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Lo sai che una ferita si chiude e dentro non si
vede Che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare E scegli una strada diversa e ricorda che l'amore non è violenza Ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire, vietato morire Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai E ricorda che l'amore non ti spara in faccia mai Figlio mio ricorda bene che La vita che avrai Non sarà mai distante dell'amore che dai Ricorda di disobbedire perché è vietato morire…
(“Vietatomorire” – Ermal Meta)
Nei giorni seguenti la vita a Firenze si fece
sempre più frenetica e interessante,
non c’era davvero modo di annoiarsi in tutto quel casino! Tanto per non farsi
mancare niente, giunse in città anche il Papa, Eugenio IV, in fuga da Roma che
era stata occupata dalle truppe del Duca di Milano, Filippo Maria Visconti. E
chi poteva offrirsi di ospitare il Papa in casa sua se non il nostro Cosimo de’
Medici?
Papa Eugenio, però, era da anni amico di
Rinaldo Albizzi e, così, approfittò del suo soggiorno a Palazzo Medici per perorare
la sua causa presso Cosimo e implorarlo di essere magnanimo, convincendo la
Signoria a non condannarlo a morte.
Insomma, Cosimo aveva il Papa da una parte e
Giovanni dall’altra a pressarlo affinché mettesse una buona parola per Rinaldo…
il problema era, però, che Albizzi non aveva nessuna intenzione di farsi
aiutare e, anzi, preferiva morire piuttosto che essere salvato dal Medici.
Poteva esserci una situazione più assurda e
incasinata di questa? Nemmeno a cercarla col lumicino…
E, nel frattempo, durante le riunioni della Signoria,
Andrea Pazzi, con la faccia tosta che lo contraddistingueva, insisteva con
sempre maggior veemenza che il crimine commesso da Rinaldo Albizzi era
imperdonabile e che meritava di essere punito con la morte. Cosimo era stato
costretto a ordinare a Marco Bello di tenere Giovanni chiuso a chiave nella sua
stanza a Palazzo Medici dopo che, la prima volta in cui era stato tanto
temerario da permettergli di partecipare alla seduta della Signoria, il
ragazzino aveva dato fuori di matto. Sentendo Pazzi perorare con tanto impegno
la causa della condanna a morte di Albizzi, la reazione di Giovanni era stata
plateale.
“Dovresti essere ammazzato tu con tutta la
tua famiglia di luridi traditori, Giuda
Iscariota che non sei altro!” aveva esclamato, tentando poi di raggiungere
l’uomo con l’evidente intento di azzannarlo alla giugulare o qualcosa di
simile.
Anche in quel caso, Cosimo si era avvalso
dell’aiuto di Marco Bello per afferrare il ragazzo, tenerlo stretto e portarlo
fuori dal Palazzo della Signoria, mentre il Gonfaloniere cercava di conservare
un’espressione impassibile (ma dentro di sé soffocava dalle risate…) e Giovanni
continuava a insultare Andrea Pazzi in tutte le lingue del mondo e a spiegargli
nel dettaglio cosa gli avrebbe fatto se solo se lo fosse trovato tra le mani!
Vista la situazione incandescente a dir poco,
il Papa aveva trovato una specie di compromesso: aveva fatto redigere a Cosimo
un documento in cui a Rinaldo Albizzi veniva commutata la condanna a morte in
esilio e, in cambio, l’uomo giurava che non avrebbe mai più fatto ritorno a
Firenze. Eh, già, perché la Signoria (istigata dall’immancabile Andrea Pazzi, avvocato del diavolo per vocazione) non
si fidava di Albizzi e temeva che, una volta mandato in esilio, lui avrebbe
trovato degli alleati e messo su un esercito per muovere guerra a Firenze.
Oddio, probabilmente era esattamente questo ciò che Rinaldo aveva intenzione di fare, ma
vabbè, non facciamo mica il processo alle intenzioni, noi, no?
Cosimo e Papa Eugenio portarono il documento
ad Albizzi, nella sua cella, e quella volta il Medici ritenne saggio che venisse
anche Giovanni. In quel caso non c’era pericolo che incontrasse Pazzi e che,
magari, lo sventrasse sotto gli occhi di Sua Santità… e forse con le sue frasi
pungenti, ma sempre azzeccate, sarebbe riuscito a convincere Rinaldo a firmare.
In realtà il documento convinceva poco anche
Giovanni stesso. Insomma, lui sapeva benissimo che la sua famiglia era stata
esiliata e aveva tentato in tutti i modi di ottenere il permesso di rientrare a
Firenze, con che faccia sarebbe andato a chiedere ad Albizzi di firmare per
richiedere spontaneamente l’esilio?
Tuttavia, come già aveva detto una volta a Cosimo, dall’esilio si può sempre
tornare e dalla tomba no, perciò forse era la soluzione migliore, poi ci
avrebbe pensato lui ad aiutare Rinaldo a tornare a Firenze.
Sì, la sua idea era quella, anche se non
sapeva come.
Intanto, però, bisognava convincere l’uomo a
firmare il documento.
Appunto, era proprio quello il problema…
Rinaldo Albizzi si rivoltò come morso da una
vipera, trattò male anche il Papa stesso e dichiarò che quel documento era un
inganno messo in piedi da Cosimo.
Rinaldo Albizzi, a volte, sapeva essere
davvero esasperante e, soprattutto, i suoi discorsi non avevano un minimo di
logica: che ci avrebbe guadagnato, Cosimo, a mandarlo in esilio? Se davvero lo
odiava tanto, non sarebbe stato il primo a volere la sua testa? Ma andateglielo
a spiegare…
Alla fine anche il Papa non lo resse più e lo
zittì in malo modo.
“Insomma, Rinaldo, non dimenticatevi di chi
avete di fronte!” lo redarguì.
Al che Albizzi chinò il capo, si fece un
frettoloso segno di croce e chiese perdono al Papa per aver perso la pazienza
davanti a lui.
“Perdonatemi, Santità, non dirò più niente”
mormorò, solo apparentemente pentito… perché, pur avendo appena affermato che
non avrebbe detto più niente, si affrettò ad aggiungere l’immancabile accusa di
corruzione ai Medici! Che uomo coerente,
quell’Albizzi… “Se non che i Medici mentono, è nella loro natura! Come suo
padre prima di lui, Cosimo distruggerà tutte le vite necessarie a conquistare
il potere.”
“Si può sapere che accidenti c’entra questo?”
intervenne allora Giovanni, che si era trattenuto anche troppo per i suoi
standard. “E’ mai possibile che qualsiasi cosa accada sulla faccia della terra
debba essere colpa di Messer Cosimo ai vostri occhi? Ma perché non contate fino
a cento prima di aprire bocca, se tanto dovete dire solo idiozie simili?”
Papa Eugenio fece tanto d’occhi e Cosimo si
affrettò a spiegare la situazione.
“Il ragazzo è Giovanni degli Uberti, ospite
nella mia casa e… beh, ha preso anche lui particolarmente a cuore la salvezza
di Albizzi” disse, esibendo un sorriso che sembrava più una smorfia.
“I Medici sono pronti a passare sopra chiunque
pur di…”
“Siete veramente assurdo e la cosa peggiore è
che nemmeno ve ne rendete conto” lo interruppe Giovanni senza tanti
complimenti. “Se Messer Cosimo volesse veramente la vostra rovina, gli
basterebbe tirarsi indietro e lasciar fare alla Signoria che, con il vostro carissimo amico Andrea Pazzi in testa,
inneggia giorno e notte alla vostra condanna. E invece è qui, insieme a Sua
Santità il Papa, a pregarvi di firmare un documento che vi salverà la vita. Ma
no, voi preferite accusarlo di cose che non stanno né in cielo né in terra e,
soprattutto, non sapete far altro che ritirare fuori per l’ennesima volta
quella vecchia storia di vent’anni fa, che tra l’altro in questo momento non
c’entra neanche un cavolo!”
Papa Eugenio dovette ammettere che i metodi
spicci di Giovanni erano forse più efficaci delle sue parole… ma Albizzi era
più cocciuto di un mulo, era impossibile spuntarla, con lui.
“Io non firmerò mai questo documento!” dichiarò, deciso.
“Se è la vostra ultima parola, io non posso
fare nient’altro” replicò allora il Papa, deluso. Fece per avviarsi verso la
porta della cella, accompagnato da Cosimo, ma Giovanni non aveva certo finito!
“E perché non volete firmare? Potete
perlomeno spiegarmelo?”
Cosimo e il Papa si fermarono poco prima di
uscire, scambiandosi un’occhiata.
“Forse il giovane Uberti saprà convincerlo
meglio di quanto avremmo fatto noi” suggerì il Medici.
“Lo spero” mormorò Papa Eugenio. Era davvero
amico di Albizzi da molti anni ed era dispiaciuto di non poterlo aiutare, ma
quell’uomo era talmente accecato dalla rabbia da non rendersi conto che si
stava rovinando con le sue stesse mani. Il ragazzo ostentava dei modi di dire
piuttosto coloriti, ma chissà, magari
era quello che ci voleva con un testardo come Rinaldo.
“Quel documento è un inganno di Cosimo e io
non mi abbasserò mai a firmarlo!” ripeté l’uomo, come se quella fosse una
risposta.
“Beh, allora, se ci tenete tanto a suicidarvi
perché non vi impiccate da solo con le lenzuola del letto? Risparmierete un
sacco di noie a tanta brava gente” fece Giovanni, piccato.
Fuori dalla cella, il Papa guardò Cosimo con
l’aria di dire sarebbero questi i metodi
del giovane Uberti?
Cosimo fece finta di niente, mostrando una
gran sicurezza. Per prudenza, decise di allontanarsi dalla cella insieme al
Papa, caso mai fossero volate parole grosse: quando quei due si scontravano non
si poteva mai sapere e, in ogni caso, era meglio che Sua Santità non
assistesse!
“Come ti permetti di parlarmi così, ragazzino
arrogante? Tu non sai niente di me e non puoi capire” ribatté Rinaldo. “Non
voglio essere debitore di Cosimo e, in ogni caso, non ho alcun interesse ad
andare in esilio. Fuori da Firenze non sarei più nessuno.”
“Ah, beh, perché invece qui chi vi credete di
essere?” replicò Giovanni, con aria di sufficienza. “L’avete fatta voi la
sciocchezza di cercare di rovesciare la Signoria e iene affamate come Andrea Pazzi sono lì che ancora vi ringraziano. Lo
capite o no che Pazzi aspetta solo che saliate sul patibolo per rivendicare
immediatamente il suo diritto a occupare il vostro seggio?”
“Tu che ne sai di tutte queste cose?” domandò
l’uomo, adesso più calmo e incuriosito dalle parole del ragazzo.
“Lo so perché è la stessa cosa che hanno
fatto alla mia famiglia” rispose Giovanni in tono grave e fissando Rinaldo
dritto negli occhi, “e sappiate che non lascerò che facciano lo stesso a voi.
Se oggi non volete firmare quel documento io tornerò domani, e poi il giorno
dopo e il giorno dopo ancora, finché non vi avrò convinto.”
“Non credo che mi resti tutto questo tempo,
ragazzino…”
“Vi resterà, potete contarci. La Signoria non
farà niente contro di voi e io vi convincerò a firmare il documento” dichiarò
il ragazzo.
“Sembri molto sicuro di te, giovane Uberti”
fece Rinaldo, adesso quasi divertito.
“Lo sono” fu la risposta del ragazzo. “Bene,
devo raggiungere Messer Cosimo e Sua Santità, ma non vi illudete, non è finita
qui. Domani tornerò, da solo, portando quel documento, e non vi darò pace
finché non vi avrò convinto a firmarlo.”
Suo malgrado, ad Albizzi scappò un
sorrisetto.
“Come vuoi. Magari allora io domani ti
spiegherò meglio le ragioni per le quali non ho alcuna intenzione di firmarlo,
e vedremo chi l’avrà vinta” disse.
“A domani, Messer Albizzi” iniziò a dire
Giovanni, ma non fece quasi in tempo a finire la frase, perché Rinaldo lo
afferrò bruscamente, lo attirò a sé e lo baciò in modo rude, disperato, avido.
Meno male che Cosimo aveva allontanato il
Papa!
“A domani, ragazzino impertinente” gli disse
poi, lasciandolo andare.
Un po’ confuso e sbalordito, Giovanni uscì
dalla cella dell’uomo e raggiunse il Papa e il Medici che lo aspettavano in
fondo alla prima rampa di scale insieme al carceriere.
“Allora, sei riuscito a convincerlo a
firmare?” gli domandò il Medici.
“Non ancora, ma tornerò domani con questo
documento e insisterò finché non accetterà di firmarlo” replicò il ragazzino,
cercando di recuperare un certo qual contegno. “Posso tenere il foglio con me,
Messer Cosimo?”
“Non vedo perché no” rispose il Medici.
“Comunque temo che Rinaldo sia ancora più testardo di te.”
“Oh, Messer Albizzi non ha ancora visto
niente…” fece Giovanni, con il tono di chi la sa lunga.
In realtà nemmeno lui sapeva ancora come
sarebbe riuscito a convincere Albizzi, però una cosa la sapeva: non avrebbe
lasciato niente di intentato pur di salvargli la vita… e, possibilmente, di
trovare il modo per risparmiargli anche l’esilio.
Rinaldo, intanto, rimasto solo nella sua
cella, guardava fuori dalla finestrella che dava sulla piazza.
Rifletteva.
Giovanni si stava dando veramente tanto da
fare per salvargli la vita, era chiaro che teneva molto a lui.
Ma lui, Rinaldo Albizzi, come avrebbe potuto
vivere in esilio, lontano da Firenze, senza più poter partecipare alla vita
politica della sua città? A cosa sarebbe servita allora la sua vita?
Possibile che Giovanni, che discendeva da una
famiglia cacciata da Firenze, non comprendesse la sua amarezza?
Il giorno dopo avrebbero parlato con più
calma e, sicuramente, il ragazzo avrebbe capito. La sua era una causa persa e
non aveva più motivo per lottare.
La sua vita non aveva più senso, tanto valeva
che lo giustiziassero…
What have you done? Is this what you wanted? What have you become? His soul's not forsaken You're walking alone From heaven into hell Now that you know Your way in this madness Your powers are gone Your chains have been broken You've suffered so long You will never change!
(“A demon’s fate”
– Within Temptation)
Il mattino dopo, come
promesso, Giovanni era di nuovo a tampinare Rinaldo Albizzi nella sua cella,
sventolandogli in faccia il documento e continuando a insistere affinché lo firmasse.
Questa volta i due
erano soli, Cosimo aveva pensato bene di tenere il Papa lontano da quei due
quando erano insieme (la sapeva lunga, lui!) e di non provare più a convincere
l’uomo. Tanto, Rinaldo avrebbe sempre e comunque fatto l’opposto di quello che
Cosimo voleva, così, per partito preso; era forse più probabile che Giovanni,
da solo, riuscisse a convincerlo.
“Proprio non vuoi
capire, ragazzino? Innanzitutto non voglio la pietà di Cosimo e non intendo
sentirmi in debito con lui per la mia vita” ripeté Albizzi per l’ennesima
volta, come se ormai non lo avessero capito anche i muri della sua cella, “e
poi… io sono un nobile, un politico di Firenze. Che cosa dovrei fare in esilio?
Non avrei più niente per cui vivere.”
Giovanni era
esterrefatto.
“Non avreste più
niente, dite? Ma siete completamente fuori di senno?” esclamò. “Avete la vostra
famiglia, vostro figlio e Messer Cosimo farà in modo che non vi vengano
confiscati i vostri averi, questo lo so già. Volete far parte della vita
politica, o magari continuare ad essere un capo militare, come durante la
guerra contro Lucca? Questo nessuno ve lo impedisce. Il documento vi obbliga a
non cercare di ritornare a Firenze e, soprattutto, a non muovere guerra alla
città, ma potreste comunque farvi una nuova vita nel luogo dove sarete
destinato. Mio fratello Lapo, per esempio, è il comandante delle guardie del
Duca di Mantova e mio fratello Francesco segue la carriera militare a Verona.
Il nome degli Uberti è amato e rispettato in altre città… sono io che volevo
che fosse riabilitato anche a Firenze, ma l’esilio non è stata la fine della
nostra famiglia.”
Rinaldo crollò il
capo, le parole del ragazzo non lo convincevano.
“I tuoi fratelli non
sono nati a Firenze, non hanno avuto difficoltà a stabilirsi in altre città
dove stanno facendo fortuna” replicò. “Io sono fiorentino da generazioni e la
mia famiglia è da sempre una colonna portante di Firenze. Come potrei
ricominciare da capo in una città diversa? Forse Ormanno potrebbe, ma non io.”
“E allora fatelo per
vostro figlio!” riprese Giovanni, sperando che l’argomento relativo al futuro
di Ormanno fosse più convincente. “Cosa credete che sia meglio per lui, vedere
suo padre giustiziato o farsi una nuova vita altrove, come hanno fatto i miei
fratelli?”
“Se io muoio, Ormanno
non dovrà subire alcuna conseguenza. Lui non era coinvolto nel mio tentativo di
impadronirmi della Signoria e, anzi, ha tentato di dissuadermi. La mia colpa
morirà con me e la famiglia Albizzi potrà riprendere il posto che le spetta a Firenze
proprio grazie a mio figlio” ribatté Rinaldo che, a quanto pare, stava
cominciando ad affezionarsi all’idea di fare la figura del martire, di colui che muore impavido per il bene della sua famiglia
e altre stronzate cavalleresche del genere.
Giovanni, però,
queste storie non voleva nemmeno ascoltarle.
“Siete più cocciuto
di un mulo!” gridò, esasperato. “Voi e la vostra fissazione di fare l’eroe! Possibile che non capiate
la cosa più semplice del mondo? Dall’esilio si può sempre tornare, in un modo o
nell’altro, Messer Cosimo ci è riuscito, come avete visto. Una volta che uno è
morto, invece, non ritorna più!”
Rinaldo rimase
colpito, non tanto dalle parole, quanto dall’accento disperato che colse nella
voce del ragazzino. Giovanni teneva dunque così tanto a lui? Era così affranto
all’idea che gli accadesse qualcosa? Sembrò comprendere che nel cuore del
giovane Uberti c’era molto di più di quanto volesse ammettere e decise perciò
di mostrarsi conciliante, pur restando fermo sulle sue posizioni. Sedette più
vicino al ragazzo e lo prese per le spalle, avvicinandolo a sé.
“Adesso ti farò una
domanda ben precisa, Giovanni, e voglio che tu mi risponda sinceramente, siamo
intesi?” gli disse, fissandolo negli occhi.
Il ragazzo annuì,
confuso.
“Tu sei tornato a Firenze
per riabilitare il nome della tua famiglia e, soprattutto, quello dei tuoi
antenati Farinata e Neri degli Uberti. Ebbene, loro sono stati esiliati e tu
sai bene quanto ciò li abbia fatti soffrire, quanto disperatamente essi abbiano
tentato di ottenere il permesso di rientrare nella loro città. Non è forse
così?”
Giovanni annuì di
nuovo, ma nei suoi occhi comparve un’ombra dolorosa che non sfuggì ad Albizzi.
Il ragazzino cominciava a capire dove l’uomo volesse andare a parare con quel
suo discorso e la cosa non gli piaceva per niente; dal canto suo, Rinaldo
sapeva bene che ciò che stava per dire avrebbe ferito Giovanni, ma non poteva
farne a meno.
“Se Farinata degli
Uberti fosse qui, adesso, al mio posto, credi che sceglierebbe mai l’esilio di
sua volontà? E tu avresti il coraggio di insistere con lui perché firmasse un
documento che lo condannerebbe ad un esilio perpetuo, sapendo quanto ciò è
costato a lui e a tutta la vostra famiglia?” riprese Albizzi, stringendo più
forte le spalle del ragazzo. Era consapevole di dargli un dolore. “Te lo
ripeto: Farinata degli Uberti avrebbe mai scelto di firmare quel documento,
condannandosi da solo all’esilio da Firenze?”
Ora gli occhi del
ragazzo erano colmi di lacrime e lui si mordeva il labbro inferiore per impedire
che scendessero… ma non poté mentire: lui sapeva bene che cosa avrebbe scelto
il suo antenato tanto amato e ammirato.
“No” ammise con un
sospiro, “Farinata degli Uberti non si sarebbe mai piegato a firmare quel
documento…”
“E allora perché vuoi
che lo faccia io?” insisté Rinaldo, questa volta sommessamente, quasi con
dolcezza, avvicinandosi sempre di più a lui. “Perché vuoi che io compia un atto
di codardia che il tuo antenato non avrebbe mai compiuto? Mi ritieni dunque così
tanto inferiore al grande Farinata?”
“No, no, non è
questo” protestò Giovanni, rendendosi conto di essere stato sconfitto su tutta
la linea. “Non vi ritengo inferiore a lui e non voglio che vi sentiate un
codardo, è solo che io… io non voglio che… non posso nemmeno pensarci…”
“Allora non chiedermi
più di fare qualcosa che andrebbe contro tutto ciò in cui credo” concluse
l’uomo, interrompendo Giovanni prima che dicesse qualcosa di troppo. “Tu più di
chiunque altro dovresti capire cosa significa per me.”
Il ragazzino chinò il
capo, straziato. Allora Albizzi lo prese tra le braccia e lo baciò, questa
volta non con la foga avida della sera precedente, ma con la dolcezza
struggente di un ultimo saluto. Lo baciò come non aveva mai fatto prima, godendosi
ogni istante del contatto tenero e caldo con le labbra e con il corpo di
Giovanni. Lo distese sul letto e si mise sopra di lui, sempre baciandolo, lo
prese con lentezza e appassionata dolcezza, consapevole che quelli erano
probabilmente gli ultimi momenti di serenità e tenerezza che poteva concedersi
(e per fortuna i carcerieri, in quella prigione, si facevano i fatti loro e si
preoccupavano solo che il prigioniero fosse chiuso a chiave!). Giovanni,
stordito e turbato da quell’assalto amoroso che, decisamente, non si aspettava
in un contesto del genere, dimenticò ben presto dove si trovava e si abbandonò
completamente a quel piacere che non aveva ancora capito, ma che travolgeva e
confondeva tutti i suoi sensi.
