Gakuen Alice: High School

di _Pan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il maniaco dei mobili ***
Capitolo 2: *** La missione ***
Capitolo 3: *** Preoccupazioni e pulci nelle orecchie ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Regali di Natale ***
Capitolo 6: *** Il ballo ***
Capitolo 7: *** Capodanno ***
Capitolo 8: *** Seiji no Hi ***
Capitolo 9: *** Sconvolgenti cambi di personalità ***
Capitolo 10: *** Di male in peggio ***
Capitolo 11: *** Il miglior studente dell'anno ***
Capitolo 12: *** Sotterfugi ***
Capitolo 13: *** Dal nonno ***
Capitolo 14: *** Segreti ***
Capitolo 15: *** Una settimana movimentata ***
Capitolo 16: *** Bugie svelate ***
Capitolo 17: *** Diploma ***
Capitolo 18: *** In cerca di casa ***
Capitolo 19: *** Complicazioni ***
Capitolo 20: *** Organizzazione AntiAlice ***
Capitolo 21: *** Un nuovo studente ***
Capitolo 22: *** Scoperto ***
Capitolo 23: *** Mezzi di comunicazione (parte 1) ***
Capitolo 24: *** Pettegolezzi e problemi (parte 2) ***
Capitolo 25: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 26: *** Cambiamenti ***
Capitolo 27: *** Tutto sbagliato ***
Capitolo 28: *** Stato d'allerta ***
Capitolo 29: *** Fuga ***



Capitolo 1
*** Il maniaco dei mobili ***


Capitolo 1 - Il maniaco dei mobili
(Mikan)


«Non ho capito.» ammisi, forse per la venticinquesima volta, e lui, per la venticinquesima volta, mi rispose le stesse parole.
«L'hai già detto un sacco di volte, no? Rinunciaci e basta.» alzò le spalle, come se non avesse continuato a offendermi tutto il pomeriggio, e si stese sull'erba. «Dovresti, ormai, esserti rassegnata all'idea di essere stupida, Mikan.»
«Natsume!» protestai, un po' offesa. D'accordo che non ero esattamente ciò che si definisce una cima, ma ero davvero così sciocca? «Beh, diciamo che, se il mio partner si decidesse seriamente a darmi una mano, sarebbe tutto più semplice.» esatto, alle superiori io e quella sottospecie di essere umano dotato di Alice eravamo ancora partner, ciò significava che dovevamo studiare insieme.
«Essere il partner di Imai sarebbe stata una pacchia!» commentò lui, e io lo colpii col libro che avevo in mano. «Vuoi la guerra.» era un'affermazione e, infatti, mi prese i polsi e mi bloccò a terra, dopodiché incendiò il mio libro. E io adesso dove avrei dovuto studiare? «Ti arrendi?» domandò, quindi, mentre si avvicinava sempre di più, facendomi arrossire; era un po' di tempo che facevo pensieri strani su di lui, cose che neanche avrei potuto immaginare qualche anno fa, e quando eravamo così vicini quei pensieri tornavano a passarmi davanti agli occhi. Non mi accorsi neanche che si era sollevato, e, quando lo feci, mi tirai su di scatto, sentendomi un po' stupida.
«Sei scorretto!» gli puntai un dito contro; è vero che ero alle superiori, però ancora non mi ero abituata al mio Alice, figuriamoci a usarlo correttamente. Anche per questo Hotaru mi dà della stupida.
«Ma smettila.» mi disse, chiudendo gli occhi, come se lì insieme a lui non ci fosse nessuno. D'accordo, se voleva ignorarmi, l'avrei fatto anche io, o almeno ci avrei provato. Guardai il cielo: il sole stava per tramontare, e di sicuro Hotaru mi aveva tenuto il posto a cena per almeno dieci rabbit che, al momento, non possedevo, tutto perché li avevo sprecati quasi tutti per fare un regalo a quello sfrontato. Inoltre, ero scoraggiata per gli esami praticamente imminenti e per il fatto che non avevo capito niente degli ultimi argomenti. Neanche quest'anno sarei riuscita a vincere il viaggio a casa per rivedere il nonno, Ruka avrebbe cercato di consolarmi senza successo, Hotaru mi avrebbe picchiato in testa con uno dei suoi strani arnesi, mentre Natsume mi avrebbe fatto notare il gigantesco divario tra i nostri risultati. Tutto come al solito.
«Io vado.» annunciai, alzandomi. Lui aprì gli occhi, probabilmente perché non doveva essere completamente d'accordo.
«Dove?» chiese lui, squadrandomi dalla testa ai piedi, come se stessi andando in chissà che losco posto. Come se fossi io quella che, ogni tanto, sparisce! Certo, lui chissà che andava a fare per conto dell'Accademia, ma chi aveva mai pensato di tradirlo? Tutta qui la sua fiducia?
«A mangiare e a studiare da Hotaru!» risposi, trattenendo a stento la rabbia. «Sai, è tutto il pomeriggio che chiedo aiuto a qualcuno, ma non mi è stato di alcuna utilità. E poi, se non ti dispiace, vado a dormire, sono stanca morta!» cominciai a camminare in direzione del dormitorio delle ragazze.
Ad un certo punto, sentii dei passi dietro di me, e feci per voltarmi, ma non ne ebbi il tempo. Mi passò le braccia intorno alla vita e mi trattenne.
«Dov'è il mio bacio?» domandò, con tono malizioso. Che bacio? Ci saremmo rivisti di lì a due minuti! Detestavo quando faceva così, ma ormai avevo imparato a smettere di mentire a me stessa, quando mi dicevo che avrei potuto evitarlo. Non potevo dirgli di no, una cosa che avevo imparato quando mi aveva baciata la prima volta. Mi strinse un po' più forte, forse perché voleva una risposta.
Mi voltai verso di lui, ed ebbi appena il tempo di rendermi conto che non mi abbracciava più che mi ritrovai tra lui e il muro. «Dovresti smetterla di essere così geloso.» gli dissi. Probabilmente, mi aveva seguita e basta, e il bacio era la prima scusa che aveva trovato.
Lui fece un sorriso, come se fossi completamente sulla strada sbagliata, e non rispose. Tipico suo. Si avvicinò a me, senza darmi il tempo di dire un'altra sola parola, e posò le labbra sulle mie. Chiusi gli occhi immediatamente, e con una mano lo attirai di più verso di me, come succedeva sempre. Mi mise una mano sulla schiena e mi strinse di più a sé, mentre ci appoggiavamo sempre di più al muro.
«Così va bene?» chiesi, spingendolo via. Dovevo assolutamente studiare, quest'anno volevo vedere il nonno, anche se stare lì a sbaciucchiarci era sicuramente più piacevole. Era irritante sapere di voler restare e non poterlo fare.
«Proprio non ti va di restare?» mi chiese, senza guardarmi. Lo faceva sempre, quando era in imbarazzo. Ma non riuscivo a immaginarne il motivo. Non sapevo neanche cosa rispondere, e per un attimo rimasi immobile. Poi pensai che, dopotutto, cinque minuti non avrebbero modificato l'esito di un intero esame e gli accarezzai una guancia per attirare la sua attenzione. A lui non piacevano tutte quelle smancerie, e a volte lo facevo per dargli fastidio e farlo arrabbiare, ma non questa volta.
«Solo cinque minuti.» dissi, e lui mi restituì uno sguardo malizioso e mi ritrovai ad arrossire. Se lui odiava le smancerie, io odiavo le sue occhiatine. Scosse la testa, sospirando scherzosamente e si avvicinò a me, per baciarmi di nuovo. Si dava a certe attività solo quando non c'era nessuno in giro che potesse vederci. Gli chiedevo spesso come mai, ma lui alzava le spalle e cambiava argomento, quindi io avevo smesso di chiedere.
Poco dopo, mi allontanai da lui di nuovo, e la nebbiolina che aveva avvolto i miei pensieri dal momento in cui le sue labbra avevano toccato le mie, si diradò, e mi ricordai dei miei propositi di studiare. «Credo che si sia fatto tardi.» gli bisbigliai, a poca distanza dal suo viso.
Lui mi afferrò il polso sinistro, quello su cui portavo l'orologio. «Non è tardi, se non guardi che ore sono.» mi ricordò, attirandomi di nuovo a sé. Sfortunatamente, non mi serviva una motivazione più valida di quella per cessare le ostilità, e rimanemmo lì a baciarci, stretti l'uno all'altra, finché non sentimmo i primi ragazzi che uscivano dalla mensa per tornare ai loro dormitori.
«Sarà meglio andare.» mi disse, staccandosi da me, lasciandomi con la solita sensazione di vuoto di quando lo faceva. «O butteranno via le nostre porzioni.»
Annuii, cominciando a seguirlo, con il malumore che cominciava a essere l'emozione preponderante; insomma, prima aveva insistito perché restassi e poi si era allontanato come se avessi avuto la peste. Quando entrammo, vidi Hotaru, e la serata cominciò subito a migliorare. Era seduta lì, che mangiava con lentezza, come se non volesse farmi capire che mi aveva aspettata.
«Ehi, Hotaru!» salutai, correndo per abbracciarla. Lei, però, scansò la sedia su cui stava all'ultimo momento, facendomi quasi sbattere con il naso sul muro. «Hotaru?»
«Sei in ritardo, Mikan.» mi fece notare, con la sua solita calma glaciale che a volte mi metteva i brividi, ma senza la quale Hotaru non sarebbe più stata la stessa. Tutto questo, senza smettere di mangiare. Inutile dirlo, Hotaru è sempre la migliore.
«Lo so, però almeno questa volta mi hai aspettata!» le ricordai, raggiante. Pensai che fosse preoccupata per me, non avendomi vista arrivare a mangiare, l'unica cosa che, secondo lei, sapevo fare bene perché non si doveva ragionare più di tanto. Mi sono sempre chiesta se fosse un complimento o un'offesa.
«Stavo lavorando ad un nuovo progetto.» mi spiegò, senza scomporsi un minimo, prendendosi il secondo. «E sono arrivata poco fa. Se davvero ti avessi aspettata, avrei richiesto una piccola ricompensa» mi fece un gesto eloquente con la mano. Soldi. L'avevo immaginato. «Perché avrebbe significato sottrarre prezioso tempo ai miei progetti. E, dopotutto, il tempo è denaro.»
«I soldi valgono più della nostra amicizia?» le chiesi, sperando davvero che non dicesse di sì.
«I soldi sono il motore del mondo, Mikan.» me lo ripeteva spesso, ma non avevo mai capito il senso di quelle parole. «Se non hai soldi, non sei nessuno; se non sei nessuno, non conterai mai niente. Ma non mi aspetto che tu capisca.»
Se lo diceva lei doveva essere vero per forza: le sue massime sui soldi erano sempre vere. A quel punto, capii che cosa voleva dirmi, contrariamente alle sue previsioni. «Quindi, se io facessi soldi...» potei giurare di sentire il rumore del mio cervello che lavorava. «per Hotaru sarei importante quanto loro!»
«Sbagliato.» mi rispose lei, sospirando. Okay, ventimila a zero per Hotaru. «Nessun affetto può sostituire i soldi. È vera da qualunque lato scegli di guardarla. Decidi tu qual è il più importante dei due.»
Ci pensai su. «Stai dicendo che è meglio essere ricchi che essere amati?» domandai, corrugando la fronte. Davvero c'erano persone che preferivano pezzi di carta all'affetto? Davvero Hotaru preferiva essere circondata da yen che avermi con sé?
«Se sei ricco, sei anche amato. Non dico di vero affetto, ma se non è quello che ti interessa...» rispose lei, con un'alzata di spalle. «Scommetto che tu preferisci essere amata, eh?»
«Esatto!» risposi, lanciando un'occhiata verso Natsume, che stava uscendo dalla mensa. Come al solito, non mi aspettava, non mi sorpresi più di tanto, però ci rimasi male. Mi chiesi quando le cose sarebbero cominciate a cambiare; se doveva comportarsi così, perché stavamo insieme?
«L'ho sempre detto che sei una stupida.» mi disse, scuotendo la testa.
Mi rattristai un po' sia per le parole di Hotaru sia per via di Natsume, e mi domandai per quale motivo non dovessi cominciare a vederla come la mia migliore amica. Non sembrava proprio, dopotutto, che lui si desse molto da fare per passare del tempo con me. «Cosa c'è di sbagliato?» domandai, non seppi, però, neanche io a cosa stavo riferendo la domanda, se al mio contorto rapporto con Natsume o alla mia visione della vita. Forse, un po' a tutte e due.
«I soldi, Mikan,» mi disse lei, e raggelai per il suo sguardo di ghiaccio. «non tradiscono e non fanno soffrire.»
All'improvviso pensai che sapesse qualcosa di noi due, e il sangue mi si gelò ancora di più nelle vene.

