Hellcome to NevediNotte di XShade_Shinra (/viewuser.php?uid=51964)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ L'Indice della Raccolta ~ ***
Capitolo 2: *** 01. La Dottoressa dei Morti ***
Capitolo 3: *** 02. I Cani da Slitta ***
Capitolo 4: *** 03. Lo Spirito del Villaggio ***
Capitolo 5: *** 04. La Prova dei Bambini ***
Capitolo 6: *** 05. La Cicatrice della Vita ***
Capitolo 7: *** 06. L'Estate dei Morti ***
Capitolo 8: *** 07. Il Gatto delle Castagne ***
Capitolo 9: *** 08. Il Rifugio dei Viaggiatori ***
Capitolo 10: *** 09. I Giorni della Merla ***
Capitolo 11: *** 10. Le Orme di Sangue ***
Capitolo 12: *** 11. L'Antro dei Ricordi ***
Capitolo 13: *** 12. Il Carro dei Mostri ***
Capitolo 14: *** 13. Il Cuore di Carne ***
Capitolo 15: *** 14. I Pupazzi di Neve ***
Capitolo 16: *** 15. La Sorte del Diverso ***
Capitolo 17: *** 16. Gli Alberi di Natale ***
Capitolo 18: *** 17. Il Lamento dell'Angelo ***
Capitolo 19: *** 18. La Fine della Guerra ***
Capitolo 20: *** 19. Il Nome del Villaggio ***
Capitolo 21: *** 20. L'Abbraccio del Gelo ***
Capitolo 1 *** ~ L'Indice della Raccolta ~ ***
-Hellcome
to NevediNotte-
Benvenuti a NevediNotte,
un luogo dove nevica solo dal tramonto all'alba, come se la notte
stessa volesse celare qualcosa...
[Raccolta Dark/Fantasy. Generi
e Avvisi all'interno del capitolo indice]
Benvenuti a tutti! ^^
Il filo che lega tutte le storie di questa Raccolta si chiama "NevediNotte"
(sì, si scrive attaccato) ed è il nome della
cittadina dove sono ambientati i racconti di seguito narrati.
Andando avanti con i capitoli, ci saranno dei dettagli sugli abitanti,
la storia del luogo, ecc... Alcune
storie narrano del presente, altre del passato, a prescindere dal tempo
verbale con il quale sono scritte. I capitoli non sono legati
cronologicamente l'uno all'altro in ordine di pubblicazione, quindi si
possono leggere sparsi o addirittura saltare se non vi interessano.
I capitoli potranno essere One Shot, Drabble o Flashfic e sono
autoconclusivi, anche se alcuni personaggi potrebbero essere citati
più avanti.
I Generi saranno specificati per ogni capitolo.
Il Titolo della Raccolta è una voluta storpiatura di
"Welcome to..." ovvero "Benvenuti a...", utilizzando nella parte
iniziale la parola "Hell" che significa "Inferno".
Mi pare di aver detto tutto.
Buona lettura. ^^
~ L'Indice della Raccolta
~
Capitolo, Titolo,
Genere, Rating, Personaggi e Sommari.
01. La Dottoressa dei Morti - Dark,
Drabble - Giallo - La Dottoressa dei Morti
- A NevediNotte lavora una giovane ragazza. I bambini la chiamano la
"Dottoressa dei Morti".
02. I Cani da Slitta - Dark,
One-Shot - Arancione - I Musher, i Cani da
slitta, le Creature, Abitanti del Villaggio
- Non si deve mai uscire
dal villaggio dopo il tramonto.
03. Lo
Spirito del Villaggio
- Fantasy,
Songfict, Drabble (4x100) - Giallo - Neve, le Creature
- Tutti gli abitanti
potranno dormire ogni tranquilli, finché ci sarà
lei a vegliare su di loro.
04. La Prova dei Bambini
- Dark, Fantasy,
One-Shot - Arancione - Abitanti
del Villaggio,
Koori
-
«Quella
è la tua
prova. [...] Uccidilo.»
05. La Cicatrice della Vita - Dark, Drabble
- Giallo - Il
Cacciatore
- «Io
sono nato morto...» borbottò
freddo,
uscendo di casa, mentre i pochi fiocchi rimasti cadevano lenti.
06. L'Estate dei
Morti - Dark, One-Shot
- Arancione - Abitanti del
Villaggio
-
«Chissà... forse se scavassimo... ne troveremmo
anche degli altri... nascosti dalla neve... »
07. Il Gatto delle
Castagne - Fantasy, One-Shot
- Giallo - Abitanti
del Villaggio, Neve, il Gatto delle Castagne
- Ella aveva un gatto
grigio con gli
occhi rossi che adorava stare accanto al camino per riscaldarsi e fare
compagnia alla vecchia padrona.
08.
Il Rifugio dei Viaggiatori -
Fantasy, One-Shot
- Arancione
- Koori,
il Prete, le Creature
-
Nel bosco c'è una strana casa sull'albero...
09. I Giorni
della Merla - Dark,
DoubleDrabble (2x100) - Giallo - Abitanti del Villaggio
- In questi giorni, il gelo
è ancora più forte.
10. Le Orme
di Sangue - Dark, Horror,
Non per stomaci delicati, One-Shot - Arancione
- Il
Cacciatore, la Dottoressa di Morti,
le
Creature
- E, seguendo quelle
orme di sangue, la ragazzina vide un qualcosa nel bosco...
11. L'Antro dei Ricordi -
Dark, Sentimentale,
Malinconico, One-Shot - Verde
- Abitanti del
Villaggio
- Un luogo nascosto,
dove i morti riprendono vita e il passato illumina il futuro.
12. Il Carro
dei Mostri - Dark,
Horror, Non per stomaci delicati, One-Shot - Arancione
- Le Creature
- «Si
chiamano mostri perché devono essere mostrati, signore e
signori!»
13. Il Cuore di Carne - Dark Fantasy, Sentimentale, One-Shot
- Giallo - La Dottoressa dei
Morti, il Cacciatore, il Prete, Neve, il Gatto delle Castagne, Abitanti
del
Villaggio
- Fuori c'era una feroce bufera e la
Dottoressa dei Morti aveva preferito invitare
l’ospite a rimanere nel proprio bazar, piuttosto che farlo
tornare a casa.
14. I Pupazzi di Neve - Dark, Horror, Non per stomaci delicati,
One-Shot - Arancione - Abitante del Villaggio, le
Creature, il Prete, Neve
- «Era un teschio!»
urlò a voce alta, producendo un'eco per la Chiesa vuota
«Era umano, cazzo! Possibile che non mi crediate MAI?!»
15. La Sorte del Diverso - Fantasy,
One-Shot - Verde - Abitanti
del Villaggio, Koori
- Era un diverso, ecco
perché si sentiva tale.
16. Gli Alberi di Natale - Dark, Nonsense, FlashFict -
Verde - Abitanti del
Villaggio
- Anche a NevediNotte, per
quante se ne dicessero sulle strambe abitudini di quella "amena"
cittadina, c'era un'usanza normale: addobbare l'albero di Natale.
17. Il Lamento dell'Angelo - Fantasy - Verde/Giallo - Abitanti del Villaggio, Koori
- «Perché forse
non lo apprezzano. È una melodia molto triste, quella del tuo
violoncello», disse serio il ragazzino.
18. La Fine della Guerra - Dark
Fantasy - Giallo - Il Cacciatore, Neve, il Gatto
delle Castagne
- C'è chi va e c'è chi
resta.
19. Il Nome del Villaggio - Gen, One-Shot - Verde - Abitanti del
Villaggio
- «Ah, mi scusi. L’ho
chiamata con il nome locale. Intendevo un biglietto per…»
20 . L'abbraccio del Gelo
- Dark Fantasy, FlashFict -
Giallo - Neve, il Gatto delle Castagne, Abitanti
del Villaggio
- Come un gatto guarì la
solitudine di una creatura centenaria.
[ ...in
aggiornamento...
]
XShade-Shinra
Spin-off di "Hellcome to
NevediNotte"
• Nightscreamer - It Cries out in
the Dark Snow ~ Horror,
Splatter, Non per Stomaci Delicati - Rosso - Abitanti del Villaggio,
Mostro
• Icesinger - It Sings
a Requiem in the Frozen Lake
~ Noir, Dark, Sovrannaturale - Arancione - Abitanti del Villaggio,
Mostro
Contest e Premi di
"Hellcome to NevediNotte" + Spin-off
|
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Capitolo 2 *** 01. La Dottoressa dei Morti ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
La Dottoressa dei
Morti
A NevediNotte lavora una
giovane ragazza. I bambini la chiamano la
"Dottoressa dei Morti".
A NevediNotte lavora una giovane ragazza. I bambini la chiamano la
"Dottoressa dei Morti" perché prima di venire qua si era
appena laureata in anatomia patologica.
Ora dirige un piccolo bazar e si occupa di uno strano mestiere: incolla
i sogni frantumati.
Le persone afflitte vanno tutte da lei, con i cocci custoditi nei palmi
delle loro mani. Lei ricuce le ferite ed asporta la tristezza dai loro
cuori, ormai suppurati dai dolori della vita; proprio come farebbe
durante un intervento chirurgico od un'autopsia.
Ma ancora, tutti noi ci chiediamo come mai la sua bottega si trovi
vicina al cimitero.
§ Fine§
XShade-Shinra
Disclaimer: Lo scritto ed
i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di
questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono
esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
|
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Capitolo 3 *** 02. I Cani da Slitta ***
- Hellcome to NevediNotte
-
I
Cani da
Slitta
Non si deve mai uscire
dal villaggio dopo il tramonto.
In una cittadina di montagna come quella dove abito, i mezzi di
trasporto non sono tanti; per arrivare qui, anche le macchine
munite di gomme da neve o catene hanno difficoltà a
inerpicarsi per la strada principale, che purtroppo ha una forte
pendenza ed
è tortuosa come le interiora di un animale.
C’è un treno che si ferma due volte al giorno a
quattro chilometri di distanza dal villaggio ed è il solo
mezzo pubblico a nostra disposizione.
Inoltre vi è un unico tragitto praticabile che conduce
direttamente al villaggio, le altre vie sono selvagge e non vi
è modo di percorrerle, se non con un unico ed esclusivo
mezzo di trasporto: lo sleddog, la slitta trainata dai cani.
Vi è un solo abitante del villaggio con questo escamotage ed
è colui che si occupa della spola, portando merci dal
villaggio alla città “vicina” e
viceversa.
Può effettuare molti viaggi al giorno senza nessun problema, tranne in
una
data fascia oraria: difatti inizia il suo andirivieni
mezz’ora dopo l’alba e deve essere di ritorno
mezz’ora prima del tramonto.
Non viaggerebbe mai mentre cade la neve. Mai.
E noi tutti sappiamo benissimo il perché: anni fa, fummo
testimoni di un strano, oscuro avvenimento, esattamente
quell’unica volta che osò sfidare la notte, non
facendo ritorno prima dell’inizio della nevicata notturna. I
giovani commettono spesso questa imprudenza… ecco
perché NevediNotte è abitata da molti anziani.
Lo rivedemmo solo a notte fonda, avvisati dall’abbaiare dei
suoi cani, un abbaiare non certo festante come sempre, che
preannunciava l’arrivo del ragazzo riverso sulla slitta
sporca di sangue. Dopo i soccorsi, cercammo di capire cosa gli fosse
accaduto e il medico ci spiegò che era stato attaccato da
qualcosa, come testimoniavano gli squarci all’addome.
Un animale?
Un uomo?
Un… mostro?
Non seppe cosa dire e mai le nostre domande trovarono risposta da parte
dell’interessato, che si chiuse in un silenzio tombale per
giorni, prima di riprendere il lavoro.
Prima di lui vi era un altro musher, ma anche lui un giorno non
tornò prima del tramonto e da allora si persero le sue
tracce, mente i suoi fedeli cani tornarono tutti al villaggio,
completamente illesi, trainando una slitta piena unicamente di sangue.
Negli otto mesi prima dell’arrivo del nuovo guidatore di
slitte, dovemmo muoverci con il treno o con le 4x4 possedute dal
sindaco e dal prete. Insomma una situazione non molto pratica.
Per fortuna, un sabato arrivò un giovane veterinario,
chiamato dal sindaco per controllare lo stato di salute dei cani del
musher scomparso e ci disse che il suo sogno fin da bambino era quello
di guidare una slitta; quelle parole arrivarono alle nostre orecchie
come il gradevole suono delle campane dell'aurora della domenica.
Da allora, pur sapendo dello sfortunato passato del suo predecessore
che quasi si ritrovò ad emulare, prese la muta sotto la
propria custodia e cambiò lavoro.
La cosa che ci sorprese di più in tutto questo, fu che i
cani lo accolsero andando in un brodo di giuggiole al solo vederlo,
accettandolo immediatamente come loro capo branco.
Sono ben otto cani, tutti bastardini, a volte vengono utilizzati tutti
e otto per la slitta, altre volte soltanto sei mentre l'altra coppia
resta a rotazione al villaggio. I loro nomi sono da sempre sembrati
un po’ strani, ma riflettevano la passione che aveva
l’ex musher: l’astronomia.
Albebaran, detto “l’inseguitore”.
Alfa e Centauri, due cani della stessa cucciolata.
Crux, con una piccola croce bianca sulla fronte.
Lattea, una cagnetta bianco panna.
Orion, detto “il cacciatore”.
Polaris, la migliore a orientarsi.
Sirius, come la stella della costellazione del Cane Maggiore.
Ognuno di loro ebbe così una nuova imbracatura e i booties
ai piedi per difendere le zampe dalle affilate creste di ghiaccio della
neve. Erano di nuovo pronti.
In tutti i loro otto anni di servizi per il nostro paesello, nessuno si
è mai lamentato di loro, al punto che non stanno in un
recinto ma sono liberi di girare per tutto il villaggio.
Eppure in pochi sembrano pensare che di questi cani ci sarebbe da aver
paura: per ben due volte sono sfuggiti da quel qualcuno o quel qualcosa
che ha attaccato il loro musher dopo il tramonto.
Loro sono dei testimoni. E testimoni che tacciono, sono complici.
Ma che abbiano difeso i loro padroni oppure avessero a che fare con
l’omicida, nessuno di noi potrà mai dirlo.
Solo una cosa è certa: quando i cani tornarono dal secondo
assalto, la scena si ripresentò esattamente come la prima
volta, con l’unica differenza che la prima volta non vi era
alcun corpo grondante di sangue sulla slitta, mentre Aldebaran con le
fauci sporche di cremisi faceva da leader al team, insieme a Polaris e
Crux che sembravano guidarlo e Orion che avanzava sciolto accanto alla
muta, anch’egli con qualcosa di rosso al muso, ma non si
trattava di solo sangue… era un pezzo di carne di un
innaturale colore rosso bordeaux, la quale sembrava ancora pulsare.
E non apparteneva al musher.
~ La polizia
appurò che il sangue ritrovato sulla slitta apparteneva al
guidatore. Le analisi di laboratorio sul pezzo di carne portato al
villaggio non poterono mai essere condotte poiché i cani si
mangiarono quell’unica prova. ~
§Fine§
XShade-Shinra
-Note:
Booties:
guanti o stivaletti in tessuto impermeabile che si mettono alle zampe
dei cani affinché non si feriscano con il ghiaccio
Imbracatura:
serve per fissare il cane alla slitta in modo che il peso venga
distribuito su tutto il corpo dell’animale
Musher:
guidatore di slitta (leggi masher)
Sleddog:
(sled = slitta + dog = cane) slitta trainata da un team
Team: muta
di cani da slitta
Organizzazione:
Aldebaran e Orion: Leaders
(cani in testa al team)
Polaris e Crux: Swings
dogs (cani in seconda fila, a volte
prendenti il posto del leader)
Lattea e Sirius: Team
dogs (altri cani facenti parte della muta)
Alfa e Centauri: Wheel
dogs (cani in ultima fila, sui quali ricade la
maggior parte del peso della slitta)
Nomi:
-Albebaran,
la stella più luminosa della costellazione del Toro.
-Alfa Centauri,
la stella più brillante della costellazione del Centauro.
-Crux,
dalla costellazione della Croce del Sud, grazie a due sue stelle di
trova il polo sud celeste.
-Lattea,
come la via lattea, galassia del sistema solare.
-Orione,
costellazione visibile quasi in tutto il globo, conosciuta per le tre
stelle che formano la Cintura di Orione.
-Polaris,
la stella polare, un punto guida per viaggiatori.
-Sirio, la
stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore.
Se siete più interessati, basterà una breve
ricerca su Wikipedia, ho controllato e ci sono tutti! ^^
Anagrammando le iniziali dei nomi degli otto cani, si ha “la spacco”
oppure “lo
spacca”. Certo non è importante, ma
ho ritenuto fosse carino da far notare! xD
Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alla Recensioni:
x
Livin Derevel: *_*
Grazie per
i tuoi complimenti!! x3 E, soprattutto, sono molto contenta che ti
piaccia il nome del piccolo villaggio! ** Ho letto l'Antologia di Spoon
River, ma non avevo pensato al paragone! xD Andando avanti
qualche
capitolo sarà un po' macabro, tipo questo, mente altri
continueranno ad
essere di lettura più tranquilla! ^^
x Bad Devil:
*^* Grazie, Guru!! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo
gradimento! ^^ Un bacio anche a te! :*
x Phantom G:
x3 Sono davvero
contenta che abbia apprezzato la mia idea! ^^ Come ti ho già
detto via
messaggio privato (sapevo che avrei aggiornato tardi
ç_ç ) non c'è
nessun problema se la metti in firma, anzi non può farmi che
piacere!
^^
|
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Capitolo 4 *** 03. Lo Spirito del Villaggio ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
Lo
Spirito del Villaggio
Tutti gli abitanti
potranno dormire ogni tranquilli, finché ci sarà
lei a vegliare su di loro.
#Shades
of night
I'm walking through
sleeping village#
~ Cammina sola per il
silente villaggio addormentato ~
Anche quella notte sarebbe certamente scesa al villaggio.
Tutti lo sanno ma nessuno mai ne parla, come fosse un tabù.
A pensarci, qui ci sono molti segreti. Uno di questi verte sulla strana
donna che puntualmente si dice venga a fare visita notturna al nostro
paesello.
Non siamo a conoscenza dell'identità di quella figura
femminile che qualcuno giura di aver intravisto tra i fiocchi di neve
quando le lancette dell'orologio sono ormai alte.
Corpo perlaceo, coperto da un lungo vestito tessuto da
quelli che sembrano essere i suoi nivei capelli, lunghi e morbidi come
fili di soffice neve.
#That
is having a dream
of thousand dreams
Moon is guiding my way
through the land#
~ La sua figura resta
comunque un enigma ~
Non solo chi si trattiene desto fino a tardi afferma di vederla: anche
i dormienti dicono di incontrarla nei loro sogni ambientati nelle notti
nel villaggio.
La scena si presenta sempre la medesima: guidata dalla luna, che sia
essa nuova, piena o a falce, ella cammina per un percorso senza meta
dentro il villaggio, girandolo e rigirandolo senza un apparente motivo.
Non ha mai fatto nulla di male a nessuno, né uomo
né animale. Ed è per questo che nessuno la odia.
Lei è come una presenza che si aggira tra le case, senza
creare problemi, come un triste fantasma.
#The
snow is silently
falling
From the sky that is lit
by million stars#
~ Quando la neve cade
leggera e silenziosa ~
Appena raggiunto uno dei luoghi dove viene avvista la strana donna, le
sue orme non si trovano più, come cancellate dalla neve che
incessantemente cade. Non vi è traccia del suo lungo drappo
o dei suoi passi. È per questo che pensiamo che non sia umana; nemmeno
gli algidi fiocchi caduchi possono nascondere delle impronte in pochi
istanti.
Sospirando pesantemente e alzando gli occhi, vediamo le stelle che
brillano come un caldo sorriso e ci chiediamo se lei non venga proprio
dal cielo, portata giù tra di noi dai cristalli di neve che
tutte le notti imbiancano le nostre terre.
#Nightfall#
Gli occhi spiritati di quelle oscure figure li fissano, affamati.
#I
feel the breeze#
Ma sanno che non possono oltrepassare i confini del villaggio.
#Nightfall#
Finché gli abitanti resteranno qua la notte, saranno al
sicuro.
#On
my face#
Veglio su di loro da quando posarono il primo mattone.
#Nightfall#
Perché io per prima venni attaccata da quelle infernali
creature.
#And the trees are#
Non voglio vedere nessun altro piangere su una tomba vuota.
#Nightfall#
Perciò, lasciate che vegli su di voi, durante la notte.
#Covered
with white lace#
Cosicché possiate aprire gli occhi all'alba il giorno dopo.
~ Qui sentirete spesso
parlare di "Neve". È il soprannome dell'innocua
presenza, scelto poiché oramai è parte integrante
di NevediNotte. ~
§Fine§
XShade-Shinra
LYRIC &
TRANSLATION
Nightfall [Il Calare
della Notte, Il Tramonto]
Stratovarius
#Shades of night
I'm walking through
sleeping village
That is having a dream
of thousand dreams
Moon is guiding my way
through the land
The snow is silently
falling
From the sky that is lit
by million stars
Nightfall
I feel the breeze
Nightfall
On my face
Nightfall
And the trees are
Nightfall
Covered with white lace.#
#Ombre della notte.
Sto camminando
attraverso il villaggio dormiente
che sta avendo un sogno
di mille sogni.
La luna mi guida per la
via attraverso la landa.
La neve sta cadendo
silenziosamente
dal cielo illuminato da
milioni di stelle.
Tramonto
Sento la brezza
Tramonto
sulla mia faccia
Tramonto
e gli alberi sono
Tramonto
coperti da un bianco
pizzo.#
-Note: Spero
che la canzone da me scelta vi sia piaciuta. L'ho trovata perfetta per
la
Raccolta!
Ci
tengo a precisare meglio che prima
è stato dato il
nome alla cittadina e solo dopo
si è scelto il nome di Neve,
in onore al fatto che fosse bianca e facesse visita al villaggio sempre
e solo di notte, proprio come la neve vera e propria. Più
avanti ci sarà un capitolo dedicato alla scelta del nome
"NevediNotte"!
^^
-Song Credits:
Title:
Nightfall [Il Calare
della Notte, Il Tramonto]
Artist:
Stratovarius
Album:
Fourth Dimension
Listening: Link
YouTube
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Questo Capitolo ha Vinto l'Award come Best
Song Fiction
alla Quinta Edizione dei Never
Ending Story Awards!
Ringrazio inoltre tutti
quelli che hanno votato Hellcome
to NevediNotte per la categoria Best FF! ^^
Risposte alle Recensioni:
x Mitsu: *-*
Il tuo paragone fra la mia Raccolta e la Neve è
stato davvero bellissimo. Grazie! ^^
x Gaea: ^.^
Grazie anche a te per tutti i complimenti!
x Livin Derevel:
x3 Io adoro i cani di tutto cuore, non potevo non
parlarne! ** E naturalmente sono davvero contenta che ti sia piaciuto
il capitolo! ^^
|
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Capitolo 5 *** 04. La Prova dei Bambini ***
- Hellcome
to NevediNotte
-
La
Prova dei Bambini
Quella
è la tua
prova. Uccidilo.
Tutti i bambini hanno dei diritti;
senza nessuna distinzione di razza,
sesso, credo e stato sociale.
Uno dei maggiori diritti dei più piccoli è quello
più semplice, al quale pochi pensano: giocare.
Giocare è un modo per stare insieme ai propri coetanei e
proiettarsi nel mondo degli adulti; perfino i cuccioli degli animali
hanno bisogno dell'attività ludica per crescere.
Appunto per questo, nonostante il villaggio non sia un luogo del tutto
immacolato, i grandi non negano questo svago ai propri figli.
C'è solo un ordine: tornare a casa prima del tramonto e non
uscire prima dell'alba.
Per fortuna, i piccoli sono tutti molto intelligenti e nessuno di loro
si sognerebbe mai di disubbidire ai propri genitori, anche
perché sanno bene che il bosco è molto pericoloso
in quelle ore a loro proibite.
Il pomeriggio, dopo aver finito i compiti, i bambini si dedicano alle
attività che preferiscono. C'è anche la
possibilità di praticare alcuni sport nella piccola palestra
che aveva fatto costruire il parroco, oppure restare fuori per quelli
invernali, come lo skeleton, lo slittino o lo sci. Chi non desidera
prendere parte alle attività sportive, può sempre
uscire con gli amici o far parte dei vari piccoli club.
Tra questi, ce n'è uno un po' particolare, detto "I
Guardiacaccia".
I ragazzi che frequentano il gruppo sono veramente pochi e sono quelli
con la peggior fama nel villaggio: piccoli bulletti o ragazzine facili
e boriose.
È però considerato il club più facoltoso,
poiché è molto difficile farvi parte per via di... una
prova.
La prova è un ordine che il prescelto deve compiere per
farsi accettare dal gruppo. Non pochi riescono a superarla, ma dopo
poco tempo quelli più deboli lasciano il club, piangendo
spaventati per quello che avevano fatto.
Nonostante questo, quasi tutti i bimbi della città tentano
di accedervi, tranne alcuni ragazzini, tra cui uno: Koori Anchuu.
Di lui si sa poco e niente. È sempre stato un ragazzino
silenzioso, freddo, introverso, schivo e riservato, forse addirittura
sadico. Più che stare con gli altri, adora fare delle passeggiate solo
per i boschi, nonostante le molteplici sgridate dei genitori che quasi
lo pregano ogni volta di andare almeno con un altro amichetto. Ma al
bambino questo non importa: non sente la solitudine, dice anzi che nel
bosco non si sente affatto solo. Gli altri giovani del villaggio
l’hanno da sempre considerato strano a cominciare dall'aspetto fisico:
capelli lunghissimi e neri, pelle diafana, corporatura robusta e gli
occhi bicolore – il sinistro verde scuro e il destro blu. Nemmeno
il modo di vestire l’ha aiutato a farsi accettare, sempre che abbia mai
voluto esserlo: vestiario sempre nero o con colori scuri, eccezion
fatta per le camicie, rigorosamente bianche.
Koori comunque non è mai stato triste. Anzi, si sente
molto felice e fortunato. Ha solo deciso di vivere con un suo stile
personale, senza dover per forza essere uguale agli altri.
Forse per i suoi atteggiamenti, o forse solo per il fatto che
all'apparenza sembri un bambino cattivo, un giorno i ragazzi del
club lo hanno invitato a unirsi a loro.
Appena entrato nella piccola casupola appena fuori dal villaggio, che
funge da sede ufficiale del gruppo, Koori nota subito che il Club non
è molto affollato e questo non può che essere
positivo per lui, giacché non sopporta il chiasso o le persone troppo
casiniste.