Alla fine di tutto,
ancora particolarmente sbalordito da quanto era appena successo in quella
cella, Giovanni poté solo raccogliere il documento che, nel frattempo, era
finito sul pavimento della prigione e rivolgere un ultimo sguardo pieno di
disperazione a Rinaldo.
“Non firmerò quel
documento, Giovanni, e tu non hai il diritto di chiedermelo ancora” ribadì
l’uomo, scompigliandogli i capelli con un gesto affettuoso. “Però ti ringrazio
per esserti preso tanto a cuore la mia causa, nessuno si era mai preoccupato
così per me. Sono felice di averti conosciuto.”
Quel discorso sapeva
tanto di addio e Giovanni non poteva sopportarlo. Rinaldo lo abbracciò e baciò
ancora una volta, tanto per incoraggiamento, poi lo lasciò andare.
Il giovane Uberti
avrebbe voluto piangere, disperarsi, tentare ancora di convincere l’uomo… ma
poi comprese che non era quella la strada giusta, che c’erano ancora dei modi
per salvare Albizzi e lui doveva trovarli prima che fosse troppo tardi.
Sulla porta della
cella si voltò a guardare Rinaldo, questa volta con espressione fiera e
combattiva.
“Non vi chiederò più
di firmare questo documento, Messer Albizzi, ma sappiate che non smetterò di
lottare per voi” dichiarò. “Non avrò pace finché non vi avrò liberato da questa
cella e non saprò che la vostra vita non è più in pericolo.”
“Che cosa farai,
ragazzino, rovescerai la Signoria?” fece scherzosamente l’uomo.
“Anche, se occorre,
ma state certo che io vi salverò.
Tenete bene a mente queste mie parole” concluse Giovanni.
Albizzi lo guardò
uscire dalla cella e lo seguì con lo sguardo finché poté, senza nemmeno vedere
il carceriere che, nel frattempo, era accorso per richiudere la porta a chiave.
Che intenzioni aveva Giovanni? Non si sarebbe messo nei guai per lui, vero?
Vero?
Rovesciare la
Signoria pur di salvarlo, che idea… lui ci aveva provato e bel risultato aveva ottenuto!
Non voleva che anche Giovanni rischiasse il patibolo. Beh, ma chi ci riusciva a
far ragionare quel ragazzino incosciente e spavaldo? Un vero, piccolo, nobile e
valoroso Uberti…
Giovanni uscì dal
Palazzo della Signoria tutto immerso nei suoi pensieri e nei suoi piani.
Avrebbe trovato al più presto un modo per liberare Messer Albizzi da quella
cella, ne era sicuro, non avrebbe mai lasciato che lo giustiziassero. Forse
Messer Cosimo poteva insistere per l’esilio anche se Rinaldo non aveva firmato
il documento, forse…
I pensieri del
ragazzo furono interrotti da un brusco risveglio: qualcuno lo afferrò rudemente
per il polso, gli torse il braccio dietro la schiena e gli strappò il documento
che teneva in mano. Giovanni, stupito, lanciò un grido e solo dopo si accorse
che l’autore di quel gesto meschino era Andrea Pazzi (e chi altri poteva essere
tanto bastardo da aggredire per strada un ragazzino?).
“Voi!” sibilò, con
gli occhi che lanciavano fiamme. “Ridatemi immediatamente quel foglio, non vi
appartiene!”
“Ah, interessante”
disse Pazzi, scorrendo il documento. “Con questo, Rinaldo Albizzi giura di
restare in esilio e in pace e in cambio chiede salva la vita… Vedo che c’è
anche la firma di Sua Santità, ma Albizzi non l’ha firmato, a quanto pare.”
“Cosa ve ne importa a
voi? Ridatemi immediatamente quel documento” esclamò inviperito Giovanni.
“Adesso siete anche un ladro oltre che un traditore, un bugiardo e uno
spergiuro? Complimenti!”
“Se Rinaldo non ha
accettato questo accordo così generoso è perché, con tutta evidenza, non vuole
affatto restare in pace, la sua intenzione è davvero quella di mettere insieme
un nuovo esercito e attaccare Firenze” riprese l’uomo, ignorando le accuse di
Giovanni. “Molto bene, è giusto che il Gonfaloniere e tutta la Signoria siano
informati dei loschi piani di Rinaldo Albizzi.”
“Come osate dire una
cosa simile, quando tutta questa storia non è che un vostro sporco intrigo per
impadronirvi del seggio di Messer Albizzi alla Signoria?” reagì il ragazzino
che, se non avesse avuto il braccio bloccato, avrebbe volentieri cavato gli
occhi a Andrea Pazzi.
“Sei astuto, giovane
Uberti, intelligente e presuntuoso come tutta la tua famiglia” replicò Pazzi in
tono mellifluo. “Hai capito tutto molto prima degli altri, ma non potrai farci
niente. A chi pensi che crederà il Gonfaloniere, a un vecchio amico come me o a
un ragazzino insolente, polemico e spocchioso che discende da una famiglia in
disgrazia?”
“La mia famiglia è in
disgrazia solo per colpa dei vostri antenati, che erano meschini e malfattori
come voi!” protestò Giovanni, oltraggiato e infuriato. “Ma non vi illudete,
questa volta non ingannerete nessuno: io riuscirò a far assolvere Messer
Albizzi e a riabilitare il nome della mia famiglia, mentre voi e tutta la
vostra dannata discendenza finirete in rovina!”
“Quanto fuoco nel
difendere il caro Rinaldo Albizzi… interessante” commentò malignamente l’uomo.
“Beh, la cosa non mi riguarda, è molto più importante che consegni
immediatamente questo documento al Gonfaloniere come prova delle turpi
intenzioni di Albizzi.”
Andrea Pazzi liberò
Giovanni e, ormai padrone del famigerato documento, fece per allontanarsi. Il
ragazzo avrebbe potuto provare a riprenderselo, ma valutò che, con ogni
probabilità, quel subdolo individuo era armato e poi avrebbe potuto denunciarlo
alla Signoria per aggressione e farlo arrestare. Se fosse stato in prigione,
come avrebbe potuto salvare Messer Albizzi? Così si limitò a gridargli dietro
tutta la sua rabbia.
“Andate, andate pure,
tanto quel documento non significa niente e potrei dirvi dove dovreste infilarvelo,
ma sono un nobile signore e non lo farò!” gridò, tanto per sfogarsi. Poi,
sempre più arrabbiato, corse fino a Palazzo Medici in un modo che lo faceva
somigliare molto di più a un monello di strada che al nobile signore che aveva appena dichiarato di essere… e, giunto là,
chiese di poter parlare immediatamente con Cosimo.
Emilia, la serva, gli
disse che era nel suo studio in compagnia della sua schiava (nonché nuova
amante) Maddalena, ma a Giovanni non interessavano i pettegolezzi. Salì le
scale e si precipitò come un piccolo tornado nello studio di Cosimo, lasciando
a bocca aperta il Medici e la schiava che se lo ritrovarono nella stanza
accaldato, con le guance arrossate, i vestiti spiegazzati e i capelli
scompigliati. Sembrava il sopravvissuto a qualche cataclisma…
“Messer Cosimo,
dovete fare qualcosa subito! Quel grandissimo bastardo… scusami, Maddalena, ma
è quello che è… dicevo, quel grandissimo bastardo di Andrea Pazzi mi ha
strappato di mano il documento che Messer Albizzi avrebbe dovuto firmare” disse
tutto d’un fiato. “Ora lo porterà alla Signoria per dimostrare, dice lui, che Messer Albizzi ha cattive
intenzioni contro Firenze e che deve essere giustiziato! Dovete impedirlo,
Messere, io lo so che anche voi volete salvare Messer Albizzi, lo so… vi
prego!”
Cosimo alzò gli occhi
al cielo, sospirò e poi prese la sua decisione.
“E va bene.
Maddalena, lasciaci soli, per favore, io e Giovanni dobbiamo parlare” disse.
Mentre la donna
lasciava la stanza, il Medici si dispose ad ascoltare Giovanni. Il ragazzo non
aveva tutti i torti, in fondo: lui avrebbe voluto veramente aiutare Rinaldo,
anche solo per far pace con la sua coscienza e dimenticare ciò che era avvenuto
vent’anni prima. Inoltre, se nella storia entrava anche Andrea Pazzi, le cose
potevano mettersi molto male. Albizzi era un irresponsabile e una testa calda, ma,
come diceva Papa Eugenio, in fondo era un brav’uomo e ogni sua malefatta era
legata a quel mai sopito rancore per la faccenda di vent’anni prima. Al
contrario, Andrea Pazzi era un disonesto, un traditore e un falso e Cosimo
sapeva bene che, come rivale per il potere, sarebbe stato molto più pericoloso
di Rinaldo.
Giovanni aveva
ragione, era arrivata anche per lui l’ora di agire.
Here, not a
single light
Here, in the darkest night
And the sound of silence, silence, silence
Here, this is
where I reign
Hear me calling out no name
So I'll stay in silence, silence
There's
footprints in the snow
I'll follow wherever you go
I'll be the lonely wolf
I'll follow wherever you go
In the silver
night…
(“Silver night”
– The Rasmus)
Andrea Pazzi non aveva perso tempo e,
tanto per provare ancora una volta la sua nomea di bastardo dentro, si era affrettato a consegnare il documento
incriminante al Gonfaloniere Guadagni di fronte a tutta la Signoria riunita.
Guadagni non era una cattiva persona ma,
davanti alle prove, che altro poteva fare? Mostrò il documento ai Priori e a
tutti i presenti, con grande soddisfazione di Pazzi che gongolava pregustando
il successo.
“Rinaldo Albizzi ha mostrato il suo vero
volto. Il suo rifiuto di firmare questa generosa offerta dimostra che egli è
realmente un pericolo per la nostra Repubblica” esclamò. “L’esilio sarebbe solo
un modo per regalargli tempo e consentirgli di radunare un’armata per attaccare
Firenze!”
Queste parole colpirono nel segno,
proprio come quello stronzo di Andrea Pazzi aveva previsto. Anche i nobili più
vicini ad Albizzi non poterono continuare a sostenerlo e si unirono al grido di
A morte Albizzi che risuonò per tutto
il salone… una sorta di coro da stadio, guidato senza dubbio da Pazzi in
persona.
La Signoria stava ancora cantando l’inno quando giunse Cosimo,
tallonato da presso da Giovanni. Il Medici rimase molto male nel vedere che si
era già arrivati addirittura al coro da
stadio contro Albizzi, temette di essere giunto in ritardo… nonostante ciò,
si fece largo tra i tifosi… pardon, tra i partecipanti alla votazione della
Signoria… e si rivolse direttamente al Gonfaloniere.
“Messer Guadagni, so che è stato Andrea
Pazzi a consegnarvi questo documento, ma non ne aveva alcun diritto, si tratta
di un accordo privato voluto da Sua Santità Eugenio IV” obiettò.
“La Signoria doveva comunque venirne a
conoscenza, anche se non approvo i metodi di Messer Pazzi” replicò il
Gonfaloniere.
“Lo spero bene che non li approviate,
quello è solo un maledetto traditore che ha venduto Messer Albizzi per avere il
suo seggio alla Signoria! Dovrebbe essere lui a venire giudicato e cacciato da
Firenze per sempre!” reagì Giovanni, infuriato.
“Messer Guadagni, per quanto ancora
dovrò tollerare le accuse infamanti di questo ragazzino insolente… proprio un
degno discendente di quegli eretici sovversivi degli Uberti” protestò Pazzi,
acido. “Quando vi deciderete a punirlo come merita? Visto che tiene tanto al
suo mentore Rinaldo Albizzi, potreste
farlo direttamente incarcerare e giustiziare con lui!”
Ecco, anche quel giorno alla riunione
della Signoria ci sarebbe stato da divertirsi, pensò vagamente il Gonfaloniere,
poi ritornò alla sua maschera imperturbabile e al suo dovere di far rispettare
l’ordine.
“Messer Pazzi, sono io a decidere se e
quando punire qualcuno, non siete ancora voi il Gonfaloniere” ribatté Guadagni,
che comunque non aveva simpatia per quell’infido.
“E, se Dio ci assiste, non lo sarà mai!” esclamò Giovanni, incapace di
trattenersi.
“In quanto a voi, Messer Uberti, le
vostre accuse sono molto gravi e dovreste dimostrarle, prima di attaccare
Messer Pazzi” riprese il Gonfaloniere, rivolgendosi al giovane Uberti. “Resta
il fatto che Sua Santità ha proposto un accordo molto generoso a Rinaldo
Albizzi e lui lo ha rifiutato, pertanto è da considerarsi un pericolo per
Firenze.”
Andrea Pazzi esibì un sorrisetto maligno
mentre i presenti riprendevano a intonare il loro coro di A morte Albizzi.
Cosimo e Giovanni, per il momento,
avevano concluso con un nulla di fatto. La mattina seguente ci sarebbe stata la
votazione definitiva e, a quanto pareva, i giochi erano già stati fatti: la
Signoria avrebbe votato per la condanna a morte di Albizzi.
La vittoria di Pazzi, tuttavia, era solo
apparente. Cosimo stava già pensando a come muoversi per convincere la Signoria
a modificare il suo voto e Giovanni, dal canto suo, avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di salvare la vita di Rinaldo.
Albizzi, invece, aveva accettato la
condanna a morte già da tempo e non si era scomposto più di tanto. Era stato
sconfitto. Il suo tentativo di vendicarsi di Cosimo e di prendere il potere a
Firenze era fallito. Non aveva più niente a cui attaccarsi e preferiva morire
piuttosto che vivere in una Firenze governata dai Medici. Quella sera incontrò
il figlio Ormanno, venuto a trovarlo in carcere per vederlo un’ultima volta
prima della sentenza.
Il ragazzo era in lacrime e continuava a
protestare che era un’ingiustizia, che suo padre doveva salvarsi.
“Ormanno, figlio mio, non devi
preoccuparti per me” gli disse l’uomo, abbracciandolo. “La cosa veramente
importante è che gli Albizzi resteranno a Firenze anche dopo che sarò morto e
sarai tu a portare in alto il nome della nostra famiglia, come hai sempre
fatto. Sono fiero di te e lo sarò sempre.”
Anche Giovanni era andato al Palazzo
della Signoria per incontrare Rinaldo in cella ma, saputo che l’uomo stava
parlando con suo figlio, aveva atteso in fondo alla rampa di scale per
lasciarli in pace. Intanto nella sua mente scorrevano mille e mille piani, a
dire il vero uno più assurdo e impossibile dell’altro, per salvare la vita di
Albizzi…
Immerso in questi pensieri, si riscosse
soltanto quando Ormanno, ancora con gli occhi rossi, gli passò accanto.
“Ormanno, non piangete” gli disse il
ragazzo, in tono incoraggiante. “Vi giuro che vostro padre non morirà.”
Il giovane lo guardò, poco convinto.
“La Signoria ha già stabilito di votare
per la condanna a morte” replicò.
“Io vi dico che non andrà così, perciò
state sereno” insisté Giovanni, con uno sguardo talmente infuocato che anche
Ormanno fece due più due e comprese che genere di rapporto particolare intercorresse tra suo padre e quello strano
ragazzino. Tuttavia la cosa non lo riguardava e ciò che davvero contava era che
Giovanni avesse ragione e che a suo padre fosse risparmiata la vita.
“Spero davvero che tu abbia ragione”
disse dunque Ormanno, congedandosi. “Ti ringrazio per… beh, per tutto quello
che stai facendo per mio padre.”
Chissà se lo ringraziava anche per
quello che faceva con lui?
Ma torniamo alle cose serie, che qui c’è
qualcuno che rischia davvero grosso.
Uscito Ormanno, fu Giovanni a
presentarsi alla porta della cella di Albizzi. Si era già accordato con il
carceriere, che lo avrebbe chiuso nella prigione con il detenuto e ce lo
avrebbe lasciato per tutta la notte. Il ragazzo non voleva che Albizzi restasse
da solo proprio la notte prima della sentenza… e quello che Albizzi avrebbe
fatto di lui, tenendolo con sé, al carceriere non fregava un beneamato.
Contenti loro… non erano mica affari suoi!
Giovanni entrò nella cella
silenziosamente e il carceriere chiuse a chiave la porta dietro di lui,
affrettandosi ad allontanarsi.
Rinaldo sembrò quasi non accorgersi
della sua presenza, ancora provato per l’addio al figlio. Era stato un momento
molto doloroso, Albizzi era convinto di stare facendo la cosa giusta per
Ormanno, ma vederlo così sconvolto era stato straziante. Non era questo ciò che
avrebbe voluto per lui, aveva sognato di vederlo governare Firenze al suo
fianco… ma tutto era svanito e adesso non restava altro che proteggere il nome
della famiglia.
Ancora una volta, Giovanni fu lacerato
nel vedere la rassegnazione e la sconfitta negli occhi dell’uomo. Sì, era lui
che aveva scelto di morire piuttosto che andare in esilio, ma non era certo
quello ciò che avrebbe desiderato davvero. Era solo che non voleva più vivere
in un mondo che osannava i Medici e distruggeva le casate antiche e nobili come
la sua. Per certi versi riusciva anche a comprenderlo, ma non poteva sopportare
di perderlo, quello era il vero problema.
“Messer Albizzi…” disse, muovendo un
passo verso di lui.
Rinaldo parve accorgersi solo in quel
momento della presenza del ragazzo e l’ombra sul suo volto si dissolse, almeno
per qualche momento.
“Giovanni, non credevo che ti avrei
rivisto, ma ammetto di averlo sperato” confessò. “Mi fa piacere che anche tu
sia venuto a salutarmi.”
“Resterò con voi tutta la notte”
dichiarò Giovanni, avvicinandosi ancora di più a lui. “Non vi lascio solo, non
questa notte.”
Albizzi mostrò sorpresa e anche una
certa quale ammirazione.
“Vuoi rimanere per tutta la notte in
questa cella? Ragazzino incosciente, su questo devo dare ragione a Cosimo, di
notte è davvero molto fredda, forse non dovresti…”
“Io non vi lascio solo” ripeté Giovanni,
convinto.
Allora Rinaldo lo prese per le braccia e
lo attirò a sé, lo strinse forte e lo baciò con intensità e disperazione,
sfogando in quel bacio tutta l’amarezza, la frustrazione e il dolore che
provava. Avere Giovanni tra le braccia, sentirlo morbido e caldo e perdersi in
quel bacio leniva ogni sofferenza e faceva perfino dimenticare che, il mattino
dopo, lui sarebbe stato giustiziato.
Non voleva pensare a quello che sarebbe
accaduto, la sentenza della Signoria, l’esecuzione, no. Voleva pensare solo a
Giovanni, sentire solo lui, il suo tepore, il suo sapore, la dolcezza del suo
corpo così giovane. Sarebbe stata l’ultima volta e voleva goderne ogni attimo,
come se non ci fosse stato un domani, come se null’altro fosse esistito. Voleva
portare con sé, fino agli istanti estremi, solo il ricordo della tenerezza di
quell’amplesso infinito, solo quello, e forse non si sarebbe nemmeno accorto di
morire…
Le ore passarono lente e intense in
quella cella, ma dove c’era stata amarezza e sofferenza ora pareva regnare una
certa qual speranza. Stretto a lui, nel suo letto, Rinaldo accarezzava i
capelli di Giovanni e lo baciava piano, senza mai saziarsi di averlo.
“Sei un vero Uberti, ragazzino” gli
disse poi. “Avremmo potuto fare grandi cose insieme, io e te, te lo dissi
subito dopo averti conosciuto, lo ricordi?”
A Giovanni si strinse il cuore. Lo
ricordava, certo, erano giorni più sereni e tranquilli, in cui Albizzi era solo
il nobile tronfio e arrogante che voleva mostrare di essere e lui si divertiva
a provocarlo. Faceva male rammentarlo adesso.
“Le faremo comunque, Messer Albizzi. Voi
vi sarete pure arreso, ma io non ci penso nemmeno e domani non permetterò che
la Signoria vi condanni a morte, statene certo” replicò il ragazzino.
“Davvero? E cosa farai, rovescerai la
Repubblica tutto da solo, piccolo cavaliere senza esercito?”
“Anche quello, se servirà, ma non vi
lascerò morire, questo è sicuro” ribadì Giovanni, sempre più deciso.
“Non so se te l’ho mai detto, ma sono
certo che il tuo antenato Farinata degli Uberti sarebbe molto orgoglioso di te”
affermò Rinaldo, intenerito. Comprendeva sempre di più quanto forte e intenso
fosse il sentimento che quel ragazzino provava per lui. All’inizio aveva
creduto che fosse solo un piccolo arrogante che si divertiva a provocare e
questo lo aveva stuzzicato, ma ciò che Giovanni aveva fatto per lui negli
ultimi mesi era molto di più e dimostrava un affetto vero e sincero. E anche
lui gli voleva parecchio più bene di quanto fosse disposto ad ammettere…
“Sì, i tuoi antenati sarebbero
orgogliosi di te, sei un vero discendente di quella casata nobile e valorosa”
riprese Albizzi, con un sorriso, “e anch’io sono orgoglioso di te, di tutto
quello che hai fatto per me. E sono veramente molto felice di averti
conosciuto… anche se all’inizio non ti sopportavo!”
