Il colore della cioccolata

di Cindy03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“MAMAAAAAA! MAMAAAAA!” continuavo a correre verso casa, con  il fiatone e i battiti accelerati che mi rimbombavano nelle orecchie. Non vedevo l’ora di rivedere mia madre al rientro dal lavoro. Ero una bambina di sei anni e avevo un ottimo rapporto con lei. La consideravo la donna più bella del mondo, con i suoi capelli lunghi dai riccioli definiti e i suoi occhioni neri.
Tutti i giorni si alzava all’alba e prendeva il primo autobus della mattina per andare a lavoro, nella casa di una vecchia signora bianca, in cui puliva, cucinava e badava ai suoi figli. Lo faceva per me, per farmi mangiare e andare a scuola, anche se guadagnava una miseria.
Nel frattempo io restavo a casa e, per quanto potevo, cercavo di farla contenta rassettando e cucinando a volte una minestra calda. Mio padre non c’era quasi mai, troppo impegnato a spendere i soldi che mamma guadagnava in alcol e sigarette. Tornava solo la sera tardi. Ubriaco.
Spesso la mia vicina di casa mi accudiva, insieme a sua figlia Lena.
Quando si avvicinavano le cinque del pomeriggio, tutti i giorni mi dirigevo verso la fermata del bus, a mezzo isolato di distanza, sicura che di li a poco avrei rivisto la mamma. Poi insieme tornavamo a casa e, dopo cena, ci stendevamo sul letto. Passavo ore ad ascoltare le sue storie! Mi parlava della sua infanzia e del nostro paese d’origine, L’Avana, di quando papà era un bel ragazzo gentile ed educato, di come invece era cambiato quando ci trasferimmo qui nel Bronx. Io avevo solo sei mesi e lui tanti problemi, da non riuscire più a controllarsi.
A volte vedevo qualche livido sulle forti braccia della mamma, a volte sul volto. Sapevo che la picchiava, lo avevo sentito, ma non ebbi mai il coraggio di parlarne. Quel giorno avevo fatto tardi per giocare con Lena ed ero corsa fino alla fermata dell’autobus, per poi rendermi conto di non potercela fare. Quindi rigirai e mi misi a correre verso casa.
 “Mama, lo siento, fui a casa Lena!” (Mamma, scusami ho accompagnato a casa Lena) dissi entrando, appoggiandomi alla porta per prendere aria. Non mi accorsi dei rumori che provenivano dall’interno della casa.
“LURIDA PUTTANA!” l’urlo di mio padre, proveniente dalla camera da letto mi gelò il sangue. Corsi fino alla stanza, poi sbirciai dentro. La scena che mi si presentò davanti mi lasciò sconvolta: mio padre, ubriaco come al solito stava picchiando la mamma, con il manico della scopa, quello di ferro. La donna era già priva di sensi, accasciata a terra con la faccia ricoperta di sangue e quell’uomo non voleva smettere di picchiarla!
“No! NO! Papà! BASTAAAAA!” urlai correndo tra loro, ma con uno spintone lui mi ricacciò indietro facendomi sbattere la testa sul montante della porta.
Ci misi qualche secondo a realizzare ciò che stava succedendo, ma quando lo feci mi alzai in punta dei piedi e iniziai a correre, ignorando il rivolo di sangue che scendeva dalla fronte. Corsi fino a quando i polmoni non iniziarono a bruciare, attraversando strade, parchi, negozi, fino a quando non lessi a fatica la parola “Police” in azzurro, sulla facciata di un edificio completamente bianco. Entrai sempre correndo fino ad arrivare agli uffici e, con tutta la voce che avevo in gola gridai “MIA MAMMA E’ MORTA PERCHE’ PAPA’ L’HA UCCISA!” prima di finire a terra svenuta.
 
Mi risvegliai qualche giorno dopo in una stanza d’ospedale. Un poliziotto stava parlando ai piedi del letto con una strana donna: aveva capelli dorati corti, un rossetto talmente rosso da risultare accecante, uguale allo smalto sulle unghie delle mani, che stringevano in grembo una cartellina bianca. Non era una dottoressa perché non aveva il camice, ma un sobrio tailleur grigio chiaro che risaltava sul suo fisico asciutto e sulla sua carnagione ambrata come la mia.
Qualche giorno dopo mi spiegarono che la mamma era morta come pensavo e che il papà era stato arrestato. Io sarei dovuta andare in un orfanotrofio, ma mio zio, che al momento si trovava nel mio paese natale dall’altra parte dell’oceano, aveva contattato una signora che si sarebbe presa cura di me fino al suo arrivo. Non voleva mandarmi in un orfanotrofio perché lui ci era cresciuto e sapeva bene cosa succedeva li dentro, come trattavano i bambini e come poi parecchi di loro finivano in mezzo ad una strada a spacciare droga.
Fu la stessa signora che quel giorno parlava con il poliziotto che mi venne a prendere e mi portò nella sua scuola di ballo, che mi insegnò la tradizione cubana e la salsa, che mi salvò la vita e nello stesso tempo mi condannò ad anni di doveri senza diritti: la signora Maria Conchita Castillo. Il suo era un enorme edificio a più piani in cui venivano ospitati bambini che in qualche modo erano rimasti soli. Veniva insegnato loro a studiare, lavorare e ballare, tutto ad un unico scopo, far guadagnare alla signora Castillo un bel gruzzoletto per i suoi bellissimi spettacoli, famosi e rinomati tra la gente. In cambio lei offriva buon cibo e un tetto sulla testa che, in certi casi, fa un bel po’ comodo, nonché una discreta istruzione.
Quando arrivai alla sua scuola mi affidò a un bambino di 8 anni che si atteggiava a capo e che per questo mi faceva un po’ sorridere, finalmente dopo giorni di pianto passati in una sorta di limbo. Aveva gli occhi più belli del mondo, pensai, e la pelle colorata come la cioccolata, quella che solleticava il palato e faceva ridere. E così feci. Dopo tutto quello che era successo, nonostante tutte le mie paure, appena rimasi sola con quel bambino scoppiai a ridere, piegandomi a metà sul pavimento.
“Te sei mezza matta!” mi disse scettico il bambino, guardandomi con due occhi spalancati. Poi si accucciò porgendomi una mano e sussurrandomi all’orecchio “Tanto lo so che hai paura piccola Larhette, ma non ti preoccupare, ci sono io adesso!” e poi a voce più alta “mi chiamo Rock! Vieni a vedere questo posto?”
Sorrisi di cuore e lo seguii per tutto il fabbricato, prestando attenzione a tutto ciò che diceva. C’erano delle camere e altri bambini come noi, circa una quindicina, una mensa per mangiare tutti insieme, delle sale per studiare ballo e delle altre per imparare a leggere, scrivere, contare...avevamo degli orari e dei compiti stabiliti che dovevamo rispettare e una sola ora il pomeriggio per giocare o riposarci. Niente uscite, nessuna lamentela, solo studio e lavoro come pulire, lavare, ordinare, cucinare ecc ecc. e se non si faceva tutto per bene erano guai: lavoro extra, niente pasto, e quando proprio andava male, bacchettate sulle mani!
 
Riuscii a sopravvivere a quella prigione solo grazie a Rock. Diventammo inseparabili fin dal primo giorno. Giocavamo insieme durante l’ora di svago, ci proteggevamo a vicenda, ci donavamo il sostegno e l’affetto che mancava ad entrambi, ma soprattutto parlavamo. Rock era uno dei più grandi e affidabili tra i bambini, così la signora Castillo gli aveva assegnato il compito di chiudere a chiave la porta principale prima di andare a dormire. Doveva dare due mandate, ma Rock anziché darle nello stesso verso per inchiavare le dava una in un verso e l’altra nel verso opposto così che la porta rimaneva aperta garantendo sempre una via di fuga che lo faceva sentire più al sicuro. Almeno questo era quello che mi raccontava lui.
Diceva di aver sentito di un bambino morto bruciato all’interno di una casa in cui era scoppiato un incendio, perché la porta era stata inchiavata e si era probabilmente incastrata. Inoltre era una sorta di ribellione a quella vita cui eravamo costretti.
E una via di fuga lo era davvero per noi perché tutte le notti sgattaiolavamo fuori in giardino e, nascosti dietro un grande cespuglio parlavamo per ore intere. Parlavamo di noi, delle nostre paure, della mia famiglia e di quella di Rock, i cui genitori erano stati costretti ad affidarlo alla signora Castillo per motivi economici e poi si erano dimenticati di lui. Parlavamo dei nostri sogni, del nostro futuro. Volevamo diventare entrambi ballerini famosi e con i soldi comprare delle pozioni magiche che facessero diventare tutti buoni. Solo dopo un paio di anni arrivarono anche Denny, Anthony e Jenna, anche loro con storie simili alle nostre, anche loro senza un domani certo, anche loro che di notte fuggivano con noi per garantirsi almeno la libertà di sognare.
A quattordici anni oramai avevo conosciuto mio zio, che mi veniva a trovare circa due volte l’anno portando con se un sacco di cose buone da mangiare, ma ancora non poteva portarmi via di li. A dir la verità nemmeno io me ne volevo andare perché oramai avevo degli amici che mi facevano anche da famiglia, ma soprattutto avevo Rock.
Rock, l’unico che mi capiva davvero, che mi curava emotivamente, che mi portava la cena in camera di nascosto quando combinavo qualcosa che non andava bene alla signora Castillo, o che mi fasciava mani e piedi quando si spaccavano durante un lavoro troppo intenso o una giornata intera di ballo. Rock, l’unico ragazzo di cui a quindici anni mi sono innamorata!
Glielo dissi una sera in cui eravamo soli perché gli altri stavano facendo del lavoro extra di punizione, glielo dissi che il mio modo di guardarlo era cambiato, inconsapevole del fatto che il giorno dopo per noi sarebbe cambiato anche tutto il resto. Lui mi abbracciò forte rispondendomi  che mi voleva bene e che non ci saremo persi mai, e io gli credetti.
Il giorno dopo la signora Castillo ci annunciò che da li a un mese avremmo dovuto fare uno spettacolo importantissimo, solo noi grandi, e che quindi ci dovevamo impegnare al massimo. Aumentò i periodi di prova e diminuì  quelli di lavoro, ma soprattutto ci separò: Anthony, Jenna e Rock avrebbero ballato insieme, io e Denny avremmo fatto una bachata per conto nostro. Dovevamo trovare sintonia secondo lei per cui faceva in modo che per la maggior parte del tempo ci trovassimo insieme ai nostri partner, ma lontani dagli altri. Anche le prove si sarebbero fatte separatamente. A me parve una notizia terribile. Non sapevo cosa avrebbe fatto Rock, ne cosa ne pensava. Incrociai i suoi occhi e vi lessi tristezza.
I primi giorni riuscivamo a vederci solo la sera nel nostro angolo di giardino e  raramente ci incontravamo durante il giorno, ma quando succedeva incontravo il suo sguardo rassicurante e mi sentivo meglio. Capitava di incontrarci nei corridoi ed  era spontaneo cercarci con gli occhi e sorriderci. Lo facevamo ogni volta.
Dopo qualche giorno però notai un enorme cambiamento in lui. Era più serio, duro e scostato con me. non mi cercava più, mi parlava a mala pena e d evitava il mio sguardo. Iniziò a scendere la sera solo per dirci che loro erano stanchi e non sarebbero venuti. Ed io restavo ore intere sola con Denny, che si rivelò un ottimo amico, abbracciati a dirci parole dolci e a confidarci i nostri segreti, tra cui quello per cui lui era fortemente attratto da Anthony. Successivamente Rock e gli altri non si fecero più vedere e iniziarono ad evitarci come la peste. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, il perché di quell’atteggiamento. Lacrime calde scendevano sulle mie guance tutte le volte che aspettavo Rock nel nostro solito posto in giardino per ore intere e non lo vedevo arrivare mai.
Rock, il mio migliore amico, la mia famiglia, la mia speranza, ed ora anche il mio amore, mi aveva abbandonato portandosi dietro tutto ciò che era per me. Mi ritrovai nuovamente sola come tanti anni prima, con un enorme senso di vuoto da colmare. Certo c’era Denny, e gli volevo un bene dell’anima, ma semplicemente, non era Rock!
Riuscii a sopportare tutto ciò fino alla sera della mia fuga, quando anche l’ultimo barlume di speranza scomparì.
Era notte fonda. Io e Denny stavamo tornando in camera dopo averli aspettati fino a mezzanotte e mezza. Per le scale sentimmo la risata di Jenna e altre due voci maschili. Ci affacciammo restando nascosti dietro il muro e ciò che vidi fece frantumare letteralmente il mio cuore. Jenna li abbracciava entrambi e tutti e tre ridevano. Poi lei iniziò a baciare Anthony sulle labbra, un bacio vero, ma Rock non la lasciava ancora. Jenna si staccò e baciò anche lui nello stesso modo. Poi prese le loro mani libere e se le mise sul seno. Iniziarono a toccarla in tutti i modi possibili e lei se lo faceva fare. Nello stupore, nemmeno mi accorsi di essere scivolata fuori dal nascondiglio, fin quando loro non si fermarono a guardarmi. Un sorriso maligno si dipinse sul volto di Jenna che poi disse: “Ragazzi questa sera ho voglia di divertirmi un po’… andiamo in camera mia!” prese la mano di entrambi e si diresse verso la sua stanza, Anthony la seguì eccitato, mentre Rock si fece scorrere le sue dita sul braccio e sulla mano, ma restò li a guardarmi. Per un attimo interminabile ci fissammo negli occhi. Il suo sguardo riluttante era colmo di un sentimento che non riuscivo a leggere, mentre il mio era già velato di lacrime. Si girò e la seguì.
Solo dopo mi venne in mente che forse lui mi guardava con pietà. Per la prima volta con lui, ebbi la sensazione di trovarmi di fronte un estraneo. Forse fu questo a farmi maggiormente male.
In quel momento Denny mi abbracciò in silenzio e mi portò via di li, verso la mia di camera. Non piansi, non parlai, non mi staccai da lui per un tempo che mi parve interminabile. Non riuscivo a spiegarmi come avevano potuto fare una cosa del genere. Non riuscivo a capire dove avevo sbagliato. Mi incolpai perché non ero come Jenna, sbarazzina e ribelle, perché io non avrei mai permesso alle mani di due uomini di toccarmi in quel modo. Forse per questo Rock non mi voleva, forse ora che era cresciuto e aveva istinti carnali, da uomo, la sua piccola Larhette non sarebbe stata capace di gestirli.
Forse furono questi pensieri a far nascere in me l’idea peggiore che potessi mai partorire: dovevo provvedere per un domani, affinché nessun altro mi riservasse quello sguardo.
“ Sono un’egoista Denny, ma devo chiederti una cosa, sei l’unica persona che mi è rimasta: fa l’amore con me Denny!”chiesi con un fil di voce nascosta nel suo collo.
“Cosa?” mi rispose lui stranito
“Voglio sapere per quale motivo lui ha preferito tutto questo a me, voglio imparare a farlo per un futuro, per evitare che qualcun altro scappi da me. Mi fido di te, so che mi porterai rispetto e per questo  se puoi, se vuoi, ti chiedo di immaginare di stare con Anthony e fare l’amore con me, ti chiedo di mostrarmi cosa vuol dire farlo. Mi voglio donare a te.”
“Larhette, sei una persona straordinaria” mi disse lui serio dopo un attimo di silenzio “non voglio assolutamente che pensi che lui si sia allontanato per te, non è colpa tua, non lo pensare assolutamente! Comunque, se ti farà sentire meglio, verrò a letto con te Larhette, ma non penserò ad Anthony. Sarò con te in tutto e per tutto!” era riluttante, lo vedevo, ma in quel momento era ciò che sentivo di fare.
Le mie labbra tornarono a sorridere, ma con aria scettica dissi “ Davvero non penserai a lui?”
Anthony rise  “ Forse un pochino!” la risata uscì spontanea dalle mie labbra prima di abbracciarlo.
E fu così che in quel posto ci lasciai anche la mia verginità. Ma non me ne pentii. Mai.
Dopo aver fatto l’amore con Denny, riempii uno zainetto con le mie cose e mi diressi in punta dei piedi verso il portone. Lo aprii in silenzio e proprio come tanti anni prima, cominciai a correre, correre fino a finire il fiato, correre lontano fino a quando non crollai a terra in preda a dolori lancinanti.
 
