve non sentirlo, mentre si voltava lentamente verso di lui, portando le mano al cappuccio, che iniziò a calare. «Ho detto di non muoverti!»

Un paio di occhi di un nero pece dalle iridi rosse incontrarono i suoi. Erano la sola cosa a essere scoperta, in quel dedalo di candide bende, che rivestivano il capo dal naso in su. A coprire la bocca c’era invece una maschera di cuoio, con un grottesco sorriso cucito sopra.

«Labbra Cucite», sibilò il quinx, puntandole contro la punta della lama. «Come sapevi che saremmo venuti?», chiese, senza ottenere risposta. La figura non si mosse nemmeno. «Sto per ridurre il tuo corpo in pezzi, nutrendo la mia spada. Non c’è proprio niente che tu voglia dire prima di morire, ghoul?»

Di nuovo, nemmeno una parola uscì da dietro quella maschera. Semplicemente, Labbra Cucite portò il dito indice di fronte ai punti sul cuoio, come a intimarlo di tacere. Inasprito, Urie fece per attaccare, ma la partner lo fermò.

Il misterioso alfiere di Aogiri stava ora indicando con brevi cenni del capo e con occhiate palesi alle loro spalle. Poi tutto attorno a loro, in alto. Quando Urie sollevò lo sguardo, si ritrovò ad incontrare quello di almeno un centinaio di ghoul appostati fra le fronde alte dei pini.

Erano caduti in una imboscata.

La spia aveva colpito nuovamente.

«Quinx, in formazione!», gridò, sperando di fare in tempo. Qualcosa di molto simile a una catena di acciaio colpì forte il viso di Aura mentre li raggiungeva, facendolo cadere a terra. Da sopra l’altalena, sulla quale era saltato con un agile balzo, il Soldato iniziò a fare oscillare il suo lungo bikakou.

«Iniziamo,  mia signora?»

Gli occhi del ghoul saettarono di nuovo su Urie.

Poi con un cenno del mento, venne scatenato l’inferno.

 

Kuramoto non era arrivato ancora nel punto nel quale avrebbero dovuto aspettare il via libera dell’avanguardia, quando nell’auricolare la voce di Yonebayashi annunciò l’attacco nemico.

-Sono più di cento! Quello cos’è? Aspettate!-

Un boato fece tremare la terra, mentre la notte iniziava a brillare di un colore iridescente oltre le cime degli alberi.

«Sbrighiamoci, hanno bisogno di noi!», ordinò Kuramoto, estraendo Senza dalla valigetta e iniziando ad avanzare di corsa, evitando rami bassi e radici esposte. Ciò che lui e Takeomi, i primi ad arrivare sul posto, si trovarono di fronte, fu aberrante. Fra i quinx e i ghoul si era alzata una colonna di fuoco, lunga come una serpentina stradale, che abbracciava la curva morbida dello spiazzo arrivando a minacciare gli alberi.

«Primo livello Urie!», urlò Kuramoto, avvicinandosi di corsa al ragazzo, chino a terra con entrambe le mani sul viso. Quando le scostò per controllare la ferita del collega, la carne delle guance e della fronte che aveva subito danni a causa dell’incendio si stava già rimarginando da sola. Il biondo cercò di non prestarci troppa attenzione, certo che la natura dell’altro lo avrebbe aiutato a star meglio in fretta. «Il direttore vuole che combattiamo, cosa facciamo?»

Urie non esitò. «Faremo ciò che ci è stato ordinato», sibilò iracondo, con gli occhi serpentini fissi sulla  figura del boss della circoscrizione. Non aveva parlato, non si era mossa. Lo osservava dietro quelle iridi totalmente prive di emozioni, dall’altra parte delle fiamme. Fiamme che si aprirono in un secondo quando, con un colpo deciso, Noro le tagliò sferzandole e spegnendole. Il capo dei quinx approfittò del passaggio, lanciandosi con entrambe le mani sull’elsa. «Obiettivo individuato! Livello SS+ Labbra Cucite, rinkakou

La formazione prevedeva il suo attacco frontale.

Solitamente il solo attacco di Urie bastava per fermare qualsiasi ghoul. Ginsui non aveva mai fallito.

«Urie aspetta!», urlò Kuramoto. «Non sappiamo se queste informazioni sono vere!» Il biondo non poté in ogni caso andare in supporto ai quinx. Il kagune di Kenta avvolse le sue caviglie, facendolo cadere in avanti. Takeomi colpì con forza quella catena di cellule rc con la sua quinque, ma non si spezzò. Quando una seconda lenza avvolse anche lui, prese a divincolarsi.

«Signori, andiamo! Non vi va di giocare un po’?», domandò retorico il Soldato da dietro la maschera antigas, che lasciava però liberi gli occhi vibranti. Tirò verso di sé i due investigatori, mentre attorno a loro il resto della squadra Itou iniziava a schermarsi dagli attacchi di almeno una dozzina di ghoul, scesi dagli alberi.

I rimanenti non si spostavano dalle loro posizioni.

Il fuoco riprese ad ardere come dotato di sua coscienza, una volta che Firestone lo alimentò. Labbra Cucite gli permise di chiudere i quinx oltre la barriera incandescente, contro lei e solo lei. Si scambiarono uno sguardo e poi Nishijima diede le spalle al combattimento, andando verso il palazzo con l’incarico di far detonare tutto.

Urie non lo avrebbe permesso. «Higemaru, fermalo!»

«Sì, caposquadra!» Dandosi la spinta con il solo uso del suo kagune, il giovane quinx avanzò sulla destra. L’ukakuo incandescente di Firestone brillò forte mentre questi si voltava a guardarlo attraverso gli occhiali fatti di vetro scuro temperato. Non servì però che usasse il suo fuoco contro Touma.

Labbra Cucite fu più veloce, saltando sulla schiena del giovane e premendolo a terra con entrambi i piedi. La gabbia toracica di Higemaru venne premuta contro il pavimento erboso e a lui scappò un rantolo.

«Hige!», chiamarono in coro Urie e Yonebayashi, mentre Labbra Cucite si chinava su di lui, tenendogli il viso premuto contro il terreno.

 «Nǐ nǎr?», sussurrò in un farsetto che suonò finto anche alle sue orecchie. Avrebbe potuto evitarlo, perché quando parlava in cinese il tono si ammorbidiva e si faceva piccolo e remissivo. Perché le ricordava Tatara.

«Lascialo!», a lanciarsi contro di lei fu Aura, richiamato dal caposquadra, che però non riuscì ad impedirgli di rompere la formazione. Aiko schivò il colpo di kagune che il grosso quinx le sferrò contro, esibendosi in una rondata all’indietro e salendo con un balzo agile sullo schienale di una panchina.

Quando Aura ci riprovò, ora più sicuro in quanto l’aveva allontanata da Higemaru, lei sfruttò la sua avventatezza. Saltò e gli sbattè forte il capo già provato dal colpo infertogli da Kenta contro il legno della seduta, spaccandone due assi.

Due fuori gioco, ne mancavano tre.

Sapendo che Saiko stava caricando un colpo, Masa fece cenno a Kenta e lui capì perfettamente che avrebbe dovuto distrarre abbastanza la ragazza. Ciò che non si aspettava, però, fu Hsiao.

La taiwanita si lanciò verso di lei con entrambe le lame sguainate, riuscendo a tagliare la stoffa del pastrano bianco che indossava, ma non riuscendo a prenderle il volto. In tutto questo, Aiko sapeva che Hsiao stava solo cercando di farla posizionare in modo che Urie potesse usare Ginsui. Doveva quindi agire velocemente. Alzò il braccio sinistro e fece un altro cenno al ghoul rosso, che stava tenendo per i codini la povera Saiko.

«Mostro!», urlò Kenta, apparentemente verso il cielo. «Dove sei? Mostro!»

Aiko schivò un colpo molto preciso di Ginny, realizzando che la donna non puntava a ucciderla. Ma a tagliare le bende del suo braccio sinistro, laddove aveva tatuato un crisantemo delle tonalità del rosa. Un brivido le attraversò schiena, temendo di venire scoperta.

Per fortuna, proprio quando rischiò di essere messa all’angolo dalla superiorità indiscutibile di Hsiao, dal cielo piombò la sua salvezza.

«Il livello SS+, T-Owl!», uggiolò Higemaru, mentre cercava di aiutare Aura a rimettersi in piedi.

«Puoi chiamarmi Seidou se vuoi», sghignazzò senza pudore il Gufo Pazzo, frapponendosi fra la taiwanita e Aiko. «E voi come dovrei chiamarmi? Cavie da laboratorio? Sacchi di merda

Aiko appoggiò una mano sulla sua spalla, sussurrandogli qualcosa di impercettibile all’orecchio, prima di indietreggiare di qualche passo. Il sorriso di Takizawa si smorzò appena, mentre assumeva un broncio quasi tragicomico, poi sbuffò, alzando in pugni in come per sfottere la taiwanita. «Se non posso rompere questo bel ananas, tanto vale che non sprechi nemmeno il mio kag-»

Un poderoso calcio in viso lo fece rotolare per qualche metro, ma Ginny non aveva ancora abbassato la gamba quanto alla sua schiena si attaccò Shikorae.

Labbra Cucite stava intanto lasciando il campo di battaglia, stretta nella mantella.

«Vai!», urlò la Higemaru ad Urie, che tentava di tenere lontano Kenta da Saiko, mentre questi si muoveva quasi come se stesse ballando divertito delle loro disavventure.

«Ci pensiamo noi qui!», le diede man forte Hsiao mentre si dimenava per liberarsi di Rio e schivava due colpi di Seidou. Anche Aura sembrava aver riacquistato lucidità.

«Ora ricordo!», Urie staccò a forza viva Shikorae dalla partner scaraventando addosso a Takizawa e bloccandoli entrambi per qualche momento, prima di guardare Hsiao negli occhi. «Ora ricordo quando Aiko mi ha parlato del Butterfly Effect. Prima dell’inizio della battaglia al Lunar Eclipse.»

«Non finirà come allora. Vai, non fare andare via Labbra Cucite. Ci pensiamo noi qui.»

Il caposquadra guardò restio gli occhi sottili di Hsiao, ma questa interruppe il contatto, schivando un nuovo attacco di Seidou e impedendo a Shokorae di seguire Urie quando questi prese a correre verso il punto in cui la donna coperta di bende era sparita.

Non poteva essersi allontanata troppo, pensava il ragazzo. Si stupì comunque quando riuscì a raggiungerla. Non sembrava che avesse nemmeno provato a scappare. Stava camminando lungo il sentiero che costeggiava il lato della laterale all’edificio che stavano cercando disperatamente di raggiungere. Non si fermò al suo richiamo. Non lo fece nemmeno quando la raggiunse. Allungò la mano per afferrarla e sbatterla contro il suolo o la corteccia di un pino, ma questa schivò in modo fluido ogni singolo tentativo. Non si sarebbe fatta prendere? Era quello il messaggio.

Allora muori, stupida stronza. Come osi sottovalutarmi in questo modo?

Con la mano destra afferrò l’elsa di Ginsui, estraendola dal fodero contenitivo, rivestito di acciaio quinque. Un vortice di cellule rc nere si generò, mentre lui spostava di poco il piede di appoggio e si preparava a lanciarle contro tutta la forza dell’arma. E lo fece, cieco di rabbia, con un ringhio che gli partiva dal centro del petto, quando realizzò che quella creatura mostruosa aveva aperto le braccia, come ad invitarlo ad attaccare.

«Muori!»

La bocca di Noro si spalancò mentre  saettava nella direzione della preda. Poi accadde qualcosa di imprevisto.

Labbra Cucite lasciò cadere il pastrano, rivelando che anche sotto di esso era avvolta da metri e metri di garza. Non aveva altro addosso, se non quella e una spada dalla lama che andava allargandosi in punta, ricurva, a penderle sul fianco.

La quinque non la attaccò. Ginsui non la morse.

Al contrario ebbe una battuta di arresto e poi tornò indietro, violentemente. Urie fu costretto a buttarsi di lato per schivare i denti della sua stessa arma che si era rifiutata di attaccare Labbra Cucite. Come era possibile? Come aveva rigirato la sua stessa quinque contro di lui? Non aveva il tempo di chiederselo.

L’avversaria aveva estratto la lama e, nel poco tempo che lui ci aveva messo a metabolizzare l’accaduto, si era posizionata. Poi aveva allungato una mano e aveva fatto cenno al giovane di farsi sotto.

Non provocarmi. Non sottovalutarmi. Non sfidarmi!

Urie conficcò la katana nel terriccio, alzandosi e abbandonando la sua quinque ora inutilizzabile. Aveva già il kagune estratto quando prese a correre nella direzione della donna, sulla quale si avventò senza pietà. Lei si protese all’indietro, parando ogni colpo con la spada, che non si ruppe né si scheggiò ogni qualvolta entrava in contatto con il kakukou del giovane investigatore.

Deve essere di acciaio quinque, non c’è dubbio. Perché non usa il suo kagune? Perché non mi affronta con quello? È un rinkakou, no? Dovrebbe sapere di avere un vantaggio su di me. Eppure schiva e non attacca…

Una pessima sensazione si fece largo dentro al petto di Urie, come uno stagno nero senza fondo pronto ad inghiottirlo. Non conosceva l’arte della spada che Labbra Cucite pareva padroneggiare con eleganza, però sentiva di conoscere le dita lunghe e sottili che stringevano con presa raffinata l’elsa. Non sapeva cosa ci fosse sotto quella maschera, però notò che l’occhio destro era strano. Quando le fu abbastanza vicino da fissarlo intensamente, gli parve che l’iride fosse più rossa della sinistra. E la pupilla meno dilatata.

Ci pensò su un secondo di troppo però.

Un dolore acuto al viso gli fece capire che l’avversaria aveva sfruttato la sua distrazione. L’aveva colpito con un pugno deciso alla guancia, per poi trafiggerlo nella gamba destra. Urie cadde in  ginocchio, ma non sarebbe andato giù da solo. Riuscì ad aggrapparsi alle bende sulla spalla della giovane, strappandone via una manciata. Lei lo colpì sul naso con l’elsa, annebbiandogli la vista per il dolore e poi concluse con un calcio sulla tempia che lo mandò steso in terra.

Era veloce, nonostante non fosse particolarmente forte e lo aveva colpito al volto per mandarlo al tappeto. Gli sembrava un allenamento vissuto e rivussuto ancora. Mosse che si erano ripetute nel tempo, in momenti indefinibili.

Mentre il sangue gli colava dal naso sul mento fino al terreno, Urie spostò gli occhi dilatati dall’orrore sulla figura. I loro occhi si incontrarono e lui notò che erano molto truccati. Laddove le bende non toccavano la pelle per permetterle di vedere, c’era del colorante di un nero intenso. Era quindi molto difficile comprenderne la forma. Notò anche che stava di lato ora, con la spada nella mano sinistra e la destra, ora scoperta dalle bende, nascosta alla sua vista.

La sensazione di oppressione sul petto si acuì quando notò che lei stava tremando leggermente.

«A-Aiko

Si annullò tutto. L’operazione, i suoi uomini in pericolo, l’incendio che li stava facendo retrocedere verso il lato est della pineta, l’insistente modo in cui i ghoul sembravano più intenti a giocare con loro che ad affrontarli davvero.

Tutto venne spazzato via e Urie provò paura. Una paura diversa da qualsiasi altra avesse mai provato fino a quel momento. Più acuta di quella che aveva sentito durante la sua prima missione, quando aveva per la prima volta ucciso un ghoul. Più forte di quella che aveva provato quando si era sottoposto agli interventi per diventare un Quinx, rinunciando alla sua natura umana per sempre, al fine di ottenere più forza.

Fu come sentire la terra mancare sotto ai suoi piedi, come se ogni fondamenta che avesse sorretto la sua vita fino a quell’istante fosse venuta a mancare improvvisamente.

Non successe nulla.

Il ghoul rimase fermo a guardarlo e Urie a guardare lei.

Entrambi immobili.

Poi un’esplosione potentissima squarciò totalmente la notte, assordandolo. Kuki portò le mani alle orecchie, sensibili sette volte di più di quelle di un normale essere umano, mentre stringeva di rimando gli occhi, accecati dalla luce che aveva illuminato a giorno l’aeree attorno a lui.

Quando tornò in sé, frastornato dall’acufene e dal dolore al volto e alla gamba, comprese che cosa era successo. Laddove prima si poteva avvistare il tetto della sede della diciannovesima circoscrizione del ccg, in quel momento c’era solamente una nube di polvere che si stagliava verso l’alto e verso la zona in cui i suoi stavano ancora combattendo.

Il palazzo intero era scomparso, esploso.

Demolito, per essere precisi.

Non gli importò.

Era rimasto solo. Labbra Cucite era svanita.

In quel momento non era lucido, non era in sé. Sfilò dall’orecchio la trasmittente e se ne sbarazzò, lanciandola a terra mentre si portava in ginocchio. Tenne una mano sulla gamba ferita, mentre con l’altra prendeva il cellulare, al sicuro nella tasca interna della tuta da assalto, che venne aperta all’altezza della spalla sinistra per permettere alle sue dita di raggiungere goffamente l’oggetto. Lo afferrò e poi lo passò nella mancina, coperta del suo stesso sangue, mentre con i denti si strappava il guanto nero di dosso, sputandolo a terra. Con le dita tremolanti compose a memoria un numero, avviando poi una video chiamata.

Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile.

Ogni squillo a vuoto fu un colpo al cuore.

Ogni istante nel quale Masa non accettava quella chiamata, un altro colpo al viso.

Poi la chiamata venne accettata e il volto stranito della ragazza fece capolino sullo schermo.

-Kuki? Cosa sta succedendo? Non sei nel bel mezzo di una missione?-

Una testa castana apparve sopra alla spalla della mora, mentre questa continuava a fissarlo in attesa di risposta, tenendo a mezz’aria la mano piena di popcorn. –Primo livello Urie, ti senti bene? La tua faccia sembra un sacchetto di carne tritata-, gli fece notare Tamaki, mentre un terzo uomo alto fece capolino, appoggiandosi con gli avambracci allo schiena del divano, alle spalle degli altri due.

«Sei nella tredicesima», sussurrò con un filo di voce Urie, allibito.

Ero così sicuro….

-Dove dovrei essere scusa? Tu, piuttosto, dove sei? Ti vedo appena. Sei ferito?-

«No io-Sì. Però non importa. Io. Aiko perdonami, sono uno stupido.»

Portò una mano al volto, sentendosi così tanto sollevato da rischiare di poter svenire, per tanto conforto gli stava dando quella chiamata assolutamente contraria al regolamento e apparentemente priva di senso per l’agente Masa. In sottofondo alla chiamata sentì distintamente la radio della ccg e la voce di Saiko che annunciava che i ghoul avevano iniziato a ritirarsi.

«Stavate seguendo l’operazione?»

-Certo che lo stavamo facendo-, fu la risposta ovvia della mora, che mise i popcorn in bocca a Mizurou, sistemandosi sul divano per poterlo guardare meglio. –Mi stai spaventando. Perché mi hai chiamata nel mezzo di una operazione?-

Non c’erano scuse che potevano essere campate in aria. Così Urie semplicemente sospirò.

«Perché credevo di averti vista qui.»

Aiko alzò entrambe le sopracciglia. –Pensavi che sarei venuta a salvarti?-, chiese poi, retoricamente.

«No, pensavo che-No, non importa. Devo vederti. Domani. Cerca di prenderti il giorno.»

-Non credo che a Suzuya basterà questo, per darmi il giorno.-

-Vai ora-, la voce di Tamaki rimbombò alla destra di Aiko, ora che il collega era uscito dal campo visivo di Urie. –Mi sembra abbastanza importante. Ci pensiamo noi a pararti le chiappe con Nakarai, domani mattina.-

Urie assisti passivamente al patto di Aiko e Mizurou, con la promessa che lei si sarebbe sdebitata. Poi si ricordò che lui, tecnicamente, era in servizio. «Non mi libererò prima di tre ore.»

-Fa lo stesso-, gli rispose la mora, mentre saliva le scale. L’immagine si fece più mossa, mentre percorreva il corridoio delle stanze. –Ti aspetto al solito posto, va bene? Puoi raggiungermi quando finirà l’operazione.-

«Sì. Sì, facciamo così.»

Aiko guardò per un ultima volta lo schermo, prima di annuire. –A dopo, allora. Adesso comunica dove sei, ti stanno cercando tutti.-

Lui non fece in tempo a rispondere che la videochiamata venne interrotta. Si lasciò scivolare a terra, con il cuore che batteva forte contro la gabbia toracica compressa dalla divisa. Avrebbe voluto liberarsi del pettorale in cuoio, degli spallacci e di tutta la tuta, ma si limitò al cappotto nero.

Poi rimase steso a terra, con gli occhi puntati sul cielo stellato per circa due minuti. Due minuti nei quali razionalizzò la situazione. Aiko era nella tredicesima, l’aveva appena vista. Aiko non era Labbra Cucite, la sua mente gli aveva fatto un pessimo scherzo.

Va tutto bene, mi sono solo lasciato prendere troppo. Dovrei fare qualcosa, ma non credevo di essere schiavo dei miei sentimenti in questo modo. Non credevo nemmeno di provare dei sentimenti così forti…

«Caposquadra! Finalmente!» La voce di Hige gli fece alzare il capo dal terreno. «Sei ferito! Chiamo l’unità medica!»

«Non serve», rispose Urie, tirandosi su e zoppicando fino a Ginsui. Estrasse la katana dal terreno, rimettendola nel suo fodero in fretta, come se temesse di vederla di nuovo scatenarsi contro di lui.

«Cosa è successo? Hai perso la trasmittente, caposquadra?»

«Credo di sì», mentì Urie. «Il combattimento è stato movimentato. Mi sarà caduta. Purtroppo Labbra Cucite mi è scappata, Hige. La demolizione del palazzo non l’avevo presa in considerazione.»

«L’importante è che sei vivo.»

«Gli altri come stanno?»

«Tutti bene», rispose velocemente il ragazzo dai capelli pervinca, mentre lo faceva appoggiare alla sua spalla e tornavano indietro, lungo il sentiero. «Nessuna vittima. L’agente Itou ha fronteggiato il Ripper e il classe speciale Aura ha avuto il suo da fare con Cesoie, però è strano, caposquadra. Ci hanno fatti arretrare e loro hanno perso una dozzina di unità, mentre noi nessuno. Perché? »

Urie sentì di nuovo il peso sul petto, che però venne spazzato via dal pensiero che Aiko stava probabilmente preparandosi per uscire senza permesso dalla sua base per raggiungerlo. «Non ne ho idea», rispose alla fine, demotivato.

Almeno non avevano riportato apparentemente nessuna vittima, però la sconfitta era stata cocente. Non avevano più una base da riconquistare e quindi ripulire la circoscrizione senza sapere dove fosse il quartier generale sarebbe stato inutile e dispendioso.

L’operazione venne di fatto annullata poco dopo il suo rientro nei ranghi dell’avanguardia.

Chiusa con una sonora sconfitta e uno schiaffo in viso al bureau.

La spia aveva colpito ancora e in quell’occasione nessuno l’avrebbe passata liscia.

 

 

Aiko era certa di avere avvistato il volto conosciuto di Amon, nascosto dietro a un angolo nella penombra di un lampione. Non si era comunque fermata per domandargli se il suo amico Spaventapasseri fosse anch’esso nei dintorni per godersi la scena di ciò che aveva contribuito a creare.

Aveva continuato a correre a perdifiato per le strade del quartiere di Arakawa, diretta verso il punto di ritrovo che avevano accordato con i capi delle sue Facce di Cuoio poco prima dell’inizio delle danze. Sarebbe stato stupido tornare al quartier generale e rischiare così di compromettere il bellissimo roseto che Kenta stava coltivando ormai da anni. Non potevano sapere se qualche agente sarebbe riuscito a seguire uno di loro o se fossero riusciti ad attaccare una trasmittente sui loro vestiti durante lo scontro.

L’incontro con Yamoto-Nagachika l’aveva resa molto paranoica a riguardo.

Corse e corse per quelle che le sembrarono ore, da un capo all’altro della circoscrizione, strisciando fra i vicoli e scavalcandone i muri per non incappare nelle volanti della polizia che pattugliava la zona, animata dall’agitazione. Ci mise più di mezz’ora ad arrivare a destinazione e quando lo fece saltò letteralmente da un muretto basso fin dentro a una finestra, aggrappandosi ad essa e facendo leva sui gomiti per sollevarsi sul davanzale. Si lasciò cadere sul pavimento sudicio, ansante e con il cuore che batteva così forte da farle dolere la gabbia toracica. Chiuse gli occhi, distrutta, prima di tirarsi a sedere, per strapparsi via dal volto le bende e liberarsi di quell’oppressione insopportabile.

Le buttò a terra, iniziando a srotolare anche quelle che avvolgevano ancora il braccio sinistro, quando la porta alle sue spalle cigolò. Ancora su di giri per l’adrenalina, la giovane si voltò a guardare chi fosse arrivato.

Di fronte si trovò Uta, avvolto da un pastrano nero lungo e con in mano una borsa di carta.

«Sei stato veloce», commentò con una punta di sospetto Aiko, continuando il lavoro di svestizione, senza vergognarsi nel mostrarsi nuda di fronte a Senza Faccia. «Tutto è andato come avevamo concordato?»

«Anche meglio», le rispose lui, sedendosi su una sedia sgangherata, vicino alla finestra. «Come avevi previsto, ha voluto verificare che tu fossi dove dovevi essere.»

«Ha chiamato Suzuya

«Ha videochiamato te.»

Con un lancio calibrato, Uta le fece arrivare il cellulare fra le mani. Aiko lo prese al volo, sbloccando lo schermo che era per di già un pugno nello stomaco, visto che come sfondo aveva una foto sua e di Urie, scattata durante la festa di galà della ccg. E pensare che lui si era anche rifiutato di farle da accompagnatore ufficiale e lei aveva ripiegato su Aizawa, sconsolato e atterrito, ma soprattutto alcolizzato. Lasciò perdere la foto, i ricordi e i rimorsi, controllando che nessun messaggio fosse arrivato. Urie sarebbe stato impegnato ancora per parecchio, aveva tempo. «Cosa devo fare ora?»

«Vi siete accordati per incontrarvi al solito posto. Lui ti raggiungerà appena può. Tu sei arrivata e hai fatto il check in circa venticinque  minuti fa. Lo stai aspettando in camera, come da accordi. Piano quarto, seconda finestra sulla sinistra, dal retro. Ho lasciato la portafinestra socchiusa.»

Aiko prese nota mentale di tutte le informazioni, prima di sospirare. Si alzò in piedi, abbassandosi la maschera sul collo ora nudo. Poi portò una mano all’occhio destro e senza grazia si sfilò la lente dalla sclera nera e l’iride rossa.

«Come ti sei trovata con quella?»

«Non so come ho fatto a resistere. Odio le lenti a contatto e questa è demoniaca.»

«Senza avrebbero fatto un po’ di domande. Troppi sekigan di questi tempi, non pensi?» Uta si alzò nuovamente, appoggiandole il pastrano sulle spalle per non lasciarla nuda ed esposta. Poi le mise nella mano il sacchetto di carta. Dentro c’era un cambio di vestiti. «Sei molto preoccupata, perché lui era molto sconvolto durante la videochiamata», proseguì la scenetta il clown, girando due volte sui tacchi e muovendo piano le mani. «Per questo ti sei infilata le prime cose che hai trovato. Poi il tuo collega fissato con le stelle, Mika e l’altro, quello coi capelli brutti, Mizurou, ti hanno portata in auto fino all’albergo. Tutto chiaro?»

«No, non tutto.» Aiko si voltò a fronteggiarlo, con l’ombretto nero che aveva usato per mascherare il contorno dei suoi grandi occhi gialli che aveva ormai formato una chiazza indistinta che colava sulle guance a causa del sudore. «Quando ti ho chiesto di prendere il mio posto, di fingere di essere me, tu hai accettato subito. Mi hai procurato una lente a contatto, hai sistemato la mia maschera così che coprisse meglio il naso e hai anche fatto in modo che io fossi in due posti contemporaneamente.»

«Esattamente», confermò Senza Faccia. «Ti stai chiedendo cosa voglio in cambio di tutto questo, vero?»

Masa annuì lentamente. «Hai detto che me lo avresti fatto sapere solo a missione conclusa.»

«E tu hai accettato, disperata.»

Gli occhi gialli di Aiko si spostarono a terra. «Disperata è un termine un po’ forte.»

«Ma solo una disperata si sarebbe indebitata con me senza sapere cosa volevo in cambio.» Il clown continuava a guardarla con non curanza, chinandosi per raccogliere un brandello di bende. Se lo rigirò fra le dita, «Ingegnoso usare il profumo di Eto per confondere la quinque creata da Noro. Poi le bombe, l’incendio per tenere isolati gli agenti… Il tuo alibi nella casa di Suzuya. Sei fortunata che sia andato a letto prima che potessimo cambiarci di posto, lui penso l’avrebbe capito. Non sei più spavalda come quella volta all’Helter Skelter. Cosa è successo? Hai fatto un brutto incontro?»

«No, non è successo nulla. Stai tergiversando però. Cosa vuoi in cambio?»

Uta si tamburellò il labbro, «Proprio non lo so. Non mi piace battere cassa, se mi capisci.»

Senza pensarci due volte, Aiko prese una sacca da sotto un vecchio tavolo mangiato dai tarli. «Qui dentro ci sono circa sette milioni di yen che Aogiri ha-»

«Non mi interessano i soldi. Per me non hanno valore, agente Masa.»

«Allora cosa vuoi?»

Uta allargò le braccia, con un’espressione indescrivibile in viso. «Ancora non lo so. Diciamo che tu, Labbra Cucite, devi un favore a me, Senza Faccia.»

La mora sbuffò una mezza risata. «Ti prego Uta. Non ho voglia di fare questi giochetti. Dimmi cosa vuoi ora e facciamola finita. Non voglio rimanere in debito con uno come te.»

«Invece ci rimarrai. Sono certo che quando i tempi saranno maturi, sarai tu a darmi qualcosa che voglio.»

Sconfitta, Aiko abbassò le spalle e il capo. «Come vuoi, va bene», gli concesse, sfinita. Doveva farsi una doccia, lavare via l’odore di Eto dalla sua pelle e dai capelli, liberarsi dell’ombretto e correre all’albergo. «Senza Faccia, Urie nella videochiamata ha per caso-»

Non terminò mai la frase. Nella stanza c’era rimasta solo lei.

Prese un respiro profondo, riempiendo la gabbia toracica e facendo il punto della situazione. Uta la teneva in scacco. Lo Spaventapasseri la teneva in scacco. Eto la teneva in scacco.

Non c’erano grandi aspettative per il suo futuro, così si limitò ad appoggiarsi alla parete, con il pastrano nero stretto addosso e l’espressione greve. Rimase immobile per qualche minuto, chiedendosi per cosa stesse lottando. Aveva salvato i suoi amici e la sua circoscrizione. Aiko Masa e Labbra Cucite avevano vinto entrambe.

Eppure quella non sembrava una vittoria. Si sentiva sconfitta sotto ogni fronte.

Ricordando le parole di Yamoto proprio riguardo i clown, Masa comprese che aveva fatto bene a non fare menzione a Uta di un’importante informazione della quale era venuta a conoscenza. Forse aveva una piccola arma contro di lui.

Infondo non ci credeva nemmeno lei.

«Capo?» Kenta entrò nella stanza, tenendo in mano la maschera. «Abbiamo un problema.»

«Ti prego, non dirmelo.»

«Takizawa e Shikorae hanno attaccato la retroguardia.»

Gli occhi di Aiko si chiusero di nuovo. La vittoria si stava trasformando in un incubo tremendo. «Quanti morti nella squadra Jaina

«Tutti. Cesoie li ha recuperati e li sta riportando a Rue. Non chiedermi come, ma Tatara lo è già venuto a sapere.»

Con un gesto della mano, Aiko lo zittì. Non importava. Non aveva la forza di pensare che aveva fallito per colpa di Shikorae. O di Seidou, non faceva differenza. C’erano stati dei morti, altri morti ed era indebitata con Senza Faccia per un favore enorme.

«Fai ritirare tutti al quartier generale solo quando le colombe avranno lasciato la circoscrizione. E lasciamo che Tatara vinca», lo superò, lasciando la stanza, pronta a farsi una doccia per lavare via quella serata dalla pelle. «Il suo posto non l’avrei comunque voluto.»

 

 

Aiko si era lavata per bene, strofinando la pelle sulle spalle fino a farla arrossare.

Aveva usato un bagnoschiuma forte, che odorava di pino, e uno shampoo alla lavanda. Poi si era vestita con i suoi indumenti, che Uta aveva anche saputo abbinare, prima di lasciare la struttura fatiscente per arrivare all’albergo. Non prese la metropolitana per evitare le telecamere. Preferì cambiare tre volte il tram, arrivando a destinazione dopo un’ora e venti di viaggio.

Comunque, Urie non era ancora arrivato e lei era riuscita a sgattaiolare nella stanza entrando dalla porta finestra socchiusa. Si era rifugiata in bagno, dove aveva trovato un altro sacchettino lasciato da Uta con dentro un collirio. In effetti, l’occhio nel quale aveva portato la lente a sclera, era leggermente arrossato.

Per sicurezza, ammorbata dalla paura di essere scoperta, fece una seconda doccia, usando i prodotti offerti dall’albergo, per poi andare a sedersi sul letto. Al notiziario stavano dando la notizia in esclusiva dell’assalto della diciannovesima, quando accese il piccolo televisore posto di fronte al letto. Non se ne stupì, fra l’incendio e la detonazione, l’intero Giappone si stava chiedendo cosa diavolo avessero combinato quelli del ccg.

Ascoltò con attenzione le parole del direttore Washuu in merito al’accaduto. Parole colme di rassicurazioni, perché non c’erano stati caduti fra i cittadini. Per forza, pensò Aiko, io ho impedito che accadesse.

-Come è stato possibile per i ghoul organizzare tutto questo?- stava chiedendo la zelante giornalista dalle labbra rifatte che Masa era certa di non avere mai visto.

Un’ombra oscurò per un istante gli occhi già neri di Yoshitoki, mentre si preparava a rispondere, appoggiando una mano sull’uniforme bianca immacolata, all’altezza del petto. – Oggi abbiamo avuto  l’ennesima conferma che, fra le nostre fila, c’è un traditore. Una spia, un’ignobile spia che mette a rischio la vita degli abitanti della città e di quelli che dovrebbero essere i suoi colleghi per passare informazioni all’Albero di Aogiri. Io, Yoshitoki Washuu, prometto alla città che da oggi ci saranno più accortezze mirate all’individuazione di questo soggetto, il quale verrà severamente punito per questo atto vile, con la più alta delle pene. Troppi uomini sono caduti per colpa di uno solo e io scoprirò chi è stato. Questa operazione ha tenuto un profilo basso, non sarà complesso avviare un’istruttoria interna in merito. Ogni persona che ha anche solo udito un sussurro verrà messa alla gogna, ad iniziare dalle squadre che hanno lavorato sul caso.-

Aiko era consapevole di aver sempre tenuto ben nascosta la sua doppia vita, ma per sicurezza, non avrebbe mosso un passo verso Eto per qualche giorno. Tutto ciò che poteva portare a lei era solamente Urie. Anche nel caso in cui lui avesse ammesso di averle riportato il piano per intero, non avevano nulla a suo carico per avviare un’istruttoria contro di lei. Né per pedinarla o altri escamotage che richiedevano non sono prove concrete, ma anche una certa dose di fondi che non potevano venire sprecati per un sospetto. Gli yen che venivano spesi in quelle operazioni fallimentari erano un grande spreco, per il quale avrebbero dovuto rinunciare forse alla loro caccia alle streghe. Per non contare il fatti che l’agente Masa era di istanza nella tredicesima, perennemente controllata da Suzuya che, per quanto ne sapeva lei, non si era mai accorto delle sue fughe notturne. Quella sera, per la prima volta, era uscita senza il permesso di Nakarai, ma sarebbe passata solo per una fidanzata apprensiva, non di certo per una spia.

No.

Masa era stata molto attenta a non perdere quella maschera di spontanea bontà che aveva prima che Eto le portasse via l’innocenza. Aizawa, Komoto, Itou, Hirako, forse persino Arima. Aveva conoscenze nel dipartimento e la sola persona ad aver mai dubitato di lei era Noriko.

Noriko, che non sarebbe stata difficile da uccidere se avesse anche solo provato a formulare ipotesi o teorie insieme al classe speciale Marude. Ormai che i crimini erano andati accumulandosi e la pila di corpi sotto ai suoi piedi era cresciuta fino a sollevarla troppo in alto per farle provare qualcosa di più di un senso di dispiacere e sconforto momentaneo, non avrebbe avuto remore nemmeno nel fare fuori lo stesso Marude, vessillo ultimo di una ccg che ormai non esisteva più.

Il dipartimento era cambiato, aveva detto anche Yamoto. E sarebbe cambiato ancora, sicuramente in peggio.

Il direttore concluse con le rassicurazioni, ma il reportage andò avanti ancora per oltre un’ora. Alcuni cittadini della zona avevano assistito a qualche scena. Avevano visto dei ghoul scappare senza nessuno ad inseguirli. Parlavano della paura provata e di come non avessero sentito il ccg vegliare sulle loro vite. Masa pensò che forse aveva impartito una lezione troppo dura al dipartimento. Aveva esagerato. Forse c’era un altro modo, che non comportasse demolizioni controllate e incendi boschivi. Per non fare vittime – che c’erano comunque state grazie alla sua incompetenza nel saper controllare davvero Seidou e le sue voglie- aveva buttato benzina su un fuoco che era stato acceso molti anni prima con l’assalto dell’Anteiku.

Il ccg poteva ancora vegliare sulle vite dei cittadini? Gli agenti erano in grado di garantire la pace? Dopo due brecce nella Cochlea,  la bomba nella sede centrale e tutti i furti dai magazzini e dai carichi di acciaio quinque, sembrava proprio di no.

Aiko comprese che la cosa la disturbava più del previsto. Il suo dharma qual era, quindi? Quello di agente della ccg o di adepta di Aogiri? Aveva sempre puntato verso Aogiri, dopo aver ucciso Hiroshi. Aveva sempre investito se stessa nella causa perché coloro che erano morti per farle da scudi umani non avessero lasciato quel mondo invano.

Eppure stava esagerando. Se ne rese conto in quel momento, seduta sul materasso, che le parole di Yamoto erano state più che pertinenti quando, la notte del suo rapimento, le aveva detto che raramente si era trovato di fronte qualcuno di così stupido.

Aveva ragione, Aiko era stupida. Se fosse stata intelligente, oltre che a scegliere definitivamente bandiera, smettendo di illudersi che Labbra Cucite sarebbe prima o poi uscita di scena senza far rumore, non avrebbe compiuto atti così tanto teatrali. Eto poteva farlo.

Eto poteva dare alle fiamme un appartamento, torturare una persona e fare esplodere il mondo, se lo voleva.

Non lei.

Tu non sei niente, se non un burattino con i fili consumati. Ti tieni in piedi perché ancora c’è qualcuno che fa nodi su nodi, ma presto o tardi la tua fortuna finirà e allora morirai da sola, uccisa da qualcuno che ami. Perché il tuo nemico e il tuo alleato combaciano da qualsiasi prospettiva tu guardi.

Queste erano state le sue parole, così vere da lacerarle l’anima. Non aveva ribattuto, ma le aveva impresse nitidamente nella sua mente, così come quelle che erano seguite.

Se vuoi vivere o anche solo provarci, capisci molto bene chi è il tuo nemico e chi il tuo amico. Non si parla di Aogiri contro il ccg. Non si parla di umanità contro i ghoul. Si parla di singole ma preziose vite umane. Perché ogni vita è preziosa e, quando è possibile, va risparmiata.

 

Erano passate le cinque del mattino quando Urie mise piede nella stanza, con in mano una busta di plastica viola che teneva sempre nel baule dell’auto e che conteneva un cambio di abiti.

Non aveva avuto il tempo di passare allo chateau. Matsuri aveva preteso di vederlo subito e lo aveva messo alla gogna, tenendolo per quasi due ore in piedi di fronte alla sua scrivania, nonostante la gamba ferita e il viso che portava ancora addosso i segni dell’esplosione e della stanchezza. Il motivo di tante domande?

La donna in quella stanza.

“Lo hai detto a lei?”

“No.”

“Primo Livello Urie, hai spifferato le modalità dell’operazione di questa notte al Primo Livello Masa?”

“No, signore.”

Era stata una tortura, in primo luogo perché Matsuri gli era parso paranoico oltre ogni dire. Lui non era nemmeno conteggiato fra coloro che avevo messo in piedi quella missione, eppure la stava vivendo come un fallimento personale. Era avvilito, stanco e alterato. Più di quanto lo avesse mai visto in passato. Alla fine era riuscito a rassicurarlo sul fatto che la sua devozione era al dipartimento e allo stesso classe speciale Washuu e che quindi mai e poi mai si sarebbe permesso di mettere in pericolo la sua carriera. Era disposto a prevalicare la sua vita privata per il suo onore e per la loro causa.

Le domande erano quindi cambiate. Che rapporto c’era fra lui e Masa, perché lei aveva cambiato squadra così in fretta e se le voci fossero vere. E a quel punto Urie aveva confermato ogni singola cosa, stanco di doversi giustificare e soprattutto stanco di vedere quell’enorme faccia da culo di Matsuri.

Arrabbiato e amareggiato, il classe speciale l’aveva lasciato andare, ricordandogli però che avrebbe dovuto incontrare il presidente e il direttore per difendere la sua posizione. Lui, Itou e Aura erano ufficialmente sotto indagine per fuga di notizie. Jaina era riuscito a scamparsela solo morendo, ma avrebbero messo sotto torchio sua moglie.

Urie era così tanto nella merda da sentirla dentro alle orecchie. Aveva negato di avere parlato a Masa del piano per puro istinto, perché c’era ancora quel tarlo ad arrovellare il suo cervello, quel dubbio che non voleva proprio andarsene. Perché era così sicuro di averla riconosciuta da rendere il sollievo per la videochiamata molto, molto lieve. C’era qualcosa che non gli tornava. Gli era sembrata molto più Aiko quella sul campo di battaglia avvolta dalle bende, rispetto alla persona con cui aveva parlato.

Però era lì, ad aspettarlo, stesa sul letto con il capo appoggiato alle braccia incrociate e i piedi avvolti da calzini beige a gattini sul cuscino. Quando la vide così, addormentata di fronte al televisore acceso, si sentì sollevato.

Solo a quel punto capì che era stato davvero stupido.

Labbra Cucite aveva fatto qualcosa al suo cervello, oltre che alla sua quinque. Forse era tutto un piano del ghoul per confonderlo. Sicuramente doveva essere così.

In quel momento, il suo cervello prese a lavorare molto velocemente. Poteva guardarla meglio e notare che no, Labbra Cucite non era così alta. Poi gli era parsa più magra di Aiko. E aveva gli occhi troppo piccoli per essere lei. Non si era ancora dato una spiegazione razionale per quell’iride statica, però forse aveva una malattia. Estivano diversi disturbi sia fisici che mentali anche fra i ghoul, quindi poteva giustificare quell’occhio così strano.

L’arte della spada che aveva utilizzato il boss della diciannovesima, poi, non aveva niente a che fare con l’Aikido e Urie poteva giurare che Masa non avesse mai messo mano a un’elsa prima di farlo per allenarsi con lui. Perché Aiko non era brava a mentire, ai suoi occhi. Non era brava a simulare, a recitare, ma anzi era eccessivamente sincera.

Appoggiò la borsa sul comò, sfilandosi il cappotto. Il frusciare della stoffa destò la ragazza che alzò di scatto il capo, tenendo un occhio aperto e uno chiuso. Guardò un po’ confusa Urie, prima di realizzare che era lì.

In un attimo si alzò in piedi e andò verso di lui, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte.   

Lui la strinse di rimando, chiudendo gli occhi, mentre inspirava lentamente, svuotando la gabbia toracica. Appoggiò il capo a quello della ragazza, puntando le iridi serpentine sulla moquette grigio scuro della stanza, poi attorno a lui. Quando Aiko si staccò, gli prese il viso tra le mani fresche, osservando l’ustione che si era ormai quasi del tutto riassorbita. Poi le lasciò scivolare e, deglutendo gli occhi arrossati, sbuffò una risata bassa. «Fai schifo», lo prese in giro bonariamente, strappandogli un mezzo sorriso sghembo. Le dita dell’investigatrice iniziarono a districare il dedalo di lacci e chiusure che tenevano insieme i pettorali e gli spallaccia della tuta anti sommossa, mentre continuava a parlare. «Odori di sangue e cenere. Praticamente, sai di barbecue.»

«Se fossi stato dieci metri più indietro, sarei diventato una bistecca», le rispose, guardando con desiderio il letto e pensando che presto o tardi, avrebbe potuto dormire almeno quattro ore.

«Quindi è andata così male come dicono in televisione?»

«Peggio. Sono sotto inchiesta.» Masa interruppe il lavoro, rimanendo con in mano infilata contro il tessuto antiproiettile per sganciarlo dalla maglietta sottostante. «Matsuri mi ha già fatto il terzo grado e domani me lo farà il presidente.»

«Devo esserci anche io?»

«Assolutamente no. Ho detto a Matsuri di non averne parlato con nessuno, specificando che non l’ho fatto nemmeno con te.»

Lei abbassò il capo, riprendendo a spogliarlo in silenzio. Era meglio così, certamente. Un investigatore che non sa tenere la bocca chiusa con le persone che lo circondano non è un buon investigatore. Soprattutto in casi come quello. Era un test, quello di Yoshitoki e lui lo aveva fallito.

Forse però non era stato il solo.

«Tu non ne hai parlato a nessuno, vero?»

Aiko lo fece sedere sul letto, sfilandogli gli stivali pesanti prima di allargare lo strappo sui pantaloni, mostrando la ferita che aveva sulla coscia. «Certo che no», gli rispose, alzando gli occhi per fissarlo mentre mentiva spudoratamente. «Non ne ho parlato con nessuno. Nemmeno con Kuramoto, se è quello che temi. Non lo sento da qualche giorno, visto che anche lui è stato assorbito da questo lavoro.» Con mani delicate, Masa tracciò il profilo slabbrato del taglio, «Questo non è stato fatto da un kagune, vero?», chiese, anche se conosceva perfettamente una risposta.

«No. Non so dirti che spada fosse, ma non era decisamente una katana.»

«Contro chi hai combattuto con una spada?»

Urie storse il naso, quando Masa prese la cassetta del pronto soccorso da uno stipetto del bagno e tornò da lui con del cotone e della garza in mano. Si lasciò sfilare i pantaloni, stendendosi con la schiena sul materasso. «Labbra Cucite», rispose, mentre il suo corpo assimilava la morbidezza del materasso, ricordandogli quanto fosse stanco.

«Non sappiamo ancora come è il suo kagune, allora?»

«Sospetto, non trovi?»

Aiko si inginocchiò meglio a terra, prima di sbuffare. «Quella donna aveva detto che era un Rinkakou di livello SS, no? Forse è così forte fisicamente da non avere la necessità di usare il kagune. Mi sembri conciato male per esserti battuto contro un ghoul armato solo di spada.»

«Non è forte», le rispose Urie, facendole alzare velocemente gli occhi. Non lo notò, perché i suoi erano chiusi. «Però è veloce. Punta sulla rapidità dei movimenti, anche nella scherma. Poi mi ha colpito al volto per buttarmi a terra. Gioca sporco.»

«Da Aogiri ti aspettavi un duello leale?»

«C’è un’altra cosa, signora investigatrice…»

Aiko sorrise appena, mentre premeva il cotone bagnato di betadine sulla ferita. «Per un attimo ho temuto dicessi signora Urie e mi è venuto un colpo.»

«Ha deviato Noro», le spiattellò velocemente.

Aiko, fingendo di non capire. «Nel senso che lo ha schivato?»

«No, nel senso che me lo ha rispedito contro.»

«Cazzo», sussurrò a voce bassa Masa, proprio come se quell’ipotesi la stesse rendendo incredula. Prese della garza e ci avvolse la coscia tonica del ragazzo, lentamente, mentre fingeva di pensarci su. Lo stava medicando come se non si stesse già auto rigenerando da solo. «Ho letto che avvolte le quinque manifestano una volontà loro», gli disse alla fine. Sistemò la cassettina del pronto soccorso, riponendo tutto ordinatamente e alzandosi per buttare il cotone nel cestino. «Shinohara aveva scritto in un suo vecchio rapporto che Arata, per esempio, aveva rifiutato di attaccare un ghoul, una volta. Altri investigatori hanno riportato fatti simili. Forse in qualche modo Noro è ancora vivo dentro alla tua katana e ha riconosciuto la persona che aveva di fronte. Forse qualcuno a cui voleva bene, che amava, se questo ha fatto scattare in lui l’istinto di proteggerla.»

Urie la guardò, con gli occhi a mezz’asta. Poi si mise seduto, sfilandosi anche la maglietta sudata e buttandola a terra. «Sembri bene informata.»

«Lo sai che io sono sempre informata su tutto.»

«Touché

Aiko si lasciò cadere accanto a lui, con una gamba a penzoloni oltre il bordo del materasso e l’altra ripiegata sotto al sedere, così da poter rimanere totalmente voltata verso di lui. Appoggiò le labbra fredde sulla sua spalla nuda e rimase in silenzio per qualche istante.

«Sei preoccupato per domani?»

«No. Ti ho mostrato i piani e concesso di ascoltare la chiamata fisicamente. Non ci sono tracce a livello telematico di una nostra conversazione in merito all’operazione di ieri. Nemmeno nei messaggi che ci siamo scambiati nell’arco della giornata.»

«Che sono stati tre», gli ricordò con tono quasi offeso Masa, prima di rialzare il capo. Passò una mano fra i suoi capelli, levando una fogliolina dalle ciocche viola e appoggiandogliela sul palmo della mano. «Non preoccuparti. La tua carriera non sarà compromessa. Io non dirò nulla e loro non troveranno nulla.»

«Non è questo a turbarmi», ammise alla fine Kuki.

«Allora cos’è che ti fa sentire così? Sembra che tu abbia subito la peggior sconfitta mai vista dall’uomo.»

Urie ci dovette pensare un po’, però in realtà sapeva perfettamente cosa lo faceva sentire male. «Il non capire.»

Masa non replicò. Si limitò a girargli piano il viso, appoggiando le labbra sulle sue in un casto bacio a stampo. Poi si alzò.  «Ti preparo un bagno veloce. Dopo aver grattato via la puzza di fallimento dalle tue ascelle, potrai dormire un po’. Una volta svegliato, sono certa che vedrai le cose meno negativamente. Non azzardarti ad addormentarti mentre sono di là, ok?»

«Non prometto proprio niente.»

Lei gli tirò in testa il cuscino, prima di accendere la luce ed entrare nell’ambiente accanto. Kuki scostò l’oggetto, guardandola sparire, mentre sentiva che ogni dubbio poteva dirsi risolto.

Aiko Masa non era Labbra Cucite.

Nessuno avrebbe potuto recitare così bene.

Con quel pensiero, sospirò.

Almeno su quel fronte, sentì un peso in meno sullo stomaco.

 

 

Continua…

 

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Capitolo 32
*** Il caso Arakawa - 1 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte sesta: Il caso Arakawa.

 

 

L’aeree terso e la sensazione di fluttuare gli fecero capire sin da subito che quello era un sogno. Eppure, nonostante questa razionale consapevolezza, non riusciva a non viverlo come se fosse tutto reale.

Il tavolino sul quale appoggiò con un gesto quasi istintivo il cellulare e il portafogli sembrava incredibilmente solido, così come l’attaccapanni dove appese il trench grigio fumo di ordinanza e la katana. L’intera sala era avvolta dal silenzio, poiché la sola fonte di rumore proveniva dalla finestra aperta e riecheggiava nella placidità del soggiorno. Uno schiamazzo leggero, lo schiamazzo di bambini che giocano, che lo portò ad avvicinarsi alla porta finestra socchiusa, scorgendo due piccole figure intente a rincorrersi. Una non riuscì a vederla bene, mentre l’altra gli ricordò se stesso. Che stesse avendo un ricordo della sua infanzia? Eppure non riconosceva quella casa. Era più bella di quella in cui suo padre l’aveva cresciuto prima di morire e a giudicare dall’ampio giardino, doveva trovarsi in una zona residenziale, ben lontana dalla prima circoscrizione a cui era abituato. I suoi occhi e quelli del bambino non si incontrarono mai. Più lo guardava, più si identificava in lui, in quel modo di brandire un bastone come se fosse una quinque, in un goffo tentativo di imitare suo padre.

Un tintinnare di stoviglie distrasse il suo sguardo, portandolo verso una porta scorrevole, tradizionale come tutto il resto del mobilio. Vi arrivò soppesando attentamente chi avrebbe trovato dall’altra parte di quella fragile parete di carta e legno leggero, ma non ebbe bisogno di aprirla per scoprirlo.

«Kuki?»

La voce che lo chiamò giunse alle sue orecchie come una musica leggera. Era famigliare, calda e intima nel pronunciare il suo nome. Così spalancò quella inconsistente barriera. In piedi di fronte a un lavello lucido, a dargli le spalle, c’era Aiko. Non la riconobbe all’inizio, con i capelli lunghi raccolti in una treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, lasciata scoperta dal maglione ampio da casa.

Lui rimase immobile, come pietrificato, fino a che lei non si voltò a guardarlo. Urie era convinto di essersi già dimenticato di quanto intenso fosse il giallo di quelle iridi, e invece eccole lì, brillanti. Vive.

«Sei tornato prima, classe speciale», gli disse con il solito tono canzonatorio, tornando a dargli le spalle. «Non ti aspettavo per un’altra ora. Dovrai aspettare per la cena o metterti il grembiule e contribuire.»

«Deve essere davvero un sogno se tu stai cucinando per me.»

Una risata cristallina proruppe dalla giovane, «Lo dici tutte le sere. Va bene, inizi a diventare vecchio, ma questo è esagerato persino per te.» Solo a quel punto, Aiko si voltò del tutto verso di lui, con il ventre rigonfio che non poteva venire nascosto dalla maglia ampia e l’espressione beffarda, addolcita da una leggera sfumatura nello sguardo.

E Urie capì che quello in giardino non era lui.

«Allora? Si può sapere perché stai zitto? Non è molto da te. Non ti stai lamentando di niente, oggi. Mi devo preoccupare?»

Questo è un sogno.

Le mani fresche e umide della donna si posarono sulle sue guance, accarezzandole piano con i pollici. Non gli aveva mai sorriso in quel modo. Per riflesso, Urie andò a catturare quelle mani nelle sue, abbassandole all’altezza del pancione della donna e guardando la fede dorata che portava all’anulare. Identica a quella che si accorse di portare lui stesso.

Questo è un sogno…

«Visto che sei tornato presto possiamo mangiare prima e guardare un film», gli sorrise di nuovo Aiko e lui la trovò così bella da spezzargli il fiato. Non aveva parole. «Chiama Mikito e Ginshi e dì loro di preparare la tavola.»

«Mik-»

 

Gli occhi serpentini si spalancarono alla prima vibrazione, ma nonostante questo non ebbe la forza di muoversi per quelli che gli parvero minuti lunghi come ore. Il suo cellulare aveva preso a suonare insistente sul comodino per poi tacere e riprendere da capo. Quando ci riuscì, allungò un braccio, percependo enorme quel letto vuoto e freddo.

Rispose senza leggere il nome del suo interlocutore.

-Stavi dormendo?-

«Aizawa», passandosi una mano sugli occhi stanchi, Urie soffiò fuori quel nome. «Sì. Sono riuscito ad addormentarmi dopo molti, molti tentativi. Spero che valga la pena l’avermi svegliato.»

Dall’altra parte della cornetta non arrivò una risposta immediata. Aizawa stava prendendo tempo, ma lui non aveva altro per la testa che quel sogno. Amareggiato, scoraggiato e sconfitto dalla consapevolezza che quella era la cosa più bella che fosse mai riuscito a immaginare.

Ma che non sarebbe rimasta altro che un triste sogno.

-Sono arrivati i risultati degli esami sul sangue di Aiko.-

La risposta lo sorprese. «Così presto?»

-Ho chiesto un favore a Cheiko, un’amica del laboratorio.-

«Hai trovato qualcosa di utile all’indagine?»

Stavolta, Ivak rispose di getto. –Perché non ci vediamo in una caffetteria di tuo gusto? Vorrei parlartene di persona. Però non al :re. Lì non posso più parlare di lavoro, non chiedermi perché, ero troppo ubriaco per ricordarmelo.- l’altro oppose una debole resistenza, ma si convinse quando Aizawa gli disse che non si sentiva di dirglielo al telefono.

«Ci vediamo alla caffetteria della stazione della metro di Shibuya fra mezzora.»

Aveva sperato di non dover lasciare lo chateau per alcuni giorni, convinto che in qualche modo gli altri si sarebbero organizzati da soli per fare la spesa. Sarebbe stata Saiko a prendere le redini della baracca, con lui sospeso e Aiko…. Morta. Non importava 0però.

L’agente Masa non sarebbe mai tornata nella Quinx Squad dopo aver assaggiato la S3.

Per cosa, poi? Per finire ammazzata dai suoi capi.

Con molta calma Urie si mise seduto, prendendo delle pillole da un cassetto e iniziando a leggere i foglietti illustrativi di ogni singola scatola. Aiko aveva un vero arsenale lì dentro e quando trovò quelli che parevano essere ansiolitici, ne prese due senza nemmeno bere un sorso d’acqua.

Se non l’avevano ucciso le gocce per l’insonnia di prima, non l’avrebbero fatto nemmeno quelle. Poi si vestì con calma, senza mettere la cravatta. Le dita tremavano troppo per allacciare il nodo, nonostante per lui fosse ormai un gesto automatico.

Quando lasciò la sua stanza si pentì di non aver chiesto al medico di raggiungerlo lì a casa sua, ma poi si disse che conoscendolo, Aizawa era già arrivato al bar con largo anticipo, per godersi una fetta di torta alle fragole e un caffè in solitudine.

Passando di fronte alla camera di Hige, vide la luce accesa e la porta accostata. Bussò un paio di volte prima di spalancarla, trovando il compagno di squadra seduto sul letto con in mano un registratore di vecchio stampo, a mangianastri, le cuffie nelle orecchie e gli occhi sbarrati.

«Higemaru?»

Sentendo la voce del suo caposquadra, il ragazzo saltò su, spaventato. Si tolse le cuffiette in fretta, ficcando il registratore sotto al cuscino.

«Cosa stai-»

«Una vecchia cassetta. Musica. Niente di interessante.»

Il farfugliare sconnesso del giovane non lo convinse per niente, ma non aveva voglia né di indagare né di fare altro. «Ivak vuole parlarmi. Esco per un paio di ore, spero meno. Puoi dirlo tu agli altri?»

«Certo, caposquadra.»

Si salutarono con un cenno, poi Urie lasciò lo chateau con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Non sapeva il perché, non voleva nemmeno scoprirlo in realtà, ma sentiva che le notizie di Aizawa si sarebbero rivelate ancor più devastanti.

Erano le sei di sera, Aiko non era morta da nemmeno un giorno intero e lui non aveva né un corpo su cui piangere né un perché fosse successo.

Sperò in qualche notizia che avrebbe fatto luce sull’intera questione.

Aveva bisogno della verità.

 

Meno di due mesi prima…

Capitolo trentadue

Urie aveva avuto la possibilità di dormire per cinque ore, prima di ricevere una chiamata verso le dieci e mezzo del mattino. Una voce zelante lo avvisava che era atteso dal Presidente Washuu, nel suo ufficio, nel giro di un’ora e mezzo, per parlare di cosa fosse andato storto durante l’operazione di sgombro della diciannovesima.

E anche per far confessare chiunque avesse aperto bocca in merito a quella manovra strettamente riservata.

Aiko era già uscita. Aveva scarabocchiato in modo quasi romantico qualche parola di scuse a Urie sul blocco note dell’albergo ed era tornata nella tredicesima a chiedere clemenza a Nakarai per quella fuga notturna, domandando a Urie di tenerla aggiornata su ciò che sarebbe successo quel pomeriggio.

Alla fine, non successe nulla. Dopo a mala pena venti minuti in piedi di fronte alla scrivania del presidente, spalla a spalla con il classe speciale Aura e il prima classe Itou, vennero mandati via. Era uscito fuori che quel pover’uomo di Jaina aveva detto tutto a sua moglie la mattina dell’operazione, diverse ore prima dell’inizio delle manovre. Anche Kuramoto aveva confessato di aver chiesto consiglio a Take Hirako, che si era presentato e aveva confermato la versione del suo ex braccio destro, garantendo poi che lui non aveva aperto bocca con nessun altro.

Sia il direttore che il presidente credettero alle loro parole, tanto che per un istante Urie pensò che forse anche lui avrebbe dovuto parlare e dire che spifferato tutto all’agente Masa. Non lo fece però, perché nella stanza c’era anche Matsuri.

Non poteva permettersi di rivelarsi un bugiardo agli occhi del sui stesso supervisore.

Così quando gli venne chiesto direttamente se ne avesse parlato a qualcuno, negò.

Allo stesso modo fece anche il classe speciale Aura ed entrambi furono incoraggiati a non omettere nulla. Di fronte alla determinazione della donna nel sostenere che aveva tenuto il segreto per il bene del bureau, si era accodato.

«Non ho parlato a nessuno del caso, presidente. Non tradirei mai il dipartimento.»

 

 

Il laboratorio criminologico della sede della prima circoscrizione era uno dei più grandi di tutta Tokyo. Le diverse sezioni, divise da ampie vetrate che consentivano di vedere all’interno di ogni singolo ambiente, erano dotate di macchinari all’avanguardia per lo più donati dalle case di costruzione. Gli investigatori di ghoul potevano essere delle ottime cavie per provare tecnologie avanzate, visto che solitamente i casi riguardanti i mostri erano ritenuti meno importanti degli omicidi fra esseri umani. Per non parlare del fatto che solo il sette percento degli agenti operativi aveva basi di criminologia o profiling, certificati da lauree o corsi di aggiornamento, tali da consentire il corretto utilizzo delle macchine in dotazione. Eccetto i tecnici di laboratorio fissi, pochi altri avevano accesso alle strutture interne.

Urie stava osservando interessato l’addetto agli screening dei liquidi secreti dai kagune – e quindi all’elaborazione del dna al loro interno- quando il classe speciale Aura mise piede nel laboratorio tracce, seguito dal ragazzino dalla cresta blu.

«Vedo che il tecnico non è ancora arrivato», sottolineò con tono stanco la donna, oscillando con i fianchi ad ogni passo, fino ad arrivare alle casse di plastica disposte in fila sull’ampio tavolo. Avevano fatto il possibile per separare le componenti delle bombe dalle macerie, ma a distanza di poco più di dodici ore dalla demolizione del palazzo, c’erano ancora persone sul posto a lavorare per loro. Nonostante il lavoro lento e poco incoraggiante, erano riusciti a recuperare due detonatori dai pilastri esterni del palazzo collassato. Una piccola vittoria nel grande mare di sconfitte, alle quale avevano dovuto far fronte quel giorno. «Coraggio, primo livello», continuò a parlare Kiyoko, voltandosi verso Urie e guardandolo diritto negli occhi serpentini, mentre Hsiao se ne stava immobile accanto al suo caposquadra. «Non fare quella faccia. Questa non è né la prima né l’ultima volta che verrai convocato dal presidente e dal direttore.»

«Sono solo molto stanco, classe speciale», gli rispose educatamente il giovane, facendola sorridere divertita.

«Hai sentito, Naoki?», domandò al collega giovane, il quale si era seduto senza grazia su uno dei tavoli laterali, incrociando le mani sulle ginocchia. «I quinx sono stanchi.»

«Il trucco è essere positivi», rispose Ikari con altrettanto divertimento. «Per questo noi siamo così riposati e loro no.»

Ovviamente era ironico. Le sue occhiaie stavano chiamando mamma,  ma i suoi occhi erano incredibilmente svegli. Urie si chiese se fosse un suo tratto caratteriale o se avesse svuotato la macchinetta del caffè nell’atrio. A rispondere implicitamente alla sua domanda fu Kiyoko.

E lo fece in modo spiazzante.

«Sei sempre più raggiante, Naoki. Questo ragazzo deve davvero aver fatto colpo.»

Il ragazzo dalla cresta blu si esibì in un lungo sospiro estasiato. «Eccome», esalò, senza filtri. «Dovrebbe vederlo, classe speciale: è così bello. Ha gli occhi eterocromi e i capelli che sembrano così morbidi. Ah, ancora mi resiste! So però che prima o poi cederà!»

«Hai detto che fa il cameriere, vero?»

«Sì! In un bar che si chiama-»

«Scusate il ritardo!»

Nascosta sotto tre scatoloni di prove, Aiko mise piede nella stanza. Dietro di lei, con un solo scatolone sotto braccio e le due valigette nell’altra mano, c’era Nakarai. Masa scaricò le scatole sul tavolo, passando la mano sulla base della schiena e sorridendo a tutti i presenti. Anche le sue occhiaie parlavano, ma sembrava che la stanchezza avesse superato la soglia del non ritorno, portandola a quella classica euforia data dalla mancanza di sonno.

«Non importa», le disse Kiyoko mentre salutava con un sorriso caloroso Keijin, il suo ex partner. «Il tecnico non è ancora arrivato.»

«Per forza. Sono io, il tecnico.»

Urie sospirò, rassegnato. «Aiko…»

«La tredicesima non è esattamente dietro l’angolo», si intromise il vice capo della squadra Suzuya, con tono leggero ma deciso. Tenne gli occhi grandi e neri sulla figura magra della collega, che si era avvicinata ad un attaccapanni per liberarsi del cappotto nero e lungo al fine di indossare il camice. «In ogni caso, se le nostre teorie si riveleranno fondate, il caso passerà a noi.»

«Come mai?», chiese Urie, alzando un sopracciglio con aria critica. «Il caso è nostro, visto che a rimetterci quasi le penne siano stati noi.»

Ma tu guarda questo stronzo biondo…

«Se il dinamitardo è lo stesso che ha fatto esplodere l’atrio di questo palazzo mesi fa, allora il caso è nostro da molto più tempo, primo livello.»

«Cookie, non litigare con il mio capo», si intromise Aiko, ficcando le mani avvolte dai guanti di lattice dentro alle scatole di plastica e frugando, finendo per  prendere in mano due bustine. Osservò i detonatori con occhio critico, facendosi improvvisamente seria, mentre Nakarai apriva una delle scatole che avevano portato con loro per estrarne una terza. Gliela passò e subito il quinx andò al microscopio, accendendolo e disponendo con cura prima il detonatore rinvenuto nella sede della prima a seguito dell’esplosione nella quale anche lei e Urie erano rimasti coinvolti e poi, di seguito, anche gli altri due.

«Non ci sono dubbi», espose alla fine, dopo aver regolato le manopole con attenzione al fine di creare una sovrapposizione perfetta. «I materiali e la mano che li ha plasmati sono i medesimi che hanno quasi fatto esplodere questo posto mesi fa. Ci troviamo di fronte a un singolo dinamitardo.»

«Firestone», disse il classe speciale Aura. «Abbiamo controllato la sua identità e abbiamo scoperto che è un chimico. Ha lavorato presso l’università di Tokyo per diversi anni in qualità di ricercatore, ma è da un po’ che non si fa vedere in giro.»

«O il Ripper», aggiunse Nakarai. «Indagando su Enoki Sero abbiamo scoperto che ha avuto a che fare con la yakuza per molti anni, prima di passare a qualcosa di molto più radicale. Potrebbe avere portato qualche nuova competenza fra i ranghi di Aogiri.»

Masa alzò gli occhi dal microscopio. «Come sappiamo il nome del Ripper, Keijin?», chiese stranita. Il suo partner aveva omesso un’informazione molto importante.

Il biondino incrociò le braccia sul petto, mentre si avvicinava al microscopio per dare un occhiata. «Mentre riposavi, spossata dalla tua fuga notturna», fece una pausa, guardando verso Urie. Lo fece spostando solo le grandi iridi color carbone, «siamo venuti a conoscenza della cattura di una delle Facce di Cuoio.»

«Quando è successo??», chiese Kuki, stringendo i pugni. La sua operazione stava diventando l’operazione della squadra Suzuya.

«Questa mattina, poco dopo le nove. Un singolo individuo ferito che ha dato il nome del suo capo in cambio di una scorta sicura al Corniculum. Abbiamo un appuntamento nella dodicesima alla fine di questo incontro, Masa.»

La mora annuì, spostandosi per far sì che il partner potesse osservare a sua volta e confermare i riscontri.

«Come procediamo, quindi?», si informò Hsiao, guardando verso il più alto di grado nella stanza.

Aura ci pensò su, prima di parlare nuovamente. «Arrivati a questo punto, credo sia inutile per me tenere questo caso. Offriremo supporto tecnico se deciso dal direttore Washuu, ma lascio a voi le investigazioni. I quinx si occuperanno di Nishijima mentre la squadra Suzuya di Sero.»

«Chiamiamolo ‘il caso Arakawa’.» Nakarai alzò di nuovo il viso per incontrare gli occhi serpentini di Urie. «Collaboriamo, va bene?»

«Va bene», concordò il capo dei quinx, il quale non voleva che quel caso gli venisse tolto. Aveva troppe domande a cui doveva rispondere e tutte portavano alla diciannovesima circoscrizione.

Keijin parve siglare quell’accordo con lo sguardo, prima di riabbassarsi sul microscopio. Aura e Naoki lasciarono la stanza dopo aver salutato e Aiko sospirò pesantemente. Uno dei suoi uomini, una Faccia di Cuoio, era stato catturato e portato al Corniculum. Lei sicuramente sarebbe stata incaricata dell’interrogatorio a giudicare dalle parole di Nakarai, senza contare che aveva ancora da risolvere-

«Masa, hai notato che questi due inneschi non sono stati fatti falla stessa persona?» Se Nakarai le avesse tirato un pugno in pancia, invece di parlarle pacatamente, sarebbe stato meglio. Lo guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa, prima di balbettare qualcosa. Lui continuò a fissarla, imperscrutabile. «Il senso di rotazione del cavo e il taglio delle cesoie non coincidono, anche se la struttura dell’innesco è identica.»

«Non-Aspetta, fammi controllare.»

Aiko tornò sui suoi passi, chinandosi sul microscopio. E nel momento le cui fu fatto notare, quell’errore grossolano le parve grande quanto un elegante e le venne sbattuto in viso senza pietà. I due inneschi recuperati erano uguali, ma non coincidenti. Sentì Nakarai spostarsi nella stanza, alle sue spalle. «Leva le prove», ordinò, facendola scattare. Aiko prese le bustine e le controllò prima di infilare i vari oggetti al loro posto. «Guardate tutti», disse, rivolgendosi anche a Urie e Hsiao, che iniziavano a fare solo presenza. Prese le tenaglie e recise un pezzo da una matassa di fil di ferro. «Se io recido il filo di ferro usando la mano destra, il taglio su di esso tenderà a pendere verso l’interno, mentre lo avvolgo.» Nakarai prese a rigirare il filo doppiato attorno all’indice e Masa si morse il labbro. Lei usava il mignolo, ma il processo era lo stesso. Nakarai forse non aveva una laurea, ma le sue doti investigative erano di molto superiori a quelle degli altri presenti. Gli anni al fianco di Kiyoko Aura lo avevano formato bene e lì dentro non c’era nessuno che potesse competere in acume, Aiko compresa, che aveva peccato di presunzione. «Ecco, così.» mostrò a tutti il risultato. «Il prodotto finale è differente se, a farlo, è un mancino.»

Passò le tenaglie a Aiko, impassibile. Lei le afferrò, prendendo anche il filo e tagliandolo, prima di imitare il biondo, cercando di sembrare poco sicura, quasi goffa. Gli occhi di Nakarai le stavano perforando il cranio, come se volesse aprirlo per guardarci dentro.

«Vedete?», proseguì Keijin appena l’altra gli passò lo scarso prodotto della sua prova. «Il taglio va verso l’interno. Così come nella bomba che ha distrutto l’atrio di questa sede. da questo ne deduco due cose: il dinamitardo ha lavorato da solo la prima volta, ma quando si è ritrovato a fare più bombe, ha chiesto a qualcuno di aiutarlo. Un destro, che ha creato quindi inneschi uguali, ma differenti nel particolare. La mia domanda è: aveva fretta? E se sì, perché? »

«Forse la persona che ha fatto la chiamata alla ccg è stata scoperta», ipotizzò a voce alta Hsiao, guardando i due esperimenti e alternando lo sguardo sui colleghi della tredicesima. Si soffermò sul volto di Aiko, «Hanno dovuto fare tutto di corsa perché si sono ritrovati con le spalle al muro. Così possiamo forse dimostrare che c’entra nulla la spia, questa volta.»

«Impossibile», le rispose Nakarai, pensieroso. «Sapevano da dove sareste arrivati e dove inviarvi. No. C’è premeditazione dietro al piano di Labbra Cucite e vi dirò di più: credo che dietro alle bombe ci sia lei.»

«Ha chiesto una mano per finire le bombe perché non avevano tempo…» Urie corrugò la fronte, massaggiandosi il mento, meditabondo. «Se la spia ha parlato, avranno avuto alcuni giorni per prepararsi. Non sono un esperto, ma per creare cinque bombe non credo ci sia bisogno di più di un paio di giorni, con un lavoro continuo. Quindi perché farsi aiutare? Masa, una volta mi hai detto che i dinamitardi sono narcisisti e gelosi del loro lavoro. Non corrisponde al profilo che tracciasti quel giorno nell’atrio.»

Aiko annuì lentamente, cercando una via di fuga e, al contempo, provando a sembrare solo pensierosa. Non tesa. «Non saprei. Di norma, chi fabbrica bombe è molto geloso del proprio lavoro. È insopportabile per queste personalità di condividere le luci della ribalta e i loro trucchi con un'altra persona. Soprattutto la loro firma.» Prese in mano uno degli inneschi, quello che aveva fatto quell’idiota di Nishijima. No. L’idiota era lei che aveva commesso due errori: non pensare che quel lavoro sarebbe stato analizzato in ogni suo aspetto e sottovalutare l’intelligenza di Nakarai. «Forse avevano anche altro da fare. Forse stanno preparando qualcos’altro e i capi si sono dovuti riunire?»

«Possiamo provare a chiederlo al nostro ospite al Corniculum», rispose spiccio Nakarai, mentre Aiko chiudeva le bustine e sistemava i sigilli, firmandoli. Tenendosi impegnata. «Tu però non te ne sei accorta. Sii più attenta la prossima volta.»

«Senz’altro, prima classe. Forse ho davvero bisogno di riposare.» Un leggero bussare al vetro le fece alzare di nuovo il capo, mentre anche Urie si voltava. Un uomo sulla quarantina entrò, salutando con un cenno i colleghi sul campo e passando ad Aiko un foglio. Lei annuì, ringraziando il tecnico del dna, prima di leggere con attenzione.

«Di cosa si tratta?», chiese Nakarai.

«L’analisi sulle bende che il primo livello Urie ha strappato dal braccio di Labbra Cucite», risposte Aiko. «Il liquido secerne dal kagune che le incrostava in abbondanza appartiene, a quanto pare, al Gufo col Sekigan.»

«Cosa?? No, impossibile.» Urie la strappò il foglio di mano, rischiando di tagliarla con la carta, se non avesse avuto i guanti. Lesse e rilesse il foglio, sentendosi gelare il sangue nelle vene.

«Non era una donna quella che avete affrontato?», si informò il biondo.

«Il caposquadra Urie l’ha affrontata da solo», lo corresse con educazione Hsiao «Però sì, era una donna. L’abbiamo vista bene tutti e non ci sono dubbi.»

«No, non ci sono», sussurrò Urie,prima di appoggiare il documento sul tavolo, come in trance. «Quindi Labbra Cucite potrebbe essere in realtà il Gufo? Non abbiamo mai valutato questa possibilità.»

«Non l’abbiamo mai nemmeno esclusa», gli rispose Keijin. «Solo che non è possibile che Labbra Cucite sia il Gufo con Sekigan per un motivo logistico: è un ghoul che è apparso molto di recente, non più di due anni e mezzo. Secondo i rapporti della ex squadra Hirako, è apparsa dal nulla dopo molti anni che il Gufo aveva già avviato la sua attività.»

«Vero», convenne Aiko. «Però non lo abbiamo mai visto privo della sua Kakuija. Senza contare che Labbra Cucite è un diretto sottoposto di Tatara, a quanto ne sappiamo. Sappiamo che il Gufo lavora per Aogiri solo grazie all’operazione nella ventesima di tre anni fa…. Potrebbe benissimo trattarsi di quella donna.»

«C’è anche un altro ghoul che usa le bende, se non sbaglio», soppesò Hsiao. «Una scelta stilistica peculiare.»

«Eto», disse Nakarai, «La chiamano La Bambina con le Bende perché è molto bassa. Non abbiamo un profilo aggiornato su di lei, perché nessuno l’ha mai vista combattere. In effetti, non sappiamo nemmeno che kagune abbia, come per Labbra Cucite. Per quanto strane siano queste coincidenze, Eto non corrisponde al profilo della nostra indiziata. Cosa ne pensi, Aiko?»

La mora stava sudando leggermente sul retro del collo. Ci passò le dita, indecisa. «Dico che né il profilo di Labbra Cucite, né di Eto corrispondono a quello del Gufo. Sono entrambi membri recenti o relativamente recenti di Aogiri, anche se non possiamo escludere che siano in seno all’organizzazione da anni ma non si siano mai palesate prima. Entrambe lavorano per Tatara ma-»

«Perché i loro profili non corrispondono con quelli del Gufo?»

«Per quello che stavo dicendo ora. Il Gufo appare e scompare quando vuole, sembra che lavoro per se stesso più che per Aogiri.» Aiko aveva acceso il tono senza accorgersene, tirando fuori i denti come un topo all’angolo. «Queste due invece sono sottoposti di Tatara.»

«Si presume.»

