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Titolo:I know that you're with me in a way that you will not show
Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po’ Tutti
Pairing: DerekxStiles [Sterek]
Rating: Verde
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico, Slice
of life, Sentimentale
Avviso: Slash, Whatif?
Note: Ambientata
un attimo prima della fine della 3a.
1° Capitolo
Il Nemeton si era risvegliato nella sua magnificenza e potenza
al centro di un luogo dimenticato di Beacon Hills, protetto ed adombrato da
tutto quello che lo circondava, ma il suo canto era più chiaro e forte che mai
ed era quasi del tutto impossibile resistergli ed ignorarlo. Preannunciava
l’arrivo di nuove prove da affrontare e battaglie da combattere, la presenza di
ulteriori creature magiche e sovrannaturali che vi si sarebbero accerchiate
attorno per usufruire del suo potere.
A nulla
sarebbe valso nascondere la sua collocazione se l’ode avesse continuato a riecheggiare
in ogni dove.
Ed era
anche vero che dopo il suo risveglio ed il conseguente sacrificio da parte di
Scott, Allison e Stiles e lo scontro appena vinto,
fosse difficile riprendersi e raccogliere i cocci, convivere con un’oscurità
che avvolgeva il cuore, perdendo tutta la loro innocenza e diventando
conoscitori del male del mondo.
Tutti e tre
reagivano in modo del tutto differente, la presa e gli effetti avevano
un’impronta più pronunciata ed incisiva e con difficoltà riuscivano a
sovrastarli.
Ed il canto
aveva un suono diverso per ognuno di loro.
Il borsone
di Derek si trovava esattamente sull’uscio della porta scorrevole, con Cora
dalla parte esterna con il proprio ed il lupo che compieva un ultimo giro di
perlustrazione all’interno del loft. Era pulito ed immacolato, come se al suo
interno non fosse mai capitato nulla e non fosse stato testimone della dura
lotta e dell’ennesimo tradimento che l’aveva colto, accompagnato da tutte le
perdite che erano susseguite e del sacrificio a cui si era esposto.
Quell’appartamento urlava con tutta la sua voce risonante il suo fallimento.
Con una
mano teneva i manici del borsone nero e con l’altra si accingeva a chiudere il
lungo portellone di metallo, sostenuto dalla presenza della sorella minore
riacquisita, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva
privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso
a ricreare ed a difendere.
C’era un
unico ostacolo che si frapponeva alla sua nuova missiva purificatrice.
Il cellulare
prese a squillare con urgenza, risuonando nefasto in tutto l’ambiente
circostante e quasi vuoto, esortandolo e pregandolo di rispondere
nell’immediato possibile.
Derek
lanciò uno sguardo di finta meraviglia alla lupa e lei roteò gli occhi
esasperata, per nulla sorpresa da quell’impeccabile puntualità, riconoscendo al
volo la suoneria assegnata a quella persona specifica.
«Scott,
cosa vuoi?» domandò il mannaro atono quando estrasse il telefono dalla tasca,
senza nemmeno aver bisogno di avvicinarlo all’orecchio.
«Stiles»
gracchiò con affanno l’Alpha, agitato e timoroso e dalla chiamata erano udibili
perfettamente i passi veloci che corrispondevano ad una corsa sfrenata ed alle
voci di sottofondo, familiari e precise, che interagivano con lui. «Non riusciamo
a trovarlo. È scomparso all’improvviso e non troviamo alcuna traccia. Sta
diventando troppo bravo, accidenti!».
Cora
allentò la presa sul suo bagaglio e l’attenzione si concentrò interamente su
suo fratello. «E perché dovrei esserne coinvolto?» chiese spicciolo e poco
interessato l’uomo, stringendo possessivamente i lacci della sua borsa e
sbiancando le nocche. La Beta sapeva quanto falsamente fosse distaccato ed
indifferente alla situazione.
I passi si
fecero quasi taglienti e battevano come un rimprovero sul terreno; Scott non
aveva mai bisogno di alzare la voce. «Muoviti immediatamente, Derek. Sai
benissimo in che condizioni sia ed a causa di che cosa» ma Cora era ben
consapevole del chi che rimaneva
sospeso e graffiante, senza essere pronunciato. «Sei l’unico in grado di
trovarlo» l’unico da cui si farebbe
trovare, la mannara era diventata anche troppo brava a parafrasare.
«Sto
andando via, Scott» e la lupa non doveva sorprendersi della voce ferma ed
impostata con cui il suo consanguineo si esponeva e in cui era evidente il suo
scetticismo. Ma forse non era soltanto quello.
«Lo so
benissimo» dichiarò l’Alpha con una nota precisa e consona, come se sapessero
entrambi di cosa stessero parlando.
«Non ti
sembra alquanto tempestivo?» la fermezza nel moro si fece meno premente mentre
il dubbio e la diffidenza crescevano, l’idea che fosse un semplice capriccio
non l’abbandonava.
«Mi sarei
preoccupato se non avesse fatto niente» Scott era moderato e per nulla
meravigliato, ma la nota stonata riecheggiava funesta.
«Sei
preoccupato» gli fece presente la creatura della notte smorzando tutta la sua
sicurezza.
«Certo che
sì» enfatizzò il messicano, alzando la voce di un’ottava di troppo. «Qui c’è
qualcos’altro in ballo, ne sono certo. Non c’entra soltanto la tua-» l’isteria
che Derek aveva conosciuto in Scott durante i primi tempi della sua
trasformazione si presentò e sapeva chi fosse l’unico a saperla gestire – come
tutto il resto –, ma si bloccò improvvisamente, smorzando il suo fiume in piena
e tutti coloro che potevano udire quella chiamata sapevano come si concludesse
la frase. «Non è rilevante, ma per favore, vallo a cercare».
Certo che era rilevante! Tutto quello che riguardava Stiles e Derek lo era, Cora ne aveva
l’assoluta certezza.
Il lupo
mannaro continuò a non muoversi, premendo forte il cellulare all’orecchio e
mostrando sempre la sua espressione indecifrabile e poco comunicativa, sembrava
che nulla potesse intaccarla, ma in quel momento era così precaria che sarebbe
servito molto poco per vederla cadere. Il silenzio di Derek comunicava
costantemente per lui.
«Derek»
chiamò l’Alpha con profondità, attirando la sua totale attenzione e preparando
il terreno per rilasciare la sua arma segreta, perché sapeva esattamente in che
situazione si trovassero e cosa servisse per far muovere le cose. «È Stiles».
Parola magica.
Cora si
rifiutò con tutta se stessa di tradurre ciò che era contenuto in quel singolo
nome, tutte le variazioni che poteva contenere ed estrapolare, tutte le
inclinazioni ed i significati che erano radicati in esso, tutto quello che vi
era legato, ma era certa che suo fratello potesse sentirli tutti ed ognuno era
collegato alla sua persona.
Derek esitò
con lo smartphone in mano, accostato appena all’apparato uditivo, con il
respiro basso e quasi assente. Il tempo si era congelato ed in quelle frazioni
di secondo il borsone, abbandonato ed eclissato, era già tornato all’interno
del loft come se avesse utilizzato un incantesimo, perché Cora era certa che il
fratello non si fosse minimamente mosso. «Sto arrivando» comunicò semplicemente
il licantropo, mettendo immediatamente fine alla chiamata ed affrettandosi
senza perdere un solo attimo.
Stiles viene sempre prima di tutto.
Il lupo non
provò nemmeno a scusarsi e Cora si ritrovò in un corridoio vuoto e desolato con
il bagaglio ancora in mano.
Probabilmente
e sicuramente in un’altra situazione avrebbe controllato vari posti, girando e
rigirando su se stesso, per ricominciare dal principio e sbagliando ancora e
forse, soltanto forse, alla fine avrebbe trovato il luogo giusto.
Ma la
verità era un’altra.
Quando si
trattava di Stiles, Derek difficilmente tentennava e poteva sbagliare uno o al
massimo due bivi, ma lo trovava sempre, senza che ne avesse davvero
l’intenzione.
Ma in quel
momento non ebbe un minimo di esitazione e le gambe lo portarono esattamente
nel luogo in cui si trovava l’umano.
Stiles era
lì, al confine della città, nel cuore della riserva, a poche falcate dal ceppo
rimasto del Nemeton, che si era risvegliato e che li
attirava a lui.
Le domande
che avrebbero dovuto risuonare nella mente dovevano comprendere il perché lui
fosse lì e da quanto tempo, ma Derek poteva osservare che il figlio dello
sceriffo non avesse usato alcun mezzo per arrivare in quel luogo e che avesse
vagato per la città circumnavigando la natura, procedendo con andatura
scomposta e poco lineare, accelerando e rallentando davanti a motivazioni che
l’uomo non sapeva cogliere. Ma era in grado di stabilire che Stiles era lì da
pochi minuti e quella sensazione che gli suggeriva quanto procedessero per lo
stesso passo, stanziandosi di pochi istanti, lo fece sentire strano ed a
disagio.
«Riesci a
sentirlo?» domandò Stiles con voce sommessa e profonda, devota ed altisonante.
Derek fu
completamente attirato dalla sua figura e quasi inciampò nei propri pensieri
quando udì la sua voce risuonare in quel modo; era come se il ragazzo fosse
immerso in un mondo che non poteva raggiungere. «Ti stanno cercando tutti»
disse come unica risposta, ignorando quella domanda che non comprendeva ed
avvicinandosi di qualche centimetro a lui.
«Tutti, eh»
proferì il liceale con il classico tono a metà tra il sarcastico ed il
meditativo, ma era ancora distante e scostante. «E tu?».
Il lupo lo
guardò sorpreso ed interrogativo, ma Stiles non gli prestava alcuna attenzione.
«Sono qui» ed il suo tono esponeva evidenza e chiarezza.
Gli occhi
ambrati si illuminarono improvvisamente e la patina vitrea che li ricopriva fu
ingoiata, lasciando emergere la vera persona di Stiles. Si voltò verso la sua
direzione e fece un unico impercettibile passo indietro. «Dovresti già essere
via».
Il mannaro
sentiva perfettamente l’accusa ed il risentimento presenti nel sottile velo
della sua voce. «Quello era il piano».
«Torna al
tuo piano» sentenziò serafico, mentre le sue iridi bruciavano nefaste.
«Devo
riportarti indietro» doveva riuscire almeno in quello, anche se il liceale non
l’avrebbe mai perdonato.
«Cosa?
All’improvviso esegui gli ordini di un Alpha che riconosci soltanto a metà»
gracchiò infastidito il figlio dello sceriffo poco impressionato. «O vuoi
semplicemente ripulirti di qualcosa e chiuderti più conti in sospeso
possibili?».
«Non sei un
conto in sospeso» lo riprese il mutaforma combattendo contro la furia che gli
gettava contro.
«No»
proferì l’altro con voce sciolta, chinando il capo ed osservando un punto vuoto
nel nulla. «Sarebbe un passo avanti».
«Stiles»
ammonirlo era sempre più forte di lui e per quanto l’umano avesse le sue
ragioni, non poteva lasciarlo guidato dalla rabbia, pronunciando cose non vere.
Stiles si
tirò indietro e Derek poté interpretarlo come un ultimo gesto disperato per
scappare da lui. «Vattene via» e nel rancore che gli riversava poteva sentire
la supplica afflitta con cui lo pregava. «Smettila di farmi del male fino alla
fine».
Esisteva
un’unica realtà. Una in cui gli aveva spezzato il cuore; più volte.
Stiles e
Derek avevano orbitato l’uno attorno all’altro fin dall’inizio, fin dal loro
primo e disastroso incontro. Era naturale e quasi obbligatorio e non lo
facevano mai di proposito, ma continuavano ad attrarsi come due poli di cariche
opposte e non riuscivano a resistere a quella presa magnetica, ma rimanevano
comunque composti ai loro rispettivi posti, nei loro ruoli, e difficilmente
attraversavano il limite che avevano tracciato. Quella linea invisibile che con
il tempo era diventava soffocante e claustrofobica.
Non avevano
studiato e concordato nulla, non ne avevano nemmeno mai parlato e non un solo
soffio era uscito dalle loro labbra, ma era come se persistesse un tacito
accordo muto che li accompagnava senza mai esporsi.
Ma il loro
modo di incrociarsi, attorcigliarsi e scontrarsi aveva portato delle modifiche
nel rapportarsi e quella relazione inconsistente che appesantiva l’aria, si era
trasformata in una tagliente e nociva perché non riuscivano più a fare a meno
l’uno dell’altro e non avevano alcuna idea di come gestirla.
Con il tipo
di vita che conducevano e con il male avverso che si abbatteva su tutti loro,
le rispettive presenze erano essenziali e provvidenziali e la loro
collaborazione era fondamentale. Per quanto amassero urlarsi contro ed avere
costantemente opinioni completamente differenti, il loro gioco di squadra era
spettacolare, il limite che si era disegnato automaticamente andava ad
assottigliarsi ed il contatto fisico e mentale era sempre più possibile. Ma
nessuno continuava a fare il primo passo.
Per un
periodo Stiles si era illuso e cullato nella speranza che il momento in cui la
loro relazione ostentatamente platonica si evolvesse fosse quanto mai vicino
alla fine, ma non c’era mai stata alcuna pressione e lui era in grado di capire
di quanto spazio e tempo avesse bisogno il lupo, di quanto la vita e le
disgrazie che gli si erano abbattute contro incidessero su lui e su qualsiasi
decisione potesse anche solo pensare di prendere. Stiles era disposto ad
aspettare un’intera era geologica se fosse stato necessario.
Ma Derek
aveva scelto una donna.
E non una qualsiasi,
ma la sua giovanissima e bellissima professoressa di letteratura. Colei che
doveva vedere quasi quotidianamente e che automaticamente collegava il loro
stare insieme con l’uomo per cui provava qualcosa di esageratamente forte. Ogni
giorno era una silenziosa agonia che non poteva esprimere.
Era
matematico che il loro rapporto si incrinasse e che la fiducia fosse andata in
brandelli, eppure erano comunque costretti a salvarsi la vita a vicenda ed a
tutti quelli del branco e ognuno di loro era consapevole di quanto il suo cuore
stesse sanguinando, nascondendolo sotto la maschera del ragazzo sarcastico con
la battuta sottile sempre pronta e con l’intelligenza che faceva da padrone,
distaccandosi dalla sfera emotiva.
Non era
cambiato nulla quando la vera identità della dolce ed innocente professoressa
era venuta a galla, rivelandosi per il perfido nemico che stavano cercando.
Stiles
avrebbe potuto abbuonagliela considerando che l’attrazione e l’interesse che
Derek provava per lei erano scaturiti da un trucco indotto dal sacrificio dei
vergini, che lo attirava come la luce per una falena ed il licantropo aveva
dimostrato quanto ancora si fidasse delle sue parole, quanto considerasse
Stiles la verità. Ed era possibile che Stiles avesse sofferto per e con lui
quando l’ennesimo inganno rivolto alla sua persona si aggiunse alla lista che
già possedeva, ma guarire un cuore spezzato non era un affare di poco conto.
E poi era
arrivata la resa di Derek.
«Sai che
non è così» disse il mutaforma con razionalità e concretezza, trovandosi
finalmente dinnanzi a lui e distanziandolo di pochi spazi.
«Ho dovuto
saperlo da Lydia. Da Lydia, Derek» gli occhi ambrati erano grandi e brillanti,
provati e sofferti, con l’assurdità della situazione che si stampava nella sua
voce, come se le due cose non potessero coesistere e fosse utopia vera e
propria.
Derek
sapeva perfettamente che qualsiasi cosa avesse detto gli si sarebbe rivolta
contro. «Non era programmato» e voleva dire una marea di cose, con significanti
così traboccanti e contrastanti da far girare la testa e non quell’uscita
infelice che non rispondeva ad alcuna domanda.
Nell’esatto
momento in cui quella spiegazione aveva lasciato la sua bocca, la furia omicida
di Stiles dilagò. «Cosa, Derek? L’averlo comunicato a qualcuno? Che sia
trapelata la notizia e non sei potuto scappare nel cuore della notte senza
lasciare alcuna traccia di te?» e c’era un minuscolo io? così sottile e fragile che il lupo avrebbe dovuto salvare e non
lasciare che si sfracellasse a terra.
«Devo andare»
proferì infine il mannaro con un unico tono, senza cercare più alcun modo di
giustificarsi e sperando che il ragazzo se ne facesse una ragione.
Le spalle
di Stiles si abbassarono e tutto apparve come una battaglia persa che non aveva
più motivo di essere combattuta, di lottare per lei. «Non tornerai più» la
certezza era assordante.
Derek non
aveva alcuna base per confermare o smentire la cosa. Era comunque qualcosa su
cui aveva riflettuto parecchio e le percettuali di non far ritorno erano
talmente alte che era meglio nascondere il numero sotto un enorme tappeto
introvabile, ma ogni suo gesto, ogni decisione, non aiutavano l’umano a
risanare quell’organo ridotto in frammenti.
Stiles
voltò la testa dietro di sé, inclinando il capo e sporgendosi come se stesse
cercando di afferrare un suono specifico. «Lo senti?».
Lo sguardo
dubbioso nell’uomo si ripresentò e le iridi di miele tornarono ad essere vitree
ed assenti, catapultate da un’altra parte e la voce era identica a quando
l’aveva incontrato pochi minuti prima. «Cosa dovrei sentire?» la possibilità
che Stiles fosse in grado di udire qualcosa a lui estranea era fuori
discussione.
«Il canto»
soffiò completamente rapito ed attratto, come se fosse in procinto di seguirlo.
Derek rizzò
le orecchie e provò a captare la frequenza da cui sembrava attirato l’altro, ma
tutto quello che sentiva erano fruscii ed il battito del suo cuore ad un
intervallo irregolare. C’era qualcosa che non andava. «Quale canto?».
Stiles si
voltò completamente, pronto a partire. «Mi sta chiamando».
Il Beta lo
afferrò nell’immediato, prendendolo per un braccio e tirandoselo contro, ma
Stiles lo ritirò indietro, smontando la presa e rivolgendogli un’occhiata di
fuoco puro. «Non toccarmi».
Derek non
si sarebbe mai potuto abituare a quel tipo di sguardo da parte sua. «Non andare
da nessuna parte, torniamo dagli altri».
«Ma… sta
chiamando» ed il diciasettenne sembrava così perso e confuso, ma così certo
delle sue parole che tutto lo portava a smarrirsi, perché la voce di Derek era
ancora qualcosa che avrebbe potuto contrastare tutto il resto.
«Resta qui
con me» e il lupo era irremovibile, perché aveva compreso che il richiamo non
era nient’altri se non quello del Nemeton stesso e
quando accadeva, il pericolo ed i guai erano dietro l’angolo e il fatto che
Stiles sembrasse l’unico ad essere in grado di udirlo, attratto e pronto per
adempiere al suo compito, non era assolutamente qualcosa da classificare come
positiva. Derek doveva impedirlo in ogni modo.
«Non ti
sarei bastato?» esordì l’adolescente all’improvviso nel silenzio che li
circondava, con una voce così immensa e stracolma di sfumature che gli diede
una momentanea nausea.
Derek era
completamente frastornato e disorientato, gli era quasi impossibile riuscire a
seguire tutti gli sbalzi d’umore che Stiles stava attraversando, i cambiamenti
ed i sentimenti opposti che stava provando. Il buio che stava percorrendo,
inseguendo qualcosa che era permesso soltanto a lui di sentire. Era così
fragile ed inerme che si dannò per non essere capace di riportarlo indietro, di
strapparlo da quella malia che gli scorreva nelle vene e che il sacrificio per
risvegliare il Nemeton, e salvare suo padre, aveva
costruito, istaurando un legame perpetuo e duraturo. Stiles viveva con
l’oscurità intorno al cuore ed esso era ammaccato e scombussolato a causa sua,
non aveva il modo né la forza per contrastare il potere che il Nemeton aveva su di lui. Non aveva modo di proteggersi.
Stiles non
era scomparso o scappato per sua volontà, ma perché qualcosa più grande di lui
lo portava a camminare per le strade della città per raggiungerlo.
«Lo so che
ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco
che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai
fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo
stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e
meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Prendere una boccata
d’aria. Ma io non sono abbastanza?» per
rinunciare e restare, per tornare. Per provarci.
Nell’assurdità
delle cose, Stiles era sempre quello che riusciva a capirlo senza che aprisse
bocca, su qualsiasi argomento e situazione.
Ma quello
che lo lasciava più interdetto era la facilità con cui il ragazzo si stesse lasciando
andare, mettendo voce a tutto quello che avevano taciuto ed a cui non avevano
mai dato un nome, quello che avevano evitato e su cui si erano semplicemente
limitati a girare intorno. Stiles non avrebbe mai lasciato andare quei
pensieri, permettendogli di fluire via e dandogli la possibilità di
manifestarsi usufruendo della sua capacità oratoria.
Sapeva
anche che avrebbe dovuto possedere la risposta a quella domanda. «Questo non
sei tu».
Le perle
ambrate si spalancarono maggiormente ed una scintilla sconosciuta le
attraversò. «Perché te lo sto chiedendo? Perché sto confessando cosa provo
esattamente per te?» era esterrefatto e sbalordito ed appariva come se fosse
stato accusato e colpito, non riconosciuto.
L’espressione
del licantropo era sempre la stessa, impassibile e scrutatrice, con la capacità
di farsi scivolare tutto via, senza essere sfiorato da nulla. L’espressione
seria e stabile era fondamentale. «Credimi. Dobbiamo tornare dagli altri e
sistemare questa storia» a volte la sua preoccupazione veniva a galla, in modo
molto sottile e Stiles era l’unico, insieme a suo zio, a saperla vedere e
cogliere. Rispondeva innegabilmente di conseguenza e difficilmente perdeva
tempo se vedeva il lupo mannaro in quello stato, ma Derek sapeva che in quella
particolare occasione avrebbe dovuto forzare la mano. E non poteva nemmeno
toccarlo e rassicurarlo; Stiles sicuramente se ne sarebbe uscito con qualcosa
che assomigliava a questo sì che non sei
tu, ma l’adolescente disconosceva che il mutaforma in determinate circostanze
doveva farsi violenza per privarsi di cedere ad un semplice sfioramento.
«Starai bene, fidati di me».
Il liceale
saltò indietro e lo sguardo si fece duro e pieno di dolore. «Non posso farlo»
esclamò con costernazione, ma con impegno e richiamando tutta la sua forza.
«Non posso più fidarmi di te, di tutto quello che ti rappresenta».
Un macigno
enorme gli cadde addosso e la creatura della notte non poteva credere di stare
per perderlo in quel modo. «Allora fidati di loro» non aveva mai creduto più in
nessuno dopo l’incendio, non aveva permesso che altri gli si avvicinassero,
aveva chiuso Stiles in una bolla privata e si era lasciato andare con le
persone sbagliate. Non poteva costringere qualcun altro a fidarsi quando lui
aveva agito diversamente, ma non avrebbe mai immaginato di doversi muovere con
cautela con il diciasettenne, suggerendogli di credere nella sua famiglia.
«Non posso.
Diventa sempre più forte» l’umano si era nuovamente isolato, tagliandolo fuori
e cadendo in quello stato di assenteismo, manovrato da fili invisibili. Per
quanto ancora poteva passare da uno stato all’altro senza rompersi? «Devo
andare».
«Stiles» lo
richiamò nell’immediato il licantropo con voce gutturale ed autoritaria quando
lo vide muoversi nella direzione opposta alla propria.
«Vai via,
Derek» soffiò candido e con voce spezzata, invitandolo e nascondendo quella
nota di supplica che gli strappava il cuore. «Non valgo la pena».
Stiles fu
inghiottito dalla riserva e Derek non riuscì a muoversi.
Pochi
minuti dopo il branco era già lì, guidato dal suo Alpha e seguendo la scia di
Stiles.
«Dov’è? Sei
riuscito ad intercettarlo?» domandò a raffica il messicano con gli occhi grandi
che si spostavano da una parte all’altra, mentre Allison,
che gli stava esattamente dietro, lo guardava con attenzione, aspettandosi una
risposta e Lydia lo studiava meticolosamente, apparendo confusa e provata.
Isaac era l’ultimo della cerchia.
Derek
sembrava non guardarli davvero ed essere completamente estraneo a tutto quello,
con la mandibola poco allenata che faticava ad emettere suoni. Cosa avrebbe
dovuto dire?
«Derek,
parla. Sento il suo odore, è qui; dimmi dov’è» disse l’Alpha con quell’isteria
che ormai prendeva vita quando si trattava del suo migliore amico, non
smettendo un attimo di cercarlo ed agitandosi per la mancanza di risposte; non
presagiva nulla di buono ed odiava non avere la situazione sotto controllo.
Il fruscio
del vento si frappose tra loro, portandosi qualsiasi cosa potesse anche
soltanto essere sussurrata, strappandola via; qualora fosse stata pronunciata.
«Derek»
provò ancora con la preoccupazione e la paura che raggiungevano le stelle.
Derek si
sentì tirare un lembo dei jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e
delicata, quasi impalpabile e si voltò confuso nell’immediato, incontrando
degli occhi giganti dall’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai
dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante,
impostata ed educata, buona e pulita.
Il branco fu chiamato all’attenzione da quel
siparietto ed il fiato si bloccò nella trachea del messicano; se Scott avesse
sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe
bastato. «Stiles?».
Passo
dal rosso rubino sangue al verde smeraldo che più smeraldo non si può, ma
eccomi tornata con la nuova storia promessa.
In
realtà i primi tre capitoli e mezzo sono stati scritti nel lontano dicembre
2015 (una vita fa), ma in qualche modo tutte le altre storie che sono state
pubblicate in questi anni gridavano di essere scritte con più voce e questa di
conseguenza è finita in un’attesa eterna, ma non è mai stata dimenticata e non
è nemmeno mai cambiato il suo sviluppo nella mia testa. È rimasta tale e quale,
fedele a se stessa.
Ci
sarebbero molte cose da dire su questo primissimo capitolo, ma per il momento
mi limiterò a lasciarvi la parola.
Ringrazio
la mia beta che è miracolosamente resuscitata (EarthquakeMG), ma sono sicura che ad entrambe
saranno sfuggite delle sviste.
Lo
sbigottimento e l’incredulità regnavano all’ingresso della riserva ed il fiato
sospeso accompagnava ognuno dei presenti.
Gli occhi
del branco erano enormi e sgomenti, non riuscivano a distogliere lo sguardo
dalla piccola creatura che persisteva a rimanere aggrappata a Derek e che
ricambiava con uno dubbioso e diffidente, fasciato dentro un’esagerata felpa
rossa che gli lasciava libere soltanto le caviglie ed i piedini nudi. Surreale.
«Chi sei?»
chiese accorto e circospetto il bambino dai grandi occhi di miele ed i capelli
castani sparati da varie parti – taglio che ricordava pericolosamente quello
del giovane Stilinski –; la sua attenzione sembrò essere richiamata quando quell’insieme
di lettere era stato pronunciato, come se ne fosse il proprietario e fosse
disturbato dal fatto che qualcuno lo conoscesse senza che lui avesse alcuna
idea di chi rappresentasse quella persona.
«Scott»
rispose l’Alpha con un soffio al cuore, l’espressione sorpresa e rammaricata
dal mancato riconoscimento. «Scott McCall».
Le pupille
si dilatarono, coprendo le iridi ambrate, tirando le spalle all’indietro e
trascinandosi quel lembo che ancora tratteneva tra le dita. «Non sei lui, sei
troppo grande» disse con convinzione, intimandogli con lo sguardo di stargli
lontano e di non credergli.
Il
messicano fu colpito dalla sua reazione, non rendendosi pienamente conto della
situazione e si propense verso di lui per raggiungerlo e convincerlo. «Stiles,
posso assicurarti che-» ma non riuscì a terminare la frase che la creaturina si
nascose dietro le gambe del maggiore degli Hale, rifiutandosi di ascoltarlo e
temendolo; Scott si pietrificò a metà della sua azione.
«Come può
essere Stiles?» domandò Lydia con perplessità e frastuono, accompagnata
dall’impossibilità della cosa.
Scott
sembrò risvegliarsi da quella situazione soltanto nel momento in cui il quesito
fu esposto, in quell’istante si rese conto della gravità della situazione e di
cosa rappresentasse. «Non lo so, ma sono certo di questo, ho passato quasi
tutta la mia vita con lui per non riconoscerlo».
La Banshee
girò su se stessa, come se cercasse qualcosa che
potesse suggerirle come risolvere quel mistero insormontabile. «Perché era qui?
Perché è venuto in questo posto?».
«Il Nemeton» disse la voce profonda ed ultrasuono di Derek,
subentrando nel silenzio e manifestandosi.
Le iridi
castane dell’Alpha si dilatarono, posandole su quelle verdi del mannaro davanti
a sé e parte dei pezzi di un puzzle che non riusciva ad individuare si
posizionarono al loro posto. «Dannazione!» esclamò con frustrazione; aveva
avuto ragione nel percepire nella scomparsa di Stiles qualcos’altro oltre il
suo turbamento. «Dobbiamo portarlo da Deaton».
«Facile a
dirsi. Non ci riconosce e non sembra volersi scostare da Derek» subentrò Isaac
con uno sbuffo, roteando gli occhi ed evidenziando la situazione che gli si
presentava davanti, mettendo in mostra l’ovvio che ignoravano.
«Dobbiamo
anche chiamare lo sceriffo» aggiunse comprensibilmente la bionda fragola.
Allison si
illuminò improvvisamente, avvicinandosi di poco e con cautela verso lo scudo
dietro cui si nascondeva il cucciolo d’uomo, protetto dalla figura del Beta che
non si era minimamente mosso, piegandosi sulle ginocchia e portandosi alla sua
altezza. «Ehy, Stiles, vuoi venire con me dal tuo
papà?» chiese con gentilezza e dolcezza, annullando tutta la sua natura da
cacciatrice ed abbozzando un sorriso rassicurante.
Stiles uscì
di poco dal suo rifugio, mostrando le enormi perle di miele ed aumentando la
presa sui pantaloni dell’uomo. «Conosci il mio papà?».
«Certo.
Tutti noi conosciamo il signor Stilinski» rispose prontamente la mora,
allargando il sorriso ed indicando tutto il branco a dimostrargli che poteva
fidarsi di loro. «Possiamo portarti da lui».
L’umano la
guardò in un primo momento meravigliato e speranzoso e per un attimo credettero
che tutto andasse bene, ma lui scosse la testa, poco convinto e sfiduciato,
tornando a stringersi a Derek e nascondendosi totalmente dietro le sue gambe,
irremovibile dall’uscire di lì un’altra volta.
«Di questo
passo non andremo da nessuna parte» gracchiò annoiato il licantropo più
giovane, disturbato dal comportamento del bambino e da quella perdita di tempo.
«State
perdendo di vista l’evidenza: questo è pur sempre Stiles e lui non si fida di
nessuno» intervenne la banshee con il suo acume che si manifestava,
permettendogli di vedere la situazione nel quadro completo.
La
cacciatrice la osservò per un lungo momento, con la testa voltata verso la sua
direzione, ancora accovacciata all’altezza del piccolo Stiles e meditando su
una possibile soluzione. «So che non ti fidi di noi, che non ci conosci e che
sei confuso» articolò con pazienza e moderazione, usando il tono giusto e tutta
la sincerità di cui era a disposizione. «Ma conosciamo davvero il tuo papà e
possiamo portarti in un posto dove può raggiungerci» disse con diplomazia, con
quel fare cauta che l’aveva accompagna finora. «È un uomo di legge, non
permetterà che ti succeda qualcosa».
Il silenzio
si protrasse per un lungo momento e Stiles non diede il benché minimo segno che
fosse disposto a cedere o che fosse vagamente interessato.
«Dove?»
domandò la vocina acuta ed indecisa, speranzosa e fremente di poter
riabbracciare la figura paterna.
Allison
sorrise di cuore. «Da un nostro amico, il dottor Deaton,
è un veterinario e quel ragazzo lavora con lui» comunicò con attenzione e
familiarità, indicando il capo branco che era rimasto al suo posto da quando il
suo migliore amico l’aveva disconosciuto. «Ti piacciono gli animali, Stiles?».
«Sì» annuì il figlio dello sceriffo con un accenno
del capo doppio, come se avesse capito di chi stessero parlando ed avesse
individuato il viso dell’uomo citato.
«Allora
potrai giocare con loro finché non arriverà il tuo papà a prenderti» lo esortò
ed invogliò la ragazza, regalandogli una nuova piega rassicurante e che
presagiva divertimento assicurato.
Allungò una
mano nella sua direzione aspettando una risposta affermativa, davanti gli occhi
di uno Stiles combattuto e diviso a metà, che si ritrasse un po’ quando gli si
avvicinò, poggiando una tempia sull’angolo del ginocchio interno di Derek che
gli spostò i capelli, offuscandogli la vista.
Derek non
aveva proferito parola, rimanendo esattamente dov’era con il fiato trattenuto e
la follia che gli si disegnava davanti, ammonendosi di non commettere alcun
errore che potesse allarmare e far scappare Stiles. Era pietrificato ed
impossibilitato a capire la situazione e perché il bambino avesse usato lui
come scudo, ma sentire un corpo così piccolo, Stiles, toccarlo e riconoscerlo come una sua sicurezza era
un’esperienza che non riusciva a descrivere.
Allison
incrociò gli occhi con i suoi, studiandolo attentamente ed aspettando chissà
quale segno da parte sua, cercando di afferrare qualcosa.
Li distolse
subito dopo, dedicando la sua totale attenzione all’umano. «Sta' tranquillo,
Derek verrà con noi».
Stiles
sbirciò dal suo nascondiglio, mostrando le sue gemme ambrate brillanti,
cercando la verità di quell’affermazione in lui.
«Va’ con
lei» disse il lupo senza alcuna diplomazia, ma con tutto il tatto che poteva
possedere e che conosceva molto poco.
Il pargolo
lo guardò per attimi infiniti, spostando poi la sua attenzione alla mano che
Allison ancora gli porgeva con pazienza e la prese un momento, esponendosi
all’aria aperta, ma senza riuscire a separarsi completamente dal suo oggetto di
conforto.
Stiles era
in mezzo alla radura, con una mano in quella della cacciatrice e con l’altra
che ancora si aggrappava con i ditini alla stoffa dei
jeans di Derek. Sembrava che dividersi dal mannaro fosse qualcosa di
estremamente grave e difficoltoso, ma con un’ultima occhiata verso di lui si
separò, seguendo in silenzio la ragazza.
E Derek si
sentì perso.
Allison
mantenne le sue promesse e lo portò sano e salvo dal Dr Deaton
– un Deaton sbalordito e senza parole –,
riservandogli un semplice sorriso pieno, come se fosse tutto normale, e
trascinando Stiles con sé, davanti alle gabbie degli animali e facendosi
indicare dal veterinario quelle con cui poteva intrattenere il loro piccolo
ospite.
Stiles
erano minuti interi che volteggiava tra gatti e cani, dedicando ad ognuno di
loro la sua totale attenzione, ricoprendoli di coccole e tenere risatine
gioiose con la cacciatrice che lo seguiva passo dopo passo e che lo prendeva in
braccio quando voleva arrivare più in alto, ad accudire quelli che secondo lui
riteneva emarginati. Allison era a sua completa disposizione e lo accontentava
sempre.
Liberarli
dalla gabbia a volte non era semplice, soprattutto se erano quelle in cima, e
non sempre gli ospiti che Stiles sceglieva erano propensi alla sua compagnia e
la mora si beccava qualche graffio o ringhio poco gradito che le suggerivano di
lasciarli esattamente dove li aveva trovati, ma agli occhi dolci e pieni di
aspettativa del cucciolo d’uomo, ancora confuso e lontano dalla sua famiglia,
non sapeva resistere e persisteva nella sua mansione, ben pronta ad intervenire
se qualcosa non la lasciava tranquilla, ma quando ogni creatura veniva
depositata tra le mani del figlio dello sceriffo, questa vi si abbandonava,
lasciandosi viziare in ogni modo. Il branco era impressionato.
«Non ho mai
visto una cosa del genere» disse il druido, osservando il piccolo Stiles
sorridere ad un gattone enorme particolarmente turbolento, che si abbandonava
completamente alle sue cure facendogli le fusa, e ad Allison che giocava con
lui. «È tornato esattamente alla sua fanciullezza».
«Non sa chi
siamo e non ricorda niente di tutto il resto» riferì la banshee che si era
attenuta a studiare il fenomeno, rimanendo più distaccata possibile ed
estraendo le informazioni che potevano servire.
«Non può
farlo» rivelò pragmatico il veterinario, avvicinandosi al lettino che spesso il
branco stesso aveva utilizzato. «Stiles, puoi raggiungermi un momento? Vorrei
soltanto controllare una cosa».
Il bambino
si sentì chiamare ed alzò la testa automaticamente, incontrando le iridi scure
dell’uomo dinnanzi a lui. «Non sono un animale» diffidò nell’immediato,
rifiutandosi di fare un solo passo senza capirne la ragione. «Lei cura gli
animali».
La sua
intelligenza e logica erano senza tempo. «Hai ragione, ma vorrei risolvere un
piccolo mistero. Potresti aiutarmi?» se lo Stiles dell’età infantile era lo
stesso di quello diciasettenne, per lui era impossibile impedirsi di risolvere
un caso e negare aiuto.
«Un
mistero?» fece eco l’umano con gli occhi che si erano accesi di una scintilla
interessata e vogliosa, ma guidati fortemente dal dubbio.
Allison
dedicò uno sguardo eloquente al maggiore degli Hale, che era rimasto a portata
d’occhio tutto il tempo per rassicurare Stiles, spicciolando poche parole al
druido sulla disavventura che li aveva condotti a quella situazione surreale e
dando un quadro completo dettato da Lydia. Sembrava suggerirgli di ripetere
l’esperimento che si era presentato alla radura prima di giungere alla clinica.
«Sì, è molto bravo a risolvere misteri, ma mai quanto te».
L’adulazione
poteva essere una buona cosa per spingere Stiles a farsi visitare dal
veterinario, ma sia Derek che Allison sapevano che non poteva bastare. «Puoi
andare» gli diede il permesso con rassicurazione il lupo, spiccicando molto di
più del silenzio osservativo in cui era caduto. «Sarò con te».
Il pargolo lo
guardò con le sue grandi iridi ambrate per un lungo attimo, annuendo
impercettibilmente e passando il gattone alle mani della cacciatrice che si
munì per rimetterlo al suo posto.
Stiles
partì e Derek lo seguì.
Stiles si
posizionò proprio all’angolo del lettino, aiutato da Deaton
e quest’ultimo si limitò a fargli qualche domanda ed a controllare soltanto la
pelle esposta, senza mai entrare troppo nella sua sfera personale, perché
tendeva a chiudersi in se stesso e ad isolarsi e le
cose diventavano ancora più complicate.
«Quanti
anni hai, Stiles?» domandò infine e la cosa stupì Derek, poiché non gli era
nemmeno venuto in mente quel tipo di domanda o forse perché sarebbe
dovuta essere la prima.
«Cinque»
articolò il bambino, dispiegando una mano ed alzando esattamente il numero
coretto di dita.
All’improvviso
la porta del locale fu spalancata, sbattendo sul muro ed una voce alta,
profonda e preoccupata irruppe nell’aria. «Dov’è? Dov’è mio figlio?».
Stiles
captò subito la nuova voce, rizzando le orecchie e sporgendosi, riconoscendola
immediatamente e sbarrando gli occhioni, concentrandosi subito sulla direzione
da cui proveniva, sbilanciandosi troppo per corrergli incontro, intercettato e
fermato da Allison che lo prese per la vita e lo depositò sul pavimento con
cautela.
Le iridi
azzurre dell’uomo fecero il loro ingresso, seguito da una Melissa attonita con
una mano sulla bocca alla sua vista, e si ingrandirono incredibilmente,
sbiancando sul posto. «Stiles».
Il bambino
davanti alla sua figura rimase immobile, mettendo subito dopo un passo dietro
l’altro e ritornando da Derek, nascondendosi tra le sue gambe.
Il silenzio
cadde a falci e nessuno parve più sapersi muovere.
Tutti gli
abitanti di quelle mura guardarono i rispettivi protagonisti di quella scena
agghiacciante, senza sapere cosa fare.
«Ehy» esclamò sonoramente la cacciatrice con un sorriso
familiare ed incoraggiante, prendendo in mano la situazione ed osando, chinando
la schiena ed avvicinandosi all’umano, dando le spalle a tutti gli altri.
«Perché ti nascondi? Non vuoi salutare il tuo papà?».
Stiles
scosse vistosamente la testa, incastrandosi perfettamente nel suo rifugio
costruito dagli arti inferiori del lupo maggiore. «Quello non è lui».
La certezza
nella sua voce era lampante e devastante e chi era in possesso di doti
sovrannaturali poteva sentire il cuore dello sceriffo spezzarsi a quel rifiuto
netto, incapace di reagire.
Le pupille
di Allison si dilatarono impercettibilmente ed all’improvviso nemmeno lei
sapeva più come risolvere la complicazione presentatela. «Perché dici così?».