“MAMAAAAAA! MAMAAAAA!” continuavo a correre verso casa, con  il fiatone e i battiti accelerati che mi rimbombavano nelle orecchie. Non vedevo l’ora di rivedere mia madre al rientro dal lavoro. Ero una bambina di sei anni e avevo un ottimo rapporto con lei. La consideravo la donna più bella del mondo, con i suoi capelli lunghi dai riccioli definiti e i suoi occhioni neri.
Tutti i giorni si alzava all’alba e prendeva il primo autobus della mattina per andare a lavoro, nella casa di una vecchia signora bianca, in cui puliva, cucinava e badava ai suoi figli. Lo faceva per me, per farmi mangiare e andare a scuola, anche se guadagnava una miseria.
Nel frattempo io restavo a casa e, per quanto potevo, cercavo di farla contenta rassettando e cucinando a volte una minestra calda. Mio padre non c’era quasi mai, troppo impegnato a spendere i soldi che mamma guadagnava in alcol e sigarette. Tornava solo la sera tardi. Ubriaco.
Spesso la mia vicina di casa mi accudiva, insieme a sua figlia Lena.
Quando si avvicinavano le cinque del pomeriggio, tutti i giorni mi dirigevo verso la fermata del bus, a mezzo isolato di distanza, sicura che di li a poco avrei rivisto la mamma. Poi insieme tornavamo a casa e, dopo cena, ci stendevamo sul letto. Passavo ore ad ascoltare le sue storie! Mi parlava della sua infanzia e del nostro paese d’origine, L’Avana, di quando papà era un bel ragazzo gentile ed educato, di come invece era cambiato quando ci trasferimmo qui nel Bronx. Io avevo solo sei mesi e lui tanti problemi, da non riuscire più a controllarsi.
A volte vedevo qualche livido sulle forti braccia della mamma, a volte sul volto. Sapevo che la picchiava, lo avevo sentito, ma non ebbi mai il coraggio di parlarne. Quel giorno avevo fatto tardi per giocare con Lena ed ero corsa fino alla fermata dell’autobus, per poi rendermi conto di non potercela fare. Quindi rigirai e mi misi a correre verso casa.
 “Mama, lo siento, fui a casa Lena!” (Mamma, scusami ho accompagnato a casa Lena) dissi entrando, appoggiandomi alla porta per prendere aria. Non mi accorsi dei rumori che provenivano dall’interno della casa.
“LURIDA PUTTANA!” l’urlo di mio padre, proveniente dalla camera da letto mi gelò il sangue. Corsi fino alla stanza, poi sbirciai dentro. La scena che mi si presentò davanti mi lasciò sconvolta: mio padre, ubriaco come al solito stava picchiando la mamma, con il manico della scopa, quello di ferro. La donna era già priva di sensi, accasciata a terra con la faccia ricoperta di sangue e quell’uomo non voleva smettere di picchiarla!
“No! NO! Papà! BASTAAAAA!” urlai correndo tra loro, ma con uno spintone lui mi ricacciò indietro facendomi sbattere la testa sul montante della porta.
Ci misi qualche secondo a realizzare ciò che stava succedendo, ma quando lo feci mi alzai in punta dei piedi e iniziai a correre, ignorando il rivolo di sangue che scendeva dalla fronte. Corsi fino a quando i polmoni non iniziarono a bruciare, attraversando strade, parchi, negozi, fino a quando non lessi a fatica la parola “Police” in azzurro, sulla facciata di un edificio completamente bianco. Entrai sempre correndo fino ad arrivare agli uffici e, con tutta la voce che avevo in gola gridai “MIA MAMMA E’ MORTA PERCHE’ PAPA’ L’HA UCCISA!” prima di finire a terra svenuta.
 
Mi risvegliai qualche giorno dopo in una stanza d’ospedale. Un poliziotto stava parlando ai piedi del letto con una strana donna: aveva capelli dorati corti, un rossetto talmente rosso da risultare accecante, uguale allo smalto sulle unghie delle mani, che stringevano in grembo una cartellina bianca. Non era una dottoressa perché non aveva il camice, ma un sobrio tailleur grigio chiaro che risaltava sul suo fisico asciutto e sulla sua carnagione ambrata come la mia.
Qualche giorno dopo mi spiegarono che la mamma era morta come pensavo e che il papà era stato arrestato. Io sarei dovuta andare in un orfanotrofio, ma mio zio, che al momento si trovava nel mio paese natale dall’altra parte dell’oceano, aveva contattato una signora che si sarebbe presa cura di me fino al suo arrivo. Non voleva mandarmi in un orfanotrofio perché lui ci era cresciuto e sapeva bene cosa succedeva li dentro, come trattavano i bambini e come poi parecchi di loro finivano in mezzo ad una strada a spacciare droga.
Fu la stessa signora che quel giorno parlava con il poliziotto che mi venne a prendere e mi portò nella sua scuola di ballo, che mi insegnò la tradizione cubana e la salsa, che mi salvò la vita e nello stesso tempo mi condannò ad anni di doveri senza diritti: la signora Maria Conchita Castillo. Il suo era un enorme edificio a più piani in cui venivano ospitati bambini che in qualche modo erano rimasti soli. Veniva insegnato loro a studiare, lavorare e ballare, tutto ad un unico scopo, far guadagnare alla signora Castillo un bel gruzzoletto per i suoi bellissimi spettacoli, famosi e rinomati tra la gente. In cambio lei offriva buon cibo e un tetto sulla testa che, in certi casi, fa un bel po’ comodo, nonché una discreta istruzione.
Quando arrivai alla sua scuola mi affidò a un bambino di 8 anni che si atteggiava a capo e che per questo mi faceva un po’ sorridere, finalmente dopo giorni di pianto passati in una sorta di limbo. Aveva gli occhi più belli del mondo, pensai, e la pelle colorata come la cioccolata, quella che solleticava il palato e faceva ridere. E così feci. Dopo tutto quello che era successo, nonostante tutte le mie paure, appena rimasi sola con quel bambino scoppiai a ridere, piegandomi a metà sul pavimento.
“Te sei mezza matta!” mi disse scettico il bambino, guardandomi con due occhi spalancati. Poi si accucciò porgendomi una mano e sussurrandomi all’orecchio “Tanto lo so che hai paura piccola Larhette, ma non ti preoccupare, ci sono io adesso!” e poi a voce più alta “mi chiamo Rock! Vieni a vedere questo posto?”
Sorrisi di cuore e lo seguii per tutto il fabbricato, prestando attenzione a tutto ciò che diceva. C’erano delle camere e altri bambini come noi, circa una quindicina, una mensa per mangiare tutti insieme, delle sale per studiare ballo e delle altre per imparare a leggere, scrivere, contare...avevamo degli orari e dei compiti stabiliti che dovevamo rispettare e una sola ora il pomeriggio per giocare o riposarci. Niente uscite, nessuna lamentela, solo studio e lavoro come pulire, lavare, ordinare, cucinare ecc ecc. e se non si faceva tutto per bene erano guai: lavoro extra, niente pasto, e quando proprio andava male, bacchettate sulle mani!
 
Riuscii a sopravvivere a quella prigione solo grazie a Rock. Diventammo inseparabili fin dal primo giorno. Giocavamo insieme durante l’ora di svago, ci proteggevamo a vicenda, ci donavamo il sostegno e l’affetto che mancava ad entrambi, ma soprattutto parlavamo. Rock era uno dei più grandi e affidabili tra i bambini, così la signora Castillo gli aveva assegnato il compito di chiudere a chiave la porta principale prima di andare a dormire. Doveva dare due mandate, ma Rock anziché darle nello stesso verso per inchiavare le dava una in un verso e l’altra nel verso opposto così che la porta rimaneva aperta garantendo sempre una via di fuga che lo faceva sentire più al sicuro. Almeno questo era quello che mi raccontava lui.
Diceva di aver sentito di un bambino morto bruciato all’interno di una casa in cui era scoppiato un incendio, perché la porta era stata inchiavata e si era probabilmente incastrata. Inoltre era una sorta di ribellione a quella vita cui eravamo costretti.
E una via di fuga lo era davvero per noi perché tutte le notti sgattaiolavamo fuori in giardino e, nascosti dietro un grande cespuglio parlavamo per ore intere. Parlavamo di noi, delle nostre paure, della mia famiglia e di quella di Rock, i cui genitori erano stati costretti ad affidarlo alla signora Castillo per motivi economici e poi si erano dimenticati di lui. Parlavamo dei nostri sogni, del nostro futuro. Volevamo diventare entrambi ballerini famosi e con i soldi comprare delle pozioni magiche che facessero diventare tutti buoni. Solo dopo un paio di anni arrivarono anche Denny, Anthony e Jenna, anche loro con storie simili alle nostre, anche loro senza un domani certo, anche loro che di notte fuggivano con noi per garantirsi almeno la libertà di sognare.
A quattordici anni oramai avevo conosciuto mio zio, che mi veniva a trovare circa due volte l’anno portando con se un sacco di cose buone da mangiare, ma ancora non poteva portarmi via di li. A dir la verità nemmeno io me ne volevo andare perché oramai avevo degli amici che mi facevano anche da famiglia, ma soprattutto avevo Rock.
Rock, l’unico che mi capiva davvero, che mi curava emotivamente, che mi portava la cena in camera di nascosto quando combinavo qualcosa che non andava bene alla signora Castillo, o che mi fasciava mani e piedi quando si spaccavano durante un lavoro troppo intenso o una giornata intera di ballo. Rock, l’unico ragazzo di cui a quindici anni mi sono innamorata!
Glielo dissi una sera in cui eravamo soli perché gli altri stavano facendo del lavoro extra di punizione, glielo dissi che il mio modo di guardarlo era cambiato, inconsapevole del fatto che il giorno dopo per noi sarebbe cambiato anche tutto il resto. Lui mi abbracciò forte rispondendomi  che mi voleva bene e che non ci saremo persi mai, e io gli credetti.
Il giorno dopo la signora Castillo ci annunciò che da li a un mese avremmo dovuto fare uno spettacolo importantissimo, solo noi grandi, e che quindi ci dovevamo impegnare al massimo. Aumentò i periodi di prova e diminuì  quelli di lavoro, ma soprattutto ci separò: Anthony, Jenna e Rock avrebbero ballato insieme, io e Denny avremmo fatto una bachata per conto nostro. Dovevamo trovare sintonia secondo lei per cui faceva in modo che per la maggior parte del tempo ci trovassimo insieme ai nostri partner, ma lontani dagli altri. Anche le prove si sarebbero fatte separatamente. A me parve una notizia terribile. Non sapevo cosa avrebbe fatto Rock, ne cosa ne pensava. Incrociai i suoi occhi e vi lessi tristezza.
I primi giorni riuscivamo a vederci solo la sera nel nostro angolo di giardino e  raramente ci incontravamo durante il giorno, ma quando succedeva incontravo il suo sguardo rassicurante e mi sentivo meglio. Capitava di incontrarci nei corridoi ed  era spontaneo cercarci con gli occhi e sorriderci. Lo facevamo ogni volta.
Dopo qualche giorno però notai un enorme cambiamento in lui. Era più serio, duro e scostato con me. non mi cercava più, mi parlava a mala pena e d evitava il mio sguardo. Iniziò a scendere la sera solo per dirci che loro erano stanchi e non sarebbero venuti. Ed io restavo ore intere sola con Denny, che si rivelò un ottimo amico, abbracciati a dirci parole dolci e a confidarci i nostri segreti, tra cui quello per cui lui era fortemente attratto da Anthony. Successivamente Rock e gli altri non si fecero più vedere e iniziarono ad evitarci come la peste. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, il perché di quell’atteggiamento. Lacrime calde scendevano sulle mie guance tutte le volte che aspettavo Rock nel nostro solito posto in giardino per ore intere e non lo vedevo arrivare mai.
Rock, il mio migliore amico, la mia famiglia, la mia speranza, ed ora anche il mio amore, mi aveva abbandonato portandosi dietro tutto ciò che era per me. Mi ritrovai nuovamente sola come tanti anni prima, con un enorme senso di vuoto da colmare. Certo c’era Denny, e gli volevo un bene dell’anima, ma semplicemente, non era Rock!
Riuscii a sopportare tutto ciò fino alla sera della mia fuga, quando anche l’ultimo barlume di speranza scomparì.
Era notte fonda. Io e Denny stavamo tornando in camera dopo averli aspettati fino a mezzanotte e mezza. Per le scale sentimmo la risata di Jenna e altre due voci maschili. Ci affacciammo restando nascosti dietro il muro e ciò che vidi fece frantumare letteralmente il mio cuore. Jenna li abbracciava entrambi e tutti e tre ridevano. Poi lei iniziò a baciare Anthony sulle labbra, un bacio vero, ma Rock non la lasciava ancora. Jenna si staccò e baciò anche lui nello stesso modo. Poi prese le loro mani libere e se le mise sul seno. Iniziarono a toccarla in tutti i modi possibili e lei se lo faceva fare. Nello stupore, nemmeno mi accorsi di essere scivolata fuori dal nascondiglio, fin quando loro non si fermarono a guardarmi. Un sorriso maligno si dipinse sul volto di Jenna che poi disse: “Ragazzi questa sera ho voglia di divertirmi un po’… andiamo in camera mia!” prese la mano di entrambi e si diresse verso la sua stanza, Anthony la seguì eccitato, mentre Rock si fece scorrere le sue dita sul braccio e sulla mano, ma restò li a guardarmi. Per un attimo interminabile ci fissammo negli occhi. Il suo sguardo riluttante era colmo di un sentimento che non riuscivo a leggere, mentre il mio era già velato di lacrime. Si girò e la seguì.
Solo dopo mi venne in mente che forse lui mi guardava con pietà. Per la prima volta con lui, ebbi la sensazione di trovarmi di fronte un estraneo. Forse fu questo a farmi maggiormente male.
In quel momento Denny mi abbracciò in silenzio e mi portò via di li, verso la mia di camera. Non piansi, non parlai, non mi staccai da lui per un tempo che mi parve interminabile. Non riuscivo a spiegarmi come avevano potuto fare una cosa del genere. Non riuscivo a capire dove avevo sbagliato. Mi incolpai perché non ero come Jenna, sbarazzina e ribelle, perché io non avrei mai permesso alle mani di due uomini di toccarmi in quel modo. Forse per questo Rock non mi voleva, forse ora che era cresciuto e aveva istinti carnali, da uomo, la sua piccola Larhette non sarebbe stata capace di gestirli.
Forse furono questi pensieri a far nascere in me l’idea peggiore che potessi mai partorire: dovevo provvedere per un domani, affinché nessun altro mi riservasse quello sguardo.
“ Sono un’egoista Denny, ma devo chiederti una cosa, sei l’unica persona che mi è rimasta: fa l’amore con me Denny!”chiesi con un fil di voce nascosta nel suo collo.
“Cosa?” mi rispose lui stranito
“Voglio sapere per quale motivo lui ha preferito tutto questo a me, voglio imparare a farlo per un futuro, per evitare che qualcun altro scappi da me. Mi fido di te, so che mi porterai rispetto e per questo  se puoi, se vuoi, ti chiedo di immaginare di stare con Anthony e fare l’amore con me, ti chiedo di mostrarmi cosa vuol dire farlo. Mi voglio donare a te.”
“Larhette, sei una persona straordinaria” mi disse lui serio dopo un attimo di silenzio “non voglio assolutamente che pensi che lui si sia allontanato per te, non è colpa tua, non lo pensare assolutamente! Comunque, se ti farà sentire meglio, verrò a letto con te Larhette, ma non penserò ad Anthony. Sarò con te in tutto e per tutto!” era riluttante, lo vedevo, ma in quel momento era ciò che sentivo di fare.
Le mie labbra tornarono a sorridere, ma con aria scettica dissi “ Davvero non penserai a lui?”
Anthony rise  “ Forse un pochino!” la risata uscì spontanea dalle mie labbra prima di abbracciarlo.
E fu così che in quel posto ci lasciai anche la mia verginità. Ma non me ne pentii. Mai.
Dopo aver fatto l’amore con Denny, riempii uno zainetto con le mie cose e mi diressi in punta dei piedi verso il portone. Lo aprii in silenzio e proprio come tanti anni prima, cominciai a correre, correre fino a finire il fiato, correre lontano fino a quando non crollai a terra in preda a dolori lancinanti.
 

