VIETATO MORIRE
Capitolo primo
Lo sai che una ferita si chiude e dentro non si
vede
Che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare
E scegli una strada diversa e ricorda che l'amore non è violenza
Ricorda di disobbedire e ricorda che è vietato morire, vietato morire
Cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai
E ricorda che l'amore non ti spara in faccia mai
Figlio mio ricorda bene che
La vita che avrai
Non sarà mai distante dell'amore che dai
Ricorda di disobbedire perché è vietato morire…
(“Vietato morire” – Ermal Meta)
Nei giorni seguenti la vita a Firenze si fece
sempre più frenetica e interessante,
non c’era davvero modo di annoiarsi in tutto quel casino! Tanto per non farsi
mancare niente, giunse in città anche il Papa, Eugenio IV, in fuga da Roma che
era stata occupata dalle truppe del Duca di Milano, Filippo Maria Visconti. E
chi poteva offrirsi di ospitare il Papa in casa sua se non il nostro Cosimo de’
Medici?
Papa Eugenio, però, era da anni amico di
Rinaldo Albizzi e, così, approfittò del suo soggiorno a Palazzo Medici per perorare
la sua causa presso Cosimo e implorarlo di essere magnanimo, convincendo la
Signoria a non condannarlo a morte.
Insomma, Cosimo aveva il Papa da una parte e
Giovanni dall’altra a pressarlo affinché mettesse una buona parola per Rinaldo…
il problema era, però, che Albizzi non aveva nessuna intenzione di farsi
aiutare e, anzi, preferiva morire piuttosto che essere salvato dal Medici.
Poteva esserci una situazione più assurda e
incasinata di questa? Nemmeno a cercarla col lumicino…
E, nel frattempo, durante le riunioni della Signoria,
Andrea Pazzi, con la faccia tosta che lo contraddistingueva, insisteva con
sempre maggior veemenza che il crimine commesso da Rinaldo Albizzi era
imperdonabile e che meritava di essere punito con la morte. Cosimo era stato
costretto a ordinare a Marco Bello di tenere Giovanni chiuso a chiave nella sua
stanza a Palazzo Medici dopo che, la prima volta in cui era stato tanto
temerario da permettergli di partecipare alla seduta della Signoria, il
ragazzino aveva dato fuori di matto. Sentendo Pazzi perorare con tanto impegno
la causa della condanna a morte di Albizzi, la reazione di Giovanni era stata
plateale.
“Dovresti essere ammazzato tu con tutta la
tua famiglia di luridi traditori, Giuda
Iscariota che non sei altro!” aveva esclamato, tentando poi di raggiungere
l’uomo con l’evidente intento di azzannarlo alla giugulare o qualcosa di
simile.
Anche in quel caso, Cosimo si era avvalso
dell’aiuto di Marco Bello per afferrare il ragazzo, tenerlo stretto e portarlo
fuori dal Palazzo della Signoria, mentre il Gonfaloniere cercava di conservare
un’espressione impassibile (ma dentro di sé soffocava dalle risate…) e Giovanni
continuava a insultare Andrea Pazzi in tutte le lingue del mondo e a spiegargli
nel dettaglio cosa gli avrebbe fatto se solo se lo fosse trovato tra le mani!
Vista la situazione incandescente a dir poco,
il Papa aveva trovato una specie di compromesso: aveva fatto redigere a Cosimo
un documento in cui a Rinaldo Albizzi veniva commutata la condanna a morte in
esilio e, in cambio, l’uomo giurava che non avrebbe mai più fatto ritorno a
Firenze. Eh, già, perché la Signoria (istigata dall’immancabile Andrea Pazzi, avvocato del diavolo per vocazione) non
si fidava di Albizzi e temeva che, una volta mandato in esilio, lui avrebbe
trovato degli alleati e messo su un esercito per muovere guerra a Firenze.
Oddio, probabilmente era esattamente questo ciò che Rinaldo aveva intenzione di fare, ma
vabbè, non facciamo mica il processo alle intenzioni, noi, no?
Cosimo e Papa Eugenio portarono il documento
ad Albizzi, nella sua cella, e quella volta il Medici ritenne saggio che venisse
anche Giovanni. In quel caso non c’era pericolo che incontrasse Pazzi e che,
magari, lo sventrasse sotto gli occhi di Sua Santità… e forse con le sue frasi
pungenti, ma sempre azzeccate, sarebbe riuscito a convincere Rinaldo a firmare.
In realtà il documento convinceva poco anche
Giovanni stesso. Insomma, lui sapeva benissimo che la sua famiglia era stata
esiliata e aveva tentato in tutti i modi di ottenere il permesso di rientrare a
Firenze, con che faccia sarebbe andato a chiedere ad Albizzi di firmare per
richiedere spontaneamente l’esilio?