Gli
occhioni immensi della creaturina incontrarono i suoi e la manina afferrò un
nuovo lembo laterale dei jeans lerci del licantropo. «Lui è…» le perle ambrate
si spostarono su quelle chiare del genitore. Erano stanche, sopraffatte, più
chiare e vecchie. Più vissute di quelle di cui si ricordava. Le rughe sul suo
viso erano aumentate e dilatate e sottolineavano quanto esausto fosse, di
quanti incarichi si occupasse e delle responsabilità che erano aumentate. La
stella dorata che aveva appuntata sul petto, segno della sua appartenenza alla
legge, e che aveva stretto tra le mani più volte nei suoi cinque anni,
rigirandola e ricalcandola, imparando le lettere che vi erano incise, era
sicuro che non avessero più lo stesso significato di vice-sceriffo. «Diverso».
L’acume e
la capacità di Stiles di registrare i dettagli rendeva quasi impossibile
gestire quella situazione disperata.
Allison si
voltò verso lo sceriffo, facendo una panoramica di tutti gli sguardi che si
ritrovava contro e leggendo in tutti la stessa incapacità di affrontare il
problema. «Stiles, posso assicurarti che è lui».
L’insistenza
divenne troppo premente ed un vocio esagerato si alzò, portando Stiles alle
lacrime e con le forze per negare che gli venivano meno.
«Adesso
basta» tuonò Derek, mettendo tutti a tacere e fulminandoli con gli occhi di
ghiaccio, prendendo Stiles tra le braccia e tirandoselo su. «Così non
l’aiutate» disse con un ringhio arrabbiato e gelante, superando ognuno di loro
ed ammonendoli fino alla fine, sbattendo la porta dietro di lui ed
allontanandosi da quel luogo soffocante.
Stiles gli
stava aggrappato al collo, con le braccine tutte intorno ed il viso premuto
sull’angolo per nascondersi e ripararsi, singhiozzando silenziosamente. Derek
sentiva perfettamente il principio di lacrime incastrate tra le sue ciglia e
che non lasciava cadere. Per Stiles doveva essere tutta una grande tragedia che
non riusciva a spiegarsi, catapultato in una realtà in cui non riconosceva
nessuno, nemmeno la parte più importante del suo cuore, quella che cercava
disperatamente e per cui si era lasciato condurre da loro al fine di
ritrovarla.
A Stiles
sarebbe bastato suo padre, l’uomo che conosceva e con cui aveva imparato a
vivere.
Come poteva
spiegargli che era lo stesso uomo, lo stesso identico uomo che lo amava con
tutto se stesso e che lo riteneva la cosa più
importante di tutte, l’unica cosa che gli era rimasta? Stiles non conosceva
nulla di tutto quello, non sapeva cosa avessero passato e cosa avessero perso,
quanto si fossero uniti ed avessero combattuto per avere quello che erano
riusciti ad ottenere, i sacrifici che avevano fatto e quanto rappresentassero l’uno
per l’altro.
Derek si
fermò per un momento, sistemandolo meglio e stringendolo maggiormente a sé
colto da un pensiero che gli gelò il sangue. Stiles non riconosceva la persona
più cara che aveva e con cui condivideva il sangue, quella di cui si sarebbe dovuto
fidare ciecamente, suo padre. Ma non sapeva nemmeno di non avere più una madre.
Senza alleati, i più importanti, le parti vitali di se
stesso, come avrebbe fatto a sopravvivere?
Un
singhiozzo più forte degli altri gli attraversò l’udito e ringraziò che Stiles
non fosse in grado di leggergli nella mente; dovevano nascondere
quell’informazione con tutti gli strumenti che avevano a disposizione.
«È tutto
sbagliato» gracchiò con la voce spezzata il cucciolo d’uomo, strisciando il
naso sulla pelle del mannaro. «Quello è il mio papà, ma…» inspirò
profondamente, mordendosi le labbra a contatto con l’altro e lasciando
fuoriuscire un mezzo gemito che non riuscì a trattenere. «Non lo è».
A Derek si
spezzò il cuore in una cascata di schegge. Stiles era completamente sopraffatto
e combattuto, così confuso e fuori dal suo mondo che avrebbe potuto rompersi;
era consapevole di ogni cosa, di ogni cambiamento. «È soltanto un po’ diverso
da come lo ricordi» onestamente si chiese se anche lui avrebbe avuto quel tipo
di problemi nel riconoscere la propria famiglia e se non si fosse limitato a
corrergli incontro, ma probabilmente la sua natura di licantropo avrebbe
taciuto immediatamente qualsiasi titubanza. Forse non ne avrebbe neppure avuto
bisogno, non era acuto come Stiles.
Il piccolo
umano tacque per un momento, respirando con lentezza e metabolizzando ciò che
lo circondava. «È colpa mia?» chiese con una lucidità impressionante e con una
goccia di autoaccusa. «Sono sbagliato?».
Derek si
fermò all’istante, attraversato da una morsa che gli fece incredibilmente male,
togliendogli il fiato. Fu costretto a sciogliere la presa del bambino, rompendo
quella posizione rassicurante che gli permetteva di stringersi a lui ed
obbligandolo a guardarlo dritto negli occhi. Erano così liquidi e tempestati di
lacrime che ebbe un attimo di esitazione. «Tutto questo non è colpa tua» disse
perentorio ed assoluto, scrutandolo attentamente e severamente nelle gemme di
miele. «È tutta nostra, ma non tua» ed era sincero e ci credeva ciecamente, soprattutto
alla propria di colpevolezza. Ognuno avrebbe dovuto fare la propria parte per
evitare una situazione assurda come quella, per evitare che Stiles subisse tali
affronti, invece lo avevano reso partecipe dell’enorme follia che era la loro
vita ed a cui il ragazzo vi si era gettato per proteggere tutti quelli che
amava e l’intera città. Lo avevano perfino legato ad un albero magico – quello
che ne era rimasto – ed era morto per quel sacrificio infame. Diamine! Era morto. Ed era anche tornato
indietro. Non avrebbero dovuto sorprendersi se il Nemeton
fosse la causa delle attuali condizioni di Stiles.
Una manina
si depositò, morbida ed affettuosa, sul suo viso – era così liberatorio – ed i
grandi occhioni lo fissarono con una comprensione inaudita. «Neanche tua».
Il lupo
rimase senza parole ed incapace di alcuna reazione. La presa sul corpicino si
fece più forte, come se improvvisamente temesse che potesse scappargli dalle
mani e dovette reprime l’istinto di soffocarlo in un enorme abbraccio che
difficilmente avrebbe sciolto. «Sei il più giusto di tutti» ma le parole esatte
sarebbero dovute essere: non ti merito.
Quando
Stiles si fu calmato e Derek era psicologicamente pronto per separarsi da lui,
tornarono alla clinica veterinaria, trovandoli tutti esattamente dove li
avevano lasciati, voltati completamente verso di loro quando li sentirono
rientrare.
«Sta bene?»
chiese Allison con voce moderata, ma preoccupata, indecisa se avvicinarsi o
meno.
Il bambino
era ancora tra le braccia del licantropo, non avvinghiato, ma libero di
muoversi e con la capacità di poter osservare ogni cosa. Fece un piccolo gesto,
tirando la maglia del lupo verso il basso e Derek lo mise subito a terra con
delicatezza, quella che non ci si sarebbe mai aspettati da lui, e Stiles tese
la manina verso la cacciatrice, rimanendo in attesa.
Lei scrutò
prima l’esserino dinnanzi a lei e poi spostò gli occhi scuri in quelli di giada
piena di domande e stupore. «Sta bene» rispose semplicemente l’uomo, facendola
risuonare come la soluzione a tutte le domande che tacitamente la ragazza gli
stava versando.
Le labbra
di Allison si curvarono immediatamente e prese tra la sua la mano che le veniva
offerta, stringendola con dolcezza. «Ti va di ritornare dai nostri amici a
quattro zampe?» non dovette nemmeno aspettare una risposta che il figlio dello
sceriffo l’aveva già condotta nell’altra camera.
Ovviamentecon il nostro lupo scorbutico preferito,
la cacciatrice era troppo deliziata e divertita da quella storia che Derek non
apprezzava molto e forse avrebbe dovuto smettere di essere così
accondiscendente, ma quando era entrato nella stanza esclusiva al riposo degli
animali ed Allison gli aveva indirizzato un ghigno compiaciuto ed una strizzata
d’occhio, uscendosene con quella frase dedicata tutta al cucciolo d’uomo che
persisteva nell’avere il Beta con lui, Stiles gli aveva messo tra le mani il
gattone color miele con cui aveva giocato prima che arrivasse lo sceriffo. Il
suddetto gatto non aveva apprezzato particolarmente la sua compagnia ed il
mutaforma era altrettanto poco entusiasta, tanto che il felino gli soffiava
contro, ma Stiles aveva ridacchiato divertito a quel siparietto, divenendo immediatamente
musica per le orecchie del licantropo, e lo aveva incitato ad accarezzarlo
insieme a lui ed a mostrarsi più paziente ed interessato; il gatto aveva
accettato con piacere le sue dovute coccole ed il cinquenne gli aveva regalato
il sorriso più solare del mondo. Ed
accondiscendenza sia.
Nel frattempo nella stanza
adiacente, l’intero branco analizzava la situazione con Allison e Derek che
prestavano orecchio, ma con l’intento di distrarre Stiles, impedendogli di
ascoltare. Lo sceriffo era proprio dirimpetto a loro e non riusciva a togliere
gli occhi di dosso dal suo bambino e la sofferenza ed il cruccio erano
evidenti.
«Credo che
il Nemeton agisca con uno scopo ben preciso» esordì
il druido, richiamando tutta la loro attenzione, procedendo con moderazione e
con la calma che lo contraddistingueva. «E penso volesse ridare qualcosa che ha
sottratto».
«Quando
Scott, Allison e Stiles si sono sacrificati al posto dei loro genitori,
risvegliando il Nemeton, un prezzo è stato pagato e
questo ha creato un cerchio d’ombra nel loro cuore, rendendoli coscienti
dell’oscurità e negandogli qualsiasi tipo di innocenza» Deaton
li osservò tutti ad uno ad uno ed ognuno di loro pendeva dalle sue labbra. «Al
contrario degli altri due, Stiles è stato quello più esposto e ne ha risentito
maggiormente, non essendo incline alle leggi sovrannaturali o addestrato a
gestirle. Il Nemeton ha percepito tale squilibrio e
si è mobilitato per rimediare».
«Vuoi dire
che l’ha riportato all’età dell’innocenza per ridonargliela?» chiese stupita e
perplessa la bionda fragola.
«È
possibile» concretizzò il veterinario, ma lasciando libero spazio ad ulteriori
teorie. «In questo momento è esattamente un bambino di cinque anni, conserva
quei ricordi e conosce il mondo con i mezzi che ha avuto. Non ha alcun ricordo
degli anni successivi né delle persone che ha conosciuto in seguito».
«E il
legame con Derek?» domandò Isaac nel silenzio creato dagli altri.
Deaton lo guardò con scrupolo, senza davvero dare
l’impressione di aver capito. «Come?».
«Stiles non
si separa da Derek, se non è con lui non si muove e se non ha una sua conferma,
Stiles non lascia avvicinare nessuno» fece presente il ricciolino, indicando la
scena dietro le loro spalle, vedendo protagonisti i due citati più l’eccezione
alla regola data proprio dalla fermezza di Derek. «Stiles non riconosce nessuno
e prima di tutti il suo stesso padre, ma di Derek si fida ciecamente. Derek in
questo momento è tutto il suo mondo» parlava come se sapesse esattamente cosa
significasse e cosa si provasse, ma la sua storia era oscura e violenta.
Un silenzio
significativo scese nella stanza, interrotto dalla risata cristallina e limpida
di Stiles che si divertiva un mondo nel vedere l’incompatibilità felina con il
licantropo e doveva rimediare ogni volta per salvare il loro precario rapporto,
mentre Allison gli passava tutti i gatti più asociali e musoni che trovava per
riderne senza vergogna e dare manforte al cucciolo d’uomo.
«È il primo
che ha incontrato dopo la trasformazione, potrebbe essere una specie d’imprinting»
articolò il druido un po’ ostico, guadagnando delle occhiate perplesse da
coloro che lo circondavano ed incontrando un minimo di comprensione nella
rossa. «In poche parole, è l’impronta che un neonato ha con la madre o con chi
ne fa le sue veci. Il bambino instaurerà un legame di attaccamento che ha
determinate caratteristiche: il mantenimento del contatto, quindi ricerca della
vicinanza fisica, l’ansia da separazione, l’effetto rifugio sicuro e base
sicura. Ma questo accade durante i primi nove mesi dalla nascita, per Stiles
dev’essere qualcosa del genere».
«È come se
stesse ricominciando» emerse Scott nel silenzio in cui era caduto, divenendo
semplice testimone. «Ed ha scelto Derek».
«Forse è
molto di più di questo» sentenziò enigmatica la banshee, lanciando una lunga
occhiata al siparietto davanti a lei che venne intercettata da Allison e
bellamente ignorata da Derek.
«È certo
che qualcuno deve occuparsi di lui, non sappiamo per quanto andrà avanti»
dichiarò il druido con prontezza, mettendoli al corrente del da farsi e della
mancanza di una scadenza.
«Ovviamente
rimarrà con suo padre» intervenne Melissa senza ammettere repliche e senza che
vedesse altre soluzioni. «Ed io farò di tutto per dare una mano».
«Ma…»
farfugliò il messicano con confusione, certo che quella situazione non potesse
andare bene per le condizioni in cui erano.
«Chi meglio
di suo padre può prendersi cura di lui?» Melissa lo sapeva bene, conosceva la
loro vita, come lo sceriffo si fosse sempre dedicato a lui a prescindere delle
difficoltà che si potevano riscontrare con un figlio iperattivo e fuori dagli
schemi come Stiles, di come fossero andati avanti da soli quando il nucleo
familiare si era dimezzato – fattore che lei conosceva in prima persona – e di
quanto suo figlio lo amasse. Nessuno poteva rispondere meglio alle esigenze di
Stiles di chi l’aveva cresciuto ed amato.
Tutti
apparvero poco convinti da quella soluzione, ma nessuno sembrava averne altre
da proporre e dove potevano trovare qualcuno che si occupasse della piccola
creatura e che avesse la sua piena fiducia?
«Non
dovremmo far scegliere a lui, perlomeno?» domandò con bonaria ingenuità
l’Alpha, difensore fino alla fine del suo migliore amico.
Sua madre
lo guardò contrariata e lo sceriffo si allontanò, avvicinandosi alla stanza
confinante e trovandosi davanti suo figlio. Suo figlio tornato il meraviglioso
bambino che possedeva ancora entrambi i genitori. Ricordava ogni dettaglio
della sua fanciullezza, le sue guance pienotte perennemente rosse per via del
freddo che risaltavano sulla carnagione chiara, gli occhioni ambrati che
brillavano di meraviglia e che si interessavano a tutto, bisognoso di scoprire
i segreti di ciò che lo circondava o che attirava anche parzialmente la sua
attenzione, il suo continuo stare in movimento, impossibilitato a stare fermo
anche per pochi minuti e la sua voce che riempiva i silenzi. La sua voce che
riempiva ogni silenzio, in qualsiasi tempo.
Stiles fu
attratto dalla sua presenza silenziosa dinnanzi a sé e smise di accudire i suoi
nuovi amici pelosi, alzando le iridi di miele in quelle azzurre
del padre. Derek ed Allison lo seguirono a ruota.
«Stai bene
con Derek?» domandò con tutta la scioltezza ed il controllo che possedeva,
provando ad uscire dallo stato di nebbia che l’aveva colto nel momento in cui
era stato rifiutato dal suo stesso sangue.
Stiles
annuì fermamente con la testa, rispondendo immediatamente alla domanda posta
con sincerità.
«Puoi stare
con lui finché tutto non sarà sistemato» disse Noah
con un bonario sorriso sulle labbra, allontanando tutto lo strazio che quella
decisione gli dava. Avrebbe patito qualsiasi pena dell’inferno pur di fare la
scelta giusta per il bene di suo figlio.
Derek
sussulto impercettibilmente ed un brusio ben identificato si scatenò nella
stanza appena lasciata.
Stiles lo
guardò con un’intensità attanagliante e lo sceriffo conosceva bene quello
sguardo. «E tu?» l’innocenza e l’interesse presero vita dalla sua bocca e
l’uomo sapeva che il bambino fosse in grado di percepire cose non dette.
Suo figlio
poteva anche non riconoscerlo – era così diverso ai suoi occhi? Il suo spirito
d’osservazione era davvero così grande? –, ma la preoccupazione verso gli altri
era un tratto distintivo che non poteva essere placato o nascosto e
probabilmente qualcosa dentro il suo piccolo corpo gli suggeriva il legame che
in realtà condividevano. Lo accarezzò su una guancia morbida e paffuta, sorridendogli con dolcezza. «Sarò dove potrai
trovarmi, se lo vorrai».
Stiles ebbe
un fremito nel momento in cui la mano grande della massima autorità della città
che assomigliava a suo padre e che veniva identificato come tale, lo toccò. Uno
scatto elettrico lo attraversò ed il calore era talmente familiare e così confortante
che gli occhi presero a pizzicare in modo doloroso. Quella era casa. «Papà»
soffiò con la voce spezzata e colma di emozioni contrastanti, completamente
sopraffatto.
Piccato lo
sceriffo indietreggiò di alcuni centimetri ed un tonfo al cuore lo investì,
mentre lacrime salate presero vita dagli occhi del suo prezioso bambino. «Va
tutto bene, Stiles» era troppo presto, Stiles era diviso in due, trasportato in
una realtà che non conosceva, ma che era incredibilmente simile a quella in cui
viveva, con tanto di legami che gli urlavano nella mente e che il corpo
riconosceva, ma di cui il suo acume diffidava. Tutti quei fattori avrebbero
potuto ingabbiargli la mente e fargliela scoppiare, aggredirgli il cervello e
spezzargli il piccolo cuore già bersagliato e non conosceva nemmeno tutta la
storia. Non era qualcosa che poteva permettersi, anche se avrebbe dovuto
rinunciare a lui finché le cose non si sarebbero calmate e fossero tornate come
dovevano essere. Suo figlio aveva soltanto bisogno di rassicurazioni, di una
figura che potesse guidarlo e di cui non doveva mai dubitare, qualcuno che,
prendendolo per mano, l’avrebbe condotto verso il sentiero giusto. La persona
che lui aveva designato e la stessa che sceglieva in qualsiasi sua forma.
«Resta con Derek».
Le perle
caramellate si riempirono d’acqua e fluirono tutte in una volta, irrigandogli
il viso e mettendo in evidenza il rossore dei suoi zigomi. Allison lo prese
immediatamente in braccio e Stiles le si strinse di riflesso, affondando il
viso nel suo petto e bagnandolo di lacrime, mentre lei gli sussurrava parole
dolci ed incoraggianti e Stiles afferrava un lembo della maglia disusa di
Derek, stringendolo forte.
Lo sceriffo
dovette allontanarsi in fretta, prima che cedesse alla voglia di strappare suo
figlio dalle braccia di chiunque lo tenesse, portandoselo via. Prima che
diventasse troppo doloroso separarsi dalla cosa più preziosa che possedeva al
mondo e che piangeva per lui.
Derek era
fermamente convinto che al suo ritorno non avrebbe trovato sua sorella nel
loft, ormai lontana e diretta alla sua meta e forse leggermente imbronciata –
chi poteva darle torto –, ma quando si ritrovò davanti la porta scorrevole
aperta, lei era lì.
«Adesso
abbiamo anche bambini?» domandò la lupa con un lungo sopracciglio innalzato,
quando le si parò la figura del fratello che teneva per mano un esserino a lei
sconosciuto, ma incredibilmente familiare.
«È Stiles»
disse soltanto il licantropo, come se dovesse bastare a spiegare ogni cosa.
Cora lo
guardò con intensità profonda, spostando poi gli occhi sul pargolo che rimaneva
legato a lui. Si scostò semplicemente dalla porta e li fece entrare.
Derek non
possedeva nulla che andasse bene per un bambino, né il cibo giusto né il
vestiario appropriato, ma era notte inoltrata, era distrutto ed aveva troppi
pensieri per la mente, a quell’ora non avrebbe trovato nulla di ciò che gli
serviva e Stiles doveva dormire.
In verità
nessuno del branco aveva nulla che potesse andare bene ad un bambino di cinque
anni e di certo Stiles non avrebbe potuto indossare quell’enorme felpa rossa
finché non avrebbero rimediato. Quindi Allison, testarda ed irremovibile,
conoscitrice di quel posto a menadito, si diresse verso le donazioni per i
rifugi animali che le persone consegnavano per facilitazione al veterinario che
successivamente le avrebbe portate nel luogo corretto. Lì in mezzo c’erano
sempre vestiti vecchi e usati, coperte e roba varia e la cacciatrice avrebbe
sicuramente trovato qualcosa con cui accomodare per il momento, con grande
sdegno della banshee. Poco tempo dopo e con buste svuotate e buttate in giro
per caso, erano riuscite a dare un aspetto quantomeno presentabile e
riparatore, ad eccezione dei piedi che rimasero nudi ed esposti al freddo.
Il figlio
dello sceriffo era al centro del monolocale, vicino al divano, spaesato e fuori
posto, lontano da tutto quello che conosceva, eppure osservava ciò che lo
circondava con meticolosità e curiosità. «Chi sei?» chiese alla ragazza
dinnanzi a sé che lo guardava a sua volta.
«Cora»
rispose con semplicità, non particolarmente colpita dalla domanda, ma evitando
di dare ulteriori spiegazioni.
Stiles
sembrò afferrare ed i grandi occhi ambrati, che Cora reputava stupefacenti, si
posarono sulla parte del loft in cui era sparito il più grande. «Sei sua sorella?».
Adesso sì,
poteva quasi ammettere di essere impressionata. «Sì».
Lo sguardo
nel cucciolo d’uomo cambiò e forse la lupa vide scomparire nelle sue iridi
quella scintilla di diffidenza. «Hai fame?» domandò subito dopo con
tranquillità.
Le perle
d’ambrosia si illuminarono e la bocca si schiuse sorpresa. «Tantissima».
Derek aveva
svuotato il suo armadio per trovare una maglia passabile che non fosse troppo
eccessiva per Stiles, ma fosse calda ed in grado di ricoprirlo il più
possibile; quando tornò vide sua sorella mangiare con gusto roba già pronta e
confezionata, che non aveva mai visto e che non sapeva nemmeno di possedere –
era convinto di aver svuotato tutta la dispensa per il lungo viaggio che
l’attendeva –, con uno Stiles allietato che ingurgitava tutto ad una velocità
supersonica e che si sporcava ad ogni morso. La lupa sorrideva compiaciuta e
rapida ripuliva i suoi disastri.
«Vuoi
unirti a noi?» chiese lei quando lo intercettò, indicando il loro banchetto da
reali.
«Devo
mettere Stiles a letto» negò con il capo, rifiutando e mobilitandosi per
portare a termine quella giornata. Mangiare?
Chi aveva tempo per quello.
«Giusto»
Cora illuminata annuì soltanto ed aspettò che il loro ospite inghiottisse
l’ultimo boccone. «Andiamo ometto, laviamoci e buttiamoci sotto le coperte».
Quando
Stiles si trovò davanti alla porta del bagno, l’unica dell’intero appartamento,
esitò, rifiutandosi di aprirla. «Posso fare da solo» pronunciò un po’ inebetito
ai due ragazzi che gli stavano alle spalle.
Derek
innalzò un sopracciglio poco convinto e Cora si riprese nell’immediato. «Certo,
noi siamo qui fuori» articolò la mannara, prendendo la maglia dalle mani del
fratello e depositandola in quelle del bambino.
Il piccolo
ospite accennò un segno positivo con il capo, segno che aveva compreso ed entrò
nel bagno, chiudendosi la porta dietro di sé, con tanto di giro di chiave –
quello al licantropo non piacque molto.
«Rilassati,
Derek» lo richiamò la sorella con malvagia ironia. «Puoi sempre sfondare la
porta».
L’uomo la
fulminò soltanto con gli occhi di ghiaccio e Cora sbuffò teatralmente. «Almeno
non farti trovare davanti alla porta a spiare i suoi movimenti».
«E se
avesse bisogno d’aiuto?» gli fece presente l’altro, accantonando l’idea.
«Sono
sicura che lo sentirai urlare e ti precipiterai da lui» rivelò con genuina e
bonaria malignità, sapendo perfettamente dove colpire.
Derek la
giudicò apertamente con lo sguardo e lei ne rise vittoriosa. Poco dopo si era
allontanato dalla lastra di legno verticale, ma non aveva smesso di prestare
orecchio.
Stiles uscì
dal bagno pochi minuti dopo, perfettamente lavato e vestito; la lunga maglia
del lupo gli ricadeva fino ai polpacci ed i piedini erano scalzi ed a contatto
con il pavimento freddo – prima o poi avrebbero rimediato anche a quello.
Cora non
aspettò nemmeno che suo fratello si muovesse e si avvicinò al bambino
prendendolo per mano e conducendolo all’ala del monolocale che fungeva da
camera da letto di Derek.
Gli scostò
le coperte e battendo a palmo aperto sul materasso lo invitò ad accomodarsi.
Stiles
indugiò soltanto un secondo e subito dopo era sotto le lenzuola, perfettamente
rimboccato e tenuto al caldo.
«Dormi
bene, te lo meriti» proferì cordiale la lupa, sfiorandogli i capelli con la
punta delle dita. Il piccolo ospite si strinse nelle coperte in risposta.
«È fin
troppo silenzioso per essere Stiles» disse la ragazza quando raggiunse il
fratello, dirigendosi verso il divano, luogo in cui avrebbe dormito il
maggiore.
«Molto»
confermò lui con una nota speziata, quasi preoccupata, udibile solo alla
sorella. «È difficile per lui, ci vorrà un po’ per carburare».
Cora
l’occhieggiò per qualche secondo come a studiarlo, inclinando appena la testa.
«Forse» pronunciò criptica e poco flessibile. «Domani è un altro giorno» detto
questo si defilò verso il suo materasso.
Derek si
era abbandonato al divano quasi subito, con le spalle tese e la testa in
confusione; non aveva alcuna idea di cosa lo aspettasse e cosa servisse a
spezzare quella sorta di incantesimo. Esisteva un modo? Andava a tempo? Era
collegato alla volontà di Stiles?
Perché era
successo? Perché era accaduto proprio in quel momento? Perché non prima o non
dopo? Esisteva un innesco?
Le sue
domande erano rimaste a metà, poiché cadde in un sonno profondo in poco tempo.
Ma non poté
nemmeno bearsene che, nel momento in cui ebbe l’impressione di chiudere gli
occhi, un lamento si diffuse per l’appartamento e si incastrò nel suo nervo
acustico.
Fu
costretto ad alzarsi e a seguirlo, giungendo fino al proprio letto, trovandolo
sfatto e con uno Stiles che si dimenava e soffriva nel sonno.
«Ehy, Stiles» pronunciò con la voce più calda e melodiosa
che riuscì ad emettere – un mezzo disastro –, avvicinandosi a lui e toccandolo
appena. «Va tutto bene, tranquillo».
Il bambino
si agitò ancora e quando Derek fece un ulteriore passo, portandosi poco sopra
di lui, Stiles scattò, allungando le braccine e stringendolo nel momento in cui
lo trovò. «Derek» sillabò e quella era la prima volta che pronunciava il suo
nome.
Cora era
partita con il ritardo di un solo minuto, seguendo il percorso fatto dal
fratello e quando vide quella scena, con Stiles che si stringeva a lui cercando
conforto e con il mannaro completamente basito e quasi immobile, poté percepire
quel singolo e prezioso capitombolo nel cuore del mutaforma.
«È solo un
incubo, va tutto bene» proferì il licantropo quando prese coscienza della
situazione, posando appena una mano sul suo braccio.
Stiles
annuì contro di lui, mentre ansimava esausto ed ancora provato da
quell’agitazione notturna e Derek lo guidò a staccarsi dal suo corpo,
lasciandogli tutto il tempo del mondo.
«Tutto
okay?» chiese quando il cinquenne tornò a sdraiarsi sul materasso, prendendo
respiri profondi e chiudendo gli occhi per calmarsi.
Il piccolo
ospite fece un nuovo segno positivo con il capo ed ingoiò appena a vuoto.
«Puoi…» si fermò tentennando, quasi come se fosse a disagio e non sapesse se
esprimere quella richiesta. «Puoi restare con me? Per un po’».
Derek si
ritrovò a fissarlo senza parole con le iridi d’ambra immacolate che si
incastravano perfettamente alle proprie. «Sì» non
avrebbe mai avuto la forza di negargli qualcosa, di dire di no ad una proposta
pura ed innocente come quella, non davanti a quegli occhi provati che
chiedevano con il timore di ricevere una risposta negativa.
Le perle di
miele si illuminarono e nel momento in cui Derek provò ad infilarsi sotto il
letto, Stiles si spostò di conseguenza, lasciandogli il suo spazio.
Ed erano
lì, uno di fianco all’altro, con Stiles che rimaneva in silenzio, lasciando
trasparire una curva lieta sulle labbra piene, preparandosi a ricadere tra le
braccia di Morfeo.
Al lupo non
restò che attendere, mentre sentiva i passi della sorella allontanarsi.
Stiles si
addormentò diversi minuti dopo e Derek aspettò ancora per qualche attimo,
giusto per avere la certezza che continuasse a dormire e che nessun nuovo
incubo potesse svegliarlo nuovamente.
Quando ne
ebbe la certezza si alzò, rimboccandolo meglio ed allontanandosi più
silenziosamente possibile, ritornando al suo divano per tentare di raggiungere
anch’egli il regno del dio greco.
Vana
speranza.
Nello
stesso preciso momento in cui chiuse le palpebre, anche per la sola illusione,
l’agitazione di Stiles si mostrò, più forte ed impetuosa, con l’affanno sempre
più forte e con piccoli lamenti ad accompagnarlo.
Derek era
esausto e sconsolato ancor prima di iniziare.
Non tardò,
il lupo mannaro si mosse senza nemmeno rifletterci su e quando giunse vicino al
bordo del letto, tanto da toccarlo con le gambe, prese Stiles tra gli arti
superiori e se lo caricò senza svegliarlo, prendendo con la mano libera la
coperta e portandosela al seguito. A Stiles bastò entrare in contatto con lui
per calmarsi. E tutto accadde davanti alla testimonianza di Cora.
L’uomo si
sedette sui cuscini, sistemando meglio il bambino, appoggiandogli la testa
sulla spalla e posizionando il braccio sotto il corpicino, a rappresentare una
confortevole culla e tirando la coperta su di loro per coprirlo il più
accuratamente possibile.
La lupa non
emise alcun fiato, sedendosi ad un cuscino di distanza da loro. Poi un tenue
silenzio si impossessò del monolocale e Stiles riprese a dormire serenamente.
«Anche lo
Stiles diciasettenne non riesce a dormire la notte» rivelò all’improvviso il
mutaforma con voce profonda, senza riuscire a distogliere gli occhi dal pargolo
che gli si stringeva contro.
Come può saperlo? avrebbe voluto chiedergli la mora, ma probabilmente certe domande era
meglio lasciarle senza soluzione. «Ma con te ci riesce» non voleva suonare
cinica o allusiva, ma a volte non riusciva ad evitare di dare voce a qualcosa
di così evidente, soprattutto se ciò riguardava il sangue del suo sangue e
Stiles.
Il
licantropo la guardò torvo, ignorandola appositamente. «Probabilmente dovrò
prendergli il suo cuscino».
Cora rimase
di sasso, sbattendo le palpebre varie volte e fissandolo senza capire. «Il suo
cuscino?».
«Sì, non chiude
occhio senza quello» rispose semplicemente l’uomo come se fosse la cosa più
ovvia del mondo e non avesse bisogno di chissà quale spiegazione.
La ragazza
rimaneva ad ogni rivelazione più sconvolta ed attonita, senza riuscire a
classificare in modo vagamente parziale ciò che le veniva riferito. Stiles ne
era a conoscenza? «Il suo cuscino, certo».
Il cucciolo
d’uomo emise un tenue mormorio e voltò il capo verso il petto del lupo, proprio
all’altezza del cuore, ed un dolce sorriso beato si colorò sul visino.
«Non
avrebbero dovuto affidarmelo» affermò il licantropo a quella scena, fermo ed
irremovibile, ma Cora aveva il dono di comprendere il suo consanguineo, sapeva
cosa stesse provando. «Non dovrebbe fidarsi di me in questo modo».
«Per lui è
istintivo farlo, non potrebbe agire diversamente» per lei era chiaro come il
sole, visibile ad occhio nudo e Derek non poteva dubitarne.
«No» negò vistosamente il mutaforma, mozzando quelle
parole. «Ha detto espressamente che non poteva più fidarsi di me e di tutto
quello che mi rappresenta».
Cora capì
che si rifesse a prima che la condizione dell’umano cambiasse, prima che la
magia facesse effetto, prima che la vita modificasse ancora i suoi progetti,
portando il suo stesso sangue a crescere una delle persone più importanti per
lui. La più importante. «Lo credi
paradossale, non è così? Questo bambino, questo prezioso bambino, non muove un
passo se non gli confermi che può farlo, che non corre alcun rischio. Se non
fossi stata tua sorella non si sarebbe mai avvicinato. È l’esatto opposto di
quello che ha detto: si fida di te e di tutto quello che ti rappresenta».
Derek negò
ancora, fortemente e con convinzione, stroncandola nell’immediato. «È costretto
dal Nemeton».
La lupa lo
guardò giudicante e con disapprovazione, aggrottando le sopracciglia. «Sei
davvero così cocciuto?» domandò retoricamente, lanciandogli un’occhiataccia.
«Il Nemeton conosce il suo cuore, non agisce a caso e
tutto questo non può essere casuale».
«Cora» la
ammonì l’Alpha scomparso dentro di lui, esasperato e disturbato dalla
conversazione.
«Torno in
sud America» rivelò la ragazza immediata e con fierezza.
Derek
rimase per qualche attimo a fissarla dritta nelle iridi scure, senza proferire
parola o battere le palpebre. «Ci andremo insieme».
«No, andrò
da sola» dichiarò assolutista ed inflessibile, scartando qualsiasi opzione già
in partenza. «Tu hai una bella gatta da pelare qui ed io non riesco a resistere
un attimo di più in questa cittadina, non è più casa mia» ma è la tua.
Il
licantropo ignorò l’ennesima allusione poco velata e la figura da fratello
maggiore faticava a sparire. «Non ho voce in capitolo» non era una domanda, ma
una costatazione in piena regola.
«Esattamente»
asserì la ragazza senza mezzi termini e giri di parole. «Partirò domattina
stessa».
Un silenzio
significativo cadde nel monolocale e per minuti interi rimasero nelle medesime
posizioni in cui erano, senza emettere fiato o muoversi accidentalmente.
Il cucciolo d’uomo strusciò appena una guancia
sul pettorale, affondando maggiormente nella piccola nicchia creata dal braccio
piegato dell’uomo, lì dov’era più caldo e riparato, e Cora si alzò dal divano,
come se avesse interpretato quel gesto come un via libera e si mosse verso il
proprio letto, senza alcuna parola di saluto, ma prima di andar via si fermò
per un solo secondo, nel cuore del grande spazio aperto, catturando tutta
l’attenzione che le era dedicata. «Non credo abbia scelto te perché sei stato
il primo che ha incontrato in queste sembianze» e lo lasciò nel silenzio e
nelle tenebre dell’appartamento con un piccolo Stiles che gli circondava e
riscaldava il petto.
Ebbene
sì, abbiamo a che fare con un piccolo minuscolo Stiles. Un piccolo Stiles di
cui dovrà occuparsi notte e giorno il lupo musone per antonomasia e di certo
non è una sfida facile. Ne sarà in grado, Stiles gli darà il suo bel da fare?
Sarà capace di riportarlo indietro?
Per
quanto riguarda le varie donazioni di vestiario ai rifuggi animali, sono del
tutte vere. Ho fatto volontariato in un gattile e
frequentato posti similari, la gente dona di tutto e serve tutto, anche
semplicemente per farli giocare, quindi non stupitevi se sono riusciti a
trovare dei vestiti adatti allo Stiles di cinque anni.
Stiles si svegliò la mattina successiva sul divano,
in perfetta solitudine.
Gli ci vollero diversi attimi per focalizzare il
luogo in cui si trovava, la giornata appena trascorsa e tutto il ribaltamento
del mondo che conosceva.
Si alzò
quando sentì dei rumori provenire dalla zona cucina abilmente riparata,
mettendo i piedini nudi sul pavimento freddo e dirigendosi verso quella
direzione, stropicciandosi un occhio con un pugnetto e stringendo verso l’alto
la maglia con la mano libera all’altezza della vita, per facilitare i movimenti
delle gambette, trovando Derek a rimettere a posto tutto quello che lui e Cora
avevano lasciato in giro dopo l’abbuffata di mezzanotte ed anche l’unico pasto
che Stiles ricordasse di quella giornata.
Il lupo si
fermò quando entrò nel suo campo percettivo per poi ritornare alle sue
faccende. «Dobbiamo comprare diverse cose».
Comprare delle cose. Era qualcosa che a Stiles suonava molto familiare e quando la voce
gentile di sua madre pronunciava quelle parole, lui si fiondava sulle scale a
vestirsi, pronto per acquisire qualcosa di nuovo e potenzialmente fantastico.
Era sempre un’avventura speciale e senza confini ed a volte si accontentava
semplicemente di poter vedere tutte quelle cose che il mondo aveva da offrire.
Ma in quel
momento sembrava non possedere nemmeno i più semplici degli oggetti e tutto
quello che aveva, era ciò che gli procurava Derek o chi faceva per lui.
Comprare
delle cose in una casa vuota e scura, senza colori e componenti vari a
popolarla, era qualcosa che lasciava Stiles perplesso e confuso, quasi messo in
un piedistallo che non gli era dato vedere. Stiles non era mai stato dentro un
appartamento e non aveva mai visto una casa composta da un’unica grande stanza
e nemmeno così spoglio, come se mancasse la parte più viva che componeva
un’abitazione calda ed accogliente, eppure conosceva piccole case confortevoli
ed impregnate di calore, composte da soli due membri ad abitarle. Tutto quello
che gli suggeriva quel monolocale era la pura solitudine e l’allontanamento dal
mondo esterno.
Solitudine. Comprare delle cose. Era certo che
mancasse un elemento a quell’equazione e che avesse tutti i dati che creavano
la soluzione. Era convinto che quella solitudine non poteva essere vera se
nell’abitazione esisteva qualcun altro e quell’attività piacevole che
comprendeva l’acquistare qualsiasi cosa venisse alla mente andava fatta con più
persone possibili ed affini. «Dov’è lei?».
Il
licantropo si fermò del tutto e dovette voltarsi per capire a chi si riferisse
e vedere le sue grandi iridi ambrate scrutare gli angoli dell’appartamento in
attesa di vedere scorgere qualcuno. «È andata a casa sua» non c’era stato
nessun altro lì, non aveva socializzato con qualcun altro al di fuori di quella
dimora ed esisteva una sola lei al
momento: Cora.
«Oh» emise flebile il bambino, smettendo di cercare.
«Va bene».
Derek dubitava
fortemente che gli andasse bene e il mutismo in cui era caduto era un gran
segno rivelatore, perché lo Stiles che conosceva raramente tendeva a quel
comportamento – e quando accadeva era allarmante – e lui non aveva mai compreso
come avrebbe dovuto muoversi, come agire per farlo uscire e tranquillizzarlo.
Non ne aveva mai avuto il tempo e l’intenzione.
«Dovevi
andare con lei?» chiese all’improvviso il cucciolo d’uomo con un’inclinazione
intraducibile.
L’uomo non
seppe proprio come gli fosse venuta in mente quella possibilità – del tutto
vera –, non una parola era mai stata pronunciata in sua presenza e dubitava ci
fossero tracce in giro, ma le perle di miele erano concentrate in direzione
della porta, alla sua sinistra ed in basso, lì dov’era stato abbandonato il suo
borsone dopo la chiamata di Scott, quello stesso che non aveva neppure potuto
sistemare da qualche parte. I dettagli.
I dettagli erano tutto ciò che Stiles riusciva a vedere e di cui si fidava. «Sì» mentirgli era qualcosa che non si poteva permettere e,
in tutta onestà, non aveva mai avuto bisogno di farlo, perché Stiles riusciva a
fiutare la menzogna meglio di qualsiasi licantropo.
«Perché sei
rimasto?» domandò allora quello con una strana accusa nella voce, non molto
positiva alle orecchie del mutaforma.
«Ho una
questione importante di cui occuparmi» come se avesse potuto semplificare le
cose meglio di così, mostrandosi il più distaccato possibile com’era solito
fare.
Il figlio
dello sceriffo sembrò assimilare il concetto e piegò una gamba all’indietro,
pronto per ritornare su passi immaginari. «È colpa mia» esclamò quando
l’illuminazione ed il sospetto vennero fuori, fondendosi insieme. «È andata via
per colpa mia e tu sei qui perché… perché sei qui?».