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Capitolo 2
*** 1 ***


Scendo dalla macchina dopo aver dato un’ultima occhiata allo specchietto per controllare il trucco che velocemente mi sono spalmata durante le soste ai semafori per arrivare fin qui. Mi sono addirittura vestita nel bagno del ristorante dove lavoro per recuperare un po’ di tempo. Sono in super ritardo!
“Larhette!! Finalmente sei arrivata… è da un’ora che ti stiamo aspettando!” mi abbraccia Denny con il suo solito modo di fare anche troppo espansivo. Accanto a lui Lorenzo sorride come al solito: “Ce ne hai messo di tempo è!”
“Scusatemi ragazzi, ma al lavoro non volevano proprio lasciarmi andare via!” dico per discolparmi.
 Eravamo rimasti d’accordo di incontrarci per le dieci davanti al locale che abbiamo scelto per questa serata, ma avevo fatto tardi e il mio amico Denny con il suo fidanzato Lorenzo mi avevano tartassato di chiamate, rallentando ulteriormente i tempi. Abbraccio entrambi scoccando un sonoro bacio sulla guancia a ciascuno per farmi perdonare e poi, precedendoli, ci indirizziamo verso l’entrata, dove ci aspetta un omone tutto muscoli. Dopo una breve fila ci identifichiamo con i nostri documenti e finalmente entriamo. Abbiamo scelto un locale famoso per la sua musica prettamente cubana. Non è particolarmente grande, ma ha una bella atmosfera. Sulla parete opposta all’entrata si trova il lungo bancone del bar, sempre stracolmo di alcolici di tutti i tipi e circondato da gente non molto sobria. Anteriormente al bar c’è la pista da ballo, al cui  centro, una lunga passerella rialzata fa da palco, su cui ogni sera si esibiscono le coppie più brave del locale, scelte al momento. Si dice che una volta questo locale ospitava eventi di moda e questo potrebbe anche spiegare la passerella, ma trovo difficile immaginarmelo brulicante di gente ricca in abiti costosi e modelle secche allampanate. In genere vengo spesso in questo locale e non ho mai visto nulla di tutto ciò. È pieno di neri e ballerine formose che si muovono a ritmo cubano, anzi che il ritmo cubano ce l’hanno nel sangue! Ballare salsa è la mia vita oltre che la mia passione e a volte mi permette di arrotondare a fine mese, ma da qualche tempo sono stata costretta all’assoluto riposo dalla frattura alla tibia che mi sono procurata cadendo per le scale del mio appartamento. La settimana scorsa c’era stato il rientro al lavoro al ristorante cubano  appartenente a mio zio, e questa sera è l’occasione giusta per tornare a ballare!
“Larhette forza, balla con me!!” mi prende per mano Lorenzo, trascinandomi in pista e cominciando a muoversi a ritmo di salsa. Mi lascio andare ridendo come una matta e seguendolo nei movimenti. Guardo Lorenzo e penso che, pur avendo origini italiane, siciliane precisamente, si muove molto bene! Io invece sono originaria di Cuba, L’Avana, anche se i miei genitori si sono trasferiti nel Bronx quando avevo soli sei mesi. Denny a vederlo è il classico nero rapper che si vede nei film, con tanto di borchie e catene, ma poi conoscendolo è dolcissimo e smentisce quasi all’istante l’impressione che fa dall’apparenza. Ora viviamo tutti e tre a Manhattan, loro in una villetta a schiera, io in un palazzo fatiscente che però costa abbastanza poco da potermelo permettere.
Ridiamo come matti e quando anche Denny ci raggiunge, cominciamo a ballare in tre sulle note salsere, scatenandoci tra la gente.
 Fa caldissimo e dopo qualche canzone comincio ad avere sete.
“Ragazzi vado a prendermi qualcosa da bere!” dico prima di lasciarli soli, dirigendomi verso il bar. Voglio lasciarli soli per un po’, se lo meritano. In ogni caso ho un sacco di conoscenze in questo locale e sono sicura che non sarò sola a lungo. Passandoci davanti, decido di fare una deviazione verso la toilette per darmi una mezza sistemata. Mi guardo allo specchio e controllo che il mio vestito sia in ordine.
Indosso un abito corto senza spalline con un velo trasparente nella parte posteriore lungo fino al ginocchio, un rossetto rosso fuoco, un leggero filo di eyeliner sugli occhi, oltre al mascara e un paio di orecchini dorati molto appariscenti. Decido che posso andare e torno al bar. Ordino un mojito e mi siedo sullo sgabello, sventolandomi con un volantino trovato abbandonato sul bancone. Mi guardo intorno nell’attesa, quando una figura attira la mia attenzione.  Un  ragazzo alto, nero, capelli corti, spalle imponenti e una camminata così familiare… omioddio!! Quello è Rock!
Il fiume dei ricordi mi invade. Rivedo un bambino color cioccolata che mi sorride e mi rialza dal pavimento. Lo stesso volto rabbuiato quando la signora Castillo ci puniva. Sento il suo profumo mentre in lacrime lo abbracciavo forte, mentre mi curava le ferite dell’anima, mentre mi regalava di nuovo la felicità. E lo rivedo a 16 anni, il ragazzo che mi faceva battere il cuore, quello che con le sue espressioni uniche mi toglieva il respiro, quello che avrei baciato allo sfinimento anche quando era sporco, sudato, puzzolente. Rivedo il ragazzo che tocca e bacia l’altra ragazza, quella che non sono io, quella che mi guarda con cattiveria, quella che ha vinto il nostro gioco della seduzione.
 
 “Signorina! Ecco il suo mojito! Si sente bene?” la voce del barman mi distoglie bruscamente dai miei pensieri.
“Si, mi scusi, grazie!” gli faccio un debole sorriso senza tuttavia riuscire a distogliere gli occhi da quelle spalle. È incredibile come dopo tutto questo tempo i ricordi siano ancora così vividi, come se non fosse passato nemmeno un giorno da quella notte di sei anni fa. Ed è strano che il sentimento che prevale, tra le tante emozioni, è la gioia di rivederlo, non un dolore profondo come mi sarei aspettata.
Ora sta ballando con un gruppo di ragazze e non si è mai voltato verso di me. Mi ritrovo a pensare, come mi era già successo tantissime volte in passato , che la sua pelle è del colore del cioccolato e so per certo che anche il suo profumo è ugualmente dolce… come vorrei correre ad abbracciarlo! E se non fosse contento di rivedermi invece? Se fosse arrabbiato con me? In fondo non ci siamo lasciati in buoni rapporti.
“Forse è meglio lasciar perdere!” dico a me stessa abbassando contemporaneamente lo sguardo sul drink.
“Scusa cos’hai detto?” una voce al mio fianco mi costringe a girarmi. Non mi sono accorta di avere qualcuno vicino. Un ragazzo biondo con gli occhi azzurri mi sta fissando, ammiccando malizioso. Non dico niente perché in quel momento lo sguardo mi va sul dj, un mio carissimo amico e mi viene un idea brillante!
“Scusami” dico superando il ragazzo che borbotta qualcosa che non capisco.
“Ciao Mark! Da quanto tempo non ci vediamo!” saluto dopo essermi arrampicata sulla consolle, vicino al dj. “Ehi Larhette!! Come va la gamba?” mi chiede palesemente interessato, stringendomi in un breve abbraccio.
“Bene grazie, oggi è il mio rientro in pista, dopo mesi di riabilitazione sono tornata come nuova!”
“Bisogna fare un ingresso speciale allora! Sali te sul palco?” mi chiede con sguardo malizioso.
“Certo, ma dovrei chiederti un favore…”
“Con chi vuoi ballare?” mi capisce al volo.
“Rock” dico semplicemente. Lui non sa di chi stia parlando ma annuisce e si avvicina al microfono.
“Aspetta Mark” riesco a bloccarlo, “Non dire il mio nome!”
“Va bene, non preoccuparti!” mi fa l’occhiolino con aria maliziosa e comincia a parlare, mentre io mi dirigo sotto il palco.
Allora, bella gente! È arrivato il momento di scoprire chi saranno i ballerini speciali di questa sera” risuona la voce metallica di Mark sull’intero locale “ Ci sarà una sorpresa per voi, un favoloso rientro in scena, ma prima… vogliamo Rock sulla pistaaa! Rock ci sei? Rooooooock!!!” un coro di urla si alza dal locale enfatizzando le parole di Mark.
Vedo Rock in lontananza alzare le mani al cielo e iniziare a dirigersi verso il palco, fino a salirci. È proprio come me lo ricordavo, solo più uomo, più muscoloso, più bello, da far quasi paura!
Di nuovo la voce del dj “Chi sarà la ballerina per Rock?” detto questo fa partire la musica, una rumba cubana* “Per fare questa ci vuole una professionista! Divertitevi ragazzi!” conclude alzando ulteriormente il volume.
 Salgo sul palco stando bene attenta a dare le spalle a Rock, poi mi lascio trasportare dalla musica, che mi entra dentro e inizia a scorrere nel mio sangue, modulando il battito cardiaco, la respirazione, avvolgendomi di un calore confortevole che mi porta ad alzare le braccia per poi farle ricadere sul corpo con un movimento sensuale. Con la coda dell’occhio vedo che anche lui sta iniziando a fare qualche pasitos, fin quando l’attacco del ritmo rumbero non mi costringe a girarmi e camminare verso di lui, che invece ha lo sguardo in basso. Arrivo a pochi centimetri da lui che finalmente alza la testa attirandomi a se con un braccio, seguendo un altro blocco della musica. I nostri occhi si incontrano e leggo in rapida successione lo stupore nei suoi, seguito dalla contentezza e poi dalla sfida per qual ballo. Era tipico di Rock, sfidare la gente, sfidare me mentre ballavamo, come per spingermi a dare il massimo. Un flash di noi due bambini mi pervade la mente: lo stesso sguardo profondo, lo stesso calore, la stessa passione. Accetto la sfida e comincio a proteggermi dalle sue vacune, dai suoi piccoli dispetti, ballando come se ci fossimo solo noi due, come se fosse una questione di vita o di morte. E leggo rabbia e frustrazione quando schivo le sue toccate, malizia quando mi fa gli sgambetti, contentezza quando mi prende e mi fa girare. Quando la musica sta per terminare e si fa più lenta, sensuale, mi avvicino anche io con sensualità, quasi a concedermi, e ci ritroviamo a pochi centimetri di distanza. Lo sfioro, mi muovo sul suo corpo come se stessi facendo l’amore, dimostrandogli che ora anche io lo so fare. Sento le sue mani su di me come se mi volesse, vedo i suoi occhi incendiarsi sotto i miei tocchi e sulla nota finale il caschè gli permette di scorrere il viso sul collo, tra i miei seni, fino all’incirca all’altezza dell’ombelico. La musica finisce e lui mi tira su, senza però lasciarmi andare. Rimaniamo abbracciati così vicini che posso sentire i nostri respiri mescolarsi, posso rituffarmi negli occhi di cioccolato più belli del mondo e riempirmi nuovamente del suo profumo, mentre intorno a noi esplodono urla e applausi e mentre Mark dice qualcosa dalla consolle che non riesco ad afferrare. Resto rapita dal suo abbraccio che sembra durare un eternità, ma comunque troppo poco per accontentarmi.
Ad un certo punto ci riscuotiamo scoppiando la bolla che ci aveva avvolti e ci distacchiamo un po’. Mi squadra per bene, poi: “Larhette! Quanto sono contento di rivederti!!” e mi abbraccia di nuovo, in modo molto… fraterno. Non so perché questa cosa mi lascia un po’ delusa, ma poi mi dico che devo dimenticare il passato e così ricambio l’abbraccio urlando per farmi sentire: “ Anche io Rock, come stai?” chiedo con il mio sorriso più sincero.
“Bene, bene! Dobbiamo raccontarci un sacco di cose! Che ne dici di uscire fuori?” mi propone entusiasta.
“C’è anche Denny qui, vuoi salutarlo?”
“ Davvero! È incredibile! Chiama anche lui, ti aspetto qui fuori”
Annuisco e mi dirigo a cercare Denny e Lore.
 