Però... c'è qualcosa di strano in quel
monolocale.
“C'è uno strano odore... C'è odore di sangue...”
pensa il ragazzo dagli occhi bicolore.
«Scusate, voi non sentite questa puzza?» chiede, guardandosi attorno.
«No» risponde una ragazza con i
capelli dai riflessi ramati, in contemporanea con un ragazzino poco
più grande di lei che muove la testa in segno di diniego.
Ovvio che loro non possono sentire l’olezzo immondo che
impesta il luogo: ne sono ormai assuefatti e le loro narici non lo
percepiscono più, come se avesse bruciato loro i nervi
olfattivi.
«Ora siediti con noi» sorride un
bambino biondo, sedendosi in cerchio con gli altri.
Koori non fa domande e prende posto assieme a loro, attendendo che gli
dicano cosa deve fare, in cosa consista la prova di cui tutti
parlano.
«Sei pronto per superare la prova?»
domanda la ragazza di poco prima.
«Sì» risponde tranquillo.
«Non hai paura?» chiede un'altra
ragazzetta, troppo poco vestita per quell'inospitale clima perennemente
sottozero.
«Io sono coraggioso» mette bene in
chiaro il prescelto.
'Il coraggio non è la mancanza di
paura, ma la padronanza di
essa'.
«Allora... ENTRA PURE!» dice ad alta
voce un bambino, volgendo il capo verso una seconda porta da dove esce
il ragazzo più grande di tutti che tiene in mano un...
«Quel cucciolo di lupo è ferito!» dice Koori, scattando in piedi.
Si preoccupa molto più per gli animali che per gli uomini.
«Aspetta» lo ferma piano la ragazza
dai capelli ramati. «Quella è la tua prova.»
Il più grande mette il cucciolo tra le mani tenute a coppa
del moro, e gli dice una parola che le orecchie di quest'ultimo odono
come
una bestemmia:
«Uccidilo».
L'animaletto trema spaventato e sofferente per via di un grosso
squarcio
sulla zampa, probabilmente opera di una tagliola.
“Che sia questo ciò di cui si occupano i Guardiacaccia?
Seminare trappole per il bosco per poi divertirsi a uccidere degli
innocenti solo per delle prove?” si chiede il ragazzo, sconvolto.
«Forza, Koori!» lo incita uno dei bambini,
allungando un braccio verso il tremante batuffolo grigio.
«Non ho alcuna intenzione di fare del male al mio lupo!» si impunta Koori,
tenendolo più stretto a
sé, stando attento a non pigiargli la zampina che
sicuramente gli deve fare un male atroce.
«Non è tuo!» dice una
bambina. «E se vuoi far parte di noi, dovrai ucciderlo; per dimostrarci
la tua lealtà verso i Guardiacaccia!»
Il ragazzo dai lunghi capelli neri guarda gli altri bambini attorno a
sé e non fatica molto a dare loro una risposta.
Quello è il club più facoltoso.
Una volta superata quella semplice e stupidissima prova sarebbe stato
dentro anche lui e tutti lo avrebbero guardato con tanto d'occhi.
«Io non voglio entrare nel vostro club di assassini» risponde,
prendendo le scale per uscire dalla casetta.
«COSA?!» dicono all'unisono gli
altri. «Ti giochi l'occasione della tua vita!»
Ma Koori non li ascolta.
Per lui è importante solo portare quel cucciolo dal
guidatore di slitta in modo che lo curi.
«Non preoccuparti, piccolino» dice,
accarezzandogli la testina. «Ci penserò io a
te».
Koori decide così di tenere con sé il cucciolo,
dopo averlo rimesso in sesto, nonostante le lamentele dei genitori.
Non gli importa di non far parte del Club più in della
cittadina. Almeno, non a queste condizioni.
“Gli esseri umani... sono tutti degli stupidi...” pensa, col
cuore che strabocca di odio verso coloro che si impongono sui più
deboli.
«Bauf!» abbaia appena il lupacchiotto,
scodinzolando nel cestino che gli aveva preparato il padrone
affinché lo usasse a mo’ di cuccia.
«Ti piace il nome Fenrir?» gli domanda
il moro, affacciato alla finestra, perdendo lo sguardo sulla nivea
distesa poco prima dell'alba.
Koori non ama dormire di notte ma predilige il giorno, difatti non di
rado si addormenta a scuola.
«Wof!» risponde l'animale. Sembra
contento.
«Allora, benvenuto a casa, Fenrir»
sorride, guardando verso il bosco. «Ma...» Fermò appena lo sguardo
verso gli alberi.
C'è del fumo che sale alto nel cielo, in contrapposizione
alla poca neve che ancora cade lenta.
Il ragazzo decide che è meglio avvisare i genitori di quanto
ha visto, e questi danno l'allarme a tutti.
Purtroppo a nulla servono gli sforzi degli adulti: il fuoco aveva
distrutto una piccola casetta... E alla vista delle ceneri
dell'abitazione, illuminate dall'alba, Koori non riesce a trattenere un
bieco sorriso.
Era la sede del Club dei Guardiacaccia.
«È stato lui! È stato lui!» lo
additano i bambini, corsi in lacrime per vedere le macerie della loro
casupola. «Lui non ha superato la prova! Ha distrutto il
Club perché non l'abbiamo accettato!»
Accuse infondate si abbattono sul ragazzino.
«Il vostro è un Club di assassini! Sono
contento che sia andato a fuoco!» risponde Koori a tutti,
per poi girare sui tacchi e tornare a casa. Non vuole lasciare Fenrir
da solo per troppo tempo. Quella notte, infatti, non era uscito per
poter rimanere a casa con lui.
Sa bene che, nonostante non fosse stata colpa sua, sarà
messo ancora più in disparte, ma non gli importa.
Mentre torna sui suoi passi, il ragazzo vede una strana figura che lo
guarda da dietro un albero del bosco.
Senza un'ombra di paura negli occhi bicolori, si ferma e sostiene lo
sguardo fiero di quel qualcuno, finché la figura non si eclissa,
salendo
sopra l'albero per non apparire più.
Il ragazzo scuote la testa e prosegue per la sua strada, è
certo che non si tratti degli esseri che appaiono la notte attorno al
villaggio. Doveva essere di qualcos'altro... Dall'agilità
non era di certo un umano, ma il bimbo aveva visto quella figura
muovere appena le labbra poco prima di dissolversi, piegandole e
distendendole a formare una parola inequivocabile...
Grazie.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Lo
Skeleton è uno sport invernale
individuale, simile allo
Slittino.
Il Fenrir (o Fenris) è un
gigantesco lupo della mitologia
nordica ed il nome significa Lupo
della Brughiera. La leggenda dice che
fu incatenato dagli dei e la sua prigionia verrà sciolta
solo alla fine del mondo (il Ragnarök) ed allora si
potrà vendicare di chi lo incatenò, fino a
trovare la morte per mano del figlio di Odino.
La citazione tra virgolette all'interno della storia
è anonima.
Ed ecco che finalmente è apparso LUI!
** Qui avete conosciuto un personaggio che ritroveremo anche in altri
capitoli:
Koori Anchuu, Giaccio (Koori) nell'oscurità (Anchuu). Egli
non è il protagonista della storia, ma è un
personaggio al quale sono molto affezionata. Spero possa piacervi,
imparerete a conoscerlo e ad apprezzarlo... oppure a odiarlo!XD Per
quanto mi riguarda, lo adoro e mi piace molto scrivere su di lui!
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Gaea: Ahah! Grazie! ** Sì, più si
andrà avanti, più si avranno le tessere del
puzzle da comporre, ma non è detto che si possano incastrare
già da subito! ^^
Esatto, NevediNotte ha un fantasma protettore! ^^ Ed hai azzeccato
anche la seconda domanda, anche se ti dirò... le
"tenere creaturine" non si limitano solo a quello... *porge
orsetto gigante* *-* Ecco qua il tuo premio!XD
x Livin Derevel: x3 NevediNotte è una città molto
vecchia, in effetti!
La figura di Neve si può vedere come colei che,
generosamente, si prodiga affinché gli altri non passino
quello che passò lei, anziché provare rancore
verso i vivi e desiderare la loro morte. E' un fantasma che porta
rancore verso i propri carnefici, ma buono di spirito.
Beh, sì andando avanti sarà spiegato tutto
(spero! XD); ovviamente la spiegazione del nome della città,
come anche quella della storia degli "Antagonisti", verranno spiegate
più avanti, pezzo dopo pezzo! ^^ E grazie mille per i
complimenti!! ^///^
|
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Capitolo 6 *** 05. La Cicatrice della Vita ***
-
Hellcome to NevediNotte -
La Cicatrice della Vita
«Io sono nato morto...» borbottò freddo,
uscendo di casa, mentre i pochi fiocchi rimasti cadevano lenti.
Come ogni mattina, il Cacciatore si vestì e passò davanti
allo specchio, il quale rifletté la sua immutata immagine.
Alzò il lembo anteriore della maglietta per specchiare i
muscolosi addominali sulla vitrea superficie, ma dopo pochi secondi
sbuffò e lo rimise giù, andando a prendere la sacca e il
fucile per cominciare il proprio lavoro.
«Io sono nato morto…» borbottò freddo,
uscendo da casa, mentre gli ultimi fiocchi di neve cadevano lenti.
Il corpo di quell'uomo era pieno di cicatrici, ma gliene mancava una in
particolare e ciò lo rendeva diverso da tutti gli altri.
Il Cacciatore non aveva l'ombelico.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Inizialmente doveva
essere una Flashfic, ma ho avuto un incontro
ravvicinato del terzo tipo (il dentista) e sono abbastanza dolorante da
settimane, motivo per il quale l’ispirazione era
più per lo Splatter (complici alcuni episodi di Elfen Lied
che mi sono riguardata) che per il Dark ed ho preferito questa Drabble
che perdermi in malsani vaneggiamenti! XD
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Questo Capitolo si classificato 1° e
Vincitore di Premi "Giuria", "Miglior Titolo" e "Originalità" al
contest " Drabble and flash Collection" indetto da Deidaranna93 sul forum di EFP
Ecco i bellissimi banner che ho vinto!
Risposte alle Recensioni:
x Icer: *o*
Grazie per i complimenti! Quel film non l'ho mai visto, sorry, ma da
quanto ho capito non è stata una grande perdita! xD Comunque
ti - e vi - assicuro che non ci saranno Lupi Mannari, ma solo
normalissimi lupi e nemmeno Vampiri! Ci saranno altre creature (del
Fantasy), ma loro no! ^^ Nonostante mi piacciano, non c'entrano nulla
con la mia raccolta, quindi stai tranquillo!
*_* Conosco bene E. A. Poe... *^* Anni fa mi sono bevuta buona parte
delle sue opere! **
x Livin Derevel:
^^ Sì, avevo avvisato che alcune storie avrebbero parlato
anche del tempo presente e, purtroppo, l'atmosfera un po' calante
l'avevo notata anche io; spero di migliorarmi nei futuri capitoli che
parleranno di Koori - sono davvero soddisfatta del fatto che sia
piaciuto come personaggio! ^^ E non ti preoccupare per il ritardo! :*
x Gaea: *w*
Sì, Koori è un bravo bimbo! Prego, figurati per
l'orso! XD
x Arwen88:
^^ Ti ringrazio. Sono davvero felice che ti abbia interessata!
|
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Capitolo 7 *** 06. L'Estate dei Morti ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
L'Estate dei Morti
«Chissà... forse se
scavassimo... ne troveremmo
anche degli altri... nascosti dalla neve...»
Quell'undici Novembre c'era molto caldo per la temperatura
invernale alla quale siamo abituati. Era da qualche giorno che il cielo
appariva più terso e che le temperature, solitamente molto rigide,
erano miti nonostante la neve continuasse a cadere ogni notte, ma i
suoi fiocchi erano piccoli e quasi trasparenti, giusto come per dare
una simbolica spruzzata di bianco.
«Bambini, non correte!» sentivo la voce della mamma che ci rimproverava
con il solito tono calmo.
«Tranquilla, mamma!» le urlammo in coretto io e mia sorellina, mente
giocavamo a rincorrerci sulla neve ghiacciata.
C'erano diversi rovi di more per il bosco e non di rado andavamo a
coglierle direttamente da lì per poter fare dei dolci alla panetteria
che avevano i nostri genitori. Quel dì ci avevano accompagnato per
potersi godere anche loro quella bella giornata.
«Mamma, papà! Qui c'è pochissima neve!» urlò mia sorella, fermandosi
per disegnare uno smile sulla fredda e rada superficie.
«Sì, si sta sciogliendo un po' con questo calduccio.» confermai,
prendendo un bastoncino per scarabocchiare l'opera d'arte appena
terminata.
«Cattivo!» urlò l'artista incompresa, scagliandomisi addosso con
intenzioni decisamente non fraterne.
Alzatomi di scatto, mi buttai lateralmente addosso a un cumulo di neve
ai piedi di un albero, dove il sole non arrivava.
«Uffa!» urlò ancora mia sorella, lanciandomi addosso una palla di neve.
«Sei lenta!» la presi in giro, schivando il bolide e affondando le mani
nel cumulo di neve, prendendo una grossa quantità del deposito per poi
lanciarlo di rimando. Anche lei riuscì a scansarsi e la palla cadde a
terra, con uno strano tonfo, disfacendosi.
«Non mi hai presa! Non mi hai presa!» cantilenò, facendomi una
boccaccia.
Ma io non mi mossi.
«Cos'è? Ci sei rimasto male?» mi chiese, prendendomi ancora in giro.
La sua voce sembrava provenire da lontano: sentivo che parlava con me,
ma non la stavo ascoltando. La mia attenzione era solo per ciò che era
in terra, ancora in parte avvolto dalla neve.
«L—Lì...» balbettai, indicando il punto dove era atterrata la palla da
guerra.
«Cosa?» chiese lei, voltandosi a guardare, spalancando gli occhi
terrorizzata. Il suo grido di paura riempì l'intera montagna, con
un'agghiacciante eco.
«Siete stati voi a trovarlo?» chiese un poliziotto – che si trovava
casualmente al villaggio – ai nostri genitori, che ci tenevano vicini a
loro, per le spalle.
«No» disse piano nostro padre, muovendo appena la testa, abbassando gli
occhi a noi due. Mia sorellina ancora piangeva piano, sotto shock.
«Ragazzino, cosa è successo?» chiese con voce pacata, cercando di non
mettermi in difficoltà.
«Io e lei stavamo giocando a palle di neve... Io ho preso della neve da
quel cumulo, dove ora stanno lavorando il sindaco e gli altri, e
abbiamo visto che nella grossa palla che le avevo lanciato addosso,
c'era quella testa dentro...» raccontai, mentre la piccola mano della
sorellina mi stringeva la manica del giaccone.
«E poi?» chiese ancora.
«Dopo lei ha urlato e sono arrivati i nostri genitori che erano a pochi
metri di distanza... e hanno chiamato gli altri del villaggio».
«Ho capito...» fece il poliziotto, mentre il sindaco lo raggiungeva.
«C'è tutto il corpo» lo informò con un sussurro che si disperse assieme
alla leggera brezza, giungendo solo alle orecchie del gendarme.
«Ok» disse telegrafico questi. Non potevano dire una cosa del genere
davanti a dei bambini.
Il politico si congedò e si allontanò nuovamente.
«Dov'è la dottoressa dei mor—ehm...
il medico legale?» chiese mio padre, ansioso. «Vorremmo sapere da
quanto tempo quell'uomo era lì per poterlo scrivere sulla sua lapide e
dargli una degna sepoltura».
«La dottoressa è accorsa subito e ora è già al ponte radio insieme al
parroco» rispose il poliziotto. «Sta telefonando al suo collega a
valle. Purtroppo non abbiamo modo di risalire alla morte del cadavere
senza un esame istologico, e qui non abbiamo l'attrezzatura adeguata.
Gli agenti arriveranno presto, comunque. Questo periodo c'è il pericolo
di valanghe, quindi ci s’impiega un po' ad arrivare qui» cercò di
tranquillizzare i presenti.
«Va bene...» mormorò la mamma. «Ma mi chiedo come ce ne siamo potuti
accorgere solo ora...».
«Probabilmente ora la neve che lo ricopriva è minore rispetto al solito
e per questo il suo corpo è venuto fuori man mano che si scioglieva la
sua copertura...» ipotizzò l'uomo.
«Mamma...» singhiozzò la più piccola. «Quella testa era brutta...
Sembrava uno zombie...»
«Tranquilla, tesoro» fece la mamma, prendendola in braccio.
«Al cranio di quell'uomo, erano
ancora attaccati dei pezzi di carne, congelati, che la neve stava
lentamente corrodendo, come dimostrano i punti dove la struttura ossea
è ben visibile» borbottò il poliziotto, leggendo un foglietto
che doveva avergli lasciato la dottoressa dei morti. «È
impossibili datare il decesso utilizzando solamente la temperatura
rettale e il rigor mortis, in quanto l'uomo, che si presenta congelato,
è deceduto da troppo tempo, come dimostra lo stato di mummificazione di
alcune parti... Non mi sorprende che alla piccola abbia fatto
paura.»
«Poveri bambini...» sussurrò nostro padre. «Vedere queste cose alla
loro età...».
«Purtroppo può accadere a qualsiasi età...» disse cupo l’agente. «Ora
torno a cercare il sindaco, dovremo controllare la lista dei dispersi.
Voi tenetevi a disposizione».
«Va bene» lo salutammo, mentre si allontanava.
«Ora andiamo a casa, bambini...» disse la mamma. «Chiuderemo la
panetteria e farò una torta solo per voi, ok?».
«Sì» pigolammo, mentre tornavamo al villaggio.
Intanto il poliziotto aveva trovato il sindaco poco lontano che
guardava con occhio vago la montagna.
«Sta bene?» domandò l’agente, affiancandosi a lui.
«Sì» rispose con un profondo sospiro. «Pensavo...».
«A cosa, se posso essere indiscreto?».
«Chissà... forse se scavassimo... ne troveremmo anche degli altri... nascosti dalla neve...».
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Il
titolo di questo capitolo è tratto dalla Poesia
"Novembre" di Pascoli, che riporto per intero in fondo. In data 11
Novembre si festeggia San Martino e questo giorno è chiamato
"L'Estate, fredda, dei
Morti", dove si dice che ci siano giorni sereni
e si abbiano temperature miti. E' detta 'dei morti' perché
cade vicino al 2 Novembre, il giorno dei Morti. Estate fredda
è un ossimoro. E dopo avervi tediato con la letteratura, vi
auguro buona lettura!XD
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Novembre
Giovanni Pascoli
Gemmea l’aria, il
sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le
stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al
piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È
l’estate,
fredda, dei morti.
Risposte alle Recensioni:
x Arwen88: Grazie! E' veramente bellissimo ciò che mi hai
detto! Vuol dire che sono riuscita nel mio obbiettivo! **
x Gaea: Da dove è uscito? v///v Sshhh... Eh, non si dice!XD
Comunque ehmm... dovrai aspettare ancora un po' prima di sapere del
cacciatore... ehm... *va a nascondersi sotto la neve* (non preoccuparti
per le faccine, a me piacciono molto! ^^).
x Livin Derevel: Tutto sarà spiegato, pian piano!
Ritroverete il Cacciatore in altri capitoli più avanti
(scusate se non vi avevo avvisate!). Comunque, tranquilla, non mi
preoccupo, anzi! ^^ Ciò mi da grinta! *^*
|
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Capitolo 8 *** 07. Il Gatto delle Castagne ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
Il
Gatto
delle Castagne
Ella aveva un gatto
grigio con gli
occhi rossi che adorava stare accanto al camino per riscaldarsi e fare
compagnia alla vecchia padrona.
Cara
Nicole,
come stai?
Scusami per non averti
scritto l'altra settimana, ma ho avuto dei problemi con la scuola:
questo bimestre ho dovuto preparare dei compiti extra per i miei alunni
che, ti ricordo, hanno un'età che va dalla prima elementare alla quinta
superiore. Gli studenti saranno circa una trentina in tutto e molte
classi non esistono, ma ancora mi chiedo perché i genitori non li
mandino nella scuola a valle! Starebbero con altra gente e vedrebbero
altre realtà, eppure continuano a voler tenere i giovani qui... mah...
Almeno così me ne tornerei alla mia metropoli...
Comunque non era mia
intenzione tediarti con questi discorsi sulla scuola, dalla quale siamo
uscite ormai da anni!
Volevo raccontarti una
cosa strana accadutami stanotte...
Molte volte ci si raduna
insieme a tutta la famiglia davanti al caminetto, i motivi sono
molteplici: mangiare, studiare, chiacchierare. Ma alla fine solo uno è
quello che conta: stare insieme.
Ieri sera mi ero messa a
cucinare le caldarroste per quando sarebbero arrivati i miei figli e i
miei genitori.
Volevo fare loro una
sorpresa.
Era da un po' che non ci
riunivamo per mangiare.
Come sai, i miei sono di
qui ed io non tornavo a NevediNotte dai tempi della quinta superiore,
cioè l'anno prima di andare finalmente lontana da questo posto sperduto
e frequentare l'Università di matematica, così ho deciso di preparare
delle caldarroste e invitare tutti a cena a mangiarle.
Mio marito aveva acceso
il fuoco nel caminetto ed era andato a prendere i bambini da scuola (ti
assicuro, essere la maestra dei propri figli è terrificante!), quindi
ero sola in casa e stavo mettendo a cuocere le castagne nella padella
forata. Mi ero organizzata discretamente: avevo messo i tronchi sotto
una griglia di ferro dove sopra vi tenevo appoggiata la padella,
avvolta dalle fiamme, in modo che si cuocessero per bene. In questo
modo si accumulava la brace sul fondo della griglia, come sbattevo la
padella si staccava il guscio del frutto secco ed anche quello cadeva,
alimentando le ceneri.
La cena è stata un
successone! I miei genitori erano molto contenti e idem i bambini. Ci
siamo sistemati sui divani davanti al camino e abbiamo mangiato di
gusto, ma questa è la parte meno importante di tutta la faccenda;
l'unica nota è che mi sembrava di mettere a cuocere molte più castagne
rispetto a quelle che toglievo dal fuoco...
Finita la festa, i nonni
hanno messo i nipotini a letto e poi se ne sono andati. Mio marito
(che, come sempre ti rammento, fa il meccanico, e non il medico!)
si è ritirato quasi subito, visto che si alza molto presto al mattino,
così sono rimasta sola
in soggiorno a dare una sistemata.
La brace teneva caldo
l'ambiente, creando un bel tepore e mi era venuta quasi voglia di
addormentarmi sul divano, ma quando mi avvicinai al caminetto, cambiai
completamente idea. Avevo visto una cosa strana tra le braci rosso
acceso insieme alla cenere: c'erano come due occhi rossi. Erano di un
rosso scarlatto e intenso, ma luminosi come due tizzoni ardenti, e
sembravano fissarmi. Ho sbattuto le palpebre un paio di volte, ma ciò
non servì a scacciare quella demoniaca e grottesca visione. Ebbi paura,
lo ammetto. Il grigio che ricopriva la base del caminetto sembrava
voler celare il corpo della bestia nascosta che ci spiava immobile.
Mi ricordai le parole
della nonna, che diceva che nelle fiamme del fuoco si vedono le anime
dei dannati, e non seppi cosa fare.
Senza voltare la schiena,
arrivai fino alle scale e salii al piano di sopra in silenzio,
rimanendo seduta sull'ultimo gradino, vegliando affinché nessuno
salisse a disturbare il sonno della mia famiglia o a renderlo eterno.
Se qualcosa mi avesse assalita, in quel caso sarei stata abbastanza
vicina a camera di mio marito perché intervenisse in mio soccorso, ma
nulla fece la sua comparsa; sentii solo un po' di chiasso provenire dal
pianoterra ed un acuto rumore, come un urlo disumano. Rimasi seduta
sulle scale finché, ore dopo, non si svegliò il mio consorte,
trovandomi ancora lì.
Spiegato il fatto, mi
riaccompagnò giù e la nostra attenzione fu subito rapita da delle
piccole impronte di cenere che andavano dal camino alla gattaiola -
fatta fare dal vecchio proprietario della baita, da quanto mi hanno
detto i miei genitori - che si muoveva appena, come se fosse stata da
poco utilizzata. Tornati al caminetto, per fortuna quegli occhi
terrificanti non c'erano più e nulla saltò fuori dalle braci quando le
smossi. Nulla.
È da prima che cerco di
convincermi che era stata la stanchezza a farmi vedere e sentire cose
che non c'erano, ma quella sensazione che ebbi non ammette errori. Era
qualcosa di paranormale.
Stamane ne ho parlato con
la mia collega di materie umanistiche e mi ha raccontato di una
leggenda nella quale si narra che una vecchia signora fosse in grado di
preparare medicine miracolose o veleni potentissimi... Insomma, si era
guadagnata l'appellativo di Strega. Ella aveva un gatto grigio con gli
occhi rossi che adorava stare accanto al camino per riscaldarsi e fare
compagnia alla vecchia padrona. Quel gatto andava matto per le
caldarroste, erano il suo cibo preferito; gli piacevano talmente tanto
che aveva imparato a rubarle dai caminetti senza scottarsi o farsi
male, da qui "Il Gatto delle Castagne". Non è una presenza cattiva, né
buona, ma solo un giocherellone che si nasconde sotto la cenere, tra le
braci, continuando a rubare le caldarroste.
Fatto sta che non
cucinerò più castagne...
Ci sentiamo presto, amica
mia.
Non
vedo l'ora di tornare alla mia
metropoli.
Baci,
Claire
*+*+*+*+*+*+*+*+*+*
«Miau...» miagolò un
piccolo e niveo gattino, camminando leggero sulla neve, con il musino e
il groppone sporco di cenere, la quale lo faceva apparire grigio, che
man mano si ricopriva dei fiocchi che cadevano.
«Psss pss pssssss...» lo chiamò un'altrettanto algida
figura, levitante in posizione seduta sullo steccato di recinzione del
villaggio «Sei andato di nuovo a rubare le castagne?» chiese,
abbassando la mano.
«Maiu!» si leccò il musino, in gesto affermativo, saltando
su quello spettrale palmo.
«Che monello! Non si ruba» lo sgridò affettuosamente,
pulendolo dalla cenere. «La tua padrona non sarebbe contenta, sai?»
«Mié! Frrr... frrr...» miagolò, per poi fare le fusa,
chiudendo gli occhioni color rosso fuoco.
La bianca donna se lo poggiò in grembo, dove si era
depositata della neve, coccolandolo.