«Lo ha detto anche Fueguchi in più interrogatori.» Urie si mise in mezzo. « Non abbiamo prove in nessun senso. Solo il liquido del kagune del Gufo su un pezzo di benda e qualche testimonianza di prigionieri della Cochlea che possono essere di nuovi interrogati.»

Aiko prese un respiro profondo, scusandosi con uno sguardo con il suo partner. «Senza contare che potrebbe essere una contaminazione casuale. Labbra Cucite non usa il kagune, giusto? Magari era vicina al Gufo quando ha estratto il suo e qualche schizzo le è arrivato addosso. Un trasferimento secondario.»

Nakarai rimase in silenzio per un paio di secondi, prima di annuire lentamente. «Ha senso. Per ora teniamo per buona questa teoria. Prendi il cappotto e la quinque, andiamo nella dodicesima a raggiungere Abara e Suzuya.» guardò Aiko eseguire il comando in silenzio, prima di rivolgersi a Urie. «Vi terremo informati. Sarà premura di Masa chiamarti dopo l’interrogatorio e tenerti al passo, primo livello Urie.»

«Grazie, prima classe.»

Kuki smise di considerarlo, tornando a guardare Aiko. Gli dava le spalle mentre indossava il lungo pastrano nero, allacciando ogni bottone, compreso quello sul collo. Infine sistemò diritta la fascetta sul braccio, chiudendo una spilla da balia che si era aperta.

Quando i loro occhi si incontrarono, dentro alle iridi gialle, Urie non lesse nessun sentimento.

Solo un po’ di amarezza che lui interpretò erroneamente come una mancanza di zelo.

Nessuno l’aveva mai messa così in difficoltà, prima di Nakarai.

Aveva fatto una pessima figura a livello professionale di fronte a loro due e al suo capo.

Quell’amarezza però aveva tutt’altro significato per lei.

Avevano sfiorato la tragedia, in quella stanza.

 

 

«Secondo voi se lancio il cellulare in modalità aereo di sotto, vola?»

Mizorou voltò il capo verso i compagni di squadra, carico di aspettativa, smettendo di fissare il tunnel senza fondo della Cochlea. Suzuya non colse la battuta, troppo preso a tirare lentamente il filo cucito sul labbro, con lo sguardo vacuo perso su una parete. Abara sospirò piano, mentre Nakarai ponderava di buttare di sotto il collega insieme al cellulare per testare se sarebbe o meno potuto succedere davvero.

Aiko non prestava loro attenzione.

Rimase ferma con le mani nelle tasche del pastrano nero e il volto infilato nel colletto alto e nero fino al mento. Teneva la schiena contro lo stesso parapetto contro il quale Tamaki si stava tenendo, sporto in avanti, nella speranza di scorgere il fondo. Impossibile, il livello detentivo per i livelli SSS era totalmente avvolto dall’oscurità, che sembrava salire verso l’alto come una nebbia letargica.

Un’ala che, tecnicamente, in quel periodo doveva essere vuota.

«Basta con queste cazzate. Concentrati sul tuo lavoro o la prossima volta sarai tu a venire lasciato a compilare le scartoffie, non Mikage.» Keijin non ci mise nulla ad arguirlo a denti stretti.

Tamaki sospirò. «Se ci fosse stato Mika avrebbe riso.»

L’astrologo del gruppo aveva avuto l’ingrato compito di rimanere al Corniculum per completare il rapporto di consegna del soggetto catturato alla squadra Suzuya. Loro avevano fatto da scorta al blindato che aveva portato il ghoul fin dentro alla Cochlea.  Aiko smaniava per poterlo vedere. Era piuttosto sicura che non fosse nessuno di importante, quindi difficilmente avrebbe potuto riconoscere in lei il leader della diciannovesima. La cautela però non era mai troppa. Si sentiva ancora un po’ disorientata da ciò che era successo qualche ora prima in laboratorio, con Nakarai.

Il modo in cui l’aveva incalzata era stato strano. Sembrava che la stesse mettendo alla prova per chissà quale ragione.

Lanciò uno sguardo verso il biondo, che però non stava prestando attenzione a lei. Rimaneva immobile contro alla parete opposta alla sua, con le braccia dietro la schiena e il bacino sporto in avanti. Gli occhi fissi sul pavimento, pensieroso. Forse stava già pensando a cosa chiedere al prigioniero o magari a qualche teoria che aveva su di lei. Perché aveva capito qualcosa, no? L’aveva detto lui stesso che si era aspettato una persona totalmente diversa, grazie al modo in cui Tamaki l’aveva presentata al gruppo prima del suo arrivo.

No, non devo essere paranoica. Devo smetterla.

Aiko si passò una mano sugli occhi stanchi, prima di staccarsi dal parapetto. «Io propongo di fare la seconda colazione degli Hobbit, mentre aspettiamo che ci permettano di parlare con il ghoul», disse con un sorriso stanco e gli occhi cercati dalle occhiaie. «Ho bisogno di un caffè doppio.»

«Hai bisogno di dormire, Aiko-san», le rispose Hanbee, dispiaciuto per lei. «Le fughe notturne sono romantiche, certo, ma poco produttive. Non che tu non sia produttiva!» Le sue mani scattarono verso l’alto, come per scusarsi. «Intendo solo per oggi. Insomma, oggi non sei produttiva, forse. Non lo sono. Non c’ero nella sede della prima circoscrizione quando-»

«Va tutto bene, Hanbee-kun», lo riprese bonariamente lei, dandogli una piccola pacca sul braccio. Poi prese un respiro profondo. «Hai ragione però, oggi sono meno sveglia del solito.»

«Quindi sei praticamente in coma.»

La mora fece la lingua a Tamaki, che rispose allo stesso modo proprio quando un  tecnico interno venne a chiamarli. Sorprendentemente, non era Tsubasa.

Ad Aiko quasi dispiacque.

Per una volta che aveva bisogno di uno scarafaggio, questi non si presentava.

 

Come aveva previsto, il ghoul catturato era solo uno dei tanti visi celati dalle maschere integrali in cuoio economico, ma lavorato. Masa era certa che non si fossero mai incontrati direttamente. Quanto meno, era sicura che nessuno dei due avesse mai visto la faccia dell’altro.

Il prigioniero era un tipetto smunto, se possibile più stanco di quanto sembrasse lei. Dovevano averlo imbottito di inibitori, ma non sembrava essere pericoloso dietro il vetro anti sfondamento e legato con una camicia di forza, irrobustita da fili e lucchetti in acciaio quinque.

Quando Nakarai e Suzuya entrarono insieme a lei, lasciando Tamaki e Abara a fare presenza in corridoio, il ghoul li guardò rassegnato.

«Parlerò», disse con tono dimesso, «Parlerò, ma non uccidetemi.»

«Tutto dipende molto da ciò che ci dirai.» Nakarai si sedette su una delle sedie, lasciando Aiko in piedi, alle sue spalle. Suzuya si era già accaparrato l’altra e aveva incrociato le gambe, apparentemente annoiato, con i gomiti ficcati sulle cosce e il capo a penzoloni, appoggiato ai polsi. «Non possiamo permetterci un’altra bocca da sfamare che non sa cantare.»

«Canterò. Ho informazioni molto importanti da riferirvi, ma prima dovete garantirmi che non mi ucciderete.»

Il biondo scambiò uno sguardo col suo capo, prima di annuire. «Va bene. Ora sentiamo cosa hai da dire.»

Il ghoul prese un respiro. «Mi chiamo Matsuratsu Yokumoru. Ho trentacinque anni e ho passato gli ultimi dieci fra i ranghi di Aogiri. Inutilmente, a quanto ho scoperto.» Un velo di amarezza gli offuscava le iridi. Aiko lo percepì nitidamente quando si avvicinò al vetro per appoggiare il registratore sul tavolino. «Proprio ora che avevamo deciso finalmente di disertare sono stato catturato…»

Il cuore di Aiko saltò un battito.

«Chi ha deciso di disertare?», lo incalzò Nakarai, mentre lei si riportava dietro alla sedia.

«Le Facce di Cuoio. Hanno tutti disertato quando Labbra Cucite ci ha abbandonati, dopo averci ordinato di non uccidere nemmeno un agente, durante l’assalto di ieri sera.»

Lo stomaco di Masa prese a bruciare, mentre lei prendeva il suo solito quadernino dalla tasca del cappotto, così da non dover guardare altro se non la pagina bianca. La sua mano non tremò mentre iniziava a segnarsi qua e la qualche appunto.

Mentre dentro di sè stava urlando, fuori sembrava solo stanca.

«Non uccidere gli agenti? Come mai un ordine di questo genere? Gli agenti non hanno esitato ad uccidere voi.»

Il ghoul sbuffò una risata priva di colore. «Questo è quello che il Ripper ha detto. Ha affrontato Soldato, richiedendo di essere ricevuto immediatamente dal boss. Lei però non era più nella circoscrizione quando siamo tornati al punto di ritrovo. Hanno lottato e alla fine Cesoie è intervenuta, evitando al Soldato di perdere la testolina. Poi il Ripper si è voltato verso di noi e ci ha chiesto se volevamo essere liberi dai giochini mentali dell’Albero di Aogiri e noi abbiamo accettato. Io però sono stato troppo lento e quello stupido agente con la faccia da volpe mi ha preso questa mattina mentre cercavo di raggiungere un contatto del Ripper con la yakuza.»

«Come si chiama questo contatto?»

«Itora Kanzuki, vive a Hasu.»

Itou l’aveva beccato sulla metropolitana, mentre stava andando al lavoro. Se la sua auto non avesse avuto un problema e se quello stupido non si fosse fatto prendere dal panico alla vista della valigetta, Aiko non avrebbe scoperto molto presto del tradimento di Enoki. Non ci voleva. Doveva sapere di più, ma doveva lasciare che le domande uscissero dalla bocca di Nakarai.

«Dove si trova il quartier generale della diciannovesima?»

«Se lo sapessi, ve lo dire», ammise risentito il prigioniero, storcendo il naso. «Noi sacrificabili per non lo sappiamo. I capi si guardano bene dal portarsi in casa i loro cani. Aogiri aveva acceso in me un barlume di speranza per questo mondo. Il Re col Sekigan l’aveva fatto tramite le parole che i suoi seguaci spiattellavano a noi poveri bastardi. Credevo che sarebbe stato diverso, invece mi sono ritrovato a servire come uno schiavo uno straniero albino, un ragazzino di diciassette anni, una coreana frigida e quella puttana di Labbra Cucite. Non ha mai mostrato una sola volta il suo volto ai suoi uomini, così come non ha mai esitato a sacrificarci. Il Ripper ha ragione: noi siamo già liberi, perché possiamo prenderci questa libertà uccidendo e nutrendoci. Non ci serve l’Aogiri per farlo.»

Suzuya si animò improvvisamente.

Si alzò in piedi, andando a bussare contro il vetro, dimostrando che fra loro c’era quella lastra spessa e che no, non era libero. Non lo sarebbe più stato.

Juuzou però non rimarcò su questo. Era più interessato a un’altra parte del discorso del ghoul. «Non hai mai visto il viso del tuo capo?»

«Mai.»

«E lei non è tornata da voi dopo l’attacco, ma è andata via?»

«Esatto.»

Juuzou si portò di nuovo le dita ai fili, tirando il labbro in fuori mentre rifletteva. «Curioso, davvero curioso. Urie ha detto che non combatte usando il kagune e che i suoi occhi sono strani. I suoi uomini non saprebbero mai riconoscerla. Aiko-chan?»

Lei aveva la schiena leggermente sudata, quando incontrò il suo sguardo. «Sì, classe speciale?»

«Cosa possiamo capire da tutto questo?»

Lei resistette all’impulso di vomitare addosso a Nakarari. «Che Labbra Cucite potrebbe essere chiunque. Anche un essere umano.»

«Anche un agente della ccg?»

Nakarai assottigliò gli occhi, «Anche la spia.»

Ci fu un istante in cui Masa fu certa di essere stata scoperta. Sia Suzuya che Nakarai si erano voltati verso di lei e la stavano guardando in silenzio. Lei non disse niente. Non si mosse nemmeno. Nella sua mente c’erano solamente le immagini di ciò che sarebbe successo se lei avesse confessato.

Avrebbe perso tutto.

Avrebbe perso Urie.

Avrebbe deluso Tatara e Eto.

Avrebbe reso vane tutte le morti che si erano susseguite per garantirle la posizione nella quale si trovava in quel momento.

Per questo reagì di petto, con sicurezza.

Mentire, dopotutto, le veniva naturale.

«Se la spia è Labbra Cucite, allora, è sicuramente qualcuno che ha contatto con le alte sfere», disse meditativa. «Devo pensare a una serie di profili che potrebbero essere compatibili con lei.»

«Mi chiedo quante probabilità ci siano che sia davvero così», valutò a voce alta Nakarai. «La nostra è una teoria a dir poco folle, se ben esaminata. La spia lavora da oltre tre anni per Aogiri…. Chi ha avuto così tanti contatti interni con tutte le squadre i cui piani sono falliti miseramente?»

«Posso andare all’archivio e provare ad andare a ritroso, verificando se c’è una squadra in particolare che ha avuto il maggior numero di piani sventati», si propose subito Aiko.

Suzuya la guardò a fondo, prima di sorridere, chiudendo gli occhi. «Domani, Aiko-chan. Oggi, terminato questo colloquio, potrai andare a dormire. Ora che ci penso, tu non hai domande per il nostro amico? Hirako-san ha scritto sulla tua scheda che sei brava negli interrogatori.»

Masa non seppe se stupirsi di più per il complimento di Take o per il fatto che Suzuya avesse effettivamente letto il suo fascicolo. «Una domanda ce l’ho. La più importante.» Fece un passo avanti, battendo la penna sul quadernino. «Dove si trova ora il Ripper e di quanti uomini dispone?»

Dall’altra parte del vetro non arrivò una risposta immediata. Il ghoul la guardò attentamente e per un attimo Aiko temette di essersi scoperta. Fortunatamente, il motivo di quel tentennamento era un altro. «Non mi piace parlare con le donne.»

«Peccato che non interessi più a nessuno cosa ti piace o meno», rispose Nakarai a tono, con la voce leggera eppure dal tono incisivo. «Rispondi.»

«Non so quanti si sono uniti al Ripper, di preciso. Tutte le Facce di Cuoio e alcuni degli altri rimasti insoddisfatti da questa assurda pretesa di Labba Cucite.»

«Di risparmiare gli agenti?», chiese Aiko.

L’interrogato annuì. «Diciamo che questa mattina eravamo più o meno ottanta persone. Per quanto riguarda il luogo in cui si nascondono, non lo so proprio. Il Ripper parlava delle fogne, però.»

«Le fogne? Dove di preciso? I condotti fognari di Tokyo sono migliaia di chilometri da battere. Non puoi darci nemmeno un indizio?»

«Faccia di volpe mi ha preso prima che potessi scoprire il nuovo luogo che avrei chiamato casa.»

Nakarai sbuffò forte, alzandosi in piedi. «Questa è la tua nuova casa.» Guardò senza espressione il ghoul, prima di fare cenno agli agenti di custodia di portarlo via dalla saletta. «Fino a che non verrà deciso il giorno dell’esecuzione.»

Matsuratsu Yokomuru impallì, venendo a sapere che sarebbe comunque morto. «Avevate promesso!», urlava e scalciava, mentre veniva trascinato via. «Io ho parlato perché avevate promesso!»

La porta infondo allo stanzone si richiuse con un tonfo metallico, lasciando i tre agenti da soli.

«Teniamo questa teoria su Labbra Cucite fra noi», disse Nakarai, sistemandosi il colletto della giacca. «Ci lavoreremo noi due, primo livello Masa. Se si rivelasse fondata, allora voglio essere sicuro che questa persona venga catturata immediatamente, che sia di fatto lei oppure qualcuno con cui è strettamente in contatto. Da oggi tutti sono sotto indagini», fece una pausa per costringerla a guardarlo. Lei fu costretta ad abbassare il quadernino a quel punto. «Tutti. Anche io e te. Anche Tamaki e Mikage. Anche Abara. Anche Urie e i suoi, così come Hirako, Itou e gli altri. Non farne parola con nessuno di loro, va bene?»

«Sì, prima classe. Non dirò niente e noi due lo prenderemo.»

«La prenderemo», corresse il biondo, seguendo Suzuya che li aveva preceduti lasciando la stanza, consapevole che stavano parlando di una cosa in cui lui non voleva mettere il becco. Credeva in Nakarai, si fidava ciecamente di lui.

Gli stava lasciando carta bianca.

Il discorso parve terminato nel momento in cui lasciarono la stanzetta e si avventurarono nel corridoio.

Aiko aveva già avvistato Tamaki e Abara insieme al caposquadra, accanto al parapetto, dove li avevano lasciati. Stava per affrettare il passo e raggiungere l’ex compagno di scuola, quando Nakarai le gelò di nuovo il sangue nelle vene.

«Posso assicurarti che quando la prenderò, si pentirà di averci tradito.»

Non c’era il plurale nella sua frase, né la pietà.

E lei non seppe come replicare di fronte a quella infuocata determinazione.

Sembrava quasi che sapesse tutto.

Che lo avesse sempre saputo, dal primo istante in cui si erano incontrati, al suo arrivo nella tredicesima.

La terrorizzava a morte.

Ma non l’avrebbe fermata.

Strinse i pugni.

«Lo faremo insieme, prima classe. Darò tutta me stessa su questo caso.»

 

 

Aiko aveva consegnato un zelante rapporto a Nakarai due giorni dopo la visita alla Cochlea. Aveva sacrificato la sua serata libera per terminarlo, ma aveva tracciato un diagramma degli spostamenti degli agenti da una squadra all’altra e la percentuale di successi e fallimenti di ciascuna di esse, inserendo ovviamente anche se stessa. Il risultato erano almeno una decina di profili per lo più maschili. Sorprendentemente, la percentuale di successi di Masa era così alta da portare Nakarai a non considerarla fra i sospetti, almeno all’apparenza.

«Se la spia vende le informazioni sulle operazioni, dobbiamo concentrarci sulle sconfitte cocenti, non sulle missioni andate a buon fine.»

Nakarai era incredibilmente bravo, un piccolo genio dell’investigazione. Però non aveva visione di insieme. Era un uomo di azione, che sapeva usare bene il cervello e aveva un’ampia visuale dei sistemi probabilistici in combattimento e anche nelle discussioni. Però non aveva studiato criminologia, non aveva mai lavorato su un caso che concerneva la psicologia umana. Era un macellaio di ghoul, così come ogni altro membro della squadra Suzuya, ad eccezione di Hanbee.

Per questo, nonostante la paura che Aiko aveva avuto nella Cochlea, non l’aveva visto muovere più passi nella sua direzione. La ragazza sapeva che poteva anche essere una strategia, la sua. Farla sentire al sicuro, aspettando che si tradisse da sola. Era qualcosa che credeva che Nakarai avrebbe potuto anche fare. Il fine che giustifica i mezzi.

Per questo si era portata ai ripari.

Nel suo viaggio in metropolitana verso la sede centrale della prima aveva rubato un cellulare, senza farsi vedere. Con esso aveva chiamato Kenta e Tatara, spiegando nei dettagli la situazione utilizzando un disturbatore per la voce, idea che le aveva dato la donna che aveva denunciato le attività di Aogiri nella diciannovesima alla ccg. Sarebbe sparita per qualche tempo e passava il comando a Mi-Him. Tatara aveva concordato che era meglio così e non aveva aggiunto altro, se non un invito a non farsi scoprire. Si era poi liberata del disturbatore della voce, del telefono rubato e della scheda sim con cui aveva tenuto i contatti con Aogiri in quei tre anni.

Sapeva comunque come avrebbe potuto contattarli in caso di bisogno.

Per questo aveva gettato nel fiume quella schedina piccola, senza remore. La sua maschera era al sicuro al quartier generale e niente di ciò che aveva tra i suoi effetti personali sia allo chateau che nella casa della squadra Suzuya avrebbe mai potuto tradirla.

Si era quindi buttata su lavoro, concentrandosi sia sul Ripper, che su Firestone, ma anche su se stessa, sulla spia. Quest’ultima parte in privato, nella stanza di Nakarai a notte fonda, sfogliando quel rapporto e sviscerandolo pezzo per pezzo.

Non avevano trovato niente di probatorio, ovviamente, ma un paio di chiamate di Suzuya avevano messo sotto stretta sorveglianza un paio di agenti che lei nemmeno conosceva, ma che erano quasi suoi coetanei. Quella ricerca era uno sparo nel buio, una caccia alle streghe, ma lei fingeva così bene di crederci che forse iniziava a trascinare anche Nakarai in quella menzogna.

Forse.

Non avrebbe più peccato di presunzione, per questo rimase all’erta su ogni fronte.

 

 

«Ciao Aogiri, come va?»

Aiko sobbalzò, lasciando cadere sul tavolo il pezzo dell’involucro esterno di un candelotto di dinamite che stava analizzando. Lentamente, si voltò a guardare Aizawa che, soddisfatto, masticava rumorosamente una gomma americana.

In mano aveva due caffè e gli occhi luminosi come lucciole al buio.

«Non chiamarmi così al lavoro», lo avvertì con tono basso, alzando le sopracciglia quando le offrì la tazza piena di bevanda calda. Dal profumo invitante, essa proveniva sicuramente dalla scorta speciale di Komoto e non dalle macchinette. «Questo?»

«Un premio per il duro lavoro. Sono tre ore che non ti tiri su da questo pattume.»

La giovane si sfilò i guanti da lavoro, decidendo di fare pausa. Non si era nemmeno resa conto di quanto tempo fosse passato da quando si era messa al lavoro, ma ricomporre le bombe era sicuramente più difficile che crearle. Prese un sorso, storcendo il naso. «Ci hai messo dentro del liquore?»

«Bayles.»

«Alle undici del mattino?»

«Non conosco più altri modi per bere il caffè da quando è morta Mei.»

La mora scosse piano il capo, prendendo un altro sorso, più piccolo. «Questo tuo alcolismo non inficia sul lavoro?»

Lui, per risposta, rise. «Cosa ti sta succedendo, Masa? Ti stai già preparando a diventare la signora Oreo? Perché sai, questa è una cosa che direbbe Urie. Non tu. Tu mi chiederesti perché ne ho messo così poco e perché non usciamo a farci un giro venerdì.»

«Lavoro lontana, il venerdì sera», gli ricordò lei, prima di sedersi pesantemente sullo sgabello. «Senza contare che ultimamente non sono in vena di fare festa.»

«Si tratta del caso Nagachika, vero?» Sbalordita, Aiko rischiò di strozzarsi col caffè. «Sei strana da quando lo hai chiuso. Hai scoperto qualcosa di strano, vero?»

«Cosa te lo fa credere?», rilanciò lei, rispondendo con un’altra domanda.

«Perché hai chiesto a uno degli uomini di mio padre di procurarti un certificato di morte falso. O lo ha fatto Tsubasa, non lo so. Si chiama Tsubasa l’informatore, no?»

La mora prese un lungo respiro, prima di parlare nuovamente, stanca. «Non posso parlartene. Non posso parlarne a nessuno ma diciamo che sì, quel caso mi ha aperto più di un nuovo punto di vista.» Portò la tazza nuovamente alle labbra, prima di fermarsi e abbassarla, colta da una illuminazione. «Attento a cosa dici dalla prossima settimana in poi: doteranno tutte le telecamere di sorveglianza di microfoni. Pensano che sarà un modo efficace di catturare la spia. È stata una proposta di Hachikawa.»

«Lo sapevo già, Komoto deve lavorare la notte per installarle senza farsi vedere.» Aizawa svuotò la tazza in un sorso unico, appoggiandosi poi al bancone con una mano. «Stai attenta a non farti beccare, Aogiri.»

«Tutti abbiamo i nostri segreti, Yakuza.»

Si scambiarono un sorriso sghembo, poi il biondo parlò nuovamente, ora nostalgico. «Si sente la tua mancanza, sai? Nessuno mi dice più cose deprimenti per aiutarmi a superare la morte di Mei e credo che Urie si stia stufando di venire a prendere in giro per Tokyo quando mi ubriaco. Però sai…. Non posso chiamare sempre Shimura.»

«Komoto non verrebbe a prenderti?»

«Mai. Ha troppa paura che gli vomiterei in macchina.»

Masa sbuffò, prima di lasciarsi andare in una risata liberatoria. La prima dopo tanti giorni di tensione. Parlare con Aizawa la stava rassicurando, come se improvvisamente tutto fosse tornato normale, come mesi prima.

Quando era ancora apparentemente felice.

Tamaki irruppe nella stanza con passo tronfio, guardando entrambi. «Indovinate chi ha catturato un altr’altro membro delle Facce di Cuoio?»

«Non ci credo», gli rispose Masa, socchiudendo le labbra. «Come??»

«Abbiamo tenuto sotto controllo un paio di ingressi alle fognature e uno di loro è sbucato come una margheritina in primavera.» Mizurou le rubò la tazza, prendendo un sorso. Poi corrugò la fronte. «Non c’è un po’ troppo poco Bayles qui dentro? Aizawa, mi deludi.»

«Questa  è la razione di cui parlavo prima», gli fece eco il dottore, puntandolo con il pollice per indicarlo ad Aiko.

Lei alzò gli occhi al cielo e tornò a fissare il collega. «Cosa ha detto?»

«Questo è stato più difficile da convincere, ma ha comunque parlato, alla fine.» Il castano le rese la tazza vuota, sorridendo vincitore. «Abbiamo una data, un’ora e un luogo per un incontro fra il Ripper e uno dei capi di Aogiri. Non si sa chi, ma qualcuno di grosso. Apparentemente è una resa dei conti per la storia della scissione dalla cellula terroristica. In ogni caso, a meno che non decidano di non fare più niente per paura che ormai noi lo sappiamo, possiamo arrivare a far fuori non solo tutto il gruppo delle Facce di Cuoio, ma anche qualche membro di Aogiri.»

Aiko non ne sapeva naturalmente nulla. Non aveva avuto contatti con Tatara negli ultimi cinque giorni. Potevano essere state prese molte decisioni dal momento in cui si era liberata della sim card.

Non avrebbe rischiato di essere scoperta per capire contro chi si sarebbero trovati a combattere, visto che avrebbe mantenuto un profilo basso.

«Quando?»

«Il tredici di settembre.»

«Fra tre giorni.»

Mizorou era su di giri. «Il coordinamento dell’operazione è andato a Marude, però a quanto ho capito ci saranno anche la S3 e la S1. Senza contare che Matsuri ci presterà i quinx. La creme de la creme del ccg tutta riunita nelle fogne di Tokyo!»

«Lo scontro sarà nelle fogne?», chiese Aizawa, storcendo il naso. «Che schifo. Attenti alle malattie portate dalle feci.»

«Domani pomeriggio alle tre ci sarà la riunione per decidere i dettagli», concluse Tamaki, dondolandosi sui talloni e appoggiandosi con le mani alle spalle di Aiko. «Potete dirlo a chiunque, Marude ha detto che intanto in un modo o nell’altro la spia comunicherà ciò che  verrà deciso. Per citare il prima classe, ci spera quasi. Così sapranno che li inseguiremo anche in capo al mondo.»

Alcuni giorni prima, Eto le aveva detto all’interno della caffetteria di leggere un libro. Non solo, però. Le aveva anche detto che non voleva perderla perché il Re col Sekigan aveva le sue spie nella ccg e lei non intendeva perdere la sua.

Qualcuno avrebbe comunque parlato e forse sarebbe stato scoperto, distogliendo ogni dubbio legittimo dalla sua figura.

Aiko sorrise a quel pensiero, mentre Tamaki continuava a parlare dell’operazione con entusiasmo.

Sì, avrebbe lasciato scorrere gli eventi.

Ne avrebbe raccolto i frutti.

 

 

Continua…

 

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Capitolo 33
*** Il caso Arakawa - 2 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte sesta: Il caso Arakawa.

 

 

«Che bella serata per scendere nelle fogne, con la merda fino alle ginocchia. Divertitevi là sotto.»

Marude aveva battuto una mano sullo spallaccio della tuta di Suzuya, con un leggero sorrisetto di soddisfazione ad incorniciargli l’espressione seria. C’erano voci di corridoio che sostenevano che il classe speciale non avesse ancora del tutto perdonato il prodigio della ccg per l’avergli distrutto una motocicletta, tre anni e mezzo prima, durante l’attacco a una base Aogiri nella undicesima circoscrizione. Lo stesso attacco in cui lo stesso prodigio aveva riportato il corpo martoriato del leader delle Giacche Bianche, Yamori, il cui kakouh ora era stato imprigionato nell’anima della falce che Suzuya utilizzava come quinque.

Maligno o meno che fosse il commento del coordinatore dell’operazione, non sortì nessun effetto sull’umore di Juuzou. Come prima di ogni sortita, era stabilmente euforico. Non faceva altro che guardarsi attorno con i grandi occhi amaranto, sbattendo i pesanti stivali contro il manto stradale, mentre canticchiava un motivetto allegro, ma con intonazione funerea.

Hanbee ci aveva messo due ore a convincerlo che scendere nelle fogne in ciabatte non sarebbe stato saggio, ma alla fine lo aveva comprato con due stecche di liquerizia.

«La formazione che adotteremo oggi sarà quella  frontale standard», stava nel frattempo spiegando Nakarai ai membri della squadra. Il biondo si stava sistemando i guanti neri,  tenendo a terra, ai suoi fianchi, le sue due valigette. «Appoggeremo le iniziative del caposquadra e, in caso di attacco dato da molteplici nemici, io e Masa copriremo il lato sinistro del caposquadra, mentre Tamaki e Mikage il destro. Abara…. Abara tu tieniti sempre vicino a me.» Lo stangone moro arrossì lievemente, mentre Aiko ridacchiava piano, accarezzandogli piano il braccio a mo’ di consolazione. Nakarai non sapeva proprio farci con le persone.

«Possiamo rompere i ranghi? Quell’albero laggiù merita la mia ultima pisciatina prima della discesa negli inferi.»

«Sei un essere ripugnante.» Nakarai aveva storto il naso, rassegnandosi a Tamaki e alle sue solite uscite colorite. «Rompete pure quello che volte, ma rimanete in zona. Abara, vieni con me. Studiamo di nuovo la mappa del condotto fognario. Mi serve la tua memoria.»

Aiko aveva guardato Mizorou e Mika allontanarsi per liberare le rispettive vesciche, ma aveva concordato con se stessa che non era esattamente il tipo di scena a cui si sarebbe voluta sottoporre prima di una missione così rischiosa. Non sapeva chi si sarebbe trovata di fronte, fra le Facce di Cuoio e Aogiri. Sperava di non avere nessun contatto diretto con Enoki, in ogni caso. Non aveva indossato un casco dopo tanto tempo a caso. Era pronta a ucciderlo nel minor tempo possibile, conscia che se avesse anche solo detto una parola, allora l’avrebbe certamente condannata. Per questo non riusciva a placare un leggero tremore alle mani. Aveva paura e sentiva ancora lo spettro si Nakarai appoggiato sulle spalle, nonostante il biondo avesse allentato la presa. O le avesse fatto così credere.

Non aveva contattato Tatara per domandare chi avrebbe dovuto incontrare il Ripper quella sera. La paura di venire scoperta dal partner biondo, dopo che questi aveva messo sotto controllo anche le reti telefoniche, la ossessionava. Non sapeva niente di quel che sarebbe avvenuto fra i ghoul, ma di una cosa era certa: non sarebbe stata una conversazione pacifica. Né una qualche sorta di contrattazione amichevole.  

Nessuno lascia Aogiri.

Punto.

«Ei, Mucchan. Non pensavo ci foste anche voi.»

Il fantasma di quello che un tempo era il sorriso di Mutsuki Tooru le si mostrò di fronte quando il giovane si fermò, facendo cenno a Yogi che li avrebbe raggiungi subito. Masa salutò la ragazza bionda, adocchiando anche Hachikawa, che di lato al furgone delle operazioni tattiche, stava parlando con Marude e Yoshitoki Washuu. «Nemmeno noi sapevamo di esserci. Siamo appena stati chiamati all’ordine, copriamo la squadra S3 per qualche ora.»

Aiko corrugò la fronte. «Arima non arriverà subito? Perché? Avevano dato disponibilità immediata.»

Il ragazzo dai capelli verdi scrollò piano il capo, «Non ne ho idea. Come stai, piuttosto? Sei con Suzuya, ora.»

Non avevano parlato dal suo trasferimento e Aiko si rese improvvisamente conto del fatto che per i Quinx, Tooru stava pian piano diventando un estraneo. Sì, per i Quinx. Perché lei si sentiva ancora parte di quel team, al contrario del ragazzo di fronte a lei. «Mi trovo bene», gli rispose senza mentire. Anche Nakarai aveva aspetti positivi, dopotutto. Le stava insegnando molto sugli appostamenti e la allenava a dovere. Il resto del team era meraviglioso e lo spirito di unione era tangibile in ogni singola attività che svolgevano in casa. «Sono più puliti dei Quinx. Ma anche più chiassosi. Non lo avrei mai detto.»

Tooru sorrise di nuovo. «Suzuya-senpai, da solo, sa essere molto rumoroso.»

«Sto andando a salutare i ragazzi e Urie, vuoi unirti?», gli chiese, facendo cenno col capo dietro di sé, dove la QS aveva occupato una panchina e un pezzo di marciapiede.

Mutsuki alzò gli occhi verso di loro, ma poi li riabbassò subito. Ad Aiko non sfuggì il modo in cui strinse il pugno. «Scusami, Macchan. Devo assolutamente raggiungere il prima classe Hachikawa. Dobbiamo parlare della nostra strategia.»

Masa comprese che non era il caso di insistere. «Capisco. Allora ci vediamo dall’altra parte della fognatura.»  Si sporse, dando al ragazzo un veloce abbraccio che venne ricambiato. Poi si staccarono e presero due strade opposte.

Aiko raggiunse i Quinx o almeno ci provò. Higemaru le fu addosso in due secondi, iniziando già a lamentarsi del fatto che in quelle due settimane nella squadra Suzuya non si era fatta più vedere allo chateau. «Sto lavorando parecchio», si scusò lei, venendo investita due secondi dopo da Saiko, con la stessa identica lamentela e la fisicità più sostenuta di quella del ragazzino.

«Sei terribile! Come Mucchan! Siete due mostri!»

Aiko roteò gli occhi verso il cielo, con un sorrisetto divertito, mentre appoggiava la mano fra i codini del vice caposquadra in carica della QS. «Il mio asilo personale», sussurrò a mezza bocca, beccandosi non una, ma ben due occhiate indignate. Fece un cenno di saluto anche ad Aura e Hsiao, che ricambiarono. Lesse qualcosa negli occhi della taiwanita di poco tangibile, ma quando poi le sorrise chiedendole come stava, lasciò perdere quell’ennesima paranoia. «Non mi lamento. Sto in avanguardia

«Anche noi», disse Urie, seduto sulla panchina accanto a Shinsampei. Aiko gli schioccò un’occhiata poco gentile visto che non si era nemmeno alzato per salutarla. «Scenderemo insieme e avanzeremo fintanto che potremo.»

«Se avrai fortuna incontrerai di nuovo Labbra Cucite e potrai prenderti la tua rivincita», lo stuzzicò la mora, lasciandosi cadere accanto a lui sul legno. Buttò indietro il capo, sentendo l’elmetto scivolare di pochissimo e tirarle contro il mento. Tenne gli occhi sulle stelle mentre passava il braccio oltre le spalle di Kuki, che cercò di ritrarsi inutilmente. Aura lo bloccava lì dove stava. «Oh, ti ho offeso? Pazienza, sei solo più carino quando fai quella faccia. Mi ricordi un gattino

«Labbra Cucite deve sperare di non incontrarmi mai più», brontolò Urie, impossibilitato a ritrarsi, mentre Masa gli prendeva il naso tra pollice e indice. Non poteva nemmeno ficcarle le dita fra le costole a causa della divisa da battaglia. «E tu non sfidare la mia pazienza. Sto cercando di trovare la concentrazione giusta per il momento.»

«Va bene che dobbiamo scendere nelle fogne, ma se dici così sembra quasi che tu debba usare il bagno.»

«Aiko…»

«Sì, amore

Aura si alzò in fretta. Masa pensò a quanto le mancasse tutto ciò.

«Aiko

«Saremo sotto terra, incanalati in un reticolo fognario paragonabile solo ad un labirinto di escrementi e acqua di scarico, nel quale sarà difficile usare il kagune per loro come per noi. È una missione molto rischiosa, Cookie, e la percentuale di perdere metà dei nostri uomini, dato che non sappiamo il numero dei nemici, è del quaranta per cento. Lasciami divertire finché posso.»

Kuki la guardò negli occhi dorati, notando una leggera venatura di inquietudine trapassarle le iridi. Non aveva mai visto la paura sul volto della giovane prima di una missione, ma sempre molto ferma nella sua posizione. «…Sembri preoccupata. Cosa ti spaventa?»

«La mancanza di informazioni», ammise lei, levandosi un guanto per passarsi la mano fresca dietro al collo. «Mi sembra di essere tornata alla mia prima grossa missione, quella di sgombero di una sede di Aogiri nella undicesima. Sembrava una operazione come tante altre, ma alla fine ci siamo ritrovati di fronte Aogiri al completo e il Gufo col Sekigan, perdendo il cinquanta percento degli effettivi e riuscendo solo a uccidere un solo capo, Yamori delle Giacche Bianche. Questa situazione…. Mi ricorda quella notte. Non sappiamo chi c’è lì sotto. Non sappiamo se ci sono tutte le Facce di Cuoio, circa una ottantina di ghoul incazzati. Poi parliamo di nuovo di Aogiri. Se è Labbra Cucite ad aver chiesto un incontro con un suo ex collaboratore che ora vuole fare a pezzi, di quanti uomini dispone? O magari è solo lei?»

Higemaru, che stava palesemente origliando la conversazione, si voltò verso l’ex partner. «Solo lei? Contro tanti nemici? Non potrebbe mai vincere.»

Aiko scrollò le spalle. «Possiamo dirlo con certezza? Non abbiamo mai visto il suo kagune. Potrebbe essere anche un livello SSS, come il Gufo.»

«Potrebbe essere lei stessa il Gufo», sostenette Urie stesso, stringendo la mano sulla katana così forte da far stridere l’impugnatura. «Il liquido secreto dal kagune è una prova, per non parlare del fatto che tu una volta dicesti a Mei che per te era una donna. Io mi sto convincendo di questa teoria.»

«Tutto è possibile. Ormai non riesco più a star dietro a questi sviluppi. Sto diventando troppo vecchia per tutto. O forse non dovevo accasarmi, è una fonte continua di distrazione questo bel faccino che ti ritrovi, Cookie.»

«Aiko, piantala.»

Per sdrammatizzare e deviare il focus di un discorso che infondo aveva tirato fuori lei stessa, Aiko sospirò apertamente, ritraendo il braccio da dietro le spalle dell’altro. «Io ero  venuta qui sperando in una sveltina pre-battaglia.» Saiko esplose a ridere con Higemaru, di fronte a quella spiazzante sincerità, mentre Aura fingeva di guardare qualcosa sul telefono e Hsiao scuoteva piano il capo, guardandola divertita e rassegnata, in un misto di emozioni. Urie trasalì, orripilato. Aiko rise di fronte a quell’espressione. Sembrava Anacleto della Spada nella Roccia. «Non ti ho chiesto di mangiare un bambino.»

«Hai la minima idea di quanto tempo occorra per sfilare e infilare questa divisa? La stessa che hai addosso anche tu?»

«…. Ah sì, dimenticavo che essendo tu quello dotato di vagina, avresti dovuto spogliarti. Io invece posso così facilmente estrarre il mio pene.»

Contando che Higemaru aveva quasi rischiato il soffocamento da saliva, Aiko decide di chiudere lì la serata. Si alzò, stirando le braccia verso l’alto, prima di guardare di nuovo Urie.

«Non ti chiedo nemmeno un bacio di addio, allora.»

«Addio? Non mi libererò mai di te.»

«Probabile. Allora ci vediamo di sotto.»

Gli concesse un mezzo sorriso, un cenno e poi tornò verso la sua squadra.

Lasciandolo alle sue spalle con una brutta sensazione ad annodargli le viscere.

 

 

«Che schifo di posto. Dovevo dar retta a mio padre e diventare un dottore!»

Tamaki sollevò di poco la valigetta, controllando che l’acqua ristagnante del condotto fognario nel quale stavano camminando non l’avesse sporcata. Di fianco a lui, Mikage sorrise leggero. Non fece comunque in tempo a rispondere con qualcosa di divertente sulla sorte che gli astri decretano per ogni uomo, perché Nakarai li zittì con lo sguardo, prima di rivolgersi a Suzuya. «Cosa facciamo ora?»

Avevano perso la cognizione del tempo per il tanto camminare, finendo poi per ritrovarsi ad un bivio non previsto. «Siamo andati troppo verso sud», informò tutti Hsiao, controllando il dispositivo che teneva sul polso e settando la localizzazione gprs sul luogo in cui erano capitati.

«Non è uno svantaggio», si inserì nel discorso Abara, serio e rispettoso, «Possiamo provare ad aggirarli. Se mi ricordo bene, prendendo entrambe le direzioni possiamo incontrare delle diramazioni che ci porteranno a circondare i due gruppi di ghoul. Sempre che le informazioni che abbiamo siano ancora attendibili e i ghoul non abbiano avuto un cambio di piani improvviso.»

«Speriamo che nessuno sia arrivato in ritardo alla festa, allora.» Aiko si grattò sotto al mento, sistemando il laccio del casco, prima di schioccare la lingua. «Quindi una squadra a destra e una a sinistra?»

«Quanto è saggio separarsi?», chiese Urie a quel punto, con entrambe le mani appoggiate agli spallacci della tuta antisommossa, mentre spiava entrambe le direzioni che conducevano verso un’incerta oscurità. «Non possiamo sfruttare il nostro olfatto qui sotto. Non possiamo essere certi che una delle due squadre si ritroverà da sola contro gli ostili.»

«Avete un kagune, giusto? Se avremo bisogno di supporto, fate un buco nel manto stradale e raggiungeteci. Noi faremo lo stesso. » Nakarai lanciò uno sguardo di intesa a Masa, la quale alzò il pollice in risposta.

«Da sopra è più semplice raggiungere un punto di ritrovo», calcolò Tamaki, mentre teneva d’occhio Suzuya, tutto preso dal canale di sinistra. «Qui sotto rischiamo solo di continuare a girare attorno come una comitiva di turisti cinesi. Separarci è la soluzione migliore anche per lei, caposquadra?»

Juuzou parve addirittura pensarci su, con l’indice puntato verso il mento e gli occhi rovesciati verso l’alto. Poi annuì, «Sì», confermò, dando quindi un ordine diretto in quanto agente di classe superiore fra tutti i presenti. «Restiamo in contatto radio con Urie in ogni caso.»

«Non fate gli eroi e se succede qualsiasi cosa attaccatevi alla frequenza due», Aiko allungò la mano per stringere quella di Hige, che le aveva camminato accanto per tutto quel tempo. «Ci rivediamo dall’altra parte.»

«Siate prudenti anche voi», si assicurò di dire Kuki, guardando verso Aiko.

Lei però si era già voltata, seguendo il suo capo nell’oscurità illuminata solamente dai sottili fasci di luce delle torce. Non perse tempo e imboccò il canale di destra.

«Orecchie aperte, Quinx.»

Vediamo di non fare la fine del topo.

 

 

Quando l’ultimo membro delle Facce di Cuoio rimasto indietro venne trafitto dal suo kagune, Urie poté concedersi il lusso di abbassare di poco la guardia.

Il Ripper gli era scappato da sotto al naso insieme a una manciata di fedeli, lasciando il resto dei suoi uomini al macello. I Quinx aveva risolto il problema da soli, trovandosi di fronte solo ghoul di bassa lega, nemici facilmente affrontabili per loro. Senza contare che a quanto poteva sentire dalla trasmittente, ogni qualvolta veniva aperto il canale, la squadra Suzuya era impegnata con Aogiri.

Avevano preso i due gruppi prima dell’incontro e anche se ancora era sconosciuto il boss della cellula terroristica che si era scomodato per arrivare fin là sotto, loro avevano trovato Seto quasi subito. Il Ripper però aveva ben pensato di provare a guadagnare terreno.

«Tiene parecchio alla sua vita», aveva sottolineato con sottile sarcasmo Saiko, mentre piegata sulle ginocchia ricaricava le energie, pronta a lanciarsi nuovamente in azione.

«Come tutti noi, del resto», aveva risposto Urie a denti stretti, insoddisfatto per quella sua mancanza, ma determinato a porvi rimedio. «I condotti qui si stringono. Hanno scelto una strada più insidiosa e i kagune non saranno poi così utili. Hsiao, io e te continueremo ad attaccare utilizzando i nostri kokakou mentre Saiko prepara il colpo definitivo per mandare all’altro mondo quell’essere.»

Higemaru scambiò uno sguardo con Aura, prima di sporgersi in avanti e parlare. «Noi cosa facciamo, invece?»

«Ripiegate», fu la sola risposta del caposquadra. «Il tuo bikakou non ci è utile qui e Shinsapei ti farà da scorta fino al primo tombino. Uscite fuori e se serve date supporto alle squadre di superficie. Non vogliamo farne scappare nemmeno uno.»

«Ci mandi indietro, caposquadra?»

Urie osservò molto attentamente la delusione sul volto dei suoi uomini, riconoscendo su di essa la stessa che aveva provato lui mesi prima, quando Sasaki lo aveva incaricato della salvaguardia di Mutsuki durante l’operazione alla casa d’aste. Allora non aveva capito l’importanza di quel ruolo e aveva rischiato grosso. Anche i suoi uomini non lo avevano capito, così si avvicinò di un passo, decidendo però di fare in fretta per evitare di dar troppo vantaggio al fuggitivo. «Vi sembrerà un’ingiustizia, ma non c’è vergogna nell’eseguire gli ordini. E il vostro è ripiegare. Ora andate e non fate sciocchezze.»

«Usate questo», Hsiao passò loro il trasmettitore gprs, allacciandolo al polso di Higemaru. «Farete prima.»

Non ci furono altre parole di affrancamento. I due giovani rimasero soli e sconsolati. Solo il rumore dell’acqua stagnante poteva vagamente coprire la loro delusione.

«Torniamo, allora», sussurrò sconfitto Higemaru, con addosso la sensazione di totale inutilità.

Aura però non si mosse. Gli prese il polso e controllò la posizione degli altri. I localizzatori erano in tutto otto e mentre uno era rimasto a Urie, due li avevano Nakarai e Suzuya. «Se prendiamo questo condotto possiamo almeno provare a dare supporto agli altri.»

«Ma il caposquadra ha detto-»

«Ha detto di ripiegare. Non ha detto di tornare indietro.»

«…Non sono sinonimi?»

Aura spiò l’amico da sotto la frangia nera. «No se, ripiegando, possiamo aiutare contro Aogiri. Nemmeno tu vuoi uscire fuori, no? Dimostriamo il nostro valore così. Non è come se stessimo disubbidendo agli ordini.»

Il giovane dai capelli pervinca parve indeciso. Poi però la voglia di dimostrare il suo valore vinse la ragione.

«Andiamo.»

 

 

«Sulla destra!»

Tamaki si abbassò appena in tempo, schivando un kokakuo che aveva rischiato di mozzargli di netto il capo dal tronco. Girò la spada con un movimento circolare, roteando il polso e andando ad appoggiare il palmo della mancina sull’elsa per affondare al meglio il fendente, ma un altro kagune, di un brillante viola e blu, sbucò dal centro del petto del ghoul  che lo fronteggiava.

Quando venne ritratto, Masa lo guardava da almeno dieci metri di distanza.

«Prego!», fu tutto quello che gli disse, prima di usare la valigetta intera, ancora chiusa, per colpire il cranio di un ghoul. Lo fece cadere a terra, guardando la ferita che buttava fuori sangue e la maschera mortuaria rotta, prima di ficcargli la punta di uno degli otto tentacoli che aveva estratto direttamente al centro del volto, creando una grottesca voragine.

«Quanti sono?», domandò scocciato Nakarai, incrociando Destra e Sinistra per bloccare un colpo. Masa lo guardò strisciare indietro di un paio di metri, prima di lanciarsi contro l’avversario, non dandogli nessuna chance. Nel combattimento, Nakarai era secondo solo al classe speciale Suzuya. Non sembrava nemmeno si stesse impegnando, né i suoi capelli si erano spettinati.

«Ne arrivano in continuazione», confermò Abara che, al contrario, si era dovuto appoggiare alla parete del condotto fognario, ansante. Mikage gli fece da copertura, mentre recuperava le energie. «Stiamo avanzando troppo lentamente e abbiamo perso il classe speciale.»

Aiko infilzò tre crani contemporaneamente, gettando di lato i loro corpi con non curanza, mentre allungava gli occhi, uno umano e l’altro orribilmente modificato dalla mutazione, lungo il canale di scolo. «Non lo sento più.» Juuzou era sparito da un pezzo, troppo veloce per loro, in cerca del capo di Aogiri che lì sotto non avrebbe avuto possibilità contro di lui.

«Non possiamo fare niente, se non rincorrerlo.» Nakarai, che aveva dato il colpo di grazia all’ultimo dei ghoul che non avevano avuto la premura di disperdersi, pulì le lame in una delle loro mantelle violacee. «Aiko, non senti nemmeno il suo odore?»

«Negativo. Profumarlo con quella boccetta di dopobarba non è servito a niente. Le acque fognarie coprono qualsiasi cosa.»

«E anche stavolta la merda ha vinto», sospirò rammaricato Tamaki, appoggiandosi alle ginocchia. Bistecca era stata infilzata in un tronco senza più capo e arti che era passato troppo vicino al kagune di Masa. «Un secondo solo per respirare, vice leader.»

«Niente da fare, primo livello. Dobbiamo raggiungere il nostro capo.»

«Ma Keijin, non ci vedi? Ci serve un secondo

Mikage si era inserito nel discorso senza cattiveria. L’aveva guardato negli occhi, ricordando al giovane vice leader che non erano invincibili. Che necessitavano anche loro di riprendersi dopo uno scontro frontale ravvicinato.

Il biondo aveva amaramente accettato, controllando la posizione di Suzuya e mostrandola anche ad Aiko, che aveva presto rinunciato al casco e si era accostata a lui con i capelli spettinati. «Non lo recupereremo mai.»

«Nemmeno nei nostri sogni. È a un chilometro e mezzo da qui. Forse si starà già scontrando con il boss di Aogiri.»

La mora sospirò, sconfitta. Poi passò gli occhi su Mikage che stava porgendo ad Abara un rotolo di bende, che questi utilizzò subito per fermare una piccola ferita che aveva sul suo fianco e prevenire così potenziale infezioni batteriche. Era stato colpito e non se ne erano nemmeno accorti. Qualcosa di lieve, grazie al cielo. La squadra Suzuya era forse la migliore del dipartimento. Magari seconda solo alla S3 di Arima. Però erano comunque esseri umani e Aiko non si spiegava come facesse Nakarai ad essere ancora così in forma. Forse era solo una recita, la sua. Si sarebbe volentieri seduto da qualche parte, ma non avrebbe aiutato l’umore generale.

Lei stava ancora bene, nonostante tutto. Il vantaggio di essere un Quinx stava anche sulla durata, soprattutto i rinkakou potevano essere molto resistenti se non avevano mosse particolarmente potenti come quelli di Saiko. Un pensiero le attraversò la mente. La mora fece l’errore di pensare agli altri .

Poi l’auricolare nel suo orecchio destro gracchiò e non portò buone notizie.

-Qui Higemaru Touma. Io e il primo livello Aura chiediamo rinforzi immediati!-

-Cosa succede, Higemaru?-, rispose nell’immediato Urie. Masa portò una mano alla trasmittente, per sentire meglio.

-Stiamo ingaggiando un combattimento con il livello SS Tatara. Necessitiamo di supporto ora!-

-Cosa hai detto?!-

«Cazzo!», Aiko alzò una mano, stringendosi le ciocche corte sulla nuca con la mano coperta dal guanto. Tatara. Di tutti i galoppini di Aogiri che potevano trovarsi di fronte, proprio lui? E perché Higemaru?

Strinse gli occhi, cercando di pensare velocemente a una soluzione.

-Siamo a circa due chilometri e mezzo da voi! Stiamo ritornando indietro. Cercate di scappare!-

-Non possiamo! Siamo con le spalle al muro e-

-Hige!-

«Higemaru!», Aiko coprì con la sua voce quella di Urie, attaccandosi a sua volta alla trasmittente. «Dannazione», si voltò verso Nakarai, che la guardava con l’incertezza nello sguardo scuro. Fu però questione di due secondi. «Devo andare», buttò fuori senza pensare la mora, recuperando la valigetta e muovendo un paio di passi verso di lui.

Il superiore annuì senza remore, guardando il gprs, studiandolo accuratamente, prima di fissarlo al polso di Aiko. «Salvali.»

Masa non attese altro. Osservò l’oggetto e fece due calcoli mentali,  alzando quindi il capo verso l’alto. Bucò ogni tubo, ogni oli condotto, ogni strato di terra e ogni strato di centimetro o asfalto, aiutandosi con più di un tentacolo, fino a creare una voragine nella quale si sollevò.

Quando sbucò sulla Tokyo addormentata, si trovava proprio al centro di un incrocio, a quattrocento ventidue metri dal suo Laoshi e i suoi sottoposti.

 

 

La prima volta che aveva parlato con Eto riuscendo a guardarla negli occhi era stato molto tempo dopo l’inizio della sua formazione come kohai di Tatara.

Non si era nemmeno resa conto di come fosse accaduto, ma la Bambina con le Bende era passata dall’essere la sua aguzzina alla sua salvatrice; prendeva le sue parti quando Tatara esagerava nell’arguirla, le curava i lividi e le ferite quando terminavano gli addestramenti e il corpo di Masa non era ancora predisposto ad autorigenerarsi e le permetteva di fare insieme il bagno. Fu proprio mentre erano entrambe immerse nella vasca che Aiko lo notò lontano, su uno scaffale di legno, poco distante dal mobiletto che custodiva gli asciugamani puliti. Era un libro piccolo e dall’aria malconcia. La copertina flessibile di un grigio opaco era usurata dalle molte volte che era stato letto e riletto.

«Tutt’oggi non sono ancora riuscita a scrivere qualcosa di così personale come quel libro», aveva ammesso il Gufo con tono basso, mostrando ad Aiko qualcosa di nuovo: incertezza. «Leggilo, ti prego. Fallo per me e usalo in futuro per aiutare te stessa. Buttare fuori quelle parole che mi bruciavano le vene come veleno ha aiutato me.»

 

Eto…

Fu tutto ciò a cui Aiko riuscì a pensare quando spaccò nuovamente l’asfalto e il sottosuolo fino alla camera stagnante in cui Higemaru cercava di tenere indietro Tatara, trascinando con sé il corpo mutilato di Shinsanpei.

Eto…

Fu tutto ciò a cui Tatara riuscì a pensare quando alzò gli occhi e vide un kagune fatto di tentacoli dei toni del verde e del blu vibranti e pieni di venature viola che pulsavano vive piovere dal cielo. Non aveva bisogno di sapere a chi appartenessero, aveva già riconosciuto l’odore della sua discepola, la quale in quel momento lì, di fronte a lui, e li aveva chiusi insieme in una gabbia di cellule rc in movimento da lei stessa creata.

 

Si guardarono ed entrambi capirono.

 

Aiko lanciò uno sguardo a Higemaru, scontrando gli occhi con i suoi macchiati di lacrime. Non lo sentiva, ma la stava chiamando. Non fece niente se non sorridergli, prima di tornare a voltarsi verso il suo Laoshi. Appoggiò a terra la valigetta, sganciandola ed estraendo Inazami, che puntò contro il ghoul bianco.

L’uomo che le aveva iniziato come maneggiare le armi e difendersi ora avrebbe visto da sé i frutti del duro lavoro di quegli ultimi tre anni.

Eppure, per quanto dolore le avesse causato, la feriva l’affrontarlo così.

Si sentiva una ingrata, per certi versi.  

«Affrontami, Tatara.»

L’albino chiuse gli occhi un istante.  Poi li spalancò accettando il suo volere.

Una fiammata spezzò il buio di cunicoli, irrorandoli di luce viva e spezzando i legami delle cellule rc che li tenevano isolati dai due agenti più giovani. Con le braccia, Aiko si schermò il viso, sentendo l’aria farsi incandescente.

Poi spostò il peso sul piede che teneva indietro rispetto all’asse del bacino e si diede lo slancio, verso il centro di quel calore, con la lancia stretta nelle mani.

 

“Quanto non può essere cambiato può solo essere distrutto. Per me è così. Io che ho lasciato tutto il necessario dentro il grembo.”*

 

Dì addio ad Eto da parte di una miserabile che non può cambiare, Laoshi.

 

 

Urie sentiva il sangue battergli contro i timpani per quando stava correndo. Ogni strada che prendevano si rivelava alla fine un vicolo cieco. Dovevano quindi tornare indietro, riprendere un altro cunicolo e tentare la sorte, dal momento in cui il gprs non funzionava più come prima e perdevano costantemente i contatti.

«Komoto!», ringhiò il capo della QS nella trasmittente, che diede anch’essa cenno di cedimento quando una interferenza gli fece quasi perdere l’udito nell’orecchio destro.

“Sto cercando di sistemare il bug!”, fu la difesa del tecnico che, a giudicare dal tono affannato, stava cercando davvero di garantire la funzionalità del satellite agli agenti.

-Cerca di fare in fretta-, lo riprese anche Marude, con tono rude come suo solito.

Persino Yoshitoki sembrava avere premura, dal momento che stava perdendo la sua proverbiale pazienza. –Primo livello Urie, la situazione attuale?-

«Stiamo cercano di raggiungere i miei uomini, signore!»

-Higemaru e Aura, ci ricevete?-, domandò il direttore del dipartimento, non ricevendo risposta se non un fastidioso brusio di interferenza in sottofondo.

 –Komoto!-, Fu l’ennesimo urlo spazientito di Marude. –Devo tornare in sede e farlo da solo?!- chiese a denti stretti, furioso e ben consapevole che non avrebbe cavato un ragno dal buco se non ci stava riuscendo nemmeno il tecnico.

“Ci sono troppi sistemi all’attivo e io sono uno solo! Posso sistemare prima le trasmittenti o prima il satellite, signore!”

-Occupati delle comunicazioni, poi del satellite.-

Urie sentì un brivido freddo scendergli lungo la schiena, come se qualcuno gli avesse appena buttato dell’acqua gelida dentro al colletto della divisa antisommossa. «Come facciamo a trovare gli altri, signore?!»

Yoshitoki si mise in contatto diretto con lui, -Cercherò di indicarvi io la strada. I miei sistemi sono tutti operativi. Procedete per altri duecento metri verso nord e poi girare a destra e-

-Qui Higemaru!-

Qualcosa di vagamente simile al sollievo si dipinse sul volto dei tre Quinx. Saiko precedette il leader. «Hige, dove siete?», chiese affannosa, cercando di tenere il passo agile di Urie e Hsiao.

-Non lo so, ma Aiko si sta scontrando con il livello SS Tatara e dovete venire qui subito!-

Urie arrestò la corsa di scatto, facendosi urtare sia da Ginny che da Saiko. «Cosa hai detto, Hige?»

-Vi prego! La ucciderà!-

«Urie dobbiamo correre!»

-Primo livello procedi verso nord ancora per centosettantatrè metri. Vai a dare sostegno al primo livello Masa.-

«Caposquadra! Non possiamo fermarci ora!»

‘Dovremmo farlo davvero, sai? Partire per Parigi, andarcene. Abbandonare tutto. Se non lo facciamo ora, finiremo come Orihara, come Osaki e come tuo padre. Come Shirazu. Io non voglio morire su un campo di battaglia prima di capire chi davvero voglio posso diventare’

Le voci attorno a lui e nel suo orecchio finirono con il coprirsi e fondersi in un unico ronzio indefinito nel momento in cui di fronte a Urie tornò a riproporsi quella scena. La pelle bianca delle spalle e della schiena di Aiko, il lenzuolo a coprirle i fianchi, gli occhi gialli prima fissi nei suoi e poi sempre più lontani, verso un luogo e un tempo che lui sentiva di non poter raggiungere…

Uno schiaffo in pieno viso lo fece ritornare in sé all’improvviso. Lo fece anche sbilanciare di lato e si stupì di come Saiko avesse fatto, con la sua statura, a colpirlo con così tanta determinazione.

«Dobbiamo andare!», gli urlò in pieno viso. «Aura è ferito, Higemaru è spaventato e Macchan sta combattendo da sola contro quel mostro! Non è questo il momento per farsi prendere dal panico.»

Un tremolio leggero agli arti fece capire a Urie che sì, si era lasciato prendere dall’ansia. Non gli era mai capitato. Non a quel modo.

Sarebbe arrivato e avrebbe salvato tutti.

Non avrebbero più perso nessuno.

Scrollò il capo, come per ridestarsi da un torpore e poi si portò la mano all’orecchio.

«La direzione precisa, direttore. Mi dia indicazioni che non posso fraintendere.»

-Va bene primo livello. Avanza diritto fino a che non sarò io a dirti di prendere un altro canale sulla destra.-

Sarebbero arrivati in tempo.

Dovevano.

 

 

 

"Per quanto si possa tappare un buco aperto, non cambia il fatto che un buco c'è."*

Quella era stata la frase della nuova versione riscritta da Eto del sommario di ‘Dear Kafka’ che aveva maggiormente colpito Aiko.

Eto era ciò che si era plasmato per non essere distrutto, mentre lei era alla costante ricerca di qualcosa che potesse arginare la voragione dentro al suo petto.

Aogiri, il ccg, i Quinx, la sua famiglia, Kuramoto, il dovere, la diciannovesima, le Facce di Cuoio e Kenta.

Tatara

Urie.

Eto.

Erano tutti piccoli tappi di sughero che si erano impregnati di sangue, giorno dopo giorno, dilatandosi e riempiendo finalmente e a fatica il vuoto che la invadeva e divorava dall’interno.  In loro riusciva a vedere una famiglia, delle certezze, l’amore, l’affetto e la riconoscenza che le erano state negate dai suo parenti di sangue.

Il castello su cui però aveva costruito il suo rifugio sicuro era però fatto di carte da poker impilate ed era bastato un vento contrario a farle crollare tutte a terra, miseramente.

 

Tatara la teneva per i capelli, chino su di lei. Il corpo di Aiko era abbandonato a se stesso, come una bambola di pezza tenuta insieme da corde sottili e fragili.

L’osso del radio fuoriusciva grottescamente dal suo avambraccio, bianco in modo sorprendente.  Le gambe, anch’esse fratturate in più punti, non la sostenevano più. Il solo braccio ancora intatto non aveva la forza per afferrare il polso dell’albino e cercare di liberarsi. Per di più, l’ustione che le sfigurava il volto e la spalla sinistra aveva reso la pelle lucida, facendole perdere l’elasticità. Tutto quello che Aiko vedeva era la chiazza del suo stesso sangue che imbrattava il ginocchio che il Laoshi teneva appoggiato al pavimento. Non riusciva nemmeno a compiere lo sforzo necessario per guardarlo con occhi pieni di compatimento.

Se fosse riuscita a sconfiggerlo almeno gli avrebbe dimostrato di essere forte. Che l’aveva allenata bene. Invece lui non si era nemmeno dovuto impegnare per renderla al pari di un grumo sanguinolento di nervi scoperti che ormai non facevano nemmeno più male. Il suo cervello doveva aver staccato ogni collegamento per evitarle uno shock mortale.  

Non aveva le forze nemmeno per rigenerarsi.

Era praticamente morta quando l’albino la lasciò cadere sul fianco per bloccare un attacco di Higemaru, l’ennesimo, mirato a salvarla.

Non farlo, Hige. Non serve a niente. Non contro di lui.

Doveva sembrare patetica, miserabile.

Era finita KO in così poco tempo da arrivare a chiedersi perché ci avesse anche solo provato. Lui era il suo maestro e lei ne conosceva la forza, eppure aveva scelto di difendere Hige e Aura.

Avrebbe potuto lasciarli a lui, nessuno lo avrebbe mai saputo. Eppure qualcosa era scattato dentro di lei. La sensazione di dover difendere la sua famiglia. Ciò che i Quinx erano stati per quei mesi e perché no, persino quei nuovi arrivati.

Higemaru era il suo kohai. Il primo.

Avevano lavorato gomito a gomito ogni giorno per mesi.

Gli aveva insegnato quello che sapeva prima di lasciarlo per inseguire qualcosa di stupido e puerile. Cosa sperava di ottenere, andandosene dalla QS? Pensava davvero che avrebbe mai potuto sposarsi, avere una famiglia e vivere bene?

Pensava davvero di poterlo fare senza dover prima uccidere Labbra Cucite?

Appoggiò il palmo della mano ancora utilizzabile a terra e fece perno per sollevarsi. L’occhio che era stato risparmiato dalla violenza delle fiamme osservò Hige cadere a terra, esausto.

Sentì il cuore spaccarsi e si chiese se anche Tatara provasse qualcosa, in quel momento.

Se anche lui avesse voluto salvarla. Se forse stesse cercando di uccidere in fretta quei due testimoni scomodi per poi portarla via.

No. Non poteva nemmeno accettare l’idea di quella possibilità.

E poi non importava.

Non importava più perché di secondo in secondo la vista si annebbiava. Presto non avrebbe più visto nulla se non il buio eterno.

Poteva solo dare tutto ciò che le era rimasto.

Così concentrò le sue forze vitali sul kakuo, riuscendo ad estrarre il kagune che andò a ficcarsi al centro del petto di Tatara, impedendogli così di ferire ulteriormente Hige.

Era la mossa finale, però.

Il sipario che cala su una tragedia senza applausi di accompagnamento, ma solo un eterno silenzio.

Il kagune rosso vivo calò su di lei, ficcandosi nella sua schiena.

Non riuscì nemmeno a gemere e solo l’urlo straziato di Touma accompagnò quell’atto.

Sentì qualcosa di lei spezzarsi in modo definitivo, non recuperabile.

La sua colonna vertebrale divenne come farina sotto una macina.

Ma essa non fu la sola cosa a rompersi.

Tossendo con forza, Aiko vomitò sangue, scivolando di nuovo a terra, totalmente supina.

I piedi di Tatara si stavano nuovamente avvicinando a lei, ma li vedeva a mala pena. La terra pareva tremarle sotto mentre la luce diminuiva.

Alla fine, gli occhi le si chiusero e con un ultima espirazione svuotò la gabbia toracica.

 

 

«Aiko!»

Higemaru gridò così forte da sentire la gola in fiamme.

Stava vivendo quella scena come uno spettatore esterno, lontano dal suo corpo, magari di fronte a un film drammatico dai risvolti troppo inaspettati. Il solo concepire la morte di Masa Aiko gli pareva così impossibile da mandargli il cervello in confusione.

«No, non è possibile…», bisbigliò a se stesso, mentre la figura bianca del ghoul albino si fermava a pochi passi dall’agente sfigurato, esanime sul pavimento sporco di quel condotto fognario.

«Touma, dobbiamo trovare un modo per attaccarlo ora che è distratto», lo chiamò Shinsapei alle sue spalle, cercando di raggiungerlo come poteva senza dare troppo nell’occhio. Tatara gli aveva tagliato di netto le gambe sotto al ginocchio e non poteva far nulla, se non strisciare.

«No, non è vero, non sta succedendo», con le poche forze che gli rimanevano, Higemaru si alzò in piedi. Tenne con una mano la spalla rotta, facendo appello a tutte le sue forze per guarire in fretta. «Non sta succedendo! No!»

«Hige, aiutami, dobbiamo attaccare ora», sibilò di nuovo il moro, inarrestabile, attaccandosi con la mano ai pantaloni scuri dell’altro per tirarlo e farlo voltare verso di sì. Non servì a niente però. Higemaru non lo sentiva.

«NO!», la kagune di un giallo dorato uscì dalla parte lombale della schiena del ragazzo pervinca, sibilando come la coda di un serpente a sonagli.

Tatara smise di guardare la donna esamine da sopra la maschera rossa, tornando a concentrarsi su di loro. Un fuoco brillante irrorava le sue iridi sottili, indecifrabile. Higemaru non poteva sapere il perché, ma di una cosa era certo: non sarebbe riuscito a farlo fuori magari, ma avrebbe portato con sé un pezzo di quel mostro.

«TI UCCIDO!», caricò, pronto all’attacco.

Non mosse un solo passò, però.

Nessuno lo fece, quando Aiko si sollevò sulle braccia con un movimento meccanico. Radio e ulna tornano a ricomporsi nel braccio da sole e la ferita si rimarginò in fretta, mentre le unghie,  cresciute, grattavamo il cemento armato della pavimentazione.

I capelli, che ora scendevano neri come la pece sulle spalle, improvvisamente lunghi, a coprire il viso si scansarono lentamente, seguendo il movimento del capo.

Loro la videro, ma lei non pareva vedere nulla se non Tatara.

Si portò in ginocchio e stringendosi con le braccia al petto e il suo kagune esplose in un dedadalo di innumerevoli tentacoli, piccoli e veloci che andavano formandone altri più spessi per poi scomporsi di nuovo e ripetere la scena.

«Perché lo hai fatto?», chiese con tono basso e una vena persa nella voce.

Si grattò le braccia fino a strappare il tessuto della tuta, iniziando a far correre il sangue nella zona poco sotto alla spalla. La pelle bruciata del viso cadde come petali di ciliegio, lasciando spazio a quella rigenerata e lucida.

Con isteria, parlò di nuovo, rivolta verso l’albino.

«Perché, papà?!»

E le sue iridi erano entrambe di rubino, mentre fendevano l’aria come stilette amaranto in un mare nero come una notte senza stelle.

 

Continua…

 

 

 

 

Nda

 

 

*Frase tratta dal romanzo di Takatsuki Sen, Dear Kafka.

 

Scusate per questo ritardo sconsiderato, ma con l’inizio della magistrale e i primi esami, la mia vena creativa si è estinta. Non ho comunque intenzione di abbandonare questa storia. Ben che meno a questo punto della narrazione.

 

Ringrazio chi pazientemente ha deciso di continuare a seguirmi e auguro a tutti un buon natale in ritardo e un buon anno.

 

Un abbraccio.

 

CL

 

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Capitolo 34
*** Il caso Arakawa - 3 di 3 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte sesta: Il caso Arakawa.

 

 

Higemaru smise di correre a perdifiato, realizzando che quella non poteva essere la strategia migliore. Si appoggiò un istante alle ginocchia, togliendosi il sudore dalla fronte e analizzando per bene ciò che aveva attorno a sé.

I corridoi erano per lo più bui, se fatta eccezione per qualche finestra non sprangata che permetteva al sole del mezzogiorno di disegnare ombre asimmetriche sui muri di fronte ad esse e regalare quindi un quadro un po’ misero dello spazio attorno a lui.

Non era particolarmente bravo a captare gli odori, non come il leader e il vice, quanto meno. Era più portato per i rumori, ma aveva sempre la testa altrove di conseguenza tendeva a realizzare gli spostamenti con quel letale secondo di ritardo.

Anche in quell’occasione si ritrovò a voltarsi troppo tardi, ma grazie al cielo era solo un grasso ratto che da un buco nella pavimentazione salì fino al suo livello, scappando poi alla vista dell’investigatore e infilandosi in un altro anfratto.

Hige sospirò abbassando le spalle e riprendendo a camminare, questa volta lentamente. Si guardava attorno, circospetto, con il cuore a martellargli il petto per l’ansia e un buco allo stomaco. Non sapeva cosa aspettarsi di preciso, non lo sapeva mai. Detestava rimanere solo, poi. Per regolamento, gli investigatori avevano assegnato un partner o due ad ogni singola azione e così lo avevano addestrato all’accademia. L’essere solo lo stordiva, come se improvvisamente ogni suo senso si fosse del tutto spento.

Si fermò all’udire un altro suono, dietro le sue spalle. Velocemente si voltò, facendo saettare gli occhi per il lungo percorso che aveva appena compiuto e realizzando che non poteva esserci nessuno lì. Come era entrato senza farsi notare? Le finestre erano sprangate, le scale ancora lontane. Ogni porta chiusa. Qualcosa non tornava.

Era così preso dallo studiare lo spazio attorno a sé da non rendersi conto di ciò che lo sovrastava. Lenti e silenziosi, due grandi code discesero dal soffitto, appoggiandosi proprio alle sue spalle. Esse funsero da appoggio per il corpo che, sostenuto anche al soffitto, aveva preso a calarsi su Higemaru. Una lingua accarezzò le labbra rosee non emettendo però un fiato sino a che non ebbe raggiunto l’orecchio del ragazzo.

«Ti ho preso.»

Un urlo spaccò il silenzio teso, rimbombando per lo stabile vuoto. Con uno scatto, Touma si era buttato a terra, sulla pancia, cercando in qualche patetico modo di salvarsi. Non salvarsi, magari riprendersi dallo spavento!

La voce del leader gracchiò nella trasmittente. –Higemaru, non hai passato il test. Ora uscite, tocca a Hsiao e Aura.-

«N-non vale! Non abbiamo mai detto che anche i soffitti sono terreno calpestabile!»

Masa rimase ferma, a testa in già, con i capelli corti e neri che confluivano tutti in un unico punto e il sorriso divertito. Quando allungò le braccia per stirarle, la maglietta da allenamento le scivolò lungo il busto mostrando il reggiseno di pizzo nero a balconcino e facendo arrossire ancor di più l’umiliatissimo Higemaru.

«Non abbiamo nemmeno mai detto che non lo era», sostenne il primo livello, afferrando la mano la sua stessa kagune e mettendosi diritta, come se stesse danzando sui nastri dentro al padiglione di un circo. Si rimise a terra, porgendo poi la mano al povero ragazzo. «Andiamo, forza. Scommetto che nemmeno Shinsapei riuscirà a vincere contro Ginny. Appena voi maschietti avrete finito di fare le vostre figure mediocri potremmo tornare a casa per pranzo!»

«…. Non sei incoraggiante, Aiko-san.»

 

«Faccio così schifo.»

Con le mani sul viso e i gomiti sul tavolo, Touma non riusciva a guardare in faccia i suoi compagni di squadra. Alla fine Shinsapei aveva sorprendentemente ottenuto un pareggio, dato da un ambiguo stallo alla messicana fra la sua kagune e quella di Hsiao, facendo finire il povero Higemaru in fondo alla classifica dei novellini. Posto che ormai gli spettava di diritto, visto che non riusciva a scollarsi di dosso la puzza di fallimento.

Saiko lo aveva guardato da dietro gli occhioni turchesi, prima di allungare una mano. Voleva prendere quella del giovane ragazzo, ma alla fine aveva optato per la ciotola della soba ancora bollente. «Non essere così duro con te stesso, giovane padawan», disse con torno saccente. «Ascolta i consigli del tuo maestro Jedi Macchan e impara.»

Touma alzò il viso e guardò verso Aiko, la quale non stava nemmeno seguendo i loro discorsi. Non stava facendo nulla in realtà. Se ne stava seduta sulla sedia a capotavola, dalla parte opposta rispetto al posto lasciato vacante da Urie ancora ai fornelli, con gli occhi persi in un altro luogo e il mento appoggiato al pugno. Le gambe, lunghe e magrissime, lasciate nude dalle culotte che indossava sotto una canottiera larga, sformata. Il ventilatore le spettinava i capelli neri, arruffandoli e dandole un po’ di sollievo al centro della schiena, dove il suo kakou scaldava di più la pelle di porcellana.

«Higemaru smettila di sbavare sul vice caposquadra», lo riprese con un ghigno Aura, mentre accanto al ragazzo appariva anche Urie, con un sopracciglio alzato e un grembiule di dubbio gusto bianco a gabbiani azzurri.

«Non sto facendo niente di simile!», si difese il povero giovane, imbarazzatissimo, lanciando il tovagliolo di carta all’amico, seduto di fronte a lui. «Aspettavo un consiglio!»

«Un consiglio?», si informò Masa, tornando nel mondo dei vivi e guardandoli entrambi, perplessa. «Non hai bisogno di consigli, Hige, ma di un promemoria. Dimentichi sempre di perquisire gli edifici. Se lo avessi fatto a dovere mi avresti trovata subito, appesa al soffitto.»

«Mancano le basi tecniche», confermò Urie, prendendo posto e appoggiandosi con gli avambracci al bracciolo della sedia di legno. Li guardò servirsi la trota che aveva fatto ai ferri, non prendendone per sé, ma limitandosi a recuperare la ciotola dell’insalata di patate e a buttarne un misero cucchiaio nel suo piatto. «Oggi pomeriggio dovresti fare un paio di lezioni teoriche coi cadetti.»

L’umiliazione finale. La retrocessione.

La fronte di Higemaru impattò il tavolo e la sua anima parve volare via, nell’etere.

Aiko lo guardò divertita, prima di allungare una mano, sfiorando le sue ciocche pervinca. «Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro con entusiasmo», citò, mentre lui la guardava.

«Winston Churchill», precisò Urie, cogliendo al volo la citazione. Lei lo guardò impressionata, «Cosa? Io leggo molto più di te. Non ti vedo mai con un libro in mano eppure sai tutte queste belle perle di saggezza.»

«Solo perché non mi vedi tu non significa che io non legga.» Aiko gli fece la linguaccia, prima di tornare a rivolgersi a Touma, prendendogli la mano quando questi ebbe alzato il viso dalla superficie di legno. Come sempre, pendeva dalle sue labbra. «Una volta ho sentito dire da un uomo poco saggio che ogni perdita è dovuta alla mancanza di abilità. Io non lo penso. Io penso che ogni perdita sia dovuta alla poca esperienza. Crescerai, Hige, e diventerai il migliore investigatore della CCG, se è quello che vuoi. Puoi diventare quello che vuoi, ma non devi mai smettere di provarci.»

Il ragazzino sgranò gli occhi così tanto che Masa temette di vederli rotolare fuori dalle sue orbite. Poi si sporse e la abbracciò, tirando la canottiera sformata e scoprendole una spalla. «Mi impegnerò al mio massimo, sensei! Diventerò il migliore!», pigolò con l’ardore di un pulcino, mentre la mora ricambiava l’abbraccio.