«Stiles,
basta» l’autorità nella sua voce risuonò per tutto l’appartamento, eliminando
ogni dubbio sul suo significato. Era possibile che riuscisse a catalizzare
tutti i sensi di colpa del mondo? Che la sua intelligenza gli facesse capire
cos’era reale e cosa andasse storto? O era semplicemente la sua inclinazione di
bambino?
Stiles
tacque mordendosi le labbra, forzato a non muoverle e pronte per riempire il
suo interlocutore di parole. La battaglia interiore era così grande ed
eclatante che Derek poteva sentire ogni fremito mal trattenuto ed il suo dolore
diveniva il proprio. «Non piaccio a nessuno, per la gente sono strano, troppo
rumoroso, troppo agitato e troppo veloce; nessuno mi vuole intorno e nemmeno
lei».
Le
caratteristiche che aveva citato nella sua semplicità erano tutte vere ed avevano
il potere di rispecchiarlo con facilità, ma non traducevano nemmeno un quarto
di ciò che rappresentava Stiles. «Sei straordinario».
Il cucciolo
d’uomo incespicò e le grandi iridi caramellate si ingigantirono, depositandosi
in quelle di giada. «Cosa?» chiese sbalordito e confuso.
«Lo sei»
disse il lupo con convinzione, avvicinandosi a lui e portandosi alla sua
altezza. «Sei davvero straordinario e gli altri, la gente, non è sveglia quanto
te per riuscire a capirti» con la punta delle dita gli scostò i capelli ramati
che gli cadevano sulle perle di miele, asciugandogli successivamente le gocce
che gli si erano incastonate tra le ciglia chiare, cancellandole via con una
delicatezza tale da non poter appartenere ad alcuna creatura della notte. «Cora
ti è molto affezionata, in modi che non puoi ancora comprendere e piaci a molte
persone. Tutte quelle che hai conosciuto ieri sono tue amiche».
«Davvero?»
domandò il bambino con titubanza, meravigliato e sconcertato davanti a qualcosa
che non aveva mai immaginato.
«Sì, e ce
ne sono molte altre» e ci sono state.
Se Erica fosse stata ancora con loro avrebbe adorato quelle sembianze
dell’umano, avrebbe fatto di tutto per non perdersele e si sarebbe goduta ogni
attimo. Sarebbe stata pazza di lui come lo era sempre. Boyd
avrebbe probabilmente sbuffato annoiato, nascondendosi dietro la sua
impassibilità, ma sarebbe stato conquistato all’istante dal piccolo Stiles. E
Jackson? Quello sì che sarebbe stato uno spettacolo interessante a cui
assistere.
Il figlio
dello sceriffo annuì con il capo a qualcosa di cui Derek non era certo e poi si
concentrò nuovamente su di lui non contento. «Ma Cora è andata via e tu sei
ancora qui».
Perché sei incastrato con me, quelle probabilmente sarebbero state le parole di uno Stiles con un
vocabolario più arricchito e con una maggiore consapevolezza. «Aveva bisogno di
tornare a casa sua ed io è qui che voglio stare» una volta non si sarebbe mai
sognato di pensarlo, ancora meno di dirlo, la cosa sconvolgente era che rappresentava
l’autentica verità. «Invece di salutarmi, mi ha bacchettato per via della
dispensa vuota».
Stiles
ridacchiò deliziato ed immaginandosi la scena, aumentando l’ilarità. «La mia è
sempre piena, come per magia».
«Lo era
anche la mia» un velo di malinconia gli sfuggì dalla voce e lo notò appena.
Al
contrario Stiles sembrò intercettare quella nota stonata e gli occhi si
posarono nuovamente sull’ambiente spoglio intorno a lui, quello stesso che gli
suggeriva la piena solitudine. «Vado a vestirmi» pronunciò senza inciampare nel
tempo, spezzando quell’aria pittoresca dalle sfumature nostalgiche e dolorose.
Derek
rimase esattamente nella stessa posizione dove il bambino l’aveva lasciato, con
lo sconcerto della sua perspicacia.
Quando
entrarono al supermercato, prendendo un carello e mettendovi Stiles al suo
interno per sicurezza, il suo mutismo, conosciuto quella mattina, era
addirittura aumentato e guardava la struttura come un’estranea e la più
terribile delle traditrici.
Derek aveva
riempito il carello con vari prodotti senza ricevere alcuna parola dal suo
piccolo accompagnatore, dandogli il tempo di assimilare la situazione e il
luogo. A volte si era fermato per mostrarglieli, aspettando una sua valutazione
o approvazione, ma il bambino era parecchio distante e l’uomo si ritrovava a
dover fare da sé. Forse Cora avrebbe saputo gestirlo meglio, distraendolo e
diventando la sua complice, insieme ad una Allison che sarebbe venuta a capo
del problema. Come avevano potuto dare per scontato che un lupo scorbutico come
lui e poco affine alla socializzazione potesse occuparsi a tempo pieno di un
esserino di cinque anni? «Stiles, cosa c’è?» chiese dopo qualche minuto e
all’ennesimo assenteismo da parte dell’altro.
Stiles
parve non udirlo e rimase a guardarsi indietro. «È tutto diverso».
Il mannaro
credette di crollare.
«L’altro
giorno ero qui con la mia-» si bloccò nell’immediato come punto sul vivo,
facendo un impercettibile passo indietro nel carello. «Ma adesso è tutto… sono
cambiati i posti, i colori sono sbagliati e sembra tutto nuovo».
Derek
l’aveva notato, era impossibile non farlo, ma da quando aveva chiesto di sua
madre la prima volta, al loro primissimo incontro, non aveva più pronunciato il
suo nome ed aveva il terribile sospetto che nella mente del bambino esistessero
più scenari di quanti lui avrebbe mai potuto immaginare. Ma sollecitarlo a
parlare di lei poteva peggiorare la situazione precaria in cui si trovavano.
Comprese
anche ciò che stava accadendo in quel momento nel suo cervello iperattivo,
delle immagini che gli si sovrapponevano e di un luogo che credeva conoscere,
ma che subito dopo lo colpiva alle spalle. Erano passati anni da quando un
piccolo Stiles, di quell’identica età, era entrato lì dentro, ma i suoi ricordi
partivano adiacenti a qualche giorno dopo. Chissà quante volte vi era tornato
in seguito e probabilmente con compagnia diversa. Quel supermercato aveva
cambiato nome, proprietario e marchio un paio di volte e l’unica cosa che non
era mutata era la sua collocazione, ma era qualcosa che l’attuale Stiles,
quello tornato cinquenne e completamente dipendente da lui, non poteva sapere.
«È come la tua dispensa: magica».
Gli occhi
dell’umano si spalancarono e sbigottiti si posarono nei suoi. «Magica?».
«Sì» confermò con convinzione il mutaforma, accennando
un microscopico cenno con la testa a sottolineare il concetto. Stiles, in
qualsiasi sua forma, poteva essere uno scettico e sempre alla ricerca della
verità, ma al mondo fantastico e sovrannaturale non riusciva a sottrarsi,
troppo ammaliato ed affascinato da esso. «A volte questi posti cambiano così in
fretta che si fatica a stare al loro passo e ci si perde».
«Capita
anche a te?» domandò con gli occhioni sempre più grandi e la rassicurazione che
lentamente rientrava dentro di lui.
«Sì» decisamente impossibile perdersi per un lupo
mannaro, soprattutto se nato come tale; qualcuno avrebbe dovuto fulminarlo per
come stava mentendo ad una creatura pura ed ingenua come quella.
Stiles
sembrò tranquillizzarsi e prendere un respiro profondo, quasi rincuorato, prima
di ritornare vigile e presente. «Possiamo prendere i cereali?» domandò con
cortesia e velata supplica fanciullesca.
«Quindi ci
servirà anche del latte» constatò in risposta l’uomo, meditando sulla lista che
si allungava. Cos’altro avrebbe dovuto prendere?
«Il latte
aiuta a crescere» recitò come un perfetto adulto il bambino, impostandosi
correttamente da assomigliare incredibilmente ad uno di loro e credendovi
ciecamente.
Gli angoli
delle labbra di Derek si curvarono appena verso l’alto, allungando una mano a
scompigliargli la folta chioma castana. «Ha lo stesso effetto sui cuccioli».
«Ai gatti
piace il latte, grandi e piccini» confessò il figlio dello sceriffo,
nell’aneddoto più importante del mondo, godendosi il contatto con la grande e
calda mano di Derek, etichettandolo come un premio per la propria
sapienza.
Gatti. La sera
prima, nella clinica veterinaria, il bambino ne sembrava completamente
innamorato, attratto soprattutto da quelli burberi e poco socievoli, che
soffiavano davanti a tutti quelli che si avvicinavano troppo, ma che si
abbandonavano al dolce contatto di Stiles. Aveva una snodata passione per loro?
«Anche ai lupacchiotti» non era intenzionale. Non del tutto, ma sapeva che
rivelare una piccola curiosità casuale avrebbe arricchito il sapere del
cucciolo d’uomo, alimentando la sua curiosità ed ingigantendo la sua teoria
sulle fantasmagoriche facoltà mistiche del latte; era una delle tante cose che
gli doveva e non era certo perché sentirlo parlare di gatti lo infastidiva – in
nessun universo canidi e felini vivevano in armonia –, ma se poteva ancora
sentirlo straparlare e riempirlo di argomenti che poco gli importavano, allora
doveva significare che il mondo girava ancora per il verso giusto.
«Mi
piacciono i lupi» rivelò un attento Stiles, quasi catturato da quell’insieme di
lettere, e la profondità e solennità con cui pronunciò tali parole gelò il
sangue del licantropo.
Il tempo
sembrò fermarsi per un lungo secondo e Derek apparve colpito e frastornato da
quella confessione; quale Stiles stava parlando?
Le perle
boscose si incontrarono con quelle di miele con il compito di accertarsi di
cosa e chi avesse esattamente
davanti, ma si specchiò soltanto in iridi innocenti ed appassionate, quelle
tipiche scaturite da grande interesse per il mondo animale. Gli scostò le
ciocche castane che gli ricadevano sulle pupille, proprio come aveva fatto
quella mattina, e quelli erano gli occhi con cui Stiles guardava tutto ciò che
amava, a qualunque età. «Sono sicuro che anche tu gli piaci» e quella era
l’unica confessione che si sarebbe lasciato scappare.
Stiles gli
passava diligentemente pezzo dopo pezzo tutto ciò che avevano acquistato e che
era presente all’interno delle buste, seduto comodamente sul ripiano di marmo
scuro vicino ai fornelli e sotto i vari mobiletti della cucina; muoveva le
gambette sospese nel vuoto ad un ritmo che Derek non era ancora riuscito ad
intercettare e sorrideva ad ogni oggetto che gli consegnava, divertito dal
cercare dentro i sacchetti di carta e ricordare perfettamente ciò che era stato
comprato.
Il
portellone scorrevole fu aperto ed un tocco di nocche leggero si ripercosse
sulla grande stanza. «Possiamo entrare o disturbiamo le vostre faccende? Oh,
faccende domestiche, questo è qualcosa che non mi sarei mai aspettata» disse
con voce divertita ed ironica la cacciatrice, varcando la soglia e dirigendosi
verso l’angolo dedicato alla cucina.
«Ally!» esclamò entusiasta il bambino quando la ragazza
entrò nel suo campo d’azione, scendendo in fretta dal bancone con un salto
rapido e fiondandosi verso di lei.
«Ciao,
bellissimo» salutò con vigore e con lo stesso entusiasmo la mora, prendendolo
in braccio al volo e tenendolo il più saldo possibile. «Come si sta comportando
il nostro lupo cattivo?».
Scatenò
l’ilarità di Stiles quando provò a sbranarlo con i denti bianchi, emettendo dei
suoni gracchianti che volevano imitare i ruggiti, ma riproducendoli fin troppo
dolci e simpatici. «Mi ha comprato i miei cereali preferiti».
«Oh, allora
ti vizia» proferì teatralmente la ragazza, interpretando la risposta del
bambino come positiva ed incoraggiante.
«Ciao,
Stiles» subentrò la figura posta vicino a loro e che fino a quel momento era
stata ignorata – non propriamente una sua caratteristica.
Stiles si
sentì chiamare in causa e la sua attenzione fu portata alla sua destra, dove
figurava una ragazza rossa e bellissima che gli sorrideva ammiccando. Si
irrigidì nell’abbraccio di Allison, diventando improvvisamente pesante.
«Lei è
Lydia» si sentì in dovere di presentare la cacciatrice, spezzando quell’aria
insolita che era scesa e che ormai caratterizzava lo Stiles di cinque anni poco
incline ad interagire con gli altri. «C’era anche lei con noi ieri».
Il cucciolo
la guardò con tanto d’occhi, intensamente e quasi studiandola, ma senza
abbassare il suo scudo e la titubanza che aveva.
«Puoi
salutarla» intervenne prontamente il licantropo quando ebbe riposto l’ultimo
oggetto che il figlio dello sceriffo gli aveva consegnato poco prima.
Stiles si
voltò verso di lui, verificando l’autenticità di quella risposta e cullato dal
morbido abbraccio di Allison che lo tranquillizzava e lo sollecitava, promettendogli
una via senza conseguenze. «Ciao» farfugliò con ancora
quella titubanza ed incertezza, creando una piccola morsa ferita al cuore della
banshee.
Lydia
abbozzò un sorriso di circostanza ed il suo occhio cadde sulle buste della
spesa svuotate per metà, che non contenevano ciò che serviva davvero, e le
attuali condizioni del minore degli Stilinski. «Scommetto che non ha acquistato
nulla per renderlo presentabile» articolò con finto sdegno, inveendo contro la
poca attenzione del lupo.
«Avrei
provveduto più tardi» rispose con secchezza l’uomo, già annoiato e scocciato
dalla presenza delle ragazze.
«Prendi i
pacchi che sono in auto» ordinò la rossa con la sua caratteristica autorità,
indicando con l’indice verso il basso.
Derek la
guardò dubbioso e si voltò verso la mora che ancora stringeva il bambino in un
cauto abbraccio, cercandovi una spiegazione più esaustiva. «Ehm… ha comprato
qualcosina» farfugliò enigmatica la cacciatrice, imporporando appena le gote.
«Qualcosina quanto?» domandò il mutaforma
con sospetto, inarcando un sopracciglio accusatore.
«Bando alle
ciance, lupastro. Vai e
torna vittorioso» intervenne la bionda fragola, poco disponibile al dialogo, ma
ai fatti, premendo perché uscisse dal loft e compiesse il suo dovere.
Derek la
guardò in cagnesco ed infastidito si diresse a passo spedito verso il
parcheggio. «Prendi tutto» ordinò ancora la banshee e benché nessuno di loro
possedesse sensi sviluppati pari a quelli dei licantropi, lo sbuffo ed il
ringhio dell’uomo li udirono tutti.
Derek tornò
sopra pochi minuti dopo, stracolmo di pacchi e pacchetti e con lo sguardo
fortemente irritato. «Non è una sfilata, Lydia».
«Sciocchezze»
semplificò la bionda fragola, strappandogli qualche sacchetto e posizionandolo
davanti ad uno Stiles confuso, che aveva finalmente rimesso i piedi per terra e
riposto tutta la spesa nella dispensa insieme alla mora. «Stiles merita il
meglio, soprattutto se è costretto a vivere con te».
«E credi
che riempirlo di vestiti lo aiuti?» chiese il mannaro con rimprovero, non
favorevole ad abbassarsi al suo livello.
«Meglio di
quegli stracci che tiene ancora. Perché non li hai bruciati?» disse la banshee
con sdegno, inorridita dai vecchi abiti che si erano procurati alla clinica
veterinaria.
«L’avrei
fatto più tardi» rincarò la dose il moro, sottolineando una questione che
avevano già affrontato e che faceva emergere la frettolosità della rossa.
Allison era
un po’ preoccupata per quello strano battibecco che i due stavano affrontando,
soprattutto perché nel branco erano quelli che avevano meno interazioni tra
loro; il loro anello congiuntivo era sempre stato Stiles, il resto era solo uno
scenario sfocato – Peter era semplicemente una conseguenza.
Stiles. Era
sempre e solo di Stiles che si parlava.
La
cacciatrice buttò un’occhiata al pargolo che li guardava con dubbio e che
lentamente si avvicinava ai pacchi che Derek aveva abbandonato ai propri piedi,
sfiorandoli appena ed aprendo soltanto piccoli spirargli. «Sono per me?» chiese
con incertezza ed impressionante sorpresa, ingigantendo gli occhi immensi e
posandoli su entrambi.
Derek e
Lydia si fermarono improvvisamente, chiamati in causa ed abbassando il capo
sull’esserino che li guardava dal basso. Allison li vide impreparati per la
prima volta davanti a quelle iridi di ambra pura. «Sì, sono per te» confermò la
banshee con sicurezza e con una nota incredibilmente morbida.
Stiles la
osservò intensamente dentro le gemme di smeraldo per poi spostare lo sguardo
sui sacchetti del centro commerciale, indeciso su come procedere.
«Puoi
accettarli» disse la creatura della notte con fermezza, cogliendo la sua
preoccupazione e dubbio, quando il silenzio era sceso e nessuno sapeva come
agire per incoraggiarlo. «Sono tuoi. Un regalo».
«Un
regalo?» ripeté il figlio dello sceriffo più a se
stesso che ai suoi interlocutori, cadendo in un limbo a cui nessuno di loro
aveva accesso. «Non ne ho mai avuti così tanti».
Lydia si
irrigidì ed Allison rimase in apnea per qualche attimo.
Derek al
contrario di Stiles ne aveva sempre ricevuti a tonnellate, da più gente di cui
potesse ricordare e molti di loro non esistevano nemmeno più. Non era mai stato
restio dall’accettarli o modesto o così provato dal prenderli con sé, non si
era posto il problema che fosse una scortesia o qualcosa di troppo, non si era
nemmeno mai domandato se per chi glielo avesse fatto rappresentasse una spesa
eccessiva. Ma era risaputo quanto loro due appartenessero ad altrettanti mondi
diversi, in cui uno era fin troppo popolato e nell’altro esisteva una cerchia
talmente piccola che si estendeva ai soli membri abitanti nella casa familiare
ed a pochi altri che la costituivano all’esterno. La morale voleva che entrambi
avessero perso quei mondi. «Sono tuoi» ripeté con più accuratezza ed incisione,
piegandosi sulle gambe e portandosi all’altezza dei suoi occhi, sfiorandogli il
nasino in una carezza leggera verso l’alto ed invitandolo a prestargli
attenzione. «Puoi accettarli tranquillamente, lei vuole che li abbia tu».
Stiles
esitò ancora per un momento, guardando la nuova ragazza come per accertarsi che
fosse vero e che potesse andarle bene. «Okay» sillabò con accettazione,
accompagnando quell’unica parola con un nuovo cenno positivo del capo.
«Grazie».
La banshee
restò interdetta a quella scena e da quel ringraziamento, ma la cosa che più la
lasciava allibita era il tipo di rapporto che si stava istaurando tra Stiles e
Derek, senza barriere e giochi confusionali che lo schermasse. «Non c’è di
che».
«Bravo»
convenne la creatura della notte a premiare l’azione appena compiuta ed il
passo gigante di cui era stato testimone, affondandogli una mano nelle ciocche
di capelli e scompigliandole con attenzione. Stiles gli sorrise incoraggiato,
assaporando completamente quel contatto che gli veniva donato.
«Che ne
dici di provare qualcosa?» propose entusiasta la cacciatrice, indicando varie
buste di carta.
Il bambino
inclinò appena la testa guardando la miriade di sacchetti, come se potesse
scrutarli dal di fuori. «Sembra tutto molto rosso».
Allison
ridacchiò, avvicinandosi con un balzo ed agguantandolo da dietro, infilandogli
a tradimento una felpa rossa, con cappuccio annesso, della sua taglia. «Certo,
perché sei il nostro Cappuccetto Rosso personale che vive tra le fauci del lupo
cattivo» e mentre lo diceva con una teatralità che nessuno dei ragazzi
conosceva in lei, creando divertimento nel bambino ed invitandolo ad un gioco
continuo, il cappuccio gli cadde sulla testa, coprendogli le perle mielate,
innescando ilarità e stravaganza appropriata alla scena.
Attimi dopo
Derek si ritrovò la casa piena di suoni e rumori graffianti, vestiti sparsi
dappertutto e con Stiles ed Allison che scappavano da una Lydia che li
riprendeva per il pessimo accostamento di colori, scelti accuratamente per
farla uscire dai gangheri. Derek aveva già mal di testa e la giornata era
ancora lunga, troppo lunga. Quello che andava bene era la risata spensierata e
cristallina di Stiles che echeggiava per l’intero monolocale, sovrastando tutto
il resto e che le due ragazze facevano di tutto per non farla affievolire e per
preservarla.
Improvvisamente
il loft appariva più sistemato e pulito da quando erano entrate quelle
portatrici di caos, appestandogli tutta la dimora, con i propri cassetti pieni
della roba di Stiles e l’armadio che si era ridotto ad una sola metà per
ognuno. Non si capacitava ancora di come avessero fatto quelle due ad
addentrarsi nella parte più privata del monolocale, spatriandolo dei propri
spazi e riordinandoli secondo un loro codice segreto. Certo era che le sue cose
erano state indirizzate ad un quarto della loro capienza e tutto il resto
apparteneva agli oggetti del bambino. Stiles si era divertito un mondo, Derek
molto meno.
Con tutto
quel movimento e l’arredamento della casa, il tempo era trascorso abbastanza
velocemente – tranne che per l’esasperazione del mutaforma – ed Allison insieme
a Stiles si erano appropriati dei fornelli, studiando la dispensa e dispensando
consigli vari tra loro, finché non avevano mischiato roba varia e creato una
pietanza molto fantasiosa che Derek si rifiutava anche solo di vedere,
figurarsi assaggiarla.
In verità
Stiles si era limitato a rimanere seduto sul bancone di marmo accanto alla
cacciatrice, con annesso di gambette sospese nel vuoto che si muovevano
nuovamente a quel ritmo che Derek non aveva ancora interpretato e con Allison
che si occupava del loro pranzo improvvisato, prestandogli la sua massima
attenzione ed ascoltandolo sproloquiare tranquillamente, interagendo con
naturalezza e sostenendo una vera conversazione con lui, dandogli sempre nuovi
agganci per non spezzare il suo chiacchiericcio.
Quando la
pietanza fu pronta a tavola ed i suoi super sensi lupeschi gli suggerirono
candidamente di non odorarla nemmeno, invitandolo ad astenersi da qualsiasi
pratica d’assaggio, Allison gli riservò un ghigno saputo ed i candidi e
spendenti occhi ambrati si specchiarono nei propri, eccitati ed entusiasti del
risultato casalingo che aveva portato – benché fosse tutta farina del sacco
della cacciatrice –, guardandolo febbricitante ed impaziente di avere un suo
responso, Derek non poté privarsi di dargli quella soddisfazione, spezzando le
sue aspettative, quindi fu costretto non soltanto ad addentarlo, ma anche a
mangiare qualsiasi cosa quella poltiglia fosse. Stiles gli aveva regalato il
sorriso più splendente di tutti, così simile a quello dello Stiles
diciasettenne lontano dal sarcasmo che un conato di tristezza lo colse e si
chiese quanto giusto fosse averlo con sé. In tutto quello la cacciatrice e la
banshee ne risero compiaciute, ignorando l’occhiata in cagnesco che ricevettero
in risposta.
La tavola
era stata sparecchiata e le stoviglie abbandonate nel lavandino, per essere
successivamente lavate, asciugate e riposte e Stiles aveva preso a sbadigliare
da un po’, dirigendosi verso il grande divano e mettendovisi proprio al centro,
seguito da Derek che si accomodò al suo fianco, mentre stringeva un pugnetto e
lo portava su un occhio per cancellare le lacrime di sonnolenza.
«Vuoi
dormire un po’?» chiese l’uomo davanti a quel gesto, osservandolo dall’alto.
«Mh, no» mormorò con insofferenza, masticando il nuovo
sbadiglio che gli usciva dalla bocca ed asciugandosi l’occhio opposto,
strofinando la testa sul fianco del licantropo a smentire quanto detto.
«A-ah, ti
credo» lo riprese il mannaro sferzantemente, spostando un arto superiore per
lasciargli più accesso.
Stiles
mugugnò contrariato ed offeso, accoccolandosi sul lato destro del lupo e
nascondendo la testa nel suo braccio per ripararsi dalla luce solare.
«Possiamo
andare di là» tentò ancora il licantropo, facendo chiaro riferimento alla parte
dell’appartamento allestita come camera da letto.
Il bambino
strusciò il capo contro di lui con fare negativo, scivolando verso il basso e
sistemandosi meglio. «Voglio rimanere qui».
Derek
rimase in silenzio a guardarlo, mentre quello era sempre più pronto a cadere
tra le braccia di Morfeo e si rese conto soltanto in quel barlume di lucidità
di non aver mai avuto qualcosa di così piccolo a dormire su di lui. «Come
vuoi».
«A
proposito di dormire, ti abbiamo portato una cosa» disse illuminata la
cacciatrice, allontanandosi dal posto in cui era seduta, sul bracciolo
appartenente al cuscino in cui soggiornava Lydia, proprio quello successivo a
quello dell’umano. Stiles a quella rivelazione aveva spalancato gli occhi con
curiosità ed incertezza, seguendo la ragazza nel suo percorso con lo sguardo.
Derek non aveva alcun bisogno di sapere cosa fosse, considerando che era stato
lui stesso a mandare un messaggio sul cellulare, richiedendola. «Ecco qui,
dormirai meglio con questo» affermò Allison quando ritornò, tenendo tra le mani
un oggetto a forma rettangolare di svariati centimetri che appariva morbido e
confortevole. «Il tuo prezioso cuscino».
Il cucciolo
d’uomo sbatté le palpebre varie volte confuso, spostando gli occhi dall’oggetto
che gli veniva posto alla ragazza che gli sorrideva dolcemente. «Il mio
cuscino?» domandò sovrappensiero, incerto di voler conoscere la risposta.
Allison
indugiò un momento a disagio, improvvisamente colta dalla possibilità di aver
commesso un errore. «Sì... è il tuo, vero? Non ho sbagliato?».
«Sei stata
a casa mia?» chiese con una strana sfumatura incolore, guardandola fissa negli
occhi.
«Sì, ti ho
portato anche qualche libro dalla tua libreria» asserì la mora con una nota
titubante, lanciando un segno di allarme alla rossa.
«Oh» emise con accettazione e sorpresa, mentre gli
occhi diventavano vitrei. «Grazie» proferì con distacco, prendendo il cuscino
dalle mani della ragazza ed alzandosi dal divano, allontanandosi da loro e
procedendo verso la parte opposta del loft.
Allison
guardò entrambi con sguardo interrogativo e preoccupato, aspettandosi che uno
dei due avesse una vaga idea di cosa fosse successo e se dovesse scusarsi in
qualche modo, ma nessuno di loro pronunciò parola e Stiles non si fece rivedere
per il resto della giornata. Le ragazze andarono via mezz’ora dopo.
Stiles
continuò la sua fase di mutismo fino all’ora di cena ed oltre e Derek non
riuscì a cavargli una sola parola – non che fosse un esperto –, rimanendo ad
osservarlo per tutto il giorno, stretto al suo cuscino che si era trascinato
sul letto matrimoniale e sfogliando quei libri che la cacciatrice gli aveva
portato, ma che aveva lasciato sul tavolo a portata di mano. Cosa ci facesse esattamente
non riusciva a spiegarselo, considerando che era certo che il bambino non
sapesse ancora leggere, ma continuava a vederlo mentre girava una pagina dopo
l’altra con accuratezza e tentasse di decifrare i loro grandi segreti.
«Vuoi che
te li legga?» domandò quando lo vide soffermarsi su un foglio in particolare,
strabuzzando gli occhi e fissandolo con attenzione maniacale, rimanendo
incantato per qualche attimo di troppo.
«Non oggi»
affermò il figlio dello sceriffo con schiettezza, senza distogliere lo sguardo
dalla tanto decantata pagina.
In quei
momenti gli ricordava eccessivamente lo Stiles che conosceva, quello
autodidatta ed autoritario, che con un solo sguardo aveva la capacità di
comunicare con lui come nessuno riusciva a fare e che era impossibile
distogliere dalla corrente di pensiero in cui cadeva, dove metteva insieme i
pezzi di un quadro completo, svelando i misteri che lo tormentavano. A quale
stava lavorando in quell’occasione?
«È tardi»
dichiarò il mutaforma dopo qualche minuto, interrompendo il momento di
concentrazione in cui si era tuffato il piccolo umano.
Stiles
voltò la testa verso di lui, riportando gli occhi sul libro e spostandoli
ancora sul materasso sotto di sé. Chiuse il volume che stava consultando,
poggiandolo insieme agli altri sul comodino improvvisato, infilandosi sotto le
lenzuola con tanto di pigiamino già indossato ed unico indumento acquistato
dalla creatura della notte stessa.
Derek non
fu sorpreso da quell’ubbidienza e dalla capacità che il figlio dello sceriffo
avesse di comprendere esattamente cosa intendesse. «Vuoi che resti con te?»
chiese nel momento in cui si avvicinò per accertarsi che forse accuratamente al
riparo e protetto dagli spifferi.
Il bambino
negò vivamente con un movimento del capo, stringendosi al suo cuscino ed
affondandovi la testa, scomparendo tra le coperte.
A Derek,
davanti quelle spalle voltate ed il dialogo negato, non restò che ritirarsi e
dirigersi verso il letto che era appartenuto a Cora, che manteneva ancora il
suo odore perché non aveva avuto il tempo di cambiare le lenzuola. Domani. L’indomani poteva essere un
giorno migliore, più tranquillo e con l’umore di Stiles che non variava ad ogni
alito di vento.
Ovviamente
i suoi buoni propositi e quella voglia matta che aveva di sprofondare in un
sonno restauratore, almeno una volta, non furono ascoltati e per la seconda
notte di fila fu strappato dalle braccia di Morfeo dal
sonno
agitato e dai lamenti di Stiles.
Un braccio
gli cadde sconsolato sugli occhi a coprirli e per un futile attimo si convinse
a lasciarlo perdere e ad aspettare che si calmasse da solo. Ma Derek conosceva
perfettamente i sogni confusionari ed affannati dell’umano, gli stessi che lo
Stiles adolescente faceva e che il lupo aveva vegliato quasi ogni notte in
quell’anno nel silenzio delle tenebre. Stiles non si sarebbe mai calmato se
qualcosa di esterno e pacificatore non fosse intervenuto o se non si fosse
svegliato urlando. Ancora si chiedeva come avessero potuto permettergli di
avvicinarsi al loro mondo sovrannaturale senza che avesse la capacità di
gestirlo e nella piena consapevolezza che la sua mente lavorava su piani che
loro non potevano minimamente raggiungere.
Si vide
costretto ad alzarsi dal suo giaciglio caldo e confortevole che lo richiamava a
sé, dirigendosi verso il proprio letto, tacitamente consegnato a Stiles.
Sudava
freddo e si stringeva al guanciale come unica ancora di salvezza, con le
lenzuola tutte strette intorno in un groviglio incomprensibile e la coperta
parzialmente caduta sul pavimento. Derek la spostò, riportandola sul materasso
e con un tocco leggero scosse i capelli che umidi ricadevano sulla fronte del
bambino, liberandolo lentamente e con una cura mai sperimentata dalle grinfie
delle lenzuola.
Il cucciolo
d’uomo si svegliò all’istante, nel momento in cui il primo ginocchio dell’uomo
toccò il letto. «Derek» chiamò quasi in una domanda con la voce trattenuta e
spezzata, aprendo le grandi perle di ambrosia ed abbagliandolo, trovandole
incredibilmente liquide. Il bambino si guardò intorno, adocchiando la
situazione caotica in cui si trovavano ed incontrando il buio della vetrata, in
cui non figurava un singolo raggio solare. «Mi dispiace, Der. Non volevo
svegliarti».
Der, per poco
il lupo cattivo arrancò un colpo a quel suono che mai si sarebbe aspettato di
udire. Nessuno da quando aveva memoria aveva usufruito di quell’abbreviazione
affettuosa e carica di tenerezza nei suoi riguardi, certamente l’ultimo da cui
si aspettava una simile mossa scorretta era proprio Stiles. Lo Stiles
adolescente perlomeno, che puntava a qualcosa di più maestoso e carico di
acidità, ma l’esserino di cinque anni che gli monopolizzava il letto era
probabilmente più affine alla semplicità più estrema.
Der, il
diciassettenne non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamarlo con un suono
talmente dolce da concretizzare un’intimità soffocata tra loro.
Il
piagnucolio e gli occhi sempre più prossimi alle lacrime allarmarono il
mutaforma, obbligandolo a muoversi ed a stroncare quel disastro. Lo prese tra
le braccia, portandoselo sopra le gambe incrociate sul materasso e adagiandolo
con attenzione. «È tutto okay, ero sveglio» mentì spudoratamente, strizzando i
capelli zuppi di sudore ed asciugandogli con tenerezza le uniche lacrime che
erano incastonate sulle lunghe ciglia.
Stiles
inspirò con il naso, singhiozzando e lasciandosi viziare dalle abili mani
dell’uomo. «Ma è tardi».
«Sono un
animale notturno» confidò segretamente, ma come la più ovvia delle rivelazioni.
Non era nemmeno una vera menzogna.
«Un animale
notturno» ripeté a se stesso il bambino,
immagazzinando il suono di quelle parole ed il loro significato singolo e
comune. «Come i lupi?».
Derek fu
abbagliato dalle sue iridi di miele che si illuminavano di conoscenza e teorie,
la scioltezza con cui pronunciava tutto ciò che gli passava per la testa. Perché vengono fuori i lupi? «Come i
lupi».
«Sono
morbidi?» chiese dopo un istante di meditazione, allargando i suoi occhioni.
«Perché lo
chiedi?» domandò Derek con un sopracciglio innalzato e la perplessità dipinta
sul volto.
«Perché
hanno una bella pelliccia» affermò con convinzione il figlio dello sceriffo,
illuminandosi completamente.
«Sì, è
molto bella» convenne come conoscitore supremo di quell’osservazione e
scrutandolo successivamente con occhi guardinghi. «Ma non devi toccarli né
avvicinarti a loro, sono pericolosi».
«Perché?»
chiese ingenuamente il cinquenne inclinando appena la testa sorpreso.
«Potrebbero
mangiarti» lo informò con una voluttuosità voluta, sperando di fargli crescere
quel senso di allerta e pericolo che spesso e volentieri metteva da parte.
Le iridi
dorate lo guardarono con riluttanza e confusione, per poi spostare le pupille
su se stesso a osservarsi ed esaminarsi, alzando le
braccine in aria e proseguendo ovunque la sua visione periferica arrivasse.
«Sono appetitoso?».
Derek mal
trattenne quello sbuffo di risa che gli sfuggì dalle labbra, il tutto condito
dalla candida e pura uscita del cinquenne, avido di una notizia che non poteva
sembrargli possibile. «Per qualcuno potresti esserlo».
«Mh» mormorò pensieroso, portandosi una manina a pugno
chiuso sotto il mento, immergendosi in un’aria totalmente riflessiva. «Ma se ne
incontrerò uno, ci saresti tu a proteggermi».
La
convinzione e la certezza con cui lo disse creò nel mannaro l’ennesima crepa
nel cuore. «Non so se ne sarei in grado».
«Perché sei
uno di loro?» domandò con spirito d’osservazione il pargolo umano, poco
convinto di quell’uscita.
Più si
addentravano in quella conversazione più diventava difficile per lui, ma
l’inquietudine e l’ansia che erano prevalsi in Stiles, tormentandolo nei suoi
sogni, stavano pian piano scemando. «Anche».
«Vuoi
mangiami anche tu?» chiese con un’ottava di troppo, spalancando gli occhi colti
da un falso pericolo, ma dalla reale possibilità.
Un altro
sbuffo, somigliante pericolosamente ad una risata, scappò dalla bocca del
licantropo e per vendetta lo issò dalle braccia, avvicinandolo al viso ed
addentandogli per scherzo una guancia, strofinando successivamente il naso
contro il suo, scatenando un urletto sorpreso e semi allarmato nel cucciolo,
per poi scoppiare in piccole risatine gioiose. «No, non ti mangerei mai» non nel modo in cui lo intendi tu.
«Allora va
bene, puoi proteggermi» lo tranquillizzò il figlio dello sceriffo con dovizia e
con ancora un sorriso pieno sulle labbra, dandogli la sua totale assoluzione e
stringendosi nel suo piccolo abbraccio.
Derek gli
accarezzò con il dorso delle dita uno zigomo, solleticandogli ancora una volta
il setto nasale con il proprio. «Come desideri» e lo sistemò nuovamente sul
letto, dal lato più asciutto e sistemato, posizionandolo egregiamente nella
parte centrale, lontana dal bordo – parte che spettava a lui – e trascinandosi
l’adorato cuscino del bambino.
Stiles si addormentò stretto a lui, incastrandosi
perfettamente nella curva creata dal suo corpo, entrandovi completamente,
stringendo tra le manine la maglia consumata e fradicia del lupo. Per la
seconda volta consecutiva cadde in un sonno profondo, sereno e rappacificatore,
trascinandosi il suo coinquilino.
Qui
abbiamo un Derek che deve interamente da solo occuparsi di uno Stiles di cinque
anni che dipende in tutto e per tutto da lui, uno Stiles che non si smentisce
di essere sveglio e troppo consapevole di se stesso e
di quello che lo circonda, uno Stiles che ha ogni insicurezza del mondo e che
non ha alcuna figura di riferimento se non le associazioni ai suoi ricordi e
quella del lupo. Per Derek non è una passeggiata, è impacciato e non ha alcuna
idea di come relazionarsi con il pargoletto, ma ha tutta l’intenzione di fare
del suo meglio e Stiles apprezza tutti i suoi sforzi.
Derek da
tutta quella storia avrebbe dovuto imparare una lezione importante, la più
importante di tutte: chiudere la porta a quadrupla mandata.
«Nipote, un
pettirosso mi ha informato che hai un bambino, uno splendido bambino» disse con
una sfumatura compromettente il maggiore degli Hale che entrò come un ciclone
nel loft.
Nel volto
del padrone di casa si dipinse immediatamente un’espressione indigesta ed irritata.
«Non ho nessun bambino» non si girò nemmeno, continuando a dedicarsi a
sparecchiare la tavola usata durante la colazione, togliendo la scatola dei
cereali e la tazza – non ne possedeva nessuna ed il giorno prima, insieme a
cereali e buste di latte, Derek aveva acquistato quella che più piaceva al
pargolo, che optò per una che ritraeva una bella ed aggraziata volpe rossa su
sfondo verde acquarello – con cui Stiles aveva mangiato.
«Oh, non
dire queste brutte cose, non vogliamo che il nostro Stiles ti senta e gli si
spezzi il cuore» lo riprese Peter con bonario e malvagio sarcasmo, buttando
sale sulle ferite aperte.
Derek si
fermò nell’immediato, voltandosi ed alzando lo sguardo verso di lui glaciale e
freddo che avrebbe fatto ammutolire chiunque si trovasse al suo cospetto, ma
Peter sapeva leggerlo bene e decifrare quanto l’avesse colpito, quanto
perseverasse nel crucciarsi per quello. Lui era semplicemente un mago
nell’infierire.
«Derek,
guarda» richiamò la sua attenzione la piccola trottola spuntata dal nulla
davanti al tavolo con in mano lo stesso libro della sera precedente, pronto per
porgerglielo ed affrontare un nuovo argomento pieno di parole.
Peter per
la prima volta poté vedere il cucciolo d’uomo dai grandi occhi mielati, pendere
completamente da suo nipote e fasciato da un pigiamino verde chiaro, su cui
erano raffigurate varie posizioni di piccoli lupacchiotti disegnati da un
tratto morbido e tondeggiante. «Lupi, eh?».
Il tono
saputo e sarcastico del suo consanguineo era una tortura per le orecchie del
mannaro e gli urtava molto i nervi. «Gli piacciono» dargli spiegazioni era ciò
che odiava di più.
«Oh, certo.
Sappiamo tutti quanto gli piacciono, soprattutto quelli musoni e petulanti» lo
ribeccò Peter con maestria, enfatizzando il tutto con una sfumatura prettamente
maliziosa.
«Chi è?»
domandò guardingo il figlio dello sceriffo, immerso in un’attenta analisi da
cui trapelava curiosità evidente e diffidenza,aggrappandosi alla mano di
Derek più vicina e riparandosi parzialmente dietro di lui.
«Qualcuno
da cui dovresti tenerti lontano» gli intimò Derek con lo sguardo severo rivolto
verso il nuovo arrivato.
«Così mi
ferisci» rivelò con drammaticità l’uomo, apparendo teatralmente colpito. «Sono
lo zio di Derek, Peter» si presentò con un sorriso furbo sulle labbra,
rivolgendosi alla figura del cinquenne ed avvicinandosi di pochi centimetri.