Sbuffai, mentre mi accorgevo che non avevo portato ciò che mi serviva per cambiarmi. Mi misi un asciugamano addosso e uscii dal bagno. Hotaru lo diceva spesso: «Dobbiamo comportarci bene, siamo sempre sorvegliati.». D'accordo il controllo, ma sorvegliarci ventiquattr'ore su ventiquattro, mi sembrava eccessivo e non è che la cosa mi piacesse più di tanto. Quando le avevo esposto la mia teoria, lei aveva risposto solo con una parola: «Stupida.» ma non ho mai capito perché.
Quando uscii dal bagno, notai subito che c'era qualcosa che non andava: una persona di troppo. «Natusme?» chiesi, stupita. Lui mi dava la schiena, mentre cercava qualcosa sulla mia scrivania. «Che stai facendo?» era normale ficcare il naso nelle stanze degli altri?
Lui si girò verso di me, tranquillo come se non fosse andato a curiosare in una camera non sua. Mi mostrò un libro, con un sorrisetto malizioso che all'inizio non capii. «Scusa, avevi portato via anche questo.» era il libro di matematica, e subito mi ricordai la fine che aveva fatto il mio.
«Per forza.» gli risposi, pensando in quale modo avrei potuto rimediarne un altro. «Il mio l'hai bruciato!»
«Beh, se ti ricordi bene...» mi disse, sventolando il libro sotto al mio naso. «...sei stata tu a cominciare.» d'accordo, era vero. Ma la sua reazione non era stata un pochino tanto esagerata?
«Anche se fosse,» cercai di spiegargli che, comunque fosse andata, senza quel libro sarebbe stata la fine, anche per quell'anno e addio speranze di vedere il nonno. «come faccio io a studiare, senza?»
«Avresti dovuto pensarci prima, ogni azione scatena una reazione, l'abbiamo studiato a fisica, ricordi?» pensai che mi prendesse in giro. Aveva dovuto applicarsi al meglio delle sue possibilità per cercare di farmi capire la fisica. E adesso se ne veniva fuori con quella perla di saggezza?
«Ma tanto a te non serve!» protestai, mettendomi le mani sui fianchi. «Tu non lo userai nemmeno!»
«Comunque sia,» mi rispose, come se la cosa non lo riguardasse neanche da lontano. «non è un problema mio.» poi, distolse lo sguardo, e me ne chiesi il motivo. «potresti almeno coprirti, sai?»
«Eh?» chiesi, ma appena abbassai lo sguardo, capii. L'asciugamano si era piegata verso i lati e aveva lasciato scoperta buona parte delle mie grazie. Mi affrettai a coprirmi, imbarazzata fino ai limiti del possibile, anche se, ormai, Natsume aveva visto tutto ciò che c'era da vedere. Poi ripresi a parlare, in tono offeso. «Non penserai che l'ho fatto apposta, vero?» era girato a guardare verso la finestra.
«Conoscendoti, direi proprio di no.» rispose, senza girarsi. Certo che era proprio facile metterlo in difficoltà: allora anche Mister Freddezza aveva dei punti deboli. Mi chiesi se mi stava offendendo o meno, qualunque cosa fosse, era la cosa che si avvicinava di più a un complimento che mi avesse mai fatto. Poi, rovinò tutto: «Sei troppo stupida per fare di proposito una cosa simile.» mi vennero le lacrime agli occhi, ripensando a ciò su cui ragionavo a mensa.
«Se sono davvero così stupida come dite tu e Hotaru,» cominciai, stanca di sentirmi dire sempre le stesse cose. «perché state sempre con me? Potreste andare dove volete, e invece siamo sempre insieme, io, te, Hotaru e Ruka.» tirai su col naso, sperando di non scoppiare a piangere davanti a un idiota come lui.
Lui si avvicinò a me, e io mi irrigidii, chiedendomi cos'avesse in mente di fare. Con lui non si poteva mai sapere. «Che...» ma non ebbi il tempo di finire la frase: mi sciolse i capelli.
«Lo sai che mi piacciono di più sciolti, vero?» mi disse, lasciandomi di stucco. Non seppi né cosa pensare, né cosa rispondere. Non era mai successo che si comportasse così gentilmente. Cioè non era mai successo che mi desse della stupida e che poi si comportasse così gentilmente. «Secondo te, stupidina, perché ti stiamo vicino?» aspettai che mi desse una risposta, perché non ci arrivavo da sola. «Perché ti vogliamo bene.» avevo sentito bene? Mi aveva appena detto che teneva a me? Non lo sapevo, tutto ciò che sapevo era che avevo il cervello in tilt. «Mikan,» mi disse, più sommessamente, appoggiando la fronte alla mia. «ti amo.» improvvisamente, non avevo più nessuna voglia di piangere. Perché cavolo doveva farmi questo effetto?
Dopodiché, il mio cervello elaborò le ultime parole che aveva detto: fu allora che rimasi completamente spiazzata; infatti, se prima mi era sorto il dubbio che le mie orecchie avessero qualche problema, in quel momento ne ero certa: Natsume Hyuuga non era un tipo romantico, mai.. «Ti... ti senti bene?» gli domandai, seriamente preoccupata. Non è che stava male e non voleva dirmelo?
«Che cosa?» mi chiese lui. Si allontanò da me: sembrava sorpreso, confuso e forse anche deluso. «Fammi capire. Io ti dico che ti amo, e l'unica cosa che sai dire è se sto bene?»
Possibile che non ne facessi mai una giusta? «Ho pensato che...» cercai di dire, imbarazzata. «Insomma... non mi hai mai detto una cosa del genere, e non ti sei neanche mai comportato gentilmente. Poi, ad un tratto diventi tutto il contrario di te stesso, e io devo pensare che sia tutto a posto?»
Lui mi guardò in modo strano, come se non si aspettasse quella risposta, con un sorriso sulle labbra. Mi domandai cosa ci trovasse tanto da ridere. «Pensavo solo che ti avrebbe fatto piacere saperlo.» non ero del tutto convinta della spiegazione, ma io non ero mai riuscita a capirlo fino in fondo, per cui la presi immediatamente per la verità.
«Che cosa... certo che mi fa piacere! Solo... non devi essere diverso.» tentai di spiegarmi, ma la sua espressione confusa mi disse che non ero affatto riuscita nel mio intento. «Voglio dire che... credo che se ti avessi voluto diverso, non mi... ecco...» mi sentivo a disagio, non so se era per quello che volevo dire, o per il fatto che lo stavo per dire con addosso nient'altro che un asciugamano. «...non mi sarei innamorata di te, giusto?»
«Mi piace questa spiegazione.» disse, con quello che io interpretai come sarcasmo. Si prendeva gioco di me o cosa? Si avvicinò, e non ebbi il tempo neanche di muovere un muscolo: mi mise un braccio intorno alla vita e con la mano dell'altro mi sollevò il viso per baciarmi. Cercai di ritrarmi per via del mio abbigliamento, non era proprio il più adatto per certe manifestazioni d'affetto. «Cosa c'è?» mi chiese, a quel punto. Io distolsi lo sguardo, sperando che se ne accorgesse da solo. «Oh,» aggiunse, col tono di chi la sa lunga. Ringraziai il cielo che avesse capito e pregai che non facesse battutine. Poi, però, alzò le spalle, avvicinandosi di nuovo. «non ti preoccupare. Non mi dà fastidio.» non ci potevo credere.
Speravo che fosse una cosa normale il fatto che mi fosse venuta voglia di picchiarlo. «Non è di te che dovresti preoccuparti! Sono io quella in asciugamano!» gli ricordai, sentendo le guance bruciare come se avessi preso un'insolazione. Perché non era venuto un po' prima? Se non altro, mi avrebbe trovata vestita. «Se mi dai il tempo di rivestirmi, andiamo al nostro albero.»
«No.» disse, come se avessi proposto il suo omicidio. Poi cambiò espressione, credo accorgendosi di essere stato un tantino brusco. «È solo che... ecco...» poi sospirò, e non capivo perché. «forse è meglio che vada.» mi domandai se dovevo rinunciare a capirci qualcosa; e non gli chiesi perché, probabilmente neanche mi avrebbe risposto. Però... non volevo che se ne andasse, anche se mi sentivo a disagio. Se mi fossi vestita, sarebbe tornato tutto a posto, no? Doveva solo darmi cinque minuti.
«Sarò veloce come la luce, promesso.» dissi, tentando di convincerlo. «Se non...»
«No, davvero.» disse, addolcendo l'espressione. Mi chiesi se fosse solo lunatico o se avesse qualcosa che lo preoccupava di cui non voleva parlarmi. «Ti ho trattenuta abbastanza,» mi accarezzò una guancia, altro gesto che non compiva mai. Era proprio strano, quella sera. «ti lascio al bagno.» misi una mano sulla sua, chiedendomi perché non volesse parlarmi dei suoi problemi. Mi baciò velocemente. «Buonanotte.» soffiò, a qualche centimetro dalle mie labbra. Così, mi sollevai sulle punte dei piedi per baciarlo. All'inizio sembrava restio, ma poi lo sentii rilassarsi e stringermi. Gli cinsi le braccia intorno al collo, mentre approfondivamo il nostro bacio, e inclinava la testa. Ad un certo punto, però, si staccò.
«Non penso sia una buona idea.» disse lui, allontanandosi quel che bastava per guardarmi in faccia. Respirava affannosamente. Incredibile! Non si era mai lasciato coinvolgere tanto. Quella era davvero una serata strana. Avrei dovuto ricordarmi la data per il prossimo anno.
«Perché no?» gli chiesi, tenendo l'asciugamano, visto che il nodo già poco sicuro che gli avevo fatto si era sciolto.
«Ho diciassette anni, Mikan.» mi disse, e io mi chiesi per quale motivo me lo stesse ricordando dato che avevo speso quasi tutti i miei soldi per fargli un regalo di compleanno che non gli avevo mai visto usare. «Sono con la mia ragazza, che ha addosso solo un asciugamano neanche tanto coprente, se proprio vuoi la mia opinione, in una stanza che ha un letto abbastanza interessante da visitare da vicino, se capisci cosa intendo.» aveva un leggero rossore sulle guance, e sì, avevo capito cosa intendeva.
Arrossii anche io, e lui sorrise. «Te l'ho detto.» disse, col tono di quello che ha sempre ragione. «È meglio che vada.» io mi morsi il labbro, non volevo che andasse via, ma non lo avrei neanche mai ammesso. In questo eravamo simili: orgogliosi fino alla fine. Trovai il pavimento talmente interessante che lui dovette inclinare la testa per vedere che stavo facendo. «Quindi?»
«Quindi cosa?» gli chiesi, col viso che bruciava quanto un fornello acceso.
«Vuoi che me ne vada?» incredibile. Aveva messo in tavola le carte aspettando che facessi la mia mossa: si aspettava che fossi io a chiedere a lui di restare. Doveva davvero essere impazzito.
Il vero problema, comunque, era il fatto che in qualche modo dovessi dargli una risposta, che fosse positiva o negativa. La reazione del primo caso sarebbe stata un sorrisetto e una battuta ironica, che mi avrebbe mandata in bestia, nel secondo caso avrebbe pensato che non mi interessa da quel punto di vista. «Non lo so.» dissi, allora. Lui mi guardò, sconcertato. Forse la via di mezzo era stato anche peggio che dirgli di no.
«Non lo so?» chiese, poi sospirò, e mi sembrò sul punto di scoppiare a ridere, e allo stesso tempo incredulo per via della mia risposta. «D'accordo» lo guardai, confusa. «Accetterò questa cosa senza remore, anche se il mio ego è molto risentito.» mi sentii incredibilmente in colpa. Non volevo offenderlo. Stavo per chiedergli scusa, dato che, quella sera, era stato davvero molto più carino del solito, ma fui interrotta da lui che ricominciava a parlare. Era piuttosto loquace, al momento, avrei dovuto fare un video. «Non posso crederci.» disse e lo vidi che guardava verso il mio cassetto della biancheria, che era malvagiamente rimasto aperto. Perché non richiudevo mai le cose? «Mutande a pallini?» lo sentii ridere sommessamente. «Ho sempre avuto ragione a chiamarti così.» sì, d'accordo, ma perché ora si metteva a curiosare nella mia biancheria oltre che sulla scrivania? Aveva la sindrome del maniaco dei mobili?
Mi diressi verso il cassetto e lo chiusi. «Che ci posso fare se mi piacciono le mutande a pallini?» era di nuovo il mio turno di essere in imbarazzo. Lui lo riaprì e mi porse l'intimo e un pigiama. «Guarda tu se una ragazza con un po' di senno rifiuterebbe una sana notte di insonnia con uno come me!»
«Idiota.» fu tutto quello che dissi prima di entrare in bagno e ringraziare il cielo per la comprensione che aveva dimostrato. Appena fui pronta, uscii.
«Perché compri pigiami di dieci volte la tua taglia?» mi chiese, guardandomi da sotto le coperte del mio letto. Prima la scrivania, poi la cassettiera, e adesso anche il letto. Mi chiesi per quale motivo si trovava lì: non avevamo deciso ''notte di tutto riposo''?
«Non c'era della mia. Era un negozio di taglie forti.» spiegai, e lo vidi alzare gli occhi al cielo. «E poi sono comodi, più grandi!» tenevano anche più caldi, col freddo che faceva a Tokyo a dicembre. «Adesso, dimmi,» scostai le coperte per stendermi. «cosa fai ancora qui?»
«Ehi, quando hai detto di non saperlo, non hai detto che non potevo restare.» mi fece notare, come a dimostrare che a chiederlo, avevo sbagliato di grosso. «Per cui, alla fine, ho pensato che la decisione spettasse a me.» scommetto che la mia espressione trasmetteva tutto ciò che pensavo. «Buonanotte!» e così spense la luce. L'unica cosa che mi lasciava un attimo di sasso era il fatto che il letto fosse a una piazza e mezzo e io di solito mi mettessi nelle posizioni più assurde: anche di traverso; adesso stavo un po' sacrificata, anche perché Natsume si era messo comodo.
«Natsume...» dissi, piano, per vedere se dormiva. «Natsume, dormi?» mi sollevai un po' per vedere se mi sentiva o no.
«Sì.» mi rispose, girandosi verso di me. Aveva un'aria per niente insonnolita. Mi domandai, a quel punto, a che gioco avesse intenzione di giocare. Sospirai, spazientita.
«Puoi spostarti un po' più in là? Non c'entro.» gli spiegai, indicandogli la porzione di letto che mi aveva molto carinamente lasciato.
«Beh, devo dire che il tuo letto non è proprio il massimo, Mikan.» disse lui, come se questo spiegasse tutto e giustificasse completamente il suo comportamento. «Insomma, il mio è molto più grande.»
«Puoi tornarci, se questo non ti va bene!» gli feci notare, sempre bisbigliando, senza neanche capire perché, dato che lì c'eravamo solo io e lui.
«Era solo una constatazione. Volevo dire che sono abituato a spazi più grandi.» mi disse, a rafforzare la sua teoria.
«Questo giustifica il fatto che ti sia preso tu tutto il posto?» gli chiesi. Insomma, era o no il mio letto? Perché dovevo essere io quella che rischiava di cadere a terra? E poi, avrebbe dovuto fare un po' più il cavaliere, altro che prendersi tutto lo spazio disponibile.
«Puoi sempre dormire su di me.» propose lui, facendomi arrivare il sangue fino alle orecchie, che cominciarono a bruciare come se fossero state su una fiamma. «Sono comodo, giuro!»
Lo spinsi via, guadagnando terreno. Così, mi sistemai, lasciandogli esattamente l'altra metà del letto, cosa di cui avrebbe anche potuto ringraziarmi, e invece no. A quanto pareva, aveva davvero intenzione di farmi passare la notte insonne, e cominciò a farmi il solletico per farmi spostare. «Se vuoi un letto tutto per te, c'è il pavimento, o camera tua!» protestai. Quando finii di ridere, tentai di parlare. «Basta, ti prego.»
«Si arrende, dunque, milady?» chiese lui, in tono scherzoso. «Posso dichiararmi il vincitore?»
«Quello che vuoi, basta che ora dormiamo. Ti prego, sono stanca.» gli dissi, per persuaderlo a smettere. «Siete d'accordo, milord?»
Lui sorrise, ma era un sorriso furbo, del genere che veniva sempre seguito da una battuta o qualcosa di imbarazzante, ma solo per me. «Il vincitore richiede un bacio per premio.» disse. Io alzai gli occhi al cielo, ma dopo mi resi conto che non poteva vedermi.
«E va bene...» dissi, come se mi costasse una grande fatica. Appena le sue labbra toccarono le mie, fu come se la colonia di farfalle nel mio stomaco fosse uscita dalle gabbie e la stanchezza, improvvisamente, divenne solo un vago ricordo. Appena si staccò, mi accorsi che, per i miei gusti, mi aveva baciata anche troppo poco.
«Direi che ho stravinto.» mi disse poi. E solo allora mi accorsi che mi aveva spostata di un bel pezzo verso il bordo. Avevo le gambe quasi completamente fuori dal letto.
«Sei un... sei un...» non riuscii subito a trovare l'offesa perfetta. «...idiota!» ma non rese bene il concetto che volevo esprimere.
«Ammettilo.» mi disse, gongolando. «Non ti eri accorta di niente!» era la seconda volta che mi venivano istinti omicidi verso di lui, quella sera. Forse era davvero arrivata la sua ora.
«Beh, forse no, d'accordo.» Lo vidi vagamente inarcare un sopracciglio, nel buio della stanza, come per dire che il ''forse'' era un ''sicuramente''. «Però sei davvero scorretto.»
«È la seconda volta in un solo giorno che me lo dici.» commentò, senza un minimo di risentimento. Sembrava, anzi, divertito. Odiosamente adorabile.
«Sei...» cominciai. «sei proprio...» cercai una parola, una parola che potesse offenderlo come lui offendeva sempre me e fargli smettere di sorridere in quel modo.
«Un mito?» offrì lui, non lasciandomi il tempo di replicare, infatti, mi baciò, sapendo perfettamente, su questo ci metto la mano sul fuoco, che non l'avrei rifiutato. Gli misi una mano dietro la nuca per attirarlo verso di me e mi ritrovai, non so in che modo, sotto di lui, mentre giocava col bordo della mia enorme maglietta. Mi sembrò stranamente un déjà vu, molto simile all'ultimo sogno che avevo fatto.
In effetti, però, le sensazioni erano molto più reali e molto diverse da come le avevo immaginate: era come se, quella notte, avessi vissuto solo per le sue carezze, mentre i suoi baci mi incendiavano la pelle. Quando, poi, il dolore si era mischiato a tutte quelle sensazioni, credevo che quell'attimo non sarebbe finito mai; tuttavia fui subito smentita quando lasciò il posto a un piacere travolgente. Alla fine, era riuscito davvero a farmi passare una notte quasi insonne.
L'ultima cosa che ricordo è che, prima di addormentarmi, ero stretta tra le sue braccia e che era una bellissima sensazione.