«Ne sono sicura.»

Con gli occhi cercò quelli di Urie, trovandoli e comprendendo che anche lui aveva capito perfettamente di cosa lei stesse parlando.

Anche lui stava crescendo e le sue abilità stavano adempiendo ad ogni sua mancanza.

E ciò sarebbe successo anche ad Hige, con i suoi tempi.

 

 

Capitolo trentaquattro

La sala d’aspetto dell’ospedale era fredda. Forse perché era notte fonda o forse perché quel gelo, Urie, l’aveva nel petto.

Non aveva preso posto nemmeno per un istante sulle scomode sedie di plastica, una volta arrivato lì, ancora sporco di sangue e ansante, come se avesse compiuto la distanza che lo separava dall’ospedale correndo. Saiko invece si era accomodata come in trance, accanto a Tooru e a Higemaru. Tutti e tre attendevano in silenzio notizie di Aiko e di Aura, il quale però era senza dubbio fuori pericolo. Le gambe ci avrebbero messo del tempo a ricrescere, ma lo avrebbero fatto senza dubbio. Aveva ripreso a guarire prima ancora di arrivare lì. Con lui Urie aveva lasciato Ginny, anche se la taiwanita si spostava da un piano all’altro continuamente, in attesa di notizie.

Insieme ai Quinx, c’erano anche altri agenti. Alcuni dalla scena dello scontro, altri che erano arrivati dalla sede o addirittura da casa propria. Come Kuramoto. Era uscito così di fretta da non essersi accorto di avere ancora la maglia del pigiama addosso, sopra ai pantaloni eleganti del solito completo scuro. I capelli biondi, solitamente pettinati in modo ordinato su di un lato, cadevano scomposti sul collo e sul viso, mentre con gli occhi sottili aveva squadrato l’intera stanza. Aveva investito di domande Hirako, dopo aver preso posto accanto a lui, ma questi aveva risposto giusto a una o due. Fra le mani, il prima classe, aveva ancora Ixa, puntata contro le mattonelle chiare, come un appoggio. Quando anche Takeomi si era unito a loro, Urie aveva percepito una certa inquietudine, Sembrava una veglia.

Marude li aveva raggiunti dopo quelle che sembravano ore, dirigendosi con passo marziale verso la squadra Suzuya e arguendo Nakarai per aver permesso che tutto ciò accadesse.

«Accadesse cosa, di preciso, signore?», aveva domandato il biondo con educazione, senza suonare provocatorio, mentre squadrava il classe speciale attraverso le iridi grandi di carbone. «Che un agente svolgesse il suo lavoro sul campo? Sono responsabile di aver permesso all’agente Masa di andare da sola, non dell’esito del combattimento.»

«Nessuno è responsabile per esso, solo io», lo aveva appoggiato Arima, arrivando in quel momento e chiudendo così un cerchio.

«Almeno è morto?», aveva chiesto Marude a mezza bocca, guardando la bruciatura sul bordo della giacca  argentata dello Shinigami, mentre questi prendeva in mano la sua quinque e passava a Take una maschera rossa accesa ben nota a tutti i presenti. Era rotta al centro, spaccata da un singolo fendente.

Arima scosse il capo, sedendosi a sua volta. «Mi è scappato», rispose semplicemente, prima di cambiare discorso, con gli occhi rivolti verso Kuramoto e Kuroiwa. «Andrebbero avvisati anche Akira e Koori.»

«Come sarebbe a dire che ti è scappato?», Marude sentì il sangue bollirgli nelle vene. Come poteva Arima dare sempre risposte così semplicistiche? «Cosa è successo in quella fogna?»

Kishou era pronto a rispondere, ma non ne ebbe il tempo. La porta che congiungeva la sala d’aspetto dal corridoio delle sale operatorie si aprì e da essa apparve nel loro campo visivo il dottor Shiba. La mascherina gli pendeva sul petto, sporco di sangue su tutto il camice. Sembrava che avesse lottato, non operato.

Guardò gli agenti presenti e quando Urie e Suzuya fecero un passo verso di lui, congiunse le mani di fronte a sé, abbassando il capo. Qualcosa nel petto di Urie si spezzò.

«Mi dispiace», pronunciò il medico, tornando ad alzare gli occhi per appoggiare la mancina sulla spalla di Urie. «Mi dispiace tanto, ma non ce l’ha fatta.»

Un singhiozzo infranse il silenzio gelido che quella sentenza aveva portato. «M-Macchan..» Saiko portò subito le mani alla bocca, ma non riuscì ad impedire a molti altri di uscire e farla sobbalzare, mentre iniziava a piangere. Accanto a lei, Higemaru si lasciò scivolare contro lo schienale, completamente distrutto dal senso di colpa. Tooru tenne gli occhi fissi sul pavimento, sgranati e assenti, mentre Kuramoto scuoteva il capo in cenno di negazione, appoggiandosi alle ginocchia e stringendo fra le dita le ciocche bionde, prima di iniziare a sua volta a piangere.

Arima sospirò pesantemente, prima di guardare negli occhi Marude, che non riuscì a dire niente.

«Ha sofferto?», domandò Mizuro, mentre una lacrima silenziosa gli solcava il viso. Cercò comunque di rimanere stoico, mentre Abara faceva sedere Juuzou con gentilezza.

Shiba si prese del tempo per rispondere, poi lo fece e basta. «Sì.»

Un’altra pugnalata.

«Forse se l’ambulanza fosse arrivata prima…. Ma ha perso molto sangue e il livello delle cellule rc era troppo alto. Il cuore non ha retto.»

Urie, che fino a quel momento non si era reso conto di essere rimasto completamente immobile, granitico, si voltò di scatto, allontanando la mano del dottore dalla sua spalla. Affrontò Hirako, con gli occhi fiammeggianti.

«Allora è colpa tua», decretò severo, mentre il suo intero corpo veniva scosso da tremiti. Era sull’orlo del baratro, non sarebbe tornato indietro. «Tutta colpa tua!»

«Primo livello Urie, smettila.» La voce dell’associato alla classe speciale Sasaki li fece sobbalzare tutti. Haise lo guardava, con la tristezza a velargli gli occhi grigi.

«No. È solo colpa sua. Se ci fossi stato io-»

«Cosa avresti fatto?», gli domandò Haise, avanzando nel corridoio e raggiungendo il drappello di uomini. «Cosa avresti fatto se fossi stato al posto del prima classe Hirako, Urie?»

Non sapeva cosa rispondere.

Sembrava un orribile dejavù.

Stava succedendo di nuovo e non poteva evitarlo.

 

Circa due ore prima.

Tatara non riusciva a contare il numero di code che, sistematicamente, si schiantavano al suolo a un passo da lui. Se non si fosse spostato continuamente, l’avrebbero certamente colpito e senza fatica alcuna.

In quel dedalo continuo di serpenti vibranti, l’albino riusciva però a districarsi con la concentrazione. Non era più semplice come prima, però. Era diventata una sfida, ma una sfida che l’altra non  avrebbe vinto perché, laddove era venuta a compensarsi la forza, aveva del tutto perso la testa.

‘Il segreto del vincitore è essere più scaltro del vinto’.

Questo le aveva sempre insegnato. Non importava che fosse umana, una mezza sangue o un ghoul. In quel mondo fatto di deboli e forti sono le menti brillanti a fare la differenza.

‘Non saresti la prima debole a vincere perché al posto della kagune hai usato la testa. Io sono scappato così, dalla Cina’.

‘Davvero, Laoshi? Eri un debole una volta?’

‘Tutti nascono deboli, come larve. Bastano un indice e un pollice per ridurre un uomo in poltiglia, ma può sopravvivere creandosi una crisalide dura attorno, fatta di esperienza.’

Fu per un piccolo errore di calcolo che Tatara non vide arrivare l’ennesimo fendente. Forse non voleva ammettere a se stesso che perdersi in quel ricordo, nella figura di Masa seduta su un gradino, con le ginocchia sbucciate contro il busto come una bambina caduta da una bicicletta e un graffio sotto all’occhio destro, gli aveva fatto perdere quei tre millimetri di scarto che si erano rivelati determinanti.

La punta affilata della kagune lo colpì in pieno viso, tranciando quasi in due la sua maschera e spaccandogli di netto l’osso mandibolare. Con una ferita simile, grottesca e scomposta, non gli serviva più celare il viso.

«Xiànzài zúgòu (adesso basta), méi méi.», tentò di sbiascicare nonostante le condizioni della sua bocca.
Sorprendentemente, la pioggia di cellule rc in movimento continuo, cessò per davvero. Esse si separarono come un fiume spaccato da una roccia e tra loro apparve Aiko. I suoi occhi, entrambi neri dalle iridi rosse, erano circondati da una rete di vene gonfie e violacee. La bocca era distorta in un sorriso compiaciuto. 
Sembrava in trionfo, ma non lo vedeva per davvero. 

«Sarò io a dire basta, questa volta.»

Una coda lo colpì all’improvviso, trafiggendolo da parte a parte, come lui aveva fatto con lei poco prima. Non si mosse, sentendo il sangue risalirgli l’esofago e unirsi a quello che già gli colava sul mento spaccato e sul collo.

«Non mi darai più ordini. Non mi dirai più che sono feccia. Non farai più del male a nessuno.» Una mano, pallida come il latte, si alzò sul suo viso, mentre con il Kagune, Aiko creava una barriera fra loro due e gli altri investigatori. Tatara non riusciva a comprendere cosa stesse avvenendo. Perché aveva due occhi neri? Era lucida, non lo era? Smise di chiederselo quando con l’unghia, Aiko gli incise la carne sotto alla linea della mascella, fin dietro all’orecchio. «Andava tutto bene», proseguì la mora, con il tono improvvisamente incrinato, triste. «Poi sei andato via. Perché, papà?»

Una delle code ebbe un sussulto, si sollevò e si aprì in due, ramificandosi. Una piccola bocca dentata apparve su di essa, iniziando a parlare mentre la ragazza portava le mani al viso e iniziava a piangere. “Sola e triste, sei morta Aiko. Nessuno ti salverà.”

Tatara spostò gli occhi su quella grottesca immagine, prima di alzare il braccio. Doveva concludere in fretta quel combattimento. Prese il kagune che ancora lo attraversava all’altezza dello stomaco e lo bruciò, facendo sciogliere i legami rc con la temperatura alta che era in grado di produrre. Poi con un movimento fluido cercò di tirare uno schiaffo ad Aiko, ma quella si difese e lo face bene. Gli bloccò il polso a pochi centimetri dal suo volto.

E lo guardò ferita. Poi infuriata.

Si sarebbe lanciata nuovamente contro di lui in tutta la sua potenza e Tatara era pronto a rimetterla al suo posto nuovamente, improvvisamente conscio di quanto potenziale avessero davvero quegli ibridi creati dalle colombe.

Però non successe nulla.

Il kagune di Masa si sciolse nell’aria creando una cascata di petali opalescenti tutti attorno a loro, mentre la ragazza cadeva a terra, con una mano al petto, ansante. L’agente dai capelli pervinca non aveva atteso oltre. Si era buttato prima ancora che la luminescenza si fosse del tutto estinta, attraversando la caduta luminosa di cellule rc come se fosse pioggia, pronto a colpire. Tatara alzò il braccio e si preparò a riceverlo, sentendo il fuoco iniziare a bruciarlo da dentro, pronto per essere usato. Però non riuscì a muoversi. Una nuova coda, stavolta di un verde più pallido, come una liana, lo teneva fermo all’altezza delle spalle e sulle caviglie.

«Adesso, Hige!»

«Tienilo, Mutsuki!»

Nemmeno per sogno.

Una fiammata improvvisa illuminò a giorno le fognature. Il kagune di Mutsuki si dissolse, mentre Touma fu costretto a pararsi gli occhi dalla luce improvvisa. Un calore insopportabile avvolse l’aria, ferendo i polmoni ad ogni respiro. Quando Tooru recuperò la vista, rimase pietrificato. Un paio di gigantesche ali di fuoco sbucavano da dietro la schiena dell’albino. Sembrava un demone dell’inferno. Un arcangelo caduto. Esse si unirono in una unica, singola coda, grande e luminosa, come attraversata di energia. Con essa Tatara afferrò il piede di Higemaru, lanciandolo lontano e liberandosi di lui per primo. Poi velocemente girò sui talloni e colpì Mutsuki sul petto, mandandolo a sbattere contro la parete di cemento armato.

Il ragazzo ansimò, portando una mano all’altezza dei polmoni per riempirli di nuovo di aria. Si concesse tre respiri, il tempo di stringere con forza i due coltelli e lanciare un rapido sguardo con l’occhio libero dalla benda ad Aiko. Poi si alzò, spaventato sì, ma con la determinazione che lo muoveva. «Allontanati da lei!»

Non ci fu risposta, solo un altro attacco. La coda lo colpì di nuovo ma Tooru fu veloce abbastanza da lanciare il coltello, che colpì Tatara in un occhio. Questo lo fece barcollare, gemere in modo disumano, come una bestia ferita. Ma era ben lontano dall’essere messo all’angolo. Non sanguinava più anche se il suo viso stava guarendo lentamente. Il buco nel suo stomaco era a mala pena visibile e sembrava ancora pieno di energie.

Loro quattro, invece, erano a terra.

Tooru, che era arrivato fin lì di corsa, quando aveva sentito alla trasmittente la situazione, si chiese se quella fosse stata una buona idea. Cosa poteva fare da solo? Hige era stremato, Shinsanpei ferito. Aiko non sembrava nemmeno più viva. Il solo indizio in questo senso era dato dal tremore costante che scuoteva il suo corpo, come se dei brividi di dolore intensi la stessero dilaniando dall’interno. Si ricordò di lei, la prima volta che aveva messo piede allo chateau, così sicura di sé ed estroversa. Tutto ciò che lui non era mai stato. Si ricordò anche di come aveva risolto il caso dell’Embalmer insieme a Urie, dimostrando di essere acuta e brillante. Il modo che Aiko Masa aveva di porsi nei confronti degli altri, senza tatto eppure rassicurante. Gli aveva dato dei consigli, aveva provato a penetrare la sua scorza e Mutsuki sentiva di volerle bene.

Quindi con uno sforzo non indifferente si rimise in piedi, stringendo con forza il pugnale che le era rimasto nella mano destra, fino a far sbiancare le nocche. Si liberò della bandana nera, infilandola nella tasca dei pantaloni e rivelando il sekigan, prima di inspirare profondamente. Tante sottili liane attorcigliate su loro stesse si allungarono verso i lati, alzandosi come le code di tanti scorpioni pronti all’attacco.

«Higemaru, pensi di poter fare un ultimo attacco?», domandò con tono sicuro, senza permettere alla sua voce di vibrare per la paura. Il ragazzo, appoggiandosi con il braccio alla parete di cemento, si mise diritto. Un taglio sulla fronte non gli permetteva di tenere aperto un occhio, ma non si sarebbe tirato indietro. Mutsuki glielo lesse nell’iride.

Poteva essere la loro ultima possibilità. Poteva anche essere la loro ultima azione.

Un ultimo respiro, profondo, che irrorando i polmoni fece espandere il busto di Mutsuki e poi, con un urlo, si lanciò in avanti. Barcollante sui primi passi, ma poi più rapido man mano che colmava la distanza. Higemaru lo imitò. Il fendente di Tooru non andò a segno, così come il suo kagune. Tatara si scostò in tempo e il ragazzo finì col ferire inavvertitamente il collega. Touma portò una mano alla spalla che era stata attraversata da parte a parte dalla coda verde, mentre Tooru sgranava gli occhi.

Di nuovo vennero spinti via, a colpi di kagune, che mirava ad ucciderli. Mutsuki si abbassò appena in tempo o quell’enorme appendice avrebbe potuto sfondargli il viso, fracassandogli il cranio.

Inciampò nei sui stessi piedi, cadendo seduto. Di nuovo, testardo seppur stanco, cercò di alzarsi. Una mano sulla spalla però non glielo permise. Quando alzò gli occhi stupidi verso l’alto, incontro quelli apatici di Take Hirako. «Rimani giù.»

«Ci pensiamo noi, adesso.»

Una seconda voce, ancor più distaccata, fendette l’aria. Gli occhi di Tatara si allargarono appena, mentre le iridi scure parevano ingrandirsi nel vedere dinnanzi a sé la figura dello Shinigami Bianco.

«La S3», sussurrò meravigliato Aura, appoggiandosi meglio sul gomito per poter spiare da sotto il ciuffo i due uomini che erano appena arrivati. No, non due. Cinque. Altri tre si tenevano in disparte, con i cappucci calati sul viso e le quinque strette nelle mani.

«La vedo», disse Hirako, estraendo dalla valigetta Dojima. «Posso raggiungerla.» Arima poggiò la mano sul manico dell’arma del suo braccio destro, sfilandogliela. Quando al suo posto mise il manico della valigetta nera e dorata, Take la guardò come se non l’avesse mai vista prima. Poi tornò con gli occhi in quelli del mentore. «Non capisco.»

«Sai come usarla, se devi», fu la sola risposta pragmatica dell’altro, il quale si limitò poi a spostarsi in avanti, verso Tatara. Non dovette dire nulla. Le tre figure che li accompagnavano scattarono, iniziando a menar fendenti a destra e a manca e spingendo il ghoul albino verso un lato della galleria, dove si snodavano dei condotti secondari. Arima non attaccò subito, preferì tenere controllata la situazione alle sue spalle.

Take, d’altro campo, si mosse così in fretta che Tooru a mala pena si rese conto che non lo avvertiva più dietro di sé. Andò verso Masa, appoggiando la valigetta a terra e sollevando la ragazza fra le braccia. «Aiko?», la chiamò, scuotendola appena. Lei non si mosse, né aprì gli occhi. «Andiamo, Ai…»

Tooru si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, tenendo i coltelli con entrambe le mani. «Dobbiamo portarla fuori», decretò, ricevendo come sola risposta un debole segno di assenso da parte di Hirako. «Higemaru, ce la fai con Aura?»

«Sì», rispose in fretta il giovane dai capelli pervinca, facendosi forza e andando dal compagno. Portò entrambe le sue braccia oltre le sue stesse spalle, sollevandolo sulla schiena e alzandosi in piedi.

«Andate avanti», disse Hirako, sollevando Aiko in braccio. «Primo livello Mutsuki, prendi la valigetta del Classe Speciale Arima.»

Tooru eseguì, lanciando un ultimo sguardo proprio alla Morte Bianca, che stava attaccando a sua volta Tatara con un movimento così fluido e rapido che sarebbe stato in grado di plasmare l’acqua. Non si concesse il lusso di indugiare oltre, cercando di tenere il passo di Hirako e di Higemaru, che seppur distrutto dalla battaglia e con quel peso sulla schiena, sembrava arrancare alla disperata ricerca dell’uscita.

Quando raggiunsero quella più vicina, però, non c’erano unità mediche. Hirako ne richiese una immediatamente, prima di appoggiare Masa a terra. Scostò i capelli dalla sua fronte, prima di prendere fra le dita una delle ciocche nere. Erano lunghe, tanto da spargersi sul terreno circostante come un groviglio di fili di seta color petrolio.

Non aveva mai portato i capelli lunghi.

Così come le unghie, che parevano più degli artigli.

«Prima è successo qualcosa», sussurrò Higemaru, mentre in lontananza si poteva avvertire il suono delle sirene dell’ambulanza farsi lentamente sempre più vicino. Il ragazzo attese uno sguardo di Hirako, prima di continuare. «I suoi occhi…. Sono cambiati. Non sembrava nemmeno lei.»

«La sua gabbia è rotta», disse Mutsuki, osservando lo squarcio che Aiko aveva sul ventre. Si stava rimarginando rapidamente. Troppo rapidamente per una ferita così consistente. Nonostante ciò il giovane riuscì ad adocchiare l’acciaio quinque, spezzato dalla kagune di Tatara.

Allora Take comprese perché Arima gli aveva lasciato IXA.

Appena in tempo però.

Aiko spalancò gli occhi e aprì del tutto la sua kagune, attaccandoli senza pietà.

Per un pelo, il prima classe riuscì a schermarli tutti e tre utilizzando la quinque nera e oro, con la quale poi inchiodò Masa al suolo, creandole attorno una gabbia di cellule rc rigide. I tentacoli cercarono di divincolarsi mentre lei urlava, fuori controllo. Durò però poco.

Quando si sciolsero, Take fece lo stesso con la fatiscente costruzione, lasciando a Higemaru IXA. Questi la prese senza staccare gli occhi traumatizzati da Aiko.

«Il suo cuore si è fermato», sussurrò il prima classe, con il capo appoggiato al petto della giovane. Non si diede il tempo di pensare. Sganciò quel poco che rimaneva della tuta anti sommossa della giovane e poi iniziò con il massaggio cardiaco.

L’ambulanza sembrava ancora lontana anni luce e il cuore di Aiko taceva.

 

 

Quando Urie riuscì ad arrivare nel luogo in cui il direttore Washuu gli aveva comunicato avrebbe trovato i suoi uomini, stava arrancando. Nonostante la resistenza superiore dei Quinx, non aveva fatto altro che combattere e correre, combattere e correre, costringendo anche Hsiao e Saiko a stargli dietro.

Per poco cadde in ginocchio di fronte ad Aura e Higemaru, quando li raggiunse. In qualche modo si resse in piedi, appoggiando però la punta della katana al suolo, affondandola nella terra nuda mentre si guardava attorno. C’erano solo loro due e il Classe Speciale Arima, lì.

«Cosa è successo?», domandò velocemente, sentendo una gran confusione nel cervello. Non dovevano esserci solo loro. «Dove sono Mutsuki e Masa?»

Higemaru si alzò in piedi, guardandolo afflitto. «Sono insieme al Prima Classe Hirako. Un’ambulanza è arrivata dieci minuti fa per portarli all’ospedale interno della ccg.»

Hsiao sbarrò gli occhi. «Dieci minuti fa? Come è possibile? Dovrebbero essersene andati da almeno mezzora!»

La giovane Quinx scambiò uno sguardo con Aura, mentre accoglieva in un abbraccio una Yonebayashi sfinita. «La prima ambulanza è arrivata pressappoco mezzora fa ma-»

«La prima?? Cosa diavolo significa?? Parla chiaro, Hige!»

Per risposta, Touma alzò una mano, indicando un punto imprecisato alle spalle del caposquadra. Quando Urie si voltò, imitato da Ginny, stentò a credere ai suoi occhi.

«Non riuscivamo a farla salire in ambulanza. Quel kagune…. Quel kagune era incontrollabile, caposquadra.»

Incastonata come una perla in un anello, l’ambulanza che doveva essere arrivata per prima faceva bella mostra di sé contro alla facciata esterna di una palazzina.

L’autista al suo interno era inequivocabilmente morto.

 

 

«Hai fallito con lei, signor Tatara.»

La sentenza di Eto fu senza dubbio la più dura da incassare, per l’albino. Non riuscì ad alzare il capo, mentre rimaneva in ginocchio di fronte alla Bambina con le Bende, seduta come in trono su una vecchia poltrona rattoppata.

Strinse le mani sulle cosce, mentre il fazzoletto bianco che si era legato attorno al viso come sostitutivo della maschera persa si bagnava del suo stesso sangue.

Eto aveva ragione, aveva fallito con Aiko.

Chinò ancora di più il capo, socchiudendo gli occhi. «Provo vergogna per ciò che è successo», sibilò sottile come il vento che si intrufola fra le imposte di una finestra. «Mi assumo la piena responsabilità di quanto avvenuto stanotte.»

«Parli del massacro dei nostri uomini, che potevamo evitare contattando Aiko come avevo suggerito io?», chiese incalzante Yoshimura, alzandosi in piedi e iniziando a districare le bende per liberare il viso. Sembrava quasi che volesse mostrargli quando profondamente l’avesse delusa. «Oppure magari del fatto che l’hai fatta a pezzi, quando ti sei scontrato con lei perché non hai ritenuto saggio mandare Ayato al tuo posto? O forse ancora non aver preso con te Takizawa, che in un modo o nell’altro avrebbe distratto abbastanza gli agenti da permetterti di svicolare via prima dell’arrivo di Arima?»

Gli girò attorno, prima di lanciare uno sguardo verso Hakatori, in piedi davanti alla porta scardinata che dava sulla stanza come unico accesso. La giovane strinse di più lo straccio sporco di sangue tra le mani, chinando a sua volta il capo e incassando il fallimento del suo mentore come se fosse suo. Passò quindi ad Ayato, che però non la ricambiò, troppo preso a fissare pensieroso oltre la finestra. Anche lui, a suo modo, era stato allevato da Tatara. Non voleva vedere quella scena.

In ultimo, raggomitolato in un angolo della stanza, con la mano a grattare il muro fino a scavarne il cartongesso, c’era Takizawa. La Bambina lo osservò mentre continuava a ripetere quel gesto masochista, senza davvero ferirsi a causa dello spessore della sua pelle.

Il Gufo staccò lo sguardo dal suo simile e prese un respiro, sollevando il petto sotto alla mantella stracciata color vinaccia. «Almeno sappiamo se è viva o morta?»

Tatara non rispose subito.

Eto non gli concesse la grazia dell’attesa. Si accucciò di fronte a lui, afferrandogli il viso e strappando via il fazzoletto senza pietà. Strinse le guance nella mano, tenendo gli occhi sottili dell’albino nei suoi.

Era irata, eppure, ancora si conteneva.

«Dimmi, signor Tatara: il pupazzo su cui abbiamo investito risorse e speranza, oltre che il nostro prezioso tempo negli ultimi tre anni e mezzo è vivo o morto?»

«Credo che sia morta, Eto. Le sue ferite erano troppo profonde e se non l’hanno uccisa loro, è stato il frame out. Un corpo così fragile non può sopportare una potenza del genere.»

Lo lasciò andare, facendo cadere il braccio verso il basso. Si sollevò, dandogli le spalle e tornando verso la poltrona. Da lì, guardò attraverso lo squarcio del soffitto fino alle stelle. Poi chiuse gli occhi.

Takizawa aveva smesso di grattare contro il muro.

Hakatori stava trattenendo il respiro e Ayato si era finalmente deciso a guardare verso l’albino.

«Molto bene. Abbiamo perso la nostra talpa? Ne dobbiamo trovare una nuova, ora», si voltò verso l’albino, sorridendogli giuliva. Malvagia. «Conto su di te, signor Tatara. Trova un’altra ragazza, dolce e gentile. Trovala e falla diventare un mostro, torturandola e spezzandole l’anima. Poi usala come un’arma contro la ccg e attendi il momento in cui dovrai di nuovo ucciderla perché sei un fallito. Sappi però che non hai a disposizione tre anni questa volta, perché il tempo stringe.»

Lasciò scorrere in lui la consapevolezza delle grandi cose che aveva previsto e che rischiavano di non realizzarsi più, prima di dargli il colpo di grazia.

«Questo è il tuo dharma, signor Tatara; perdere le persone per la tua incapacità.»

Eto non aveva altro da dire, tornò a sistemare le bende, nascondendo i vaporosi capelli  verde acqua sotto di esse. Tatara alzò il capo solo a quel punto, guardandola. Il suo volto era ancora segnato dal colpo di kagune che Aiko gli aveva inflitto, sfigurandolo. La sua rigenerazione era più lenta del solito, ma visto che poteva di nuovo parlare normalmente non si risparmiò una osservazione.

Perché solo Eto Yoshimura poteva parlargli a quel modo, ma anche lei doveva aspettarsi un ritorno. Era sempre stato il suo confidente, anche quando non era belle le cose che le diceva. Si sarebbe attenuto al suo ruolo.  

«Se tu mi avessi ascoltata, non sarebbe successo.»

La Bambina ridacchiò. «Ora sarebbe colpa mia?»

«Tu le hai dato amore e fiducia. Anche se false, Aiko le ha recepite come tali. L’hai sempre difesa da me illudendola che poteva avere una via di fuga. Oggi è morta perché lei si aspettava quella via di fuga. Però tu non sei venuta a salvarla. Un comportamento egoistico per una persona che è stata a sua volta abbandonata.»

Eto si irrigidì appena, prima di ridacchiare sotto voce. Non era la sua solita risata spensierata però, no. Era piena di rabbia. «Attento, signor Tatara. Non ti perdonerò un altro fallimento. Ora trova qualcuno che possa interpretare Labbra Cucite e una breccia nella ccg, o ti farò pentire di avere anche solo deciso di entrare a far parte dell’Albero di Aogiri. Dopotutto questo è quello che sei tu, no? Un uomo mosso dalla vendetta? Vendica la tua allieva, fai una strage se ti fa sentire meglio. Tanto è impossibile per noi essere più compromessi o esposti, al momento. Si accenderanno le luci della ribalta dietro questa morte e noi verremo demonizzati il doppio rispetto ad ora.»

Con un salto agile salì sullo schienale della poltrona e poi sul tetto, aiutandosi con la kagune. Tatara abbassò di nuovo il capo, sconfitto. Aveva ragione lei, non avrebbero potuto far di peggio per attirarsi addosso gli occhi dell’intero dipartimento. E lui era lì perché Arima lo aveva permesso.

Quella era forse la vergogna peggiore.

«Laoshi», lo chiamò con voce piccola Hakatori, facendolo ridestare dall’abisso della sua auto commiserazione. «Cosa facciamo, ora?»

Voltò il capo per guardarla, passando poi anche ad Ayato e a Takizawa. Quest’ultimo non stava parlando, ma il suo sguardo lo faceva per lui. Sembrava fuori di sé dalla collera, mal contenuta, ma che sarebbe presto esplosa.

Tatara non lo sapeva cosa fare. Non voleva un altro agente da addestrare. Non voleva nemmeno un altro infiltrato nel ccg perché sapeva che non ne avevano bisogno.

Tentennò abbastanza da far parlare Ayato. «Intanto dobbiamo avere la certezza matematica che sia morta», proruppe, avvicinandosi a lui. «Vado all’ospedale, vedo se posso infiltrarmi. Tomoe, tu invece vai allo cheteau dei Quinx e appostati in modo da sentire se qualcuno dice qualcosa. Porta con te Miza.» Appoggiò una mano sulla spalla di Tatara, chinandosi sul ginocchio per mettersi alla sua altezza. «Tu rimani qui, recupera le forze e nutriti per rigenerarti. Takizawa rimarrà da guardia, non è saggio che se ne vada in giro in questo stato.»

Tatara annuì lentamente, appoggiando la mano sul suo braccio con il solito tono apatico, ma che Ayato riconobbe come grato. «Facciamo così. Andate.»

Hakatori fu la prima a lasciare la stanza, stringendo nella mano l’impugnatura della sua quinque. Poi Ayato, dopo aver infilato la maschera, uscì dalla finestra. Rimasti soli, Tatara non poté far altro se non alzarsi, tenendo una mano allo stomaco ferito. Guardò Seidou e fece per parlare, ma questi si sollevò, uscendo dalla stanza.

«Vado alla porta. Lì inizierò a pensare a come ammazzarti, maledetto assassino figlio di puttana.»

 

 

«Pressione in aumento, fibrillazione ventricolare. Sta per andare di nuovo in arresto cardiaco.»

Aizawa era arrivato in sala operatoria dopo essersi lavato le mani, tenendole ben alte di fronte a sé. Una infermiera lo raggiunse subito da lui, iniziando a mettergli i guanti. «Cosa è successo?», chiese a voce alta, cercando di contrastare il rumore assordante delle macchine. Sembravano impazzite. Sul lettino poteva vedere solo una porzione di schiena aperta in due e due flebo di inibitori che sparivano sotto un lenzuolo bianco, che copriva tutto il resto.

Shiba, che era arrivato per primo, lo guardò grave. «Ivak, presto avrò bisogno di te per estrarre un kakuho.»

Il biondo non capì. Era stato sbattuto giù da letto e chiamato in ospedale senza una spiegazione. Aveva bevuto parecchio la sera prima, ma un senso di leggero panico lo aveva aiutato a rinsavire abbastanza per prendere la macchina e correre all’ospedale del dipartimento.

«Chi c’è lì sotto?»

Non aveva avuto bisogno di avvicinarsi per sapere che era un Quinx. Se no si sarebbe ritrovato il lavoro da fare la mattina successiva nella sua sala autoptica.

Shiba aveva  allontanato la mano dalla voragine al centro della schiena, estraendo un pezzo di acciaio quinque spezzato. «Questa è Masa», aveva risposto, mentre uno degli assistenti sistemava i sensori sotto al lenzuolo, sul petto del giovane.

Ivak non poteva vedere nulla se non la zona dove Shiba stava operando, ma poteva anche solo vagamente immaginare come doveva essere ridotta se la gabbia era stata distrutta a quella maniera. Solo avvicinandosi però colse la gravità della situazione. La gabbia non era solo stata rotta, ma del tutto disintegrata su di un lato. Il kakuho si era già spostato, aggrappandosi alle tre pareti rimanenti e iniziando ad attaccarsi al fegato, ai reni e alle vertebre lombari della giovane. Sembrava che volesse del tutto invaderla.

«Cosa facciamo ora?», chiese sconvolto Aizawa.

Il medico più anziano sembrava molto più deciso di lui, ma non abbastanza. «La sua conta delle cellule rc è salita da 870 a oltre quattromila. Il suo cuore si è già fermato tre volte, una mentre era ancora sul campo e due qui in ospedale. Le stiamo somministrando dosi massicce di inibitori, ma non sembrano avere effetto. Possiamo solo asportare il kakuho e lasciare che la conta si stabilizzi.»

Ivak notò una pozza a terra, così sollevò il lenzuolo. La gamba sinistra era ridotta molto male e la destra sembrava ancora attaccata solo grazie ai tendini. «Sopravvivrà a queste ferite senza la possibilità di rigenerazione, però?»

«Questa è la domanda che mi sto facendo anche io da quando sono arrivato, ma non credo che abbiamo molta scelta. Dobbiamo decidere in fretta.»

Il biondo strinse gli occhi. Così nel panico da non realizzare nemmeno lucidamente cosa stesse succedendo. «Dovremmo chiedere al parente più prossimo o al suo referente. Non possiamo fare questo tipo di intervento invasivo senza un consenso.»

«Lo so, ma il suo referente è Urie Kuki e non so tu, ma io non voglio caricarlo dell’onere di questa decisione.» Shiba appoggiò il bisturi, prendendo una siringa e iniettando degli inibitori direttamente nell’organo predatorio, che ebbe uno spasmo. «Se estraiamo il kakuho potrebbe morire a causa delle emorragie interne o delle ferite. Se non lo estraiamo morirà di arresto cardio-respiratorio, perché il suo corpo sta soffrendo troppo a causa della crescita delle cellule rc. In quanto medico capo del progetto Quinx, per regolamento, in situazione critica divento io il referente.»

«Quindi che facciamo doc?»

«Quindi ci giochiamo il tutto per tutto e tiriamo fuori questa mostruosità da Aiko. Ivak, sei abbastanza lucido per farlo?»

Se la sentiva? Non era esattamente quello che si aspettava quando si era messo a letto, ma non poteva nemmeno tirarsi indietro. Notò la linea delle pulsazioni iniziare di nuovo a rallentare, comprendendo che ogni singolo secondo poteva essere fondamentale. Così non rispose alla domanda. Si sporse sul corpo di Aiko, prendendo una pinza chirurgica e un bisturi laser.

«Tenete ben divaricata la belle. Devo vederlo tutto quando. Iniziamo a staccarlo dalla gabbia usando il calore e poi facciamolo ritornare dentro, spingendolo il più possibile. Servono altri inibitori.»

«Intanto io provvedo a medicarle le gambe e le spalle», gli disse Shiba, prendendo ago e filo e scoprendo la porzione sopra alla scapola. Era completamente massacrata, la pelle slabbrata mostrava la carne viva sotto di essa. «Portate due sacche di zero negativo, subito!»

«Mi serve una mano qui», Aizawa coprì la voce del medico più anziano, mentre si faceva passare una pinza. «Prendete il defibrillatore e staccate la piastra. Useremo l’elettricità per far ridurre le dimensioni dell’organo!»

Un infermiere si mosse veloce, ma non arrivò a staccare le piastre. Un sibilo prolungato costrinse tutti a smettere di lavorare sulle loro zone.

«Il cuore si è fermato di nuovo», disse una delle assistenti, prendendo l’iniziativa e prendendo dalle mani dell’infermiere il defibrillatore fisso. Tirò in carrello verso il lettino e settò l’intensità. «Prima scarica, tre, due, uno». Il corpo ebbe uno spasmo, ma il cuore non reagì.

Aizawa gliele strappò di mano, fissando al massimo la scarica. «Spostatevi», scansò tutti, appoggiando sulla schiena della giovane, all’altezza del cuore, il macchinario. Diede una nuova scossa. Poi un’altra. «State irrorando i polmoni di ossigeno?!»

«Sì dottore, è collegata al respiratore», rispose un giovane studente, che si era spostato in fretta di fronte alla furia di Ivak.

«Andiamo Aiko, non puoi farmi questo!»

Un’altra scarica.

Shiba prese un respiro profondo, cercando di fermargli le mani. Il biondo lo scansò senza grazie, spingendolo. «Ivak, fermati…»

«No! Non è possibile! Andiamo Aiko reagisci cazzo!»

Un’altra scarica.

«Ivak!»

Tremava, Aizawa. Tremava così forte che una delle piastra gli cadde dalle mani quando Shiba lo bloccò nuovamente, stavolta stringendolo per le spalle. Due grosse lacrime caddero dai suoi occhi chiari, mentre ansimava così forte da sembrare reduce da una corsa. Non si era reso conto di essere andato in apnea, a un certo punto.

Il fischio della macchina costante come monito del suo fallimento. Suo e di nessun altro in quella stanza.

Si sentiva così colpevole che per un attimo pensò anche lui di essere sul punto di morire.

«Basta così, abbi pietà per questa ragazza.»

Non disse nulla. Non si mosse di un centimetro mentre sentiva Shiba decretare l’ora della morte, che venne prontamente annotata su una scheda. Non si mosse nemmeno quando il defibrillatore venne spento, così come i monitor delle frequenza cardiaca.  «Mi dispiace, dottore», sussurrò l’infermiere, prendendogli dalla mano la piastra.  Tutti si spostarono, eccetto lui e Shiba, abbandonando la stanza e tornando nella sala dei lavandini per lavarsi di tutto quel sangue. Rimasti soli, il medico più anziano gli avvicinò una sedia, battendogli la mano sulla spalla.

«Lo dico io a quelli là fuori, Ivak», disse con tono gentile, mentre scopriva il capo di Aiko. I capelli erano così lunghi da sfuggire alla cuffietta. Così lunghi che per un attimo il biondo si illuse che non fosse lei. Dopotutto Aiko li aveva sempre portati corti! Ogni illusione però svanì quando l’altro medico sfilò i tubi dalla sua gola, sollevandole il capo dal lettino. Lo girò piano, verso Aizawa, accarezzandole dolcemente il viso, con l’amore di un padre. Poi si passò quella stessa mano sul viso, alzando gli occhiali per spazzare via qualche lacrima amara. «Tu rimani insieme lei, va bene? Dobbiamo togliere comunque quel kakuho e ricucirla per bene. Non voglio che Urie e gli altri la vedano così.»

«Kuki vorrà entrare subito», blaterò sconnesso Aizawa, sedendosi lentamente sulla sedia, incapace di togliere lo sguardo dal corpo esanime dell’amica. «Non è successo veramente, non può essere successo. Non ricordavo nemmeno che la missione fosse questa notte e non ci siamo visti ieri. Non abbiamo preso il caffè.»

«Lei è morta per salvare Higemaru e Aura», gli rivelò Shiba, sfilandosi i guanti e buttandoli in un cestino. «Se ne è andata combattendo con le unghie e con i denti.»

Non gli rimase altro da fare se non uscire dalla stanza. Sarebbe tornato presto, comunque, per aiutare Aizawa nell’espianto dell’organo predatorio. Si concesse un ultimo sguardo al biondo, seguì con gli occhi le sue mani prendere delicatamente quella della mora fra le sue.

Poi superò la sala dei lavandini e il corridoio, fino alla porta che dava sulla sala d’attesa. Quando vi uscì, gli parve che tutta la ccg fosse accorsa lì per sapere. Non vedeva nessuno però, eccetto i Quinx.

Ne erano rimasti tre del nucleo originario.

Nessuno aveva ancora digerito la morte di Shirazu e ora a lui toccava quella notizia ingrata. Abbassò un attimo il capo, mentre si sfilava la mascherina. Poi avanzò verso il gruppo nutrito, guardando negli occhi una e una sola persona.

«Mi dispiace», disse a Urie Kuki, appoggiandogli la mano sinistra sulla spalla. La strinse, cercando di infondergli un coraggio che infondo non aveva nemmeno lui.

I suoi ragazzi.

I suoi esperimenti.

I suoi martiri.

«Mi dispiace tanto, ma non ce l’ha fatta.»

 

 

 

⌘Nda⌘

 

Ci ho messo una vita ad aggiornare, lo so, ma è stato un capitolo pensato e ripensato, molto faticoso.

Ci sono tante cose che potrebbero far storcere qualche naso, ad iniziare dal colloquio di Tatara ed Eto fino alla reazione di Urie contro Hirako.

Io credo molto nell’umanità di tutti i personaggi.

Tutti quanti provano emozioni e le esternano a modo loro.

Tatara succube di Eto, per me non è ooc, così come un Urie fuori di sé dal dolore che sbraita contro un superiore

 

In ogni caso, accetterò ogni critica con la consapevolezza che ho osato e non me ne pento!

 

Se qualcuno segue questa storia (magari qualche anima pia esiste ancora), vi prego di farmi sapere che ne pensate.

Uno stimolo a scrivere più in fretta non fa mai male, se no chissà quando finirà questa storia.

 

Un saluto.

 

C.L.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Sesto Intermezzo - Parte Unica ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Sesto intermezzo: Cambio di rotta

Parte unica.

 

 

«Non è andata poi così male, alla fine. Sbaglio?»

Aiko premeva forte contro la clavicola sinistra per fermare il sanguinamento. In quel punto preciso, dove un taglio poco profondo ma lungo le arrivava sin quasi alla spalla. Una ferita da poco, che Roma le aveva inferto per una sua disattenzione, quando le urla di Sasaki avevano riecheggiato tra le mura della sede delle aste. Tutti erano fermati ad ascoltare quel lamento forte e doloroso, quasi folle, men che quel bizzarro membro dei clown, che aveva allungato il suo bikaku sfruttando la loro distrazione, facendo perdere l’equilibrio a Takeomi che combatteva senza più una quinque e arrivando fino a lei. Se Kuramoto non l’avesse tagliata, quella coda le avrebbe probabilmente trapassato la gola.

Proprio il biondo aveva avanzato quella domanda ripiena di puro ottimismo, mentre le allungava una lattina di soda al gusto di ciliegia, iper calorica e dal sapore stucchevole, ma che però l’avrebbe aiutata a recuperare un po’ di zuccheri. Lei l’aveva accettata sorridendogli sinceramente, nonostante gli occhi pieni di stanchezza e le membra pesanti, allontanando il panno e buttandolo in un cestino dei rifiuti, poco distante dall’ambulanza su cui si era appoggiata. Dentro di essa, su una barella, c’era Take, collassato. Takeomi l’aveva praticamente portato fuori in spalla.

«Abbiamo rischiato di perdere il caposquadra, quindi sì. È andata bene, alla fine.»

Itou aveva annuito lentamente, recuperando un minimo di serietà. «I paramedici ti hanno detto qualcosa?»

Lei lo guardò direttamente negli occhi socchiusi, tirando la linguetta per aprire la lattina. «Sono preoccupati per i tendini, quindi lo portano in ospedale per un paio di accertamenti, prima di ricucirlo. Uno dei dottori ha detto che la ferita sull’avambraccio lo preoccupa e pensa che lo dovranno operare. Probabilmente in mattinata.»

«Un altro bollino sulla sua cartella medica.»

Aiko non riuscì a trattenere una mezza risata. «Ormai ci siamo, il set di pentole è vicino. Mancheranno sì e no altri due o tre timbri. Non lo hanno mai operato alla testa e alle caviglie, direi.»

«No, lo hanno operato alla caviglia sinistra in realtà. Quattro  o cinque anni fa. Gli era uscito il perone, brutta storia.»

«Smettetela voi due, vi sento.»

I due giovani si guardarono con complicità, sorridendosi, poi Kuramoto allungò le braccia dietro al collo, «Vado a salutare Shukumei. Stava parlando con Kuroiwa e uno dei Quinx. Voi due non fate troppo casino sull’ambulanza.»

«Cercheremo di non litigare mentre lui è ridotto così. Non mi piace vincere facile.» Aiko guardò il biondo allontanarsi di qualche passo, prima di salire sul veicolo di primo soccorso. Prese posto sulla panca laterale, guardando negli occhi Hirako, che ricambiò lo sguardo. «Dormi, dannato demone. Senza Faccia ti ha conciato proprio bene, eh? Però devo ammetterlo, hai combattuto fino all’ultimo.»

«Come sempre?»

«Come sempre.»

La lattina venne appoggiata accanto alla sua caviglia, poi la mora si sfilò uno dei guanti, portando la mano sul capo di Hirako, fra le ciocche color rame, mentre scuoteva piano la testa, quasi come se lo stesse biasimando. Aveva combattuto da solo, mentre loro tre si concentravano solamente su Roma. Avrebbe potuto chiedere aiuto, ma non l’aveva fatto perché Uta, diamine, era forte. Aiko non poteva dirgli che lo sapeva e non poteva nemmeno dirgli quanto a disagio si fosse sentita quando il produttore di maschere si era voltato nella sua direzione, portando una mano laddove doveva esserci la sua bocca per simulare che l’avrebbe tenuta chiusa, da sopra la maschera, prima di sparire nel nulla. L’operazione però era finita e ciò che contava era che l’intera squadra fosse sopravvissuta.

Take in ospedale era quasi un rito, alla fine.

«Il classe speciale Washuu ci ha detto di andare. Vedi di metterti a letto il prima possibile, hai una faccia da far paura.»

Masa aveva alzato le sopracciglia, smettendo di accarezzargli il capo, quasi risentita. «Io e Itou veniamo in ospedale con te, schifoso ingrato. Poi come si dorme? Da dove inizio? Non me lo ricordo nemmeno. »

«Non dire sciocchezze, oggi è stata una giornata sfiancante. Non voglio che veniate con me.»

«Indovina quanto ci interessa la tua opinione? Molto poco. Ora vedi tu di dormire un po’, stai tenendo gli occhi aperti a fatica e hai perso un sacco di sangue. Non voglio vederti svenire pateticamente due volte nel giro di una sera.»

Lui non se lo fece ripetere e dopo un ultimo, intenso sospiro, chiuse le palpebre. Lei non smise di passare le dita in modo rassicurante fra i suoi capelli fino a che non vide il suo respiro farsi regolare. Erano rari quei contatti fra loro, ricorrenti solo quando uno dei due rischiava di morire. Dopo tornavano ad essere semplicemente Hirako e Masa, tra litigi e incomprensioni. Però, per quanto difficile da spiegare, entrambi diventavano più comprensivi quando uno dei due metteva in pericolo se stesso in modo stupido.

Aiko rimise il guanto, recuperando la bevanda e appoggiandosi con le spalle alla parete dell’ambulanza, alzando un secondo il capo per stirare i muscoli del collo, prima di girarlo. Kuramoto stava parlando in modo concitato con una giornalista molto bella che Masa aveva visto gironzolare in cerca di scoop più di una volta. Itou era troppo buono o troppo ingenuo – o entrambe- per negarle un’intervista. Per fortuna con loro c’era Takeomi, che teneva le braccia incrociate sul petto ampio e fermava di tanto in tanto il collega.

L’investigatrice però non guardò il volto della giornalista, né le scuse goffe del coinquilino biondo. I suoi occhi si ancorarono a due iridi sottili come quelle di un serpente.

Masa Aiko si era ritrovata a spiare il secondo livello Urie Kuki spesso, negli ultimi mesi. Era uguale a suo padre e per lei era impossibile non guardarlo e rivedere in lui Mikito. Mentre camminava per i corridoio della sede centrale con le mani in tasca e le cuffie sulle orecchie, di coda al resto della squadra Quinx, o quando rimaneva in dipartimento anche oltre l’orario per fare qualche ora di internato extra e lavorare di nascosto ai casi aperti da altre unità.

Lui però non l’aveva mai ricambiata, fino a quel momento. In quell’istante, forse per la prima volta, anche lui la stava guardando. Non c’era la stessa curiosità che albergava nelle iridi di Masa, nei suoi occhi, ma solo un velo di apatia. La ragazza si chiese come fosse andata la sua notte, quanti ghoul avesse ucciso usando la kagune. E cosa stesse pensando, guardandola.

La porta dell’ambulanza venne chiusa, interrompendo quel contatto e riportandola a guardare Take, mentre il paramedico richiamava Itou, che la raggiunse. Aiko stava bevendo, quando prese posto accanto a lei. Attese di sentire il motore partire e di vedere il biondo prendere la mano di Take, prima di attaccare gli occhi al paramedico, che stava controllando i parametri del caposquadra. «Il Quinx», sussurrò con tono basso. «Era ricoperto di sangue. Nottata movimentata?»

Kuramoto schioccò la lingua. «Non saprei, non ha detto una parola. Però un ragazzo delle comunicazioni mi ha detto che ha affrontato da solo Big Madame. Oggi lo dico per i posteri: sentiremo parlare molto più spesso di Urie Kuki. Quel ragazzo è una promessa.»

«Come suo padre.»

Aiko concluse, appoggiandosi col capo alla spalla del coinquilino, prima di chiudere gli occhi e sospirare.

Stanca, ma soddisfatta.

 

Capitolo trentacinque.

«Che brutto scherzo che ci hai tirato oggi, Aogiri. Non potevi proprio trattenerti dal fare l’eroina, immagino. Non l’hai mai fatto, che pessimo tempismo per cambiare attitudine. Proprio Tatara, poi? Di tutti i brutti stronzi che albergano questo mondo, dovevi diventare un’altra tacca sulla cintura di quel bastardo cinese?»

Il tono di Aizawa era così basso e atono da risultare impercettibile. Nello shock, non si stava nemmeno rendendo conto di star parlando per davvero, dando sfogo a tutti i suoi pensieri. Infondo nessuno lo stava ascoltando. Nemmeno l’inserviente che stava lavando via la pozza di sangue da sotto il lettino. Ivak non vedeva e non sentiva. Era diventato muto e cieco al mondo. Tutto quello ciò che riusciva a percepire era la mano di Aiko, sottile e pallida, ancora tiepida fra le sue. Lasciava scorrere su di essa le iridi celesti, soffermandosi sui lividi e sulle bruciature dell’avambraccio che sbucava da sotto il lenzuolo celeste che la celava.

Non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in viso, in quel momento.

La raggelante consapevolezza che lui sapeva e non aveva detto o fatto niente lo immobilizzava. Se l’avesse denunciata, l’avrebbero arrestata e spedita in Cochlea, prima dell’espianto del kakuho. Oppure glielo avrebbero lasciato e l’avrebbero condannata a morte. Oppure sarebbe rimasta a marcire nelle celle della prigione, come informatrice. Erano tante le possibilità, ma tutte risultavano più dignitose nel saperla morta dopo una battaglia in una fogna, a strisciare sul ventre ai piedi dell’albino. Lo odiava, Ivak. Odiava Tatara come non aveva mai odiato nessuno.

Per alcuni minuti, forse, lo odiò anche più di quanto aveva odiato Arima, ma perché Tatara aveva avuto sulla sua vita e su quella dei suoi cari più influenza di un singolo colpo di quinque dello Shinigami Bianco.

«Te lo prometto, Aiko. Io li ucciderò tutti e due. Ucciderò Tatara e ucciderò quel vigliacco di Arima. Perché non lo ha preso, poi? Come può essergli sfuggito di nuovo? In una fognatura? No, no…. Qualcosa non quadra. Questa è tutta una gigantesca cospirazione…

Accarezzò piano il dorso di quella mano esangue, prima di scivolare con le dita fino alle sue unghie. Così come i capelli, avevano reagito all’eccesso di cellule RC, crescendo rapidamente. Le stesse cellule che avevano poi fermato il suo cuore.

Il dottore chiuse gli occhi rossi di pianto, ormai secchi e stanchi, stringendo le palpebre e passandoci sopra i polpastrelli. Aveva del lavoro da fare. Doveva espiantare il kakuho prima di poter andare a casa. Delicatamente ripose l’arto della giovane sul lettino, coprendola con delicatezza. Le mise il lenzuolo anche sul capo, recuperando un altro paio di guanti di lattice, prima di cercare una flebo di inibitori. Li avrebbe sparati direttamente nel nucleo dell’organo, per estrarlo senza rimetterci a sua volta la vita. Il Pavone avrebbe continuato a combattere sempre, a dispetto della sorte del suo ospite. Quando avvicinò l’agocanula questi ebbe uno spasmo, ma Ivak non gli diede il tempo di attivarsi. Lo infilzò senza pietà, aprendo subito il canale della flebo per irrorarlo.

Ciò che accadde dopo rischio di fermare il suo, di cuore.

L’intero corpo di Aiko ebbe un tremito, poi alzò il busto, facendo leva sulle e facendo cadere il lenzuolo di lato. Ivak arretrò così in fretta da inciampare nel carrello, rischiando di ferirsi con le attrezzature chirurgiche, mentre rotolava a terra. La mora prese un respiro profondo, come se fosse appena riuscita ad uscire da uno stagno, con le labbra spalancate e gli occhi sgranati. Si guardò attorno spiazzata, terrorizzata, coprendosi il petto con la stoffa, prima di depositare gli occhi sulla figura scomposta del dottore, che non era riuscito a dire ancora niente.

«Ivak?», lo chiamò, mentre la voce le tremava.

«Ma che cazzo, Aiko

E per un istante guardò con un moto di stizza mista al sollievo quelle iridi rosse avviluppate nel nero più profondo.

 

«Non so come sia possibile ma è così! È viva e lei mi serve ora in sala operatoria!»

Shiba aveva avuto appena il tempo di voltarsi verso Aizawa, mentre questi usciva dalla porta gridando al miracolo. Lo era davvero, un miracolo.

La morte era stata decretata sette minuti prima, eppure la ragazza era tornata indietro. Doveva esserci una motivazione razionale dietro, ma in quel momento a nessuno importava. Tutta la sala d’aspetto aveva trattenuto il respiro, a quelle parole.

Ivak si era spazientito subito. «Allora?? Continueremo il gioco del silenzio ancora per molto! Andiamo, dottore! E vieni anche tu!»

Urie, che ormai non sapeva più cosa provare, si trovò tirato per un braccio. Entrò nella sala operatoria con i due medici dopo aver scambiato uno sguardo in tralice con Saiko, arrivando fino alla zona dei lavandini, dove i due chirurgi presero a lavarsi di nuovo le mani.

«Espiantiamo o no?», stava chiedendo il biondo all’altro, ma l’investigatore non li stava più ascoltando. Aiko era stesa a pancia sotto sul lettino, con le mani strette attorno al bordo, tanto da far sbiancare le nocche.

«Sta soffrendo?»

Aizawa lo guardò con la coda dell’occhio, prima di rispondere. «Il suo corpo sta combattendo una battaglia impossibile da vincere. Ha così tanto afflusso di RC da ucciderla almeno dieci volte, ma sorprendentemente il cuore ha ripreso a battere in autonomia. Kuki, devi dirci tu cosa fare.»

Per poco lo colse un malore. «Io? Io non sono un medico, Aizawa! Tu lo sei!»

«No, ma sei il suo referente», Shiba si asciugò le mani, prima di porgerle all’infermiera per farsi rimettere i guanti. «Abbiamo due scelte: togliere il kakuho per tutelare il suo cuore e sperare che le emorragie non la uccidano oppure lasciarlo e sperare che con una nuova gabbia i livelli si ripristino in fretta.»

«Togliamolo», disse Aizawa, senza mezzi termini. «Dì che dobbiamo toglierlo e smetteremo subito con gli inibitori. Poi la porteremo in coma farmacologico per qualche giorno, il tempo che il suo corpo guarisca riassorbendo le cellule RC in eccesso. Quando saranno tornate al livello di un essere umano, innesteremo di nuovo l’organo predatorio nella gabbia nuova.»

Urie non rispose immediatamente. Guardò di nuovo oltre il piccolo oblò sulla porta. Non sapeva nemmeno di cosa stavano parlando, di preciso, ma gli occhi di Ivak erano ricchi di convinzione e lui, come già detto, non era un medico.

«Procedete, va bene.»

«Ottimo. Rimani qui, se vuoi.»

Non si sarebbe sicuramente schiodato di un metro. Non per qualche nobile o romantica motivazione, ma perché non riusciva più a ragionare abbastanza lucidamente per ricordarsi quale fosse la strada per tornare alla saletta d’attesa. Come poteva essere il referente di qualcuno? Non era in grado nemmeno di capire come stesse lui. Era stanco? Disidratato? Spaventato?

Non gli sembrava di sapere più niente.

Rimase immobile lì, con una mano sulla bocca, a guardare dentro alla stanza.

Se fosse stato capace, avrebbe anche pregato.

 

 

«Sei arrivata in anticipo.»

Hairu era bella e dolce esattamente come la ricordava. Anzi, le parve ancor più graziosa, avvolta da quel vestitino dalla gonnellina ampia di un pallido color pesca dalle spalline ricamate. Non aveva memoria di averla mai vista con addosso qualcosa di diverso dagli abiti formali che teneva in ufficio, ad accezione di qualche sera al pub di Gerry. Anche in quei casi, comunque, Hairu non aveva mai indossato una gonna.

Il sorriso, però, era il medesimo, così come i grandi occhi espressivi. Le stava tenendo piano la mano, come se avesse paura di ferirla, mentre sorseggiava da una cannuccia rossa quello che dall’odore sembrava un cocktail fruttato. Agli agrumi.

«Non dovresti essere qui. È presto per te.»

Aiko non aveva capito. L’aveva guardata perplessa, prima di allungare l’occhio verso il bancone del caffè dalle ampie vetrate luminose. Lì dietro, un vecchio stava servendo una bella donna dai capelli castani, che portava acconciati di lato, in una lunga coda castana. Ad un tavolo poco distante dal loro, un giovane dai capelli coi capelli neri teneva il naso ben infilato in un libro di diritto, mentre con l’indice cercava l’ansa della tazzina di caffè.

«Non capisco», sussurrò quindi, perplessa. Aggrottò la fronte, sentendo una fitta alla testa così forte da costringerla a portare la mano ad essa. Chiuse un attimo gli occhi, prendendo un piccolo respiro. «Sono così stanca, Hairu

«Davvero lo sei? Non dovresti. Hai ancora tante cose da fare.»

«Perché stai parlando come Koori?», domandò quindi la mora, per riflesso, facendola ridacchiare giuliva. Poi notò che sul volto della più giovane si stava facendo spazio un sorriso malinconico. Un luccichio nei suoi occhi le fece comprendere che qualcosa non andava, ma non riusciva a reindirizzare le informazioni. Per riflesso, strinse di più la sua mano, «Hairu», la chiamò così da costringerla a guardarla. «Cosa è successo? Perché sei triste?»

Questa abbassò di poco il capo, incassandolo tra le spalle e sfilando la cannuccia dalle labbra. «La trovo una cosa davvero crudele», sussurrò, alla fine. «Venire strappati da coloro che amiamo. Non lo pensi anche tu?»

«Però non è ancora arrivato il momento. È troppo presto, Macchan

La seconda persona che parlò, impedendole di rispondere alla strana domanda di Hairu, le arrivò dalle spalle. La giovane dai capelli rosa sorrise maggiormente, facendole cenno di voltarsi. Quando le fece, furono gli occhi di Aiko a riempirsi di lacrime. «Shirazu…»

Il giovane portò la mano dietro al capo, imbarazzato, prendendo posto accanto a lei a quel tavolino. «Mi dispiace tanto, Aiko

«A te dispiace? A me dispiace per ciò che ti ho fatto. Per ciò che ho lasciato che facessero al tuo corpo.»

Lui alzò le spalle, mentre l’anziano signore serviva anche Ginshi, appoggiandogli di fronte una tazza ricolma di caffè fumante e andandosene di nuovo, senza rivolgere ad Aiko nemmeno uno sguardo. «Io sono morto, Aiko. Così come Orihara, Noro, Osaki, Ihei… Tu però puoi ancora fare qualcosa, non pensi? Chi se ne frega di un corpo vuoto. Non è ancora tardi. Devi solo capire che per te è troppo presto e non puoi rimanere qui.»

Masa lasciò la mano di Hairu solo per potersi aggrappare al braccio del vecchio compagno di squadra. Chiuse gli occhi, ormai pieni di lacrime amare, chinando il capo in segno di rispetto verso di lui. «Non è vero, menti. È troppo tardi. Per me è sempre stato troppo tardi.»

Lui, per risposta, portò una mano tra i suoi capelli, accarezzandoli. «Lo sarà quando avrai smesso davvero di credere in ciò che fai. Perché non importa davvero da che parte stai, ma cosa fai.»

«Tutto ciò non ha senso», ricomponendosi, Aiko portò via le lacrime dal suo viso con le mani, spazzandole quasi come se le temesse. «Io non so più da che parte sto, né tanto meno cosa sto facendo. Mi sento come se il fatto che io sia viva stesse privando gli altri della libertà. Urie per primo, ma anche Tatara. Ho perso la fiducia degli uomini della diciannovesima di Aogiri, ho perso anche quella della squadra Suzuya nonostante non me lo dicano. Io ho preso tutto quello che potevo prendere e poi cosa ho fatto per meritarmelo? Nulla.»

«Hai preso molto di più.» Il ragazzo che stava parlando non era seduto con loro, ma al tavolino accanto. Era solo, chino su un atlante di medicina, apparentemente disinteressato. Solo quando Aiko si voltò a guardarlo sollevò le iridi di un verde smeraldino incredibilmente bello nelle sue. Sembravano dello stesso colore dei raggi del sole attraverso delle vetrate ramina. «Tutti prendono qualcosa dagli altri. Ghoul o esseri umani non importa. È una guerra civile silenziosa quella che viene combattuta ogni giorno e il suo nome è sopravvivenza. Non vive più nessuno, sopravvivono tutti e basta.» Non lo interruppe, mentre chiudeva il libro appoggiando fra le pagine un segnalibro colorato, così da non perdere il segno. «Io potevo diventare un chirurgo e salvare vite. Forse salvare la tua. Loro due combattevano al tuo fianco, ma tu non li hai protetti, lei», continuò, indicando una figura seduta ad uno dei tavoli vicino alle vetrate. Aveva corti capelli viola e una rosa fra le mani. Il viso rivolto verso l’esterno e una tazza vuota di fronte a sé. «Ha cambiato se stessa per colui che amava e tu hai permesso alla tua padrona di torturarla fino alla follia e condurla alla morte. Lui», stavolta, ad essere indicato fu l’anziano. «Aiutava centinaia di vite, dando loro da mangiare e un rifugio sicuro. Lo ha fatto anche con la donna che siede al bancone, ma voi vi siete permessi di inserirvi nella sua vita, spezzandola. Per non parlare del ragazzo dietro di me. Scommetto che nemmeno lui voleva morire quel giorno nella undicesima.»

Aiko non riuscì a rispondere. Lo fissava in silenzio, realizzando di essere rimasta sola con lui solo quando le luci si spensero di colpo. Non c’era più nessuno da indicare, nessuno a tenerle la mano.

Solo a quel punto il ragazzo si alzò, passandosi una mano fra i corti capelli neri. Si sfilò gli occhiali da vista, chinandosi su di lei, improvvisamente ammutolita. Sinuose come serpi, delle code familiari la circondarono, brillando nel buoi nei loro toni del verde, del viola e del blu elettrico. La kagune del ghoul a avvolgeva totalmente, ma non era minacciosa, no.

Aveva qualcosa di famigliare.

«Tutti prendono qualcosa dagli altri. Che sia giusto o sbagliato poco importa, succede e basta. Niente filosofia né morale. Il mondo è ingiusto, Aiko Masa

 

 

A svegliarla fu la pessima combinazione della porta che veniva chiusa con enfasi e lo stridere di una sedia sul pavimento. Non fu comunque semplice tornare in sé, anzi. Aiko ci mise parecchio ad aprire gli occhi, infastidita dal suono continuo delle macchine che la circondavano e dalla vibrazione del telefono che l’uomo seduto accanto al suo letto stringeva fra le mani.

Un forte odore di mandarini permeava la stanza, nonostante la finestra socchiusa e la pioggia battente che profumava l’ambiente con le fragranze dell’autunno.

Hairu.

Sollevare le palpebre fu difficile, perché le sentiva pesanti, ma quando ci riuscì captò la fonte di tutto quel disturbo. «Aizawa», sussurrò piano, attirando su di sé l’attenzione del medico. «Ho sognato Hairu Ihei. È Shirazu. C’erano anche Kenzo e Kanae Von Rosenwald con loro, insieme a persone che non conosco…»

Ivak sospirò, sollevato, buttando la buccia del mandarino nel cestino, accanto al letto, prima di porgerne uno spicchio alla ragazza. «Sono sicuro che sia stato un sogno davvero terrificante, allora. Pieno di persone morte e-Kanae von Rosenvald? Quello del caso del Lunar Eclipse?» La guardò afferrare a fatica quel piccolo oggetto, come se pesasse chili. La mano, completamente ricoperta di cerotti per tenere ferma la flebo, vibrò pericolosamente, ma alla fine lei riuscì seppur con un grande sforzo ad accompagnarla alla bocca. «Che ne pensi? Ha ancora un buon sapore?»

«Ammetto di non essere mai stata una grande fan dei mandarini, ma questo è molto dolce.»

«Mi rincuora parecchio sapere che possiamo ancora andare a cena negli stessi ristoranti. Hai vissuto l’esperienza di diventare un ghoul, sai?», dal suo sguardo, Aizawa capì. «Qual è l’ultima cosa che ricordi, Aogiri

Lei dovette pensarci sul serio. Tutto pareva così confuso e avvolto da una nebbia impenetrabile. «Mi ricordo dell’inizio dell’operazione nelle fognature. Mi ricordo anche che ero con la squadra Suzuya e che ci siamo separati dalla squadra Quinx. Poi sono andava da Hige e Aura e…. e…»

Aveva affrontato Tatara. Il suo Laoshi. Un tremito la scosse, mentre le macchine segnalavano l’aumento del battito cardiaco. Ivak si alzò per far cessare quel ronzio fastidioso, «Non temere, non ti può prendere qui. Ci sono così tanti agenti nell’edificio da farmi pensare che presto sposteranno alcuni uffici per permettere ai tuoi colleghi di fare comunque servizio.» Il biondo tornò a sedersi, accavallando le gambe. Poi le sorrise, incoraggiante. «Hai salvato Higemaru e Aura da morte certa, te ne do atto. Bel lavoro, Aogiri. Sei morta per sette minuti e qualche secondo per questa tua botta di testa. Però ora sei di nuovo qui, tutta intera nonostante ti avesse fatto a pezzi e con di nuovo il tuo kakuho in corpo. Sei stata senza per quattro giorni.»

«Fa male», ammise, stupendolo. «Sento la schiena in fiamme.»

«Penso sia normale, tutto sommato. Abbiamo inserito una nuova gabbia, più resistente della precedente, nemmeno dieci ore fa. È strutturata con una nuova tecnologia che Chingyou aveva in cantiere, più sferica e a reticolato. Una cosa molto figa. Ti  abbiamo fatta uscire dal coma stamattina e devo ammettere che ti sei svegliata prima del previsto. Hai dormito cinque giorni, Aiko.» Si interruppe il tempo di inviare un messaggio, prima di indicarle il tavolo accanto al letto, sotto alla finestra. «Hai ricevuto molte visite in questi giorni e molti regali. Scollare di qui il culo di alcuni dei ragazzi è stato tutt’altro che semplice, mentre con altri ci siamo semplicemente rassegnati.»

Aiko sorrise, nonostante i tubicini che le uscivano dalle narici. Di minuto in minuto si sentiva più forte, sintomo che gli inibitori che avevano usato durante l’intervento stavano perdendo la loro efficacia. «Compreso il tuo, di culi?»

«Io sono il tuo medico curante, devo stare qui.»

«Il patologo è il mio medico curante? La dice lunga sulla situazione.» Lo fece ridacchiare, mentre tra i tanti fiori e pupazzi sul tavolo, un oggetto richiamò l’attenzione di Aiko in particolare. Era rosso, scintillante, con una frattura al centro. Senza quasi pensarci, la ragazza sollevò di poco i fianchi, facendo strisciare una delle code oltre le coperte per afferrare l’oggetto. «Oi, Masa! Perché non mi hai chiesto di prenderlo per te?», chiese Ivak, allarmato. La sicurezza con cui la ragazza arrivò a prendere fra le mani quel dono grottesco lo fece sospirare rassegnato. «Vedo comunque che riesci ancora a usarlo bene. Non hai spaccato nemmeno un muro.»

«Il mio corpo è ancora abituato e anche la mente. Parte tutto da essa, non dal kakuho. Questa chi me l’ha portata?»

Ivak lasciò scivolare lo sguardo sulla maschera rossa di Tatara, decisamente contrariato e forse disgustato. Poi sputò il nome e Aiko capì. «Arima. Pensava che avresti voluto averla, quando ti saresti svegliata. Come una sorta di trofeo di guerra, suppongo. L’aveva con sé la notte della missione e poi non si è fatto più vedere, se vuoi saperlo. Ha mandato il suo cane Hirako a-»

«Ma io non ho vinto, immagino. Se no non sarei in queste condizioni. Hai detto che sono morta?»

«Hai affrontato il bastardo cinese e non sei morta. Hai decisamente vinto tu, Aiko.» Il medico continuò a mangiare il suo mandarino, mentre la guardava passare le dita sulla frattura. Sembrava leggermente dispiaciuta. «Sì, sei morta e hai fatto morire noi di paura. Poi sei tornata e un ottimo team medico ha fatto un ottimo lavoro sul tuo corpo, riuscendo a impedire al tuo cuore di continuare a fermarsi.»

Usando la mano libera dalle flebo, Aiko si portò a sedere. Aizawa la aiutò, sistemandole i cuscini dietro alla schiena dolorante, poi le porse un altro spicchio, tornando a guardare la maschera rossa. La stringeva ancora. «Cosa ti passa per la testa?»

 «Sono nei guai.»

«Io fossi in te non ci penserei ora. Non credo avessi grandi alternative infondo. Nemmeno tu sei così senza cuore da lasciare morire Higemaru e Aura.»

Lei alzò le sopracciglia, chiedendosi se doveva o meno offendersi. «Grazie, Yakuza», si limitò a rispondere semplicemente, prima di sospirare afflitta. «Cosa faccio ora?»

«Ti ho detto di non pensarci. Tanto non puoi andare da nessuna parte, no? Pensa al tuo nuovo look, alla medaglia che sicuramente ti verrà assegnata e magari anche al fatto che wow, non sei morta! Sai quanta gente vorrà tirarti le guanciotte

Per riflesso, Aiko prese fra le dita una delle ciocche nere che le ricadevano sul petto, fin quasi al seno. Non aveva mai avuto i capelli così lunghi. «Le cellule rc?», chiese, facendo annuire Ivak. «Grazie al Grande Demone Celeste non sono diventata come Sasaki. Sai, quando li aveva bianchi con la ricrescita.»

«Sì ho presente. Erano osceni. Sei stata fortunata suppongo, anche se non posso dire lo stesso per noi. Io e Shiba ti abbiamo tagliato le unghie ed erano dure come il ferro.»

Una piccola risata proruppe dalle labbra di Aiko, che dovette smettere a causa del dolore alle costole. «Vivere è soffrire.»

«Già, è una dura verità.»

Si scambiarono un sorriso, trasalendo contemporaneamente quando la porta si aprì così tanto energicamente da sbattere contro la parete. Urie li fissò entrambi con gli occhi sgranati e un leggero fiatone, segno che aveva fatto le scale parecchio di fretta. Nella mano libera dalla maniglia –che aveva schiantato contro il muro, facendo staccare un po’ di stucco colorato- teneva sollevato il telefono, indicando Aizawa. «Sono andato a mangiare qualcosa meno di mezz’ora fa.»

«E lei nel frattempo si è svegliata. Stavamo appunto dicendo che la vita fa schifo.»

Urie non lo stava ovviamente ascoltando. I suoi occhi erano incollati su quelli gialli di Aiko, la quale comprese improvvisamente ciò che Aizawa aveva detto e ridetto riguardo ai ‘colleghi’ che avevano ricevuto la notizia della sua morte e resurrezione. Ci fu un secondo di stallo, poi decise di parlare per prima. «Ei.»

«Ei…»

«Ok io vado, sono già di troppo.» Il biondo recuperò un libro dal comodino, una borraccia azzurra e il suo cellulare, prima di prendere dalla tasca del camice altri mandarini, che lasciò sul ripiano per la giovane. «Tra un limone e l’altro ficcateci un mandarino.»

«Sei anticlimatico.»

«Questo è l’insulto più raffinato che mi abbiano mai rivolto, Cookie. Prendetevi il vostro tempo, io sarò qui in corridoio a fermare chiunque vorrà entrare.»

Il caposquadra dei Quinx attese di vederlo defilarsi, mentre Masa poggiava la maschera da parte, nascondendola con il lenzuolo. Non seppe perché lo fece, ma si sentì in dovere di levarla dalla vista. Rimasero soli e il ragazzo le si avvicinò, sfilandosi il cappotto nero e appoggiandolo sulla sedia lasciata vuota, mentre allentava il nodo della cravatta e si sfilava i guanti. «Come ti senti?», le domandò, sedendosi in parte sul letto.

Lei alzò piano le spalle, pensierosa. «Come se mi avessero macellato. Però a quanto mi ha detto il mio medico curante, ovvero il patologo, è andata proprio così.»

«Hai subito degli interventi molto invasivi, ma il tuo corpo ha risposto meglio del previsto alla privazione e al ri-inserimento del kakuho. Secondo Shiba ti riprenderai in fretta adesso, ma avrai molte cellule rc in corpo. Hanno già programmato un ciclo di cure per riportare i livelli alla normalità.»

Masa annuì, seguendo il discorso, mentre si girava una ciocca fra le dita. «Fino ad allora saranno stabili o diventerò Raperonzolo?»

«Sono già stabili. Senti la kagune sensibile?»

Di nuovo, lei annuì. «Sento come se avessi la schiena ricoperta di spilli. È una sensazione discutibile in effetti, a metà fra il fastidio totale e l’euforia. Sento che potrei infilzare un francobollo nella nebbia, bendata e a testa in giù, ora.»

Urie sbuffò, prendendole la mano nella sua. Lo fece con una delicatezza che infondo l’aveva sempre rappresentato, anche se apparentemente Urie non sembrasse quella pasta di uomo. «Che drammatica.»

«Mi dispiace di essere morta.»

Le scuse arrivarono inaspettate, tanto da fargli di nuovo sgranare gli occhi. Non rispose subito, limitandosi a guardarle la mano e quel groviglio di tubicini che la collegavano alla flebo. Quando riacquistò la parola, dovette togliersi un dubbio. «Perché mi hai nominato tuo referente?»

Non si aspettava quella domanda, ma la risposta le venne spontanea.  «Per anni è stato Take, il mio referente. Quando sono entrata nella sua squadra l’ho nominato perché la mia famiglia non c’è mai stata in questi casi. Mio padre hai avuto il piacere di vedere che razza di verme è e mia madre odia il distintivo della ccg. Non ho altri parenti vicini e infatti immagino che non si sia fatto vedere nessuno, vero?», lui scosse il capo, lentamente. «Non è un problema, non è la prima volta che finisco in ospedale e mia madre non si presenta. Ho nominato te quando abbiamo iniziato a frequentarci perché mi fido del tuo giudizio, tutto qui. E poi siamo obbligati ad averne uno designato, senza eccezioni.» Gli strinse di più la mano, «A quanto pare ho fatto una buona scelta.»

«Ha deciso tutto Aizawa, non ho meriti se si parla della tua salute.» Urie sembrava tristemente sincero nel dirlo e quando Masa fece per parlare e provare almeno in parte a consolarlo cancellando dalla sua faccia quell’espressione derelitta, lui la precedette di nuovo. «Avevi detto che non ti saresti mai frapposta fra un ghoul di raiting elevato e un tuo sottoposto. Ti ricordi?»

Lei boccheggiò un paio di secondi, mentre cercava di riportare alla mente quel ricordo. Quando successe, sbuffò apertamente. «Non sono più quella persona», snocciolò con non curanza. «Voglio dire, non conoscevo ancora Hige. Chi lascerebbe mai morire Hige? Naturalmente anche Aura, ma Touma va protetto. Lui non è ancora capace di farlo da solo.» Smise di scherzare quando realizzò che lui era mortalmente serio. «Cosa vuoi che ti dica? Ero più vicina a loro di voi. Non saresti mai arrivato in tempo, non potevo aspettare che tu e il resto della squadra mi deste supporto. Ho cercato in ogni modo di prendere tempo ma Tatara a quanto pare non voleva concederci nemmeno un secondo.»

«Per fortuna è arrivato Mutsuki

Aiko rimase un attimo in silenzio.

«Non te lo hanno detto? Mutsuki ti ha salvato la vita. È arrivato e ha guadagnato tempo fino all’arrivo della S0. Poi ti ha portato qui in ospedale insieme ad Hirako

A quel punto, Masa alzò la mano libera, come se si stesse arrendendo al carico di informazioni. «Va bene, voglio tutta la storia nel dettaglio, per favore. Aizawa non mi ha detto niente di Tooru

«Aizawa è un coglione. Però ti ha salvato la vita, anche se era ubriaco quando è arrivato qui la notte dell’operazione.»

C’era qualcosa di estetico in Ivak che la operava sbronzo, ma riusciva comunque a salvarle la vita prendendo le giuste decisioni. «Gli devo una birra.»

«Pagagli una cena. Basta alcool.»