Le perle
d’ambrosia si ingrandirono per una frazione di secondo e l’interesse sembrò
crescere, insieme alla cautela. «Hai uno zio?».
«Purtroppo» riferì il moro con secchezza e noia, desiderando
ardentemente che l’intruso andasse via.
«Non
badargli, non saprebbe cosa fare senza di me» rivelò come una grande chicca
segreta, strizzandogli un occhio d’intesa. «L’ho cresciuto io, insieme alle sue
sorelle e devo dire che ho fatto un ottimo lavoro».
«Già, è il
dopo che è stato un vero disastro» proferì Derek con una nota leggera di bufera
e collera che li investì in pieno.
Stiles lo
guardò per la prima volta sbalordito ed impressionato, spostando lo sguardo
dall’ uno all’altro, cercando di capire quale segreto fosse nascosto e perché
Derek fosse così infastidito dalla sua presenza. Forse avrebbe dovuto
ascoltarlo.
«Ti ho
portato qualcosa che ti piacerà» annunciò ad un certo punto il nuovo ospite,
estraendo dalla schiena una scatola rettangolare di medie dimensioni,
portandola esattamente sotto gli occhi affamati di sapere del bambino.
Davanti a
lui si presentò l’immagine di un paesaggio della giungla con annessi alcuni
degli animali più famosi di quel territorio, la scritta riportava 500 pezzi. «Un puzzle!» esclamò
meravigliato ed incantato, lasciando la mano di Derek ed avvicinandosi per
prenderlo e prepararsi a stringerlo. Ma prima che potesse sfiorarlo si fermò,
come rammentandosi di qualcosa e rivolgendo la sua titubanza verso il mutaforma
che si prendeva cura di lui.
Probabilmente
Derek non si era mai presentato così sorpreso e confuso come in quel momento,
ma Stiles in quei giorni l’aveva ascoltato diligentemente, immagazzinando ogni
sua parola e facendone tesoro. Doveva essere costretto a farlo interagire con
molte cose e persone, dovendogli dare la sua rassicurazione e la certezza che
potesse farlo, ma non aveva mai mostrato perplessità o ignorato un suo
avvertimento, che fosse finto o meno, e non si era mai fiondato da qualcuno che
non conosceva, ma che gli portava doni. L’unica
volta che dovrebbe seriamente ascoltarmi, non lo fa. Perché deve comportarsi
così da Stiles quando non deve? Ma Stiles aveva gli occhioni troppo grandi
ed eccitati, quel nuovo gioco sembrava attrarlo come nient’altro prima
d’allora, come avrebbe potuto negarglielo? «Se ti piace tanto, puoi prenderlo»
semplice, non facendolo.
Le iridi
d’ambra brillarono estasiate, ma il via libera del lupo sembrava più importante
che mai. «Sicuro?».
Derek
avvertiva tutta l’improvvisa apprensione che il bambino gli stava rivolgendo,
senza che lui ne fosse consapevole e sapesse spiegarselo. Stiles sembrava
cogliere ciò che gli faceva male e lo infastidiva. «Sì, sicuro».
L’umano gli
regalò il sorriso più abbagliante che avesse mai visto e si affrettò ad
afferrare la scatola di cartone tra le braccine, dando un timido cenno del capo
di apprezzamento al portatore di doni. «Grazie, zio di Derek» e scappò via,
mettendosi al centro della vetrata dove entrava più luce, sedendosi per terra
ed aprendo il suo nuovo intrattenimento.
«Un puzzle»
disse Derek in una domanda muta, osservando il piccolo abitante completamente
assorto nel suo compito.
«Esattamente»
confermò il lupo adulto, sorridendo fiero. «È ottimo per lui. Tiene le mani
impegnate per la sua iperattività ed ogni puzzle rappresenta un nuovo caso che
deve risolvere, un quadro che deve completare e da cui deve scoprire ogni
segreto. Amplificherà la sua capacità d’osservazione».
Come se ne avesse bisogno. «Ha cinque anni».
«Dovresti
sapere meglio degli altri quanto lui sia un bambino di un altro livello» disse
Peter con voce profonda e saputa, lanciandogli un’occhiata oblunga. «A te non
avrei nemmeno potuto dare uno da 20 pezzi in formato gigante».
Il tono di
suo zio era sempre sarcastico ed ironico, ma Derek non poté trattenersi dal
roteare gli occhi verso l’alto, mostrando ampiamente quanto poco apprezzasse la
sua compagnia.
«Gli
piacerà, lo finirà in fretta e ne vorrà di nuovi» rivelò Peter senza alcun
compromesso, sorridendogli vittorioso e quasi orgoglioso del suo operato. O di Stiles?
Doveva
preoccuparsi del fatto che Peter fosse stato capace di adescarlo con una
facilità sorprendente, ignorando il suo metterlo in guardia?
O forse
certi istinti in Stiles non cessavano di esistere.
Certo era
che Stiles per tutta la mattina non si separò dal nuovo gioco, che esigeva la
sua totale attenzione e precisione.
Lentamente
il portellone d’ingresso fu aperto e presentò la figura di uno Scott
impacciato, seguito da una Allison titubante che si nascondeva dietro di lui.
Derek non
fu sorpreso di ritrovarseli in casa, dava per scontato che l’Argent sarebbe
tornata alla carica per comprendere e farsi perdonare da Stiles ed era quasi
doveroso per l’Alpha tentare qualsiasi strada per riconquistare suo fratello.
«Ciao,
Stiles» pronunciò con calore e timida intraprendenza la cacciatrice,
affacciandosi quasi completamente dal messicano che usava come scudo.
Nella
manina del figlio dello sceriffo ruotava un piccolo tassello di puzzle che
fissava da alcuni minuti, sospendendolo in aria ed incastrandolo astrattamente
dove supponeva appartenesse, rimanendo disteso sul freddo pavimento con le
gambe piegate verso l’alto che muoveva a seconda della sua concentrazione.
«Allison» salutò con distacco, senza staccare il contatto visivo con il suo
enigma.
La ragazza
non poteva negare che ne fosse stata profondamente colpita, che l’atteggiamento
ostile del bambino la ferisse molto. «Posso giocare con te?» ma lei era una
temeraria.
Stiles si
riscosse appena, giusto il tempo che gli occorreva per metabolizzare le parole
e dargli il corretto significato. «Okay» non la guardò affatto ed Allison gli
si avvicinò con cautela, sedendosi sulle piastrelle insieme a lui.
Stiles era
un campione nel tenere il muso.
Nel
silenzio perpetuo e riflessivo che la circondava, la cacciatrice si sentiva
fuori posto e non sapeva esattamente come fare per riguadagnarsi l’attenzione
del cucciolo d’uomo che persisteva a stare sulle sue; provò ad accennare un
sorriso incoraggiante, ma quello era troppo concentrato a fissare i tasselli a
cui non riusciva a trovare una collocazione. «Posso aiutarti?» tentò adagio, la
piega dolce ed incoraggiante che le dipingeva le labbra.
Stiles la
guardò un po’ diffidente, ponderando la sua richiesta e rimanendo in un
perpetuo mutismo. Annuì soltanto.
La mora
prese un pezzo del puzzle tra le dita, dando un’occhiata generale e lo rivolse
verso l’autore di quella grande opera. «Questo dove va?».
L’umano lo
degnò di una rapida occhiata ed indicò un punto periferico dell’immagine che
prendeva sempre più forma.
Allison
individuò il punto in cui era stata indirizzata e lo incastrò perfettamente nel
luogo a cui apparteneva, sorridendo soddisfatta e rivolgendolo al cinquenne,
trovando quest’ultimo a fissare meravigliato il pezzetto di cartone appena
sistemato.
Lo vide
fissarne un altro che era stato isolato dagli altri, quasi fosse in attesa
della sua venuta e di svelare il mistero più grande di tutti, e lo agguantò con
le dita sottili e corte, tenendolo sollevato sul riquadro vuoto e depositandolo
con cura, sgranando gli enormi occhi di miele ad immagine completata.
Allison
trattenne il fiato aspettandosi una qualsiasi reazione negativa e ricevendo
soltanto soddisfazione dal suo sguardo caramellato.
Sospirò
rincuorata e cominciarono a dedicarsi interamente al puzzle, scambiandosi i
pezzi e seguendo alla lettera le direttive di Stiles.
«Un puzzle,
Stiles li adora» sovvenne il messicano che aveva assistito a tutta la scena
senza emettere suono e preoccupato per un possibile rifiuto da quello che era
stato il suo migliore amico.
«Già»
convenne Derek con osservazione infastidita.
«Non ci avevo
proprio pensato, hai fatto bene» Stiles aveva passato tutti gli anni della sua
fanciullezza ed adolescenza a risolvere enigmi e
figure che si incastrassero tra loro; era il suo passatempo preferito, era ciò
in cui era più bravo ed era un ottimo modo per distrarlo.
«Non sono
stato io» lo corresse il grande lupo cattivo, con ancora quell’indigestione
portata dalla figura peggiore che potesse comprendere il bambino meglio degli
altri. «Peter» rispose all’espressione interrogativa dell’Alpha.
«Oh» soffiò Scott sorpreso ed un po’ disorientato,
tornando a concentrarsi sulle due presenze sistemate sul pavimento che
continuavano quel gioco indisturbate e con piccoli risolini sinceri che
sgorgavano dalla bocca di Stiles. «Ne sa sempre una più del diavolo quell’uomo».
«Forse
perché è il diavolo» lo Stiles diciassettenne avrebbe apprezzato quella battuta
e l’avrebbe custodita negli annali.
Il
messicano curvò appena le labbra, leggermente stupito da qualcosa di così
tagliente e preciso che il loro umano avrebbe detto ed appoggiato, ma forse, in
un certo qual senso, era Derek che preservava la sua voce. «È interessante se
ci pensi e, beh, anche un po’ losco. Stiles non permette a nessuno di
avvicinarsi se non ha la tua approvazione, eppure con Peter è successo e dubito
tu gli abbia dato l’okay».
Nemmeno
sotto tortura. «È accaduto anche con Cora. Non ero nemmeno presente, le ha
chiesto se fosse mia sorella e l’ha adottata».
«Il fascino
Hale» lo derise il Vero Alpha, trasognato ed incurante del pericolo in cui si
era messo.
Derek lo
fulminò con lo sguardo e Scott ridacchiò spensierato. «Non puoi negare che
abbiate un ascendente su di lui, soprattutto tu. Gli altri sono una conseguenza
istintiva».
«Una
conseguenza?» domandò di rimando il nato lupo, aggrottando le folte sopracciglia.
«Lui riesce
a percepirti, in qualche modo» il che era davvero fuori da qualsiasi ordinario.
«Credo che
stiate tutti fraintendendo» Derek ricordava bene le ultime parole che Stiles
gli aveva gettato addosso con dolore, i frammenti del suo cuore tenuti insieme
precariamente, pronti ad evaporare e dissolversi nel perpetuarsi dell’infinità
del tempo.
«Dici?»
chiese retoricamente Scott per nulla convinto e con quell’aria sapiente che gli
era valsa il titolo di Vero Alpha. «Non voglio dire che tutto quello che tocchi
si trasformi in oro, quantomeno non per il nostro Stiles combattivo e
diffidente. Ma per questo bambino? Per questo bambino la tua sola impronta vuol
dire sicurezza, certezza».
Anche Cora
aveva cercato di farglielo capire, con vocaboli diversi e più simili a quelli
di Stiles, ma Derek non poteva crederci, perché lui credeva allo Stiles
consapevole e che conosceva ogni cosa di loro. «Peter, sicurezza?».
«Peter sa
sempre come aggirare le regole» un po’ come suo fratello, ripensandoci. «E poi
credo che un bel puzzle ti batterebbe in ogni caso».
Già,
esattamente per quella ragione Stiles era sempre in mezzo ai guai e non sapeva
resistere al mistero, ai rompicapi da risolvere ed ai pezzi da rimettere a
posto per avere un quadro delineato e chiaro, la chiave di volta per ogni
soluzione. Avevano litigato infinite volte su quell’aspetto, su Stiles che si
trovava costantemente in mezzo ad ogni situazione problematica, pericolosa, al
limite della porta che conducesse direttamente all’Ade. Ma non aveva mai voluto
saperne di tirarsi indietro, fin dagli inizi, fin da quando loro non
rappresentavano nulla l’uno per l’altro. Poi tutto era precipitato.
Ma era
vero, Stiles l’avrebbe comunque costantemente messo al secondo posto davanti ad
una lavagna bianca costernata di fili di lana rossa.
Derek, al
contrario, lo metteva ripetutamente al secondo, terzo ed anche quarto posto
davanti a qualsiasi cosa.
Derek la
cattiva sorte la meritava, ma Stiles no. «Potrebbe valere anche per te».
Scott negò
con la testa, scartando la possibilità. «Credo che a me serva un approccio
diverso e se qualcuno dovesse intercedere per me, quella sarà Allison».
Con Allison
era stato estremamente semplice, aveva fatto tutto da sé ed a Derek era toccato
semplicemente compiere un unico cenno affermativo, senza nemmeno sapere di
avere quel potere, e Stiles si era fidato. Di lei, ma soprattutto di lui.
Derek non
disse una parola, non acconsentì o si mosse in qualche modo che accertasse di
aver capito, ma Scott sapeva che nella sua statuaria impassibilità il lupo nero
comprendesse molte cose. «Lo tratti bene questo bambino?».
«Faccio del
mio meglio» non era un’accusa, Derek sapeva che vi era solo preoccupazione da
parte del migliore amico di Stiles che non poteva accertarsi in prima persona delle
sue condizioni.
Certo, Derek non
avrebbe mai fatto nulla di male a quel prezioso cucciolo umano. «È un
terremoto, non è vero? Ti sfinirà».
Un terremoto? «In verità, è molto calmo» e quell’aspetto non lo entusiasmava affatto,
era innaturale.
«Calmo?»
domandò di rimando in un eco il messicano, corrugando la fronte e stentando a
credere alle sue orecchie. «Stiles?».
«Non era
così a quell’età?» Derek era curioso, preoccupato per lo più, l’aveva avvertito
fin dal primo approccio che c’era qualcosa di erroneo.
«No, non mi
pare» Scott ci rimuginò sopra, tornando indietro con la memoria, testimone di
ben altri scenari. «Aveva la voce acuta e alta, parlava ininterrottamente di
cose di cui non capivo niente, si muoveva continuamente e correva ovunque. Era
imprendibile» le loro giornate non erano mai monotone, mai vuote e silenziose;
c’era sempre un enorme fracasso intorno a loro e Stiles ne combinava una dietro
l’altra, mettendoli nei guai, andando dove non doveva andare, origliando e
leggendo documenti a cui non avrebbe dovuto avere accesso.
Imprendibile
era l’aggettivo giusto per descriverlo, era imprendibile perfino in quella forma,
seppur in modo differente. «Questo Stiles invece è pieno di sensi di colpa, si
incolpa per ogni cosa, pensa di non piacere alla gente e di arrecarle disturbo
perché è espansivo e rumoroso» allo Stiles diciasettenne non importava affatto
di quegli aspetti, al contrario, si impegnava enormemente a dare più fastidio
possibile, marciando lì dove sapeva avrebbe fatto più danni ed irritato
all’inverosimile.
«Oh, sì»
asserì il mutaforma più giovane, vedendo concretizzarsi effettivamente quelle
caratteristiche che conosceva bene. «È proprio da Stiles. Non ha mai avuto
troppe persone intorno a sé, ero il suo unico amico, come lo era lui per me. Ma
se per me valeva la timidezza ed il bisogno di essere trascinato dagli altri,
non si può dire lo stesso di Stiles. Per quanto lui si sforzasse tanto dando il
meglio di sé e palesando le sue conoscenze, le persone preferivano evitarlo.
Anche gli altri bambini lo evitavano, perché era diverso da loro, perché
sentivano solo le parole cadaveri ed assassini, ma non si fermavano ad udire il resto» prese un profondo respiro e lanciò
un’occhiata al piccolo esserino che si intratteneva con la sua metà. «Stiles ha
sempre avuto i sensi di colpa, pensava che qualsiasi cosa facesse fosse quella
sbagliata, qualcosa ai danni degli altri e questa caratteristica è cresciuta
con lui. È ancora radicata in lui, nelle sue scelte, nelle conseguenze,
nell’impatto che porterebbe. Sopra tutti c’è suo padre, si logora il fegato per
ciò che gli combina alle spalle e per quello che si ripercuote sulla sua figura
di sceriffo e genitore, anche se tutto quello che fa è per proteggere le
persone e lui stesso» Scott riportò la sua attenzione sull’uomo che non aveva
perso una parola. «Pensavi fosse una conseguenza del Nemeton?».
«Sicuramente
ne è influenzato» era difficile scartarne la possibilità, c’erano troppi
fattori che gli testimoniavano il suo legame con il vecchio albero sacro.
«Guardalo»
disse il Vero Alpha, indicandogli le due figure che non avevano prestato alcuna
attenzione al loro vociare controllato, continuando a sistemare i piccoli
tasselli negli spazi più appropriati, tutto contornato da sorrisi sinceri e le
risate che Allison riusciva a strappare al pargolo, sommergendo la ragazza di
continue chiacchere che non sembravano stancarla affatto. «È ancora il bambino
che desidera soltanto giocare e ridere».
Era
splendido, Derek avrebbe soltanto voluto che Stiles fosse felice, nel più lungo
arco temporale possibile. «Vorrei non fosse così arguto» attento ad ogni
variazione, ad ogni incastro mancante, al battito accigliato di una persona
stanca e confusa.
«È Stiles»
in qualunque tempo, universo parallelo e momento storico, Stiles sarebbe sempre
rimasto lo stesso.
«Una
condanna» dichiarò univoco il Beta.
Scott mal
soffocò una risata che lo Stiles suo coetaneo non gli avrebbe mai perdonato.
«Sa come farsi amare».
Amare, era una
bella parola che Derek non voleva più conoscere.
«Per caso
hai capito perché si sia arrabbiato con Allison?» gli domandò il diciasettenne
di punto in bianco, non tanto per stemperare l’atmosfera, ma quasi come se
avesse avuto quel pensiero costante che gli ronzava nella testa da un po’.
Avrebbe
voluto rispondergli semplicemente con è
un bambino ed i bambini se la prendono spesso per qualcosa di poco
rilevante ed incisivo, benché per i cuccioli d’uomo fossero effettivamente
importanti. Tutto era importante. «Non ne sono completamente certo».
Scott
l’osservò per qualche attimo, scrutandolo attentamente nelle iridi boscose, con
la certezza di carpirgli il segreto, ma forse soltanto l’umano ne era in grado.
«È difficile entrare nella sua testa».
Per Derek
era estremamente semplice, in realtà. Lo capiva come non gli capitava da una
vita intera; un solo incrociarsi d’occhi, una mezza parola sussurrata, un gesto
affrettato ed avventato, Derek riusciva a leggervi tutto ciò che gli passava
per la mente, insieme ai suoi tormenti ed afflizioni, i dubbi e la colpa
immotivata che si portava sulle spalle. «A volte».
«Ehy, Scott, vieni ad aiutarci» lo chiamò la bella
cacciatrice, interrompendoli ed attirando la loro attenzione, indicando quel
tappeto di pezzi di cartone che ricoprivano il pavimento.
Erano già a
buon punto, non avevano bisogno di un altro paio di mani in soccorso, ma quello
era un piccolo ponte che Allison stava creando tra loro, tra i due amici che
erano stati un tempo ma di cui Stiles diffidava. Scott puntò gli occhi castani
sul corpicino che non si era praticamente scomposto, dedicandogli giusto un’occhiata
veloce e priva di interesse, come se la sua presenza non lo disturbasse
minimamente. «Va bene, ma non sono molto bravo».
Si defilò
come si era trattenuto con il padrone di casa, lasciandolo solo al centro della
grande camera ad osservarli interagire tra loro impacciatamente. Derek decretò
che dovesse impiegare il suo tempo in qualche modo.
«Ma sei un
disastro» udì una voce femminile sconvolta alcuni minuti dopo il lupo cattivo
nell’angolo appartato che si era scelto, lasciando a quei tre il rispettivo
spazio.
«Scott non
ha mai saputo giocare» scoppiò a ridere senza controllo il cinquenne, non
meravigliandosi affatto dell’evento, ma divertito oltremodo dalla reazione
della cacciatrice e dall’imbarazzo del Vero Alpha.
Scott, che
Stiles l’avesse riconosciuto dalla sua totale incapacità?
Ci fu un
nuovo scoppio di risa infantile ed un broncio pronunciato da parte del
diciasettenne; forse il messicano avrebbe avuto il suo epilogo e Derek si
sarebbe riempito ancora per un po’ le orecchie della risata autentica di
Stiles.
Giocarono
per tutto il pomeriggio, tutti e tre, mentre Derek se ne stava tranquillamente
in disparte, ad ascoltarli di tanto in tanto, era difficile non avere i timpani
perforati dalle loro voci esageratamente alte e stordenti, ma Stiles era
entusiasta, tranquillo, un po’ più spensierato e non importava se ad un certo
punto avessero abbandonato il puzzle quasi del tutto finito e gli avessero
monopolizzato il loft ed il mannaro in quell’istante si trovasse a rimettere
tutto in ordine dopo aver fatto cenare il piccolo di casa; semplicemente aveva
la certezza che Stiles si abbandonasse alle persone giuste e si lasciasse
trascinare dal trasporto degli altri, dai loro benefici e dalla cura che
provavano nei suoi confronti.
Alla fine
di quella giornata campale Scott si era mostrato più fiducioso di se stesso, con la certezza che Stiles lo stesse lasciando
entrare nella sua sfera privata, benché tutto precipitasse nel momento in cui
la cacciatrice si allontanava per una qualsiasi ragione. Erano passi arrancati,
ma c’erano.
La coppia
felice era andata via prima che mettesse Stiles a tavola, per qualche minuto
erano riusciti a parlare, ma subito dopo il bambino era tornato sul pavimento a
finire di risolvere il suo tappetto di cartone colorato e Derek era quasi certo
che suo zio il giorno dopo sarebbe tornato con un nuovo puzzle, più complicato
del precedente.
Ma dopo la
conversazione tenuta con Scott, Derek non poteva fermarsi dal riflettere sul
fatto che Stiles fosse convinto di essere un peso per le sue spalle, che
l’averlo preso sotto la propria ala ed occuparsi di lui a tempo pieno,
rifiutando la figura genitoriale e tutte le altre, non fosse che un compito
gravoso che il lupo svolgeva con noia. Dopotutto era saltato fuori quando Cora
aveva deciso di partire comunque e lasciarlo a preoccuparsi e crescere quella
creatura fragile come vetro. È colpa mia.
Era tremendo che un bambino di cinque anni conoscesse il significato di quella
frase, che sapesse usarla talmente bene da impensierirlo. L’aveva usata fin
dall’inizio di quell’incubo e Derek non riusciva a smettere di pensare alla
possibilità che lo Stiles diciasettenne fosse giunto al Nemeton
con quel pensiero costante nella testa, a ripeterlo come un mantra,
accompagnato ed infiocchettato malignamente dal connubio perfetto del suo cuore
spezzato. Sensi di colpa, inadeguatezza ed un amore stroncato ancora prima che
potesse raggiungere una qualunque vetta.
Eppure Derek sapeva di doverglielo quell’amore,
qualsiasi forma d’amore.
Erano le
due di notte passate quando sentì minuscoli piedini scalzi procedere sul
pavimento freddo, prima con velocità e poi rallentando pian piano, come se si
fosse reso conto dell’ora e dell’entità delle sue azioni; un coraggio che
doveva raccogliere ed il disturbo che avrebbe comportato.
Derek aveva
chiuso le palpebre soltanto per un’ora.
«Der»
mormorò in un piccolo richiamo, accertandosi se fosse sveglio o se stesse dormendo;
in quel caso sarebbe tornato indietro sui suoi passi.
Anche se
Stiles ignorava la sua natura da lupo mannaro, i suoi sensi non stavano mai a
riposo, soprattutto se c’era lui in giro – cinque anni o diciassette, per Derek
non esisteva differenza –; l’avrebbe svegliato senza volerlo. «Un altro
incubo?».
Il cucciolo
d’uomo scosse il capo negativamente, rimanendo impalato sul posto, vicino ai
piedi del letto del padrone di casa.
«Hai
qualcosa da dirmi?» domandò il mutaforma a quella sola risposta, aspettando che
il suo interlocutore aggiungesse del testo, ma rimanendo muto e con le labbra
cucite esattamente dove si trovava.
Anche se
nello Stiles diciasettenne si notava meno, anche quello era un aspetto tipico
del suo essere; se qualcosa lo angustiava, aveva delle richieste particolari o
specifici dubbi lo sovrastavano, era più facile che se li tenesse per sé,
cadendo in un mutismo mascherato, volatilizzandosi o sommergendolo con la sua
personalità rumorosa e fin troppo spesso studiata. In genere cercava di trovare
la soluzione da solo, anticipava tutti gli altri, ma quando si possedeva l’età
di cinque anni non si era affatto liberi di muoversi autonomamente.
Derek
scosse le lenzuola, liberandosene, alzandosi a sedere, in modo tale da poterlo
guardare dritto negli occhi di caramello puro. Erano incredibilmente chiari
perfino nell’oscurità spezzata unicamente dai raggi lunari. «Puoi chiedermi
quello che vuoi» chissà cosa avrebbe detto lo Stiles prossimo alla maggiore età
se avesse saputo dell’accondiscendenza totale nei suoi confronti.
Lo vide
mordersi le labbra ripetutamente, trattenere la richiesta che aveva sulla punta
della lingua e che lo stava divorando. Da quanto ci pensava? Da quanto si stava
tormentando per non fargli quella richiesta? «Possiamo andare dal vic- dallo sceriffo?».
Oh, alla fine
era veramente quello il problema. «Sì, possiamo andare dal tuo papà».
Le perle
dorate si inumidirono, brillando nella notte e quella era la parola magia, la
parola che metteva in mostra quanto effettivamente avesse a che fare con una
creatura di soli cinque anni separata dai genitori e che ne sentiva
terribilmente la mancanza. Stiles voleva soltanto il suo papà.
Probabilmente
era stata proprio quella la ragione che aveva scatenato il suo malumore,
indirizzandolo alla figura della cacciatrice che era riuscita ad entrare in
casa sua, ad aggirarsi nella sua camera ed in qualunque spazio a lui fosse per
qualche ragione inaccessibile. Anche se aveva scelto di sua iniziativa di
rimanere con il lupo ed allontanarsi dal padre, in qualche modo quella scelta
l’aveva logorato ed era bastata una scintilla microscopica per far divampare un
incendio. Derek avrebbe fatto qualsiasi cosa per estinguere le fiamme.
«Possiamo
andare adesso?» domandò il cucciolo d’uomo, guidato dalla diga del fiume ormai
aperta.
«Adesso?»
Derek controllò bene il suo sconcerto, adocchiando appena la sveglia digitale
anonima che capeggiava sul comodino, indicando un orario proibitivo per uscire
di casa per andare incontro a qualcuno. «Immagino vada bene» lo sceriffo
sicuramente avrebbe avuto il turno notturno, in fondo, dove altro poteva essere
quando in casa non regnava un’anima viva; era sicuro si stesse sommergendo di
lavoro.
Vide Stiles
annuire forte con la testa, stringere le labbra carnose e sparire nella
direzione del suo giaciglio, precipitandosi da lui successivamente
perfettamente vestito, con le scarpe già allacciate – di cosa doveva
sorprendersi, se era già capace di leggere come un bambino di otto anni –,
mentre Derek ebbe soltanto la lungimiranza di afferrare un paio di jeans
dimenticati in un angolo vicino.
L’avvolse
dentro una giacca pesante prima di aprire il portellone a scorrimento. «Pensi
che si senta solo?» domandò Stiles all’improvviso, stretto nel suo indumento
caldo, gli occhi immersi nei pensieri e la tenacia che si sarebbe rafforzata
davanti a qualsiasi risposta.
Se Derek
non fosse stato l’uomo tutto d’un pezzo che era, con il corpo costernato da
cicatrici che l’avevano distrutto cellula dopo cellula, si sarebbe sgretolato
al suono di quell’interrogativo consapevole. Stiles dava per certo che ad
attendere l’ufficiale e colorare le sue giornate non vi fosse nessuno. «Ha te,
non può sentirsi solo» chi non si
sentirebbe solo dopo averti avuto nella propria vita?
Derek non
doveva niente a Stiles, non doveva rendergli quell’amore in cui l’umano aveva
tanto sperato e creduto per pietà, per pulirsi la coscienza. Derek provava
realmente quell’amore. E Stiles lo meritava.
La stazione
di polizia la notte era completamente deserta, l’aveva appurato un anno prima,
con uno Stiles sedicenne seduto in aiuto a controllarlo e criticarlo,
giudicando malamente le sue doti da seduttore ed ammaliatore. Per quanto
avessero funzionato perfettamente, permettendo al mannaro di entrare, a Stiles
non era mai andata giù. Probabilmente perché sperava in qualcosa di più
costruttivo ed incisivo che un semplice sorriso abbagliante.
C’era
soltanto un agente all’ingresso, seduto al bancone, ed una scrivania occupata
nella grande stanza sempre affollata da troppe persone. Le luci del piccolo
ufficio della massima autorità della città erano accese, esattamente come Derek
aveva supposto.
«Problemi?»
domandò una voce poco conosciuta che Derek avrebbe dovuto cominciare ad
associare alla svelta.
Avrebbe
dovuto aspettarselo, in fondo si erano precipitati all’interno del locale come
se fossero di casa – e Stiles lo era, come lo era a modo suo Derek –, alle tre
di notte passate, con un bambino di cinque anni che teneva per mano, senza
chiedere nulla a nessuno. Di certo non era poco sospetto. «Vorremmo incontrare
lo sceriffo» riferì il licantropo senza alcun mistero, incontrando per la prima
volta quello che era il nuovo vice. Era arrivato da circa tre settimane e
nemmeno Stiles sapeva molto di lui, ancora.
Jordan Parrish li squadrò per bene, per quanto avesse dei
lineamenti dolci e che non suggerivano pericolo, era attento e meticoloso.
«Motivazione?».
«Familiari»
nessuna bugia, la pura e semplice verità che non poteva essere spiegata.
Parrish passò lo sguardo dal lupo alla mano legata a
delle piccole dita, incontrando due enormi occhi color caramello che gli
parvero fin troppo riconoscibili. «Assomiglia al figlio».
«Sì, gli
somiglia» Derek sperò che Stiles non li correggesse, che non gridasse al mondo
il loro reale legame parentale e svelasse quello che nessuno avrebbe mai potuto
capire. Ma Stiles rimase in silenzio, le gemme ambrate attente e curiose,
nessun gesto che potesse tradirli, era come se sapesse esattamente come dovesse
comportarsi in casi simili, dove la ragione non poteva avere la meglio ed i
segreti dovevano rimanere tali, lasciandosi guidare dagli adulti, da chi ne
sapesse più di lui. Era fiducia. La fiducia sconfinata che teneva nei riguardi
di Derek.
L’autorità
non indagò oltre, limitandosi ad avvicinarsi alla porta dello studio dello
sceriffo e bussando due volte con le nocche. Si sentì un avanti stanco ed il biondo che annunciava che avesse visite, non
specificando di che tipo.
Lo sceriffo
era seduto malamente sull’angolo della scrivania più lontano dalla porta, in
mano delle carte che continuava a sfogliare, la vista esausta e le borse sotto
gli occhi; vicino vi era un grosso bicchiere il cui fondo era pieno di caffeina
e l’uomo ne sorseggiò due grandi sorsi per tenersi sveglio.
Non prestò
molta attenzione a ciò che il giovane vice sceriffo
gli disse, aspettò soltanto che qualcuno gli si avvicinasse, nella speranza di
poter chiudere in fretta la questione, benché fosse un orario anomalo che non
presagiva nulla di buono. Ma cosa c’era che presagiva qualcosa di buono dentro
una stazione di polizia?
Dei passi
felpati entrarono in contatto con il suo apparato uditivo, seguiti da alcuni
più leggeri, entrando nella stanza e superando la soglia, rimanendo
silenziosamente in attesa.
In dolorosa
attesa. «Papà».
Una vocina
che non sentiva da anni, ma che per uno strano scherzo del destino aveva
riudito alcuni giorni prima, gli perforò i timpani e le iridi azzurre
incontrarono le due figure che sostavano davanti l’uscio della porta
tempestivamente chiusa, allacciate dalla trama delle loro mani dalle grandezze
totalmente differenti. «Stiles?» domandò in un’allucinazione premente, i brutti
scherzi della sua stanchezza che non gli davano tregua.
Derek mollò
la presa e Stiles non resistette più, prendendo la rincorsa e fiondandosi verso
la figura paterna che si allontanò dal tavolo per afferrarlo di peso,
stringendolo forte al petto nel momento in cui il bambino gli circondò il
collo, affondando il visino nella spalla. «Sta male? È successo qualcosa?».
Tutta la
preoccupazione dilatante ed il dolore che aveva provocato quella separazione
Derek li sentì tutti; si chiese come potesse sopravvivere un genitore lontano
dal proprio figlio, un figlio che era in una situazione inspiegabile in cui non
avrebbe mai potuto aiutarlo, lasciando che fossero altre persone ad occuparsi
del problema. Che fosse un altro a crescerlo. «Voleva solo vederla».
Noah rimase sgomento per qualche attimo, quasi
cercando una convinzione totale nelle parole e nell’espressione impassibile di
Derek Hale, ma se ci fosse stato qualcosa che non andava, il mutaforma non
l’avrebbe certo tenuta per sé. «Ehy, volpacchiotto,
stai bene? Ti tratta bene il tuo lupo?».
Il cucciolo
d’uomo intensificò l’abbraccio a quel nomignolo affettivo, quasi fosse un
ulteriore indizio che quello fosse realmente suo padre, muovendo in modo
affermativo il capo contro il collo in cui si era nascosto. «Sì, Derek è
buono».
Lo sceriffo
sorrise intenerito, accarezzandogli la schiena e dondolando dolcemente sul
posto. «E tu? Tu fai il bravo?».
«Sì» esclamò con convinzione il piccolo di casa.
«Sono bravo».
«Oh, non
saprei» lo smentì con divertimento la figura genitoriale, rafforzando
maggiormente la stretta allentata dal dondolio. «Gliel’hai detto il tuo vero
nome?» incontrò gli occhi preoccupati della sua progenie ridimensionata, usciti
fuori dalla tana in cui si erano imboscati. «Diciamo al tuo bel lupo come ti
chiami?».
Stavano
giocando, in modo affine e dolce, puntando magistralmente ai segreti che Stiles
non voleva venissero fuori, per vergogna o per altro, scuotendo la testolina e
lamentandosi vigorosamente, mettendo in mostra quel broncio che aveva già un
notevole effetto sul suo viso da diciasettenne, ma su quello da cinquenne
stendeva completamente. Partita chiusa.
La massima
autorità della legge gli baciò la punta del naso, la fronte ed una guancia e
Stiles si strusciò sul suo volto, prendendo tutto il suo calore ed il suo
amore; sembrava meno arrabbiato, quasi a dimenticarsi della storia del nome,
una verità che fino a quel momento Derek aveva ignorato, senza saperne
dell’esistenza. Ma era importante saperlo? Perfino il padre si limitava a
chiamarlo con il nome che Stiles aveva evidentemente scelto, senza ricatti o
compromessi. Stiles era soltanto Stiles.
Il bambino
ridacchiò per qualche motivo che il mannaro si era perso e subito dopo
sbadigliò, ricevendo un nuovo bacio tra i capelli. «È molto tardi».
Derek capì
che la figura autoritaria stesse interagendo con lui. «Andremo via appena
Stiles si sentirà pronto».
«Se tutto
dipendesse da lui, saremmo nei guai» lo sceriffo stava scherzando, ma era una
bugia, era Stiles a tirarli fuori dai disastri ed a caderci tutto d’un pezzo al
posto loro.
Stiles si
lamentò indispettito ed il genitore sorrise con spensieratezza. «Non viziarlo
troppo, Derek».
Viziarlo, forse era
l’unica cosa che potesse fare nelle circostanze in cui si trovavano, nel torto
che gli aveva arrecato. «È solo una cosa che doveva fare» il cucciolo non
poteva più aspettare, anche se ci aveva provato e ne aveva subito gli effetti.
Derek non si sarebbe mai potuto tirare indietro davanti a quella richiesta
innocente e bisognosa.
Noah annuì, ma sembrava che qualcosa lo preoccupasse.
«Non ha mai
chiesto di lei» riferì la creatura
della notte, guidato da qualcosa che dopotutto turbava anche lui. «Soltanto una
volta, all’inizio di tutto, ma poi non ne ha fatto più parola» lei non era nient’altri che sua madre.
Stiles l’aveva invocata quando si era aggrappato ai suoi jeans, in mezzo alla
radura, ripiena di persone che non aveva mai visto ed aveva chiesto dell’unica
figura che si prendeva giornalmente cura di lui. Era stata la prima cosa che la
sua nuova voce da bambino aveva pronunciato e poi non era più saltata fuori.
Le dita di
una mano del grado più alto della città si annodarono ai capelli castani di suo
figlio, accarezzandogli la cute. «È sempre stato troppo sveglio» Stiles lo
riabbracciò d’istinto e l’agente lo cullò ancora. «Si ha l’ardire di affermare
di proteggere i propri figli, ma come puoi farlo quando sono più perspicaci e
furbi di te?».
«Come una
volpe?» buttò giù il mutaforma, senza soffermarcisi troppo su quel soprannome
scoperto per caso e fin troppo in simbiosi con la vera natura di Stiles; Derek
doveva ammettere di essere ben conoscitore di quella verità.
«Esattamente
come una volpe» depositò un nuovo bacio sulla tempia del bambino, dolcemente ed
amorevolmente. «Vero, volpacchiotto?».
«Papà»
Stiles mugolò contrariato, storcendo il nasino e la massima autorità della
città ne rise caldamente.
«Fa
l’imbarazzato, ma in realtà gli piace» sia mai che il piccolo frugoletto
venisse sbeffeggiato davanti all’omone che si occupava quotidianamente di lui.
Stiles mise
su un broncio falso, Derek poteva percepire come in realtà quel nomignolo lo
facesse stare bene, a casa, sicuro, certo di essere davvero con chi aveva
bisogno e che non vi fosse alcun inganno. Quello era davvero il suo papà ed
ogni volta che tirava fuori qualcosa che conoscevano soltanto loro due, Stiles
era nettamente più tranquillo e sereno.
«Pensi sia
una buona cosa che non chieda?» domandò la figura paterna, ricollegandosi al
discorso precedente senza aver perso il filo del discorso.
Una buona cosa. «Credo che
abbia intuito che qualcosa non quadri e che per una qualche ragione sia meglio
non chiedere» Derek da una parte ne era grato, sollevato, non aveva idea di
come avrebbe dovuto spiegare o dire la verità ad un bambino di cinque anni che
improvvisamente si ritrovava senza una madre. Senza nessuno che ne parlasse o
ne facesse cenno. Non era un tabù, ma lo percepiva come tale. «Ma lo fa per noi
più che per se stesso» ma come doveva sentirsi? Come
riusciva a sopravvivere e passare sopra all’esigenza di chiedere di sua madre?
Di poterla vedere come stava accadendo con suo padre.
Due paia
d’occhi chiari si posarono sul corpicino che lo sceriffo teneva intrappolato
con attenzione, osservandolo con scarsa moderazione, cercando una conferma a
quelle parole, il grande peso sulle piccole spalle che Stiles si portava
addosso, ma il cucciolo d’uomo aveva le iridi annacquate e semichiuse, il capo
abbandonato contro il mento del genitore e tutta l’aria di non aver sentito una
parola.
L’uomo di
legge sospirò, ma non era per il sollievo. «È sempre lui alla fine a prendersi
cura di noi» Noah l’aveva detto, ad alta voce. Aveva
espresso quello che tutti dopotutto pensavano. Perfino nelle sue fattezze
bambinesche, fragili, da proteggere con tutta l’anima, Stiles si immolava per sostituirli,
cercando in ogni modo possibile di non fare del male. Di non scomodarli ed
arrecare danno. Derek avrebbe voluto che almeno per una volta fossero proprio
loro a muoversi per il suo bene, invece non stavano concludendo nulla.
L’agente
Stilinski si avvicinò al lupo, depositando un ultimo bacio al centro della
fronte del cucciolo umano, relegandolo con tutta l’accortezza e gentilezza
dell’universo tra le braccia forti del ragazzo. «Prenditene cura, Derek. È
tutto ciò di più prezioso ho al mondo».
Derek lo
afferrò rapidamente, senza distrarsi un attimo, tenendolo vicino al cuore,
esattamente dove piaceva stare a Stiles. «Vale anche per me».
Noah lo guardò fisso, penetrante, a trafiggerlo con
decisione e Derek non avrebbe potuto fare niente per tirarsi indietro.