*la rumba cubana è un ballo tipico di corteggiamento cubano, che consiste in una serie di pasitos finalizzati ad avvicinare i due. Dopo di che l’uomo deve provare a conquistare la donna con la vacuna, un gesto atto a sfiorare le parti intime della donna, che deve proteggersi con le mani.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Usciti dal locale, abbiamo deciso di andarci a bere un caffè, così ora ci ritroviamo seduti al tavolino di una caffetteria aperta ventiquattro ore su ventiquattro.
“Allora? Da quanto tempo sei tornato a New York?” chiedo curiosa a Rock, prima di bere un sorso dal mio cappuccino.
Negli anni dopo la mia fuga, rimasi in contatto con Denny via lettere e riuscii a sapere qualcosa di ciò che accadde dalla signora Castillo. Il rapporto tra Anthony e Jenna si fece sempre più intenso, mentre Rock si allontanò un po’ dai due, pur mantenendo il suo solito atteggiamento protettivo e amichevole con loro. Anthony conobbe delle persone più grandi e, stando a quanto si diceva alla scuola, iniziò a spacciare eroina, coinvolgendo anche la sua ormai ragazza Jenna. Un giorno lo beccarono mentre vendeva chili di roba a due minorenni e lo arrestarono. I poliziotti gli fecero la promessa che, se avesse fatto qualche nome, gli avrebbero abbreviato la condanna, e fu così che lui preferì tradire la sua ragazza e il suo migliore amico piuttosto che incastrare una banda di delinquenti. A Jenna trovarono qualche grammo mentre non riuscirono a trovare nessuna prova per incastrare Rock. Alla centrale riconobbero l’inganno di Anthony, e lo condannarono a 20 anni con possibilità di condizionale non prima di 15 anni. Jenna fu condannata a 8 anni e Rock fu scarcerato per mancanza di prove. Si trasferì in Canada qualche mese dopo per allontanarsi dalla merda in cui era finito. A quel punto né Denny né io ne sapemmo più nulla.
“La settimana scorsa. In Canada ho lavorato in una panineria per molto tempo e così mi sono detto: perché non tornare alle origini e provare a rifarsi una vita li? Così sono tornato per aprire un pub! Ho già trovato il locale e ora mi sto occupando della ristrutturazione.” Spiega “ e voi invece? Siete sempre rimasti qui?” guarda me, ma è Denny a rispondere.
“Si, dopo aver fatto diciott’anni e essere praticamente scappato dalla signora Castillo, ho lavorato come spazzino, giornalaio, facchino, uomo delle pulizie e infine ho trovato lavoro come commesso al negozio qui all’angolo!” e poi continua, guardando Lore “ è li che ho conosciuto Lorenzo, il mio ragazzo!”
Lorenzo ricambia con un sorriso e uno sguardo pieno di ammirazione e orgoglio per il coraggio di Denny di mostrarsi così apertamente. “ Stiamo insieme da quasi due anni!” dice Lorenzo.
“Sono davvero contento per voi!” dice Rock “ Allora ci avevo visto giusto dalla signora Castillo… avevi una cotta per Anthony o sbaglio?” ride allo sguardo stupito di Denny.
“E tu come diavolo fai a saperlo? Era così evidente?” dice arrossendo.
“No, Denny, per la maggior parte delle persone! Era evidente per me però, sai è merito del mio… Dono!” fa una smorfia mentre lo  dice. Si riferisce alla sua capacità di capire al volo ciò che provava la gente. Gli basta guardarla, studiarla un attimo e capisce il perché di ogni comportamento anche prima del soggetto in questione. Anni prima, quando eravamo piccoli, io avevo soprannominato questa capacità Il Dono, anche se Rock non ne era felice perché diceva che in questo modo gli conferivo una specie di potere magico e lui aveva sempre odiato la magia. Per me invece lui l’aveva eccome quel potere: mi faceva sorridere. Con gli anni si arrese alla mia insistenza e iniziò ad accettare il fatto che lui avesse il cosiddetto Dono. Iniziò persino a chiamarlo così lui stesso anche se ogni volta faceva una smorfia. Per questo sono stupita che l’abbia ripetuto, davanti a tutti poi!
 “ Comunque tranquillo, non ne ho mai fatto parola con nessuno, ne Anthony ha mai sospettato nulla.”
Un sospiro di sollievo esce dalle labbra di Denny: “Meno male, altrimenti sai che fenomeno da baraccone sarei diventato per tutti” parla seriamente ma è rilassato.
“E te Larhette? Non ti ho più vista, ne ho più saputo nulla da… quella notte!” le ultime due parole le dice sussurrando, quasi temendo di farsi sentire. Io fino a quel momento ero rimasta in silenzio a guardarlo cercando di percepire ogni singolo cambiamento avvenuto in lui. L’accenno della barba, più folta di quando aveva 17 anni, i capelli più corti, i muscoli più accentuati, un tatuaggio che fa capolino sul braccio dalla maglietta a maniche corte che indossa. Le stesse mani che così tante volte mi hanno sorretto, le stesse labbra che sognavo di baciare, la linea del mento indurita dal tempo, ma sempre morbida e mascolina, quegli occhi e.. una cicatrice? Quella piccola macchiolina chiara è nuova e si trova proprio sotto il suo occhio destro. Chissà come se l’è procurata!
Quella domanda mi riscuote. E ora cosa rispondo? Faccio un debole sorriso.
“Io… me la sono cavata. Mio zio era tornato e ho cominciato a lavorare al ristorante con lui! Non mi ha ancora cacciata, quindi non posso lamentarmi, anche se gli orari a volte sono pesanti.” Dico allargando il sorriso per allentare la tensione che si è creata. Rock ricambia ma resta pensieroso. Mi guarda negli occhi in modo profondo e poi mi chiede “Perché?”
Deglutisco e imploro con lo sguardo Denny di levarmi da quella situazione. Poi, facendo finta di niente “ Perché cosa?”  fingo di non capire, ma non riesco a sfuggirgli.
Lui con voce bassa e profonda, quasi insistente: “Perché sei scappata senza nemmeno salutarmi? Perché sei rimasta in contatto con Denny e non con me? Perché Larhette?”
Deglutisco ancora senza trovare il coraggio di guardarlo ne di rispondere. Davvero si è dimenticato tutto? Davvero si è dimenticato che lo amavo?  Forse non gli aveva dato poi così tanto peso. Forse non ero stata abbastanza chiara e lui non aveva capito quanto fosse importante per me. Ma in fondo lui non è quello che capisce la gente?
È Denny a tirarmi fuori da quella situazione imbarazzante. Si alza in piedi avendo cura di strusciare la sedia per fare il massimo rumore possibile. “Ragazzi si è fatto tardi! Larhette forse è ora di andare a casa a dormire. Ci vediamo ok?” nel frattempo anche Lore si è alzato e li seguo anche io.
“Va bene, mi piacerebbe rivedervi però. Pizza venerdì?” chiede Rock, tornato nuovamente pimpante.
“Perché no!” dice Denny “ A venerdì allora!
“Ciao Rock” lo saluto abbracciandolo velocemente, ancora frenata da una punta di imbarazzo in sospeso tra noi.
“Ciao Larhette!” 
 
 
Ehi! Ecco un nuovo capitolo! Un po’ corto direi, ma ho preferito finirlo qui per separare bene gli avvenimenti. Vi posso fare un piccolo spoiler: Larhette e Rock si rincontreranno più o meno casualmente, ma non saranno soli. Basta non vi dico nient’altro!
Fatemi sapere cosa ne pensate! Se Rock ha il cosiddetto Dono, perché sembra non capire più Larhette? E perché secondo voi in passato si è comportato così male con lei?
Aspetto vostri commenti positivi e negativi, un bacione. Cindy03

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Capitolo 4
*** 3 ***


Sono passati due giorni da quando ho incontrato Rock. La sera stessa sono stata a rigirarmi nel letto fino a mattina, pensando e ripensando a lui, al mio passato, alla serata appena trascorsa e a un infinità di viaggi mentali che avevo intrapreso. E anche questa notte, nonostante la stanchezza del lavoro di ieri e la consapevolezza che questa mattina avrei iniziato a lavorare presto in quanto giorno di pulizie al ristorante, avrò dormito si e no un paio d’ore.
Con un movimento brusco apro il getto dell’acqua e mi giro verso lo specchio aspettando che si appanni per il vapore. I capelli arruffati, due occhiaie scure che risaltano sul mio incarnato e che evidenziano a loro volta gli occhi gonfi di sonno. Non sono uno bello spettacolo, dovrò lavorare bene con il trucco! Se Rock mi dovesse vedere così… perché penso costantemente a lui? Da quando l’ho rivisto ho vissuto in una specie di convinzione che dovessi incontrarlo da un momento all’altro. Perché non riesco a fare finta di niente e a trattarlo come un normale amico? Non mi farei nessuno scrupolo a farmi vedere da Denny in queste condizioni. Basta!! Non posso continuare così! Me lo devo togliere dalla testa! Tanto venerdì lo rivedrò! Lui, i suoi occhi, le sue braccia possenti…
Entro nella doccia dopo essermi spogliata velocemente. Non ci devo pensare! Inizio a focalizzare l’attenzione sulle piccole cose: aprire lo shampoo, versarne un poco sulla mano, massaggiare i capelli…
Un’ora e mezza dopo sono già di fronte al ristorante.
“Ciao zio!” urlo entrando.
“Ciao tesoro, sei già arrivata?” mi saluta lui venendomi incontro dalla cucina. “C’è un bel po’ da fare e sono già le sette! Ti va di occuparti della sala da pranzo e del bar, piccola?” mi avvicino e gli scocco un bacio sulla guancia. “ Certo zio!”
Da quando sono fuggita dalla quella specie di orfanotrofio-scuola di ballo qui ho ritrovato una sorta di famiglia, una casa in cui sentire affetto.
Inizialmente ero arrabbiata con mio zio Romero, per avermi mandato in quel posto infernale e per essersi ricordato di me solo dopo anni. Poi ho capito che lui ha sempre fatto tutto il possibile per me. Dalla signora Castillo avevo assicurato un tetto sulla testa, un pasto caldo e sano e un’accoglienza, seppur fredda, almeno sicura, cosa poco probabile negli orfanotrofi. Inoltre se non mi aveva tirato fuori di li prima, era per motivi economici e per il fatto che nemmeno lui sapeva dove andare. Si era trasferito nel Bronx per curare gli affari del suo ristorante di Manhattan che gli avrebbe permesso di vivere decentemente, ma per farlo si era accontentato di dormire in una stanza di un lurido motel e di lasciare tutta la sua famiglia a L’Avana. Quando lo avvisarono della mia fuga, mi venne a cercare e mi trovò con un branco di barboni che tentavano continuamente di abusare di me davanti alla mia vecchia casa, unico posto che conoscevo al di fuori della scuola Castillo. Mi aveva presa con se in quel motel e mi aveva messo a lavorare come cameriera nel ristorante appena aperto.
Grazie alle sue conoscenze e alla qualità della cucina, dopo qualche mese potemmo permetterci di aprire un mutuo e comprarci un appartamento di fronte al ristorante. L’anno successivo conobbi anche zia Fernanda e i miei cuginetti, Maria e Salvadore, di 10 e 6 anni.
Finalmente avevo trovato l’affetto di una famiglia, ma con gli affari che andavano e per non approfittarne troppo, appena mi fu possibile comprai un appartamentino a dieci minuti di macchina da li, nonostante le proteste degli zii.
 
Guardo l’orologio mentre asciugo l’ultimo bicchiere. È mezzogiorno e fra mezz’ora inizierà ad arrivare la clientela. Giusto il tempo di apparecchiare i tavoli! Il rumore della porta che si apre mi costringe ad alzare lo sguardo.
“Hola chica!!” quell’uragano di mia cugina mi investe rischiando di farmi cadere sui bicchieri appena lavati. Maria aveva cominciato a lavorare al ristorante quasi subito, dapprima aiutandomi a prendere gli ordini e poi facendo lei stessa la cameriera. Oramai è diventata una bella ragazza e con la sua presenza attira molti ragazzi che vengono a mangiare solo per vederla. La sua è una vera e propria passione e inoltre abbiamo legato da subito.
Salvadore, invece ha sempre odiato stare al ristorante, se non per mangiare. E si fa vedere giusto quando la paghetta settimanale non basta, per racimolare qualche spiccio.
Scoppio a ridere. “Sei sempre la solita matta! Hola mamita!” saluto anche mia zia dietro di lei. “ Maria Sei arrivata giusto in tempo, bisogna apparecchiare!” le dico passandole le posate. E insieme cominciamo a muoverci tra i tavoli.
 
Il ristorante è strapieno e noi siamo indaffaratissime, correndo a destra e a sinistra per accontentare rapidamente tutti i clienti.
“Chica, servi te la coppia appena entrata? Io devo finire i signori laggiù!” mi chiede Maria, mentre si carica cinque o sei portate sulle braccia.
“Va bene!” rispondo e mi dirigo in sala asciugandomi le mani e cercando il blocchetto delle ordinazioni nel grembiule.
“ Benvenuti al Romero’s, desiderate ordinar….” Alzando gli occhi rimango scioccata. La prima cosa che vedo sono due bellissimi occhi color del cioccolato che mi squadrano divertiti. Un’occhiata al proprietario di quei gioielli mi da la conferma che la persona davanti a me è Rock. Mi rendo conto di avere ancora la bocca spalancata e cerco di riprendere un contegno in modo abbastanza veloce.
“Rock! Non mi aspettavo di vederti qui!” gli sorrido cercando di riprendermi anche se le guance mi stanno per andare a fuoco.
“Bhè, l’altra sera mi hai detto che lavori qui e… sorpresa!” caspita! Poi continua “Ti ricordi di lei Larhette?” mi chiede indicando la persona di fronte a lui, di cui io mi ero completamente dimenticata. Una ragazza con una maglia verde scollatissima, una minigonna fucsia e con capelli biondi palesemente tinti (perché una nera non può avere i capelli biondo platino) si sta limando le unghie laccate di rosso, sporcando di polvere dello stesso colore tutto il tovagliolo. Sbarro gli occhi “Jenna?!”
“Esatto ragazzina, allora sei ancora in grado di staccare gli occhi da Rock! Pensavo ti fosse presa una paralisi!” sputa velenosa puntandomi un dito contro e dondolando la testa a destra e sinistra. “Che c’è ti sei imbambolata di nuovo? Sei più stupida di quanto ricordassi!”
Sbatto le palpebre. Non mi aspettavo tanta insolenza. Eppure dovrei essere io quella arrabbiata! Lei sapeva benissimo i miei sentimenti per Rock eppure non ci aveva pensato due volte a fare ciò che aveva fatto!
“Scusa, ma pensavo fossi ancora a marcire in prigione!” rispondo a tono.
“Senti bella non so chi te l’abbia detto, ma se pensi di lanciarmi merda con questa storia ti sbagli di grosso. Sono andata dentro si, ma non di certo per volontà mia! Io non avevo mica uno zio a cui leccare il culo! In qualche modo dovevo pur campare, quindi chiudi quella fogna che ti ritrovi e portami qualcosa da mangiare!”
“Si volentieri, magari qualcosa di avvelenato…”
“Cosa vorresti fare ragazzina? Ammazzarmi solo perché ancora ti brucia che io sono riuscita a scoparmi il ragazzo che ti piaceva sotto il tuo bel nasino da santarellina, quando ancora tu eri una lattante puzzolente? Cosa racconti alla polizia dopo? Ti metti a sbattere i piedi come la bambina viziata che eri e che sei?” si alza in piedi, sovrastandomi grazie ai suoi venti centimetri di tacco e attirando gli sguardi di tutti i clienti del ristorante e di Maria che se ne sta immobile davanti alla porta della cucina.
“Ok, ok ragazze, diciamo che questa non è la reazione che mi ero aspettato!” si frappone fra noi Rock. Jenna sta per parlare, ma lui non le da modo di aprire bocca. “Jenna stai esagerando come al tuo solito. Ti ho portato qui per passare una giornata piacevole e non per litigare, quindi mettiti seduta e scegli cosa vuoi. Larhette scusami, ma ora ci puoi prendere le ordinazioni?”
Guardo Rock senza capire. Sta di nuovo prendendo le difese di Jenna, quando io nemmeno l’ho guardata che ha iniziato ad urlarmi contro. Non solo mi tocca rivedere la causa di tutti i miei problemi, devo anche essere umiliata davanti a tutti, davanti alla mia famiglia! E Rock che sta dalla sua parte, ignorandomi di nuovo. Deglutisco cercando di non guardarlo mentre si risiede. Al danno anche la beffa.
“c-cosa volete?” mi faccio coraggio ricacciando leqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqqq lacrime indietro. Non posso far altro che domandarmi il perché di tutto questo. Sento che sto per crollare! Dov’è finito il nostro affetto, la nostra complicità, l’amicizia di un tempo? Cos’ho fatto per meritare di essere ignorata e umiliata in questo modo?
“Non so cosa scegliere, portaci tu i piatti migliori!” mi dice Rock, passandomi i due menù senza nemmeno alzare lo sguardo. Annuisco e in fretta raggiungo il retro.
“Tutto apposto chica?” mi chiede Maria raggiungendomi.
“Si, si, non preoccuparti!” le dico poggiandomi al bancone e strofinandomi gli occhi.
“Chica è una stronzata!” mi dice severa con le mani sui fianchi. “Facciamo così: a quella mignotta e il suo pappone ci penso io, ma stasera vengo da te e mi racconti tutto!” annuisco sorridendo. La adoro la mia cuginetta! Prende qualche piatto e poi si gira verso di me “Ho detto TUTTO!”
Alzo gli occhi al cielo e respiro profondamente, prima di riprendere il lavoro.
 