Aiko inspirò pesantemente, mentre un sorrisetto divertito le incurvava le labbra. Non sembrava che il medico avesse bevuto molto negli ultimi giorni, preso dagli interventi e dalla cura dell’amica. Forse avrebbe superato così la morte di Mei, dedicandosi ai vivi e alle loro sofferenze. Comprendendo che poteva lasciare andare ciò che non c’era più e ricordandosi di chi invece era ancora in vita. Nonostante il fastidio alla schiena e i tubicini che le irroravano le narici di ossigeno, Masa trovò la forza di pensare in positivo. Nonostante avesse affrontato apertamente Aogiri, ci riuscì comunque. Poteva accomodare tutto, in un modo o nell’altro. In realtà, il pensiero di farlo in quel momento, raccontando ad Urie la verità su se stessa, su Labbra Cucite, la attraversò. Cercò un modo delicato per dirlo, realizzando che non esisteva. Sarebbe stata dura, ma andava fatto e non avrebbe avuto altre chance per uscirne bene a metà.

Un coraggio nuovo la animò, mentre Urie le scostava i capelli dalle spalle e le sprimacciava il cuscino dietro alla schiena. «C’è una cosa che devo dirti da tanto tempo, Kuki

Lui tenne gli occhi nei suoi, mentre alzava di poco il lenzuolo per tenerla al caldo. «Di qualsiasi cosa si tratti, puoi farlo dopo. Ora devi riposare e poi ci saranno gli altri che vorranno salutarti. Ti vogliamo tutti a casa, non in ospedale, ma per tornare devi esserti ripresa.»

Casa. Lo chateau.

Se avesse parlato di Aogiri, se si fosse denunciata, chissà se ci sarebbe mai tornata. No. L’avrebbero licenziata e incarcerata. Se l’avessero mandata nella Cochlea? Molti dei prigionieri ce li avevano spediti le sue squadre.

Avrebbe perso i Quinx.

Avrebbe perso Urie.

«No, devo dirtelo.»

Non poteva permetterlo. Non voleva permetterlo.

«Io ti amo, Urie Kuki. Non voglio più farti preoccupare così, ma succederà di nuovo. Posso però prometterti di aspettarti, la prossima volta.»

Provò disgusto per se stessa, ma quel sentimento venne scambiato per senso di colpa al punto tale che l’agente seduto accanto a lei non disse niente. Si chinò solo su di lei, baciandola con delicatezza, come se avesse paura di spezzarla.

Il disgusto non se ne andò, nonostante lei cercò di rimpiazzarlo con la sua solita ironia.

«Per il matrimonio, pensavo in inverno. Vicino a natale magari.»

«No, odio la neve, le lucine e le persone che si vestono di rosso, Aiko. Posso concederti autunno se vuoi.»

La lacrima che le solcò la tempia, ricadendo sul cuscino, non era commozione.

Solo tristezza e consapevolezza che non avrebbe mai e poi mai potuto rivelarsi senza perderlo.

E avrebbe preferito morire piuttosto che perderlo.

«Ok, ma la luna di miele in Francia. È un clichè, lo so, ma riuscirò a portarti a Parigi.»

 

 

Masa venne dimessa dall’ospedale solo il venti di settembre, tre giorni dopo il suo risveglio. Nell’arco di quei tre giorni, successero parecchie cose imprevedibili.

 

Prima fra tutte, vi fu la visita di Midori, che andò da lei per dirle che si stava davvero sposando. Aveva concordato la cerimonia per i primi giorni di aprile, così da avere dalla sua la fioritura dei ciliegi della grande tenuta della famiglia del futuro marito, dove avrebbero allestito dei bellissimi gazebo imbellettati per consumare quello che aveva l’aspetto di un banchetto imperiale. Un matrimonio in grande stile con il quale Masa non avrebbe mai potuto competere e forse anche per questo non rivelò all’amica che lei e Urie avevano parlato parecchio, in quei giorni.

Ebbe quanto meno modo di presentarglielo, visto che la bionda rimase tutto il pomeriggio con lei, mostrandole le foto degli abiti delle damigelle, i fiori che aveva scelto e il prospetto per un abito ideale su misura che avrebbe commissionato a una delle migliori boutique di tutta Tokyo, così da avere un capo unico e originale come sosteneva di essere lei stessa.

«Non capisco cosa c’entri lei con te», era stato il solo commento di Kuki quando l’amica di infanzia aveva lasciato la stanza.

Aiko aveva sorriso divertita, rispondendo senza giri di parole. «Assolutamente nulla e penso sia questo il bello fra noi. Non siamo nemmeno così amiche, ma lei è ancora ancorata al nostro passato. Però che tristezza, damigella sì, ma mai d’onore.»

«Vuoi dire che nemmeno tu sceglierai lei?»

«Scherzi? Saiko sarà cento volte più carina con gli abiti color pistacchio a cui sto pensando.»

 

La seconda visita straordinaria la ebbe la sera del secondo giorno. Aveva appena completato un controllo di routine con il dottor Shiba, che aveva decretato che sarebbe potuta tornare a casa il pomeriggio successivo, postumo però un po’ di sano riposo. Niente lavoro per almeno una settimana e niente stress. Le sue cellule rc iniziavano a stabilizzarsi grazie alle pastiglie di inibitori, tanto che la flebo non era più stata necessaria. A distanza di meno di una ventina di ore dal suo risveglio, Aiko sembrava tornata in forma.

Era pronta per ricevere il visitatore più interessante di tutti.

«Oi, Aiko», aveva esordito Aizawa, entrando nella stanza con un cipiglio perplesso. «Un ragazzino qui fuori dice di essere qui per te. Lo faccio entrare?»

La ragazza si stava abbottonando la camicetta da notte, così il biondo spostò lo sguardo sul muro in muto rispetto. Lei invece alzò gli occhi dorati sull’amico, socchiudendo piano le labbra. «Un ragazzino? Non sai chi sia?»

«No, ma è alto e lo ha sguardo incazzato. Non so perché ma non mi piace molto, soprattutto perché si guarda parecchio alle spalle mentre aspetta in corridoio. Certo, mi ricorda qualcuno, ma non riesco a collegare chi…

Masa sentì un piccolo tuffo al cuore. «Chi c’è in ospedale?»

«Itou e Hirako sono al bar.»

La mora si mordicchiò l’unghia che Nimura Furuta le aveva ricoperto di smalto blu notte durante la sua visita quella stessa mattina, pensierosa. «Va bene, fallo entrare, credo di avere capito chi è. In ogni caso, c’è Hirako

Lo aveva capito davvero. Per questo quando Ayato mise piede nella stanza lei cercò di mantenersi distaccata, incrociando le mani sul ventre, sopra alle coperte. Chiese ad Aizawa di chiudere la porta, lasciandolo libero se rimanere o meno. Quando il medico non si mosse dalla stanza, lei alzò la mano per fermare il ragazzo. «Va tutto bene. Lui sa.»

Ayato non sembrava molto persuaso, ma non aveva tutto il giorno. Il sole stava calando.

«Se per te va bene, andrà bene anche a me. Questi li manda Tatara.»

Aiko prese fra le mani il mazzolino arrabattato alla meno peggio, sorridendo melanconica. «Manjushage», sussurrò, mentre il suo sguardo accarezzava i fiori dai petali allungati. «I fiori dei morti. Interessante scelta.»

«Sappiamo che sei morta e tornata. Tatara ha detto che dietro a questo evento c’è un oscuro presagio. Sembrava quasi turbato, se ti fa piacere saperlo. Hai fatto muovere il suo gelido culo durante uno scontro e lo hai anche fatto sentire uno schifo. Bella mossa, Labbra Cucite.»

Masa si prese un secondo, prima di sorridere appena, chiudendo gli occhi. Sarebbe stata una serata parecchio lunga. «Non ho fatto le presentazioni, a proposito. Yakuza, questo è Rabbit. Rabbit, questo è Yakuza

Ivak sembrava quasi offeso sul personale. «Ma davvero? Quanti anni ha? Sedici? Almeno vai a scuola?!»

Ayato non gli rispose, passando gli occhi violacei su tutto il suo corpo, come per capire se fosse o meno armato. «Non è un agente», decretò alla fine e no, non era una domanda la sua.

«Sono il patologo che estrai gli organi predatori e ci fa quinque, in realtà. Vuoi entrare in una valigetta anche tu o ci dici perché sei qua?»

Kirishima assottigliò gli occhi, prima di tornare a guarda Masa, portando una mano nella tasca del cappotto e abbassandosi del tutto il cappuccio con l’altra. Aveva mantenuto un profilo molto basso, sfruttando quando era affollato l’ospedale a quell’ora, ma non aveva messo la maschera per ovvie ragioni. Quando gettò quella di Aiko sul letto, lei la prese e la nascose velocemente. «Stasera usciamo a caccia, Labbra Cucite.»

«Non posso, Ayato

Ivak si gonfiò come un rapace offeso. «Ovviamente non può! Siamo in un ospedale per quello che il tuo amico cinese le ha fatto. Se invece di unirsi ad Aogiri avesse aperto una attività di cibo da asporto come tutti i suoi simili, ora non saremmo qui.»

«Devi uscire e trovarlo tu», ripeté Ayato, sovrapponendosi alla voce del medico per coprirla. Fece un passo verso il letto, appoggiandosi ad esso con le mani per guardarla meglio negli occhi. «Sei ancora un capo di Aogiri o no?»

«Dovresti dirmelo tu, Ayato

«Non abbiamo avuto ordini che dicono il contrario.»

Aiko prese un profondo respiro, stringendo nelle mani i fiori. Quando li posò sul comodino per sollevare la sua maschera, comprese che quella era una omissione di intenti. «Chi devo trovare?»

Kirishima infatti parve sicuro di sé, come se ormai lei avesse accettato. Sapeva che non si sarebbe tirata indietro una volta venuta a sapere il soggetto della loro ricerca. «Takizawa è scappato», sganciò senza rispetto, facendole sgranare gli occhi. «Lo riesco a rintracciare e penso di aver capito dove ha fatto il nido, ma non riesco a prenderlo. Tatara ha detto che il punto di partenza per te sarà riportare la pecora nera all’ovile.»

Ivak incrociò le braccia, alzando le sopracciglia e sfidandola apertamente. «Non uscirai da questa porta, Aogiri. Conosco persone che possono spezzarti le gambe»

Non ne dubitava. Aiko scambiò uno sguardo di intesa con Rabbit, poi guardò il dottore. «No, non lo farò», scostò le coperte, prendendo il cappotto del medico dalla sedia, dove l’aveva appoggiato il dottore quel pomeriggio stesso. «Usciremo dalla finestra e tu mi coprirai.»

«Scordatelo! Non sei in te.»

Aiko accarezzò il bordo del  cappotto e, in ultima, mise la maschera di Labbra Cucite nella tasca.

«Sto bene. Non lascerò Seidou la fuori a naufragare nella sua follia. Sai quanti morti farebbe? Non posso permetterlo nemmeno come agente.»

Non c’erano speranze di farle cambiare idea, Ivak lo sapeva. Sbuffò apertamente, allargando le braccia prima di farle cadere molli contro  fianchi. «Perfetto allora! Fammi diventare tuo complice. Che devo fare?»

Lei sorrise, divertita. Poi guardò prima Kirishima, fermando lo sguardo sull’amico solo alla fine. «Cenare con me e poi ficcarti nel letto al mio posto, ovviamente. Non verrà nessuno se si spargerà la voce che sono stanca e voglio riposare.»

Sul volto di Ivak rimase solo l’amarezza.

«Come in campeggio, quando i miei amici scopavano e io dovevo coprirli.»

 

 

«Cavolo dovevo proprio fare la ballerina nella vita.»

Aiko scavalcò un pilastro portante di cemento armato, guardando la scena attorno a sé. L’antro che Takizawa aveva scelto come sua tana era un vecchio cavalcavia mai ultimato, che avrebbe dovuto collegare una zona della dodicesima al centro residenziale adiacente. Il cantiere era stato dismesso da tempo, con il disappunto degli abitanti di Tokyo che avevano visto naufragare quel collegamento stradale comodo.

L’area era diventata un cimitero, ammazzando ogni speranza. Aiko sentiva l’odore della decomposizione ogni singolo passo che compiva a piedi nudi fra le macerie, consapevole che una sola doccia non sarebbe bastata. Tenne il cappuccio della felpa di Ayato calato sul capo, dove i capelli lunghi iniziavano già a darle problemi, troppo lisci per rimanere stretti nel concio che aveva arrabattato alla meno peggio prima di indossare la maschera.

Il giovane accanto a lei incrociò le braccia sulla canottiera, indicandole un punto in cui una ragazza dalla maschera ovale se ne stava appollaiata, in attesa. «Anche tu saresti dovuta diventare qualcos’altro, Tomoe», proseguì la mora, salendo sulla montagnola di detriti assieme all’altra discepola di Tatara. Questa la guardò scettica da dietro la maschera, prima di tornare a voltarsi alla volta dell’oscurità. Non dovette dire nulla, Aiko prese ad annusare l’aria. «Lo sento, anche attraverso il fetore della carne in decomposizione. È qui e ha bisogno di un bagno oltre che di un supporto psicologico.»

«Hai in mente un buono specialista?», domandò sarcastico Ayato.

La mora ridacchiò appena. «Ho in mente una pazza che potrebbe mangiare. La psicologa del dipartimento, ovvero la mia spina nel fianco.»

«Tutti abbiamo i nostri nemici», sussurrò fievole come un vento primaverile Hakatori, stringendo fra le mani l’elsa della quinque. Sembrava un cane in allerta. «Sa che siamo qui e ci sta ascoltando, vero, mèi mèi

«Dannazione se lo sa. Mi chiedo solo cosa sta aspettando per saltarci addosso.»

Si creò una situazione di stallo insopportabile. Aiko era piuttosto sicura che da soli, loro tre, non sarebbero riusciti a fare fronte alla furia di Seidou. Se davvero era uscito di nuovo di testa, avrebbe fatto meglio ad agire da sola. Era avventato, certo, ma la sua stessa presenza in quel luogo lo era.

Devo arginare in ogni modo la sua rabbia.

«Va bene, vado io. Voi state qui e copritemi, se scoppia un casino.» Passò la giacca di Aizawa al ragazzo, prima di appoggiare una mano sull’impugnatura della katana di Tomoe. Si abbassò la maschera sul viso, guardandola severamente, come avrebbe dovuto sempre fare con la sua kohai, ottenendo come risposta la presa dell’altra ammorbidirsi. «Andrà tutto bene, mi prenderò io cura di lui, perché è il mio dharma.» Lo disse con una certa sicurezza, mentre si liberava della felpa e di qualsiasi impedimento.

«Cerca di non lasciarci il culo, sul tuo dharma

«Grazie per le belle parole di incoraggiamento, Kirishima

Con un respiro profondo, si preparò e discese la collinetta di calcinacci e cemento, non ferendosi solo grazie alla sua pelle indurita. La camiciola da ospedale che aveva indossato al posto della sua camicetta da notte lasciava libera la schiena, ma a causa delle visite di controllo a cui veniva sottoposta giornalmente, sperava di non dovere utilizzare la kagune.

Iniziò a chiamare il compagno di disavventure, camminando nel buio e pestando chiazze di sangue e resti di pasti. L’odore più avanzava più si faceva insopportabile. Improvvisamente si rese conto di quanto gli allenamenti con Tatara in cui soleva bendarla fossero stati utili. Sentiva dei movimenti attorno a lei, ma nella penombra non poteva distinguere nulla se non ombre, forse proiezioni mentali della sua mente paranoica. Eppure sapeva che lui era lì. Lo sentiva.

«Seidou, ti supplico, vieni da me.» Si fece coraggio, abbassando la spada e allungando una mano, chiudendo gli occhi.

«La Kitsune, la Kitsune

All’inizio le parole arrivarono alle sue orecchie come una carezzevole litania, recitata però con voce tagliente. Sembrava essere ovunque attorno a lei. Takizawa poteva anche essere leggermente sopra le righe in quel momento, ma rimaneva comunque intelligente e calcolatore: stava fruttando in modo a dir poco perfetto l’eco della grotta artificiale in cemento armato. Aiko decise di affidarsi unicamente al suo naso, così da evitare di venire tradita dagli altri sensi. La mano tesa non ebbe nemmeno un sussulto quando realizzò che era alle sue spalle.

«Non sono un Youkai. Sono solo un agente morto della ccg, come te.»

«La Kitsune è ingannevole, assume molti volti. Ed è furba! Furba come una volpe», una risata sinistra le fece accapponare la pelle, ma nuovamente tenne immobile la posizione e non aprì gli occhi. «Aprì le code, le voglio contare. Sei il Nogitsune, vero? Sei qui per farmi diventare pazzo.»

«Sei già pazzo», sussurrò con tono basso la mora, «Sono qui per riportarti a casa.»

«Io non ho una casa.»

«Hai ragione, ma nemmeno io ce l’ho. Ti consola?»

Una mano fredda scivolò sotto al suo camice, toccandole il fianco. «Non c’è più», disse Takizawa, alludendo a quella cicatrice che lui stesso aveva provocato con un morso anni prima. L’altra mano la strinse al collo, forte. Aiko lasciò cadere il braccio e lasciando la presa sulla quinque, arrendevole. «Non sei lei. Sei un mostro mandato da altri mostri, lo so. Lei è morta. Tatara l’ha uccisa e io sono stato di nuovo abbandonato.»

«Le mie cellule sono impazzite», la presa si rafforzò e lei dovette deglutire due o tre volte per riuscire a proseguire. «Le mie cicatrici, il tatuaggio di Eto…. Il mio corpo ha riassorbito tutto.»

«Menti.»

«Mettimi alla prova Seidou. Cosa vuoi sentirti dire? Vuoi che ti ricordi di quella sera a Kyoto, quando abbiamo fatto a pezzi mio fratello? Oppure quella volta che mi hai aiutata a far sparire quel gruppo di rivoltosi nella decima? Oppure vuoi storie più vecchie? Voi che ti parli dei nostri dieci giorni insieme?»

Non la lasciò andare e smise addirittura di ascoltarla. «Kitsune mostrami la tua sfera, voglio mangiare anche quella. Insieme al tuo corpo, voglio anche l’anima.»

«Basta!» Gli assestò una gomitata decisa nelle costole, non facendogli male, ma prendendolo abbastanza in contropiede da toglierselo di dosso. Non poteva più tollerare le sue mani sulla sua pelle, le riportava alla mente ricordi orribili. «I fantasmi e gli spiriti dei boschi non possono prenderti a calci in culo, ma io sì, Seidou.» Cercò  i suoi occhi nell’oscurità, trovandoli a brillare come quelli di una fiera, illuminati da una scintilla di crudeltà che andava però spegnendosi. «L’onestà non è un’opinione o un sostantivo altisonante. L’onestà fra due persone è un dedalo di vincoli inossidabili, un legame che non si può estirpare con una serie di notizie buttate al caso e inconcludenti.» Se non fosse riuscita a farlo ragionare, non ci sarebbero state speranze di farlo uscire di lì con le buone, per questo giocò il tutto per tutto, allungando di nuovo la mano, decisa. «L’onestà che c’è sempre stata fra noi, ogni singolo giorno di ogni singolo mese di ogni singolo anno da quando l’Aogiri ci ha costretti insieme in quella cella, è un dato di fatto. Ti ho mai mentito? Ti ho mai ingannato? Andiamo via di qui, ti prego, e risponderò a tutte le tue domande.»

Aiko era pronta. Aveva portato il piede sotto la spada, pronta a sollevarla con un calcio per contrastare un attacco.

Non ce ne fu bisogno. La mano di Takizawa, al contrario della sua, tremava. Era fredda esattamente come l’aveva avvertita sul fianco e pallida come quella di un malato. Sapeva che era così, anche se non poteva vederla nitidamente. Da prima si sfiorarono le loro dita, che lei poi intrecciò a quelle del ragazzo. «Seidou ti prego, basta scappare. Non esiste per noi un altro posto che non sia quello in cui già siamo.»

Non ci furono altre parole.

Il corpo di Seidou si appoggiò molle al suo, mentre il ghoul pareva perdere le energie. Aiko gli abbassò il cappuccio, legando le dita ai suoi capelli mentre con le labbra gli sfiorava la tempia.

«Va tutto bene, sono qui.»

 

«Hakatori ha detto che sono tornati alla base della diciannovesima. Tatara è compiaciuto, Eto è felice e c’è tutto il lieto fine necessario. Ce l’hai fatta di nuovo, Labbra Cucite.»

Aiko aveva ancora i capelli bagnati e l’accappatoio addosso, quando Ayato le comunicò la lieta notizia, seduto sul davanzale della finestra spalancata. Aizawa, che era stato brutalmente svegliato dal loro ritorno, osservò il ragazzino intascare la maschera dell’amica, prima di riporre il cellulare. Non era molto felice del fatto che il suo cappotto, pregno dell’odore di T-Owl e decomposizione, fosse stato cestinato molto lontano dall’ospedale, ma preferiva quello alle conseguenze di ciò che sarebbe potuto succedere se un Quinx l’avesse fiutato.

«Almeno è stato un successo.»

Masa non sembrava concordare con il medico. Sospirò, alzando il braccio e osservando la macchia rosata che rivelava dove prima aveva tatuato il crisantemo, quasi completamente riassorbito dalla pelle rigenerata. Poi lo riabbassò con un gesto secco. «Se non stesse così male, non l’avrei riportato.»

«Lo so, lo hai detto otto volte mentre tornavamo.»

«Non sto scherzando, Ayato. Se Seidou non fosse completamente fuori controllo, non l’avrei mai rispedito dai suoi carnefici.»

Rabbit non sembrava colpito da quella predica di amore e bontà. Alzò un sopracciglio, prima di alzarsi con un saltello sul davanzale. «Come preferisci, boss», la prese in giro, tenendo le mani nelle tasche della felpa che gli era stata restituita. «Se questo ti aiuterà a dormire la notte, a me sta bene. Te ne devi raccontare parecchie di storie, per convivere con te stessa.»

«Non abbiamo tutti il lusso della libertà, sai?»

Ivak sospirò pesantemente, alzando il capo verso l’alto e mormorando qualcosa in una lingua che nessuno degli altri due poteva capire. «Basta coi merdosi discorsi filosofici da Aogiri. Tana libera tutti. Torna a Wonderland, coniglio, tra poco sorgerà il sole e qui potrebbe scaldarsi la situazione.»

Aiko sembrava d’accordo. «Vai e dì a Tatara che per un po’ non mi farò sentire. Sarò nell’occhio del ciclone.»

«Diglielo tu, hai un telefono no?», fu la pragmatica risposta del ragazzino, prima di lasciarsi cadere all’indietro.

Ivak gli diede appena il tempo di farlo. Chiuse la finestra e si voltò verso Masa, stanco. «Basta avventure, signorina. Fila a letto e guai a te se finisco nella merda. Se si sospetterà anche solo vagamente di un mio coinvolgimento, canterò come un canarino.»

Aiko si infilò sotto alle coperte, lasciando al medico un po’ di posto. Lui prese la palla al balzo, recuperando una coperta dalla poltrona di fronte al letto e mugolò soddisfatto quando tornò a stendersi sul materasso.

La mora appoggiò il capo alla sua spalla.

«Sono sicura che lo farai, Yakuza

 

 

«La vuoi diritta? O magari scalata? Oppure un po’ più lunga ai lati e corta al centro?»

Aiko si sentiva stanca morta e sicuramente la scampagnata notturna non aveva aiutato. Sbuffò, prima di rispondere incolore. «Devi tagliarmi una frangetta, Koori. Non devi compilare un rapporto. Non servono tutte queste…. Cosa sono, definizioni? Stili? Fammi quella che pensi mi starà meglio e basta.»

Il classe speciale non sembrava soddisfatto. Sistemò le due forcine che tenevano separata la ciocca lunga frontale dal resto dei capelli, prima di guardare critico l’amica. Poi prese la forbici. «Asimmetrica sia. Verso sinistra o verso destra?»

«Smettila e taglia!»

Dalla poltrona, Urie alzò il viso. Stava leggendo il giornale in silenzio, tenendo con una mano la tazza di caffè bollente che Aizawa gli aveva appena servito ridacchiando sotto i baffi. Anche lui aveva visibilmente bisogno di dormire un po’ di più, ma per fortuna il capo dei Quinx non aveva fatto domande. Forse non se ne era manco accorto.

«Dovrebbe farlo Fura

«Fura non è qui», insistette Aiko, mentre Koori iniziava almeno ad accorciare i capelli, con espressione scettica. «Io non li sopporto oltre tutti questi capelli, voglio almeno avere la visuale libera.»

«Falli scalati verso destra, così il kakugan rimane bello libero», suggerì il medico, stupendo piacevolmente il classe speciale, il quale annuì compiaciuto.

«Allora vado.»

Un bussare alla porta tutt’altro che leggerlo lo bloccò con la mano a mezz’aria e il polso piegato in una angolatura morbida. Nakarai non attese nemmeno il permesso per entrare, ritrovandosi a guardare perplesso la scena. Dietro di lui si affacciò anche Tamaki, con in mano un sacchetto pieno di paste alla marmellata di lampone. Masa avvertì subito il buonissimo profumo.

«Stiamo per assistere a Ui passione parrucchiere», li anticipò  Aizawa, facendo cenno verso la brocca del caffè. «Vi unite?»

«Siamo solo di passaggio», lo fermò Keijin, mentre Mizurou si avvicinava per lasciare alla ragazza la colazione speciale. Koori iniziò piano a tagliare, mentre Nakarai continuava. «Ti senti in forze abbastanza per sostenere una conversazione formale, primo livello Masa

«Sto per tornare a casa, prima classe. Stasera sarò di nuovo con voi nella tredicesima», gli rispose lei, incrociando gli occhi per osservare i progressi dell’amico, talmente concentrato da tenere i suoi assottigliati. «Sei venuto a parlarmi del nostro nuovo caso?»

«No, sono venuto a dirti che hanno richiesto il tuo trasferimento alla squadra definitiva per il tuo periodo di congedo dalla Quinx Squad», la corresse il vice capo della squadra Suzuya, senza tatto.

Tutti si voltarono verso di lui per guardarlo, eccetto Koori che pareva troppo preso dal lavoro di precisione e dai dettagli clinici dell’amica, sui quali non sarebbe passato sopra con leggerezza. «Aiko deve riposare per qualche giorno. Su mio ordine, dite a chiunque l’abbia notata che potrà inoltrare la richiesta nuovamente all’inizio della prossima settimana.»

Gli occhi neri e profondi come pozzi di Nakarai squadrarono la sua schiena magra, prima di sollevare il mento leggermente. «Con tutto il rispetto, vorrei che fosse lei a comunicarlo al classe speciale Arima, signore. So che avete più confidenza e oggi mi sembrava molto di fretta quando è venuto a portarmi questo.»

Ui allontanò le forbici dal viso di Masa, voltandosi del tutto verso il vicecapo della squadra Suzuya. «Arima ha fatto da intermediario?», chiese stupito, prendendo il fascicolo e aprendolo.

«No. Il classe speciale Arima ha fatto domanda per integrare il primo livello Masa nella prima squadra della S3.»

Fu strano. Aiko sentì il cuore bloccarsi per qualche istante, chiedendosi se fosse quella la sensazione di nausea e vertigine che si provava durante un arresto cardiaco. Istintivamente cercò lo sguardo di Koori, che però era troppo preso a leggere quelle carte, quasi come se contenessero fra le righe le risposte al senso della vita. Non erano i soli a sembrare spaesati. Aizawa aveva completamente perso il colore sul viso, mentre il suo sguardo si era spostato assente sul pavimento. Urie, invece, versò una goccia di caffè sul pavimento, prima di alzarsi in piedi, appoggiando tazza e giornale sul tavolino frettolosamente. Si affiancò al classe speciale, portando una mano al mento mentre a sua volta prendeva a leggere. «Tutto qui?», chiese, senza giri di parole. «Non ho mai letto una richiesta formale di trasferimento così breve.»

Ui lo guardò con la coda dell’occhio. «Arima non è mai stato un uomo di molte parole.» Dal taschino della camicia, Ui prese una penna stilografica, voltandosi quindi verso Masa. «Devi decidere entro qualche ora e poi farlo firmare al primo livello Urie. Suzuya ha già firmato e anche il prima classe Nakarai

«Avete firmato prima di interpellarmi?»

Il biondo scambiò uno sguardo con Tamaki, il quale rispose per lui. «Kei non ha usato eufemismi: il classe speciale Arima era davvero di fretta e ha detto che avete molto lavoro da fare. Se non vuoi lavorare nella S3 e rimanere con noi, meglio se lo chiami subito, Aiko

«Che follia», parlò di nuovo Ui. «Chi direbbe mai di no a una tale opportunità? Aiko io sono stato un membro della S3 per anni. Nessuno ti formerà mai a livello combattivo e tattico come Kishou Arima. Questo è il tuo trampolino di lancio per fare carriera.»

Urie incrociò le braccia, «Aiko», la chiamò cercando di essere premuroso. Eppure una nota stonata gli storpiò appena la voce. «La decisione è tua. Se vuoi andare, posso firmare anche subito.»

«Torneresti a vivere allo cheatau, se lo desideri», sottolineò Koori, come se stesse effettivamente cercando di invogliarla. «E saresti di nuovo in squadra con Take. Senza contare che sono molto a corto di organico logistico e tu sei una bravissima criminologa. Tutti i casi ad alto profilo passano per le mani di Arima e ora dovrà occuparsi di qualcosa di davvero grande, che non mi è dato rivelare. Avrà bisogno di un’investigatrice come te e tu, dopo lo scontro che hai appena avuto con Tatara, avrai bisogno di un buon insegnante.»

Sembrava ironico.

Dopo lo scontro con il mio maestro, ne necessito uno nuovo.

Aiko prese la penna in mano, non sapendo cosa fare. Doveva firmare? Poteva tornare allo cheatau? Poteva essere all’altezza di quella squadra così famosa? La squadra a cui ambiva Urie da tutta la vita. La squadra che tutti guardavano dal basso, che tutti elogiavano. Sarebbe riuscita a lavorare per Arima Kishou e per la Aogiri allora stesso tempo?

«Voglio pensarci bene e leggere quel fascicolo», rispose la mora, tenendo la penna in mano e portando l’altra per ricevere il plico. Se lo appoggiò in grembo e poi passò la mano sulla frangetta, che era venuta particolarmente bene nonostante la situazione. «Non voglio prendere una decisione di questa portata a cuor leggero.»

«Credo sia saggio, ma non sottovalutare la grande opportunità che ti è stata data. Una volta nella vita si può entrare in una squadra così.» Koori le sorrise, appoggiando le forbici sul comodino. «Però hai tutto il diritto di pensarci su. Se desideri tornare nella Prima, sono pronto ad assumerti io stesso nella S1. Anche io sono a corto di organico.»

Nakarai si fece avanti, guardando soprattutto nella direzione di Aizawa. Dietro alla schiena teneva ancora una cartellina. «Posso parlare un secondo con la paziente da solo, signori?»

Mentre la stanza si svuotava lentamente e Aizawa la guardava negli occhi, in tralice, Aiko strinse forte a sé Tamaki. «Ti preparerò la valigia, nel caso in cui deciderai di andare via», le sussurrò il castano. «E la porterò a casa tua. La S3 e la S1 uno sono eccezionali, dovresti tornare qui.»

«Anche voi siete eccezionali, tu lo sei», si staccarono lentamente, scambiandosi un sorriso sincero. «Ma la storia di Kenzo e Iruka…. Lo stare in squadra insieme e la iella. Sono vere. Sono quasi morta!»

«Cavolo se sono vere. Vattene fino a che sei in tempo.»

Un ultimo sorriso e poi si chiuse la porta alle spalle, lasciandola sola col biondo. Questi le porse il fascicolo che teneva ancora con sé, molto più consistente dell’avviso di trasferimento. «Volevo che tu fossi la prima a leggerlo. Sto per andare a consegnarlo al diretto.»

Aiko lo aprì, leggendo il titolo di quel rapporto e sentendo il sangue calare di temperatura mentre scorreva rapido nelle vene.

«Indagine interna sul potenziale rapporto fra Aiko Masa, primo livello investigativo, e l’Albero di Aogiri», lesse a voce alta, «Sono impressionata da quanto hai scritto, davvero. Sono nei guai?»

Lui scosse piano il capo. «Ti risparmio la lettura. Ho avuto sospetti su di te dal primo istante in cui abbiamo iniziato a lavorare insieme. Anche Suzuya ne ha avuti, ma insieme siamo arrivati alla conclusione che non ti abbiamo mai capita.» Fece un piccolo intervallo fra quelle parole e il resto del discorso, permettendole di guardare le foto che aveva allegato di lei per strada. Sempre sola e nel tempo libero. Era stata anche pedinata e nemmeno se ne era accorta.  «Non ho fatto menzione della tua storia con l’agente Urie, né delle uscite notturne che non autorizzavamo. Siamo arrivati alla conclusione che stai indagando su qualcosa di strano, forse collegato a Hideoshi Nagachika, sul quale hai lavorato tempo fa. Sul rapporto abbiamo scritto solo che non ci sono le basi per avviare una istruttoria su di te e che posteriormente al tuo scontro con Tatara, è ovvio che non c’è possibilità di un tuo coinvolgimento con Aogiri. Non sei tu la spia che cerchiamo da anni, quindi…. Perché non sei tu, vero?»

Gli occhi dorati di Aiko saettarono in quelli dell’altro. Non esitò.

«No, non sono io la spia, Nakarai. Volevo davvero aiutarti a trovarla, ci ho provato, ma non riesco a capire chi potrebbe essere.»

«Stai indagando su questo?», la incalzò lui, senza pietà né inclinazioni nella voce. «Seguivi qualche pista strana utilizzando informatori non esattamente ‘legali’ ?»

Masa annuì. «In un certo senso sì, cercavo anche la spia»

In un certo senso.

«E sì, ho avuto contatti con ghoul per risolvere alcuni casi. Come l’Embalmer

Il biondo riprese la cartella, «Non sei né la prima né sarai l’ultima a farlo. Solo occupatene quando non ti saranno più utili, va bene?», lei acconsentì e lui si allontanò di un paio di passi dal letto. «Siamo stati insieme troppo poco per conoscerci davvero, Masa Aiko. Non posso dire quindi molto su quello che so essere un addio.»

La morettina ridacchiò piano, appoggiandosi fiacca ai cuscini. «Diciamo un arrivederci, ok? Niente più addii.»

«Allora arrivederci. Se posso permettermi, però, ti do un consiglio finale, in quanto sono ancora tuo partner sino a che non firmerai: non lasciare che quello che stai cercando ti faccia perdere. Non ne vale la pena. Ora riposati, hai un aspetto schifoso.»

«Grazie di tutto, prima classe.»

Anche lui lasciò la stanza e una volta sola, Aiko chiuse gli occhi, abbandonando indietro il capo.

Si sentiva persa da così tanti anni ormai, in balia di continui sentimenti contrastanti, da poter avere solo l’ambizione di un assaggio di vita normale.

Una aspirazione diversa.

Il potere stretto fra le mani, ma in positivo.

Avrebbe trovato se stessa nella S3? Se lo chiese, mentre riapriva la cartellina, passando le dita sulle due righe scritte da Arima con calligrafia sottile e stretta.

Richiedo che l’agente di primo livello Aiko Masa entri a far parte della S3, per compensare l’ingente perdita di personale dei recenti mesi. Classe speciale Kishou Arima.

«Non un perché, non una spiegazione. È così da Arima da sembrare un clichè

Con la penna stretta nella mancina, decise in fretta senza consultare Eto.

Sapeva cosa le avrebbe detto quest’ultima.

Pose una firma sulla carta e poi si voltò sul fianco, chiudendo gli occhi.

 

La sua vita avrebbe avuto finalmente quello spasmo che serviva per far cessare quegli assordanti applausi?

 

 

Continua…

 

 

 

Nda

 

So che sono di nuovo in ritardo, ma per scusarmi vi ho scritto un capitolo davvero lungo!

Che dire, un bel cambio di rotta, uhm?

Stiamo per entrare nella parte di storia che preferisco in assoluto su tutti.

 

Sono eccitata al pensiero di scriverlo!

 

Voglio ringraziare sinceramente le due ragazze fantastiche che mi hanno recensita.

Mi avete dato una carica in più!

Grazie davvero.

 

A presto con l’inizio del prossimo caso.

 

…Un caso indimenticabile.

 

C.L.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 36
*** Il caso Re - 1 di 6 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

Yoshitoki Washuu era sempre stato un uomo rispettabile. Non si era mai sbilanciato troppo nel suo rapporto con i subordinati, se fatta qualche eccezione, ma non era nemmeno mai stato troppo distaccato. Cercava di infondere sicurezza nei suoi uomini, tenendoli lontani dalla verità che strisciava ogni giorno sotto i loro occhi resi ciechi dalla fedeltà a una famiglia di impostori. Voleva davvero che quell’equilibrio delicato si mantenesse per il maggior tempo possibile per il bene di tutti, ma Aiko Masa aveva rischiato di mandare in frantumi la precaria pace che i suoi avi avevano costruito tanto a fatica.

«Spero che tu sappia cosa stai facendo, Kishou. Ogni decisione che hai preso su questa ragazza fino ad oggi è stata discutibile. Dalla istruttoria a suo carico per abuso di potere fino a questa potenziale gravidanza di cui non mi avevi parlato. Ci sono altre cose che non mi hai detto?»

Il fratello non rispose. Tenne gli occhi sulla scacchiere dello Shogi, sistemandosi gli occhiali sul naso. Quando spostò le dita su uno dei tasselli, sembrava non curante. «No. Non c’è altro. Se temi che le abbia detto qualcosa di troppo, ti sbagli. Ho commesso solo un errore di calcolo.»

«Un errore solo

«Più di un errore, in verità. Però non credo che la mia vita privata sia di tuo interesse.»

Un pugno colpì la scrivania così forte da far crepitare il legno e creare un piccolo avvallo nella laccatura nera. Yoshitoki si trattenne dall’alzare la voce, ma gli fu impossibile non tremare appena, livido di rabbia. Nonostante tutto, si ricompose, accarezzando il danno fatto al mobile con amarezza. «Ti ho concesso carta bianca nonostante ciò che l’agente Masa ha fatto a Noriko. Le ho dato una medaglia e dei gradi perché lo desideravi. Tu quanto meno mi devi la tua onestà, in questa ora oscura. Sei parte della mia famiglia, ma sei anche un mio sottoposto, Kishou

«Mi rammarico se ti ho offeso con le mie parole, non volevo.» Lo Shinigami Bianco smise di interessarsi al gioco da tavolo, appoggiandosi con la schiena alla sedia per osservare meglio l’uomo che aveva di fronte a sé. L’uomo con cui era cresciuto e che non avrebbe mai dovuto dubitare della sua parola. «Ti assicuro che Aiko non sapeva niente di più o niente di meno di ciò che sa Take Hirako, per esempio.»

«Puoi giurarlo, questo?»

«Lo giuro e lo ripeto: lei non sapeva nulla di più.» Yoshitoki lo privò del suo Generale d’Oro, mentre lui continuava a rassicurarlo con il solito tono noncurante. Per lui, la faccenda pareva già bella che risolta. «Affidare il caso a Sasaki è stata la scelta più intelligente. Marude avrebbe sconfinato e lo sai bene.»

«Però Sasaki è non solo il tuo cane, ma anche un ghoul; molte persone si convinceranno che lo hai nominato ad hoc per insabbiare il tutto.»

«Non l’ho fatto?»

Riuscì a strappare un mezzo sorriso a Chika. «Touché», lo riprese subito il maggiore, muovendo la pedina prima ancora di vedere l’altro ritirare la sua mano. Venne comunque anticipato, di nuovo. «Sei sempre stato bravo a cacciare il mio re, Kishou. Se ti fossi impegnato allo stesso modo per catturare quello con il Sekigan, tutto questo non sarebbe successo. Aogiri doveva essere un ricordo lontano già cinque anni fa.»

«Si sono rivelati più astuti di noi. Purtroppo non posso ancora leggere nelle menti.»

«Una simile abilità sarebbe così comoda, ora come ora!» Furuta entrò nell’ufficio senza nemmeno bussare. Sul suo viso c’era un sorriso a dir poco scomodo, obbligato. Non portava buone notizie. «Mi dispiace interrompere la partita, ma non si sta mettendo bene.»

«A cosa ti riferisci, Nimura

Il morettino guardò il direttore diritto negli occhi, prima di stropicciare il foglio che teneva fra le mani, indeciso su come iniziare il discorso. Quando il suo nome venne pronunciato di nuovo, in modo più marcato, sospirò e semplicemente sputò fuori la verità. «Ho parlato con Kaiko», snocciolò, allungando a Washuu il documento, come per liberarsene. «Hanno ricevuto la chiamata dello speciale Arima per prelevare il corpo, questa mattina. Però non lo hanno fatto.»

«E per quale motivo?»

«Perché qualcuno lo aveva già portato via.»

Yoshitoki rimase immobile, con gli occhi sgranati sulla comunicazione di Kaiko. Sentì un ingranaggio incepparsi nella ruota che continuava a rotolare da un centenario e rischiò seriamente un attacco di nervi. Nonostante ciò, si mantenne saldo. «Cosa significa tutto ciò?»

Furuta guardò Arima, prima di parlare nuovamente. Prese il cellulare dalla tasca e sbloccò lo schermo, passandolo a Yoshitoki. «Due uomini vestiti di nero, con cappotto e cappello, hanno prelevato il corpo senza vita di Aiko Masa poco dopo la fine del meeting con gli agenti coinvolti.»

Il direttore guardò il video della sorveglianza, allibito. I due uomini che tenevano la barella sapevano dove le telecamere erano state collocate, perché i loro visi non erano mai a fuoco. Non solo però. Sembravano proprio due dei suoi agenti.

«Non sono uomini di Kaiko

«No. Nessuno era in servizio a quell’ora e i badge che hanno utilizzato non possono essere ricollegati a nessuno.»

«E per quale motivo?»

«Sono quelli dell’agente Ihei e dell’agente Shirazu, signore.»

Di nuovo, Yoshitoki non si contenne. Il telefono finì in pezzi nella sua stretta, mentre la mano libera si posizionava sui suoi occhi. La voce uscì leggermente graffiante, maltenuta. «Due fantasmi hanno prelevato un morto.» Non fu una domanda, la sua. Però precedette un ordine. «Fate luce su questa storia, tutti e due. Entro la fine della giornata voglio che abbiate trovato la talpa che ha inscenato in questa farsa e che Kaiko l’abbia punita a dovere. Indagate sul patologo, Aizawa, per verificare un suo coinvolgimento. Fate lo stesso con Urie Kuki e chiunque potrebbe avere interesse nel avere il cadavere del prima classe Masa lontano da noi. E voglio quel corpo in uno dei nostri laboratori o non sarà solo la mia testa a saltare. Sono stato chiaro?»

Arima guardò le vene attorno alle sue tempie ingrandirsi, ma il maggiore dei suoi fratelli non scostò mai la mano. Si alzò, spostando la sedia sotto alla scrivania, prima di chinarsi lievemente, insieme a Nimura. «Faremo tutto ciò che va fatto per fare luce su questa questione e chiuderla definitivamente.»

 

Una cameriera dall’aria gentile lo accolse non appena mise piede nel bar della stazione della metropolitana di Shibuya. Lì difficilmente qualche collega avrebbe sentito lui e Aizawa parlare di ciò che era successo. Fatti di cui Urie, teoricamente, non poteva parlare con nessuno prima della probabile istruttoria in cui l’avrebbe cacciato Sasaki. Urie non aveva paura di ripercussioni lavorative, però. In condizioni normali, la consapevolezza di un possibile licenziamento o peggio, di un congedo con disonore e una pena di scontare, lo avrebbero terrorizzato.

Ma l’inferno di cui era stato testimone la notte precedente gli impediva di preoccuparsi di qualsiasi ripercussione personale. Ogni suo pensiero finiva laggiù, nel ricordo di ciò che aveva visto, rabbrividendo mentre lo riviveva ancora e ancora.

Adocchiò la chioma bionda del patologo, seduto ad un tavolino in angolo, raggiungendolo immediatamente. Quando prese posto di fronte a lui, Ivak smise di leggere il giornale, guardandolo con uno sguardo che Urie non avrebbe mai e poi mai dimenticato. «Basta con la pietà», sbuffò il quinx, lanciando un’occhiata alla prima pagina. «Ormai non si parla d’altro, vero?»

«Un ghoul infiltrato nei sotterranei della sede centrale? È un miracolo che siano riusciti a rigirare la storia.» Schiarendosi la voce, Aizawa lesse un piccolo estratto dell’articolo. «Il nome del ghoul rimane sconosciuto, ma il suo raiting, secondo le dichiarazioni del direttore Washuu Yoshitoki, era di livello SS. Durante lo scontro almeno tre agenti sono rimasti feriti e uno di loro, il prima  classe Masa Aiko, di ventitré anni, ha perso la vita. Io non mi ricordo di nessun ferito.»

Urie non aveva parole per commentare. L’insabbiatura avrebbe reso semplice il lavoro di indagine interna e al contempo avrebbe tutelato il bureau dallo scandalo. «Dovrei dire la verità alla stampa.»

Ivak lo guardò confuso. «La verità?»

«Hirako l’ha uccisa. Io ero lì e ho visto tutto. È stata una esecuzione, non un combattimento.»

Il biondo prese un respiro profondo, accantonando il giornale e appoggiando la mano sul braccio del giovane. «Senti, Kuki, fermati a pensare alle conseguenze di una simile decisione», si mordicchiò il labbro, cercando le parole giuste. Ma non esistevano parole giuste. «Ci sono passato anche io con Mei. Lo so come ti senti, lo so davvero e non posso permetterti di fare scelte avventate. Se ora tu parli con la stampa ti comprometterai per sempre. Senza contare che è impossibile che tu possa ottenere giustizia per lei se si inizia a parlare del suo coinvolgimento con Aogiri. E i Washuu lo faranno sapere, se saranno costretti. Ora come ora la nostra arma più potente è ciò che Aiko ha lasciato dietro di sé, tutte le molliche di pane che possiamo seguire per capire cosa diavolo è successo. Se te lo stai chiedendo no, non avrai giustizia. Non l’ho avuta io e non l’avrai nemmeno tu, perché c’entra Kishou Arima e lui non paga mai. Però possiamo fare luce su ciò che è successo. Possiamo farlo per noi stessi e per lei. Per dormire la notte.»

La presa sul suo braccio si intensificò, mentre Kuki meditava su quelle parole. Sapeva di non essere lucido, in quel momento. Sapeva che Ivak ci era passato e aveva provato ciò che stava provando lui, anche se irrazionalmente non poteva davvero credere che qualcuno potesse sentirsi in quel modo. Si sentiva dilaniato, distrutto. Però doveva fidarsi dell’amico, perché ci aveva visto giusto; se conosceva Aiko, si era sicuramente lasciata qualcosa alle spalle prima di lanciarsi verso quella missione suicida e apparentemente priva di senso, per una persona così metodica. «Ok, faremo così. Lavoreremo per conto nostro, senza chiamare in causa Sasaki

«L’idea è quella di comunicare con lui, in realtà.» Ivak incrociò le mani di fronte a sé, sperando di non farlo infuriare. «Ho parlato con lui e mi ha promesso che mi terrà aggiornato sulla sua indagine se noi lo faremo con la nostra.»

Urie assottigliò lo sguardo. «Prima hai parlato delle analisi sul sangue di Masa…. Le hai comunicate prima a lui che a me?»

«Era nel palazzo e l’ho incontrato per caso.»

Ivak fu veloce ad alzarsi prima di Urie, tenendolo seduto sulla sedia. «Dovevo farlo. Lui vuole davvero capire cosa è successo o almeno questo è ciò che ho capito io. Pensaci, Kuki! Era un suo sottoposto nei quinx, vuole sapere cosa le è successo tanto quanto noi.»

«Lui è un cane di Arima

«Abbiamo appena concordato che non ci aspettiamo giustizia ma verità, o sbaglio?» Il primo livello doveva concordare di nuovo con lui. Tornò a sedersi, attendendo di sapere cosa Ivak aveva in serbo per lui. «Cheiko ha eseguito le analisi poco prima di pranzo», gli fece sapere, parlando piano. «Nel sangue di Masa c’era qualcosa di davvero interessante: oltre a una conta irragionevolmente bassa di cellule rc, le analisi chimiche hanno rivelato la presenza di un alta percentuale di tetrodotossina nel sangue.»

Kuki lo guardò stranito. «Tetrodotossina? Il veleno del pesce palla?»

Aizawa annuì. «O del polpo dagli anelli blu. Un essere umano normale può venire ucciso da una goccia da venticinque milligrammi. Non possiamo stimare con certezza la dose che è stata introdotta nel sistema circolatorio di Aiko, ma Cheiko stima oltre i cinquantadue milligrammi per uccidere un quinx. Non era comunque sola. Anche se non ne abbiamo trovato traccia, la tetrodotossina era in compagnia di qualche sorta di inibitore.»

«La sua conta rc

«Ottantaquattro.»

«Questo non ha senso», Urie si passò una mano sulla fronte, sentendola scottare contro i guanti di pelle. «Più basso di quello di un essere umano. Non sarebbe mai riuscita ad usare la kagune in quelle condizioni.»

Gli occhi di Ivak scintillarono. «Appunto. Tu l’hai vista utilizzarla?»

Urie annuì lentamente. «Quando sono arrivato, stava usando un singolo tentacolo contro l’agente Hirako. Però è durato poco lo scontro a cui ho assistito. Quando era stesa a terra non sembrava nemmeno in grado di alzarsi.»

«Perché non poteva. La tetrodotossina è un veleno neurotossico cento volte più potente del cianuro. Uno dei suoi effetti è il blocco del sistema nervoso e di quello cardio respiratorio. Non possiamo esaminare il corpo, ma sono sicuro che se avessi effettuato dei tamponi sulle ferite, avrei trovato delle tracce lì.»

«Stai dicendo che Arima potrebbe aver messo del veleno sulla sua quinque

«Perché no? È l’invincibile Shinigami. Magari gioca sporco.»

Per l’agente, tutto ciò non aveva senso. «L’ho visto in azione, non ha alcun senso imbrogliare per lui. È davvero veloce e forte, perché usare un simile stratagemma?»

Aizawa scrollò le spalle, «Dobbiamo scoprirlo.»

«Dalle analisi non è emerso altro?»

Gli occhi azzurri del dottore si scostarono dai suoi, mentre cercava qualcosa nella giacca. «Niente di rilevante per il caso.»

«Qualcosa di non rilevante?»

«No, niente.»

Urie sapeva che stava mentendo, per il semplice fatto che Ivak non sembrava più esserne in grado. Non dopo la morte di Mei, dopo aver perso tutto ciò che riempiva il suo mondo freddo. Non forzò la mano però, deciso a fare il suo gioco. «Quando il corpo tornerà da noi per i funerali potremo effettuare i tamponi. Sperando che non verrà lavato bene.»

Il biondo annuì prendendo un blocco per appunti e appoggiandoselo di fronte, insieme a una penna a sfera. «Esatto. Quando arriveranno i risultati dell’autopsia possiamo almeno confrontare il tossicologico con quello degli affari interni per verificare se stanno o meno mentendo per coprire il gran bastardo.» La cameriera versò ad Urie il caffè, interrompendoli. Poi portò via il piattino vuoto che Aizawa aveva ripulito e sorrise nuovamente ai due. Solo quando furono di nuovo soli, il medico riprese a parlare. «Posso farti qualche domanda scomoda? Sai, su Aogiri e i nastri...»

Una lancia immaginaria trafisse il cuore di Urie. Non ci aveva ancora pensato. «Tu pensi che lei fosse li sotto per cercare quei nastri? Mi aveva detto che Arima le aveva garantito che avrebbe insabbiato tutto, sia quello che il suo…. Coinvolgimento con Aogiri

A quel punto fu Ivak a stupirsi. «Arima sapeva di Aogiri?» «»

«Lei glielo aveva confessato qualche giorno prima.»

Il biondo venne preso in contropiede. Segnò qualche riga sul blocco, prima di tornare a guardare l’investigatore. «Dobbiamo tenere conto che lui l’ha uccisa. Non direttamente magari, ma è come se fosse l’esecutore.»

Urie annuì lentamente. «Hirako esegue i suoi ordini, no? Però non ha senso. Se lei e Arima avevano un accordo, perché ucciderla? E perché era là sotto?»

«Forse perché non lo avevano fatto, un accordo, e lei ti ha mentito per farsi perdonare.»

Urie appoggiò la tazzina di caffè senza averne preso nemmeno un sorso. «Se così fosse allora sarebbe solo colpa mia. Se lei è scesa nel cavou per cercare i nastri in cui io-»

«Fermati, no. Non è colpa tua, va bene? Aiko cercava qualcosa là sotto ma non possiamo sapere cosa. Se Arima sapeva davvero di Aogiri, allora sicuramente non lo dirà al presidente. Magari voleva usare Aiko come spia per la ccg, invertendo il gioco, ma qualcosa è andato storto e non ha potuto coprirla. Non traiamo conclusioni azzardate.» Fece una pausa, sentendo di aver fatto un danno. Non avrebbe dovuto far menzione di quei maledetti nastri, anche perché lui sapeva benissimo che Aiko era lì sotto per quello. Lui aveva congiurato con lei per farla scendere quella notte. Cosa che non avrebbe detto a Kuki in quel momento, quanto meno. «Io credo che il primo passo sia capire dove sia il corpo, ok? Senza quello non abbiamo niente.»

«Ce l’hanno gli affari interni.»

«Siamo sicuri?»

Urie alzò le spalle. «Chi altro dovrebbe averlo preso?»

«Aogiri», lo freddò Aizawa. «I Clown, qualcuno della ccg che vuole insabbiare tutto, i Washuu stessi o magari…. Gli affari interni.»

Il ragazzo iniziò a vedere qualcosa dietro il comportamento del medico. «Tu sai qualcosa che non so.»

«So tante cose che non sai, ma devo capire se sono o meno utili. Hai visto un quadernino nero?»

«Un quadernino nero?»

Ivak gli fece cenno con le mani. «Grande circa così, pieno di annotazioni e frasi criptate.» Dai suoi occhi, Aizawa capì che Urie non aveva idea di cosa stesse dicendo. «Aiko lo ha trovato mentre indagava su Nagachika e ha passato molto tempo a cercare di decodificarlo. Era pieno di nomi in codice e annotazioni su spostamenti. Chiunque lo abbia scritto stava pedinando tutti noi, oltre che alcuni membri delle organizzazioni che ho citato prima. Troviamo il quaderno e gli appunti di Aiko e troveremo forse delle risposte.»

«Io non ne avevo davvero idea che lei stesse- per chi indagava? Per la ccg? O per Aogiri

Il medico non se la sentì di dire la verità. Non voleva caricarlo troppo di pesi. «Voleva tenerti al sicuro e voleva farlo anche con tutti noi. Non importa se lavorava per Aogiri, ok? È una stronzata, Urie. Lei ti amava davvero e noi non sappiamo le motivazioni che l’hanno spinta a tradire, anni fa. Non sappiamo un cazzo, ma la conoscevamo in questo preciso momento storico e sappiamo entrambi che deve esserci sotto qualcosa di grosso. Scopriamolo e facciamola finita.»

«Lo cercherò fra le sue cose, a casa.» Urie aveva molto su cui rimuginare, dopo quella conversazione. C’erano troppe note stonate in quella sinfonia e lui voleva solo venirne a capo. Si sentiva messo all’angolo, si sentiva colpevole e allo stesso tempo non riusciva a non provare un po’ di odio verso Aiko. Lei aveva mentito per così tanto tempo. Mentiva da prima ancora di conoscerlo e nonostante sapesse cosa lui provasse, come lo avesse fatto sentire il Gufo col Sekigan, lei lavorava per Aogiri e lo faceva con dedizione. Un cuore innamorato però non può non piangere in una situazione del genere. Ogni singolo crimine commesso da Aiko, ogni bugia, ogni secondo fine, era passato inesorabilmente in secondo piano. Perché era morta e lui non avrebbe più avuto la possibilità di arrabbiarsi con lei per questo, ma nemmeno di abbracciarla o farsi confortare. Non l’avrebbe più sentita blaterare di sciocchezze o di esporre uno dei suoi ragionamenti machiavellici riguardo una indagine. Una tristezza profonda, peggiore di quelle provata fino a quel momento, lo colse. Portò una mano alla fronte mentre veniva investito dalla consapevolezza che l’aveva persa per sempre e la colpa era anche sua. Incolpava strenuamente Hirako per non fare i conti con la realtà. Lei era morta per lui e non sapeva come assimilarlo. «Per questo non mi ha lasciato nemmeno un biglietto.»

Aizawa smise di scribacchiare lo guardò. Ciò che vide distrusse anche lui. «Urie io-»

«Mi sono chiesto per ore e ore il motivo per cui non mi avesse lasciato nemmeno un post-it sulla scrivania. Non mi ha scritto nulla perché non voleva che io sapessi il motivo per cui lo ha fatto.»

«La scelta è stata sua. Ora noi dobbiamo fare la nostra. Quanto sei disposto a scavare per trovare risposte che non ti piaceranno?»

«Sono disposto ad andare a fondo.»

Ivak gli porse la mano, che l’altro strinse, siglando così l’accordo. «Allora ci muoveremo come avrebbe fatto lei; iniziamo dagli indizi che sono rimasti e muoviamoci di conseguenza. Oggi iniziano ufficialmente le nostre indagini.»

Sul primo foglio, lasciato volutamente bianco, il patologo scrisse al centro solamente un paio di righe, abbastanza grandi da poter essere lette da Urie.

18 novembre 2016. Il Caso Masa.

 

Capitolo trentasei

22 settembre 2016. Una data storica, seppure non universalmente riconosciuta, ma che Aiko Masa non avrebbe mai e poi mai dimenticato. Come ci sarebbe riuscita, dopotutto? Quella pallida mattina di autunno, mentre il sole attardava il suo esordio giornaliero e una leggerissima nebbiolina avvolgeva la prima circoscrizione facendo odorare l’aria di pioggia, il primo livello mise piede nella struttura con il suo nuovo badge. Quando lo passò per la primissima volta, nemmeno i detector rc all’ingresso volevano crederci: negarono l’accesso per tre volte di fila prima dell’intervento di uno dei tecnici.

Nemmeno quel passaggio artificiale riusciva a concepire come Aiko Masa, ventitré anni da farsi, stretta in un completo elegante che Aizawa le aveva trovato all’ultimo e che sicuramente era appartenuto a Mei, fosse riuscita ad entrare nella squadra di punta della S3. No anzi, nella squadra di punta dell’intera ccg.

«Hai preso il bento

«Sì.»

«La tua cartella personale? La richiesta per la quinque

Aiko prese un respiro profondo, sventolando sotto al naso di Urie tutto ciò che lui le stava elencando e trattenendolo dall’aggiungere altro. «Mi manca solo un po’ di autostima, in questo momento.»

«Che strano, ne hai sempre avuta in abbondanza di quella.»

I due si scambiarono un’occhiata, lui sempre serioso nella sua posizione diritta da soldatino e lei di leggero avvertimento, mentre una ciocca scappava dalla coda di cavallo che aveva stretto in fretta e furia mentre era già in macchina. La parò dietro all’orecchio, prima di rispondergli, adocchiando alle sue spalle Kuramoto Itou. «Io vado a vedere il mio nuovo ufficio. Augurami buona fortuna.»

«Lavorerai con Kishou Arima; la fortuna lasciala tutta a me.»

Masa sbuffò apertamente, avviandosi in un oscillarsi di fianchi a causa dei tacchi che indossava. «Invidioso.»

«Dispotica vipera.»

Aiko decise di non aggiungere altro, conscia di quanto fosse dura per l’altro accettare che lei era appena arrivata laddove lui ambiva di arrivare da quando aveva sei anni. Non avevano litigato, né tanto meno lui l’aveva trattata con sufficienza o maleducazione quando aveva trovato la sua firma sulla richiesta di trasferimento, ma in quel preciso istante poteva concedergli un po’ di amarezza. Nei due giorni precedenti, a casa, si era comportato come un fidanzato modello con tanto di colazione a letto celebrativa e ben mezza giornata di permesso da passare insieme. Non poteva chiedergli troppo, alla fin fine, che fosse o meno maturato dalla morte di Shirazu, rimaneva sempre Urie Kuki.

Itou le sorrise maliziosamente, facendo un passo verso l’ascensore e tenendole le porte aperte. Quel sorrisetto non le diceva niente di buono. «Come devo chiamarti ora? Primo livello Masa? O posso già darti l’Associato alla Classe Speciale?»

Aiko lo guardò alzando le sopracciglia, prima di scuotere il capo. «Stai volando un po’ troppo con l’immaginazione, Kuramoto

«Sembri Koori», rispose pragmatico il biondo, alludendo forse alla frangetta o all’abbigliamento formale. «Fuori dalla porta dell’ufficio sembri disinteressata al mondo, ma una buona promozione e BOOM!», Aiko quasi sussultò, portando poi una mano al timpano sfondato dall’amico. «Ti trasformi in un super investigatore di ghoul in completo firmato e fai la seria.»

«Per prima cosa, non credo che questo completo sia firmato. Secondariamente», proseguì mentre Itou le ribatteva che era un Gucci, «non sono seria, sono preoccupata. Non ho nemmeno più la mia quinque. La nostra quinque, Kuramoto

L’altro agente annuì, ora un po’ con espressione un po’ amara. «Ho sentito che non è riparabile. Tatara ha distrutto il nucleo.»

«Chingyou ci sta lavorando da giorni», gli disse Aiko. «Però non sta avendo i risultati che sperava. Dice che vuole provarle tutte prima di dirmi che è una quinque inutilizzabile, ma la verità è che sta solo rimandando le brutte notizie.»

«Concentriamoci su quelle buone, ok?», le disse Itou, come al solito positivo. «Izanami ti ha servito bene per anni e adesso che sei nella S3 potrai avere una nuova quinque ad alto potere offensivo. Nutcraken è ancora disponibile, no?»

«L’arma di Shirazu? No, non la voglio. L’ha quasi fatto uscire di testa, quella spada è maledetta.»

Gli occhi di Kuramoto, se possibile, si fecero ancor più sottili. «Hai già in mente quale sarà la tua prossima quinque, vero?»

Lei non rispose. Gli sorrise appena, facendogli l’occhiolino. La conosceva fin troppo bene. Le porte si aprirono sul settimo piano e di fronte ad esse si materializzò, con un sorriso smagliante e un bicchiere di cartone contenente una miscela profumata, Furuta Nimura. «Da qui in poi la prendo io», disse con tono pacato eppure allegro il giovane, salutando Itou che non uscì dall’ascensore, augurando buona fortuna all’amica. Aiko prese il cappuccino che le veniva offerto, sorpresa. «Hirako ha detto che lo prendi al ginseng, giusto?»

«Hirako si ricorda i miei gusti, sono colpita.»

Furuta ridacchiò soave, prima di indicare la cartellina cartacea che la donna aveva in mano. «Il tuo fascicolo? Posso?», lei glielo passò, mentre soffiava sul liquido bollente. Camminarono fianco a fianco lungo i corridoi dove entrambi salutarono più persone del previsto, mentre lei beveva il suo cappuccino e lui leggeva una riga sì e due no. «Sasaki è il segretario della squadra, ma questo tipo di lavoro di ufficio lo fa fare a me», le fece sapere, tenendo una mano vicino alla bocca, prima di arrivare a destinazione. Roteò anche gli occhi con enfasi. «Non ho mai avuto un partner così noioso. Sta tutto il giorno con il naso fra i fascicoli e parla da solo come i pazzi. Mi fa paura, sai? Mi manca Kijima

Aiko si ritrovò a pensare che non poteva esistere una persona più diversa dal Sasaki che lei ricordava di quell’uomo che Furuta stava descrivendo. Haise, il mentore dei Quinx, che li aveva trascinati a ballare per paura che non si godessero la loro giovinezza, era diventato l’ombra di se stesso. Lo Shinigami Nero della ccg non poteva essere più lontano da ciò che era stato prima di quella notte al Lunar Eclipse. Le mise tristezza, quella consapevolezza. Sentimento che venne in fretta accantonato quando, seduto sulle poltroncine di fronte all’ufficio della S3, vide un ragazzo con i capelli celesti e gli occhi luminosi, piegati in una curva un po’ tesa. «Ikari», lo salutò ritrovando l’allegria nel momento in cui lui le sorrise cortese. «Cosa ci fai qui? Non dovresti salire sull’Eva?»

«In realtà salgo a bordo di qualcosa, ma non è un robottone senziente con la personalità di mia madre. È la squadra Arima

«Anche tu sei nella S3 ora?»

«Con effetto immediato dopo il colloquio di ieri mattina», le fece sapere Nimura, prendendo anche il fascicolo personale di Naoki, prima di appoggiare una mano sulla porta. «Sono così felice di avere due nuovi ingressi in squadra, soprattutto perché qui dentro è un vero mortorio e voi due già mi piacete. Ci divertiremo un mondo insieme.»

Aiko ne dubitava, mentre Nao al suo fianco sembrava sul punto di fare i salti di gioia. La mora si interrogò per qualche secondo sulla peculiare scelta di avere un elemento con Ikari nella squadra, soprattutto in virtù del fatto che non sapeva si fosse distinto per merito. Quindi non lo aveva fatto. Arima doveva avere qualcosa in mente per creare un nuovo team sulle basi di ragazzi così giovani. Haise aveva la stessa età di Aiko, mentre Ikari doveva ancora compiere i venti. Per non parlare di Furuta, che aveva il viso di un ragazzino.

Questa fu esattamente l’impressione che ebbe quando mise piede nello spazioso ufficio della S3. Un gruppo di ragazzini freschi per poter venire addestrati ad hoc. L’ambiente, molto luminoso grazie alla vetrata a muro che lo costeggiava in lunghezza e che dava direttamente sulla facciata anteriore dell’edificio, era caloroso, domestico quasi. Profumava di caffè. C’erano due divani verdi sul lato occupato dalla parete monocroma, decorata solamente da due bacheche. Una piena di fogli, circolari e promemoria e un’altra, più colorata, con foto e bigliettini di auguri e congratulazioni. Al centro della stanza la faceva da padrone un grande tavolo ovale. Non c’erano celle separatorie, non cerano piccoli cubicoli. L’ufficio era aperto e loro avrebbero lavorato gomito a gomito, senza niente a dividerli. Questo la colpì molto mentre, insieme a Naoki, avanzava qualche passo poco sicuro.

Seduti alle loro postazioni c’erano già Sasaki e Hirako. Entrambi alzarono il capo per guardare le nuove leve e Haise le sorrise, seppur pallidamente. «Benvenuta, Aiko-chan

«Grazie, Haise», fu la risposta informale della giovane, sgombra da ogni possibile trascorso fra loro. Si erano create delle situazioni parecchio complesse dopo la chiusa del caso Nagachika, ma ad entrambi conveniva fingere che nulla fosse mai successo.

«Aiko, tu sei seduta qui. Naomi, invece mettiti qua.» Hirako attirò la loro attenzione, indicando loro rispettivamente i posti alla sua sinistra e alla sua destra. E sbagliando anche il nome del nuovo acquisto. Quando Masa prese posto dove le era stato indicato, di fronte a un computer che sembrava di ultima generazione, si ritrovò alla sinistra di Take e di fronte a Sasaki. Furuta stava invece accanto al suo partner, dall’altra parte del tavolo, tutto giulivo e desideroso di indovinare quale fosse la qualità di caffè preferita da Nao e come lo prendesse la mattina. Più che un investigatore sembrava un segretario. O un amico particolarmente gentile.

Solo quando furono tutti ai loro posti, come chiamato da Dio in persona, apparve Arima. Entrò in ufficio senza particolare fretta, mentre tutti si rialzavano per fare un breve inchino. Il primo a risedersi fu Take che, senza aspettare nemmeno di sapere se il capo aveva qualcosa da dire, riprese a battere a macchina alcuni appunti svolazzanti che si era annotato su dei tovaglioli da bar. Non che ad Arima potesse importare. La sua attenzione sembrava calamitata dalle facce nuove o relativamente nuove. Aiko lo conosceva già da anni, dal suo ingresso nella squadra Hirako. Avevano parlato più volte ed erano anche usciti a bere insieme con il solito gruppo, ma in quel momento la prospettiva da cui lo guardava era totalmente nuova. Era sempre stato bene o male il suo capo, almeno fino a che Matsuri era subentrato come coordinatore dei Quinx, qualche mese prima. Era rimasto una figura di riferimento anche allora, quando andava da lui a chiedergli di firmarle rapporti e mandati perché il rampollo dei Washuu la disprezzava e le impediva di portare a termine le sue indagini private. In quel momento però si sentiva terribilmente in soggezione, come se qualcosa stonasse in quella sinfonia. Il suo ingresso nella squadra migliore del dipartimento aveva qualcosa di forzato. Di nuovo, Aiko si chiese perché l’avesse presa. Sapeva che non poteva rifiutare un’offerta del genere e le sue implicazioni con Aogiri le impedivano di attirare su di sé l’attenzione di tutti. Il fatto che potesse proprio centrare Aogiri, che Arima potesse aver visto oltre ciò che aveva sospettato Nakarai, le faceva venire i sudori freddi. Trovò comunque la forza di sorridergli gentile e lui, dopo essersi sfilato il cappotto, prese posto a capo tavola. Proprio alla sua destra.

«Oggi iniziano le operazioni del nuovo nucleo della squadra coordinatrice della S3.» Il discorso introduttivo del capo parve fermarsi lì. Arima non era mai stato bravo nei discorsi, quello era un dato di fatto. Era un uomo d’azione dopotutto. Ciò però non impedì ad un silenzio un po’ imbarazzato di venire a crearsi, mentre Sasaki e Hirako continuavano a lavorare e Furuta faceva allegramente colazione.

Haise provò pena per lui quando notò che non faceva altro se non ricambiare lo sguardo di Aiko e Naoki. Sospirò, il moretto, prendendo un pezzo di carta e scarabocchiandoci sopra un paio di appunti, prima di passarlo allo Shinigami Bianco. Questi lo prese, sollevandolo all’altezza degli occhi, prima di riabbassarlo.

«Grazie Haise», gli disse, senza vergognarsi neanche un po’, mentre sistemava gli occhiali spingendoli verso la radice del naso. «Per quel che riguarda gli orari di servizio e di allenamento congiunto, ne parleremo col tempo. Per adesso presentatevi quando il vostro partner vi dirà di farlo. Per la S3 i lavori di internato sono sospesi perché molto spesso dobbiamo coprire i casi ad altro profilo con interventi di emergenza. In parole povere, tenete sempre il cellulare acceso sul comodino anche quando siete di riposo o fuori servizio.»

Vista la nuova pausa che seguì, Hirako si sentì in dovere di intervenire. «Non ci hai diviso in coppie.»

«Stavo per farlo», rispose educatamente Kishou, attirandosi uno sguardo di biasimo da parte del compagno di lunga data. «Ho pensato di fare in modo che i meno esperti possano apprendere qualcosa dai veterani. Haise continuerai a lavorare con Nimura sul caso aperto. Take, il giovane Naoki verrà con te, mentre io lavorerà con Aiko

Masa socchiuse le labbra, guardandolo stupita. Voleva dire qualcosa, ma venne presa totalmente in contropiede. Era convinta che l’avrebbero riassegnata a Take, non avrebbe mai pensato di diventare il braccio destro di Arima. Sarebbe diventata una delle sue creazioni, con Hirako, Ui e Hairu. Tutto il dipartimenti ne avrebbe parlato per mesi e mesi.

«Il caso, Arima-san», fece notare Sasaki, con tono basso a causa della concentrazione. Non smise nemmeno per un istante di battere sulla tastiera ritmicamente. «Non hai parlato del caso.»

«Giusto», farneticò lo Shinigami Bianco, dimostrando come sempre di avere una pessima memoria. «Il direttore ci ha incaricati di lavorare su Aogiri. Non su tutto il gruppo, ma sull’individuazione e sull’eliminazione del Re con il Sekigan. Sempre che esso esista, ovviamente.»

Haise prese un respiro profondo, prima di incrociare le mani coperte dai guanti rossi sul tavolo, guardando alternativamente Masa e Ikari. «Stiamo operando in modo congiunto, seppure per nuclei separati, al fine di catturare almeno uno dei capi di Aogiri e cercare di scoprire così l’identità del Re. Non è scontato che essi parleranno, naturalmente, ma togliere dalla strada anche una sola di queste personalità sarebbe un enorme passo avanti.»

Aiko annuì, mostrandogli che stava seguendo il discorso. «Chi sono gli obiettivi?»

«Tatara, Naki degli Smoking Bianchi e il Gufo col Sekigan», le rispose Haise, inclinando di lato il capo per osservarla bene. «Io e Furuta stiamo lavorando su quest’ultimo, mentre il prima classe Hirako ha chiesto di proseguire le indagini su Naki, visto che è stato un suo vecchio caso.»

«Come mai lavori sul Gufo?»

«Perché l’ho vista in faccia.»

Aiko sorrise, voltandosi verso Arima. «Allora noi lavoreremo su Tatara.»

Non voleva sapere come avrebbe dovuto sentirsi in quel momento, né come avrebbe fatto da lì in avanti. Se avesse tenuto aggiornati Tatara, Eto e Naki, l’avrebbero senza dubbio scoperta. Era finita in una trappola da cui non poteva uscire viva.

Avrebbe sacrificato Naki, mentre Eto se la sarebbe cavata da sola, o non avrebbe rivelato il suo volto, ma come avrebbe fatto con il Laoshi?

«Qualche idea su dove iniziare?»

Aiko si morse piano il labbro, prima di decidere di discutere di ciò che tutti sapevano. Così non avrebbe fatto la figura della incompetente, ma al tempo stesso non avrebbe dovuto rivelare niente. «Hakatori e Labbra Cucite sono sue dirette sottoposte, vero?»

«Buona idea iniziare da loro. Raccogli informazioni e se trovi qualcosa chiamami.»

Arima si alzò e sembrava già pronto ad andarsene. A quel punto, però, mancava solo Furuta a ricordargli che aveva dimenticato qualcosa. «Arima-san», lo chiamò con un sorrisetto. «La questione delle quinque»

«Ah già, è vero. Quella di Aiko è distrutta e quella di Naoki troppo debole.» Lo Shinigami ci pensò su solamente due secondi. «Pensaci tu, Take.»

«In realtà», si inserì Aiko, alzandosi a sua volta, «Io volevo fare richiesta per una quinque specifica, ma che però è sotto la tua tutela.»

Arima si infilò il cappotto. «Se stavi pensando a Yokimura, puoi avere una delle tre. Infondo era la mia idea, affidarti quella spada.»

«No, non stavo pensando a YokimuraMasa prese un respiro profondo, prima di avanzare la richiesta. «Volevo chiederti di prendere Aus

«La quinque di HairuArima fece una pausa, riflettendo. Non sembrava però arrabbiato, anzi. Quasi incuriosito. «Puoi prenderla, ma solo se impari ad usare anche T-Human. Sarà divertente vedere se saprai destreggiarti con quella lancia come faceva Hairu. Lei era parecchio brava.»

«Lo era, sì.»

«Puoi prenderla, Take ti darà le chiavi del magazzino. Per quel che riguarda Naoki, siate creativi.»

 

 

Il magazzino dove venivano conservate le quinque non utilizzate sul campo era al primo piano interrato, nel corridoio opposto rispetto alla sala autoptica. Quando Hirako spalancò la porta usando una vecchia e obsoleta chiave metallica – ben diversa da quelle magnetiche che si impiegavano nel resto dell’edificio- sia Aiko che Naoki si guardarono perplessi. Una volta, prima che Aiko entrasse nella squadra Hirako e prendesse servizio nella prima giurisdizione, aveva sentito dire che il curatore di quella particolare area della struttura era il padre dell’associato alla classe speciale Mado, Kureo. Lui non era mai stato particolarmente incline ai fronzoli e preferiva investire tutto nelle nuove tecnologie per le armi, piuttosto che trasferire le quinque altrove per ristrutturare il magazzino.

Il risultato di questa scelta pratica, ma poco estetica, aveva prodotto quello che sembrava letteralmente lo scantinato di un palazzo. Sopra ogni piccola porta metallica c’era un nome, di persona o identificativo di una squadra. Le prime cinque porte erano proprio di proprietà del defunto Kureo Mado.

Passando oltre, trovarono quella della S1. Hirako prese dal mazzo che gli avevano consegnato all’ingresso la chiave annessa e aprì la porta, permettendo ad Aiko di entrare. C’erano alcune valigette, disposte su diversi scaffali, circa una ventina. Fu semplice individuare quelle che stava cercando, perché erano le sole nere laccate in argento sui bordi. Le prese entrambe, come aveva detto Arima, controllando per scrupolo la targhetta.

Prima classe Hairu Ihei, deceduta. Stato della quinque: non attiva.

«Trovate», fece sapere ad Hirako, passandogli una delle due e uscendo fuori, permettendogli di chiudere di nuovo tutto. Quando arrivarono di fronte alla porta con segnato ancora il nome della ormai ex squadra Hirako, il rosso si fece da parte per permettere a Naoki di potersi sbizzarrire nella scelta.

C’erano almeno il triplo delle valigette lì dentro e Aiko sapeva benissimo il motivo. Mentre Hirako aveva sempre puntato a una lavoro veloce e pulito, Koori lavorava più come Arima e alla fine non rimaneva mai molto con cui fare un’arma.

«Posso davvero scegliere quella che voglio?», domandò Ikari con lo stesso tono di un bambino immerso fra gli scaffali di un negozio di caramelle.

Hirako si appoggiò allo stipite con la spalla. «Dal livello S- in poi, quella che preferisci. Leggi anche le specifiche e se hai domande, chiedi.» Lasciato il giovane partner ai suoi svaghi, Take tornò a concentrare la sua attenzione su Aiko. La trovò con un ginocchio appoggiato a terra e le valigette di fronte. I capelli avevano vinto la battaglia e ora le cadevano lisci sulle spalle e sulla schiena, liberi dalla coda. Sembrava assorta in un pensiero che si rimpicciolì nei suoi occhi appena lui le rivolse la parola. «Come mai le quinque di Hairu? Nostalgia?»