«Papà» ma
Stiles con le sue ultime forze che combattevano contro il sonno dei giusti si
aggrappò alla sensazione di star per essere separato dalla figura genitoriale e
non gli andava affatto bene.
«È tardi e
sei stanco, è tempo di tornare a casa» proferì il mannaro con il tono più basso
che possedesse, cercando di non svegliarlo troppo.
«Ancora un
po’, voglio stare con papà» ribatté con la voce impastata dalla prossimità di
raggiungere il regno di Morfeo, le manine che tentavano di sollevare il corpo e
distanziarsi da quello del mutaforma, per scindere la culla fatta di braccia e
raggiungere il padre.
«Domani» lo
incantò la creatura della notte, una melodia che prendeva vita soltanto con la
piccola creatura che teneva tra gli arti superiori. «Domani torneremo».
Stiles
sbatté varie volte le palpebre, cacciando indietro il velo d’acqua creato dalla
sonnolenza, sbadigliando a mezza bocca. «Sì?».
«Sì» confermò con autenticità il Beta, schioccandogli
un bacio leggero come il battito d’ali di una farfalla sotto un occhio, a
contatto con le ciglia inferiori.
Stiles
ridacchiò deliziato, il risolino portato dal solletico creato dall’incontro
morbido delle ciglia aperte del mannaro. «Va bene, Der» acconsentì stregato,
sistemandosi meglio nella presa del licantropo. «Buonanotte, papà».
Lo sceriffo
lo vide sventolare la manina in segno di saluto, sbadigliando un’altra volta e
portando le braccine ad avvolgere il collo della creatura sovrannaturale,
esattamente come aveva fatto con lui quando gli era corso incontro; la
differenza consisteva nel vederlo sereno, tranquillo ed in pace con la natura,
abbandonato adorabilmente e senza alcuno sforzo alle fattezze dell’unica
persona di cui si fidasse ciecamente in quel momento. «Buonanotte, Stiles»
circondava con le piccole braccia, il sorriso piacevole sulle labbra e le
palpebre delicatamente chiuse a coprirgli gli occhi, l’uomo che lo Stiles
adolescente e prossimo alla maggiore età amava.
Derek non
impiegò molto a riportarlo al loft, adagiandolo con ogni previsione sui sedili
posteriori della Camaro, sentendolo ronfare beatamente per l’intero tragitto.
Lo cambiò
in un baleno, rimettendogli quel pigiamino con i lupi che Stiles adorava,
sistemandolo perfettamente sul materasso a due piazze, che si presentava
esageratamente più grande viste le dimensioni minuscole del suo occupante.
Ed era
tutto lì, il frugoletto cucciolo umano che dormiva senza un pensiero al mondo
nel letto del grande lupo cattivo.
«Grazie,
Der» sopraggiunse la vocina piena di sonno del bello addormentato.
Derek non
ne era minimamente impressionato, era come se Stiles non potesse concludere una
giornata se non avesse messo tutto a posto. «Sei più tranquillo adesso?».
Le fauci
del bambino si spalancarono, segno che il regno di Morfeo fosse ad un battito
di palpebra. «Sta bene».
Troppo
sveglio, troppo perspicace. «Eri preoccupato che stesse male?».
Stiles
annuì ad occhi serrati, strofinando il viso sulla federa pulita. «Sembrava
stanco, è sempre stanco. Papà lavora tanto».
Stiles non
aveva voluto incontrare suo padre per un pensiero egoistico ed infantile.
Stiles aveva avuto un bisogno disperato di vederlo per accertarsi delle sue
condizioni, di seguire quella sensazione che l’aveva accompagnano dal momento
in cui l’aveva visto per la prima volta con quelle iridi innocenti, che non
conoscevano le disgrazie che la vita aveva avuto in serbo per lui. Stiles aveva
voluto vedere suo padre perché sapeva che la sua presenza avrebbe fatto la
differenza. «Domani andremo a trovarlo e potrai distrarlo un altro po’».
«Davvero?»
chiese conferma il fagottino avvolto dalle coperte calde, accompagnate dalla
temperatura alta della creatura della notte.
«Ogni tuo
desiderio è un ordine, piccola volpe» le dita del mannaro scivolarono
armoniosamente tra le ciocche castane del bambino, scostandole dal viso, che
gli coprivano la visuale.
Le labbra
di Stiles si curvarono verso l’alto al suono di quell’ulteriore soprannome e si
godette le attenzioni meticolose che l’altro aveva in serbo per lui. «Perché?».
«Perché sei
importante» il lupo gli scivolò accanto, distendendosi al suo fianco e
sistemandosi sotto le lenzuola. Era una pratica talmente ripetuta che non aveva
più nulla di nuovo o stonato.
Le grandi
gemme d’ambra si mostrarono e Derek si perse senza avere la prontezza di
salvarsi. «Per chi?».
«Per molte
persone. Per Allison, Scott, Lydia. Per tuo padre» esisteva un elenco più
lungo, avrebbe tanto voluto includervi Erica, ma lei non c’era più. «Sei
importante per me».
Un barlume
improvviso prese vita dalle iridi dorate, in un vortice che per un momento si
era aperto, ma era sparito così com’era apparso.
Stiles gli
sorrise, caloroso, affettuoso, pieno di quell’amore autentico e genuino che
ogni bambino sapeva dare. «Ti voglio bene, Der» ma quello era un bambino
speciale.
Il cuore di
Derek fece una capriola, si gonfiò talmente tanto da temere che scoppiasse e
tutto andasse in malora. Derek è buono.
Derek non meritava affatto una persona meravigliosa qual era Stiles.
Gli
depositò un bacio candido sul ponte del naso, scompigliandogli benevolmente i
capelli di per sé disastrosi ed accarezzandogli con il pollice l’attaccatura
sulla fronte. «Te ne voglio anch’io».
Mai come in quel momento avrebbe voluto stringere
tra le braccia lo Stiles che gli era stato strappato per punirlo delle sue
malefatte.
Peter
è sempre Peter, tre passi avanti rispetto a tutti gli altri. Ma immagino che in
questo caso possiamo concederglielo.
Scott
deve un po’ sudarsi la fiducia di Stiles, probabilmente come non gli è mai
capitato, ma Allison è capace di intercedere per lui.
L’incontro
tra il piccolo Stiles e lo sceriffo è sempre stato un po’ il cardine di questa
storia, forse è il primo vero capriccio di Stiles, ma ne aveva disperatamente
bisogno e Derek non può e non riesce a tirarsi indietro; sarebbe capace di
concedergli qualsiasi cosa gli chiedesse a qualsiasi orario, tocca poi a lui
gestire l’evento.
Derek aveva cominciato a portare ogni giorno Stiles da suo padre. Gli
incontri erano sempre circoscritti al suo ufficio privato e non transitavano mai
davanti casa Stilinski, anche se era la via più corta e principale. Derek si
inventava sempre nuovi percorsi per ignorarla.
Insieme a quello, Peter passava ogni mattina, a detta sua, a dare un
saluto, portando tempestivamente con sé due nuovi puzzle e qualche gioco a
parte di enigmi; Stiles li adorava e trascorreva tutta la giornata a
dedicarcisi senza stancarsi un attimo ed il lupo spesso era costretto a
prenderlo di peso per farlo quantomeno mangiare. Era davvero diabolico e
preoccupante come facilmente suo zio fosse entrato tra le grazie dello Stiles
cinquenne, quando il diciasettenne se ne teneva alla larga il più possibile,
benché Derek dovesse ammettere che le loro menti fossero spaventosamente
affini. In fondo non erano sempre loro due a ideare i piani del branco?
A volte c’erano dei momenti che il mannaro non sapeva spiegarsi o era
talmente influenzato ed intriso di speranza da vedere ciò che invece non
esisteva.
La mattina Stiles era scompostamente seduto al tavolo da pranzo, le gambe
incrociate sulla sedia e la mano che reggeva il cucchiaio, inserito dentro la
tazza piena di latte caldo con rappresentata una volpe. All’interno vi erano i
cereali al miele che Stiles amava. Erano delle piccole lettere dell’alfabeto di
ogni colore possibile.
Stiles ci giocava in continuazione, le spostava da una parte all’altra e
benché fosse al corrente che per la sua età sapesse già leggere discretamente,
non riusciva a credere che fosse anche capace di comporre delle parole. Spesso
compariva il suo nome, Derek, dal
nulla. La d rossa, le e verdi, la r gialla e la k azzurra;
le mescolava in continuazione, capovolgendole e cambiandone il verso, ma erano lì,
a spiccare nella bevanda bianca. Di seguito si manifestava anche Stiles, con le s rosa e con tutti i colori che poi si ripetevano; a volte i nomi
comparivano insieme, uno sopra all’altro, perché non c’era abbastanza spazio
per farli stare accanto. Ma era tutto lì, insieme alle parole sole, luna e mare, nulla di
troppo complicato, eppure Derek non riusciva a togliersi dalla mente che Stiles
stesse in qualche modo comunicando con lui, che lo Stiles diciasettenne fosse
lì in attesa, pronto a balzare ed a mostrarsi, ma non accadeva mai qualcosa che
portasse alla svolta, probabilmente perché non c’era nulla di vero e Derek
sapeva di stare impazzendo.
«Cosa facciamo oggi?» chiese il cucciolo d’uomo, immettendo il cucchiaio
traboccante di latte e cereali nella bocca.
«Cosa vuoi fare?» Derek se l’aspettava, quella domanda di tanto in tanto
spuntava. A volte gli veniva di getto chiedergli cosa fai di solito, ma non poteva, perché generalmente Stiles era a
scuola, accompagnato la mattina presto dal padre ed atteso all’uscita dalla
madre o viceversa, o magari era giornalmente la signora Stilinski a portare a
termine i due compiti ed occasionalmente toccava a Melissa occuparsene, facendo
in modo che Scott e Stiles potessero giocare insieme, passare il tempo nella
compagnia reciproca. Anche l’argomento scuola era un tabù e Stiles non aveva
mai provato a chiedere, né un accenno né una mezza sillaba, era troppo bravo a
non metterli in difficoltà, consapevole che la sua situazione non fosse
conforme alla normalità.
«Vorrei uscire, andare al parco» Stiles detestava rimanere troppo tempo
nello stesso posto, rimanere rinchiuso dentro pareti di cemento, a meno che non
fosse molto impegnato e concentrato. Gli piaceva l’aria aperta, guardare il
cielo azzurro illuminato dai raggi solari ed assaporarne il calore naturale. «Ma
non ci sono bambini in giro».
Stiles voleva socializzare, era nato per espandersi, anche se qualcosa
gli tarpava costantemente le ali, erano le sue particolarità a renderlo
asociale, privo di intenzione nell’esserlo e con il tempo era arrivata la
diffidenza, la mancanza di fiducia e l’avere sempre ragione sugli altri. Ma
doveva conoscere delle persone per plasmare i dati che raccoglieva su di esse,
potendole giudicare senza errare. «Possiamo andare comunque» da quell’uscita il
mannaro aveva avuto la conferma che il bambino comprendeva che mancasse il
tassello scuola e che tutti i suoi
coetanei la stessero frequentando in quel momento, come d’altronde stavano
facendo Scott e tutti gli altri. Ma anche se non fossero stati nel pieno
periodo scolastico, Derek sapeva che Stiles non avrebbe riconosciuto nessuna
figura della sua età – ed onestamente si chiedeva quale scusa il branco si
fosse inventato per giustificare l’assenza perpetua del figlio dello sceriffo.
L’unica cosa che aveva percepito, era uno stage a metà dell’anno academico in
una delle università a cui l’umano aveva effettivamente puntato. Stavano
diventando eccessivamente bravi a mentire alle istituzioni pubbliche e lo
Stiles di diciassette anni era impressionantemente capace di contraffare documenti.
Stiles non apparve per nulla convinto, continuò soltanto a rimescolare il
suo latte, gettando di tanto in tanto nuove lettere di nettare e rinfoderando
il cucchiaio per poter continuare la colazione.
Derek doveva cambiare approccio. «Cosa vuoi fare da grande?» era una
banalità, ma era una cosa che spesso si chiedeva ai bambini.
«Il detective» l’aveva esclamato immediatamente con entusiasmo, senza
pensarci un attimo e vagliare le proposte infinite su cui qualsiasi essere
della sua età fantasticava.
Il mutaforma non ne aveva dubitato nemmeno per un istante. «Lo diventerai
di sicuro» gli sorrise a mezza bocca, scompigliandogli scherzosamente la massa
indomita di capelli.
Stiles accettò di buon grado quel gesto plateale, si lasciava toccare da
Derek senza ripercussioni, senza mai scacciarlo e gli dedicò quelle labbra
splendide incurvate verso l’alto. «Tu sei grande, vero, Der?».
«Dipende a chi mi paragoni» era una domanda interessante, ma capiva dove
volesse andare a parare il suo interlocutore.
«Sei un uomo, giusto? Un adulto» era evidente che Stiles avrebbe voluto
ribattere sulla parola grande, che le
altre due gli fossero un po’ più ostili per esprimere il concetto che voleva
rendere palese. Sei grande grande,
come il suo papà, ma decisamente più giovane.
«Sì, sono un adulto» Derek si scioglieva un po’ alle sue difficoltà nelle
cose più elementari, quelle che uno Stiles diciasettenne avrebbe espresso in
modo totalmente diverso. Ma dopotutto Stiles non gli avrebbe mai posto quella
domanda, conosceva perfino la data della sua nascita e non certo perché
gliel’avesse chiesto personalmente, ma perché aveva la terribile abitudine di
rubare cartelle private e spiare il computer del padre, la massima autorità
nella legge.
«Che lavoro fai?» Stiles l’aveva osservato per un po’, chiedendosi se
potesse o meno porre la richiesta, ma poi aveva decretato che potesse sganciare
la bomba.
Prendermi cura di te e
salvarti la vita, saltuariamente, lo Stiles diciasettenne avrebbe apprezzato
quell’ironia tagliente, per poi rispondergli per le rime e mettere un broncio,
perché a quanto pareva ci stava sempre bene, ma lo Stiles che aveva davanti non
aveva ancora le capacità per comprenderlo appieno e capire cosa ci fosse dietro
quella battuta che in tutta franchezza rispecchiava la verità. «In realtà non
ne ho uno».
«No?» le grandi gemme d’ambrosia si spalancarono notevolmente e lo
stupore crebbe. «Perché?».
«Non ne ho mai avuto il tempo» quando era arrivato il momento di
dedicarsi a cercare un impiego o immergersi in un’attività lavorativa, Laura
era scomparsa senza lasciare traccia e lui aveva abbandonato tutto per
ritrovarla, per capire perché fosse andata via, lasciandolo a New York da solo.
Voleva soltanto riportarla a casa, continuare a vivere insieme, crescere
ed andare avanti come avevano cercato di fare, lasciandosi l’odore della cenere
dietro le spalle, anche se non ci sarebbero mai riusciti del tutto, soprattutto
lui che non le aveva mai raccontato la verità sulle sue colpe. Ma l’aveva
trovata morta, squartata in due. Anzi, era stato Stiles a trovarla per primo,
trascinandosi quel bonaccione di Scott per una sua pazza e folle avventura di
adrenalina. Subito dopo, nel momento in cui Stiles aveva distolto l’attenzione,
lasciandolo in solitudine per non metterlo nei guai, sperando tornasse a casa,
Scott era stato morso da un’Alpha. Un Alpha che aveva appena sottratto il ruolo
di capo branco dal sangue caldo di sua sorella brutalmente uccisa. E
quell’Alpha impostore non era altro che Peter, suo zio, l’uomo che aveva
venduto e strappato la vita della sua stessa nipote per ottenerne il potere.
Il resto era stato consequenziale, Derek era solo, nutrito di vendetta e
non si era più liberato di quel duo stravagante che gli faceva saltare i
gangheri. Non si era più liberato del ragazzino logorroico ed iperattivo che
sapeva fronteggiarlo senza paura, sprovvisto di qualsiasi protezione per
difendersi da una creatura della notte in carne ed ossa.
Stupidamente aveva deciso di lasciarlo, non prima di averlo distrutto per
bene, e Stiles si era rotto tutto d’un pezzo.
Il bambino rimase in silenzio per qualche attimo, assimilando il
significato di quelle parole, rielaborandole nel suo dispositivo cerebrale. «E
cosa volevi fare da grande?».
Che cosa avrebbe voluto fare? «Non lo so, non mi ricordo».
A Stiles non sembrò piacere la risposta, ma non protestò. «Non c’è
qualcosa che ti piace?».
Derek non si soffermava su ciò che gli piaceva da molto tempo. «Qualcosa».
Il figlio dello sceriffo lo guardò ancora, la tazza con la volpe svuotata
di metà, la bevanda fredda e piena di colori annacquati; il bianco era un
antico ricordo. «Hai finito la scuola?».
Oh, ecco che saltava
fuori la parola che implicitamente si era aggiunta ai tabù. Stiles si doveva
essere soffermato molto sulla possibilità di spingersi a tirarla fuori o a
tenerla segregata. «Tutti i cicli, sì».
«Anche quella dei grandi?» era evidente che non riuscisse a ricordare
come si chiamasse e si spremesse le meningi per essere chiaro.
La scuola
dei grandi, sembrava essere trascorsa un’eternità. «Il
college? Sì».
«Ed hai finito anche quella?» Stiles sembrava notevolmente meravigliato,
come se lo vedesse un traguardo troppo distante a cui non sarebbe mai arrivato.
Che ironia, Stiles era ad un passo dall’entrare nell’università che aveva
adocchiato da un decennio. Ancora uno ed avrebbe realizzato i suoi desideri.
«Sì, l’ho finita» e subito dopo la sua laurea appena ottenuta e
festeggiata eccessivamente da Laura, lei era svanita.
«E cosa hai scelto?» la curiosità di Stiles era incontrollabile, ma
preferiva quelle domande a raffica che il silenzio attanagliante di un bambino
che invece doveva riempire ogni suono del mondo. Stiles ci riusciva in qualunque
sua forma.
«Tu cosa sceglieresti?» toccava a lui indagare un po’ ed il mannaro
voleva ritardare ancora di qualche attimo il tornare indietro con le memorie.
«Il crimine» il cucciolo d’uomo ne era certo, senza alcuna titubanza,
esattamente come aveva risposto sul suo voler diventare un detective.
Crimine, non era una parola
che un bambino della sua età avrebbe dovuto conoscere, ma purtroppo Stiles era
nato in mezzo a quell’unione di sillabe, al continuo utilizzo di quel vocabolo
ed era certo che avesse passato una notevole quantità di tempo alla centrale di
polizia. Non era destinato a dover servire la legge, l’amore per la
criminologia era incondizionato, ma spesso si chiedeva come sarebbe stato se
non avesse avuto un rapporto così ravvicinato con la morte. «Letteratura».
L’umano dimenticò totalmente la sua tazza e l’attenzione era nuovamente
tutta su di lui. «Letteratura?» masticò per la prima volta quella nuova parola,
cercando di carpirne il significato. «Lettere? Libri? Ti piacciono i libri?».
Era affascinante come riuscisse a tirare fuori i misteri nascosti dietro
una parola composta, estraendone la radice. «Sì, mi piacciono molto. Qualcuno
dice che sono antiquato» glielo diceva Stiles stesso in realtà, scimmiottando
la sua repulsione verso la tecnologia, la sua incapacità di adattarsi
all’avanzare degli eventi ed il dover sempre occuparsi lui della parte tecnica.
Derek era conoscenza accademica, Stiles era quello che raccoglieva le
informazioni e ne traeva ogni vantaggio possibile, mettendo in moto gli
ingranaggi e trovando le soluzioni. Erano sempre stati una squadra vincente,
anche se non avrebbero mai voluto ammetterlo. Gli sarebbe servita quella parte
di Stiles per riportarlo indietro.
«Che cosa vuol dire?» il piccolo abitante lo chiese con grande interesse,
non comprendendo appieno cosa volesse indicare.
«Che mi piacciono le cose vecchie» che era un po’ un affronto, un grosso
affronto, ma era il modo più chiaro con cui avrebbe potuto spiegarglielo.
«I libri non sono vecchi» protestò con ardore il piccolo inquilino,
arricciando il nasino ed aggrottando la fronte. Appariva davvero arrabbiato con
un’entità invisibile. «I libri sono belli. Mi piacciono».
Derek non riuscì a trattenere un sorriso spontaneo ed immerse le dita
nelle ciocche castane, accarezzandogli il cuoio capelluto. «Se usciamo,
potremmo comprarne uno».
«Un libro, nuovo?» Stiles si era già rianimato così, bastava talmente
poco per renderlo attento ed impaziente di completare una nuova avventura.
«Anche due» ed il lupo doveva ammetterlo, corrompere Stiles era il suo
unico fine.
Il cucciolo d’uomo meditò per qualche istante, osservando una tazza che
non avrebbe più voluto perché fredda, ma se l’avesse chiesto a Derek, lui
gliel’avrebbe nuovamente riscaldata ed allora sarebbe tornato a mangiare e
finire i suoi beneamati cereali glassati di miele. «Possiamo andare al parco
dove ci sono le anatre?».
Un altro desiderio, Derek aveva intenzione di realizzarne ognuno.
«Compreremo anche del pane, allora».
Stiles si illuminò di tutto cuore e filò via a saccheggiare i cassetti
che Lydia ed Allison gli avevano riempito. Derek sapeva di non riuscire a
resistergli, ma quando Stiles sarebbe ritornato alle sue fattezze originali, si
chiese come avrebbe fatto a tornare a vivere senza quel fagotto adorabile nel
suo quotidiano.
Ne avevano comprato cinque di libri e Stiles era stato dubbioso tutto il tempo,
temendo di star andando troppo oltre ed approfittarsene in qualche modo. Era
ancora umile e fin troppo consapevole del valore degli oggetti.
Quel pomeriggio si erano radunati tutti al loft, senza alcun avviso o
almeno il provare a bussare, ma se non si prendevano la briga di farlo in
passato, difficilmente avrebbero cominciato da quel momento avendo ancora più
via libera considerata la presenza di Stiles.
Si divertivano un po’ troppo per i gusti di Derek, ma almeno il bambino
era in buona compagnia.
Mettergli sottosopra l’appartamento era il loro gioco preferito ed il
padrone di casa poteva ringhiare ed ucciderli con gli occhi quanto desiderava,
non li avrebbe mai arrestati. Di conseguenza il loro vociare fin troppo alto e
sconsiderato diventava soltanto più grande. Derek si chiedeva quand’è che
avesse perso la sua autorità.
«È tutto più frizzante adesso» Lydia gli si era seduta accanto, senza
problemi, senza porsi interrogativi o tergiversare; semplicemente si era
piazzata lì ad osservare l’intero assetto che quel monolocale prendeva quando
erano tutti insieme a divertire e distrarre il cucciolo umano.
Derek non doveva spremersi molto le meningi per capire a quale aspetto
della loro vita si riferisse, al grande cambiamento che era avvenuto. «Già» a
prescindere da tutto, avere Stiles nella sua tenuta odierna rendeva la propria
vita eccessivamente agitata, ricca, piena di rumori ed echi; uno straparlare
continuo anche del nulla più assoluto, ma era tutto tangibile, visibile e
pieno, il mannaro ne era stato talmente sopraffatto e non era riuscito a
gestirlo. Ma avere uno Stiles di cinque anni che correva per casa, ridendo,
riempiendo le pareti con la voce cristallina ed acuta che si ritrovava, urlando
deliziato e pieno di gioia, scappando per gioco dai lupi cattivi che volevano
mangiarlo, era tutto un altro paio di maniche. A quel suono non si sarebbe mai
potuto abituare.
«È una piccola gioia in questo mare oscuro» realizzò la banshee, mettendo
a nudo i suoi pensieri e l’effetto positivo che quella minuscola presenza
creava, dopotutto. Dopotutto quello che significava avere a che fare con un
bambino invece di un ragazzo.
«È l’effetto di Stiles» e Derek non si riferiva affatto a quell’unico
momento, a quella creaturina di cristallo che illuminava le sue giornate, anche
se ogni singola volta provava un profondo e perfido senso di nostalgia.
«Sì» la bionda fragola lo confermò in un silenzio
inesistente, carica dello stesso sentimento consapevole del mannaro. «È così
diffidente».
«Lo è sempre stato» non c’era stata una volta in cui Stiles non gli
avesse mostrato la sua inesistente fiducia nelle persone o nel genere umano;
Stiles doveva conoscere, testare, avere in mano le prove dell’autenticità di
essi e sapere come avere a che fare con loro. Derek non aveva conquistato la
fiducia di Stiles, era stato Stiles a conquistare la sua, ma non aveva mai
saputo quand’era giunto il momento in cui le cose si erano ribaltate. In cui
tutto era diventato altro. C’era stato? Esisteva quel momento? O era stato
talmente tutto contorto, affrettato, drammatico e con perdite una dietro
l’altra, che nessuno dei due aveva individuato quand’era accaduto?
«Ma mai con me» disse la ragazza con risentimento e con quell’espressione
imbronciata che voleva nascondere, ma che le sporcava irrimediabilmente le
labbra rosse. «Si è lasciato andare un po’ con tutti, ma non con me».
Era vero, con Lydia aveva ancora delle riserve, non voleva mai rimanere
da solo con lei ed in realtà non le parlava affatto. Era sempre silenzioso,
guardingo e l’osservava con tanto d’occhi giganti; quasi scappava. «È solo
intimorito da te».
«Perché?» era evidente che non le andasse giù, Stiles aveva sempre avuto
una vera adorazione per lei.
«Ti trova eccessivamente bella» quell’adorazione non era sparita per
nulla e Derek ne sorrideva.
«Oh» le parole volarono via e tutto era inaspettato,
incredibile, fuori dalla sua immaginazione. Le gemme di smeraldo si
depositarono sulla piccola figura che si intratteneva con gli altri membri del
branco, giocando inspiegabilmente con Isaac e forse era quella la parte più
impensabile di tutte; quei due non erano mai riusciti a tollerarsi. «Certe cose
non cambiano mai».
Derek voleva scacciare l’allusione poco velata indirizzata nei suoi
riguardi.
Incontrò il sorriso saputo e compiaciuto della rossa ed a Derek non
piacque minimamente.
Un rimbombo attraversò le quattro pareti, interrompendoli e richiamando
la loro attenzione, gli occhi verdi di entrambi che si catapultarono a seguire
il suono ed a decifrarne la provenienza.
Isaac stava ringhiando con falsa intenzione di attaccare il bambino,
inseguendolo in ogni angolo insieme a Scott, mentre Allison si teneva
circospetta nel caso dovesse intervenire per una qualche ragione, Derek aveva
smesso di preoccuparsene diversi giorni prima. Ma qualcosa si stava
manifestando in modo differente, anomalo, portando un’ombra diversa nel
monolocale.
Isaac aveva mostrato i suoi occhi, delle gemme incandescenti gialle, quel
dorato unico che mostrava il suo stato di appartenenza. Erano lì, tangibili,
evidenti, in tutta la loro forma, davanti ad un bambino di cinque anni che non
conosceva affatto quella natura, rivelandogli un segreto che lo Stiles
adolescente aveva compreso prima dei diretti interessati, ma che quello con cui
si trovavano a relazionarsi in quel periodo non poteva e doveva sapere.
Stiles rimase immobile, fermo davanti allo spettacolo misterioso, le
iridi ambrate che abbracciavano tutta la loro essenza. «Sono veri?».
Isaac precipitò nel mutismo, conscio dell’errore che aveva commesso,
dell’azzardo che aveva compiuto trascinato dal gioco. Con Stiles nessuno di
loro aveva mai dovuto nascondersi. «No, è un trucco».
«Un trucco?» domandò di rimando il cucciolo d’uomo, inclinando
leggermente il capo come ad avere una prospettiva diversa. «Sembrano veri».
Ah, mentire a Stiles in
genere era una condanna che lo portava a smascherare l’inganno in poco tempo,
ma mentire ad un bambino che era anche Stiles appariva davvero un peccato
capitale.
Le iridi dorate sparirono così come si erano manifestate, lasciando il
posto all’azzurro di Isaac ed era come se l’intera manifestazione non fosse mai
avvenuta. «Anche Scott sa farlo» Allison gli lanciò un’occhiata di rimprovero,
ma ormai il danno era fatto.
«Davvero?» chiese di riflesso il figlio dello sceriffo, esaltandosi nel
suo modo incontrollato e capace di investire chiunque lo circondasse,
voltandosi verso quello che era il suo migliore amico ed aspettandosi
l’autenticità di quelle parole.
Scott non era affatto entusiasta di quello stravolgimento ed era sicuro
che ad un certo punto Derek se lo sarebbe mangiato vivo.
Le iridi di fuoco si materializzarono, cancellando il nocciola dei suoi occhi,
ed il Vero Alpha si mostrò in tutta la sua natura ad un bambino cinquenne che
non poteva comprendere con cosa avesse a che fare.
«Sono diversi» constatò Stiles, rimanendone impressionato ed affascinato,
spostando lo sguardo da un mannaro all’altro. «Puoi farli anche tu così, Sac?».
Non era cattiveria, ma Stiles in qualche modo sapeva sempre come fare
stare tutti gli altri al loro posto di appartenenza, nella gerarchia dei lupi
era ancora più lampante, ma il fagotto non ne era al corrente. «No, soltanto
Scott può averli rossi».
«Oh» soffiò Stiles, intrigato e smanioso di conoscere
di più. «E Scott non può farli gialli?».
«Prima poteva, adesso non più» lo stato di Alpha Scott se l’era
guadagnato con il tempo, ma non si era mai concretizzato, finché ad un certo
punto, nel momento in cui più gli serviva quel potere, aveva preso corpo e
l’aveva adoperato per salvare tutti ancora una volta.
Stiles sembrò assimilare la notizia, farla sua, archiviarla da qualche
parte con un’etichetta di qualche genere. «Chi altri sa farlo?».
Stiles e le domande spinose. Il silenzio cadde nel loft e nessuno proferì
un solo mormorio.
«Non guardare me» Allison spezzò l’aria carica che era caduta senza una
vera ragione; non c’era motivo di nasconderglielo, ma nemmeno di rivelarglielo.
«Nemmeno me» si affacciò la bionda fragola, sorridendo saputa e
provocatrice, liberandosi dal fardello.
«Der?» ma Stiles non le stava nemmeno considerando.
«O sì, Der, mostra i tuoi begli
occhioni» il sarcasmo pieno di burla di Lydia era evidente e Derek le rifilò
uno sguardo incendiario, ma lei non si scompose di un millimetro.
Era evidente che Derek non volesse prestarsi al gioco e Stiles si
avvicinò al divano, salendo sulle gambe del padrone di casa come se fosse una
cosa naturale che compiva abitualmente – il che era vero –, portandosi ad
altezza delle gemme boscose. «Me li fai vedere, Der?».
Quel bambino giocava sporco, sporchissimo ed il licantropo non poteva
credere che riuscisse a metterlo nel sacco così facilmente. Ogni tuo desiderio è unordine e per Derek valeva come una
promessa sacra.
Le iridi di smeraldo furono sostituite da un blu ghiacciato, freddo,
talmente brillante da abbagliare il cucciolo umano ed il tempo si arrestò.
Gli occhi d’ambrosia erano fissi nei suoi, pieni di sorpresa e stupore,
la scoperta di un altro nuovo colore e tutto sembrava prendere una valenza
diversa.
«Sono più belli» elargì il figlio dello sceriffo, incantato, ammirato e
con una cadenza speziata che Derek non sapeva spiegarsi bene. L’immobilità che
li aveva accerchiati era talmente strana e piena di significato da soffocarlo,
riusciva a vedere quella scintilla nelle gemme di miele che ogni tanto, in
particolari momenti, voleva prendere il sopravvento, mostrarsi e dire io sono qui. Erano i momenti
in cui Derek credeva che lo Stiles diciasettenne lo stesse osservando e
giudicando e che gli comunicasse di riprenderselo.
Lydia ridacchiò al loro fianco, annientando quell’inquadratura privata
che si era creata, quella particolarità fatta solo di Derek e Stiles. «La voce
della verità».
Derek non afferrò subito a cosa alludesse, che fosse rimasta ferma al
discorso precedente che non avevano approfondito, la creatura della notte era
soltanto stregata dal piccolo esserino che gli sedeva sulle ginocchia, che non
aveva occhi che per lui e che non conosceva il significato di quel blu
metallico, cosa gli si celasse dietro e quanto male avesse portato. Quanto
Derek lo avesse odiato e ne fosse diventato indifferente con il tempo, come per
tutto il resto.
«Ehy, vacci piano con le preferenze» sboccò
Scott teatralmente offeso, difendendo il suo ruolo di Vero Alpha.
«Non c’è storia con Derek» proferì Isaac del tutto rassegnato, ma per
nulla sorpreso.
«Torniamo a giocare, Cappuccetto Rosso?» domandò la cacciatrice, completamente
disinteressata al siparietto che si era presentato, riacchiappando l’attenzione
del piccolo inquilino.
Stiles non se lo lasciò ripetere due volte, abbandonò la sua seduta
comoda sugli arti inferiori di Derek in un baleno, sgambettando verso la figura
della ragazza che ammoniva gli altri due. «Me li mostrate ancora?».
«Il ragazzo vuole giocare pesante» proferì sarcasticamente Isaac,
ghignando maliziosamente ed accendendo gli occhi dorati, lasciando partire un
ringhio che divertì oltremodo il pargolo di casa.
«Diamogli filo da torcere» accettò la sfida il messicano, mostrando
un’espressione diabolica che non convinceva nessuno, ma che creava ilarità
sconfinata nel figlio dello sceriffo. Un attimo dopo avevano ribaltato tutto il
monolocale.
«Come dicevo, certe cose non cambiano mai» ed ancora una volta Lydia non
si riferiva affatto all’inferno che quei tre scalmanati stavano scatenando,
tenuti sotto tiro dalla cacciatrice nel caso avessero esagerato.
Stiles ronfava splendidamente sul torace di Derek, mentre i tre
dell’apocalisse sistemavano l’appartamento e Lydia continuava a non volerlo
lasciare un momento.
Il cucciolo d’uomo era crollato poco dopo cena, stremato e all’apice del
divertimento. Si era avvicinato con il sorriso sulle labbra, con l’intenzione
di coinvolgerlo in uno dei suoi giochi, ma nel momento in cui aveva poggiato il
capo sul petto del lupo, farfugliando qualche parola a cui Derek aveva
risposto, non aveva più aperto gli occhi e tutti si erano concentrati nel
cercare di non fare rumore.
«Sei veramente innamorato di questo bambino» proferì la banshee con
melodia, la voce tenue e moderata, gli occhi lievemente addolciti che si
godevano la scena.
Derek non rispose, ignorò perfino di averla udita, ma accarezzò la
schiena dell’esserino con le nocche, tenendolo in modo che non potesse cadere e
rotolare dal divano.
Lydia non se la prese in alcun modo, era un’osservazione che andava
fatta. «Quindi, siamo sempre le sue due persone preferite».
«Dove vuoi andare a parare, Lydia?» Derek odiava quei giochetti, l’essere
manipolato per una qualsiasi ragione, anche la più insignificante. Nel suo tono
di voce c’era ammonimento e quel fastidio perenne che difficilmente andava via.
«Stiles è sempre Stiles» era chiaro e lampante, la rossa ci era
inciampata un po’, tentando di relazionarsi con quel bambino al meglio delle
sue possibilità, ma quello che aveva raggiunto il risultato migliore era stato
proprio quel lupo scorbutico negato per la socializzazione. «I suoi gusti, le
sue preferenze continuano ad essere le stesse. Non ti fa riflettere?».
«Riflettere su cosa?» domandò implacabile la creatura della notte, inarcando
un sopracciglio e fissandola con il dubbio sulle sue capacità intellettive.
«Che gli piaccia la stessa ragazza di cui è innamorato da anni?».
La bionda fragola sbatté le palpebre varie volte, come se fosse stata
punta sul vivo e non sapesse come opporsi. «Sì» era
innegabile dopotutto. «Ma vale anche per il ragazzo».
Derek la guardò storto, quasi fulminandola sul posto e Stiles russò
adorabilmente.
«Stiles ti ama, non è semplicemente innamorato di te» dichiarò Lydia
senza alcun pelo sulla lingua, mettendo nero su bianco qualcosa che tutti
sapevano, ma di cui nessuno parlava. «Non è cotto di te, non ha una sbandata, è
amore».
«Lo sai che è innamorato di te da quando aveva otto anni?» Derek era
completamente sordo alla ragazza, ribatteva soltanto a tono.
«E tu come lo sai?» Lydia lo osservò tutto occhi, incredula, ma anche
intenzionata ad investigare.
«Chi non lo sa» il mannaro scosse le spalle, rispondendo retoricamente ad
una realtà che era sempre esistita e di cui l’intero pianeta era a conoscenza.
Stiles non era mai stato quel tipo di persona che teneva la bocca cucita ed i
pensieri per sé, lasciava spazio a tutto quello che lo investiva in un
determinato momento ed onestamente non aveva mai tentato di nascondere ciò che
provava per la ragazza più popolare della scuola, al contrario aveva cercato in
ogni modo possibile di attirare la sua attenzione.
Per Lydia invece era stupefacente che Derek conoscesse certi aspetti di
Stiles. «Io».
L’occhiata che il mutaforma le dedicò non era lusinghiera. «L’hai ignorato
per troppo tempo».
Il bambino si mosse tra le braccia dell’uomo che lo proteggeva come se
fosse il reperto più antico dell’immensità del creato, voltò la testolina e
tornò a dormire tranquillamente sotto il collo del suo letto fatto di carne e
ossa. Il mannaro allentò la presa quel tanto che gli bastava per sistemarlo
meglio sul torace, abbassare l’orlo della maglia che si era alzata, lasciando
scoperto il fianco del cinquenne, e depositandogli un bacio impercettibile tra
i capelli spettinati.
«E tu, Derek, non l’hai ignorato?» Lydia era stata testimone di molte
cose, era quasi impazzita quando il sovrannaturale si era manifestato nella sua
vita ed il potere da banshee si era risvegliato, pensava che nulla avrebbe più
potuto spezzarla, ma le si scioglieva il cuore davanti alle premure che Derek
dedicava interamente a quell’esserino estremamente prezioso.
«Sì» l’aveva ignorato eccome, per molteplici ragioni
ed una più sbagliata dell’altra. Non l’aveva mai voluto ascoltare, fin dalla
prima volta che l’aveva incontrato nel bosco, ed aveva continuato a farlo
nell’anno successivo, testardo, irremovibile, ostile fino al midollo. Stiles
non gli aveva reso le cose facili, non si era mai arreso, mai tirato indietro;
aveva puntato i piedi, l’aveva affrontato a viso scoperto ed aveva mostrato i
denti. Se Derek voleva sbarazzarsene, Stiles si piazzava davanti a lui e lo
riempiva di talmente tante parole da perdere il senso dello scorrere del tempo,
della testa che diveniva piena e confusa, un mal di testa che un licantropo non
avrebbe nemmeno dovuto provare.
Derek aveva ignorato la sua presenza, la sua persona, il diritto che
aveva di appartenere al branco che si era creato intorno a Scott senza che se
ne rendesse minimamente conto.
Ma Derek sopra ogni cosa aveva ignorato i sentimenti che erano sbocciati
in Stiles. Aveva volutamente ignorato ciò che di autentico Stiles provava per
lui. Esistevano un’offesa ed un peccato capitale peggiore di quelli?
Lydia sospirò senza nemmeno provare a nasconderlo, spostandosi a gambe incrociate
sul divano e ponendosi davanti al fianco che gli si presentava. «Quello che
prova per me e quello che prova per te sono due cose completamente differenti.
Io sono il suo sogno idilliaco, mi ha idealizzata e sono la sua più grande
fantasia. Ma tu, tu sei reale» lo guardò attenta, non lasciandosi scappare
alcuna reazione che il mutaforma potesse esternare, ma Derek era sempre stato
un campione nel mostrarsi imperturbabile ed un blocco di ghiaccio. Tranne
quando qualsiasi cosa o persona attentasse alla vita di Stiles. «Non ha mai
avuto qualcosa di reale e tangibile come te. Non sei un immaginario nella sua
testa, non sei uno scenario nella sua mente su cui può limitarsi a
fantasticare, sei ciò che vuole davvero, disperatamente, inequivocabilmente e concretamente.
Stiles non smetterebbe mai di combattere per te».
Non smetterebbe mai di
combattere per te, sì, ma Derek al contrario l’aveva fatto. «Dovrebbe invece» non aveva
nemmeno mai cominciato.
«Lydia» la banshee fu ammonita prima che potesse ribattere in qualche
modo ed iniziare una battaglia verbale all’ultimo sangue.
La bionda fragola si voltò verso la fonte che l’aveva bloccata,
incontrando la serietà della cacciatrice. «È tempo di andare».
Scott ed Isaac erano già davanti al portellone scorrevole, pronti ad
aprirlo e sparire dietro di esso, osservando la scena con lo spessore ed una
profondità di chi non si fosse perso una sola parola, comprendendone ogni
sfumatura.