“Nemmeno voi mi eravate tanto simpatico”
ammise Giovanni.
“Già, me ne ero accorto” fece Rinaldo,
godendo del calore e della dolcezza di quei momenti di complicità scherzosa e
di intimità, ne aveva davvero molto bisogno. “Sono contento che tu sia qui,
Giovanni.”
Lo baciò di nuovo,
ancora una volta si perse in lui, mentre tutto il resto finiva nell’oblio e nel
nulla. Cosa importava se il giorno dopo lo avrebbero ucciso? Lui, quella notte,
si sentiva vivo come non gli era capitato da molti, da troppi anni. Quella
notte ritornava ad essere il ragazzo scanzonato che era stato prima che i
Medici rovinassero la sua famiglia e il suo futuro, dimenticava ogni rancore e
amarezza, era la vita che scorreva nel suo sangue impetuosa e lo faceva sentire
bene come non ricordava di essere più stato per tanto tempo.
Il giorno dopo
sarebbe morto? Ebbene, che fosse. Lui non si era mai sentito più vivo.
Ed era solo merito di
Giovanni e di quella notte che quel ragazzino aveva reso speciale per lui.
Vinci fino a perdere
perdi fino a ridere
ma di giustizia non ne avrai mai.
E cammina, cammina non esiste
fatica o inverno
non ti fermare mai
finché non vedrai il mare
zitto e cammina contro il vento, che mira al petto
non ti fermare mai
la vita è tutto ciò che hai
la vita è tutto ciò che hai.
La mia rabbia mi esce proprio da
dentro
niente è mai sicuro per noi
proverò a resistere
forse dovrò insistere
ma il mio scalpo non lo avrai mai…
(“La mia gente” – Luca Dirisio)
La mattina successiva
Giovanni si alzò prima che spuntasse l’alba, perché sapeva che Rinaldo sarebbe
stato portato in giudizio poco tempo dopo… non avrebbe voluto lasciarlo per
tutto l’oro del mondo, ma sapeva troppo bene che era necessario: lui avrebbe
fatto il possibile per farlo liberare e, se non ci fosse riuscito, avrebbe
avuto comunque l’aiuto di Cosimo.
Albizzi attirò a sé
il ragazzino per un ultimo abbraccio e un ultimo bacio, perché così la vedeva
lui: sarebbe andato al patibolo fiero e dignitoso, consapevole di morire per
conservare la dignità alla sua casata, a suo figlio. E avrebbe portato con sé
il dolce ricordo di Giovanni per farsi forza.
“Ricordate le mie
parole, Messer Albizzi” insisté il giovane, ostinato. “Voi non sarete
condannato a morte.”
Rinaldo sorrise e scrollò
il capo, intenerito, senza ribattere. Se Giovanni voleva mantenere la sua
illusione, lui non gliel’avrebbe tolta, ma sapeva bene che, entro pochissime
ore, la Signoria avrebbe emesso il suo verdetto di condanna.
La notte trascorsa
con Giovanni, tuttavia, lo aveva calmato e tranquillizzato e, quando le guardie
vennero a prenderlo per condurlo in presenza della Signoria riunita, Albizzi
non batté ciglio, si alzò in piedi e scostò le mani che volevano afferrarlo con
un moto d’orgoglio. Non aveva bisogno di essere trascinato verso il suo destino, lui, lo aveva già accettato e
sarebbe morto come un martire della sua famiglia e della sua patria.
O, perlomeno, così si
andava raccontando…
L’uomo fu portato nel
salone dove tutti i membri della Signoria e una grandissima folla di persone si
erano riuniti per conoscere l’esito di quel verdetto.
“L’ora è giunta”
disse il Gonfaloniere Guadagni. “Dobbiamo giudicare Rinaldo Albizzi secondo la
legge e decidere la punizione per il suo tradimento.”
Fu allora che, con
grande stupore di tutti, Giovanni iniziò la sua performance!
“Questo processo è
ingiusto e porterà a un verdetto comunque ingiusto” cominciò, tanto per non
mandarle a dire… “E questo perché su quella sedia c’è un solo imputato, Messer
Albizzi, ma il vero colpevole del suo tradimento si nasconde tra i nobili
fiorentini!”
Il Gonfaloniere non
sapeva se scoppiare a ridere o mettersi le mani nei capelli. Da quando quel
ragazzino era arrivato a Firenze ogni seduta della Signoria poteva riservare
delle sorprese! Tentò comunque di riprendere la direzione del processo…
“Messer Uberti,
abbiamo avuto giorni e giorni per riflettere su ciò che Rinaldo Albizzi ha
commesso, abbiamo ascoltato più volte le vostre rimostranze e anche le parole
di Cosimo de’ Medici” gli ricordò Guadagni. “Tuttavia non abbiamo trovato
niente che potesse farci ritornare sulla nostra decisione. Albizzi ha avuto
anche la possibilità di firmare un documento in cui si impegnava a lasciare per
sempre Firenze, senza più tentare di rovesciare la Signoria, ma ha rifiutato.
Non è questa una prova lampante della sua colpevolezza?”
“Voi vi siete
lasciato ingannare fin dall’inizio dal vero colpevole, Messer Guadagni, per
questo non riuscite a considerare lucidamente gli eventi. Ma chi è stato a
spingere Messer Albizzi a tradirsi? Chi lo ha incoraggiato a pagare dei
mercenari per impadronirsi della Signoria? Chi vi ha fatto ascoltare il
colloquio con il quale Messer Albizzi ammetteva le sue colpe, permettendovi
così di arrestarlo? Chi, infine, ha sottratto un documento privato voluto da
Sua Santità Eugenio IV e lo ha portato a voi insinuando che Messer Albizzi
avesse rifiutato di firmarlo perché le sue intenzioni erano losche? Chi ha
fatto tutto questo? Il vero colpevole, ossia Andrea Pazzi, che ha tramato
nell’ombra per tutto il tempo! Lui ha appoggiato Messer Albizzi finché pensava
che potesse prendere il potere, poi si è tirato indietro e lo ha tradito quando
ha capito che le cose si mettevano male, perché oltre a tutto il resto è pure
un vigliacco. Adesso vuole eliminare Messer Albizzi per prendere il suo seggio
nella Signoria e, quando lo avrà ottenuto, continuerà a tessere intrighi per
rovesciare lui la Repubblica!”
dichiarò Giovanni, senza nemmeno fermarsi per riprendere fiato e dimostrando
che sarebbe stato un ottimo avvocato, la sua arringa era travolgente.
Ma il Gonfaloniere
non si lasciò travolgere.
“Messer Uberti, le
vostre accuse sono molto gravi ma non portate alcuna prova a sostegno di quanto
dite. Sembra piuttosto che voi abbiate una questione in sospeso con Messer
Pazzi, forse perché, molti anni fa, la sua famiglia ebbe un ruolo importante
nella cacciata dei vostri antenati da Firenze” disse Guadagni. “Dovrei accusare
un nobile fiorentino per via del vostro desiderio di vendetta?”
Giovanni trasecolò.
Come poteva il Gonfaloniere difendere così apertamente quel serpente di Pazzi e
prendersela con lui? La rabbia lo sopraffece, ma cercò di mantenere un tono
calmo e glaciale, pensando di apparire più credibile per ciò che aveva da dire.
“Molto bene, adesso è
ancora più chiaro. Gonfaloniere Guadagni, voi non potete essere più obiettivo e
equanime, perché Andrea Pazzi vi ha soffiato il suo veleno nelle orecchie per
troppo tempo. Propongo dunque di eleggere me
come nuovo Gonfaloniere per avere finalmente qualcuno che non sia legato
alle alleanze politiche e possa giudicare con giustizia!” esclamò.
Ora, chissà che cosa
pensava di ottenere Giovanni con quella sua sparata così scioccante, ma le
reazioni furono più o meno queste: la maggior parte dei presenti scoppiò a
ridere, anzi, a sghignazzare apertamente. Chi si credeva di essere quel
ragazzino per candidarsi Gonfaloniere a nemmeno diciotto anni? Anche Guadagni
stesso dovette fingersi indignato per non fare brutta figura, ma avrebbe voluto
rotolarsi dalle risate pure lui: non si era mai divertito tanto a una riunione
della Signoria! In compenso chi si indignò davvero fu Pazzi.
“Messer Guadagni,
avete ancora bisogno di prove? Il ragazzo è chiaramente un pericolo per
Firenze, un sovversivo senza il minimo rispetto per l’autorità e, molto
probabilmente, influenzato proprio dal suo mentore
Rinaldo Albizzi!” ringhiò. “Io propongo di mettere a morte entrambi!”
Rinaldo, dal canto
suo, era rimasto allibito. Quello che Giovanni aveva appena fatto era veramente
un atto sovversivo… e lo aveva fatto per lui, per salvarlo dalla condanna a
morte! Ancora una volta si rese conto di quanto avesse sottovalutato quel ragazzino,
di come sarebbe stata la sua vita se, invece di limitarsi a divertirsi con lui,
lo avesse preso maggiormente sul serio. Di quanto Giovanni lo amasse al punto
da mettere a repentaglio la sua stessa vita…
Lorenzo, accanto a
Cosimo, si mise le mani nei capelli.
“Il ragazzo è
impazzito, ma cosa gli è saltato in mente? Cosimo, cosa possiamo fare adesso?”
gemette.
Cosimo, invece,
appariva tranquillo e sicuro. L’uscita spiazzante e spregiudicata di Giovanni
aveva preso in contropiede anche lui, era vero, ma aveva creato anche
l’attenzione che gli serviva per fare il suo discorso in difesa di Albizzi.
“Messer Guadagni, vi
chiedo di perdonare l’intemperanza del giovane Uberti. Come potete vedere da
solo, è ancora un ragazzino e si è lasciato trascinare. Chiedo tuttavia il
permesso di parlare io stesso alla Signoria, prima che venga presa una
decisione su Rinaldo Albizzi” disse.
Tutti tacquero,
soffocando le ultime risate. Il Gonfaloniere concesse a Cosimo il permesso di
parlare. Dopo tutto il casino che era successo, gli occhi di tutti erano fissi
sul Medici. Si sarebbe candidato anche lui come nuovo Gonfaloniere?
“Ho avuto l’onore di
passare questi ultimi giorni in compagnia di un uomo davvero santo, Papa
Eugenio IV” iniziò Cosimo, catturando la totale attenzione di tutti i presenti.
“Egli è dovuto fuggire da Roma e ha cercato rifugio nella nostra città,
Firenze, sapendo che si fa vanto della sua misericordia verso i bisognosi. Sua
Santità è arrivato qui vestito di stracci, braccato dai suoi nemici. Eppure, non
appena arrivato a Firenze, il suo primo pensiero non è stato per se stesso ma
per il suo amico, Rinaldo Albizzi. Sperava che noi mostrassimo pietà per lui
così come Gesù ha avuto pietà di noi.”
Giovanni ascoltava
affascinato e dovette riconoscere che la strategia di Cosimo era molto più
efficace della sua…
“Gesù disse Colui che è senza peccato scagli la prima
pietra, e così io ora chiedo a tutti voi” riprese Cosimo, guardando uno per
uno i membri della Signoria, “io vi chiedo: chi siete voi per scagliare questa
pietra? Chi siamo noi per togliere la
vita a un uomo? Chi siamo noi per decidere se Rinaldo Albizzi deve vivere o
morire?”
A queste parole ci fu
un lungo istante di silenzio, talmente profondo che si sarebbe potuto sentir
cadere uno spillo. Il discorso di Cosimo era stato appassionato, coinvolgente
e, soprattutto, giusto.
Poi Messer
Cavalcanti, un membro della Signoria, iniziò ad applaudire e tutti lo seguirono
con impeto ed entusiasmo, tutti pronti ora a seguire Cosimo e a risparmiare
Rinaldo così come pochi minuti prima erano stati pronti a farlo impiccare…
insomma, mancava solo che facessero la ola!
In tutto ciò,
ovviamente, Andrea Pazzi aveva un diavolo per capello e si mangiava le mani per
la rabbia di essere stato nuovamente sconfitto…
La votazione che
seguì, come ci si poteva aspettare, stabilì che Rinaldo Albizzi sarebbe stato
esiliato.
Ormanno tirò un
sospiro di sollievo e si fece il segno della croce, Giovanni cercò subito lo
sguardo di Albizzi come per dirgli, orgoglioso Che vi avevo detto? Ho avuto ragione io, ma l’uomo era rimasto
impassibile, freddo, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.
Non degnò nessuno di
uno sguardo e si lasciò riportare in cella, in attesa dei preparativi per la
sua partenza per Ancona, il luogo scelto per il suo esilio.
A dirla tutta,
sembrava piuttosto incavolato per non aver potuto esibire la sua morte da eroe
e per essere stato salvato proprio dal rivale di sempre, Cosimo, che così aveva
fatto di nuovo la figura del magnanimo, del grand’uomo…
E, siccome Rinaldo
Albizzi era pur sempre un uomo irragionevole e senza un briciolo di buon senso,
non trovò nulla di meglio da fare che attaccare Cosimo che era andato a parlare
con lui in prigione. Vi aspettavate forse che si mostrasse grato? Mai più e mai
poi! Non sarebbe stato Rinaldo Albizzi, altrimenti.
“Questo non cancella
il passato e ciò che hai fatto vent’anni fa alla mia famiglia, Medici” gli
disse l’ingrato. “Credi forse che, salvando me, hai salvato la tua anima?”
Cosimo era buono e
caro ma, alla lunga, l’atteggiamento di Albizzi era venuto a noia anche a lui.
Ma insomma, cosa voleva quell’uomo? Gli aveva salvato la vita, gli aveva regalato Giovanni… beh, forse lui non
l’avrebbe messa proprio così, ma in fin dei conti era ciò che aveva fatto, no?
Albizzi era proprio incontentabile!
“Se tu fossi saggio
non torneresti mai più a Firenze. Non forzare la mia mano, potrei non mostrarmi
così generoso una seconda volta” lo avvertì il Medici, esasperato.
Ma Rinaldo, che a
quanto pare aveva una vera e propria fissazione per tormentare il suo prossimo
e Cosimo de’ Medici in particolare, aveva ancora una freccia al suo arco, il
colpo più basso che poteva trovare… e, francamente, anche il più stupido.
“Cosimo, c’è
qualcos’altro che devo dirti” riprese a bassa voce, facendo cenno al rivale di
avvicinarsi. “So che tuo padre non è morto di morte naturale e che il suo
decesso è stato molto doloroso… sai, veleni come quello tendono ad attaccarsi
alla gola.”
L’insinuazione
crudele di Albizzi sconvolse Cosimo, che ormai aveva dato per scontato che
l’assassino del padre fosse un altro, secondo le indagini svolte da Marco
Bello. Forse si erano sbagliati tutti e Rinaldo, invece, era colpevole di quel
terribile delitto?
“Tu sai!” esclamò,
impallidendo.
“Certo che so. Ora
sono libero per merito tuo e per tutta la vita dovrai convivere con questo
tarlo che alla fine ti farà impazzire: forse sono io che ho ucciso tuo padre,
forse tu hai salvato la vita all’uomo che ha assassinato tuo padre in un modo
tanto atroce” continuò Rinaldo, sempre più malignamente.
Che poi, detto tra
noi, il cretino in realtà non era affatto colpevole di quella morte, eppure
voleva lo stesso che Cosimo lo credesse, per fargli del male un’ultima volta!
Ma si può essere più deficienti e pure stronzi di così?
Cosimo avrebbe voluto
avventarsi nella cella di Albizzi, afferrarlo per la gola e costringerlo a
dirgli la verità… ma non aveva fatto i conti con Giovanni, che era venuto anche
lui per parlare con Rinaldo e aveva assistito proprio alla parte migliore della
conversazione, quel finale con i fuochi d’artificio.
Fu quindi il ragazzo
a scagliarsi contro la cella di Albizzi, battendo Cosimo sul tempo e lasciando
entrambi gli uomini piuttosto sconcertati.
“Vi siete del tutto
bevuto il cervello, dunque, Messer Albizzi?” esclamò, infuriato. “Messer Cosimo
vi ha salvato la vita, si è opposto all’intera Signoria per voi! Se questo è il
vostro modo di ringraziare, non vorrei essere nei paraggi quando invece
progettate di fare del male a qualcuno.”
Cosimo, intanto, si
stava lentamente allontanando dalla cella, in preda ai pensieri più tormentosi.
Poteva essere vero? Rinaldo aveva avvelenato suo padre e lui si era tanto
impegnato per salvargli la vita? Marco Bello aveva forse sbagliato? Sembrava
improbabile, il suo servitore era un uomo molto accorto e astuto e non si
sarebbe fatto ingannare, ma allora perché Rinaldo aveva parlato in quel modo?
Possibile che il suo scopo fosse solo quello di lasciarlo macerare nel dubbio
per il resto dei suoi giorni, pur essendo innocente?
Si sentiva soffocare.
Si affrettò ad uscire all’aria aperta, pensando che sarebbe stato meglio
lasciare a Giovanni il compito di parlare con quell’uomo, lui non era più
lucido per poterlo fare e, comunque, Rinaldo non gli avrebbe mai detto la
verità, lo odiava troppo… lo odiava anche adesso che era salvo grazie a lui o,
magari, lo odiava ancora di più proprio per questo.
Avevate già capito
quanto Rinaldo Albizzi fosse contorto, no?
Appunto per questo
era meglio che fosse Giovanni a parlarci!
With a rope around my neck In a world that's full of hate
Let me breathe and don't forget
It's not you, it's my own threat
Be my guide in these dark days
I cry out from far away
Don't, don't, don't lie to me
Don't, don't, don't lie to me
With a rope around my neck
I fight the demons in my head
Don't, don't, don't lie to me…
(“Don’t lie to me” – MoonSun)
Giovanni era
veramente fuori di sé dalla rabbia per ciò che Albizzi aveva detto a Cosimo.
Era stata una vera e propria carognata e poi, a dirla tutta, dentro di sé
temeva anche che il Medici, sentite quelle parole, potesse andare dal
Gonfaloniere e denunciare nuovamente l’uomo per aver assassinato suo padre…
insomma, come sempre Rinaldo Albizzi aveva incasinato tutto e lui doveva
rimettere le cose a posto!
“La prigione vi ha
dato alla testa? Ma per quale ragione, per l’amor di Dio, vi è saltato in mente
di dire a Messer Cosimo che avete avvelenato voi suo padre, quando tutti e due
sappiamo benissimo che non è così?”
esclamò il giovane, esasperato.
“Calma, ragazzino
impertinente, io non ho affatto confessato di aver ucciso il padre di Cosimo,
gli ho semplicemente fatto pensare che potrei
essere stato io” precisò Albizzi, con un sorrisetto. “E, ad ogni modo, tu sei
tanto sicuro che non sia davvero io il colpevole?”
“Certo che lo sono,
non siete stato voi” dichiarò sicuro il ragazzo.
“Come fai a saperlo?
Tu non eri nemmeno a Firenze, in quei giorni.”
“Lo so e basta. Voi
non siete così” insisté Giovanni, convinto. “Non dico che non avreste potuto
uccidere il padre di Messer Cosimo, so quanto lo odiavate e forse, in parte,
posso anche capirvi. Ma voi non lo avreste avvelenato. Il veleno è l’arma dei
codardi e voi non lo siete. Se aveste voluto uccidere Messer Medici, lo avreste
aggredito personalmente oppure avreste trovato il modo di farlo condannare a
morte dalla Signoria. Lo so, vi conosco, ormai. Vi sareste vendicato guardando
negli occhi il vostro nemico fino a vedere la vita fuggire via da lui, altro
che veleno…”
Rinaldo perse subito
tutto il suo spirito beffardo: quello che Giovanni aveva detto era
perfettamente vero e, ancora una volta, pensò che quel ragazzino fosse molto
più di ciò che sembrava. Gli aveva letto dentro con una facilità sconvolgente.
“Forse mi conosci fin
troppo bene” mormorò, ancora talmente sorpreso da lasciarsi scappare
l’ammissione che avrebbe voluto tenere per sé. “Hai ragione, io avrei fatto
così. Non ho avvelenato io il padre di Cosimo.”
“Questo lo sapevo
già” replicò il giovane, senza scomporsi. “Ma si può almeno sapere perché avete
voluto far credere a Messer Cosimo di essere stato voi?”
“Non è questo ciò che
ho fatto, in realtà. Ho detto quelle parole a Cosimo perché vivesse nel dubbio,
perché si torturasse per tutto il resto della sua vita chiedendosi se veramente
avesse salvato la vita a colui che aveva ucciso suo padre” spiegò Albizzi, come
se fosse la cosa più normale di questo mondo.
“Beh, allora siete
veramente un gran pezzo di… cioè, volevo dire che… insomma, è così che
ringraziate chi vi salva la vita? Allora io dovrò preoccuparmi parecchio”
commentò Giovanni, senza peli sulla lingua.
“No, tu no,
ragazzino” sorrise Rinaldo, che adesso si divertiva assai. “Il fatto è che
Cosimo credeva di essere a posto con la sua coscienza per avermi salvato, si
sentiva un grand’uomo, il generoso e misericordioso Cosimo de’ Medici. Pensava
che, per essermi venuto in aiuto oggi, io potessi perdonarlo per ciò che ha
fatto alla mia famiglia più di vent’anni fa… e io gli ho fatto capire che si
sbagliava di grosso. Quello che ha fatto allora, tradendo la mia fiducia e
distruggendo la mia famiglia, non potrà mai essere perdonato, qualsiasi cosa
Cosimo pensi di fare.”
“Santa pazienza, non
si può dire che siate uno che non porta rancore! Vi ricordate ancora, magari,
dei compagni di giochi che, quando eravate piccolissimi, vi hanno rotto un
giocattolo o tirato i capelli? O forse li avete già sfidati a duello e
ammazzati tutti?” commentò il ragazzino, caustico.