Alcuni minuti dopo, cominciò a vedere i fiocchi sempre più
piccoli, segnale che stava per arrivare l'alba.
«Tra poco sarà mattina, piccolo poltergeist. Andiamo
insieme a riposare. Anche domani notte dovrò vegliare sul nostro
villaggio» sussurrò, riprendendo a fluttuare sopra la neve a passo
lento.
«Mao...».
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Il
fatto che sul poltergeist e su Neve si depositi della neve
è voluto, non si tratta di un errore. ^^
Poltergeist:
si tratta di uno spirito rumoroso
(dal tedesco "geist"
spirito e
"poltern" bussare),
solitamente legato alla presenza di una
persona in un particolare stato psico-fisico, che provoca spostamento
di oggetti ed urla che squarciano il silenzio, ben diverso dagli altri
fantasmi, più silenziosi e dalla presenza appena
percettibile. Nella nuova terminologia della parapsicologia, questo
termine viene oggi espresso con l'acronimo inglese RSPK (Recurrent
Spontaneous Psychokinesis), che significa "Psicocinesi Spontanea
Ricorrente". Essendo questa una Raccolta Noir/Dark Fantasy, mi baso sul
vecchio significato del termine: il rumore è dato dai
miagolii del gatto, gli oggetti che si muovono sono le castagne o
comunque qualunque cosa che il micio usi per giocare, mentre la persona
vera e propria in questo caso non c'è, infatti si tratta di
una cosa, o un cibo per meglio dire, difatti il poltergeist si presenta
quando ci sono di mezzo le caldarroste (castagne + caminetto acceso).
Spero di aver dato una spiegazione esaustiva per la mia scelta di
utilizzare un poltergeist.
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Livin Derevel: x3 Bravissima! Beh, a sentire il sindaco,
è
molto probabile, sì sì...
ù_ù Chissà +w+ ... Grazie dei
complimenti! ^_^
x KissOfDeath: *____* Grazie mille!!! *si asciuga le
lacrime di gioia*
E poi... conosci Nightfall!! *^* Non puoi capire la mia gioia nel
sapere non sono la sola al mondo ad ascoltare gli Stratovarius! xD Sono
felice che la storia ed i personaggi ti piacciano!
Piccolo Spoiler... nel prossimo capitolo ci sarà nuovamente
Koori! <3
|
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Capitolo 9 *** 08. Il Rifugio dei Viaggiatori ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
Il Rifugio dei Viaggiatori
Nel bosco c'è una strana
casa sull'albero...
Gli anfibioni neri con le zeppe affondavano pesantemente
nella neve bianca, la quale scricchiolava sotto il loro peso che la
faceva diventare ghiaccio.
Nero su bianco.
Era così che appariva Koori sulla neve, come una goccia d'inchiostro su
un foglio.
Al suo seguito, sempre fedele, vi era il suo lupo, Fenrir. Da quando
anni prima lo aveva adottato, i due non si erano mai più separati.
Adoravano stare in compagnia per il bosco, unico luogo evitato dalla
gente e, quindi, silenzioso e quieto, proprio come loro due.
Anche quella sera, il ragazzo aveva deciso di uscire di notte per fare
una capatina nel suo posto preferito, ma qualcuno lo stava seguendo.
«Devi tornare a casa, Koori» lo riprese verbalmente, il parroco.
«No» sbuffò l’altro per l'ennesima volta.
«È quasi calato il sole» gli fece notare, mentre uscivano dallo
steccato di protezione del villaggio. «È mio dovere riportati a casa. I
tuoi genitori sara—» continuò a dire, ma venne interrotto
maleducatamente dal ragazzino.
«I miei genitori lo sanno».
Koori non era mai riuscito a legare veramente con nessuno della sua
età, preferendo gli anziani del villaggio ai suoi coetanei, ma,
nonostante ciò, non vantava un'educazione di prima classe. Anzi, era
piuttosto rozzo...
«Sì, e sono molto preoccupati: ecco perché mi hanno chiesto di
intervenire. È già da una settimana che...».
«Due» lo corresse telegrafico, cominciando ad addentrarsi nel bosco.
Il prete rimase di stucco a quelle parole, perdendo il passo per poi
recuperarlo qualche secondo dopo. Nonostante Koori fosse ancora un
ragazzino, aveva il passo da bersagliere!
«Ma ti rendi conto?!» cercò di convincerlo. «I bravi ragazzi non vanno
la notte nel bosco!»
«I bravi ragazzi non si vestono nemmeno di nero, né ascoltano metal»
gli rinfacciò. «E vanno anche in chiesa. Non sono un bravo ragazzo ai
tuoi occhi, prete».
Sin da quando era piccolo, Koori veniva trascinato in chiesa con la
forza dai propri genitori, tanto che i segni delle strisciate dei suoi
piedini dalla sua casa alla chiesa sembravano impronte di sci.
Crescendo, i genitori non l'avevano più costretto e lui si era
volontariamente avvicinato a una sorta di laicità, pur rispettando
sempre tutto e tutti, soprattutto gli animali e le piante, come aveva
dimostrato anni prima, salvando il proprio lupo da un branco di
ragazzini. Ma non era solo questo che lo rendeva diverso agli occhi dei
compaesani: vestiva praticamente sempre di nero o, perlomeno, con
colori scuri, indossava borchie e croci, pur non essendo cristiano, e
teneva i suoi capelli lunghi d’ossidiana lunghi fino alla vita, andando
fiero della loro bellezza. A causa del suo carattere molto chiuso e
discostato, non gli si avvicinava mai nessuno e passava le sue giornate
a dormire a scuola, ascoltare musica (il suo buon metal) e imparare dal
più anziano del villaggio come si suonasse il violoncello; mentre la
notte la trascorreva all'aperto, nel bosco, senza preoccuparsi di ciò
che dicevano gli altri a proposito delle creature che ivi abitavano.
«Koori Anchuu» lo chiamò a bassa voce il parroco. «Il tuo nome
significa Ghiaccio nell'Oscurità, ma non per questo devi comportarti in
modo così freddo e prediligere l'Oscurità alla Luce...» gli sussurrò.
«Sto solo cercando di aiutarti.»
A quelle parole, Koori accarezzò il lupo e gli diede un colpetto per
farlo andare lontano.
«Allora, se proprio mi vuoi aiutare, lasciami in pace» ringhiò,
correndo velocemente appresso al suo fedele compagno.
Non riusciva a sopportare tutti quei discorsi, alle suo orecchie,
incoerenti e ipocriti.
«Aspetta, Koori!» urlò il prete, correndogli dietro.
Non poteva permettersi di perderlo di vista. I genitori del ragazzo
avevano già provato a parlare al proprio figlio senza riuscire a
convincerlo e, quando lo avevano rinchiuso in casa, lo avevano visto
fuggire saltando giù dalla finestra della sua stanza, al primo piano.
Non sapendo cos'altro fare, avevano chiesto l'intervento del prete del
villaggio, un uomo molto buono e che conosceva bene il bosco, per
convincerlo a cambiare stile di vita e, soprattutto, di non farlo
uscire da NevediNotte dopo il tramonto.
Tutti, perfino Koori stesso, sapevano che il bosco era pericoloso, ma
il moretto continuava a contravvenire a quella legge non scritta che
vige nel villaggio, tornando ogni mattina soddisfatto e senza nemmeno
un graffio, in compagnia di Fenrir.
«Tornatene al villaggio! Le brave persone non escono da là, la notte!»
disse di nuovo Koori, prima di sparire tra gli alberi, e il leggero
nevischio che si stava creando a preannunciare la nevicata notturna.
Il ragazzino era molto deluso da quella situazione che si era andata a
creare. Sapeva bene che c'erano delle bestie, ma sapeva anche di non
essere solo in compagnia del suo lupo. Più di una volta aveva visto
orsi, alci e altri lupi, ma non lo avevano mai infastidito;
l'importante sarebbe stato rispettarli.
"Perché tutti gli esseri umani sono così ciechi e stupidi?" pensò,
fermando la sua corsa vicino a un cumulo di neve. "Non c'è nulla nel
bosco oltre gli animali... A meno che non abbiano fame o non si
sconfini nel loro territorio sono pacifici."
Nonostante tutto quello che la gente del villaggio diceva, Koori non
credeva nell'esistenza di fantomatici mostri nascosti lì: in tredici
anni non aveva mai visto nulla di strano, a parte il comportamento
degli uomini e, a pensarci, una strana figura arboricola... Ma ancora
si chiedeva se non fosse stato tutto frutto della sua immaginazione.
«Sono tutte cavolate...» borbottò, facendo per sedersi sul cumulo
fresco, quando un urlo disumano gli venne portato alle orecchie dal
vento che sibilava tra gli arbusti. Non poteva sbagliarsi: era la voce
del parroco. «Che avrà combinato?» sbuffò, rimettendosi in piedi.
Mosso dal rimorso per averlo lasciato solo, richiamò Fenrir e corsero
insieme verso quella voce che avevano sentito.
"Spero che sia solo per uno scoiattolo!" pensò, facendo segnale al lupo
di avanzare senza attenderlo, visto che il buio e la neve caduca lo
rallentavano troppo per riuscire a tenere il quadrupede passo del
canide.
Pochi secondi dopo, giunsero alle sue fini orecchie dei rumori di lotta
tra bestie e, al suo arrivo, trovò i distintivi segni dell'aggressione
sulla neve fresca e candida. Fenrir stava a pelo irto e le orecchie
tese all'indietro, digrignando i denti verso un punto non meglio
identificato della macchia, facendo da protezione al parroco.
«Koori!» esclamò l'uomo nel vederlo arrivare.
Aveva la schiena contro un albero e sembrava avere appena visto
l'Inferno.
«Prete!» lo chiamò anche il ragazzino, andando verso di lui. «Che è
successo?» gli chiese, sapendo già che non aveva riportato ferite,
visto che il colore che regnava lì era il bianco.
«Era... una di quelle cose per cui ti dico che il bosco è
pericoloso...» farfugliò.
«Scommetto che era una volpe bianca...» sbuffò, porgendogli la mano per
aiutarlo ad alzarsi. «Su, andiamo. Ti riaccompagniamo al villaggio»
l'uso del plurale maiestatis,
era ad indicare che, in realtà, era sempre Fenrir a ritrovare la strada
per casa, visto che il senso dell'orientamento del moro era talmente
tanto scarso che si sarebbe perso nella sua stessa camera!
E fu proprio il suo lupo a metterlo nuovamente in guardia, girandosi di
scatto verso un'altra direzione, e poi un'altra ancora, continuando a
ringhiare e digrignare i denti, pronto all'attacco.
Il giovane ci mise un attimo a capire: erano circondati.
«Merda...» imprecò.
«Koori!» lo sgridò il parroco, mentre si alzava grazie al suo supporto.
«Prete, sai correre?» gli chiese, tenendogli ancora la mano.
«Eh? Sì...» rispose, ancora troppo scosso dall'accaduto per capire dove
volesse arrivare il ragazzo.
«Allora corri o torneremo a casa in pezzi!» disse, trascinandolo via.
«Fenrir! Alla Treehouse!» ordinò al lupo, che si mosse velocemente,
superandoli e aprendo loro la strada.
Koori non sapeva quanto fossero vicini o meno dalla casa sull'albero
che aveva trovato pochi giorni prima, ma sapeva di potersi affidare a
Fenrir per quelle cose: insieme erano una squadra.
«Ma che succede?!» domandò l'uomo.
«Non l'hai capito? Eravamo circondati! Ma che cavolo hai combinato per
far infuriare così tanto delle povere bestie?!» chiese retorico,
allungando il passo quanto più potesse.
«Mi ha aggredito!».
«Chi?!» ruggì, sentendo i pesanti passi dei loro inseguitori alle
calcagna.
Il parroco non rispose a quell'ennesima domanda sull'accaduto e mise le
ali ai piedi pur di raggiungere il prima possibile un riparo per sé e
per il ragazzo; sarebbe stato pronto anche a sacrificarsi per la vita
di Koori, ma se era possibile salvare ancora capra e cavoli, tanto
valeva tentare.
Dopo alcuni minuti di corsa estenuante, Fenrir si fermò alle radici di
un grosso albero, senza abbaiare, attendendo il padrone.
«Bravo» lo lodò Koori, spingendo il prete contro l'albero «Sali,
presto» gli ordinò.
L'uomo sollevò il volto e vide una sorta di strana casa sull'albero.
Ecco cosa voleva intendere il ragazzo.
«Va bene» asserì, vedendo che anche l’altro si stava arrampicando
velocemente su per il grosso tronco. Doveva essere veramente pratico di
quel posto, perché la scalata era molto difficile, tanto che il
ragazzino dovette aiutare il parroco a finire di arrampicarsi fino alla
strana impalcatura coperta e circolare attorno al tronco, a diversi
metri da terra.
«Aiutami!». Koori lo strattonò per una manica appena arrivarono al
riparo, portandolo verso un grosso cesto, che buttò giù dall'albero,
tenendolo per una lunga fune.
«Che fai?» chiese il parroco, trovandosi in mano parte del cappio della
corda.
«Bauf!» si sentì da sotto.
«Fenrir non riesce ad arrampicarsi fino a qui!» sbraitò. «Tira quella
corda. Non pretenderai mica che lo lasci giù! Quelli sono in troppi! Lo
sbranerebbero!»
Sorpreso da quanto Koori tenesse al suo "animale da compagnia", il
prete lo aiutò a portarlo su, sentendo il lupo ringhiare quando diversi
versi giunsero alle loro orecchie.
Le creature erano arrivate e loro avevano fatto giusto in tempo.
Il moro lo incitò a sollevare la cesta più in fretta e il lupo balzò
velocemente dentro la casa sull'albero, ancora con il pelo dritto e i
muscoli tesi.
«Uff...» sbuffò il ragazzo, sedendosi con la schiena contro il tronco,
cercando di tranquillizzare il lupo «A meno che quelli non siano puma,
siamo in salvo qui.»
«Non ne sono certo...» rispose il prete, utilizzando quel piccolo
momento di calma per pregare.
Koori non osò disturbarlo in quell'atto molto importante e si affacciò
dalla balaustra, vedendo delle indistinte figure nere che giravano
sotto l'albero. Con la poca luce lunare a disposizione e la neve che
continuava a cadere, era abbastanza difficile riuscire a capire bene
cosa fossero.
«Koori...» soffiò piano l'uomo, uscendo dal suo raccoglimento
spirituale. «Quelli non sono animali, sono demoni. Il bosco ne è pieno».
«Vaccate!» rispose secco e scocciato. «Figurati se il Diavolo si
scomoda per mandare i suoi demoni in un posto sperduto come questo!».
Proprio in quel momento, si udirono delle vibrazioni date all'albero e
i due giurarono di aver visto delle zampe (o erano mani?) aggrapparsi
alla balaustra, per poi ritrarsi con un verso di dolore, e sentire il
rumore dei corpi che ricadevano sulla neve, uggiolando.
«Che...?» si chiese Koori «Riescono ad arrivare fino a qui?»
«Non hai visto? Non sono animali!»
«La fame fa diventare demoni» rispose, sollevandosi la sciarpa fino
agli zigomi. «Non abbiamo altra scelta, comunque. Se riescono a salire
li buttiamo giù.»
Il prete si rinchiuse in un tombale silenzio, camminando per tutta la
circonferenza della Threehouse, per controllare che le bestie non
provassero a risalire, e, nel frattempo, passò la mano sui paletti di
confine, scoprendo che erano tutti intagliati e ricoperti da degli
strani simboli, ed ebbe la sensazione di sentirli... caldi.
«Li hai fatti tu?» chiese al ragazzo.
«No, erano già così rovinati» spiegò. «Non ho toccato assolutamente
nulla da qui. Ho solo trasportato la cesta per Fenrir» rispose,
portandosi le ginocchia al petto. «Se vuoi dormire sto sveglio io» si
propose.
«No, semmai sarebbe il contrario» gli fece notare l'uomo.
«Tanto non riesco a dormire di notte» sussurrò, usando il lupo come
scaldapiedi. «Ora dobbiamo solo attendere che se ne vadano da soli...».
Nonostante i vari rumori che si susseguivano di continuo sotto
l'albero, le urla e i diversi tentativi delle creature di salire fino
alla casetta, i due si sentivano al sicuro, riparati da quelle assi,
come se si trovassero all'interno di una bolla capace di isolarli dai
pericoli della notte.
Passate parecchie ore, dove nessuno dei due aveva chiuso occhio, chi
per un motivo, chi per un altro, sembrò quasi che i rumori fossero
cessati e che non ci fosse più nessuno lì sotto, ma entrambi
concordarono sul fatto che fosse sconsigliato muoversi senza luce.
«Chissà che ore sono...» borbottò il parroco, guardando il cielo nero
che ancora veniva spruzzato di neve.
«Non lo so...» rispose il moro. «Brrr... Rimanendo fermi fa ancora più
freddo...».
All’improvviso, un botto sul tetto della Treehouse li fece sobbalzare
entrambi. Era molto più pesante del classico cumulo di neve che cadeva
dai rami più alti.
«Auta i lómë...».
I due sentirono distintamente quelle parole, rimanendo di stucco.
«Eh?» fece il prete, alzandosi in piedi, diretto alla balaustra per
sporgersi a verificare chi ci fosse sulle loro teste. «Ma, che...».
«Non affacciarti!» lo sgridò Koori. «Vuoi che quelle bestie saltino e
ti afferrino?».
«Voglio vedere cos’è» spiegò, ma il ragazzo lo trattenne ancora.
«Non so chi sia, ma è un amico».
«Come fai a saperlo?» chiese, girandosi verso di lui.
«Perché ha risposto alla nostra domanda: "La notte sta per finire"».
Il parroco rimase sorpreso. «Hai capito cosa ha detto? Che lingua
era?».
«Non lo so» rispose sincero, scotendo la testa. «Ma rimani qui ancora
un poco, guarda» disse, indicando verso l’esterno, dove la neve si
stava facendo sempre più fina.
«Tra poco vedremo finalmente la luce di Dio che scaccerà i demoni,
dissipando le tenebre» sorrise l’uomo, segnandosi.
«Non sono demoni» continuò a sostenere Koori. «Sembrano più animali
affamati».
«Tu non sai tutte le leggende di questo posto, e in ogni leggenda c’è
un briciolo di verità».
«Prete?» lo chiamò Koori, sollevando appena un sopracciglio. «Ora che
ci penso, tu non sei forse anche un esorcista?» domandò, accarezzando
il lupo.
«E con ciò?».
«Perché, allora, non li scacci?».
«Non è così semplice» la chiuse lì, continuando a guardare fuori, ad
una spanna dalla balaustra. «Dopo stanotte, almeno, non uscirai più
dopo il tramonto» rise soddisfatto.
«E perché non dovrei?» chiese il ragazzino, facendo sussultare il
parroco, il quale si girò a guardarlo. «La colpa di tutto quello che è
successa è a causa della tua presenza».
«Prego?».
«Io li sento tutte le notti annaspare l'aria vicino a me, eppure non mi
attaccano mai, infatti Fenrir non si è mai comportato in quel modo»
spiegò, grattando il lupo dietro le orecchie. «Quindi lascia perdere la
predica» borbottò, alzandosi e scendendo con maestria dall'albero,
assieme al lupo.
Il prete li guardò mentre sparivano tra gli alberi e, lentamente, si
fece il segno della croce, chiedendo al Signore di proteggere quel
ragazzo dagli occhi bicromati.
“Padre, Koori sta solo seguendo il richiamo di questo bosco... Stanotte
mi ha dimostrato di essere buono... Non ci sarà più da preoccuparsi:
non è dalla parte dei demoni...”.
§Fine§
XShade-Shinra
- Note:
“Auta i
lómë” - "La notte
sta per finire": mi state chiedendo che lingua
è? Eh-eh...
Se ve lo dicessi, vi rovinerei la sorpresa! XD
Scusatemi per l'immane ritardo!!!
ç*ç I contest mi hanno uccisa! Spero che questo maxi-capitolo sia stato di
vostro piacimento! ^^
Vi consiglio di cercare per la rete
le immagini delle "Treehouse",
nome inglese della casa sull'albero,
perché ce ne sono davvero di stupende!
Inoltre, per questo capitolo necessito di una breve nota personale: non
tutti i miei personaggi devono abbracciare il mio stesso pensiero
religioso e, di certo, non voglio offendere nessuno con alcune parole
dette da loro.
In questo corposo capitolo, Koori e il prete hanno un incontro
ravvicinato con le creature che vivono nel bosco.
Demoni, animali, mostri?
Questo lo scoprirete solo andando avanti con la lettura... (Io
però lo so! Bwahahah! *sclero*)
Alla prossima! ^^
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Gaea: *_*
Hai un cane? Io li adoro! <3 In effetti volevo
rendere un po' di atmosfera natalizia!XD Sono contenta che ve ne sia te
accorte! ^^
x KissOfDeath:
xD ahah! No, no, l'atmosfera natalizia in
realtà c'era! ^^ E scusa ancora per il ritardo di questo
capitolo! ç_____ç
x Livin Derevel:
Ti ringrazio per i tuoi complimenti, sono sempre
bellissimi! *^*
|
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Capitolo 10 *** 09. I Giorni della Merla ***
-
Hellcome to NevediNotte
-
I Giorni della Merla
In questi giorni, il
gelo
è ancora più forte.
Freddo.
Solo questo si avverte nell'aria.
Il gelo avvolge ogni cosa, abbracciandola nella mortale stretta di un
roveto che perfora le carni con le sue pungenti spine, che arrivano
fino alle ossa.
Si dice che questi siano i giorni più freddi dell'anno, e
anche qui, nonostante la neve perenne, ci accorgiamo di questo
cambiamento.
C'è talmente tanto freddo che i pensieri sembrano congelarsi
nell'aria, lasciando così visibili i nostri più
reconditi segreti e le nostre ancestrali paure, mettendoci a
nudo davanti ai demoni che infestano le notti ed entrano nei sogni,
trasformandoli in incubi.
L'unico modo per far fronte al soffio di Jack Frost, che circonda i
nostri monti, è quello di stare al riparo nella propria
casa, protetti nella soffice trapunta davanti al caminetto o
nel letto della camera; e far finta di non udire il sibilare dei
pugnali di ghiaccio scagliati dal vento durante la tormenta e
la macabra risata dei pupazzi di neve fatti al di fuori dello steccato
del villaggio che giocano a celare dentro loro stessi i
cadaveri degli avventurieri ibernati.
È proprio durante queste sere così tetre che ci chiediamo
se chi trema lo faccia solo per il freddo o anche per la paura.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: I giorni della merla:
Secondo la tradizione, sono gli ultimi tre
giorni di Gennaio e vengono considerati i giorni più freddi
dell'anno.
Jack Frost:
nella mitologia celtica, Jack Frost è lo spirito
dell'Inverno, il Gelo.
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x KissOfDeath:
*da subito un orsachiotto per pagarle il silenzio
ù_ù * Sì, ho capito che hai indovinato
la lingua, brava! x3 Quante domande che mi hai posto in questa
recensione!XD Innanzitutto, sono lieta che il capitolo ti abbia
pienamente soddisfatta, ma soprattutto che la storia ti incuriosisca
sempre di più! ** Però a due domande ti rispondo
immediatamente: "perchè qualcosa non va.. vero? quelli non
sono semplici animali, vero?" *w* Ovvio che non sono semplici
animali... C'è qualcosa nel bosco... E mi sa che presto
scoprirete finalmente di cosa si tratta... *w*
x Livin Derevel:
Ahah! ^^ Non preoccuparti per il ritardo, mi dispiace
per il tuo pc! ç_ç Comunque sono molto felice che
il capitolo ti sia piaciuto! ** Le tue domande troveranno risposta,
alcune anche molto prima di quanto immagini. ^^
|
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Capitolo 11 *** 10. Le Orme di Sangue ***
-
Hellcome to NevediNotte -
Le Orme di Sangue
E, seguendo quelle
orme di sangue, la ragazzina vide un qualcosa nel bosco...
La porta della piccola
cameretta si aprì con un leggerissimo
cigolio dei cardini – il rumore si udì come un urlo rauco nel silenzio
tombale che regnava per la baita.
«Sei ancora sveglia?» domandò, in tono stizzito, la donna
appena
entrata, vedendo la figlia con l’abatjour ancora accesa, intenta a
leggere sul letto un libro abbastanza voluminoso.
«Ora spengo, mamma» rispose la giovane.
«L'hai detto anche tre ore fa. Spegni. Sono le due e mezza
di notte» sibilò, guardandola con severità.
«Uff...» sbuffò la ragazzina, chiudendo il suo libro
preferito: un atlante del corpo umano per ragazzi.
Lo ripose sul comodino e, con indosso solo una lunga
maglietta bianca
che fungeva da pigiama, si alzò dal letto, diretta alla porta.
«E ora dove vai?» le domandò la madre.
La ragazzina scosse la testa disperata.
«Devo andare in bagno.» rispose, superandola e scendendo la
scale per poi chiudendosi alla toilette.
Restò appoggiata di schiena alla porta, sentendo poi il
genitore
borbottare come una caffettiera e camminare presumibilmente verso la
propria stanza.
Era sempre così in quella casa: la madre si alzava e la
sgridava ogni
notte perché faceva tardi e l'indomani doveva andare a scuola; ma alla
ragazza bastavano poche ore di sonno per stare bene: non amava
particolarmente dormire. Diceva, infatti, che da morta avrebbe avuto
tutto il tempo per dormire e che ora voleva assaporare la vita,
placando la sete di conoscenza che sentiva dentro.
Era sempre stata un'appassionata di medicina generale e il
suo più
grande desiderio sarebbe stato quello di diventare un medico, un
giorno. Non aveva la presunzione di riuscire a salvare la vita a tutte
le persone del mondo, ma solo di poter fare qualcosa per chi si trovava
in difficoltà, impegnandosi con tutta se stessa.
I genitori, però, erano molto severi e non le permettevano
di stare
alzata dopo le undici di notte, neanche fosse solo per leggere, oppure
tornare a casa a meno di due ore dal tramonto o, peggio ancora, uscire
di casa dopo il tramonto - neanche a patto di restare dentro il
villaggio.
«Questa casa è una prigione...» borbottò piano, facendo ciò
per il quale si era recata ai servizi.
Quando ebbe finito, si alzò e si lavò le mani, volgendo lo
sguardo
fuori dalla finestra, al grande bosco che circondava il villaggio che
veniva spruzzato di neve.
«Che bella la neve...» sussurrò, aprendo la finestra e
toccando quella
che si era depositata sul davanzale, sorridendo. Anche se NevediNotte
era un paesino di montagna abbandonato da tutto, amava quel posto così
magico.