Tuttavia, come già aveva detto una volta a Cosimo, dall’esilio si può sempre
tornare e dalla tomba no, perciò forse era la soluzione migliore, poi ci
avrebbe pensato lui ad aiutare Rinaldo a tornare a Firenze.
Sì, la sua idea era quella, anche se non
sapeva come.
Intanto, però, bisognava convincere l’uomo a
firmare il documento.
Appunto, era proprio quello il problema…
Rinaldo Albizzi si rivoltò come morso da una
vipera, trattò male anche il Papa stesso e dichiarò che quel documento era un
inganno messo in piedi da Cosimo.
Rinaldo Albizzi, a volte, sapeva essere
davvero esasperante e, soprattutto, i suoi discorsi non avevano un minimo di
logica: che ci avrebbe guadagnato, Cosimo, a mandarlo in esilio? Se davvero lo
odiava tanto, non sarebbe stato il primo a volere la sua testa? Ma andateglielo
a spiegare…
Alla fine anche il Papa non lo resse più e lo
zittì in malo modo.
“Insomma, Rinaldo, non dimenticatevi di chi
avete di fronte!” lo redarguì.
Al che Albizzi chinò il capo, si fece un
frettoloso segno di croce e chiese perdono al Papa per aver perso la pazienza
davanti a lui.
“Perdonatemi, Santità, non dirò più niente”
mormorò, solo apparentemente pentito… perché, pur avendo appena affermato che
non avrebbe detto più niente, si affrettò ad aggiungere l’immancabile accusa di
corruzione ai Medici! Che uomo coerente,
quell’Albizzi… “Se non che i Medici mentono, è nella loro natura! Come suo
padre prima di lui, Cosimo distruggerà tutte le vite necessarie a conquistare
il potere.”
“Si può sapere che accidenti c’entra questo?”
intervenne allora Giovanni, che si era trattenuto anche troppo per i suoi
standard. “E’ mai possibile che qualsiasi cosa accada sulla faccia della terra
debba essere colpa di Messer Cosimo ai vostri occhi? Ma perché non contate fino
a cento prima di aprire bocca, se tanto dovete dire solo idiozie simili?”
Papa Eugenio fece tanto d’occhi e Cosimo si
affrettò a spiegare la situazione.
“Il ragazzo è Giovanni degli Uberti, ospite
nella mia casa e… beh, ha preso anche lui particolarmente a cuore la salvezza
di Albizzi” disse, esibendo un sorriso che sembrava più una smorfia.
“I Medici sono pronti a passare sopra chiunque
pur di…”
“Siete veramente assurdo e la cosa peggiore è
che nemmeno ve ne rendete conto” lo interruppe Giovanni senza tanti
complimenti. “Se Messer Cosimo volesse veramente la vostra rovina, gli
basterebbe tirarsi indietro e lasciar fare alla Signoria che, con il vostro carissimo amico Andrea Pazzi in testa,
inneggia giorno e notte alla vostra condanna. E invece è qui, insieme a Sua
Santità il Papa, a pregarvi di firmare un documento che vi salverà la vita. Ma
no, voi preferite accusarlo di cose che non stanno né in cielo né in terra e,
soprattutto, non sapete far altro che ritirare fuori per l’ennesima volta
quella vecchia storia di vent’anni fa, che tra l’altro in questo momento non
c’entra neanche un cavolo!”
Papa Eugenio dovette ammettere che i metodi
spicci di Giovanni erano forse più efficaci delle sue parole… ma Albizzi era
più cocciuto di un mulo, era impossibile spuntarla, con lui.
“Io non firmerò mai questo documento!” dichiarò, deciso.
“Se è la vostra ultima parola, io non posso
fare nient’altro” replicò allora il Papa, deluso. Fece per avviarsi verso la
porta della cella, accompagnato da Cosimo, ma Giovanni non aveva certo finito!
“E perché non volete firmare? Potete
perlomeno spiegarmelo?”
Cosimo e il Papa si fermarono poco prima di
uscire, scambiandosi un’occhiata.
“Forse il giovane Uberti saprà convincerlo
meglio di quanto avremmo fatto noi” suggerì il Medici.
“Lo spero” mormorò Papa Eugenio. Era davvero
amico di Albizzi da molti anni ed era dispiaciuto di non poterlo aiutare, ma
quell’uomo era talmente accecato dalla rabbia da non rendersi conto che si
stava rovinando con le sue stesse mani. Il ragazzo ostentava dei modi di dire
piuttosto coloriti, ma chissà, magari
era quello che ci voleva con un testardo come Rinaldo.
“Quel documento è un inganno di Cosimo e io
non mi abbasserò mai a firmarlo!” ripeté l’uomo, come se quella fosse una
risposta.
“Beh, allora, se ci tenete tanto a suicidarvi
perché non vi impiccate da solo con le lenzuola del letto? Risparmierete un
sacco di noie a tanta brava gente” fece Giovanni, piccato.