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Capitolo 2
*** La missione ***


Capitolo 2 – La missione
(Natsume)


Mi svegliai, all'inizio non sapevo bene per quale motivo, sentivo solo che, nella stanza, qualcosa era cambiato. Mikan era stretta a me: tutto normale. Quando percorsi tutta la stanza con lo sguardo trovai il problema. Anzi, almeno due.
«Toccala, bastardo, e potrai usare il tuo braccio per alimentare un barbecue» promisi, mentre Persona, il problema numero uno, sogghignando, ritraeva la mano che aveva avvicinato a Mikan. Lo guardai con astio, ma non avrei dovuto sorprendermi del fatto che sapesse dov'ero e che fosse venuto a prendermi. Già, per la missione, il mio problema numero due. Le odiavo tutte, ma questa in particolare. «Se esci, puoi risparmiarti lo spettacolo.» dissi, mentre accennavo ai miei vestiti. Il perenne sorriso sul suo volto non scomparve, anzi, si allargò maliziosamente. Dopodiché, per fortuna, uscì dalla stanza. Cosa voleva dire quella storia? Che mi sorvegliava? Che tutti gli sforzi che avevo fatto per mantenere segreta la mia relazione con Mikan non erano serviti a niente? Adesso, oltre che Ruka, avrebbe preso di mira anche lei, l'unica cosa che volevo evitare. «Bastardo.» soffiai, fra i denti.
Quando mi alzai dal letto, Mikan si mosse, probabilmente per il fatto che aveva più freddo, ora. Non le avevo detto niente della missione per non farla preoccupare, ma lei aveva sorprendentemente capito che c'era qualcosa che non andava. Non l'avrei mai fatta così perspicace, la mia Mutande-a-Pallini. Sorrisi, guardandola mentre si raggomitolava; presi un'altra coperta dall'armadio e la misi sopra quelle che già aveva addosso, dopodiché smise di agitarsi.
Una volta che fui completamente vestito, mi voltai di nuovo a guardarla, perché, se davvero la missione era pericolosa come Persona mi aveva lasciato intendere, quella sarebbe potuta essere l'ultima volta per farlo. Poi vidi i suoi nastri per capelli sul comodino e ne presi uno, mettendomelo in tasca, così da avere qualcos'altro di suo oltre alla collana col kanji della felicità che mi aveva regalato per il compleanno. Quando mi resi conto di quello che stavo facendo, alzai gli occhi al cielo, pensando che stavo diventando troppo sentimentale. Uscii facendo attenzione a non sbattere la porta, ma avrei scommesso che anche se l'avessi fatto, lei non si sarebbe accorta di nulla: ero convinto che avesse il sonno più pesante di quello di un orso in letargo.
Appena io e Persona svoltammo l'angolo, dovetti ricredermi. «Natsume?» sentii la sua voce assonnata chiamarmi – sicuramente aveva aperto la porta – e dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non risponderle o tornare indietro.
«Allora,» dissi, attirando l'attenzione del mio accompagnatore, nel parcheggio posteriore dell'Accademia. «adesso vuoi spiegarmi il mio ruolo nella missione?»
«Tortura.» fu tutto quello che mi rispose, lasciandomi un attimo perplesso, mentre salivamo in macchina e sentivamo il rumore del motore in accensione. Tutto lì? C'era tutto questo pericolo nel torturare qualcuno? Quando salii in macchina, notai subito Andou Tsubasa, che mi salutò con un cenno della testa. Ricambiai, sul punto di sbuffare. Dovevo andare in missione con Ombra? Ah, con quella bella notizia sì che mi sentivo meglio. Non avevo mai torturato nessuno, quindi non sapevo neanche come immaginarmi questa missione. Beh, torturare non è peggio che uccidere, pensai.
«Mi hai fatto fare di peggio.» gli feci notare, infatti, con una punta d'acidità nella voce. Insomma, di solito portava me in missione quando c'era da uccidere parecchia gente. Tipo bruciare un palazzo o automobili, o cose simili. Guardai l'orologio per sapere che ore fossero: erano le tre di notte e stavo morendo di sonno.
«Beh, in verità, dobbiamo anche catturarla questa persona.» mi spiegò. Era fantastico sapere che mi dava informazioni a puntate. «Sii contento, Natsume: oggi farai squadra con Nobara.» con Nobara? Ero talmente elettrizzato che mi sarei messo a dormire all'istante. Tra Nobara e Ombra, preferivo Ombra, senza alcun dubbio. Detestavo Nobara, non c'era un motivo preciso. La detestavo e basta. Ma non ci si poteva lamentare della preferita del bastardo. Comunque, il fatto che portasse anche lei mi fece presagire che la missione fosse molto più leggera di quanto mi avesse fatto credere in precedenza. Persona non è il tipo che mette in pericolo Nobara, a meno che lei non abbia gravemente tradito la sua fiducia. Sperai di no, per me e anche per quel poveretto che non si sa bene cosa ci facesse nella classe di Abilità Pericolose, dato che può solo controllare le ombre ed è stato spostato dalla classe di Abilità Speciali alla nostra senza un reale motivo circa sei anni fa.
«Hai intenzione di torturare questa persona con entrambi i nostri Alice?» domandai, immaginando già la risposta. I nostri Alice sono totalmente opposti: io fuoco e lei ghiaccio. Non avrei voluto essere nei panni di quel pover'uomo e, sinceramente, neanche nei miei.
La vettura passò davanti al dormitorio delle ragazze, per far salire Nobara, casomai Persona potesse farla scomodare come aveva fatto con me; già che era venuto a svegliarmi, potevamo passare a prendere anche Nobara, no? Lasciai perdere, dopotutto sapevo che la logica non era il forte della maggior parte degli idioti che controllavano l'Accademia. Tutta quella gentilezza, tuttavia, mi fece presagire non ce l'avesse con Nobara. Tutto a posto. «Scusate il ritardo.» disse lei, entrando col fiatone in macchina. Aveva i capelli più in disordine del solito e sembrava avesse dormito poco: di sicuro non era la sola.
«Ma figurati!» dissi, pieno di sarcasmo che lei non avrebbe colto. «Eravamo noi in anticipo.» Subito dopo averlo detto, mi morsi la lingua. Avevo appena ironizzato sulla principessa e, di certo, a Persona la cosa non era granché andata a genio.
«Menomale!» sospirò lei, abbandonandosi su un sedile. Persona non disse una parola, e non potei neanche giurare che mi avesse lanciato un'occhiataccia, dato che la maschera gli copre praticamente tutta la faccia. Rimasi comunque sorpreso, pensando che magari non voleva mostrarsi troppo brusco davanti alla sua adorata. Sospirai, trattenendomi dal vomitare. Nobara ci guardò tutti lentamente. «Natsume-kun...» riprese lei, fissando i suoi occhi vuoti su di me. «hai l'aria di chi non ha dormito molto stanotte. Qualcosa non va?» oh, no, figurati. Tutto a meraviglia. Devo solo torturare un uomo. Avrei voluto risponderle così, ma ebbi la decenza di tenerlo per me. «Le discussioni inutili a più tardi.» ci rimproverò Persona, mentre l'auto si dirigeva a tutta velocità fuori dai cancelli dell'Accademia. «Concentriamoci sulla missione.» straordinario, adesso che c'era Nobara poteva anche smetterla di dire le cose a rate. Sarà che non avevo mai capito come una come lei potesse essere la preferita di uno come lui... «Abbiamo raccolto abbastanza informazioni su questa azienda. Nei loro archivi sono presenti i nomi di tutti gli esseri umani dotati di Alice che sono riusciti a rintracciare e a nascondere all'Accademia.» non so perché ma la notizia non mi stupì affatto. Ho sempre pensato che fosse meglio fuori che dentro. Non sapevo se avevo tanta voglia di torturare quell'uomo per far finire dei ragazzini con Alice rari dentro la Classe di Abilità Pericolose, come era successo con me. «Non siamo riusciti ad inserirci nel loro sistema, perciò abbiamo deciso di usare qualcuno già all'interno.» cioè, dovevamo costringere qualcuno a darci una password? Che piano geniale... chi l'aveva pensato? Il preside delle elementari? Forse oltre al corpo gli si era rimpicciolito anche il cervello. Neanche questa volta, fortunatamente, esposi la mia opinione. «Non avendo il tempo di inserire qualcuno dei nostri tra il personale, dobbiamo costringere questa persona.» ci passò un foglio con la foto e la descrizione di un tizio sulla cinquantina quasi completamente pelato. «È il meno prudente di loro, perciò l'abbiamo scelto. Inoltre, possiede tutte le password di accesso di cui abbiamo bisogno.» avrei voluto fare un'altra battuta tipo: “Guarda che fortuna” ma mi morsi la lingua. Quella sera la mia vena sarcastica era più attiva del solito. Proprio quando serviva di meno.
Mi morsi l'interno della guancia per non sbuffare. Non volevo che pensasse che mi stessi annoiando, altrimenti chissà quando avrei potuto liberarmi di lui. «Il piano?» chiesi. Se non avevamo un piano già fatto, dovevamo farne uno. Benché non fosse un tipo prudente secondo noi, non significava che non lo fosse davvero e lo sperai seriamente per la sua incolumità. Feci appena in tempo a finire la domanda che l'auto si fermò, davanti a un palazzo orrendamente alto. Sperai che quel tizio non avesse in mente di uscire di lì tanto presto e sperai che dovesse scendere dagli ultimi piani perché, anche in ascensore, ci avrebbe messo una vita. Non avevo nessuna fretta di fargli del male, anche se, onestamente, non vedevo l'ora che la missione finisse. Sperai che fosse un debole, almeno ci avrebbe dato immediatamente ciò che stavamo cercando, anche se dubitavo seriamente che Persona l'avrebbe lasciato andare, vivo almeno.
Un quarto d'ora dopo, ancora non si vedeva nessuno. Fu allora che sbuffai, senza rendermene conto, ma non per noia, per irritazione: avrei voluto essere qualche chilometro indietro. «Ti annoi, Natsume?» mi chiese Persona, glaciale. Non mi lasciò il tempo di rispondere. «Oh, forse avresti voluto passare maggior tempo con quella ragazzina.» il suo tono si addolcì malevolmente. Le budella cominciarono a torcersi fino a farmi male. «Porta a termine la missione con successo, se non vuoi che le accada qualcosa.» concluse, acido e sbrigativo; lo guardai con odio. Non Mikan. Giurai a me stesso che non le sarebbe mai arrivato così vicino da riuscire anche solo a sfiorarla. Adesso che sapeva, l'unica cosa che potevo fare per proteggerla era tenerla lontano da lui.
Tsubasa aveva un sopracciglio inarcato e guardava verso di me con l'espressione di quello che ha capito tutto e con un sorrisetto dannatamente irritante. Distolsi lo sguardo, in imbarazzo. Non poteva impicciarsi degli affari suoi? Nobara, al contrario, sembrava non aver seguito neanche un briciolo di quella discussione. Guardava fuori pacificamente, come se non fossimo venuti a uccidere, nella migliore delle ipotesi, qualcuno. Era per questo che la odiavo: era troppo stupida e ingenua, non si può essere ingenui quando si fa parte della classe di Abilità Pericolose; per questo mi sono sempre chiesto se facesse la finta innocentina. Poi pensai che, forse, era l'altra sua personalità che a Persona piaceva tanto.
«Persona,» mentre lo stavo fissando malissimo, Persona si girò verso Nobara, che cercava di attirarne l'attenzione. «qualcuno sta uscendo. Che facciamo?»
Ombra incrociò le braccia al petto, appoggiandosi allo schienale del sedile, come se la missione non fosse appena cominciata. «Aspettate che salga in macchina.» ci disse Persona, guardando nella nostra stessa direzione. «Così metteremo fuori gioco la guardia del corpo che si porta dietro.» feci in modo che nessuna espressione particolare comparisse sul mio viso, per non dare a Persona il modo di vedere cosa stessi pensando e di commentare, ma lo trovavo un piano piuttosto improvvisato. Di solito, eravamo organizzati molto meglio.
Inoltre, sembrava che Nobara facesse la telecronaca di una partita di calcio, non che ne avessi sentita una, di recente. «Sta salendo in macchina.» alzai gli occhi al cielo, gesto che sfuggì a tutti, nel buio dell'abitacolo.
«Tu che ruolo avrai nella missione?» chiesi, piano, a Ombra mentre Persona faceva abbassare il finestrino. «Torturerai con noi?»
Lui scosse la testa, sembrava alquanto disgustato dalla mia proposta. Di sicuro, non lo potevo biasimare: l'idea non elettrizzava neanche me. «No, io dovrò ordinare all'ombra della macchina di quel pover'uomo di schiantarsi da qualche parte, dopo che avrete finito con lui.» proprio come avevo previsto. Poi si avvicinò di più a me per bisbigliarmi qualcosa. «Comunque non mi convince.» accennò con la testa a Persona.
«No,» risposi, concordando pienamente. «neanche a me.» Persona si girò verso di noi, come se lo avessimo chiamato a voce alta, sentii Ombra irrigidirsi sul sedile accanto a me. Persona faceva quest'effetto praticamente a tutti.
«Potreste anche smettere di parlottare inutilmente.» ci disse, facendomi sperare che non avesse sentito. «Abbiamo una missione da portare a termine.»
A quel punto, mi chiesi se fosse sempre stato così fissato o se avesse le frasi standard. «Sì, sì.» risposi, cercando il più possibile di non suonare scocciato quanto, in realtà, ero. «Ditemi che cosa devo fare.» mi rivolsi anche a Nobara, dato che era quella che ne sapeva sempre più di tutti.
«Forse dovresti mirare alle gomme col tuo Alice.» propose Nobara. Giuro che non avevo mai sentito niente di più idiota, neanche da Youichi quando aveva due anni.
«Certo,» dissi, con una vena di sarcasmo nella voce. Un ottimo piano, non c'era davvero che dire. «così la macchina esplode e addio amico da torturare. Ho l'Alice del fuoco, ricordi?» era in movimento, quante probabilità avevo di prendere la gomma?
«Non ci avevo pensato.» ammise lei, rammaricata. Mi domandai perché non tirava fuori l'altra sua personalità, se non altro era più furba.
«Perché invece non congeli la strada, così la macchina slitta e l'autista perde il controllo?» suggerii, affacciandomi al finestrino. Anche la nostra macchina era ripartita e avevamo l'auto di quel tizio proprio davanti. Certo che, pensai, fare un inseguimento con una limousine nera era proprio da telefilm di quarto ordine. Ricordavo di averne visto uno, una volta, in tv, quando ancora abitavo con mio padre. Ero convinto che il significato di essere mimetici dovesse sfuggire abbastanza al preside, altrimenti ci avrebbe mandati in giro con una macchina un tantino più anonima.
Nobara annuì, preparandosi ad usare il suo Alice. Sbagliò mira diverse volte, finché Persona non disse qualcosa che fece risvegliare in lei la sua seconda personalità. «Concentrati, e non deludermi, Nobara.» bastava davvero poco.
La seconda personalità di Nobara è completamente diversa dalla solita: è aggressiva e non ci pensa due volte a congelare qualche arto a qualcuno se è ha fatto qualcosa che a Persona non piace. Sì, pensai, è senz'altro lei che Persona adora.
«Non preoccuparti, Persona.» disse, con una voce che non era neanche la sua. Mi chiesi che razza di Alice dovesse essere quello: era semplicemente mostruoso. «Avrai il tuo uomo in poco tempo.» Appena finì di dirlo, dal finestrino a cui io e Ombra eravamo affacciati, potemmo vedere la strada che si congelava sotto le gomme dell'automobile. La scena sarebbe stata inquietante se non avessi ucciso un sacco di gente, da che ero entrato all'Accademia, contrariamente a Ombra che si appoggiò al sedile, pallido come un lenzuolo, e non si mosse per un bel pezzo. Mi sembrò di rivedere me stesso da bambino.
Ancora una volta, come avevo previsto, la macchina slittò, andando a sbattere con la fiancata contro un muro. Ci fermammo abbastanza lontano, su ordine di Persona.
«Fate attenzione: potrebbero essere vivi e armati, e il preside mi ha raccomandato di riportavi a casa tutti, più o meno sani e salvi.» ci informò, lasciandoci carinamente intendere che l'importante era rimanere vivi, anche se, se ci avessero staccato un braccio, non sarebbe stato rilevante se avessimo ancora potuto usare i nostri Alice. «Natsume, se le guardie del corpo sono vive, sai cosa fare.»
Alzai gli occhi al cielo, trattenendo un sospiro. Menomale, pensai, che il mio ruolo era solo torturare. Finora avevo pensato a tutto io. «Ovvio.» risposi. Ero sempre io quello che faceva il lavoro più sporco. Chiaramente, non poteva essere la delicata e gentile Nobara a imprigionarli nel ghiaccio, l'avrebbe impressionata. Poverina...
L'uomo che uscì dal posto di guida della macchina sembrava abbastanza stordito, ma andò comunque ad assicurarsi che l'uomo che ci interessava stesse bene. Aprii la portiera e scesi, per non rischiare di sbagliare mira: non era una cosa che potevo permettermi, dato che Persona voleva che andasse tutto liscio come l'olio. Sentii la presenza del fuoco sul palmo della mia mano, senza che neanche avessi pensato di usarlo, tanta era l'abitudine. Lo colpii quando si girò verso di noi, e cadde a terra, lasciandoci la visuale di quell'uomo che era accasciato sul sedile, privo di sensi. Fu allora che Persona scese dall'auto. Non degnò di uno sguardo il corpo dell'uomo riverso a terra ed evitai di farlo anche io per più del necessario, visto che sapevo per esperienza che a uccidere non ci si abitua mai. Non avevo mai guardato negli occhi nessuna delle mie vittime – e non credevo di aver intenzione di farlo adesso – eccetto una volta, e avevo rivisto la sua faccia nei miei incubi peggiori; era successo prima del mio decimo compleanno.