Masa scosse il capo. «Non lo so spiegare. Forse c’entra anche un po’ la nostalgia, perchè l’ho sognata di recente e grazie a quel sogno ho pensato che magari potevo usare Aus. Se devo essere onesta, però, volevo questa quinque perché è forte. Quando avevo Izanami mi sembrava di maneggiare uno stuzzicadenti rispetto alla lancia di Hairu. Poi il modo in cui la usava era perfetto. I suoi movimenti erano così rapidi da incantarmi. Ho sempre pensato che non avrei mai raggiunto il suo livello e infondo so che non lo raggiungerò mai.»

Take si mise le mani in tasca, facendo un passo verso di lei e porgendole la mano per farla alzare. Quella di Masa era fredda. «Dovrai provarci o lui te la leverà e ti farà usare Yokimura. Non è un uomo che parla a vanvera, Arima. Devi imparare a usare Aus e T-Human come faceva Ihei

«Impossibile.»

«Devi solo impegnarti seriamente.»

Aiko lo guardò negli occhi, alzando un sopracciglio. «Da quanto sei così tanto calato nella parte da supporter, Hirako

«Lo sono sempre stato, tu non lo notavi.»

Come al solito, stavano per litigare. O meglio, lei stava per litigare, facendo tutto da sola, mentre lui le rispondeva normalmente. «Mi hai sempre impedito di fare tutto. Ma abbiamo già accantonato l’argomento quella sera in macchina, no?»

Take non fece una piega. «Pensavo fossi troppo ubriaca per ricordartelo.»

«Tu sottovaluti il mio potere.» Non smisero di guardarsi, mentre lei faceva un passo verso di lui. «Credi che riuscirò a usare quella quinque come la usava Hairu

«Ne sono certo.»

«….Bugiardo.»

«Scusate se vi interrompo, ma ho trovato qualcosa di interessante!»

Aiko fece due passi indietro, guardando stupita Naoki, mentre Take rimaneva granitico nella sua posizione. «Qualcosa cosa?», si informò, guardandolo mentre agitava una valigetta con impeto. Gli fu accanto in due falcate veloci, curiosa come una gatta, riuscendo a prendere la targhetta di carta che pendeva dal manico. «Dente di Fata», lesse a voce alta, facendo voltare Hirako. «Ukakou, livello S+. Sì mi ricordo di lui, ci ha fatto penare davvero tanto quella sera. Ti ricordi, Take? Ha quasi ucciso Machibita. Poveretto, era destinato a Noro però.»

Hirako per la prima volta mostrò a Naoki una emozione: lo scetticismo. «Quella quinque è…. Particolare. La modalità spada è molto stabile e versatile. Ha un taglio preciso. Però lo scudo da dei problemi di stabilità e la frustra è ingestibile.»

Aiko sembrava confusa, mentre gli occhi di Ikari brillavano per la meraviglia. «Come fa una quinque a essere ingestibile? Errore di fabbricazione?», chiese al prima classe, mentre osservava Naoki che accarezzava la copertura in acciaio della valigetta come se stesse coccolando un cucciolo. Era già sua.

«No, è stata costruita in modo eccellente. Ha solo un carattere molto forte da domare e non sono riuscito mai ad utilizzarla senza ferirmi o costringerla a rimanere nella modalità spada.» Take si avvicinò a Naoki, guardandolo negli occhi, mentre Masa capiva il punto. Qualcosa del ghoul rimaneva intrappolato nel suo kakuho in certi casi. Aveva sperato in questa teoria quando aveva affrontato Ginshui e ne era uscita vittoriosa usando le bende di Eto. «Se lo vuoi davvero dovrai trovargli un nome e imparare a farti rispettare. Non ti mentirò; non credo che questa quinque potrà mai essere utilizzata.»

Ikari sorrise, giulivo. «Sono sicuro che io e Oberon andremo perfettamente d’accordo non appena avrà imparato a conoscermi un po’ meglio!»

«Oberon? Il re delle fate?», Aiko sorrise, divertita, incrociando le braccia sotto al seno. «Fai sul serio? Anzi, entrambi fate sul serio? Take, non puoi lasciargli prendere una quinque instabile. Non combattiamo per la squadra di Marude, siamo la S3. Al centro di un combattimento non può avere problemi logistici.»

Hirako guardò di nuovo Ikari, prima di prendere le chiavi per chiudere il magazzino. «Lui ha scelto e sarà sua responsabilità ora gestire la sua arma. Tu impara a usare le tue o prenditi Yokimura come tutti i pivelli di Arima

Masa rimase a bocca aperta di fronte a quella dichiarazione così sfrontata di Take. Lo guardò raccomandarsi a Naoki di registrarla prima di provarla, possibilmente in palestra o in un ambiente controllato. Ikari lo ascoltò attentamente, prima di sfrecciare via tutto felice, lasciandoli soli in quel corridoio.

«Sei davvero uno stronzo. Dovevi per forza umiliarmi così di fronte a quello nuovo?»

Hirako non pareva della stessa opinione. Le prese anche le valigette, come un vero cavaliere. «Anche tu sei quella nuova, in realtà.» Non era la risposta che lei si aspettava, tanto che non si spostò di un centimetro. «Non ho detto niente di strano, solo la verità. Poi Yokimura è una ottima quinque, la usa anche Sasaki che è Associato alla Classe Speciale. Perché ti sei offesa?»

«Senti, lasciamo perdere, dammi Aus», senza attendere gliela sfilò dalla mano.

«Non aprirla prima di averla registrata.»

Come se non avesse parlato. Aiko sganciò la sicura e la valigetta nera si aprì, mentre la lancia si solidificava nella sua mano. Era pesante rispetto a Izanami, ma ben bilanciata. Take fece qualche passo indietro mentre lei si metteva di profilo, iniziando a rigirarsela fra le mani. Era davvero un’arma spettacolare, bianca e ricca di venature rosate, con un occhio centrale che sembrava fatto di vetro limpidissimo. Tutto di quella lancia le ricordava Hairu, persino l’odore.

«Se impari a usare quella quinque insieme alla tua kagune e a T Human, allora non avrai rivali. Fra le donne.»

«Ora sei anche sessista?»

«Ammetterai che Arima, Sasaki e Suzuya sono una competizione a cui tu non puoi partecipare.»

Aiko lo spiò da sotto la frangia, prima di lanciare la quinque. La afferrò con la kagune, allungandola fino a pochi millimetri dalla gola di Hikaro.

«Ti concedo Arima e Suzuya, ma scommettiamo su Sasaki

Hirako spostò la lama con due dita, prima di avvicinarsi. «Sei lenta», le fece notare, non timoroso di offenderla. «Se avessi avuto Nagomi ti avrei disarmata e distrutto la kagune.» Guardò gli occhi gialli della ragazza ombrarsi di rabbia, ma non se ne curò, di nuovo. «Non avere fretta di dimostrare niente. Registra questa quinque, vai a casa e inizia a prenderci la mano. Quando la saprai usare conoscendola in ogni sua modalità e soprattutto quando la tua mano avrà fatto l’abitudine al suo peso, allora usa anche la kagune. Ti fregherà un giorno, pensare di essere un passo avanti perché ti hanno fatto un’operazione.»

Masa decise di arrendersi di fronte all’evidenza. Effettivamente, non era stata veloce. Non in quel modo sorprendente che avrebbe dovuto rispecchiare i canoni della sua nuova squadra. Ritirò a sé la kagune, prendendo in mano l’arma e guardandola di nuovo, con occhi diversi, improvvisamente più tristi. Chi voleva prendere in giro? Non sarebbe mai stata all’altezza di Hairu. Avrebbe fatto meglio a rimetterle via e accettare l’arma che Arima aveva pensato di darle. Una mano si poggiò sulla sua testa e quando alzò di nuovo lo sguardo in quello di Take, lui sembrava quasi dispiaciuto per averle abbattuto lo spirito.

«Aiko, davvero. Non devi dimostrare niente a nessuno. Sei stata scelta per lavorare con noi, non hai fatto la carità. Da adesso impegnati e basta con queste messe in scena. Non sei più con i Quinx, né con la squadra Suzuya. Noi lavoriamo in modo diverso e imparerai molto in fretta quanto molesto eppure utile sia Arima come mentore.»

L’ultima affermazione strappò un sorrisetto a Masa. Per puro istinto abbassò la lancia, allacciando il braccio libero dietro al collo di Hirako per abbracciarlo. Lui le appoggiò una mano sulla schiena. «Va bene, Take, sto per dirti una cosa, ma non montarti la testa.»

«Spara.»

«Ero tesa quando ho firmato per questo cambio di team. Non sapevo perché Arima volesse proprio me e ho anche pensato di non essere adatta. Poi però ho realizzato che qui c’eri anche tu.»

Hirako alzò gli occhi al cielo. «Stai dicendo che sono imbranato o…

«No, idiota. Ti sto facendo un complimento.» Lei scrollò il capo, con una leggera punta di fastidio. Era sempre così fra loro, sembravano parlare due lingue diverse. Si chinò sulla valigetta, richiudendo al suo interno Aus, mentre proseguiva. «Ti conosco e so come lavori. Mi rassicura lo stare qui con te. Se volevo sospettare che qualcuno non fosse all’altezza avrei detto Furuta

«Ti stupirai delle abilità di Furuta», la corresse subito lui, facendole cenno di uscire di lì. «In ogni caso, sono contento che la mia presenza ti dia forza.»

«Ora non esageriamo.» Il magazzino venne di nuovo chiuso a chiave e una volta in ascensore, Aiko decise di levarsi anche l’ultimo dubbio. «Ikari cosa ha detto ad Arima al colloquio per farsi prendere?»

Hirako prenotò il settimo piano, senza guardarla. «Che secondo lui non è giusto perseguire e uccidere tutti i ghoul, ma che dovremmo applicare un criterio di selezione tra quelli pericolosi e quelli che cercano solo di sopravvivere. Incredibile, vero?»

«Un simile ragionamento potrebbe portarti in carcere, se formulato male. Ha coraggio»

«Penso che sia per questo che Arima lo ha voluto così tanto.»

Masa non aggiunse altro.

Se Furuta l’avrebbe sorpresa, Ikari non sarebbe stato da meno. Improvvisamente si sentiva l’ultima persona in grado di dare giudizi sugli altri.

 

 

Mizurou le aveva fatto avere i suoi effetti personali, rimasti nella sua piccola stanza nella sede della tredicesima, subito dopo pranzo. Non era la sola cortesia che le aveva fatto, però. Si era anche impegnato per non mantenere la promessa fatta a Nakarai riguardo alla segretezza sul caso della talpa. Il castano aveva approfittato del fatto che nell’ufficio di Arima non vi fossero le telecamere di sorveglianza per spiattellare tutto ciò che sapeva.

A quanto pare Marude aveva tolto il caso a Keijin, decidendo di dare un taglio netto a quella serie inconcludente di supposizioni capate in aria che, a detta dello stesso classe speciale, erano più mirate a scagionare che a catturare.

«Il prima classe Nakarai è furioso.»

Urie continuò a guidare la strada, mentre ascoltava la ragazza seduta sul sedile del passeggero. «Tu non lo saresti? In modo molto sottile Marude ha detto che è un incompetente e che non merita il caso.»

«Keijin è uno dei migliori investigatori che io abbia mai incontrato. Quel rompipalle di Marude non riesce semplicemente a capire che siamo persone e non macchine e che sotto accusa potrebbero finirci decine e decine di investigatori che non c’entrano proprio un cazzo

Il capo dei Quinx non si sentì di aggiungere altro. Aveva rispetto per il classe speciale, ma non poteva difenderlo da quelle parole. Tutti temevano il giorno in cui Itsuki Marude si sarebbe messo a far loro una ramanzina. Anche lui. Era quasi una tappa fondamentale del percorso di un investigatore.

«Tu cosa ne pensi?»

Aiko smise di giocare con la ciocca di capelli corvini, osservandone con scetticismo le doppie punte, per potersi concentrare sulla domanda del ragazzo al volante. «Cosa ne penso di Nakarai

«Cosa ne pensi della talpa. Sei una profiler, no? Traccia un profilo psicologico del soggetto.»

Questo sì che è divertente.

Giusto per far scena, Masa sospirò teatralmente. «Chiesto così su due piedi non è così semplice.» Si mise seduta diritta, sistemandosi la cintura sul petto. «Non abbiamo avuto svolte significative abbastanza per poterlo fare.»

«Un’idea te la sarai fatta però, no? Hai lavorato con il prima classe Nakarai direttamente sul caso.»

«Posso dirtelo come una confidenza fra le lenzuola? Solo fra me e te?»

Questa volta fu Urie a sbuffare. «Puoi farmi confidenze anche senza lenzuola o copertile di pile di mezzo, Aiko

La mora sorrise, leggermente divertita. «La persona con cui abbiamo a che fare è meticolosa, scrupolosa», iniziò a spiattellare, guardandosi le mani e chiedendosi come potesse descrivere se stessa senza che lui ci arrivasse. «Non lascia nulla al caso, non lascia indizi e quello che rimane è confusione mentale. L’accuratezza con cui riporta ogni singola mossa ad Aogiri mi fa pensare che forse non lavora da solo. Potrebbero essere due o tre persone. In questo caso sarebbe più semplice scoprirli perché su tre teste ce n’è sempre una meno sveglia.» Appoggiando il gomito contro il finestrino, Aiko si rilassò sul sedile, guardando assorta il panorama urbano che scivolava via attorno a loro. «Se invece fosse un singolo individuo, ipotizzo che soffra di un qualche disturbo ossessivo compulsivo. Una mente camaleontica capace di mimetizzarsi perfettamente sia fra di noi che fra loro. Non so se posso aggiungere altro.»

«Ho una domanda.»

«Spara, Cookie.»

«Credi che la spia sia anche la stessa persona che ha progettato e creato le bombe nella sede centrale e nella diciannovesima?»

Aiko, come sempre, non fece una piega. Dentro di sé però si chiese perché Urie doveva essere sempre così brillante. «Non saprei. Non ci sono prove in merito. Cosa te lo fa pensare?»

«Hai detto pressappoco le stesse cose sul bombarolo. Scrupoloso. Attento.»

«Ma anche narcisistico. Non è un narcisista una persona che spiando agisce nell’ombra e porta alla morte i nostri colleghi.»

Kuki fermò l’auto di fronte allo chaetau, tirando il freno a meno. «Invece sì. Dopotutto è fra i nostri ranghi, guarda e se ne compiace.»

Masa sorrise tristemente, appoggiandogli una mano sul braccio. «Allora speriamo che ci pensi il karma, non credi?»

«Meglio ancora: ci penseremo noi.» Il discorso venne bruscamente interrotto, per la somma felicità della mora. «Vado a fare spesa. Tu vedi di disfare le valige senza fare un cesso nella mia stanza.»

«Vorrai dire la nostra stanza», lo ribeccò subito lei, scaricando la valigetta con dentro Aus e la grande valigia. Quando chiuse il bagagliaio fece il giro dell’auto, appoggiandosi alla portiera del conducente. Gli sfilò gli occhiali da sole per poterlo guardare, prima di appoggiare un bacio sulle sue labbra. «Fai presto, voglio allenarmi con la quinque

«Se mi lasci andare, tornerò prima.»

Lei roteò gli occhi, infilandogli di nuovo gli occhiali sul naso, storti. Lo guardò sistemarli con la mano guantata di nero, mentre arretrava con le braccia incrociate sotto al seno. «Veloce Cookie, il tempo è denaro!», gli urlò dietro, mentre lui faceva manovra e si rimetteva in strada.

La mora lo guardò andare via, svoltare dopo una curva e poi espirò profondamente, svuotando i polmoni. Troppo stress tutto insieme da mascherare. Recuperò le sue cose, utilizzando nuovamente le chiavi per aprire la porta di casa dopo tanto tempo. Non c’era nessuno nell’ingresso e l’intero stabile era incredibilmente silenzioso. Accese la luce delle scale, maledicendo le giornate che accorciandosi avrebbero fatto arrivare delle belle bollette, trascinando la valigia fino alla stanza che aveva diviso già in precedenza con Urie. Prima di iniziare a sistemarsi si mise a sedere sul letto. Sospirò pesantemente, lasciandosi cadere stesa con le mani fra i capelli e gli occhi puntati contro il soffitto.

Non voleva iniziare a perdersi in pensieri catastrofisti su Arima, sul nuovo lavoro e sulla pressione ad essa correlata, immergendo il viso nel cuscino e mugolando sofferente. Solo un bussare leggero sull’uscio le fece rialzare il capo.

Di fronte a lei, sulla soglia, c’era Hsiao. «Ciao Ginny», le disse, mettendosi diritta. «Non pensavo ci fosse qualcuno in casa.»

«Sono tornata un po’ prima oggi. Speravo di parlarti.»

Aiko la guardò curiosa, mettendosi seduta e facendole cenno di raggiungerla. Hsiao però non prese posto accanto a lei. Preferì rimanere in piedi, incidendo lentamente nella stanza. La stava studiando, controllava le sue reazioni. Qualcosa non andava.

«Tutto bene?», domandò con voce morbida eppure ricca di perplessità Masa. Hsiao non rispose, agì e basta. Le buttò qualcosa accanto e quando Aiko lo riconobbe, sentì il pavimento mancarle sotto ai piedi.

Un quadernino nero, dai bordi mangiati e una macchia di sangue a sporcarne le ultime pagine e il dorso. Gli appunti di Nagachika.

«Dove lo hai-»

«So che eri tu quella notte nella diciannovesima, Aiko.» Il panico si impossessò di Masa, mentre guardava con occhi sconcertati e improvvisamente capaci di mentire Ginny. Aveva usato il quaderno per distrarla, mentre quella era la vera questione. I sospetti di Aiko si fecero improvvisamente reali. «So che sei Labbra Cucite, anche se non capisco il motivo.» Non ricevendo risposta, la giovane del Giardino infilò le mani nelle tasche dei pantaloni stretti. «Sei sotto copertura, sei la spia, lavori per te stessa…. Non mi importa. Non ti sto chiedendo perché lo fai o se lo fai. So che ci sei tu dietro quella maschera grottesca. Ciò che mi interessa è il fatto che quella notte non è morto nessuno e tu l’hai saputa gestire molto bene.»

«Perché non doveva morire nessuno.»

La taiwanita inclinò il capo di lato, senza smettere di scannerizzare ogni sua singola reazione. Poi annuì lentamente. «Non ho intenzione di dirlo a Urie, se questo ti spaventa. Non lo dirò a nessuno e nessuno lo saprà. Per il momento.»  L’aria fra loro si era fatta improvvisamente irrespirabile. In qualsiasi altra situazione, Aiko avrebbe tentato il tutto per tutto cercando di uccidere Ginny, ma non ci provò nemmeno. Non voleva farlo e, soprattutto, non pensava che sarebbe stata in grado. Senza contare che la superiorità dell’altra nel combattimento era palese. E se avesse avuto successo? Come avrebbe ripulito tutto e fatto sparire il corpo? No, non ne valeva la pena.

Non avrebbe nemmeno tentato.

«Per il momento…»

«Fino a che non ucciderai davvero qualcuno, ho deciso di darti il beneficio del dubbio.»

Aiko annuì, mentre un rivolo di sudore le solcava la tempia. Che razza di situazione. «Dovrei ringraziarti. Anche per non aver tagliato le bende sul mio braccio quella notte.»

«Sapevo che sotto di essere c’era il tuo tatuaggio.»

«Come hai capito che ero io?»

La donna in piedi non rispose subito, ci pensò. «Intuito, suppongo. Poi riflettendoci, non potevi essere che tu.»

Non le disse nient’altro, inclinando il capo in cenno di rispettoso saluto, prima di lasciare la stanza con la promessa di mantenere la segretezza.

Fin quanto non fosse morto qualcuno.

Aiko non disse niente, si morse il labbra piano e lanciò con violenza il quaderno contro il muro.

Si arrabbiò. Con Eto, con Nagachika e con se stessa.

Si arrabbiò mentre la prima crepa iniziava a indebolire in muro di bugie dietro cui si era nascosta per anni e anni.

 

 

 

 

Nda

 

Sono viva. So che avvolte perdete le speranze, ma torno sempre, prima o poi.

Spero che tutti vi stiate godendo le vacanze estive.

Io fra un lavoro, la tesi e lo studio sto cercando di affrontare il lutto per la fine di TG:RE.

 

No, non lo accetterò mai.

Ma almeno ho tutte le info per portare a termine questo lavoro.

 

Ho deciso di interpretare alcune cose, quindi non vogliatemene se non vi piaceranno alcune decisioni future.

O furute (?).

 

Grazie alla personcina specialissima che mi ha commentato lo scorso capitolo e grazie a chi ancora, dopo più di un anno, continua a stare al fianco di Aiko.

 

Un abbraccio.

C.L.

 

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Capitolo 37
*** Il caso Re - 2 di 6 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

«Hai avuto modo di parlare con Eto, di recente?»

Lo stato meditativo nel quale si era rinchiusa in seguito agli allenamenti col maestro andò in pezzi al solo suono della voce di quest’ultimo. Il cinese si era espresso nel suo idiota natio, cosa che in fin dei conti non era poi così tanto straordinaria o rara, ma avveniva per lo più quando non erano soli e dovevano per forza nascondere i loro pensieri agli altri.

Peccato che in quel momento, sul tetto della sede della diciannovesima, immersi nel persistente profumo delle rose che Kenta curava ogni giorno, ci fossero solo loro due.

La mora aprì gli occhi dorati per piantarli in quelli rossi dell’albino, strusciando le mani sulle ginocchia, improvvisamente a disagio. Qualcosa non andava e temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato. «No, Laoshi. Non parliamo dal giorno in cui mi hanno dimessa dall’ospedale, dopo l’intervento. Quando faccio rapporto sulle attività di Haise Sasaki non ha mai niente da commentare

«Capisco.»

Tatara si mise a sedere di fronte a lei, lentamente. Non c’era  traccia di rimprovero nella sua voce, né di rabbia. Persino nei suoi movimenti, lenti ed eleganti come l’acqua che scivola sulle rocce di un torrente, non vi erano segni che preannunciassero una lavata di capo o peggio, una punizione. Aiko se ne sarebbe accorta, altrimenti. Ormai sapeva leggere l’albino come un libro aperto. Non fece nulla se non prendere posto con lei, appoggiarsi le mani sulle ginocchia ed espirare, svuotando i polmoni. I suoi occhi si chiusero e si concedette anche lui un po’ di meditazione.

Lei non parlò subito. Osservò per un secondo la linea di netto contrasto fra la maschera rossa viva e la pelle di alabastro, prima dell’ombra della barba, lucida, poi lo imito, chinando il capo e chiudendo le palpebre.

Rimasero così per minuti infiniti, ma lei non riuscì più a ritrovare la concentrazione di prima. Sentiva tutto amplificato attorno a lei, da quando le era stata impiantata la kagune. Gli odori dei fiori e delle erbe che si mischiavano fra loro, il suono del traffico di Tokyo sotto di loro, i movimenti dei membri di Aogiri che vivevano nello stabile, nei piani inferiori. Il profumo forte eppure piacevole del ghoul seduto di fronte a lei. Ogni persona ora aveva un odore unico, che spesso le arrivava alle narici prima ancora di incontrarla.

E poi c’era la questione rimasta in sospeso, in  bilico.

«Ti chiedo perdono, Laoshi», inizio con cautela. Attese di vederlo ricambiare lo sguardo, prima di riprendere a parlare con lui, in cinese. «Sei preoccupato?»

«Shì de.» La risposta la lasciò del tutto spiazzata. Si era aspettata una negazione, magari di essere arguita sul fatto che quelle non erano questioni che la riguardavano. Invece per la prima volta in oltre tre anni, il suo aguzzino stava ammettendo che temeva qualcosa.  Aiko lo trovò inconcepibile. Sentì il pavimento mancare sotto al cuscino su cui sedeva. Se lui aveva paura di qualcosa, allora, erano perduti. «Il mio però è solo un sospetto. Non ho prove a sostegno della mia teoria e fino ad allora tu dovrai solo limitarti a continuare a fare ciò che hai sempre fatto.»

«Shì de, Laoshi.» Con le mani tremanti, si appoggiò al lastricato della veranda, chinandosi totalmente di fronte a lui. «Perdonami, ma sono debole e ti imploro per la conoscenza. Dimmi ciò che ti preoccupa e cercherò di porre rimedio

«Tirati su, mèi-mèi.» Attese di vederla sedersi sui talloni, tenendosi poggiata sulle ginocchia, poi sospirò piano. «Non capisco più chi sono i nostri alleati e chi i nostri nemici. Questo limita di molto il mio giudizio sulle situazioni di pericolo per l’organizzazione. Il problema però è ben diverso: temo che questo sia quello che Eto vuole.»

«Eto vuole confonderti?»

«Lo trovi assurdo

A primo impatto sì, Aiko lo trovò assurdo. Era abituata a vedere in Eto e Tatara un unico organico, nonostante sapesse chi dei due avesse più peso in Aogiri. Non di facciata, certo, ma nella pratica nessuno era insostituibile eccetto la fondatrice stessa. Eppure, ogni qualvolta pensava all’Albero, non poteva non immaginare che i tre rami principali fossero loro due e Noro. Da esso poi si articolavano tutti gli altri, da quelli più spessi alle foglione e i germogli. Eto però non era il ramo, né il tronco. Era le radici, che nascoste nel terreno si intrecciano senza essere viste. «Cosa facciamo?», domandò, tenendo gli occhi sbarrati su un bocciolo di rosa.

L’albino le prese il mento fra il pollice e l’indice, costringendola a uscire dal quello stallo per concentrasi sulle sue parole. «Niente. Le lasceremo fare ciò che ritiene giusto e noi faremo la nostra parte. Ora vai o i tuoi colleghi si accorgeranno che manchi da ore.»

Aiko non si mosse di un centimetro. «Credi che trami con…. Con il re?»

Fu Tatara ad alzarsi per primo. La guardò solamente e lei comprese che sì, poteva essere solo così. Loro non valevano abbastanza per sapere tutto, infondo. Eppure un senso di amarezza la colse. Non per se stessa. In un certo senso, provò dispiacere per il suo aguzzino.

Senza Tatara come facciata, non sarebbe esistito più Aogiri.

Eto era troppo presa dalle sue faccende, troppo distratta e incostante.

«Vai. Ti chiamerò io quando avrò bisogno. Fai un favore a te stessa, però: stai molto attenta non solo a non essere scoperta dai tuoi colleghi, ma anche a non scoprire più di quanto dovresti sapere.»

Di nuovo, la lasciò sola con un enigma che lei non sapeva decifrare.

Interpretò però che doveva smettere di curarsi delle scelte di Eto e continuare a fare ciò che le veniva richiesto senza far domande, come aveva sempre fatto.

E come sempre, interpretò male.

 

Capitolo trentasette

«Io non ce la faccio più! Lasciatemi morire qui!»

Masa si appoggiò con le mani alle ginocchia, lasciandosi sfuggire un lieve mugolio di dolore quando toccò la carne viva lasciata in mostra dalle escoriazioni che si era fatta durante ‘l’allenamento’. Era certa che il primo a capitolare sarebbe stato Furuta, ma questi manteneva una certa stoicità nonostante l’espressione devastata. Naoki, d’altro canto, sembrava sul punto di piangere.

«Non abbiamo ancora finito», sottolineò l’ovvio Arima, sistemandosi gli occhiali sugli occhi e scansando la frangetta bianca sudata dalla fronte. Lui, che portava più o meno il triplo della legna che aveva sulla schiena Ikari, sembrava solo leggermente affaticato. Leggermente.

Gli altri membri della squadra, ghoul e mezzi ghoul compresi, erano al limite. Aiko era certa di avere salito e sceso l’alta scalinata per arrivare al tempio di Kagutsuchi almeno settanta volte. Come minimo. Furuta si era addirittura messo a contare i gradini a un certo punto. Erano trecento sette.

Rassegnata, la mora fu la prima a riprendere la salita, portando le mani sulle bretelle del canestro pieno di legna da ardere, per alleviare un po’ la frizione sulle spalle lasciate scoperte della canottiera bianca. Take, in silenzio, la seguì, come fecero anche Sasaki e poi con fatica, Furuta. Arima, invece, non mosse un passo, fino a che anche Naoki non fu pronto a proseguire quell’allenamento suis generis.

La neo squadra di punta della S3 si era formata da appena cinque giorni, ma Arima non aveva dato ai nuovi arrivati nessuno spazio di adattamento. A sentire Nimura, le strade erano due: potevano arrendersi all’incredibile mole di lavoro fisico e mentale oppure lasciare perdere e chiedere il trasferimento. A detta sua, Arima non avrebbe avuto pietà.

E non l’aveva avuta. Aveva preteso di vederli ogni giorno in ufficio a lavorare sul caso del Re col Sekigan, spaccandosi la schiena nelle ricerche dei suoi adepti più famosi. Aiko aveva deciso di concentrarsi su Labbra Cucite – ovvero su se stessa- ma era stato lo Shinigami Bianco a esigere un cambio di rotta. Del leader della diciannovesima si sapeva troppo poco, andava presa Hakatori. Masa si era quindi data da fare. Aveva interrogato ghoul all’interno della Cochlea, in particolare la giovane Fueguchi, scartabellato ogni documento che aveva trovato in archivio sulla Piccola Bin e organizzato appostamenti che però non si erano mai realizzati. Tutto il  lavoro era andato sprecato nel momento in cui Arima li aveva portati tutti a un’ora e mezzo di auto da Tokyo. Certo, Hinohara era un paesino di montagna delizioso e il tempio in cui erano ospiti era bello.

Però il loro addestramento non aveva alcun senso.

Arima non li stava preparando a lottare.

Li aveva messi sotto gli ordini diretti del guardiano del tempio, il signor Higashi, e del suo giovane e aitante figliolo, Hori. Erano arrivati in mattinata e avevano spaccato un quantitativo di legna sufficiente per mantenere caldo il tempio e tutti i suoi ambienti per l’inverno. A pranzo avevano consumato velocemente un bento ricco, ma troppo misero per il dispendio di energie che li aspettava per il dopo pasto: portare tutta la legna spaccata fino alla capanna in cui sarebbe rimasta fino al momento dell’utilizzo.

Aiko iniziava a non sentire più i muscoli delle gambe, tanto che era caduta almeno una decina di volta, picchiando le ginocchia sui duri gradini di pietra fino a farle sanguinare. La rigenerazione faticava a tenere il passo con qui ritmi serrati. Lei e Sasaki dovevano, poi, pagare il peso della loro forza superiore a quella dei colleghi. Ogni giro che faceva Naoki carico di legna, loro dovevano farne almeno tre e con il triplo del peso.

Arima sosteneva che se ci riusciva lui, loro dovevano fare di meglio.

Haise, seppur stanco, non era né sorpreso né tanto meno votato a fallire. Masa semplicemente non capiva. Era entrata in quella squadra convinta di poter avere una formazione tattica superiore, non per venire sfruttata da un vecchio pazzo e dal pigro figlio. Si era anche azzardata a dirlo ad Arima, dimenticando il consiglio d’oro di Koori Ui: mai e poi mai contraddirlo. Aveva litigato con lui tre ore di seguito, mentre continuavano però quell’ingrato lavoro.

Litigato poi era un termine eccessivo. Lei aveva litigato. Lui le aveva solo dato modo di arrabbiarsi sempre di più.

Ci aveva messo tre ore, ma aveva capito cosa intendeva Hirako quando sosteneva che Arima era veramente molesto. A quel punto si era zittita, conscia che lo Shinigami l’aveva presa in giro tutto il tempo, iniziando a impegnarsi per fare quattro giri consecutivi invece di tre.

Arrivò in cima alle scale per prima, fermandosi un secondo sotto al Torii rosso vivo per riprendere fiato, poi avanzò verso il santuario ausiliario, di fronte al quali i due Higashi stavano sistemando il frutto del loro duro lavoro in pile precise.

«Grazie, Aiko-chan», le disse divertito Hori quando lei scaricò il canestro senza troppe cerimonie, mollandolo un attimo a terra per sfare la treccia che portava sul capo. Troppe ciocche erano sfuggite e le davano fastidio, incollandosi al collo pallido e sudato. Si mise a rifarla. «Il sole inizia a tramontare. Siete a buon punto.»

Lei sbuffò, spostandosi per far spazio a Hirako e Sasaki, «Mancheranno sì e no due o tre carichi a testa.»

Haise sospirò, abbassando le spalle. «Preferisco comunque portare la legna, rispetto a quello che dovremo fare domani prima di tornare a Tokyo.»

Aiko, che aveva intuito che doveva esserci la fregatura quando Arima aveva detto che si sarebbero anche fermati per la notte, assottigliò di poco gli occhi. «Cosa dobbiamo fare domani?»

«Portare sacchi di riso.»

«Mi state prendendo per il culo?!»

Nimura scaricò a sua volta la legna, mantenendo il suo solito sorriso positivo. «Se siamo fortunati, prima di partire, potremo anche iniziare ad allenarci per il Festival dello Sp-»

«Non azzardarti», gli sussurrò Hirako, guardando fuori dal capanno. Arima non era ancora arrivato, segno che Ikari era come minimo a metà scalinata. «Se nomini il Festival dello Sport ad Arima inizierà a impazzire già da ora.»

«Mancano ancora più di tre settimane, no?», si informò Aiko, ringraziando Hori quando le passò una bottiglia di acqua. Lei prese un sorso abbondante, prima di passarla a Sasaki. «Dobbiamo fare una staffetta. Che diavoleria potrà mai inventarsi Arima, per battere questa tortura delle scale?»

Hirako prese a sua volta la bottiglia, guardandola truce. «Non lo vuoi sapere.»

«Si è fissato su come bisogna passarsi il testimone», le rispose Furuta, ottenendo un’altra occhiataccia. «Secondo lui c’è un modo ben preciso per farlo risparmiando 0.4 decimi di secondo.»

«Ha in squadra me e Haise, chi se ne frega se tu o Naoki perdete quattro decimi?»

Nimura scrollò le spalle, insofferente. «Che posso dirti. È molto competitivo. Soprattutto da quando Akira lo ha battuto quattro anni fa.»

«L’anno in cui lui era in squadra con lei», gli fece notare Aiko, indicando con il pollice Sasaki, che ridacchiò piano, divertito, prima di andare a grattarsi il mento. «Senza contare che abbiamo perso. Insomma, chi può battere i Quinx

«Ecco.»  Hirako alzò il suo canestro, pronto a ripartire per avvicinarsi alla conclusione di quella assurda giornata. «Questa è una cosa che mai e poi mai devi fargli notare.»

«O ci ammazza a furia di farci allenare», aggiunse Sasaki.

Furuta rise, apertamente, mentre usciva dal capanno insieme alla mora. «O quello ci fa correre attorno a Tokyo fino a che non ci mettiamo solo due ore!»

 

 

«… e quando abbiamo finito con le legna, Arima ha dimostrato a tutti che si ricordava perfettamente del Festival dello Sport e ci ha costretti a fare dieci giri di corsa attorno al recinto del tempio.»

Dall’altra parte della cornetta sentì delle bacchette cadere su di un piatto e una imprecazione mal trattenuta dalla persona a cui aveva appena finito di raccontare la sua distruttiva giornata. – Tu comunque sembri energica per aver fatto tutta questa attività fisica.-

Aiko prese un tiro dalla sigaretta, mettendosi seduta più comodamente sul secondo gradino della tanto odiata scalinata, fuori dal torii, così da non fumare nei confini sacri. Avevano già dissacrato quel luogo di culto con ogni tipo di parolaccia nell’arco delle ultime quattordici ore, non voleva aggiungere altri insulti alle divinità. Non che fosse credente, ma la sua famiglia lo era e le aveva insegnato a portare un certo rispetto in determinate situazioni. Se fossero stati meno concentrati sulla forma e più sulla sostanza, forse non sarebbero finiti così, a non rivolgersi nemmeno la parola. «Non sono energica. Sono morta dentro, quindi tanto vale prenderla con filosofia. Puzzo come non ho mai puzzato in tutta la mia vita e sto finendo le sigarette, ma mi rifiuto di scendere queste maledette scale per arrivare in paese. So che non riuscirei a tornare su, dopo.»

-Quanto sei tragica. Come se non ti fossi mai allenata prima.-

«Non per quattordici ore di fila, Cookie. Questo non è un addestramento, è un tentato omicidio premeditato.»

Il ragazzo non si impressionò nemmeno un po’. –Allora sei fortunata a vivere in un paese che prevede la pena di morte in questi casi. Denuncia il tuo capo.-

Aiko sbuffò sonoramente, terminando la sigaretta e spegnendola contro il gradino, prima di appoggiarla dentro un fazzolettino. Se Arima avesse trovato anche solo un mozzicone l’avrebbe costretta a spazzare ogni singolo gradino, a detta di Take. «Potrei farlo visto che mi ha dato un ordine davvero stupido, prima.»

-Ovvero?-

«Scoprire la vostra formazione della staffetta. Siete i nostri principali avversari quindi vuole un file aggiornato con ogni vostra debolezza per fare una strategia.»

Silenzio.

–Il classe speciale sa che il Festival dello Sport è stato una idea del direttore Yoshitoki Washuu per farci socializzare al meglio fra di noi? Questa dovrebbe essere una giornata atta a creare più spirito di cameratismo fra compagni di squadra e non per eliminare i colleghi.-

«Ad Arima non frega niente, ci tiene molto a vincere. È una sua perversione a quanto pare.»  Un sassolino le colpì la schiena. Aiko si voltò e vide Nimura farle segno di avvicinarsi, senza aprire bocca, per non disturbare la quiete del tempio. «Ora devo andare. Però confido che mi aiuterai a fare rapporto sulla tua stessa squadra.»

-L’alluce valgo di Saiko vale come punto debole?-

«Quello forse no, ma il suo seno sì. Come fa a correre così attrezzata?» Aiko si alzò in piedi, stirando la schiena. Nonostante la rigenerazione sentiva come se il suo corpo fosse sul punto di collassare su se stesso. Ripetutamente. «Ci sentiamo domani mattina, Cookie. Buon lavoro.»

-Buon riposo.-

Riagganciò la chiamata, sbrigandosi a raggiungere il collega che le sorrise maliziosamente. «Era il fidanzatino, Aiko-chan?», le chiese, suonando come una vecchia zia impicciona, mentre le tirava piano la guancia.

Lei lo lasciò fare, mentre entravano nella piccola struttura nella quale si consumavano i pasti. Erano già tutti seduti al tavolo e la moglie del custode stava appoggiando di fronte a loro piatti ricolmi di prelibatezze. Almeno non si potevano lamentare dell’ospitalità. C’era cibo sufficiente per un esercito. «Non essere molesto, Nimura», lo riprese bonariamente Arima, mentre Aiko si sedeva sulla panca accanto a lui. «Se siete ancora così tanto svegli da scherzare fra di voi, allora possiamo esercitarci un po’ con le quinque dopo cena.»

Tutti sbiancarono, muti. Il solo a esternare il suo dolore fu Naoki, che a stento riusciva a tenere il capo alzato. «Sto per fare harakiri con la spada sacra.»

«Scherzo, scherzo», ribatté asettico lo Shinigami, mentre persino Sasaki si portava una mano alla fronte, sollevato. Non sembrava affatto uno scherzo e ad ogni modo nessuno sembrava divertito. «Siete liberi fino a domani mattina. Colazione alle sette. Sotto al torii alle otto meno un quarto, quando arriverà il camion con i sacchi di riso.»

«Che gioia», rispose Hirako, privo di qualsiasi sentimento nella voce.

«Sembra una partita a chi fa più schifo a fare il sarcastico», disse Aiko, indicandoli con le bacchette. Fu la sola a interessarsi alla conversazione, visto che Furuta e Ikari si stavano già rimpinzando. Sasaki rimase immobile per un paio di minuti di fronte al piatto pieno di quello che sembrava carpaccio di manzo.

Ma non era manzo.

Cedette in fretta ai morsi della fame e alla sua pancia che ululava per venire riempita, prendendo le bacchette fra le dita guantate di rosso. «Grazie per il pasto», sussurrò a mezza bocca, mentre Arima gli riempiva un bicchiere di acqua.

A nessuno importava che stesse per mangiare della carne presumibilmente umana. Aizawa gli aveva preparato un frigo portatile prima di partire e Haise si era organizzato alla bene meglio per far passare la sua cena come qualcosa di comune. Avrebbe preferito andare nel bosco a nutrirsi, ma avrebbe mancato di rispetto a coloro che li ospitavano.

Nemmeno a loro sembrava interessare che un ghoul sedesse alla loro tavola. Avevano fatto di tutto per non metterlo a disagio, ignorando il topic della carne e concentrando la conversazione sulle festività che organizzavano annualmente al tempio. Parlarono solo loro, perché la squadra Arima era momentaneamente composta da persone di base taciturne e da morti viventi.

A pasto ultimato, anche Aiko accusò tutta la stanchezza accumulata durante la giornata. Mentre la digestione iniziava a fare il suo corso e lei si ritrovava a fare il bagno da sola – il vantaggio di essere la sola ragazza della squadra era quello di potersene rimanere sbragata in una vasca piena di acqua bollente tutta per sé- rischiò di addormentarsi appoggiata con le braccia al bordo.

I ragazzi, che si stavano lavando dall’altra parte di un muro di mattoni crudi, parlarono poco per non dire niente.

Quando trovò le forze per uscire e indossare i vestiti coi quali avrebbe dormito, Aiko scoprì che Naoki era già a dormire da venti minuti. Arima e Sasaki non erano ancora usciti dalla vasca e Nimura si stava apprestando a leggere l’ultima uscita di Shonen Jump prima di coricarsi a sua volta.

«Io faccio una passeggiata», sussurrò a Furuta, che annuì sfilandosi un auricolare da cui proveniva quella che sembrava terribilmente musica latino americana. Anche se avesse urlato, comunque, Ikari non si sarebbe svegliato. Sembrava morto. Non aveva nemmeno fatto troppe allusioni sul lato b di Hori, dimostrando quanto grave fosse la situazione.

«Come una passeggiata? Non hai camminato abbastanza?», si informò il moro, ottenendo come risposta la visione del pacchetto di sigarette. «Che abitudine poco salutare», le disse seriamente dispiaciuto per lei, prima di ritornare ad ascoltare Rapresent Cuba mentre leggeva One Piece.

Uscì dal padiglione nel quale avrebbero dormito tutti assieme, curandosi di chiudere per bene la porta scorrevole alle sue spalle. La piazza era completamente sgombra di fronte a lei e il tempio principale, che si ergeva al centro esatto di fronte al toori, era illuminato dalla luce delle lanterne ad olio. Aiko lanciò uno sguardo all’altare, prima di muovere qualche passo. Non verso il lastricato però.

Girò sui tacchi e, tenendo il cellulare in mano, accese la modalità torcia. Trovò il sentiero che cercava dietro al santuario ausiliario e iniziò a camminare, proseguendo persino quando incontrò il limite del recinto sacro. Scavalcò quella piccola staccionata, notando che il suolo distinto dal calpestio continuava nel bosco. Non doveva essere la sola ad aver deciso di  avventurarsi in quel luogo negli ultimi tempi. Il bosco bloccò i raggi di luna, gettandola in un buio profondo. I sensi acuiti dal kakuo iniziarono a giocarle scherzi strani. Si sentì seguita a un certo punto, così si fermò. L’occhio sinistro si tinse di nero, e cercò di capire se fosse solo un effetto psicologico che il bosco claustrofobico le proiettava nella mente o se fosse vero.

Quando Take le apparve davanti, scansando una frasca, si diede della stupida.

«Cosa stai facendo?», le domandò, guardando la kagune che nemmeno si era accorta di avere estratto.

«Stavo per farti fare la fine di Urie Kuki ad Aokigahara», gli rispose stizzita. «Per caso è una moda quella di seguire le persone nei boschi senza dire nulla per farsi riconoscere?»

Hirako fece spallucce. «Ti ho visto allontanarti e ho pensato di impedirti di farti del male. O, a dire il vero, di fare del male a qualcun altro.»

L’occhio tornò identico al suo gemello e la giovane lo trapassò con le iridi dorate, riprendendo per la sua strada. Nemmeno a dirlo, lui la seguì. «Vai a dormire, Take. Sei stanco.»

«Non sono così stanco.»

«Stai trascinando i piedi.»

«Posso resistere un’altra mezzoretta.»

Era inutile. Era come sbattere ripetutamente il capo contro il muro o cercare di convincere Arima a cambiare idea su qualcosa. In effetti, erano davvero simili quei due. Aiko si chiese come fosse Take prima di incontrarlo, se fosse sempre stato un testardo o se lo Shinigami lo avesse plagiato.

«Cosa stiamo cercando?», si informò l’agente, tenendo le mani nelle tasche della tuta da ginnastica nera del bureau.

Masa sorrise affabile, guardandolo di sottecchi. Le si era affiancato, sfruttando anche il suo telefono così da avere due torce. «Una cosa che ho letto su internet.»

«Se cerchi il tempo della Kitsune è di là», le fece sapere, indicando fuori dal sentiero. Lei si fermò, guardandolo male. «Scusa, ma veniamo qui molto spesso e ogni tanto ci fermiamo per giorni. Per disintossicarmi da Arima faccio lunghe passeggiate serali anche io.»

Voleva davvero trovare quel tempio abbandonato, così con un sospiro rassegnato, la mora gli fece cenno. «Fai strada.»

Lui, che si era abituato da anni al tono scocciato che usava la ragazza quando gli si rivolgeva, si limitò ad eseguire, precedendola.

Calò il silenzio fra loro e Masa si sentì subito a disagio. Come sempre, una volta combinato il danno, se ne rese conto. Aveva risposto male al suo superiore, si era comportata come una stronza di nuovo. Take non aveva fatto niente di male, se non proporsi di accompagnarla, per non lasciarla sola. Lo faceva sempre, erano anni che si prendeva cura di lei. Non riusciva però a scusarsi, perché lei quelle attenzioni non le voleva. Non voleva esser trattata con gentilezza, perché non lo meritava. Eppure il senso di colpa si acuì così, testarda, preferì muovere un gesto verso di lui piuttosto che chiedergli scusa. Allungò una mano, prendendo il bordo della maglietta bianca che indossava e stringendolo fra le dita.

Lui non reagì, mantenendosi pacatamente chiuso nel silenzio.

Per fortuna non camminarono ancora molto.

«Questo luogo è meraviglioso.»

Fu tutto ciò che Aiko si sentì di dire di fronte al tempio. La struttura un tempio sacra era rimasta abbandonata per molto tempo, lo si intuiva dalle condizioni di trascuratezza che avvolgevano non solo gli ambienti interni, ma anche il cortile esterno. Un pavimento di foglie cadute si stendeva a tappeto sotto i loro piedi, oltre la statua della volpe, fino ai gradini di legno del santuario modesto.

«Inari», sussurrò Aiko, passando le dita sui kanji che rappresentavano il nome della divinità, scolpiti sul basamento della statua.

«Come il mio cane», aggiunse Take, facendola sorridere divertita, mentre il disagio tra loro si dissipava come sempre con naturalezza. «Quando era cucciola sembrava una piccola volpe», continuò il rosso, mentre si avvicinavano alla struttura.

«Mi ricordo quando l’hai presa. Era microscopica.»

Si ricordava benissimo della prima volta in cui Hirako  aveva mostrato al lavoro la foto del suo Shiba Inu. Nessuno era riuscito più a riprendere a lavorare, quella mattina.

«Come mai ti sei interessata a questo piccolo tempio abbandonato?»

Aiko si sedette sui gradini, spegnendo la torcia e alzando il viso. In quello spiazzo privo di vegetazione, la luna illuminava la pavimentazione erbosa. Le cicale ormai non cantavano quasi più, ma il brusio di fondo della foresta che prima l’aveva tanto oppressa, in quel momento la fece sentire protetta. Al sicuro.

«Mi è sempre piaciuto cercare gli yokai nei boschi. Lo facevo sempre quando ero piccola e andavano a trovare i parenti a Kyoto.»

Take non parve stupito. «E pensare che hanno inventato gli spiriti delle montagne e delle foreste per spaventarli, i bambini.»

«Le kitsune mi hanno sempre affascinato», proseguì lei, appoggiandosi con il gomito al ginocchio. «Possono assumere la forma di donne bellissime, diventare invisibili e hanno poteri divinatori. In un certo senso, sono delle maschere di loro stesse, indossano sempre identità che non gli appartengono.»

Hirako, seduto accanto a lei, le impedì di accendersi l’ultima sigaretta rimasta. Fu però abbastanza gentile da rimetterla nel pacchetto, portandoselo in tasca. «Era un territorio sacro questo.»

Lei lo guardò assottigliando gli occhi. «Era.»

«Comunque non fumare ora, è fastidioso», la zittì, ottenendo come ricompensa una linguaccia. Non che potesse scoraggiarlo in qualche modo. Non le restituì comunque il pacchetto. «Tu sei un po’ come la kitsune

Lei iniziò a giocherellare con l’accendino, abbozzando un sorrisetto. La fiamma le illuminò il viso e lui notò una certa melanconia in quelle iridi. «Perché ho le code?»

«Perché indossi sempre una maschera.»

E lei non rispose.

Era stanca di cercare scuse.

 

 

 

Quando era arrivata nel fatiscente palazzo che avrebbe ospitato la riunione dei capi di Aogiri, Aiko si sentiva ancora amareggiata dalla conversazione che aveva avuto prima di uscire con Urie. Aveva usato la stessa scusa di sempre, per potersi allontanare per l’ora di cena, ovvero che sarebbe passata a casa di sua madre. A quel punto però lui le aveva riservato un’occhiata strana, prima di dirle esattamente quello che stava pensando.

«Quando ti hanno ricoverata dopo lo scontro con Tatara, lei non è mai venuta a trovarti.»

Hsiao aveva continuato ad apparecchiare la tavola insieme a Saiko, piegando uno dei tovaglioli di carta color pistacchio senza nemmeno alzare lo sguardo. Eppure Aiko si era fatta così paranoica da voltarsi verso di lei invece di rispondere al compagno. La scusa che aveva buttato fuori, una potenziale avversione di sua madre verso gli ospedali, era uscita un po’ stentata e quando si era allontanata salutandoli, aveva sentito quel muro di menzogne dietro a cui si nascondeva crepare ancora di più.

Non avrebbe retto ancora molto, lo sapeva.

Quando aveva visto Kenta aspettarla fuori dalla caffetteria in cui passavano la mattina da quando nessuno dei Quinx aveva più voglia di andare al :re, non avevano nemmeno avuto bisogno di parlare. Aveva controllato la sim card nel bagno delle donne durante una pausa in ufficio e aveva trovato orario e luogo per la riunione a cui non sarebbe potuta mancare.

«Cosa è successo?», aveva chiesto ad Ayato, sedendosi accanto a lui a terra, con la schiena contro il muro.

Il ragazzo l’aveva guardata con la coda degli occhi, alzando le spalle come per dirle che non lo sapeva e poco gliene importava. Continuò a rigirarsi fra le mani un rametto, facendo passare qualche minuto prima di aprire la bocca. «Era un po’ che non ti facevi vedere in giro.»

«Non sai niente di cosa mi hanno chiesto di fare ora?»

«Sì, dai la caccia a noi.» Masa non gli rispose, ma lui non ne aveva bisogno. «Tsubasa mi ha detto della promozione. Congratulazioni. Lavori con i pezzi grossi ora.»

«Parla piano», sussurrò fra i denti, controllando che la maschera fosse ben ritta sul viso a nasconderla. «Se ti sentissero-»

«Chi se ne frega, questa stupida associazione di pazzi visionari sta andando in rovina. Ora ti ci metti anche tu cercando di catturare Hakatori

Aiko decise di non rispondergli. Ayato sembrava avere una sorta di calamita per i litigi e lei non voleva mettersi in mezzo. Preferì concentrarsi su altro. «Perché non c’è Seidou?», chiese stranita, mentre Naki e gli Smoking Bianchi entravano nello stanzone, completando il quadro.

Kirishima si voltò a guardarla, prima di alzarsi in piedi. «Non sono la sua fottuta balia. Non so perché non c’è.»

Si allontanò a passi veloci, lasciandola sola a rimuginare su quello strano comportamento. Anche quando Tomoe le si mise accanto, salutandola con rispetto e chiamandola senpai come se non la infastidisse il fatto che Aiko le stava dando la caccia, Masa non riuscì a smettere di pensare che Rabbit potesse sapere qualcosa che a lei sfuggiva.

Tatara attirò la loro attenzione, ponendo così fine a ogni elucubrazione.

«Le recenti sconfitte che abbiamo subito non possono essere attribuite solamente a un perfezionamento nelle comunicazioni all’interno della ccg, ma a un deterioramento delle nostre.»

Tutti i presenti nella stanza rimasero in religioso silenzio, quasi come se dovessero condividere una colpa comune. Aiko, invece, si sentiva come se quelle parole mirassero solo a ferire lei. Incassò il capo fra le spalle, mentre anche Eto si univa a loro, entrando dalla porta con dei piccoli balzi calibrati, si appoggiò al muro dietro a Tatara, sorridendo all’investigatrice quando questa le lanciò una fugace occhiata.

L’albino, che aveva solo iniziato, parve non curarsi affatto della presenza della Bambina con le Bende. «Abbiamo ormai definitivamente perso il controllo della tredicesima e di tutte le zone attigue. La squadra di Suzuya Juuzou è impossibile da sconfiggere e noi non possiamo permetterci di dispiegare grandi numeri ora. Manca poco al nostro ultimo, definitivo attacco.»

«Definitivo?»,  ripeté a voce alta Naki, con tono ottuso.

Tatara lo guardò con sufficienza oltre il bordo alto della maschera. «Precisamente», gli rispose, prima di esplorare lo stanzone ad ampie falcate per portarsi fra loro. «Ci sarà uno scontro aperto, nel quale non importerà molto di chi vincerà o chi perderà. Importerà solo ciò che noi divulgheremo.»

«Ovvero?», si inserì Ayato, con scetticismo.

Il suo Laoshi parve quasi offeso da quella mancanza di fede. «Zhēnxiàng»

La verità.

Masa strinse di più le ginocchia al petto, sopraffatta da così tanti pensieri da rischiare di venir schiacciata da un momento all’altro. C’erano tantissime verità delle quali dovevano discutere, in effetti. Quale fosse la più importante per Eto, in quel momento, era un mistero per lei.

«Manca ancora tempo prima di questo, però. Dobbiamo serrare i nostri ranghi e evitare che si verifichino ulteriore falle nel nostro sistema.» Tatara diede loro le spalle, unendo le mani dietro la schiena, col capo chino e la fronte corrugata. Aiko sapeva che stava per dire qualcosa che non voleva dire. Faceva sempre quell’espressione quando Eto gli dava ordine che non comprendeva o che non appoggiava. Poi però, come sempre, proseguì come se nulla l’avesse turbato. «C’è qualcuno fra noi che dovrà rispondere di accuse molto pesanti, stasera.»

Quando i suoi occhi color rubini si scontrarono con l’oro delle iridi di Aiko, lei sentì il cuore mancarle di un battito. La bocca sotto le bende di Eto si torse in un ghigno, distorcendo le linee bianche che la mascheravano agli occhi dei presenti. Il Gufo si aggrappò con i suoi artigli alla manica del cappotto immacolato dell’albino. «Ora è il momento di giustificarti a tutti noi, Aiko-chan

Quella era la prima volta che Eto le rivolgeva apertamente la parola di fronte a tutti gli altri boss di Aogiri. Era anche la prima volta che usava il suo nome per intero.

La prima volta che la spogliava della sua copertura.

«Alzati», le ordinò perentorio Tatara, senza nemmeno sforzarsi di parlarle in cinese. L’avrebbe umiliata in modo che tutti potessero capirli? Masa non aveva comunque modo di rifiutarsi, né di tirarsi indietro. Quando si alzò in piedi, con le ginocchia a tremarle appena sotto alla mantella chiara, lui non le riservò alcun garbo. «Levati la maschera.»

Una folle paura le attanagliò il cuore, mentre meccanicamente portava la mancina dietro al capo, allentando la fibbia che teneva ferma la mascherina di cuoio. Se la sfilò e con essa caddero anche le bende, mentre un leggero brusio si diffondeva per la stanza.

Miza tirò indietro il capo, come un serpente pronto a mordere, mentre Naki la guardava senza capire. «Nonnina, a te non sembra quella colomba che era su tutti i telegiornali?»

«Perché è lei», rispose Tre Lame, mentre Kenta cercava lo sguardo di Aiko, finalmente consapevole del motivo per il quale c’erano stati così tanti segreti fra le loro file. Aiko  però non la ricambiò, poiché teneva le iridi sgranate sul pavimento, incapace di muoversi o anche solo di parlare.

Stava per morire? Sì, doveva essere così. Non avrebbe avuto alcuna utilità ora che la sua copertura era saltata.

«Sei famosa, Aiko-chan», cantilenò Eto, andandole incontro e prendendole le mani, trascinandola così di fronte a tutti. Saltellò sul posto, giuliva, prima di appoggiarle una mano sulla guancia, raccogliendo sulla punta dell’indice la lacrima che stava scorrendole verso il mento. Se la portò alla bocca, leccandola via dal dito, prima di fare un piccolo giro su se stessa. Era la quarta essenza della gioia in quel momento. «Sono molto, molto felice che finalmente tu possa guardare i tuoi alleati in volto. Da pari.»

Le parole della ragazza bassa la confusero. Si stava aspettando di venir trattata alla stregua di un animale da macello, così come Tatara le aveva detto quel giorno. Avrebbe rimpianto di non essere stata fatta a pezzi dall’inizio, così le si era rivolto prima di andarsene e lasciarla sola su quel marciapiede. E lei lo aveva atteso, quel momento. Però ciò che aveva appena detto Eto non aveva alcun senso.

Metà delle parole di Yoshimura non ce l’avevano. Ma in quel momento tutto arrivava ad Aiko velocizzato, difficile da cogliere.

«Non capisco…»

«Come non capisci? Come puoi non capire quanto intelligente sei stata!» C’era un tono dolce in quella frase che sembrava così tanto una presa in giro. «Furbetta», proseguì infatti Eto, «Farti assumere da Arima ti ha resa del tutto inutile come spia. Come possiamo tenere un infiltrato in quella squadra? Verresti scoperta in quattro e quattr’otto!»

«C-c’è Sasaki lì», provò a dire la morettina, mentre cercava appoggio da Tatara. Ottenne solo uno sguardo apatico in risposta. Freddo e gelido. «Credevo che ti avrebbe fatto piacere avermi di nuovo a lavorare su di lui. Dopo quello che è successo al Lunar Eclipse-»

«Esattamente dopo quello che è successo quella notte, tutto il lavoro su Haise Sasaki si è fatto inutile e noioso», la interruppe il Gufo, sventolandole una mano sotto al naso. «Ora che ti sei esposta così tanto, non ha più senso continuare così.» Le prese le mani, sporgendosi in avanti per baciarle la guancia. «Sorridi, Aiko. Ora puoi unirti a noi definitivamente

Le labbra di Eto erano fredde.

Ma mai come le sue parole.

«Definitivamente?»

«Esatto! Niente più coperture, sotterfugi e menzogne. Niente più doppia vita! Ora puoi unirti alla causa e seguirla fino al compimento del nostro destino. Non sei felice di questo?»

Per un attimo, Aiko si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Non sarebbe più tornata indietro, da quel momento.

Non avrebbe più lavorato con Naoki, Nimura e Haise. Non avrebbe più ricevuto strigliate apatiche da Arima, né si sarebbe più potuta confidare con Koori.

Non aveva nemmeno chiesto scusa a Take.

Non aveva detto addio a Urie.

E i Quinx…. Erano la prima, vera, solida famiglia che avesse mai avuto. Erano la sua casa.

La potenza con la quale realizzò a cosa era arrivata, cosa avevano portato anni e anni di doppiogiochismo, la fecero barcollare. Non rispose a Eto, limitandosi a guardarla attraverso gli occhi patinati dalle lacrime. Il suo viso si era fatto più pallido e sembrava sul punto di sentirsi male.

Anche volendolo, non sarebbe riuscita ad articolare un discorso.

Eto lo sapeva, lo sapeva benissimo. Così bene che la baciò nuovamente, sull’altra guancia.

«Ah, Giuda. Non mi hai venduto per trenta denari, certo. Però lo faresti per amore, non è vero?» Con un sospiro esageratamente drammatico, le lasciò le mani. Andò a sedersi su una scatola di legno, lasciandosi cadere su di essa con un certo rammarico negli occhi.

Ora sì che poteva sentirla, Aiko. La Morte. Le stava spostando i capelli per poterle sussurrare all’orecchio quanto si fosse fottuta da sola, con le sue mani.

Aveva la voce di Eto.

«Sono mesi che lo so. Che ami il tuo capo…. Beh non quello di ora. Non Arima Kishou, il mio primo agente preferito. E nemmeno Haise Sasaki, il secondo nella mia lista. No. Io parlo del tuo vero capo, la sola persona al mondo per la quale arriveresti a tutto, presto o tardi. Anche tradire noi.» Si appoggiò con le mani ai bordi dondolando il piede. «Come si chiama, Signor Tatara? Urie Kuki

L’albino non aprì bocca. Distolse lo sguardo con disprezzo dalla sua allieva, come se non la considerasse nemmeno più tale. Aiko deglutì, cercando la forza. «Eto…»

«Risparmiami le scuse, Ai-Ai. Non devi dire proprio niente. Quello a cui ti ho appena sottoposta era un test e tu non lo hai passato. Mi dispiace.»

Mentre il Gufo alzava un braccio, Masa sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei. Si buttò in ginocchio, prostrandosi completamente ai suoi piedi e unendo le mani di fronte al viso. «Ti prego Eto, perdonami! So di non essere stata furba e di aver fatto il mio interesse, ma non uccidermi!»

La voce le uscì acuta e stridula, ma non riuscì a dire molto altro.

Aveva aspettato quel momento per tutti quegli anni, eppure non era pronta a morire così. Si sentiva tradita, improvvisamente, come se non l’avessero avvertita adeguatamente. Come se potesse esistere un modo per prepararsi alla morte.

Singhiozzò, tremando come una foglia sotto un battente vento autunnale, aggrappandosi alle caviglie magre dell’altra, tirando le bende e inclinando di più il capo. «Ti supplico…. Non voglio morire.»

Yoshimura riabbassò il braccio, non più divertita. Il suo sguardo era diventato improvvisamente grave. «Ucciderti? Perché dovrei farlo? Non ti punirei così facendo. Dovrei uccidere questo Urie, insieme a tutta la sua squadra. Dovrei uccidere Take Hirako, i suoi nonni e il suo cane. Dovrei costringerti a guardare morire ogni singola persona che hai tradito, a cui ai mentito, che hai manipolato. Però non ho voglia. Mi hai annoiata e io, di te, non ne voglio più sapere.»

Aiko non si mosse, continuando a singhiozzare. Ayato fu il primo a lasciare la stanza, trovando la scena troppo patetica per poter essere incoraggiata ulteriormente. Il resto dei testimoni manteneva il religioso silenzio, così netto da aver fatto dimenticare a Masa che avevano un pubblico.

«Non hai ancora capito?», la incalzò Eto. «Sei diventata inutile, un peso morto. Non possiamo comunicare con te da dentro la squadra di Arima, sarebbe troppo rischioso. Però ucciderti non mi darebbe nessun vantaggio, ma anzi, attirerebbe lo sguardo dello Shinigami su di noi se il suo secondo sparisse. Quindi scacco matto al re, Aiko. Sei riuscita a trovare la scappatoia perfetta e ora sei libera.» Fece una pausa, mentre una scintilla irata le faceva risplendere le iridi smeraldine.

«Vattene ora e non fare più ritorno.»

Tatara la raccolse dal pavimento come se fosse un ammasso di stracci, tenendola per il braccio e facendola sfilare per la stanza, fra gli altri luogotenenti raccolti in un silenzio chi sdegnato e chi risentito, scortandola oltre la porta e per le scale.

Dire che Aiko era totalmente sotto shock sarebbe stato un eufemismo. Cadde di nuovo in ginocchio, priva di energie, quando lui la lasciò andare. Fece per lasciarla lì, ma lei lo fermò, aggrappandosi alla sua giacca. «Laoshi…»

«Io non sono più il tuo maestro. Hai sentito Eto. Sei libera.»

«Io non capisco. Cosa ho sbagliato?»

L’albino si chinò alla sua altezza. Improvvisamente la patina di alterità che lo contraddistingueva cadde, lasciando spazio a uno dei suoi rari momenti di pura umanità. Le appoggiò una mano sul capo, mentre lei riprendeva a piangere, disperata. «Sei la prima persona che può andarsene di qui senza finire in una valigetta o essere divorata da un altro ghoul. Dovresti essere grata dell’opportunità.»

«Dopo quattro anni io non so più vivere! Non potete usarmi così e poi dirmi che sono libera! Tutto quello che so, tutto quello che ho fatto, mi hanno privata della mia anima e mi impediranno di vivere una vita normale per sempre! Laoshi. Io non lo so più cosa è la libertà!»

Tatara se la levò di dosso, guardandola negli occhi. Abbassò anche la maschera, così che potesse sentirlo per bene.

«La libertà è decidere cosa farai per te stessa da ora in poi. Vedi di non sprecare la tua vita mai più.»

Si alzò in piedi, mentre lei rimaneva immobile, atterrita, a stringere fra le dita la polvere.

«Questo è un addio, vero?»

«Sì è un addio. Non tornare.» Tatara si fermò sulla porta, ma non si voltò per rispondere. «La prossima volta che ci vedremo ti converrà essere più forte di me e uccidermi. Non sarai così fortunata da finire di nuovo in ospedale.»

Rimasta sola, in quel vecchio androne, quando anche i passi smisero di infestare lo stabile, Aiko realizzò per quegli ultimi cinque anni aveva permesso ad Aogiri di usarla in ogni modo.

Aveva dato tutto a Eto.

E lei l’aveva levato la possibilità di scegliere e agire. L’aveva anche tenuta lontana da Seidou.

Lui non l’avrebbe mai perdonata se non fosse tornata.

 

 

Urie scaricò il corpo addormentato di Aizawa sul letto senza alcuna delicatezza. Si sistemò la giacca del completo, guardando il medico completamente sbronzo e riverso in modo scomposto sul materasso con disappunto negli occhi serpentini. Non si prese la briga di coprirlo, né di rimettergli gli arti in un assetto anatomico decente. Lo lasciò lì così, uscendo dalla stanza che puzzava in modo insopportabile di chiuso e alcool.

Per la seconda volta in una settimana si era visto costretto ad andare a pescare Ivak al solito pub, ubriaco come una spugna. Ed era solo mercoledì. Sospirò pesantemente, lasciando così trasparire tutto il suo rincrescimento, senza davvero aprire bocca. Si aspettò una battuta sagace o quanto meno uno sguardo dalla persona che stava sistemando alla meno peggio la sala, ma essa non si voltò nemmeno a guardarlo.

Questo gli diede la possibilità di spiarla per qualche istante. Aiko sembrava stanca, pallida. Non riusciva a capire come fosse possibile per un mezzo ghoul, ma aveva addirittura le occhiaie. Aveva passato la notte fuori e poi, come se niente fosse, era tornata per la colazione. Non sarebbe parso strano, Masa aveva l’abitudine di passare la notte dalla madre, ma in quel preciso momento non sembrava nemmeno lei. Kuki si lamentava continuamente del fatto che non riusciva a farla stare zitta.

Il silenzio in quel salotto, però, era così denso da ferirgli i timpani.

«Stanca? Turno difficile?», le chiese avvicinandosi e prendendo un paio di bottiglie di birra vuote, che lasciò scivolare nella busta dell’immondizia che la ragazza teneva in mano.

Lei gli dedicò un sorriso pallido, che di autentico non aveva nulla. Tornò a radunare i tovagliolini usati, ficcandoli poi di prepotenza nella busta per contenere tutta l’immondizia che infestava quell’ambiente relativamente ristretto. «Sono un paio di giorni che lavoro troppo e dormo male. Sono sottotono.»

Urie calcolò che l’aveva trovata più spenta dopo quell’addestramento fuori Tokyo, al tempio. Però sembrava più giù di morale che stanca. «Tra poco finirai sotto-terra se continui così», le fece presente, iniziando a preoccuparsi seriamente quando lei non lo riprese per il pessimo gioco di parole ma anzi, abbozzò una mezza risata. La aiutò a sgomberare il divano da tutte le schifezze e i vestiti sporchi, prima di passare al tavolino. Le concedette qualche minuto, giusto il tempo di rendere di nuovo abitabile l’appartamento, prima di sedersi, facendole cenno di fare lo stesso.

La sua espressione trasmetteva un solo messaggio: ‘dobbiamo parlare’.

«Spara», gli disse la mora, lasciandosi cadere sui cuscini del divano, con le mani sulle cosce. Sembrava così stanca da essere pronta a tutto, anche a una potenziale lavata di capo. Non solo. A Urie trasmise tristezza e smarrimento il modo in cui evitava di guardarlo negli occhi.

«Credo che sia tu quella che deve parlare a me, Aiko

Lei abbassò il capo ancora di più, prendendosi una mano con l’altra e lasciando che i capelli potessero scivolarle sul viso. Per nascondersi. Il solo vantaggio della lunghezza di quelle ciocche corvine. Per un istante, si domandò se anche il non averli tagliati avesse influenzato il giudizio di Eto. Forse credeva di non averla più sotto controllo.

Era così?

Era diventata così ingestibile?

Non era una mente machiavellica. Non lo era mai stata. Sapeva recitare la parte dell’astuta, ma non lo era davvero. Aveva accettato di entrare nella SIII solo perché non aveva scuse per rifiutarsi. Perché non aveva avuto il coraggio di dire di no ad Arima come non lo aveva mai avuto con Eto. Temeva le persone più forti di lei? Probabile. Semplicemente, con le spalle al muro, la vita le aveva insegnato ad assecondare le situazioni.

In quel momento avrebbe dovuto fare lo stesso.

Soprattutto quando, senza inflessioni opprimenti nella voce, Urie la incalzò nuovamente.

«Qualsiasi cosa tu abbia fatto, possiamo rimediare. Io posso rimediare. Però tu devi permettermelo.»

Kuki si tolse i guanti, lasciandoli sul tavolo e portando le sua mani grandi su quelle più sottili, dalle dita lunghe della mora. Gliele prese, scaldandole.

«Ti prego Aiko, parla con me.»

Da dove cominciare? Si chiese quanto sbagliato sarebbe stato, alla fin fine, dirgli tutto. Lei lo amava come non era mai riuscita ad amare nessuno. Non riusciva a credere che lui potesse ricambiare quel sentimento, perché lei stessa si spaventata per quanto intenso fosse. Urie era tutto quello che voleva e che aveva sempre voluto, senza saperlo. Si era interessata a lui perché era il figlio dell’uomo che l’aveva salvata e aveva scoperto una persona invece completamente diversa da quella che aveva immaginato in un primo momento.

Urie era un ragazzo giovane e onesto, anche se lo nascondeva dietro a una maschera di menefreghismo e freddezza. Era sempre stato solo, aveva sofferto ogni colpo basso che la vita gli aveva inferto, ma si era innalzato oltre quella coltre di dolore e si era fatto da sé.

Urie era anche incredibilmente altruista e Aiko lo aveva visto mettere sempre la squadra davanti a sé. Avrebbe fatto tutto per loro. Se gli avesse rivelato ciò che aveva fatto, non l’avrebbe tollerato perché lei aveva operato per la donna che aveva contribuito a renderlo orfano, ma nonostante tutto sentiva che non l’avrebbe lasciata sola. ‘ Non perderemo più uno di noi’, indipendentemente dalle colpe. L’avrebbe forse lasciata, ma in qualche modo l’avrebbe protetta.

Questo perché, infine, Urie era coraggioso. Era leale al sistema, ma capace di adoperare il suo senso critico per comprendere cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Non aveva paura di fare ciò che era bene fare.

Era cambiato moltissimo negli ultimi mesi e del ragazzino scorbutico che non voleva affetti non era rimasto nulla.

Era una persona migliore, matura. Diversa, ma infondo era come se fosse solo sbocciato.

Aiko non era niente di tutto ciò. Era una bugiarda, incapace di vedere a un futuro in cui lei stessa sarebbe stata artefice del suo destino e codarda.

Per questo motivo strinse le mani dell’altro di rimando, alzando gli occhi per guardarlo. Ma decisa che si sarebbe portata nella tomba tutto ciò che aveva fatto. Razionalmente, lo credeva così buono da perdonarla, col tempo, ma non poteva permettersi di rischiare di perderlo.

L’avrebbe definitiva uccisa.

Non poteva.

E se lui non l’avesse lasciata, Eto l’avrebbe ucciso.

Perché se Masa avesse parlato avrebbe rovinato Aogiri, ma poi la vendetta del Gufo sarebbe stata troppo da fronteggiare. Nessuno l’aveva mai fermata, nemmeno lo Shinigami Bianco. La collera di Eto l’avrebbe distrutta, se non si fosse prima distrutta la propria reputazione da sola.

Così, preferì prendere la strada che meglio le riusciva.

Evitò il discorso.

«Io non sono…. Non merito di lavorare per Arima. Loro sono tutti così organizzati, così leali. Io sono solo una perdente, Kuki. Risolvo i casi perché ho degli agganci nella malavita e so dove cercare. Non sono intelligente come tutti pensano. So solo aggirare i problemi. »

Lui non si scompose. Abbassò di poco il capo per mettersi alla sua altezza, visto che lei si era ritorta su se stessa. «Credevi che non lo sapessi?», le chiese, senza volerla sfottere, ma comunque con naturalezza. «Il modo in cui hai risolto il nostro primo caso, l’Embalmer, è ingiustificabile sul piano logico. So che tu hai qualche aggancio dall’inizio. Però non importa, perché molto investigatori usano gli informatori per-»

«No, non capisci.» Aiko si morse il labbro. «Il caso di Nagachika era una copertura. Io cercavo altro.»

«Va bene», Urie cercò di farla calmare, tirandola più diritta e tenendole le mani, mentre ruotava col busto verso di lei, sedendosi con una gamba a penzoloni sul divano. Sentiva che stavano, finalmente, scendendo più in profondità. «Cosa stavi cercando?»

«Takizawa Seidou

Bugia.

«Perché lo cercavi?»

Aiko sfilò la mano mancina, portando via un paio di lacrime dalle sue guance.

«Perché gli voglio bene.»

Verità.

Il ragazzo deglutì, sentendo la bocca farsi molto secca. «Ti sei fatta coinvolgere in qualche attività…. Illecita mentre lo cercavi?» Non indagò la natura della loro conoscenza perché non era quella la sede. C’erano cose molto più importanti che andavano portate alla luce.

«Sì.»

Chiuse gli occhi, Kuki, sentendo che tutto quello che aveva temuto ogni volta che lei inventava una scusa per allontanarsi dallo chateau si stava concretizzando. «Va tutto bene», le fece sapere, prendendole una spalla che le tremava a causa dei singhiozzi. «Ora ti farò la domanda più importante di tutte e mi dovrai dire la verità, ok?»

Lei non smise di tremare, se possibile si sentì ancora più chiusa in una morsa.

Lui, invece, rilassò il viso. «Lo sa qualcuno?»

Gli occhi di Masa si sgranarono all’inverosimile. Stava…. Insabbiando tutto?

«Qualcuno?»

«Lo hai mai detto a qualcuno, nella CCG? Come per esempio Itou? O il classe speciale Ui?» Quando Masa scosse il capo, Urie annuì di nuovo. «Perfetto. Non dirlo a nessuno e cessa immediatamente ogni contatto con il tuo informatore. Se vuoi trovare Takizawa, lo farò io. Tu, però, smetti immediatamente di indagare.»

Sarebbe stato divertente far sapere a Urie che erano stati i suoi informatori a interrompere ogni contatto con lei, ma Aiko non lo fece. Sentì come se un gigantesco macigno le fosse appena stato levato dal petto, perché il ragazzo che le sedeva accanto sembrava convinto di quella versione. Una mezza verità. Lei aveva confessato di avere fatto cose non legali, ma lui non aveva indagato la gravità della situazione perché infondo nemmeno lui voleva sapere. La sua priorità era sapere se fosse o meno invischiata in qualcosa e adesso aveva le risposte.

Peccato che Masa fosse praticamente certa che lui non aveva davvero compreso l’estensione del suo coinvolgimento. Lui glielo confermò con la domanda successiva. Attese di averla calmata un po’ e quando Aiko smise di singhiozzare, lui passò al livello successivo. «Va preso l’informatore, però. Con lui libero, non possiamo dormire molto tranquilli.»

Quello sì che era un bel problema.

Chi poteva utilizzare? Sicuramente non Tsubasa perché quello là avrebbe cantato come un usignolo. Di umani, poi, conosceva solo lui.

Le serviva qualcuno che le avrebbe coperto le spalle volente o nolente, o che semplicemente non avrebbe mai collaborato con gli investigatori. Per un attimo pensò che sarebbe stato geniale usare Kenta, ma poi Urie lo avrebbe preso.

No. Serviva qualcuno di più invisibile, meno collaborativo e sicuramente meno semplice da catturare vivo.

Qualcuno che sarebbe morto piuttosto di collaborare con la CCG.

«Senza Faccia. Il mio informatore è Senza Faccia.»

Era la copertura ‘quasi’ perfetta. Quanto meno la più comoda. Nessuno sapeva davvero dove trovarlo, nonostante tutto, eccetto Haise Sasaki. Lei credeva sinceramente però che quella conversazione sarebbe rimasta fra loro e basta e Sasaki, ad ogni modo, non si sarebbe messo a perseguire un vecchio amico. Poi, Uta portava il raggio di azione di Urie lontano da Aogiri.

«Lui ti ha dato le informazioni?»

Nella mente di Urie, tutto aveva perfettamente senso. Senza Faccia era sempre stato un acerrimo rivale della squadra Hirako, oltre che una delle punte di diamante dei Clown. Poteva arrivare a conoscere più  o meno tutto in città se lo stesso Donato Porpora, chiuso da quasi un ventennio nella Cochlea, era sempre aggiornato.