Rinaldo avrebbe
voluto offendersi, ma con Giovanni proprio non ce la faceva, il suo modo di
provocarlo e prenderlo in giro era per lui irresistibile e l’unica reazione che
ebbe fu scoppiare in una sonora risata.
“Ti prendi un sacco
di libertà con me, ragazzino insolente… guarda che non resterò sempre dietro
queste sbarre” lo minacciò scherzosamente.
“Oh, beh, allora devo
preoccuparmi davvero, a quanto pare mi avete messo nella vostra lista nera e tra vent’anni verrete a
cercarmi per tagliarmi la gola!”
In realtà Rinaldo
avrebbe voluto fare ben altro a Giovanni e proprio lì, in quella cella, senza
dover aspettare vent’anni… Tuttavia cercò di darsi un contegno.
“Immagino che andrai
a dire a Cosimo quello che, involontariamente, ti ho confessato e che il mio
piano di lasciarlo macerare nel dubbio sia fallito” disse, ma sembrava che, a
quel punto, non gli importasse nemmeno più di tanto.
“Vorrei ben vedere,
certo che lo farò! La vostra è stata una vera carognata… e pensare che io ero
venuto qui per dirvi che intendo venire in esilio con voi” ribatté il ragazzo.
Se Rinaldo era già rimasto
stupito, queste ultime parole di Giovanni lo lasciarono davvero senza fiato.
“Cosa hai detto? Tu…
vuoi venire in esilio con me, fino ad Ancona?” domandò, turbato. “Ma non eri
venuto a Firenze proprio perché volevi riabilitare il nome della tua famiglia e
vivere nella città dei tuoi antenati?”
Giovanni, questa
volta, ebbe la decenza di arrossire almeno un po’…
“Beh, mi sono reso
conto che Firenze è sopravvalutata e che starò benissimo anche ad Ancona”
rispose, naturalmente credendo che non si capisse che Firenze, senza Rinaldo,
perdeva tutto il suo fascino! “In quanto ai miei antenati, credo che sarebbero
orgogliosi di vedermi prendere le parti di un altro esiliato. E poi non è mica
detto che sia per sempre, magari anche voi farete come Messer Cosimo e, tra
qualche anno, potrete tornare qui.”
“E tu vorresti venire
con me e rischiare di non poter più tornare nella città che avevi sempre
sognato?” insisté Albizzi.
“Non fatela più
grande di quanto non sia” cercò di minimizzare Giovanni, a disagio. “Credevo
che Firenze fosse cambiata, dai tempi dei miei antenati, invece è sempre una
città in cui covano rancori e rivalità e dove le famiglie sono pronte a
distruggersi l’un l’altra. E poi non posso mica lasciarvi da solo ad Ancona…
chissà quante ne combinereste, di voi non ci si può fidare!”
Il ragazzino aveva
cercato di buttarla sullo scherzo, ma Rinaldo aveva capito anche quello che lui
non voleva dire. Allungò un braccio tra le sbarre della cella, prese Giovanni e
lo attirò a sé per stringerlo e baciarlo profondamente, un bacio lento,
intenso, caldo e intimo nonostante la separazione data dalle sbarre. Non voleva
ammetterlo nemmeno con se stesso, ma sapere che il giovane Uberti lo avrebbe
seguito nel suo esilio rendeva la partenza da Firenze meno dolorosa, meno
lacerante. Quel ragazzino aveva il dono di lenire le sue ferite, frenare la sua
rabbia e spesso, quando era insieme a lui, ritrovava in fondo a se stesso il
giovane scanzonato e allegro che era stato più di vent’anni prima, quella parte
di sé che credeva morta per il tradimento di Cosimo.
Giovanni lo faceva
sentire di nuovo se stesso.
“Se hai veramente
deciso così, allora dovrai prepararti, perché domattina, all’alba, io e Ormanno
lasceremo la città” gli disse poi, tenendoselo ancora vicino.
“Anche vostro figlio
è stato esiliato? Ma lui non ha fatto niente” si stupì Giovanni, poi un altro
pensiero lo colpì improvviso. “E intendete partire così, solo voi due, senza
nemmeno qualche servitore o una scorta?”
“Non abbiamo bisogno
di nessuno” replicò Albizzi. “Chi dovrebbe minacciarci? La Signoria ci ha
esiliati e noi ce ne andiamo, è ciò che vogliono.”
Giovanni non disse
niente, ma la cosa non gli piaceva. Aveva visto lo sguardo pieno di odio di
Andrea Pazzi quando la Signoria aveva decretato l’esilio al posto della
condanna a morte per Albizzi e non era tranquillo. No, non lo era per niente.
Tuttavia aveva già in
mente qualcosa per risolvere anche quel problema.
“Va bene, allora ci
incontreremo domattina all’alba, davanti alle porte di Firenze” disse, cercando
di sembrare allegro. “Sapete che non sono mai stato ad Ancona? Magari sarà una
bella città, e poi c’è anche il mare!”
Rinaldo scrollò la
testa, intenerito. Giovanni era proprio un ragazzino, eppure a volte sapeva
stupirlo con gesti che nemmeno un valoroso cavaliere avrebbe compiuto…
Lasciate le prigioni,
il ragazzo volle subito recarsi a Palazzo Medici per parlare con Cosimo. Doveva
a tutti i costi spiegargli che Albizzi aveva detto quelle cose solo per fargli
del male, ma che non c’era nulla di vero. Inoltre doveva anche avvertirlo che,
la mattina dopo, sarebbe partito anche lui con gli Albizzi, che li avrebbe
seguiti nel loro esilio ad Ancona. E, cosa più importante di tutte, aveva un
grandissimo favore da chiedergli…
Cosimo era nel suo
studio, da solo. Aveva scambiato pochissime parole con Papa Eugenio che voleva
ringraziarlo per ciò che aveva fatto per Albizzi, ma aveva bisogno di restare
solo con i suoi pensieri e di riflettere su ciò che Rinaldo gli aveva detto. Il tarlo del dubbio… Rinaldo aveva
ragione, cominciava già a farlo impazzire.
E poi nella sua
stanza, senza tanti complimenti, entrò Giovanni.
“Messer Cosimo, non
dovete angosciarvi così” gli disse subito, vedendolo tanto provato. “Ho parlato
proprio ora con Messer Albizzi e lui ha ammesso di non essere colpevole
dell’assassinio di vostro padre.”
Cosimo rivolse al
ragazzo uno sguardo freddo.
“E tu gli credi?
Perché avrebbe dovuto dire una cosa simile, allora?”
“Lo sapete anche voi
il perché: è un testardo orgoglioso e non vuole sentirsi in debito con voi per
avergli salvato la vita. E poi è il suo modo di vendicarsi per quella vecchia
storia di vent’anni fa. Ormai dovreste aver imparato com’è fatto, no?” tagliò
corto il ragazzo. “E sapete bene quanto me che Messer Albizzi non avrebbe
ucciso vostro padre con il veleno, a questo ci eravamo già arrivati e lo aveva
detto anche il vostro servitore, Marco Bello. Per cui non pensateci più,
altrimenti farete proprio il suo gioco, lui vuole che vi tormentiate.”
Cosimo non sapeva se
credere o no alle parole di Giovanni, ma dentro di sé sentiva che il ragazzo
aveva ragione, che Rinaldo voleva solo torturare la sua mente con il dubbio ma
che, se fosse stato davvero lui ad uccidere suo padre, avrebbe usato un metodo
diverso, non certo il veleno. Pian piano, le ombre che lo avevano soffocato
fino a quel momento parvero diradarsi.
“Con te è stato
sincero, dunque. Immaginavo che a me non avrebbe mai detto la verità” commentò,
già rasserenato.
“Sono contento di
vedere che state meglio” replicò Giovanni, “anche perché io… beh, volevo dirvi
che domattina partirò anch’io, ho deciso di andare in esilio con Messer
Albizzi, ad Ancona.”
Fu la volta di Cosimo
di restare sbalordito.
“Vuoi lasciare
Firenze, la città nella quale avevi sempre desiderato abitare, per seguire Rinaldo nel suo esilio?” esclamò,
pensando che, a quanto pareva, i suoi tentativi di avvicinare il ragazzo ad Albizzi erano andati fin troppo avanti!
“Credo che sia meglio
che qualcuno lo tenga d’occhio, per impedire che commetta qualche altra
stupidaggine… ne sarebbe capace, no?” scherzò Giovanni.
Cosimo sorrise e
annuì, ma comprese anche che non era solo per quello che il ragazzo voleva
seguire Rinaldo in esilio.
“Sì, forse è meglio
che ci sia qualcuno con lui a tenerlo a freno” commentò. “La Signoria non
sarebbe clemente con lui una seconda volta.”
“Appunto” ribadì il
ragazzo, facendo chiaramente capire che era anche quello che lo preoccupava. “E
a questo proposito, Messer Cosimo, avrei un immenso favore da chiedervi…”
“Dimmi pure” lo
invitò Cosimo.
“Non mi piace l’idea
che io, Messer Albizzi e suo figlio dobbiamo affrontare questo lungo viaggio da
soli, senza nessuno che ci accompagni. Lui non se ne preoccupa, ma io… io ho
visto lo sguardo di Messer Pazzi quando la Signoria ha votato per l’esilio e…
non lo so, non so se potrebbe tentare qualcosa, ma… Ecco, voi non potreste
privarvi di qualcuna delle vostre guardie solo per qualche giorno?” chiese
Giovanni, oppresso da qualcosa che nemmeno lui sapeva bene cosa fosse. “Quando
saremo giunti ad Ancona sani e salvi, ve le rimanderemo immediatamente. Ma
credo che sia giusto avere una scorta fin là… Mi capite, vero, Messer Cosimo?”
Sì, Cosimo lo capiva,
capiva che Andrea Pazzi era veramente un uomo pericoloso e che lui stesso
avrebbe dovuto guardarsi da lui, d’ora in poi; capiva che Giovanni era
preoccupato per l’incolumità dell’uomo che amava e che voleva saperlo al
sicuro; e capiva, sopra ogni cosa, che il ragazzo si metteva in pericolo
spontaneamente, accettando di condividere l’esilio con Albizzi e, anche se non
lo avrebbe forse fatto per Rinaldo, per la sicurezza di Giovanni era più che
disposto a concedere qualche guardia dei Medici come scorta ai tre viaggiatori.
“Va bene, avvertirò
le mie guardie e domattina, prima della partenza, avrai almeno quattro o cinque
uomini armati che scorteranno te e gli Albizzi fino ad Ancona” accettò il
Medici.
Giovanni lo gratificò
di un sorriso luminoso, il più aperto e spontaneo che Cosimo gli avesse mai
visto dipinto sul volto, e ancora una volta comprese quanto profondo fosse
ormai l’affetto che lo legava a Rinaldo.
“Grazie, Messer
Cosimo, sapevo di poter contare su di voi” esclamò. “Siete davvero un uomo
nobile e generoso, peccato che Messer Albizzi proprio non lo voglia capire! E’
più testardo di un mulo, quello!”
“Ma tu tornerai a
trovarci a Firenze, vero, Giovanni? Piero e Lucrezia ti sono molto affezionati
e anch’io e Lorenzo” disse Cosimo, cercando di non mostrare troppo la sua
commozione. “E poi Papa Eugenio IV domani stesso benedirà i lavori alla
Cattedrale, così che in pochi anni potrò far realizzare la cupola e, a quel
punto, le salme dei tuoi antenati saranno traslate in Duomo con tutti gli onori
e il nome degli Uberti ritornerà grande a Firenze.”
Il viso di Giovanni
si illuminò ancora di più.
“Ci sarò di sicuro,
contateci, Messer Cosimo, e… grazie, grazie anche per quello che farete per la
mia casata. Mio padre aveva ragione ad ammirarvi tanto, siete il più degno di
governare Firenze… e ve lo dice un Uberti!” replicò.
Più tardi, Cosimo si
ritrovò a pensare che l’allegria e il caratterino vivace di Giovanni sarebbero
mancati molto nell’austerità che regnava nel suo palazzo. Sperava davvero che
il ragazzo sarebbe tornato presto a Firenze.
Long live the pioneers Rebels and mutineers Go forth and have no fear Come close the end is near
And I say hey,
hey hey hey
Living like we're renegades
Hey hey hey, hey hey hey
Leaving like we're renegades…
It's our time to
make a move
It's our time to make amends
It's our time to break the rules
Let's begin…
(“Renegades” – X Ambassadors)
Il mattino successivo, alle prime luci
dell’alba, Rinaldo e Ormanno Albizzi partirono per il loro esilio ad Ancona.
Tuttavia non erano soli: Giovanni li accompagnava e una scorta di otto guardie
armate gentilmente prestate da Cosimo
de’ Medici li avrebbe protetti per tutto il viaggio.
Rinaldo cavalcava con Ormanno accanto a sé da
un lato e Giovanni dall’altro ed era talmente concentrato sulla propria
autocommiserazione, del tipo Ecco, io
devo andare in esilio e Cosimo si fa bello con il Papa e gli fa benedire la
Cattedrale, e poi devo essergli pure grato, ho sempre avuto ragione io, di
Cosimo non ci si può fidare… e altre stronzate simili da non accorgersi che
il giovane Uberti era piuttosto agitato, si guardava intorno con sospetto e
pareva aspettarsi un agguato da un momento all’altro.
I tre nobili, scortati dalle guardie medicee,
uscirono dalle porte di Firenze e presero la strada che li avrebbe portati,
dopo un lungo viaggio, fino ad Ancona, dove appunto gli Albizzi erano stati
condannati a trascorrere l’esilio. Ma non era la lunghezza del tragitto o il
dispiacere di lasciare Firenze a turbare così tanto Giovanni, era piuttosto
quello che aveva letto nello sguardo di Andrea Pazzi dopo che la Signoria aveva
votato per l’esilio… nei suoi occhi c’era odio contro Albizzi e… no, forse non
era nemmeno odio, era qualcosa di diverso, la rabbia per aver fallito nel suo
intento e il livore per dover ricorrere a un piano d’emergenza.
Andrea Pazzi non ce l’aveva personalmente con
Rinaldo Albizzi, piuttosto voleva qualcosa da lui.
Voleva qualcosa che era suo.
Il seggio alla Signoria!
Giovanni sussultò. D’un tratto l’idea che
Andrea Pazzi potesse aver pagato dei sicari per aggredire Rinaldo lungo la
strada non sembrava più tanto paranoica, anzi, diventava fin troppo verosimile.
Dopo un lungo tratto, la strada entrava in un
bosco. Il panorama sarebbe stato anche piacevole, ma Giovanni non era nella
condizione di spirito necessaria per ammirare le bellezze naturali, la sua
agitazione cresceva e alla fine non riuscì più a trattenersi.
“Fermi!” ordinò a tutti quanti, quasi fosse
lui a comandare. E infatti tutti si fermarono, non tanto per obbedire a lui
quanto perché erano alquanto sorpresi dall’uscita improvvisa di quel ragazzino.
“Che ti prende, Giovanni? Hai cambiato idea e
vuoi tornare a Firenze?” fece Rinaldo, al quale già giravano abbastanza i
cosiddetti per conto suo e non aveva né tempo né voglia di cedere ai capricci
di un ragazzo.
“Parlate più piano, Messer Albizzi, che
diamine! Tanto varrebbe suonare le trombe per avvertire tutti che state
arrivando” lo rimbeccò Giovanni a bassa voce, avvicinandosi a lui con il
cavallo.
“Avvertire chi, si può sapere? A chi accidenti vuoi che importi? Ormai sono
stato esiliato, no?”
“Messer Albizzi, a qualcuno questo potrebbe
non bastare” replicò il ragazzo, con aria da cospiratore. “Posso dimostrarvelo,
se volete. Scambiate il vostro mantello e il copricapo con una delle guardie di
Messer Cosimo e fate fare lo stesso a vostro figlio, poi mandate avanti loro
due come se fossero voi e Ormanno. Noi tre resteremo in mezzo alle guardie,
nelle retrovie.”
Rinaldo lo guardò come se fosse impazzito.
“Ma che ti salta in testa? Perché mai dovrei
fare una cosa tanto stupida?”
Beh, ne avete fatte tante in passato, una in più non dovrebbe
sconvolgervi tanto, avrebbe voluto rispondere Giovanni, adesso
sempre più nervoso e turbato. Invece scelse con cura le parole da dire…
“Avete detto voi stesso che i mercenari che
non avete pagato vi cercavano per uccidervi. Ebbene, quale posto migliore di
questo per un’imboscata? Vi prego di fare come vi ho detto e vedrete che non ve
ne pentirete.”
“Temi che i mercenari possano attaccarmi?
Beh, quei bifolchi non mi fanno certo paura” ribatté Rinaldo, quasi offeso al
solo pensiero di poter passare per codardo. “Se anche fossero qui per
vendicarsi, non mi nasconderei mai nelle retrovie, sono un Albizzi, sono un
soldato, combatterò quella feccia al fianco delle guardie!”
E, così dicendo, fece per spronare il cavallo
e imboccare il sentiero. Giovanni, però, lo afferrò per un braccio e lo
strattonò.
“Rinaldo, vi scongiuro, datemi retta almeno una volta nella vostra vita!”
insisté, con una strana voce, come se stesse per piangere. “Se non volete farlo
per voi, fatelo per Ormanno. Non vi perdonereste mai se gli accadesse qualcosa,
vero?”
Forse fu il timore per la sorte del figlio,
forse fu per qualcosa che lesse negli occhi disperati e nella voce spezzata del
ragazzino… o forse perché, per la primissima volta da quando lo conosceva,
Giovanni aveva pronunciato il suo nome (e quindi doveva essere davvero
sconvolto!), fatto sta che Rinaldo capitolò, strinse la mano del ragazzo e
annuì.
“Va bene, Giovanni, faremo come dici tu”
disse.
In pochi minuti l’inganno fu pronto: due
guardie dei Medici cavalcavano davanti al gruppo, abbigliate con i mantelli e i
copricapi degli Albizzi e Giovanni era subito dietro di loro per rendere più
credibile la messinscena. Rinaldo e Ormanno, travestiti da guardie medicee
(chissà Rinaldo che mal di stomaco doveva avere indossando quelle vesti…)
stavano nelle retrovie, in mezzo agli altri.
Il gruppo proseguì per qualche miglio ancora,
il sentiero era ormai immerso nei boschi e qualsiasi albero o cespuglio poteva
nascondere un nemico, eppure non accadeva niente di strano. Albizzi iniziava a
pensare che quella pagliacciata fosse stata solo una perdita di tempo quando,
improvvisamente, una freccia trapassò l’aria, diretta verso la più giovane
delle due guardie, quella che doveva sembrare Ormanno. Il soldato, però, si
aspettava un attacco da qualche parte e riuscì a evitare di essere colpito, la
freccia gli ferì la gamba soltanto di striscio e lui e le altre guardie si
misero in posizione di difesa. Appena in tempo: dal bosco si precipitarono
fuori più di dieci uomini armati di spade, daghe e coltelli, mentre altri
cinque o sei continuavano a scagliare frecce contro i falsi Albizzi.
Erano veramente i mercenari che Rinaldo
Albizzi aveva assoldato, senza poi pagarli, perché lui quando faceva una
stronzata la doveva fare bene, fino in fondo!
I mercenari erano belve assetate di sangue,
ma le guardie dei Medici erano molto ben addestrate e disciplinate, così che
non ebbero difficoltà ad avere la meglio. Tuttavia, Rinaldo non volle fare
anche la figura del vigliacco dopo aver fatto quella del cretino e diede man
forte alle guardie, falciando almeno quattro di quei delinquenti prezzolati.
Ormanno avrebbe voluto andare anche lui in
appoggio al padre, ma Giovanni lo trattenne.
“Fermatevi, non esponetevi a un rischio
inutile” gli disse, afferrando le briglie del suo cavallo e conducendolo con sé
in un luogo più riparato, fuori dalla mischia. “Vostro padre è un grande combattente
e ha al suo fianco uomini valorosi, insieme avranno presto ragione di un gruppo
di soldataglia. Se voi vi metteste in mezzo, finireste per distrarlo perché lui
penserebbe alla vostra incolumità più che alla sua e potrebbe… potrebbe
rimanere ferito…”
Ormanno lo fissò in silenzio, riflettendo
ancora una volta su quanto quel ragazzino tenesse a suo padre e arrivando alla
conclusione che, tutto sommato, quel suo affetto così particolare lo aveva salvato più di una volta e, dunque, chi era
lui per giudicare?
Le guardie dei Medici avevano ormai decimato
il gruppo dei mercenari. Albizzi, però, si accorse che il loro capo aveva visto
Ormanno e che aveva compreso l’inganno, pur non essendo riuscito a individuare
Rinaldo: il patibolare individuo si allontanò dalla mischia, incoccò una
freccia e prese la mira. Rinaldo tentò disperatamente di raggiungere l’uomo
prima che la freccia partisse, gridando il nome del figlio, ma arrivò tardi. La
spada di Albizzi trapassò il petto del mercenario, che cadde fulminato a terra,
tuttavia la freccia era già stata scagliata… e fu solo la presenza di spirito
di Giovanni a salvare il giovane Ormanno. Il ragazzo udì il grido disperato di
Rinaldo, si voltò in tempo per vedere la freccia e spinse di lato Ormanno,
ricevendo però il dardo nella spalla destra.
I mercenari erano ormai tutti morti, non
c’era più alcun pericolo. Le guardie si riunirono e si avvicinarono al giovane
Albizzi e a Giovanni che, pallidissimo, tentava di fingere che andasse tutto
bene. Rinaldo li raggiunse, più agitato del solito, e cominciò a sbraitare
ordini come se le guardie fossero state le sue.