Quando entrammo in una specie di magazzino buio, mi appoggiai al muro, con la maschera sul volto e una voglia irreprimibile di scappare da qualche parte, lontano da lì. Ombra stava portando dentro il corpo dell'uomo, che ancora non aveva ripreso conoscenza. Lo mise su una sedia e Nobara si affrettò a legargli i polsi e le caviglie.
Sorrisi tristemente: anche se l'avesse lasciato libero, dove sarebbe potuto andare? Eravamo vicini al niente più assoluto, fuori città. Intorno avevamo solo campi e, forse, il posto in cui ci trovavamo apparteneva all'Accademia e lo usavano per questo genere di cose. Rabbrividii per il disgusto. E l'unica cosa positiva che riuscii a pensare era che, in due anni, mi sarei diplomato e me ne sarei finalmente andato da quel posto orribile.
«Posso cominciare io?» domandò l'altra personalità di Nobara. Mi chiesi il motivo di essere tanto impazienti, avevamo tutta la notte per completare il lavoro. Persona annuì, e mi sembrò di vederlo sorridere compiaciuto. Non potevo neanche quantificare il ribrezzo che provavo per lui.
Dieci minuti più tardi, l'uomo, che io e Ombra avevamo visto chiamarsi Nakamura Kei, si svegliò e si guardò intorno, confuso. Persona si avvicinò a lui, che cominciò a cercare di liberarsi dalle corde. «Dove mi trovo? Cosa vuole da me?» domandò, con una voce ferma che non mi sarei mai aspettato, soprattutto per qualcuno che si rivolge a Persona e che ce l'ha anche piuttosto vicino.
«Una cosa molto semplice, in verità.» fu la risposta melliflua di Persona. Si inghinocchiò vicino a lui, ma non gli andò abbastanza vicino da toccarlo. Avrebbe potuto facilmente ucciderlo con il suo maledetto Alice. «Le password che permettono di accedere ai file dei bambini.»
Per tutta risposta, il suo interlocutore si mise dritto sulla sedia, e lo guardò negli occhi, per quanto fosse possibile, a causa della maschera. Nessuno aveva mai guardato negli occhi Persona, che avesse la maschera poco importava. Ammirai il suo coraggio, ma sapevo che non sarebbe bastato da solo a salvargli la vita. Mi chiesi se ucciderlo fosse proprio necessario, anche se conoscevo bene la risposta. «Mai.»
Persona fece una faccia teatralmente dispiaciuta. La falsità gocciolava da ogni fibra del suo essere, e pensai che un tale bastardo non poteva essere creduto neanche in punto di morte. «Un vero peccato.» rispose, allontanandosi un po'. «Significa che dovrò usare mezzi più persuasivi.»
«Quelle password moriranno con me.» fu la risposta di Nakamura, facendomi mordere un labbro. L'uso del mio Alice non sarebbe stato molto soddisfacente per Persona: non sapevo se sarei riuscito a fargli del male. «L'Accademia non avrà mai quei bambini.»
Persona sorrise, beffardo. «Vedremo.» chiamò Nobara con un cenno, al quale lei rispose immediatamente. In pochi secondi fu al suo fianco, mentre il ghiaccio le faceva brillare le mani. «Vedi cosa puoi fare per convincerlo.»
Lei lo guardò, adorante, e annuii. Puntò i palmi delle mani in direzione di Nakamura, al quale cominciarono a congelarsi le gambe e le braccia. Cominciò a tremare per il freddo già abbastanza pungente qualche secondo dopo e, da dove mi trovavo, potevo vedergli la pelle d'oca. La sua bocca, però, era ben serrata e non uscì neanche un lamento. Nobara sorrise, mi parve quasi di vedere la versione ancora più femminile di Persona, ma non fu quello che mi fece distogliere lo sguardo; fu piuttosto la reazione di Nakamura al congelarsi del resto del suo corpo, fino al collo: vomitò, ma di nuovo non si lamentò. Rischiava l'ipotermia, ma a Persona non sembrava importare molto. Quando i vasi sanguigni si fecero più visibili, in cerca di calore, Persona mi fece cenno di entrare in gioco. Mi consolai un po': forse avrei potuto salvargli la vita.
All'inizio pensavo di non fare proprio niente, ma mi chiesi che sarebbe successo a Mikan se mi fossi rifiutato. Non mi avvicinai a Nakamura, ma pensai a controllare il calore del fuoco, in modo che non potesse sentirsi troppo male; l'unica cosa utile che potevo fare era sciogliere il ghiaccio.
Tuttavia, sapevo che il mio debole piano non sarebbe durato a lungo: Persona era un bastardo, ma di sicuro non era un idiota. «Più calore, Natsume, non devi metterlo a suo agio come se fosse nel salotto di casa sua.» mi disse, acido. Non risposi e aumentai un po' la temperatura. Non avevo intenzione di toccarlo con le fiamme, infatti feci in modo che lo circondassero. «Natsume, non fare l'idiota.» mi mise in guardia di nuovo con la sua voce minacciosa. Portai il fuoco a trentotto gradi, se avessi prolungato la sua esposizione al calore, la temperatura corporea sarebbe salita troppo e avrebbe rischiato l'ipertermia. Potei notare che la parte della sofferenza di quella persona, il preside l'aveva davvero studiata a puntino. «Alza ancora.» quando cominciò a balbettare cose senza senso e a rischiare di vomitare, di nuovo, capii che non potevo farlo.
«Se alzo ancora,» risposi, fremendo per la rabbia, il disgusto e l'irritazione. «la sua temperatura corporea salirà ancora, e sopra i quarantuno gradi, il suo cervello subirà danni permanenti e addio password.» spensi gradualmente le fiamme per impedire un abbassamento troppo brusco della temperatura. Era tutto quello che potevo fare, e la rabbia crebbe. Mi sentivo un inutile idiota. «Siamo qui per quelle, giusto?» e la sensazione di essere preso in giro si fece sempre più forte. Persona non rispose niente, né mi degnò di uno sguardo. Si rivolse a Nakamura, che respirava affannosamente. «Dunque?»
«Tutto... tutto questo» rispose, prendendo molto fiato. «non basterà... mai... a farmi... parlare.» Persona sospirò, spazientito. Mi chiesi se davvero si aspettava di avere ciò che gli serviva in meno di un'ora.
Le successive tre ore, furono quasi completamente uguali. Mi stupii della resistenza di quell'uomo di mezza età. Ringraziai il cielo, per la prima volta in tutta la mia vita, quando mi sentii male per aver usato troppo il mio Alice: tenerlo sotto controllo era molto più difficile che rilasciarlo semplicemente. Persona ci concesse, incredibilmente a tutti e tre, una pausa. Tutto quello che feci, in quella mezz'ora, fu salire in macchina, dove c'era Ombra che mi guardava preoccupato, e cercai di non pensare a quello che stavamo facendo. Lui non fece domande, e gli fui grato per questo; e fui grato anche di avere una maschera sulla faccia, così che non potesse vedere la mia espressione, che lo avrebbe spaventato se mi mostrava sconvolto almeno la metà di quello che ero. Quella mattina, mi ricordai che avevo pensato che la tortura sarebbe stata più facile di un omicidio. Mi accorsi che mi sbagliavo di grosso.

Non seppi neanche quanto tempo era passato da quando eravamo entrati per la prima volta in quel magazzino, so solo che era appena pomeriggio e che Persona ci aveva, di nuovo, concesso una pausa. Fu allora che presi la mia decisione: non potevo più sopportare di vedere un uomo in quello stato.
Entrai nel magazzino, Nobara dormiva in macchina, e lo avrebbe fatto fino a che Persona non fosse tornato; mi tolsi la maschera, mentre mi avvicinavo a Nakamura, il cui respiro si sentiva già dall'entrata. Avevo lo stomaco sottosopra per via della tensione: non sapevo quanto mi sarebbe costato il gesto che stavo per compiere.
«Ehi,» dissi, bisbigliando. Se fosse stato sveglio, per lo meno, avrebbe potuto aiutarmi. «mi sente?»
«Cosa vuoi?» mi domandò. Non c'era astio nel suo tono di voce, ma non potei esserne certo. Era così stanco che dubitavo che sarebbe riuscito a sopravvivere ancora a lungo, nonostante ce l'avesse incredibilmente fatta fino a quel momento, non sapevo se io, a diciassette anni, avrei avuto tutta quella resistenza.
«Darle una mano.» fu la mia risposta, mentre usavo il mio Alice per bruciare le corde. Avevo deciso: l'avrei fatto fuggire e, in qualche modo, avrei trovato il modo per prendermi la responsabilità ed evitare che Ruka o Mikan venissero in qualche modo coinvolti.
«Tu sei quello che chiamano il Gatto Nero, non è vero?» mi chiese. Mi domandai perché si sforzava di parlare, se non ce la faceva. Io annuii, aiutandolo ad alzarsi. «Non sei come ti descrivono.»
«Si fida davvero di me?» chiesi, sorpreso, mentre cominciavo a camminare e a trasciarlo con me in direzione dell'unica uscita. L'uomo tossì, per poi annuire.
«Ho visto cosa può fare il tuo Alice.» mi rispose, per poi tossire di nuovo. «E quando hai potuto, hai usato il tuo Alice per riscaldarmi dal ghiaccio creato da quella ragazza. Tu non sei fatto per uccidere.» non sapevo se quella era la verità, ma scelsi di credergli, probabilmente mi avrebbe fatto sentire meglio.
Dopo neanche un minuto, per la prima volta da che ero entrato nell'Accademia, mi sembrò che il sangue avesse smesso di scorrermi nelle vene. Per la prima volta, avevo paura, anche se non per me. «Cosa succede?» la voce di Persona mi trapassò letteralmente le orecchie. Nakamura tossì di nuovo, e fu l'unico suono che ruppe il silenzio pesante del magazzino. Vidi Persona fremere per la rabbia. «Vuoi davvero sapere perché siamo qui, Natsume?» Si tolse la maschera con un gesto mostruosamente lento, che mi mise l'angoscia. Non risposi neanche una parola, ero immobile a fissarlo. «Era una prova.» detto questo, prese Nakamura per il braccio libero, facendo attenzione a non toccare nient'altro. Bastò il solo sfiorarlo, che macchie nere cominciarono a formarsi su Nakamura che, questa volta, si lamentò per il dolore. Raggelai e non potei distogliere l'attenzione da lui, senza capirne il motivo. Mi sentii improvvisamente inutile e privo di forze. Mi forzai a fissare lo sguardo da un'altra parte, per non essere costretto a guardare, finché i lamenti non cessarono. Fu la voce di Persona a riportarmi alla realtà. «Una prova che non hai superato.»
«Di che parli?» chiesi, turbato e disgustato nello stesso tempo. Era la prima persona che vedevo morire così da vicino e per giunta, a causa dell'Alice di Persona. Era la prima volta che vedevo anche quello.
«Parlo di fedeltà.» mi spiegò, mentre copriva di nuovo il suo volto con la maschera, ma non prestai attenzione alle sue parole. «Il preside pensava che avresti fatto una cosa del genere.» vidi di striscio Nobara entrare nel magazzino. Si portò le mani alla bocca quando vide il corpo senza vita di Nakamura.
«Cos'è successo?» aveva le lacrime agli occhi, e capii che si trattava della personalità che in questi giorni non si era mai fatta vedere. Era fortunata a non ricordarsi niente di ciò che era successo dentro quel postaccio. Persona la ignorò.
«Per questa volta,» mi disse, glaciale, senza muovere un solo muscolo, cosa che non feci neanche io, ma per mancanza di forze. «non ci saranno ritorsioni. Questi sono gli ordini. Ma la prossima volta che pensi di tradire l'Accademia, Natsume, pensaci molto bene. Quella ragazzina non starà bene per sempre.»
Io non tentai neanche di capire le sue parole, seppi solo che avevamo ucciso delle persone solo per mettirmi alla prova, e non sapevo neanche che cosa significasse.

«Nobara.» disse di nuovo Persona, appena uscimmo di lì. Teneva il corpo di Nakamura come se fosse stato un sacco vuoto. «Chiama quell'inutile studente.»
Nobara annuì, evitando di guardare ciò che Persona portava con sé. Decisi di farlo anch'io, per non rischiare di vomitare e di sognarmelo per il resto della vita. Ombra scese dalla macchina, e il terrore era l'unica cosa che si leggeva sul suo volto.
«Fa' ciò che sei venuto per fare.» fu tutto quello che gli disse, dopo aver posizionato nella sua auto, che ci eravamo portati dietro perché nessuno la trovasse, il corpo di Nakamura. Al posto di guida, c'era il cadavere dell'autista. Lo squallore mi fece rabbrividire di nuovo. Distolsi lo sguardo, non avrei sopportato oltre, volevo solo andarmene.
Ombra annuì alle parole di Persona, e ordinò all'ombra dell'automobile di schiantarsi non so dove, perché entrai in macchina e preferii non sapere. Quando la portiera si aprì, credetti che fosse finalmente ora di abbandonare quel magazzino, ma mi sbagliavo.
«Il tuo lavoro non è ancora finito.» mi disse Persona, calmo, facendomi cenno di scendere.
«Che devo fare?» chiesi, cercando di reprimere il fastidio e cercando di non impazzire per il terribile mal di testa che avevo. Ero stanco morto per aver usato troppo il mio Alice e non avevo la forza di fare nient'altro.
«Da' fuoco all'auto.» sospirai, cercando di non gridare per la frustrazione. Sapevo bene a cosa – o meglio, a chi – avrei volentieri dato fuoco. Lanciai alla cieca una palla di fuoco dietro alle mie spalle una volta che scesi dalla macchina e, dallo scoppio, seppi che avevo centrato il mio bersaglio. Non mi voltai indietro, e salii di nuovo in macchina, mentre Persona sorrideva soddisfatto. Lo odiavo e, per quanto riguarda lui, sapevo benissimo perché.

Durante il viaggio di ritorno, non degnai nessuno di uno sguardo, specialmente quel bastardo di Persona; non riuscivo a sopportare l'idea di aver quasi capito tutto fino all'ultimo e di non aver fatto niente per fermare quella farsa. Mi domandavo che razza di prova avessi fallito e quali sarebbero state le conseguenze, anche se Persona aveva detto che, per quella volta, non ce ne sarebbero state. Ma né lui né, specialmente, il preside faceva mai niente per niente, e se il preside aveva deciso di mettermi alla prova, io sapevo che questo serviva a qualcosa, non sono un idiota. Per ora, erano morte due persone, e non riuscivo a smettere di pensarci.
Dopo un tempo che mi parve infinitamente lungo e massacrante, cominciammo a vedere i cancelli dell'Accademia. Sospirai di sollievo, insieme a Ombra, che era teso e pallido come uno straccio. Io non dovevo avere un aspetto migliore. Quando entrammo nel vialetto, mi sentii stranamente sollevato, probabilmente perché non avrei più dovuto condividere spazi ristretti con quella spazzatura non del tutto umana che si spacciava per un professore. Infatti, appena la macchina si fermò, ne balzai fuori come se fossi stato seduto su un puntaspilli. Nessuno, grazie al cielo, mi fermò, anche perché in quel momento avrei potuto uccidere senza pentirmene. Non sapevo che cosa volevo fare, e neanche dove andare: volevo solo dimenticarmi di quella brutta giornata.
«Ehi, Natsume.» mi chiamò Tsubasa, mentre si massaggiava le tempie. Mi girai e gli lanciai un'occhiataccia, e capii che ebbe l'effetto desiderato dalla sua faccia. «Se non le hai detto niente, vai a cercare Mikan, sarà preoccupata, se la conosco.»
Mikan. Il suo pensiero mi colpì come uno schiaffo, facendomi passare di mente ogni altra cosa. Mi ricordai solo dopo quelle parole che, davvero, non le avevo detto niente. Appena mi chiesi dove potevo trovarla, mi venne subito in mente l'albero di ciliego sotto cui avevamo l'abitudine di sederci da bambini. Mentre stavo facendo la strada per andare dove avevo pensato, la vidi. Il problema era uno solo: era insieme a Naru. Non so perché, ma ha sempre dimostrato un interesse particolare per Mikan, la qual cosa mi ha sempre reso geloso, sin da quando avevo dieci anni. E, devo ammetterlo, non avevo smesso di esserlo sette anni dopo. Decine di domande mi si presentarono in testa: perché diavolo stava abbracciando la mia ragazza? Non poteva mettere mani e braccia da un'altra parte? E perché lei stava piangendo? Che diavolo le aveva fatto quel pervertito? L'unica cosa di cui ero sicuro era che i ferormoni non avrebbero avuto effetto su di lei, perché Mikan ha l'Alice dell'annullamento.
Il sarcasmo che mi aveva accompagnato nel viaggio in macchina di non so più quanti giorni fa, tornò a farmi visita, e stavolta non potei trattenerlo. «Non dovresti prenderti tutte queste libertà, Naru.» non l'avrei mai chiamato per intero. Sarebbe stata una specie di ammissione del fatto che lo rispettavo, e non lo facevo affatto. «Soprattutto con una ragazza fidanzata. Il suo ragazzo potrebbe essere geloso.» e lo ero anche parecchio.
La vidi staccarsi da Naru a velocità supersonica. Non potei reprimere un sorriso, anche se non capivo il motivo per cui sorridesse anche quella faccia di bronzo di Naru. Forse avevo solo bisogno di sfogarmi, ma l'avrei preso volentieri a pugni. «Natsume!» sentii Mikan gridare e, quando si lanciò letteralmente tra le mie braccia, capii il motivo per cui mi ero sentito come a casa quando ero entrato dai cancelli e passò anche la voglia di pestare Naru e qualsiasi altra persona. La strinsi forte, per farle capire che ero felice di vederla quanto lo era lei. Era di sicuro il momento migliore che avessi avuto in quei due o tre giorni, quando c'era lei era facile non pensare a qualcos'altro. La baciai, e questo fece sparire definitivamente ogni altro pensiero che non la riguardasse. Di sicuro, sapevo solo che non volevo muovermi più dall'Accademia e rivedere la brutta faccia di Persona, per molto tempo.
«Sono tornato.»