All'improvviso vide una strana ombra che camminava appena
fuori dalla
recinzione del villaggio: arrancava piegata in avanti e, dall'andatura,
sembrava che zoppicasse.
Preoccupata più per la salute di quell'individuo che per il
tabù
infranto – quello di non uscire dallo steccato che circolava il
villaggio mentre nevicava –, scavalcò con agilità il davanzale e
camminò velocemente verso la figura, la quale, nel frattempo, si era
infilata nel bosco.
«Ehy, aspetti!» gli urlò dietro quando non la vide più.
La neve peggiorava la vista già di per sé difficile a causa
dell'oscurità – solo la presenza della mezzaluna nel cielo permetteva
di vedere nelle tenebre – e la ragazza decise di saltare lo steccato
per andare alla ricerca del ferito.
Se voleva diventare medico, non poteva permettersi di
lasciar andare
una persona da sola e per di più di notte in quel bosco temuto da tutti.
“E se si sentisse improvvisamente male? Chi lo
soccorrerebbe?” erano
questi i pensieri nella testa della giovane, mentre cercava sulla neve
le tracce dell'uomo.
Purtroppo, la continua caduta di fiocchi copriva molto
velocemente le
impronte, ma, tra sbigottimento e preoccupazione crescente, la ragazza
vide che i segni di quell'uomo non venivano spazzati via con facilità
dalla neve: al posto delle comuni fossette date dallo sprofondare dei
piedi sulla neve, ella vide una scia di sangue rosso scuro con delle
orme rosse che si addentravano nel bosco.
Le seguì dapprima con gli occhi, poi si diede una scrollata
e, benché
stesse praticamente congelando così vestita e senza scarpe indosso –
proprio come quell'individuo –, iniziò a seguire le tracce rosse,
nascondendosi appena dietro i grossi tronchi di alberi sempreverdi.
Dopo diversi minuti si trovò quasi inghiottita
dall'oscurità della
notte, ma non demorse e continuò la sua strada, sempre più preoccupata.
Si aspettava da un momento all'altro di trovare quel tizio accasciato a
terra, e lei non aveva nemmeno la cassetta del pronto soccorso appresso!
“Come ho potuto dimenticare il kit?” si domandò
mentalmente, arrabbiandosi con se stessa. “Sono stupida, imbecille,
cretina...”.
D'un tratto però dovette smettere di auto-complimentarsi
perché sentì dei rumori. Dei versi.
Cautamente, continuò a seguire le orme, ma notò che più
proseguiva e più i rumori diventavano forti.
“I lupi?” si domandò, terrorizzata. “E se lo avessero
ucciso?”.
Sbarrando gli occhi, si accantucciò davanti a un cespuglio
che
costeggiava le orme rosse e guardò dietro di esso per stare al riparo
dai canidi selvatici che credeva ci fossero lì dietro. Ma ciò che vide
le fece caldamente rimpiangere i "gentili" lupi che giravano per quelle
montagne.
Vide a stento le orme che terminavano e un gruppo di esseri
a cerchio
attorno a un qualcosa che stavano sbranando. Poteva sentire i versi
animaleschi dei carnivori, ma ne intravedeva anche i lineamenti
umanoidi: le braccia, le gambe, il tronco e la testa.
Li vedeva staccare, a morsi e con la forza delle mani, la
carne dalla
loro vittima, schizzando la candida e vergine neve e sporcandosi di
sangue mentre pasteggiavano con quella vittima... la quale si muoveva
ancora, ma uno degli esseri teneva una zampa - o era una mano? - sulla sua bocca
e, per questo, non riusciva a emettere alcun suono.
Quelli non erano né animali, né umani e stavano mangiando
un essere
ancora vivo, probabilmente solo perché era ferito e quindi più debole
di loro.
La ragazza rimase paralizzata a quella scena degna di un
film
dell'orrore e aprì la bocca per urlare... ma una forte mano si spalmò
con forza sulle sue labbra, impedendole di firmare la propria condanna
a morte richiamando a sé l'attenzione di quelle creature.
Spaventata, la giovane girò lo sguardo con gli occhi
traboccanti di
lacrime e vide una figura che tutto il villaggio conosceva molto bene:
il Cacciatore.
«Shhh!» fece solo, trascinando poi la concittadina dentro
la recinzione
del villaggio, tutto in rigoroso silenzio. Né la ragazza, né il
Cacciatore parlarono lungo il percorso; solo quando oltrepassarono lo
steccato l'uomo le liberò la bocca, prendendo poi la parola: «Cosa ci
facevi lì?» domandò burbero, buttando a terra la ragazza, che rimase
tra la neve con il capo chino. «Non lo sai che non si esce dal
villaggio la notte?!» la rimproverò, dando un calcio alle bianche
coltri così che le andassero addosso.
«Io... io...» balbettò, cercando di asciugarsi le lacrime.
«Cosa erano quelli?» domandò, infreddolita e impaurita.
«Cose che tu non dovevi vedere» rispose freddo.
La giovane continuò a singhiozzare, e si strinse le braccia
al proprio tronco.
«Perché non hai salvato quell'uomo?» chiese. «Io stavo
bene...».
«Se avessi urlato, ti avrebbero ammazzata» rispose.
«Quell'uomo... lo stavano mangiando... Era ancora vivo...»
tremò.
«Non era un uomo» rispose freddo, girandosi in direzione
della propria casupola.
La ragazzina rimase in silenzio, riflettendo sulle parole
del Cacciatore.
«Che... Che vuoi... dire...?» domandò.
«Vai a casa!» le ordinò.
«Non posso!» urlò. «È tutta colpa mia... se solo lo avessi
fermato prima...».
«Non avresti potuto» disse duro. «Ti avrebbe uccisa» e
detto ciò, cominciò a camminare, affondando gli scarponi tra la neve.
La giovane si alzò in piedi e lo raggiunse, afferrandolo
per il grosso giubbotto in quella che pareva essere renna.
«Cosa c'è nel bosco?!» urlò in lacrime.
Cosa aveva davvero visto al di fuori del villaggio?!
A quel punto, il Cacciatore prese il fucile e lo puntò
contro la fanciulla.
«Non fare l'impicciona e torna a casa!» tuonò. «E ringrazia
il tuo dio
se ti ho vista prima, mentre uscivi dalla finestra, altrimenti saresti
morta anche tu insieme a quella cosa, da sola in quel bosco».
Lei rimase a guardarlo, le lacrime scorrevano copiose lungo
le sue guance.
«Tu sai cosa c'è lì!» sembrava un'accusa. «Perché nessuno
mi dice mai
nulla? Io voglio solo sapere cosa facevano quegli uomini!».
«Non sono uomini» replicò.
«E cosa sono?!»
«Per me sono animali, per il prete demoni, per voi sono
"creature"...»
rispose, afferrando la bimba per il polso e buttandola nuovamente tra
la neve. «Vai a casa» ringhiò ancora, camminando via.
«Ma non è giusto!» urlò tremante. «Perché non vuoi dirmi
cosa sono?!».
«Solo le loro vittime potrebbero risponderti a questa
domanda» disse
cupo, senza voltarsi, e continuando a procedere per la sua strada,
mentre la ragazzina rimaneva sdraiata tra la neve.
Strinse i pugni in quel morbido e gelido candore,
sbriciolando la neve
nel proprio palmo. I tremori che la attraversavano erano un misto di
rabbia, freddo e paura.
«Allora studierò...» sussurrò, «...e farò in modo che anche
i morti mi
possano parlare... Mi occuperò di loro... non renderò vane le loro
morti... e darò loro giustizia!» disse decisa, alzandosi e correndo
verso casa, sperando che nessuno si fosse accorto della sua assenza.
*+*+*+*+*+*+*+*+*+*
Anni
dopo.
La porta del retrobottega del bazar si aprì con un leggerissimo cigolio
dei cardini – il rumore si udì come un urlo rauco nel silenzio tombale
che regnava per l'obitorio.
«Ehi, c'è nessuno?» sentì dire dal Cacciatore, appena tornato dalla sua
lunga giornata di lavoro. Fuori oramai era buio e anche lui era tornato
al villaggio.
«Eccomi» fece lei in risposta, lasciando stare la pulizia degli
attrezzi da medico per dare ascolto al suo visitatore giornaliero, che
la raggiunse in quel luogo nascosto.
In tutti quegli anni il Cacciatore non era cambiato per nulla... né
caratterialmente, né tanto meno fisicamente, al contrario della ragazza
che era diventata ormai una giovane donna.
«Ne ho trovato un altro» le disse, porgendole un piccolo sacco di juta.
«Ho recuperato solo questo».
Lei non ebbe la forza di rispondere e prese la busta, ringraziò
solamente, guardando con tristezza ciò che gli aveva portato l'uomo.
«Di nulla» rispose, andandosene via. «A domani».
«Va bene» annuì lei. «Domani, prima di seppellirlo con l'aiuto del
Prete, ti farò sapere da quanto tempo è morto e perché.»
«È umano?» domandò solamente il Cacciatore.
«Sì» confermò tristemente la laureata. «Ormai so distinguere loro da
noi, anche se ridotti in poltiglia» rispose, camminando verso il tavolo
predisposto alle autopsie. «Buonanotte, Cacciatore.» lo salutò.
«A domani, Dottoressa dei Morti».
§Fine§
XShade-Shinra
-Note (utili):
Ho finalmente aggiornato il capitolo-indice con tutti
i dati! *_* Da ora in poi ogni volta che aggiorno avrete un piccolo
sunto del capitolo direttamente nel Primo Capitolo della Raccolta,
completo anche di sommario (cosa importante e che in effetti mancava).
-Note (inutili):
Fustigatemi pure senza pietà per questo
ritardo... L'ispirazione c'era - e c'è sempre per questa FF
-, ma avevo dei contest.. ç*ç Scusatemi! E, a
proposito di contest, vorrei rendere partecipi tutti voi della mia
gioia: Sono arrivata prima al "Dark Contest" indetto da Nihal_chan sul
Forum di EFP, vincendo per giunta il premio Horror! *-* <3 La
storia è ambientata a NevediNotte, ma i personaggi sono del
tutto nuovi, infatti sono due storie distaccate tra loro [in
pratica di NevediNotte c'è solo l'ambientazione, quindi non
occorre leggere la storia horror per saperne qualcosa di più
di questa raccolta, né occorre leggere questa raccolta per
capire la trama della One Shot che ha partecipato al contest]. Se ci
volete
dare un'occhiata il link è questo: "Nightscreamer - It
Cries out in the Dark Snow"
[è a rating rosso visto che
è un po' cruda e mi piace stare bella larga con i rating!XD]
Come vedete, alcuni personaggi ritornano, si scoprono i loro passati e
degli strani legami tra loro... *w*
La Dottoressa dei Morti è stata il primo personaggio,
insieme a Koori, che la mia mente bacata ha partorito, e questo
capitolo in particolare è stato il primo che mi è
venuto in mente. Diciamo che da qui è cominciato tutto,
tanti anni fa.
Purtroppo non ho ritrovato l'immagine che ho perso nei meandi dei miei
DVD di dati... prima o poi la ritroverò e farò il
logo della Raccolta, ispirato proprio a questo capitolo! XD
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Livin Derevel:
Ciao Livin! ^^ Mi dispaice per il monitor, spero che lo abbia cambiato
in questi due mesi... immagino quanto possa essere fastidioso usare un
monitor piccolo!
Grazie per i tuoi 5 punti "gradimento" ** Bastano e avanzano, credimi!
<3 Le ho dopiamente apprezzate vista la fatica che devi avere
fatto a scrivere la recensione! ^^ *porge pinguino di pelouches* [oggi
sto elargendo pupazzetti! XD]
x KissOfDeath:
*-* Mi fa piacere che anche a e piaccia Jack Frost!
...Ehm... sì... il mio "presto" non comprendeva questa mega
pausa quasi forzata... ç_ç Scusatemi davvero
tantissimo!
Comunque vedrete che prima o poi tutto sarà chiarito, poi,
se avete domande alle quali non avete trovato risposte, potete comunque
chiedere! ^^ A meno che non siano delle cose che verranno fuori solo in
seguito posso comunque rispondervi a qualcosa! XD
ù-ù Se non ti si può comprare con
l'orsetto allora... *tira fuori Coccodrillo di pelouches* questo
può andare? *-* xD
x Gaea:
<3 Grazie per la recensione 2x1 xD e soprattutto per i
complimenti! ^^ Cerco sempre di fare del mio meglio per variare un po'
lo stile dei capitoli, anche perché molti preferiscono i
dialoghi, altri le discrezioni e via discorrendo a seconda dei gusti
personali di ognuno, così cerco di far felici tutti! XD
Tutti hanno notato la parte dei pupazzi... Sono piacevolmente
sodisfatta di ciò! A proposito, com'erano i pupazzi di neve
a casa del tuo ragazzo? Io li adoro... però quelli che
faccio io fanno veramente pena!XD Non sono per niente capace...
soprattutto se il cane si lancia a tuffo e li schiaccia...
ç_ç Boby, sarai anche la mascotte dei colleghi,
ma ti ho odiato quella volta... xD
Uh... Tolkien... *porge Panda di pelouches* Ssssh! XD
PS il saluto finale era veramente "stiloso"! *-*v
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Capitolo 12 *** 11. L'Antro dei Ricordi ***
-
Hellcome to NevediNotte -
L'Antro dei Ricordi
Un luogo nascosto,
dove i morti riprendono vita e il passato illumina il futuro.
Solitamente in una casa
ci sono due luoghi che, più degli altri,
incutono paura ai bambini. Sono posti dove il freddo regna sovrano e
dove di rado qualcuno decide di recasi: la soffitta e lo scantinato.
Nello scantinato si ripongono vini e cibi, come fosse quasi un bunker
sotterraneo, mente nella soffitta si conserva qualcosa di molto più
prezioso: i ricordi.
La soffitta è l'equivalente di un cimitero: un luogo nel
quale si va a
portare il proprio saluto ai cari che non ci sono più e provare loro di
non essersi mai dimenticati dei tempi passati. Perché solo quando ci si
dimentica di una persona ella è morta davvero, invece, finché il suo
ricordo perdura nella mente anche solo di una persona - che sia con
rabbia, che sia con affetto -, ella continuerà a vivere.
È proprio per questo che qua viene insegnato ai più
giovani che la
soffitta è un luogo speciale, del quale non devono assolutamente avere
paura, e che, anzi, è un locale in grado di offrire una preziosa
nicchia di pace, in grado persino di diradare le tenebre che aleggiano
attorno al cuore di ognuno.
Molti dei ragazzi non capiscono come un luogo possa avere
questi poteri
magici, ma, crescendo, imparano che molte volte è il passato stesso ad
avere le risposte a molti perché che nel presente non hanno
risoluzione. Ecco quindi che, una volta l'anno, c'è un giorno
prestabilito da ognuno nel quale ogni singolo abitante del villaggio
porta in soffitta tutto ciò che non gli serve più, e approfitta di
questa opportunità per mettere un po' di ordine, e poter rivedere gli
oggetti che gli stanno più cari e quelli di persone che, ormai, non ci
sono più.
Quando muore una persona non si butta quasi nessun oggetto
che gli è
appartenuto, ma viene portato in quel posto sicuro – a meno che non sia
scritto diversamente nel testamento. Addirittura si devono scrivere su
un foglio - che si dà al parroco – i feticci che si ripongono nella
bara insieme al morto, in modo che nulla vada perduto, nemmeno il più
piccolo pezzettino di carta.
Purtroppo sono già abbastanza le persone che spariscono nel
bosco
durante la notte, per potersi permettere il lusso di perderne gli
oggetti.
Potrebbe sembrare un comportamento maniacale e insensato,
quasi come un
padre troppo preso dal lavoro che porta al figlio un giocattolo come
lenitivo alla sofferenza che stanzia nel suo cuore, ma la verità è che
questa usanza – questa legge non scritta – è stata decisa tempi or
sono, quando i primi uomini si stanziarono e costruirono questo
villaggio tra i monti, perché non si perdesse memoria di nulla. E,
appunto per questo motivo, bisogna essere oculati nello scegliere cosa
buttare, cosa tenere e cosa portare in soffitta il giorno prescelto: se
una cosa viene riposta nell'antro dei ricordi, essa non può più essere
portata fuori da lì, ma solo usata entro il limitare di quel locale.
Questo perché i morti non possono essere d'accordo se un vivo prende un
loro bene, a meno che egli non sia...
«La ringrazio, signora» mi dice il chierichetto,
togliendosi il cappello in un gesto di galanteria.
«Di nulla, Ferdinando» rispondo, sorridendo. «Tenevamo quel
vecchio
diario da anni, ma è scritto in latino, e nessuno in famiglia lo sa
parlare...» spiego, rimarcando quello che già avevo detto al prete
domenica scorsa, alla fine della messa. «Quindi abbiamo pensato di
darlo al parroco».
«E avete fatto benissimo» risponde, mentre apre il portone
per poter uscire e portare il blocco al prete.
«Poi mi dirà ciò che c'è scritto?» domando. «Avrà almeno
cento anni, sarebbe bello poter sapere cosa scrivevano i bisnonni...».
«Non glielo so dire, signora. Il parroco solitamente non dà
le
traduzioni a nessuno se i documenti sono di un morto... Lo sa come la
pensa a riguardo del rispetto per chi non c'è più».
«Già...» faccio una smorfia. «Però lui le legge...».
«Lo fa per cercare di capire se è possibile risalire ai
nomi delle
persona che al momento portano una lapide senza nessuna effige» mi
ricorda, come se non lo sapessi.
Espiro profondamente. Santa pazienza che ci vuole con i
giovani!
«Lo so» gli rispondo, dandogli un buffetto sul naso. «Ora
vai» sorrido.
«Va bene. Buona giornata, signora!» mi saluta con un gran
sorriso e un
ampio gesto del braccio. «E grazie per la cioccolata che mi ha
offerto!» dice prima di correre via, saltellando come un capriolo tra
la neve fresca del mattino.
Scuoto la testa e sorrido a vuoto, chiudendo il portone
dietro di me.
Sono felice di aver donato quel ricordo a qualcuno di
fidato che ha
sempre lavorato per il villaggio, dopotutto il prete di qui è cugino
dell'attuale sindaco in carica, rieletto per la quinta volta, quindi,
anche se non è nato qui, discende da una famiglia molto conosciuta.
«Caro?» chiamo mio marito, seduto sulla poltrona, intento a
leggere il
giornale portato ieri dal musher. «Se non ricordo male, anche la
famiglia di tua matrigna era imparentata con quella del sindaco, no?»
«No, faceva parte dell'altra» mi risponde senza distogliere
lo sguardo
dal giornale. «Quella imparentata con quel vecchio che lavora la pelle
e suona il violoncello, il marito della sarta».
«Ah, scusa! Faccio sempre confusione» sorrido, andando
verso la cucina
per preparare il pranzo. «È davvero una fortuna che molte persone
lascino questo luogo per tornare già sposati anni dopo o far tornare
direttamente i loro figli, altrimenti ci sarebbe troppa
consanguineità...».
«Beh, si tende per natura all'esogamia per non avere figli
tra
consanguinei, visto che non siamo poi molti qui» mi spiega con un
sorriso, proseguendo poi la sua lettura.
Annuisco e guardo la vecchia foto ingiallita che ritrae la
famiglia
indigena di mio marito, una delle più vecchie della cittadina, e penso
che il ricordo più grande che ci hanno lasciato, è stato appunto questa
loro casa, forte e sicura.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note:
Esogamia: è una regola matrimoniale per cui il coniuge deve
essere scelto al di fuori di una cerchia matrimoniale, che
può coincidere con parentela o clan, fratria,
tribù, ecc. [fonte: wikipedia!]
Un capitolo un po' diverso dagli altri, dopo un lungo periodo d'assenza
a causa dei miei piani di conquista del mondo con gli omini della
Lego... xD ok, ok... impegni vari come al solito, tra cui il lavoro,
soprattutto! Spero vi sia comunque piaciuta, dalla volta prossima si
torna alle
tinte dark (e anche un po' horror).
Scusate ancora per i miei tempi biblici... *si prostra*
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e
comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Livin Derevel:
^^ Come sempre, grazie per i complimenti! ^^ Finalmente nel prossimo
capitolo vi svelerò molte cose sulle creature, dato che
sarà un capitolo ambientato nel passato interamente dedicato
a loro. E non ce ne sono vegetariani che io sappia! °_°
Però.. se vuoi andare tu a controllare... xD
No no, la luna si vede. ^^ Poi spiegherò il
perché, ma hai fatto benissimo a farmelo presente
perché poteva proprio essere un mio errore, quindi ti
ringrazio! ^^
x Gaea: E'
appunto perché penso alla loro salute che metto certe frasi
finali! <3 Anche nel prossimo capitolo ci saranno retroscena,
spero quindi che sarà di tuo gradimento! ^^
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Capitolo 13 *** 12. Il Carro dei Mostri ***
-
Hellcome to NevediNotte -
Il
Carro dei Mostri
«Si chiamano mostri
perché devono essere
mostrati, signore e signori!»
Il
carro dei mostri che gira le
strade
Ti porta lontano,
mostrarti vorrà!
Il carro dei mostri, che
gira le strade,
Che gira e che gira e
che gira...
[Fiaba - L'omino di latta]
«Si chiamano mostri perché devono essere mostrati, signore e signori!».
La voce del Padrone risuonava tetra come se stesse parlando dentro un
barattolo di latta.
Quell’uomo viaggiava per il mondo con un carro speciale. Molto
speciale. Possedeva, infatti, incredibili attrazioni, che sembravano
provenire direttamente da un incubo.
Non era propriamente un circo, poiché, oltre al contenuto del carro,
c’erano solo il proprietario e il suo aiutante: un qualcosa che
rimaneva fuori dalle gabbie e guidava il carro al posto del Padrone.
Forse, tra tutti, è stato scelto proprio “lui” per quel ruolo che
profumava di libertà perché non sarebbe mai potuto scappare; non per
cieca fedeltà al suo datore di lavoro, ma per il proprio aspetto
fisico: il Pinguino, così era chiamato, non possedeva le gambe.
Ogni membro di quella grottesca compagnia nomade di città in città
aveva una sua propria caratteristica che lo rendeva terrificante;
c’erano: un ciclope, un bimbo completamente bianco con gli occhi rossi,
una donna con sei braccia, una “cosa” senza volto, una vecchina senza
mani che lavorava a maglia, una giovane sirena terrestre, una ragazza
con una mostruosa faccia dietro la testa tenuta rasata, una bimba con
un paio di scheletriche braccia sulla schiena – simili ad ali –, un
ragazzo con le stigmate, due giovani gemelli attaccati per il bacino
come se uno fosse a cavallino sull’altro, un uomo alto mezzo metro, un
giovane con il braccio nero che sembrava marcio.
Erano tutti mostri.
Mostri che vivevano in quel carro, tra le sbarre delle loro prigioni,
come bestie.
Ma non tutte le creature rinchiuse in quella prigione erano autentiche:
la maggior parte era veramente nata così, e per questo, solitamente,
abbandonata e raccolta dal padrone del carro; ma altri si erano causati
da soli quelle malformazioni, come il Pinguino, la Sarta, il Viso e il
Blasfemo. Essi avevano scelto di rifiutare il corpo che Dio gli aveva
donato per poter entrare a far parte di quella compagnia; in parte per
avere così un lavoro, ma anche perché volevano uscire dalla monotonia
della loro tediosa città e viaggiare per il mondo non dovendo nemmeno
sporcarsi le mani con spettacoli circensi, ma solo posando per un
pubblico incredulo e terrorizzato. Avevano rinunciato a un corpo
“normale” per un impiego facile e una vita all’apparenza agiata. Ma la
realtà di quel carrozzone era ben diversa una volta vista dall’interno
e non da fuori, tra gli spettatori.
Il Padrone era un essere spietato: li teneva tutti segregati dentro il
suo carro, dando loro un pasto al giorno e basta. Nessun letto per
dormire o dell’acqua per lavarsi. Venivano lavati solo di rado, proprio
quando puzzavano troppo per sopportarli oltre e venivano colpiti con
secchiate fredde. Quelle gabbie erano le loro case, le loro prigioni
che puzzavano di sudore, orina e feci. Un orribile spettacolo di
sottomissione e violenza psicologica atti a volerli far sentire
inferiori.
Tutti si conoscevano tra loro e spesso chiacchieravano nel carro. Non
tutti erano in grado di parlare correttamente la lingua (erano
soprattutto il ciclope e i giovani ad avere problemi), e quasi nessuno
aveva avuto un’istruzione adeguata. Infatti erano stati emarginati fin
da giovani dalla società e solo in pochi avevano trovato un’anima pia
che li aiutasse prima dell’arrivo del padrone del Carro dei Mostri a
portarli via, dando ad ognuno un nuovo nome legato alla particolarità
per il quale era stato scelto, eliminando così il nome da umano e
accogliendo il nome da mostro, che utilizzavano anche per rivolgersi
tra di loro; perché il padrone non li considerava umani, ma mostri, e
da tali li trattava.
Durante uno dei loro monotoni viaggi, la carovana arrivò presso una
cittadina piccola e modesta. Dopo aver tenuto lì la consueta “Mostra
dei Mostri”, il Padrone decise di ripartire immediatamente la mattina
dopo prendendo il sentiero tra le montagne boscose e risparmiare così
un giorno di cammino per raggiungere la città al di là dei monti.
Quelle terre erano veramente desolate, ma anche lì la gente era ben
felice di pagare per vedere quegli uomini dallo strano aspetto,
soprattutto perché pochi stranieri passavano da quelle parti a causa
del difficile collegamento tra paesi.
Così il carro trainato da due forti cavalli da tiro, condotto dal
Pinguino, imboccò il sentiero per i monti innevati, arrestando il
cammino solo qualche minuto prima del tramonto.
Il Padrone entrò nella sua cuccetta appena dietro il sedile del
cocchiere e si mise a dormire, ordinando al Pinguino di svegliarlo nel
caso vedesse dei lupi. Non avrebbe mai potuto rischiare di perdere i
suoi due preziosi cavalli purosangue!
Il cocchiere deambulò goffamente per il bosco, raccogliendo parecchia
legna, e accese diversi fuochi intorno a loro, creando un cerchio
discontinuo di fiamme, per tenere lontani gli animali selvatici. Ma non
aveva pensato che quel bosco potesse essere popolato non solo da
animali.
Quando il Pinguino andò ad addormentarsi insieme ai cavalli, alla
ricerca di un po’ di calore in mezzo a tutta quella neve depositata
attorno a loro e che appesantiva i rami degli alberi, il silenzio cadde
sul bosco.
Non un filo di vento o un qualsivoglia suono di madre natura interruppe
lo scoppiettio del fuoco, rendendo pauroso quel luogo all'apparenza
disabitato.