Allison non era dalla parte di Derek, Lydia ne era cosciente; più che
altro era una presenza arbitraria, che non si schierava da nessuna parte se le
circostanze non lo richiedevano, ma sapeva sempre quando intervenire e fermare
l’azzardo, chi stava andando troppo oltre. Derek non aveva bisogno di essere
assalito in quel modo.
La rossa annuì con un unico colpo del capo, quasi invisibile e si alzò
dal divano, lasciando spazio alla cacciatrice che si intrattenne in una fugace
carezza piena d’affetto sulla testa scompigliata del batuffolo fanciullesco.
«Buonanotte, Cappuccetto Rosso».
Stiles mugolò in assenso nel sonno, se fosse stata una vera risposta o un
gesto involontario sarebbe rimasto un mistero, ma Allison non arrestò il
sorrisetto che le si dipinse sul volto.
Un attimo dopo la porta fu spalancata e varcata quasi da tutti gli
ospiti. Lydia indugiò sull’uscio, incontrando un Derek per metà assente ed
indeciso se condurre il figlio dello sceriffo subito a letto, sperando di non
ridestarlo o optare per rimandare quella pratica più avanti. «Questo bambino,
Stiles» e agitò le braccia per disegnare vagamente la fisionomia del ragazzo
diciasettenne, sovrapponendola a quella dell’esserino che ronfava, dando una
chiara idea di ciò che voleva comunicare. «Ha scelto te ad occhi chiusi nel suo
momento più vulnerabile, non ignorarlo anche questa volta».
Lydia si dileguò in un istante dietro il portellone che veniva sigillato
e nell’eco creato dallo scorrimento sui binari, in un tetro silenzio
giudicante, tutto ciò che rimaneva a Derek era venire assordato da quelle
parole indesiderate ed abbracciare la piccola vita addormentata che si affidava
a lui senza tentennamenti.
Derek ha la sensazione che lo
Stiles di diciassette anni sia lì di tanto in tanto, che gli mandi dei segnali,
che lo guardi e gli indichi in qualche modo la via; ne è quasi certo, eppure
sente di stare impazzendo. Sarà così, il frutto della sua mente pressata?
Il branco ha un modo tutto suo di
intrattenere il piccolo Stiles e ci riesce alla grande, così tanto bene che non
riescono minimamente a contenere uno dei segreti più importanti e che lo Stiles
diciassettenne conosce molto bene; questo li indebolisce molto. Derek
certamente non salva la situazione, in realtà non ha molta scelta, Stiles
riesce a primeggiare su di lui perfino a cinque anni.
Ma in tutto questo c’è un confronto
diretto tra Lydia e Derek, le due persone più amate da Stiles, quanto meno dal
lato romantico. Sarebbe interessante conoscere la vostra opinione sul loro
scambio.
Quante cose ci faranno vedere
ancora? Lo scopriremo tra sette giorni,
«È il sogno
di ogni genitore riavere i figli a quest’età, eternamente» l’improbabile trio
stava pranzando insieme, con Stiles seduto sulla scrivania dello sceriffo con
le gambette sospese in movimento nel vuoto, la massima autorità della città che
sedeva al suo posto da superiore e Derek che si trovava di fronte all’uomo,
mangiando in silenzio. «In verità per un genitore i figli non crescono mai».
Stiles lo
guardò dubbioso, inclinando la testa e sgranocchiando un’insalata di mais che
il lupo aveva comprato per tutti loro, insieme ad una moltitudine di cibi
salutari; non erano i suoi piatti favoriti, preferiva sempre qualcosa che contenesse
della carne e dalla reazione sconsolata che suo padre aveva avuto quando Derek
si era presentato con quel menù, deduceva che fosse lo stesso anche per lui, ma
a dispetto di quanto sembrasse, si accontentò e non protestò. «Non devo
crescere?».
Lo sguardò
dell’uomo di legge si catapultò sul figlio, insieme a quello del mannaro, ma
non riuscì a decifrare le loro espressioni. «Sì, devi crescere. Diventare
grande e forte».
«Come
Derek?» domandò il bambino, indicando con i ditini colui che si prendeva cura
della sua persona.
Lo sceriffo
ridacchiò leggermente ed il mutaforma arcuò un sopracciglio. «Un po’ meno del
tuo lupo».
«Però Derek
è molto forte» Stiles non vedeva perché non potesse diventare come lui.
«Sì, molto»
confermò Noah, curvando lievemente le labbra
spensierate. «Ma non è solo la forza fisica ad essere importante».
«No?»
domandò in un eco insicuro, posando le iridi d’ambrosia in quelle di giada. «Ma
può tenere al sicuro le persone, difenderle».
Quell’osservazione
portò un velo silenzioso su di loro e Derek appariva più lontano di quanto non
fosse mai stato.
«Ci sono
molti modi per farlo» dichiarò lo sceriffo notando il distacco della creatura
della notte, quanto in realtà quelle parole risultassero false alle sue
orecchie animali. «E se ti dicessi che anche tu puoi proteggerlo?».
«Io? E
come?» i grandi occhi di Stiles si spalancarono e tutta la sua concentrazione
era interamente dedita al padre, ad una nozione che teneva per se stesso.
La massima
autorità della città si avvicinò circospetta, adagio, come se dovesse confidare
un grosso segreto e nessuno dovesse entrarne in possesso. «Con il cervellino
che ti ritrovi, volpacchiotto» lo agguantò a tradimento, portandolo sulle
ginocchia e prendendo a fargli il solletico in ogni parte del corpo in cui
sapeva facesse effetto.
Stiles non
riusciva a trattenere le delicate risate che quell’attacco aveva scatenato, ma
era anche provato ed indispettito, come un qualsiasi bambino che veniva colpito
senza preavviso nella tranquillità in cui si trovava, con la dominanza di
qualcuno più autoritario che aveva la meglio su di lui. Ma quello era suo
padre, tutto aveva un’esperienza ed effetto differente e Stiles stava bene.
«Davvero
posso proteggerti, Der?» chiese il bambino quando il supplizio fu terminato, il
fantasma di un sorriso ancora sulle labbra e le enormi iridi dell’ambra che lo
fissavano attente e curiose.
Proteggerlo, Stiles
era colui che aveva portato in salvo più persone di quanto avessero fatto le
tanto decantate creature sovrannaturali, quelle che sarebbero
dovute essere oltre la mortalità fragile dell’essere umano. Aveva
salvato la città innumerevoli volte, aveva supervisionato su ogni membro del
branco, che fosse il suo o quello di Derek, e non aveva mai lasciato nessuno
indietro. Aveva tratto in salvo Derek stesso talmente tante volte da averne
perso il conto, anche se continuava ad affermare il contrario e pregare nella
sua morte. Stiles l’aveva salvato in così tanti modi e soprattutto da se stesso, da non poter essere immaginabile una vita senza
di lui. «Sei capace di qualsiasi cosa».
Doveva
averla presa come una risposta positiva perché arricciò la bocca verso l’alto e
rubò un morso dall’hamburger vegetale di suo padre come ricompensa.
Lo
sceriffo, mentre rimetteva Stiles al suo posto, li guardò studiandoli. «I
genitori vorrebbero che i figli non crescessero mai, ma…» l’attenzione si
indirizzò tutta verso il mannaro e Derek sapeva di non poter scappare. «Stiles
ha già affrontato tutto questo. È diventato un ragazzo intraprendente, ha subito
le sue perdite ed è cresciuto andando avanti con ciò che gli mancava. Ha
affrontato l’inferno, l’umiliazione, si è preso cura di me quando era mio
dovere metterlo al primo posto. Si caccia sempre nei guai e sa far perdere la
pazienza come nessuno, ma ha le sue passioni, una formazione che gli ha
temprato il carattere e l’ha condotto verso un futuro che vuole inseguire»
trattenne il respiro, socchiuse le palpebre e prese una profonda boccata
d’aria. «Si è innamorato. È innamorato. È andato talmente oltre da essere
arrivato all’amare. Non voglio che tutto questo gli venga portato via. Questa è
la vita per cui lui ha combattuto ogni giorno e tu, Derek, ne fai parte».
Derek
doveva aspettarselo, prima o poi quella verità sarebbe saltata fuori, insieme
alla motivazione che aveva condotto Stiles ad assumere quell’aspetto di pura
innocenza. Lo sceriffo non aveva mai proferito parola in merito, si era
concentrato semplicemente sul godersi suo figlio dopo che l’aveva rifiutato la
prima volta non riconoscendolo come la figura genitoriale che invece era,
preferendo un uomo estraneo che non aveva alcun legame con lui, con loro. Gli
aveva consegnato Stiles ed il suo benessere fidandosi delle sensazioni che il
bambino, guidato dal Nemeton, manifestava, non
volendo nessuno vicino escluso Derek Hale. Noah non
aveva avuto scelta e non si era opposto, ma tutto ciò non significava che
perdonava le scelte che la creatura della notte aveva compiuto, causando un
problema che non sapevano risolvere. «Anch’io lo rivoglio indietro, signor
Stilinski».
La massima
autorità della città non poteva sperare in meglio, non credeva nemmeno che
esistesse una risposta diversa da quella. «Allora trova il modo».
Stiles si
era preparato per la notte senza fare troppe storie, dopo aver risolto un puzzle
e mezzo, indossando il suo pigiamino verde con i lupi, che Derek doveva sempre
lavare in tempi record, e sprofondando nel letto, lasciandosi sommergere dalle
coperte che il mannaro gli rimboccava quotidianamente.
Ma Stiles
non era affatto un bambino che crollava immediatamente nel sonno nel momento in
cui poggiava la testa sul cuscino, anche se era il suo prezioso e magico
cuscino che Allison era andata a prendere di persona sotto richiesta di Derek.
Doveva essere stanco fino all’ultimo, giungere ad una conclusione che lui
riteneva degna e crollare quando meno se lo si aspettava. Era soprattutto per
quello che Derek rimaneva con lui finché non si addormentava, restando in
ascolto e dandogli la possibilità di sommergerlo di quante più parole
desiderava, ma quella sera Stiles si era intestardito con uno dei nuovi libri
che avevano comprato e che ancora non aveva tentato di leggere. Era una pratica
che i primi giorni, quand’era arrabbiato, portava a compimento autonomamente,
tagliando chiunque volesse interagire con lui. «Posso leggere per te, se
preferisci».
Stiles
accarezzò la copertina rigida del libro, quasi volesse stirarla, benché non ve
ne fosse alcuna ragione. «Perché ti piace leggere?».
Possibile
che il cucciolo umano pensasse che anche quella fosse una fatica di Ercole,
credendo di essere un peso? «Perché vorrei leggere per te».
Il figlio
dello sceriffo voltò il viso verso di lui, tentando di scrutare l’autenticità
di quella proposta che non aveva secondi fini e Derek vide il tentennamento.
«Va bene».
Era una
vittoria, se pur piccola, era importante. «Da quale cominciamo?» il mannaro si
posizionò sul materasso, scostando le coperte e distendendosi al suo fianco,
poggiando parzialmente la schiena sulla testata del letto.
Stiles gli
passò il libro che aveva già tra le mani, quello che aveva accarezzato per
tutto il tempo, pronto a sfogliarlo ed a cimentarsi nella lettura con non poca
fatica. Era di dimensioni sotto la media e non conteneva molte pagine, ma la
copertina presentava diversi colori e delle stelle sullo sfondo bianco, al
centro spiccava una figura che ricordava un bambino. «Il Piccolo Principe. Una
motivazione in particolare?».
«C’è una
volpe» rispose Stiles immediatamente, aprendo il tomo e voltando qualche pagina
più avanti, mostrando le fattezze di un canide rosso dalla coda voluttuosa che
andava incontro al protagonista. «Mi piacciono le volpi».
C’era
qualcosa del regno animale che non fosse nelle corde di Stiles? «Forse perché lo
sei anche tu, piccola volpe» gli solleticò la punta del naso con dolcezza
bonaria e Stiles non trattenette la risata cristallina e timida che gli sfuggì.
«Lei sembra
molto intelligente, però…» il figlio dello sceriffo si fermò, appariva
disturbato da qualcosa, come se quello che conosceva fosse stato messo in
discussione. «Si lega ad un umano, le volpi non lo fanno, vero?».
Derek capì
che Stiles conosceva già la storia, che qualcuno l’aveva letta in precedenza
per lui. «Il Piccolo Principe è un bambino speciale, potrebbe anche riuscire ad
addomesticare una volpe» era la parola addomesticare
che Stiles cercava, ma che non era riuscito a pronunciare; aveva cercato in
qualche modo di trovare un sinonimo semplice con le parole di cui era in
possesso. «Ma no, le volpi in genere non si lasciano addomesticare, ma questa è
una volpe del deserto».
«Una volpe
del deserto?» domandò di rimandò il cucciolo d’uomo, udendo una definizione che
non aveva mai sentito prima.
«Sì» distese per bene la pagina che riportava il disegno
dell’animale in questione, indicandone il muso; era stata colorata erroneamente
di rosso, il manto delle Fennec era generalmente tendente al miele, come gli
occhi di Stiles. «Le orecchie sono lunghe, diverse da tutte le altre che
conosci, si sono adattate all’ambiente in cui vivono. La volpe del deserto è
l’unica volpe sulla Terra che può essere addomesticata dall’uomo, non è facile,
ma è possibile».
«Oh» soffiò Stiles con contemplazione e la sorpresa
che si dipingeva nelle iridi caramellate. «Quindi è una volpe speciale».
Piccoli
Principi speciali, volpi speciali, era tutto uno speciale da quelle parti.
Magari la storia era così magica proprio per quella ragione. «No, quella sei
tu» Stiles elargì una risatina contenta sotto il tocco pieno d’affetto di
Derek, che lo prendeva di peso e lo gettava sul letto per autentico
divertimento fine a stesso, lasciando cadere il libro tra le lenzuola. «Tu non
ti lasceresti mai addomesticare» Derek ne aveva ingiustamente le prove.
«Nemmeno i
lupi, vero?» chiese il pargolo di riflesso, in una continuazione di un
discorso, quasi volpi e lupi camminassero di pari passo e non potessero essere
separati. In effetti, per Stiles, la realtà era proprio quella, con il suo bel
pigiama con voraci predatori ululanti e piccoli fagotti rossi stampati sulle
tazze da latte.
«Dipende»
elargì la creatura della notte come premessa, prossimo ad annunciare un grande
mistero di madre natura. «Se un grosso lupo cattivo incontrasse una piccola e
bella volpe, potrebbe anche accadere».
Stiles era
veramente lusingato e gli sorrise di tutto cuore, Derek non sapeva nemmeno come
riuscisse a meritarsi certi premi.
«Der»
chiamò piano, una musicalità tutta sua che aveva in serbo soltanto per il
mannaro degli occhi blu elettrico. «Resti per sempre con me?».
Derek morì
nell’istante in cui sentì quella richiesta innocente che era la chiave di volta
dell’intera loro storia. «Vorrei».
Il viso di
Stiles si deturpò, il licantropo lo vide chiaramente ed un tonfo mancato partì
dal petto, ma quello non era lo Stiles diciasettenne a cui aveva spezzato il
cuore dopo innumerevoli rifiuti e la decisione di sparire dalla città per una
quantità di tempo illimitata, senza nemmeno degnarsi di avvisarlo. Quello era
uno Stiles che aveva bisogno di riconquistare la sua innocenza, che non era
stato sporcato da nessuna mano e dalla malvagità della vita. Era uno Stiles a
cui non aveva ancora fatto del male. «Non puoi?».
Era quella
la grande domanda, la domanda a cui non aveva avuto il coraggio di rispondere,
una domanda che se lo Stiles diciasettenne gli avesse comunicato, parandosi
davanti ai suoi occhi nell’istante in cui Derek aveva deciso i suoi piani, li
avrebbe mandati nel dimenticatoio senza nemmeno rifletterci. «È complicato».
Il fagotto
umano metabolizzò la notizia che rimaneva inconcludente ed ispezionò con lo
sguardò la penombra dell’angolo dedicato alla camera da letto del padrone di
casa. «Andrai da Cora?».
«Forse, un
giorno» benché Derek non ci avesse minimamente pensato nel momento in cui si
era ritrovato Stiles in quelle condizioni, sapeva che era soltanto questione di
tempo prima che il programma che aveva organizzato riprendesse da dove l’aveva
interrotto.
«Devi
scegliere tra la tua famiglia e qualcos’altro?» chiese il figlio dello sceriffo
seguendo quella linea, non essendosi dimenticato di nessuna delle poche persone
che aveva incontrato in quel lasso temporale limitato.
«Pensavo di
aver già fatto quella scelta» era stata tra le più difficili che avesse
compiuto e l’aveva fatto di getto, impulsivamente, quasi il suo stesso cervello
si fosse affaccendato per non meditare troppo sulle conseguenze che le sue
azioni avrebbero riportato.
«Non è
andata bene?» continuò ad interrogarlo il piccolo di casa, provando a seguire
il fiume dei suoi pensieri.
Derek lo
fissò, attento ad ogni sua sfaccettatura, osservando il prodotto che le sue
decisioni avevano creato. Le dita scivolarono sul volto del bambino,
disegnandone i tratti morbidi ed ancora da definirsi, totalmente opposti a
quelli già pronunciati dello Stiles ad un soffio dalla maggiore età, che
mostrava a pieno titolo chi fosse. «No, non è andata bene».
Stiles si
sciolse sotto il suo tocco, socchiudendo le palpebre e godendosi quella
manifestazione d’affetto che continuava ad essere unica ed irripetibile. «Puoi
cambiare idea?».
«Vorrei
soltanto aggiustare le cose» riaverti con
me, spezzare questo maleficio.
Le
incredibili e luminose iridi del nettare degli dei si mostrarono in tutto il
loro splendore, non c’era differenza tra lo Stiles di cinque anni e quello di
diciassette. «Dormi con me?».
Eccolo, eccolo lo
Stiles che sapeva salvarlo dall’oscurità del suo cuore, che sapeva come
riprenderlo e conquistarlo, rimediare al dolore ed ai sensi di colpa che non
sapeva colmare. «Sì, dormirò con te, piccola furba volpe» le nocche
accarezzavano con riverenza la fronte del bambino, creando un leggero solletico
restauratore tra la radice dei capelli, accompagnate da un tenue sorriso del
lupo cattivo.
Tutto il
viso del cucciolo umano si colorò di entusiasmo e contentezza e le braccine
andarono ad accerchiare il collo del mannaro, abbracciandolo teneramente e
Derek non sapeva più come sopravvivergli.
«Sono
passati dodici giorni» annunciò il lupo mannaro in una condanna
incontrovertibile, seduto sul divano di casa e con il cellulare poggiato
all’orecchio.
«Non sembri
il tipo che resta a contare i giorni» dichiarò Cora dall’altro lato della
cornetta, con una nota leggermente ironica e di burla delicata.
«Sta
passando troppo tempo, Cora» disse Derek con incisività, le meningi stanche ed
una spossatezza che non riusciva a far andare via.
«Non è
cambiato niente?» domandò la ragazza di conseguenza, in continuità ad una
risoluzione che non presagiva di giungere.
«No» nessuno sapeva che pesci prendere. Erano
esattamente al punto di partenza.
Cora esitò
dall’altro capo della linea, assorbendo la negazione in risposta. «Come sta?».
«Sta bene,
ma…» Derek abbassò gli occhi sulla testolina che si era poggiata sulle gambe,
il corpo tutto rannicchiato su se stesso, il dolce
sonno che rendeva le palpebre serrate e le labbra lievemente socchiuse. «Ho
come la sensazione che si addormenti sempre più velocemente e di frequente».
«Magari è
soltanto stanco, Stiles brucia molte energie» spesso la mutaforma si era
stremata soltanto guardandolo, ascoltandolo e per quanto in lei scorresse
sangue sovrannaturale, il più delle volte non riusciva a stargli dietro e si
esauriva come niente.
Il silenzio
provenne dall’altoparlante dello smartphone, saturo e stanzio, la lupa
percepiva esclusivamente il respiro calmo del fratello, l’immobilità dei suoi
gesti e sicuramente teneva le spalle tese. Stiles
è energia avrebbe ribattuto Derek, era un pensiero che esisteva da tempo
immemore in lui, che esprimeva a voce in rare occasioni e mai con Stiles in
giro. Cora le aveva sempre percepite quelle parole, dallo sguardo meticoloso
che il mannaro dedicava all’umano quando non se ne accorgeva, quando
straparlava e gesticolava ininterrottamente, riempiendo tutto il loft avvolto
nell’oscurità privo di suoni da farlo risultare vivo. Nessuno si impegnava così
tanto, in verità tutto il resto del branco – unito e diviso – rispettava la
silenziosità del padrone di casa, non si imponeva e non portava una confusione
che comunque non gli apparteneva. Andavano via così come arrivavano e sembrava
quasi che di lì non fosse passato nessuno; Cora aveva percepito subito la
differenza che quelle visite comportavano quando la figura di Stiles mancava o
era presente, l’essenza di anima che continuava a persistere quando quella
moltitudine di persone spariva, conducendo via perfino quella lieve luce che
per qualche sorta a lei sconosciuta albergava.
Era Stiles
l’anima che rendeva un po’ più luminoso quel monolocale tetro ed incolore,
privo di arredamento se non l’essenziale. Era un aspetto che Cora aveva
compreso quando Isaac aveva fatto le valigie, cacciato via dal suo Alpha e
traferendosi da Scott, dopo la morte di Boyd e
successiva alla schiacciante verità che rendeva Derek inerte, non sapendo come
proteggere chi gli era più caro, chi aveva deciso di seguirlo.
Cora
pensava che quel raggio di luce sarebbe svanito con lui, con l’unico altro
abitante oltre lei, quello stesso raggio che aveva incontrato quando si era
trasferita a sua volta dal fratello; era sempre stata certa che non
appartenesse a Derek. Ma se quello spicchio di sole era presente al suo arrivo
ed era rimasto dopo che in qualche modo il sangue del suo sangue aveva
rinnegato Isaac, Cora l’aveva finalmente collegato alla perpetua esistenza di
Stiles che per un motivo o per un altro girava intorno al licantropo dagli
occhi rossi. Derek da quella luce ed energia veniva abbagliato. «Sta dormendo
anche adesso?».
«Sì» le falangi fluivano sui capelli castani,
scomponendoli con delicatezza, agevolando il perdurare del regno di Morfeo che
teneva il bambino con sé.
«Su di te?»
chiese la corvina con un ghignetto spudorato e la nota vocale che lo rendeva
concreto all’udito del licantropo.
Le iridi
verdi seguivano il sentiero che le dita tracciavano sulla cute del cucciolo
d’uomo, la posizione studiata che non lo invadeva come spesso accadeva. «Per
così dire».
«Pensavo si
fosse tolto il vizio» onestamente si chiedeva se anche lo Stiles diciasettenne
si sarebbe mai preso certe libertà con il lupo scorbutico per eccellenza, se un
giorno suo fratello avrebbe abbassato le difese ed accaparrato ciò che gli
spettava di diritto, godendosi l’amore sconfinato dell’umano.
Il Beta non
ribatté in alcun modo e Cora non si aspettava nulla di diverso.
«A volte
penso che sia in ascolto» rivelò Derek nelle tenebre nel monolocale, la voce
impregnata di difficoltà e il credersi deliberatamente folle. «Che sia lì, che
aspetti soltanto che io lo percepisca e lo tiri indietro» tacque e con la mano
tutta intenta a ricoprire di attenzioni la piccola volpe addormentata, si
massaggiò le tempie esauste. «A volte ho la sensazione che mi mandi dei
segnali, sperando che io li colga, ma non accade e allora molla la presa».
Un groppo
in gola si formò nella lupa, con le gemme nocciola che si spalancavano.
«Derek».
«Se non
tornasse?» gettò lì l’uomo che appariva distrutto, il tormento che non gli dava
tregua e quelle possibilità che non volevano saperne di lasciarlo in pace. «Se
non ci fosse il modo di farlo tornare? Se rimanesse così e lo Stiles che noi
conosciamo non riemergesse più? Da chi si lascerebbe avvicinare? Chi dovrebbe
crescerlo? Io?».
«Essere
cresciuto dall’uomo che ama, sarebbe davvero grottesco» sarebbe stato infame,
fuori da ogni logica e buon senso, così crudele e malsano da non essere
catalogabile, ma il fato era talmente ingiusto con loro che si presentava come
una possibilità concreta e c’era soltanto da detestarla. «Stiles potrebbe
trovarlo divertente o lo odierebbe. Lui ti vuole, ma non così».
«Non trovo
una soluzione, Cora» affermò la creatura della notte angustiata, l’enorme
respiro profondo che dimorava all’interno della trachea e che non veniva fuori.
«Nessuno sa niente, nessuno sa come muoversi» perfino Deaton
arrancava nel buio.
«Ascoltami
un momento» disse la ragazza distante leghe intere, in un altro stato, lì
dov’era stata accolta e cresciuta da sola, pensando di essere rimasta l’unica
al mondo. «Mi sono sempre chiesta se le cose sarebbero andate diversamente se
tu non ci fossi stato. Se in qualche modo avessi avuto una possibilità con lui
senza che tu fossi presente» il respiro che premeva nella gola di Derek lo
liberò lei stessa, al suo posto. «Ma se tu non ci fossi stato, non sarei mai
tornata a cercarti. Ma se anche, in una remota eccezione, mi fossi mossa
comunque, Stiles non sarebbe stato lì» ticchettò con la punta delle dita sul
davanzale della finestra, fissando distante il paesaggio che si apriva dinnanzi
a lei. «Scott sarebbe stato morso a prescindere, ma cosa mi avrebbe legato a
loro? Chi mi avrebbe condotta a Stiles? Sono stata così stupida da immaginare
una realtà in cui tu non fossi in circolazione».
L’inesistente
provenne dalla rete telefonica e tutto il resto dava linea libera. «Non avevo
capito».
«Che mi
piacesse Stiles?» rise senza allegria la sorella ritrovata, provando pietà per se stessa. «È un po’ difficile resistergli. Peccato non ne
sia consapevole».
Le gemme di
giada si posarono sul frugoletto avvolto nella bella felpa rossa che Lydia gli
aveva comprato appositamente e per quanto ne rimanesse incantato, la prova che
si fosse abbandonato al sonno prima di indossare il suo adorato pigiamino verde
con i lupi gridava incontrastata. «Sì».
«Anche Peter
ha un debole per lui, in modo inquietante» ma quello era un dato di fatto, il
loro zio si illuminava sempre quando trovava qualcuno particolarmente dotato e
con un buon cervello. Stiles rispecchiava in pieno il suo interesse.
«Magari è
una cosa da Hale» proferì Derek più a se stesso che
alla sua interlocutrice, ragionando su qualcosa di non espresso.
«Magari»
gli fece eco Cora con le labbra lievemente arricciate verso l’alto. «Quello che
volevo dire è che mi ero un po’ cullata nell’illusione che Stiles potesse
ricambiarmi, che ci fosse quell’intesa tra noi e che potesse evolvere in
qualcosa di più concreto, ma Stiles ha sempre avuto occhi soltanto per te».
La linea
libera tornò a farsi sentire e Cora non sapeva come interpretarla. «Non mi
aiuta».
«Ti stai
ancora crogiolando nei sensi di colpa, Derek?» domandò retoricamente la
ragazza, fin troppo in sintonia con i pensieri dell’altro. «L’aver persistito a
ignorare i sentimenti che prova per te? Il continuare a rifiutarlo senza
esclusione di colpi. Sei stato talmente bravo che hai finito per scegliere
qualcun altro» quella era una carognata, Cora lo sapeva benissimo, ma non era
riuscita a tenerlo per sé. Derek non era stato nemmeno totalmente se stesso quando si era lasciato andare con la persona
sbagliata.
Il fiato
rarefatto venne trattenuto dalla bocca sigillata del mutaforma e lo sguardo si
incollò al fagottino rosso che ronfava comodamente sul suo grembo. Se solo
fosse stato più accorto.
«Derek» lo
richiamò il sangue del suo sangue, sperando di essere ascoltato. «Anche tu hai
occhi soltanto per Stiles, ma ti costringi a distoglierli».
«Non volevo
scegliere qualcun altro» soffiò Derek in una litania piena di significati,
scostando una ciocca castana che cadeva sul volto addormentato del cucciolo
d’uomo.
«Lo so» se
non fosse stato per il sacrificio delle vergini, del richiamo che quell’incanto
aveva avuto su Derek, un canto simile a quello delle sirene, il mannaro non si
sarebbe mai avvicinato a quella donna che aveva mosso i fili per manipolarlo
sin dagli inizi del loro primo incontro. Derek non teneva a debita distanza
Stiles perché gli era indifferente, ma perché pensava di meritarsi la
solitudine in cui si era sigillato e per quanto avesse provato a spazzarla via,
alleviarla, costruendosi un branco tutto suo, non aveva portato i risultati
sperati ed al contrario erano stati rimpiazzati da ancora più oscurità, perdita
e la consapevolezza di essere l’artefice della dipartita di due membri di
quello stesso branco che aveva formato con fatica.
Se Derek
non aveva lasciato entrare Stiles nella sua vita, se non quel minimo per non
scottarsi, non l’avrebbe mai permesso a nessun’altro; soprattutto perché non
esisteva quel nessun’altro.
Ma per
quanto Derek fosse stato previdente, aveva finito per scottarsi comunque. E aveva
arrecato un profondo male all’unica persona che non avrebbe mai voluto nuocere.
Stiles si
agitò nel sonno, producendo un mormorio distinto che gli graffiò la gola e
Derek lo calmò con un tocco delle dita, massaggiandogli il pancino
accuratamente coperto dalla felpa rossa che di tanto in tanto sistemava.
«Voglio che torni».
Cora
comprendeva benissimo quel desiderio, lo capiva da quanto il suo fratello
impenetrabile si stesse sbilanciando. «Sei un tassello importante, Derek»
dichiarò senza riservatezza, dando finalmente voce al nocciolo di tutta la
questione e di ciò che voleva comunicargli fin dall’inizio di quella
conversazione. «Sono convinta che la chiave per riportare Stiles indietro, sia
tu. Devi solo trovare l’innesco».
Stiles
quella mattina si alzò simbolicamente presto, sgambettando a piedi nudi stretto
nel suo pigiamino verde verso l’angolo cottura, trovando la sua bella tazza con
la volpe già pronta per essere riempita con il latte caldo, la scatola dei
cereali al miele accanto ed il cucchiaio già in posizione per tuffarsi.
«’giorno, Der» spiaccicò con la bocca ancora impastata dal sonno, strofinando
con un pugnetto chiuso un occhio.
«Buongiorno,
piccola volpe» lo salutò il lupo mannaro con il solito calore controllato,
chiudendo il rubinetto ed asciugandosi le mani con un asciugamano.
Stiles gli
sorrise pienamente con quell’affettuosità bambinesca che l’investiva in pieno
ed il licantropo si apprestò ad avvicinarsi, prendendolo di peso ed issandolo,
scaturendo una risata deliziata nel cucciolo e Derek non riuscì affatto a
trattenersi dal riempirgli il viso di baci, volendo far perdurare quel suono
cristallino ed autentico per un lasso temporale più duraturo.
«Hai
dormito bene?» domandò il padrone di casa tra una risatina e l’altra della
volpe, mordendogli il naso per scherzo.
«Sì» affermò Stiles con convinzione, sorridendo
spensierato ed abbracciandolo di riflesso.
Derek gli
schioccò un bacio su una tempia, massaggiandogli la schiena e procedendo per
farlo accomodare al posto designato, davanti alla sua tazza accuratamente
scelta. Sì, Stiles cadeva in un sonno profondo quando la creatura della notte
restava con lui, nessun incubo, nessun turbamento, non si agitava nemmeno,
rimaneva perfettamente accoccolato contro di lui e respirava tranquillamente.
Era uno dei tanti fattori per cui alla fine Derek finiva sempre per rimanere la
notte in sua compagnia.
La cascata
di cereali mattutina nel latte bollente diede ufficialmente via alla giornata
ed il portellone scorrevole fu aperto, presentando le due figure femminili che
fin troppo spesso si invitavano senza autorizzazione.
«Allie!» esclamò il cucciolo d’uomo d’impeto, abbandonando
la sua posata e precipitandosi scalzo davanti alla cacciatrice, che lo agguantò
immediatamente, ruotando insieme a lui in una giravolta.
«Ciao, bel
Cappuccetto Rosso» lo salutò amorevolmente la mora, dondolandolo leggermente.
La risatina
gioiosa del bambino riecheggio e le iridi d’ambrosia si posarono su quelle
verdi, ma erano di un verde diverso da quello di Derek. «Ciao, Lyds».
La bionda
fragola si immobilizzò su posto, sgomenta e spiazzata. Fino a quel momento non
si era mai mosso nella sua direzione volontariamente, anche con il semplice
saluto; doveva tutto far parte di un grande gruppo che lo rassicurava e che
includeva Lydia nella cerchia, soltanto sotto quella luce Stiles si apriva con
lei, lasciandosi andare ed includendola nel suo gioco. Avere un rapporto con
Stiles era complicato, si procedeva in punta di piedi, non si potevano
commettere errori ed aveva bisogno della certezza, che il suo bel lupo gli
dava, che quelle con cui si relazionava fossero delle persone buone. Esitava,
studiava tutto ciò che lo circondava e soltanto in un successivo momento dava
il suo benestare. Nessuno doveva compiere un passo falso, si chiedeva se
valesse anche per Derek. «Ciao, Stiles» curvò le labbra verso l’alto con
complicità, scompigliandogli benevolmente le ciocche castane ed il figlio dello
sceriffo si illuminò di felicità. Stava bene, era in pace ed in buona compagnia
e tutto quello che voleva quel piccolo fagotto erano soltanto delle persone che
nutrissero amore per lui.
Vuoi soltanto amore, vero, Stiles? Autentico e sconfinato amore.
«Allora,
cosa vuol fare quest’oggi il nostro ometto?» domandò la cacciatrice con
allegria, strizzandogli un occhiolino e facendogli presente che avrebbe
partecipato a tutte le sue marachelle e strambe idee.
Derek non
udì la risposta affaccendato com’era a rimettere tutto a posto e prendere ciò
che gli sarebbe servito quel giorno. «Prima deve terminare di mangiare. Se il
latte diventa troppo freddo, dovrete scaldarglielo, gli piace bollente e per
pranzo non preparategli qualcosa di troppo complicato, preferisce la semplicità
e niente patatine fritte per nessun motivo».
«Oh» soffiò rammaricata Allison, arricciando le
labbra verso il basso e cullando lievemente il bambino dentro il suo pigiamino
preferito che andava cambiato. «Questo lupo cattivo vuole privarci di tutte le
cose buone» Stiles ridacchiò al suo broncio e le schioccò un bacio innocente su
una guancia, un premio di consolazione.
Allison gli
sorrise complice e lo abbracciò ancora di più in segno di apprezzamento. Stiles
era un bambino allegro a discapito di come si era presentato la prima volta,
era loro dovere e responsabilità proteggere quell’innocenza candida che il Nemeton aveva in tutti i modi cercato di ridonargli.
«Nessuna
obiezione» ordinò loro la creatura della notte e la cacciatrice mimò un rigido
saluto militare che non andò a colpo sicuro, ma quello accresceva l’ilarità del
pargoletto.
Soltanto
quando Derek procedette davanti alla porta di ferro lasciata per metà aperta,
con la sua giacca di pelle dietro, Stiles si rese conto di cosa stesse
accadendo. «Vai via?».
Derek si
piantò sul posto e dalla voce abbassata di un’ottava del figlio dello sceriffo,
quel turbamento che sfociò in un baleno, si rese conto che non tutto sarebbe
andato liscio come l’olio. «Ho alcune commissioni da sbrigare».
«Non posso
venire con te?» chiese Stiles di getto, comunicando ad Allison con i gesti di
metterlo giù, potendosi nuovamente muovere liberamente.
«Questa
volta no» proferì Derek in risposta, non scomponendosi in alcuna maniera.
Stiles
rimase fermo al centro del monolocale, lasciando le due ragazze alle spalle e
guardando il licantropo con occhi bassi; non era esattamente il modo migliore
di andar via.
«Mancherò
soltanto per alcune ore e qui ci sono Allison e Lydia che si prenderanno cura
di te» era l’unica soluzione che avesse escogitato, l’unica che gli permettesse
di allontanarsi e sperare che non accadessero disastri, affidandolo all’unica
persona dopo di lui di cui Stiles si fidasse. La cacciatrice era la persona
migliore a cui permettere di accudirlo.
Stiles non
emise un fiato, un rantolo d’ossigeno, l’osservò soltanto con le sue enormi
iridi dorate, la tristezza e la forma di abbandono che sentiva crescere
nefaste, senza controllo, senza ragione; ma la ragione c’era, Derek lo sapeva
bene. «Devi proprio?».
Se Derek
avesse avuto un cuore che potesse distruggersi, si sarebbe infranto in
quell’istante, al suono della voce arrendevole e carica di desolazione del
bambino per cui avrebbe combattuto in eterno. «Ehy,
Stiles» chiamò con profondità, inginocchiandosi davanti a lui e portandosi alla
sua altezza. «Lo sai chi sei?».
Il cucciolo
d’uomo lo guardò con le gemme giganti, un punto interrogativo stampato su tutto
il viso ed un cenno negativo del capo che gli comunicava la sua confusione.
Derek si
liberò in un sorriso caldo e pieno di tutte le risposte di cui il cinquenne
necessitava. «Sei la mia piccola bella volpe» gli annunciò in un grande segreto
che era stato appena svelato, quasi in una dichiarazione d’amore,
accarezzandogli il setto nasale con il dorso delle dita in una carezza di
velluto e piume d’oca. «La mia piccola bella volpe furba e tornerò presto da
te».
Stiles lo
guardò incantato, ammaliato ed attonito, con quell’incredulità crescente che
gli riempiva il petto e trasmetteva più di quanto detto. Gli gettò le braccine
al collo e lo strinse fortemente a sé, con un piccolo singhiozzo che sfuggì al
suo controllo senza remore.
Era la
prima volta che Derek si allontanava da lui da quando l’aveva incontrato in
quelle fattezze delicate; non si erano mai separati, non erano mai stati in
stanze diverse e non c’erano mai stati muri che potessero imporsi tra loro,
impedendo la visuale e qualsiasi tipo di contatto fisico o visivo. Stiles non
era mai stato con nessun altro se Derek non era nei dintorni ed in quel momento
non solo il mutaforma non sarebbe stato nello stesso edificio, ma sarebbe stato
distante, a dedicarsi a qualcosa di importante, lasciandolo alla mercé di due
figure che Stiles non riconosceva al cento per cento. «Tornerò da te» ripeté la
creatura della notte in una promessa solenne, ricambiando la presa e
trattenendolo per le braccia mentre si rimetteva in piedi, dondolando sul posto
per calmarlo e fargli sentire meglio la sua presenza. «Non andrò mai via senza
di te» non quando si trovava in quella veste.
Avrebbe
dovuto dirgli parole simili prima che lo Stiles diciasettenne preferisse andare
dal Nemeton che fidarsi di lui?
Avrebbe
dovuto dirgli esattamente quelle parole prima della partenza, promettersi a lui
e comunicargli che non sarebbe stato a lungo lontano? Anche se non era vero,
anche se non le aveva ancora pensate e gli venivano alla mente soltanto in
quell’istante? Avrebbe potuto provare a mentirgli, anche se Stiles sapeva
esattamente come smascherarlo; avrebbe fatto la differenza? Stiles sarebbe
stato ancora con lui?
Il bambino
singhiozzò per una seconda volta e Derek gli regalò un tenero bacio su una
palpebra serrata, inspirando il suo odore pulito e con l’ansia stagnante. «Ti
voglio bene, Derek».
«Anch’io,
Stiles. Tanto» dichiarò inequivocabile, accarezzandogli uno zigomo e
continuando a dargli ciò che chiedeva disperatamente. «Non immagini nemmeno
quanto».
Dall’abbraccio
sconfinato e prepotente che Stiles gli diede, Derek capì che non voleva in
alcun modo farlo allontanare da sé.
Tutti in
quel branco e fuori erano convinti che la soluzione al problema fosse proprio
lui, ma Derek non riusciva a capire come avrebbe potuto spezzare la malia e far
tornare Stiles tra loro, ridonargli la vita che gli spettava di diritto.
Aveva
passato tutto il giorno con Deaton a cercare un
rimedio, a sfogliare libri di ogni genere e Derek aveva cercato di recuperare
quei pochi volumi che l’incendio non si era portato via, ma non erano riusciti
a trovare un solo indizio, una mezza traccia, una singola parola che
annunciasse o trattasse quello che era capitato all’umano.
Non c’era
nulla.
«Come l’ha
presa?» gli domandò il veterinario, mentre sfogliava un volume particolarmente
polveroso e dalla lingua a lui sconosciuta.
Non era
difficile capire a chi si stesse riferendo, nella vita del mannaro giunti a
quel punto c’era spazio per un’unica persona. «Ha quasi pianto» e quell’aspetto
non lo tranquillizzava affatto.