“Presto, prendete il ragazzo, aiutatelo a
smontare da cavallo e occupatevi di lui” comandò. “Tu stai bene, Ormanno? Non
sei ferito?”
“Sto bene, padre. E’ stato solo grazie a
Giovanni, lui…” il giovane era ancora piuttosto scioccato dall’accaduto e
soprattutto dal gesto generoso del ragazzo. Anche lui cominciava a pensare di
averlo sottovalutato troppo spesso…
Nel frattempo le guardie avevano aiutato
Giovanni, erano riuscite ad estrarre la freccia dalla sua spalla (per fortuna
non era andata troppo in profondità) e avevano bendato la ferita con un pezzo
di stoffa per fermare la perdita di sangue. Non sembrava niente di grave e
Giovanni si preoccupava già di altre questioni, ma Rinaldo non la vedeva allo
stesso modo. Si avvicinò a lui, volle vedere lui stesso la ferita, controllò
che venisse fasciata bene… e nel suo cuore si agitava una tempesta di
sentimenti che non riusciva a controllare.
Il ragazzino aveva avuto ragione fin dal
principio. Gli aveva detto di non assoldare mercenari, che ciò lo avrebbe messo
in cattiva luce con la Signoria, di non fidarsi di Andrea Pazzi, di abbandonare
quel suo risentimento antico nei confronti di Cosimo. Lui non lo aveva mai
ascoltato ed ecco com’era finito: esiliato da Firenze e aggredito dai suoi
stessi mercenari. Anzi, era stato ancora Giovanni a salvarlo, più e più volte,
facendo in modo che Cosimo parlasse in suo favore alla Signoria e facendo
scortare lui e Ormanno da alcune guardie del Medici. Anche il suggerimento di
travestirsi per ingannare eventuali assalitori era stata un’idea del giovane
Uberti.
Rinaldo non osava nemmeno pensare cosa ne
sarebbe stato di lui e, soprattutto, di Ormanno se Giovanni non fosse
intervenuto, se si fossero trovati soli, lui e il figlio, nel bosco, ad
affrontare un gruppo di soldatacci assetati di sangue e di vendetta. L’uomo non
temeva per la sua vita, ma il sangue gli si gelò nelle vene immaginando la
scena, vedendo Ormanno cadere sotto i colpi dei mercenari proprio davanti ai
suoi occhi…
E, come se tutto ciò non bastasse, Giovanni
aveva preso su di sé la freccia che il capo dei mercenari, nell’ultimo assalto,
aveva destinato a Ormanno.
Giovanni lo aveva salvato in tutti i modi in
cui una persona poteva essere salvata. Quel ragazzino, non ancora diciottenne,
non aveva risparmiato niente… e tutto questo solo per lui.
Per lui, senza chiedere niente in cambio.
Per lui, come nessun altro aveva mai fatto.
Rinaldo restò quasi spaventato di fronte alla
consapevolezza dell’immensità dell’amore di Giovanni verso di lui, un amore
che, forse, il ragazzo non si era nemmeno reso conto di provare… eppure c’era.
E lui?
Non se lo era mai chiesto prima, sebbene
avesse compreso già da tempo che Giovanni gli piaceva e che la sua compagnia lo
faceva stare bene, lo faceva tornare indietro di anni. Tuttavia si limitava a
godersi i momenti in cui erano insieme senza riflettere su ciò che veramente
provava per lui.
Ora, improvvisamente, in quel bosco, tutto
stava cambiando. Nel luogo dove la sua vita si sarebbe potuta concludere
drammaticamente, si apriva la possibilità di una nuova vita, solo che lui si
fosse degnato di ammettere con se stesso il sentimento che lo legava a
quell’impertinente e imprevedibile ragazzino…
Giovanni, che evidentemente aveva qualcosa in
testa che non gli dava pace, stava già provando ad alzarsi in piedi da solo, ma
Rinaldo gli passò un braccio attorno alla vita e lo strinse a sé, sostenendolo
e abbracciandolo insieme.
“Non devi sforzarti, sei stato ferito e
potresti perdere troppo sangue se ti agiti tanto” gli disse, con un tono
affettuoso che Giovanni non gli aveva mai sentito.
“Ma dobbiamo tornare a Firenze e denunciare
questo attentato” protestò il ragazzo, aggrappandosi ad Albizzi. “Posso farcela
a cavalcare. Dobbiamo tornare indietro e denunciare immediatamente quello che è
accaduto alla Signoria!”
“Dubito molto di poter rientrare a Firenze,
visto che sono stato esiliato” replicò Rinaldo, con un mezzo sorriso. A quanto
pareva Giovanni aveva avuto un’altra illuminazione e la cosa lo divertiva e lo
inteneriva allo stesso tempo… nemmeno le frecce riuscivano a fermare quel
ragazzino!
“La Signoria vi farà rientrare a Firenze
proprio perché c’è stata un’imboscata. L’attentato stesso vi dà il diritto di
tornare in città e cercare i responsabili” insisté Giovanni.
“I responsabili erano i mercenari che io stesso
ho assoldato e che poi non ho pagato. Volevano vendetta” ribatté Rinaldo. “Sapevo
bene di correre un rischio per non averli pagati…”
Giovanni si aggrappò con più foga all’uomo e
lo fissò intensamente negli occhi.
“Va bene, forse è così, Messer Albizzi, e in
questo caso la Signoria ribadirà la vostra condanna all’esilio. Ma se non fosse
così semplice? Rifletteteci anche solo un attimo, Messer Albizzi” disse,
dimenticando con ogni evidenza quel Rinaldo
che gli era sfuggito in un attimo di disperazione, “cosa avrebbero guadagnato i
mercenari uccidendovi? Non avrebbero certo avuto il loro denaro se voi foste
morto. Caso mai, avrebbe avuto senso se avessero cercato di rapire voi e
Ormanno per chiedere un riscatto a… a vostra moglie. Ma uccidervi? No, i mercenari
agiscono solo per i soldi e così non ha alcun senso…”
“Qualcuno potrebbe aver pagato i mercenari in cambio del nostro assassinio” intervenne
Ormanno, che adesso aveva imparato a fidarsi delle ispirazioni del giovane Uberti. “Ma chi avrebbe fatto una cosa del
genere? Fingere di condannarci all’esilio per poi organizzare un attentato…”
“Cosimo, chi altri?” reagì subito Rinaldo,
tanto per non cambiare la solita musica… “Cosimo ha ottenuto il mio esilio, ma
poi si è infuriato quando gli ho parlato della morte di suo padre e ha deciso
di vendicarsi!”
Beh, se fosse andata davvero così, c’era
forse da dargli torto? Albizzi era stato proprio uno stronzo e pure un fesso a
provocarlo in quel modo dopo che Cosimo gli aveva salvato il cu… ehm…la vita!
Giovanni scosse il capo con una certa qual
rassegnazione: possibile che Albizzi proprio non ci sentisse, da
quell’orecchio?
“Certo, peccato però che siano state proprio
le sue guardie a scortarvi e a salvarvi dall’agguato” commentò, sottolineando
l’ovvio. “Magari a Firenze c’è qualcun altro che vuole gli Albizzi fuori dai
piedi, ci avete mai pensato, Messere? Credete proprio di essere simpatico a
tutti?”
E Giovanni aveva anche un’idea ben precisa su chi potesse essere tanto serpente e bastardo
da organizzare una cospirazione simile… ma avrebbe lasciato che fosse la
Signoria a indagare, in tal modo avrebbe anche finito per riabilitare Rinaldo
Albizzi!
Il dolore alla spalla destra era diventato
sordo e pulsante, ma il ragazzino scelse di non farci caso e si fece aiutare da
Albizzi a risalire a cavallo: adesso era più importante tornare a Firenze e
denunciare l’attentato davanti a tutta la Signoria. Pazzi avrebbe pagato per i
suoi raggiri, questa volta. Rinaldo Albizzi non sarebbe stato un altro Farinata
degli Uberti.
La ferita era solo un graffio, il dolore
sarebbe passato: il suo compito non era ancora terminato.
Il gruppo fece dietro-front e riprese la
strada verso Firenze.
Donc voila pour qoui j'ma bat
Quoi qu'il arrive aujourd'hui
je suis pret a
la vivre ma VICTORY
Pour atteindre mon objectif je suis pret a mourir VICTORY
Il suffit d'un moment (ohh), il suffit de rien (ohh)
Pour arriver à ma VICTORY
Quoi qu'il arrive aujourd'hui
je suis pret a la vivre VICTORY
VICTORY, Moi rêver je n'ai que sa…
(“Victory” – Soprano)
Quando Rinaldo Albizzi e gli altri
rientrarono a Firenze, ci fu grande agitazione. Sulle prime, alcuni pensarono
perfino che, proprio come la Signoria aveva temuto, l’uomo avesse messo in
piedi un’armata e fosse tornato per assediare la città. Solo che, a guardar
bene, la cosiddetta armata era ben
poca cosa (e, cosa ancor più strana, portava le insegne dei Medici…), inoltre
lo stesso Albizzi, suo figlio Ormanno e il giovane Uberti apparivano provati e
stanchi. Quasi tutti erano sporchi di sangue e portavano addosso il segno di
una battaglia, in particolar modo Giovanni, che aveva una spalla bendata, il
volto sempre più pallido e cerchi neri sotto gli occhi.
Quella specie di armata Brancaleone, tuttavia, aveva creato tanto allarme che il
Gonfaloniere aveva immediatamente convocato una riunione e aveva chiesto al
gruppo di presentarsi al Palazzo della Signoria al più presto. Rinaldo Albizzi doveva
spiegare per quale motivo si era ripresentato a Firenze dopo poco meno di una
mezza giornata di esilio…
Giovanni era in condizioni pietose, si
sentiva la febbre e la testa che gli pulsava dolorosamente allo stesso ritmo
della spalla ferita, ma sapeva di non poter mancare alla seduta della Signoria,
era lui che doveva far capire al Gonfaloniere Guadagni come stavano le cose.
Sì, probabilmente la ferita si era infettata per via della lunga cavalcata, ma
avrebbe avuto il tempo di farsi curare più tardi, una volta che Messer Albizzi
fosse stato al sicuro nel suo palazzo e la Signoria avesse cominciato a
indagare, possibilmente su Andrea Pazzi!
“Messer Albizzi” esordì il Gonfaloniere,
“esigo una spiegazione immediata. La Signoria vi ha risparmiato la vita per
rispetto al vostro amico, Sua Santità Eugenio IV, e ha commutato la pena di
morte in esilio. Voi, tuttavia, siete partito questa mattina e oggi pomeriggio
siete di nuovo qui. Qual è il vostro piano? Non abusate della nostra
misericordia o ve ne pentirete.”
“Vi chiedo perdono, Messer Guadagni, il
pensiero di oltraggiare la Signoria è ben lontano dalla mia mente. Se sono qui
oggi è per un motivo molto grave, altrimenti mi troverei già nei pressi della
sede scelta per il mio esilio, come sarebbe stato giusto” dichiarò Albizzi,
nella sua miglior interpretazione di umile
servitore della Repubblica. Una volta tanto gli sarebbe servita…
“E quale sarebbe questo motivo così grave?”
“Messer Guadagni, e voi tutti, Messeri…
dovete sapere che io e mio figlio siamo stati assaliti a tradimento nel bosco.
Ci è stata tesa una vile imboscata ed è solo grazie alle… alle… alla scorta che
mi è stata gentilmente concessa da
Messer Cosimo de’ Medici” riprese Rinaldo, facendo un notevole sforzo per
pronunciare quelle parole che gli bruciavano in gola come acido… “solo grazie
alla scorta e al coraggio del giovane Uberti se siamo ancora vivi.”
Cosimo e Lorenzo si guardarono, molto
turbati. Cosimo rifletté che Giovanni era stato previdente a chiedere una
scorta per Rinaldo (e che Rinaldo doveva essersi sconvolto davvero tanto per
ringraziarlo pubblicamente, davanti a tutta la Signoria!), c’era stato davvero
un attentato contro di lui e con ogni probabilità il responsabile era veramente
Andrea Pazzi.
Il Medici pensò anche, tra le altre cose, che
se solo Giovanni non fosse stato così saggio o se lui non avesse concesso le
sue guardie, gli Albizzi sarebbero morti e dell’attentato sarebbe stato
incolpato lui! Eh, già, perché chi altri poteva avere motivo di rancore nei
confronti di Albizzi? E così Pazzi si sarebbe liberato di entrambe le famiglie
con un sol colpo…
Era una vera fortuna che Giovanni avesse
insistito tanto, che avesse perso talmente la testa per Rinaldo da pensarle
tutte pur di proteggerlo… ed era stato saggio anche lui, un paio di anni prima,
ad avvicinare il giovane Uberti ad Albizzi, sebbene non potesse immaginare che
si sarebbero legati così tanto!
“Spiegatevi meglio, Messer Albizzi: vorreste
dirci che dei sicari vi hanno assalito a tradimento nel bosco? Che qualcuno
avrebbe pagato degli uomini per uccidere voi e vostro figlio?” domandò
Guadagni, al quale la cosa iniziava a interessare davvero.
“E’ così, Messer Guadagni” rispose Albizzi.
“Qualcuno voleva che la mia famiglia fosse distrutta per sempre.”
Un mormorio di orrore percorse la Signoria: a
volte il fare drammatico di Rinaldo Albizzi era davvero efficace e quella era
una di quelle volte!
“Messer Guadagni, mio padre sta dicendo la
verità” intervenne Ormanno. “Uno di quegli uomini, anche quando le guardie
avevano ormai ucciso quasi tutti i suoi compagni, ha comunque tentato di
colpirmi con una freccia. Sono vivo solo perché il giovane Uberti, qui
presente, mi ha protetto… ed è stato colpito al mio posto.”
Il brusio dei presenti si fece ancora più
forte. Chi poteva odiare tanto gli Albizzi da volere la morte di un ragazzo? E
il giovane Uberti era rimasto coinvolto… era veramente uno scandalo e il
Gonfaloniere avrebbe dovuto scoprire il nome del responsabile!
Intanto Cosimo e Lorenzo avevano notato il
malessere di Giovanni e, dopo che Ormanno aveva parlato, ne avevano compreso il
motivo.
“Perdonatemi, Messer Guadagni” disse il
Medici. “Vorrei esprimere tutta la mia solidarietà a Messer Albizzi per ciò che
è accaduto e dichiarare che mi impegnerò in prima persona a indagare per
scoprire il colpevole. Ma chiedo anche che la riunione sia sospesa per dare il
tempo a Messer Uberti di ricevere le cure necessarie: come potete vedere, sta
male e adesso sappiamo che è stato ferito per salvare la vita del giovane
Ormanno.”
Il Gonfaloniere avrebbe accettato di buon
grado di sospendere la seduta per permettere le cure necessarie a Giovanni, ma
fu Andrea Pazzi che intervenne, verde di rabbia e con l’espressione di chi ha
appena mandato giù un limone intero.
“Messer Guadagni, non fatevi ingannare da
tutta questa messinscena. E’ chiaro che Messer Albizzi sta usando l’increscioso
episodio che gli è accaduto come scusa per rientrare a Firenze dopo averne
perso ogni diritto” esclamò. “Non nego che sia stato aggredito e che lui e suo
figlio siano scampati alla morte solo grazie alla scorta, ma dimentichiamo
forse che Messer Albizzi aveva assoldato dei mercenari per impadronirsi del
potere e che poi, caduto in disgrazia, non ha potuto pagarli? Con ogni evidenza
sono stati proprio loro ad aggredire gli Albizzi. Non c’è alcun mistero da
risolvere. La Signoria è lieta che Messer Albizzi e suo figlio siano sani e
salvi, ma ora è il momento che lascino Firenze per sempre. Non ci faremo
impietosire da favole inventate solo per giustificare un ritorno in città che
non ha ragion d’essere!”
Nonostante il livore, Pazzi aveva parlato in
tono calmo e ragionevole e qualcuno tra i presenti cominciava a lasciarsi
convincere. Un lieve sorriso increspò le labbra dell’uomo, tanto più che aveva
notato quanto stesse soffrendo Giovanni e, con il suo intervento, aveva evitato
che la seduta fosse sospesa per soccorrerlo.
Aveva un conto in sospeso anche con quel
piccolo intrigante…
Ma Giovanni, per quanto debilitato,
febbricitante e sofferente, quando sentiva parlare Andrea Pazzi vedeva rosso.
Quasi dimenticò il dolore alla spalla ferita e il pulsare in testa mentre gli
rispondeva per le rime.
“Messer Pazzi, mi secca veramente dovervi
dare ragione, anche se solo su un punto della vostra disamina” rispose,
cercando di mantenere ferma la voce. “Sono stati davvero i mercenari ad assalirci, solo che… non so voi, ma io trovo
enormemente strano che dei mercenari vogliano uccidere un uomo che deve loro
del denaro. Come potevano sperare di ottenere i soldi che volevano se avessero
ucciso Messer Albizzi e suo figlio? I mercenari si muovono solo per un guadagno
e qui non ne avrebbero avuto alcuno. A meno che, certo, qualcuno non li avesse pagati appositamente per eliminare
Rinaldo e Ormanno Albizzi!”
La risposta di Giovanni provocò un boato
nella Signoria: la sua logica non faceva una piega. Adesso tutti, compreso il
Gonfaloniere, erano convinti che qualcuno avesse pagato i mercenari per
assassinare gli Albizzi. Nonostante l’esilio, Albizzi era pur sempre un nobile
fiorentino e la Repubblica non poteva tollerare che qualcuno avesse
deliberatamente pagato dei sicari per attentare alla sua vita.
C’era di che essere impiccati, per una cosa
del genere…
“Messer Albizzi, ho preso la mia decisione:
il vostro esilio è rinviato fino a quando la Signoria non avrà scoperto il
mandante dell’attentato contro di voi” dichiarò il Gonfaloniere. “Quando avremo
catturato e punito il colpevole, ripartirete per Ancona, questa volta in piena
sicurezza e senza nessuno che minacci la vostra vita o quella di vostro figlio.
Il Bargello si occuperà delle indagini e, nel frattempo, voi potrete tornare
nel vostro palazzo, sorvegliato dalle guardie. Non fatemi pentire della mia
decisione, Messere…”
“Non lo farò. Vi sono immensamente grato,
Messer Guadagni” rispose Albizzi.
Cosimo e Lorenzo si avvicinarono subito a
Giovanni per verificare le sue condizioni.
“Sei ferito? Faccio chiamare subito un
dottore che si prenda cura di te” disse Cosimo. “Vieni a Palazzo Medici e…”
“Giovanni verrà a palazzo con me e sarà
curato dai miei dottori” intervenne
Rinaldo, attirando il ragazzo a sé e scostando Cosimo come se fosse un moscone
fastidioso. “E’ stato ferito per salvare mio figlio ed è mio dovere prendermi
cura di lui!”
“Ma anche noi vogliamo sapere…” iniziò a
protestare Lorenzo, ma Cosimo lo fermò prendendolo per un braccio e rimase a
guardare Rinaldo che si allontanava sostenendo Giovanni tra le braccia,
accompagnato da Ormanno e scortato da alcune guardie della Repubblica.
“Lascialo fare. Sono convinto che Rinaldo
farà tutto il possibile perché Giovanni guarisca… e non solo perché ha salvato
la vita di suo figlio” disse.
“Che vuoi dire? Ti fidi di Rinaldo, adesso?
Hai già dimenticato quello che ti ha detto su nostro padre?” insisté Lorenzo.
“Non credo che sia stato Rinaldo ad
avvelenare nostro padre, ha detto quelle parole solo per ferirmi… ma oggi in
lui ho visto qualcosa di più, qualcosa che non vedevo da molti, da troppi anni”
riprese Cosimo, pensieroso. “Se esiste una possibilità che Rinaldo torni ad
essere l’uomo che era un tempo, prima dei rancori e della sete di vendetta…
ebbene, sarà proprio grazie all’affetto di Giovanni e a ciò che lui stesso
prova per Giovanni, anche se forse non lo ha ancora capito.”
Sarà… secondo me la verità è che Rinaldo è più rilassato
perché si porta a letto il ragazzino, avrebbe
voluto obiettare Lorenzo, ma preferì soprassedere. In fondo quello che contava
era che Albizzi non volesse più danneggiarli e, tutto sommato, anche Giovanni
sembrava contento così.
“Piuttosto, dobbiamo scoprire chi ha tentato
di uccidere Rinaldo e suo figlio” dichiarò Cosimo. “La cosa riguarda anche noi
perché, se l’attentato fosse riuscito, la nostra famiglia sarebbe stata la
prima ad essere sospettata. Chi vuole la morte degli Albizzi vuole anche la
nostra rovina. Manderò Marco Bello a indagare. Chissà, è perfino possibile che
il colpevole sia anche colui che ha avvelenato nostro padre…”
Mentre Cosimo e Lorenzo pianificavano ciò che
avrebbero dovuto fare per scoprire la verità, Rinaldo e Ormanno erano stati
scortati al loro palazzo dalle guardie della Repubblica; Albizzi sosteneva
quasi tutto il peso di Giovanni, che ormai camminava a fatica, e non appena
furono giunti a casa l’uomo incaricò un servitore di andare immediatamente a
chiamare un dottore. Le guardie si disposero a sorvegliare tutte le uscite di
Palazzo Albizzi, ma Rinaldo non aveva nessuna intenzione di fuggire, anzi,
accompagnò Giovanni nella sua stanza e lo fece mettere a letto. Il ragazzo
aveva ormai la febbre alta, ma non aveva perso il caratterino.