Dopo pochi secondi, però, si udì un fievole rumore: lo scricchiolo
sulla neve sotto il peso di un qualcuno che procedeva di buon ritmo, un
qualcosa di troppo fioco perché gli umani potessero udirlo, se non una
tra loro. Colei che ancora non dormiva: l'Angelo. Sorpresa da quel
suono inaspettato, la bimba guardò d'istinto verso la grossa tenda e la
grata che li separavano dal mondo esterno, pensando solo dopo al fatto
che non avrebbe potuto vedere nulla. Quella volta, però, non andò così,
perché qualcuno osò scostare la tenda, potendo così creare un
collegamento tra il mondo esterno e l'Inferno.
L'Angelo vide abbastanza bene quell'estraneo, grazie ai diversi fuochi:
aveva lunghi capelli lisci e un paio di orecchie deformi, dalla forma
allungata. Gli occhi chiari della figura si allargarono appena quando
vide cosa contenesse quel carrozzone. Nonostante l'oscurità, nulla
poteva sfuggirgli, poiché che era capace di vedere anche un'immagine
termica del luogo.
Guardò la bimba e le parlò in una strana lingua, che lei non aveva mai
sentito nonostante le tante città che avevano girato. Lei scosse la
testa, facendogli comprendere che non lo capiva, allora questi iniziò a
parlare innumerevoli altri linguaggi, finché la bambina non s’illuminò
quando sentì delle parole che riconobbe subito: erano in latino.
Sollevando le mani, come a fare cenno di aspettare, l'Angelo allungò il
magro braccio oltre le sbarre della propria gabbia, andando a toccare
una gamba del Blasfemo, che dormiva con gli arti inferiori lungo
distesi fuori dalla propria prigione.
Mugugnando appena, si svegliò: «Uhn, che c'è?» domandò in un sussurro
in latino, la loro lingua.
Era molto raro che venissero svegliati nel cuore della notte, quindi
non si arrabbiò, pensando a un’emergenza.
«Pahale!» biascicò a stento la
bimba, intendendo "parlare", indicandogli il nuovo arrivato.
Il ragazzo lo guardò per un po', basito, non capendo chi fosse e,
soprattutto, perché fosse lì in mezzo a un gelido bosco.
«Salve» lo salutò cordiale, ritirandosi compostamente nella propria
gabbia. «Possiamo esserle utili?» chiese educato. Il Blasfemo, prima di
diventare uno della compagnia, era un nobile e, per questo, era il più
colto tra loro.
«Sei tu il capo, qui dentro?» domandò colui che stava all'esterno.
«Non abbiamo nessun capo» rispose l’altro, tranquillamente.
«Quindi posso parlare con te» capì. «Dovete andarvene da qui, subito.
Non vi vogliamo.»
«Da qui... dove?» domandò, sempre tenendo la voce bassa, mentre
l'Angelo li guardava senza comprendere.
«Dal bosco».
«Nh? Lei e la sua famiglia vivete qui? Ma non ci sono case...» obiettò
il Blasfemo. «Siete forse degli esiliati?».
I lunghi capelli vennero scossi con un energico movimento di diniego.
«Viviamo qua» la chiuse così. «E non vogliamo simili aberrazioni nel
nostro bosco» disse composto.
A quelle parole il Blasfemo sputò nella direzione della tenda aperta.
«Non siamo mostri!» disse a voce un pelo più alta, con fermezza e
determinazione.
Durante quell'ultimo scambio di battute aveva però risvegliato gli
altri inquilini nelle gabbie. Vari lamenti di protesta si sollevarono,
prima che tutti facessero caso all'individuo che li guardava con il
volto segnato da una smorfia di disprezzo.
«Chi è quell'uomo?» domandò la Nubile Nera, l'unica nella compagnia a
dividere la cella con un'altra persona: la Cavia, un bambino troppo
piccolo per poter essere lasciato solo, e che forse avrebbe trovato
l'adeguata protezione materna tra le sei braccia della Freak.
«Non lo s—» fece per dire l'ex-nobile, quando la figura all'esterno si
intromise:
«Non scambiarmi mai per un uomo!» disse con voce cupa, quasi sibilante,
come se gli avesse fatto un'offesa cercandogli tutto l'albero
genealogico.
«Allora noi ti chiameremo “uomo” se tu continuerai a offenderci!»,
rispose il Blasfemo.
«Vi potrei uccidere con un solo schiocco di dita» sussurrò l’altro,
posando la mano sulla grossa serratura delle grate oltre la tenda
«Oppure liberarvi e permettervi di lasciare questo bosco».
Tutti fecero attenzione alle sue parole, anche coloro che non le
capivano bene a causa del loro basso grado di istruzione.
«Allora?» domandò, guardando il Blasfemo.
In quel momento, la vocina timida di una giovane ragazza provenne dal
buio:
«Io voglio tornare a casa...» sussurrò la Sirena, agitando la sua
"pinna" caudale. «Questo posto è orribile.»
«Per me qualunque posto fa schifo...» fece l'Incubo, coprendosi la
testa con un panno sudicio, troppo imbarazzata di mostrare la sua
seconda faccia.
«Appena la mia malattia raggiungerà il cuore, morirò comunque...»
rispose il Putrefatto.
«Non potrò mai trovare un altro lavoro, così, senza mani... Ma io non
vorrei mai morire qua dentro, sinceramente» lo sgridò la Sarta, in un
sibilo.
Gli altri rimasero fuori dalla conversazione. Solo un’altra voce
gracchiante e pesante raggiunse le orecchie a punta del non-uomo; era
il Viso: «Non riesco a vederti... con questi miei occhi inutili... ma
certamente posso immaginare... il tuo ribrezzo...» parlava stanca, come
se ogni parola le costasse una fatica immane. «Ma se ci aiuterai, noi
ti saremo debitori».
La figura assunse un'espressione ancora più schifata. «Voi debitori?
Non fatemi ridere: mi fate solo pietà».
«Anche tu... odi... gli uomini, no?» disse la donna dal volto
inguardabile. «Io e molti altri qui li odiamo. Io non sono nata
così... mia madre mi ha messo... la faccia dentro un pentolone... pieno
di acqua calda, per deformarmelo... Mi ha cotto gli occhi... e... la
bocca... e un orecchio… e mi ha rivenduta al Padrone... io odio gli
umani...» raccontò. Probabilmente se avesse avuto ancora i condotti
lacrimali, avrebbe pianto.
«E tutto questo che c'entra?» domandò la figura misteriosa, facendo
scattare la serratura quasi per magia, aprendo silenziosamente la
pesante paratia e salendo sul carro.
«Abbiamo un nemico in comune» gli fece notare uno dei due Fantini.
«Potremmo essere utili» aggiunse il secondo.
«Tacete» ringhiò, aprendo piano piano le gabbie con la sola imposizione
della mano.
I Freaks rimasero sconvolti, non riuscendo a capire come potesse fare
una cosa del genere. Forse anche lui era un "diverso" esattamente come
loro?
Il Ciclope e il Nano, che non avevano capito nulla della conversazione,
furono però ben felici quando quell'essere dai lineamenti umanoidi fece
scattare anche la loro gabbia, liberandoli poco alla volta.
«Ghrashiye...» sussurrò
l'Angelo, sorridendo, ma ricevendo solo uno sguardo severo come
risposta.
La figura scese dal carro e vi rimase accanto, guardando i Freak
uscirvi... come se quel carrozzone fosse un luogo del sogno che
vomitava incubi.
«Mi fate schifo!» esclamò sottovoce, storcendo il naso. «Ora levatevi
dalla mia vista».
«Va bene...» sussurrò il Blasfemo. «Ci dia solo qualche ora» accordò
facendo un inchino. Per lo sforzo compiuto, le sue ferite ai palmi
ripresero a sanguinare e le gocce caddero sulla neve fresca, tingendola
di rosso.
«All'alba dovrete sparire» disse il non-umano, prima di spiccare un
balzo di tutto rispetto e scalare agilmente un albero, sparendo tra i
rami degli arbusti spogli e non.
Gli uomini di quella compagnia si guardarono e alcuni di loro
ghignarono.
«C'è una cosa che dobbiamo fare, prima» disse uno dei due gemelli.
«Già» rispose il fratello. «È da anni che attendiamo questo momento».
«Ma...» piagnucolò la piccola Sirena. «Lo volete fare davvero?».
«Certo» tagliò corto il Viso. «E chi non… vuole farlo può anche stare
a… guardare. Chi è… con me?» domandò.
I gemelli e la Sarta le toccarono subito il braccio, confermando la
loro presenza.
«Noi ci saremo senz'altro» sorrise la più vecchia tra loro, guardando
poi tutti gli altri, che posero la mano sul corpo della ragazza
sfigurata. All'appello mancavano solo la Sirena e il Blasfemo, che la
teneva in braccio.
«Voi?» chiese il Putrefatto.
I due scossero la testa. Non riuscivano a farcela: nonostante l'odio
che provavano non sarebbero mai riusciti a fare una cosa del genere.
«Va bene» annuì la Nubile Nera. «Allora non ci resta che vedere cosa ne
pensa l'ultimo tra noi» disse, mettendosi meglio la Cavia in braccio e
camminando silenziosa verso i cavalli, che ancora dormivano beati e
indisturbati.
Trovò subito il Pinguino, che svegliò con un calcio. Visto il suo grado
di libertà, non era ben visto dagli altri membri della compagnia.
Il cocchiere si svegliò di colpo con quella botta al fianco, tenendosi
il punto offeso con la mano. «Ahi!» esclamò in un rantolio, sollevando
lo sguardo e diventando più bianco della distesa di neve che li
circondava nella notte. «Cosa... Cosa ci fate voi...» balbettò
incredulo; solo il freddo pungente che avvertiva gli dava la sicurezza
che non si trattasse di un sogno.
«Se qualcuno ti dicesse: “Ti do la chiave per liberarti, ma in cambio
dovrai uccidere uno di noi”, cosa faresti?» domandò la donna.
Il Pinguino li guardò dal primo all'ultimo.
«È una domanda a trabocchetto» affermò deciso.
«È una semplice domanda...» disse la Sarta, annoiata. «Allora... cosa
rispondi?».
«Ovviamente no» rispose, guardandoli senza fiducia.
Forse, il tanto stare con il Padrone gli aveva fatto sollevare troppo
la cresta, e si sentiva in parte superiore a quei mostri.
«Bene. Cerca di tenere fede a quanto detto, allora. Non vogliamo
traditori tra noi» disse l'Incubo, levandosi lo straccio che si era
sistemata sulla testa a mo' di velo.
«Cosa succede?» domandò ancora il cocchiere, vedendo i Freaks avanzare
verso la carrozza.
«Puoi unirti a noi, se vuoi» sussurrò il Putrefatto, arrivando per
primo alla cuccetta dove dormiva il padrone. Anche se teneva il braccio
a ciondoloni, poiché inutilizzabile, ed era debole, quella luce
chiamata speranza e la sorella chiamata vendetta lo avevano risvegliato
dal suo torpore, come anche era successo agli altri.
«A fare cosa? COSA?» chiese il Pinguino, preoccupato.
«A diventare più umano...» sorrise uno dei Fantini, mentre il fratello
ridacchiava.
Il Pinguino rimase a terra, imbiancato dalla neve, guardando la scena
con una strana sensazione. Le parole del gemello non gli sembravano
dette con spirito caritatevole, ma velate di un sottile sadismo.
Il Blasfemo e la Sirena raggiunsero il cocchiere, rimanendo così a
guardare gli altri aprire la tenda, disturbando il sonno del Padrone
che si svegliò appena.
«Cosa c'è, Pinguino?» domandò a colui che credeva l'avesse svegliato,
trovandosi invece davanti il Viso.
«Non siamo... il tuo... galoppino» rantolò a stento.
Un po' per la sorpresa e un po' per l'impressione che doveva fargli
quella donna dall'orribile volto fuori dalla gabbia, l'uomo arretrò di
scatto, notando solo dopo che la menomata non era la sola lì presente,
ma quasi tutti i suoi mostri lo guardavano attraverso l'ingresso alla
cuccetta. Riprendendosi immediatamente dallo shock, parlò senza
mostrare paura alcuna:
«Come mai fuori?» domandò in toni duri. «Tornate subito in gabbia,
mostri!».
«Noi ci siamo stufati di essere trattati come bestie, messe in mostra
nelle gabbie» rispose dura la Nubile Nera.
«Voi non siete bestie: siete mostri e solo io vi ho voluti: ho
addirittura speso molto denaro per comprare alcuni di voi» ne parlava
come fossero oggetti. «E ne spendo per darvi da mangiare» aggiunse.
«Taci!» urlò la Sarta, mentre il Ciclope entrava dentro la cuccetta,
seguito poi dagli altri. Lui, avendo problemi di sviluppo cerebrale,
era il più "stupido", ma aveva delle emozioni, dei sentimenti, e questi
erano di rabbia.
L'uomo li vide entrare e non si mosse; sapeva di essere superiore a
loro e rimase a guardarli con aria di sufficienza.
«Sai, Padrone, abbiamo trovato un modo per diventare umani» gli
sussurrò l'Incubo. «E io voglio diventarlo».
«E quale sarebbe?» domandò l'uomo, scettico. «Voi non potrete mai
diventare come me».
«Noi siamo già uomini, anche se trattati da bestie» risposero i
Fantini, mentre tutti si mettevano a cerchio attorno a colui che tanto
li disprezzava. «Per essere veri uomini ci basterà diventare
cattivi...».
«E... mangiare gli uomini... così li assimileremo... ingloberemo...
e... diventeremo... uomini a nostra volta».
Il padrone sbiancò a quelle parole, captando per la prima volta il
pericolo che incombeva, ma non riuscì a fare nulla ché i nove Freak
presenti, la Cavia esclusa, gli furono addosso, strappandogli via la
carne con i denti e le mani, mangiandolo vivo, pasteggiano con le carni
di quell'umano che li aveva portati alla pazzia per essere stati
rinchiusi in quei piccoli e monotoni spazi per tutti quei mesi o peggio
anni. I due che di loro spontanea volontà avevano scelto di non
partecipare a quel luculliano
banchetto, guardavano i loro compagni senza battere ciglio, mentre il
Pinguino stava sudando come se si trovasse nel Sahara; non poteva
credere a quello che stava vedendo.
«Mostri...» balbettò. «Voi siete davvero mo—» ma fu bloccato da un
gemello, che gli tirò addosso un pezzo di carne, colpendolo in pieno
petto. Il caldo "cibo" si spalmò dapprima su di lui, poi cadde sulla
neve, squagliando la coltre bianca con il proprio calore.
«Mangia anche tu» lo invitò un gemello. «Ha un ottimo sapore» rise
sadico, continuando a pasteggiare.
Le loro bocche, le mani fino ai gomiti e i logori stracci erano sporchi
di quella rossa linfa, dando loro un aspetto ancor più grottesco.
Il Pinguino si mise a piangere, e la sirena gli diede un colpo di coda
per richiamare la sua attenzione.
«Vendetta. Pazzia. Dolore» spiegò. «Loro non sono cattivi».
L’uomo senza gambe continuò a tremare a piangere, finché tutti i
cannibali non terminarono di spolpare il Padrone e scesero dal carro in
una macabra processione che puzzava di cadavere.
«Ora siamo liberi» disse la Nubile Nera, che aveva dato da mangiare
quel cibo anche alla Cavia.
Gli altri annuirono, leccandosi le labbra rosse e peccatrici.
«Torneremo a casa?» sussurrò la Sirena, ricevendo alcuni dei segni di
diniego con la testa.
«Io voglio restare qua» disse la Sarta.
«Non possiamo» obiettò un gemello. «Quello là ci ha detto di andare
via» completò il secondo dei Fantini.
«Lui ha detto che non ci vuole vedere all'alba, e così sarà. Stanotte
cercheremo un buon rifugio per tutti in mezzo al bosco e usciremo solo
la notte, quando le tenebre ci nasconderanno meglio agli occhi del
nostro salvatore e della sua famiglia» disse il Putrefatto, trovando
una scappatoia alle ultime cose che aveva detto quella strana figura.
Gli altri annuirono convinti. Era giustissimo così.
Nessuno aveva una casa nella quale tornare (forse solo la Sirena e il
Blasfemo, ecco il motivo del loro discostamento dal gruppo), quindi un
posto valeva l'altro per riniziare, e quel bosco in un posto lontano da
tutti e da tutto sembrava fatto al caso loro.
«Aspettate...» sussurrò il Viso. «Abbiamo un... debito...» mangiare la
aveva affaticata molto, data la sua debolezza fisica e la sua
deformità.
«Con il Bellorecchio?» domandò un gemello.
«Sì. Colui... che ci ha salvato... merita tutta la nostra...
riconoscenza e... dobbiamo aiutarlo...» spiegò, prendendo profondi
respiri. «Lui odia gli uomini, anche noi... e lo aiuteremo...
uccideremo qualunque umano che entri... in questi boschi...»
«Così pagheremo il nostro debito!» disse contenta, la Sarta.
«Sì... ma possiamo farlo... solo di... notte...» espirò senza fiato,
cadendo a terra.
I loro fisici non erano più abituati a compiere sforzi.
«Va bene» annuirono più o meno tutti; dopo lo avrebbero spiegato a chi
non comprendeva bene la lingua, anche se ognuno di loro aveva capito
che ora potevano finalmente vivere.
Il Pinguino, intanto, era salito sul carro e aveva buttato a terra tra
la neve il corpo del Padrone, prendendo poi le redini e svegliando i
cavalli, che erano rimasti totalmente indifferenti sia all'arrivo del
bell'umanoide, sia all'intervento dei Freaks.
«Io vado via! Non ci sto un minuto di più con voi!» abbaiò spaventato.
«Ucciderete anche me!».
Molti di loro scossero il capo, ma non fecero nulla né per fermare il
cocchiere e né per rassicurarlo. Se non era con loro era contro di
loro, ma decisero di silente accordo comune di lasciarlo andare via
senza intervenire, visto che si trattava pur sempre di un loro fratello.
«Aspetta!» lo richiamò il Blasfemo. «È ancora notte!» gli fece notare.
«Non importa! Tanto non riuscirei a dormire!» disse con astio.
L'ex-nobile si fermò davanti ai cavalli che stavano per essere
incoraggiati a muoversi, e guardò i suoi compagni, insieme alla Sirena.
«La accompagnerò a casa, poi tornerò da voi» disse, accarezzando i
setosi capelli neri della bimba.
«Davvero?» domandò l’Incubo.
«Sì» tagliò corto, guardando poi il cocchiere. «Io e lei non siamo
sporchi di sangue» disse duro.
Forse, allora, aveva rifiutato di prendere parte a quel banchetto
perché sapeva di dover riportare la ragazzina a casa e doveva quindi
restare candido? Se lo chiesero in molti, ma nessuno osò domandare.
Era ovvio che ognuno avesse le proprie preferenze per quanto riguardava
l'ambito affettivo (come ad esempio la Nubile Nera, che ormai era
diventata madre della Cavia), quindi compresero che anche il Blasfemo e
la Sirena dovevano volersi particolarmente bene. Forse.
Il Pinguino storse il muso, poi fece loro cenno di salire; dopotutto
sarebbe stato pericoloso muoversi da solo nella notte.
La Sirena sorrise dopo mesi che non lo faceva più e venne portata sul
carro dall'altro Freak, muovendo la mano lungo il tragitto, come segno
di saluto:
«Ciao... grazie di tutto...» sussurrò, con due piccole lacrime che le
pizzicavano gli angoli degli occhi. Non sapeva se la sua mamma l'avesse
aspettata per tutto quel tempo da quando era sparita, ma non le
importava: dopotutto era finalmente libera.
«Ci rivedremo presto, spero» salutò il Blasfemo, mentre il cocchiere
partiva velocemente, frustando i cavalli per farli trottare fin da
subito, sollevando grandi zolle di neve nella corsa.
I restanti della compagnia si guardarono e iniziarono a inoltrarsi nel
bosco, dopo aver spento i fuochi, alla ricerca di un riparo temporaneo
prima di trovare la loro vera e propria casa. Quella dimora che avrebbe
rappresentato il presente e il futuro, anche se le tracce del passato
sarebbero state impossibili da cancellare, a causa soprattutto del
legame con il loro salvatore e del loro indissetabile desiderio di
vendetta: una promessa auto-imposta che li avrebbe portati a
disconoscersi dagli umani e li avrebbe ricondotti a diventare quello
che più cercavano di fuggire: dei mostri. Anche se loro si sentivano
molto più simili agli umani, ora che avrebbero fatto del male.
Sapete qual è
la creatura più pericolosa sulla
faccia della terra?
L’uomo.
E ora
capite perché
non si può andare nel bosco
di notte?
§Fine§
XShade-Shinra
Note: Tante,
tantissime note da fare in questo capitolo che considero uno dei più
importanti dell'intera raccolta.
Componenti della
Compagnia divisi per sesso:
-Ciclope [oloprosencefalia - ciclopia] - il Ciclope
-Bimbo completamente bianco e gli occhi rossi [albino] - la Cavia
-Uomo senza gambe [Fake - amputazione] – il Pinguino
-Ragazzo con le stigmate [Fake - ferita] – il Blasfemo
-Giovani gemelli attaccati per il bacino come se uno fosse a cavallino
sull’altro [gemelli siamesi] - i
Fantini
-Uomo alto mezzo metro [nanismo] - il
Nano
-Giovane con il braccio nero che sembra marcio [tumore - necrosi] - il
Putrefatto
-Donna con sei braccia [gemello parassita] - la Nubile Nera
-“Cosa” senza volto [Fake - bruciatura] –
il Viso
-Vecchina senza mani che lavora a maglia [Fake - amputazione]
– la Sarta
-Sirena terrestre [Sirenomelia] - la
Sirena
-Bimba con un paio di scheletriche ali [gemello parassita] - l'Angelo
-Ragazza con una mostruosa faccia dietro la testa tenuta rasata
[gemello parassita] - l'Incubo
-Freak, in
lingua inglese, indica una persona dall'aspetto o dal
comportamento inusuale. [fonte]
-L'albinismo:
Anomalia ereditaria consistente nella deficienza di
pigmentazione melaninica nella pelle, nell'iride e nella coroide, nei
peli e nei capelli. [fonte]
-Oloprosencefalia:
Difetto di sviluppo del cervello che si verifica
nelle prime settimane di vita intrauterina secondariamente a cause
diverse sia di tipo ambientale che genetico.
Si caratterizza per una mancata separazione degli emisferi cerebrali e
delle cavità ventricolari, nonché nella presenza
di una ipoplasia o una agenesia di varie altre strutture anatomiche del
cervello.
Essa è distinta nell’oloprosencefalia lobare,
l'oloprosencefalia semilobare e quella alobare, in base ad un criterio
di gravità crescente.
Molti pazienti presentano inoltre anomalie facciali: naso con una
singola narice oppure posto al centro della fronte; occhi ravvicinati o
ciclopia (un solo occhio centrale); a livello della bocca sono state
segnalate anomalie della fusione delle strutture labio-palatali e dei
denti.
[fonte]
Ciclopia:
Anomalia congenita dei vertebrati che consiste nella presenza
di un solo occhio più o meno completo in mezzo alla fronte
[hoepli]
-Nanismo:
Anomalia che causa un insufficiente sviluppo corporeo.
[fonte]
-Sirenomelia:
conosciuta anche con il nome di sindrome della sirena,
è una malformazione congenita con la quale gli arti
inferiori sono fusi insieme, dando loro le sembianze della coda di una
sirena. [fonte]
Nella mia storia, la Sirena possiede l'apparato uinario/escretore; non
so se sia possibile una
cosa del genere, ma era l'unico modo per portarla viva fino
all'età adolescenziale.
-Gemello siamese:
Coppia di gemelli omozigoti uniti in una parte del
corpo dalla nascita.
Le tipologie cambiano a seconda delle parti in cui sono uniti e degli
organi che hanno in comune: solitamente si dividono in quelle che non
coinvolgono il cuore e l'ombelico e quelle che coinvolgono l'ombelico.
A parte, sono classificate quelle "anomale", in cui uno dei due
embrioni è malformato o interno all'altro [gemello
parassita].
Il termine "siamese" deriva dal caso più celebre, quello di
Chang ed Eng Bunker, gemelli nati nel Siam (l'attuale Thailandia) nel
1811 uniti al torace da una striscia di cartilagine. I loro nomi
possono essere tradotti in italiano rispettivamente come Sinistro e
Destro. Chang ed Eng Bunker, dopo essere emigrati negli Stati Uniti,
lavorarono a lungo nel circo Barnum: sposarono due sorelle, ebbero 22
figli e vissero fino all'età di 62 anni.
[fonte]
-Infravisione:
capacità di alcune creature del fantasy che
permette loro di vedere al buio le variazioni dello spettro infrarosso,
come un’immagine termografica (le parti fredde risultano blu,
quelle calde invece si presentano rosse).
E ora parliamo di me e
di cosa ho voluto esprimere in questo capitolo.
Anche io ho conosciuto un freak da pochi mesi - quando ormai la trama
di NdN era già ultimata nella mia testa -, e sono rimasta
affascinata dalla forza e dalla voglia di vivere di questo ragazzo
nonostante il problema fisico che ha fin dalla nascita. Adoro le
persone che amano la vita nonostante le difficoltà e non ho
potuto fare a meno di ammirarlo!
In questa storia, infatti, non voglio dire che le creature sono cattive
perché sono freak, perché - come avrete letto -
non c'erano solo loro nel carro, ma anche persone normalissime che si
sono mutilate pur di entrarvi. In fondo è stato il Padrone
ad incattivire quegli uomini, che hanno solo reagito comportandosi di
rimando a come erano stati trattati.
I Freaks rimasti nel bosco, bramosi di punire altri uomini,
istruiranno anche i loro figli nel cannibalismo e il tutto
perché, alla fine, la creatura più crudele e
più pericolosa del mondo in realtà è
l'uomo stesso.
Naturalmente i Freaks rimasti si sono accoppiati ed è nato
un piccolo nucleo nel bosco. Il problema di queste nascite, nel tempo,
non sta assolutamente nel fatto che i figli dei Freak siano mostri!
Infatti nasceranno tutti sani. Il vero dramma sta nella loro
consanguineità, che nel tempo darà luogo a varie
patologie, creando loro sempre più scompensi. Inoltre,
l'esilio dal mondo, costerà caro anche alla loro
comunicazione, che verrà totalmente sostituita da quella
animale, non avendo avuto alcuna istruzione. Loro non hanno leggi e
vivono per uccidere gli uomini.
