Four Seasons

di Aryuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Inverno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Primavera ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Estate ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Autunno ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Inverno ***


Four Seasons

-Raccolta-


 

Inverno

 

SesshomaruRin

 

 

 

Bianco.

Non c’è null’altro che mi colpisce in codesto fenomeno se non questa misera qualità visiva. Il freddo non intacca la mia pelle, non certo così sensibile a simili sottigliezze, e non trovo affatto né grazia né candore in questa inutile e fastidiosa distesa ghiacciata.

Osservo la valle seduto, immobile come sempre, con quel fastidioso kappa ronzante attorno a me, senza curarmi dello scorrere del tempo.

Il tempo non può sfiorarmi. Un demone superiore come me non è interessato al passare dei secondi e degli attimi. Se voglio qualcosa posso andare a prenderlo quando voglio. Non sono certo così debole da cadere sotto ai morsi della fame, come quegli youkai di bassa lega.

“Signor Sesshomaru?”.

Non mi scompongo, non ho certo interesse a voltarmi. Quello stupido kappa che continua a seguirmi è già fin troppo fastidioso senza bisogno che io gli dia corda. Neppure comprendo il motivo per il quale permetto a una creatura così infima di calpestare il mio stesso suolo.

“Signor Sesshomaru andiamo via, la prego! Fa freddo qui, solo Rin si diverte con la neve!”.

Rin.

Sbatto le parpebre, e mi volto. Mi volto per guardare quella piccola umana. Sorride, mentre si bagna i capelli con i fiocchi che cadono dal cielo. Fragile.

Non capisco.

Perché sorride per quel bianco? Cosa la rende… felice? Una cosa così semplice e sciocca può davvero donarle felicità?

Si volta. Sorride anche a me, e mi corre incontro. Distratta, alza gli occhi verso il cielo e coglie un piccolo puntino ghiacciato.

Sorpresa.

Non capisco nuovamente. Non c’è nulla di speciale in tutto ciò. Eppure lei accelera il passo e mi raggiunge, pur senza sfiorarmi.

“Signor Sesshomaru, un fiocco di neve!”, esclama. Me lo porge come un qualcosa di prezioso. Io osservo lei, confuso seppur impassibile.

Quel cucciolo umano si comporta in maniera spiazzante. Eccolo che adesso osserva nuovamente le sue mani, e corruga la fronte.

“Si è sciolto!”. Rattristata.

Perché? Per la neve? Continuo a non capire, e ciò mi è inaccettabile. Non è concepibile che io non comprenda creature così semplici e sciocche, fragili e inclini a dar fiducia ad ogni emozione.

“Sciocca, è ovvio che si sciolga a contatto con la tua pelle!”. Di nuovo la voce fastidiosa di quel kappa.

Sorride.

“Va bene così, vero signor Sesshomaru?”.

Non so Rin, non capisco. Andrà bene così? A te va bene così? È così importante quel fiocco di neve? Cucciola umana, non ti capisco. Ti fisso ma non serve a nulla, i tuoi occhi mi confondono.

“Non fare domande impertinenti al signor Sesshomaru, Rin!”.

Che kappa odioso.

“Uffa Jaken, ti lamenti sempre! Ho fame!”.

Affamata. Mi alzo, e mi avvio verso un ruscello nell’interno del bosco. Lì l’acqua non è solita ghiacciarsi, il kappa troverà dei pesci per loro. La sento, sento i suoi passi rumorosi mentre mi segue. E ride. Felicità.

“Sei tu che ti lamenti sempre e… s-signor Sesshomaru, mi aspetti!”.

Jaken, non ti lamentare! Prendi Ah-Un!”, ride lei.

“Potresti aiutarmi visto che a te da retta!”. Rin ha ragione, il kappa si lamenta troppo.

“Ma io sono piccola e affamata!”. Scherza.

Piccola. Sì, un cucciolo. La guardo. È cresciuta. In altezza, nel volto, ogni giorno la vedo crescere nel suo mondo mortale.

Jaken, dopo giochiamo a palle di neve? Se aspettiamo troppo tempo si scioglierà!”.

Tempo.

“Sciogliersi? Con questo freddo?”.

Troppo tempo.

Osservo nuovamente la strada davanti a me. Per me, il grande principe dei demoni, essere immortale, il tempo non ha importanza. Eppure, senza rendermene conto, mi ritrovo ad accelerare il mio passo lungo il cammino.

Perché non voglio perdere il tempo rimasto.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Primavera ***


Four Seasons

-Raccolta-


 

Primavera

 

MirokuSango

 

 

 

“Mi farebbe l’onore di darmi un figlio?”.