«Potevi
portarlo qui» gli riferì il druido perfettamente composto, non lasciando
trasparire alcun tipo di emozione.
Un
sopracciglio di Derek si arcuò forzatamente, quasi a sfiorare la radice dei
capelli, osservando attorno a lui quel luogo pieno di attrezzi taglienti ed
appuntiti, pasticche di ogni tipo ed uno sconsiderato numero di provette
misteriose, con etichette bizzarre, insieme alla moltitudine di libri pieni di
acari e che tendevano a tingere le dita di nero. «Non è il posto adatto a lui»
era sconsigliato per la sua goffaggine di diciasettenne, infilando il muso
ovunque, figurarsi a cinque anni che non era in grado di fermarlo nessuno.
«Devi
capire una cosa, Derek» proferì l’uomo dalla pelle più scura, girando una nuova
pagina ed esaminando con gli occhi attenti ciò che gli si parava dinnanzi. «In
questo momento Stiles dipende da te, ha scelto te, senza di te non può muovere
un passo, separarvi non è la scelta migliore».
Tradotto in
parole elementari: era stata una pessima idea ed aveva commesso un errore
magistrale. «Non sto sparendo, non sto andando dall’altra parte del mondo, sto
soltanto cercando una soluzione».
«Non
troveremo niente in questi vecchi libri» dichiarò Deaton,
sbattendo una mano su un foglio di carta ed alzando la nuvola di polvere grigia
che vi era rinchiusa. «Quello che gli è successo è strettamente collegato a
lui, a te» chiuse il tomo scatenando un’altra ondata scura e se Derek non
avesse avuto dei polmoni d’acciaio, avrebbe cominciato a tossire da minuti
interi. Era stata la scelta più saggia non portarsi Stiles dietro. «A voi».
Era facile
per tutti loro sparare sentenze, rimettere tutto nelle sue mani e lasciare che
se ne occupasse lui, che si spremesse le meningi e con un tocco di bacchetta
magica riportasse tutto esattamente all’origine, riportasse Stiles all’istante
in cui gli aveva irrimediabilmente spezzato il cuore. L’attimo in cui l’aveva
visto sgretolarsi per sempre. «E se non volesse tornare?» poteva fargliene una
colpa? Avrebbe desiderato la stessa cosa.
«Potrebbe
volerlo» affermò nel silenzio saturo, in quella penombra che annunciava il
calare dell’astro di Apollo e l’arrivo prossimo del tramonto, tingendo le
pareti di rosso fuoco. «Ma credi davvero che una volta che hai preso la
decisione di restare, per Stiles non conti nulla?».
Derek lo
fissò nel mutismo, tutto l’insieme che ognuno del branco continuava a
ripetergli come un mantra, per renderlo indimenticabile nella sua mente che non
riusciva ad accettare quelle parole. Quel gruppo scapestrato sembrava saperne
più di lui, ma in realtà non conoscevano nulla di loro due.
«Devi
fargli tornare la voglia di appartenere a questo tempo» gli confidò il druido
con cautela, ma con quell’imposizione da vecchio saggio che tutto vedeva e
tutto sapeva. «Devi dimostrargli che lo vuoi con te».
Erano solo
accurate e belle parole, Derek in ogni attimo di ogni giorno cercava di rendere
evidente quanto rivolesse Stiles nella sua vita, ma non otteneva alcun
risultato.
Il
cellulare prese a squillare ininterrottamente, con insistenza e pressione,
vibrando sconclusionatamente e con impeto, richiamando disperatamente
l’attenzione del lupo mannaro.
Derek non
era un grande amante di quegli oggetti tecnologici e lo incendiò con lo
sguardo, ma non ottenne un istante di tregua e fu costretto a rispondere,
premendo sullo schermo l’icona verde. Non riuscì a mettere in fila una sola
lettera perché un affanno impetuoso si abbatté sull’altoparlante, accompagnato
da un respiro pesante e per nulla segno di buone novelle. «Non riusciamo a
trovarlo».
Quell’unica
frase fu tutto quello che riuscì a udire, con il tremore dalla voce femminile e
la preoccupazione, i tacchi frenetici che si abbattevano sul pavimento ed il
fiatone che non poteva essere nascosto. Era un déjà-vu, un tremendo déjà-vu.
«Chi non riuscite a trovare?» Derek sperava seriamente che gli stesso giocando
un brutto scherzo.
«L’abbiamo cercato dappertutto» tergiversò la
cacciatrice, il tono vocale spezzato ed un groppo in gola a impedirle di
deglutire, la corsa che diveniva più assordante e veloce, procedendo senza meta
e con il panico come unico condottiero. «Stiles… Stiles è sparito».
Non
è un mistero che tutti all’interno di questa storia conoscano i reali sentimenti
di Stiles e Derek, più quelli di Stiles, e che vengano esternati da più voci,
una con una motivazione ben diversa; ognuno di loro ha chiaro determinate cose
che cercano di far comprendere a Derek, anche se Derek non è che ne sia proprio
all’oscuro.
Il
rapporto con il nostro lupo e il piccolo Stiles è intenso, cresce sempre di più
ed è chiaro quanto per Derek sia vitale, ma allo stesso tempo non può fare a
meno di volere lo Stiles adolescente nella sua vita.
Qui
per la prima volta abbiamo un distacco totale tra i due e Stiles non la prende
proprio benissimo, tanto che il licantropo ne conosce quasi immediatamente le
conseguenze, ma sarà davvero quella la motivazione?
«Come può
essere sparito?» Derek non poteva crederci, non poteva sentire che la storia si
stesse ripetendo dopo nemmeno due settimane.
«L’abbiamo perso
di vista» proferì Allison con un magone in gola, la voce tirata. «Stava
giocando con il suo nuovo puzzle e ci siamo distratte un momento. È così
tranquillo quando deve risolvere i suoi rompicapi e poi non c’era più».
Non c’era più. Come
potevano non essersi accorte che un bambino di cinque anni stava levando le
tende? «Era sotto la tua responsabilità, cacciatrice».
Allison
sentì tutto il suo risentimento, la sua rabbia, il modo dispregiativo con cui
aveva dato fiato all’ultima articolazione. «Non può essere andato così
lontano».
«Lo
sottovaluti» tuonò il lupo mannaro, i lampi azzurri che sfociavano nelle iridi
di giada.
«Ha cinque
anni, Derek» lo fece ragionare la mora, voltando la testa da un lato all’altro
e lanciando un segno alla banshee che non aveva smesso di cercare. «È a piedi,
da solo, dove potrebbe andare?».
Derek era
sempre più convinto di avere a che fare con degli incapaci. «Dove potrebbe
andare? L’unica cosa che guida quel bambino è il Nemeton
e tu l’hai perso».
Un silenzio
istantaneo cadde dalla linea telefonica e tutto ciò che il mutaforma udiva era
il respiro rarefatto della ragazza. «Andremo lì».
«No, io
andrò lì» la fermò immediatamente l’uomo, ringhiando e mostrando dei denti che
non poteva vedere, ma era in grado di immaginarli molto dettagliatamente. «Voi
tornate al loft e non muovetevi».
Interruppe
la chiamata con sgarbo, rischiando di distruggere lo smartphone per quanto lo
stringesse forte e trattenendo il ruggito che gli graffiava la trachea.
Deaton era rimasto nel suo mutismo controllato per
tutto il tempo della telefonata, scrutando attentamente lo svolgersi della
conversazione ed osservando Derek cambiare al suono di ogni vocabolo. «Devi
andare a prenderlo».
Non aveva
bisogno che quel veterinario da quattro soldi gli dicesse cosa fare, come se
avesse davvero bisogno di quel suggerimento per muoversi ed andare a cercarlo;
era implicito che sarebbe uscito di lì come una furia, dirigendosi verso le
radici maledette di un albero ormai scomparso da anni. «È il tuo modo per dirmi
te l’avevo detto?».
«Separarti
da Stiles non è mai stata una buona idea» suonava con un aspetto più ampio,
riecheggiante, che ridondava dal passato ed il suo eco perdurava fino a
quell’istante. Era una verità che si sposava con ogni azione di Derek. «In
questo momento lo è ancora di più. È la tua ombra e tutto ciò che fai si
ripercuote su di lui. Per Stiles, adesso, sei tutto ciò che di più importante
ha».
Derek in questo momento è tutto il suo mondo, erano quelle le parole che Isaac aveva usato, esprimendo qualcosa di
forte, qualcosa di veritiero che non poteva essere negato, ma l’Alpha perduto
non poteva ancora saperlo, non poteva crederlo reale. Non riusciva ancora a
capacitarsi di come fosse possibile che Stiles, il piccolo indifeso Stiles di
cinque anni, avesse scelto lui tra tutte le opportunità che aveva a
disposizione; un uomo che non aveva mai visto.
Il lupo
mannaro si limitò a guardarlo storto, senza ribattere in alcun modo, benché
fosse chiaro il suo astio, e filò via di gran carriera, sbattendo la porta e
lasciando risuonare agitatamente il campanello sistemato sopra di essa, che
segnalava l’arrivo di un nuovo cliente.
Risuonò
tanto selvaggiamente che sbatté contro il muro varie volte e perdurò per un
tempo illimitato.
Sfrecciò
come un folle per le strade di Beacon Hills, bruciando i semafori, non
fermandosi a nessuno stop e lasciando ruggire il motore; in quel momento di
rispettare il codice stradale non gli importava affatto.
Abbandonò
l’auto senza curarsene minimamente ai piedi del bosco, correndo verso il punto
in cui aveva trovato Stiles la prima volta ed incontrando il vuoto.
Derek
rimase spiazzato per un lungo primo momento, i sensi assordati e bloccati, le
iridi incredule che vedevano il nulla. Eppure il suo
olfatto lo percepiva, sapeva che fosse lì, non potevano essere le precedenti
tracce, quelle di quattordici giorni prima. Dio,
sperava che non fossero quelle, che il suo istinto fosse andato oltre, cercando
il fagotto prezioso che gli avevano perso e non il ragazzo diciassettenne che
era stato ingoiato da quella malia.
Derek era
sicuro che in qualche modo il cucciolo d’uomo fosse stato attratto dal richiamo
del Nemeton, da qualcosa che era scattato e che
l’aveva indotto ad abbandonare il posto sicuro in cui era per raggiungerlo.
Esisteva una motivazione particolare? Perché era scattato proprio in
quell’istante, nell’unico momento in cui lui si era allontano? Derek era
completamente in alto mare, non sapeva a cosa avrebbe dovuto pensare prima, ma
soprattutto non sapeva come avrebbe fatto a trovare le radici di un albero di
cui ignorava la collocazione. Nessuno del branco era più stato in grado di
trovarlo dopo che Stiles era riuscito a trarre in salvo tutti gli adulti che vi
erano prigionieri, guidato dalla mappa mentale che il suo sacrificio gli aveva
concesso. Ma poi si era cancellata, sia nell’umano, in Scott e nella
cacciatrice e non erano più stati capaci di ripercorrere le loro impronte.
Eccetto un recente Stiles guidato dall’incanto. Derek non poteva credere di
trovarsi al centro di una radura e non sapere come muoversi, non avere
completamente la vaga idea di come orientarsi per agguantare il bambino e
riportarlo a casa.
Nell’attimo
in cui espresse il desiderio di riaverlo con sé, Stiles si materializzò ai
piedi del bosco, sbucando dalla vegetazione a piccoli passi ed emergendo
illuminato dai raggi lunari.
Non era
cambiato nulla. Né una nuova forma né quella vecchia da diciasettenne, era
semplicemente e candidamente il bambino che stava cercando; quello timido,
diffidente, logorroico e con fin troppi pensieri per la testa, talmente arguto
da preoccuparlo. «Stiles».
Gli occhi
d’ambrosia brillarono nell’oscurità calante, il viso si alzò verso l’alto, incitato
da quel richiamo e l’attenzione si catalizzò sul lupo. Apparivano distanti,
offuscati, esattamente come lo erano stati quelli dello Stiles adolescente,
lontani e adombrati, con la mente altrove e l’esistenza esclusiva della
tangibilità del suo corpo.
Il tenero
Stiles, la sua piccola volpe, era stato calamitato dal potere che il Nemeton aveva su di lui.
«Perché mi
fai questo?» domandò Derek con la rabbia crescente che l’aveva accompagnato
dalla telefonata con la cacciatrice, le sue notizie di malaugurio e
l’incapacità di portare a termine un compito semplice. «Perché mi stai punendo
in questo modo?».
Stiles lo
guardò per un attimo assente e poi emerse il caramello autentico delle sue
iridi, quelle attente, quelle consapevoli di chi fosse e avesse davanti. Quelle
che riuscivano a vederlo. «Derek».
Non era il
suo Stiles diciasettenne, quello che l’amava con tutto se
stesso, era la sua piccola volpe che gli voleva un bene dell’anima, la sua
unica guida in quel mondo che gli appariva estraneo e nemico. «Lo sai cosa
significa sparire? Cosa significa per me vederti sparire?» gli urlò contro il
licantropo, furioso, baritonale e con i denti stretti, le scintille blu
elettrico nelle gemme di smeraldo che si mostravano ad intermittenza,
controllandole con grande fatica.
Stiles
quasi inciampò sui suoi stessi piedi, gli occhi sgranati ed interdetti,
immobile su quei passi che l’avevano condotto lontano dalla boscaglia, davanti
alla vista del licantropo, sotto la luce dell’unico satellite della Terra. Non
proferì parola e Derek sapeva che era un cattivo segno.
«Stiles»
era sull’attenti, un soldatino perfettamente addestrato, consapevole che di lì
a poco si sarebbe abbattuta una tempesta senza controllo. «Non devi farlo mai
più» il mutaforma lo prese di peso, accostandolo al fianco, tenendolo stretto
con un braccio, mentre con l’altro tentava di togliere tutta la polvere di
terriccio che aveva addosso, impiastricciandogli persino il viso. «Non
allontanarti mai più. Non scappare mai più».
Le iridi
d’ambrosia si inumidirono ed il labbro inferiore tremò. «Mi dispiace».
Era una
voce rotta, confusa, provata e che non riusciva a capire appieno cosa le stesse
capitando intorno. Tutto quello che Derek riuscì a fare fu premerlo ancora più
forte contro di sé, affondare il naso tra i capelli sottili e castani della
creaturina che teneva tra gli arti superiori ed il cuore che cominciava a
rallentare lentamente dopo lo spavento. «Sei la persona più importante per me,
Stiles».
Il
corpicino fu scosso dai singhiozzi ed il bambino inspirò pesantemente dalle
narici. «Scusa» proferì come un frammento di vetro incastrato nella trachea, la
consapevolezza di aver recato del dolore a colui che non smetteva di prendersi
cura della sua persona, delle rogne e seccature che continuava a dargli. «C’era
questo canto, mi faceva male alle orecchie, non riuscivo a farlo smettere».
Il canto. Derek si
scosse leggermente dalla testolina, voltando la propria nella direzione da cui
il cucciolo d’uomo era provenuto, continuando ad incontrare un sentiero che mai
gli sarebbe stato permesso di individuare, di percorrere. «Lo senti ancora il
canto?».
«No» disse il figlio dello sceriffo dopo un attimo di
dubbio, come se l’avesse notato solo in quel momento, facendo mente locale e
rendendosi conto che il suono che gli bucava i timpani si era esaurito. «È
finito».
Era finito
davvero? «Chi cantava?».
Stiles alzò
il viso per la prima volta da quando il mannaro l’aveva catturato tra le
braccia, fissandolo come se avesse detto qualcosa di pazzesco ed inconcepibile.
«Non lo so».
Stiles
semplicemente non aveva idea con chi o cosa avesse a che fare. «Perché pensi
abbia smesso di cantare?» Derek si chiedeva che tipo di litania fosse.
«Mh» Derek lo vide spremersi le meningi, concentrarsi e
corrugare la piccola fronte. «Sono arrivato e ha smesso».
Bastava
così poco? Serviva soltanto quello? «Perché stava cantando? Voleva qualcosa da
te?».
Stiles
contrasse gli occhi, come se tentasse di recuperare la memoria, dare un senso
alle domande che Derek con moderazione e con gli intervalli giusti gli poneva.
«Non lo so, non mi ricordo».
Era così
che funzionava? Il Nemeton l’attirava a sé e Stiles
doveva correre senza nemmeno sapere il perché, togliendogli perfino i ricordi
di ciò che era avvenuto? «L’hai sentito altre volte?».
«No» scosse negativamente il capo ad accompagnare la
risposta.
No, forse lo
Stiles di cinque anni non l’aveva ancora sentito, non era stato acchiappato ed
imprigionato da quella cantilena che l’attirava a sé senza riguardo per
nessuno, nemmeno per Stiles stesso. Ma lo Stiles di diciassette anni l’aveva
sentito eccome e si era volatilizzato.
Possibile
che il Nemeton l’avesse richiamato a sé dopo la
maledizione che gli aveva scagliato contro perché aveva attivato un nuovo
processo? «Stiles, la prossima volta che sentirai di nuovo questo canto, non
andare via da solo. Informami o informa chiunque sia con te ed andremo dove ci
dirai di andare».
Gli occhi
spalancati di Stiles si rimostrarono, ancora liquidi e pieni di sensi di colpa,
ma Derek non voleva vederli così, non voleva mai vederli sofferenti. «Scusami
tanto, Der».
Derek lo
circondò meglio con gli arti lunghi, accarezzandogli la schiena con tutta la
dolcezza, l’intenzionalità di calmarlo e rassicurarlo, schioccandogli un bacio
pieno di premura sulla fronte aperta. «Non importa, stai bene».
Proteggere
quel bambino era la missione della sua vita e non avrebbe permesso che gli
venisse strappato nuovamente.
Stiles
cadde in una fase di mutismo perpetuo e Derek era troppo fuori di sé per
incitarlo a parlare, a tirar fuori ciò che aveva dentro; tutto quello che
doveva fare era rimanere vigile, tenere gli occhi sulla strada e non strappare
il volante come aveva voluto fare un’ora prima. Quando finalmente entrarono al
loft le cose non erano cambiate.
Ad attenderli,
come gli aveva espressamente consigliato, vi erano le due ragazze, la bionda
fragola che sedeva apparentemente tranquilla sul divano e la cacciatrice che si
aggirava per il monolocale agitata e nervosa.
Il
portellone scorrevole fu aperto ed entrambe si voltarono nella direzione da cui
proveniva il rumore metallico e strisciante, saltando in aria speranzose.
«Stiles!» esclamarono all’unisono, precipitandosi verso il bambino ed
accerchiandolo velocemente. «Stai bene? Sei tutto intero?» non dovevano nemmeno
porgliele certe domande, stavano testando di mano propria in che condizione
fosse la creaturina, se avesse ferite o se apparisse spaventata e provata
dall’esperienza che aveva vissuto.
Derek non
ci stava affatto. «Era tuo compito, vostro compito, provvedere a lui ed invece
siete riuscite a perderlo. Dentro casa».
Allison
tentò di reggere bene il colpo. «Mi dispiace, Derek. Ci siamo distratte un
attimo e…».
«Vi siete
distratte? È l’unica giustificazione che hai?» la voce alta riecheggiò per
l’unica immensa camera, il disprezzo che in quel momento sfociava a fiumi e
l’ira che non poteva trattenere in alcun modo. «È un bambino, Allison. Un
bambino. Non devi togliergli mai gli occhi di dosso» era già impensabile farlo
con il sopraggiungimento prossimo dell’età adulta, ma in quelle fattezze non
era minimamente discutibile. «Non ha diciasettenne anni, non è quello a cui
siete abituate. Non sa gestirsi da solo, non deve nemmeno farlo. Dovevate
soltanto tenerlo d’occhio».
«Non
gettarci addosso i tuoi sensi di colpa» graffiò senza pietà la banshee, stanca
di venire attaccata ed ancora di più sull’insistenza di Derek di abbattersi su
Allison. Lupo e cacciatrice, certi aspetti non cambiavano mai.
All’improvviso
i suoni si cancellarono dal loft ed una pesante aria cadde su di loro.
«Vuoi
giocare, banshee?» il tono vocale del mutaforma era di un’incandescente lama
che affondava imperterrita.
«Ragazzi,
per favore» la mora si pose in mezzo, cercando di addolcire la pillola e non
farli scattare come bestie che si sarebbero distrutte. Era preoccupata, non
tanto per quei due, ma per come avrebbe reagito Stiles che li fissava dal
centro della stanza, senza sapere cosa dire e somatizzando tutto ciò che vedeva
ed udiva.
«Non ci
saremmo mai dovuti preoccupare di lui in questo modo» disse la bionda fragola
indispettita, le fiamme che ardevano nelle iridi di smeraldo. «È in queste
condizioni a causa tua, perché tu hai preferito anteporre te stesso a lui,
quando per una volta nella tua miserabile vita potevi scegliere il bene di
qualcun altro. Ma no, tu hai deciso di lasciarlo. Hai deciso perfino di non
metterlo al corrente, tutto questo perché non potevi confessargli che lo amavi
anche tu».
«Lydia» la
sgridò a chiare lettere la cacciatrice, alzando il tono vocale ed assestandole
uno sguardo di ammonimento.
Ma era
troppo tardi, Derek si era irrigidito, indurito per una verità non espressa e
non ancora confermata che gli veniva sbattuta in faccia e Stiles aveva
cominciato a piangere incontrollatamente. «Per favore, smettetela. Non
arrabbiarti con loro, Derek. È colpa mia».
Stiles era
esploso, si era spezzato più di quanto ad un bambino di qualsiasi età potesse
accadere e lo stesso senso di inadeguatezza, di aver commesso un errore fatale,
la parola o gesto sbagliato, si ripercuoteva su di lui, esattamente come
capitava allo Stiles diciassettenne che sapeva mascherarlo bene ed al lupo
dalle iridi di ghiaccio.
«Stiles»
Allison provò a chiamarlo senza risultato, vedendolo sparire in un attimo dalla
loro vista, nascondendosi ai loro occhi e giudizi, dal litigio incomprensibile
alle sue orecchie che i tre stavano portando avanti.
Le loro
cattive azioni avevano commesso un enorme danno.
L’immobilità
nel monolocale perdurò per attimi interminabili, cristallizzati ed infiniti.
Perfino il respiro appariva congelato.
Allison
indirizzò un segno eloquente alla banshee che la esortasse ad allontanarsi ed
uscire dall’appartamento, antecedendo ad una catastrofe che aveva previsto nel
momento in cui Derek e Lydia sarebbe ritornati padroni di loro stessi. La rossa
si mobilitò controvoglia ed ancora combattiva.
La
cacciatrice prese un profondo respiro, diede un’ultima occhiata in giro alla
ricerca di un bambino che non trovava, ma di cui sentiva i continui ed
interminabili singhiozzi che si bloccavano nella gola e che soffocava dietro le
manine. Perché riuscivano a distruggerlo così facilmente quando lui viveva per
proteggerli? «Mi dispiace davvero, Derek. L’hai affidato a me perché sono la
seconda persona di cui si fida di più dopo di te e ti ho deluso».
Chi
deludevano davvero era Stiles. Non riuscivano a salvaguardarlo nemmeno nel
momento in cui era maggiormente vulnerabile. «Non è colpa sua» proferì Derek
profondamente e conscio del significato di quelle parole. «Il Nemeton l’ha chiamato a sé» e continuavano ad essere
sprovvisti della motivazione che muovesse i fili di quegli strambi eventi
incomprensibili.
Derek
benediva la struttura del suo appartamento, nessun numero sproporzionato di
camere, nessuna tipologia di porta che poteva essere sigillata ed a cui non
avrebbe avuto accesso, che non poteva nemmeno essere sbattuta per comunicare
dissenso e rabbia. Nessun posto dove andarsi a rintanare dopo che si aveva
subito un brutto colpo.
Stiles
l’avrebbe fatto, si sarebbe nascosto da qualche parte, girando la chiave e
bloccando la serratura, continuando a piangere.
In verità,
l’aveva fatto.
Nel momento
in cui il monolocale si era svuotato e le voci erano sparite, tutto ciò che era
rimasto era l’odore salmastro delle lacrime del bambino, i gemiti ed i singhiozzi,
il continuare ad inspirare profondamente dal naso provocando rumore. Derek
aveva provato a riprendere il controllo di sé e ad avvicinarsi per calmarlo,
confortarlo, dirgli esplicitamente che non era minimamente colpa sua, ma lo
sguardo che Stiles gli aveva rivolto era spietato, bruciante, pieno d’acqua, ma
devastante. Gli aveva urlato contro di rimando ed era scappato via, chiudendosi
nel bagno.
Ecco,
quella possibilità non l’aveva presa in considerazione; per quanto in passato,
al loro primo approccio, il cucciolo d’uomo si fosse dimostrato fin troppo in
sintonia nel far scattare una serratura a cinque anni, Derek aveva dimenticato
che effettivamente una stanza in cui chiudersi nel suo appartamento da una sola
immensa camera esisteva. Stiles aveva ragionato immediatamente sull’aspetto.
La creatura
della notte sapeva che non poteva seguirlo, che non poteva semplicemente
abbattere la porta anche se ne aveva le capacità; tutto ciò che gli rimaneva da
fare era sedersi sul pavimento, accostare la schiena al muro accanto all’unica
uscita ed attendere.
Attendere
con il piagnisteo di Stiles che non si arrestava e che gli lacerava i timpani.
Lo Stiles adolescente
non piangeva mai, non mostrava in che condizioni in realtà fosse, quanto
venisse turbato da ciò che gli accadeva intorno, quanto male le persone a lui
più vicine gli arrecassero. Stava in silenzio, stringeva i denti, riempiva il
vuoto con la sua voce risonante ed a tratti acuta, ma profonda nella maggior
parte del tempo, permettendo che l’attenzione che potesse concentrarsi su di
lui venisse dirottata. Rimaneva in un angolo oscuro e nascosto nel suo privato,
non dando accesso a nessuno. Per quanto le iridi fossero spesso liquide e
pronte a trasformarsi in gocce di sale, Stiles non permetteva mai che
scivolassero via. Se non in casi estremi quando lo pregava disperatamente.
Era da
quelle rarissime stille d’acqua autentiche che Derek veniva risvegliato e
portato a credere ciecamente in lui, mobilitandosi per fargli ottenere ciò che
il terrore della perdita esigeva indietro, esattamente com’era accaduto con il
Darach.
Il Darach, l’inizio
della fine a cui Derek aveva dato il colpo di grazia.
Gli ingranaggi
della serratura scattarono ed uno Stiles stremato varcò la soglia, un pugnetto
a strofinarsi un occhio e l’altro a tirare verso il basso la maglia ancora
sporca di terriccio.
Derek
trattenne il fiato quasi a non volersi far notare, ma la sua presenza era
evidente ed il figlio dello sceriffo si voltò nella sua direzione alcuni attimi
dopo, mostrandogli gli occhi rossi dal pianto. Lo Stiles diciasettenne non
piangeva, ma se non poteva permetterselo a cinque anni, quali altre occasioni
avrebbe avuto? «Sei ancora arrabbiato?».
Gli
chiedeva se fosse arrabbiato, lui? Quello più arrabbiato tra tutti era Stiles
stesso. «Non lo sono con te».
Il bambino
lo fissò a disagio, indeciso e leggermente ferito. «Voglio bene ad Allison».
«Lo so»
certo che le voleva bene, era stata la figura più vicina ad una mamma e la
migliore compagna di giochi che avesse mai potuto avere in quella situazione
bizzarra.
Stiles
rimase ancora sulle sue, piantato davanti all’entrata per il bagno,
l’incertezza che ancora lo accompagnava. «Non puoi perdonarla?».
«Perdonarla?»
ripeté Derek in un eco meditativo, analizzando il significato della parola.
«Non sono molto bravo a perdonare».
Gli occhi
della creatura si ingigantirono sbigottiti e le dita che prima si agitavano, si
fermarono di colpo. «Perché?».
Il mannaro
rispose con un semplice e conciso scuotimento delle spalle, non indicando
precisamente qualcosa e lasciando tutto nell’aria, ad interpretazione del suo
interlocutore. Lo Stiles adolescente sapeva bene perché fosse del tutto negato
per quel tipo di pratica.
Stiles
persistette a guardarlo nel silenzio misterioso che era calato ed improvvisò un
passo che Derek fece finta di non notare, poi ne percorse uno nuovo ed un
altro, a quel punto il lupo poteva solo aspettare che il suo piccolo inquilino
decidesse come procedere. «Non puoi perdonare nemmeno me?».
Derek si
girò di scatto, trovandolo quasi implorante ed afflitto da quella possibilità.
«Perdonarti?» lo attirò a sé e lo fece abbassare, portandoselo sulle gambe
distese. «Non hai nulla da farti perdonare» come poteva tormentarsi su
quell’aspetto? Come poteva prendersi delle colpe che non esistevano,
estendendole all’inverosimile?
«Stiles»
l’umano non era per niente persuaso ed al contrario sembrava provare maggior
dolore. Le dita di Derek gli solleticarono immediatamente una guancia sporca,
scostandogli i ciuffi ribelli che gli coprivano il visino. «Tutto quello che è
successo non è affatto colpa tua».
«Ma sono
andato via» ribatté Stiles con l’evidenza nelle parole, i fatti che si erano
susseguiti.
«Ti sei
solo allontano ed hai continuato a camminare perché non c’era nessuno che ti
fermasse» era nella natura di ogni bambino prendere il largo, sparire dalla
vista dei genitori o di chi aveva il compito di salvaguardarli; la curiosità
aveva la meglio e bastava una singola distrazione per vederli volatilizzarsi.
Con Stiles era triplicato all’infinito. Soprattutto con il Nemeton
attivo. «Non devi fare l’adulto, Stiles. Sono le persone più grandi che devono
occuparsi di te. Allison doveva soltanto stare attenta e non l’ha fatto».
«Potevo
tornare indietro» continuava a non essere convinto pienamente e Derek purtroppo
riusciva a capirlo.
«No, non
potevi» non con il Nemeton in testa che lo attirava a
sé, ammaliandolo con il suo canto ed impedendogli di compiere qualsiasi scelta
razionale. Ma Stiles non era in grado di comprenderlo.
Il cucciolo
umano ricadde in un silenzio meditativo, abbassando gli occhi e fissando un
punto a Derek estraneo, quasi cercasse di assimilare quanto detto per poi annunciare
una sua risposta. Era talmente innocente che riempiva il cuore maledetto della
creatura della notte. «E tu, Stiles, sai perdonare?».
Gli occhi
di autentico oro scattarono verso l’alto, incontrando le gemme magnetiche
dell’uomo, allargati e pieni di sorpresa. «Sì, penso di sì».
Sì, le labbra
del lupo si arricciarono automaticamente all’insù ed apparivano colme d’affetto
tenero, ma piene di rammarico. «E puoi perdonare anche me?» Stiles non era
realmente capace di perdonare, ma uno dei suoi talenti era rivalutare le
persone con cui aveva a che fare. Non comunicava a voce il suo cambiamento di
visione, ma supportava con il suo essere sarcasticamente brutale, condividendo
i suoi pensieri e ragionamenti su tutto il resto.
Il figlio
dello sceriffo sbatté le palpebre diverse volte, disorientato, estraniato da
ciò che gli veniva comunicato, dalla possibilità che gli veniva proposta e che
non afferrava in alcun modo. «Perché dovrei?».
«Potrei
aver fatto qualcosa di male» di molto male. Era stato talmente crudele da
distruggerlo, da relegarlo in quella parte di se
stesso che sarebbe dovuta essere in grado di proteggerlo ed il Nemeton aveva agito di conseguenza.
«Ma io ti
voglio bene» proferì con candore, restio a comprendere bene la situazione, un
concetto che gli era parecchio anomalo. Non vedeva alcun motivo per cui avrebbe
dovuto perdonarlo o trovarsi nel caso di non esserne in grado.
Derek
soffocò una risata amara, che uscì a metà ed il cuore arrancò un altro colpo.
«A volte non basta».
Le manine di
Stiles andarono a circondargli il volto, una per lato, risultando più piccole
di quanto Derek avesse supposto. Era tutto più grande di quanto un bambino
potesse sopportare, ma le iridi d’ambra erano inequivocabili, determinate e
piene d’amore senza necessità di compromessi. «Ti voglio bene e ti perdono».
Chi era
quella creaturina che aveva il dono di liberarlo dall’oscurità che
l’accompagnava dai suoi quindici anni, dal peccato di cui si era macchiato e
dalla devastazione che aveva portato, divenendo l’artefice della cancellazione
della sua stessa famiglia? Della sua felicità?
Derek aveva
perso tutto nella sua miserabile ed immotivata vita e Stiles, qualunque Stiles
avesse davanti, era in grado di riconsegnarglielo.
Con la
morte nel cuore si chiese se anche lo Stiles diciasettenne fosse in grado di
perdonarlo.
Era passata
un’intera giornata dalla bufera targata il
ritorno del Nemeton e Derek percepiva che
qualcosa non andava per il verso giusto.
Come gli
era già capitato di notare nei giorni precedenti, Stiles si lasciava andare al
sonno con maggiore facilità e quel soggiorno si prolungava sempre un po’ di
più, cedendo al regno di Morfeo nei luoghi più disparati, finché non arrivò il
momento in cui di svegliarsi non ne voleva proprio sapere.
«Stiles, è
ora di andare dal tuo papà» Derek tentò la carta che sapeva avrebbe raccolto
maggior risultato, un appuntamento fisso che avevano quasi quotidianamente e
che faceva sentire il cucciolo umano tranquillo e con una parte della famiglia
perennemente con lui. Era necessario, era immancabile e Stiles non se lo
sarebbe perso per nessuna ragione al mondo.
Ma quella
ragione stava sorgendo.
Stiles era
crollato ai piedi del letto, lontano da qualsiasi oggetto potesse prendere il
posto di un cuscino, simularlo in qualche modo, e Derek aveva pensato che
avesse bisogno di recuperare le energie per ridursi in quello stato. Per tutto
l’arco delle ore giornaliere Stiles aveva perlopiù dormito ed il tempo dedicato
al gioco si era ridotto all’osso.
Lo scosse
leggermente, poi con maggior intenzione, ma l’unica cosa che otteneva erano dei
mormorii ed il continuare a ronfare.
Derek non
aveva molta scelta e decise di prenderlo di peso, facendogli indossare una
giacca della sua misura ed evitando di combattere con le scarpe. Non aveva nemmeno
senso cambiarlo, per tutto il giorno era rimasto dentro il suo amato pigiamino
verde pastello e non c’era stato verso di toglierlo.
Lo fece
distendere sui sedili posteriori, stando bene attento a non fargli sbattere la
testa o qualsiasi arto del corpo, procedendo adagio verso la stazione di
polizia.
«Ehy, Stiles» quando arrivarono le cose non erano cambiate
di una virgola, il tentativo di svegliarlo andò a vuoto e Derek fu costretto a
prenderlo in braccio, a stare molto più attento ad estrarlo dalla Camaro,
abbassando il sedile anteriore e spostandolo in avanti, permettendogli di avere
più spazio per prenderlo e portarlo via.
L’edificio
pieno di agenti non si sorprendeva più di vedere quasi ogni giorno il bruto
Derek Hale con un bambino al seguito, spaventosamente simile a quello che era
stato il figlio dello sceriffo nell’età infantile, trattandolo come se tra le
mani custodisse la reliquia più sacra esistente. Non appariva tanto bruto
quando era in compagnia del cucciolo tutto occhi.
Il mannaro
bussò appena alla porta della massima autorità della città per annunciarsi,
aprendola ed entrando immediatamente. «Ehy, ragazzi,
stavo cominciando a preoccuparmi» li accolse con un sorriso limpido sul viso,
la cena d’asporto che l’uomo aveva ordinato per tempo già pronta sulla
scrivania, con tutto ciò che rendeva Stiles ghiotto.
Ma quella
curva verso l’alto si spense quando Derek scosse la testa con fare negativo,
quasi avesse comunicato tutto quello che c’era dietro con la singola occhiata
che gli aveva rivolto. «Sta dormendo» disse il mannaro in una spiegazione più
eloquente, tenendo saldamente il pargolo con una mano premuta sulla schiena.
«In realtà è tutto il giorno che dorme».
«Oh» vocalizzò Noah,
aggrottando lievemente la fronte. «Potevi lasciarlo dormire e passare domani».
«No» negò con evidenza il licantropo, passando il
piccolo umano al padre che lo prese prontamente tra le braccia. «Non si sarebbe
mai perdonato di aver mancato l’appuntamento» Stiles aveva davvero bisogno di
vedere il genitore regolarmente. Sia per se stesso che
specialmente per lo sceriffo.
L’uomo di
legge comprese i pensieri del lupo e quelli intrinsechi del figlio che venivano
espressi in sua vece, annuendo in risposta ed allontanandosi di qualche passo
con il fagotto per creare una sorta di intimità tra loro. «Ehy,
volpacchiotto».
Stiles
borbottò nell’incoscienza, riproducendo versetti impastati dal sonno che non ne
voleva sapere di defilarsi e permettere quell’incontro sudato tra i due,
conducendo il bambino a lottare contro le palpebre serrate che si aprivano con
fatica. «Papà?».
«Ciao,
Stiles» lo accolse pieno d’amore familiare il capo della polizia, scuotendolo
leggermente in una danza ipnotizzante, lasciando affacciare un sorriso caloroso
ed un bacio di tenerezza su una tempia.
Il cucciolo
umano soffiò un saluto di rimando, allacciando come poteva un braccio sulle
spalle del padre, e stringendolo con le poche forze che il dormiveglia gli
permetteva. Era il suo modo di far intendere che era presente e riusciva a
percepirlo intorno a lui.
Da quel
momento Derek fu tagliato fuori.
«Hai detto
che ha dormito tutto il giorno?» chiese lo sceriffo una decina di minuti dopo,
accarezzando affettuosamente la cute della creaturina, scompigliandogli
teneramente le ciocche castane.
«Sì» affermò il mutaforma, seduto sulla sedia vicino
alla scrivania dove periodicamente rimaneva in attesa, ma che la maggior parte
delle volte lo accoglieva come ospite a trecentosessanta gradi.
«Mh» Noah scese in uno stato
meditativo, andando indietro con i ricordi e posando le labbra sulla fronte
aperta del bambino che continuava a tenere gli occhi chiusi, sconfitto nella
sua battaglia per rimanere sveglio, ma facendosi sentire attraverso mormorii
che lo tenevano legato al mondo terreno, rispondendo alla voce del padre che
interagiva con lui. «È un po’ caldo».
Le
sopracciglia della creatura della notte si rizzarono e le pupille nere si dilatarono,
irrigidendosi nella seduta composta. «Cosa vuol dire? Che ha la febbre?».
«Forse»
soppesò l’uomo di legge, poggiando a sua volta la fronte su quella del figlio,
comparando la temperatura corporea differente. «Qualche linea».
Derek
divenne una maschera di panico. «Non l’ho notato».
Lo Stiles
adolescente avrebbe adorato vederlo sfiorare l’agitazione e lo sceriffo non
riuscì a trattenere quell’inarcarsi delle labbra verso il tetto, tra un misto
di divertimento e compassione. «È normale, Derek. Avrai anche tutte le tue
abilità lupesche ad aiutarti, ad avvertirti, ma non hai mai avuto a che fare
con qualcuno che può prendersi un semplice raffreddore e cedere ad esso. E hai
anche fin troppe cose per la testa per accorgerti se la sua temperatura è cambiata,
soprattutto se lievemente».
Non era
vero, Derek non era d’accordo. «Mi accorgo di tutti i cambiamenti di Stiles»
era nato con tutti quei sensi sviluppati per un motivo e non l’avevano mai
tradito, soprattutto se riguardava Stiles. Pensare che potesse essere accaduto,
che si presentasse in qualche modo la possibilità, non lo entusiasmava in
alcuna maniera.
«Ah, ne
sono convinto» certo che sì, Derek viveva per quel bambino. E per Stiles in
ogni sua sfaccettatura.
«Cosa
dovrei fare?» il mannaro non era pienamente convinto di voler indagare su
quanto lo sguardo dello sceriffo andasse oltre le parole e le implicazioni che
il suo tono di voce consapevole gli avesse comunicato.
«Tienilo
lontano dalla corrente, se vuole dormire lascialo dormire, ma non permettere
che salti i pasti» elencò sapientemente il genitore, riportando alla mente come
ci si comportava in quelle situazioni, soprattutto avendo a che fare con un
essere così piccolo. Erano circa sette anni che non doveva più occuparsi di
Stiles sotto quell’aspetto, riusciva a cavarsela sempre autonomamente.
«Dovrebbe passare da sola, ma se peggiora o va avanti, passeremo alle maniere
forti».
Nell’inesperienza
di Derek, che tutto legava all’autoguarigione che richiedeva tempo senza dover
fare nulla – se non spezzarsi un osso di tanto in tanto per attivarla –, non
poteva far altro che affidarsi a chi ne sapeva più di lui sulle sfaccettature
da comune mortale.