“Avete visto, Messer Albizzi? La Signoria vi
ha dato ragione, indagherà sul mandante dell’attentato e, dalle proteste di
Andrea Pazzi, credo anche di sapere già chi sia…” gli disse, con voce solo un
po’ più debole del solito, ma con lo stesso piglio sbarazzino. “Quando vi dico
che dovete fidarvi di me… voi non mi date mai retta e invece io…”
“Adesso però stai un po’ zitto” lo interruppe
Albizzi, prendendolo tra le braccia e baciandolo a lungo, ripetutamente, con
intensità, con tutta la passione e il desiderio che poteva dimostrargli,
assaporandolo e rubandogli il respiro. Per tutto il giorno quel ragazzino lo
aveva aiutato, favorito, aveva salvato la vita a lui e a suo figlio mettendo a
repentaglio la propria e adesso Rinaldo voleva solo stargli vicino, averlo
tutto per sé, ammettendo finalmente che anche lui lo amava come non gli era mai
accaduto prima. Giovanni si perse in quel bacio infinito, lasciandosi avvolgere
dal calore e dall’ardore di quell’uomo che troppe volte, in quella
interminabile giornata, aveva temuto di perdere.
Poco più tardi arrivò il dottore, che si
prese cura con molta attenzione della ferita del ragazzo, la pulì ben bene, vi
spalmò un unguento, cambiò le fasciature… ma con un’espressione sempre cupa sul
volto. Quando ebbe finito, fu lo stesso Rinaldo ad accompagnarlo fuori dalla
stanza perché voleva parlare con lui.
“Ditemi dunque, dottore, il giovane Uberti
guarirà presto?”
Il medico rifletté prima di rispondere,
sempre in tono grave.
“Ho ripulito la ferita e l’unguento
combatterà l’infezione, la febbre dovrebbe abbassarsi presto, ma nei prossimi
giorni voglio tornare a curarlo personalmente e a osservarne l’evoluzione”
disse. “Sapete per caso se l’arma che lo ha colpito era avvelenata, o qualcosa
di simile?”
Rinaldo si sentì gelare il sangue.
“Avvelenata? No, no, credo proprio di no. I
mercenari non usano armi avvelenate, io stesso sono stato ferito, ma erano solo
graffi e non hanno lasciato alcuna conseguenza. Perché mi chiedete questo?”
“Per nessun motivo in particolare, la ferita
non è grave, però si è infettata troppo facilmente e così ho pensato… ma se mi
dite che è stata l’arma di un mercenario a colpirlo allora posso comprendere,
era probabilmente un’arma molto vecchia, rubata a chissà chi, magari sporca e
contaminata” rispose il dottore, cupo. “Dovrò tenere ancora più sotto controllo
quella ferita… tornerò domattina presto.”
Albizzi restò a guardare il medico che veniva
accompagnato fuori da uno dei servitori. Le sue parole lo avevano turbato
molto, ma non voleva pensarci, non in quel momento. Avrebbe fatto di tutto
perché Giovanni guarisse, avrebbe consultato i migliori dottori, se necessario.
Adesso era lui a doversi occupare di
Giovanni, dopo che il ragazzino lo aveva salvato tante e tante volte.
E aveva anche qualcosa di molto importante da
dirgli, qualcosa che non poteva più aspettare.
“Il dottore dice che dovrà medicarti la
ferita per diversi giorni e con molta cura, ma andrà tutto bene, dovrai solo
avere un po’ di pazienza” gli disse, tornando al capezzale del ragazzo e
sedendosi sul letto, vicinissimo a lui. “Piuttosto, volevo chiederti una cosa e
volevo farlo subito. Giovanni degli Uberti, mi vuoi sposare?”
Ecco, il giovane si sarebbe aspettato di
tutto, ma non una cosa del genere e forse per quello la sua reazione fu quella
di sgranare gli occhi scuri e poi scoppiare a ridere, cercando di non agitarsi
troppo perché la ferita gli doleva ancora.
“Scusate, Messer Albizzi” disse, riprendendo
fiato, “ma questa è proprio bellina! No, davvero, non prendetemi in giro, ho
avuto una giornata piuttosto faticosa, come immagino sappiate… Che idea, siete
proprio imprevedibile, ma non lo sapete che due maschi non possono sposarsi? E,
anche nel caso fosse possibile, dimenticate che voi siete già sposato? Accidenti, l’attentato vi ha dato alla testa!”
Rinaldo non si offese per quella risposta,
anzi, scosse il capo ridacchiando: non avrebbe potuto aspettarsi nient’altro da
Giovanni Uberti, era proprio nel suo stile!
“So benissimo che non possiamo sposarci
davvero, e ricordo di avere una moglie, ma è proprio per questo che voglio fare
qualcosa per legarmi a te allo stesso
modo, perché ho capito quanto sei importante per me e voglio che sia tu la
persona che avrò accanto per tutta la vita” spiegò l’uomo, afferrando le mani
di Giovanni e fissandolo intensamente negli occhi. “Sai bene che i nobili si
sposano solo per avere una discendenza, e io ora ho Ormanno. E’ arrivato il
momento di pensare ai miei veri sentimenti.”
Giovanni non aveva più tanta voglia di
ridere, adesso. Un’emozione fortissima lo aveva invaso, come se la febbre gli
fosse salita a mille, ma non era l’infezione… il cuore gli batteva fortissimo e
la confusione di sentimenti e sensazioni quasi lo stordiva.
“Ovviamente non ci sarà una cerimonia, ma il
significato sarà quello di un matrimonio vero e proprio” riprese Rinaldo. “Farò
benedire da Papa Eugenio IV gli anelli nuziali dei miei genitori e poi io
indosserò quello di mio padre e tu quello di mia madre. Chiaramente Sua Santità
non saprà per quale motivo gli chiedo questa benedizione, ma l’importante sarà
ciò che vorrà dire per noi, per la nostra vita.”
E beh, con ogni probabilità Papa Eugenio IV
avrebbe capito benissimo quello che Rinaldo voleva fare, così come lo avrebbero
capito i Medici, Guadagni e la maggior parte della Signoria non appena avessero
visto i due con gli anelli nuziali… ma a ben guardare non importava a nessuno
quello che Albizzi faceva o non faceva in casa sua, bastava che non nuocesse
alla Repubblica!
“Così tu non dovrai più essere geloso di mia moglie, perché diventerai
più importante di lei… lo sei già, in fondo, ma questo te lo proverà ancora di
più. E, proprio come ti dicevo la prima volta in cui abbiamo parlato, Albizzi e
Uberti uniranno le loro famiglie, l’antica nobiltà fiorentina di nuovo insieme”
proseguì Rinaldo, avvicinandosi sempre di più a Giovanni fino a distendersi nel
letto con lui. “Oggi ho finalmente capito quanto tu sia importante per me, tu
mi hai salvato in tutti i modi in cui si può salvare una persona, hai salvato
la mia famiglia… e quando sono con te ritrovo quella parte di me che credevo
perduta per sempre, quel ragazzo sereno che si fidava degli altri e credeva nei
veri sentimenti. Quindi te lo chiedo un’altra volta, e possibilmente non
ridermi di nuovo in faccia: mi vuoi sposare?”
Questa volta Giovanni non rise affatto, anzi,
divenne tutto rosso e imbarazzato, tanto da non riuscire quasi a rispondere. Si
limitò a stringersi all’uomo, nascondendo il viso sul suo petto.
Rinaldo era intenerito: Giovanni sembrava
sempre avere l’argento vivo addosso, era impertinente, imprevedibile, furbo e
coraggioso, aveva sfidato la Signoria, il Gonfaloniere, i mercenari e Andrea
Pazzi per lui… eppure adesso non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia né,
tanto meno, a chiamarlo per nome!
“Visto che ci sposeremo, magari dovrai
imparare a chiamarmi Rinaldo” lo
prese in giro, attirandolo a sé con cautela, per non fargli male alla spalla. “In
fondo, nel bosco ci sei riuscito…”
“Era l’unico modo per attirare la vostra
attenzione” obiettò Giovanni. “Comunque… beh, sì, ci proverò…”
Non c’era altro da dire, per il momento.
Rinaldo e Giovanni avevano affrontato una giornata terribile e altre ancora li
attendevano, ma ora erano insieme e finalmente avevano trovato il coraggio di
rivelare, anche a se stessi, quello che provavano. L’uomo riprese a baciarlo
intensamente e a stringerlo con passione, fino a fondersi in lui e con lui. Un’emozione
incontrollabile si impadronì di lui, portandolo a dimenticare tutto il resto,
tutto ciò che lo amareggiava e lo rendeva astioso e rancoroso.
Dimenticò
persino Cosimo de’ Medici… L’unione delle loro anime e dei loro corpi cancellò
i ricordi di quella giornata piena di dolore e pericoli e, finalmente, fu come
se l’intera realtà fosse inghiottita dall’oblio per lasciare il posto a un
mondo in cui esistevano solo Rinaldo e Giovanni, Giovanni e Rinaldo…
Gli
altri problemi li avrebbero affrontati il giorno dopo.
We are forever as one in what remains
You're in my blood from the cradle to the grave
I don't like to think about the pieces
Or the cracks and the breaks that still remain
If I could breathe, I'd ask you
So look in my mercy mirror
I need you more than I have known
So look in my mercy mirror
'Cause I'm not ready to let you go
Now I know, now I know
I'm not ready to let you go…
(“Mercymirror” – Within
Temptation)
Il mattino dopo, al
suo risveglio, Giovanni stava già meglio, la febbre era passata e anche il
dottore, quando venne a medicare nuovamente la ferita, trovò che l’infezione si
stava riducendo. Tuttavia non sembrava del tutto sicuro e Rinaldo se ne
accorse.
“Insomma, dottore,
volete spiegarmi che cosa pensate veramente della ferita del giovane Uberti?
Avete parlato di avvelenamento, di infezioni, ma adesso sembra proprio che il
ragazzo stia meglio. Perché non mi dite la verità?” gli disse, prendendolo da
parte.
“Messer Albizzi, non
posso esserne certo e non voglio preoccuparvi inutilmente, se lo desiderate
potete anche richiedere il parere di altri medici” rispose il dottore. “Ciò che
io penso, però, è questo: la freccia che ha colpito il ragazzo era molto
sporca, probabilmente rugginosa e contaminata e temo che ciò abbia potuto
avvelenare il suo sangue.”
Albizzi non era tipo
da accettare simili responsi a cuor leggero. Afferrò per le spalle il dottore e
gli si rivolse con veemenza.
“Volete dire che
morirà? E’ questo che pensate? Ditelo, dunque! Non c’è niente che possiate
fare?”
L’uomo apparve
visibilmente scosso.
“No, Messer Albizzi,
non è questo che volevo dire” replicò. “Se, e notate bene che questa è solo la
mia opinione, veramente il giovane Uberti avesse subito un lieve avvelenamento
del sangue, ciò non lo porterebbe a una morte prematura, lo renderebbe però più
soggetto a cadere preda di febbri e infezioni. Indebolirebbe la sua salute, ma
il ragazzo è molto giovane, forte, può resistere a simili malesseri.”
Albizzi non si era
tranquillizzato proprio per niente, ma che poteva fare? Sentire il parere di
altri medici sarebbe stato inutile, poteva solo fare in modo che Giovanni
venisse curato al meglio, riposasse e si nutrisse bene.
Del resto, a uno come
Giovanni nemmeno le malattie rimanevano vicine troppo a lungo! Il ragazzo
avrebbe già voluto alzarsi dal letto, era di nuovo vivace e attivo come al
solito e, quando Rinaldo tornò in camera da lui, il suo volto era illuminato da
un’idea che gli era appena passata per la testa.
“Messer Albizzi” gli
disse (eh no, non ce la faceva proprio a chiamarlo Rinaldo!), “visto che ieri sera parlavate di matrimonio, mi è
venuta in mente una cosa: Madonna Contessina, un anno fa, mandò a monte il
matrimonio di vostro figlio con Isabella Contarini. Che ne direste di una Uberti
come futura sposa di Ormanno?”
Albizzi, totalmente
spiazzato da quella decisa virata su un argomento a cui non pensava più da
molti mesi, lì per lì non seppe cosa rispondere, poi ritrovò la parola.
“Beh, Ormanno rimase
molto male quando venne rotto il suo fidanzamento con la Contarini, ma con
tutto quello che è successo poi, nessuno di noi ci ha più ripensato. Tu chi
staresti proponendo?” domandò, incuriosito. Era anche sollevato dal fatto che
lo vedeva pieno di iniziativa e sbarazzino come al solito, significava che
stava meglio, no?
“Mia sorella minore,
Beatrice!” replicò trionfante il ragazzo. “Ha sedici anni e adesso vive a
Mantova con mia madre e mio fratello Lapo, ma mi scrive spesso che vorrebbe
venire a Firenze, che a Mantova si annoia, specie adesso che la moglie di Lapo
ha avuto i due gemelli… Insomma, se la facessi
venire, lei e Ormanno potrebbero fare amicizia e poi… non si sa mai, no?”
“Beatrice Uberti”
mormorò Rinaldo tra sé, poi si avvicinò al letto dove giaceva Giovanni per
stringere a sé il ragazzino. “A quanto pare Albizzi e Uberti sono destinati a
unire sempre di più le loro casate, ma la cosa mi piace. Che tipo è questa
Beatrice? Non avrà il tuo caratterino, spero, altrimenti povero Ormanno!”
Giovanni rise.
“No, Beatrice è una
ragazza allegra e simpatica, ma è anche dolce, obbediente… sicuramente molto
più docile di me!” ribatté.
Rinaldo lo avvolse in
un abbraccio e lo baciò a lungo, pensando che a lui, al contrario, Giovanni era
piaciuto proprio per il suo caratterino e per la sua impertinenza e non lo
avrebbe cambiato per niente al mondo: era stato lui la scossa che lo aveva
riportato alla vita, in più di un senso!
Nei giorni seguenti,
mentre Cosimo inviava Marco Bello a scoprire più prove possibili sul conto di
colui che aveva pagato i mercenari affinché uccidessero gli Albizzi, e mentre
Lorenzo indagava per conto suo (e, a tempo perso, aveva fatto conoscenza con
una nobildonna, Ginevra Cavalcanti, con la quale presto si sarebbe fidanzato…
insomma, aveva una vita molto intensa il nostro Lorenzo!), Giovanni prese accordi
con la famiglia che viveva a Mantova perché Beatrice e la madre, Caterina,
potessero giungere al più presto a Firenze, scortate da alcune guardie e
servitori della famiglia Gonzaga. Il fratello Lapo non poteva accompagnarle
visto che sua moglie Lucrezia aveva avuto da poco due gemelli e anche l’altro
fratello, Francesco, era impegnato con i suoi soldati a Verona, dove la casata
dominante, i Della Scala, erano stati cacciati dal Duca di Milano Visconti. Sì,
beh, a quanto pareva gli Uberti avevano il dono di mettersi nelle situazioni
più incasinate, comunque ben presto Verona sarebbe caduta sotto la dominazione
veneziana e avrebbe goduto di un periodo di relativa pace! Eppure anche questo
fatto avrebbe avuto ripercussioni sulle vicende di Giovanni, Rinaldo e Cosimo a
Firenze, ma per adesso non vi spoilero niente! *
Nel frattempo,
Rinaldo aveva mandato Ormanno a vivere nella villa di campagna con sua madre
per un periodo. Il ragazzo era stato scortato da alcune guardie della
Repubblica e il suo unico scopo era stare con la madre, che aveva rischiato di
perderlo per sempre, e attendere lì, in pace e in serenità, lo svolgersi degli
eventi a Firenze, che magari gli avrebbero regalato anche una bella
mogliettina. Tutto molto innocente, dunque, ma Andrea Pazzi non aspettava altro
e, quando le sue spie gli riferirono che Rinaldo Albizzi aveva mandato suo
figlio in campagna… allora apriti cielo e spalancati terra! Pazzi si recò
subito dal Gonfaloniere Guadagni con un ghigno di trionfo stampato sul volto.
“Cosa vi dicevo,
Messer Guadagni? Avete commesso un errore a fidarvi ancora una volta di
Albizzi!” abbaiò. “Suo figlio Ormanno è partito proprio ieri per la villa in
campagna che posseggono ancora… ve l’avevo detto che avreste dovuto confiscare
tutti i beni di quel traditore!”
“Madonna Albizzi vive
là e non si è resa colpevole di alcun tradimento” rispose Guadagni, che
cominciava ad averne abbastanza di ritrovarsi sempre quell’avvoltoio di Andrea
Pazzi appollaiato sulla spalla a sussurrargli cattiverie. “Il giovane Ormanno
avrà semplicemente voluto andare a far visita alla madre e questo mi sembra più
che naturale, visto che, quando la situazione sarà risolta e l’esilio
confermato, non potrà più rivederla.”
“Siete troppo
generoso, Messer Guadagni” in realtà, Pazzi avrebbe voluto dire idiota, ma forse non era il caso… “e non
avete pensato che questa sia una mossa voluta da Rinaldo Albizzi per scappare.
Intanto ha mandato suo figlio e poi…”
Il Gonfaloniere aveva
perso la pazienza e picchiò un pugno sul tavolo.
“Insomma, Messer
Pazzi, adesso state davvero esagerando!” lo interruppe, esasperato. “Mi state
forse accusando di non compiere in modo accurato il mio dovere? Ormanno Albizzi
è stato scortato in campagna dalle guardie della Repubblica e là sarà
sorvegliato, esattamente come suo padre a Firenze. Come osate cercare di
insegnarmi il mio mestiere? Vi ritenete forse superiore a me?”
La reazione indignata
di Guadagni riportò Pazzi a più miti consigli. L’uomo si rese conto che, così
facendo, si sarebbe alienato il favore del Gonfaloniere, acquistato così
faticosamente, e che col cavolo che avrebbe ottenuto il seggio di Albizzi alla
Signoria!
“Perdonatemi,
Messere, avete ragione e vi chiedo perdono se, involontariamente, vi ho offeso.
Non ho dubbi sulla vostra capacità di gestire al meglio questa situazione, il
mio intento era solo quello di aiutarvi” mormorò Andrea Pazzi, recitando pure
lui l’utilissima commediola dell’umile
servitore della Repubblica.
“Sì, certo, Messer
Pazzi, so che vi lasciate trascinare solo perché amate tanto Firenze e volete
proteggere la Signoria con tutte le vostre forze” ribatté Guadagni, “tuttavia
ritengo che stiate sopravvalutando Rinaldo Albizzi. La Signoria tiene d’occhio
lui e suo figlio e, nel frattempo, indaga per scoprire chi ha organizzato l’attentato
contro di loro. Vi ringrazio per il vostro aiuto, ma in questo caso non è stato
necessario.”
Come
se non sapessi che voi sareste stato ben lieto di mettervi dalla parte di
Albizzi se avesse avuto successo nel rovesciare la Signoria, e che adesso,
invece, morite dalla voglia di metterlo fuori gioco per avere il suo seggio, pensava
invece il Gonfaloniere, guardando Pazzi che lasciava il suo studio.
Messer Guadagni non
era lo stupido che Pazzi pensava, anzi, solo che doveva mantenere l’equilibrio
nella Signoria e quindi, spesso, era obbligato a servirsi anche di persone che
disprezzava.
Andrea Pazzi,
infuriato per l’ennesima figura di merda fatta davanti a Guadagni, uscì dal
palazzo sempre più infuriato e deciso a sguinzagliare le sue spie per scoprire
qualcos’altro per poter accusare ancora una volta Albizzi.
E il povero Giovanni
non sapeva che, questa volta, sarebbe stato proprio lui a fornirgli,
involontariamente, il pretesto per riportare Rinaldo Albizzi davanti al
Gonfaloniere!
Ma procediamo per
ordine…
Caterina e Beatrice
degli Uberti giunsero a Firenze dieci giorni dopo e, dopo grandi festeggiamenti
per la riunione della madre e della sorella con Giovanni, che non vedevano da
più di due anni, Rinaldo Albizzi si incaricò di ospitare le due donne per
quella prima notte e organizzare in seguito il viaggio fino alla villa di
campagna, dove Beatrice e Ormanno avrebbero fatto conoscenza e dove, come tutti
speravano, si sarebbe celebrata la festa di fidanzamento.
Rinaldo aveva
imparato a sue spese ad essere un tantino meno impulsivo e così, prima di
organizzare la trasferta in campagna,
si accordò con le guardie della Repubblica che lo sorvegliavano per chiedere il
permesso al Gonfaloniere di lasciare Firenze per la sua villa fuori città,
sempre sotto scorta.
Il Gonfaloniere, che
appunto non era come quel serpente di Andrea Pazzi, non vide nulla di male nel
desiderio di Albizzi di riunirsi alla sua famiglia e di trascorrere qualche
giorno con moglie e figlio, perciò concesse il permesso senza fare storie.
Ciò che Giovanni non
si aspettava, però, era quanto lui stesso avrebbe dovuto soffrire per quella
situazione…
Nella villa di
campagna, infatti, Rinaldo doveva salvare le apparenze con ospiti e vicini e
quindi rimaneva al fianco della moglie, recitava la parte del marito perfetto e
non poteva comportarsi come al solito con Giovanni, che sperimentò la gelosia,
la solitudine e il senso di vuoto nel modo più totale e devastante possibile. Ormai
si era abituato a trascorrere tutto il tempo con Rinaldo, a dormire ogni notte
con lui… e dovergli stare lontano lo lacerava. Oltretutto, nelle sue confuse e
agitate emozioni adolescenziali, non si rendeva conto che anche Albizzi sentiva
la sua mancanza ed era infuriato con lui perché non mandava a quel paese la
moglie e non diceva a tutti la verità, da perfetto diciottenne al primo amore,
egocentrico e convinto di aver ragione!