«Sì.»

«Tu in cambio cosa gli hai dato?»

Quella era una domanda molto difficile a cui rispondere. Infatti non lo fece subito. Tolse la mano da quella del compagno, scostando i capelli dal viso e cercando di ragionare velocemente.

Lui ovviamente voleva una qualche verità e non le voleva concedere il tempo di inventarsi una scusa. «Aiko, tu cosa gli hai dato in cambio?»

«Informazioni su degli agenti.» Lo disse di getto, cercando un modo per non rivelarsi lei la spia. Se si parlava dei Clown, non doveva essere nemmeno presa in considerazione come ipotesi. Non facevano mai operazioni contro di loro perché non sapevano nemmeno cosa stessero organizzando o dove si trovassero. «Senza Faccia voleva solo sapere chi lavorava su di lui o sulle loro attività.»

«Come lo Psiche?»

«Soprattutto lo Psiche.»

Non sembrò molto convinto, ma decise di darle il beneficio del dubbio. Doveva risolvere un problema alla volta. «Sai come potresti interrompere i contatti con lui definitivamente?»

Per risposta, dalla tasca dei pantaloni, lei prese la simcard con cui comunicava sempre con Tatara, opportunamente formattata da ogni informazione possibile. Gliela appoggiò sul palmo della mano, certa che non sarebbe stata utile a niente, ma almeno le avrebbe fornito un alibi per il momento.

«Siamo pari, ora. Il caso Nagachika ha portato alla luce delle informazioni su una sua conoscenza e da allora non gli chiedo più favori.»

«Se siete pari perché sei così nervosa?», chiese Urie, mentre le prendeva l’accendino dalla tasca anteriore dei jeans. Sciolse quella sim card di fronte ai loro occhi, mandando in fumo la sola, effettiva prova del coinvolgimento di Aiko con Aogiri.

«Perché Arima potrebbe scoprirlo da un momento all’altro.»

Non faceva una piega, certo.

Urie però sentiva che mancava qualcosa. Il quadro totale non era completo, gli sfuggiva un tassello o forse più di uno. Sapeva che Aiko stava omettendo qualcosa e quel qualcosa era maledettamente importante se doveva preoccuparla al punto tale da farla impallidire. Di nuovo, la studiò, portando una mano al suo viso per spostare i capelli lunghi. Era fredda, stanca. Mancava del suo solito sarcasmo e i suoi occhi la tradivano. Era preoccupata.

Azzardò a pensare che fosse spaventata.

Da cosa, però, non poteva saperlo se non era lei ad ammetterlo per prima. Non poteva costringerla a dirgli tutto, non ne aveva il potere, ma ci provò lo stesso.

«C’è altro che dovrei sapere?»

La ragazza alzò a sua volta la mano, sfilandogli il profilo del mento con i polpastrelli. Chiuse gli occhi, appoggiandosi alle sue labbra con la fronte. «In realtà sì», ammise con tono basso. Con entrambi i palmi lisciò la camicia sul suo petto, tenendo le iridi sul nodo della cravatta. «Credo che Sasaki faccia il doppio gioco.»

Basso.

Vile.

Senza ombra di dubbio il colpo più infimo che poteva tirare. Colpire l’anello debole. Il ghoul di cui pochi si fidavano.

«Non è più Haise, il nostro Haise. Si comporta come se nulla gli importasse più. »

Non stava mentendo su questo, certo. Tutti potevano notare che l’associato alla classe speciale era diventato più cupo non solo nel look. Però sostenere una tesi del genere era inconcepibile per chiunque lavorasse con lui. Aiko avrebbe tramutato la sua dedizione nello smascherare il Gufo col Sekigan nella copertura perfetta di una spia.

No.

Della spia.

«Sono preoccupata anche per lui, vorrei solo aiutarlo a trovare un po’ di pace.»

Urie le accarezzò la nuca, prima di sospirare pesantemente. «Vorrei sapere cosa diavolo succede in quella squadra.»

«Questo è quello che mi chiedo anche io ogni singolo giorno, sai? Anche standoci dentro, è strano.»

«Ci occuperemo anche di Sasaki. Andiamo per gradi e vediamo di non fare troppo casino. Non abbiamo bisogno né di pubblicità né di incasinarci la vita.»

Aiko si tirò indietro, guardandolo finalmente negli occhi e sorridendogli. Si sentiva meglio, nonostante fosse riuscita a ingannarlo per l’ennesima volta, in un certo senso, si giustificò pensando che sotto sotto, qualcosa lo aveva ammesso. Urie non aveva scavato molto a fondo, ma da lui se lo aspettava. Lasciava spesso perdere le questioni che sapeva che avrebbero potuto in qualche modo danneggiare o ferire qualcuno della squadra. Lo faceva continuamente, soprattutto con Mutsuki.

Forse, molto più semplicemente, non voleva ferire più sé stesso.

«Ora basta però parlare di queste cose, ok? Starò bene?»

«Lo puoi promettere?»

Masa annuì. «Te lo prometto, Kuki. Staremo bene.»

Si spose verso di lui, colmando la distanza con quello che sarebbe stato semplicemente un bacio pacificatore, se non fosse stato per le mani del ragazzo, che scesero sui suoi fianchi. La aiutò a sollevarsi e a sedersi sul suo grembo, dove la fece di nuovo sedersi.

Poi la abbracciò per così tanto tempo che parve non finire più.

«Se c’è altro o dovesse succedere qualcosa in quella squadra», sussurrò fra i suoi capelli, mentre lei socchiudeva gli occhi, tranquillizzata dalla sua voce. «Tu devi venire immediatamente da me. Ti riporto nei Quinx con effetto immediato e fanculo il matrimonio. Non ha senso che tu ci rimetta la carriera o la salute, non ora.»

Lei alzò la testa, incrociando le braccia dietro al suo collo. Poi sorrise, sghemba. «Molto nobile da parte tua, Cookie. Tanto so che sei solo geloso perché io sono nella SIII e tu no.»

Era un ottimo momento per sdrammatizzare. Lo pensò anche Urie, che roteò gli occhi, con un leggero sorriso però a incurvargli le labbra. La spinse con la schiena contro il divano, strappandole un urletto divertito e una risata. «Strega, perché mi preoccupo per te?», le soffiò sulle labbra, mentre riprendeva a baciarla.

Ogni battuta e ogni obiezione morì nella sua bocca, mentre lei si liberava già della sua cravatta, andando poi ad aprirgli la camicia.

Si staccarono solo quando lui sollevò il torso nudo, per sfilarle gli stivali neri che aveva messo quella sera.

 

Ivak aprì gli occhi, fissando con astio la sveglia che suonava imperterrita nonostante fosse sabato mattina e lui, da settimane, non faceva più straordinari nel weekend.

La spense con una certa stizza, prima di mettersi seduto. Sentiva la schiena dolergli dalla prima vertebra cervicale all’ultima lombare. Aveva dormito scomposto e di questo poteva sicuramente rendere grazie a Urie. Sapeva di non avere voce in capitolo per lamentarsi, perché ogni volta che lo chiamava sbronzo lo andava a prendere a prescindere dall’orario,  ma in quel frangente si ritrovò a pensare che quel ragazzo non aveva alcun rispetto per gli adulti.

Come se Urie fosse un adolescente, poi.

Si stirò alla meno peggio, levandosi la camicia della sera precedente che puzzava di fumo e scotch di pessima scelta. Buttò tutto in un cestone, insieme ai pantaloni eleganti e ai boxer bucati su una gamba, ficcandosi in doccia e provando a lavare via l’amarezza dal suo corpo.

Non ci riuscì, ma almeno quando ritornò in camera con addosso la sua peggior tuta da casa, non puzzava più.

Certo, l’odore di fallimento era difficile da togliere, ma quello poteva sentirlo solo lui.

Pensò che un po’ di tv spazzatura sul suo divano nuovo di fronte a una ciotola dove annegare i cornflakes nella vodka avrebbero in parte curato il suo malumore, ma aveva i fatto i conti senza l’oste.

Anzi, senza gli ospiti.

Non era un ghoul, ma non gli serviva un super udito o un super fiuto per percepire che in casa sua doveva esserci qualcun altro a parte lui. Lo poteva vagamente intuire dalla camicia nera che penzolava oltre il bordo del divano o dal reggiseno rosa di pizzo a terra, a qualche centimetro dal tavolino da tea.

Si avvicinò nemmeno troppo circospetto, spiando oltre il bracciolo con orrore.

«Voi due siete davvero due pezzi di merda», sbottò dopo aver lanciato un cuscino in faccia a Urie, riuscendo a svegliarli con un unico colpo. Si erano coperti, ma con il suo pile preferito da casa.

Quella era una tragedia.

«Ma che ore sono?», si lamentò Masa, spostando il capo dal petto di Kuki e coprendosi il viso con lo stesso cuscino che era appena stato usato come arma, mentre il compagno di portava a sedere, con le mani al viso, stordito da un risveglio tanto brusco.

«Chi se ne frega di che ore sono, Aiko! Non posso crederci che abbiate fatto sesso sulla mia unica gioia nella vita!»

Urie lo guardò con un occhio aperto e uno a mezz’asta, mentre una ciocca  viola ribelle svettava dalla sua fronte con scherno. Aizawa ormai interpretava ogni loro gesto o aspetto come un personale affronto. «Cosa diavolo stai blaterando?»

«Avete fatto sesso sul mio divano nuovo! »

Masa mugolò, mentre sentiva l’altro che cercava di infilarsi i boxer sotto alla coperta cercando al contempo di non scoprire lei. «Non urlare.»

«Urlo quanto cazzo mi pare! Questa è casa mia! E questo è il mio fottuto divano nuovo! Nemmeno io ci avevo mai fatto sesso prima! Non avete rispetto per il mio lutto!»

Kuki riuscì nella sua impresa, scivolando poi fuori dal pile alla ricerca dei suoi pantaloni. Non sembrava avere fretta, comunque. Passava quasi più tempo in quell’appartamento che allo chateau. Se Masa doveva lavorare di notte, certe volte, riportava Ivak e rimaneva a dormire sempre sul medesimo divano.

Prima non si era mai lamentato, ma effettivamente dovevano averlo preso di contropiede così facendo. In un certo senso, anche se Aizawa non poteva avere idea della pesantezza della loro conversazione della sera precedente, era come se gli avessero sbattuto in faccia qualcosa che lui non poteva avere più.

In un momento in cui lui era ancora sensibile.

«Vieni», gli disse Urie sbadigliando, mentre cercava la camicia che si mise, senza allacciarla. «Ti preparo i dorayaki per colazione.»

Il biondo sospirò, rassegnato. Poteva farci qualcosa, eccetto rinfacciarglielo in eterno? No.

«Sarà bene per te che siano croccanti come piacciono a me.»

«Lo saranno, lo saranno. Aiko, tu svegliati, pigra culona

Un altro cuscino le volò addosso, stavolta lanciato da Urie. Lei sbuffò, affacciandosi oltre al bracciolo e spiando i due sparire in cucina. Si appoggiò con gli avambracci alla superficie liscia di pelle, prima di nascondervi il viso.

Su di esso, c’era un piccolo sorriso divertito.

Forse, forse, sarebbe riuscita a farlo funzionare.

Forse sarebbe riuscita ad avere una vita normale, con degli amici normali e un lavoro normale.

Forse sarebbe addirittura riuscita a smettere di mentire.

Ci sperò sinceramente, mentre si alzava, cercando i suoi vestiti.

 

Quel giorno, iniziava la sua nuova vita.

Libera.

 

 

 

Continua…

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Capitolo 38
*** Il caso Re - 3 di 6 ***


saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

Noriko si riteneva una donna noiosa, una madre responsabile e un giudice imparziale. I suoi pazienti, tutti, nessuno escluso, avevano sempre avuto un trattamento privo di qualsivoglia pregiudizio da parte sua. Ne aveva viste passare molte di anime dalla porta del suo studio in quasi vent’anni di onorato servizio nella ccg.

Li capiva.

Capiva le loro paure, le loro ansie e le loro ambizioni.

Un po’ li invidiava, certe volte.

Perché anche lei, come loro, una volta aveva indossato quell’improbabile trench argentato e aveva tenuto stretta nel pugno una quinque.

Che poi avesse cambiato strada, dedicandosi al sociale seppur nel medesimo ambiente, era tutto un altro paio di maniche. Non si vergognava nemmeno nell’ammettere che lo aveva fatto con cognizione di causa e per paura. La paura peggiore di tutte: non vedere crescere i suoi figli, non vederli andare a scuola, avere le prime delusioni amorose e sfruttare ogni singola occasione che la vita aveva da offrirgli.

Noriko aveva fatto una scelta egoista nel non volersi precludere la possibilità di stare al loro fianco fino alla vecchiaia, però aveva al tempo stesso deciso di devolvere la sua vita alla causa del genere umano così, supportando i veri eroi.

Stare dietro le quinte le stava bene, soprattutto quando sapeva di poter fare la differenza.

E con la giovane Aiko Masa, vent’anni ancora da farsi e gli occhi persi di chi ha sfiorato la morte troppo presto, aveva da darsi molto da fare.

Era un peccato però che la ragazza non la assecondasse affatto. L’agente di secondo livello Masa era taciturna, schiva e riottosa nel parlare con lei. Sembrava essere diffidente verso qualsiasi forma di aiuto che le veniva offerto e avere come caposquadra Hirako Take era, per Noriko, un grande limite.

Lui non si dava mai troppi pensieri e credeva fermamente che ognuno avesse la forza di risolvere da sé i propri problemi. Era sempre stato così, ancora prima di diventare il capo di qualcuno, ragion per cui Noriko non gli aveva mai chiesto un aiuto per aiutarla a comprendere meglio la più giovane delle sue reclute.

Itou, invece, ci aveva provato. Il fatto che persino lui avesse fallito la diceva lunga. Il biondo l’aveva descritta a Noriko diverse volte durante i suoi colloqui privati con la psicologa. Della recluta Aiko Masa era rimasto poco o niente. Se avesse dovuto descriverla, per Noriko sarebbe stata alla stregua di un guscio vuoto. La crisalide lasciata da una falena, fissata per sempre in un singolo istante nel tempo.

Eppure non si sarebbe arresa.

Un giorno, presto o tardi, avrebbe aiutato Aiko Masa.

Perché tutti, prima o poi, hanno bisogno di aiuto.

 

Capitolo 38

«Almeno il vestito che ha scelto ti piace?»

Aiko sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, prima di tornare a digitare sulla tastiera del suo portatile una prima bozza di rapporto. Non alzò gli occhi verso Hirako quando questi le rivolse la parola per spezzare il silenzio del loro ufficio. A dirla tutta, solamente Furuta allungò l’occhio sui due colleghi, mentre questi apparentemente proseguivano nelle loro mansioni.

La risposta di Masa arrivò quando ormai erano passati abbastanza minuti da aspettarsela.  «Non mi piace l’azzurro per le damigelle, però non è il mio matrimonio.»

Take annuì sovrappensiero, toccandosi con la mano il nervo del collo perennemente in tensione. Detestava il lavoro d’ufficio più di quanto erano costretti a rincorrere qualche sospettato per strada. «Hai deciso di partecipare, però?»

«Ancora non ne sono certa, però Midori è stata la mia migliore amica per tanti anni. L’abito ha deciso di comprarmelo anche se ‘non sarò sicura di potermi prendere il giorno libero’. Come se fosse questo il problema.»

«Allora qual è?»

Entrambi si voltarono verso Furuta, ricordandosi della sua presenza. Lui tenne le iridi piccole e curiose su Masa, senza nascondere nemmeno un po’ quella vena di malizia che lo tendeva a contraddistinguerlo. Aiko però non sapeva da dove iniziare a raccontargli per spiegargli la situazione. Take era a conoscenza di quella storia solo perché erano colleghi da tanto, troppo tempo. Nell’arco degli anni aveva avuto modo di conoscere quella parte della vita della mora. Parlare con lui era quindi semplice, quando Aiko era di buon umore.

Si appoggiò col mento alla mano e sospirò pesantemente, mentre rifletteva. Alla fine disse la prima cosa che le venne in mente. «Ti sei mai sentito uno straniero nella tua stessa famiglia? Hai mai provato un senso di abbandono verso qualcuno che, al contrario, avrebbe dovuto farti sentire importante?»

Il sorriso sul viso di Nimura si ampliò leggermente, ma assunse una piega diversa. «Mi leggi proprio dentro, Aiko-chan.»

«Allora sai anche cosa si prova a trovare un amico che ti capisca, che abbia passato qualcosa di simile a quello che hai passato tu.» Masa prese a giocherellare con l’angolo del foglio, pur di non guardarlo negli occhi. «Quando il tempo passa e le persone cambiano, è difficile accettare il fatto che nonostante abbiamo una vita diversa, quella che ci siamo lasciati indietro era magari difficile, ma dava lo stesso delle soddisfazioni. Io e la futura sposa, Midori, eravamo come sorelle. Ora non saprei nemmeno dirti quale è il suo piatto preferito o se è felice di questo matrimonio o meno.»

Furuta sospirò drammaticamente, affranto. «So cosa si prova! Ah! Il mio primo amore ha avuto un declino simile.»

Hirako smise  di controllare l’elenco degli oggetti arrivati alla squadra con i rifornimenti mensili, iniziando ad ascoltarlo anche lui. Aiko sembrò sorpresa. «Davvero?», domandò curiosa.

Lui annuì, vigorosamente. «Eravamo così uniti. Proprio come fratello e sorella», una mezza risata gli sfuggì dalle labbra, mentre si sporgeva verso di lei, lanciando qualche occhiatina di tanto in tanto anche al rosso. Con le mani appoggiate alla seduta vuota di Sasaki, Nimura proseguì in quello che per lui doveva essere un avvincente racconto. «Poi lei è scappata via e adesso recuperare il rapporto è molto difficile. Ci sono dei giorni in cui sono certo che lei mi detesti. Altri in cui, invece, sento che non è possibile.»

«Scappata di casa?»

«Esattamente. Anche lei ha avuto un passato difficile.» Di nuovo, Furuta guardò verso Hirako. «Come tutti noi, del resto.»

«Se avete tutto questo tempo per raccontarvi delle storie sul passato, forse vi lascio troppo liberi.» Arima entrò nella stanza seguito da Sasaki e Ikari, alternando lo sguardo sui tre sottoposti posizionati di fronte ai loro computer.

Masa stirò la schiena, scostandola dalla sedia mentre alzava le braccia sopra al capo. «Non essere così severo, capo. Ci stiamo dando da fare per quel prospetto sulle zone di predazione di Hakatori. Senza contare che parlando fra noi possiamo solo accrescere la nostra conoscenza reciproca e rendere di più in certe…. Situazioni.»

Furuta gioì. «Come il Festival dello Sport!», disse concitato, lanciando un urletto e ricevendo come ricompensa un foglio di carta appallottolato in testa da Hirako. «Non vedo l’ora di vincere anche quest’anno!»

«Ho bisogno di un caffè adesso», borbottò Take, mentre Arima annuiva. Era appena arrivato ma non vedeva già l’ora di andarsene di nuovo. «Sasaki, ti unisci a noi?»

«Volentieri», rispose il mezzo ghoul, tenendo aperta la porta per lo Shinigami. «Ragazzi?»

Mentre Furuta si scusava e continuava a lavorare, Naoki stramazzò sulla sua sedia, apparentemente sfinito. Sembrava sempre stanco, quel ragazzo. Ed era anche il più giovane di loro.

Aiko si limitò ad alzare la tazza. «Io ho già fatto il pieno. Ci vediamo dopo.»

Il capo, il suo scagnozzo e il suo segretario (in realtà Sasaki e Hirako potevano palleggiarsi quei ruoli, arrivando a scambiarseli) lasciarono di nuovo la stanza, mentre le tre spalle rimasero avvolti in un silenzio avvolgente, interrotto solo a tratti dalle dita di Masa che battevano sul pc. La ragazza non era molto brava a mantenersi distaccata, però. Tutti quegli anni passati a mentire l’avevano temprata per le situazioni sotto pressione, ma quel caso era particolare.

Prima aveva qualcuno da cui scappare se fosse riuscita a levare le tende, una volta scoperta. In quel momento non più.

«Ei Nao, cosa ti ha chiesto Marude?»

Il classe speciale si stava mobilitando in fretta sulla questione della spia. Dopo aver tolto il caso a Nakarai non si era più saputo nulla per diverso tempo. Pochi giorni prima, però, Marude aveva iniziato a mandare lettere di notifica a tutti i componenti delle squadre con base nella prima circoscrizione. Avvisi di comparizione nel suo ufficio per un interrogatorio formale su presunte attività illecite.

Proprio così. Marude li aveva dichiarati tutti colpevoli fino a prova contraria e questo, a Masa, non piaceva per niente. Nessuno era più intoccabile, nessuno godeva nemmeno del beneficio del dubbio dal momento che i primi tre ad aver subito l’interrogatorio erano stati Arima, Ui e Fura. Matsuri non aveva ricevuto comparizioni ufficiali, ma si vociferava che il classe speciale Marude avesse chiesto a Yoshitoki Washuu in persona di garantire per suo figlio.

«Tutto», fu la risposta esausta di Naoki. Guardò la compagna di squadra scuotendo piano il capo. «Se stai pensando di prepararti un discorso, non farlo. Non servirà. Lui saprà già tutto sulla tua carriera prima di vederti entrare nella stanza insieme al tuo garante. E saprà tutto anche su di lui, visto quante cose ha domandato anche al classe speciale Arima nonostante non fosse il suo colloquio.»

Furuta si appoggiò con il mento ai pugni chiusi, inclinando il capo. «Io ho rifiutato il garante», fece sapere, stupendo entrambi gli altri due. «Per questo mi ha chiamato nell’ufficio il primo giorno. Due domande stiracchiate e poi mi ha cacciato sostenendo che sono un po’ inutile.» Nimura sorrise, gioviale. «Non è mica colpa mia se non sono un uomo dalle grandi azioni come il nostro capo o come te, Aiko.»

«Quali grandi azioni», lo riprese lei, alzando un sopracciglio. «Ho solo rischiato di venire uccisa da Tatara.»

«Due volte», le ricordò il secondo livello, come se lei potesse averlo in qualche modo rimosso. Aiko pensò che erano molte, molte di più. «E hai anche affrontato il Gufo col Sekigan, vero? Ti massacrerà.»

Aiko sbuffò sonoramente, incrociando le braccia sotto al seno mentre appoggiava la schiena alla sedia. «Affrontato? Mi ha steso così in fretta che ho scoperto chi aveva attaccato solo in ospedale! E poi per cosa dovrebbe massacrarmi? Per essere una sopravvissuta?»

Furuta notò che aveva alzato i toni, così mise le mani avanti. «Certo che no! Sei solo tanto sfortunata, Aiko-san. Però ha molti agganci fra te e Aogiri da considerare. Naturalmente ti lascerà andare, sappiamo tutti che non sei una spia! Però sarà un colloquio molto lungo, il tuo.»

Masa iniziava a sudare freddo e Ikari lo intuì. Per questo le sorrise, ritrovando la sua positività. «Andrai benissimo! Ti farà giusto le domande che ha fatto a me, come per esempio i tuoi hobby o dove passi il tempo libero.» Poi ci pensò su. «Arima è il tuo garante?»

«Sì, certo.»

«Allora stai tranquilla, ti spalleggerà. Ogni volta che Marude insinuava qualcosa, il capo gli ricordava che in quanto agenti, abbiamo il diritto al beneficio del dubbio. Non siamo dei criminali, siamo la SIII!»

Furuta annuì solenne. «Lo farà sicuramente. Tu cerca di non sembrare nervosa anche se con Marude è quasi impossibile.»

«Esatto!» Ikari le sorrise, sporgendosi in avanti per prenderle la mano sulla scrivania. Lei gliela strinse, prendendo un respiro e cercando di riprendere colore sul viso. Sentiva come se le stessero portando via ossigeno. «Non hai nulla da nascondere. Andrai bene.»

Le sarebbe piaciuto dire che era vero, che non aveva niente da nascondere. Però avrebbe mentito senza pudore. La sua nuova, sfavillante vita senza Aogiri era più grigia e tesa di quella precedente ma si disse, fra sé e sé, che doveva essere l’assestamento. Si era abituata ai suoi carnefici arrivando a trovare conforto nella loro presenza costante alle sue spalle. Ora che era libera di cadere e farsi male era certamente spaventata, ma era doveva anche tenere conto del fatto che non c’era niente che potesse collegarla all’Albero. Non c’era mai stato nulla, eccetto Hsiao o Aizawa.

Anche in quel caso, comunque, sarebbe stata la loro parola contro la sua.

Era una criminologa e più di tutti sapeva che senza una prova certa e irrefutabile, allora Marude non avrebbe avuto nulla.

Poteva solo farla confessare, ma Aiko avrebbe preferito morire che prendersi anche una sola responsabilità di tutto ciò che aveva fatto negli ultimi cinque anni.

«Avete ragione ragazzi, grazie.»

Furuta alzò un dito, come per voler aggiungere altro, ma il bussare alla porta glielo impedì. Una testa traboccante di capelli rosa apparve di fronte a loro e Higemaru li guardò curioso, spiando anche la stanza. «Scusate l’interruzione. Aiko-san», alzò la mano che reggeva una cartellina di carta. «Mi manda il prima classe. Posso parlarti un secondo?»

«Sì, certo», Aiko si alzò, andando verso di lui e appoggiandosi con la schiena al muro. Aprì quel fascicolo, sfogliandolo. «Attaccate stanotte?»

«Sì», sussurrò Hige, incrociando le braccia. Uno dei suoi rari momenti di serietà. «Urie ha detto che prima lo facciamo, meglio è.»

«Ha scritto sul rapporto che la fonte è anonima. Reggerà?»

Di nuovo, il ragazzino annuì. «Il direttore il persona ha convalidato questo rapporto.»

«Oh, lo Psiche?»

Entrambi trasalirono quando Furuta si sporse sulla spalla di Masa per poter leggere quel rapporto senza nessunissimo ritegno. Lei fece per chiuderlo, ma poi pensò che non sarebbe stato saggio farlo. Avrebbe destato sospetti. «Lo conosci?», attaccò con non chalance, invece.

Nimura annuì. «Avevo delle conoscenze allo Psiche. Come molti altri investigatori, credo. Accidenti, perderò una marea di utili informazioni, quel posto era un calderone d’oro.»

Aiko lo guardò, voltandosi. Aveva ammesso con candore di utilizzare degli informatori non umani, in diretta violazione con il loro statuto? Scambiò uno sguardo con Hige, prima di rivolgersi al compagno di squadra. «Lo so, anche noi ci siamo stati», gli spiegò, mentre Naoki osservava la scena, non capendo. «Uno dei primi incarichi di Higemaru.»

«Sarebbe stata una serata divertente se non avessi avuto paura di venire scoperto da un momento all’altro», ridacchiò Touma, prima di rivolgersi a Furuta. «La prego di mantenere il riservo sulla questione, secondo livello.»

«Io non so proprio nulla», ridacchiò Nimura, fingendo di non averne proprio parlato e passandosi una mano sulla bocca, come per chiudere una zip aperta. Fece ritorno al suo posto, lasciandoli soli.

«Volevo parlarti anche di un’altra cosa», sussurrò Touma, riacquistando il sorriso. «Ti ricordi di Kikyo Omeda?»

Masa corrugò la fronte, facendo mente locale. «L’amica di Mei? La ragazza della grande ruota che è stata colpita dalla kagune di Diamante?»

Come premio per avere indovinato, ricevette una piccola pacca sul braccio dal Quinx. «Usciamo insieme.»

«Sul serio? Dopo che la nostra squadra le ha ucciso il fidanzato?»

Aiko ricordava molto bene le lacrime di quella giovane ragazza dai riccioli capelli biondi, mentre parlavano di Saburo. Ricordava anche il caso del Funambulo e come avessero lavorato in fretta proprio grazie a Uta.

Che ironia.

«Lo avete ucciso tu e Urie, tecnicamente. Quando l’ho incontrata per caso l’altro giorno ero molto felice di poterglielo spiegare e lei ha accettato di ascoltarmi! Sai, mi sento strano, ma lei mi piace sul serio. Riesce a farmi sentire come se-»

«Higemaru.» Masa lo interruppe bruscamente, pentendosi del tono quando lui la guardò stranito, con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse. «Perdonami, ma ho davvero molto lavoro. Possiamo parlarne un’altra volta?»

In realtà lo voleva solo fuori dall’ufficio, insieme al fascicolo. Non voleva che il suo nome risultasse in nessun modo. I Quinx avrebbero smantellato lo Psiche e lei ne sarebbe uscita pulita. Era questo il piano di Urie.

Hige tirò un sorriso, fingendo di non esserci rimasto male. Aiko sentì il cuore restringersi. «Certo, possiamo parlarne a casa.»

Un po’ per farsi perdonare, un po’ per perdonare se stessa, la mora lo abbracciò.

«Sì, ne parleremo a casa. Ora va’ e concentrati sulla missione, ok? Poi sceglieremo assieme i vestiti per l’appuntamento, domani.»

Lui annuì, prima di salutare Ikari e Furuta.

Lasciò l’ufficio, lasciandola un attimo ferma contro il muro.

 

Perché non poteva accettarlo?

Perché non accettava la libertà?

 

 

«Primo livello  Masa, giusto?»

Aiko cercò di mantenersi ferma su quella sedia dannatamente scomoda, mentre rispondeva all’uomo che le sedeva di fronte.

Il classe speciale Itzuki Marude irradiava un’aria di pura autorità. Era in assoluto la persona più rispettata del bureau dopo la famiglia Washuu e certamente batteva in questo qualche membro della medesima, come Matsuri per esempio. Lui non sembrava molto interessato alla loro conversazione mentre sfogliava il suo fascicolo. A dirla tutta, le pareva annoiato.

Cercò gli occhi del suo garante, ma questi non le ricambiò lo sguardo. Quando Arima aveva mandato Take al suo posto, sostenendo che andava bene lo stesso e che lui si era stufato di vedere Marude tre volte al giorno, Aiko aveva sentito il mondo caderle addosso. Hirako non aveva la stessa influenza né la stessa presenza dello Shinigami Bianco, ma dalla sua aveva una calma unica. Se il mondo fosse crollato, Take si sarebbe semplicemente spostato di lato.

Lei cercò di essere come lui.

Disinvolta.

«Ha un profilo psicologico molto interessante, agente», bofonchiò Marude, passandosi una mano sul mento e valutando Dio sa solo cosa, prima di puntare gli occhietti scuri e sottili su di lei. «Straordinario che le sia stato approvato l’accesso al progetto Quinx. Immagino che Arima abbia messo una buona parola.» Non le diede il tempo di rispondere. Le buttò di fronte tutte e quattro le sue lettere di trasferimento. Con l’eccezione di quella firmata da Urie per l’accesso momentaneo alla squadra Suzuya, recavano tutte la firma dello Shinigami della CCG. «Vedo che è sua abitudine raccomandarla.»

«Solo perché è sempre stato il mio capo», rispose con naturalezza Masa, incrociando le mani sul ginocchio accavallato.

«Non lo era quando militava nella squadra Itadashi. È stata annientata totalmente nello scontro contro Tatara la notte dell’assedio della ventesima, giusto?»

Aiko trovò molto indelicato quel modo di porsi. Soprattutto perché aveva in mano la sua intera carriera. Poteva verificarlo da solo. «Sì, signore. Allora credo che sia stato il classe speciale Ui a raccomandarmi per l’accesso alla squadra Hirako.»

«E come mai?»

«Evidentemente gli ho fatto davvero molta pena quando mi ha salvata, signore.»

Marude non aggiunse niente su quella questione. Passò al nocciolo però. «Si è salvata da uno scontro con Tatara», lesse, prima di sfogliare le pagine velocemente, trovando un punto in particolare. Decisamente aveva fatto i compiti a casa e, come Aiko temeva, era fra i sospettati. «Sei mesi dopo un’altra tragedia: in una missione ha perso il suo compagno, il prima classe Orihara, contro il Gufo col Sekigan.»

«Ero incosciente allora. Durante lo scontro ho perso i sensi e-»

«E solamente tre mesi dopo anche la sua nuova partner, Osaki, è stata uccisa. Da Noro.» Marude non diede segno di aver prestato attenzione alla sua obiezione, così Aiko non ne mosse di nuove. Era tutto lì, nero su bianco. Poteva giocarsi la carta della fatalità. «Due settimane fa è entrata nella squadra di Arima dopo uno scontro quasi mortale con Tatara. Il secondo. Sorprendente quanto sia fortunata, primo livello Masa. Tre boss di Aogiri, quattro vittorie.»

Aiko assottigliò gli occhi. «Lei le chiama vittorie? Ho visto morire i miei partner.»

«Osaki no, però. O sbaglio? Era sola al momento dell’attacco anche se vi hanno viste lasciare insieme l’ufficio.»

Masa si strinse nelle spalle. Aveva una risposta alle domande che doveva ancora porle. Quell’uomo era bravo. Dannatamente bravo. «Sì. Avevamo deciso di cenare insieme alla squadra, ma poi io mi sono sentita molto stanca a causa del doppio turno che avevano terminato.» Si voltò verso Take, che non aveva ancora detto assolutamente nulla. Non stava minimamente prendendo le sue parti. Se solo ci fosse stato Arima… «Come il prima classe Hirako può testimoniare, ero a casa a dormire quando è successo. Ai tempi dividevo l’appartamento con il prima classe Itou ed è tornato per cercarmi. Dormivo e non ho nemmeno sentito le chiamate.»

«Ha una risposta per tutto, primo livello?»

«Non ho risposte, sto solo raccontando ciò che è successo.»

Marude fece una pausa. Sembrava più che stesse raccogliendo argomentazioni, piuttosto che una gentilezza verso di lei. «Vivere con i suoi colleghi è un vizio, noto», constatò poco dopo.

A quel punto, Aiko sentì di avere il diritto di offendersi. «Sta insinuando qualcosa, classe speciale?»

«Lo sto facendo?»

Hirako alzò una mano verso Masa, pronta a scattare. «Vivere insieme per i Quinx, è una regola. Si controllano a vicenda.» Riabbassò il braccio, senza staccare gli occhi da Marude mentre lo faceva. «Come lei sa, anche se Aiko è una di noi adesso, rimane un’arma umana. Deve rimanere con persone che possono controllarla.»

«Per questo sono così perplesso dalla sua richiesta di trasferimento. Prima Suzuya, ora voi. Dimmi Hirako, tu hai per caso puoi darmi una delucidazione?»

Il rosso non rispose a lui. Guardò Aiko, abbastanza rassegnato. «Diglielo.»

«Take…»

«Preferisci passare per una persona in cerca di alibi o per ciò che sei?»

Si sentì umiliata come mai prima di allora. Nemmeno Eto, quando la costringeva a farle il bagno, l’aveva mai fatta sentire così piccola e inutile. Guardò Hirako con tutto il risentimento che provava, prima di rivolgersi nuovamente a Marude. Scelse di mentire per non mettere in mezzo Urie. «Incompatibilità ambientale», snocciolò scocciata, mentre accanto a lei il rosso rimaneva apparentemente impassibile. «Ho avuto dei problemi con i Quinx e ho pensato di prendere aria altrove. Volevo lavorare con Suzuya perché nella sua squadra vanta tra i migliori del dipartimento, compreso il prima classe Nakarai che è un criminologo eccellente. Ora, per lo stesso motivo, sono nella squadra Arima.»

«Di che tipo di incompatibilità parliamo, agente Masa?»

«Non venivo ricambiata sentimentalmente da un membro della squadra.»

Dall’espressione di Marude, non doveva sapere niente. In qualche modo, le voci su lei e Urie che Aizawa non mancava mai di alimentare, non dovevano essergli arrivate. Si segnò un paio di appunti, prima di chiudere il fascicolo. «Abbiamo finito», le disse, guardandola alzarsi insieme a Hirako. «Per adesso», aggiunse poi. «Mi riserbo di parlare di nuovo con lei, agente di primo livello Masa, presto.»

Con un dito spense il registratore, mentre lei abbozzava un inchino e si avviava verso la porta. Arrivata lì, però, non riuscì a trattenersi. Nessuno le aveva detto che avrebbe avuto un secondo colloquio, quindi significava che rimaneva una sospettata.

«Sono quasi morta per salvare due colleghi. Sono quasi morta diverse volte per questo dipartimento. Cos’altro devo fare per risultare credibile se il mio sangue non basta, classe speciale?»

Marude non sembrò affatto impressionato. Anzi, sbuffò. «Vuoi una medaglia per aver fatto il tuo lavoro?»

Aiko non avrebbe accettato un altro insulto. Uscì per prima, mentre Hirako abbozzava un altro veloce inchino e la seguiva. Camminarono verso l’ascensore in silenzio, per evitare le telecamere del corridoio. Un comune accordo muto.

Quando furono dentro, però, Aiko si voltò a fronteggiarlo. «Grazie per non avermi difesa, Take.»

Lui alzò le sopracciglia. «Non mi è parso che ne avessi bisogno. Alla fine sei anche riuscita a trattarlo con sufficienza.»

«Non importa più. Non serviva questo colloquio per ricordarmi che capo di merda sei.» Le porte dell’ascensore si aprirono e lei uscì rapidamente, sparendo nel corridoio. Lui, invece, non mosse un passo.

 

 

Aizawa non ricordava più cosa significasse vivere senza quel principio di emicrania mattutino, naturalmente dato dal post sbornia. Nonostante fosse un medico, continuava a bere ogni sera come se fosse un adolescente, anche se non lo era più da parecchio tempo.

Quando anche il caffè smise di farlo sentire meglio, si preoccupò. Solo per i primi due secondi quanto meno, visto che non aveva saputo resistere alla tentazione di prendere la fiaschetta dalla tasca posteriore dei pantaloni- opportunamente occultata dal camice- per correggerlo.

«Dovrei denunciarti e farti entrare in un programma di recupero.»

Il biondo non sembrò sorprendersi da quelle parole, né dalla bocca da cui uscirono. Noriko lo fronteggiava con espressione amareggiata, ma non lo toccò affatto. «Guarda che lo so che anche tu correggi il termos. Non puoi farmi la morale.»

La dottoressa si mise seduta al suo fianco, sul divanetto della hall, guardandosi attorno. «Almeno vedi di non farlo in pubblico, va bene?»

«Tanto lo sanno tutti.»

«Se dovessi perdere il lavoro?»

«Chi se ne frega? Intanto continuo a venirci solo perché Urie, Masa e Shimura vengono a prendermi la mattina. Mi hanno ritirato la patente per guida in stato di ebbrezza.»

Noriko lo guardò costernata, incrociando le mani sul ventre, mentre lo studiava attentamente. I capelli un po’ unti, la barba non curata e la camicia sgualcita. Non era più lui. Dell’affascinante dottorino che passava le giornate a fare lo splendido con chiunque per quei corridoi, non era rimasto niente. «So che ti manca, ma credi che lei avrebbe voluto vederti in questo stato?»

Una risata senza colore lasciò le labbra screpolate dell’uomo. «Non iniziamo con il discorso del ‘lei avrebbe voluto qualcosa di diverso per te’. Se fosse vero, non mi avrebbe lasciato per andare a morire come una deficiente. Mei ha deciso come suicidarsi, io ho il diritto di decidere come farlo io.»

«Hai bisogno di aiuto, Ivak. Ascoltami, va bene? Non ti parlo da psicologa, ma da amica.»

Aizawa non sembrava molto convinto di quelle parole. Tutt’altro. Appoggiò il bicchierino sulla superficie del tavolo, prima di fare per alzarsi. «Non ti vedo da settimane, in realtà. Lo sto vedendo ora chi è davvero mio amico.»

Lei lo trattenne per il polso, ora arrabbiata. «Se costruisci muri fra te e le persone, non lamentarti del fatto che loro non riescono ad abbatterli.» Lo lasciò andare, gustandosi un attimo lo sguardo derelitto dell’altro, prima di sentirsi in colpa. Sospirò, affranta, facendogli cenno di sedersi di nuovo. Quando lo fece, lei appoggiò la mano sul suo ginocchio. «Vieni nel mio ufficio e parliamo per bene, ok? Voglio aiutarti Ivak.» Lo guardò annuire, cerca che non sarebbe mai andato da lei. Non sembrava nemmeno del tutto cosciente di dove si trovasse. «Ammetto però di non essere venuto qui per parlare di te, oggi.»

«Se ti servono pettegolezzi su qualcuno, sono uscito dal giro. Non mi interessa più della mia vita, figurati gli altri.»

Lei si morse il labbro inferiore. «Però prima hai parlato di Masa, vero? Con lei parli ancora?» Lui non rispose, ma lei non demorse. «Vorrei parlarti di lei. Io non riesco ad avere una conversazione con quella benedetta ragazza, ma dopo quello che le è successo con Tatara devo assolutamente fare delle sedute con lei. Lo devo fare, Ivak. Se no andrò io nei guai.»

Il medico smise di guardarla in viso, da quel momento in poi. Strinse i pugni, mentre un velo di incertezza gli patinava gli occhi limpidi. Quando riprese a parlarle, sembra deciso. «Aiko è una delle poche persone che si occupano di quel disastro che sono diventato. Se mi stai chiedendo di intercedere per te con lei, mi dispiace ma non posso. Non le stai molto simpatica.»

«Lo avevo intuito.» Comprendendo che l’altro non gradiva la conversazione, Noriko interruppe ogni contatto fisico, spostandosi di poco sul divano per lasciargli spazio. Incrociò le dita delle mani davanti a sé, mentre il caschetto biondiccio segnato da qualche stila argentata le scivolava di fronte al viso. «Deve essere molto compromessa, se sei diventato così serio.»

Ivak sbuffò. «Non ho mai detto che lo è. Semplicemente, non ha bisogno di uno psicologo ora. Ha bisogno di starsene un po’ tranquilla e tu non sei la persona adatta per parlarle.»

«Può sempre parlare con l’altro psicologo del dipartimento, quello del turno di notte.»

Il patologo scrollò le spalle, tornando ad appoggiare la schiena al divano. Improvvisamente realizzò che non poteva preoccuparsi della questione: Aiko non sarebbe mai andata a parlare né con Noriko, né con un altro psicologo. Non era il suo stile. Senza contare che negli ultimi giorni l’aveva vista stanca, spenta. Ivak non aveva ancora avuto modo di parlarle perché i soli momenti in cui erano stati nello stesso luogo, era la macchina di Urie.

E lui non era mai sobrio.

«Lasciala perdere. Ha già tutti i suoi problemi a cui pensare. Non diventare uno di essi.»

Noriko si sistemò gli occhiali sul naso. «Quindi dei problemi ci sono?»

L’uomo si sentì improvvisamente stupido. Forse a Noriko serviva questo, infondo. Qualcuno che confermasse le sue teorie. «Problemi per dire», cercò di rimediare. «Dopo essere entrata nella squadra di Arima ha rivoluzionato la sua vita. È difficile inserirsi in quel team. Dalle tempo per adattarsi.»

«Aiutare gli agenti nei trasferimenti è una delle mie mansioni», imperterrita, la psicologa rimase ferma sulle sue convinzioni. Aveva un buon pretesto di partenza per parlare con l’agente Masa. «Grazie delle dritte, Ivak.»

«Io non ti ho dato proprio nessuna dritta», si stizzì lui, alzandosi in piedi e ficcando le mani nelle tasche del camice. «Poi non venire a dire che non ti ho avvertita.»

Non le diede il tempo di dire o fare nulla. Si sentiva un po’ deluso da lei, che da anni cercava di tirare fuori da Masa Dio solo sa cosa e non pareva interessarsi più di molto di lui.

In un momento di puro vittimismo, Ivak riprese ad auto commiserarsi, attaccandosi alla fiaschetta non appena le porte dell’ascensore si chiusero.

 

 

Aiko non aveva capito perché Naoki volesse accompagnarla così tanto al :re, almeno fino a che non erano arrivati e lui aveva iniziato a fare il cascamorto con un giovane cameriere. L’investigatrice se lo ricordava, quel ragazzo. Era il giovane che aveva urlato contro gli agenti della CCG al funerale di Mei.

«Ciao Moryemaru», lo aveva salutato con gentilezza, sfilandosi il cappotto argentato e appoggiandolo sulla sedia vuota. Aveva stupito entrambi, sia il ghoul con addosso il grembiule che il collega. «Ci siamo visti al-»

«Me lo ricordo», l’aveva interrotta il giovane, trafiggendola con gli occhi eterocromi. Non aveva paura delle colombe, lo aveva già dimostrato altre volte. «Non sono qui per prendere le vostre ordinazioni, comunque. Ci penserà Nishiki», proseguì con una vena altezzosa nella voce, mentre il Serpente, seduto a un tavolo, guardava nella sua direzione. «Io sono solo qui a fare l’ambasciatore. Agente Masa, Touka ti aspetta sul retro.»

Aiko annuì, avviandosi nella direzione che il braccio teso di Moryemaru indicava. Aveva ricevuto un sms quella mattina stessa, nella quale la signorina Kirishima le chiedeva di passare al bar. Non ci aveva trovato niente di strano inizialmente. Aveva così tante preoccupazioni per la testa che, forse per difesa, aveva catalogato quella mossa un po’ particolare di Touka come una possibile richiesta di aiuto. Sapeva che al :re poteva passare la peggiore feccia del mondo dei ghoul così come i più bisognosi e derelitti di loro. Forse voleva qualche rassicurazione su Ayato o su Fueguchi, non sarebbe stata la prima volta.

Il fatto che l’avesse contattata sul telefono, poi, non l’aveva messa affatto in allarme. Le aveva lasciato un bigliettino da visita diversi mesi prima, quando durante un interrogatorio a quella che a quanto pare era diventata la ragazza di Higemaru, la vetrina del bar era stata sfondata da un ghoul latitante.

Si aspettava quindi di trovare Touka nei guai.

Non di trovare lei stessa guai.

Ne aveva già fin troppi, ma questo non doveva interessare a Uta. A giudicare dall’espressione serafica sul viso del ghoul tatuato, niente gli interessava davvero.

L’agente rimase immobile sulla soglia che separava il magazzino dal lungo corridoio che portava al locale. Tenne le iridi dorate in quelle rosse del Clown per diversi secondi, in silenzio, fino a che Moryemaru, spazientito, la spinse avanti per poter passare. «Ho fatto. Posso andare? Non voglio rimanere nella stessa stanza col secondo di Hirako ancora per molto.»

«Vai pure e grazie mille, Maru.» Touka gli sorrise gentile, ma lui non ricambiò. Si limitò ad accennare un piccolo inchino mentre si slacciava il grembiule. Sparì in fretta su per le scale, lasciando sole le due donne con il Clown.

Non erano sole, in effetti, ma Aiko notò il signor Yomo solo quando fece due passi avanti, mettendosi al suo fianco. «Va’ dai clienti, Touka. Rimango io a controllarlo.»

«Così mi offendi», cantilenò Uta, alzando le mani in un gesto arrendevole. «Io voglio solo parlare un po’ con Labbra Cucite. Se avessi avuto altre intenzioni non vi avrei chiesto di intercedere.»

Touka lo guardò, assottigliando gli occhi sotto al ciuffo viola. «Non fare puttanate qui. Non nel mio locale.»

Non aggiunse altro, quella donna di acciaio. Passò accanto ad Aiko, sfiorandole con una mano il braccio, prima di rientrare.

Rimasta sola con i due ghoul, Masa attese. Fu Uta a iniziare il discorso. «So che stasera distruggeranno lo Psiche», le disse, cogliendola del tutto impreparata. Nessuno lo sapeva, eccetto pochi agenti. Come avevano fatto quelle informazioni ad arrivare alle orecchie dei Clown? «Però non sono arrabbiato. Quella attività non è mia, ma di Souta. Nemmeno lui è arrabbiato. In realtà sono mesi che stiamo pensando di sciogliere quel club, è diventato poco esclusivo.»

«Mi stai dicendo che ti ho fatto un favore?», chiese la ragazza, pentendosi di non aver portato con sé il cappotto. Forse era quel magazzino ad essere freddo, o semplicemente l’atmosfera fra loro si era fatta gelida.

Uta sorrise, sornione. «No. Perché tu non volevi denunciare lo Psiche vero? Volevi denunciare me.»

Masa assottigliò gli occhi, ma istintivamente si spostò verso Yomo. «Perché avrei mai voluto farlo?»

«Ci ho ragionato un po’ su e sono arrivato alla conclusione che forse hai qualche problema con la tua copertura. Hanno scoperto che usavi il locale e hai deciso di usarmi come tua fonte?»

Yomo, che teneva gli occhi solamente sul vecchio amico, come se ci fosse solo lui nella stanza, prese la parola. «Perché hai preteso di parlare con lei, se non ti importa del locale?»

«Perché non vorrei che succedesse qualcosa anche all’Helter Skelter. O al mio negozio di maschere. Nel primo caso sarebbe un bel problema, visto che  come minimo Itori le verrebbe a strappare gli occhi davanti a tutti i suoi amichetti col cappotto dal colore discutibile.»

«Non voglio denunciare nessun’altra delle vostre attività», gli fece sapere Aiko, mantenendo i nervi saldi. Le mancava così poco a perdere del tutto la testa in una crisi. Eppure, in quel momento, sentiva di essere in debito con Uta. Non l’aveva denunciata e avevano ancora da risolvere quella cosuccia successa settimane prima. Quando lui aveva assunto il suo aspetto per coprirla. «Mi dispiace di aver fatto il tuo nome. Però Senza Faccia era l’unica persona che in effetti potevo star certa che non avrebbero mai catturato.»

«Sono lusingato.»

«E ne ho parlato con solo una persona.»

Uta annuì, pensieroso. «Va bene, non mi interessa. Volevo solo farti sapere che adesso hai ben due debiti con me.»

Aiko si irrigidì mentre il Clown le passava accanto per andarsene. Era davvero finita così, quella conversazione? Non aveva nient’altro da dirle?

Confusa, guardò verso il signor Yomo. Lui, dall’alto della sua impassibilità, si sentì solamente di darle un consiglio, prima di tornare a sua volta al locale.

«Se fossi al tuo posto, lascerei per sempre Tokyo.»

 

Non aveva parlato molto in auto, mentre lei e Ikari facevano ritorno alla sede della CCG per terminare il loro turno. Grazie al cielo il ragazzino era abbastanza logorroico da coprire i suoi silenzi con inutili congetture sul motivo per cui Moryemaru non gli volesse parlare.

Tutto quel chiacchiericcio l’aveva irritata così tanto da portarla a rispondere.

«Perché il tuo partner ha preso il suo fidanzato e lo ha ridotto in un milione di piccoli pezzettini. Era ridotto così male che non si capiva nemmeno cosa fosse in partenza, quell’ammasso di carne, quando è arrivata fra le mani di Aizawa per estrarre il kakuoh. Ti consiglio di non dirgli mai che lo usi come quinque se non vuoi perdere ogni chance con lui.»

Sorprendentemente, Naoki non aveva reagito con sorpresa. Aiko registrò il fatto che doveva sapere benissimo che al :re erano tutti ghoul, ma le parve strano. Non se ne erano mai accorti i Quinx, perché lui sì?

«Sei strana oggi. Cosa è successo nel retrobottega del bar?»

La mora distolse lo sguardo, spostandolo sul finestrino. Mentre il compagno di squadra parcheggiava, lei si sentiva sempre più stanca di quella giornata. Voleva solo tornare a casa e dormire una vita intera.

«Non sono affari tuoi, Nao. Ti prego di non mettere mai il naso in questioni che non ti riguardano», gli disse solo una volta scese dal veicolo, portando la valigetta nera di fronte  a sé mentre incideva lentamente verso l’ingresso principale. Il ragazzo dai capelli blu la seguì curioso, per nulla spaventato e soprattutto molesto.

«Se sei nei guai dovresti parlarne con Arima-sensei

«Non sono nei guai. Va tutto benissimo», mentì. Più a se stessa che all’altro.

Passò sotto al rilevatore di cellule rc, passando il badge per aprire il cancelletto dell’accetto al personale. Fece a mala tempo a compiere questa azione, che venne richiamata. Si voltò verso il bancone dell’accettazione, dove Eri, una delle nuove segretarie, sventolava un paio di buste nella sua direzione. Si avvicinò salutandola, mentre questa sorrideva giuliva. Per chi non doveva combattere, doveva sembrava un bel lavoro, quello dell’investigatore.

Eri poi aveva una vera e propria passione per i più prestanti dei colleghi di Masa. «Arima-san ti ha lasciato un promemoria. È davvero un bellissimo uomo anche dopo tutte queste ore di lavoro», le disse con tono sognante, strappandole un sorrisetto divertito. Naoki ridacchiò, mentre Aiko riceveva una busta chiusa e rigida. «Questa invece l’ha portata un fattorino prima.»

L’agente corrugò la fronte. «Non c’è l’indirizzo.»

Eri e Naoki si scambiarono un’occhiata stranita. «Ed è un problema?», domandò il collega, portando la mano libera nella tasca del cappotto.

«Direi di sì. Questa è una raccomandata, Nao. Come faceva il fattorino a sapere che io lavoro qui se non c’è l’indirizzo né il timbro dell’ufficio spedizioni postali?»

Calò il silenzio, poi parlò la segretaria. «Devo dare l’allarme bomba?»

Aiko sentì le punte dei polpastrelli iniziare a sudarle. «No, non farlo. Devo arrivare in laboratorio e accendere un disturbatore di segnale. Se è collegato a un trasmettitore ed è una bomba, potrebbero farla detonare da distanza.» Lesse il panico negli occhi della ragazza, così passò a Naoki la sua quinque, constatando che anche lui sembrava fatto di marmo. «Fate finta di niente. Ci penso io. Eri, mi serve che tu mi descriva questo fattorino.»

La segretaria cercò di non tremare, mentre si metteva lentamente seduta sul suo sgabello. «Stavo parlando con Fura-san quando si è avvicinato. Non ha detto niente, mi ha solo lasciato la postata e tra le tante buste c’era anche questa. Forse era biondo? Portava un cappellino.»

«Gli hai visto il viso?»

«Aveva una mascherina. Ho pensato fosse malato.»

Aiko si immobilizzò. Poi strinse la busta nella mano. «Non credo sia una bomba. Non sento fili. Andò comunque in laboratorio ad aprirla…. Così potrò usare quel disturbatore e passarla ai raggi x. Naoki, raccogli una testimonianza ma non fare rapporto, va bene? Non allarmiamoci, magari non è niente.»

Ikari annuì, «Va bene, Aiko.»

 

Una chiave elettronica per l’accesso alla Cochlea. Questo fu il contenuto della busta che non aveva il mittente, né riportava un biglietto o un motivo per il quale un passepartout  per il carcere di massima sicurezza più famoso di Tokyo dovesse arrivare nelle sue mani. Aiko lo tenne chiuso fra di esse per minuti interi, mentre sedeva nello spogliatoio della SIII. Lo rigirò fra le dita in cerca di una motivazione, spiazzata dall’assenza totale di razionalità nella sua vita. Prima veniva quasi uccisa dal suo mentore, poi entrata a far parte della miglior squadra della CCG, venendo al contempo ‘licenziata’ da Eto, per poi finire ricattata apertamente da Uta con tanto di testimone. La chiave della Cochlea inviata, presumibilmente, da Nagachika, era la ciliegina sulla torta.

Riflettendoci, era quasi del tutto impossibile che l’avesse portata lui stesso. Se fosse stato riconosciuto? Anche lui aveva lavorato per il bureau, infondo. No, non aveva senso. Un depistaggio quindi? A opera di chi?

«Aiko, mi stai ascoltando?»

Chissà da quanto tempo Arima la stava chiamando. Quando Masa si voltò verso la porta per guardarlo, portando la tessera nella tasca del cappotto, cercò di sembrare più rilassata possibile. In realtà voleva solo piangere, non si sentiva così frustrata da molti anni. «Scusami, ero distratta. Posso fare qualcosa per te?»

«Hai letto il mio promemoria?»

Lei annuì, «Devo passare da Noriko. Speravo di parlarne con te a fine turno in realtà.»

Lo Shinigami controllò l’orologio. «Il turno è finito un’ora e un quarto fa.»

Aiko realizzò la portata del suo problema solo quando le venne sbattuto in viso per quanto tempo si era chiusa in se stessa a ponderare ogni possibile via per districare quella matassa di prove senza conclusioni. Aveva fra le mani così tanti indizi senza senso da poterci scrivere dieci storie differenti.

«Possiamo parlare, allora?»

Lui le diede le spalle, iniziando ad allontanarsi. «No. Vai da Noriko e fai le sedute obbligatorie. Ci vediamo domani mattina alle nove.»

 

 

«Non ce lo voglio il daikon nella zuppa di miso, caposquadra!»

Urie non diede segno di aver sentito Saiko, nonostante questa stesse facendo di tutto per attirare la sua attenzione. Compreso tirare in modo insopportabile la sua camicia.

«Piace a tutti e poi è nutriente», rispose asettico, mentre affettava il ravanello, facendo almeno il favore alla ragazza di ridurlo a pezzettini davvero microscopici. Lei lo criticò con lo sguardo, prima di ricevere una mano fra le codine corte da parte di Hsiao. La taiwanita si sporse per prendere le salse aromatiche dal frigo e poterle mettere sul tavolo, lasciando così senza compiti l’altra. «Macchan non torna per cena? Nemmeno a lei piace il daikon

Urie alzò il polso sinistro, scostando con la punta del naso la manica della camicia, visto che con la mano destra stava continuando a mescolare la cena, così da non fare addensare il brodo. «Forse hanno trovato una pista.»

Higemaru, seduto sul divano, smise di provarsi la pettorina che avrebbero usato per l’assalto allo Psiche. «Ti ha avvertito, caposquadra? Perché non ha chiamato a casa.»

«Non ha chiamato nemmeno me!», si attaccò al suo braccio Yonebayashi, tirandolo verso il basso. «Se non torna entro un’ora non potrà salutarci prima della missione!»

«Sopravvivremo senza il suo sarcasmo», borbottò Aura dalla poltrona, appoggiandosi col gomito al bracciolo. «Adesso che ha una nuova squadra si è persa tante cene, cosa ha di speciale quella di oggi?»

Touma sbuffò, prima di lanciargli un cuscino che gli spettinò la spessa frangia. «Dici solo sciocchezze ultimamente! Se vuoi anche tu una promozione, lavora!»

«Nessuno è stato promosso qui! È solo passata a un’altra squadra!»

Urie tornò al suo brodino, scuotendo piano il capo. Era effettivamente tardi, ma non si sentì irrequieto. Aiko lavorava davvero tanto nell’ultimo periodo e lui poteva immaginarsela addormentata su un divanetto o su una sedia. Forse stava finendo di compilare un rapporto o ancora peggio, era stata coinvolta da Arima in qualche azione improvvisata. Non era così raro.

Prese un sorso dal cucchiaio di legno, isolandosi dal resto dei suoi compagni che continuavano a parlare con tono alto, al loro solito, cercando di capire se la zuppa fosse sufficientemente salata. Prese un paio di foglie di alga wakame, ma non la aggiunse subito. Prima gettò uno sguardo al suo cellulare, che squillava appoggiato sul ripiano della cucina.

Aizawa.

Un senso di malessere misto a negatività lo colsero. Non aveva voglia di andare di nuovo a recuperarlo ubriaco, giacché avevano in mente quell’assalto improvvisato ai danni dei Clown. Poteva pensarci Shimura, per una sera.

Spense lo schermo e riprese a cucinare.

Riuscì a ignorare quella prima chiamata, così come la seconda.

Alla terza però s’irritò leggermente.

«Ovunque tu sia, la risposta è no. Sapevi che stasera il taxi non sarebbe stato a disposizione. Chiama Shimura o prenota un autista che ti riporti a casa.»

-Cookie, hanno arrestato la tua fidanzata.-

 

«Cookie, hanno arrestato la tua fidanzata.»

Il patologo ci andò con i piedi di piombo per due motivi: non esisteva un modo piacevole per dare quella notizia e voleva vendicarsi di Urie perché si era posto in modo così sgarbato. Quando però l’altro non rispose, gli dispiacque un pochino.

Solo un po’ però.

«Ti è venuto un colpo?»

-Non ho capito in che senso, Aizawa. Spiegati meglio.-

Il biondo alzò le spalle, tenendo la mancina nel camice. «Non esiste un altro ‘senso’ alla mia affermazione. Hanno arrestato Aiko. Ti dirò di più, la stanno ancora arrestando. Tra poco la porteranno via. Ha detto che ci penserà Ui.»

Gli occhi chiari di Ivak non si spostarono nemmeno per un secondo dalla figura di Masa, seduta su un gradino della scalinata. I capelli neri le coprivano il viso, nascondendo la sua espressione ai suoi occhi, mentre una camicia costrittiva, rinforzata con acciaio quinque e bande elastiche rigide, le avvolgeva il busto tenendole ferme le braccia e impedendole di attivare con facilità la kagune.

L’avevano legata esattamente come avrebbero fatto con qualsiasi altro ghoul pericoloso e in quel frangente, Aizawa non si sentiva di biasimarli.

Le sue labbra presero una piega amareggiata, mentre la barella che trasportava Noriko gli passava accanto. Se non avesse saputo per certo che quella era la psicologa del dipartimento, probabilmente non l’avrebbe riconosciuta con facilità.

-Cosa è successo? Cosa ha fatto?-

«Ha usato la kagune contro un membro del dipartimento.»

-Chi?! Aizawa, dimmi cosa diavolo è successo o giuro che…-

«Noriko.» Il medico si schiarì la voce, dando le spalle allo speciale Ui, che si stava avvicinando di nuovo a Masa, chinandosi su di lei per dirle qualcosa. Non poteva sentirlo, ma dalla sua faccia scura, non dovevano essere buone notizie. «Non so di preciso cosa è successo, va bene? Io sono salito al piano terra quando è suonato l’allarme. A quel punto, Aiko aveva già fatto questa cazzata. Ho provato a chiedere in giro e tutto quello che sono riuscito a scoprire è che Aiko ha aggredito Noriko.»

-Chi te lo ha riferito?-

«Mengwi e Katsuko. Erano alla macchinetta del caffè quando la porta dell’ufficio della psicologa si è scardinata e lei è volata contro la balaustra di metallo. Se non ci fosse stato il parapetto, l’avrebbe scaraventata direttamente nella hall. Urie, Aiko aveva ancora la kagune sfoderata quando Ui l’ha fermata.»

Insieme alla porta, se n’era andato anche un pezzo di muro e quella balaustra che aveva appena citato si era leggermente piegata contro la schiena della donna. Aizawa si chiese che danni interni avesse riportato, oltre a quelli evidentemente esterni.

Sperò che quel colpo non l’avrebbe ammazzata, o avrebbe segnato la condanna anche di Aiko.

-Sto arrivando-, decretò Urie, mentre delle voci confuse sullo sfondo andavano sovrapponendosi e poi allontanandosi. –Informati su dove la portano, va bene?-

«Al Corniculum. Vai nella dodicesima. Io vedo di far pena a qualcuno così da scroccare un passaggio sul blindato che la trasporterà.»

Il capo dei Quinx chiuse la chiamata, facendo così abbassare il braccio del medico.

Aizawa sospirò grave, guardando Aiko, mentre questa venne fatta alzare da Kuramoto, sotto lo sguardo deluso di Koori.

Cosa diavolo hai combinato, Aogiri?

 

Continua …

 

 

 

 

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Capitolo 39
*** Il caso Re - 4 di 6 ***


saboteur

 

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

Quando Arima era arrivato al Corniliculum era stato perquisito. L’avevano privato del cellulare, del cappotto e della quinque. Gli avevano permesso di tenere con sé solo un registratore, impedendogli persino di portare nella cella una penna e un blocco per appunti. Lui, che non avrebbe inciso su nastro nulla di sconveniente, si sentì un po’ amareggiato da quella procedura. Non avevano mai trattato un altro agente con così tanto sospetto, che fosse esso lo Shinigami Bianco o qualcuno degli affari interni. Marude doveva avere qualche aggancio importante lì, per metterli tanto ai ferri corti.

Venne condotto alla cella, una di quelle sotterranee, negli ultimi livelli. Una cella degna del Gufo con il Sekigan. Di nuovo, Arima si congratulò con Marude per la propaganda terroristica che aveva attuato nei confronti del suo agente. Se lo doveva aspettare, dal momento che Aiko aveva quasi ucciso la madre di suo figlio illegittimo. Marude era considerato da Arima un uomo d’onore, retto e giusto, eppure come ogni uomo sa difendere coloro che ama, a prescindere dal resto. Non lo biasimava, né lo compativa. Piuttosto si chiedeva come si sarebbe comportato al suo posto.

«Ha venti minuti, classe Speciale», gli disse uno degli agenti addetti alla guardia.

«Ci metterò il tempo che ci vorrà», fu la risposta apatica dell’agente in bianco, mentre gli porgeva un foglio firmato dal presidente Washuu in persona.

Si chiuse la porta della cella alle spalle, avanzando nella semi oscurità fino al vetro protettivo. Al contrario di quello della Cochlea, anch’esso antisfondamento e a prova di kagune, arrivava fino al pavimento. Non vi erano tavoli nella stanza che fungeva da anticamera alla cella, solo un pavimento liscio con delle cupe piastrelle color cobalto. Dentro, aldilà della barriera trasparente, c’era un gabinetto posto in angolo, un letto piccolo senza cuscino e una ragazza, seduta di spalle rispetto a lui, rannicchiata a terra. La camicia di forza le costringeva gli arti e una solida placca di acciaio quinque all’altezza del kakuho le impediva di attivare le cellule rc. Con il capo appoggiato fiaccamente al bordo del materasso e i capelli sparsi attorno a sé, Aiko Masa non diede segno di averlo sentito arrivare.

Lo Shinigami guardò la telecamera, consapevole che non aveva l’audio. Prese quindi una sedia dalla parete vicino all’ingresso e la pose in posizione obliqua, così che nel parlare, non avrebbero potuto leggere il suo labiale. Poi si sedette, con un sospirò.

«Hai mangiato?», le domandò con la stessa premura di sempre.

La mora storse un sorriso poco convinto, ma non si voltò a guardarlo. «Ha importanza se mangio la brodaglia che mi danno qui?»

«Non ti avranno dato il cibo che di solito diamo ai Ghoul, spero.»

«La guardia sostiene che tutto ciò che avevano. Mi ha dato quasi più il volta stomaco quella dell’intera situazione.»

Arima si aggiustò gli occhiali sul naso. Barbaro, certo, ma ottimo per loro. Poteva aggiungere l’abuso di ufficio alla lista di potenziali capi d’accusa contro il CCG.

«Perché sei qui, capo? Pensavo di non poter ricevere visite, se non quella del mio difensore d’ufficio.»

«Ho licenziato il rappresentante del sindacato stamattina», le fece sapere. Lei si voltò a guardarlo, stupita. «Sono io che ti rappresento, adesso.»

«Non sei un avvocato.»

«Non devo esserlo. Questa è un’udienza preliminare, Aiko. Non è un processo. Devono solo stabilire se è necessario iniziarne uno. Tu sei qui, ora, perché hai usato la kagune contro un altro essere umano, non perché sei sotto processo. Dobbiamo fare qualsiasi cosa per convincere il presidente che non ne hai bisogno. Che è stato un incidente e che tu stai bene.»

Masa socchiuse le labbra, lo sguardo di Arima la fece desistere dal parlare. Con un guizzo delle iridi, lui indicò alla sua destra, dove era collocata la telecamera. Lei capì al volo e, sulle ginocchia senza alzarsi, si avvicinò al vetro, appoggiandosi ad esso con la spalla, in modo da avere l’obiettivo puntato sulla nuca. Così vedeva male il volto del classe Speciale, ma non aveva buone argomentazioni da sottoporgli. «Mi condanneranno a morte.»

«Non è un processo, Aiko. È una riunione della disciplinare. Hanno convocato un gruppo di agenti che non ha contatti con te e quindi potrà essere imparziale. Sarà nostra premura far capire loro che non sei pericolosa.»

«Mentre sarà premura di Marude convincerli del contrario», rilanciò lei. Arima annuì e Aiko sospirò, cercando di dilatare i polmoni nella costrizione della camicia di forza. Era una bella gatta da pelare quella. Marude aveva una grande influenza sui suoi colleghi, ma Arima…. Era Arima. Era una sfida col destino. «Chi è stato convocato dal direttore?»

«Non dovresti saperlo, ma non importa, te li troverai comunque di fronte all’udienza», disse lo Shinigami, sfilandosi gli occhiali e pulendoli con un panetto morbido. «Dovrebbero essere il classe speciale Tanakamaru, il classe speciale e direttore della Cochlea Shimne Haisaki, lo speciale Kenta Isai e il prima classe Hirokazu Tainaka. Il capo della commissione di inchiesta sarà il classe Speciale Hoiji. Ti faranno delle domande e valuteranno la veridicità delle risposte.»

«Hoiji e Mougan sono molto amici di Marude, a quanto ricordo.»

«Vero, ma sono anche adulti consapevoli del peso che avrà la tua sentenza. Saranno giusti e imparziali. Il direttore Tsuneyoshi Washuu sarà presente in qualità di intermediario fra me e Marude, mentre il presidente deciderà se il verdetto sarà giusto o meno.»

«E questo tu non lo chiami un processo?»

«Se tu non avessi deciso di tentare l’omicidio della dottoressa Noriko saremmo tutti a casa nostra, più felici.»

Masa si strinse su se stessa, accartocciandosi fino a farsi piccola. I capelli le ricadevano in avanti, mentre il suo corpo tremava. Aveva paura. Aveva paura delle ripercussioni.

Aveva paura che non sarebbe più uscita di lì, proprio quando era libera di vivere una vita piena, senza Eto a sussurrarle ordini. Aveva paura di non rivedere più Urie, Take, Hige e tutti gli altri.

Ma più di tutto, Aiko aveva per la prima volta dopo tanti anni, paura di rimanere sola. L’ombra della morte aveva sempre aleggiato su di lei,dopo quella notte nella ventesima, ma sapeva che se fosse stata scoperta, le sarebbe bastato scappare e unirsi ai ranghi di Aogiri.

Ora non aveva nessun luogo in cui scappare, immobilizzata da una camicia di forza.

Era riuscita a rovinarsi da sola.

«Aiko, ascoltami bene. Ora tu mi racconterai tutta la verità. Ci sono delle incongruenze sulla tua storia, le prove non sono riconducibili alla testimonianza. Devi dirmi cosa hai fatto o non saprò difenderti.»

Lei rimase in silenzio per qualche secondo, riordinando i pensieri, poi alzò il capo verso Arima, appoggiando la tempia al vetro.

«Va bene. Ti dirò tutto.»

Lui sistemò di nuovo gli occhiali. «Ottimo. Iniziamo dalla domanda principale: perché hai aggredito Noriko?»

Le labbra della ragazza si strinsero, prima di sputare la verità.

«Perché volevo che stesse zitta.»

 

 

«Quello che tu mi stai chiedendo, dopo esserti presentato in casa mia senza nemmeno avvisarmi, è di eseguire come un cane gli ordini di un superiore non diretto?»

‘La sta prendendo bene’, fu il solo pensiero che attraversò la mente di Take, mentre portava la tazza ricolma di profumato tea alle rose alle labbra. Era sicuro che quell’infuso facesse parte delle scorte private di Aiko, per questo aveva domandato di potere avere quello nello specifico. Con calma, riappoggiò l’oggetto sul suo piattino, unendo le mani sul tavolo e preparandosi a ripetere tutto, come si fa con un bambino cocciuto.

«Primo livello Urie, converrai con me che la situazione è molto, molto critica», iniziò, cercando di non trattarlo come uno stupido, ma al tempo stesso sapendo di fallire. Perché così lo stava giudicando, in quel momento. «Le azioni di Masa avranno delle serie ripercussioni non solo su di lei, ma anche sulla squadra. La tua squadra. Lei è, prima di tutto, un Quinx. Un Quinx che ha attaccato quella che su carta è una civile.»

Kuki si prese la radice del naso fra indice e pollice, stringendo piano. Ormai erano passati due giorni dall’incidente e né a lui né a nessun altro era stato permesso di andare al Corniliculum a verificare che Aiko stesse bene. Che non la stessero trattando come si trattano in Ghoul in attesa di processo. «Tu dovresti conoscerla», sussurrò a denti stretti il leader della squadra ibrida, stringendo la mano guantata che poggiava sul tavolo. «Aiko non è violenta. Magari è un po’ pazza, ma tu la dovresti conoscere. Dovresti sapere cosa le è successo.»

«Forse so più cose di quante ne sappia tu, primo livello Urie.»

Di fronte a quella provocazione passivo aggressiva, Kuki non fece una piega. Si limitò a guardarlo. «Allora sai che deve esserci una ragione se Aiko l’ha attaccata.»

«Aiko sostiene di essere stata chiusa dentro alla stanza, per questo motivo non è riuscita a controllarsi.»

«Visto? Si è sentita braccata.»

«Ma ha comunque quasi ucciso Noriko. Possiamo giustificare un attacco d’ira tanto potente da sfondare una porta e sbattere una donna disarmata contro una ringhiera al punto da piegarne i pali di metallo?», gli chiese Take, gettando un’occhiata alla porta. Era piuttosto sicuro che il resto dei Quinx fosse dietro di essa, ad origliare. «Penso sia solo un caso che Noriko sia sopravvissuta.»

«Ma tu da che parte stai, Hirako?!»

Di fronte a quel quesito, ringhiato con lo stesso ardore di una minaccia, Take non riuscì a rimanere impassibile. Sospirò, terminò il suo tea e si alzò. «Dalla parte di Aiko», gli rispose, con ovvietà. «Ma lei sta mentendo, troppe incongruenze. È a un passo dalla pena di morte e due da rimanere rinchiusa nella Cochlea per sempre. Nella migliore delle ipotesi, se la giudicheranno colpevole, verrà licenziata. Poi che vita farebbe, con quella cosa dentro di lei?» Infilò lentamente la giacca, mentre guardava Urie prendere coscienza secondo dopo secondo del fatto che aveva ragione lui. Era incontrovertibile il suo pensiero. «Non ci sono mezze vie: o verrà condannata severamente o assolta in formula piena. Sappiamo entrambi che è così e nessuno di noi due può fare niente per lei. Che debba pagare per il male che ha fatto o meno non importa adesso. Le questioni etiche rimandiamole a chi dovrà giudicarla. Ciò che mi sta a cuore al momento è darle la miglior difesa possibile e sia io che Arima abbiamo concordato che se tu ti offri come testimone della difesa, Marude ti affosserà. Ti chiederà del vostro coinvolgimento sentimentale e tu sarai rovinato. Ma lei sarà morta.»

Come sopra, incontrovertibile.

Urie si appoggiò contro lo schienale della sedia, mentre l’altro lo fissava insistente, in attesa. «Va bene, non verrò. Questo non desterà più sospetti?»

«A quello ci penserà Arima

Take chinò il capo in segno di rispetto, prima di avviarsi alla porta. Si sentiva come dopo un litigio con un figlio capriccioso. Nemmeno i Bambini del Giardino gli davano tanto da fare.

Urie invece non aveva finito. «Ti deve pesare parecchio», gli disse, insolente. «Ti deve davvero pesare il fatto che lei abbia scelto me, se ti sei voluto prendere la soddisfazione di venirmi a dire tu che non posso vederla fino alla fine del processo, mentre voi della S3 tramate sul suo futuro.»

Hirako rimase fermo davanti alla porta, dietro la quale sentì qualcuno sussurrare e inciampare, mentre si scostava. Non rispose subito, si prese il suo tempo. Quando lo fece, però, riuscì a essere più letale del suo mentore.

«Quando ho visto per la prima volta Aiko, seduta al tavolo della mia vecchia squadra, ho pensato solo una cosa.» Si voltò a guardarlo, con gli occhi sottili a tagliare l’aria. «Avrei voluto vederla felice, sollevata dal peso che portava sulle spalle e sul cuore, più di qualsiasi altra cosa. Lo voglio ancora. Non c’è niente al mondo che io desideri di più della felicità di Aiko Masa. Se lei l’ha trovata qui, per me va bene. Sono un uomo che si accontenta con poco, ma tu invece?»

Non ci fu una risposta e quando Take lasciò lo Chateau, un piccolo sorriso di rivalsa gli curvava il lato del labbro.

Pensava davvero ciò che aveva detto, ma poterlo esprimere ad alta voce…

L’aveva reso felice.

 

 

Quello a Masa sembrava proprio un processo.

Certo, non c’erano i banchi dell’accusa e della difesa, ma solo una scomoda sedia alla quale era stata incatenata non appena arrivata, prima che i suoi colleghi confluissero nella stanza, ancora chiusa nella camicia di forza. Non c’era una giuria, solo alcuni uomini, fra cui il Direttore e il Presidente, seduti di fronte al resto della piccola platea straripante. Non c’erano nemmeno un giudice e un pubblico ministero, anche se Yoshitoki Washuu e Itzuki Marude sembravano nati per ricoprire quella carica, mentre parlavano in disparte, testa contro testa e una mano a coprire le labbra sottili del Direttore del dipartimento.

Per non parlare di Arima, a cui mancava solo una valigetta per essere un perfetto rappresentante di ufficio. Aveva spostato una sedia accanto alla sua, proprio di fronte al tavolo del comitato organizzato per giudicare il suo comportamento.

Sarà anche stata un’indagine disciplinare, ma puzzava maledettamente di processo, che a sua volta aveva l’amaro sapore di una condanna preannunciata.

«Andrà bene, cerca di non essere nervosa», continuava a ripetere lo Shinigami Bianco, con leggerezza, ed ogni volta la sua mano saliva a risistemare gli occhiali sul naso.

Non c’erano nemmeno state arringhe iniziali. Semplicemente, uno alla volta, alcuni suoi colleghi si erano alzati dalla loro posizione e portati in avanti, chi più e chi meno vicino a lei e avevano testimoniato in qualità di garanti.

Apparentemente, nessuno voleva andarle contro, almeno all’inizio.