*****

Risposte alle recensioni:

MatsuriGil: grazie mille! Sono molto lusingata dalle tue parole! Spero che ti sia piaciuto anche questo!
Kahoko: ma figurati se mi offendo XD. Ben vengano le critiche costruttive, ho sempre desiderato che qualcuno mi recensisse come hai fatto tu XD. Anzi, se hai qualcosa da dire su questo capitolo, non farti scrupoli.
mikamey: facciamo un po' sia metalli preziosi che marmo XD però la statua la voglio per Natsume *ç*. Mamma mia quanti complimenti! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento.
marrion: ragazze, con tutti questi complimenti, rischio di gasarmi XD. Sono contenta che ti sia piaciuto il primo capitolo, e spero che continui ad essere così per questo e per i prossimi. :P
smivanetto: mi piacerebbe sapere che pensi di questo capitolo XD. Spero tanto che tu non sia rimasta delusa dal “risveglio”.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92

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Capitolo 3
*** Preoccupazioni e pulci nelle orecchie ***


Capitolo 3 – Preoccupazioni e pulci nelle orecchie
(Mikan)


Del mio stato di dormiveglia, ricordavo freddo e la voce di Natsume. Solo dopo mi svegliai, accorgendomi che lui non era più insieme a me, ma che, al suo posto, c'era una coperta. Mi sorpresi della sua gentilezza ancora una volta. Già... ma lui dov'era alle – guardai l'ora – tre di notte? Non si sentivano rumori dal bagno, perciò presumetti che davvero non fosse più nella camera. Aprii la porta, per vedere se fosse appena uscito e lo chiamai.
«Natsume?» ma non ricevetti risposta. Richiusi la porta e mi rimisi a letto, convinta che fosse andato in camera sua a prendere un cambio o qualcosa perché aveva freddo e che sarebbe tornato subito. Tuttavia, se tornò, non lo sentii, perché fu la sveglia a svegliarmi, la seconda volta. Scossi la testa, mentre mi riparavo gli occhi dalla fastidiosa luce mattutina. Le cinque e mezzo. Avevo tutto il tempo del mondo per prepararmi. Ma Natsume... dov'era? Mi domandai se, come ogni volta, non mi avesse aspettato per andare a fare colazione. Mi diedi almeno dieci volte dell'idiota perché pensavo che le cose sarebbero cambiate. In dieci minuti mi feci una doccia e mi misi la divisa, mentre sbadigliavo a ogni passo che facevo: non avevo dormito poi molto, come promesso.
Sbuffai, arrossendo mentre guardavo il letto. Pensare alla notte appena trascorsa mi faceva andare a fuoco le guance, e pensavo davvero che Natsume se la fosse svignata per non aiutarmi a cambiare il letto. Con tutta la forza di volontà che possedevo, tirai via le lenzuola e le misi nel cesto della lavanderia, non sapendo che pensare. Nessuno di noi si era mai avventurato nell'argomento, né per i corridoi, né in confidenza, per esempio nelle volte in cui io e le mie amiche andavamo a Central Town. Scesi le scale con lentezza, per evitare di farmele tutte sul fondoschiena, visto che non vedevo assolutamente niente con quel cesto strapieno tra le mani. Conoscendomi, sarebbe stata la migliore delle aspettative. Mentre mettevo il gettone nella lavatrice, mi venne in mente che una volta Sumire aveva detto che quello era un passo importante in una relazione, anche se io non avevo capito bene il discorso che aveva fatto: aveva detto qualcosa sulla prima volta tra due persone, ma in verità non ci avevo prestato molta attenzione. Non avevo idea di come, ciò che era successo quella notte, potesse rendere diversa il nostro rapporto; insomma... non mi aspettavo davvero che Natsume diventasse un ragazzo romantico, non era proprio da lui, anche se non mi avrebbe dato fastidio un po' di romanticismo. Mentre mi concentravo su questi pensieri, la lavatrice emise un suono, avvertendomi che aveva finito il suo lavoro. Era incredibile come le abilità Tecniche avessero velocizzato quelle macchine!

Alle sette ero in sala mensa, impeccabile – tranne che per i capelli: non sapevo dove fosse il secondo nastro, e avevo deciso di lasciarli sciolti, anche per via di ciò che aveva detto Natsume la sera prima –, adosso avevo la mia divisa con la gonna, finalmente marrone. Essere una studentessa delle superiori mi riempiva d'orgoglio: tutti quei bambini delle elementari e delle medie che mi guardavano con ammirazione e mi chiamavano «Senpai» era ciò che avevo sempre desiderato. Sì, insomma, mi faceva sentire meno stupida di quel che diceva Hotaru, ed era una gran cosa dal mio punto di vista.
«Buongiorno, Hotaru!» sorrisi, vedendola arrivare a mensa, mentre lei, senza guardarmi, mi rispondeva con un glaciale «Buongiorno.» rabbrividii.
«Ti è successo qualcosa?» mi chiese, facendomi andare tutti i sensi in iper allerta. Come cavolo faceva a sapere sempre tutto? Peccato che Hotaru fosse un genio e le bastasse un'occhiata del tutto superficiale per leggermi come si fa con un libro aperto.
«Ehm...» dissi, ridendo nervosamente, tanto per non dare nell'occhio. «niente, cosa sarebbe dovuto succedere?» potevo anche correre a nascondermi se avesse disgraziatamente indovinato. Questo era, forse, il momento più imbarazzante di tutta la mia vita.
«Mi sembri strana.» ammise, prestandomi più attenzione di quanto non facesse normalmente. Sotto il suo sguardo indagatore, sentivo la testa trasparente, come se lei potesse vederci dentro tanto chiaramente quanto me, e avevo paura che scoprisse tutto. Non ero ancora pronta per parlarne con le amiche, era troppo difficile! «Forse sono solo i tuoi capelli, non sono abituata a vederli sciolti. Come mai questa novità?»
«Ehm... ecco... ecco... Volevo cambiare un po'... sì, ecco: volevo proprio cambiare un po'!» mentii, ma non fui sicura di non essere stata molto convincente, ma lei alzò le spalle, incurante. Ringraziai mentalmente quel particolare di lei che mi aveva sempre dato fastidio. Lei andò a sedersi, riprendendo a ignorarmi, come ogni mattina. Al contrario del solito, mi guardai intorno, in cerca di Natsume, dato che, ancora, non si era fatto vivo, ma di lui non c'era neanche l'ombra. Infatti, Ruka era da solo dove, di solito, si sedevano insieme. Mi diressi verso di lui, sperando, in qualche modo, di poter rimediare qualche informazione utile. «Buongiorno, Ruka-pyon!»
Lui alzò lo sguardo dal coniglietto che teneva in braccio e mi fece un sorriso a trentadue denti. «Buongiorno, Mikan-chan.» rispose, mentre gli servivano la colazione e ne passava un po' al suo piccolo amico. «Tutto bene?»
«Beh... bene.» mi corressi, mordendomi la lingua. Avrei voluto chiedergli subito se sapeva dov'era Natsume, ma mi trattenni. Non volevo sembrare il tipo che si preoccupa dopo i primi cinque minuti d'assenza, anche se... in effetti neanche alle tre l'avevo visto. Feci un respiro profondo, con l'intenzione di calmarmi. «E tu?»
«Oh, bene, ti ringrazio.» mi disse, invitandomi a sedermi accanto a lui con un gesto del braccio. Accettai, e dopo un po' si unii a noi You-chan: aveva quasi dieci anni, ed era il bambino più adorabile che avessi mai conosciuto. «Buongiorno, Youichi.» gli sorrisi. Lui ci fece un cenno con la testa.
«Buongiorno, Ruka onii-chan, Mikan onee-chan.» rispose lui, sedendosi, portandosi dietro anche Bear, che aveva cominciato a prenderlo, sorprendentemente, in simpatia. Kaname-senpai passava ancora molto tempo in ospedale e adesso, oltre che a Tsubasa-senpai, Bear era diventato molto attaccato anche a Youichi. A me metteva sempre ancora un po' di paura, e non gli avevo mai dato troppa confidenza; in fondo, la promessa a Kaname-senpai era stata mantenuta e Bear adesso aveva qualcuno di cui era amico. Mi tenni a debita distanza, date le mie precedenti esperienze poco piacevoli. Era grazioso quanto doloroso. Nessuno dei due nominò Natsume per tutta la durata del pasto, parlammo d'altro, come per esempio la vicinanza degli esami di fine semestre, la qual cosa mi terrorizzava, soprattutto adesso che il mio libro di matematica, la materia in cui ero più carente, aveva preso fuoco. Quando lo raccontai, sia Ruka che Youichi scoppiarono a ridere.
«È sempre il solito.» fu il commento di Ruka. Mi domandai come la cosa potesse divertirlo, dato che, almeno per il momento, non ci trovavo niente da ridere. Anzi, lo trovavo un problema spaventosamente grande e non sapevo se Hotaru sarebbe stata disposta a prestarmi il suo, dato che, anche lei, doveva studiare. Insomma, in parole povere, ero spacciata. Tuttavia, senza capirne il motivo, non riuscivo ad avercela a morte con Natsume.
«A proposito...» buttai lì con nochalance, per non far intendere che mi interessasse troppo, ma io non ero mai stata brava a cambiare discorso con naturalezza. Anche se. adesso che avevamo parlato di lui, era tutto più facile. «dov'è quel disgraziato? Devo ancora fargliela pagare.»
«Puoi stare tranquilla con noi, Mikan.» disse Youichi, più attento al coniglio di Ruka che a me, mentre lo imboccava. «Lo sappiamo.» raggelai all'istante. Che cosa sapevano?
«Scusami?» domandai, in preda al panico. Poi mi rilassai un secondo: se erano loro a saperlo, doveva essere stato Natsume a dirglielo. Mi costrinsi a dimostrarmi tranquilla.
«Di te e di lui.» spiegò Ruka, con uno sguardo eloquente, della serie: ''Non farmelo dire proprio qui a mensa''. Io arrossii. Lui poteva dirlo agli amici, Hotaru e Iinchou però non potevano saperlo. Sbuffai, chiedendomi perché tanta segretezza. Si vergognava forse di me?
«Ve l'ha detto lui?» chiesi, tanto per avere una conferma. Loro scossero la testa, entrambi. E subito tornai a sentire il sangue freddo come ghiaccio nelle vene. «Co... come?» provai a pensare a come avevano potuto scoprirlo, dato che Natsume aveva fatto letteralmente di tutto per evitare che qualcuno sospettasse qualcosa o ci vedesse insieme. Chi avrebbe mai potuto prevederlo? E, soprattutto, mi domandai come l'avrebbe presa.
«È un po' di tempo che è strano.» spiegò Ruka, a bassa voce, in modo che potessimo sentire solo noi tre. «E poi, al suo compleanno, anche che io e You-chan eravamo andati a prendere il regalo, quando siamo tornati, ecco, eravate in atteggiamenti un po'... ecco... intimi.» era un po' a disagio, e pensai a quell'occasione.
Spalancai la bocca per lo stupore e arrossii per la vergogna. Quella sera stavamo per farlo sul divano della camera di Natsume, e sperai che non fosse proprio quella scena che avevano visto, soprattutto per You-chan. Ricordavo che, quella sera, avevo cercato di ricordargli che, prima o poi, Ruka e Youichi sarebbero tornati e lui si era convinto. Dopo circa due minuti, erano sbucati dalla porta. Sospirai, chiedendomi cos'altro avrebbero potuto vedere. «Non ti preoccupare.» per la prima volta, quella mattina, Youichi si girò a guardarmi coi suoi bellissimi e inquietanti occhi grigi. «Non lo diremo a nessuno. E neanche Bear, dato che non sa parlare. Su, prometti Bear.» l'orso annuì, guardandomi in modo strano, mentre mi domandavo se stesse per tirare fuori i guantoni da boxe e mettermi al tappeto con un colpo solo. La sola idea mi mise i brividi, così mi alzai, li salutai e mi diressi alla velocità della luce fuori dalla mensa. Perlomeno, avevo ancora il naso intero. Questa poteva già essere considerata una conquista.