Mentre porto i piatti ai vari tavoli, mi capita spesso di allungare l’occhio verso Rock e Jenna. Parlano e ridono come se nulla fosse successo, mentre Maria continua a lanciare occhiate inviperite verso di loro. Credo che davvero lei sarebbe capace di mettere qualche goccia di veleno nelle loro portate, per fortuna che non ha il tempo necessario per farlo! Un paio di volte però sono stata costretta ad andare al loro tavolo per servirli. Rock mi ha sorriso entrambe le volte, mentre Jenna si è comportata come se non esistessi. Meglio così.
Alla fine del pranzo Maria consegna a Rock uno scontrino e lui si alza per andare verso la cassa, mentre Jenna esce dal locale.
“Eccoti Larhette, quel ragazzo dice che vuole salutarti, prenditi pure qualche minuto, ci penso io qui!” mia zia arriva nel momento peggiore, ignara di tutto e immancabilmente mi tira una pacca sul sedere. Alzo gli occhi al cielo. Non se lo leverà mai questo vizio! Contro voglia raggiungo Rock alle spalle perché tanto so che oppormi sarebbe inutile.
“Devi dirmi qualcosa?” sputo acida alla massa di muscoli che ho davanti. Lui si gira sconcertato.
“Me ne sto andando e volevo solo salutarti.” Dice tranquillamente. “Scusami per prima, Jenna purtroppo è un po’… come dire…”
“Maleducata? Egoista? Stronza? Puttana?” ribatto inviperita. Lui perde un po’ della sua sicurezza iniziale. Forse sta pensando che non è stata una buona idea mandarmi a chiamare per salutarmi. Non è proprio stata una buona idea presentarsi qui con quella.
“Ok, ok, non la conosci Larhette! Lei è…”
“Smettila!” sussurro quasi con cattiveria. “Sono stufa di sentirti giustificarla! Non voglio parlare di lei ne vederla mai più! Chiaro?” parlando mi sono avvicinata troppo al suo petto, perché al suo viso non ci arrivo bene a causa della mia non-altezza. Posso sentire il suo profumo e il calore della sua pelle. Devo reprimere la voglia che ho di allungare la mano per passarla su quei muscoli scolpiti celati solo dalla canottiera bianca che indossa. Il collo è circondato da cinque o sei collanine , ognuna con una catenella e un ciondolo, ma..
“Ma questa è la mia collana!” esclamo allungando la mano per afferrare la catenella più fina. Un ciondolo a forma di scarpetta dorato e nero quasi si perde tra gli altri molto più grandi. Rock mi fissa incerto della mia reazione.
“Bhe, io… quando sei scappata… ti sono venuto a cercare, ma tu non c’eri… e allora l ho tenuta io!” non l’ho mai visto così tanto insicuro. Lui non è quel Rock, il mio Rock! C’è qualcosa che non va! Non mi guarda e si gratta la nuca in un gesto di nervosismo e disagio.
“Puoi tenerla!” dico allontanandomi e risultando più brusca di quanto avrei voluto. Lui mi guarda riconoscente.
“Comunque ti ricordi di venerdì? Ci sei per mangiare una pizza vero?” chiede con un gran sorriso.
Io fatico a rimanere seria e per questo mi lascio scappare una smorfia. “Ok, per una pizza posso anche sopportare la presenza della tua ragazza! Ma solo per una sera chiaro?” cerco di scherzare per alleggerire la tensione, ma la sua reazione mi spiazza ancora una volta.
“Ragazza!? Questa è bella! io e Jenna non siamo mai stati insieme Larhette!” esclama ridendo. Bene, sono solo andati a letto facendo un orgia a tre! O ci vanno ancora a letto insieme? Meglio non pensarci.
“Bhè comunque… hai capito lo stesso!” dico con una smorfia.
“Si, si… ci vediamo venerdì allora!” dice ancora ridendo, mentre esce dal locale. “Ciao piccola Larhette!” aggiunge facendomi l’occhiolino.
E per poco il mio cuore non scappa via dal petto.
 
 
Lo so, è stato un po’ strano questo pezzo. Che ne pensate della reazione di Jenna? E perché Rock si ostina a difenderla?
Mandatemi le vostre impressioni. Un bacio a tutti!

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Capitolo 5
*** 4 ***


Esco dal bagno avvolta in uno asciugamano e direttamente mi butto sul letto. Sono distrutta! Inevitabilmente ripenso alla giornata trascorsa, al ristorante, a Rock e Jenna che non si sono mai persi, all’umiliazione subita e ancora una volta mi chiedo il motivo di questo comportamento nei miei confronti e il perché non riesco a vedere Rock come un semplice amico. Lo ammetto: lui ha sempre avuto un posto importante nel mio cuore, ma questa cosa sta diventando impossibile! Non posso permettergli di trattarmi così, devo farmi rispettare!
Guardo il soffitto in cui la sveglia proietta l’ora con il suo laser rosso. Sono le 20.30 e tra poco arriveranno Denny, Lore e Maria che porterà anche la cena. Si, li ho chiamati tutti insieme per evitare di ripetere le cose quattro volte e per avere subito i vari pareri, come di solito facciamo. Mi costringo ad alzarmi dal letto e ad infilarmi il pigiama. Giusto in tempo che il campanello suona, seguito dalla voce spaccatimpani di Maria.
“CHICAAAAAA, APRIII, SIAMO ARRIVATI!”
“Maria, se suonate il campanello lo capisco da me che siete arrivati, non c’è bisogno di svegliare tutto il condominio!” le dico come se dovessi spiegarlo a un bambino, mentre apro la porta.
“Che ne sai che non è un maniaco? Così sei sicura!” mi dice saccente. Alzo gli occhi al cielo e la ignoro mentre entra. “Ciao Denny, ciao Lore” saluto gli altri due mentre mi sfilano davanti con le varie buste del ristorante cinese. Dopo aver richiuso la porta ci sediamo  sul divano e iniziamo ad aprire tutte le varie buste poggiando i contenitori di polistirolo sul tavolino.
“Allora, quale sarebbe il motivo per cui ci hai costretto a venire a questa serata per ragazze, privandomi di tanto buon sano sesso con il mio compagno, Larhette?” mi chiede con tono oltraggiato Denny, mentre poggia l’ultimo contenitore sul tavolino, guadagnandosi un’occhiataccia e uno schiaffetto da Lore.
“Prima di tutto non vi ha costretto nessuno, vi ho semplicemente informato che c’erano delle novità e che se avevate voglia potevate venire da me per parlarne. Non mi sarei mica offesa se non foste venuti, anzi sono anche piuttosto stanca quindi sarebbe stato tutto di guadagnato!” dico sembrando offesa.
“Tesoro dicendo che avevi novità ci hai praticamente costretto.. lo sai che adoriamo il gossip e che…”
“Basta Dè! Scusalo Larhette, per te lo sai che faremmo di tutto!” ci interrompe Lore con un sorriso rivolto a me e uno sguardo omicida verso il suo compagno. A volte Denny lascia trasparire un po’ troppo ciò che pensa e risulta quasi offensivo, ma lo conosco bene e non ci faccio più caso.
“ALLOOOOOOOORAAAAAAAA! Vogliamo andare al sodo per favore?” mia cugina attira l’attenzione verso di se, urlando come al solito.
“Si Maria, ma non strillare ti prego. Ogni volta che vieni mi devo subire i miei vicini, convinti che organizzo festini compromettenti!”
“AHAHAHAHAHAH” come non detto! “ QUELLI VOGLIONO ESSERE INVITATI!”
“Shhhh, allora dite tutto allo zio Denny per favore e parliamo seriamente!” dice Denny, con aria da uomo vissuto, quale non è. Sbruffiamo tutti per il suo modo di essere impossibile, ma poi Maria inizia a spiegare.
“Oggi al ristorante sono venuti un ragazzo e una ragazza. Lui nero, bello, muscoloso, alto…”
“Ok falla finita!” la riporto bruscamente alla realtà, mentre un moto di fastidio mi invade.
“Lei una mezza sciacquetta ossigenata e vestita da mignotta…” continua guardandomi male per aver interrotto il suo fantasticare. “ Comunque ho detto a Larhette di occuparsene perché ero molto impegnata, ma quando sono uscita dalla cucina per servire altri tavoli ho trovato quella troia che insultava mia cugina…“ spiega rivolta verso i ragazzi. Poi mi guarda dritta negli occhi, con uno sguardo così intenso che fatico a ricambiare. “Voglio sapere chi sono e che ti hanno detto Larhette, perché è chiaro che li conosci e anche bene!”
Mi ritrovo tre paia di occhi curiosi a fissarmi. Deglutisco. Mi mettono l’ansia quando fanno così! Alla fine però mi decido a parlare. “Lui è Rock, il mio compagno di infanzia  e il primo ragazzo di cui mi innamorai dalla signora Castillo. È anche il motivo per cui scappai, purtroppo” Denny e Lore già sanno tutto, ma con Maria non ne ho ancora mai parlato, quindi spiego velocemente. “non ricambiò mai i miei sentimenti, anche se tutti ne erano a conoscenza e  quella sera scappai perché lo vidi fare un’orgia con altri due miei amici. Il dolore fu tale che mi portò ad allontanarmi il più possibile da loro. Rimasi segretamente in contatto solo con Denny.”
“Oh, povera la mia chica! Perché non me ne avevi mai parlato?” mi chiede, seppur senza aspettarsi risposta, Maria. Alzo le spalle pensierosa e ricambio il suo abbraccio.
“E la ragazza chi sarebbe?” mi chiede Lore curioso.
“E’… Jenna.” Dico semplicemente. Quella che non mi aspetto è la reazione di Denny.
“JENNA??? Ma sei sicura? L’avevano arrestata per spaccio e consumo di droga insieme a Anthony!” chiede sbalordito spalancando gli occhi.
“Hai detto bene… avevano. A quanto pare è uscita!” dico atona.
“Jenna? Anthony? Ma chi sono sti due?” chiede Maria per poi aggiungere “No, aspettate… non saranno quelli della cosa con Rock?” sembra più un’affermazione che una domanda. Annuisco masticando il mio involtino primavera.
“E che ci facevano insieme? Sono fidanzati?” chiede Lorenzo.
“In realtà Rock lo ha negato!” dico con la bocca piena.
“Perché glielo hai chiesto?” è Denny questa volta.
“No… quando se ne stavano andando Rock ha chiesto di me e ci siamo ritrovati soli a parlare. Abbiamo mezzo discusso perché lui continuava a difendere quella pazza che ha iniziato ad insultarmi senza motivo quando sono andata a prendere le loro ordinazioni. Poi mi ha ricordato della pizza di venerdì sera e io scherzando gli ho detto che forse per una sera avrei potuto sopportare la sua ragazza e lui mi ha risposto che non è la sua fidanzata!” termino bevendo un gran sorso d’acqua. Poi, dando corda ad un  improvviso sfogo che nasce dentro di me: “Io non riesco proprio a capirlo: prima mi ignora e fa di tutto per ferirmi quando siamo solo due ragazzini, poi ci rincontriamo dopo anni ed è felice di rivedermi, forse anche offeso per averlo lasciato dalla Castillo senza avvertirlo. Poi difende quella vipera che mi insulta ed umilia sul posto di lavoro davanti a tutta la mia famiglia e i miei amici, ignorando completamente la mia persona e la mia dignità, poi mi regala sorrisi mozzafiato scusandosi per come sono andate le cose continuando tuttavia a difenderla, poi rinnova l’invito di venerdì e infine scopro anche che indossa da anni una mia collana che ho lasciato al collegio dalla fretta per la fuga… tutto questo è incomprensibile per me!” dico nascondendomi la testa tra le ginocchia.
“Secondo me è cotto!” dice come se niente fosse Maria.
“Scusa?” le chiedo liberandomi un occhio dalle mani.
“E’ cotto di te dai tempi del collegio ma per qualche assurdo motivo non vuole lasciarsi andare.” Ribadisce il concetto mia cugina.
“Certo! Ma come ho fatto a non pensarci prima!” dico ironica dandomi una paca sulla fronte. “ Tutti in fondo umiliano e trattano con indifferenza la persona che amano! Giusto? Tutti gli innamorati se ne fottono dei sentimenti dell’altro e fanno di tutto per ferirlo o sbaglio?” continuo ironicamente.
Maria sta per ribattere ma viene bloccata da Denny: “Larhette, c’è una cosa che non ti ho mai detto.” Mi volto verso di lui con aria di condanna e inquisitoria nello stesso momento. Voglio capire cosa mi ha nascosto e perché diavolo l’ha fatto! Mi fidavo di lui!
Lo vedo deglutire a disagio. Ora l’attenzione è tutta spostata su di lui, mentre Lorenzo gli prende la mano per infondergli coraggio a parlare.
“Quando sei scappata non sapevo dove fossi andata, se ti era successo qualcosa, se eri sana e salva. Così la mattina dopo, andai dalla signora Castillo per denunciare la tua fuga. Lei mi disse che non avevamo tempo per cercarti e che in ogni caso non  meritavi più di stare li dentro perché avevi disprezzato quel luogo e i suoi servigi, ma avrebbe comunque avvertito tuo zio.  Era quello che volevo: tu saresti scappata, ma tuo zio ti avrebbe salvato lasciando me tranquillo e con la coscienza pulita. E così fu, per fortuna. Rock però non sapeva niente ne della fuga, ne di quella notte e quando non ti vide al lavoro andò nel panico e corse dalla Castillo per convincerla a cercarti. Lei fu irremovibile e lo punì per il troppo chiasso con del lavoro extra. Saltò sia il pranzo che la cena e nonostante tutto finì per le 3 di notte. Io stavo rientrando dal giardino dove ero sgattaiolato per pensare e lo vidi entrare nella tua stanza. Aspettai qualche minuto e poi entrai che io. Non ci crederai ma lui era seduto sul tuo letto e… piangeva!” a quelle parole sgrano gli occhi scioccata.
“Non ho mai visto Rock piangere!” esclamo ancora incredula “nemmeno quando da piccolo veniva punito con le bastonate o le frustate. Si mordeva le labbra, a volte facendole sanguinare, serrava gli occhi talmente forte… ma non ha mai pianto!” non saprei definire come mi sento. Lui ha pianto forse per la prima volta in vita sua per me! Wow.
Denny annuisce prima di riprendere, stringendo di più la mano di Lore, che questa volta gli passa un braccio dietro la schiena. “Piangeva per te Larhette! Mi disse che si sentiva terribilmente in colpa per quanto era successo, che non si sarebbe mai perdonato di perderti e che eri l’unica ragione che lo teneva ancora in vita in quell’inferno.” Non mi ha mai detto nulla del genere. Non so che dire, non so che pensare. Sono consapevole di essere stata importante per lui, ma non avrei mai immaginato fino a quel punto! Forse davvero ricambiava i miei sentimenti! Ma poi… i fatti reali dimostrano ben altro!
“Voleva venire a cercarti ma gli feci cambiare idea spiegandogli che tuo zio ti avrebbe trovato e avrebbe fatto avere tue notizie all’orfanotrofio. Gli spiegai effettivamente il motivo della tua fuga, i tuoi sentimenti e gli dissi anche che io e te quella notte avevamo fatto sesso.” Silenzio assoluto.
“NON POSO CREDERCI DENNY! MI FIDAVO DI TE!” urlo squarciando la quiete. Oramai ero a mio agio con quell’argomento, ma non ce n’era gran motivo di parlarne, ne volevo che lo sapesse Rock. Denny si alza e mi stringe a se per poi dire “Scusa Larhette, non avrei mai dovuto tradire la tua fiducia, ma devi credermi… era  distrutto! Arrivò perfino a singhiozzare e mi giurò che se qualcosa fosse andato storto avrebbe fatto di tutto per ritrovarti.”
“Avete fatto sesso?” chiede Maria. Annuisco facendo un gesto con la mano per farle capire che non era il momento di parlarne.
“Tu lo sapevi?” mi rivolgo a Lore per cercare di interpretare la sua espressione e capire se ce l’ ha con me. Lui annuisce tranquillo e mi fa l’occhiolino rassicurandomi. Mi rilasso, ma poi guardo Denny al mio fianco e, senza tuttavia scansarlo, gli dico freddamente di continuare.
Lui non perde tempo: “Comunque… gli dissi sia che ti avevano trovato e che stavi bene, sia quando hai cominciato a scrivermi senza però rivelare nulla del contenuto delle tue lettere. Lui accettò il compromesso di non cercarti, ma in cambio voleva sapere tutto il possibile su di te. Gli dicevo solo che stavi bene e che non volevi parlarmi ne sentirmi parlare di lui, gli dissi che avevi trovato lavoro con tuo zio, ma non dove e che in fondo te la cavavi. Lui si accontentava e andavamo avanti. Mi sembrava un giusto compromesso per non tradire ne te ne lui. Potrai perdonarmi un giorno?” mi chiede con un’espressione da cucciolo bastonato. Non ce l’ho con lui perché in fondo gli avevo chiesto io di non parlarmi di Rock. Lui ha fatto il suo dovere di amico con entrambi. Voglio però tenerlo un po’ sulle spine così fingo indifferenza e gli faccio un'altra domanda. “ E la collana?”
“Quella l’ha presa dalla tua camera prima che venisse tuo zio a riprendere le tue cose” dice tristemente capendo la mia deviazione.
“Quindi mi stai dicendo che sei d’accordo con Maria sul fatto che lui è cotto di me giusto?” gli chiedo questa volta guardandolo negli occhi. Lui mi sorride di sbieco per farmi capire che la risposta è affermativa. Io continuo furbescamente.
“Quindi mia cugina, il mio migliore amico e immagino anche tu Lore, siete tutti convinti di questa cosa! Tre contro uno!” dico indispettita.
“Aspetta… stai dicendo che non sei arrabbiata con me?” Denny è speranzoso. Muovo impercettibilmente su e giù la testa in un cenno affermativo, mente un sorriso mi spunta sulle labbra. “AAAAAAAH, GRAZIE; GRAZIE; GRAZIE; NON LO FARO’ MAI PIU’ LO GIUROOOOO!!!!” mi abbraccia e bacia ovunque quello scemo del mio amico, mentre gli altri ridono.
“Comunque, io non sono ancora molto convinta. I fatti mi dicono altro!” riporto la serietà. “Cosa dovrei fare?” a questa domanda non mi sfugge uno sguardo malizioso tra Maria e Denny. Cosa stanno tramando?
“Niente, devi aspettare venerdì!” dice Lorenzo con semplicità ritrovando di colpo la parola.
“Ora che ne dite di guardare un bel film?” propone Maria e tutti accettiamo volentieri per rilassare un po’ l’atmosfera. Io personalmente credo che mi addormenterò quasi subito. Sono sfinita e ho un gran mal di testa!
 