Aveva iniziato Fura, con pacatezza, dopo aver ripiegato una gomma da masticare in un fazzolettino di carta che aveva infilato in tasca. «Ci sono volte in cui non siamo responsabili delle nostre azioni. Tutti noi dovremmo riflettere sul peso etico che ha avuto la trasformazione di una povera ragazza in un’arma da combattimento diretto, prima di puntare il dito», aveva detto il vecchio amico di Arima, con le mani bene infilate nelle tasche del completo grigio fumo. «La conosco da anni, dice di essersi sentita minacciata quindi le credo. La minaccia può avere molti volti, non solo quello di un’arma puntata in viso. Alle volte l’assenza di vie di uscita rende gli uomini delle bestie», aveva proseguito Kuramoto, tenendole una mano sulla spalla costretta dal pesante tessuto bianco della camicia di forza, non mostrando alcuna paura nel mettersi così vicino a lei mentre a spada tratta metteva più di una buona parola per lei. «Mai una volta ha mostrato segni di aggressività nel periodo nel quale abbiamo non solo operato, ma anche convissuto», aveva garantito Nakarai, ritto come un soldato di fronte a un superiore durante una battaglia, così serio da sembrare inconfutabile. «Ha subito una sorte terribile, scontrandosi non una ma ben due volte col raiting SS Tatara, dovremmo tenere conto non solo dei danni fisici, ma anche di quelli morali», l’aveva difesa Furuta, susseguendosi in modo più realistico alla testimonianza di Naoki, il quale invece l’aveva definita «Un animo tormentato da troppe sconfitte.»

Ui stava finendo di elencare una serie di successi che il dipartimento aveva ottenuto dopo averla assunta, quando Aiko sentì le pesanti porte di metallo aprirsi, seguite da un cigolio continuo e un mormorio basso ma vivace. Non poteva voltarsi a causa della sedia che la teneva ben rivolta verso i suoi  giudici, ma non le servì. Pochi secondi e Noriko apparve nel suo campo visivo, su di una sedia  a rotelle spinta da un ragazzo giovane dai capelli castani che assomigliava in modo impressionante al classe Speciale Marude. Lì, nello spiazzo di fronte alla grande tavolata, per consentire alla sua gamba rotta di rimanere stesa sul sostegno della carrozzina. Aiko sgranò gli occhi quando la vite. Noriko era distrutta, sotto ogni punto di vista. Arima le aveva accennato ai danni riportati dalla donna, ma Aiko non avrebbe mai potuto ipotizzare che un singolo colpo di kagune avrebbe mai potuto causare tutti quei danni, visto quante volte lei si allenava in una settimana e prendeva colpi qua e la. Ma Noriko non era lei. Noriko era una donna di mezza età, umana, che aveva impattato in velocità un parapetto in acciaio.

Koori attese di vederla sistemarsi, con il figlio accanto nel suo odio rivolto alla ragazza trattenuta alla sedia. Quando riprese, lo speciale Ui, sembrava incollerito. Aiko non lo sapeva, ma era riuscito a litigare con Noriko qualche ora prima, in ospedale, mentre le chiedeva di non prendere parte a quella riunione. Ci tenne anche a sottolinearlo, senza paura. «Chiedo ai nostri colleghi che in sede di revisione della documentazione e delle nostre dichiarazioni, non tengano conto delle condizioni fisiche della dottoressa Noriko, in quanto questa è un’indagine disciplinare sulle azioni compiute da Aiko Masa in quanto agente di primo livello. Se lo riterrà opportuno, la dottoressa le potrà fare causa penalmente. Oggi non siamo qui per cercare una vendetta o per punire un atto, ma per verificare che l’agente Masa sia ancora operativa e non una minaccia.»

«Tu non la ritieni una minaccia, Koori?», aveva chiesto Marude, seduto alla scrivania quasi come se fosse egli stesso un persecutore. Ne aveva tutta la faccia.

Il ragazzo dal caschetto aveva scosso il capo. «No, non lo è. È una persona che sta male e va aiutata. Senza contare che le provocazioni hanno un peso molto forte su una mente stabile, figurarci su di una persona ancora convalescente dopo uno scontro che le è costato quasi la vita.»

«Mi stai accusando di essermela cercata?», domandò Noriko, senza paura di aver preso parola da sé, senza chiederla.

«Sì, lo sto facendo.»

«Inaccettabile», aveva sussurrato qualcuno dalla platea, mentre di nuovo il chiacchiericcio si alzava. Sembravano tutti pronti ad elargire sentenze, ma Yoshitoki non avrebbe perso il controllo della situazione. Alzò una mano, facendo ripiombare la sala nel silenzio, prima di rivolgersi di nuovo a Ui, non particolarmente felice della sua partecipazione all’inchiesta. «Hai qualcosa da aggiungere, classe speciale?»

Koori sembrava determinato a tenere il timone in mano e non cedere terreno. Portò addirittura una mano al petto, mentre abbassava il capo. «Quando abbiamo perso il prima classe Ihei, mi sono incolpato di tante cose, ma la peggiore di tutte è stata la consapevolezza di non essere arrivato in tempo. Aiko invece è riuscita laddove io ho fallito, salvato le vite di Higemaru Touma e di Aura Shinsapei da una morte certa e orribile. Fino a tre giorni fa tutti sembravano pronti a investirla di qualche onorificenza. Ora sembrate tutti solo inclini a farvi giustizia per quello che altro non è se non uno spiacevole incidente.»

«Io sono viva per miracolo, Koori!», lo interruppe nuovamente Noriko, con vigore, pentendosi immediatamente di avere dato un piccolo pugno al bracciolo della sedia a rotelle, quando un dolore lancinante le si irradiò dal polso al petto. «Posso parlare io, ora? Non so per quanto gli antidolorifici faranno effetto.»

Ui la guardò con disprezzo misto a pena, prima voltarsi verso Aiko, guardandola con rassicurazione nelle iridi violacee. Fece un cenno ad Arima e scomparve dal campo visivo della mora, che in quel momento, dopo aver sentito i loro nomi uscire dalla bocca dell’amico fedele, realizzò che nessuno dei Quinx si era presentato. Sapeva che Urie non lo avrebbe fatto, ma gli altri?

Toshi spinse la madre più avanti e lei non fece molto, se non farsi passare un foglio dal quale lesse velocemente qualche appunto sparso, non componendo un discorso completo. «Rottura del malleolo laterale, della tibia e del perone in più punti nella gamba sinistra. Distorsione della spalla destra. Stiramento del bicipite e rottura del legamento crociato grama sinistra. Rottura delle costole da cinque a nove destre e inclinazione della quarta toracica. Schiacciamento del corpo vertebrale in più punti sulla dorsale cervicale e toracica. Un’orbita sfondata con espulsione parziale del bulbo dell’occhio sinistro. Sfondamento dell’osso parietale e occipitale sul lato sinistro del cranio. Lacerazioni multiple alla milza, al fianco, al braccio e alla gamba, sempre sulla parte sinistra del corpo.»

Un silenzio assordante si diffuse nella stanza ad ogni punto che toccava di quel macabro elenco. Aiko teneva gli occhi sgranati su una mattonella, vedendo ogni speranza che si era montata in capo durante le belle parole dei suoi amici sfumare sempre di più. Chi avrebbe mai potuto giudicarla ancora idonea al lavoro nel dipartimento dopo aver sentito Noriko? Quale essere umano poteva ignorare ciò?

«Io non camminerò più come prima», aveva proseguito la donna, imperterrita, «Avrò danni permanenti sia alla schiena che all’anca, ma non è per questo che sono qui. Sono qui perché nessuno merita di fare questa fine durante lo svolgimento del suo lavoro. Quella ragazza è instabile, è malata. Lo dico da anni, dalla prima volta che mi ha minacciata, dalla prima volta che ci siamo scontrate, eppure tutti mi hanno ignorata. È diventato un gioco all’interno del bureau. Una scommessa su chi delle due avrebbe alzato le mani. Ora che avete una risposta conviveteci e pensate seriamente alle mie parole. Io sono la psicologa del dipartimento e io l’ho giudicata inadatta a un sacco di cose, nel corso degli ultimi cinque anni. Non era pronta a tornare al lavoro dopo lo scontro nella ventesima circoscrizione. Non era pronta a lavorare in prima linea con Hirako, ma comunque l’avete affidata a lui. Non era abbastanza stabile per avere dentro di sé una tale potenza, ma voi l’avete armata di una kagune rendendola un pericolo per se stessa e per gli altri. Ora fatevi un esame di coscienza, tutti voi, e per una dannata volta ascoltatemi!»

Ironicamente, sembrava quasi che Noriko stesse incolpando più le alte sfere di lei. Aiko trovò il coraggio di guardare verso la commissione, trovandoli tutti molto a disagio. Anche e soprattutto coloro che non aveva mai visto in vita sua e che quindi non erano a capo delle sue squadre.

«Eppure hai deciso di non denunciarla personalmente», disse Arima e no, non era una domanda.

A fatica, ruotando il capo piano da dentro il colletto protettivo, Noriko lo guardò straboccante di risentimento. Masa capì che doveva aver discusso anche con lui. «Ho deciso di non denunciarla perché so già che verrà rilasciata. Ho deciso di non denunciarla perché qualsiasi cosa Aiko Masa trami nel buio, io non voglio diventare una martire.»

«Una martire? Sta per caso accusando il primo livello Masa di qualcosa, dottoressa?»

Noriko assottigliò gli occhi, per quanto possibile a causa dei lividi, guardando lo Shinigami Bianco. «Penso che si vendicherebbe o manderebbe qualcun altro a farlo? Cerco che sì. Penso che tu stesso renderesti il mio lavoro più complesso di quanto già non fai, Kishou? Penso anche questo.»

«Non servirà una denuncia penale se verrà sbattuta in Cochlea», si intromise Marude, prima di guardare verso Noriko. Sembrava che qualcosa si fosse spezzato nei suoi occhi in qual momento. A un uomo si può toccare tutto, ma non la famiglia…

«C’è qualcos’altro che vorresti venisse messo agli atti?»

«No Chika, ho parlato anche troppo. Sono curiosa di sentire cosa ha lei da dire, ora.»

«Prima io vorrei sentire il parere della sola persona in questa stanza che ha davvero autorità in merito», disse rispettoso, ma tagliente, Arima. «Il dottor Shiba

«Giusto», ricordò Yoshitoki, mentre il medico avanzava nella stanza, andando verso Noriko per sussurrarle qualcosa che sembrava una terribile scusa. Le toccò anche la mano, ma lei la ritrasse, in un gesto pieno di orgoglio. «Il dottor Shiba ieri mi ha detto che può giustificare ciò che è successo, dico bene, dottore?»

«Decisamente sì. Se c’è un colpevole in questa stanza per la terribile fatalità accaduta a Noriko, sono io.» Senza attendere oltre, Shiba prese a distribuire sul tavolo della commissione dei fogli. Ne porse anche uno ad Arima, che accettò con un cenno del capo.  

«La conta rc è molto fuori scala», commentò il prima classe Tainaka, leggendo frettolosamente quel foglio e lasciandolo ricadere come se fosse un pezzo di carta straccia. «Ma parliamo dei Quinx, non è normale?»

Shiba portò le mani dietro al busto, sospirando mesto. «Il massimale di un Quinx non dovrebbe mai superare le novecento parti. Aiko, al momento attuale, supera le tremila abbondantemente.»

Persino il Presidente sembrò impressionato. Tanto che prese la parola per la prima volta dall’inizio dell’udienza. «Livelli tali da doverla per forza categorizzare come Ghoul.»

«Per la legge sì», disse il dottore, «Però come ho convenuto insieme al dottor Aizawa che oggi non poteva venire perché aveva un turno da coprire, non è un ghoul sotto molti aspetti. Grazie al nostro tempestivo intervento riesce ancora a mangiare cibo umano, non ha sviluppato particolari manie, se fatta eccezione per la perdita di lucidità dell’altra sera.»

«Un’eccezione che è quasi costata una vita», gli fece notare Marude, tamburellando le dita sul documento, infastidito da tutti quei numeri e tutte quelle statistiche. «Non possiamo passarci sopra solo perché è quasi morta in uno scontro contro Tatara, anche se tutti coloro che hanno parlato fino ad ora lo hanno sottolineato con fervore. Poteva capitare a chiunque di trovarsi di fronte a lei in quel momento.»

«Non è vero», lo contraddisse immediatamente Arima. «Aiko ha dichiarato di essere stata chiusa nella stanza contro la sua volontà.» Proseguì, nonostante lo spergiuro lanciato da Noriko verso di lui. «Tutti coloro che hanno parlato la conoscono e conoscono la sua faida con la dottoressa. Se non si fosse sentita in pericolo, non sarebbe scattata. Non è un caso che sia successo proprio in quel momento e con quella specifica persona, classe Speciale Marude e lei lo sa benissimo.»

«Non ci sono prove che la porta fosse chiusa a chiave.»

«Non è stato rinvenuta bloccata?»

Itzuki fece una piccola pausa, mentre un sorrisetto vittorioso gli si disegnava sulle labbra. «Non c’erano striature sullo stipite, però.»

«Stai suggerendo che uno di noi ha volutamente girato la chiave per avvalorare la tesi di Aiko? Questa è una accusa molto pesante, classe Speciale.»

«Eppure io la supporto, classe Speciale Arima. Non mi importa se è la tua pupilla o la futura stella brillante della CCG. Un tentato omicidio è un tentato omicidio. Tu gireresti mai la tua quinque contro un tuo collega in un attacco d’ira?»

«Non sono nelle condizioni in cui versa Aiko, non posso essere usato come metro di paragone.»

«Basta, voglio silenzio ora», disse con fervore Yoshitoki, tirandosi in piedi. Si rivolse di nuovo al dottore, guardando prima sia Marude che Arima con un’espressione di ammonimento. Li avrebbe sbattuti fuori entrambi senza remore. «Un’ultima domanda, molto specifica, poi abbiamo concluso con lei, dottor Shiba», gli disse, irradiando autorità. Ormai tutto pareva un complotto. Aiko non si capacitava del fatto che loro fossero così oscurati dal loro legame con Noriko da anche solo ipotizzare che Shiba la stesse coprendo.  «Lei pensa o no che la conta rc di Aiko Masa l’abbia portata a non essere consapevole di ciò che stava facendo?»

«Ne sono più che certo. Non sono stato bravo a calcolare quanti inibitori somministrarle e questo è il risultato. La colpa è mia, se dovete sospendere o licenziare o rinchiudere qualcuno sono io. Non i miei ragazzi.» C’era qualcosa di molto triste nell’ultima frase dell’uomo. I suoi ragazzi, i suoi esperimenti. I suoi potenziali fallimenti. Giovanissimi che lui poteva avere rovinato per sempre.

Aiko rimase come stordita da quell’ultima dichiarazione. Tutte quelle persone che si stavano assumendo la colpa delle sue azioni, come se in qualche maniera lei fosse un loro problema. Koori, Kuramoto, lo speciale Arima, il dottor Shiba…. Indirettamente anche Aizawa. Non c’erano, a quella procedura, ma se fossero stati presenti anche i Quinx, ognuno di loro avrebbe parlato per lei. Schiacciata dalla consapevolezza di essere quasi un peso, una bestia da amministrare, Aiko abbassò il capo.

«L’accusata vuole dire qualcosa a sua discolpa?»

Ed era arrivato anche il suo momento. Aiko stava per venire interrogata da Marude e non era pronta. Non sapeva se dire ciò che aveva concordato con Arima o se dire la verità e finalmente assumersi la responsabilità delle sue colpe.

«No, il primo livello Masa ha già dichiarato tutto ciò che doveva. Ha rilasciato una dichiarazione accurata che vi abbiamo fatto pervenire e certa della sua innocenza, non ha altro da aggiungere.»

Sorprendentemente, Arima le impedì di parlare. Aiko lo guardò, con la bocca socchiusa e le iridi sgranate, mentre lui la privava della libertà di alleggerirsi l’anima. Non erano questi i patti. Non era così che doveva andare, ma lo Shinigami non era un folle e Aiko lo sapeva. Non le avrebbe concesso di minare la reputazione dell’intera squadra per uno scrupolo di coscienza. Così ritrovò la lucidità, guardando Yoshitoki e annuendo. «Nulla da dichiarare, signore.»

«Si può fare?», chiese Marude, inferocito. «Mi viene negata la possibilità di interrogare direttamente l’agente Masa in questo modo?!»

«Non essendo un processo, come già ribadito milioni di volte, il primo livello ha il diritto di non rilasciare dichiarazioni.» Houji incrociò le mani sulla scrivania, guardando verso il collega che non si dava pace. «Questa è una procedura standard, Maru. Devi concederle il beneficio del dubbio-»

«Beneficio del dubbio un corno!», Marude non si trattenne oltre, battendo entrambi i pugni sulle ginocchia. Una vena prese a pulsargli sulla tempia, mentre passava gli occhi da Aiko a Noriko, a come aveva ridotto la donna con cui aveva condiviso metà della sua vita. E così anche Yoshitoki, nonostante questi non dicesse nulla. «Aiko Masa ha intenzionalmente attaccato la dottoressa Noriko durante un loro colloquio-»

«Queste sono speculazioni», gli parlò sopra Arima, ma Marude non si fermò.

«-Poi ha utilizzato le sue conoscenze criminologiche girando la chiave della porta prima dell’arrivo dello speciale Ui. Per questo non abbiamo trovato impronte sulla chiave né i segni di rigatura del chiavistello sullo stipite. Ora sta sfruttando una condizione medica a suo favore e tutti voi ve ne state zitti, peccando di omertà, solo perché non volete vedere che dietro a ‘occhi da Bambi’ c’è una folle, pazza scatenata!»

Tainaka sospirò pesantemente, rompendo il gelido silenzio che si era creato nell’aula. Passò in rassegna i fogli, trovando ciò che cercava dopo qualche minuto. «Lo speciale Ui però è intervenuto subito. Se l’avesse vista alterare la scena girando la chiave l’avrebbe detto, sbaglio?»

Koori si alzò in piedi, diritto con la schiena, guardando il presidente con fermezza. «Assolutamente. Non avrebbe avuto il tempo di mettere mano a nulla, poiché ero su di lei con la mia quinque in mano pochi secondi dopo aver sentito lo schianto. Senza contare che Aiko era come assente, in quel momento, aveva gli occhi persi. Non era in sé, come ho sottolineato nel mio report. Si è lasciata mettere la camicia di forza docilmente e mi ha seguito senza resistenze. Lei non è una minaccia.» Calcò così tanto sull’ultima frase da far rimbombare la sua voce di norma sottile e affilata.

Marude non disse niente, non volendo mettere in dubbio l’autorità dell’altro classe speciale, ma era tutto terribilmente sbagliato ai suoi occhi.

Così come agli occhi di Aiko, che non ebbe il coraggio di guardare Koori negli occhi. Aveva ragione, si era come estraniata dopo aver fatto ciò che aveva fatto, ma ricordava di aver visto l’amico prendere dalla tasca un fazzoletto e poi girare la chiave della porta scardinata, guardandola poi con gli occhi viola affilati. Lui le aveva fornito il più solido degli alibi, facendo passare Noriko come una rapitrice.

Era vero.

Aveva ragione Marude.

Fra colleghi che si coprono le spalle a vicenda c’era troppa omertà.

«Se abbiamo finito, la commissione più ritirarsi per deliberare», asserì il direttore Washuu, mentre Ui riprendeva posto. «Qualcuno ha domande o osservazioni?»

Non si sollevò nessuna obiezione per diversi secondi, poi una voce irruppe nel silenzio solenne. Suzuya non si alzò nemmeno in piedi, mentre parlava, giocherellando con una delle pantofole. «Tutto questo dimostra che il progetto Quinx è un fallimento, quindi?»

Yoshitoki, l’architetto della CCG e del progetto Quinx, rimase silenzioso. Ammettere che Aiko era incapace di proseguire nello svolgimento delle sue mansioni equivaleva ad ammettere che avevano investito un capitale in qualcosa che non stava funzionando. Equivaleva ad ammettere che era tutto un gigantesco fallimento.

Arima sapeva che non potevano permetterselo, soprattutto il direttore.

Per questo chiuse gli occhi per un istante, mentre un angolo delle labbra si arricciava di soddisfazione.

Suzuya non poteva saperlo, ma con quella domanda irrisposta aveva appena salvato capre e cavoli.

 

La commissione disciplinare ci impiegò esattamente due ore e dieci minuti per arrivare ad un verdetto. Due ore per decidere se rimettere in libertà o meno Aiko, la quale spese quel tempo in silenzio, seduta accanto ad Arima, impossibilitata a ringraziare i suoi amici, con lo sguardo di Marude perennemente addosso come l’ascia di un boia sul collo.

Stretta nella camicia di forza si sentiva esattamente come era stata descritta: una pazza scriteriata. Avevano ragione loro, forse tutto ciò che le era successo l’aveva rovinata fino al punto di non ritorno. Aogiri, Osaki, Orihara, Tatara, Eto, Labbra Cucite stessa l’avevano portata a diventare qualcosa che non era più definibile. Viveva letteralmente per difendersi da accuse, sperando di non venire condannata da umana o uccisa da Uta. Viveva nell’ombra di se stessa, aggrappandosi alla sola cosa bella che aveva avuto in quegli anni: Urie. Lui non era nemmeno potuto andare a quel processo, Arima l’aveva detto e ridetto che sarebbe stato compromettente e dopotutto qualcuno in servizio doveva pur rimanere.

Eppure avrebbe tanto voluto incontrare i suoi occhi serpentini, fra la folla, mentre la commissione e il Presidente rientravano, riprendendo posto. Si ritrovò invece impelagata nelle iridi piccole di Take, che non le fece nemmeno un cenno, limitandosi a ricambiare lo sguardo. Lei non smise di rimanere focalizzata su di lui, anche mentre Hoiji leggeva il verdetto.

«In data odierna, la commissione disciplinare diretta da me, classe speciale Hoiji Kousuke, per giudicare le condizioni psicologiche del primo livello Aiko Masa ha stabilito all’unanimità quanto segue: in relazione all’aggressione ai danni della dottoressa Noriko, le azioni compiute dal primo livello sono imperdonabili, ma giustificateIl classe speciale fece una pausa, umettandosi le labbra, con una decisione in netto disaccordo con quanto stava di fatto dicendo. «Lo stato di salute di Masa Aiko non era ottimale al momento dell’aggressione, per tanto non è possibile sostenere la tesi riportata dallo speciale Marude sulla sua inadeguatezza allo svolgimento delle mansioni di investigatrice del pool anti-ghoul. La commissione accoglie invece la richiesta dello speciale Arima e ritira tutte le accuse, decidendo che non sia necessario arrivare a un processo penale né perseguire il primo livello per le sue colpe. Nonostante questo, la commissione stabilisce che da oggi fino alla guarigione totale, Aiko Masa sarà diretta responsabilità del suo superiore diretto, Kishou Arima. Saranno predisposte delle sedute obbligatorie con uno psichiatra esterno al dipartimento e più controlli medici da parte del dottor Shiba. Con questa sentenza si dichiara concluso il provvedimento disciplinare al primo livello Aiko Masa, con l’assoluzione totale da tutte le accuse, ma l’obbligo sia lavorativo che morale di ritrovare la sua stabilità emotiva o ritirarsi di propria volontà dal servizio. Le prove presentate, di fatto, non sono sufficienti ad instaurare un ragionevole dubbio e a privare l’agente del suo grado.»

Aiko si ritrovò catapultata in una realtà alternativa al termine di quella sentenza. Una realtà in cui in vero Hoiji le diceva quanto deprecabili fossero le sue azioni la imprigionava a vita nelle viscere della Cochlea. Una realtà tenebrosa, ma karmatica, giusta. Non come quella che stava vivendo, così rosea da rivoltarle lo stomaco. Un agente di custodia sganciò la camicia di forza e lei sentì i polmoni irrorarsi di ossigeno. Scambiò uno sguardo con Arima, comprendendo che lui aveva vinto di nuovo.

Vinceva sempre.

Voleva dirgli qualcosa, magari ringraziarlo o dirgli che stava sbagliando tutto, con lei, ma lui fu più veloce. «Ti ho portato un cambio. Vai in bagno e preparati, dobbiamo tornare subito al lavoro. Non abbiamo ancora trovato Hakatori

La lasciò sulla sedia, a liberarsi dalla costrizione, ancora scombussolata dalla sentenza. Ui e Hirako andarono da lei per primi e il moro la strinse così forte da quasi sollevarla da terra. Lei si aggrappò alle spalle del giovane, ma non disse nulla. Non lo ringraziò per aver insabbiato tutto, né proferì altre parole. Si limitò a stringerlo, mentre Naoki cinguettava allegro con Furuta un ‘è bene ciò che finisce bene’, mentre lei guardava Take che guardava il punto in cui Arima era sparito, fra la folla di colleghi.

Nessuno, però, osò dire niente a Noriko, mentre lasciava la stanza.

 

 

Aiko rimise piede allo chateau quella sera stessa.

Nella sua mente, la giovane si augurava solo che tutto tornasse esattamente come prima. Come se non avesse mai attaccato nessuno, come se non fosse mai stata imprigionata al Corniliculm. Sapeva però che non sarebbe stato così semplice. Aveva passato il pomeriggio a lavorare, sentendo gli occhi dei colleghi su di lei, senza però avere il coraggio di dire nulla. Aveva saputo da Aizawa che i pareri su di lei erano molto discordanti; alcuni lo incolpavano direttamente di essere una minaccia, avevano paura di ciò che potevano diventare i Quinx. Altri invece la incoraggiavano, sostenendo che lei non era altro che una vittima di un sistema più grande, di un’operazione disumana, fatta da un medico folle quanto Frankenstein.

Lei non lo credeva, difendendo Shiba con tutta se stessa, ma non proferendo però parola direttamente. Era ancora troppo presto per lei per dare pareri, era ancora vista come qualcosa di strano o come un nemico diventa tuo amico, come un'ingiustizia in un sistema perfetto e questo non lo poteva accettare. Aveva quindi lavorato a testa bassa senza lamentarsi nemmeno quando Arima le aveva chiesto di rimanere oltre l'orario stabilito. Aveva chinato il capo e fatto ciò che le veniva detto, in quel modo mansueto che proprio non la rappresentava.

Lo aveva fatto in funzione di poter tornare finalmente a casa.

Ne era valsa la pena, questo si disse quando finalmente rimise piede in quel luogo nel quale sentiva di appartenere, più che in qualsiasi altro. Ad accoglierla, in salotto, c'erano tutti con l'eccezione di Tooru e Aura, ma si aspettava anche questo.

Urie fu il primo a parlare, quando lei si era già chiusa la porta alle spalle da diversi secondi. Mandò tutti quanti in cucina per preparare la cena e con lei rimase solo, guardandola attentamente, quasi temesse di non riconoscerla. Eppure quella figura con il volto smagrito e l'espressione a pezzi di chi sa di avere sbagliato lo smossero. Lo interpretò così; come rimorso, consapevolezza di aver sbagliato, e tanto gli bastò per muoversi nell’atrio e stringerla fra le braccia, senza parlare. Le parole erano inutili in quel momento. Era grato che lei fosse tornata e sollevato che fosse pentita per avere utilizzato la kagune contro un'altra persona o almeno di questo pensiero si sta convincendo, negando la possibilità che Aiko avesse agito per uccidere una persona. Di nuovo voltò il capo e non riconobbe gli errori della giovane.

Lei, per risposta, si strinse a lui come se fosse la sua ancora. Non pianse, non gli raccontò frottole, ma lo baciò sollevata di poterlo fare, seppure in modo egoista perché non aveva pagato per i crimini che avevo commesso. Eppure poter stare di nuovo con lui era molto più importante di qualsiasi altra cosa.

«Devi essere stanca», le sussurrò, passando la mano sul suo braccio, come per confortarla. «Vai a farti una doccia, sei uno schifo da vedere. Preparati per la cena e poi per una sana dormita, non sembri farne una da mesi.»

«Sei proprio un acuto investigatore, Cookie», acconsentì Masa senza obiettare, ma non rinunciando al suo solito sarcasmo, tirando nel contempo un sorriso pallido come raggi della luna. Non si mosse, se non prima di averlo baciato sulle labbra un’altra volta, sentendo le sue screpolate. Si avviò verso le scale, credendo fermamente che avrebbe potuto rimediare a tutto, chiarendo anche col resto della squadra, quando lui la fermò nuovamente. «Questa mattina è arrivato un pacco per te, l'ho appoggiato sul letto. Comunque sia, se dopo vorrai parlarne, sai che io sono qui. » Non aggiunse altro, se non questa premura legata a un sorriso. Lei annuiì, non preoccupandosi della posta quando di quel volto che aveva sognato mentre era lontana.

La doccia fu un toccasana; l’acqua calda la rinfrancò, lavando via ogni brutto pensiero e ogni azione denigrante. Portando via lo sguardo di Marude e l'espressione di Arima durante la seduta della commissione di inchiesta. Si avvolse in un asciugamano che le parve così tanto morbido da non sembrare nemmeno il suo. Tre giorni da reclusa e si sentiva già come se fosse rimasta la dentro degli anni.

Come aveva potuto anche solo pensare di confessare? Non avrebbe retto un mese, in prigione. Il senso di colpa l'avrebbe schiacciata. Sarebbe definitivamente impazzita, abbandonata a se stessa, con la mente in fiamme per il senso di colpa di ciò che aveva fatto non alla psicologa, ma nel corso dei cinque anni precedenti. Tremò al pensiero di perdere tutto ciò che aveva costruito per aggrapparsi alla realtà alla quale Aogiri l’aveva strappata senza rimorsi. Urie, la squadra, le amicizie che l'avevano difesa a spada tratta, persino la sua libertà, un bene che non stava sfruttando affatto bene, nonostante fosse sopravvissuta abbastanza per poterla assaggiare. E quello già di per sé era miracoloso.

Si sedette di fronte allo specchio, prendendo la spazzola e spostando i capelli su una spalla. Lì, mentre era concentrata sulla sua immagine riflessa, notò nell’angolo della specchiera la piccola scatola appoggiata sul letto. Così come il ragazzo aveva detto, qualcuno lo aveva spedito qualcosa. Si sentì irrequieta al riguardo. 

Non poteva essere sua madre. Eccetto lei, chi altri poteva prendersi la briga? Perché non consegnarla a mano? Praticamente tutte le persone che conosceva erano colleghi. Forse qualcosa da Midori? Incuriosita, ma scettica, si avvicinò, notando che non vi era indirizzo del mittente. La girò fra le mani prima di aprirla, trovando al suo interno una chiavetta USB e una cassetta registrata. Su di essa, impresso con un pennarello rosso, c'era il suo nome. Aiko Masa. Qualcuno si era anche preso la briga si segnare quali fossero il lato A e il lato B. Né un biglietto, né una indicazione. L’ombra di Eto fece capolino nella sua mente e Aiko si convinse che sì, era qualcosa che il Gufo avrebbe potuto fare. E se fosse stata tutta una menzogna? Se quella libertà tanto ambita in realtà fosse stata concessa per scherzo?

Non poteva far nulla per la cassetta, non avevano mangianastri in casa. Però poteva guardare la pennetta USB. Decise di non farlo subito, nonostante l’angoscia la logorasse. Si alzò e mise tutto di nuovo nella scatola, che finì nel suo armadio. Poi si vestì, indossando qualcosa di comodo, e scese le scale, arrivando giusto in tempo per vedere tutti sedersi al tavolo. Hige le sorrise, con una naturalezza tale da spezzarle il cuore. «Stavo per salire a chiamarti, Aiko-san!», disse, prendendola a braccetto.

Aiko si avvicinò al tavolo con lui, prendendo posto accanto a Urie, di fronte a Saiko. Urtò inavvertitamente le bacchette, appoggiate sopra alla ciotola ricolma di quella che sembrava una zuppa di pollo e verdure, ma sistemò di nuovo tutto, prima di unire la mano di fronte al viso. Il tutto sotto lo sguardo attento di Urie. Fu il caposquadra a rompere il silenzio. «Itadakimasu», sussurrò, imitato da tutti gli altri.

Masa prese le bacchette fra le mani, scostando gli spaghetti di riso, senza però iniziare a ingozzarsi come invece stava facendo la ragazza bassa di fronte a lei. Fu quest’ultima a rompere il silenzio, mentre Hsiao le levava un pezzettino di bietola dal mento usando in modo prodigioso le bacchetta. «Macchan, non hai fame?»

«In effetti sì», ammise la mora, con non poco disagio. «Però, se penso agli ultimi pasti che ho avuto, vedere la carne mi stomaca.» Si zittì, mordendosi le labbra. «Scusami Kuki, tu cucini ogni sera e io mi lamento che-»

«No, va tutto bene. So cosa c’è sul menù del Corniculum», la interruppe lui, alzandosi. «Ti preparo qualcos’altro. Uova?»

«Non c’è bisogno, non preoccuparti.»

«Uova?»

Aiko sospirò rassegnata, appoggiando un piattino sulla ciotola del ragazzo, per cercare quanto meno di non far freddare la sua cena. «Ti do una mano.»

«Posso preparare un’insalata da solo, rimani seduta. Non stressarti.»

Il fatto divertente fu notare che Urie sembrava il più stressato di tutti, in quel momento. Masa non poteva biasimarlo, indirettamente aveva lanciato i Quinx sotto il mirino del mondo, grazie alla sua impresa. Si chiese addirittura se Kuki fosse arrabbiato per questo, ma non lo chiese. Si limitò a rimanere in silenzio, ubbidendo.

Sollevando così la preoccupazione popolare.

«Ora non iniziate a bisticciare?», domandò stranito Higemaru, passando gli occhi sul viso incorniciato di capelli corvini della ragazza fino alla schiena del caposquadra. «Niente ‘no lo faccio io’, ‘non sai fare niente’, ‘tu non sai fare niente’?»

«Sembra il copione di una soap opera», commentò pensierosa Saiko, continuando a mangiare indisturbata.

«Cosa ti hanno fatto là dentro, Masa-san?»

Gli occhi gialli di Aiko si spostarono sulla taiwanita, notando una preoccupazione autentica, come se davvero le importasse. Perché non la odiava? Perché non era andata a dire a tutti che sapeva di Labbra Cucite? Aiko non meritava tutta quell’apprensione, non meritava di avere intorno delle persone così genuine. Non aveva meritato nemmeno quella difesa estenuante da parte dei loro colleghi.

«Non mi hanno fatto niente che non meritassi», le rispose con un sorriso spento. «Io sono una persona orribile.»

Hige sgranò gli occhi a quella dichiarazione, mentre Ginny si ritirava appena, appoggiandosi con la schiena alla sedia. Saiko, indignata, stava iniziando uno sproloquio su come Aiko non doveva permettersi di dire certe cose, ma a concludere il discorso ci pensò Urie.

Sbatté così forte una padella sul suo capo da piegare il manico. Se la pelle di Masa non fosse stata quel che era, rinforzata dalla sua natura di Quinx, le avrebbe aperto il cranio in due come una delle uova che stava friggendo. «Tu sei solo un’incosciente», disse severo, mentre Aiko portava le mani alla zona colpita, con una lacrimuccia di dolore a lato dell’occhio. «Sei tornata al lavoro troppo presto, eri ancora convalescente. Non ti riposi mai, non ti fermi mai. Non segui le normali visite che ogni Quinx dovrebbe effettuare. Non solo quelle fisiche, ma anche quelle psicologiche. Non eri in te, quando hai attaccato Noriko e a quanto so è stato detto anche in sede ufficiale. Quindi smettila di vittimizzarti e fare quella faccia! Noi ti aiuteremo a guarire e appena succedere l’ennesima tragedia, tutti si dimenticheranno di questa storia. Come sempre.»

Masa sapeva che doveva essergli grata per quelle parole. Sapeva che doveva essere grata per i sorrisi confortanti dei suoi coinquilini. Però sapeva soprattutto che iniziare a lasciarsi alle spalle quel senso di disagio, insieme a molti altri pensieri che albergavano la sua mente su Uta, Eto e Nagachika, sarebbe sicuramente risultato il modo più intelligente di far fronte alla situazione.

«Sei un idiota! Cosa cazzo mi colpisci alle spalle?!»

«Dici delle fesserie, questo è il premio!»

«Tu sei un pazzo! Chi diavolo ti ha nominato capo squadra? Una capra ubriaca!?»

Higemaru li guardò sospirando sollevato, appoggiando il mento alle mani. «Tutto è bene quel che finisce bene.»

 

«Quindi da oggi sei vegetariana? Devo apportare delle modifiche al menù settimanale?»

Aiko sorrise leggermente, tenendo gli occhi socchiusi rivolti verso il faretto stradale che si intravedeva luminoso oltre le veneziane. Non trovava quella finestra particolarmente interessante, ma si sentiva così sopraffatta dalla stanchezza da fissarsi sul nulla, mentre cercava di rimanere mentalmente connessa con ciò che la circondava. Certo, la pancia piena e le dita di Urie che passavano con lentezza ritmica fra le ciocche dei suoi capelli non la stavano aiutando. «Giusto il tempo di farmi passare la nausea. Quella sbobba è stomachevole. Non voglio nemmeno pensarci.»

«Non ha alcun senso che non ti abbiamo portato del cibo umano. Non sei un ghoul.»

«Lo sono stata fino a giudizio contrario. La vera tortura però è stata quella maledetta camicia di forza. Non puoi nemmeno immaginare quante volte possa pruderti il naso quando sai di non poterlo grattare.»

Il capo squadra dei Quinx sbuffò piano, prima di pizzicarle il fianco con la mano libera. Aiko ridacchio, infilando il viso nell’incavo del collo dell’altro, stringendosi al suo corpo sotto alle coperte. Rimase ferma così, abbozzolata su di lui, continuando a godere di quelle carezze confortanti. Poi lo morse piano, alla base del collo, mettendo un po’ di distanza fra loro al fine di poterlo guardare negli occhi. «Mi dispiace tanto per quello che ho fatto a Noriko», sussurrò, sentendo improvvisamente di provare quel sentimento. Non le era importato della dottoressa fino a che non aveva visto ciò che le aveva fatto. Fino a che non si era ritrovata di fronte la prova tangibile della potenza distruttiva della sua kagune. «Spero che possa riprendersi al meglio, vista la sua età.»

«Non speri anche che possa perdonarti?»

«Che ce ne facciamo del perdono? Lei non eviterà i reumatismi se me lo concede e io non cancellerò dalla mente l’immagine del suo volto se lo ricevo.»

Kuki sbuffò di nuovo, dandole una pacca sul capo, seppur delicata. «Sei così cinica. Magari il perdono ti aiuterebbe ad agitarti meno nel sonno, è fastidioso.»

Aiko roteo gli occhi, rassegnata. «Immagino sia stato bellissimo per te avere il letto libero per quattro noti di fila, allora.»

«In realtà è stato parecchio deprimente.»

Qualcosa di caldo le si sciolse nel petto mentre lo sentiva pronunciare queste parole. Non era molto da lui lasciarsi andare ai sentimentalismi, ma effettivamente era bello. Sapeva di casa. Le dava una prospettiva per un futuro nel quale poter essere felice. Vivere e non sopravvivere.

«Anche tu mi sei mancato al Corniliculum. Ti saresti divertito un casino. C’era un secondino simpaticissimo, che faceva costantemente apprezzamenti su come mi donasse la camicia dei pazzi.»

«Se il secondino ha un nome, penso che si meriti un premio. Un richiamo formale è sufficiente, forse.»

«Adoro quando fai il geloso…»

Sussurrò piano sulle sue labbra, allacciando le braccia dietro al suo collo. Il bacio si infiammò e il ragazzo prese l’iniziativa. Portò una mano sulla sua coscia, sollevando la leggera camicia da notte.

Per la prima volta, però, lei lo fermò. Appoggiò la mano sulla sua e si staccò, con dolcezza, passando la mano sulla sua tempia e poi sul mento. «Avevi detto che potevamo parlare? Vorrei parlare, in effetti. »

Lui non si scompose. Fu sorpreso dal fatto che avesse fermato quello che sarebbe degenerato in un rapporto. Lei era sempre la prima a saltargli addosso, perché con entusiasmo, palesava ogni sua emozione, mentre era lui a contenersi sempre, ad essere introverso e insicuro.

«Va bene», le baciò piano la fronte, prima di sporgersi per riaccendere la lampada da comodino. «Cosa ti fa così male? Non è Noriko, non è vero?»

Lei prese un respiro profondo. Quella era una delle tante occasioni in cui avrebbe potuto parlargli, così come in ospedale. Così come quando, per la prima volta, si era resa conto che quella era la sua vera famiglia, la sua casa. Però non poteva semplicemente dirglielo. Lui non poteva comprendere né perdonarla. Aogiri, il Gufo col Sekigan, i ghoul in senso generico, erano quella che per Urie era una sorta di valvola di sfogo. Un qualcosa da odiare per andare avanti e raggiungere obiettivi.

Su questo aveva meditato tanto, mentre dietro a quel vetro spesso fissava il vuoto. Tutti avevano il diritto di odiare qualcosa. Masa aveva realizzato che non aveva uno sfogo perché non odiava niente e nessuno. Aveva pensato di uccidere Noriko molti mesi prima, ma poi vederla così, spezzata, assieme al figlio Toshi, le aveva fatto cambiare idea. Si sentiva sinceramente in colpa? Non poteva dirlo. Poteva scoprirlo col tempo. La ferita bruciava ancora.

Doveva capire cosa odiare, cosa amare, in cosa valesse la pena di investire tutta se stessa.

«Io ho fatto delle cose orribili, Kuki», gli sussurrò, dopo che entrambi si erano seduti sul letto, a gambe incrociate, uno di fronte all’altra. Lui non aveva detto nulla. Le aveva stretto la mano quando lei l’aveva cercata, mantenendosi in un silenzio quasi religioso. «Mi sono davvero macchiata di atti imperdonabili…. Io sono davvero una persona orribile.»

«Hai salvato Hige e Shinsapei», sussurrò Urie, cercando il suo sguardo, ma non trovandolo. «Ti sei messa contro un nemico aldilà delle tue possibilità consapevole che non sarebbe venuto nessuno a salvarti. Questo non basta per farti sentire in pace con te stessa almeno un po’.»

«No», sputò fuori lei, senza pietà per se stessa. In quel momento, sotto la luce soffusa, Urie si ritrovò a guardare una persona che non riconosceva. Aiko, aveva sempre riscosso ogni merito, si era sempre ritrovata sulla difensiva. In quel momento non sembrava lei. Non sembrava importarle niente di se stessa. «Una buona azione non seppellisce una vita di…. Non so nemmeno come definirle.»

«Allora descrivile, no? Parlami e dimmi perché ti senti così male. Cosa ti è successo al Cornilicum da portati a pensare questo di te stessa? Ti hanno torturato? Cosa ti hanno fatto credere?!»

Ogni frase di Urie andava a riempire un vallo di silenzio teso. «Mi hanno solo tenuto in una cella e fatto mangiare quello schifo», proseguì Aiko. «Dopo anni mi sono fermata e ho pensato. Ho pensato tanto e io non posso dirti perché mi sento così. Non posso o tu nella migliore delle ipotesi smetterai di volermi bene.»

Non sembrava una buona premessa. Una persona normale, a questo punto, avrebbe insistito. Le avrebbe estorto tutto, perché lei era così vulnerabile da essere facilmente convincibile. Ma lui non fece nulla del genere. Rimase zitto e proseguì con la sua politica di seppellire i problemi sotto chili di belle parole. Seppellire la testa sotto la sabbia, per non vedere.

«Io non voglio perdere più nessuno, Aiko», le disse, senza peli sulla lingua, senza soste ne pause. Non poteva permetterselo. Sarebbe stato troppo per lui, troppo da tollerare. Fin da bambino non aveva avuto altro che perdite e perdite. Si era visto portare via tutti coloro che aveva amato. Aveva schermato il suo cuore dietro muri di cemento armato, prima di entrare in quella squadra che gli era arrivata nell’anima. Saiko, Mutsuki, Shirazu e Sasaki erano stati i primi esseri umani a vederlo nella sua vulnerabilità, ad accettarlo e a volegli bene nonostante fosse una persona orribile. Con ingenuità, pensò che Aiko si sentisse in quel modo per gli stessi motivi. Non aveva mai avuto una famiglia prima, aveva avuto una condotta scorretta. Non lo pensava, se ne convinceva. Lo voleva credere davvero perché non ce la faceva ad ipottizzare altro. Anche se la sua mente, per un attimo, tornò a quella sera nella diciannovesima, lo esorcizzò immediatamente. Aiko non era abituata a essere parte di una famiglia, così come non lo era lui. Se non si sentiva all’altezza, sarebbe stato lui a dargliela. «Sarò sempre qui per te», proseguì con decisione, sfrontato, «Così come Saiko, Hige, Ginny, Tooru e Shinsapei. Hai tante persone che ti amano anche se tu ti senti orribile. Oggi non mi è stato permesso di venire. Hirako è venuto qui a dirmi che nessuno dei Quinx sarebbe dovuto venire. Io in prima istanza, per evitare domande scomode. Però so che c’erano comunque moltissimi agenti che hanno garantito per te. sai cosa significa, garantire per un’altra persona? Dichiarare senza nessun dubbio che ti fidi di lei, che se facesse una cazzata, allora tu saresti persino perseguibile.» Si fermò un istante, perché finalmente lei lo guardava, come folgorata da questa consapevolezza. «Se ti senti così male. Se ti senti così uno schifo…. Da domani inizia a fare tutto ciò che è in tuo potere per seppellire ciò che hai fatto, grave o meno che sia. La vita è anche questo, no? Tutti meritano una seconda possibilità.»

Aiko rimase in silenzio, mentre una lacrima le rigava la guancia. Poi annuì, piano. Sembrava quasi che Urie avesse capito. Per un istante lei credette di averlo percepito. Il modo in cui la guardava, pareva urlare ‘so cosa hai fatto’. Eppure, se così fosse stato, allora sarebbe stato troppo semplice.

E la sua situazione era tutto meno che semplice.

Erano morte troppe persone a causa della sua doppia vita. Da entrambe le parti.

Nessuno avrebbe mai potuto perdonarle quello.

Però una cosa era vera….

Poteva impegnarsi per essere una persona migliore.

 

Così dimenticò la cassetta e la pennetta.

Concentrata su un futuro nel quale, grazie alla sua libertà, avrebbe potuto dimostrare che tutti potevano avere una redenzione.

 

Una pazzia pensata in un momento di puro idealismo.

 

 

La macchina di Aizawa puzzava di alcool. Era disgustosa, ma abbastanza vintage da avere un mangianastri. Purtroppo si era ricordata di quella cassetta e di quella chiavetta la mattina successiva, quando nell’armadio aveva cercato una canottiera da mettere sotto alla camicia. Aveva portato al lavoro quei due oggetti, ma non l’avrebbe mai fatto se avesse saputo che cosa contenevano per davvero.

Eppure in quel momento, seduta accanto al medico, sotto alla sua casa, prese coraggio e decise di far quel che andava fatto: sentire cosa volevano da lei. E chi.

«Pensi sia Aogiri?», le chiese il biondo, stringendosi nella giacca.

Lei non rispose subito. Era ancora pallida e sciupata, nonostante avesse dormito bene e mangiato abbastanza. Arima l’aveva messa a lavorare su delle planimetrie di Tokyo, quindi era anche rimasta tutto il giorno in ufficio a calcolare percorsi possibili. Eppure, nonostante questo, si sentiva ancora debole.

«I Clown? Aogiri? Tsubasa? Chi può dirlo. Qui dentro c’è di certo un ricatto», disse senza remore, prima di premere play. Fu come strappare un cerotto.

Ascoltò il lato A, che conteneva una canzone.

«Questa è Kagome?», domandò stranito Aizawa. «Odio questa canzoncina, è inquietantissima.»

Lei annuì stupita. La ascoltarono tutta, intonata da diverse voci di bambini, senza nessun’altra inflessione di voce o musica di fondo.

«Una canzone su dei bambini rinchiusi in una stanza per tanto tempo», valutò la mora, assente. «Felici di ricevere visite.»

«Una canzone su dei fantasmi. Hai presente la strofa del ritornello dove c’è la minaccia di non scappare via dai bambini, no? Che ansia, peggio di così non può andare.»

Il biondo voltò la casetta, premendo di nuovo play.

E se l’era cercata, perché stava andando decisamente peggio.

La voce che sentirono. Le parole che disse.

 

L’incubo che ricominciava e il mondo che le gridava che Aogiri non era la sola a impedirle di essere libera.

Non lo sarebbe mai stata.

 

Continua …

 

 

Nda

 

Lo so, è passato più di un anno dal mio ultimo aggiornamento, ma io questa storia non riesco a lasciarla. Tokyo Ghoul è stato molto importante per me, ma gli studi e altre piccole cose mi hanno portata a metterci tutto questo tempo.

Non ho mai smesso però.

 

Mese dopo mese, frase dopo frase, ho aggiunto un altro tassello.

 

Questa storia la finirò, anche se dubito avrò mai un seguito a causa della mia incostanza di cui mi dispiaccio molto. Se ci saranno ancora persone interessate, però, ne sarò molto felice. Questo capitolo è dedicato a tutti coloro che, leggendo il post di aggiornamento, penseranno ‘allora non è ancora finita’.

 

No. È appena iniziata.

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Il caso Re - 5 di 6 ***


 

僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

 

« Come procede il caso, Ai-Ai?»

L’agente dallo spettinato bobcut nero si voltò verso la suadente voce di Eto, mentre passava un asciugamano sul viso per portare via il sudore dalla fronte. « A rilento », rispose prima di prendere una garza dalla sacca nera in cui di solito buttavano un po’ tutto quello che poteva servire lì nella diciannovesima sede di Aogiri. Anche se potevano rigenerarsi in fretta, i ghoul erano i primi a voler coprire ferite o bruciature per arginare almeno un poco l’odore di sangue nell’aria. Era un qualcosa che pareva agitare gli animi. « Il quartiere di Kamata è sempre stato un casino per colpa della yakuza. Sasaki ha richiesto della documentazione urgente riguardante tutti i boss che lavoravano nella circoscrizione, i loro contatti con i ghoul…. Ci ho mandato uno dei Quinx a ritirarla*, il Laoshi voleva che ci allenassimo un po’ oggi. Dal mio trasferimento, è davvero difficile per me allontanarmi dallo Chateau senza attirare troppo l’attenzione.»

La Bambina con le Bende la osservò mentre si fasciava il braccio, su cui una brutta ustione cosparsa di qualche unguento che la mora doveva essersi portata da casa, faceva bella mostra di sé.

« Hai la giornalista alle calcagna? »

« Non ancora, ma ho visto quella donna circuire Itou tante volte. Arriverà anche a me prima o poi ».

Shukumei era ancora uno dei tanti visi fra la folla, per lei. La copertura era ancora solida e non doveva giustificarsi troppo su dove andasse. Il legame con Urie non era suggellato, Sasaki non era un capo restrittivo.

Quei giorni, che parevano lontani anni luce ma risalivano a meno di un anno prima dell’incidente con Noriko, erano ancora relativamente sereni. Certo, per quanto la sua vita potesse essere serena.

Con un panno di cotone ripulì la lama del dao, prima di riporlo con cura nel fodero. Il fatto che Eto la fissasse con il volto sorretto dalle mani non la infastidiva. Era diventato normale per loro passare il poco tempo a disposizione così, cullate dai pensieri e dal silenzio.

Tatara se ne era già andato, per cui non si sarebbero tenute brevi riunioni o ordini da incastrare in modo machiavellico con tutti i suoi impegni.

« Tornerai dal caro Kaneki ora, Ai-Ai?»

Aiko stava finendo si sistemare le sue cose, quando le venne fatta quella domanda che trovò un po’ strana.

« Credo di sì. Hai un incarico per me? », le chiese allentando appena la presa della maschera dietro alla sua nuca.

Eto si dondolò in avanti, prima di sospirare attraverso le bende. « Stai diventando forte con la spada…. ma la kagune? Quella la alleni? »

« Ci provo, ma mi sembra di essere un autodidatta. Sasaki non fa altro che allenare i Quinx alla resistenza fisica per verificare che i loro riflessi siano sempre all’erta. Devo anche far finta di non esserlo sempre per via di Tatara e farmi atterrare, ogni tanto.»

Era faticoso fingersi così poco abituata a venire sorpresa, agli agguati, al dolore lancinante che toglie il fiato quando si incrina una costola…

Lei queste ce le doveva sopportare quando era ancora umana e non aveva il privilegio di guarire in poche ore.

« Ti piacerebbe se fossi io ad addestrarti a usare la kagune, Aiko-chan?»

Masa si era voltata verso Eto con uno scatto, guardando ammirata la donna. « Vuoi…. Darmi delle lezioni?»

« Credo ne basterà una sola. La forza della kagune non viene dal kakou, ma da qui». L’indice di Eto andò ad appoggiarsi sulla sua stessa tempia, nascosta dalle bende sporche con cui si schermava agli altri per non farsi riconoscere. « L’immaginazione e la creatività saranno le tue alleate.»

« E cosa dovrei immaginare?»

Eto arricciò il naso, facendo increspare la garza, prima di risponderle. « Tutto ciò che vorrai. È questa la parte migliore: la mente non conosce limiti che non si autoimpone. Osserva. »

La kagune di Eto strisciò da sotto la stoffa della mantellina vinaccia. Nonostante fosse un kokakou, sembrava una liana sottile, simile alla coda di un bikakou. Altre protrusioni si ramificarono da essa, tutte assumendo colori differenti, arricciandosi su loro stesse fino ad assumere la sagoma delle ali di una libellula dalle sgargianti sfumature. Risplendevano e pulsavano.

« Devi solo immaginarlo. Ora anche tu hai questo potere, sarebbe proprio un peccato sprecarlo. »

 

Capitolo quaranta

 

 

 

 

Aiko Masa, sento che un po’ te lo aspettavi, di risentire la mia voce. In verità, se me lo concedi, mi piace illudermi che ora tu sia stupita, sgomenta difronte alla mia più raffinata macchinazione. Mi rendo conto che sia difficile stupire una persona come te, ma voglio provarci lo stesso. Sappi però che è il mio ultimo atto in questa commedia degli errori. Nessun gran ritorno, nessun colpo di scena.

Soprattutto, nessun lieto fine.

Voglio raccontarti la mia storia, da capo, senza censure né fraintendimenti. Senza più omissioni perché quando avrò finito di incidere queste cassette, la Morte entrerà da quella porta. Forse anche prima, ma sarebbe uno spreco. Ci ho messo tutta la mia anima nella più grande missione della mia vita e non voglio venire dimenticata.

Non voglio che questa storia venga dimenticata.

Per cui eccomi qui.

Il mio nome per intero è Shukumei Kurei e nelle mie vene scorre il sangue dei Washuu. Però quasi nessuno si è appellato a me con questi nomi. Ne ho avuti tanti in passato, troppi. Ho avuto così tante identità da perdere me stessa. Mi hanno chiamata Lisca, mi hanno dato un raiting poco lusinghiero, e hanno ucciso il mio migliore amico.

Cos’altro mi hanno fatto le colombe? Mi hanno reso una quinque? Questo sarebbe anche troppo crudele, considerando chi se ne occupa…

Ad ogni modo, per tutta la vita sono scappata, rifugiandomi dietro nomi fittizi per diventare una sopravvissuta. Anche se sono molto più di tutto questo.

Anche i miei genitori non hanno fatto altro che fuggire, ma loro perché stavano combattendo per qualcosa di giusto. Il loro amore, la loro libertà. Entrambi sono morti prima che io comprendessi davvero quanto importante sia lottare per quello in cui si crede. Ho sprecato la mia vita facendomi domande, cercando risposte e non ho davvero vissuto pienamente. Mi sono innamorata, ho trovato un lavoro che adoravo, amici che mi volevano bene. Ma è sempre stato a metà, perché non ho mai smesso di cercare V. E ora V ha trovato me.

Sai, i miei genitori si sono conosciuti lì, nel Sunlit Garden. Mio padre era un agente e mia madre veniva sfruttata come ghoul da riproduzione. Non sono nemmeno certa che quello fosse davvero mio padre, ormai, vista la situazione, ma mi amava e io l’ho sempre amato per cui io sono certamente sua figlia. Come potrebbe essere altrimenti? Lui ha rinunciato alla libertà per donarla a mia madre e a me. La mamma è stata la mia famiglia e lei era una persona migliore di quanto posso esserla stata io. Ha aiutato tanti ghoul, tanti ragazzi, prima mi venisse portata via.

Per questo io sto aiutando te, per onorare la sua memoria. Ho appreso cose, cercando V, che saranno più utili a te che a me. Così che si possa dire che è valsa la pena essere morta per questo.

Aiko Masa, i Washuu sono ghoul. Ogni singolo componente di quella famiglia lo è e V è il loro piccolo e letale esercito personale. Il Giardino Soleggiato è il luogo in cui allevano agenti, generando ibridi quasi tutti mezzi umani. Tra loro c’è Arima, figlio del Presidente Tuneyoshi. Anche Nimura Furuta è uno di loro. Uno di noi. Lui è il peggiore di loro e dovrai guardarti alle spalle perché tu non hai un vantaggio ora che ti ho fatto questa confessione. Lui sa già tutto di te, è collegato ad Aogiri e ai Clown in modi e maniere che non so spiegarmi. Ma è la sola conclusione a cui sono arrivata. Credo che lui sia Souta, un pezzo grosso fra i pagliacci, ma è bravo a coprire le sue tracce. Una cosa di cui sono sicura però è che lui e Arima sono alle dipendenze di un uomo chiamato Kaiko e per V fanno il lavoro sporco. Non so chi di loro mi ucciderà, se verrò invece riportata al Giardino per prendere il posto di mia madre. Farò di tutto per morire e non permetterglielo.

Per quel che riguarda te, non sprecare la tua vita come ho fatto io. Nella chiavetta che ti ho lasciato ci sono le prove che incriminano Eto in quanto Gufo col Sekigan. Foto e video sulla vera identità di Takatsuki Sen che si è procurato un mio caro amico. Mai avere un portatile con telecamera e microfono. C’è anche qualcosa su Furuta e le sue attività coi Clown, forse non abbastanza da accusarlo, ma qualcosa per la disciplinare sì. Se sei nei guai, devia l’attenzione di Marude da te, buttandolo nella fossa dei leoni.

Esci dal giro, liberati.

Vendicati di Eto e riprenditi la tua vita.

Patteggia, rivela tutto e poi prendi Urie e vattene in Thailandia finché puoi.

Io mi pento di non averlo fatto, di non aver preso Ivak ed essermene andata.

… Non aspettare di fare una brutta fine, perché questo è il solo finale che avrai se non smetti di fare il doppio gioco. Scegli la parte giusta, quella che ti farà sentire viva.

E fallo per te stessa. 

Addio, Mei.

 

 

 

Aiko non si era mai data malata in quasi cinque anni di servizio. Sette se si contava anche l’accademia. Aveva avuto dei giorni di permesso perché era rimasta ferita o troppo coinvolta emozionalmente, come dopo la morte di Orihara o l’attacco nella Ventesima, ma non aveva mai deliberatamente deciso di rimanere a casa. Non aveva mai sentito un luogo sicuro abbastanza per poterlo fare.

Arrotolata sotto le coperte aveva detto a Urie di non sentirsi bene e aveva chiamato il suo capo per avvertire che quel giorno non si sarebbe presentata. Non aveva avuto paura della risposta di Arima, e quando questi le disse che poteva prendersi qualche ora per riposare, lei a malapena ringraziò, buttandogli il telefono in faccia e rimettendosi a dormire come se quella fosse la sola cura alla sua anima in pena. Non le interessava delle conseguenze.

Era già nei guai e sentiva di star affogando in essi.

Non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Mei. Tutto quello che le aveva detto in quella maledetta cassetta. Sapeva alcune delle cose che la ragazza le aveva rivelato, ma altre non le avevano nemmeno mai sfiorato la mente. Sapere che Furuta era a conoscenza di ogni suo sporco segreto la metteva a disagio e la faceva sentire fragile. Non solo. L'intero castello di carte che si era costruita attorno in quegli anni stava crollando inesorabilmente. Ormai troppe persone sapevano chi fosse davvero, quanto fosse compromessa. Hsiao lo aveva scoperto, Ivak lo aveva saputo, Spaventapasseri lo sapeva, Kaneki ci sarebbe presto arrivato. Aiko credeva che persino Urie lo sapesse ma semplicemente stava negando a se stesso la verità. Lo diceva sempre, che non avrebbe più perso nessuno. Non dopo Shirazu.

Marude sospettava di lei e Masa era a conoscenza del fatto che è quello fosse il suo problema principale. Da quando Eto l'aveva lasciata alla mercé di tutti questi errori, che accumulandosi avevano creato una voragine nella sua credibilità, si sentiva esposta ed era conscia che non sarebbe riuscita ad affrontare la tempesta che Marude le avrebbe riversato addosso da sola. E lui non l’avrebbe risparmiata dopo quello che aveva fatto a Noriko.

Il fatto di essere rimasta senza l'appoggio di Aogiri la esponeva totalmente. C'erano tante cose che non avevano alcun senso nella sua testa e una di queste era perché fosse ancora viva nonostante la mole di informazioni che aveva contro la cellula terroristica. Si era quasi convinta del fatto che Eto dovesse avere un piano, come un impietoso Dio, o che magari Tatara aveva chiesto e ottenuto di poterla salvare per pura pena nei confronti della sua disgraziata allieva.

Il problema più grande rimaneva il suo debito con Uta. Quello non aveva idea di quando e come lo avrebbe ripagato. Si stava convincendo che presto o tardi sarebbe andato a reclamarlo e a quel punto lei non avrebbe potuto fare nulla se non esaudire le sue richieste, perché per la prima volta da quando ne aveva memoria era davvero sola. Aogiri l'aveva tenuta imprigionata nella sua rete di bugie, ma allo stesso tempo l'aveva sempre protetta. Aiko era convinta che nonostante tutto non importava quanto le cose sarebbero andate male, non importava se mai l'avessero scoperta; avrebbe sempre trovato un porto sicuro fra le fila di Aogiri. Quella sicurezza le era stata tolta nel momento in cui l'avevano allontanata, nel momento in cui Eto l’aveva allontanata. Se l'avesse uccisa, anche se in quel momento Aiko voleva, le avrebbe risparmiato una morte assai peggiore di quella a cui sarebbe andata incontro.

Il problema più grande rimaneva il suo debito con Uta. Quello non aveva idea di quando e come lo avrebbe ripagato. Si stava convincendo che presto o tardi sarebbe andato a reclamarlo e a quel punto lei non avrebbe potuto fare nulla se non esaudire le sue richieste, perché per la prima volta da quando ne aveva memoria era davvero sola. Aogiri l'aveva tenuta imprigionata nella sua rete di bugie, ma allo stesso tempo l'aveva sempre protetta. Aiko era convinta che nonostante tutto non importava quanto le cose sarebbero andate male, non importava se mai l'avessero scoperta; avrebbe sempre trovato un porto sicuro fra le fila di Aogiri. Quella sicurezza le era stata tolta nel momento in cui l'avevano allontanata, nel momento in cui Eto l’aveva allontanata. Se l'avesse uccisa, anche se in quel momento Aiko voleva, le avrebbe risparmiato una morte assai peggiore di quella a cui sarebbe andata incontro.

Per una soffiata da una delle tante persone che ormai sapevano.

C'erano però altre cose che proprio non riusciva a comprendere. Come la chiave della coclea che Yamamto le aveva fatto avere. Perché a lei? Cosa doveva farci? Sarebbe potuta essere un'ottima merce di scambio proprio per liberarsi del debito con Uta, ma questi cosa ne avrebbe fatto? Avrebbe liberato Donato Porpora e lei questo non lo voleva.

Era l’ultimo Ghuol che Mikito Urie aveva catturato e non voleva sputare sul suo retaggio, aveva già preso Kuki senza meritarlo.

Non sapeva più cosa volere e cosa non volere, cosa fare e cosa non fare. Era perseguitata dalla consapevolezza che non sarebbe mai guarita dopo tutte le cose che erano successe. Le cose che aveva fatto e aveva subito. Non aveva mai superato tutti i traumi si erano accumulati anno dopo anno da quando Tatara le aveva detto che sarebbe stato meglio morire nell'attacco della Ventesima. Non aveva superato la notte in cui l'Anteiku aveva smesso di esistere e lei con esso. Non aveva superato tutte le cose orribili che le avevano fatto fare, tutte le persone che aveva dovuto – e anche voluto- fare fuori, tutte le missioni che aveva sabotato. Ciò che le era successo nel Corniculum e poi anche durante lo scontro nelle fogne erano ancora ferite fresche, che sanguinavano silenziose, ma non si era mai fermata troppo a riflettervi e non aveva mai concesso alla paura di mangiarla come stava succedendo in quel momento. Per anni era andata avanti a testa bassa, ignorando tutto persino, se stessa e i suoi bisogni, il dolore fisico e quello psicologico, la fame e la fatica, solo per sopravvivere. Ma sopravvivere la sua era la sola cosa che era davvero in grado di fare, perché non aveva idea di come si vivesse. La felicità che provava era data da altri. Urie la rendeva felice, così come i ragazzi dello Chateau , quelli diciannovesima…

Però tutto il resto era come polvere su di lei, sull’inferno che diventato era la sua vita, sulla reputazione che ormai era lesa perpetuamente.

Era tanto, troppo da affrontare, e quel piumone le sembrava pesare quintali appoggiato sopra il suo esile corpo trasformato per sempre da un'operazione che lei non aveva nemmeno voluto, ma che l'aveva resa potente in un modo che lei faceva venire le vertigini e le aveva creato dipendenza.

Chi era lei? Chi era Aiko Masa? Cosa voleva davvero? Che futuro avrebbe potuto avere se l'avesse fatta franca? Urie avrebbe comunque amata? Anche dopo aver scoperto che tipo di persona fosse?

Come poteva pretendere di essere amata se nemmeno lei amava se stessa.

Per cui che motivazione c'era di alzarsi dal letto, vestirsi di tutto punto, uscire di casa e fingere di essere una persona che non era? Lo aveva fatto per così tanti anni da essere satura di tutta quella falsità. Odiava se stessa al punto tale che non aveva voglia di continuare a vivere ma allo stesso tempo che ripudiava l'idea di morire. Aveva le foto e aveva i video che Mei le aveva procurato, ma avrebbe mai tradito Eto? Perché non pensavo che l'avrebbe mai fatto. Non sapeva quale fosse il sentimento che provava per quella donna, forse la sindrome di Stoccolma? Forse era la gratitudine di averla resa la persona che era? Ma che persona era? Capace di sopravvivere a tutto come uno scarafaggio. Senza dubbio, qualche deviato giochino mentale doveva averglielo fatto, perché Masa non voleva che la sua liberazione corrispondesse all'incarcerazione di una persona con un'ideale tanto nobile. Perché lei in quegli ideali che Aogiri spargeva col sangue sui marciapiedi di Tokyo, Aiko ci credeva.

…Non sapeva se affrontare la situazione o no. Denunciare o no. Andare avanti con la sua vita o lasciare che la arrestassero. Dire tutto quanto l'uomo che amava, che avrebbe dovuto sposare di lì a qualche mese, e vedere tutto l'odio il disprezzo sul suo viso o lasciare perdere, e godere il tempo che avevano assieme consapevole che non sarebbe stato abbastanza.

E quel piumone diventava sempre più pesante, quella morsa sempre più soffocante, e  Aiko era consapevole che non era la persona giusta per giocare il ruolo della vittima, perché in quella situazione ci si era messa da sola. Eto l’aveva anche costretta ad entrare in Aogiri, ma lei non aveva chiesto aiuto. Non lo aveva fatto con Koori e Take, o con Sasaki e Urie. Né con nessun altro. Aveva impersonato Labbra Cucite per anni e le era piaciuto. Certo, non aveva mai smesso di avere paura di Eto e Tatara, ma era arrivata ad aiutarli anche quando avrebbe potuto omettere. Anche quando aveva avuto la possibilità di scappare.

La cassetta non le avrebbe aperto gli occhi, le cose che Mei aveva detto le sapeva già, ma non avrebbe più potuto ignorarla.

Per cui rimase stesa per ore e ore, cercando di trovare un senso nella sua vita. Quando nessuno andò a cercarla, quando venne solo sommessa di messaggi che le auguravano di sentirsi meglio e lunghi sproloqui di Ivak sulla possibilità che Mei fosse viva, nel Giardino Soleggiato, si arrese al fatto che era quello il motivo per cui non aveva mai risolto nulla.

Perché aveva sempre atteso che qualcun altro prendesse le decisioni per lei.

Il piumone si fece leggero solo quando, per la prima volta, realizzò che Arima non sarebbe andato a prenderla per costringerla a lavorare. Che per la prima volta, poteva prenotare un biglietto aereo per qualsiasi località fuori dal Giappone perché Eto non le avrebbe impedito di scappare.

Guardando la tela bianca che Urie aveva appoggiato sul trepiedi senza però toccarla, si sentì solamente una piccola macchia in un enorme dipinto. Non era più niente, era solo un agente come molti altri.

Era una ragazza come molte altre.

Il suo passato non l’avrebbe mai potuto cancellare, ma poteva nasconderlo sotto al letto e andare avanti.

Quello era il più grande smacco che avrebbe potuto fare ad Eto.

Imparare a vivere.

Combattere per quello in cui credeva senza delineare una fazione, ma vivendo alla giornata.

Così si alzò e si disse che poteva fare una valigia o vestirsi e andare in ufficio.

Col cellulare controllò i voli per l’estero, ne trovò alcuni per la Thailandia.

Ci pensò su davvero, di andarsene e poi scrivere una cartolina a Urie che solo lui avrebbe capito per vedere se l’avrebbe o no raggiunta.

Un piano le si delineò in mente, ma poi pensò a Kenta. Pensò ad Hakatori e a Tatara. Pensò a Sasaki, Saiko e i Quinx.

Pensò alla guerra che stava arrivando e capì che lei, in quella guerra, aveva un ruolo.

Che per qualcosa Eto doveva averla addestrata.

Che aveva Arima da cui imparare quanto possibile per sopravvivere un’ultima volta.

Così si mise un completo, prese le valigette e chiamò un taxi.

E sorrise.

Perché aveva scelto lei e per quanto facesse paura, finalmente avrebbe preso a incolpare solo se stessa se tutto fosse andato male.

Era più di quanto avesse mai avuto.

 

Due settimane passarono velocemente e per la metà di Novembre, nessuno ricordava più cosa fosse successo fra Aiko e Noriko. Altre vicissitudini si erano succedute. Una squadra era stata del tutto distrutta da Shikorae. C’erano state segnalazioni di attività sospette nella dodicesima. La S3 aveva lavorato strenuamente sulla ricerca dei fedeli al Re col Sekigan, ma nessuno di loro aveva portato a termine nulla di fatto. Era disarmante il numero di missioni a cui dovevano partecipare. Aiko era abituata a una o due grosse operazioni al mese. Con la squadra Arima ne aveva almeno tre a settimana. Ogni piano di assalto era preceduto da diversi meeting, dalla pianificazione di ogni singola massa, dalla boria dei capi squadra che sapevano di avere bisogno di loro mano li volevano troppo presto attorno, per paura di vedere il merito per ricadere sulle loro spalle. Cosa che poi puntualmente avveniva. Aiko non si era mai sentita così tanto popolare come in quelle due settimane. Superato l'assestamento e ‘l'incidente’ con Noriko, poteva tranquillamente definirsi una delle piccole stelline nascenti della CCG. Sapeva di aver ottenuto una posizione lavorativa che non meritava, ma che in tanti bramavano. Lei stessa, quando è entrato a far parte della CCG, mi aveva sognato di raggiungere la vetta. Perché lavorare come braccio destro di Kishuo Arima voi era la vetta. Ora doveva solo ottenere promozioni, concentrarsi sulla carriera, uccidere ghoul. ovviamente quelli giusti, quelli che lei nella sua presunzione avrebbe deciso di uccidere.

Con la metà di novembre arrivarono anche le promozioni. Sapeva di aver ottenuto risultati davvero importanti. Il caso Embalmer e tutti gli altri che aveva risolto nella squadra Quinx,  i servizi che aveva reso come tecnico forense e l'aver salvato la vita a più persone durante l'esplosione della bomba nella sede centrale, ai civili durante le missioni, ai suoi compagni di squadra, la candidavano a pieni voti per diventare agente di classe superiore.

Non credeva però che ci sarebbe riuscita. Lei stessa riconosceva, per quanto poco si sentisse in colpa, che ciò che le era stato condonato nel momento in cui aveva quasi ucciso la psicologa dipartimentale, fosse stato un errore troppo grande che aveva messo in discussione tutte quelle vittorie ottenute negli ultimi sei mesi.

Fu Arima a dirle che sarebbe stata promossa a prima classe nella cerimonia del quindici novembre. Aveva convinto il direttore che visti i risultati che Aiko aveva ottenuto in squadra e singolarmente, e tenendo conto che la causa dell’attacco a Noriko era dovuto ha un problema legato al suo livello di cellule RC, anche lei meritasse di venire promossa come d'altronde era apparentemente stato deciso dopo lo scontro con Tatara.

Anche Naoki venne promosso a primo livello, così come diversi altri agenti provenienti dalle più disparate squadre. Tutti gli occhi però erano su di lei, l’agente che aveva quasi ucciso un collega, ma che ne aveva salvati altri due. Masa suscitava opinioni molto contrastanti fra le mura del CCG.

Con riluttanza il direttore Washuu la passò di grado, pronunciando il suo nome velocemente, a mezza bocca, ma senza perdere la professionalità. Non le venne data però nessuna medaglia, nonostante meritasse che le venisse riconosciuto che la sua vita era stata messa in pericolo nel momento in cui si era frapposta fra Tatara e i suoi sottoposti.

Raggiungere il grado di agente superiore all'età di ventidue anni era cosa assai rara, ma nessuno se ne stupì davvero. Era successo anche a Koori e tutti coloro che Arima mi aveva preso sotto la sua ala.

Il giorno stesso in Aiko venne promossa, Riko Noriko diede le sue dimissioni dopo più di vent'anni fra quelle mura, nonostante l'affetto che la legava a Yoshitoki Washuu. Decise che non sarebbe tornata dopo il congedo per malattia a servire in una causa che permetteva a persone come Aiko Masa di potere portare un'arma. Di essere un'arma. Il CCG che l’aveva formata, che l’aveva fatta diventare la professionista che era aveva cessato di esistere da molto tempo. Lei non sarebbe stata una pedina in un gioco malato in cui tutti chiudevano un occhio e coprivano l'altro solo per ottenere grandi risultati.

Masa lo venne a sapere da Ivak durante il rinfresco. Sentì come un peso sollevarsi dal suo petto, uno piccolo rispetto a tanti altri che la soffocavano, ma comunque ho uno in meno.

 

Aiko era l’agente con il grado più alto lo Chateau, nella settimana di preparazione al Festival sportivo che avrebbe coinvolto ogni dipartimento della CCG. Si trattava di un evento importante che ricorrevo ogni due anni; doveva essere una sorta di celebrazione al lavoro di squadra e all'amicizia che legava indissolubilmente gli agenti a prescindere dalla squadra di appartenenza. Ma la verità era che la competizione era alle stelle. La maggior parte delle indagini proseguirono, ma nell'assurdo alcune squadre che avevano piste fredde sospesero le attività per dedicarsi anima e corpo all'allenamento. Successe anche la squadra Arima. Tanti appostamenti erano stati decisi e un paio vennero anche fatti, ma la lentezza con cui il loro caso andava avanti permetteva al caposquadra di attuare una vera e propria politica di bullismo sui membri della S3. Masa sapeva che lui non era l'unico a pensare che la sconfitta non era contemplabile; Akira Mado, che si era unita alle unità dello Speciale Houji nel momento in cui i Quinx erano stati assorbiti dalla S2, aveva messo insieme un gruppo per la staffetta che sembrava promettente. Mentre i biglietti andavano a ruba non solo fra le famiglie degli agenti ma anche fra civili curiosi, tutti cercavano un modo per accaparrarsi almeno una delle medaglie in palio. Le opzioni erano molte; il salto in alto, i 1000 metri, la scherma, il lancio del peso e  quasi tutte quante quelle branche dell'atletica leggera che Aiko aveva praticato solamente in Accademia. Niente però era come la staffetta. Tutte le squadra bramavano a piazzarsi primi proprio in quella disciplina perché indicava non solo abilità fisiche notevoli ma anche sinergia fra i compagni di squadra. Lei ormai si era abituata alla tensione pre gare; quando era nella squadra Hirako si erano piazzati quarti, un risultato di tutto riguardo. Nella squadra Itadashi lei era stata messa in panchina nonostante le gambe lunghe e la giovane età, però si ricordava il tifo che aveva fatto per i suoi compagni, urlando i loro nomi così forte da avere un abbassamento di voce. Quell'anno aveva vinto la gara di salto in alto femminile, ma era felice che fossero state cancellate le categorie di genere, perché gli agenti donna erano un quinto degli agenti uomini.

Tutto sommato era anche divertente, di tanto in tanto, prendersi una settimana per dimenticarsi della morte in ogni sua sfaccettatura per ritrovare un po’ quella gioia di passare del tempo insieme ai colleghi senza riflettere su chi avevano perso o su chi avrebbero presto dovuto dire addio.

Arima però aveva fatto del Festival un vero e proprio inferno in terra. Aveva scrupolosamente diviso tutti quanti così da coprire quanti più sport individuali possibili. Aveva messo Nimura nella corsa a scatto, Naoki nel lancio del giavellotto, Sasaki nella scherma, Hirako nei 1000 metri, Aiko in quasi tutte le competizioni che riguardavano la resistenza, così come del resto aveva fatto con se stesso. Che perdesse o vincesse la staffetta, la S3 era la squadra che tutti gli anni portava a casa più medaglie di qualsiasi altra. Venivano appese tutte quante in ufficio, non tanto come vanto per il caposquadra, ma come ricordo a tutti i presenti nella stanza che il duro allenamento a cui venivano sottoposti dava dei risultati che potevano riscontrare semplicemente alzando gli occhi sulla parete. Era pura motivazione, quella motivazione che lui non sapeva esprimere a parole, ma con gesti come quello, il quale  mostrava l'orgoglio che provava per gli uomini che lui stesso si era scelto.