Quante volte ho sentito questa frase? Un’infinità, ma non da lui.

Non da mio figlio.

Anche se ammetto che, in questi casi, preferirei dire che me lo aspettavo eccome da suo figlio. Peccato che una madre non possa decidere quando un figlio sia suo o meno, è suo e basta.

“Per me sarebbe un… AHIA!”. Ho mai detto quanto amo le mie figlie? No? , le amo!

Yucchan, smetti di infastidire le nostre amiche?”. Ah, la mia amata Miki!

“Fai sempre il cascamorto!”. Oh, la mia amata Meiko!

Proprio come papà!”.

Ed ecco il loro temuto coretto, come sempre. Come è normale per due gemelle, immagino. Miki stringe ancora il suo pugnetto, mentre Yu si massaggia la testolina con sguardo da cucciolo. Lo stesso sguardo di lui.

“Ma papà dice che sarebbe un insulto per la bellezza di…”.

“COSA DICE PAPÀ?!”. Lo vedo nascondersi dietro le sorelle, le quali sospirano.

“Mamma, hai un’espressione da demone. Di nuovo!”, dicono in coro. Prendo dei respiri profondi, ma so che comunque non mi calmerò.

Non finché non avrò torto il collo di mio marito!

Mi siedo in casa, davanti al focolare, e aspetto. Aspetto a braccia incrociate, mentre Kirara mi osserva confusa. Mi sforzo e le sorrido, dandole qualche coccola. In questi anni ha sopportato di tutto. Presto Kohaku verrà a riprenderla per tornare a combattere a suo fianco. Meglio coccolare la mia cucciola finché posso.

Sango?”. Ecco, il mio buon umore vola via. Kirara lancia un’occhiataccia alla porta, privata delle sue amate carezze, mentre la mia mano si stringe furiosa in un pugno minaccioso e pericoloso.

“Posso entrare?”. Domanda inutile. E soprattutto, chiaro segno che ha capito che sono molto, molto arrabbiata.

“Certo, non devo nascondere nulla e nessuno, io!”. Capisco che si sta affacciando timidamente dalla luce che penetra tra le pieghe della tenda, ma tengo gli occhi bassi sui tatami per reprimere il mio istinto omicida. Non voglio che i miei figli crescano senza il loro padre: per quanto questo sia pessimo e maniaco.

“Come mai…?”.

“Tuo figlio fa il cascamorto con le amiche delle tue figlie”, sibilo senza aspettare che finisca. Lo sento bloccarsi, prima di ridacchiare imbarazzato. Possibile che non sia cambiato per nulla? Gli uomini non dovrebbero maturare con la nascita dei propri figli? Prendo un respiro profondo, prima di continuare la mia ramanzina. “Dice che ti ha sentito dire che sarebbe un’offesa nei loro confronti non chiedere un figlio a ognuna”.

“Non è colpa mia!”, si difende lui avvicinandosi – sento i suoi passi –, “Mi ha chiesto perché si dice che la primavera è la stagione dell’amore!”.

Alzo con lentezza lo sguardo su di lui, molto perplessa e molto furiosa. Lui sorride, ma si tiene a distanza. Non vuole prendersi uno schiaffo immagino. E tiene una mano dietro la schiena, in maniera sospetta.

“E questo cosa c’entra?”, domando sulla difensiva. So che presto mi calmerà con qualche trucco. È sempre così.

“Mi ha chiesto qualche esempio e gli ho raccontato alcune avventure di suo padre quando era giovane”, liquida lui ridacchiando.

Lo fisso. Poi scatto in piedi afferrandolo per l’abito con entrambe le mani.

“Avventure?”, sibilo furiosa, mentre lui sorride perennemente, seppur sudando freddo.

“Suvvia Sango, sii comprensiva”. Lo fulmino, mente mi fissa con quegli occhi da cucciolo.

“Comprensiva?”, mormoro socchiudendo gli occhi. Non posso evitare, da quella vicinanza, di notare un graffio sul viso, e anche uno squarcio sull’abito all’altezza della spalla. “Cosa sei andato a fare oggi?”, domando sospetta e – anche se mi costa ammetterlo – preoccupata, “Non dovevi semplicemente benedire una casa?”.

Ehm… sono caduto da un albero”, liquida lui. Inarco le sopracciglia, allentando un poco la presa.

“E che ci facevi su un albero?”.

“Raccoglievo questi”, dice rapido, smettendo di nascondere un mazzo di teneri rametti di ciliegio in fiore. Lo lascio, stupita, portando le mani vicino al volto.

“Ecco”, continua sorridendomi dolce, “stai sempre in casa a lavorare per badare ai bambini, e quindi avevo pensato di portarti un po’ di primavera”.