 
È tempo di confessioni! Cominciano a delinearsi i primi anni in cui i due ragazzi sono stati lontani. Povero Rock, ha dovuto tirare fuori la sua parte più tenera e i sensi di colpa lo avranno tormentato!
Cosa ne pensate? Commentate!

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Capitolo 6
*** 5 ***


Finisco di appuntare l’ultima forcina sul lato destro della testa, per essere sicura che i miei capelli non facciano come gli pare e restino bene incollati alla nuca. Ho deciso di definire meglio i miei boccoli naturali da un lato e tirare indietro il resto dei capelli dall’altra parte.
Il suono di un clacson mi ricorda che sto facendo tardi e che di sotto un tassista mi sta a spettando già da un po’. Probabilmente avrà già fatto partire il tassametro.
Mi infilo le scarpe, prendo la borsetta e mi precipito per le scale, chiudendomi la porta alle spalle.
“Buonasera, mi scusi per l’attesa. Mi porti da “Italy” per favore!” dico entrando nell’auto. L’uomo al volante fa un grugnito e avvia la macchina iniziando a scorrere dolcemente sulla strada. Il ristorante Italy è uno dei migliori locali italiani di Manhattan. Raffinato e alla moda, non proprio per una semplice pizza, ma nemmeno troppo elegante.
Mi giro verso il finestrino con l’intenzione di distrarmi un po’ ed allentare la tensione, ma mi ritrovo a fissare il mio riflesso senza vedere nulla di ciò che accade fuori.
È già venerdì, e finalmente sto andando al fatidico appuntamento con Rock. Ma che dico appuntamento! È una cena a base di pizza per ritrovarci tutti insieme! E poi ci sarà anche Jenna! Già, devo prepararmi mentalmente se voglio scampare alle sue battutacce.
Devo essere sincera con me stessa. L’agitazione che ho nasconde due sentimenti molto diversi: l’ansia di rivederlo e la paura di non piacergli.
Si, ho paura. Sentire tutti quei complimenti su di me oggi da parte degli altri, ha fatto accrescere la mia autostima e mi ha donato abbastanza sicurezza, ma adesso è come se dovessi affrontare un esame, l’esame finale! E se a Rock non piacesse il mio vestito? E se non dovessi piacergli io? La verità è una sola: non gli sono mai piaciuta e mai gli piacerò. Devo mettermi in testa che tra noi non potrà mai esserci niente!
Mi controllo che il rossetto non sia sbavato e cerco di indirizzare i pensieri da un'altra parte. Inevitabilmente ripenso alla giornata di oggi.
 
Verso le due del pomeriggio Maria fece riconoscere il suo arrivo strillando come una matta sul pianerottolo di casa mia, beccandosi anche qualche rimprovero dalla vicina. Era venuta da me senza che la chiamassi per accertarsi che mi vestissi decentemente per questa sera. Così dovetti provare tutti gli abiti del mio guardaroba, per poi sentirmi dire frasi del tipo:
“ Troppo lungo!”, “Troppo corto!”,  “ sei forse una suora?”, “Ma quanti anni ha questa maglia?” ecc, ecc.
Dopo l’ennesima mini sfilata davanti a lei mi buttai sul letto esausta. Non ne potevo più. Inoltre aveva appena chiamato Lore facendomi sapere che lui e Denny sarebbero stati impegnati al negozio e che probabilmente avrebbero fatto tardi. Così ho dovuto chiamare un taxi, visto che la pizzeria scelta da Rock dista una quarantina di minuti da casa mia e che non mi piace per nulla guidare di notte da sola.
“Cosa stai facendo , chica?” mi chiese mia cugina vedendo che non avevo nessuna intenzione di alzarmi.
“Sono stufa! Non ti sta bene niente. Non ho un negozio di vestiti nell’armadio, non troverò mai ciò che ti piace!” gesticolai alzando un po’ la voce per sottolineare la mia frustrazione. “Inoltre devo ancora depilarmi!”
“Mmm…” Maria mi guardò in modo critico. “ Hai ancora quelle scarpe laccate nere con il tacco rosso che ti ho regalato due anni fa per il tuo compleanno?” mi chiese pensierosa. Mi alzai dal divano e senza dire niente tirai fuori una scatola dallo sgabuzzino, dove tengo tutte le mie scarpe per le occasioni. “Dicevi queste fantastiche tacco 12?” Nulla da fare… Adoro le scarpe!
“ECCOLEEEEE, mio amor! Mi è venuta un idea, stasera le indosserai!” mi disse illuminandosi.
“Ma.. non ho il vestito adatto!” cercai di farla tornare alla realtà.
“Zitta! Mettiti qualcosa che usciamo!” e, detto questo, si diresse verso la porta con la scatola sotto braccio.
Dopo nemmeno dieci minuti di cammino ci ritrovammo davanti alla vetrina della mia estetista. Appena entrate un profumo di oli e candele ci invase il naso.
“Bentornate fanciulle!” ci accolse Margaret, abbracciandoci e scoccandoci un bacio ciascuna. “In cosa posso esservi utile?”
“Restauro completo per mia cugina Larhette! Ha un appuntamento con il ragazzo dei suoi sogni!” rispose euforica Maria.
“Ma che dici! Non è un appuntamento, è una rimpatriata tra amici e il fatto che ci sia anche la mia ex cotta adolescenziale non vuol dire nulla!” esclamai oltraggiata. Ma Maria non volle sentire ragioni e, ignorandomi completamente, tornò a rivolgersi a Margaret. “Non starla a sentire! Devi fare miracoli!”
Due ore dopo avevo il corpo perfettamente depilato, una manicure e una pedicure invidiabili e un trucco da urlo. “Manca solo il vestito!” esclamò Maria, trascinandomi verso il negozio di Lore e Denny.
“Ti serve un vestito vero?” mi chiese Lore senza nemmeno salutarmi, appena varcata la soglia. Annuii, ma non feci in tempo a rispondere che Maria si intromise, lanciando praticamente le mie scarpe sul bancone: “Abbinato a queste Lore!”
“Voglio anche qualche accessorio, ragazzi!” dissi stupendo tutti e tre che si voltarono verso di me sgranando gli occhi. Alzai le spalle. “Devo indossarlo io o no questo vestito? Non mi avete chiesto nemmeno un parere, sappiate che se non mi piace non lo compro!”
A Denny spuntò un sorriso a trentadue denti e mi fece l’occhiolino: “Fidati, tesoro. Eccome se ti piacerà!”
Lo seguii verso i camerini e attesi finché non lo vidi arrivare con un abito sul braccio. Lo indossai e mi piazzai davanti allo specchio. L’abito era rosso con piccoli pois neri, senza spalline e con una scollatura a cuore che evidenziava il decolleté. Era più stretto in vita, da cui partiva una gonna sfasata fino a metà coscia. Denny si mise dietro di me e mi legò una cintina nera in vita, oltre a una collana dorata con un ciondolo rosso che rappresentava una ballerina sulle punte. Era meravigliosa e il tutto si intonava perfettamente alle mie scarpe.
“Bhè, credo che sia perfetto: non è troppo elegante, ne troppo sportivo, adatto per una pizza. Evidenzia le parti giuste del tuo corpo come il seno e risalta la tua carnagione. Sei bellissima Larhette!” spiegò Denny estasiato dalla mia immagine. Era vero, mi stava d’incanto. Annuii soddisfatta e corsi alla cassa, aggiungendo un paio di orecchini e un bracciale abbinato.
 
Ora che ci penso però, il comportamento dei miei amici non è stato molto… casuale. Aspetta, se non sbaglio anche quella sera a casa mia si sono guardati in modo strano. Non è che stanno tramando qualcosa? Oddio adesso si che ho paura! E se mi facessero fare una brutta figura con Rock rivelandogli i miei sentimenti? Oddio ma quali sentimenti? È ufficiale sto impazzendo!
Mi porto le mani davanti agli occhi e li strofino leggermente. Devo svuotarmi la testa da queste inutili paranoie: sono ad una cena con tutti i miei amici e non (Jenna), vecchi e nuovi e non me ne importa nulla di non piacere a Rock perché in fondo lui è il passato e io con il passato ci ho chiuso definitivamente.
“Signorina, sono 150 dollari!” mi dice il tassista. Non mi ero nemmeno accorta di essere arrivata a destinazione.
“Si certo, un attimo” dico frugando nella borsa per trovare il portafogli. Come immaginavo, ha aumentato il prezzo della corsa. Gli allungo le banconote e apro lo sportello. “Tenga il resto, arrivederci!” e lo osservo mentre si allontana dal marciapiede. Ok, forza e coraggio, un bel respiro…
Mi volto verso l’ingresso del locale. È un edificio a un solo piano, tutto bianco all’esterno, ma con grandi vetrine che permettono ampi scorci dell’interno, in cui calde pareti arancioni accolgono i clienti in una tipica e amichevole atmosfera italiana.
Dopo essermi guardata attorno per assicurarmi che Rock non stesse aspettando fuori, decido di entrare. Un profumo di pizza e di pasta mi invade le narici facendomi venire l’acquolina in bocca. Subito un cameriere mi chiede il nome della prenotazione e mi indica il tavolo in cui sedermi. Ci sono quattro posti apparecchiati, ma solamente uno è occupato dalla figura imponente di Rock. È girato di schiena e posso fermarmi un attimo di più ad ammirarlo.
Una giacca giace ordinata sullo schienale della sedia e nasconde in parte quel fisico muscoloso evidenziato ancor di più dalla camicia bianca aderente. La testa poggiata su un braccio è leggermente piegata permettendomi di scorgere la morbida linea del collo, su cui vorrei così tanto passare le labbra, assaporandola dolcemente. La mano impegnata in un giochino nervoso con la forchetta.
Mi sono avvicinata e ora che sono dietro di lui noto che la camicia è anche leggermente trasparente e lascia scorgere i solchi dei muscoli di quel corpo perfetto. Può una schiena essere così tanto sexy? Non resisto alla tentazione e allungo una mano fino a sfiorargli la scapola. Rock sussulta e si volta di scatto stranito, facendomi ritirare la mano velocemente.
“Scusami, non volevo spaventarti. È che… avevi qualcosa sulla camicia!” butto li per trovare una giustificazione a quel gesto spontaneo.
“Larhette, scusami tu! Solo non mi aspettavo fossi te.” Mi risponde alzandosi ed avvicinandosi rapidamente. Trattengo il respiro mentre scocca due baci sulle mie guance. Che cosa mi sta prendendo? Perché il mio cuore sembra impazzito? Sorrido.
“Vieni siediti, gli altri non sono ancora arrivati! Sei veramente stupenda stasera.” mi accompagna verso la sedia di fronte a lui posando una mano sulla mia schiena. Un calore si irradia dal punto in cui la sua mano mi tocca. Arrossisco, ma abbasso lo sguardo per nasconderlo.
“Denny e Lore lavoravano fino a tardi, ma dovrebbero essere qui a momenti” spiego “ invece Jenna? Non dovrebbe essere con te?”
“No, lei non può uscire di casa dopo le 6 del pomeriggio. È sotto libertà vigilata!”
“Ah, capisco.” Un velo di imbarazzo cala tra noi, subito interrotto dalla suoneria del mio cellulare.
“Scusami Rock, è Denny.” Dico leggendo il mittente sul telefonino e aggrottando la fronte. Che cosa vuole? “Pronto?”
“Ciao Larhette, scusa per il ritardo, ma io e Lore siamo dovuti restare al negozio per l’inventario e non ci è possibile raggiungervi!” una smorfia mi attraversa il volto. Ecco cosa avevano architettato tutti, luridi traditori! “Ah si! Guarda un po’! chissà perché non sono per niente stupita di questo risvolto!” dico ironica. Sento Denny ridere dall’altra parte del telefono.
“Dai Larhette non te la prendere! Avete bisogno di un aiutino voi due! Ci vediamo a casa ok?”
“Io non credo di aver bisogno di niente. Comunque si… ci vediamo a casa!” affermo minacciosa prima di attaccare. Alzo lo sguardo verso Rock e lo vedo sorridere, molto probabilmente a causa delle mie espressioni.
“Successo qualcosa?” mi chiede curioso.
“Denny e Lore non possono venire a causa di un… imprevisto al negozio, diciamo”
“Bhe, vorrà dire che saremo io e te, come ai vecchi tempi!” poi rivolgendosi alla cameriera “Mi scusi, per un imprevisto gli altri non potranno venire, possiamo avere due menù?”
“Certo, signore li porto subito!” dice lei ammiccando. Un moto di gelosia mi pervade. Ok, devo darmi una calmata! Qualche minuto dopo torna con due libricini, che iniziamo subito a sfogliare.
“Allora Larhette, come va al ristorante di tuo zio?” mi chiede Rock con un sorriso mozzafiato che non riesco ad evitare di ricambiare.
“Molto bene, anche se il mio cuginetto Salvadore comincia ad essere grandicello e a fare qualche guaio, portando a mangiare gratis praticamente tutti i suoi amichetti. E poi tocca a me sgridarlo, così prima o poi mi odierà!” dico melodrammatica.
“Ahah, non l’ho mai visto, ma a quanto dici deve essere un bel tipetto. Mi piacerebbe conoscerlo, quanti anni ha?” mi chiede curioso.
“Dodici.” Dico fiera come se fosse mio figlio. Gli voglio un gran bene. “ Invece te? Come procedono i lavori alla panineria?”
“C’è ancora tanto da fare, ma sono a buon punto. Grazie ai vari lavori che ho avuto in Canada, so arrangiarmi da solo in molte cose e così cerco di risparmiare un po’. Dovrei trovarmi un lavoretto temporaneo nel frattempo.”
“Sai, a mio zio serve urgentemente un cameriere, se vuoi posso parlargli di te, nel frattempo che trova qualcun altro?”
Rock si illumina: “Ma davvero? Sarebbe fantastico!”
Sorrido condividendo la sua felicità. “Perfetto allora!” I nostri occhi si incastrano tra loro per un attimo interminabile, entrambi lucidi per il momento di gioia che si era creato. Non una parola, non un gesto, ma un solo sguardo pieno di elettricità, di significati, di nostalgia, rotto dalla voce acuta della cameriera.
“Avete fatto? Volete ordinare?”