Ricordate lo scorso capitolo, quando si parlava della Esogamia, una
regola matrimoniale per cui il coniuge deve essere scelto al di fuori
di una cerchia matrimoniale, che può coincidere con
parentela o clan, fratria, tribù, ecc? Gli abitanti di
NevediNotte temono la consanguineità perché
è una caratteristica propria delle creature.
Del passato delle creature e come si è evoluta la faccenda
se ne parlerà in un prossimo capitolo intitolato "La
Compagnia d'Oltralpe", dove apparirà anche un'altra nostra
vecchia conoscenza. Per ora ho solo voluto darvi qualche accenno
sperando di avervi dato una visione abbastanza chiara e globale per
unire questa storia, che raccontava del passato, con la vicenda
ambientata nel presente degli scorsi capitoli.
In ultimo, vi chiederete: ma perché nevica solo di notte e in
questa storia non nevicava? Ehhh, quello sarò tutto un
altro… capitolo!
A proposito
dell'albinismo... giusto due paroline in più per
il mondo della scrittura amatoriale.
In molti fandom i personaggi che hanno pelle e capelli chiari
(all'occorrenza possono avere gli occhi chiari o rossi) vengono
denominati "albini". Io sono d'accordissimo su questo perché
l'albinismo non è una malattia vera e propria, ma
un'anomalia genetica che crea un forte o addirittura totale scompenso
di melanina: insomma sarebbe come nascere senza una gamba. Il problema
è che un albino può soffrire di determinate
patologie (come il cancro alla pelle per via dell'esposizione alla luce
del sole) per via della sua situazione a cui uno senza gamba non
andrebbe certo incontro. Inoltre, non tutti sanno che l'albinismo non
è detto che si manifesti in tutto il corpo, ma anche solo in
certe zone più o meno circoscritte.
Vorrei taaanto parlare anche del leucismo, ma non mi pare il caso! XD
Ho già detto troppo! XD
Questo è quello che risulta dopo la lunga chiacchierata con
il mio dottore, quel sant'uomo. Quando scrivo una storia non lascio mai
nemmeno una virgola al caso e mi informo su tutto, e non ho problemi a
dire che mi avvalgo dell'aiuto anche di altre persone, più
esperte di me, per regalare una piacevole lettura agli altri (ma
ciò non significa che io non possa fare errori, eh!XD). E
poi amo ampliare il mio bagaglio culturale! ^^
Scusate se vi ho annoiato con queste note (mi hanno preso
più tempo queste che la storia in sé), ma mi
sentivo in dovere di farle.
Al prossimo capitolo! ^^
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
XShade-Shinra
Risposte alle Recensioni:
x Livin Derevel:
xD Infatti è così: nulla in
questo racconto è come sembra e anche un minuscolo dettaglio
- vedi l'ombelico mancante del Cacciatore - è invece
importantissimo! *w*
Infatti per ovviare al casino che si farebbe, una volta all'anno si fa
pulizia! ^^ Dovrei fare così anch'io, in effetti... *passa
gomitolo di polvere e il gatto ci gioca*
x KissOfDeath: Thank you! ^^ Scusa per l'attesa di questo
capitolo...
sarei da frustare! ç_ç
x cabiria: <3 Grazie! ^^ Piano piano anche altri segreti
saranno
svelati! ^^
x Gaea: NevediNotte a rigor di logica è in Italia o in
Città del Vaticano o in una ex-colonia italiana, ma
può essere anche in un posto che non esiste o, magari,
esiste ma nessuno sa che è là. Una cosa
è certa: NevediNotte vive nella nostra Fantasia. <3
*applause*
x TUTTI: Visto che mi è stato richiesto, ci sarà
un capitolo dove il prete leggerà un diario o simili e gli
vedrete la faccia! xD
Da questo capitolo avete la mia autorizzazione a sommergermi di
domande! Piano piano risponderò a tutto nei capitoli che
verranno, visto che siamo praticamente al giro di boa e dopo i mille
dubbi è tempo i risposte. ^^
Inoltre, se volete che tratti di un particolare personaggio o
argomento, posso farlo (se possibile, eh! XD La trama già ce
l'ho, non posso cambiarla!).
AVVISO: I prossimi due capitoli saranno Drabble e/o Flashfict,
causa
contest. Sono certa di riuscire ad aggiornare comunque almeno una volta
al mese, se le faccio così brevi! ^^
|
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Capitolo 14 *** 13. Il Cuore di Carne ***
-
Hellcome to NevediNotte -
Il Cuore di Carne
Fuori c'era una feroce
bufera e la Dottoressa dei Morti aveva preferito invitare
l’ospite a rimanere nel proprio bazar, piuttosto che farlo
tornare a casa.
«Io... penso che tu mi piaccia...»
pigolò piano la Dottoressa, rivolta alla figura in piedi davanti a lei.
«Avrei preferito non saperlo» commentò lui dopo un attimo di
sgomento.
«Sei tu che hai insistito» gli fece notare, incrociando le
braccia al petto, stando attenta a non sporcarsi il camice con le mani
inguantate, sporche di sangue.
«Beh, cerca di riprenderti, e in fretta, da questa cotta
adolescenziale: non sei più una ragazzina, Dottoressa».
«Umph... Tu non cambi proprio mai, eh?» sbuffò lei, riprendendo
a lavorare sul suo tavolo addetto alle autopsie. «Hai sempre un
caratteraccio».
«È per tenere alla larga le persone fastidiose come te» le
disse, guardando con aria assente il cadavere su quella superficie
ormai color chermisi.
I lampioni presenti nel villaggio facevano filtrare la loro
luce aranciata dalla piccola finestrina a vasistas rinforzata da una
grata di ferro; fuori c'era una feroce bufera e la Dottoressa dei Morti
aveva preferito invitare l’ospite a rimanere nel proprio bazar,
piuttosto che farlo tornare a casa.
«Allora, com’è morto quell’uomo?» domandò lui, ancora un po’ in
difficoltà per la dichiarazione di poco prima.
«Penso che non sia opera delle creature: è morto per una
contusione al cranio» spiegò, indicando il teschio dell’uomo, spaccato
in più punti. «La ferita gli è stata inferta da vivo, altrimenti non
sarebbe stato possibile riunire i frammenti di osso che hai trovato e
metterli nella parte mancante creando un buon incastro. È possibile che
sia caduto dall’albero sotto il quale l’hai trovato, dopotutto ci sono
delle brecce, là; e poi le creature l’hanno sbranato quando l’hanno
trovato di notte... » disse triste. «Il corpo riporta i tipici segni
delle altre aggressioni.»
«Capisco.» borbottò sbuffando «Avvisi tu il parroco?» domandò,
guardando il telefono che teneva la Dottoressa nel privée.
«Non hai ancora imparato a usare il telefono?!» chiese
sconvolta.
L’ospite sbuffò, borbottando ancora, peggio di una caffettiera,
facendo capire all’anatomopatologa che non avrebbe mai imparato.
Scrollando la testa, la giovane donna andò a dare comunicazione
al prete del risultato dell’autopsia autorizzata preventivamente dai
parenti della vittima, mentre l’altro monopolizzava l’unica sedia della
stanza, sedendocisi sopra.
«Padre, abbiamo i risultati» lo avvisò dopo che il parroco ebbe
finalmente sollevato la cornetta dall’altra parte.
«Abbiamo? C’è anche il Cacciatore lì con te?» domandò sorpreso.
Solitamente non amava molto stare in compagnia.
«L’ho convinto a stare finché la bufera di neve non si
indebolisce, ma vorrei parlare dell’altro…» disse gentile.
«Sì, dimmi pure».
«Come ti avevo già detto si tratta di un umano, ma non è stato
ucciso dalle creature: ha una ferita al cranio e loro non adoperano mai
di questi mezzi, ma mangiano le loro prede ancora vive. Penso dunque
che sia morto accidentalmente e che poi lo abbiamo mangiato in parte»
spiegò.
«Ho capito… Pover’uomo… Siamo talmente preoccupati per queste
creature che a volte ci dimentichiamo anche delle fatalità» la sua voce
era molto triste. «Grazie per l’aiuto, Dottoressa. Come al solito dica
ai parenti che è stato mangiato dagli animali: meglio evitare di
allarmare i nostri concittadini inutilmente... E attendiamo l’esame
istologico da valle per l’epitaffio con la data di morte».
«Certo, Padre» lo rassicurò, stringendo la cornetta con
entrambe le mani.
Solo lei e il prete. C’erano solo loro due per portare un po’
di pace a quelle vittime. Certo erano aiutati dal Cacciatore, mentre si
diceva che un fantomatico fantasma difendesse il Villaggio, ma delle
volte si sentiva sconsolata di fronte a quelle uccisioni e quelle
aggressioni.
«Ci sentiamo domani mattina, allora. Attenderemo la polizia…».
«Se smette la bufera…» notò il medico.
«Smetterà… come sempre» ridacchiò l’interlocutore telefonico.
«Buonanotte».
«Buonano—» ma non finì di salutarlo che lui riprese la parola:
«Il Cacciatore dormirà da te?» chiese, quasi preoccupato.
«Beh, sì…» rispose, non capendo cosa vi fosse di strano. Gli
piaceva, era vero, e si era confidata in confessione con il Padre, ma
non riusciva a trovarci qualcosa di cattivo o malizioso nel proprio
gesto di ospitalità.
«Ok, ma non farti strane idee, figliola. Lui non si metterà mai
con te; lo conosco da moltissimi anni e non è mai cambiato né in
mentalità e né in aspetto fisico. È immutabile».
«Lo so…» sussurrò malinconica, ricordando la scena di poco
prima, nata dal fatto che il Cacciatore volesse sapere perché la
Dottoressa si era ritrovata a fissarlo. «Buonanotte, Padre. A domani».
«Buonanotte» ripeté lui, mettendo giù il telefono, come fece
anche la giovane poco dopo.
Il Cacciatore intervenne subito: «Da lui in chiesa domani, come
al solito?» domandò.
«Sì» rispose lei, sospirando appena.
«Io non verrò».
«Come al solito» disse lei, ripetendo le sue parole, in tono
diverso. «Ora metto a posto qui» lo informò. «Se vuoi andare a
dormire…».
«Bah…» sbuffò, scostandosi i capelli dalle spalle con un
movimento stizzito. «Lo sai che non ho bisogno di dormire molto; ti
aspetto qua».
La ragazza fece cenno d’aver capito – a lei non piaceva
dormire, ma aveva scoperto che quell’uomo dormiva meno di lei – e
iniziò a pulire il tavolo, riponendo lo scomposto cadavere in una
cameretta che utilizzava come cella frigorifera. Lavorò in silenzio per
lunghi, lunghissimi minuti, nei quali il Cacciatore non smise di
osservarla, mentre lustrava quella superficie per farla tornare
immacolata.
«Riguardo a prima…» disse dopo un poco. «Dimenticati di me.
Dobbiamo lavorare insieme, questo sì e continueremo a farlo per il bene
di NevediNotte, ma non sperare che ti ricambi mai».
«Sono davvero una persona così orribile?» gli domandò,
prendendo la varechina.
«No, la persona orribile tra i due dovrei essere io» rispose,
stravaccandosi sulla sedia.
«Solo perché sei burbero?» domandò, sollevando un fine
sopracciglio nero.
«No. Tu non sai nulla del mio passato, nessuno lo sa a parte…
Neve».
«Il fantasma del Villaggio? Ma cosa c’entra, scusa?».
«Io e lei ci conosciamo da tempo immemorabile e nemmeno Ev—»
incespicò un attimo sul nome dello spettro «…Neve può dire di
conoscermi realmente: solo colei che mi ha creato sa la verità, ma è
morta» spiegò, aprendo un po’ del suo cuore all’anatomopatologa.
«Mi dispiace per tua madre…» sussurrò triste.
«Non era mia madre» quasi ringhiò.
La Dottoressa non capì quella frase, ma preferì non indagare
oltre: era già tanto quello che le aveva detto e sembrava che il
ricordo di quella figura materna lo facesse soffrire.
«Inoltre, non potrei darti dei bambini e alle donne piacciono,
no?» chiese retorico.
Lei arrossì a dismisura, infilandosi i guanti con dei movimenti
a scatti. «Non… non volevo arrivare a tanto!» disse con un tono di voce
piuttosto alto, imbarazzata. «Ho solo detto che mi piaci, tutto qui!».
«Io sono lungimirante, vedo al futuro. E il nostro non sarebbe
un rapporto duraturo, quindi eviterò di farti soffrire» disse,
sorridendo bieco.
«Ma tu non ti senti mai solo? Non vorresti mai avere qualcuno
vicino? Un qualcuno con il quale trascorrere del tempo?» chiese,
mettendo a posto i detergenti, per poi riprenderli, ricordandosi di non
averli ancora usati. Era proprio imbarazzata.
«Io non provo nulla. Non penso di avere un cuore» disse lugubre.
«Invece lo hai! E batte forte! Io l’avevo sentito quelle notte
nel bosco, tanti anni fa, quando mi hai salvata da quelle creature!».
«Può anche battere, ma è come se fossi morto. Io sono solo un
ammasso di carne».
«È molto triste ciò che dici, Cacciatore…» balbettò la donna,
togliendosi i guanti.
«Ma è la verità. Per quanto uno abbia un corpo, non è detto che
sia vivo».
Lei posò i guanti sul tavolo e gli si avvicinò, rimanendo in
piedi davanti a lui, con lo sguardo serio.
«Parli, quindi il cervello ti funziona» disse, per poi posargli
una mano sul petto muscoloso. «Questo batte». Infine gli prese la mano
tra la propria, screpolata dal freddo, spaccata in qualche punto e con
tante cicatrici a segnargliela. «E questa è carne, sì. Quindi sei vivo
tanto quanto me. Se poi la natura ti ha reso sterile come dici non è un
problema…».
«Infatti non è mai stato un problema per me, ma il fatto che io
non mi possa riprodurre testimonia che non devono più nascere cose come
me».
Lei arretrò d’un passo, colpita da quanto detto.
Il Cacciatore era una figura che trasmetteva paura a tutti, sia
ai grandi che ai più piccoli e anche la Dottoressa non ne era del tutto
esente.
«…Che cosa sei tu?» domandò.
«Se te lo dicessi suppongo che non mi staresti più attorno».
Lui non le aveva mai dato le risposte che anelava. Mai. Non gliele
aveva date sulle creature – fu il prete a spiegarle tutto –, men che
meno avrebbe detto qualcosa su di sé.
«Lo dici come se in fondo ti dispiacesse…» sorrise.
«No, è solo che mi dispiace non potertelo dire» disse serio,
alzandosi.
La Dottoressa lo seguì con lo sguardo mentre usciva dal
retrobottega per poi entrare nel negozio.
«Dove vai, Cacciatore?» gli domandò. «La tempesta non è ancora
finita».
Ma lui non volle sentire ragioni e riprese il giaccone di
renna, indossandolo e aprendo la porta.
«Cacciatore?» lo chiamò ancora. «Aspetta. Dimmi almeno una
cosa…» sussurrò triste.
Il bruno si fermò con la mano sul pomello, attendendo il
seguito, mentre il gelo entrava in quell’emporio.
«Tu… quanti anni hai?» gli chiese.
«Sono troppo vecchio per te» disse tombale. «E anche se sei
un’anatomopatologa questo non ti permette di innamorarti di uno che è
nato morto» aggiunse, uscendo dal bazar, dopo aver richiusa la porta
dietro di sé con una sonora botta.
La Dottoressa sospirò pesantemente, piegando il capo in avanti.
«Quanto sei stupido… pensi che mi basti un “no” per smettere di
provare questo sentimento per te dopo che per anni l’ho taciuto?»
bisbigliò nel silenzio del suo negozio. «Al prossimo cadavere,
Cacciatore…» lo salutò, tornando nel retrobottega con il piccolo
sorrisino di chi non ha paura di camminare sul proprio sentiero, e salì
le scale che conducevano al secondo piano: la dimora della giovane.
Ma a metà scala si fermò di colpo. «Il tavolo!» esclamò,
portandosi una mano al capo e riscendendo, poi, i gradini di legno con
i suoi caldi stivali neri con il piumino all’interno; tra una cosa e
l’altra non aveva ancora finito di pulire il tavolo operatorio.
Fuori, intanto, la bufera soffiava forte, facendo piegare il
Cacciatore su se stesso per non cadere a terra, tanta era la forza del
vento. Ma non sentiva il freddo pungente, né le sferzate gelide che gli
arrivavano dritte in faccia, nonostante la spessa sciarpa che lo
copriva. Stava pensando alle parole di quella donna…
“Questo è il mio piccolino…
Certo è un po’ cresciutello, ma mi piace chiamarlo così”. Ridacchiò,
mentre lo presentava al resto del gruppo. “Non avrà un nome: non ne ha
bisogno. È solo un ammasso di carne dalla forma umana, nulla di più. È
intelligente come noi, ma obbedisce solo ai miei ordini, non sarà in
grado di prendere decisioni autonome finché io sarò in vita e solo io
potrò rivolgermi a lui”.
Un uomo del gruppo fece
notare che la sua presenza era superflua, ma lei continuò a spiegare:
“Lui o esso, parlatene come
preferite, ha il nostro stesso odore e sarà un’ottima preda per quelle
creature, inoltre, è molto forte fisicamente, per questo ci proteggerà
da loro. Meglio perdere un qualcuno come lui che si può facilmente
rimpiazzare, piuttosto che uno di noi, no?”.
E solo una voce sembrò fuori
dal coro in quel ragionamento: Even.
“Perché non sei d’accordo,
Even? Dorme poche ore al giorno e mangia meno di un bambino. Ma
attenzione, mangia solo carne, di tutti i generi, ma solo carne: gli
serve per far guarire le ferite, visto che da solo il suo corpo non ci
riesce”.
La donna in questione
inorridì un poco, mentre il futuro Cacciatore rimaneva fermo con gli
occhi vitrei, nudo davanti a loro, aveva i medesimi i capelli bruni
alle spalle e l’assenza di ombelico.
“Bene, piccolino. Saluta gli
umani che faranno compagnia a tua madre in questa spedizione e
presentati”.
“Salve” salutò guardandoli
negli occhi ad uno ad uno. “Sono ai servizi di Jolie, la maga céladon”.
«Stupidi umani» grugnì, perso nei suoi pensieri, quando a un
certo punto fece capolino nella sua testa l’immagine della Dottoressa.
Scrollò il capo come a voler eliminare quel pensiero e non si accorse
che Neve lo seguiva con lo sguardo, accarezzando il Gatto delle
Castagne che teneva tra le braccia. La bufera le muoveva il lungo
vestito e i capelli, ove la coltre bianca si depositava lenta.
«Povero bambino… Lui rimane sempre uguale e gli altri muoiono…
Ha visto morire tante persone, ecco perché anche ora, dopo la morte di
Jolie, che è libero, continua a non voler legare con nessuno: non vuole
più veder morire qualcuno al quale vuole bene».
«Miau!» rispose il gatto, come se la capisse.
«Oggi fa un tempaccio, micino, meglio così… di solito non esce
mai nessuno quando nevica così forte e mi riposo un po’».
«Miè!» miagolò ancora, ronfando a quelle carezze.
«Meglio se lo lasciamo un po’ da solo…» sorrise triste, vedendo
poi due ombre camminare verso il bosco, nonostante il tempaccio. Si
voltò preoccupata, ma riconobbe subito Koori e il suo lupo, e scosse la
testa con un piccolo sorriso. «Lui non ha bisogno di me; forse è uno
dei pochi che non riesce nemmeno a vedermi visto che non crede nella
mia esistenza…».
Così, mentre vedeva quelle figure camminare a stento,
riparandosi dal vento, riprese anche lei a camminare per il villaggio,
lasciando che il gattino poltergeist giocasse sulla neve mentre le
faceva compagnia.
§Fine§
XShade-Shinra
Note: Era
importante che pubblicassi oggi questo capitolo: in data odierna questa raccolta
compie un anno! <3
Scusate se rispetto al solito questo capitolo è un po' più
sentimentale.
Il color
celadon è un pigmento acquamarina pallido. Il
termine deriva dal francese céladon.
Celadon si riferisce inoltre a un particolare tipo di porcellana che ha
lo stesso rivestimento verde pallido, in origine prodotta in Cina.
[fonte] Insomma, la
“maga nera” o la “maga bianca”
era troppo comune e ho usato un altro colore! XD
Il Celadon è QUESTO.
Anche se solo come brevi comparse, sono apparsi tutti i personaggi
“principali” della Raccolta, più qualche
altro nuovo personaggio. <3 Giorno speciale, capitolo speciale!
Il passato di Neve e del Cacciatore (del quale si sono scoperte
già alcune cose… +w+ kukuku…)
sarà ancora analizzato nei prossimi capitoli.
Avrei una domanda per voi… Ce li vedete bene insieme il
Cacciatore e la Dottoressa? <3
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte alle Recensioni:
x Gaea:
>///< Non so davvero come ringraziarti per queste tue
belle parole. Sono contenta di essere riuscita a trasmetterti
così tanti sentimenti, che questo strambo mix ti piaccia e
che la storia ti stia appassionando sempre più! ** <3
x Livin Derevel:
Yeah! \^O^/ Felicissima di avere la tua approvazione per tutto! ** Sono
davvero contenta!
A volte i disastri nascono proprio dalle piccole cose e il villaggio si
porta questa croce orma da taaanto tempo. Se solo il Padrone non fosse
passato dal bosco per fare prima, probabilmente nulla sarebbe accaduto!
XD
P.S. Questa tua frase mi ha fatto paura: “Allora, visto che ci hai
anticipato tante belle cosine, attenderò con ansia i
prossimi capitoli, dove tante, tante cose saranno spiegate!^.^”
°_° Quella faccina sembrava dirmi “Altrimenti
ti spiezzo un braccino”… O_O Spiegherò
tutto, tutto! Promesso! XD
x Entrambe:
un grazie particolare va soprattutto a voi, ragazze. Mi avete seguita
fin dall’inizio di questa mia storia e mi fa piacere sapere
che continuate sempre ad esserci. <3 Un abbraccio e una bella
fetta di torta per entrambe per festeggiare questo giorno! <3
x Tutti:
Naturalmente ringrazio tutti quelli che hanno commentato questa mia
storia rendendomi così partecipe dei loro pensieri e datomi
un giudizio in merito! ^^ Un grazie anche a chi ha la mia raccolta tra
i preferiti/da ricordare/seguiti e chi solo la legge, anche senza darmi
traccia del suo passaggio.
Ci sentiamo al prossimo capitolo! ^^
XShade-Shinra
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Capitolo 15 *** 14. I Pupazzi di Neve ***
-
Hellcome to NevediNotte -
I
Pupazzi di Neve
«Era un teschio!» urlò a
voce alta,
producendo un'eco per la Chiesa vuota. «Era umano, cazzo! Possibile che
non mi crediate mai?!».
«Perché sei qui,
figliola?» chiese il prete alla giovane
ragazzina appena entrata nel confessionale.
«Sei il nuovo "Predicatore della Domenica" arrivato stamattina? M'ha
mandato mà! Ha detto che sono una che spara minchiate» spiegò ella in
modo rozzo e irriverente, per niente confacente al luogo sacro nel
quale si trovava, ma il Padre non perse di certo le staffe per quel
poco.
«Per questa espressione di dubbio gusto dirai cinque Ave Maria in
latino...».
«Io non lo so il latino!» disse strafottente, incrociando le braccia al
petto.
«Appunto. Le studierai qui finché non saprai ripetere a memoria quella
preghiera» spiegò, senza ammettere repliche.
La ragazza borbottò qualcosa che il parroco si sforzò di non capire o
le avrebbe aumentato la punizione, poi sbuffò lieve, cominciando a
parlare in modo più consono:
«Per te i pupazzi di neve si possono muovere?» domandò.
Un piccolo riso sfuggì al prete, che scosse appena in capo, iniziando a
parlare: «I pupazzi di neve non posso animarsi. Sono solo due cumuli di
neve con un paio di rami come braccia e un terzo a mo' di naso. Gli
occhi e il sorriso sono fatti con i sassi o i bottoni dei vecchi
cappotti. E infine li si agghinda con berretti e sciarpe che non
servono più. Sono solo neve e nient'altro, però, magari, il vento
potrebbe far muovere loro i rami e potrebbe sembrare...».
«Tsk! Quelli non erano mica rami! Sono maleducata, non cieca!» disse
con strafottenza, facendo rimbombare la sua voce all'interno del loculo.
«E allora... cos'erano?» domandò il religioso, interessato. Magari i
suoi amici – a patto che con quel caratterino ne avesse... – le avevano
preparato uno scherzo.
«Erano ossa... e non quelle che mangiano i cani» aggiunse per
specificare. «Sembravano quelle delle braccia, che studiamo a scuola.
Mi sono avvicena—».
«Avvicinata...» la corresse gentilmente.
«Non m'interrompere pure te come fa pà!» si accese. «Mi sono avvicinata
e l'ho guardato: aveva due buchi al posto delle palle degli occhi e
anche il naso era tutto dentro, però era brutto, veramente schifoso! La
cosa più schifosa era quel sorriso da faccia da culo che ave—»
«...E dieci Padre Nostro...».
«...aveva!» lo guardò torvo. «Ghignava, sembrava sghignazzasse. Il
vento gli passava tra i denti e sembrava che questo qua ridesse».
Il prete la fermò: «Denti? E come hanno fatto a...» ma venne
interrotto:
«Erano denti: questi, là!» disse, battendo un'unghia mangiata contro un
canino.
«Saranno stati denti da latte o di qualche animale.» spiegò piano il
religioso. «Magari dentro la palla che costituiva la testa...»
«Era un teschio!» urlò a voce alta, producendo un'eco per la Chiesa
vuota. «Era umano, cazzo! Possibile che non mi crediate mai?!»
Il prete sospirò piano, ma prima che potesse parlare, vide la ragazza
alzarsi e spalancare la porticina del confessionale, marciando a passo
spedito e rumoroso verso l'uscita. Senza nemmeno dire le preghiere, per
giunta!
«Dove vai?» le chiese il prete, affacciandosi.
«Me ne vado a fan—!» fece per dire, girandosi verso di lui, ma un
messale scagliato dal religioso la colpì in piena fronte prima che
potesse finire la frase.
«Sono uno contro la violenza... verbale.» specificò lui, mentre la
ragazza ringhiava, tenendosi pigiata la fronte; camminò fino a
raggiungerla, rimanendo in piedi davanti a lei. «Possiamo finire di
parlare?» domandò, con un sorriso in volto che avrebbe impaurito un
campione di karate.
Il nuovo parroco era giovane, ma sapeva come farsi rispettare.
«S—Sì» balbettò appena la ragazza.