Quando entrai in classe, nessun altro sembrava aver fatto caso all'assenza di Natsume, probabilmente era perché di rado partecipava alle lezioni. Mi sedetti accanto a Hotaru, che alzò lo sguardo su di me. Per un attimo sperai che volesse consolarmi; ma come poteva, se neanche sapeva il mio grossissimo problema? Aprì la bocca per dire qualcosa, e aspettai con ansia le sue parole. Dopotutto era un genio, ci stava benissimo che avesse capito tutto e che adesso volesse darmi conforto.
«Quello è il posto di Iinchou.» mi fece notare, e la mia depressione aumentò. Come poteva essere così fredda, quando avevo così bisogno del suo sostegno? Sospirai, sconsolata, finché non arrivò Yuu.
«Non ti preoccupare, Mikan-chan.» mi disse, col suo sorriso che metteva allegria. «Resta pure lì, se vuoi.» andò a sedersi una fila dietro di noi. Adoravo Iinchou, era sempre così gentile e disponibile! Tutto il contrario della mia migliore amica.
«Grazie mille, Iinchou!» dissi, rincuorata. Era la seconda persona che si rivolgeva a me con gentilezza da che avevo fatto colazione. Ne avevo proprio bisogno.
«Puoi restare,» mi disse Hotaru, tornando a prestare attenzione al suo cervello di granchio. Era così disgustoso che mi chiedevo come facesse a mangiarlo, mi veniva da vomitare al solo pensiero. «basta che non mi distrai durante la lezione. Altrimenti userò la mia arma anti-idiota. Chiaro?»
Annuii, velocemente. Hotaru e le sue armi erano più terrificanti di qualunque altra cosa. «Chiarissimo.» lei mostrò un'espressione non diversa dal solito, ma chissà perché mi diede l'impressione che non mi avesse creduto.
Non le parlai per il resto delle lezioni; anzi, a dire il vero, non ascoltai una sola parola di tutte quelle che i professori dicevano, e le gomitate di Hotaru mi salvarono in corner qualche volta.
Quando stavamo per andare a mensa per il pranzo, Hotaru si affiancò a me. «Che succede?» mi chiese, senza preamboli; alla fine, l'aveva capito che non erano i capelli la cosa che non andava. Non risposi subito, perché non sapevo bene da dove cominciare. Decisi di parlargliene, semplicemente perché avevo bisogno di farlo.
«Hotaru...» dissi, praticamente lasciandomi cadere sulla sedia. «sono depressa.»
«Mikan, tralascia le cose ovvie.» mi rispose, prendendo posto accanto a me, mentre si lasciava servire il pranzo. A volte, avrei voluto essere fredda come lei, se non altro avrei evitato un sacco di problemi e preoccupazioni. Io annuii.
«C'è una cosa che non ti ho mai detto.» bisbigliai; lei parve stupita, per quanto la sua espressione potesse mostrare stupore. «Sto con Natsume.» okay, avevo sganciato la bomba, dovevo solo sperare che non si sarebbe messa a gridare, il che sarebbe stato incredibile, soprattutto se si parla di Hotaru. Non l'avevo mai vista neanche alzare un po' la voce.
Lei cominciò a mangiare il riso, con una calma innaturale che mi mise l'angoscia. Mi sembrava quasi che mi avesse ignorata. «Mikan,» disse, poi, guardandomi annoiata. «Ti ho già detto di tralasciare le cose ovvie.»
Ci rimasi di sasso. Non sapevo che la cosa fosse così palese. Già tre persone, oltre me e Natsume, sapevano che stavamo insieme, e noi pretendevamo che la cosa fosse segreta? «Comunque sia, è questo il mio problema!» cercai di spiegarle, scacciando via il problema della segretezza della nostra relazione. Non le raccontai di quello che era successo recentemente. «Non riesco più a trovarlo da nessuna parte. Mi chiedo dove possa essere andato.»
«Da quanto non lo vedi?» mi domandò lei. Mi sembrava che fosse più interessata al suo pranzo che al mio atroce problema. Ma Hotaru raramente dimostrava interesse per qualcosa che non fossero le sue invenzioni, o qualcosa che le avrebbe fatto guadagnare soldi; comunque, ci pensai su.
«Da ieri sera.» dissi, poi mi affrettai a rettificare: «Da ieri sera a cena.» lei mi guardò, indecisa. Mi chiesi se avesse capito che non le avevo detto proprio tutta la verità, il che era molto più che possibile.
«Salta quasi sempre le lezioni, di che ti preoccupi?» mi disse indifferente, alzando le spalle. Sospirai. Davvero non poteva capire, se non le raccontavo tutta la storia?
«Ho un brutto presentimento.» le confessai, e lei alzò gli occhi al cielo. Aspettai con trepidazione che mi dicesse qualunque cosa.
«Ti ha trattata in modo diverso, negli ultimi tempi?» io annuii: era stato fin troppo gentile. Lei parve pensarci un po'. «Descrivimi il suo comportamento. Proverò a darti una mano.» sembrava quasi rassegnata ad ascoltare le mie chiacchiere.
«Beh, ecco... è stato un po' troppo più gentile del solito.» Hotaru mi guardò come se le avessi appena detto che avevo ucciso qualcuno. «Lo sai come si comporta di solito, no? Si comportava così anche con me. Non si può cambiare comportamento nello spazio di dieci minuti!»
«Beh, magari si è stancato di te e si sente un po' in colpa per averti illusa per...» sembrò contare mentalmente «...otto mesi.» raggelai. Sapeva anche da quanto stavamo insieme? Eravamo stati così idioti da pensare che fosse tutto segreto, e poi, magari, tutta l'Accademia sapeva di noi, forse addirittura prima che ci mettessimo insieme? Subito dopo aver pensato questo, elaborai anche il resto della frase.
«Che hai detto?» per poco non lo gridai. Non poteva essere la verità, vero? Natsume non mi avrebbe mai fatto questo, no?
«Beh, devi ammettere che è plausibile.» mi fece notare, pulendosi la bocca con il tovagliolino di carta. La guardai terrorizzata: se voleva consolarmi, aveva ottenuto quello che si chiama “effetto contrario” perché adesso la mia depressione era quadruplicata. «Pensaci. Lui è un genio, e tu no. Un genio ha bisogno di parecchi stimoli per la propria intelligenza.» si alzò e si diresse verso l'uscita della mensa, lasciandomi seduta a pensare che la causa della sua scomparsa potesse essere la mia stupidità. Mi accorsi di non averci mai pensato e, soprattutto, non avevo mai pensato al fatto che fosse una spiegazione abbastanza convincente.
«Hotaru, mi stai dicendo una bugia, non è vero?» lei mi fece la linguaccia, lasciandomi ancora più perplessa e confusa. Mi chiesi se mi avesse presa in giro per tutta la durata della discussione che avevamo avuto. «Hotaru!» gridai, ma lei non si fermò.

Lo aspettai al solito albero per tutto il pomeriggio e poco prima di cena. Non arrivò nessuno e, depressa, mi avviai verso la mensa dove non mangiai quasi niente e non rivolsi la parola a nessuno. Probabilmente, il mio malumore si poteva percepire a chilometri di distanza, neanche Ruka-pyon venne a sedersi vicino a me. Inoltre, quella notte non riuscii a dormire, e il giorno dopo, fu anche peggiore da affrontare, senza neanche un'ora di sonno. Sospirai di nuovo, tristemente, mentre mi guardavo allo specchio, maledicendomi per essere così maledettamente apprensiva. Peggio ancora, non riuscivo in nessun modo a trovare uno dei miei nastri per capelli. Avevo cercato in ogni più piccolo spazio della mia camera, e non voleva saltare assolutamente fuori.
Per peggiorare la situazione ulteriormente, proprio perché, come si dice, al peggio non c'è mai fine, Natsume non si fece vivo in nessuno modo neanche il giorno successivo. Ero anche andata a cercarlo in camera sua, ma non mi aveva risposto nessuno e la porta era chiusa a chiave. Come potevo non preoccuparmi? Non riuscivo a stare ferma in uno stesso posto per più di trenta secondi, e non avevo neanche aperto libro, non che mi importasse poi più di tanto. Volevo solo sapere dov'era andato quel disgraziato, sapere se stava bene, e se stava bene, picchiarlo talmente forte da fargli ricordare, per la volta in cui sarebbe successo di nuovo, di avvertire quando aveva intenzione di scomparire per più di mezz'ora dalla mia esistenza.
Era tardo pomeriggio quando decisi di andare a passeggiare nel cortile, scoraggiata più che mai. Insomma, neanche Ruka-pyon sembrava sapere dove fosse. Poi ci si metteva anche Hotaru a mettermi le pulci nelle orecchie, accidenti a lei. Non aveva smesso un minuto, dopo che le avevo raccontato della nostra storia, di trovare tutti i possibili motivi per cui poteva essersene andato. Aveva anche ipotizzato che fosse fuggito dall'Accademia lasciandomi indietro. Ero convinta che quest'ultima ipotesi fosse la meno plausibile, ma perché diavolo non tornava?
«Mikan-chan.» mi sentii chiamare. Mi girai e vidi Narumi-sensei. Fu come se avessi rivisto un vecchio amico dopo tanto tempo e gli corsi incontro. «Cosa fai qui?» era sempre stato come un padre per me e quando lo abbracciai mi sentii come quando abbracciavo il nonno, come se fossi con qualcuno di famiglia. Lui mi guardò come se non mi vedesse, e mi chiesi a che stesse pensando.
«Tutto bene?» domandai, preoccupata. Che avesse anche lui qualche problema? Sperai che non fosse la settimana nera dell'anno, anche perché era appena cominciata ed ero già abbastanza giù di morale per poterla sopportare fino alla fine. «Narumi-sensei?»
Lui sembrò tornare alla realtà, mentre mi guardava con un espressione nostalgica. «Mi ricordi molto una persona con cui andavo a scuola, con i capelli così. Tutto qui.»
Cercai di sorridergli. «Ricordavi i vecchi tempi, Otou-san?» volli sapere. Lui si mise a ridere, ma non ebbi lo stimolo di ridere con lui. Era dal giorno prima che non sentivo il bisogno irrefrenabile di sorridere, come succedeva di solito.
«Mi fai sentire vecchio, così, Mikan-chan.» protestò. Era un po' che non ci vedevamo, dopotutto lui era nella sezione elementari e incontrarsi era veramente arduo. «Sei cresciuta molto dall'ultima volta che ci siamo visti.»
«Davvero?» domandai. Io non mi accorgevo di questi cambiamenti che tutti notavano in me; anche il nonno, l'ultima volta che gli avevo mandato una foto, mi aveva chiesto se quella era davvero la sua adorata nipotina cresciuta lontano da lui. Non credo che abbia mai superato questo fatto, e anche a me, quando ripensavo alla mia infanzia, mancava da morire.
Narumi-sensei annuì, orgoglioso come se davvero fossi stata figlia sua. Forse anche lui si sentiva come se fosse stato il mio vero padre. «Tutto bene con gli insegnanti e la scuola?» mi chiese, mentre ci sedevamo su una panchina sotto un albero completamente spoglio a causa del freddo. Mi strinsi nel cappotto, cercando di riscaldarmi, mentre le mani, benché coperte dai guanti, rischiavano di congelarsi.
«Mi terrorizzano gli esami.» confessai, sospirando, ricacciando indietro i brutti pensieri. Lui mi guardò incredulo. Effettivamente, dopo tutti gli esami di fine semestre che avevo sopportato, non era normale averne il terrore, ma io quest'anno volevo vedere il nonno! Ed era anche vero che mancava più di un mese, dato che ci doveva ancora essere la festa di Natale. «E non ho più il libro di matematica: Natsume me l'ha bruciato!» lui mi guardò come se non ci credesse. Il solo nominare Natsume fece nascere sulle mie labbra un sorriso triste.
«Sei ancora la sua partner? Dopo tutto questo tempo?» scoppiò a ridere e io mi sentii, non so perché, offesa. Dopo che ebbe finito di ridere, continuò a scuotere la testa, incredulo. «Andate più d'accordo, ora, oppure litigate come prima?» l'unica volta in cui non gli avevo urlato contro, era stato quella sera, quella prima che scomparisse. A pensarci, la paura, per poco, non mi soffocò. Dopo tutta la fatica che avevo fatto per reprimerla, mi schiacciò con tutta la sua forza. Le pensai davvero tutte: che fosse stato diverso dal solito perché sapeva che non mi avrebbe più rivista? Avevo notato che era stato strano, ma quando aveva detto che era tutto a posto gli avevo creduto senza riserve. Mi chiesi come avevo potuto essere così sciocca e superficiale. Le lacrime mi bruciarono gli occhi, e mi alzai in piedi, troppo agitata per rimanere ferma. Ma cosa potevo fare io, imprigionata dentro quelle mura a prova di Alice?
«Un po' entrambe le cose.» confessai, mentre sembrava che la preoccupazione per Natsume avrebbe dovuto squarciarmi il petto. Aprii la bocca per sfogarmi ma mi fermai, interrotta dalle parole di Narumi.
«Succede, in amore.» lo guardai, fingendo che non ci fosse nessun problema, e mi chiesi come avesse fatto a capirlo prima di me. Non mi vedeva da un anno, almeno – e noi stavamo insieme da otto mesi, ormai. Non ci eravamo neanche mai incontrati per sbaglio al festival culturale... come diamine faceva a sapere che eravamo innamorati?
«Narumi-sen..» cominciai, poi si voltò verso di me, con l'espressione di chi ha capito tutto della vita. Avrei tanto voluto capire quanto lui, in quel momento. Sentivo che le lacrime stavano per scendere, ma non volevo che mi vedesse piangere: troppe persone si stavano preoccupando per me, in quei giorni. C'erano già Hotaru, Iinchou, Ruka-pyon e forse anche Youichi.
«Non vorrai chiedermi come lo so, spero.» disse, mentre mi giravo dall'altra parte per non mostrargli le mie lacrime. «Si vedeva anche quando eravate alle elementari che tra voi c'era quel tipo di affinità. L'ho notato prima di...» non lo sentii più parlare, ma non volli voltarmi. «cosa c'è che non va?» era incredibile, l'aveva notato anche lui: tutti mi conoscevano troppo bene.
«Non c'è niente che non va, stai tranquillo, Narumi-sensei.» la mia voce diceva tutto il contrario di quello che pretendevo di spacciare per la verità. Scoppiai a piangere. Ormai non cercavo neanche più di nascondere i singhiozzi, volevo solo sapere se Natsume stava bene, non mi interessava neanche se mi aveva lasciata indietro, sempre ammesso che quella fosse la verità. Narumi mi abbracciò, e mi sentii un po' ingrata verso di lui, perché volevo che fosse qualcun altro a farlo.
«Dai, dimmi che succede.» non risposi, mi strinsi semplicemente di più a lui, senza fare altro che singhiozzare. Era l'unico modo per sfogare la preoccupazione e l'oppressione che sentivo. «Se non mi dici che succede, non posso aiutarti.» forse furono quelle parole a convincermi a parlare, o forse il fatto che Narumi-sensei aveva sempre fatto di tutto per aiutarmi e che, in qualche modo, c'era sempre riuscito. Ma forse, semplicemente, non riuscivo più a tenermelo dentro.
«Non ho idea di dove sia.» dissi, ma non seppi mai come fece a capire, dato che ebbi difficoltà a interpretare le mie parole io stessa: avevo la bocca impastata per via delle lacrime e la voce roca. «Sono più di due giorni che non so niente.»
Non ebbe bisogno di chiedermi di chi stavo parlando. «Sai, Mikan,» mi disse, stringendomi di più a sé. «sono più di due giorni che neanche Persona, Ibaragi e Andou si vedono in giro. Probabilmente sono nel bel mezzo di una missione.»
Alzai la testa per guardarlo in faccia, sentendomi improvvisamente un'idiota per non averci pensato da sola. Continuavo a piangere, e dopo qualche secondo, cominciai anche a tremare: io sapevo che le missioni della classe delle Abilità Pericolose erano peggiori di quanto si dicesse in giro. Gli alunni che venivano scelti, difficilmente ritornavano a scuola indenni. Mi rifiutai categoricamente di pensare al peggio. «Che... che genere di missione?» biascicai, sperando ardentemente che non fosse tanto pericolosa da far rischiare la vita a qualcuno di loro. Non avrei potuto sopportarlo: il solo pensiero mi faceva cedere le ginocchia.
Ma Narumi-sensei scosse la testa, dispiaciuto. «Questo, mi dispiace,» mi rispose, accarezzandomi la testa, in modo affettuoso, cercando di calmarmi. «non lo so neanch'io.»
Se lui non mi avesse trattenuto saldamente, probabilmente sarei caduta a terra. Avevo perso le forze per via della preoccupazione, del pianto disperato e della stanchezza di due giorni senza sufficienti ore di sonno. Ero talmente distrutta che non mi accorgevo neanche più di stare piangendo. «T... torneranno, vero?» chiesi, avvertendo sempre più lontana la sensazione delle sue braccia che mi stringevano. Anche la mia voce arrivò alle mie orecchie come un suono ovattato. «Torneranno sani e salvi, vero?» Non rispose, sospirò e basta. Probabilmente, non voleva darmi false speranze, ma era l'unica cosa di cui, in quel momento, avevo realmente bisogno.
Una voce mi riportò alla realtà, tanto repentinamente che rimasi, per qualche attimo, molto confusa. «Non dovresti prenderti tutte queste libertà, Naru.» fu quello che sentii. «Soprattutto con una ragazza fidanzata. Il suo ragazzo potrebbe essere geloso.»
Alzai lo sguardo per incontrare quello che desideravo rivedere da giorni. I suoi occhi, di quello stranissimo e brillante rosso fuoco mi fissarono. Mi scostai da Narumi non so con quale forza, dato che prima sentivo di non averne e, automaticamente, senza che io neanche pensassi di farlo, le mie gambe corsero verso di lui. «Natsume!» gridai, senza smettere di piangere, con l'unica differenza che, stavolta, erano lacrime di gioia. Mi gettai tra le sue braccia, senza troppi complimenti. Lui mi afferrò all'istante, stringendomi in un abbraccio soffocante che non vedevo l'ora di ricevere. Era lì, in carne e ossa. Non mi importò di nient'altro, né della testa che mi girava come una trottola, né della stanchezza. Sarebbe potuto esplodere tutto, non me ne sarei neanche accorta.
Feci appena in tempo ad alzare la testa che sentii le sue labbra sulle mie. La mia mente era troppo vuota per via del sollievo per pensare a qualcos'altro. Fu quando ci separammo che il mio cervello fu di nuovo in grado di formulare un pensiero coerente e di fare un ragionamento. «Sono tornato.» fu tutto quello che disse. Lo guardai, incredula, lui mi restituì lo sguardo e avrei voluto che durasse per sempre. Mi sorrise; sembrava così stanco. «Sono tornato.» sentirglielo ripetere non fece altro che renderlo più reale.
Mi asciugai le lacrime con la manica del cappotto, e non sapevo cosa dire. La contentezza era così tanta che non potevo fare nient'altro che guardarlo, per essere sicura che fosse davvero lui e che fosse davvero lì. «Non farlo più.» pregai, mentre il mio viso era nascosto nel suo maglione. Non aveva una giacca addosso e mi chiesi come stava sopravvivendo a quel freddo polare. Alzai la testa per guardarlo e vidi che un consistente pubblico si era formato nel cortile, intorno a noi. Arrossii e abbassai lo sguardo, un po' infastidita e intimidita da tutti quegli studenti che ci guardavano curiosi. «Ehm... ci stanno guardando tutti...» osservai, poi, in imbarazzo, mentre cercavo il più possibile di sottrarmi a tutti quegli sguardi sbalorditi.
«Ignorali.» bisbigliò, sollevandomi il viso, così che potessi guardarlo negli occhi. Mi sorpresero le sue parole, perché facevano crollare tutte le teorie che avevo messo in piedi per spiegare il fatto che non volesse dire di noi a nessuno. Mi chiesi perché avesse cambiato idea, ma non ebbe più importanza nell'istante in cui mi baciò di nuovo: c'eravamo solo io e lui; in fondo era questo l'importante. Senza preavviso, mi prese in braccio e cominciò a dirigersi verso l'entrata del dormitorio dei ragazzi. Quasi mi misi a gridare per la sorpresa. Gli sguardi dei ragazzi che ci vedevano passare ci seguirono finché non scomparimmo dietro la porta della camera di Natsume, facendomi solo immaginare i pettegolezzi che già stavano facendo il giro di tutta l'Accademia. Che girassero pure tutte le chiacchiere del mondo: se lui era lì con me, tutti gli studenti potevano anche dire ciò che volevano.
Mi posò delicatamente sul letto e si stese accanto a me, ma non gli diedi il tempo di dire un'altra sola parola: gli gettai le braccia al collo, stringendo più forte che potevo; non avrebbe mai più dovuto andarsene, non avrebbe mai più dovuto lasciarmi sola senza dire una parola. Allentai la presa quando lo sentii tossire. Appoggiai la testa sulla sua spalla, con gli occhi chiusi. Il solo averlo visto lì, nel cortile, sano e salvo, mi aveva tranquillizzata al punto che non riuscivo più a muovere un solo muscolo volontariamente. Il suo braccio che mi stringeva non aveva la solita forza, e mi domandai da quanto tempo non dormisse. Lui mi guardò, facendomi avvertire una fitta allo stomaco. Distolsi lo sguardo, mentre la domanda che mi aveva tormentata per giorni mi premeva sulle labbra. «Perché non mi hai detto che andavi in missione?» lo rimproverai, senza particolare risentimento: ero solo triste. Mi ero così spaventata che, al solo pensiero dei giorni appena trascorsi, mi tremavano le gambe.
«Perché ti saresti preoccupata.» rispose, sospirando stancamente. Mi sorpresi per la spiegazione, per me, completamente priva di senso; probabilmente pensava che fosse stato tutto rosa e fiori. Beh, non era così.
«Perché, secondo te, non mi sono preoccupata?» gli domandai, stringendomi le gambe al petto. «Non sapevo cosa pensare.» ed era vero: non stavo dicendo che mi sarei preoccupata di meno se avessi saputo che stava rischiando la vita per l'Accademia, ma me l'ero visto scomparire da un momento all'altro senza una spiegazione, ed era stato micidiale. Per me, poteva essergli successo di tutto.
Lui mi guardò: vidi risentimento nella sua espressione. Mi chiesi che cavolo avesse capito. «Pensavi davvero che avrei potuto abbandonarti?» il suo tono era colmo di sdegno. Per un attimo ebbi paura di averlo fatto arrabbiare; non volevo che finissimo subito ai ferri corti ora che era finalmente tornato. Però, sembrava che avesse qualcosa che non andava già da quando era tornato. «Rispondimi.» mi parve un ordine al quale era impossibile non ubbidire.
«No, scemo!» ribattei, stupita che avesse anche solo potuto pensare una cosa simile. «Chissà che pensavo ti fosse successo! Ero terrorizzata dal fatto che avrei potuto non rivederti.» distolsi lo sguardo, e lo fece anche lui. Restammo in silenzio, un silenzio maledettamente imbarazzante. Non avevamo ancora parlato di quello che era successo l'altra notte, e io non credevo di volerlo fare. Voelvo soltanto che lui restasse lì con me, anche in silenzio. La sua sola presenza sembrava capace di rendermi felice.
«Prendi.» disse, tirando qualcosa fuori dalla tasca: era il nastro che avevo cercato fino alla pazzia per tutti questi giorni. Non riuscivo davvero a capire come facesse lui ad averlo. «L'avevo preso l'altra mattina...» alzai lo sguardo per fissarlo, ma lui evitava di guardarmi. Un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra.
«Oh, Natsume!» sospirai, impressionata. Mi brillavano gli occhi. Che gesto sentimentale: non me lo sarei mai aspettato da lui! «Grazie. Ho buttato all'aria ogni cosa per cercarlo.» quando il suo sguardo incontrò di nuovo il mio, restammo immbili a fissarci, senza dire nient'altro. Mi sentivo così stupida, dato che lui era appena tornato e l'unica cosa che sapevo fare era la faccia da pesce lesso, ma ero felice che fosse lì. Quella sensazione che avevo provato quando lui non c'era era completamente sparita.
Lui sbuffò. «Ci stiamo comportando da idioti.» disse, e mi sorpresi per il fatto che l'avevo appena pensato anch'io. «Non mi pento della scelta che ho fatto.» Inclinai la testa: a che cosa si stava riferendo? Il mio sguardo doveva sembrargli particolarmente smarrito, perché sospirò, quasi rassegnato. «Parlo di noi due.»
Improvvisamente capii: «Oh. Veramente è una scelta che abbiamo fatto insieme.» lo corressi. In fondo, quella è una di quelle cose che si fanno in due.
«Quindi, è tutto a posto, no?» riprese lui, stendendosi di nuovo. «Non c'è bisogno di parlarne.» ridacchiai, e lui mi guardò come se fossi impazzita. «I tuoi sbalzi d'umore mi stupiscono sempre di più.» sembrava infastidito per qualcosa, ma non feci domande. Era quasi sempre così quando tornava dalle missioni: non mi raccontava mai niente, e pensavo che fosse perché non voleva farmi sapere che cosa succedeva quando non era in Accademia. In quel momento, vedendolo così turbato, ringraziai mentalmente che non mi mettesse a parte di quelle cose.
«Okay,» dissi, cercando di calmarmi. Mi consolai almeno un po': a quanto pare non ero l'unica che non voleva parlare di quell'argomento. «tutto a posto.»
«Mah...» fu tutto quello che disse. Allora mi stesi lì accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Avevamo completamente saltato la cena e, anche volendo, ormai era troppo tardi per pensare di rimediare qualcosa, ma non avevo fame. Mi sembrava così irreale che lui fosse lì, come se fosse stato un bel sogno. Adesso che la preoccupazione era del tutto scomparsa, era arrivato il sonno arretrato di giorni. Chiusi gli occhi e sentii quasi subito la mia testa liberarsi di tutti i pensieri.
«Buonanotte.» borbottai, sbadigliando. Presumetti che lui già dormisse, dato che non mi rispose.