Mi mordo il labbro, incapace di oppormi. Vorrei arrabbiarmi come prima, ma ormai mi è impossibile. Prendo il mazzetto tra le mani, mormorando un debole ringraziamento. Lui mi carezza i capelli, prima di uscire nuovamente dalla casa. Lo seguo, fermandomi sulla soglia di casa. E lo guardo, mentre saluta i nostri figli e prende in braccio le gemelle. E sorrido, quando lo vedo arrabbiarsi con un bambino che, secondo lui, si è avvicinato troppo a Meiko, o sospetta stia infastidendo Miki.

Stringo con delicatezza i petali di un piccolo fiore appena sbocciato, mentre nel mio petto si espande una calda e dolce sensazione.

E rifletto, come una ragazzina, sulla stagione dell’amore.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Estate ***


Four Seasons

-Raccolta-


 

Estate

 

Inuyasha –Kagome

 

 

 

Depressione post-parto.

Non ho mai sentito una parola del genere.

Cosa significa che Kagome è in depressione post-parto?!

Inuyasha, mi stai ascoltando?”. Scuoto la testa, e mi concentro su Kaede. O almeno ci provo, continuo a fissare il fagotto che la vecchia ha tra le braccia. Il fagotto che, in quei giorni, ho solo intravisto. Ho una seria paura ad avvicinarmene: sembra troppo delicato per poterlo toccare con i miei artigli, e strilla troppo forte e troppo spesso.

“Capita che le donne con un parto difficile non accettino il fatto di essere diventate madri”, continua a dirmi Kaede, “lasciare con lei la bambina sarebbe un rischio”.

“Non capisco dove vuoi arrivare vecchia”, sibilo, fissandola bieco. Lei sospira, e mi molla il fagotto davanti.

Kagome potrà solo allattarla, ma per il resto devi badare tu a lei. Io non posso, già questi primi dieci giorni sono stati infernali, e non ho più l’età per queste cose. Ho già abbastanza daffare con i bimbi di Sango”.

La fisso. Lei si volta ed esce.

“Sei impazzita?!”, urlo scattando in piedi. Pessima idea, il fagotto comincia ad emettere urli e strilli. Lo osservo in preda al panico. Deglutisco, e lentamente lo prendo in braccio, facendo attenzione a tenere le mie unghie ben lontane da lei.

Da mia figlia.

Rabbrividisco al pensiero. Come sono finito in questa assurda situazione?

La creatura sembra calmarsi, e mi fissa. Mi fissa con due grandi occhi dorati, con sguardo confuso e curioso.

“Che c’è?”, domando brusco, squadrandola. Lei ride. Agita le manine felice, cercando di raggiungere una ciocca dei miei capelli.

“Che c’è da ridere?”, borbotto confuso. Lei si limita ad acchiapparmi la ciocca in questione e a tirarla.

La mia relazione con mia figlia è cominciata così. Con il mio urlo, con il suo pianto e con Kaede che accorre – sospirando – dal cortile.

 

“Ti assomiglia molto”.

Storco il naso a questa affermazione, e Kagome ridacchia. La bimba ciuccia avida il latte dal suo seno, e io mi limito a fare presenza perché obbligato da Kaede. Dice che ha paura a lasciare la bambina da sola con lei.

“Hai deciso come chiamarla?”. Storco nuovamente il naso.

“Perché devo deciderlo io?”, domando guardandola male.

“Perché hai bocciato tutte le mie proposte”, si limita a sbuffare lei. La guardo, mentre fissa la bambina. Ha uno sguardo strano. In pochi attimi gli occhi le si riempiono di lacrime.

Scatto in avanti, togliendole la bimba dalle braccia. Kaede si è molto raccomandata: stai attento agli sbalzi d’umore.

“Non voglio! Ho solo diciannove anni!”, strilla lei di colpo. Sango entra attratta dagli urli, e mi caccia dalla stanza dicendomi che ci penserà lei. Esco dalla casa, la bambina sta piangendo.

Inuyasha, stai bene?”. Concentro il mio sguardo su Miroku, che mi fissa confuso. “Hai una faccia sconvolta”. Mi limito a mugolare in risposta.

“Stai attento, con questo caldo non devi portare fuori la bambina di giorno”, si raccomanda il monaco prima di andarsene. E io rimango solo, in mezzo al cortile e con una neonata urlante tra le braccia.

Uccidetemi.

 

È notte.

E io sono stato svegliato dagli urli di quel maledetto fagotto.

Non vuole saperne di smettere di piangere, ed è riuscita a svegliare persino Shippo. Il quale mi ha cacciato via per cercare di dormire.