Fuori dalla cella, il Papa guardò Cosimo con
l’aria di dire sarebbero questi i metodi
del giovane Uberti?
Cosimo fece finta di niente, mostrando una
gran sicurezza. Per prudenza, decise di allontanarsi dalla cella insieme al
Papa, caso mai fossero volate parole grosse: quando quei due si scontravano non
si poteva mai sapere e, in ogni caso, era meglio che Sua Santità non
assistesse!
“Come ti permetti di parlarmi così, ragazzino
arrogante? Tu non sai niente di me e non puoi capire” ribatté Rinaldo. “Non
voglio essere debitore di Cosimo e, in ogni caso, non ho alcun interesse ad
andare in esilio. Fuori da Firenze non sarei più nessuno.”
“Ah, beh, perché invece qui chi vi credete di
essere?” replicò Giovanni, con aria di sufficienza. “L’avete fatta voi la
sciocchezza di cercare di rovesciare la Signoria e iene affamate come Andrea Pazzi sono lì che ancora vi ringraziano. Lo
capite o no che Pazzi aspetta solo che saliate sul patibolo per rivendicare
immediatamente il suo diritto a occupare il vostro seggio?”
“Tu che ne sai di tutte queste cose?” domandò
l’uomo, adesso più calmo e incuriosito dalle parole del ragazzo.
“Lo so perché è la stessa cosa che hanno
fatto alla mia famiglia” rispose Giovanni in tono grave e fissando Rinaldo
dritto negli occhi, “e sappiate che non lascerò che facciano lo stesso a voi.
Se oggi non volete firmare quel documento io tornerò domani, e poi il giorno
dopo e il giorno dopo ancora, finché non vi avrò convinto.”
“Non credo che mi resti tutto questo tempo,
ragazzino…”
“Vi resterà, potete contarci. La Signoria non
farà niente contro di voi e io vi convincerò a firmare il documento” dichiarò
il ragazzo.
“Sembri molto sicuro di te, giovane Uberti”
fece Rinaldo, adesso quasi divertito.
“Lo sono” fu la risposta del ragazzo. “Bene,
devo raggiungere Messer Cosimo e Sua Santità, ma non vi illudete, non è finita
qui. Domani tornerò, da solo, portando quel documento, e non vi darò pace
finché non vi avrò convinto a firmarlo.”
Suo malgrado, ad Albizzi scappò un
sorrisetto.
“Come vuoi. Magari allora io domani ti
spiegherò meglio le ragioni per le quali non ho alcuna intenzione di firmarlo,
e vedremo chi l’avrà vinta” disse.
“A domani, Messer Albizzi” iniziò a dire
Giovanni, ma non fece quasi in tempo a finire la frase, perché Rinaldo lo
afferrò bruscamente, lo attirò a sé e lo baciò in modo rude, disperato, avido.
Meno male che Cosimo aveva allontanato il
Papa!
“A domani, ragazzino impertinente” gli disse
poi, lasciandolo andare.
Un po’ confuso e sbalordito, Giovanni uscì
dalla cella dell’uomo e raggiunse il Papa e il Medici che lo aspettavano in
fondo alla prima rampa di scale insieme al carceriere.
“Allora, sei riuscito a convincerlo a
firmare?” gli domandò il Medici.
“Non ancora, ma tornerò domani con questo
documento e insisterò finché non accetterà di firmarlo” replicò il ragazzino,
cercando di recuperare un certo qual contegno. “Posso tenere il foglio con me,
Messer Cosimo?”
“Non vedo perché no” rispose il Medici.
“Comunque temo che Rinaldo sia ancora più testardo di te.”
“Oh, Messer Albizzi non ha ancora visto
niente…” fece Giovanni, con il tono di chi la sa lunga.
In realtà nemmeno lui sapeva ancora come
sarebbe riuscito a convincere Albizzi, però una cosa la sapeva: non avrebbe
lasciato niente di intentato pur di salvargli la vita… e, possibilmente, di
trovare il modo per risparmiargli anche l’esilio.
Rinaldo, intanto, rimasto solo nella sua
cella, guardava fuori dalla finestrella che dava sulla piazza.
Rifletteva.
Giovanni si stava dando veramente tanto da
fare per salvargli la vita, era chiaro che teneva molto a lui.
Ma lui, Rinaldo Albizzi, come avrebbe potuto
vivere in esilio, lontano da Firenze, senza più poter partecipare alla vita
politica della sua città? A cosa sarebbe servita allora la sua vita?
Possibile che Giovanni, che discendeva da una
famiglia cacciata da Firenze, non comprendesse la sua amarezza?
Il giorno dopo avrebbero parlato con più
calma e, sicuramente, il ragazzo avrebbe capito. La sua era una causa persa e
non aveva più motivo per lottare.
La sua vita non aveva più senso, tanto valeva
che lo giustiziassero…
Fine capitolo primo