Alla festa di
fidanzamento di Ormanno e Beatrice erano state invitate tutte le famiglie
nobili di Firenze (ad Andrea Pazzi, chissà come, però, l’invito non era
pervenuto…) e, molto malvolentieri, Albizzi aveva invitato anche la famiglia
Medici che, dopo tutto, aveva contribuito non poco a salvargli la pellaccia e a
rendere possibile quel fidanzamento, intercedendo presso il Gonfaloniere.
Giovanni, perciò, passava tutto il suo tempo con la madre oppure con la
famiglia Medici, cercando di non mostrare, almeno quando era con loro, quanto
soffrisse per quella situazione. Davanti a loro fingeva di essere il Giovanni
di sempre, scanzonato e allegro, ma quando restava solo nella sua stanza, di
notte, non riusciva a dormire. Si agitava nel letto, incapace di addormentarsi
da solo, e piangeva di rabbia soffocando i singhiozzi nel cuscino, convinto che
fosse tutta colpa di Rinaldo, che l’uomo non sentisse la sua mancanza e che,
anzi, si sentisse perfettamente a suo agio adesso che aveva riunito la famiglia
e aveva ottenuto anche un matrimonio vantaggioso per Ormanno.
Sarebbe stato ancora peggio
se Giovanni avesse saputo tutto ciò
che accadeva in quella villa…
Madonna Alessandra
Albizzi, infatti, era sempre stata d’accordo sulla scelta di vivere ognuno per
conto suo e di riunirsi solo per occasioni importanti come quella. Fino a quel
momento aveva vissuto esclusivamente in funzione di Ormanno, l’unico che amasse
veramente, e per mostrarsi in società per il buon nome della famiglia.
Adesso, però, le cose
stavano cambiando: Ormanno si era fidanzato, presto si sarebbe sposato e
avrebbe avuto una sua famiglia con Beatrice degli Uberti. Ovviamente sua madre
era felice per lui, ma non poteva fare a meno di pensare che, a quel punto, lei
sarebbe rimasta completamente sola.
Del marito non gliene
fregava più di tanto, ma della lontananza da Ormanno sì. Insomma, stava
iniziando a soffrire della cosiddetta Sindrome
da nido vuoto! Come poteva fare? Alla fine un’idea le era venuta e le era
parsa molto buona: lei era ancora giovane e avrebbe potuto avere un altro
figlio, un bambino che, prima di allontanarsi da lei, ci avrebbe messo diversi
anni. Ecco, un secondo figlio era la risposta a tutti i suoi desideri! Quello,
almeno, Rinaldo glielo doveva, no? **
Intendiamoci ancora
una volta, i coniugi Albizzi stavano insieme solo per convenienza e, pertanto,
non nutrivano più interesse l’uno per l’altra, se mai lo avessero avuto al
principio del loro matrimonio. La cosa sarebbe stata per entrambi una semplice
formalità, ciò che era necessario per poter avere un altro figlio, e di questo
erano tutti e due ben consapevoli. Madonna Alessandra voleva un figlio per non
rimanere sola, dopo il matrimonio di Ormanno, e Rinaldo, come tutti i signori
dell’epoca, era ben felice di avere una discendenza più numerosa. Insomma, era
una specie di contratto d’affari!
E, rispetto a tanti
altri contratti d’affari, finiva per essere anche piacevole. Rinaldo sentiva la
mancanza di Giovanni, certo, ma alla fine andare a letto con la moglie non era
poi la peggior cosa che gli potesse capitare, no? In fondo lo faceva solo per
farla contenta, a Giovanni non toglieva niente, era lui quello a cui davvero
teneva, il ragazzo avrebbe capito…
Evidentemente Rinaldo
non aveva mai avuto a che fare con un ragazzino di diciotto anni, innamorato,
geloso, irragionevole e convinto che il mondo girasse attorno a lui. Beh,
avrebbe avuto una brutta sorpresa!
Fine capitolo ottavo
* La storia di Verona, dibattuta tra veneziani e
milanesi, è vera e Venezia prenderà realmente possesso della città in questo
periodo, sconfiggendo Visconti e il suo esercito. Il personaggio di Francesco
degli Uberti, ovviamente, è inventato da me…
** In realtà, Rinaldo e la moglie ebbero dieci figli.
Nella serie TV appare solo Ormanno e non si parla di altri figli, perciò ho
pensato che fargli avere un altro bambino, o bambina, non avrebbe creato
problemi a nessuno… se non a Giovanni! XD
NOTE DELL'AUTRICE:
Ho fatto questo aestethic per illustrare gli ultimi capitoli di questa mia long fic sulla prima stagione dei Medici (poi ce ne saruna terza, quella conclusiva).
A parte le immagini di Rinaldo e Giovanni, ho voluto metterci una foto della villa di campagna di Rinaldo Albizzi come la immagino io e quelle dei prestavolto di due personaggi che ho inventato e che appariranno qui e nei capitoli successivi: così io mi immagino la madre e la sorella di Giovanni, Caterina e Beatrice degli Uberti (chi ha visto il serial TV The White Princess riconoscerà i personaggi, che per me erano perfetti come prestavolto dei personaggi che volevo inserire nella storia!
Grazie a tutti quelli che leggono, commentano e seguono queste mie storie e a chi le mette nelle seguite/preferite, ecc...
Se un pianto ci fa nascere
Un senso a tutto il male forse c'è
Io sono pronto a vivere
Ti guardo e so perché
Siamo fatti per amare
Nonostante noi
Siamo due braccia con un cuore
Solo questo avrai da me
Fatti avanti amore…
(“Fatti avanti amore” – Nek)
Il matrimonio tra Ormanno e Beatrice era
stato fissato per il mese successivo e, in tutta onestà, Giovanni non vedeva l’ora
che quei due si sposassero perché non ne poteva veramente più di vivere in
quella stupida villa di campagna e di vedere quella specie di Morticia Addams ante litteram, ossia
Alessandra Albizzi, fare la smorfiosa con Rinaldo… e meno male che non era a
conoscenza del resto!
Erano state le tre settimane più detestabili
di tutta la sua vita!
Tuttavia non era destino che le cose
andassero tanto lisce: un bel mattino arrivarono a cavallo Cosimo e Lorenzo de’
Medici, scortati da un piccolo gruppo di guardie della Repubblica, e dissero
che, per ordine del Gonfaloniere Guadagni, Rinaldo degli Albizzi e Giovanni
degli Uberti erano convocati alla Signoria.
“Cos’hai raccontato al Gonfaloniere per
mettermi nuovamente in cattiva luce, Cosimo?” sibilò subito Rinaldo, rivolto al
Medici. Ovvio, per lui qualsiasi cosa avvenisse nel mondo, compresa un’inondazione
in Cina, era colpa di Cosimo de’ Medici!
“Veramente non ho nemmeno parlato con il
Gonfaloniere” chiarì Cosimo, “sono stato inviato qui insieme a mio fratello per
accompagnare alla Signoria te e Giovanni, siamo stati convocati anche noi e ne
ignoro il motivo esattamente come te.”
Questa è sicuramente opera di quel serpente velenoso di
Andrea Pazzi, pensò immediatamente Giovanni, e lo avrebbe
anche detto apertamente se, in quel momento, non fosse intervenuta proprio
Madonna Albizzi in una di quelle sue sceneggiate che le erano così care.
“Perché dovremmo credervi? Questa è soltanto
una trappola e io so bene quanto male avete già fatto a mio marito nel corso di
tutti questi anni! Lui dovrebbe rifiutarsi di seguirvi” esclamò, con occhi
spiritati.
“Se Messer Albizzi dovesse rifiutarsi di
eseguire l’ordine del Gonfaloniere, le guardie qui presenti sono incaricate di
arrestarlo. Ricordate che è tuttora sotto custodia e che, se non fosse avvenuto
l’attentato nel bosco, a quest’ora sarebbe in esilio” replicò Cosimo, tagliando
corto.
“Ecco, lo sapevo, state parlando di arrestare
Rinaldo! Avevo capito subito che non ci si poteva fidare di voi, così come di
vostro padre” reagì la donna, con il suo solito amore per il melodramma. “Anzi,
sono sicura che anche l’attentato in cui Rinaldo e Ormanno hanno rischiato la
vita è stato opera vostra, avete tentato di farli assassinare!”
Giovanni aveva già i nervi tesi da diversi
giorni, oltre tutto l’improvvisa convocazione da parte del Gonfaloniere lo
insospettiva e, sopra ogni cosa, detestava Madonna Albizzi con tutto il cuore,
con tutta l’anima e con tutte le forze. Fu dunque ben felice di risponderle a
tono e di sfogare così il malanimo che cercava di nascondere da fin troppo
tempo!
“Madonna, forse qui c’è qualche problema di
acustica” intervenne, sarcastico. “Messer Cosimo vi ha già spiegato che lui
stesso e suo fratello sono stati convocati alla Signoria, quindi l’iniziativa
non è certo partita da lui. La storia della rovina della famiglia Albizzi
causata dal padre di Messer Cosimo ormai la conoscono anche i sassi e credo che
in questa convocazione c’entri esattamente come il cavolo a merenda. Per
concludere, vorrei farvi notare il fatto che, se non fosse stato per l’intercessione
di Messer Cosimo in persona, vostro marito sarebbe stato condannato a morte
dalla Signoria invece che esiliato. Dovreste essere grata alla famiglia Medici,
piuttosto!”
Alessandra Albizzi si voltò verso Giovanni come
morsa da una vipera.
“Da che parte stai tu, ragazzino? So che sei
un amico dei Medici e sono sempre più convinta che ti sia infiltrato nella
nostra famiglia per spiarci!” lo accusò, con una incantevole mancanza di ogni
senso logico.
E quando uno si dimostrava irragionevole, era
come invitare a nozze Giovanni degli Uberti!
“Madonna Albizzi, vi pregherei di contare
fino a cento prima di parlare” rispose, sfoderando il suo più bel sorriso di
scherno. “Avete detto un mucchio di sciocchezze ogni volta che avete aperto
bocca e sarebbe molto meglio per voi non rendervi ancora più ridicola. Vi siete
permessa di offendere Messer Cosimo che ha fatto tutto quanto era in suo potere
per salvare la vita di vostro marito e vostro figlio: certo voi non potete
saperlo, perché non vi siete degnata di far visita a Messer Albizzi nemmeno una
volta, quando era incarcerato, ma io ero presente e ho assistito al processo e
alla difesa che Messer Cosimo ha fatto di lui. Inoltre sono state proprio le
guardie di Messer Cosimo a difendere vostro marito e vostro figlio e a salvare
loro la vita.”
La scena era immersa nel più profondo
silenzio e tutti i presenti fissavano Giovanni senza nemmeno sognarsi di
intervenire: la rabbia del ragazzo era palpabile, faceva vibrare l’aria, ma al
tempo stesso lui riusciva a mantenersi perfettamente calmo e gelido. Cosimo e
Lorenzo ammirarono quel suo piglio battagliero e severo, mentre Rinaldo
pensava, ancora una volta, a quanto era fortunato ad avere quel ragazzino dalla
sua parte… e si rendeva conto anche di quanto fosse geloso, perché quella
rabbia era troppo violenta per derivare solo dalle assurde accuse di sua
moglie!
Giovanni mosse qualche passo verso Madonna
Albizzi che, suo malgrado, si trovò ad arretrare davanti a quello sguardo fiero
e bellicoso.
“Inoltre, come se non bastasse, avete
accusato me di essere una spia che
complotta con i Medici per la rovina della vostra famiglia. Forse dimenticate
ancora qualche particolare molto importante: primo, che io ero presente all’attentato nel bosco e che ho suggerito lo
stratagemma che ha salvato la vita di Messer Albizzi e di Ormanno. Secondo, che
sono stato sempre io a favorire il fidanzamento di vostro figlio con mia
sorella, dopo la rottura dell’accordo con i Contarini, e che l’ho fatto
esclusivamente per amicizia e affetto verso Ormanno. Per quale altro motivo
avrei dovuto volere che una famiglia di antica nobiltà e prestigio quale la
mia, gli Uberti, si imparentasse con
una famiglia che, mi duole dirlo, fuori da Firenze è pressoché sconosciuta,
come la vostra?” la incalzò Giovanni, felice di potersi togliere finalmente
diversi sassolini dalle scarpe. “State ben attenta a non abusare della mia
pazienza, Madonna, o potrei decidere di cambiare idea e di non onorare più la
vostra famiglia con la mia protezione e il mio appoggio. Avete pensato a cosa
ne sarebbe di voi, in quel caso? Forse fareste bene a riflettere, invece di
lanciare accuse a caso.”
Madonna Albizzi era impallidita per la rabbia
e l’umiliazione, ma non poteva ribattere perché quello che Giovanni aveva detto
era perfettamente vero e, oltre tutto, lei teneva molto al matrimonio tra suo
figlio e la giovane Uberti.
“Credo che non dovremmo far attendere oltre
il Gonfaloniere” concluse il ragazzo, come se niente fosse. “Non vi chiederò di
porgermi le vostre scuse, Madonna Albizzi, poiché in tutta confidenza voi non
contate assolutamente niente per me e le vostre accuse non mi sfiorano nemmeno.
Molto bene, vogliamo andare?”
Lorenzo fece molta fatica a trattenersi dallo
sghignazzare apertamente e rotolare in modo molto poco signorile dal suo
cavallo; Cosimo nascose il sorriso che voleva spuntargli in volto sotto la sua
consueta espressione severa; Rinaldo, da parte sua, sapeva che avrebbe dovuto
dire o fare qualcosa per pacificare la situazione, ma riusciva solo a pensare
che Giovanni, in quel suo modo caustico e orgoglioso, lo aveva eccitato e sarebbe stato un bel problema
andare alla Signoria con i pensieri che in quel momento gli affollavano la
mente… e altre parti!
Con la scusa che era già tardi e che il
Gonfaloniere si sarebbe innervosito se avesse dovuto attendere troppo, sia
Albizzi che Giovanni salirono a cavallo e si unirono a Cosimo e Lorenzo,
partendo velocemente per Firenze scortati dalle guardie.
Alla riunione della Signoria, ovviamente, il
giovane Uberti avrebbe avuto ancora una volta modo di sfoggiare le sue doti di
eloquenza, questa volta contro un avversario ben più pericoloso della lugubre e
acida moglie di Rinaldo: chi, se non il solito Andrea Pazzi?
Naturalmente era stato proprio lui a spingere
il Gonfaloniere a convocare la Signoria per accusare di nuovo Rinaldo Albizzi
di tradimento: niente di nuovo sotto il sole, si sarebbe potuto dire, ma questa
volta Pazzi aveva voluto fare le cose in grande e aveva pensato di coinvolgere
nell’accusa anche Giovanni e tutta la famiglia Medici!
La Signoria era riunita e gli accusati si
trovavano proprio al centro del salone, mentre Andrea Pazzi si preparava alla
sua arringa tutto compiaciuto e
soddisfatto di sé. Era particolarmente incavolato perché Cosimo era riuscito a
fregarlo, facendo assegnare il seggio che era stato di Albizzi a un mercante di
olio, un certo Mastro Bredani, confermando così che alla Signoria potevano
andare cani e porci, ma che mai e poi mai quel seggio sarebbe finito nelle
grinfie di Pazzi! Adesso, finalmente, si sarebbe vendicato di tutti i suoi
nemici.
O almeno così credeva lui…
“Messer Guadagni, sono qui per smascherare
una vera e propria congiura, messa in atto da Rinaldo Albizzi con la complicità
di Giovanni degli Uberti e di Cosimo e Lorenzo de’ Medici!” esclamò, come
esordio.
Via, la parola congiura era davvero esagerata, e poi in bocca a un Pazzi, proprio al
padre di quello che, una quarantina di anni dopo, avrebbe… insomma, la
situazione stava diventando veramente grottesca! Però certo Andrea Pazzi non
poteva sapere di quello spoiler…
“Le vostre accuse sono molto gravi, Messer
Pazzi, e coinvolgono molte persone” replicò infatti il Gonfaloniere. Vi
pregherei, dunque, di essere più chiaro e specifico.”
“Rinaldo Albizzi vi ha ingannato ancora una
volta, Messeri” riprese Pazzi, rivolto al Gonfaloniere e a tutta la Signoria
(eccetto che a Mastro Bredani, che non degnò di uno sguardo…). “Vi ha fatto
credere di volersi recare in campagna per trascorrere del tempo con la famiglia
prima di dover ripartire per l’esilio.”
“Ho dato io stesso il permesso a Messer
Albizzi” gli ricordò il Gonfaloniere. “Nel frattempo, si stanno intensificando
le indagini per scoprire chi ha organizzato l’attentato ai suoi danni. E, in
ogni caso, Rinaldo e Ormanno Albizzi sono sempre sorvegliati da un drappello di
guardie della Repubblica. Quale congiura potrebbero mai ordire?”
Andrea Pazzi parve illuminarsi d’immenso a
questa domanda.
“E’ proprio qui che entrano in gioco Cosimo
de’ Medici e Giovanni degli Uberti” proclamò, trionfante. “Non sapete, dunque,
che il giovane Uberti sta organizzando un matrimonio tra sua sorella Beatrice e
Ormanno Albizzi? E, ovviamente, con l’appoggio della famiglia Medici!”
Il Gonfaloniere sembrò deluso, o forse era
solo scocciato perché Rinaldo non l’aveva invitato al matrimonio!
“E allora, Messer Pazzi? Sposarsi non è
ancora diventato un reato a Firenze, per quanto ne so” replicò in tono
annoiato.
“Oh, ma voi non sapete cosa c’è dietro,
Messer Guadagni” riprese Pazzi, pregustando la sorpresa. “Il fratello maggiore
di Giovanni e Beatrice, Lapo degli Uberti, è il comandante delle guardie del
Duca di Mantova e Beatrice, fino a poche settimane fa, viveva presso la corte
dei Gonzaga. Non è questa una prova? Non dimostra che Rinaldo Albizzi, con la
complicità di Giovanni degli Uberti e la connivenza di Cosimo de’ Medici, si
sta alleando con i Gonzaga per avere un esercito con cui attaccare Firenze?”
No, in realtà non dimostrava un bel niente, e
ovviamente Andrea Pazzi non poteva portare prove di ciò che affermava, ma i
membri della Signoria iniziarono a bisbigliare tra sé e a lanciare sguardi
sospettosi a Rinaldo e Giovanni.
Il ragazzino, però, era già bello carico dopo
lo scontro con Morticia… pardon,
Madonna Albizzi, e non si lasciò sfuggire l’occasione di sbugiardare ancora una
volta Pazzi di fronte a tutta la Signoria!
“Devo ammettere che avete un’immaginazione
davvero fervida, Messer Pazzi, quasi ve la invidio. Ovviamente, la vostra
fantasia è così fertile per tutte queste idee di cospirazioni perché siete…
come dire? Predisposto ad organizzare voi stesso tranelli e tradimenti”
ribatté, con un soave sorriso a presa per il cu… “Tuttavia vorrei farvi tre
domande in proposito, con il permesso del Gonfaloniere.”
“Permesso accordato” rispose Messer Guadagni,
che cominciava ad averne davvero abbastanza delle trame e delle accuse
infondate di Andrea Pazzi.
“La prima è: quali prove avete di tutto
questo? Siete in possesso di carteggi tra Messer Albizzi e il Duca di Mantova,
o magari sapete di un esercito dei Gonzaga alle porte di Firenze?”
“Beh, no, chiaramente non possiedo queste
prove, ma il fatto stesso che…” iniziò Andrea Pazzi, sentendosi già un tantino
meno sicuro.
“Allora è solo una vostra illazione, che non
vale niente, proprio come se io dicessi, così, tanto per fare un esempio a caso, che siete stato voi ad assoldare
i mercenari per uccidere Messer Albizzi e ottenere il suo seggio alla Signoria”
replicò disinvolto Giovanni, e per poco Lorenzo e Rinaldo davvero non si misero
a sghignazzare vedendo la faccia che faceva Pazzi! “Io non ho prove, è solo una
mia fantasia, e lo stesso vale per la vostra accusa di un presunto complotto
tra Messer Albizzi e i Gonzaga.”
Anche il Gonfaloniere ridacchiava di
nascosto: era così lampante che l’esempio riportato dal ragazzo non era affatto
scelto a caso…
“La seconda domanda è: perché mai Messer
Cosimo e la sua famiglia dovrebbero appoggiare un eventuale attacco a Firenze
da parte dei Gonzaga, magari per ridare il potere a Messer Albizzi? E’ vero che
Messer Cosimo ha dimostrato grande generosità salvando la vita a Messer
Albizzi, ma che interesse avrebbe mai a concedergli il potere su Firenze,
peggio ancora sostenuto da un esercito invasore? Mi sembra davvero assurdo e
verrebbe quasi da pensare che questa accusa sia solo un pretesto per vendicarvi
di Messer Cosimo, che ha preferito raccomandare Mastro Bredani come nuovo
membro della Signoria piuttosto che aiutare voi” suggerì innocentemente
Giovanni, e alle sue parole si levarono nuovi bisbigli e anche qualche risata
tra i membri della Signoria. Andrea Pazzi stava per fare la sua ennesima figura
di merda!
“E la mia terza domanda è questa: come fate a
sapere tante cose della mia famiglia e di come vivano i miei fratelli fuori da
Firenze? State forse spiando gli
Uberti? Volete distruggere la mia famiglia così come i vostri antenati hanno
fatto con i miei?” attaccò all’improvviso il giovane, mutando inaspettatamente
atteggiamento e facendosi scuro in volto.
“Io… no, certo che no, non ho motivo di…”
Pazzi adesso era in crisi, gli sguardi sospettosi erano destinati a lui e la
situazione iniziava a farsi scottante.
“Nessuno, qui, sa dove sia la mia famiglia o
cosa faccia per vivere, a meno che non glielo abbia raccontato io
personalmente, e voi siete l’ultima persona a cui lo direi” insisté Giovanni in
tono grave.