«Bene» annuì contento, invitandola a sedersi su una panca. «Tu sai
perché sono arrivato io al posto del vecchio prete?» domandò una volta
che si furono accomodati.
«Che me ne frega... l'altro è schiattato...» borbottò.
«Giustamente...» fece, scrollando il capo, sperando che in quella terra
di montanari non fossero tutti così burberi, orsi e cafoni. Soprattutto
perché anche lui aveva sangue di quelle terre. «Sai mantenere un
segreto, nonostante il caratterino?» chiese.
«Tsk... ovvio» si indispettì lei, guardandolo male.
«Il vecchio parroco è morto perché è uscito la notte dal villaggio per
motivi che ancora non sappiamo, ma...» frugò nelle proprie tasche e vi
tirò fuori una foto scattata con la polaroid: una prova immodificabile
di quanto vi era impressionato sopra. «Lo hanno ritrovato così» disse,
senza mostrare la foto alla ragazza, preferendo riporla via da dove
l'aveva presa. Non era un bello spettacolo da mostrare.
«Così come?» incalzò la ragazza, scocciata, massaggiandosi ancora la
fronte.
«Aveva il corpo e la testa avvolti dalla neve e fuori penzolavano le
sue braccia... La carne era stata asportata ed erano rimaste solo le
ossa. Anche molte altre parti del corpo erano spolpate... Penso che sia
opera di qualche pazzo seriale...».
«Nel nostro villaggio?!» inorridì, alzandosi di scatto.
«No» tentò di calmarla. «Nel villaggio non c'è nessuna persona
cattiva... È fuori».
«Oh, non mi dirai che credi a questa vaccata dei mostri, pure tu!» lo
sgridò. «Sono solo animali!».
«Un animale potrebbe fare un pupazzo di neve così grottesco?».
«N--No, ma...».
«Un uomo potrebbe fare una cosa del genere?».
«Beh... No...».
«Invece sì. L'uomo può, basta che sia intrinsecamente cattivo» spiegò.
«E quando c'è cattiveria c'è Satana, e io sono qui per scacciare la
cattiveria» lui era stato chiamato appositamente per quel motivo,
poiché era un esorcista e la gente che sapeva aveva scelto lui sperando
di poter placare quelle bestie, che conservavano un briciolo di istinto
del gioco... ma che di umano non avevano più nulla, forse solo le
fattezze.
La ragazza lo ascoltò e annuì.
«Quindi... tu mi credi?» domandò, seguendo il suo ragionamento.
«Dove l'hai visto?» chiese. «A seconda di quello che mi risponderai, ti
crederò».
«Ti ci posso portare» disse, guardandolo negli occhi. «È poco fuori dal
villaggio, nel bosco».
Il parroco guardò l'orologio da taschino che portava e scollò il capo:
«Ormai è l'imbrunire, ci andremo domani, con la polizia».
«Cosa?» fece, incredula.
«Andremo con la polizia. La chiamerò seduta stante, così arriveranno
domani mattina».
La giovane rimase a guardarlo per un po', poi una lacrima solcò la sua
guancia.
«Tu... mi credi... Non sei poi così male per essere uno che fa le
prediche...» era commossa da quell'uomo, così tanto che si morse il
labbro per non far vedere che tremava. «Grazie!» ringraziò, correndo
verso l'uscita. «Ci vediamo domattina qua!» disse, aprendo velocemente
la porta e sparendo al di fuori di quel piccolo luogo sacro, diretta
verso casa. L'indomani avrebbe provato a tutti che non era una bugiarda.
Il prete la seguì con lo sguardo finché la porta non si chiuse da sé,
poi spalancò gli occhi: «Ehi! Non hai detto le preghiere!» tuonò, per
poi imbronciarsi e sospirare. Troppo tardi! Avrebbe aggiunto due o tre
orazioni in più.
Il parroco, dunque, fece un profondo sbadiglio, poi iniziò a camminare
verso la sagrestia – che gli faceva anche da nuova casa – per mettersi
a dormire nel suo letto dall'ignota morbidezza, quando all'improvviso
sentì l'organo suonare… da solo.
Si girò di scatto, convinto di non essere in compagnia e, in effetti,
non vide nessuno.
«Ma... che...» balbettò, avvicinandosi verso lo strumento, vicino al
quale poi sentì un altro suono: un miagolio.
«Ah, è entrato un gatto...» capì, più sereno, mentre guardava i tasti
immacolati.
Ma una strana sensazione gli fece venire un brivido freddo alla schiena
e una voce arrivò alle sue orecchie:
«I miei omaggi al nuovo parroco!».
A quelle parole, il prete si girò, trovandosi faccia a faccia con una
donna dai lineamenti delicati, pelle diafana, capelli albini, un
vecchio costume d'epoca completamente bianco e gli occhi color perla.
Ma la cosa che lo colpì più di tutte, e che lo fece arretrare dalla
paura, fu il fatto che il corpo della ragazza fosse talmente
evanescente che poté vedere il resto della chiesa dietro di lei.
«Chi... Chi è lei?!» chiese, facendosi il segno della croce.
«Si calmi...» sussurrò, sorridendo. «Non ho cattive intenzioni...
Potremmo dire che sono l'Angelo Custode di questa città... Anche se
sono solo il fantasma di una donna... uccisa diverse centinaia di anni
fa».
«Miau» miagolò un gattino bianco, comparso improvvisamente su una
panca - era evanescente come la donna, ma dall’aspetto più plasmoso.
Il prete sgranò gli occhi ancora di più a quella vista.
«Oh, e lui è un gattino che mi fa compagnia... va matto per le
castagne» sorrise, prendendolo in braccio. «Purtroppo non ho mai saputo
il suo nome...» borbottò affranta, per poi rivolgere un altro sorriso
al prete, il quale la guardò ancora a occhi spalancati, finché non
ruotarono
all’indietro e il suo corpo si afflosciò a terra come un lenzuolo.
«Miau?».
«Padre?» lo chiamò preoccupata, chinandosi verso di lui, svenuto. «Con
il vecchio padre spirituale non riuscivo a comunicare... Temo che avrei
dovuto usare un contatto meno diretto con padre Bernardo... Devo avere
esagerato...».
«Miè...» concordò anche il felino.
«Domani lo presenteremo al Cacciatore...» annuì tra sé e sé.
Se il prete avesse voluto trattenersi ancora in quella cittadina, si
sarebbe dovuto abituare velocemente alle stranezze che avrebbe
incontrato...
«Beh... Benvenuto a NevediNotte, Padre!».
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: In questo aggiornamento
ho spiegato una cosa del Capitolo "09.
I Giorni della Merla" e vi dirò
anche dell'altro... +w+
Ah, non fate caso a come parla questa ragazzina! XD
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte
alle Recensioni:
x Livin Derevel: °_°
*vede mazza e sbianca* Saprete tutto! E' una promessa e questo capitolo
vi ha già svelato una o due delle tante cose. Il Noir in fondo
è un giallo dark, quindi prima o poi si arriverà alla
soluzione di tutto! ù.ù
Anche tu slasher? XD L'avevo immaginato vedendo che ti interessavi ai
Green Day! v.v Brava! <3 (ma non dire come una mia amica, che
vorrebbe una Cacciatore x Prete! XDDD)
Comunque il cacciatore, nel corso della sua lunga vita, ha avuto altre
femmine che gli andavano dietro! XD Però solo con la Dottoressa
ha stretto un legame (di tipo lavorativo), quindi è quella che
gli è più vicina di tutte.
x Gaea: çOç No,
dai... che visione triste! XD Comunque NO! °_° Il Cacciatore
non direbbe MAI cose di quel tipo... ORRORE! XDDD Credo non riuscirebbe
nemmeno a pensarle, in realtà! XD
Io non sono cattiva... sono solo lenta a pubblicare! çOç
Avrei finito da mesi se non fossi una lumaca! ç_ç
Grazie infinite per gli auguri! <3
°-° Questo capitolo ha svelato diverse cose, eh! *ritira le zampine
come una tartaruga* niente sgranocchiamenti. x3
x Entrambe: Grazie per avermi
fatto sapere la vostra opinione in proposito - che poi, alla fine,
coincide con la mia -, ma volevo sapere se avreste gradito o meno dei
capitoli "extra" sulla loro storia. Quindi seguirò i capitoli
standard come da scaletta! ^^
Ah, ho pensato una cosa... dato che le storie non stanno in sequenza
temporale, metterò anche l'ultimo capitolo sparso... kukuku +w+
(Però vi avviserò che in linea temporale sarebbe
l'ultimo, eh! XD)
|
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Capitolo 16 *** 15. La Sorte del Diverso ***
-
Hellcome to NevediNotte -
La
Sorte del Diverso
Era un diverso, ecco
perché si sentiva tale.
Era
un diverso, per
questo era stato raccolto.
Lo aveva trovato il vecchio falegname mentre andava per boschi alla
ricerca di un ramo abbastanza lungo per una sua creazione.
Era là sulla neve ai piedi di un abete, come fosse un dono
di Natale, il dormiente corpicino infreddolito avvolto in un pregiato
tessuto, quasi fosse il premio per chi avesse preso quel neonato con
sé, come fece l'uomo.
Era un diverso, per
questo cominciarono a sparlarne.
Una volta tornato al villaggio, il falegname mostrò il bimbo
agli altri compaesani che lo avevano raggiunto vedendolo con quel
fagottino in braccio, credendolo un cerbiatto ferito. Molti di loro si
chiesero subito come fosse possibile una cosa del genere...
«Perché non è morto? Perché
questo drappo?».
Ma la domanda più paurosa sorse dalle labbra del macellaio:
«E se fosse un figlio di quei mostri?».
Era un diverso, per
questo incuteva timore.
Ma era impossibile che quelle creature avessero avuto l'accortezza di
fare ciò.
Impossibile.
Allora un'altra idea balenò nella mente del fornaio:
«E se... e se fosse un Sangue
Sporco?»
Tutti raggelarono.
E in quel momento il bimbo si sveglio, aprendo i suoi grandi occhioni
colorati: uno verde e uno blu.
Aveva le iridi di colore diverso.
Era la prova vivente che le leggende hanno sempre un briciolo di
verità.
Era un diverso, per
questo fu oggetto di polemica.
Impossibile.
Incredibile.
Non comune.
Strano.
Buffo.
Coincidenza...
Non vi erano prove tangibili che quel piccolo bimbo fosse un "Sangue
Sporco" se non il fatto che avesse gli occhi bicromi e che fosse stato
trovato nel bosco. Inoltre, quelle creature erano chimere, esseri dei
quali si parlava sottovoce, sperando di non essere derisi.
Erano uomini con il sangue macchiato da quello di altre razze.
Non erano come le creature del bosco, malvagie per nascita.
Loro potevano scegliere da che parte stare.
Era un diverso, per
questo ne ebbero pena.
Una giovane coppia si avvicinò al falegname e la donna prese
in braccio il piccolo, tenendolo stretto a sé; aveva perso
il bambino solo qualche giorno prima per via della sua costituzione
fragile. Eppure lo aveva desiderato tanto.
«Lo terremo noi» disse, guardando gli altri con lo
sguardo deciso.
Nessuno ebbe da ridire.
Dopotutto era solo un bambino - per il momento.
Era un diverso, per
questo non lo avrebbero trattato come tale.
Avrebbe avuto un padre e una madre.
Nessuno del villaggio avrebbe dovuto parlargli del suo passato, in modo
da non accendere ancestrali ricordi, capaci di risvegliare in lui quei
fantasmi assopiti.
Avrebbe avuto un tetto sopra la testa costruito dagli uomini e avrebbe
seguito i loro insegnamenti – ne avrebbero fatto uno di loro.
Lo avrebbero istruito, aiutato e portato sulla retta via.
Perché in quel villaggio ogni bambino è figlio di
tutti, come ogni persona è fratello degli altri.
Ma non gli avrebbero mai negato il bosco, poiché un luogo
negato attira di più la curiosità e la voglia di
andarci.
Era un diverso, ecco
perché si sentiva tale.
Koori guardava con aria assorta il bosco, mentre il padre lo portava a
giocare fuori di casa.
Ne sentiva il richiamo, come una melodia cantata da una sirena.
Non amava giocare con gli altri bambini; preferiva stare là
a guardare gli alberi innevati, in attesa di poterci tornare.
Per far sì che compisse la sua scelta e da neutrale passasse
a membro attivo.
Ma lui… voleva veramente avere una parte in tutta questa
storia che non gli apparteneva?
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Eccomi in anticipo sulla
mia classica tabella di marcia. Griderei quasi al miracolo.
Nella sezione Horror potrete
trovare un secondo spin-off di questa raccolta, intitolato "Icesinger - It Sings
a Requiem in the Frozen Lake",
dove saranno implicati il prete, la Dottoressa dei Morti e il
Cacciatore, più un nuovo mostro. Per ora non posso raccogliere
gli Spin-off e la storia "normale" in un'unica serie, poiché una
storia è in Horror e un'altra in Fantasy... Appena Erika
renderà possibile fare una serie anche con storie di diverso
genere la osannerò e potrò mettere tutto in ordine, come
piace a me. Per ora mi arrangio con i link nel Capitolo indice della
raccolta, e resto in attesa. +w+
Buona lettura! ^^
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
Risposte
alle Recensioni:
x Gaea: Anche tu hai il
gusto del macabro? XD Sono contenta che il finale del capitolo ti
sia piaciuto! XD Non riuscivo a trovare un termine per indicare il
Gatto delle Castagne rispetto a Neve, e la parola "plasmoso" è
uscita da sola! XD Boh, torbido, compatto o denso non rendevano! :-/
Una cosa: quella era una storia ambientata nel passato, quindi il prete
che abbiamo conosciuto nei precedenti capitoli è quello che
era appena arrivato a NevediNotte. ^^ Del vecchio defunto non ne ho mai
parlato! x3 Mi dispiace averti tratta in inganno senza volerlo... T_T
Pensavo si capisse per via dell'elenco personaggi che metto sempre nel
capitolo indice, mea culpa! :*
|
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Capitolo 17 *** 16. Gli Alberi di Natale ***
-
Hellcome to NevediNotte -
Gli
Alberi di Natale
Anche
a NevediNotte, per quante se ne dicessero sulle strambe
abitudini di quella "amena" cittadina, c'era un'usanza normale:
addobbare
l'albero di Natale.
Anche a NevediNotte, per quante se ne dicessero sulle strambe abitudini
di quella "amena" cittadina, c'era un'usanza normale: addobbare
l'albero
di Natale.
Nastri, fiocchi, palle decorate, bastoncini e pupazzetti di marzapane,
il tutto coronato da una stella sulla punta del sempreverde prescelto
per rallegrare l'atmosfera e dare un tocco di magia natalizia in quel
luogo.
Tutti gli alberi del perimetro interno del villaggio venivano vestiti a
maschera per festeggiare la nascita di Gesù, anche se le
famiglie preferivano mettere i doni dentro le calze appese al caminetto
per stare al calduccio in casa, piuttosto che far trovare i doni sotto
l'albero, al freddo.
Un anno, però, gli abitanti del villaggio provarono anche
ad
addobbare qualche albero del bosco, ma la mattina dopo trovarono le
ghirlande fatte a pezzi e lasciate giacere mezzo sepolte dalla
neve
caduta durante la notte, che celava anche i cocci delle palline e delle
altre decorazioni, mentre le stelle erano state infilzate nella
corteccia degli alberi come lance da cavaliere contro lo scudo
dell'avversario in una giostra per decretare la vittoria del
migliore, del
più forte.
§Fine§
XShade-Shinra
-Note: Per
farmi scusare del ritardo (anche se ormai penso che siate
abituati!XD), posto in periodo natalizio in modo da augurare a tutti
"Buone Feste"! <3
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
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Capitolo 18 *** 17. Il Lamento dell'Angelo ***
-
Hellcome to NevediNotte -
Il
Lamento dell'Angelo
«Perché
forse non lo apprezzano. È una melodia molto triste, quella
del tuo violoncello» disse serio il ragazzino.
La neve scricchiolava piano sotto i
pesanti passi di Koori, buttato fuori di casa dalla madre, di primo
mattino – le undici –, perché lei doveva pulire la sua stanza e non
voleva che Fenrir, il cucciolo di lupo del ragazzo, ruzzolasse in giro
come suo solito, lasciando pelo ovunque.
Koori era solito condurre una vita notturna, e stare in piedi di
giorno, era un vero e proprio trauma, soprattutto se svegliato con una
secchiata d’acqua gelida, seguita da un concerto di pentolame e
stoviglie assortite. La madre, dopo anni e anni, sapeva più che bene
che il figliastro aveva il sonno pesante, ed era conscia del fatto che
se non usava certi metodi, che implicavano per forza farsi sentire fin
oltre lo steccato che recintava la città, non sarebbe mai riuscita a
destarlo.
Così, il giovane dai capelli neri, come tutta la roba in pelle e lana
che indossava, passeggiava sconsolato per il villaggio, non vedendo
l’ora di poter tornare in camera a dormire, seguito da Fenrir, che si
divertiva come un matto a giocare sulla neve, come aveva fatto anche
poche ore prima nel bosco.
D’un tratto, il vento gelido che soffiava gentile, portò alle orecchie
del ragazzo un suono melodioso, che catturò subito la sua attenzione.
Koori ne rimase turbato.
«Sembra un angelo che urla e piange…» sussurrò, per poi rivolgersi al
suo lupacchiotto. «Fenrir, non fare il porco nell’ovile, andiamo!» gli
disse serio come al solito, marciando in direzione di quel lamento,
melodioso e sofferente, seguito dall’animale, pieno zeppo di neve
attaccata al pelo.
Dopo pochi secondi, il giovane capì che stava camminando verso una
casetta che ben conosceva: la bottega, nonché abitazione, dei due
vecchietti. Lui era un conciatore e lei una sarta.
Erano molto pochi i bambini che si avvicinavano a quella casa, e questo
perché l’uomo che lavorava la pelle incuteva un certo terrore: aveva i
capelli lunghi, imbiancati dal tempo, e gli mancava l’occhio sinistro.
Ma a Koori non importava l’aspetto fisico delle persone. Gli facevano
molto più orrore i suoi stessi coetanei, che si nutrivano solo di
fattezze e, dentro, non avevano nulla di concreto. In linea di massima,
il moro disprezzava le altre persone, come se non si sentisse di quel
mondo, ecco perché spesso cercava rifugio nel bosco e non usciva mai di
sua spontanea volontà durante il giorno, quando il villaggio viveva.
In poco tempo, Koori arrivò fino alla bottega, seguito dal
lupacchiotto. In veranda c’era il vecchio e rugoso conciatore che
suonava uno strumento musicale: un maestoso e uggioso violoncello.
Koori rimase lì in piedi, davanti a lui. Lo fissava rapito da quella
musica celestiale che non aveva mai avuto modo di ascoltare prima di
quel giorno.
Era certo che l’anziano si fosse accorto della sua presenza, ma avere
un po’ di pubblico non gli diede per niente fastidio e continuò senza
indugi quella melodia. Solo quando finalmente arrivò alla fine dello
spartito che teneva appoggiato a un leggio, il vecchio terminò quella
canzone muta e sollevò lo sguardo del suo unico occhio allo spettatore
curioso e educato che lo aveva ascoltato.
«Ciao, Koori» lo salutò cordiale.
A NevediNotte ci si conosceva tutti per nome.
«Ciao, vecchio».
Anche se qualcuno non utilizzava i nomi propri, ma soprannomi e vari
altri richiami.
«È strano che qualcuno si fermi ad ascoltarmi, per di più un giovane…»
notò l’uomo, sorridendogli. Per quanto l’età fosse avanzata, i denti
non avevano perso il loro candore, anche se qualcuno cominciava a
venire meno.
«Perché forse non lo apprezzano. È una melodia molto triste, quella del
tuo violoncello» disse serio il ragazzino.
«Oh, sai che è un violoncello, complimenti…».
«Sì. Mi piace veramente molto la musica e mi informo attraverso i
libri. Inoltre, ho un MP3, regalo dei miei zii della città a valle… A
volte mio cugino mi passa qualcosa di nuovo quando abbiamo modo di
vederci o mi manda una scheda di memoria tramite il musher». Koori parò
a lungo. Strano per uno come lui, sempre abituato a tacere.
Intanto, non visto, un batuffolo di pelo grigio era salito sulla
veranda e odorava il puntale del violoncello, curioso.
«Fenrir!», lo riprese – verbalmente e fisicamente – il padrone,
allontanandolo dallo strumento musicale.
«Anche il tuo lupo è curioso, proprio come te, e sta crescendo in
fretta», notò l’uomo.
«Sì», borbottò Koori, rimettendolo a terra, continuando poi a guardare
il violoncello.
Sembrava affascinato da quelle corde e da quel legno d’acero e abete.
«Non avevo mai sentito un suono simile…» disse, prima che il vecchio
gli potesse porgere una qualsiasi domanda. «È così malinconica… Mi ha
fatto venire in mente il lamento di un angelo, solo al mondo, che cade
dalle nuvole, giù, verso la terra… Dove incontrerà solo uomini ricchi
d’odio e di cattivi sentimenti. Ecco perché piange: preferirebbe la
solitudine del suo mondo bianco all’essere circondato di ipocrisia e
falsità».
L’uomo annuì, carezzando un lato della cassa armonica.
«Sono felice di essere riuscito a suscitare in te forti emozioni e
potenti immagini», disse, posando l'archetto in crine di cavallo e
legno di pernambuco sopra il leggio. Sapeva che la discussione sarebbe
finita lì e che quel ragazzo sarebbe tornato a casa, lasciandolo di
nuovo solo, nonostante lui stesso ne desiderasse la compagnia. Per cui
non si aspettò la seguente affermazione di Koori:
«Mi piacerebbe imparare ad usarlo».
Il conciatore, sbalordito, sbarrò l’occhio: «Veramente?», chiese.
Koori rispose con un cenno del capo a indicare un “sì”. «Però non
saprei dove comprarlo. Noi non scendiamo quasi mai in città».
L’uomo sorrise, scuotendo il capo. «Non ti preoccupare: potrò prestarti
il mio violoncello». Questa volta fu Koori a rimanere sorpreso. «Te lo
farò provare e, se ti piacerà, continuerai a suonarlo. Conosco un
liutaio molto bravo nella città vicina, te lo farò costruire da lui».
Fenrir si sdraiò sugli anfibi di Koori, facendogli così un po’ di
caldo. Era stufo di rimanere nello stesso posto per tanto tempo, quando
era fuori: era ancora un cucciolo e voleva giocare con il proprio
padroncino, non stare lì a chiacchierare con una persona anziana!
«Va bene, vecchio» annuì Koori. «Ci sto. Inizierò a mettere i soldi da
parte. Il problema sarà trovare qualcuno che mi insegni ad usarlo…».
L’anziano rise e si indicò «Ma ce l’hai qua, davanti a te!».
Il ragazzo lo guardò strano, indicandolo di rimando. «Tu?».
«Non mi credi in grado?».
«Oh, al contrario… Sei così bravo che anche uno zuccone come me non
avrebbe difficoltà a imparare, ma… Perché lo fai?».
«Per avere un po’ di compagnia giovane attorno e qualcuno con cui
condividere una passione. Sai, io ho avuto solo una figlia, che ormai
non c’è più, e mi sarebbe piaciuto avere un nipote…» spiegò triste –
come la sua melodia, come se quel violoncello riflettesse lo stato
interiore della persona che lo suonava.
Koori abbassò gli occhi bicromi, guardando Fenrir.
«Io non ho mai avuto i nonni: ho solo mamma e papà» rispose piano, per
poi rialzare lo sguardo. «Da oggi, allora, tu sarai il mio vecchio!» disse deciso, facendo
sorridere il conciatore.
«Allora è deciso. Ti aspetto domani alla lezione di prova, al tramonto».
«Sì», annuì il ragazzo, felice di avere avuto quella possibilità.
«Quando mi costeranno le sue lezioni?».
«Nulla, come non ti costerà nulla il tuo futuro violoncello, ragazzo
mio» spiegò affabile. «Prendilo come un regalo del tuo nonnino
acquisito».
Koori lo ringraziò con un abbozzo di sorriso, smorfia che ben pochi
conoscevano, a parte Fenrir e i suoi genitori – coloro che lo avevano
adottato, senza fargli sapere nulla del suo ignoto passato.
«Va bene» annuì, sbadigliando in maniera ineducata, senza apporre la
mano davanti alla bocca, dando un perfetto spettacolo di rozzezza. «Io
mo’ vado a casa. Sono stanco…» si lamentò.
«Va bene, Koori. A domani» lo salutò l’uomo, con un sorriso.
«Sì. Ciao e ancora grazie, vecchio» disse il ragazzo, che, preso Fenrir
da sopra i propri scarponi e caricatoselo sulla spalla, si incamminò
verso casa, sperando che la madre avesse terminato i mestieri.
Quando Koori fu abbastanza lontano, la porta di casa della bottega del
conciatore si aprì e la sarta uscì con passo delicato in veranda,
arrivando dietro al marito.
«Mi dispiace davvero per lui… Dovrebbe sapere la verità…» iniziò a dire
la donna.
«Cara, per favore…» le disse il marito, ma lei lo tranquillizzò,
accarezzandogli i bianchi capelli, ancora robusti.
«Non preoccuparti: ti ho promesso che manterrò il segreto, e in tutti
questi anni non ti ho mai dato motivo di dubitare della mia parola»
sussurrò lei.
«Lo so, Amore… altrimenti non avrei mai scelto te come mia sposa. Tu
che hai saputo guardare oltre…».
Entrambi sorrisero, ancora così innamorati nonostante gli anni passati.
«Sono contenta che sia riuscito ad avvicinarlo a te…».
«In realtà è venuto da solo… Forse è il destino che l’ha voluto…».
La donna annuì e gli scostò gentilmente delle ciocche di capelli che
gli ricadevano scomposte di fianco, mettendogli così in mostra, solo
per un attimo, le orecchie mancanti di punte, come fossero state
tagliate di netto.
Perché nessuno sapesse.
§ Fine§
XShade-Shinra
Note:
Non balzate
subito a
soluzioni affrettate: ricordate l'occhio - per maggiori info,
consultare dei capitoli addietro.
In questa calda e assolata giornata di Luglio torno con il
nuovo capitolo della mia raccolta.
Mi dispiace per il ritardo, ma sono rimasta fregata da due contest di
fila: nel primo avevo quasi finito di scrivere la storia ma ho dovuto
dare forfait, nell'altro i giudici sono spariti, partendo per qualche
paradiso fiscale. Così il capitolo ha subito numerosi
rimaneggiamenti, e ora eccolo qui, pronto per far parte integrante
della raccolta.