*****

Risposte alle recensioni:

mikamey: c'è stato abbastanza tenero? Ho fatto i capitoli di questa lunghezza perché pensavo che, troppo lunghi, avrebbero annoiato i lettori. Lo so per esperienza XD.
marrion: hai visto perché Naru era abbracciato a Mikan? XD La spiegazione ha soddisfatto la tua curiosità? Alla prossima.
Mikuri Uchiha: grazie per i complimenti, spero che questo capitolo sia all'altezza degli altri. Fammi sapere XD.
smivanetto: beh, in italiano so che su internet siamo arrivati al terzo capitolo (in inglese sono al 121), ma non so se posso postare qui il link, quindi, se vuoi, puoi contattarmi dal mio profilo. E per il mio, che ne pensi? XD.
marzy93: Battibecchi? XD Ancora non hai visto niente! Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, forse (XD). A presto!

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto

In particolare, la new entry:

8.marzy93


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92

E in particolare le new entry:

3.naruhina 7
4.MatsuriGil

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


Capitolo 4 – Preparativi
(Natsume)

Mi svegliai verso le sei della mattina successiva; il mal di testa atroce del giorno prima non era ancora passato e i ricordi dei giorni precedenti che stavano riaffiorando non miglioravano la situazione. Mi ero addormentato subito soltanto perché ero stato sfinito dall'uso del mio Alice, infatti, cercai di riappisolarmi ma non ci riuscii. Tutto quello che era successo sembrava quasi un brutto sogno, adesso che mi trovavo nella mia stanza insieme a Mikan.
«Ahi...» sentii la sua voce, quando mi mossi per trovare una posizione più comoda. Cercò di togliere le punte dei suoi capelli da sotto la mia spalla, provando a sistemarsi. Poi sbadigliò, stiracchiandosi. «Buongiorno.»
«'giorno.» risposi, appoggiando di nuovo la testa al cuscino. Lei si avvicinò di più e mi guardò con espressione interrogativa. Ero di malumore, perciò non le dissi niente, perché altrimenti l'avrei sicuramente offesa.
«Qualcosa non va?» mi chiese, e trattenni la lingua per non chiederle se fosse davvero stupida. Non era colpa sua se avevo i nervi a fior di pelle e litigare non era la soluzione. Mi limitai ad annuire. «È per la missione di questi giorni, non è vero?»
«Sì.» risposi, senza guardarla. Non le avrei raccontato cos'avevo fatto. Primo, perché si sarebbe rattristata e lei era famosa per la sua allegria, e poi perché non credevo che turbarla sarebbe stata una magnifica idea.
«Non ti preoccupare!» mi disse e mi abbracciò talmente forte che rischiai di soffocare. «Non è stata colpa tua.» sospirai, mentre ricambiavo la sua stretta. Pensai che fosse facile dirlo, se non si conoscevano i fatti. «Qualunque cosa sia successa, non è stata colpa tua.»
«Mikan...» la chiamai, mentre stringeva più forte. Non avrei mai pensato che avesse tanta forza, o forse ero io che non avevo recuperato le mie. «Mikan, non respiro.»
«Scusami!» esclamò, preoccupata, allontanandosi all'istante. Allungò una mano per sfiorarmi ma la ritirò quasi subito, probabilmente perché le avevo sempre detto che mi dava fastidio darsi a certe smancerie. Allora, mi misi a sedere, e le porsi il braccio che stava per prendermi. «Non è niente di importante... davvero.» mi rassicurò, ma capivo benissimo dal fatto che era arrossita che per lei non era così. Sospirai di nuovo, porgendole il braccio con più insistenza. Strappo secco fa meno male, qualunque cosa avesse intenzione di farmi. «Va bene...» continuò, imbarazzata. «ma poi non ti lamentare.»
«Non una parola.» promisi. Lei prese qualcosa dalla tasca, ma prima mi guardò di sottecchi per accertarsi, forse, che non l'avrei scaraventata giù dal letto una volta che avesse finito ciò che aveva intenzione di fare. Almeno questo era quello che pensavo, anche se non avevo mai fatto una cosa neanche lontanamente simile. Gettai un'occhiata a ciò che stava facendo e la guardai legarmi il suo nastro per capelli intorno al polso. «Che diavolo è questa storia?» proruppi, chiedendomi, contemporaneamente, se fosse troppo scortese togliermelo subito e davanti a lei.
«Avevi detto “non una parola”» mi ricordò lei, un po' scoraggiata. Evitai altri commenti, ma davvero non capivo cosa potessi farci con un nastro per capelli intorno al polso.
«D'accordo, ma... perché?» insistetti. Lei distolse lo sguardo, e io alzai gli occhi al cielo. Il livello della mia pazienza era straordinariamente basso, quella mattina.
«Ho pensato che vedendolo, la prossima volta che vai in missione, se proprio ci devi andare...» cominciò a spiegarmi, torturandosi le mani l'una con l'altra. «ti saresti sentito un po' meno solo.»
La considerazione mi fece sorridere, per la sua ingenuità. Mikan era l'ultima persona con cui volevo condividere i momenti che passavo in missione. «D'accordo.» dissi, per farla contenta. Infatti, lei sorrise.
«Menomale!» rispose, tranquillizzandosi. «Pensavo che mi avresti detto qualcosa tipo “è una cosa inutile.” come hai fatto per quella collana.» assunse un'aria offesa e mi ricordai del mio compleanno. Gliel'avevo detto solo perché sapevo perfettamente che si sarebbe arrabbiata.
Appoggiai il gomito sul ginocchio e la testa sulla mano. «Avanti,» mi arresi, poi, vedendola sul punto di aggiungere dell'altro. Apriva la bocca e si fermava, e sapevo che quel qualcosa che doveva dirmi riguardava in qualche modo me. «spara.»
«Beh, già che siamo qui, e io ho urgente bisogno di una doccia...» mormorò lei, rivolgendo più attenzione alle sue mani che a me, arrossendo di nuovo. Detestavo quando non mi guardava in faccia e non sapevo che cosa le passava per la testa. «in camera mia c'è il cambio della divisa, e già che sai dov'è il cassetto della biancheria, dato che ci hai curiosato dentro... non è che potresti...?» pensai che io non avevo curiosato proprio dentro niente, ma dal suo punto di vista, evidentemente, non doveva essere così. Mi alzai senza protestare, capendo esattamente dove voleva andare a parare, ma prima di allontanarmi dal letto le scompigliai tutti i capelli. «Natsume!» mi sgridò.
Uscii dalla finestra perché ero certo che una consistente quantità di persone fosse davanti alla porta della stanza; non avevo voglia di fare la passerella come le celebrità tra i paparazzi, soprattutto perché avrebbero passato tutto il loro tempo a borbottare. Forse non era stata esattamente una furbata baciare Mikan nel cortile, ma dal momento che Persona sapeva, a che serviva continuare a nasconderlo? Ero addirittura arrivato a seguirla fino al dormitorio delle ragazze, per essere sicuro che non lo incontrasse. Era meglio essere paranoici, quando c'era di mezzo Persona, ma alla fine era stato tutto inutile.
Entrai nella stanza di Mikan nello stesso modo, e trovai difficile perfino camminare toccando direttamente il pavimento. C'erano decine e decine di carte per terra, come se non pulisse da giorni e si fosse impegnata il più possibile a sporcare. L'unica cosa visibile in mezzo a tutta quella confusione, era la divisa appena uscita dalla lavanderia: si capiva dal cartellino e dal fatto che era l'unica cosa appesa a una gruccia. La presi, per non perderla di vista, cosa che poteva benissimo succedere in mezzo a tutta quella montagna di cose. Mi parve incredibile, ma non vidi la cassettiera. Quando cercai di ricordare la sua posizione, scoprii che era sormontata da vestiti. Doveva aver svuotato l'armadio e buttato tutto lì. A meno che non fosse passato un uragano, il che mi parve meno probabile, perché avrebbe procurato sicuramente meno danni. Scossi la testa, pensando che a volte trovavo difficile capire certi comportamenti di Mikan.
Quando tornai in camera, erano quasi le sette, almeno a detta dell'orologio che c'era in camera mia, e mi stupii di quanto tempo ci avevo messo per prendere solo un paio di cose. La vidi seduta sul letto con addosso una mia camicia, le maniche arrotolate fino al polso e i capelli completamente fradici, mentre mangiava un gelato e guardava verso la porta: probabilmente aveva sentito delle chiacchiere. Rimasi perplesso, all'inizio, perché non mi era mai capitato di vedere qualcuno freddoloso come lei mangiare un gelato a dicembre. Mi avvicinai non so con che espressione, ma fui sicuro che fosse a metà tra il sorpreso e il costernato. Lei mi restituì uno sguardo innocente e, mi venne da aggiungere, assolutamente irresistibile.
«Che c'è? Non hai trovato qualcosa?» mi domandò, continuando a gustarsi la sua colazione. Io scossi la testa: ci avevo messo un po', effettivamente, ma non era quello che mi dava problemi.
«Lasciamo stare la confusione che c'era in quella stanza,» cominciai, mentre la vedevo dondolare le gambe come una bambina. Non volevo neanche ricordare cos'avevo trovato in quella camera. «perché stai mangiando un gelato?»
«Avevo fame ed e non posso andare a colazione vestita così.» si giustificò lei, alzando le spalle. Poi guardò in direzione del piccolo frigo che avevo nell'altra stanza. «E poi c'era solo questo lì. E per la confusione in camera... stavo cercando il mio nastro per capelli e non ho avuto il tempo di riordinare.» Prestai più attenzione al suo abbigliamento, e scossi la testa, chiedendomi se ci avesse pensato prima di mettersi una cosa del genere in camera mia. Mi chiesi che cosa avrei dovuto fare. «Che hai? Ne vuoi un po'?» mi porse la sua colazione, mentre si toglieva dalle labbra il gelato rimasto. Neanche stavolta era quello il mio problema.
Alzai le spalle e mi sedetti vicino a lei. «C'è davvero una prima volta per tutto.» constatai. Quel gelato doveva essere lì dall'estate appena passata, quando quella scocciatrice di Sumire me l'aveva regalato con non ricordo che scusa. Non avevo mai aperto la scatola per principio. Non riuscivo a sopportare quella ragazza: era appiccicosa come il prezzemolo. «Come mai l'hai cercato per tutto questo tempo? Il nastro per capelli, intendo...»
Lo assaggiai: gelato al lampone. Lo mandai giù per pura forza di volontà. Detesto il lampone, lo trovo il gusto più orribile che fosse mai stato inventato.
«Non ti piace, vero?» si accorse Mikan, sorridendo. La mia faccia disgustata doveva averle dato la risposta. «D'accordo, vorrà dire che lo mangerò io.» rimasi a osservarla mentre finiva di mangiare, anche se avevo ben altro per la testa. «Lo cercavo perché sono molto affezionata a quei nastri per capelli.» era incredibile il fatto che fossimo riusciti a mandare avanti due conversazioni diverse contemporaneamente. «Sono l'unica cosa che mi è rimasta del nonno. Tutto il resto erano vestiti e li ho dati via da un pezzo: non mi stavano più.» a quel punto, mi chiesi per quale motivo uno me l'avesse lasciato. Pensai che avrei dovuto, perlomeno, comprargliene di nuovi, dato che sembrava che le piacesse tenerli legati in quelle codine. «Sono sporca?» mi domandò, poi, indicandosi il viso, una volta finito il gelato.
«Niente di grave.» dissi, avvicinandomi. «Ci penso io.» la baciai, leccando via tutto il gelato che le era rimasto sulle labbra. Lei mi avvicinò a sé e il suo scarso abbigliamento mi impedì di trattenermi: feci una leggera pressione su di lei, e cademmo sul materasso. Nel momento in cui cominciai a sbottonare la camicia che aveva addosso, la sentii respingermi. Piuttosto strano, pensai.
«Natsume...» si staccò, spingendomi quel tanto che bastava per mettersi a sedere. Io mi limitavo a guardarla, senza capire. «non è... non è il momento.» fu la sua illuminante spiegazione, mentre prendeva i suoi vestiti, teneva la camicia chiusa e si dirigeva verso il bagno, con le guance in fiamme.
«Asciugati i capelli,» le ricordai, stendendomi sul letto. «o ti prenderai un raffreddore.» poi sospirai, chiedendomi se per un ragazzo capire cosa passasse per la testa della propria fidanzata fosse una missione impossibile. Lei scomparve dietro la porta del bagno senza dire una parola. Un senso di irritazione si impossessò di me, al pensiero di non riuscire a capire il motivo di quel comportamento tanto diverso dal solito, dato che riuscivo sempre a capirla al volo. Mi domandai cosa potesse essere cambiato nello spazio di qualche ora: non si era mai comportata così, e avevo il presentimento che i giorni che avevo passato lontano dall'Accademia c'entrassero qualcosa. La prima persona che potesse avere a che fare con questa storia e che mi venne in mente era Naru. Cominciarono a prudermi seriamente le mani.
Poco dopo, Mikan uscì dal bagno e aspettai che dicesse qualcosa sul fatto che ero un maniaco sessuale, un pervertito o qualsiasi altra cosa, ma la discussione di prima sembrava non averla turbata neanche un minimo, e mi chiesi se ero l'unico idiota dei due che ci aveva pontificato sopra per dieci minuti. Compresi che mi ero fatto milioni di problemi assurdi per niente. «Io vado. Sbrigati o arriverai tardi.» era allegra ed esibiva un sorriso smagliante. Mi chiesi perché ancora mi sorprendevo dei suoi sbalzi d'umore.
Mi diressi in bagno: avevo urgente bisogno di una doccia, dato che erano tre giorni che non vedevo un bagno decente.