Sbaglio o ultimamente tutti mi cacciano?

Riciclerò frasi di Kagome – delle quali ho capito il senso ma non il significato –, ma voglio essere eletto specie protetta!

Sospiro, e decido di portare la bambina a prendere un po’ d’aria fresca, dato che di giorno non può uscire per il caldo. È una fresca notte estiva, e le cicale – fastidiose per il mio orecchio – sembrano divertirla.

Comincio a correre, prima lentamente e poi veloce come una scheggia. Avevo paura di spaventarla, ma sembra invece curiosa di sperimentare la velocità. Finché non arrivo nel luogo dove desideravo portarla.

In riva al mare, vicino a Musashi.

La luna piena si riflette nel mare, e le onde si infrangono dolcemente sulla sabbia bianca.

“Ecco qua”, esordisco rompendo il silenzio, “qui puoi piangere quanto vuoi senza scocciare a nessuno”. La tolgo dalle fasce in cui è avvolta, e la metto a sedere sulla sabbia. “Su! Piangi e agitati quanto vuoi!”.

E, invece, lei mi fissa confusa con quegli occhi troppo simili ai miei. Questa somiglianza mi da quasi fastidio. Poi distoglie lo sguardo da me, e allunga le sue manine paffute verso un punto imprecisato.

Seguo il suo sguardo fino all’oggetto delle sue attenzioni: la luna.

“È la luna”, dico come uno stupido, forse pensando che la sua curiosità richieda spiegazioni. Ma lei continua ad allungarsi, con enorme sforzo, verso la sfera d’argento.

“Guarda che non puoi mica prenderla”. Altra frase da stupido. È ovvio che non può prenderla! Mica devo spiegarglielo io. Questa bambina penserà che ha un padre idiota.

P-Padre?!

E io che mi sono tanto sforzato per non pensare quel particolare. Non riesco ad adattarmene. Non mi sono bastati nove mesi, figurarsi tre giorni con la creatura!

Ma lei continua a sporgersi, fino a cadere inevitabilmente a faccia avanti sulla sabbia.

E comincia a piangere.

Sbuffo, avvicinandomi e sollevandola da terra.

“Non so chi sia più scemo tra me e te”, borbotto fissandola, tenendola ben lontana. Lei piagnucola ancora un po’, prima di smettere nuovamente. Fissa di nuovo la luna, e allunga nuovamente le manine verso di essa.

Sospiro, sedendomi e mettendola sulle ginocchia.

“Mi assomiglierai pure, ma sei tutta tua madre”, farfuglio fissandola mentre ride, divertita dai suoi tentativi. “Anche lei quando la portai qui disse che avrebbe voluto prendere la luna dal cielo”. Mi blocco di colpo. Già, l’aveva detto. Perché diceva che le ricordava me. Scuoto la testa, riconcentrandomi sulla bimba. Mi fissa, additando insistentemente la ruota d’argento. E poi, inaspettatamente, avvicina le mani ai miei capelli, cercando di prenderli. Faccio una smorfia, tirandoli lontano dalla sua portata: non intendo fare il bis.

“Sì, anche tua madre ha dato questa motivazione”, mi lamento, fissandola male.

E lei ride.

Ma cosa ci sarà mai da ridere?

“Ti piace così tanto, la luna?”, domando, sapendo benissimo che non potrà rispondermi. Diventa seria, mi fissa confusa.

“Se ti piace così tanto… , non posso rubarla al cielo per dartela, ma posso fare in modo che stia sempre con te”, sussurro, guardandola.

E lei sorride.

“Ti piace questa idea… Mitsuki?”.

 

Inuyasha!”.

Sbuffo, tappandomi le orecchie.

“Non voglio saperne. Non voglio saperne”, continuo a ripetere da ormai diversi minuti.

“Aiutami a cambiarla forza!”, si lamenta Kagome da dentro, ma io non mi avvicinerò mai a lei in quel momento. Non a quella mistura velenosa. Avvicinarmi è uguale a morire.

“Non c’è riuscita neppure quella mummia di Kaede a farmela cambiare quando stavi depressa! Arrenditi!”, urlo testardo. La sento lamentarsi, ma alla fine la vedo uscire dopo alcuni minuti con la bambina in braccio.

“Che antipatico che sei”, borbotta sedendosi accanto a me, “E non mi hai ancora detto perché l’hai chiamata Mitsuki”.

“È la punizione per avermi lasciato da solo con quella creatura per dieci giorni!”, borbotto io, distogliendo lo sguardo da lei. Lei sbuffa, concentrandosi sulla bimba.