Quell'anno però ci sarebbero stati anche i Quinx. certo Arima ne aveva ben due in squadra, ma Urie poteva contare su cinque corridori geneticamente modificati. Aiko dubitava che le prestazion di Saiko e di Hige sarebbero state degna di nota, ma gli altri tre avrebbero dato a tutti filo da torcere, soprattutto Hsiao a cui era stato dato il doppio giro dal momento che non erano in sei.

Tempo prima Sasa che aveva scherzato sostenendo che Arima li avrebbe fatti correre attorno a Tokyo finché non si fosse ritenuto soddisfatto del loro tempo. Non avevano circumnavigato la città, ma unanimi erano piuttosto sicuri che chilometri che avevano macinato correndo e correndo in quella settimana avrebbero tranquillamente potuto cerchiare Tokyo almeno due volte. Almeno questa era la sensazione che aveva Masa ogni volta che si stendeva a letto la sera sentendo i muscoli delle gambe tirare e ricordandosi che quantomeno se lei si fosse mai stirata un muscolo quello si sarebbe rigenerato subito.

 

« Dal momento che mancano solo tre giorni alle gare, assegnerò a tutti incarichi più leggeri». Arima si era mostrato come un Dio indulgente pronto regalare ai suoi uomini un po’ di ristoro prima di una giornata importante. In realtà voleva solo che si allenassero di più nella cora, ma non lo disse ad alta voce. « Take e Sasaki, voi due sarete di riposo. Avete diritto a tre giorni di ferie, vista la vostra anzianità di servizio». Masa si era sentita incredibilmente invidiosa, ma andava anche detto che i due non avevano mai preso una pausa o un giorno di permesso da che lei aveva a memoria. « Naoki e Furuta, da voi mi aspetto un lavoro sugli archivi del dipartimento riguardanti i casi aperti a cui la S3 ha partecipato nell'ultimo anno. » La notizia non era stata accolta con gioia, ma era comunque un lavoro migliore di tanti altri che avevano svolto nelle ultime tre settimane. « Aiko, come ben saprai, la nostra squadra è stata invitata a partecipare alla cerimonia di apertura del nuovo anno di corsi presso La Prima Accademia Junior della CCG. Mi hanno chiesto di fare un discorso, ma io non ho proprio il tempo di prepararlo. Voglio che partecipi le attività dell'accademia e prende il mio posto nella giornata di inaugurazione. Saranno solo due giorni, il terzo potrai unirti a Furuta e Ikari. »

Si era illusa per un istante che le avrebbe dato un giorno libero.

Ma lei in fondo più giornate se n'era già presa una.

La Morte Bianca lascio la stanza, mentre tutti quanti si mettevano al lavoro. Sasaki lasciò effettivamente l'ufficio, mentre invece Hirako continua indisturbato a battere sulla tastiera del suo computer, come se non avesse appena ricevuto tre giorni di ferie.

Aiko era basita. « Come può aspettarsi che io possa prendere il suo posto e fare un discorso? » Non era davvero una domanda quella che aveva posto, quanto più l'esternazione di una certa frustrazione interiore. « Tutti quanti mi odieranno! Si aspettano lui, il miglior agente della CCG, e si troveranno me, un agente colluso che ha quasi ucciso la psicologa dipartimentale. »

« Vuoi fare a cambio? », chiese Ikari, ruotando gli occhi verso l'alto. «Detesto il lavoro d'archivio, ero così felice quando ho scoperto che non avrei fatto internato in questa squadra. Odio la burocrazia sotto ogni punto di vista e mi ritrovo dover amministrare quella di un'intera squadra. »

« Ma suvvia suvvia, Ikari-kun, ci divertiremo da morire. Laggiù negli archivi puoi prenderti tutte quante le pause che vuoi, nessuno viene mai controllare », gli disse fiducioso Furuta. Più lo guardava più Aiko pensava fosse improbabile che dietro quella persona così strana, all'apparenza amichevole, potesse celarsi un tanto mirabile nemico. Fece comunque buon viso a cattivo gioco e sorrise, apparentemente appoggiando il collega nella sua opera di convincimento verso il più giovane della squadra.

« Ne farei volentieri a cambio, ma sono certa che Arima-san non sarebbe felice. »

« Almeno potrai passare del tempo col tuo fidanzato», le fece notare Nimura, sorridendo smaliziato e lanciandole una pallina di carta. « Sicuramente vorranno presentare anche tutti quanti i meriti della Quinx Squad, così da potersi accaparrare qualche nuovo pezzo di carne a cui impiantare il kakuo. »

«Potrai anche parlare della tua esperienza in questo senso », aggiunse Hirako senza alzare gli occhi dallo schermo. « Ci sono persone hanno preso l'operazione con leggerezza, ma dovrebbero tutti essere al corrente di cosa comporta. In fondo ti allenerai con loro, mangerai con loro, parlerai con loro. Non che io sia un esperto, ma rendere i nostri cadetti più consapevoli dei rischi di questo lavoro comporta è un dovere di ogni agente di livello superiore. Adesso stai lavorando come uno dei rappresentanti delle migliori squadre della CCG, loro non lo sanno che cosa hai fatto Noriko, vedranno soltanto un agente così giovane ma già membro della squadra d'elite».

«Take-san ha ragione, Aiko-san. Farei di certo un figurone! »

 

 

«Matsuri ti ha per caso chiesto di fare un discorso, domani?»

Seduta sulla panchina, Aiko chiuse la borraccia e la ripassò a Urie. Lui la mise al sicuro nello zainetto, prima di voltarsi a guardarla. « Mi ha chiesto di preparare una breve introduzione alla squadra Quinx e alla vita allo Chateau. Mi ha anche detto di evitare esplicitamente di parlare le conseguenze dell'operazione per impiantare l'organo predatorio. A quanto pare il Direttore ha paura che questo potrebbe spaventare le reclute ».

« Hirako Voi sostiene che gli agenti di livello superiore dovrebbero rendere partecipi i cadetti dei rischi legati al mestiere. Non è una cosa facile sopportare tutto questo potere, soprattutto se si ha una giovane età. »

« È un bene che ci sia anche tu allora, dal momento che io non sono un agente di livello superiore».

« Ti brucia ancora che sia stata promossa prima di te?»

« Solamente un po’. Mi rifarò sicuramente quando vincerò la staffetta a squadre.»

La ragazza sbuffò una risatina pregna di amarezza. « Se non vinciamo noi, sono abbastanza sicura che Arima ce la farà pagare. Posso almeno sapere la struttura della vostra squadra così da sapere contro chi dovrò correre?»

« Perché, tu quale turno hai? Conoscendo Arima-san, avrà sicuramente messo i più lenti per primi, i più bravi per secondi e quelli non umani a recuperare il tempo perso vedi giri finali. »

Aiko sorriso beffarda. « La strategia di Arima-san è tutto meno che ovvia, ma scommetto che questa è la tua. Povero Hige, sarà nervosissimo di aprire la corsa, ma farlo fare a Saiko sarebbe rischioso».

Il giovane non rispose, alzandosi dalla panca e sistemandosi i guanti sulle mani. Faceva freddo, ma i loro corpi predisposti all'adattamento rendevano più facile quell'allenamento extra serale a cui nessun’altro lo Chateau aveva preso parte. Aiko era abbastanza sicura che fosse stato tuto progettato per lasciarli soli, ma quella situazione era tutto quel che romantica.

« Coraggio Ai,  finiamo questo allenamento. Domani ci aspetta una giornata lunga e dobbiamo sembrare riposati.»

« Io non sembrero mai piu riposata perché non riposerò mai più finché non sarò morta.»

« Dopotutto sei un agente di classe superiore », la prese in giro sottilmente, increspando le labbra in un sorrisetto e precedendolo. Aika sbuffò e una nuvoletta di condensa le apparve di fronte al suo viso.

Fece per seguirlo, magari superarlo, ma notò una figura vicino al chiostro al margine del parco. Non gli si avvicinò, ma permise che i loro sentieri si incrociassero vicino al cancello che conduceva di nuovo la strada.

« Yuuhei», lo chiamo con sollievo, guardando il giovane dai capelli rossi.

Soldato le sorrise, le mani affondate nel giubbotto imbottito e le occhiaie di chi non sta dormendo molto bene. « La libertà ti dona ma sembri un po’ emaciata. »

« Non sono poi così libera in effetti, ma non credo che dovrei lamentarmi. Non abbiamo molto tempo, ma vorrei sapere perché sei venuto a cercarmi esponendoti così tanto. »

« Otome ringrazia per il messaggio che le hai fatto trovare», le fece sapere. Aiko aveva fatto in modo di lasciare un bigliettino in uno dei luoghi di predazione di Hakatori, in codice e in cinese. Lo aveva scritto male con la mano non dominante, la destra, per distorcere la grafia. Le aveva semplicemente detto di sparire per un po’.

« Ne sono lieta», rispose tenendo gli occhi sulla strada per vedere se Urie fosse tornato indietro a cercarla. « Come va a casa? »

Fu strano, ma le venne da dire così. Casa. La sede della diciannovesima.

« Regna il caos», le disse lui, iniziando già ad allontanarsi. « Regna il caos un po’ ovunque. Ti terrò aggiornata.»

« Stai al sicuro.»

« Anche tu, Aiko-senpai».

In pochi passi sparì oltre il cancello, mentre lei avanzava sulla strada cercando di recuperare un po’ di strada. Nella sua testa aveva già la scusa del crampo che l’aveva rallentata….

…Ma non sapeva che Urie l’aveva osservata in disparte, come aveva già fatto in altre occasioni.

In silenzio, ma consapevole.

 

 

 

Aiko raramente si era sentita fuori posto come in quel momento. Stretta in un altro dei completi eleganti di Shukumei color avorio, aveva allentato la cravatta argentea, ma non si era azzardata a mettere mano alla camicetta nera. Aveva chiesto a Saiko di acconciarle i capelli lunghi, così da non averli sul viso e si era truccata poco come da suggerimento di Urie. Aveva poi indossato il lungo trench argentato e si era presentata nella sede centrale della prima accademia con un certo anticipo, accompagnata dal capo dei Quinx che sedeva alla sua sinistra.

Aveva lavora al discorso per due giorni, prima di decidere che avrebbe per lo più improvvisato.

Mai si sarebbe aspettata di vedere arrivare Take, a darle sostegno.

A modo suo, naturalmente.

« Sei il vice caposquadra, dovresti parlare tu della S3. »

« Non sono mai stato un gran oratore. »

Nemmeno lei, almeno se paragonata a Koori Ui, che aveva illustrato  i pregi e i difetti della S1, di cui era il direttore esecutivo. Così come la S3, erano le migliori squadre per gli attacchi estemporanei, con la differenza che la S1 lavorava per lo più allo smantellamento delle organizzazioni di ghoul. Non a caso, Koori aveva condotto l’inchiesta del caso Rose. Che fosse poi finita male aveva peso, certo, ma non al fine del discorso. Aiko aveva letto sui loro volti ammirazione nell’osservare uno dei pupilli di Arima.

Matsuri era stato molto meno bravo e carismatico. Aveva sbocconcellato qualcosa sulla S2, su come fosse delle varie divisioni, quella tattica. I grandi piani nascevano fra le menti della S2. Poi si era lasciato andare in un monologo davvero poco motivazionale su come metà di loro non sarebbe stata composta da buoni agenti, di quanto il dipartimento di Tokyo si stesse rammollendo affidando cariche sempre più importanti a incompetenti – alludendo nemmeno troppo velatamente a Ui- e di come il requisito fondamentale per ogni buona colomba fosse la sete di conoscenza.

« Il nemico, per sconfiggerlo, devi conoscerlo.»

Aiko aveva trattenuto un sorrisetto pensando al fatto che, detto da un ghuol contro i ghou, fosse ironico. Peccato che solo lei poteva saperlo.

Si sporse in avanti per lanciare un’occhiata a Ui, il quale impassibile scosse il capo in modo appena percettibile.

Urie fu il più equilibrato di tutti loro. Un  po’ come lo era stato Hoji quando lei stesse era in accademia e ascoltava i discorsi degli agenti che aprivano il semestre scolastico di metà anno.

Però non disse nulla sulla pericolosità dell’intervento. Si limitò a presentare il progetto Quinx, a elogiare Matsuri per la sua conduzione del team e anche il dottor Chiba per la maestria nel prendersi cura della loro salute.

Masa abbassò gli occhi quando tornò a sedersi senza avere detto nulla su quella piccola pecca che era il rimanere, per tutta la vita, sospesi a metà fra due mondi. Di quanto psicologicamente fosse massacrante. Di quanto male facesse aver perso Shirazu sapendo che, se fosse stato umano, si sarebbe fermato prima.

Hirako le diede una gomitata e lei, con un piccolo sospiro, si alzò. Fra gli studenti si diffuse un leggero mormorio, che cessò nel momento in cui Aiko sistemò il microfono. Questo gracchiò, prima di lasciare spazio a una pausa. Posò le mani sul leggio e si voltò appena.

Hirako alzò il pollice e fece un cenno.

Luce verde.

« Il mio nome è  Masa Aiko e sono un agente di prima classe del comando anti-ghoul». Non notò nessuno lanciare occhiate a un compagno o sussurrare qualcosa. La paranoia che la stava divorando non le aveva fatto pensare che, alla fine, si era distinta solo per due cose: la soluzione del caso Embalmer e aver affrontato Tatara. Noriko era stato l’ennesimo insabbiamento. Era normale infondo, anche il padre di Akira aveva collezionato una serie di insabbiamenti notevoli, così come Hachikawa.

Non era speciale.

Era un agente con un pessimo comportamento come ce n’erano tanti.

« Oggi sono qui in rappresentanza della S3 e faccio le veci del mio partner, il classe speciale Arima Kishou».

« La S3….»

« Come è giovane…»

« Anche io voglio entrare nella S3.»

I mormorii vennero zittiti dal rettore dell’accademia, che richiamò al silenzio tutti i cadetti. Aiko aveva nel frattempo ricevuto una botta di autostima che le riempì il petto come un venticello primaverile. « Come molti di voi sapranno, la S3 si occupa delle missioni più importanti, come la difesa degli uffici principali della CCG e come copertura alle altre squadre per le missioni ad alto profilo. Se dovessi riassumere la S3, direi che è la squadra che Difende; laddove la S1 attacca e la S2 pianifica, la S3 compie un lavoro fondamentale all’interno dell’organico investigativo. Nell’ultimo anno, la squadra ha abbattuto oltre duecento ghoul nell’arco di cinquantadue diverse occasioni. In più, la S3 è incaricata di indagare ed eliminare i membri dell’Albero di Aogiri e il Gufo col Sekigan ».  Fece una pausa, mentre tutti gli occhi erano su di lei. Sentiva anche quelli di Matsuri a bruciarle la nuca. Quelli di Marude, che avrebbe chiuso la giornata parlando in vece al direttore Yoshitoki. « Nella S3 non è possibile entrare semplicemente candidandosi a una squadra. Dovete venire scelti dallo speciale Arima, che dirige infatti solamente di poche unità, di cui due spiccano: la squadra principale di cui faccio parte anche io e la compagnia di Elitè, la S0, della quale i nomi dei membri non sono rivelati per scopi tattici. Ci sono anche altre squadre, come quella del prima Hachikawa, ma a cui vengono delegati lavori differenti. Quindi, è mia convinzione che chiunque possa entrare nella S3. »

Di nuovo, si diffuse un mormorio diffuso.

Lei guardò di nuovo Take, indecisa. Urie corrugò le sopracciglia perplesso nel notare quello scambio di sguardi, ma alla fine Aiko si voltò di nuovo verso gli studenti.

« Con rispetto, dissento da quanto detto dallo speciale Washuu. La CCG non si sta affatto rammollendo. I nostri nemici si sono semplicemente fatti più furbi. Conoscono le nostre mosse e conoscono i nostri intenti. Io non sono molto più grande di voi e nemmeno lo speciale Ui, men ché meno il primo livello Urie, ma è mia convinzione che la CCG diventerà più forte proprio grazie all’impegno dei giovani. Grazie a come ci rapporteremo in futuro nei confronti dei ghoul. Perché sì, un nemico per sconfiggerlo devi conoscerlo, speciale », disse voltandosi di tre quarti verso Matsuri, che stava fumando di rabbia repressa. Kuki socchiuse le labbra per lo stupore di fronte a un così tanto sfrontato gesto. Certo, Aiko era sempre stata sfacciata e non poteva dire che andasse d’accordo con Matsuri, ma quando notò la luce che colorava gli occhi di miele della ragazza, ne lesse gli intenti. Lei lo voleva umiliare, abbassarlo, e questo non era un comportamento tipico di Aiko. Non c’era l’ombra di un sorriso beffeggiatorio sul volto ovale della Masa, ma una serietà granitica che quasi ne cambiava i connotati. « Bisogna prima di tutti conoscere se stessi, i propri limiti e la propria forza. Per questo invito ogni studente che mi sta ascoltando a dare il massimo. Ognuno di voi può diventare un membro di queste tre divisioni, anche della S3, sfruttando quello che a mio avviso è il solo requisito che vi renderà agenti degni di questo nome: la curiosità. Siate curiosi, comprendete la natura dei ghoul e allora capirete come diventare bravi abbastanza da sopravvivere alla guerra del genere umano contro questo nemico naturale. Io è così che sono arrivata fin qui, chiedendomi il perché di ciò che stavo facendo. Chiedendomi perché i ghoul si comportano nella maniera in cui si comportano. Solo mettendo in discussione le convinzioni arbitrarie e le antiquate nozioni con cui vi infarciscono la mente qui dentro, farete carriera. Tutta via,  non credo che salire di grado velocemente sia il punto focale nel voler diventare agente. Chiedetevi prima di tutto per cosa combattete, poi una volta compreso questo, troverete il vostro posto. Non ha alcun senso che io ora vi spieghi chi siamo e cosa facciamo nello specifico,  che vi butti lì due o tre frasi motivazionali per farvi studiare di più. Non ha nemmeno senso che provi a spiegarvi cosa significa per me o perché la S3 è così speciale… o perché Arima Kishou è così straordinario. Ognuno di voi è prezioso, unico, non è un esperimento sociale né un catino in cui rovesciare altisonanti aspettative. Scegliete davvero se volete diventare agenti attivi o se, piuttosto preferireste lavorare dietro a una scrivania, perché scoprirlo durante la prima missione non sarà piacevole. »

 

 

 

 

« Ti avevo detto che sarebbe stata una pessime idea mandare me.»

« Il tuo discorso a me è piaciuto.»

« Se eri lì, potevi parlare tu stesso. Perché diavolo mi hai dato campo libero? Adesso Matsuri mi odia ancora di più.»

Urie non aveva scollato gli occhi da Arima dal momento in cui era entrato nel suo campo visivo. La Morte Bianca aveva applaudito al discorso di Aiko, spezzando il silenzio che era venuto a crearsi a causa di quelle parole così…. dirette. Sincere. Quando era in accademia, Urie non si era mai sentito dire nulla di simile. Lo avevano imbellettato di parole rigurgitanti buoni propositi e grandi azioni. Questa tracotanza che si era accesa in lui di fronte al discorso del classe speciale Marude durante l’apertura del semestre scolastico lo avevano condotto fino all’adesione alla Quinx Squad.

Il suo applauso aveva generato quello che Aizawa chiamava il miracolo di Arima: tutta la sala aveva risposto all’applauso che aveva messo tutti a tacere nemmeno tre secondi prima. Tutti ne avevano parlato, il classe speciale Ui aveva detto di appoggiare ogni singola parole mentre i classe speciali Aura e Tanakamaru, rappresentanti delle prime due Divisioni, si erano trovati in difficoltà nel rivolgersi agli studenti dopo quella sorta di richiesta alla rivolta di pensare.

Aiko aveva spostato il focus dall’uccidere i ghoul al capirli e a quanto aveva detto Matsuri in un impeto di pura rabbia, una volta sceso dal palco, non era mai successo un simile scandalo dalla fondazione della CCG.

Perché era quello il punto.

Un agente della S3 aveva detto a dei cadetti che dovevano capire i ghoul, conoscerli per vincere, e Arima aveva applaudito a quelle parole.

« Non so che gioco stia facendo Kishou, ma non sta ridendo nessuno», aveva soffiato Washuu prima di lasciare la palestra. Urie aveva compreso pienamente cosa intendesse. I cadetti erano entusiasti,  quasi tutti per lo meno, facevano domande ai tre rappresentanti della S3 mentre i volti degli agenti veterani si facevano via via sempre più scuri.

« Cosa sta succedendo a Macchan? », aveva chiesto Saiko mentre di accostava a lui.

Entrambi guardavano questa donna alta, coi capelli raccolti e il viso stanco, con un leggero sorriso malinconico. Non c’era entusiasmo nelle azioni che compiva, né energia nelle risposte che elargiva.

Era seria.

Composta.

E Urie quasi non la riconobbe quando fece un inchino come si deve e lasciò la sala dietro al suo capo, senza degnare di uno sguardo nessuno, pronta a tornare al lavoro.

Senza degnare lui di uno sguardo.

« Non ne ho idea.»

La spiazzante consapevolezza che no, non l’avesse, lo paralizzò.

 

 

 

 

« Sei molto silenziosa, oggi.»

Aiko non smise di guardare Tokyo scivolare veloce oltre la protezione del finestrino, appoggiando ad esso la tempia, prima di sospirare. « Sono state due giornate molto lunghe, in accademia. Credevo mi avresti messo a lavorare con Furuta e Ikari oggi, invece mi hai fatta girare come una trottola per tutta la Cochlea. »

C’erano diversi ghoul ‘reclamati’ dalla S3, per la maggiore da Sasaki, che dovevano venire eliminati quel mese. Aiko aveva letto dossier, parlato con i prigionieri e con i responsabili delle indagini ad essi collegati. Poi aveva spuntato una casella.

L’aveva stancata emozionalmente e fisicamente il dover decidere se porre fine a una vita spuntando una casella.

Avrebbe preferito avere una quinque in mano.

Le sarebbe sembrato meno disumano.

« Mi sarebbe tanto piaciuto partecipare alla festa d’autunno della Prima Accademia Junior coi Quinx, stasera.»

« Loro sono la tua famiglia?»

Gli occhi da gatto di Aiko si erano spostati sull’uomo alla guida.

Arima non era un gran chiacchierone, ma quando si trovava insieme a un membro della sua squadra, poteva diventare quasi logorroico. Quasi.

Aiko si era chiesta cosa volesse dire essere un Dio e guardare dei piccoli fantocci di carne dall’alto. Forse lo incuriosiva.

« Erano anche la tua, una volta.»

« Lo sono ancora, ma sono sotto la guida di Matsuri adesso.»

Ironico.

I Quinx erano stati creati perché c’era la necessità di avere un agente che potesse essere migliore di Arima e chi aveva avuto la direzione del progetto? Arima. A chi l’aveva passato, quando Sasaki era tornato da lui? All’agente che più di tutti l’avrebbe voluto screditare.

Ironico.

« Potrai salutarli quando mi accompagnerai a casa». Aiko si era messa a sedere diritta. Stavano viaggiando su un ponte, verso una zona della quarta circoscrizione che non conosceva bene. Aveva smesso di chiedere ad Arima cosa dovessero fare quando lui aveva smesso di dare risposte concrete. Certo, non che ne avesse mai date. « Si tratta di un tracciamento o un supporto?»

« Prego? »

« Il lavoro che dobbiamo fare ora. Non stiamo andando lì? »

« Stiamo andando a casa, Aiko.»

Quelle parole le fecero gelare il sangue nelle vene, perché lei non sapeva di preciso dove si trovassero. Persa così tanto nel ricordo delle occhiate che Marude e Matsuri le avevano lanciato, non aveva prestato attenzione agli svincoli.

Si ammutolì e Arima non aggiunse altro.

Quando parcheggio di fronte a un capannone dall’aria dimessa, Aiko sentì la cena risalirle in gola. « Cosa pensi succederà ora?»

Non rivedrò mai più Kuki.

Non parlerò mai più a Tatara.

Finisce tutto in questo posto isolato?

« Come lo hai scoperto? »

Arima non apprezzava che gli venisse risposto a una domanda con un’altra, ma non disse niente.

Uscì dalla macchina e prese le quinque dal baule. Quando vide che Aiko non sembrava intenzionata a muoversi, scaricò anche le sue, assieme a una borsa di plastica nera.

Lei non seguì i suoi movimenti. Riflettè sul fatto che stretta in quello stupido completo non avrebbe avuto la possibilità di estrare la kagune appena scesa dal veicolo.

Ma poi…. Perché?

Arima l’avrebbe fatta fuori senza nemmeno impegnarsi.

Forse poteva scappare, ma non c’erano tetti a cui aggrapparsi, muri dietro cui-

Il bussare delle nocche dell’uomo contro il vetro quasi le fermò il cuore. « Andiamo, siamo già in tardo.»

Non diede segno di voler rispondere alla sua domanda o di averla sentita.

La guardò scendere dall’auto, con capo abbassato, prima di metterle in mano le sue quinque. La precedette, mentre nella mente di Aiko si susseguivano mille scenari. Doveva attaccarlo mentre le dava le spalle?

Perché le aveva messo in mano le valigette, se doveva abbatterla?

Lo sapeva davvero?

Continuò a seguirlo per inerzia, quella famigliare sensazione di rassegnazione a consumarla dall’interno…

Ma non morì nemmeno quella volta.

Arrivata all’interno del capannone, vide Ui seduto su un materasso da palestra, intento a fumare. Accanto a lui, in piedi con la quinque appoggiata alla spalla, c’era Take. Sasaki sedeva in fondo allo stanzone, con addosso quei guanti rossi accecanti.

Tre ragazzini molto giovani completavano in quadretto. Anche loro erano su uno dei materassini, due seduti e uno steso. Appena videro Arima misero via le carte con cui stavano giocando e il ragazzino dai capelli azzurrini si mise composto come tutti gli altri, che si erano alzati.

« Cosa sta succedendo?»

Aiko trasalì quando realizzò che lei aveva post quella domanda.

Arima le lanciò la busta nera, che lei prese al volo, lasciando cadere la valigetta di Aus a terra.

« Mi dispiace che perderai la festa dell’accademia, stasera. Koori?»

« Ci penso io».

L’agente dal caschetto scuro le si avvicinò e, appoggiandole la mano sulla spalla, strinse piano. Poi sorrise. « Benvenuta nella S0, Aiko ».

Anche l’altra valigetta venne appoggiata al suolo e quando Aiko mise le mani nella busta che Ui le stava indicando con un cenno del capo, trovò un lungo cappotto argentato, pieno di stringhe e con un grande cappuccio. La stessa giacca che ogni altro membro lì presente indossava.

I membri della S0.

Si sentì così stupida.

Arima, Hirako, Ui, Hairu….

E quel trench, così specifico. Unico.

Ma sempre sotto ai suoi occhi.

« Sono nella S0, ora?», mormorò confusa, spaesata.

Take sospirò. «Certo che poteva anche dirtelo che stasera saresti venuta in missione con noi».

« Abbiamo avuto una soffiata sulla posizione degli smoking bianchi», le aveva detto Koori e lei aveva ringraziato lo smarrimento che provava, capace di coprire l’orrore che aveva sentito a quelle parole. « Entriamo in azione ora, ma non temere. Tu starai nella retroguardia con Take, dal momento che non conosci le nostre formazioni.»

Hirako aveva annuito, prima di notare tre facce apparire oltre le sue spalle, incuriosite e sospettose. « Per queste questioni, abbiamo qualche minuto in elicottero. Prima vanno fatte le presentazioni. »

 

 

Continua…

*rimando al litigio che hanno avuto Aiko e Urie nel capitolo nove, a causa di questa documentazione che Urie ha dimenticato! Ho pensato fosse carino ricordarlo, visto che quel capitolo è stato scritto a febbraio 2017!

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Capitolo 41
*** Il caso Re - 6 di 6 ***


僕は孤独さ – No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

 

Arima si era fatto strada fra i cadetti, scivolando silenzioso come un soffio di vento mattutino che appena piega i fili d'erba in una carezza.  Aveva sfilato fra le colonne di sedie, attirando l'attenzione solamente nel momento in cui era apparso nel campo visivo di una giovane ragazza, probabilmente del primo anno, che aveva lanciato come un cinguettio sorpreso alla vista della Morte Bianca fra loro. Lontano dal palco e dai riflettori che l’avrebbero reso la principale delle attrazioni. Non era andato lì per quello, ma per assistere.

Arima aveva proferito una sola parola, mentre ascoltava il discorso di Aiko.

Aveva prestato molta attenzione alla scelta delle parole, ma poi si era lasciato distrarre dal modo in cui esse venivano pronunciate. C'era un fuoco che bruciava ardente nelle iridi dorate di Masa, tanto giovane e sprovveduta, quanto rovinata. Nemmeno un Dio sarebbe riuscito a guarirla da quelle profonde ferite che la dilaniavano, nessuno sarebbe mai riuscito a sollevarla dal dolore in cui era sprofondato tanti anni prima e lui ne era consapevole.Conosceva il dolore, più a fondo di quanto avrebbe mai potuto ammettere. Rimase quasi affascinato dalla maniera in cui una persona che si era detta essere non qualificata a sufficienza da poter tenere un discorso, aveva poi ammutolito un'intera palestra piena non solo di giovani inesperti ma anche di veterani. Le sue parole erano come veleno, iniettato nelle orecchie di Matsuri;non erano una provocazione al sistema, non erano un gesto generoso di un agente con qualche anno di esperienza che voleva avvisare le giovani leve ciò che avrebbero incontrato sulla loro strada se non avessero adeguatamente scelto il loro posto. Quella era pura soddisfazione personale, egoismo e voglia di rivalsa verso Matsuri, e in esso rivide Eto. 

Nessuno gli era mai sembrato nemmeno lontanamente ambizioso e determinato quanto lo era stata Eto.

E poi eccola lì, stretta in un completo color avorio che non stava bene con la sua carnagione, ma con la testa alta di una regina che non ha intenzione di fare cadere la corona nemmeno davanti a un drago. 

In quel momento Arima lo capì. Se non si fosse sbrigato, se non avesse fatto le scelte giuste e se non avesse mosso pedine più velocemente su quella scacchiera che cambiava ogni giorno rendendolo quasi cieco nei confronti della sua avversaria, allora Eto avrebbe avuto un vantaggio e questo non poteva permetterlo. Doveva esserci un equilibrio. Si erano detti che se tre teste fossero cadute, allora tre avrebbero preso il loro posto. 

La ragazza che stava di fronte a lui, che parlava con quella veloce ricolma di tracotanza, avrebbe tranquillamente potuto essere regina, cavallo e torre. Nessun pezzo degli scacchi però poteva fare gli stessi movimenti degli altri. Persino la regina era vincolata. 

Quando le parole lasciarono spazio a un silenzio confuso fu lui a romperlo; alzò le mani e iniziò a batterle rivelando così la sua posizione, suscitando la rabbia di Marude, il disprezzo di Matsuri, e lo sgomento dei presenti. Assieme a quello sgomento però raccolse tutti i consensi come così facilmente vi diveniva. 

Attese che anche gli ultimi oratori parlassero prima di avvicinarsi ai suoi uomini. A quel punto successe qualcosa che nemmeno Arima aveva previsto. Masa alzò la sedia senza degnare nessuno di uno sguardo, si avvicinòa lui silenziosa facendo un piccolo inchino capo, e poi aveva preteso spiegazioni.

Lui era presente perché far tenere il discorso a lei?

Tutto però aveva un senso nei disegni di Arima. Si disse nella sua testa che era pronta per il passo successivo e guardando verso Koori lo fece capire anche a lui. Aiko era un pezzo degli scacchi fondamentale per Eto. Lei l'aveva plasmata esattamente come l'aveva voluta, per anni Arima era stato a conoscenza del fatto che Eto aveva tra le mani qualcuno che Kishou avrebbe scartato. Un fantoccio di pezza che lui non aveva creduto possibile potesse diventare una protagonista della guerra che sarebbe arrivata in futuro. E invece eccolo lì, il pezzo decisivo che lo avevano mandato in confusione. Re in angolo. Scacco. Poteva soltanto allineare i suoi alfieri e magari sacrificare un pedone, cercando di tenere Eto lontana. Però quella regina avrebbero potuto sfruttarla insieme. Dopotutto sulla scacchiera ce ne sono due e Aiko era abituata alla sua triste doppia vita. 

Arima se ne dispiacque, ma aveva sacrificato tanto per arrivare a quel punto. Avrebbe sacrificato ancora molto altro. Lei era soltanto un altro pezzo da mandare al macero. 

Ma non l'avrebbe lasciato fare a Eto, le avrebbe tolto la soddisfazione di muovere e farsi mangiare la regina. 

Aveva sacrificato tanto.

Avrebbe sacrificato ancora molto.

 

Capitolo quarantuno

 

«La libertà è decidere cosa farai per te stessa d’ora in poi.»

 

Questo era stato tutto quello che Arima le aveva detto mentre scendevano dall’elicottero. Lei aveva già il cappuccio calato sul capo per celare la sua identità al resto degli agenti accorsi nella tredicesima e il suo capo stava dirigendosi con passo sicuro verso Suzuya, che avrebbe coordinato lo smantellamento di un cospicuo – a detta loro- numero di Smoking Bianchi. Aiko aveva smesso di dispiacersi per loro fine quando la Morte Bianca l’aveva riportata alla realtà con quella frase. Di giorno in giorno, Masa si convinceva sempre di più che lui in un modo o nell’altro avesse scoperto tutto, che sapesse benissimo chi fosse e cosa avesse fatto. Non poteva riferirsi solamente al suo atteggiamento nichilista nella squadra Hirako, non dopo aver collezionato così tanti brillanti successi con  i Quinx. Sulla carta, lei aveva smesso di buttare la sua vita ma l’aveva messa a disposizione per gli altri. Per salvare membri della sua squadra e risolvere casi impossibili.

Che eroina… 

Che ipocrita. 

« Io, Sasaki e Rikai affiancheremo Arima nell’avanscoperta », spiegò Koori mentre si sistemava per bene il cappuccio così che le  ciocche del caschetto non scivolassero oltre il bordo. Uno del tre ragazzini che facevano parte della squadra, la sola femmina, lanciò uno sguardo sprezzante ad Aiko, prima di girare sui tacchi per avvicinarsi ad Haise, l’unico eccetto Arima a non nascondersi dietro a nessun capo di abbigliamento. Il solo a vestire il nero, fra loro. Aiko si chiese perché Rikai non pareva trovarla simpatica, ma soprattutto si chiese quanto pazzo fosse Arima a far partecipare a delle operazioni al limite del mortale dei quindicenni. « Yusa, Shio, Hirako e Masa, vi occuperete delle retrovie. Non fatevi male. »

Un ultimo sorrisetto sprezzante e poi il classe speciale li congedò. 

« Vedo che Koori non perde mai il suo schifoso sarcasmo nemmeno in missione », valutò Aiko, facendo ridacchiare il ragazzino dai grandi occhi verdi. 

« Il classe speciale Ui è divertente, infondo », le disse con la voce sottile tipica dei ragazzini che ancora non l’hanno totalmente cambiata. Shio le sorrise incoraggiante, alzando il pollice, prima di prendere le sue spade e scaldarsi un po’ i polsi facendole roteare. Anche Yusa prese la sua spada, sfilandole di fronte con lo sguardo puntato in avanti. Shio la adorava, Rikai la odiava. Yusa la ignorava. 

« Da uno a dieci quanto sono indesiderata qui? »

Take spostò gli occhi dal cellulare che aveva in mano, guardandola perplesso come se non fosse sicuro stesse parlando con lei. Poi inviò una gif a sua nonna, interrompendo la conversazione via chat con un grosso cuore di glitter. « Se sei qui è perché sei molto voluta. Arima poteva portarti dopo il festival, ad ogni modo. Non conosci nessuna formazione. Sarà un mistero come- »

« Sisì va bene, non starò fra i piedi», lo interruppe con un gesto della mano, prendendo a sua volta il telefono e trovandoci un messaggio di lamentele di Urie su quanto le feste potessero essere noiose. 

-Tu pensi proprio di non farcela a passare? Nemmeno per un saluto? Hige ci teneva.-

Aiko aveva sorriso intenerita, isolandosi da Take che le stava dicendo di non usare la kagune se non in un momento in cui non fosse possibile notarla troppo per preservare la sua identità. 

« Come se le quinque non ci smascherassero già abbastanza.»

« Quelle tecnicamente si possono prendere in prestito, ma una kagune è un po’ difficile sfilarsela dalla schiena. »

« Farò del mio meglio allora. Certo, in una squadra di soli uomini ogni tanto mi viene voglia di sbatterlo anche io sul tavolo, il mio organo predatorio, ma mi tratterrò.»

-Non credo, abbiamo risposto a un’emergenza : ( ti racconto dopo. E comunque, per amor di cronaca, se vuoi vedermi, non devi usare Hige come scusa ; ) scommetto che sei uno schianto. – 

Dopotutto, Urie stava lavorando molto su Matsuri per venire anche lui promosso, ma questo Aiko non glielo scrisse. In una condizione normale, lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Anzi, avrebbe iniziato il messaggio con quella provocazione, ma dopo la cassetta di Mei aveva abbassato parecchio la testa. Era certa che anche lui l’avesse notato, ma non avevano avuto molto modo di parlare. Aiko non sapeva nemmeno se avrebbero mai davvero parlato di nuovo. Lui l’aveva detto, che non voleva perdere più nessuno ed era pronto a macchiarsi della peggior ignavia per evitarlo.

-Fai attenzione, Ai. Ti aspetto a casa.-

Sorrise teneramente di fronte a quel messaggio, stringendo il telefono con entrambe le mani per qualche secondo, mentre si decideva se scrivere un altro messaggio o meno. Si guardò attorno e notò un paio di agenti che stavano vomitando per la tensione. Altri invece erano semplicemente nervosi, o rassegnati. Rivide se stessa in quel nervosismo, ma leei non era più così da un po’, anche se ogni volta che abbassava la guardia tornava ferita.

Non era scritto da nessuna parte che solo perché c’era Arima avrebbe riportato la pelle a casa.

Non c’era scritto da nessuna parte che pur usando tutta la sua forza senza più trattenerla, non sarebbe finita di nuovo in ospedale o peggio, in una casa.

Per cui seguì il suo cuore e digitò. Rilesse e inviò, col cuore che le batteva forte contro la protezione del petto, sotto al cappotto.

-A dopo. Ti amo, Kuki Urie.-

« Ci spostiamo ora », le disse Hirako, « copriamo le squadre Tsubashi e Maguchi dal versante ovest del complesso residenziale.»

Aiko annuì e si chinò per prendere le valigette, mentre il telefono le vibrava in mano. Guardò quasi colpevole Take, che impassibile, le disse che aveva dieci secondi per presentarsi in linea. 

Velocemente sbloccò il telefono e si sentì abbastanza delusa dalla risposta di Urie. 

-Ora sì che sono preoccupato.-

Aiko sospirò, liberando Aus delle costrizioni di metallo e impugnandola, mentre si chiedeva cosa si stesse davvero aspettando da lui, che faticava a dar fiato ai suoi sentimenti di persona, figurarsi al telefono. Fece per mettere via l’apparecchio per raccogliere la valigia di T-Human, quando questi vibrò di nuovo. 

Lesse dal display, senza aprire il messaggio e non riuscì a trattenere un sospiro accompagnato da un sorrisetto stupido, da ragazzina innamorata. 

-Ti amo, Aiko Masa. Ripresentati allo Chateau in un unico pezzo- 


 

« Yu, Shio, formazione 11!»

Aiko si sentiva un po’ stupida e lasciata da parte in tutto quel gioco di intrecci e incastri. Alla fine si erano sostituiti alle due squadre che dovevano coprire per facilitare la loro ritirata e si erano letteralmente messi a fare le pulizie di pasqua a metà ottobre; corpi di ghoul moribondi o già trapassati ricoprivano il pavimento a mattonelle scure del corridoio che stavano ripristinando per garantire un’uscita veloce alle squadre dell’avanscoperta. Aiko non aveva mai apprezzato abbastanza le squadre che permettevano a lei e gli altri colleghi delle precedenti avventure di potersene uscire fuori a fumare una sigaretta subito dopo uno scontro, invece di venir bloccata in una tenaglia mortale. Lei non si stava nemmeno sforzando troppo, limitandosi a non colpire i colleghi con la lunga impugnatura della pesante Aus, che mulinava e menava a destra e manca. 

Arima le aveva detto, sull’elicottero, che se avesse fatto come diceva lui, sarebbe stata promossa a speciale in cinque anni. Se fosse rimasta nella S3 anche dopo il matrimonio, se avesse desiderato far carriera, l’avrebbe messa a capo di una sua unità alla fine del percorso e allora avrebbe ottenuto quello che voleva. Fare di testa sua. 

La sola condizione era smettere di fingersi debole. Smettere di trattenersi.

Come lui facesse a sapere che si risparmiava era un bel mistero, ma le poche volte che non l’aveva fatto era andata a finire molto bene, come quando Labbra Cucite si era beffeggiata di Urie Kuki senza nemmeno farsi un graffio, o molto male come quando era finita sotto alle scarpe del suo Laoshi.

C’era però un che di catartico nel non dover calcolare ogni minima mossa. Nel lasciare che la sua kagune si allargasse e diramasse come le grasse ali di una falena per proteggere i suoi compagni, oppure che si irrigidisse come i rami di un albero per trafiggere sette nemici in un solo colpo. Gli insegnamenti di Eto davano finalmente i suoi frutti sotto gli occhi meravigliati dei bambini del giardino e quello sempre apatici di Take. Poi c’erano Aus e T-Human. Se la lancia era come una estensione del suo braccio, abutuata all’arma dalla graziosa Izanami, T-Human rimaneva ancora un mezzo mistero che non aveva senso sfoderare nella modalità spada e che nella modalità raggi non sapeva ancora usare. Pochi agenti erano portati agli ukako e lei non era evidentemente fra loro e il potenziale elettrico di T-Human rimaneva quindi inutilizzato.

Su quello Arima avrebbe avuto da ridire.

Con la coda dell’occhio Aiko vide Yusa retrocedere, stanco, per schermarsi dai colpi di un grosso koukako. Come se l’avesse previsto, impedì che cadesse a terra dopo aver pestato su un braccio e lo spostò con energia usando un sottilissimo ramo di kagune che con una precisione chirurgica lo alzò in aria e lo spostò di due metri. Poi prese la rincorsa, sciogliendo i legami rc per essere libera di muoversi e roteò la lancia nel palmo, tenendo le dita stese fino a che la lancia non ebbe l’inclinazione giusta. Poi ne infilzò due, chiedendo mentalmente scusa ai sottoposti di Naki, che morirono ancora incastrati nella sua arma. La ritrasse, sentendo ossa, legamenti e muscoli far un poco di resistenza prima di venire recisi dalla lama violetta, che roteo di nuovo per pulire dal sangue.

L’arma di Hairu non sarebbe potuta finire in mani più rispettose. 

« Corridoio ovest ripulito. Estrazione dei feriti sicura, ripeto: estrazione dei feriti sicura », comunicò Take nella trasmittente, mentre tutti si risistemavano i cappucci. 

Aiko fece per raccogliere la valigetta, ma Shio lo fece per lei, sorridendole contento mentre le si affiancava. Lei sorrise a sua volta, sistemandogli il cappuccio meglio sul viso.

Le piaceva quel piccoletto, metteva allegria.

« Se avessi sempre combattuto così, ci saremmo evitati un bel po’ di grane », le fece notare Hirako, mentre diverse unità mediche passavano attorno a loro. Aiko lo tirò di lato per permettere ai barellisti di fare il loro lavoro. 

« Non capisco cosa intendi, Arima mi sta insegnando a combattere così. »

« Come no. »

Take non insistette, però alzò il capo facendole cenno. 

Su una trave di sostegno a due metri da terra, Yusa li guardava con interesse, dondolando le gambe mentre sgranocchiava quella che sembrava una barretta. 

« Sto bene, ma non lasciatemi qui», disse loro, mentre Aiko si portava una mano sulla faccia.

Non si era nemmeno accorta di averlo portato in alto e non lontano, tanto era concentrata a non tranciare il suo corpo in due con la kagune. 

« Ti faccio scendere…. Appena siamo di nuovo soli», confermò facendo ridacchiare Shio e strappando un sorrisetto anche a Take. 

 

 

Le luci dello chateau erano spente quando entrò dalla porta principale, inserendo il codice dell’allarme prima che questo allertasse del suo ritorno tutto il vicinato. Si sedette lentamente sul gradino di legno, constatando che era quasi l’una di notte e quindi aveva difronte a sé ben sette ore prima di doversi presentare al campetto di atletica dell’accademia per provare ancora e ancora la routine della staffetta. Se la prese comoda, mettendo le valigette nel loro vano e appendendo il cappotto argentato. Lo guardò di nuovo con conflitto, da una parte onorata e lusingata mentre dall’altra certa che non servisse a niente. Non doveva rimanere nemmeno nella s3, in fin dei conti, no? Doveva sposarsi, fare  quattro mesi con Arima nemmeno fosse lui la sua luna di miele – dal momento che mai le avrebbe concesso il tempo per farne una- e poi tornare nei quinx, nella sua squadra. Alla sua routine. A passare ogni istante sveglia con Urie, come sua vice.

Da una parte, lo voleva con tutta se stessa. Era uno strazio accumulare poche ore giornaliere e sperare che il giorno libero fosse davvero libero. Dall’altro canto, quel capotto se lo era guadagnato. Perché Aiko non si era mai sentita all’altezza di niente nella vita, aveva vissuto con la sindrome dell’impostore tutta la sua dannata esistenza, ma da quando era entrata nella squadra di Arima, aveva fatto cose interessanti. Per il cielo, anche prima. Da quando aveva iniziato a lavorare anche per se stessa, per risolvere i casi per conto di Sasaki, quando aveva voluto trovare Nagachika e ci era riuscita. Quando aveva affrontato Tatara, salvata la diciannovesima, riportato a casa Seidou….

Lei se lo meritava di essere nella S0. Di essere accanto ad Arima.

La squadra che cammina sul filo della legalità non poteva che darle un posto in cui accucciarsi e aspettare che la fortuna finisse.

Perché magari nella vita non era brava a fare nulla che non fosse uccidere e smascherare gli altri, ma in quello era dannatamente brava o credeva di esserlo.

Per cui non sapeva se volesse tornare davvero indietro.

Per amore, credeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Ma l’Amore non avrebbe dovuto chiederle tanto.

Si fece un appunto mentale di parlarne con Urie seriamente, come due adulti, mentre infilava le ciabatte e sganciava il reggiseno da sotto la camicia. Iniziò anche a liberare i capelli dalle trecce che li stringevano al capo, mentre andava silenziosamente verso la cucina per uno snack pre-nanna. Un profumo molto più invitante di qualsiasi biscotto le arrivò subito al naso. Seppur nell’oscurità, avrebbe potuto dire dove si trovava Urie senza sbagliare di una spanna. In quel caso specifico, era sul divano e a giudicare dal respiro costante e rilassato, dormiva come un sasso. Si sporse per accendere una piccola lampada sul tavolino della poltrona e poterlo guardare.

Lui non si svegliò, segno che doveva essere parecchio stanco. Passò le dita delicatamente fra i suoi capelli, non forzando le ciocche ancora imprigionate da un leggero velo di lacca, prima di appoggiare entrambe le mani in grembo. Si sedette sul tavolino da tea per poterlo guardare meglio e in quel momento sentii tutto l’amore che provava per lui. Era destabilizzante, come cercare di mantenere l’equilibrio in un mare mosso. Eppure, allo stesso tempo, la rasserenava. Sarebbe stata casa sempre, se Urie fosse stato lì ad aspettarla.

« Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi in silenzio ancora per molto?»

« …Perché devi sempre uccidere il romanticismo?»

« Guarda che non è normale fissare la gente così.  »

Pigramente, Kuki socchiuse gli occhi ancora velati dalla stanchezza, passando le iridi serpentine sulla compagna, quasi si stesse accertando che fosse per davvero tornare a casa tutta in un pezzo. Finiva sempre per farsi male o a trascinarsi a causa della stanchezza dopo turni così lunghi. Però gli sembrava stare meglio del solito. La pelle era chiara e tirata sul viso e quelle occhiaie non se ne sarebbero andate facilmente, ma gli occhi erano luminosi come non li vedeva da qualche settimana. Certo, dopo tutto quello che era successo con Noriko, c’era una ragione se Aiko sembrava sempre su un altro pianeta. Però quel giorno aveva assunto una nuova sfumatura. Urie non riusciva a levarsi dalla testa come si era inchinata al rettore della prima accademia per poi uscire, silenziosa ed educata, alle spalle di Arima. 

Avevano parlato tanto nei primi giorni alle dipendenze della Morte Bianca e Urie aveva scherzato sul fatto che l’avrebbe trasformata in uno dei suoi manichini senza cuore, come Ui e Hirako. Il gioco non era più divertente da quando aveva realizzato che stava succedendo veramente.

« Ora sei tu che mi fissi in silenzio, pervertito

« Sono solo sorpreso che tu possa sembrare così riposata dopo diciotto ore di turno, una dichiarazione scioccante di fronte ai cadetti e chissà quale emergenza.»

« Tu invece sembri davvero provato dalla giornata passata a leccare il culo sodo di Matsuri », gli rispose lei, passando la mano sulla sua fronte e poi verso la guancia in una carezza che gli fece chiudere gli occhi. « Perché non sei andato a dormire? »

« Non dormo mai quando sei in missione.»

Era reciproco, per cui Aiko piuttosto che lagnarsi, si sporse in avanti, alzandosi dal tavolino, per potersi piegare su di lui e baciarlo. Avrebbe poi proposto di andare a letto, se non fosse stata per la presa micidiale di Urie. Le sue mani prive di guanti la presero per i fianchi, quasi imponendole di sedersi su di lui mentre il bacio si animava sempre di più. Lei non si fece pregare. Non avevano molte occasioni per questo genere di passatemi. 

Non fu molto romantico, a dirla tutta. Fu quasi primitivo, con vestiti strappati di dosso senza nessuna cura, baci e morsi, schiene graffiate. Fu intenso e non durò nemmeno molto, ma era esattamente quello di cui entrambi avevano bisogno. I due si concessero di scendere dal picco del piacere lì, su quel divano, ansimanti, prima di prendere i loro vestiti e dirigersi al piano di sopra, ormai incuranti del poter venire sorpresi nudi per i corridoi.

Fu nel tempo che passò in bagno a rinfrescarsi e mettersi la camicia da notte che Aiko pensò alla situazione. Se fosse rimasta con Arima, quella sarebbe stata la loro norma. Scopate veloci sul divano, fameliche e desiderate per tutta la giornata, ma consumate velocemente a causa della stanchezza reciproca. Sarebbero state docce veloci passate a insaponare la schiena dell’altro e a ridacchiare dei segni delle unghie di Aiko lasciate sulla schiena di lui. Sarebbe stato rimanere seduta sul water con lo sguardo assente per dieci minuti, mentre Urie si lavava i denti accanto a lei.

Non era male, non le dispiaceva quella normalità. 

Ma era così poco tempo. 

Considerò che fra le moine di prima, il sesso e il prepararsi per mettersi a letto, non avrebbero passato più di quaranta minuti insieme, da soli. E quella sera erano fortunati perché lei era tornata ‘presto’. 

« Stai pensando così tanto intensamente che il mal di testa sta venendo a me ».

Urie prese posto sul letto accanto a lei, sul bordo, passandole la mano sulla spalla lasciata nuda dalla spallina della camicia da notte. In modo in cui la guardava non aveva bisogno di spiegazioni e Aiko si chiese quando erano diventati quel tipo di coppia che può comunicare a sguardi.

Quando avevano avuto il tempo di farlo succedere?

« Ho un paio di pensieri che mi ronzano per la testa e non so se vale la pena parlarne o meno »

« Parliamone, anche se non ne vale la pena ». 

La risposta del ragazzo la lasciò un po’ senza parole. Lasciò che lui le prendesse la mano nelle sue mentre si chiedeva cosa stesse succedendo. Lui non era mai stato così accondiscendere, così attento. Mai. Era passato dall’essere un ragazzino spocchioso a un adulto quasi decente quando aveva adottato per necessità i Quinx, ma non aveva mai vestito i panni del fidanzato perfetto. In quel momento invece si stava impegnando per esserlo e Masa si sentii in colpa. Quando lo stava effettivamente facendo preoccupare?

« Io non sarei autorizzata a parlarne con te perché ho firmato dei documenti ma…. Te ne accorgeresti lo stesso dal momento che sarò ancora meno a casa, d’ora in poi. Sono entrata nella S0. Stanotte ero con loro a coprire una grossa operazione nella tredicesima. Scusami. »

Urie prese quelle mortificate scuse e si accorse che non se ne faceva di nulla. Aiko non teneva gli occhi nei suoi, ma piuttosto fissava un punto imprecisato al centro del suo petto coperto solo da una canottiera nera. Si prese il suo tempo per assimilare la cosa e poi esalò un lungo respiro. 

« Sapevo ti saresti arrabbiato »

« Non sono arrabbiato, Aiko »

« Risentito, allora. »

Kuki le lasciò la mano e si voltò di tre quarti verso di lei, appoggiando le sue mani sopra ai gomiti della ragazza perché facesse lo stesso. « Aiko io non sono arrabbiato perché tu, ogni settimana se non ogni giorno, avanzi con la tua carriera senza aspettare nessuno. Certo, posso essere invidioso di questo, ma credo che tu meriti il punto a cui sei arrivata e che anche io ci arriverò solo dopo aver capito come rendere più funzionali Hige e Aura ». riuscì a strapparle un piccolo sorriso con quelle parole e in un certo senso, per lui era già una vittoria visto il periodo nero in cui si erano andati a infognare. « Però Aiko…. La S0 », prese un bel respiro. Non credeva che fosse abbastanza brava per quella squadra. Per le cose che, si diceva, facessero. Non c’erano fascicoli su di loro, non c’era niente di pubblico eccetto che Kishou Arima la dirigeva. Eventualmente, sapeva che l’avrebbe arruolata. Ma dannazione, non era con lui da nemmeno un mese e nel frattempo aveva anche scontato dei giorni al fresco. Che gioco stava giocando Arima? Urie aveva già capito che sotto c’era qualcosa. Non aveva capito che la salute di Aiko era precaria? Non era bastato quello che era successo a Noriko? L’aveva passata dalla prima linea all’essere lei, la bomba. E a Urie questo non stava bene, avrebbe voluto andare da Arima e parlargli, ma sapeva di non avere alcuna pretesa su Aiko. Non era sua moglie, non ancora, e anche se lo fosse stata avrebbe avuto il diritto di scegliere per se stessa senza vederlo mettersi in mezzo. 

« Non sono geloso o arrabbiato, ma preoccupato. Sono preoccupato da morire che quello che è successo con Tatara possa succedere nuovamente. Preoccupato che Noriko non sarà un incidente isolato e finirai col farti chiudere nella Cochlea. Preoccupato che Arima ti veda come vede Sasaki, ovvero una bella quinque da usare a suo piacimento, trascurando la tua necessità di dormire e mangiare decentemente.»

Aiko annuì, sentendo gli occhi umidirsi appena. « Credi che dovrei fare un passo indietro? »

Sarebbe stato bello se Urie fosse stato il classico fidanzato giapponese, che si aspetta che sua futura moglie abbia il tempo di curare del focolare domestico. 

Ma Urie non avrebbe preso le sue decisioni. « Devi fare quello che credi sia meglio per te », le disse passando una mano sul suo capo, prima di baciarle la fronte. Lei strinse l’altra nella sua, prima di accoccolarsi col capo nell’incavo della sua spalla.

Era il momento perfetto, allora, per parlare del vero elefante nella stanza.

« Ho anche paura che io possa non piacerti più in questa mia nuova versione tutta lavoro, lavoro, lavoro », sussurrò contro la pelle tesa della clavicola, stringendosi meglio a lui. « Che ti stancherai di non avermi mai attorno e che preferirai una fidanzata che invece puoi vedere quando vuoi. »

Urie si lasciò sfuggire una mezza risata che però non era molto convinta. « Tu mi sei comunque sempre tra i piedi in un modo o nell’altro», disse passando le braccia lunghe attorno al corpo di lei. « Poi per vederti, pranzare con te o costringerti a venire a casa quando sarai troppo stanca, posso sempre prendere l’ascensore. Non durerà per sempre, poi.»

Aiko strinse gli occhi, trattenendo appena il respiro. « … Andrebbe bene anche se io rimanessi nella S3?»

« Perché? Dove vorresti andare?»

Confusione, questo si palesò nella mente di Aiko. Si staccò da lui per guardarlo negli occhi, cercando di capire. « Credevo che una volta sposati…»

Fu il turno di Urie di essere confuso. Poi la confusione si tramutò in stupore. « Aiko, credi davvero che ti permetterò di buttare alle ortiche la più grande possibilità della tua carriera per tornare nei Quinx?? è assurdo. Quello che intendevo è che presto o tardi anche io entrerò nella S3, come ho sempre voluto. Devo solo sistemare i Quinx, renderli autonomi e poi io stesso riprenderò a fare carriera. Non rimarrò bloccato qui per sempre.»

« Oh» A questo non aveva pensato. I pensieri di Aiko erano stati catastrofisti perché non avevano tenuto conto dei desideri e delle mire di Urie. Aveva improvvisamente tutto più senso, eccetto una cosa. « Quindi il matrimonio è saltato?»

« Perché dovrebbe?»

« Non ci serve più, no? »

Urie prese un bel respiro, prima di guardarla attentamente. « Io voglio sposarti perché voglio che tu sia mia moglie, non perché mi serve. Altrimenti non lo avrei mai proposto. Tu vuoi sposarmi solo per questi stupidi piani per tornare allo Chateau, in cui sei comunque già tornata da settimane? »

Masa si sentiva stupida come mai in vita sua e la sindrome dell’impostore tornò a bussarle alle porte del cervello. Perché uno come Urie avrebbe dovuto accontentarsi di una come lei? Lei lo aveva sedotto, lei lo aveva trascinato in quella storia. Lei aveva mentito e mentito ancora. Non dubitava provasse affetto, ma non credeva l’amasse davvero. Quel messaggio ricevuto ore prima era un modo per farla felice, ai suoi occhi, non perché lo pensava davvero. Sarebbe stato spaventoso il contrario. 
 « Io voglio sposarti perché ti amo»

« Lo stesso vale per me »

« Ma da quando?»

« … Aiko ma hai assunto qualche droga, prima di rincasare? » Quando lei non rispose, lui si mostrò un po’ nervoso. Le sue spalle si alzarono e abbassarono rapidamente, mentre prendeva un po’ di distanza per guardarla negli in viso. « Lo so che non sono bravo a dimostrartelo, che non riesco ad essere un tuo fan sfegatato come lo era Itou e che magari non so esprimere i miei sentimenti in maniera nemmeno vagamente decente, ma…. Credevo lo sapessi. Cosa pensi che stiamo facendo noi due, un teatrino per passare il tempo?»

« Credevo tu tenessi a me, che ti piacessi, non pensavo che mi… amassi. »

C’era qualcosa di triste e rotto dentro Aiko Masa e Kuki se lo ritrovò di nuovo di fronte quella notte. Non stava dubitando di lui e si diede dell’idiota per non averlo capito subito. Dubitava di se stessa, per fatto che alla fine, nessuno l’aveva mai davvero amata a partire dalla sua famiglia. Le prese le mani nelle sue, con delicatezza, mentre si alzava in piedi. Lasciò che seguisse ogni suo movimento mentre si sporgeva per frugare nella giacca del completo elegante che aveva messo quella sera e nascondere nel palmo qualcosa. Poi si inginocchiò a terra, sempre senza lasciarle le mani. « Stasera la festa era molto bella», iniziò a dirle, mentre il cuore di lei correva nel petto e gli occhi le si sgranavano per lo stupore. « Il giardino dell’accademia era illuminato e hanno anche fatto i fuochi artificiali. Sarebbe stato più scenico darti questo lì, ma onestamente io preferisco che ci siamo solo io e te. Che sia una cosa nostra.» Allora le porse la scatolina rossa, aprendola per mostrare il piccolo anello con incastonato al centro un diamantino scintillante. « Ne abbiamo parlato in ogni modo possibile, abbiamo sfogliato ogni minima clausola del manuale della CCG sulle unioni fra colleghi, abbiamo concordato fosse la scelta più saggia per motivi pratici e poi ci abbiamo scherzato di nuovo su in ospedale ma non te lo ho mai davvero chiesto come si deve. Non lo ho fatto bene.»

Se la ricordava bene la loro conversazione in ospedale. Lei stava per ammettere cose che avrebbero portato Urie ad odiarla. Qualche giorno prima, stessa cosa. Cosa poteva fare? « Io voglio davvero sposarti, Kuki, ma … il peso che ho sulla coscienza-»

« Ne abbiamo già parlato. Puoi fare del tuo meglio ora per riequilibrare il karma o accettare le conseguenze ma ti prego, ti prego… Non rovinare tutto quello che abbiamo. È poco, ma per me è tutto adesso. Dopo aver perso Shirazu ho dovuto rivedere le mie priorità e so che qualsiasi cosa tu abbia fatto, ne sei uscita. So che qualsiasi cosa tu abbia fatto, stai rimediando. Per cui ti supplico, non dirlo a voce alta o diventerà vero e andrà tutto in pezzi.»

Urie glielo disse in ginocchio, tenendo gli occhi nei suoi e lei pensò solamente che fosse facile così, scaricare un giorno la colpa di tutto su questo singolo momento. Sarebbe stato facile dirgli ‘io volevo parlartene ma tu mi hai implorato di non farlo’, una volta scoperta. Per cui con codardia ingoiò il rospo e annuì, allungando la mancina per farsi mettere l’anello.

Non fu bello come sarebbe dovuto essere, non la fece piangere di felicità. 

Non successe nulla, aveva solo ottenuto un nuovo gioiello da esibire, un matrimonio che intanto avrebbero dovuto smettere di procrastinare. « Dopo il festival dobbiamo iniziare a buttare giù idee. Siamo in ritardo per l’autunno e se tu non vuoi sposarti per Natale, dovremmo posticipare alla primavera. »

Urie si rimise sul letto, stendendosi totalmente, improvvisamente sfinito. « Non abbiamo fretta, Aiko. Ci costerà una fortuna, ma alla fine tutti vogliono sposarsi durante il periodo della fioritura dei ciliegi, no? Porta bene.»

« A noi un po’ di fortuna potrebbe far bene», acconsentì lei, stendendosi accanto a lui, alzando la mano per guardare il riflesso della lampada sulla pietra. « è molto bello, grazie per avermelo preso. »

« Ho portato in giro Hige per tre ore, non riuscivo a scegliere », ammise lui, ottenendo il primo sorriso spontaneo della giornata. Si sporse verso di lei per catturarlo in un bacio, prima di spegnere la luce e accoccolarsi sul petto di Aiko, lasciando che fosse il battito del suo cuore a cullarlo verso il sonno. 

Finalmente in un letto non più vuoto e freddo. 

La mattina successiva fu piacevole svegliarsi uno nelle braccia dell’altro, prepararsi e vestirsi assieme in un silenzio delicato e famigliare. Lui preparò la colazione mentre lei controllava le email lavorative di entrambi, leggendo ad alta voce e digitando risposte veloci. C’era il festival sportivo quel weekend e nient’altro aveva importanza, se non si fossero ovviamente verificate delle emergenze nel mentre. Parlarono delle solite cose. Urie le disse che non aveva ancora idea di dove si trovassero Seidou e Senza Faccia, mentre lei parlava dei membri della S0 senza scendere nei dettagli. Urie stesso indovinò tre di loro senza fatica o pensarci troppo, dal momento che erano tutti i migliori uomini di Arima.

C’era un obbligo di segretezza, certo, ma sarebbe diventato suo marito…. Poteva scucirgli qualcosa, sapeva che Urie sarebbe stato muto come una tomba.

Pian piano tutta la casa si svegliò e loro smisero di parlare di lavoro e accolsero uno a uno i membri dei quinx che a turno fecero le solite domande a Masa su come si sentisse, su come stesse andando nella s3 e sulla dannata staffetta a squadre.

Fu un bellissimo modo di iniziare la giornata, tutti assieme attorno al tavolo. Fu solo quando Aiko ricevette un messaggio di Arima, che sarebbe passato a prenderla per allenarsi nella corsa, che sentì un pelo di amarezza. Andava bene comunque, però. Avrebbero cenato assieme per un paio di sere consecutive, visto che al fine di essere al massimo, Arima li voleva riposati. 

Dopotutto il caso Re era così lontano da vedere una soluzione da poter venir lasciato a macerare per settimane, volendo. Non c’erano tracce sul Re, non avevano nessuna idea di dove si fosse cacciata Hakatori e nessuno degli Smoking Bianchi aveva tradito il loro leader, Naki. 

Erano in stand by in attesa di una potenziale minaccia, ma non stavano indagando e non si sarebbero allenati dopo le sei di sera. 

Nemmeno il Quinx avevano casi aperti e aprirne uno prima del festival sarebbe stato controproducente soprattutto per Matsuri che voleva esibirli. Nemmeno fossero una sua creazione. Nemmeno non li avesse considerati per mesi una spesa inutile per la CCG.

Urie la accompagnò alla porta e lei prese il badge dal cappotto, che però lasciò lì assieme alle quinque dal momento che non sarebbe stata di servizio. Infilò il badge nella tasca dei pantaloni da corsa, prendendo un paio di scarpe da ginnastica che non era nemmeno sicura fossero sue o di Ginny, mentre Urie guardava il trench.

« Questo è nuovo. »

« Sì, me lo hanno dato ieri. »

« è come quello di Hirako ».

Aiko trovò interessante quella scelta di frasario del compagno. Avrebbe potuto dire che era identico a quello di Arima. Avrebbe potuto ricordargli quello di Hairu dal momento che avevano anche la stessa taglia.

Invece parlò di Hirako.

Masa sogghignò appena, mentre notava un’auto fin troppo famigliare accostarsi al vialetto. Prese le due tazze portatili di caffè e si sporse per baciare il fidanzato. « Non sprecare troppo tempo ad essere geloso del mio superiore o vi faremo davvero il culo, al festival. »

« Dovrebbe essere un’occasione per unirci, non per inutile competitiva. »

« Tu sei l’ultima persona che può arguire chiunque sull’essere competitivi. Ci vediamo stasera.»

Urie alzò una mano, facendo un cenno anche alla macchina. Arima aprì la portiera rispondendo al ragazzo con un cenno, prima di prendere una delle due tazze. Erano solo le otto ma probabilmente quello era il secondo per lui. 

« Quello è nuovo? », le chiese la morte bianca facendo un cenno verso l’anulare della mancina.

Aiko lanciò uno sguardo all’anello, prima di annuire. « Ho ricevuto tante cose nuove, ieri. »

« Congratulazioni.»

« Grazie, Arima »

« … Spero non te lo abbia dato ora per distrarti, Aiko-chan. »

« … Siete entrambi assurdi. Non è sana questa competività»

 

 

 

Aiko non aveva dimenticato il messaggio di Mei. Aveva ancora con sé la chiavetta che avrebbe potuto inchiodare Eto e le prove per dimostrare che Furuta Nimura era un fantoccio, un bambino di V, che aveva fatto cose indicibili. Aveva lei stesso visualizzato il contenuto digitale, utilizzando un portatile non tracciato della ccg, di quelli che Komoto pulisce e formatta costantemente per evitare fughe di notizie. Aveva duplicato della chiavetta, inserendo tutto ciò che aveva su Eto in tre copie, mentre l’originale era la sola a poter incriminare anche Nimura. Voleva che quella rimanesse una sua arma personale, non le sarebbe servito per ripulirsi la coscienza e la fedina penale ma, come aveva detto Mei, sarebbe stato un ottimo diversivo per dare a Marude ottimo materiale per distrarlo. E magari, darsi alla fuga.

Le tre chiavette andavano però distribuite in modo che almeno una andasse trovata. L’ufficio della S3 poteva essere sia integro che marcio in ugual misura, ai suoi occhi. Come il gatto di Schrodinger, non c’erano prove che Arima fosse interegerrimo come tutti pensavano. Aveva tante ombre, lo Shinigami Bianco, a partire proprio da ciò che era successo a Mei. Lui doveva averla uccisa e Aiko si era anche chiesta se l’avrebbe trovata nel loro deposito quinque, se mai si fosse decisa a scendere e scoprirlo. 

Né lei né Aizawa avevano ancora trovato il coraggio. 

Ne avevano parlato, quando aveva lasciato a lui la prima chiavetta e lui l’aveva buttata in un cassetto della sua scrivania, in obitorio, in mezzo a tante altre simili.  Ne avevano parlato solo quella volta e poi avevano smesso di vedersi. Lei troppo presa dal lavoro e lui quasi a tratti incredulo che, così vicina ad Arima, non stesse facendo nulla per vendicarla.

Mei con lei era stata giusta, le aveva messo in mano delle armi, ma lei lavorava ancora per il suo assassino. Così, Aizawa si era semplicemente allontanato. Chiuso nel suo mutismo, con l’alcool come compagno o Nobunaga a controllare che non facesse stupidaggini, aveva del tutto perso il suo brio. Masa sapeva di averlo tradito.

C’erano dentro assieme, dall’inizio.

Lui sapeva di Aogiri, anche lui era un’arma, ma che poteva ritorcesi contro di lei. 

Ma lei aveva scelto la S3, non che avesse avuto troppa scelta alla fine.

Stare nella S3 era come ritornare a lavorare per Aogiri, ma passando dalle torture psicologiche del suo Laoshi agli spossanti allenamenti di Arima. L’avrebbe uccisa, allenarsi a quella maniera, se non fosse stata una quinx. 

Però non voleva nascondersi dietro a un dito, Aiko. Sapeva benissimo che Arima aveva ucciso Mei. Sapeva che Arima era in V. sapeva che era invischiato nella peggiore merda possibile, ma la stava facendo diventare forte e Aiko aveva imparato, grazie ad Eto, che non conta essere circondati da amici leali, non conta essere amati, non conta essere rispettati, non conta nemmeno essere ritenuti virtuosi o preservare la dignità. 

La sola cosa che conta, è il potere.

Il potere che Arima le avrebbe dato.

Solo una volta pronta, allora, avrebbe deciso come agire, perché non ne aveva idea.

 

La seconda chiavetta l’aveva nascosta allo Chateau, in un posto che sapeva nessuno andava mai a toccare per nessun motivo: l’altare di Shirazu, nella piccola capannina del giardino, sul retro. Quella l’avrebbero trovata solamente se fosse morta e allora, per fare spazio anche alla sua foto, avrebbero mosso quella dell’ex caposquadra facendo così cadere una lettera. 

Era il vent’uno ottobre e la morsa dell’inverno iniziava a stringersi attorno al suo collo mentre piegata in avanti, chiedeva scusa a Shirazu per quello stupido trucchetto. Raccolse il suo Dao, mentre si alzava, mettendolo alla cintura, prima di uscire. Fuori casa, avvolti nei loro cappotti, c’erano i bambini del giardino ad aspettarla. Saiko stava servendo loro del tea caldo quando Aiko li richiamò, invitandoli nella piccola palestra a loro disposizione.

I quinx erano quasi tutti al lavoro, eccetto il vice capo squadra e Ginny, le quali avevano scherzato sul fatto che Aiko doveva essersi prestata come babysitter in quel freddo mattino, invece di riposare per il festival del giorno seguente. Erano però rimasta sbarordite dalla velocità di quei tre ragazzini, dal loro modo di usare la quinque, da quanto rapidi fossero ad attaccare i punti ciechi di Aiko.

Ad ammutolirle definitivamente, però, era stata proprio la loro amica. Sembrava muoversi semplicemente per linee rette, avanti e indietro, di lato e in obliquo, schivando ogni singolo colpo e usando il dao solo per bloccare gli attacchi. Code di fuoco verde sfrecciavano ovunque, si scomponevano in avidi rami, creavano alberi aguzzi che si dissolvevano in una pioggia di brillanti. Era quasi perfetta e ogni volta che uno di quei bambini talentuosi la colpiva, lei non si scomponeva. Non un capello le usciva dallo chignon basso, non una volta aveva sgranato gli occhi o corretto il respiro. Il suo sangue cadeva a terra mentre la pelle riprendeva a rimarginarsi.   

« Shio, eri in ritardo sullo scambio. Se avessi voluto, avrei potuto colpire Rikai allo stomaco con un solo colpo. Yusa, tieni le mani più vicine sull’elsa e sii più deciso quando affondi, oggi non mi hai nemmeno sfiorata. Da capo ora, schema otto.»

 

 

« Non l’ho mai vista muoversi così. »

« Sarà il duro addestramento con il classe speciale Ar- »

« Sai anche tu che nessuno può imparare a combattere così in nemmeno un mese! Smettila di far finta di niente e togliti il prosciutto dagli occhi, stupid Macho Man, quella è la tua ragazza!»

Saiko presente in ufficio nel suo giorno libero voleva dire guai, per questo Urie aveva mandato tutti in pausa pranzo anticipata. Poi le aveva chiesto di scendere per prendere un caffè, certo che sarebbe iniziato un discorso che lui non voleva affrontare. E così era andata. 

« Mi hai detto che combatteva meglio di tre ragazzini di quattordici anni, Saiko. se fosse il contrario, mi preoccuperei. »

La ragazzotta gonfiò le labbra scocciata. Perché non ascolta mai??« La spada la usava un modo diverso e non è nemmeno la solita spada! era grossa e curva, sembrava difficile da maneggiare ma lei la ruotava in mano come se fosse fatta di polistirolo! Ti ricordi quando le insegnavi l’Aikido? Era rigida come un manico di scopa e questo è successo meno di un anno fa e-Urie mi stai ascoltando?»

Il caposquadra di era fermato, in mezzo al corridoio, mentre lei avanzava e parlava a ruota libera. I suoi occhi erano fermi a terra, come inespressivi. « una lama curva e massiccia come quella di un dao cinese?»

Saiko parve pensarci su. « Può essere, non sono sicura di sapere come sia fatto un dao cinese.»

Urie portò la tazza alla bocca, mentre nella sua testa rivedeva una donna vestita di bende che brandiva un dao. A ogni sua sferzata con Ginsui, lei si muoveva armoniosamente, come se stesse danzando sull’acqua. 

« Aiko non può essere così sfrontata e stupida », valutò con razionalità. Doveva esserci qualcosa dietro che lui non conosceva, un elemento  mancante che gli impediva di collegare i punti. « Magari ha preso lezioni da Arima, non possiamo saperlo e non ci interessa saperlo. Abbiamo di fronte un weekend stressante. Concentrati sulle tue abilità, Yonebaiashi, non su quelle di Masa.»

E concluse, tornando in ufficio.

Aveva tutta l’intenzione di non pensarci più, ma i guai non facevano altro che ripresentarsi ancora e ancora.

 

 

Nakarai Keijin era un ottimo osservatore. Gli era sempre piaciuto il birdwatching perché sarebbe potuto rimanere per ore e ore fermo seduto su un ramo di un albero con un cannocchiale in mano a studiare gli uccelli muoversi attorno a lui, indisturbati dalla sua presenza.

In quel preciso momento, le due colombe che stava studiando erano parecchio noiose. Hirako Take parlava con il suo solito tono lento e noioso e Aiko Masa stava in piedi al suo fianco, lo sguardo assente oltre le vetrate, fingendo di ascoltarlo. Come di suo solito.

Dall’incidente di Noriko, Nakarai non l’aveva mai persa d’occhio.

A essere del tutto onesti, non aveva mai smesso di tenerla d’occhio da quando aveva lasciato la squadra Suzuya. Si era un po’ rimproverato di non averla tampinata quando era la sua partner, ma ai tempo aveva pensato fosse solo una piccola ingrata, un po’ viziata e con un grande ego. Aveva compreso che probabilmente era una mela marcia quando Arima l’aveva già accolta nel suo abbraccio.

Questo però non l’aveva fermato dal volersi fare un’idea su chi davvero si nascondesse dietro quella falsa facciata.

La ragazza gentile che si scusava sempre quando, in accademia, aveva un comportamento inadeguato? La vittima dell’attacco alla ventesima che aveva costantemente bisogno di qualcuno a sostenerla perché non crollasse? L’annoiata recluta della squadra Hirako, sul filo dell’insubordinazione ma con un talento unico per le scienze forensi? La caotica investigatrice della squadra Quinx pronta a tutto per risolvere casi e mostrare a tutti quanto valesse? La fin troppo ossequosa partner nella squadra Suzuya, che per amore avrebbe smosso mari e monti ma che non aveva mai formalmente detto a nessuno del suo fidanzamento con un collega? Oppure la seria, rigida, inflessibile partner di Kishou Arima, sempre pronta a seguire il suo sempai senza fare domande?

Sei persone diverse che si erano alternate in un arco temporale troppo breve.

Perché non tutti se ne fossero accorti, che quella donna non faceva altro che recitare, per Nakari rimaneva un mistero.

« Hai scoperto qualcosa?»

Una voce alle sue spalle lo costrinse a voltarsi di tre quarti solo per spiare la silohuette elegante, delinata dal camice bianco di Leah.

« Io no, tu? »

« Ho sentito parlare Urie e Yonebayashi. Lei diceva che Masa avrebbe imparato a usare una spada chiamata dao da Arima e molto velocemente.»

Leah si era offerta di aiutarlo a far luce su quella faccenda. Anche Leah aveva visto che qualcosa non andava quando le era stato portato via il caso di Shukumei Kurei, ma dubitava che Itou fosse invischiato in qualcosa di losco, pensiero che Narakai condivideva.

Arrivati a quel punto era solo una questione di cosa potevano o non potevano dimostrare.

Nakarai aprì il fascicolo che teneva in mano, sfogliandolo velocemente mentre si voltava verso di lei. Battè il dito sulla pagina, prima di passarglielo.

A Leah si illuminarono gli occhi.

« Labbra Cucite combatteva con il dao. »

« Ora dobbiamo solo trovare delle prove. »

 

 Continua....

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