“Messer Pazzi, chiarite questa brutta storia:
come avete ottenuto informazioni sulla famiglia di Messer Uberti?” intervenne
il Gonfaloniere.
Andrea Pazzi era davvero all’angolo e proprio
per questo Giovanni decise che, una volta tanto, poteva anche mostrarsi
clemente!
“Messer Guadagni, vi ringrazio per il vostro
aiuto, ma non intendo procedere oltre e indagare su come Messer Pazzi abbia
saputo tante cose sui miei fratelli” disse, “a patto, però, che Messer Pazzi
ritiri immediatamente tutte le sue assurde e ridicole accuse su di me, su
Messer Albizzi e sulla famiglia Medici!”
Pazzi dovette ammettere la sconfitta.
“Chiedo perdono, Messer Uberti, le mie
illazioni erano infondate e offensive. Chiedo perdono anche a tutti i membri
della Signoria e a Messer Guadagni per aver fatto loro perdere del tempo
prezioso e… sì, certamente, domando perdono a… a Rinaldo Albizzi e… e a Cosimo
de’ Medici” disse, con la faccia di uno che stia per vomitare.
“Messeri, siete disposti ad accettare le
scuse di Messer Pazzi?” domandò il Gonfaloniere.
Giovanni, Rinaldo, Cosimo e Lorenzo risposero
di sì.
“Molto bene, allora la seduta è tolta”
concluse Guadagni. “E mi auguro che, in futuro, rifletterete bene prima di
convocare la Signoria per ogni futilità che vi passa per la testa, Messer
Pazzi.”
Insomma, la giornata era finita bene anche
se, mentre uscivano, Pazzi lanciò uno sguardo spaventosamente carico di odio
verso Giovanni e gli altri.
Cosimo e Lorenzo salutarono il loro giovane
amico e tornarono a casa, ancora più decisi a fare di tutto per trovare delle
prove inconfutabili che condannassero Pazzi per l’attentato a Rinaldo: quell’uomo
era sempre più pericoloso e non sarebbe stato facile fermarlo.
Comunque, Lorenzo sghignazzò per tutta la
strada fino a Palazzo Medici, rammentando la faccia di Pazzi alle parole di
Giovanni.
Rinaldo, invece, una volta rientrato con il
ragazzo alla villa di campagna, riuscì a trovare un attimo per parlare con lui
da solo.
Oddio, in realtà avrebbe voluto farci ben
altro che parlare, visto come si era
mostrato fiero, sardonico e battagliero per tutto il giorno… ma purtroppo la
privacy scarseggiava!
“Giovanni, non riusciamo più a stare insieme,
ultimamente, ma io devo ancora ringraziarti per avermi difeso anche oggi contro
Andrea Pazzi” gli disse, stringendolo per le spalle con una voglia pazzesca di
attirarlo a sé. “Tu fai sempre tutto ciò che puoi per me e io… sì, lo so che
adesso ti trascuro, ma la cosa finirà presto, subito dopo il matrimonio di
Ormanno e Beatrice torneremo a Firenze e allora staremo insieme. Non ho
dimenticato la mia promessa di far benedire gli anelli da Sua Santità e…”
“Non mi sembra che vi dispiaccia poi tanto
trascorrere del tempo con vostra moglie” lo interruppe Giovanni, indispettito.
“Sai benissimo che è solo per salvare le
apparenze, ragazzino geloso!” replicò Rinaldo, intenerito e attratto da quell’aspetto
di Giovanni che dimostrava quanto, alla fin fine, fosse solo un diciottenne
innamorato. “E le cose andranno ancora meglio quando torneremo a Firenze,
perché a quel punto mia moglie avrà senza dubbio concepito il figlio che
desidera tanto e io non avrò più alcun dovere verso di lei…”
L’uomo si interruppe, fulminato dallo sguardo
glaciale di Giovanni. Nella foga del momento aveva parlato troppo e aveva
rivelato forse prematuramente quello che il ragazzo non sarebbe mai stato
disposto ad accettare.
“Un figlio? Ah, capisco. Allora vi siete
impegnato in modo particolare per salvare
le apparenze” sibilò il ragazzino, improvvisamente molto più ostile di
quanto lo fosse stato con Andrea Pazzi! Si strappò con violenza dalla stretta
di Albizzi e rimase a fissarlo con durezza.
Rinaldo ebbe la vaga impressione di aver
detto qualcosa di sbagliato…
“Non significa niente per me, è solo che lei
voleva un altro figlio perché Ormanno adesso si sposerà, ma io non…” provò a
rimediare.
“E’ tutto molto chiaro, Messer Albizzi, non c’è
altro da dire sulla questione. Né ora né mai” tagliò corto Giovanni. Con un
ultimo sguardo gelido, voltò le spalle a Rinaldo e si diresse di corsa verso la
villa.
Era disgustato e distrutto. Rinaldo lo aveva
ingannato e tradito dopo tutto ciò che aveva fatto per lui. Non meritava
niente, non meritava nemmeno che lui se la prendesse così. Doveva
infischiarsene, mandarlo al diavolo, doveva…
Ma il cuore gli si stringeva in una morsa
così lacerante da impedirgli quasi di respirare e lacrime bollenti gli
scendevano suo malgrado lungo le guance.
Yeah, my life is
what I'm fighting for
Can't part the sea, can't reach the shore
And my voice becomes the driving force
I won't let this pull me overboard
God, keep my
head above water
Don't let me drown, it gets harder
I'll meet you there at the altar
As I fall down to my knees
Don't let me drown, drown, drown
Don't let me, don't let me, don't let me drown…
(“Head above
water” – Avril Lavigne)
I giorni trascorsero in fretta nella
villa di campagna degli Albizzi, ma Giovanni si sentiva sempre più triste,
depresso e devastato e cercava in tutti i modi di evitare anche solo di
incrociare Rinaldo per caso… impresa non del tutto facile, visto che abitavano
nella stessa villa! Il ragazzo tentava di mostrarsi sereno e vivace come al
solito quando era in compagnia della madre, della sorella e di Ormanno, ma
quando si trovava da solo, nella sua stanza, non riusciva a smettere di
piangere, non dormiva e non mangiava quasi più.
Non avrebbe resistito ancora a lungo, ma
per fortuna giunse il giorno fissato per le nozze di Ormanno e Beatrice, il 2
ottobre, e questo fu un sollievo per lui. Era stato deciso che, una volta
sposati, i due giovani sarebbero andati a vivere a Firenze, a Palazzo Albizzi,
e Rinaldo sarebbe andato con loro mentre Madonna Albizzi sarebbe, come suo
solito, rimasta nella villa di campagna sperando di avere presto il figlio
tanto sognato.
Ovviamente, se poi la Signoria avesse
confermato l’esilio, la coppia di sposini e Rinaldo Albizzi sarebbero dovuti
partire per Ancona, ma la cosa sembrava non preoccupare più di tanto nessuno
dei diretti interessati.
Al contrario, Albizzi era molto
fiducioso e sicuro delle proprie possibilità ed era convinto che, una volta
rientrati a Firenze (o anche partiti per Ancona, se proprio si doveva…),
lontano da sua moglie, lui sarebbe riuscito a recuperare il rapporto con
Giovanni: gli avrebbe spiegato chiaramente che la situazione con Madonna
Albizzi era risolta una volta per tutte, lei avrebbe avuto un figlio tutto per
sé come tanto desiderava e lui si sarebbe dedicato completamente al suo giovane
amante! Nella sua mente la faccenda era già sistemata e non vedeva l’ora di
parlare a quattr’occhi con il ragazzino per chiarirsi.
Peccato che, invece, Giovanni aspettasse
solo di poter rientrare a Firenze per chiudere una volta per tutte quel
rapporto ambiguo con Rinaldo, tornare a vivere a Palazzo Medici e dedicarsi
solo ed esclusivamente a riportare in alto il nome della sua famiglia, proprio
come aveva deciso di fare due anni prima, quando si era recato per la prima
volta nella città dei suoi antenati. Per farla breve, Giovanni voleva fare tabula rasa di tutto ciò che era
accaduto negli ultimi due anni e ripartire da zero. Sperava, così, di riuscire
a riprendersi da quel terribile dolore che lo stava lacerando ormai da settimane.
No, Rinaldo Albizzi non meritava affatto
che lui soffrisse così tanto per colpa sua! Lo aveva preso in giro, ingannato,
tradito e l’unica cosa che Giovanni voleva era dimenticare tutto, compresa l’esistenza
stessa di quell’uomo!
Da ragazzino ingenuo qual era per le
questioni di cuore, si illudeva che, imponendosi di dimenticare Albizzi, ci
sarebbe riuscito subito e avrebbe smesso per sempre di stare male.
Ormanno e Beatrice furono fortunati: il
2 ottobre si rivelò una splendida giornata di sole, frizzante e luminosa, con
un cielo di un azzurro intenso, proprio come le più belle giornate di inizio
autunno. La villa di campagna degli Albizzi era piena di invitati vestiti a
festa (sì, c’era anche il Gonfaloniere e perfino la famiglia Medici al completo
e no, chiaramente Andrea Pazzi non era stato invitato!). I giovani sposi erano
belli, felici e innamorati e tutti rimanevano incantati dall’atmosfera serena e
gioiosa che circondava la coppia. Perfino Giovanni riuscì per un giorno a
dimenticare la gelosia che lo dilaniava e si lasciò coinvolgere dalla felicità
della sorella.
La cerimonia si svolse nella cappella
privata della famiglia Albizzi e fu tenuta da Sua Santità Papa Eugenio in
persona, ben felice di poter celebrare un bel matrimonio invece del funerale di
Rinaldo e Ormanno, come sarebbe potuto accadere se non ci fosse stato Giovanni…
Il banchetto era stato allestito nel cortile interno della villa, riccamente
addobbato con ghirlande di fiori e nastri colorati, ci sarebbe stato un pranzo
sontuoso e in seguito musica e danze fino a sera. Gli invitati trascorsero una
giornata veramente speciale e, almeno per un giorno, le rivalità e le
inimicizie furono messe da parte… oddio, non del tutto, visto che Pazzi non era
stato invitato, diciamo che la cosa valeva per i presenti, ecco!
Giovanni passò tutto il tempo in
compagnia dei giovani sposi oppure degli amici Piero e Lucrezia, scherzando
affettuosamente con Beatrice e con la madre, che sarebbe ripartita due giorni
dopo per Mantova e che era molto felice dell’ottimo matrimonio della figlia
minore. Insomma, il ragazzo riuscì ad evitare accuratamente anche soltanto di
avvicinarsi a Rinaldo che, da parte sua, rimase piuttosto deluso poiché era
convintissimo di poter approfittare proprio di quel giorno di festa per la sua strategia di riconciliazione con
Giovanni.
Gli ospiti, sazi, soddisfatti e alcuni
anche parecchio ubriachi, iniziarono a lasciare la festa dopo il tramonto,
sebbene i più giovani continuassero imperterriti a danzare anche quando si era
ormai fatto buio. Tuttavia la serata si fece via via più calma e Caterina
Uberti approfittò proprio di quel momento per prendere da parte il figlio. I
suoi occhi brillavano di orgoglio e commozione.
“Figlio mio” disse la donna a Giovanni,
in tono vibrante di emozione, “devo ammettere che ero molto preoccupata per te
quando, due anni fa, rifiutasti di seguirci a Mantova e insistesti per recarti
a Firenze. Avevi solo sedici anni e non conoscevi nessuno. Ero spaventata e
dovetti farmi forza per lasciarti seguire la strada in cui credevi.”
“Ho avuto la fortuna di incontrare
subito Messer Cosimo de’ Medici, madre, e lui mi ha aiutato fin dal principio
con grande generosità e nobiltà d’animo. Non avrei potuto fare niente senza di
lui” minimizzò il ragazzo, imbarazzato.
“Lo so e sono molto grata alla famiglia
Medici” replicò la madre. “Però tu hai saputo far valere le tue qualità, ti sei
fatto apprezzare da casate importanti e prestigiose, sei riuscito a farti
rispettare anche all’interno della Signoria. Adesso so che stai veramente
riportando il nome degli Uberti alla grandezza che merita e so anche che tuo
padre Ranieri sarebbe molto fiero di te… naturalmente lo sono anch’io, sebbene
all’inizio fossi piena di dubbi e incertezze sulla tua sorte.”
Giovanni era talmente emozionato e
commosso da non riuscire nemmeno a rispondere.
“Inoltre hai organizzato questo
matrimonio prestigioso per Beatrice e adesso posso ritornare tranquilla e
serena a Mantova, perché so che tu sarai accanto a tua sorella e che te ne
occuperai se dovesse aver bisogno del tuo aiuto” continuò Madonna Uberti.
“Naturalmente, madre, anche se sono
convinto che Beatrice non avrà bisogno di me: Ormanno sarà un ottimo marito”
rispose Giovanni, sorridendo. “Comunque dovete farmi una promessa: tornerete
presto a Firenze e, quando finalmente le spoglie dei nostri antenati Farinata e
Adaleta saranno traslate nella Cattedrale, dovrete fare in modo che anche i
miei fratelli Lapo e Francesco lascino i loro impegni per partecipare!”
“Verremo sicuramente tutti insieme ad
assistere a una giornata così gloriosa ed emozionante per la nostra famiglia”
mormorò la donna. “Avrei voluto che anche tuo padre potesse esserci…”
Per qualche istante entrambi rimasero in
silenzio, ricordando quanto il padre e il nonno di Giovanni avessero narrato le
gesta di Farinata e di Neri degli Uberti, quanto li addolorasse il triste
destino dei loro antenati e quanto sarebbero stati orgogliosi del nipote che,
dopo tanti anni, aveva reso possibile ciò che sembrava quasi un miracolo.
Passato l’attimo di commozione, Caterina
Uberti riprese a parlare.
“E tu che cosa vuoi fare della tua vita,
Giovanni? Come ti dicevo, sono molto fiera di te, di ciò che hai saputo fare,
degli amici importanti che ti sei fatto, ma quali sono i tuoi veri progetti per
il futuro? Vuoi dedicarti alla vita politica o magari alla carriera militare,
come i tuoi fratelli, oppure desideri avere una famiglia tua, una moglie e dei
figli?” domandò.
Beh, ovviamente non sarebbe stato
opportuno spiegare a quella povera donna che ciò che Giovanni desiderava
realmente era diventare il compagno
ufficiale di Rinaldo Albizzi… ma, in realtà, in quel momento il giovane era
ancora troppo ferito e arrabbiato anche solo per pensare una cosa simile e così
poté rispondere con sincerità alla madre.
“Io sono venuto a Firenze perché volevo
che il nome e la memoria degli Uberti fossero riabilitati, perché gli Uberti
fossero di nuovo tra le casate più importanti e prestigiose della città ed è
proprio a questo che voglio dedicare la mia vita” rispose con decisione e
fierezza.
Caterina Uberti sorrise.
“Lo immaginavo, sei proprio come tuo
fratello Francesco” commentò, divertita. “Anche lui è tutto compreso dal suo
ruolo di capitano delle guardie di Verona, e non ha tempo di pensare a nient’altro.
Veramente nelle vostre vene scorre il sangue dei grandi condottieri Farinata e
Neri… meno male che ci hanno pensato Lapo e Beatrice a sposarsi e ad assicurare
una discendenza alla nostra famiglia!”
“E io sono orgoglioso che i miei
fratelli facciano grande e onorato il nome degli Uberti anche in altre città,
così come io cerco di fare qui a Firenze” replicò Giovanni.
I due si abbracciarono e poi rientrarono
nella villa sottobraccio. Presto si sarebbero dovuti separare di nuovo e
volevano godere pienamente del tempo che potevano passare insieme.
In tutto ciò, Rinaldo era rimasto
fregato, perché non aveva potuto scambiare nemmeno due parole in croce con
Giovanni!
Passarono due giorni e giunse il momento
delle partenze. Caterina Uberti abbracciò i figli, fece loro mille
raccomandazioni e poi salì in carrozza, scortata dai servitori e dai cavalieri
che l’avrebbero scortata fino a Mantova. Una carrozza era pronta anche per
portare Ormanno e Beatrice a Firenze e Rinaldo sarebbe andato con loro. Quello
che l’illuso credeva era che Giovanni avrebbe accettato di salire con lui e di
recarsi a Palazzo Albizzi.
“Giovanni, la carrozza sta per partire”
disse l’uomo al giovane Uberti quando, dopo una lunga ricerca per le stanze
della villa, l’ebbe finalmente trovato nella sua camera a preparare le ultime
cose.
“Sono contento per voi” replicò freddo
il ragazzo. “Avete salutato vostra moglie?”
“Adesso piantala con questa storia” fece
Albizzi, spazientito. Beh, nella sua mente il suo ragionamento era
perfettamente logico e non capiva perché Giovanni facesse tanti capricci. “Ti
ho già spiegato che tra me e lei non c’è più alcun vero rapporto e che ho
semplicemente voluto esaudire la sua richiesta di un figlio per non restare da
sola…”
“Allora qualche tipo di rapporto dev’esserci
stato per forza, non credo proprio che lo Spirito Santo si scomodi per la
famiglia Albizzi” ribatté, tagliente, il giovane. “Ad ogni modo la cosa non mi
riguarda, così come non mi riguarda la vostra carrozza. Prendetela e andatevene
e… ah, salutatemi mia sorella, ditele che verrò a farle visita uno di questi
giorni, se mi fate sapere quando voi non
sarete in casa.”
Rinaldo cominciava a innervosirsi, anche
perché capiva che non sarebbe stato facile come credeva riconquistare la
fiducia del ragazzino…
“Tu devi salire in carrozza e venire a
Palazzo Albizzi con noi” insisté. “Possibile che tu non voglia comprendere?
Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per poter stare con te liberamente. Adesso
Ormanno ha una moglie, Alessandra avrà un figlio e io potrò dedicarmi a te,
potrò metterti al dito l’anello benedetto dal Papa e…”
“Oh, questa è proprio originale! Siete
andato a letto con vostra moglie per poter stare con me?” lo interruppe
Giovanni, caustico. “Certo che avete un’idea veramente contorta e perversa dei
rapporti interpersonali!”
“Giovanni, non farmi perdere tempo, la
carrozza non aspetterà in eterno e le guardie della Repubblica che devono
scortarci si stanno già innervosendo” disse Albizzi, ma era come parlare al
muro, il ragazzo respingeva al mittente tutte le sue parole.
“Andate a prendere la vostra carrozza,
dunque, e lasciatemi in pace” tagliò corto. “Non lo avete ancora capito? Io non
metterò mai più piede a Palazzo Albizzi finché ci sarete voi. Rientrerò a
Firenze per mio conto e tornerò a vivere a Palazzo Medici.”
“A Palazzo Medici?” trasecolò Rinaldo.
“Esatto. Ne ho già parlato con Messer
Cosimo e lui e la sua famiglia sono molto lieti di riavermi tra loro. Non ho
altro da dirvi, Messer Albizzi. Addio” concluse Giovanni, sempre più distaccato
e freddo.
Albizzi avrebbe voluto dire e fare mille
cose, ma era veramente in ritardo e non poteva far attendere ancora la carrozza
e le guardie della Repubblica… magari Andrea Pazzi avrebbe potuto usare anche
quel piccolo ritardo contro di lui, come se avesse voluto tentare la fuga!
Scrollando il capo, si avviò verso l’uscita della camera.
“Me ne vado, per adesso, ma ci rivedremo
a Firenze” disse a Giovanni. “Ti convincerò a cambiare idea, ti farò capire che
ho fatto tutto perché potessimo stare insieme. Io non rinuncio a te, ragazzino
insolente.”
Giovanni fece finta di niente e continuò
a sistemare le sue cose. Si sforzava di tenere concentrata la mente su tutto
quello che aveva da fare: sarebbe tornato a Firenze a cavallo, da solo, e si
sarebbe recato a Palazzo Medici. Messer Cosimo gli aveva parlato delle indagini
che Marco Bello stava facendo per suo conto, sicuramente presto avrebbero
trovato delle prove per incastrare Pazzi e scacciarlo dalla Signoria. Chissà,
magari sarebbero perfino riusciti a far esiliare lui invece di Albizzi! Avrebbe
dovuto parlare con Piero, che era molto deluso per la scelta del padre di
affidare il seggio della Signoria a Mastro Bredani (sì, il semplice mercante di
olio di cui vi avevo già parlato…) piuttosto che a lui. Sarebbe stato un
problema, già, perché Messer Cosimo avrebbe voluto che proprio lui, Giovanni,
prendesse quel seggio, caso mai Mastro Bredani non avesse accettato, ma il
ragazzo non se la sentiva e non capiva nemmeno perché il Medici avesse più
fiducia in lui che nel suo stesso figlio…
Insomma, Giovanni cercava con tutte le
sue forze di tenere la mente occupata per non pensare a Rinaldo, a quello che
gli aveva detto, a quanto gli mancava… Non sarebbe durata a lungo, si diceva,
alla fine lo avrebbe dimenticato, in fondo aveva mille cose di cui occuparsi a
Firenze e non avrebbe avuto certo tempo per queste sciocchezze.
Sì, anche lui si illudeva che sarebbe
stato facile, che l’impegno per Firenze, per i Medici e per il nome degli
Uberti lo avrebbe aiutato a superare quell’increscioso incidente di percorso e che in pochi giorni quella sofferenza
sarebbe scomparsa.
Eppure, nel frattempo, passava le notti
quasi insonne, singhiozzando contro il cuscino, e non mangiava più.
Era proprio un ragazzino vittima del
primo, intenso, totalizzante amore e non lo aveva ancora capito!
Ma molte cose dovevano ancora accadere
in quel di Firenze…