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Capitolo 7
*** 6 ***


La cena è andata a meraviglia. Abbiamo passato il tempo parlando del più e del meno, ricordando vecchi aneddoti e ridendo come matti. Alla fine ha voluto pagare lui per tutti e due, nonostante le mie proteste insistenti.
Ora ci troviamo sul marciapiede e passeggiamo l’uno accanto all’altra, in silenzio. L’aria non è delle migliori e sembra che stia per venire a piovere. Rock ha le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, mentre io le tengo conserte per assicurarmi un tiepido calore. Lo sento sospirare un paio di volte, prima di interrompere il silenzio.
“Larhette, c’è una cosa che voglio chiederti da un po’, ma non vorrei essere invadente quindi sei libera di sviare la mia domanda” fa una pausa, fermando anche il passo e costringendomi a voltarmi. Taccio, invitandolo a proseguire.
 “Cos’è successo dopo la tua fuga? Tu sei rimasta a contatto con Denny e ti ha detto tutto di me, ma io di te non ne ho mai saputo nulla” Sembra abbastanza a disagio e non mi guarda nemmeno in faccia.
Sospiro rassegnata. Era inevitabile non andare sul discorso. Tanto vale essere subito sincera.
“Sono corsa davanti alla mia vecchia casa, dove tutto è iniziato.” Riprendo a passeggiare, seguita da lui che ascolta attentamente. “In quei momenti ero spaventata e indifesa e una massa di senzatetto ubriachi cercava in tutti i modi di avvicinarmi. Sai, quella casa ora è abbandonata. Entrai, ma non  riconobbi nessun arredamento. Girai ovunque, era ridotta un disastro. Qualcuno sicuramente era entrato prima di me e aveva saccheggiato l’appartamento. Proprio quando stavo per andarmene vidi una sedia a dondolo buttata in un angolo, di quelle con la seduta e lo schienale imbottiti. Era molto simile alla sedia su cui sedeva sempre mio padre, così pensai che fosse la stessa, solo un po’ rimodernata. Mi venne in mente mia madre che mi diceva di averci nascosto delle cose li dentro. Un piccolo ricordo dei bei tempi, quando eravamo felici tutti e tre insieme. Corsi in cucina e presi un coltello, poi tagliai lo schienale in più punti, finché non notai una piccola busta di carta, proprio all’altezza del cuore di chi ci si sarebbe seduto. La tirai fuori e vi trovai queste” presi la borsa ed estrassi dal portafoglio due foto ingiallite. Una ritraeva mia madre e mio padre molto piccoli, forse adolescenti, che si scambiavano un bacio sulla riva del mare. Nell’altra c’era invece un uomo, mio padre, seduto su una sedia a dondolo con la seduta e lo schienale imbottito, con in braccio me, un piccolo fagottino che rideva e a cui lui dava un bacino sulla minuscola guanciotta. Accanto mia madre ci guardava come se fossimo la cosa più importante che avesse. “Le porto sempre con me!”
Rock prende delicatamente quelle foto e le rigira tra le mani. “Tua madre era bellissima, ti somiglia tantissimo” mi dice guardandomi di colpo più intensamente. Abbasso lo sguardo incapace di reggere il suo. Non so nemmeno perché me ne sia uscita con questa cosa. In fondo non è ciò che mi ha chiesto.
“Non vergognarti di me Larhette. So che sei una persona straordinaria e molto forte. Tua madre da queste foto sembra straordinaria quanto te!” mi dice alzandomi la testa con un dito.
Una piccola lacrima solca la mia guancia, ma non ha il tempo di scendere troppo giù perché fermata dal dito caldo e morbido di Rock. È solo un attimo ma mi basta per farmi rabbrividire dal desiderio di baciarlo.
“Aspetta”  mi dice di colpo allontanandosi da me e restituendomi le foto. Poi si toglie la giacca e me la posa delicatamente sulle spalle. “Ecco, così va meglio” conclude passandomi un braccio dietro la schiena e attirandomi a se. Ha palesemente frainteso il mio brivido. Menomale!
Annuisco e lo ringrazio godendomi appieno la sua fragranza che mi circonda e si impossessa del mio corpo con forza, fino a farmi quasi girare la testa. Riprendiamo a camminare tranquilli e mi prendo qualche attimo prima di continuare. “Mi ritrovò mio zio qualche giorno dopo, affamata e sporca, che cercavo in tutti i modi di sfuggire a quei barboni, sempre più insistenti. Mi portò con se nel lurido motel in cui dormiva e mi diede dei vestiti puliti e una minestra calda. Era per questo che non mi aveva ancora presa con se. Non aveva nemmeno lui un posto dove andare ne i soldi per farmi mangiare, visto che il ristorante non era ancora aperto. Mi rimisi presto e iniziai a ballare nei locali per tirare su qualche soldino, finché i lavori non si conclusero e potemmo finalmente trasferirci qui a Manhattan. Successivamente ci raggiunsero anche mia zia e i miei cugini.” Sorrisi contenta di aver concluso. “Ed ora eccomi qui: con una casa tutta mia, un lavoro e anche del tempo libero per divertirmi!” Allargo le mani sospirando. Sono abbastanza soddisfatta della mia vita!
“Bhe, non avevo dubbi che ce l’avresti fatta!” mi dice sicuro di se con un sorriso e stringendomi un po’ di più. Poi mi chiede euforico “Vuoi vedere una cosa?”
Annuisco, pur essendo perplessa. Non so davvero cosa aspettarmi.
Rock tira fuori un mazzo di chiavi e apre la porta di un palazzo, entrando in un corridoio con una rampa di scale. Lo seguo curiosa e insieme iniziamo a salire. Leggo l’euforia e la gioia nei suoi occhi che non posso far altro che ricambiare, perché lui è così: riesce a farmi sentire bene ovunque e in qualunque momento, anche il peggiore.
Dopo 4 piani arriviamo ad un'altra entrata, questa volta leggermente più grande della precedente. Infila le chiavi nella serratura e da un paio di mandate, poi viene dietro di me per posizionarmi le mani sugli occhi e impedirmi di guardare. Siamo vicinissimi. Posso poggiare la schiena al suo petto e la solita scarica elettrica mi attraversa, risvegliando emozioni che credevo sopite da tempo. Sento il suo respiro sul collo e brividi di piacere mi pervadono. Sto per andare in estasi solo per un suo tocco. Come sono messa male!
“Sei pronta piccola Larhette?” mi sussurra ad un orecchio. Annuisco, per poi fare qualche passo avanti e varcare la porta. Non vedo nulla ma sento le mani e il corpo di Rock allontanarsi e un senso di vuoto incombere su di me. Sono nel buio più totale e non so dove mi trovo.
“Rock? Dove sei?” chiedo quasi spaventata. Una luce improvvisa mi costringe a ripararmi gli occhi con una mano.
“Tadan! Ti piace?” mi chiede lui speranzoso. Mi guardo attentamente intorno. Mi trovo in un ampio salone spoglio, con le pareti macchiate qua e la da qualche pennellata di vernice di diverse tonalità di grigio. Sul pavimento un parquet nuovo di zecca contrasta con la polvere e i tavolini incartati e impilati sul fondo. Una sorta di cucina da finire si trova ad angolo sulla destra del locale, contornata da un bancone bordeaux brillantinato in stile contemporaneo. Il pezzo forte però è la parete che dà sulla strada: quattro ampie vetrate si aprono su un piccolo balconcino da cui è possibile osservare uno sprazzo di città illuminato dalla luna.
“Wooow, è il tuo locale?  Fantastico!” esclamo estasiata senza smettere di guardarmi attorno. Rock si gratta la nuca imbarazzato.
“Bhè ovviamente devo ridipingere le pareti. Lì ho fatto qualche prova per vedere che colore sta meglio. Poi devo finire di montare la cucina, i tavoli e le sedie e… non ci ho ancora portato nessuno qui e.. ho pensato di portarci te per vedere se, bhe… se ti piace insomma!” quasi balbetta a disagio. Ha forse paura del mio giudizio? Ma allora mi ritiene importante! Senza pensarci due volte corro verso di lui e gli salto al collo scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. “E’ bellissimo credimi! Sono felicissima di essere stata qui per prima!” esclamo con un sorrisone, senza rendermi conto che anche lui mi ha abbracciato attirandomi ancora più vicino. Adesso siamo davvero vicinissimi, a un solo centimetro di distanza. I nostri nasi si sfiorano, i nostri occhi si cercano, le labbra fremono per il desiderio. Si avvicina ancora di più, piegando leggermente la testa e alternando lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra. Le nostre bocche si sfiorano, procurandomi ondate di eccitazione che si bloccano tutte nel basso ventre. Potrei morire in questo momento. Senza allontanarsi, Rock devia la direzione della sua bocca, posandomi un bacio appena sotto al mento in grado di farmi fremere. Poi scende sempre di più, disegnando una linea umida sul collo fino all’orecchio. Il contatto con le sue morbide labbra è estasiante, così dolce e delicato, ma nello stesso tempo sicuro e determinato. Mi stringe ancora di più con le sue mani sulla mia schiena, costringendomi ad aggrapparmi al suo collo.
Troppo presto però, troppo in fretta, si allontana e mi sussurra:
“Mi sei mancata. Da morire!” Poi si stacca bruscamente, di nuovo a disagio, passandosi le mani sul viso. Cerco di riprendermi il più in fretta possibile per non fargli capire quanto in realtà quel contatto mi abbia destabilizzata e, ancor di più, il suo distacco fisico ed emotivo subito dopo.
Mi volto un ultima volta verso il locale, per poi dargli le spalle e dirigermi verso la porta.
“Complimenti! Proprio un bel posto!” dico, mantenendo le distanze e sperando che quel nodo in gola non si senta. “Forse è ora che torni a casa, vado a chiamare un taxi.”
“Non ci pensare nemmeno!” lo guardo stranita, ma noto che mi da ancora le spalle. “Ti accompagno io!”
“Non disturbarti, non è necessario.” Fredda, apatica.
“Non era una domanda… ti accompagno io!” mi dice autoritario, mentre spegne la luce e si tira la porta alle spalle.