«Ciao,
piccola volpe» Derek aveva realmente provato a seguire le indicazioni che gli
erano state suggerite, a lasciare che l’arco delle giornate passasse
rispettando i suoi orari sempre più lunghi di sonno, lottando per svegliarlo
ogni volta che giungeva l’ora di mangiare e tenendolo il più riparato
possibile, senza soffocarlo. Ma la temperatura corporea non scendeva ed al
contrario non faceva altro che alzarsi, gli occhi di Stiles si aprivano sempre
meno ed il respiro era arrancato e pesante. Derek vigilava su di lui come un
avvoltoio, costantemente ai piedi del letto a tenerlo d’occhio, a controllare
quanto aumentasse il calore e quanto il volto fosse rosso e pallido. Aveva
provato ad assorbire i suoi mali e il suo dolore attraverso il dono del suo
essere sovrannaturale, ma le vene non si erano mai tinte di inchiostro nero e
non era riuscito a sottrargli un solo attimo di agonia. Aveva dovuto ricorrere
ai vecchi metodi tradizionali umani, riempiendo il freezer di cubetti d’acqua
che dovevano trasformarsi in ghiaccio, svuotando il supermercato di ogni
surgelato possibile e tamponando la fronte del bambino con tutto quello che di
freddo aveva in casa. Ma non variava di un grado e Derek aveva cercato in ogni
modo di rimandare dall’informare lo sceriffo delle condizioni del figlio, ma ad
un certo punto si era visto costretto ad agire di conseguenza e correre a far
partire una chiamata.
Quando era
stato chiaro che qualunque terapia umana leggera non portasse risultati, era
intervenuto Deaton stesso, ma non conosceva una cura
che potesse aiutarlo, capire che cosa fosse accaduto. L’incognita rimaneva il Nemeton che lo sovrastava ed aveva la meglio su qualsiasi
mano esterna.
«Sembra sia
in incubazione» aveva proferito il druido con espressione grave dopo che aveva
provato per la seconda volta ad iniettargli qualcosa che potesse farlo stare
meglio, almeno tentare di alleviarlo, ma continuavano a non avere riscontri.
Derek
l’aveva guardato storto, inarcando le folte sopracciglia e giudicandolo
apertamente. «Vuoi dire che sta covando ben altro?».
«Voglio
dire che sembra si stia preparando ad una nuova fase» dichiarò il veterinario,
accostando una mano alla fronte grondante di sudore del cucciolo d’uomo. «Ma
non so che fase sia. È scaduto il tempo? Il suo corpo ed il Nemeton
stanno valutando come procedere? Potrebbe crescere o rimanere in queste
condizioni?».
«Sta
raccogliendo le energie» proferì Derek in un sussurro, improvvisamente
illuminato dal significato che potesse rappresentare quel nuovo aspetto di
quella storia fuori da ogni logica.
«È una
possibilità» confermò Deaton, riponendo il sacchetto
di ghiaccio che Derek cambiava ogni ora, ogni volta che si accorgeva che non
bastava più. «Qualsiasi cosa accadrà, deve averne bisogno e questo è il suo
modo di affrontarlo».
In
qualsiasi maniera si fossero mobilitati, non sarebbero riusciti ad averla
vinta. «È scaduto il tempo» Derek lo realizzò con un masso sul petto, a
schiacciargli le costole e perforargli i polmoni.
Osservò il
bambino disteso scomposto sul materasso a due piazze, le coperte completamente
scacciate sul fondo del letto, lontane da qualsiasi strato di epidermide. Non
aveva più il suo pigiamino verde con i lupi, era troppo pesante e zuppo di
sudore e Derek l’aveva già lavato due volte in un solo giorno. Tutti gli altri
che Stiles non aveva mai toccato erano troppo spessi e comportavano lo stesso
problema, tutto ciò che rimaneva erano le maglie primaverili ed estive del lupo
che teneva nei ripiani vicini, le uniche con un tessuto leggero e che gli
dessero possibilità di movimento. Erano enormi e gli coprivano le gambe fino ad
oltre le ginocchia, ma erano gli indumenti con cui Stiles soffriva meno.
Il figlio
dello sceriffo apparve rispondere al saluto carico di affettuosità da parte del
mannaro, muovendo parzialmente il capo verso la direzione della voce e
rispondendo con versi che non riproducevano alcuna parola.
Derek gli
baciò la punta del naso e le labbra della creaturina si curvarono appena verso
l’alto. Non c’era nessuno in quel monolocale adombrato, illuminato soltanto dai
raggi lunari che filtravano dall’immensa vetrata. Erano soltanto loro due a
combattere l’universo. «Lo sai quanto sei prezioso per me?» o loro stessi.
Il
mutaforma si distese accanto a lui, sistemandogli meglio la maglia che
persisteva ad alzarsi e scoprirlo. «Quanto tu sia la persona più importante per
me?».
Come poteva
saperlo, non glielo aveva mai confessato. Quando Cora era riemersa da quello
che Derek credeva il regno dei morti, tutta la sua attenzione si era rivolta a
lei, alla sua salvezza, a tenerla viva e Stiles non gliene avrebbe mai fatto
una colpa, era felice che il licantropo non fosse più solo al mondo, che parte
della sua famiglia fosse ancora integra; che una parte di quello che aveva
perduto fosse tornata. Derek aveva rinunciato al suo stato di Alpha per lei e
non serviva nessuna spiegazione. Forse Stiles gli avrebbe perfino perdonato di
aver scelto lei invece che lui, che non fosse stato in grado di poterli avere
entrambi, trovando una soluzione per convivere nella stessa città o
inventandosi qualsiasi cosa per mantenere i rapporti.
No, Stiles
avrebbe accettato di buon grado la scelta genuina di Derek di seguire la
famiglia ritrovata, quello che non gli avrebbe mai perdonato era di aver scelto
la codardia sotto forma di Cora. Di averla presa come scusa per andare via e
non tornare più.
Non aveva
deciso di seguire la sua sorellina ritrovata per pura bontà d’animo, con il
preciso scopo di non trarre alcun vantaggio, al contrario aveva colto
l’occasione al volo per salutare se stesso, con la
recondita possibilità di riabilitarsi, di lasciarsi tutto alle spalle e
dimenticare. Non mettere più piede nel luogo che gli aveva sottratto tutto ciò
che aveva ottenuto, perfino la sua stessa umanità. Per Derek, Beacon Hills era
solo sinonimo di male e dei continui errori che aveva ripetutamente fatto
accadere, del sangue di cui voleva persistere a macchiarsi e che Stiles insieme
a Scott gli avevano impedito di far sgorgare. Ma esisteva del sangue versato da
cui non avrebbe mai potuto pulirsi. Anche se Stiles aveva fatto di tutto per
coprire le sue mani con le proprie e nasconderlo, prendersi metà del carico di
dolore e colpevolezza che l’omicidio brutale ed immotivato di Boyd aveva comportato, schiacciando definitivamente un
Alpha che in quell’istante aveva cessato di esistere. «Sei tutto ciò che mi
resta».
Il respiro
della piccola volpe si fece rauco, quasi graffiante, talmente allarmante che
spaventò Derek, portandolo a scattare sul letto e ad ampliare i sensi
ipersviluppati. «Stiles» ma il bambino sembrava non sentirlo affatto, sordo
alla sua voce ed a qualsiasi cosa gli stesse comunicando.
Gli toccò
la fronte bollente che quasi gli scottò una mano e Derek impallidì a quella
rivelazione. «Ti prego, Stiles, torna da me» lo prese di peso, lasciandolo
accomodare tra le sue braccia, sistemandoselo sul petto e tenendolo stretto.
«Farò qualunque cosa, ma torna da me».
Era fuoco,
era come stringere tra le mani lingue fiammanti rosse e blu, sentire la lava
scivolare sull’epidermide e carbonizzarla, eppure nell’attimo in cui il mutaforma
l’aveva preso con sé, il respiro di Stiles era tornato regolare, seppur ancora
pesante e profondo, ma non sembrava più il raschiare di una grattugia
arrugginita.
Era quello
il segreto? Era la costante presente fisica di Derek a fare la differenza?
Non ti sarei bastato? La domanda riecheggiava nella mente del lupo mannaro. Era stata la prima
volta in cui Stiles aveva espresso chiaramente il sentimento che c’era tra
loro, dandogli corpo, rendendolo concreto e tangibile, cancellando il patto di
tacito consenso, il silenzio che nascondeva la verità.
Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi
fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui
tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto, Stiles conosceva tutto di lui, sapeva captare e comprendere i suoi
pensieri e tormenti senza alcuna fatica. Sapeva esattamente come si sentisse,
che cosa l’avesse mosso a decidere di abbandonare Beacon Hills ed a voltare le
spalle al passato come se non fosse mai esistito. Cancellare tutto quello che
aveva conosciuto. Chi aveva conosciuto. Non
sono abbastanza? Stiles aveva dedotto che se era intenzionato ad archiviare
tutto quello che gli era successo per tentare di ricostruirsi una vita o quanto
meno non lasciarsi divorare dai sensi di colpa che non facevano altro che
sormontare ed aumentare, allora era logico e consequenziale che Derek l’avrebbe
dimenticato. Derek avrebbe dimenticato volutamente Stiles.
La creatura
della notte accostò la fronte a quella del cucciolo d’uomo, invaso dal calore
bruciante che proveniva dal corpicino, circondandolo con tutta la lunghezza
degli arti superiori ed avviluppandosi intorno a lui. «Stiles» non valgo la pena. Che stolto era stato.
«Ne vali la pena» che terribile stupido si era dimostrato. «Vali ogni pena di
questo mondo. Vali ogni goccia di sudore che ho versato, le persone che
purtroppo ho perso. Il dolore che ho patito» inspirò a pieni polmoni l’odore
febbricitante del figlio dello sceriffo, il bagnato portato dalle ghiandole
sudorifere, ignorando le vene che per la prima volta si tingevano di nero,
permettendogli di sottrargli parte del male che provava. «Sei la cosa più bella
che mi sia capitata negli ultimi sette anni. Se tutto quello che ho perso e le
avversità che ho incontrato mi hanno condotto a te, io l’accetto» non poteva
più fuggire, non poteva più negarlo. Lo rivoleva a tutti i costi indietro. «Con
te ho rivalutato tutta la mia vita».
Si distese
stremato sul materasso, trascinando Stiles con sé che non aveva nemmeno la
forza di ribellarsi o di comunicare il suo dissenso, tenendolo ancorato a sé e
non allentando l’abbraccio che li legava, cullandolo passivamente. «Vali la
pena» cantilenò più volte, nella stanchezza che precipitava a fiumi e che
l’aveva visto vegliare sul bambino per più di quarantotto ore senza mai
chiudere le palpebre per raccogliere le forze.
Morfeo
aveva deciso di portarlo via e Derek non poteva resistere a quella malia dolce
ed accogliente, che gli prometteva il riposo di cui necessitava, la quiete di
cui aveva bisogno, assicurandogli di restituirlo all’esserino prezioso che
stringeva tra le braccia la mattina successiva.
Appollaiate sulle sue spalle in attesa, anche la
temperatura corporea che si abbassava e la metamorfosi che prendeva forma
avevano qualcosa in serbo per lui in quella medesima alba. Il cambiamento ed il
risultato delle sue azioni.
Che
scoppiasse una bomba tra lui e le ragazze era inevitabile, come l’accanimento
di Lydia nei suoi confronti, lo sbattergli in faccia la verità senza che lui
fosse pronto ad affrontarla. Stiles non vive benissimo i loro scontri, ne fa
una propria colpa e Derek non può fare a meno di provare empatia per lui, ma
allo stesso tempo deve mostrargli la verità, liberarlo dal peso che si porta
dietro. Ma non è anche quello che lo Stiles, ogni Stiles, fa per lui?
I
timori del lupo nei riguardi di Stiles si sono mostrati veritieri e benché non
capisca cosa gli stia succedendo, non può negarsi di realizzare i suoi desideri
anche nell’incoscienza; continuare a portarlo da suo padre e tutto quello che
può fare, come lo è cercare di trovare una soluzione con Deaton
che non ne è comunque in grado. Quindi, cosa gli rimane da tentare? Derek può
solo aspettare, sperare e ricoprirlo di quelle parole che non gli ha mai
confessato. Verrà ricompensato?
L’aggiornamento
per la settimana prossima ricadrà proprio il giorno di Natale e cercherò il
modo di postarlo ugualmente, senza ritardare troppo, non scendendo oltre il
ventisei. Vedremo cosa accadrà e possiamo dire tranquillamente che siamo alla
battuta finale.
Le braccia
che circondavano il corpo di Stiles non subirono alcuna modifica, non sortirono
alcun effetto, il dolce dormire ebbe la meglio su qualsiasi aspetto si potesse
presentare e tutto poteva essere rimandato.
I raggi
solari illuminarono completamente l’oscurità del monolocale e ciò che era
nascosto si mostrò alla luce del nuovo giorno. Le iridi di giada si aprirono e
si specchiarono in quelle di miele.
Erano
attente, sveglie, attive, come se ogni traccia di sonnolenza fosse stata
spazzata via e lo stessero studiando da diverso tempo, eppure Derek non era
disturbato da quella sfaccettatura, ma da un cambiamento che l’offuscamento del
ridestarsi non gli permetteva di cogliere a tutto tondo.
Erano gli
stessi occhi su cui si era affacciato per due eterne settimane ogni mattina, ma
non erano più presenti l’innocenza ed il candore che li caratterizzava, la
fanciullezza dei loro cinque anni e l’adorazione che provavano nei suoi
confronti; improvvisamente erano più adulti, più consapevoli e con una traccia
d’amarezza. Continuavano ad essere grandi, enormi, tipici di Stiles, e seppure
il taglio fosse il medesimo e non fosse cambiato di una virgola, apparivano più
conformi al viso a cui appartenevano. Ad un’occhiata di sfuggita non sarebbe
più stato considerato un volto di soli immensi occhi.
«Stiles» lo
realizzò d’impeto, folgorato dall’illuminazione dei fatti, la saetta che lo
attraversava da parte a parte.
Stiles
sorrise appena, senza alcun sentimento, vuoto e disilluso ed era talmente
lontano dal calore che era tipico dedicargli, dalla purezza che fino al giorno
prima la sua piccola volpe era in grado di regalargli.
«Sei
tornato» proferì il mannaro con un misto di incredulità e concretezza,
abbracciando visivamente le nuove sembianze che l’umano aveva preso, tornando
al corretto anno d’età. La mano partì in automatico per accertarsi della
realtà, per assaporare e rendere tangibile il cambiamento, il viso che non
presentava più tratti morbidi, ma più affilati e definiti, quasi marcati e
rendendo possibile seguirne il percorso tracciando il loro contorno sulla
pelle.
«Non
toccarmi» ma Stiles lo scacciò via in malo modo, sottraendosi al suo tocco e
scappando dalla sua presa.
Derek restò
di ghiaccio sul posto, guardandolo con le iridi spalancate ed esterrefatte. Non
poteva essere vero che Stiles si scostasse da lui, non dopo che le sue braccia
l’avevano accerchiato per tutta la notte, premendoselo sul petto.
«Dio,
Derek. Non sono lui» esclamò con
impeto alla sua espressione contratta, il leggero tono di rabbia che albergava
tra loro. Un attimo dopo scoppiò in una risata di derisione verso se stesso. «Ero già un ragazzino per te, adesso sarò un
poppante» si liberò completamente da Derek, alzandosi a sedere precipitosamente
e balzando per scendere dal letto ed allontanarsi il più possibile.
Ma
nell’attimo in cui tentò di agire, il mutaforma lo afferrò per un polso e,
seguendo le sue movenze, portandosi a gambe incrociate sul materasso, lo attirò
a sé, lasciandolo ricadere sulle sue cosce. «Stiles» era solo il suo nome, non
era nemmeno la solita gradazione vocale di comando che gli impartiva
regolarmente, era solo una sollecitazione a rimanere.
«La devi
smettere» gracchiò il diciasettenne furibondo, manifestando tutto il suo odio
per il siparietto che si stava presentando. «Non puoi toccarmi così. Non puoi
toccarmi affatto. Non abbiamo questa familiarità. In realtà non ne abbiamo
nessuna».
«Perché sei
così adirato?» la fermezza e freddezza della creatura della notte non
vacillarono di un attimo.
«Non sono
adirato. Sto sottolineando un concetto» strattonò il polso di cui si era
appropriato, districandosi dalla morsa ed allontanandolo quanto possibile. «Hai
costruito un’intimità tattile con una persona che non sono io».
«Una
persona che non sei tu?» domandò di rimando il mannaro, arcuando un
sopracciglio e guardandolo dubbioso. «Vuoi dirmi che non eri tu quel bellissimo
e adorabile bambino?».
Il naso di
Stiles si arricciò, sia per il disagio che per l’accostamento dei due
aggettivi. «No».
«No?» la
mano di Derek tornò a sfiorargli il volto, a tratteggiare il contorno del suo
viso, ad assaporarne il calore e la consistenza. Stiles resistette con ogni
mezzo disponibile dall’abbandonarsi teatralmente a quel contatto premuroso.
«Eppure rispondi allo stesso modo» c’era soltanto meno innocenza e trasparenza.
Stiles
appariva provato ed umiliato, ripudiando la facilità con cui era affine al
corpo del lupo. «Non mi toccheresti mai così».
«Chi l’ha
detto?» domandò retoricamente e seriamente il licantropo, poggiando
completamente il palmo sulla guancia dell’umano e stringendo un braccio intorno
al suo bacino. «Chi ti dice che non sia questo il modo in cui desideri
toccarti, sempre?».
Il labbro
inferiore del figlio dello sceriffo tremò e lo morse con i canini, sperando di
fermarlo e Derek ne approfittò per immergere il naso nella curva del suo collo.
«La sua pelle è la tua pelle. Il tuo odore è il suo odore» lo respirò a pieni
polmoni, riempiendoli completamente e contemplandolo amorevolmente, schioccando
un bacio lì dove affondava il setto nasale. «Tu eri in lui e lui è in te. Eri
Stiles. Sei Stiles. Esiste un unico Stiles».
Un
singhiozzo incontrollato sfuggì dalla bocca dell’adolescente e tutta la sua
materia grigia lo incitava a prendere il largo e tornare al luogo a cui
apparteneva. «Ti prego, Derek, non giocare sporco. Lasciami tornare a casa.
Lasciami tornare da mio padre e dimentichiamoci di questa storia, anche tu hai
dove tornare».
«Dimenticare?
Non dimenticherò niente» insorse il mutaforma, allacciando meglio l’arto
superiore al fianco dell’umano. «Ti ho aspettato per diciotto giorni. Per
diciotto giorni ho invocato il tuo nome, ti ho pregato di tornare da me».
«Sono
tornato, hai compiuto il tuo dovere» lo gelò il diciasettenne, le emozioni
disturbanti che gli attraversavano tutto l’organismo, incapace di controllarle
e detestandole, mostrando solo la corazza stoica che voleva esclusivamente
salutarlo e liberarsi di lui. Mettere finalmente il punto ad una storia che non
era mai nata. «Ora puoi raggiungere tua sorella, riprendere da dove hai
lasciato».
Derek era
talmente sopraffatto e sbigottito da non credere a ciò che il suo udito gli
riportava. «Riprendere da dove ho lasciato?».
«Sì» confermò Stiles senza divagare, senza aver dubbi
o ritrattare ciò che aveva detto. «Avevi i tuoi piani, le tue perfette
decisioni, bello pronto a partire e sei rimasto a causa mia, perché sono
regredito ad uno stupido bambino di cinque anni e ti sei sentito in dovere di
restare. Ma sei libero, spicca il volo, riscrivi la tua storia».
«Non sei
stupido, Stiles. Sei la persona più intelligente che conosca e quel bambino, tu,
era strabiliante. All’inizio ero convinto che il Nemeton
ti avesse fornito gli strumenti per compensare, ma né Scott né tuo padre
vedevano la cosa stranamente perché eri tu in tutto e per tutto. Perché sei
sempre stato enormemente brillante» era estremamente importante ribattere su
quel punto, su quanto importante fosse stato relazionarsi con un esserino
paffuto che lo venerava senza inibizioni. Come lo Stiles di cinque anni, quello
che si ritrovava dinnanzi riteneva di essere stato un peso, una seccatura da
cui era impossibile sottrarsi, ma per Derek quel bambino era stato autentico
ossigeno e lo stesso Stiles non poteva permettersi di provare a denigrarlo e
ridimensionarlo, infierendo sulla propria medesima persona.
L’accerchio
sul corpo del figlio dello sceriffo si fece più sentito, più tangibile e
veritiero, finendo per poggiare il capo sulla fronte della sua volpe. Era
talmente perfetto che non avrebbe mai voluto sciogliere quell’intreccio
idilliaco. «Ho amato quel bambino. Ho amato te. Amo te».
Stiles si
irrigidì tra le sue mani ed il fiato divenne quasi inesistente. «Cosa… cosa hai
detto?».
«Ho detto
che non riprenderò da dove ho lasciato, che non andrò da nessun’altra parte in
cui non ci sia tu» gli sorrise di sbieco, in una leggera sua imitazione da
grande rivelazione di bonaria presa in giro per le sue reazioni che lo
toccavano, riempiendogli quel cuore a cui venivano inferte ferite su ferite.
«L’unica cosa che ho lasciato indietro sei tu» le iridi si tinsero di un blu
metallico, gli arti superiori si sciolsero e le mani calde andarono a
circondare il viso della sua piccola volpe cresciuta. «Ti amo, Stiles».
Le pupille
nere si dilatarono a dismisura, appropriandosi quasi interamente dell’ambrato e
gli arti superiori afferrarono i polsi del mutaforma, staccandoli dal volto ed
allontanando di conseguenza il corpo dal suo. «Ho bisogno… ho bisogno di un
momento» tutta la sua attenzione fu rivolta altrove, con lo sguardo che vagava
ovunque ma non sul licantropo.
Derek, con
lo zaffiro che veniva rintegrato nello smeraldo, non seppe come interpretare la
sua reazione, distante da quella che si era figurato nella mente, ma forse quel
periodo di stallo ed indefinito gli toccava.
Stiles
mollò la presa sui polsi dell’uomo, quasi scottassero, ma allo stesso tempo non
fossero minimamente consistenti e le iridi si celarono dietro ad un velo vacuo.
«Ero un bambino fino a poche ore fa».
«Sì» confermò la creatura della notte, ben
conoscitore di quell’aspetto.
Il figlio
della massima autorità della città riportò le gemme dorate sulle sue, in una
meditazione complessa. «Non ha nessun effetto su di te?».
«No» rivelò Derek senza alcuna forma di
tentennamento, non esitando a rifletterci su. «Riconosco le differenze tra di
voi, benché siate la stessa persona. Non ho mai sovrapposto te a lui e non lo
farò adesso. Il te bambino ha il mio profondo affetto, ma il te adulto ha il mio amore».
Stiles
rabbrividì e le braccia andarono a stringersi attorno a sé, strapazzando
l’unico indumento che lo ricopriva fino a metà coscia, lasciandogli completamente
le gambe scoperte, e che era pregno dell’odore del Beta. «Non ho mai voluto
metterti alle strette, costringerti a scegliere».
Per quanto
Derek desiderasse rispettarlo, lasciargli il suo spazio e riprendere nuovamente
confidenza con se stesso, non riuscì a trattenersi dal
chinarsi su di lui e schioccargli un bacio sulla fronte. «Lo so».
L’umano
sgranò gli occhi ed il respiro gli graffiò la trachea, costringendolo a
rimanere pietrificato dov’era; non riusciva ad abituarsi a quell’improvvisa e
travolgente intimità. Non riusciva a concretizzarla e crederla reale. «Der. È
così che ti facevi chiamare?».
Era un
capovolgimento d’argomento interessante, era evidente che per qualche ragione
l’adolescente non volesse andare in profondità, non in quel preciso istante. A
Derek non rimase che scuotere le spalle in un unico movimento, come se non ne
fosse toccato. «Ti piaceva e puoi chiamarmi come desideri, piccola volpe».
Tutto
l’essere del lupo si arricciò deliziato al rossore che colorò le gote del
liceale. «Non chiamarmi così».
«Ah, no?»
domandò retoricamente il licantropo, abbassando il tono della voce che si tinse
di implicazioni scomode. «Eppure mi pareva che lo adorassi».
Il porpore sul viso dell’umano non accennò a diminuire, al
contrario prese più vigore ed istintivamente inclinò il volto. «Ero un
bambino».
La
giustificazione misera e petulante non soddisfò il mannaro, che si curvò verso
di lui schioccando le labbra su uno zigomo accaldato. «Quel bambino stravedeva
per me».
«Der»
gracchiò Stiles in un ammonimento pregato e dal ghigno che l’uomo gli rifilò,
seppe di aver perso su tutta la linea.
Gli
depositò un nuovo bacio sotto alla radice del setto nasale, un millimetro sopra
il labbro superiore che sfiorò con padronanza, afferrandogli delicatamente un
braccio tra le dita e regalandogli uno schiocco di bocca sentito e pieno di
sentimento sul polso interno, esattamente sopra una delle vene da cui poteva
percepire perfettamente il battito dell’organo cardiaco impazzito. Lo abbandonò
pressato contro il proprio cuore, intrecciando le falangi a quelle del figlio
dello sceriffo, accostando la fronte alla sua e rimanendo nel perpetuarsi del
silenzio incancellabile.
Stiles,
sospirando esausto, chiuse le palpebre a contatto con lui e non si mosse per un
tempo illimitato.
«Sei sicuro
di aver preso la decisione giusta?» gli chiese il liceale infrangendo il tedio
che li avvolgeva, prendendo un profondo respiro interno e costringendosi ad
aver coraggio.
«Era
l’unica decisione che andava presa» dichiarò la creatura della notte,
inequivocabile ed imperiale.
Stiles si
scosse appena da lui, osservandolo dall’alto con le labbra arricciate e la
ricerca di certezza. «Perché non mi hai informato della tua partenza?».
Eccolo lì,
il momento cruciale che il Derek di due settimane prima aveva sperato non si
presentasse mai. «Perché non ci sarebbe stata alcuna partenza altrimenti»
Stiles arcuò le sopracciglia chiare con un interrogativo perfettamente stampato
e Derek si ritrovò ad annegare nelle iridi del nettare degli dei. Coprire
morbidamente la bocca con la propria fu una necessità fisica che non riuscì, e
non tentò minimamente, di sopprimere e quell’unica carezza di labbra mandò il
cuore di Stiles in fibrillazione. «Se ti avessi visto, se ti avessi anche
soltanto percepito, se mi fossi semplicemente limitato a sentire la tua voce,
non mi sarei mai mosso di un passo» sarebbe rimasto con i piedi ben piantati
nel cemento ed avrebbe unicamente aspettato un cenno affermativo dell’umano che
gli accordasse di muoversi.
La colonna
vertebrale di Stiles fremette e l’incredulità emerse nel riflesso della sua
anima. «Eri sicuro che ti avrei fermato, anche se non l’avrei mai fatto
volontariamente».
Le dita
libere del mutaforma andarono ad attorcigliarsi tra le ciocche morbide del
ragazzo, con il polpastrello del pollice che prese ad accarezzargli gentilmente
una tempia. «Non riuscirai mai ad avere coscienza dell’enorme potere che hai su
di me».
«Questo…»
il diciasettenne si strozzò, la trachea si ostruì ed il suo organo involontario
non voleva saperne di darsi una calmata. «Non giustifica quello che hai fatto».
«Lo so» gli
rubò un nuovo bacio, non permettendogli per la seconda volta di ricambiarlo.
«Non volevo abbandonarti».
Un ulteriore
e nuovo singhiozzo pericoloso scappò dalle labbra ripetutamente baciate dal
lupo, costringendo nell’immediato Stiles a coprirle con una mano per smorzarlo,
per proteggersi e costruire una barriera impenetrabile tra le loro figure, ma
Derek era troppo bravo, troppo affine con l’anima e le emozioni
dell’adolescente. Gli scostò le falangi, alzandogli il viso e liberandogli la
bocca, congiungendola alla propria. Lo spiazzo di Stiles fu impagabile.
La
pressione sulle labbra si fece coincisa, premente e sentita, la consistenza dei
cuscinetti rosa veniva solleticata e ricercata, non era più uno sfioramento
veloce, inflessibile, che non poteva permettersi di soffermarsi, di prendere di
più e fare suo tutto quello che gli veniva incontro. La bocca di Derek non
sarebbe fuggita, si sarebbe goduta appieno il bacio, beneficiato della
corposità dell’altro ed avrebbe sanato ogni dubbio del ragazzo che stringeva
tra le braccia, guarito le sue ferite e ricoperto di promesse. Avrebbe smesso
soltanto quando Stiles non sarebbe più stato in grado di respirare, quando
avrebbe cessato di rispondere alla morsa, con le lunghe dita affusolate nivee
che affondavano tra i capelli corvini.
Le gemme
caramellate si specchiarono in quelle di smeraldo e l’anidride carbonica
repressa ne fece da padrona. Tutto quello che Derek vide furono le labbra di
Stiles gonfie e scarlatte. «Non ho più alcuna ragione di lasciarti».
«Dovrei
fidarmi di te, non è vero?» domandò l’umano in risposta, privo di qualsiasi
accusa, ma con l’enorme voragine che quella particolare caratteristica aveva
creato tra loro, rompendoli.
«Sì» Derek
non avrebbe minimamente immaginato che un giorno avrebbe pregato, sperato, che
qualcuno riponesse fiducia in lui, che non sarebbe stato il primo a scoraggiare
chi aveva di fronte, perfino quand’era stato un Alpha non si era impegnato fino
in fondo, con quella discrepanza che esisteva nel suo essere. «Devi fidarti di
me».
Stiles
arcuò le labbra in una strana piega, un po’ sbarazzina e piena di un ricordo
lontano. «Come lo Stiles di cinque anni?».
Non era una
vera domanda, era l’esempio concreto e perfetto che avvaleva la realtà di ciò
che provava il figlio della massima autorità della città per lui. Il fagotto
tutto occhi gli aveva creduto senza fronzoli e promesse di ogni sorta; aveva
spaventosamente rimesso la sua piccola vita nelle sue enormi mani estranee. «Lo
senti più, il Nemeton?».
«No» negò il diciasettenne in un istante.
No, cosa
avrebbe dovuto significare? Sarebbe tornato a far riecheggiare la sua litania
alle orecchie esclusive di Stiles? Aveva terminato il compito che si era
prefissato e di cui continuavano ad ignorare la motivazione? Sarebbe tornato
all’attacco? Avrebbe in qualche modo interferito nuovamente nel momento più
impensabile? «Percepisci ancora l’oscurità dentro di te?».
«Solo in
parte» proferì il liceale, accostando una mano sul petto, all’altezza del
cuore, lì dove il cerchio oscuro risiedeva. «Sembra più gestibile».
Gestibile, Derek
tremava all’idea di quanto Stiles avesse sofferto dopo lo squarcio che si era
aperto, disperdendo i rimasugli della sua innocenza e scambiandola con il male
del mondo. Quanto Stiles avesse sofferto per le pugnalate alle spalle che lui
stesso aveva continuato ad infliggergli, finché non era stato più in grado di
sopportarle e vincerle. «Non sparirà mai del tutto» gli faceva un male cane
quella prospettiva.
«Lo so»
confermò il ragazzo, pressando le dita sul torace, avvolgendo trasversalmente
l’organo cardiaco. «Ma è già una grande conquista e poi…» gli dedicò una
strizzatina d’occhio giocoso e complice, una di quelle che illusivamente
credeva di non scorgere da una vita intera e che facevano emergere tutta
l’autentica personalità dell’umano. «Ognuno ha i suoi demoni personali».
Derek
avrebbe preferito che Stiles non li scoprisse mai, ma purtroppo per lui era
affine con quella maledizione da molti più anni di quanti il mannaro potesse
contare. Intrappolarlo in un bacio che reclamava perdono e rammarico fu
consequenziale, ma Stiles lo ricambiò con uno pieno di sentimento genuino.
Quell’essere incantevole l’avrebbe ucciso in tronco. «Sei stato bravo, con il
piccolo Stiles» proferì la bella volpe a contatto diretto con la bocca,
intensificando con una lieve pausa significata la sua confessione di
apprezzamento.
«Sì?»
domandò di riflesso la creatura sovrannaturale, faticando non poco a seguire il
flusso dei suoi pensieri.
«Sì» confermò il liceale senza remore, ripercorrendo
dei ricordi che improvvisamente apparivano distanti, eppure incredibilmente
vicini da poter essere stretti tra le falangi e rivissuti, privo di qualsiasi
esitazione. «L’hai fatto sentire amato».
Derek era
consapevole del raggio d’azione incredibilmente ampio a cui Stiles si riferiva,
a come quel bambino a cui aveva donato ogni fibra di sé avesse vissuto nella
solitudine più recondita, mai con l’intenzione di cercarla ma perché costretto
da un mondo troppo ingiusto per comprendere la sua spettacolare essenza.
L’universo della piccola volpe era sempre stato di dimensioni malvagiamente
ridotte, smussato fino all’osso e la terribile coscienza eccessivamente
competente di Stiles non l’aveva mai aiutato a liberarsi di un peso che non
avrebbe dovuto portare. Stiles era stato sempre circondato da amore, ma anche
dall’ammontare enorme del rifiuto che la gente aveva nei suoi riguardi, entrare
a contatto con una realtà più ampia, con più componenti con cui interagire e
costruire un rapporto, era stata una battaglia che Stiles non pensava di poter
affrontare e che potesse essere ricambiata con indiscriminato affetto.
Soprattutto non uno Stiles che si era ritrovato a dover camminare da solo
nell’ignoto. «Sei amato» giunti a quel traguardo, l’unico incarico di cui si
investiva era quello di ricordarglielo nell’eternità del tempo.
Per le
orecchie dell’umano risuonava ancora come qualcosa di illusorio e che aveva
rincorso per una quantità temporale eccessiva, il crederlo reale e possibile
appariva quasi come una beffa, eppure era lì, riecheggiava tra le mura di
cemento e aveva le fattezze di un uomo fatto e finito, un uomo che non poteva
mentirgli.
Stiles si
abbandonò contro l’incavo della spalla, respirando sulla clavicola e Derek
inspirò l’odore familiare ed intenso della sua pelle, stringendolo
accuratamente nella morsa che lo circondava e donandogli un bacio candido tra
le palpebre socchiuse. Epurazione. «Tra tutti quelli che poteva scegliere, con
la schiera di estranei con cui è entrato in contatto, lo Stiles di cinque anni
ha scelto me» quella era una particolarità che non poteva cancellare e passarci
sopra come se nulla fosse, soprattutto perché era la ragione che li aveva
condotti a quel preciso istante.
«Oh, sì,
buffo» elargì Stiles come se fosse qualcosa di poco conto, qualcosa che in
qualche modo lo allietava e lo portava a sorridere.
«Buffo?»
domandò di rimando il mutaforma, contraendo le folte sopracciglia scure e
fissandolo con un’espressione che richiedeva delucidazioni. Derek lo avrebbe
classificato in molti modi, ma mai con buffo,
era stato terrorizzante.
Stiles lo
occhieggiò con una grazia tutta sua, la scintilla ammaliante a cui Derek non
sapeva resistere e che per qualche miraggio burlesco la associava alle vesti di
una volpe. Sì, Stiles la
rappresentava in pieno, in ogni sfaccettatura. «Come il Nemeton
conosca perfettamente il mio cuore».
A Derek
sembrò di precipitare da un dirupo.
Tutto quel
tempo e quella marmaglia di branco mal assortito aveva sempre avuto ragione.
La risata
ridacchiante di Stiles si prorogò per tutto il monolocale, divertita e piena di
delizia, vagamente intenerita dalla sua reazione. «Ehy,
Der» proferì con una nota vocale stracolma di affetto, protendendo le braccia e
circondandogli il collo, mentre si issava sulle ginocchia del lupo. «Me li
mostri i tuoi meravigliosi occhi?».
Se un
attimo prima Derek era frastornato, in quell’istante era alla deriva. Ma non
doveva spremersi troppo le meningi per capire a quali occhi in particolare si
stesse riferendo, a quali nel suo sconcerto li avesse incoronati come meravigliosi. Lo Stiles cinquenne si era
subito infatuato di loro e Derek non riusciva a farsene una ragione.
L’azzurro
metallico si rifletté sulle perle dorate e vide nuovamente come Stiles se ne
rinnamorò. «Non hai idea di quanto mi sia mancato questo blu» proferì l’umano
con un groppo in gola, le falangi affusolate che si allungavano per indicare le
gemme di zaffiro, sfiorando una palpebra inferiore. «È sempre stato il mio
colore preferito, il più bello» il suo interesse fu totalmente calamitato su di
esse e lo schiocco della bocca sulla palpebra destra il mannaro lo avvertì
nella complessità della sua interezza. «Sono stati gli occhi con cui ti ho
conosciuto, gli occhi per cui hai lavorato tanto, per riscattarti e redimerti.
Sono gli occhi che ti hanno reso ciò che sei adesso, ciò che mi ha portato ad
amarti» le corde vocali tremarono, ma si fecero più forti, più sonore ed
imponenti. «Mi dispiace tu abbia perso il tuo stato di Alpha, ma questi sono i
tuoi veri occhi, quelli che amo».
Derek non
aveva mai manifestato un’incapacità respiratoria, nessun attacco di panico né
di ansia, non aveva mai avuto un nodo alla trachea che gli impedisse di
scambiare l’anidride carbonica con l’ossigeno, eppure in quell’istante stava
avendo un epocale problema.
Con
l’annebbiamento totale dei sensi, Derek si rese conto che, da quando aveva
perso il suo stato di capo branco, non aveva più mostrato gli occhi del lupo a
Stiles ed egli non era stato testimone del ritorno di quel colore che tingeva i
loro albori.
Nessuno,
eccetto sua madre, aveva cercato di elogiare i suoi occhi da Beta che si erano
macchiati di sangue innocente; erano un marchio di fabbrica, una testimonianza
per qualcuno che non conosceva neppure un quarto della sua storia. Derek aveva
odiato la pigmentazione di quelle iridi del cielo dai suoi quindici anni e non
era mai riuscito a specchiarsi per venire a patti con la loro esistenza. Ma poi
era bastato che un bambino di cinque anni con le gemme del nettare degli dei lo
risollevasse dalla dannazione a cui lui stesso si era condannato. E senza che
il mutaforma ne prendesse coscienza, quegli stessi occhi del tormento delle sue
colpe erano diventati l’incarnazione dell’amore unico che Stiles provava per
lui.
Non era
Derek ad essersi riscattato, era Stiles che si era adoperato in sua vece. «Hai
rivalutato tutta la mia vita» disse in un eco del passato, parole similari
sillabate nella notte trascorsa, quando lo supplicava di rientrare nella sua
perenne quotidianità.
La bocca di
Stiles si arricciò verso l’alto, lieta, felice e colma di gioia per quelle
parole, per quella testimonianza che prendeva più terreno, più consistenza e
materia. «Quindi, valgo la pena?».
Eccola lì,
la sua bella volpe furba. Sfiorò la fronte con la propria, accarezzò il setto
nasale con il suo ed assaggiò ingordo la consistenza delle labbra rosse che
desiderava da due anni e che si schiusero nell’immediato sotto le proprie. Fu
un instante in cui ogni mistero dell’universo, dell’intero cosmo, fu risolto.
«Vali ogni cosa. Vali ogni atomo di me stesso».
Le braccia di Stiles scivolarono oltre le spalle
forti e larghe, circondandogliele e nascondendo il viso contro il suo collo,
mentre una mano affondava nei capelli corvini, incastrandosi tra le falangi ed
una singola lacrima salata cadeva nel vuoto, dentro la maglia disusa della
creatura della notte, depositandosi al centro del suo cuore e cristallizzandosi.
«Anche tu, Derek, ne vali la pena».
Ha qualcosa di poetico terminare questa storia, o
qualsiasi altra li ritragga, proprio il giorno che per una ragione o per un’altra
abbiamo destinato al compleanno del nostro lupo scorbutico per eccellenza. È
Natale, è il compleanno di Derek e la sua storia si conclude con Stiles.
Abbiamo finito con uno Stiles vicino alla maggior
età e il ricordo di uno Stiles di cinque anni che rimarrà nel cuore di Derek. Entrambi
i loro percorsi sono importanti, paralleli, Derek in qualche modo è cresciuto
con tutti e due, li ha conosciuti in sfaccettature diverse, eppure sapeva
sempre riconoscere il suo umano come unico.
Ringrazio come di rito la mia Beta (EarthquakeMG) che ancora una volta si è prestata ad un ruolo
che le è capitato per caso tanto tempo fa. Ringrazio chiunque si sia soffermato
da queste parti, chi ha lasciato e lascerà qualche parola a questi due e alla
storia, chi si limiterà a leggerla a bocca chiusa e chi ancora deve conoscerla.
Il tempismo mi permette di augurarvi un Buon
Natale e felice anno nuovo.
Ed anche di rendevi partecipi di aver pubblicato
una shot sul fandom de I Medici (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3812075),
che in qualche modo ha fatto coincidere il mio antico amore, Merlin, con quello
più attuale, Teen Wolf, per gli attori che vi sono
presenti, perché il mondo è molto piccolo.