“Che papà cattivo, non è così Mitsuki?”. La fisso con la coda dell’occhio, per ammirare mia figlia mentre le lancia un’occhiata perplessa. Trattengo a stento una risata.

“Nemmeno mia figlia mi da retta”, si arrende Kagome con disappunto, “sarà già in fase di ribellione adolescenziale?”.

“È questo che succede quando i padri e le figlie hanno segreti tra loro”, la canzono io divertito, guardando la mia complice figlia. Anche lei mi guarda, con i suoi occhi dorati.

E sorride.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Autunno ***


Four Seasons

-Raccolta-


 

Autunno

 

Inu no Taisho –Izayoi

 

 

 


Sayonara itsuka wa kurukamoshirenai

Kisetsu wa soredemo meguri megutteku

Chiisaku mayottemo aruiteku

Kimi to aruiteku

Sore dake wa kawaranaideiyoune.

 

[Let it Out, FMA BH 2° Ending]

 

Gli addii non si possono scansare,

e le stagioni continuano a passare.

Anche se ho perso me stessa, continuerò a camminare…

A camminare al tuo fianco.

Questa è l’unica cosa che vorrei non cambiasse mai.


 

 

Ricordo questo viale alberato.

Era la fine dell’inverno.

Gli alberi erano ricoperti di neve, e il tempo sembrava immobile. E tu eri lì, e mi davi le spalle. Forse già conoscevi il destino a cui stavo andando incontro e che io allora ignoravo.

Tu già sapevi. Sapevi che dovevi lasciarmi, ma sapevi che saresti tornato.

Ma non sapevamo per quanto. Quanto tempo ancora potevo sperare di vederti apparire davanti ai miei occhi? Non volevo vederti sciogliere come quella neve, che delicata ricopriva la tua pelle. Si sarebbe tramutata in gocce, le mie lacrime amare.

Le lacrime di una donna innamorata che da sempre sapeva ciò a cui andava incontro.

Ricordo questo viale alberato.

Lo ricordo all’inizio della primavera.

Gli alberi di ciliegio erano in fiore, e io aspettavo il tuo ritorno. Lo aspettavo ormai conscia della mia situazione. E del figlio, il tuo, che cresceva nel mio grembo. Il figlio che non ero riuscita a nascondere. E già il peso di quella gravidanza aleggiava su di me. Gli sguardi dei servitori, la paura delle ancelle: tutti temevano quell’innocente creatura.

Solo perché figlia di un demone.

Ricordo questo viale alberato.

Lo ricordo durante l’estate, quando di notte guardavo la luna, seminascosta dalle foglie dei ciliegi. E tu arrivasti, e posasti una mano sul mio ventre ormai gonfio.

“È cresciuto”, sussurrasti sorridendo, dissipando ogni mio dubbio. Tu avevi sempre saputo. Sapevi da quel giorno d’estate. Carezzasti a lungo la mia pancia, come un bambino curioso. Come potevano avere paura di te? Come potevano temere tuo figlio?

Gli umani sono così superficiali.

Quella fu la prima volta che mi ritrovai a pensare in maniera così altezzosa riguardo la mia stirpe.

Adesso lo faccio spesso.

Adesso che mio figlio deve nascere, non riesco ad evitarlo.

E percorro questo viale, i capelli scombinati dal vento, ammirando i colori caldi delle foglie secche, scricchiolanti sotto ai miei sandali. Anche l’autunno sarà testimone del mio amore per lui. E per mio figlio.

Anche se sarà dura, anche se significherà sofferenza, io non smetterò di camminare al di sopra di questo mondo secco e senza amore. Abbraccio il mio ventre gonfio, facendo una smorfia di dolore.

Ci sarà qualcuno che abbraccerà così mio figlio, quando io non potrò più farlo?

Se potessi schiacciare in eterno la cattiveria degli uomini come adesso calpesto questo foglie, lo farei.

Ma sono umana anche io.

E non posso fare altro che vivere finché potrò.

E pregare di vivere un’altra stagione ancora.

 

Haru no hikari atsumetara hana sakasete
Natsu wa tsuki ukabu umi de mitsumete
Aki no kaze fuyu no yuki mo
Sono toiki de atatamete hoshii
FOUR SEASONS WHIT YOUR LOVE
Mou ichi dou.

 

Raccogliere i fiori che sbocciano alla luce della primavera,
osservare la luna che si riflette sul mare d'estate,
il vento d'autunno e la neve d'inverno...
vorrei che ognuna di queste visioni mi scaldasse il cuore...
QUATTRO STAGIONI COL TUO AMORE,
un'altra ancora…

[Four Seasons – Namie Amuro]










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