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Capitolo 8
*** 7 ***


Durante il viaggio in macchina è stato abbastanza silenzioso, anche se ogni tanto sentivo il suo sguardo posarsi su di me. Del resto devo ammettere che mi sono concessa qualche momento anche io per osservarlo. La sua imponente presenza mi ha fatto dimenticare i motivi della precedente delusione.
Ora ci troviamo sotto casa mia e ha anche iniziato a piovere abbondantemente.
Guardo l’orologio. Sono le due di notte. Non mi ero accorta che fosse così tardi!
“Arrivati!” dico con ovvietà, senza avere il coraggio di scendere. Ciò significherebbe allontanarmi da lui, e non ne ho nessuna voglia. Lo osservo annuire, mentre uno sbadiglio si impossessa della sua bocca.
È stanco, e dovrebbe farsi un'altra mezz’ora di macchina per tornare a casa. Dovrei invitarlo a salire?
“Mi ha fatto sinceramente piacere passare questa serata con te!” mi dice guardandomi intensamente negli occhi.
Annuisco. “Anche a me, molto!” ed è la verità. “E’ tardi Rock. Puoi fermarti a dormire da me questa notte!” Oddio! Davvero l’ho detto? Il cuore comincia a galoppare nel petto. E se non volesse restare? E se fraintendesse? Rock poggia la testa sul sedile e chiude gli occhi.
“Ti ringrazio davvero Larhette. Mi faresti un grande favore. Sono stanchissimo! Ma solo se mi permetti di sdebitarmi e domani vieni con me in un posto!”
Ha accettato!!!! Farò tutto quello che vuole lui, promesso! Un grande sorriso mi spunta sulle labbra.
“Affare fatto! Saliamo!” Mi sorride felice anche lui e insieme usciamo dalla macchina per correre sotto la pioggia, fino al portone del palazzo.
Arriviamo con il fiatone ed entrambi zuppi. Iniziamo a salire le scale per due piani in un silenzio di tomba, in cui si percepiscono solo i nostri passi e il battito irregolare del mio cuore.
“Certo che stai bene qui, vero? È molto carino!” Mi dice guardandosi intorno nel mio appartamento. Alzo le spalle fiera del risultato ottenuto con così tanti sacrifici.
“ In realtà il mio sogno sarebbe quello di andare a vivere in una di quelle villette in periferia, ma per adesso questo è il massimo che posso permettermi. Appena possibile riprenderò a ballare per locali e con i soldi extra cercherò una sistemazione migliore!” dico orgogliosa.
“Bhè se vuoi posso aiutarti in questo!” mi propone, ma io lo guardo scettica. “In fondo so ballare anche io, o te ne sei dimenticata?” Annuisco, ma riesco a trattenermi dall’aggiungere altro perché bloccata da un altro suo sbadiglio.
“Rock, la porta li infondo è il bagno. Se ti serve usalo, intanto io ti preparo per dormire.” Dico leggermente autoritaria. Lui obbedisce riconoscente, ed io inizio ad allungare il divano letto e a ricomporlo con lenzuola, cuscini e una coperta. Poi mi dirigo in camera mia per cambiarmi. Voglio apparire almeno carina, così indosso il mio pigiama migliore, composto da un paio di pantaloncini blu e una canottiera abbinata, leggermente più chiara. È quello più sobrio che ho, in confronto a quelli con i pupazzetti e la camicia da notte in pizzo non mi sembra adatta, per adesso… ma cosa vado a pensare? Quando mi entrerà in testa che tra me e Rock non ci sarà mai nulla? Non dovrei farmi influenzare dalle chiacchiere di quei pettegoli dei miei amici! Lui mi vede ancora come la piccola Larhette e probabilmente prova qualcosa di più simile all’affetto fraterno, che all’attrazione fisica.
Faccio per tornare in salone, ma resto di sasso, spalancando gli occhi e la bocca quando lo vedo poggiato allo stipite della porta del bagno, in mutande, e nient’altro. Si stira alzando le braccia sopra la testa e chiudendo gli occhi. In questo modo mette in risalto ogni muscolo del suo addome, facendomi avvampare.
I riflessi della luce alle sue spalle evidenziano i lineamenti dei muscoli sodi, facendomi venire una voglia matta di toccarlo, mentre il profumo della sua pelle mi stordisce i sensi. Riesco solo ora a vedere per intero il tatuaggio che gli ricopre la parte superiore del braccio e della spalla, per poi scendere verso il petto, ricoprendolo per una striscia obliqua. È un tribale, con diverse linee dolci e sensuali che sembrano scorrere sulla pelle, mosse dai suoi movimenti. Punte spesse e sottili rompono lo schema generale, conferendo al tutto un’aria più rigida e severa, ma pur sempre armoniosa. Una gocciolina scivola via dal suo collo. La seguo con lo sguardo iniziando a sentire languore al basso ventre: passa tra i suoi pettorali, poi su ogni gradino che gli addominali scolpiti disegnano sul suo addome, rallentando e poi riaccelerando con regolarità, fino a finire sull’elastico dei suoi boxer per essere assorbita rapidamente dalla stoffa. Dio, quanto vorrei poter essere quella gocciolina!
“ehm… ti senti bene?” mi chiede Rock. Mi riscuoto improvvisamente, chiudendo anche di botto la bocca e deglutendo per ripristinare la normale salivazione, infine sposto anche il mio sguardo, con enorme sforzo, sul suo viso. Spero solo che non si sia accorto di nulla.
Le labbra di Rock sono piegate in un sorriso sornione e gli occhi divertiti mi rivelano che, effettivamente, è perfettamente consapevole di ciò che è successo ed è anche divertito da me! Mi agito sul posto e il calore si sposta improvvisamente dal basso ventre al viso, rendendomi sicuramente le guance scarlatte. Respiro a fondo e poi:
“S-si.. T-tutto bene” perché diavolo ho balbettato? E che cavolo era quella voce che mi è uscita? Se mi vedessi da fuori mi scambierei per una maniaca sessuale!
Rock non nasconde una risatina soddisfatta al suono della mia voce eccitata e mi passa davanti facendomi l’occhiolino. Resto ancora un po’ immobile, respirando lentamente per riprendermi. Poi torno in sala. Lo trovo piegato sulla sedia dove ha appoggiato i suoi vestiti e lo vedo frugare nella tasca dei pantaloni, per poi estrarne il cellulare. Mi schiarisco la voce e:
“Allora, ti ho sistemato il divano e ti ho preso una coperta leggera, ma se hai freddo puoi trovarne altre nel cassetto sotto la televisione.” Inizio a spiegare evitando accuratamente di guardarlo e indicando ogni cosa. “Li c’è la dispensa, in caso ti venga fame e nel primo cassetto ci sono le posate. Per qualsiasi altra cosa fruga da te negli sportelli, troverai ciò di cui hai bisogno. Mi troverai nella mia camera per qualsiasi cosa, non esitare a svegliarmi ok?” Solo ora mi concedo di spostare lo sguardo su di lui. Se ne sta di fronte a me, immobile a fissarmi… le tette? Impossibile. Mi avvicino parandomi di fronte al suo volto. Mi rendo conto di aver fatto una stupidaggine solo quando il suo odore mi avvolge completamente, inebriandomi.
“Larhette?” mi chiama con voce roca che mi fa rabbrividire. Lo fisso negli occhi, senza avere il coraggio di riabbassare lo sguardo sul suo corpo. Sembrano di cioccolata fusa e appaiono ancora più scuri e languidi di come li ricordassi, quasi magnetici.
“Uhm?” rispondo semplicemente con un verso, il respiro accelerato e le labbra socchiuse quasi a supplicarlo di baciarmi. Rock chiude gli occhi, passandosi le mani sul viso e interrompendo il contatto visivo con me.
“Sei senza reggiseno.” Afferma, ancora da sotto le mani, la voce ovattata. Mi riscuoto completamente e mi dirigo verso la mia camera. Solo quando si rende conto che ho preso le giuste distanze si libera il volto.
“Mi hai visto milioni di volte senza reggiseno e non è mai stato un problema. Comunque non preoccuparti, sto andando a letto. Per qualsiasi cosa chiama. Buonanotte Rock.” Dico tutto d’un fiato, voltandomi solo con la testa. Poi varco la porta della mia stanza e me la richiudo alle spalle senza aspettare nemmeno la risposta.
Una volta dentro rilascio il fiato, come se avessi trattenuto il respiro fino a quel momento. Le mie parole sono risultate più fredde e rigide di quanto avessi voluto, ma il nervoso mi ha attanagliato le viscere e non posso farci nulla. Per quale ragione tiene così tanto le distanze da me?  Possibile che non mi trovi nemmeno un po’ attraente? Gli faccio così tanto schifo? Oppure si sforza di comportarsi gentilmente con me solo perché gli faccio pena dopo tutto ciò che ho passato? Mi butto sul letto e soffoco un urlo nel cuscino. Così non va bene Larhette, non va bene per niente. Devo darmi una regolata, devo mantenere il controllo delle mie azioni e devo prendere le distanze sentimentali da lui!

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Capitolo 9
*** 8 ***


Un tonfo sordo, seguito da un rumore di stoviglie mi fa svegliare di soprassalto. La prima cosa che penso è che ci sono i ladri. Mi alzo di fretta e corro in cucina, già preparata a trovarmi davanti il peggio, ma subito mi tranquillizzo… è solo Rock alle prese con la colazione. Un sorriso mi sorge spontaneo mentre lo osservo, ancora inconsapevole della mia presenza. Sta cucinando dei pancake suppongo, e mi incanto a guardare i suoi meravigliosi muscoli guizzare ad ogni movimento. Già, potrei abituarmici ad averlo in casa! Improvvisamente si volta per prendere uno straccio e mi trova li, imbambolata sullo stipite della porta, un’altra volta.
“Ehi, scusami ti ho svegliata! Buongiorno!” mi dice sorridente con il mestolo in mano. Avvampo mentre abbasso lo sguardo che casualmente cade sui suoi addominali e sulla sua v pelvica, interrotta poi solo dai boxer. E, se possibile, arrossisco ancora di più!
Ehi, dove sono andati a finire tutti i miei propositi di apparire più distaccata? Mi schiarisco la gola e mi avvicino, fingendo disinvoltura.
“Buongiorno a te. Dormito bene?” chiedo, allungando la mano nella scodella. Immergo il dito nell’impasto e poi me lo porto alla bocca. E’ un vizio che ho da sempre, quello di assaggiare gli impasti crudi dei dolci, da quando li facevo con mia madre, solo una domenica al mese. Facevamo sempre la torta di mele, o meglio, io gli passavo solo gli ingredienti, ma adoravo guardarla muoversi in cucina. Lei, per farmi felice, mi faceva leccare le stoviglie sporche, dopo aver versato la torta nel tegame. La signora Castillo si arrabbiava sempre quando lo facevo nella sua cucina, ma era più forte di me!
“Come un sasso, ero stanchissimo ieri. Ancora hai questo vizio?” mi risponde, ridendo poi dopo avermi visto portare il dito alla bocca. Mi avvicino e, mantenendo stranamente il controllo, mi sollevo sulla punta dei piedi per scoccargli un bacio sulla guancia. Mi è così naturale farlo. Lo sento irrigidirsi sotto il mio tocco, ma è solo un attimo.
“Che c’è vuoi punirmi come faceva la signora Castillo? Stasera niente cena e lavori extra?” lo provoco scherzando e riprendendo le giusta distanze. Gira il pancake sulla padella, poi mi circonda il bacino e mi attira a se, ricambiando il bacio di prima da dietro. Io non resto per nulla indifferente a quel contatto e l’oramai familiare languore mi pervade, estasiandomi i sensi, mentre la guancia su cui mi ha baciato si infuoca.
“No, no per carità! Solo bacchettate sulle mani per gesti del genere!” resta al gioco Rock, lasciandomi andare. Già, le bacchettate le odiavo. Finivo sempre per tagliarmi tutte le nocche e le mani si gonfiavano talmente tanto che il giorno successivo non riuscivo nemmeno a chiuderle. Un espressione malinconica si dipinge sui nostri volti a quei ricordi tanto dolorosi.
“Hai per caso dello sciroppo d’acero,  del miele o della cioccolata? Ho fatto i pancake senza nemmeno accertarmi che avessi l’occorrente per condirli!” interrompe il silenzio Rock.
“Certo, li prendo subito” mi dirigo verso la dispensa passando accanto a lui e lisciandolo con la gamba. Sfiorarlo mi provoca una serie di scosse lungo tutto il corpo, ma le ignoro. Prendo il miele e lo sciroppo, poi mi alzo sulle punte per poter raggiungere la cioccolata, ma nello stesso tempo dico:
“Ieri mi hai detto che sarei dovuta venire con te, ma dove dobbiamo andare?”
“Ovunque tu voglia, non conta il posto. Conta come lo raggiungiamo.” La voce roca di Rock mi arriva direttamente nell’orecchio, facendomi sobbalzare. Non mi ero accorta che era venuto in mio aiuto e ora si trova proprio dietro di me. Poggia una mano sul piano, accanto alla mia, poi vi poggia il peso e si alza sulle punte, arrivando ad afferrare con facilità il barattolo di cioccolata. Prima di fare ciò però non ha considerato un piccolo fattore: sporgendosi il suo membro si è scontrato direttamente con il mio fondoschiena, già prosperoso di suo, ma in questa posizione particolarmente sporgente. Trattengo il fiato al contatto, non sapendo esattamente come reagire o se fare finta di nulla. Ma… o mio dio… è la sua eccitazione quella che sento? Allora qualche effetto su di lui ce l’ho anche io!
Torno a poggiare il peso sui talloni e mi volto, rimanendo imprigionata tra la cucina ed il suo corpo. Lo sento respirare veloce e i miei battiti accelerano. L’atmosfera è resa strana dallo sguardo pieno di elettricità che ci scambiamo. Rock si avvicina portando la bocca vicino al mio orecchio, mentre con la mano mi accarezza la guancia opposta. Chiudo gli occhi e mi lascio sopraffare dalle sensazioni che mi provoca il suo calore e il suo respiro sul collo. Dobbiamo assolutamente vestirci entrambi se non vogliamo che la situazione precipiti. Sto per parlare quando bussano alla porta, con conseguente urlo:
“CHICAAAAAAA ALLORA?? TE LO SEI SBATTUTA QUEL FICO DA PAURA? VOGLIO ESSERE RINGRAZIATA A DOVERE CON UNA BELLA COLAZIONE, APRI?” altri colpi risuonano per la casa.
Inutile dire che mi sarei letteralmente sotterrata viva! Rock si stacca velocemente da me e corre a prendere i suoi vestiti, per poi chiudersi in bagno. Io mi prendo qualche secondo per darmi un contegno, poi mi dirigo alla porta.
“Che cazzo fai scema!” sussurro a denti stretti uscendo sul pianerottolo per evitare che quell’uragano di mia cugina entri in casa. Ma non c’è nulla da fare, mi sposta in malo modo e si fionda all’interno.
“Non vorrai mica tenermi nascosta la scopata dell’anno vero? Perché sono convinta che quel fusto sia favoloso a letto e non dirmi il contrario perché non ti crederei nemmeno se lo provassi io!” si ferma un attimo guardandomi, poi continua la sua marcia verso la cucina. “Allora?? Voglio tutti i dettagli e spero per te che ti sia levata quella finta aria da pudica che hai ultimamente, altrimenti giuro che… WOOOW!” si blocca di colpo, trovandosi Rock a cucinare gli ultimi pancake rimasti con un sorrisino sornione in volto.
“Buongiorno!” le dice lui come se nulla fosse. Maria resta per un attimo a bocca aperta, poi mi prende per un polso e mi trascina indietro, fuori dalla vista di lui.
“Quando cazzo me lo dici che è qui?” finalmente sussurra. Io mi copro il volto con le mani e rispondo stizzita.
“Me ne hai dato modo forse? Mi hai fatto fare una figuraccia… chissà che penserà ora di me!”
“Ma quale figuraccia, è la verità… se solo ti lasciassi andare un po’ di più e gli dicessi che…” so che Rock è solo a qualche metro di distanza e potrebbe sentire tutto, quindi mi affretto a premerle la mano sulla bocca, prima che da questa escano altre cose imbarazzanti. Per fortuna si zittisce.
“Ok, adesso andiamo di la, facciamo colazione e tu tieni questa boccaccia serrata. Se farai la brava, poi, ti racconterò tutto per filo e per segno” dico, come se mi stessi rivolgendo a una bambina capricciosa. La vedo annuire con la testa, essendo impossibilitata a parlare. Annuisco anche io e finalmente la lascio libera. Insieme poi ci dirigiamo in cucina.
“Ciao, io sono Maria, la cugina di Larhette. Ci siamo già visti al ristorante ricordi?” si presenta non appena lo vede, allungando la mano verso di lui.
“Certo, mi chiamo Rock.” Gliela stringe. Maria, soddisfatta dal suo comportamento si siede al tavolo.
“Allora è pronta questa colazione?” Chiede sorridendo. È una donna priva di vergogna lei! Scuoto la testa, poi, sempre in silenzio, mi appresto ad apparecchiare per tre.
“Ecco qui!” Rock mette un piatto stracolmo al centro della tavola e Maria inizia a mangiare facendo strani versi. Faccio finta di niente e mi servo anche io, cospargendo il mio pancake con abbondante cioccolata.
“Non avevo dubbi Chica, la cioccolata è sempre stata la tua preferita vero?” mi chiede Maria con aria maliziosa. So dove vuole andare a parare per cui la fulmino con lo sguardo e mi limito ad annuire. Lei alza le spalle e si rivolge a Rock.
“Allora Rock, che ci fai qui?” non accenna ad abbandonare l’aria maliziosa, così tossicchio, ma entrambi mi ignorano.
“Ieri abbiamo fatto tardi e mi sono fermato a dormire… in fondo ci conosciamo da un sacco di tempo io e Larhette!” risponde tranquillamente.
“Certo! Avete passato una bella serata? So che sei tornato da poco da queste parti, che lavoro fai?” continua mangiando con gusto.
“Bellissima serata anche se mi è dispiaciuto che gli altri non siano potuti venire.” Afferma lascivo. “Sto aprendo un pub e nel frattempo volevo trovarmi qualche lavoretto che mi permetta di coprirmi le spese”
“Volevo chiedere allo zio di prenderlo per qualche tempo al ristorante, so che cerca personale… che ne dici Maria?” mi intrometto anche io nella conversazione.
“Siiii, mio padre sarebbe felicissimo, anzi andrò subito a parlarci, così potrai iniziare il prima possibile!” afferma alzandosi e iniziando a raccattare il suo giacchetto e la sua borsa. “Chica, stasera ti do io il cambio a lavoro, ma tu dovrai andarci domani a pranzo ok?” non mi da tempo di rispondere che subito continua. “Ciao Rock, è stato un piacere, mi raccomando cerca di farla sciogliere a quella che ultimamente si è scordata come si fa! Adios!” e se ne va, lasciando una me con il viso completamente rosso di vergogna  e un Rock interdetto.
“Si può sapere che problemi ha tua cugina?” mi chiede divertito. Alzo le spalle con aria di scuse.
“Scusami lei è fatta così. Si convince di alcune cose e va per la sua strada senza dar retta a nessuno! Ma non è una cattiva persona!” abbasso lo sguardo mentre lo dico. Lo sento scoppiare a ridere, così capisco che non si è offeso per le insinuazioni di Maria, e scoppio a ridere anche io.

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