Anche se le storie tra di loro sono slegate, in realtà nella
mia mente c'è una scaletta logica per postare i capitoli -
ecco perché non ho più postato altro nel
frattempo.
Vorrei inoltre chiedere il vostro parere su una cosa: sono in
difficoltà per la "saga del passato",
perché un solo capitolo mi basterebbe anche, ma sarebbe
lunghissimo. Voi cosa preferite? Capitolo unico lungo o capitolo diviso
in parti (esempio: "La Compagnia d'Oltralpe - Parte 1", "La
Compagnia d'Oltralpe - Parte 2", "La Compagnia d'Oltralpe - Parte N")?
La possibilità di fare una raccolta a parte è
già stata scartata a priori da me. ^^
Fatemi sapere come preferite voi lettori.
Bene,
spero di poter aggiornare l'11 Agosto - anche perché NdN
festeggia il
secondo anno - con un capitolo abbastanza particolare...
Grazie a tutti quelli che ancora mi seguono, nonostante i miei tempi
biblici. Perdonate questa scrittrice drogata di contest che vi
ha fatto solo perdere tempo! >.<
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
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Capitolo 19 *** 18. La Fine della Guerra ***
-
Hellcome to NevediNotte -
La Fine della Guerra
C'è chi va e c'è chi resta.
Il Cacciatore fissava con occhi
vacui la lapide di fronte a sé.
Tutti gli altri abitanti di NevediNotte che avevano partecipato alla
Santa Messa se n’erano ormai andati dopo il seppellimento, e
perfino il nuovo parroco era tornato a casa.
«Cacciatore?», lo chiamò Neve. La voce triste si
fondeva con il forte vento, il quale soffiava ormai da giorni, portando
con sé i fiocchi di neve. Il Cacciatore non sollevò gli
occhi, e lo spettro decise comunque di continuare. «Ha fatto
tanto per noi. Era l’ultimo tassello del puzzle perché
tutto questo finisse».
Le sue parole erano atte a tranquillizzarlo, a fargli capire che quella
tomba conteneva il cadavere di una persona che era morta con il sorriso
sulle labbra, perché in vita aveva dato molto a tanti ed era
sempre rimasta fedele ai propri ideali, arrivando perfino a voler
trascorrere da single tutta la vita per non mancare di rispetto al suo
amore non corrisposto.
L’uomo dai capelli bruni continuò a fissare quella lapide
senza muoversi, sbattendo solo le palpebre. Non una lacrima in quegli
occhi scuri. Non un sentimento in quel viso severo.
A un occhio disattendo sarebbe sembrato solo assorto, ma Neve sapeva
bene che il Cacciatore, dentro di sé, soffriva come poche volte
gli era accaduto.
La neve continuava a cadere accompagnata dal vento; e ormai aveva
ricoperto le tombe e le parti superiori delle lapidi del cimitero. Neve
fluttuava in posizione seduta sulla lapide della tomba accanto a quella
dove era il bruno, con il lungo vestito candido che ne copriva
l’iscrizione.
Il gatto poltergeist era seduto sul suo grembo, e si lasciava
accarezzare. Anche lui aveva compreso che quel giorno era accaduto
qualcosa di molto triste per i suoi due amici a due zampe.
Solo dopo parecchi minuti il Cacciatore si rivolse al fantasma,
parlandole con voce triste e profonda:
«Sai bene che questo incubo non finirà mai,
Even…», le disse il Cacciatore. «Abbiamo solo
ristabilito l’equilibrio, ma quanto durerà?».
Lei annuì, facendo i grattini dietro le orecchie al poltergeist.
«Lo so, ma… io ho assolto il mio compito. Non ho
più rimpianti, e la tua missione è ormai terminata. Ora,
posso andare via», gli disse, tendendogli la mano. «Tu,
invece?».
Lui la guardò e scosse il capo.
«Io non posso accedere né all’Inferno, né al
Paradiso, né al Purgatorio. Io sparirò qui». Lo
aveva capito ormai da secoli. Un essere senza anima non avrebbe avuto
futuro dopo la morte. L’avrebbe atteso solo il nulla.
«Ricordi cosa diceva Padre Bernardo? Dio è grande e
misericordioso e accetta tutte le persone buone che bussano alla porta
della sua Casa», gli disse la donna.
«Io non sono buono», sussurrò lui, accarezzando la tomba sulla quale
era seduto.
«Invece lo sei: hai lottato per il bene di tutti…», gli sorrise. «E
anche lei l’ha sempre
saputo».
Il Cacciatore, allora, abbozzò un sorriso.
«Even… posso chiederti un ultimo favore?».
«Certo…».
«Posso andarmene prima di te?».
Quella proposta fece rimanere senza parole il fantasma, e il Cacciatore
si affrettò a spiegare:
«Ormai, qui non è rimasto nessuno di coloro che sono
diventati importanti per me, a parte te… Appena te ne andrai
via, io rimarrò solo. Mi sarebbe piaciuto morire prima di
qualcuno…».
Even annuì piano, capendo ciò che il Cacciatore doveva provare in quel
momento.
Era sempre stato burbero e scontroso davanti agli altri, ma nel buio
della sua casetta piena di carcasse, lui penava e si disperava nella
solitudine che lo corrodeva dentro.
«Allora… Addio, Cacciatore… Spero di rivederti nell’aldilà…».
Il bruno sospirò felice e un braccio gli si staccò dal
corpo, rimanendo intrappolato a ciondoloni tra i pesanti vestiti. Poi
fu il momento della mano inguantata, che cadde a terra, sulla tomba,
puzzando di cadavere. E così, a seguire, il suo corpo
cominciò pian piano a disfarsi, come un oggetto che abbia ormai
terminato il proprio ciclo di vita. Il Cacciatore stava trattenendo da
giorni quel processo di autodistruzione, perché voleva morire il
più tardi possibile.
Pezzi di carne, cute, ossa e tessuti caddero a terra, tra la neve,
sotto gli occhi impotenti di Neve, che lacrimarono appena.
Conosceva il Cacciatore da secoli ed erano sempre rimasti insieme in
quella lotta contro le Creature che andava avanti da tempo immemore.
«Grazie di tutto, Even… Grazie per non avermi lasciato
solo in tutti questi anni…», sussurrò il bruno, con
voce roca. «Salutami tutti quelli che ho conosciuto e che non mi
hanno trattato come l’ammasso di carne che sono, e ringrazia
anche da parte mia coloro che ci hanno aiutato in questa guerra di cui
nessuno saprà mai l’esistenza… E di’ alla
Dottoressa che se fossi nato umano avrei davvero voluto una donna
coraggiosa e buona come lei al mio fianco».
«Lei, nel suo cuore, lo sapeva già,
bambino…», sorrise Neve, mentre lo vedeva perdere sempre
più consistenza, finché non crollò del tutto a
terra, riverso al suolo, come a voler dormire per sempre là,
sulla tomba della Dottoressa dei Morti.
Neve si asciugò le lacrime e sollevò il micio per posargli un bacio
sulla testina.
Lui la guardò interrogativo con i suoi grandi occhi rossi come tizzoni
ardenti, e lei gli disse piano:
«Sei rimasto solo tu, ora. Io devo andare… I fantasmi
rimangono sulla terra finché hanno dei rimpianti, e ora è
il tempo per me di riabbracciare Xuěyún».
«Miè!», miagolò gioioso il gatto, strofinando
la testina contro il viso dello spettro. Fece un piccolo saltello e si
arrampicò sulla sua spalla, mettendosi comodo, come se non
volesse che se ne andasse.
«Ehi», lo sgridò appena, prendendolo e facendolo
saltare sulla neve fresca. «Anche io vorrei portarti con me, ma
devi restare… altrimenti, chi baderà al
villaggio?», gli domandò.
Il gatto miagolò piano, capendo quello che Neve voleva dire.
«Mi raccomando… Ora il villaggio è in mano tua.
Proteggilo come hai sempre fatto», sorrise composta. «Ciao,
gattino… È da non so quanto che desidero questo momento,
ma non riesco a essere pienamente felice… Anche io, come il
Cacciatore, mi ero affezionata tanto alle persone che ho conosciuto
attraverso i secoli, e anche io come lui soffrivo nel vederli morire,
ma il fatto di essere già passata a miglior vita mi ha aiutato a
sopportare meglio la sofferenza che mi affliggeva»,
sussurrò, chiudendo gli occhi.
In quel momento, Neve avvertì come se il vento la stesse
abbracciando, trasmettendole calore. Quel calore umano che aveva quasi
dimenticato.
«Mi mancherà questa città… Spero di
incontrare tutti i miei amici nel posto dove
andrò…», sussurrò, per poi scomparire con
una folata di vento un po’ più forte, come se non fosse
mai esistita.
In quel cimitero rimase solo un ammasso di carne avvolto da degli
stracci, che presto sarebbero diventati cibo per i cani del musher,
già attratti da quel forte odore di carogna.
Il gattino poltergeist andò dal Cacciatore e gli leccò il
volto senza più lineamenti, come un ammasso di carne sciolta. Un
ultimo saluto anche da parte sua.
Ben presto i cani giunsero al cimitero, dove il felino li attendeva,
sdraiato sopra la lapide della Dottoressa.
Li guardò con i suoi occhi rossi. Li conosceva molto bene: otto
bellissimi bastardini.
Aldebaran, Orion, Polaris, Crux, Lattea, Sirius, Alfa e Centauri.
Erano rimasti senza il padrone, ormai. Ed erano mesi che un nuovo
musher non metteva piede lì a NevediNotte.
“Mangiate. Voi conoscete già le creature, che hanno
portato via il vostro padrone. Mi aiuterete a vegliare su questo
villaggio, dove l’equilibrio potrebbe essere rotto da un momento
all’altro”, sembravano voler dire gli occhi del felino.
I cani si avvicinarono sommessamente e mangiarono i resti di carne; ce
n’erano di tutti i tipi: alce, camoscio, orso, lupo, volpe...
Tutto. Tranne carne umana.
Il gatto si stiracchiò ronfando, lasciando la coda a ciondoloni
davanti all’iscrizione sulla lapide, sulla quale era inciso un
epitaffio; il nome e la data erano coperti dalla neve, ma
l’iscrizione tombale era ben chiara.
“Qui
giace colei che difese sempre i più deboli, dandolo loro voce e
incollandone i sogni infranti, affinché potessero avere
giustizia: i morti”.
Era stata sepolta accanto a un’altra tomba, risalente a
centinaia di anni prima, quella che si diceva fosse la più
antica di tutto il cimitero, la quale recava una scritta in latino al
sapore di speranza:
Even, detta il Fiore del Freddo
624 – 651
“Non piangere se mi ami.
Il tuo sorriso mi dà pace”.
E nel bosco lì vicino, intanto, un paio di occhi rossi nascosti
nell’ombra guardavano il villaggio dove ancora nevicava in quella
notte senza luna.
Come ogni giorno da quando era stata posta la prima pietra, avrebbe
smesso di nevicare all’alba, dando tempo alla neve di celare i
peccati della notte.
§ Fine§
XShade-Shinra
Note:
Xuěyún significa "nuvola di neve" in cinese. È un personaggio della
saga del passato.
L'ultimo epitaffio l'ho trovato su wiki e tra parentesi c'era scritto
"vilivan".
Sono qui. Sono io. O_O
Questo capitolo dovevo postarlo l'undici, ma anche il diciotto è
un numero molto importante per me, quindi festeggio il secondo
anniversario di NdN un po' in ritardo.
Capitolo particolare, che i buoni intenditori capiranno dove
collocare... Mi sembrava giusto festeggiare in grande stile. È
una scelta azzardata la mia, ma spero piaccia l'idea. Ricordatevi che
mancano tanti capitoli intermedi da leggere, quindi...
Se tutto va bene, ci sentiamo a Settembre! ^^
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
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Capitolo 20 *** 19. Il Nome del Villaggio ***
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Hellcome to NevediNotte -
Il Nome del Villaggio
«Ah, mi scusi. L’ho
chiamata con il nome locale. Intendevo un biglietto per…».
Sara stava finalmente per
tornare a casa dopo tanto tempo.
«Sei anni…» sussurrò,
ricordando l’ultima volta in cui gli occhi le si erano posati sulla sua
casa e la madre l’aveva stretta tra le braccia. Da quel giorno si erano
sentite tramite lettera o ponte radio; non altro, perché là nella
montagna di neve perenne i cellulari non avevano campo.
Si avvicinò allo sportello della biglietteria ferroviaria, mettendosi
sulle punte dei piedi e appendendosi alla balaustra in simil marmo –
gli anni erano sì passati, ma era certa che sarebbe rimasta una tappa.
«Buongiorno!» Sara salutò
cordiale l’annoiato dipendente. «Un biglietto
per NevediNotte».
«Per dove?» domandò l’uomo,
aggiustandosi gli occhiali sul naso e sporgendosi verso il vetro forato
per sentire meglio.
Sara scandì meglio “Neve di Notte”, separando le parole, ma solo quando
l’impiegato grugnì ancora e scosse la testa capì la propria gaffe. «Ah,
mi scusi. L’ho chiamata con il nome locale. Intendevo un biglietto
per…».
Il viaggio fu lungo, lunghissimo. E noioso, noiosissimo.
Il cellulare fece in tempo a scaricarsi lungo strada e l’MP3 lo seguì a
ruota. La temperatura scendeva sempre di più man mano che si avvicinava
la sua fermata – e il vagone non era nemmeno adeguatamente
climatizzato.
Ma tutto venne presto dimenticato quando, scesa dal treno – l’unica a
fare tappa lì –, vide un uomo sulla banchina che sembrava proprio
attenderla.
«Zio!» gridò allegra,
buttandosi letteralmente tra le braccia del parente, venuto fino alla
stazione per prenderla.
Era bello potersi rivedere dopo anni.
Presero la 4x4 parcheggiata accanto all’uscita della fatiscente
stazione e si diressero verso il paese.
Risate e chiacchiere si sprecarono a fiumi durante il lungo percorso
che dovettero attraversare, ma raggiunsero la loro meta abbondantemente
prima del tramonto.
«Zio, puoi fermarti un attimo?»
domandò la ragazza, giunti quasi in prossimità dello steccato.
L’uomo la accontentò e la vide scendere e raggiungere il grosso masso
accanto alla strada principale: una inamovibile pietra dura e scura,
dove era stato inciso il nome del paesino.
«Nevermore…» lesse la
ragazza a voce alta, sfiorando il masso coperto dai licheni e corroso
in parte dal tempo. «Zio… tu sei diventato il
sindaco qui, vero?» chiese la ragazza. L’uomo
annuì. «Allora… Perché questo paese ha un nome
così... triste?».
L’uomo scese dall’auto e le si avvicinò, posandole una mano sulla
spalla.
«Il mio predecessore mi ha detto che è stata
chiamata “Nevermore” perché “una cosa del genere dovrà mai più
accadere”»
disse in tono basso.
Sara si girò verso di lui.
«Cosa non deve più capitare?»
domandò.
Il sindaco le accarezzò i capelli con la mancina. «Solo
la Neve lo sa» rispose lui, facendole capire
che, anche se sapeva, non avrebbe parlato.
«Il fantasma?».
«Forse…».
Sara guardò verso il bosco, come se sperasse di scorgerla. «Neve…
Magari glielo chiederò… Se mai la vedrò».
«Non tutti possono vederla: io non l’ho mai vista».
«E chi è che la può vedere?».
«Non si sa. Alcuni ci riescono, altri no».
«Forse è lei che decide a chi mostrarsi…».
«Chissà…» sospirò l’uomo.
Fece per andare via, ma la giovane lo trattenne per la manica del
cappotto pesante.
«Perché gli anziani la chiamano “NevediNotte”?»
domandò ancora. «Solo perché nevica di notte?».
Per il sindaco fu molto più facile rispondere a quella domanda,
perché anche lui aveva porto quella questione e non fece altro che
ripeterle la risposta che aveva udito lui stesso da un vecchio ormai
defunto: «Sì e no».
Sara non sembrò soddisfatta. Lasciò perdere l’argomento. «Dopo
vorrei andare a salutare anche Ferdinando» disse
di punto in bianco, tornando all’automobile.
«Magari domani. Stasera si farà tardi».
E la giovane ben sapeva che le regole del villaggio non erano cambiate.
Sorridendo, risalì in macchina con lo zio, che la accompagnò dalla
propria sorella perché potesse riabbracciare la figlia dopo gli anni
passati lontana all’università.
Non sapeva che nel cervello della ragazza era scattato qualcosa da
anni, da quando era ancora bambina.
Non sapeva che lei, ora glottologa, aveva notato una cosa sfuggita ai
più.
C’era un apostrofo, mascherato da una piccola frattura nella roccia, e
ne era certa.
Nevermore.
Neve’rmore.
Neve or more.
Neve o di più.
Lo aveva studiato a scuola: chi non conosce il proprio passato, non può
conoscere il proprio futuro.
E lei non aveva mai smesso di voler scoprire cosa nascondeva (la) Neve.
Cos’era quel “di più”?
Il suo amico poteva aiutarla in questa sua ricerca, anche se per farlo
avrebbero dovuto scavare nei ricordi custoditi dai morti.
«§Fine§
Note:
Ferdinado è un PG già apparso nel capitolo: 11. L'Antro dei Ricordi.
Nella frase finale Sara dice: "Conosco il latino", in lingua latina,
appunto.
Dopo tanto, finalmente,
sono tornata ad aggiornare questa storia.
Mi dispiace davvero per l'attesa, non sono una che molla le sue
creature così: la storia continuerà fino alla fine. Ringrazio di cuore
tutte le persone che hanno continuato a sostenermi in questo periodo di
pausa, grazie di cuore.
- Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
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Capitolo 21 *** 20. L'Abbraccio del Gelo ***
-
Hellcome to NevediNotte -
L'Abbraccio del Gelo
Come un gatto guarì la
solitudine di una creatura centenaria.
Non tutti potevano vedere Neve, lo
spirito protettore del villaggio.
Eppure lei c'era, era in mezzo a loro tutti i giorni da quando nacque
il villaggio, e questo la addolorava.
I pochi che potevano vederla avevano una sorta di timore reverenziale
verso di lei e non si avvicinavano, ma in realtà Neve avrebbe tanto
voluto parlare con qualcuno.
C'era sì il Cacciatore, ma non era abbastanza umano per quel che
mancava allo spettro. Inoltre i due non avevano alcuna affinità. Il
compagno di lei, quando entrambi erano ancora in vita, l’aveva mutilato
e lei stessa aveva rischiato di ucciderlo – c’erano volute centinaia di
anni prima che i due più vecchi abitanti di NevediNotte ancora in
“vita” si parlassero per la prima vera volta.
C'era stato poi il primo padre spirituale di allora, ma, sebbene legato
al mondo ultraterreno, non voleva avere a che fare con uno spettro,
qualcuno che aveva dinegato la casa del Signore per rimanere sulla
terra – dimora dei peccatori.
Solo dopo qualche decina di anni dopo – forse proprio un centinaio –,
in una fredda notte, le venne rivolto un "Ciao".
Era una vecchia donna arrivata da qualche tempo al villaggio insieme a
degli altri avventurieri stanchi che cercavano un posto dove riposare
le membra sfinite dalla guerra, e mai prima di allora le aveva fatto
capire di poterla vedere.
«Salve…» rispose Even, stupita.
La vecchia vestita di nero era ricurva su se stessa, con le dita
rovinate e storte, alcune senza unghie. Molte rughe solcavano il suo
volto cascante, la cui parte sinistra era macchiata di nero e la
palpebra gonfia chiudeva l’occhio dal quale colava del muco
giallognolo. Sorrise, mostrando i pochi denti sbilenchi che aveva
ancora, e nonostante tutto a Even parve una visione rassicurante. Tutti
la chiamavano strega, ma senza cattiveria nella voce. Anzi, chiunque la
incrociasse lungo la strada, la salutava anche con un gesto di
riverenza del capo, perché i loro occhi si posavano sul suo corpo
consumato a causa della vecchiaia e dalle esalazioni e le spore dei
decotti – di vita o di morte – che preparava per sé e soprattutto per
gli altri.
«Aspettavo da tempo di poterti vedere» disse lei, infilando una mano
dentro una sacca che portava a tracolla sul davanti. Even vide che la
vecchia ne sfilò un gatto grigio, ormai senza vita.
«Quello è il suo gatto…» lo riconobbe subito: manto grigio e occhi
rossi, era il suo gatto che adorava mangiare castagne. «Mi dispiace…».
La vecchina mosse il capo in gesto negativo. «Non dispiacertene: ha
vissuto molto più di un gatto normale e questo l’aveva reso sempre più
scaltro e intelligente. A volte ero certa che potesse capire cose che
io non riuscivo a cogliere» le disse con voce fina e arrochita. «Ha
esaurito la sua settima vita, ormai non posso più fare nulla per lui»
disse triste, porgendo il corpicino senza vita verso il fantasma.
Even scosse il capo. «Non posso toccarlo» le disse.
«Prendilo, da ora in poi farà compagnia a te, io incontrerò presto care
persone che mi staranno vicine, al contrario di te».
Even non capì il macabro gesto, ma fece come la strega le aveva detto;
tese le braccia e mise le mani sotto quelle dell’altra, la quale fece
cadere il gatto. Even non si stupì che il corpicino la attraversasse,
schiantandosi sulla neve con un soffice tonfo, e stava per
rattristirsi, quando vide che sulle sue mani spettrali era rimasto
qualcosa.
«Non può essere…» mormorò sorpresa, quando vide la cosa biancastra
sollevare la testina e le orecchiette, e guardarla con occhi color
fuoco. Era un corpo semitrasparente, che ci mise un po’ a prendere più
sostanza, come fosse più un gel che dell’impalpabile aria.
Il micino fantasma miagolò e strusciò il musino sul polso della
protettrice del villaggio. Era uno strano tipo di contatto, freddo come
la neve che li ricopriva piano, ma Even sentì l’invisibile cuore che si
riscaldava, non più solo.
«Grazie!» disse con un bel sorriso in volto e gli occhi che le
brillavano appena come preziosi cristalli di rocca. «Come si…» rivolto
lo sguardo alla donna, la vide riversa a terra, silente e arricciata
come in un guscio di protezione. La strega aveva abbandonato il
villaggio, andandosene silenziosamente così come era arrivata.
Era riuscita finalmente a vederla solo perché stava per morire.
Anche il gattino si accorse che la vecchia padrona era in terra, ma la
guardò rimanendo tra i palmi di Even, con le spettrali vibrisse tese in
avanti. Sotto i loro occhi, il corpo della vecchia, che aveva respirato
veleni e pozioni di ogni genere nell’arco della sua lunga vita portata
avanti decisamente troppo a lungo per essere solo frutto di longevità
naturale, si sciolse corrodendo la neve sotto di sé, come a nascondersi
sotto la bianca coltre e sparire bevuta dalla terra.
Even guardò il punto dove era sparita la strega buona e vide un piccolo
brillio. Si chinò per prenderlo, ma solo la neve le rimase nel palmo.
Delusa, fece per andare via, ma il micino saltò giù dall’altra sua mano
e raccolse quello che scoprì essere un pendente d’argento completamente
annerito. L’ultimo antiveleno di quella vecchina, usato unicamente per
poter andare a parlare con Even prima di morire.
Neve accarezzò la testina del gatto e lo ringraziò. Non doveva
trattarsi di un fantasma nomale: doveva essere un poltergeist, l’unico
a poter interagire con il mondo delle cose tangibili.
Quel gattino era il suo ponte per le cose tangibili, la compagnia che
non la avrebbe mai abbandonata, qualcuno che non sarebbe mai morto
lasciandola sola.
Erano passati anni da quell’incontro.
Padre Leone, anche se non poteva vederla ne avvertiva la presenza e
l’aveva accolta e accettata come una preziosa alleata, come fosse un
angelo custode, dando lei la possibilità di restare dentro la chiesa
durante il giorno e promettendole che anche gli altri preti dopo di lui
non l’avrebbero mai cacciata, come era di fatto accaduto.
Più volte aveva cercato un contatto con il Sangue d’Elfo che gli uomini
avevano accolto nel villaggio, ma lui non riusciva a vederla nonostante
nelle sue vene scorresse quel poco di magia tipica dei suoi antenati –
anche se era certa che il suo lupo avesse notato la sua figura tra le
nevicate.
Il Cacciatore era sempre di natura solitaria, ma i due a volte
parlavano, soprattutto per scambiarsi informazioni sulle cose che
accadevano di notte per il Cacciatore e di giorno per Even.
Ma la sua compagnia più importante sarebbe rimasta per sempre quel
gattino senza nome, capace di starle vicino e parlare con lei senza
dirle una parola, con la sua capacità di sollevare l’umore e asciugare
le lacrime con la sua sola presenza sul grembo.
Aveva capito solo qualche tempo prima del perché nemmeno la Dottoressa
dei Morti riuscisse a vederla, nonostante lei lavorasse a stretto
contatto con i cadaveri, come il cacciatore.
Era stato chiaro quando il nuovo sindaco, accompagnata dal nipote
Ferdinando, l’avevano vista una notte. L’aveva capito ripensando che
anche padre Bernardo riusciva a vederla e i due erano parenti.
Il sangue non mente.
E negli occhi di quelle persone scorrevano salamandre e orsi.
Il sangue del loro antico capofamiglia: Fulvio, detto la Salamandra del
Vulcano o Berta, la Madonna degli Orsi.
Solo i discendenti di chi l’aveva conosciuta prima di morire, allora,
poteva scorgerla. Per la prima volta da quando divenne fantasma fu
contenta che ben pochi riuscissero a vederla: il sangue si era
mischiato.
E di colpo realizzò che tutti i mostri nel bosco dovevano vederla ogni
notte a vagare per il suo villaggio, e questo le diede la forza per
continuare nel suo interminabile cammino senza meta.
§Fine§
Note:
Sono passati eoni dal mio ultimo aggiornamento, ma eccomi ancora
qui;
questa storia non rimarrà incompiuta, non ne avrei proprio il cuore.
Grazie mille a tutti coloro che hanno continuato a credere in me, a
recensirmi e a mandarmi messaggi di complimenti e/o in stile "Chi l'ha
visto"! XD
Spero di essere un po' più puntuale con le pubblicazioni da qui in poi,
visto che - imprevisti a parte - ora sono più organizzata con la
RL (causa principale di tutti i miei ritardi). Prossimo aggiornamento
previsto: tra
un mese. Non me la sento proprio di dire prima.
Ho spostato la storia nella sezione Fantasy, perché alla fine credo sia
più giusto che stia qui, non altro. ^^
A presto!
-Disclaimer:
Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia
proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono
maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come
d’altronde i fatti in essa narrati.
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