Quando entrai in classe, un silenzio tombale sostituì il suono confuso delle chiacchiere che avevo potuto sentire sin dal fondo del corridoio. È piacevole incutere così tanto terrore, quando si è l'oggetto dei pettegolezzi del giorno. L'unico a rivolgermi un saluto fu Ruka, il quale non sembrava prestare la minima attenzione alla notizia bomba che era passata almeno una volta sulla bocca di ogni studente dell'Accademia. Beh, di sicuro c'era un motivo se era il mio migliore amico.
Mi sedetti al mio posto, tra lui e Mikan che chiacchieravano allegramente sull'imminente festa di Natale. Già – pensai – dimenticavo. Non adoravo particolarmente la festa di Natale, solo perché c'era sempre uno stuolo di ragazze che cercava di poter essere la mia dama durante il ballo in maschera, e che, soprattutto, non sapeva accettare un no come risposta, e mi inseguiva la metà del tempo, solo perché, nell'altra metà, era impegnata a cercarmi.
«Ehi, Ruka!» Sumire lo chiamò e gli fece cenno di avvicinarsi con un gesto della mano. «Cosa ti piacerebbe ricevere per Natale?» poi cominciò a bisbigliargli qualcosa nell'orecchio, e mi domandai quanto ci avrebbe messo questo pettegolezzo ad abbandonare la priorità sulle discussioni.
«Preferivo quando non lo sapeva nessuno.» mi confessò Mikan, incrociando le braccia. «Adesso tutti mi guardano, o mi indicano e borbottano. Cioè, lo fanno più del solito. È... un po' irritante.» sì, lo era. Almeno, poteva capire cosa sopportavo io da quando ero entrato alla Alice Academy.
Infatti, alzai le spalle. «Io non sono più chiacchierato del solito.» risposi, con indifferenza. «Quasi non mi accorgo del cambiamento.»
«Ah, beh,» sospirò lei, sconfortata. «beato te.» non credo che l'avrebbe pensato se davvero avesse saputo quanto parlavano di me, visto che le dava fastidio essere la più chiacchierata della scuola solo da qualche ora.
«Posso sapere perché hai reagito in quel modo prima?» andai dritto al punto: girarci intorno era inutile. Lei si morse il labbro inferiore, sembrava in difficoltà. Non sapevo se dovevo preoccuparmi per lei, o andare a fare quattro chiacchiere con Naru: in fondo il giorno precedente sembravano così in confidenza, magari a lui aveva parlato dei suoi problemi, mentre a me no. Questa possibilità non mi entusiasmava particolarmente, anzi.
Distolse lo sguardo dal mio, mentre si strofinava le mani le une sulle altre. «Non...» provò a spiegarsi, poi fece una pausa. Io appoggiai il mento sulla mano, aspettando che trovasse le parole giuste per dire quello che doveva dire. Immaginai che spronarla a parlare avrebbe dato l'effetto contrario. «...non voglio che...» balbettò, a disagio. «...sì, insomma... non voglio che, tra noi, diventi solo quello.»
Quella fu la prima volta da che stavamo insieme che avrei voluto andare da tutt'altra parte e dare fuoco a qualcosa. Mi chiesi se davvero si fidasse così poco di me, se credesse così poco nelle mie parole. «Che stronzate.» fu il mio commento, più acido di quello che avrebbe dovuto essere, ma la sua affermazione aveva risvegliato la mia parte peggiore. Avrei voluto sapere se fosse convinta che avessi detto di amarla, l'altra sera, perché mi piaceva come suonava.
Ma quando lei si alzò, senza fare rumore, con le lacrime agli occhi, capii di essere stato un po' troppo brusco. «Natsume,» bisbigliò, tirando su col naso, mentre sembrava pensare a ciò che avrebbe dovuto dire. Tremava, ma non sapevo se era per rabbia o altro, e cercai di prenderle una mano per calmarla. Probabilmente era tutta colpa mia, già dalla mattina sapevo che avrebbe potuto succedere una cosa del genere. Lei si scostò, allontanando di scatto la sua mano dalla mia. «sei un... idiota.»
Si affrettò ad allontanarsi, senza correre, forse per non attirare l'attenzione del resto della classe che, sebbene impegnata in non si sa che discussione, guardava noi per avere le notizie fresche di giornata da portare in giro per la scuola. Era proprio fantastico essere famosi, pensai, sarcasticamente. Dopodiché Imai, senza fare neanche in tempo ad entrare in classe si ritrovò Mikan al collo. Insieme, andarono a sedersi e le guardai parlare; Mikan scosse più volte la testa. Ogni tanto, tra quelle che mi sembravano domande e risposte, Imai mi lanciava uno sguardo che immaginai avrebbe dovuto raggelarmi, ma che mi suscitò soltanto la mia solita indifferenza. Quella strana discussione venne interrotta dal professore, che entrava in classe. Tutti si zittirono e distolsero l'attenzione da ciò che stavano facendo , ed io cercavo un motivo per il quale il Natale avesse un tale ascendente su di loro, dato che per me era un giorno come un altro.
«Come già sapete,» esordì l'insegnante, posando i suoi libri sulla cattedra, e appoggiandovi sopra le mani. «oggi inizieranno i preparativi per il ballo di Natale. Come ogni anno, ognuno di voi dovrà usare il proprio Alice per contribuire alla sua perfetta realizzazione.» distolsi l'attenzione da lui, per rivolgerla al soffitto, trovandolo infinitamente più interessante di quelle inutili chiacchiere sul ballo. Dopotutto, tutti gli anni era sempre la stessa storia: dovevamo scendere in sala e preparare tutto quanto, dall'albero ai dolci. Non capivo il bisogno di ripetere le stesse cose ogni anno che passava. «Adesso andate. Da oggi fino alla fine della pausa natalizia, le lezioni sono ufficialmente terminate.»

Quando uscimmo dalla classe, fu come se mi avessero liberato da una prigione. Stare lì dentro mi sembrava un'enorme perdita di tempo. Fui quasi subito raggiunto da Ruka, che guardava Imai e Mikan e poi spostava lo sguardo su di me, alternativamente, come se volesse dirmi qualcosa con quel gesto. Alzai gli occhi al cielo: non anche lui!
«Che c'è?» sbottai, desiderando ardentemente che non tirasse fuori quel gossip che, sperai, non fosse già più interessante per nessuno.
«Avete litigato?» domandò, preoccupato. Io spostai lo sguardo su Mikan, che era appiccicata ad Imai, la quale stava seduta su quella sottospecie di papera volante che la accompagnava dalle elementari. Mi sarebbe piaciuto conoscere il motivo per cui Mikan continuasse a starle dietro, dato che quella che lei considerava, per qualche strana ragione, “la sua migliore amica” la trattava sempre e comunque come un tappetino, in ogni situazione. «Natsume?» mi girai verso Ruka e, fui quasi certo che il mio sguardo gli avesse trasmesso tutte le informazioni che desiderava. Sospirò, scuotendo la testa, mentre ci avviavamo verso la sala da ballo. Se lo conoscevo come sapevo di conoscerlo, potevo essere sicuro che sarebbero arrivate le carrellate di consigli che non avrei seguito. «Mi risponderai se ti chiedo perché?»
«Ha in testa strane paranoie.» fu tutto quello che uscì dalla mia bocca; non mi sbilanciai troppo: non mi piaceva molto divulgare questo tipo di dettagli, anche perché le orecchie in ascolto erano molte più di quelle di Ruka, e non volevo dare modo a tutti gli alunni di chiacchierare su me e Mikan ancora per molto.
Lui scosse la testa, rassegnato, e mi fece sapere con il solo aiuto dello sguardo che non aveva capito niente. «Non è che voglio impicciarmi degli affari vostri, ma...» si interruppe, accarezzando il suo coniglietto tra le orecchie. Mi domandai, senza un preciso motivo, se mi sarei comportato anche io così, se avessi avuto l'Alice dei ferormoni animali. Preferii non immaginarmi nei panni di Ruka. «...ecco, secondo me, dovresti essere più gentile con lei.»
Gli scoccai un'occhiataccia. Primo, perché non era giornata, secondo perché quel giorno in particolare detestavo che altre persone mi dessero lezioni di comportamento. «Ruka, per favore.» sbuffai. E poi, io ero gentile con lei.
«Dovevi vederla com'era ridotta, Natsume.» mi disse, e all'inizio non capii a che si stesse riferendo. Lui, apparentemente, capii ciò che stavo pensando. «In questi giorni, quelli in cui eri in missione. Nessuno di noi lo sapeva, e lei sembrava il fantasma di se stessa. Adesso è di nuovo la Mikan di sempre.» rimasi stupito dalla sua affermazione, dato che non riuscivo categoricamente ad immaginare Mikan senza la sua sconfinata allegria.
«Davvero?» mi ritrovai a chiedere, guardando in direzione di Mikan che, anche se Imai non la degnava di uno sguardo, aveva un sorriso felice stampato in faccia. Ruka annuì, e io sospirai: era irritante farsi dare consigli dal proprio migliore amico, soprattutto se questo non ha una ragazza e non ha mai avuto esperienza in questo campo. «Com'è che ora sei così esperto di psicologia femminile?»
Ruka arrossì, cosa stranissima. «Non c'entra affatto essere esperti e neanche la psicologia femminile!» ribatté, in imbarazzo, mentre cominciavo a pensare che il mondo stesse per cominciare a girare al contrario. Pareva che tutto fosse possibile, quella mattina. Mi domandai, sarcasticamente, se fosse la magia del Natale. Lo guardai, scettico. Lui sospirò. «Non l'ho notato solo io, anche Hotaru! È stata lei a dirmelo.»
«Hotaru?» domandai, quasi disgustato. Da quanto tempo Ruka chiamava Imai per nome? Adesso ero certo che ci fosse qualcosa che non andava. «Ruka, non è che mi nascondi qualcosa?» mi feci sospettoso.
Lui distolse lo sguardo, sempre più in imbarazzo. Dopodiché scosse violentemente la testa, facendomi presumere che fosse esattamente come pensavo. «Ti giuro che io e Hotaru non stiamo insieme!» esclamò, agitato, a voce leggermente più alta di quanto dovesse essere lecito per una discussione simile. Io inarcai un sopracciglio, scettico.
«Io non avevo pensato a niente del genere, se vuoi proprio saperlo.» risposi, sapendo che quella che avevo appena sentito era un'ammissione in piena regola. Solo che non riuscivo a immaginarmi Imai e Ruka insieme. Quando ero ritornato in Accademia, ero finito in un universo alternativo: questa era l'unica spiegazione.

Fui subito smentito appena entrammo nella sala da ballo. Di Mikan neanche l'ombra, a prima vista, ma venni distratto da un consistente gruppo di ragazzi intorno al tavolo centrale della sala. Mi domandai che ci facessero radunati lì come api al miele. Prima che potessi avvicinarmi, Ombra mi tirò indietro per un braccio, e la tentazione di ricordargli attraverso il mio Alice che non doveva farlo fu abbastanza difficile da reprimere.
«Che diavolo fai?» ringhiai, riprendendomi il braccio senza troppi complimenti.
«Meglio non andare a guardare.» mi consigliò, sistemandosi quel ridicolo cappello che portava in qualsiasi stagione. «Hanno deciso di portare il giornale.»
Compresi dalla sua espressione che non mi stava prendendo in giro, ma... il giornale? Quanto spesso lo portavano in Accademia dal “mondo esterno”? Tuttavia, non capii. «E allora?»
«Il titolo di prima pagina è più o meno così: l'auto di uno dei dirigenti della Watanabe Corporation, è stata trovata schiantata in un posto fuori città.» mi ragguagliò, e raggelai. Mi ricordava terribilmente qualcosa. «Ti è familiare?»
«Fai anche lo spiritoso?» chiesi, sbuffando. Ero curioso di sapere se lui aveva avuto il coraggio di leggere l'articolo. Ombra scosse la testa. «Ah, menomale.» conclusi, con ironia.
«C'è poco su cui scherzare.» ribatté lui, mentre distoglieva lo sguardo dalla folla. Chiusi gli occhi e rividi quel dannato magazzino. Scossi la testa, preferendo non ricordare altro. Se ripensavo di nuovo a quando Persona era entrato, quando stavo liberando quell'uomo, mi venivano i brividi. Avrei tanto voluto cancellare dalla mia memoria quel momento.
Mi chiesi per quale motivo il preside aveva dato il permesso di portare il giornale proprio oggi per farci leggere quell'articolo. L'unica cosa a cui riuscii a pensare era che fosse un maledetto bastardo e che provasse gusto a tormentarci solo perché aveva problemi più grandi dei nostri. Tutti, nella classe di Abilità Pericolose, conoscevano la sua storia, del suo problema con il ridimensionamento del suo corpo causato da una studentessa meno di vent'anni fa.
«Beh, per me può restare lì.» dichiarai, mentre guardavo con compassione quelli che cercavano disperatamente di leggere le notizie del mondo. «Non ho nessuna intenzione di prenderne uno. Finirei per bruciare tutti i giornali.» come minimo, aggiunsi mentalmente.
Ombra annuì. «Nobara non ricorda niente.» mi fece sapere, guardandola. Per Nobara era assolutamente normale, dal momento che lei aveva una doppia personalità; in quel momento, incurante di tutto, stava in piedi e rideva liberamente insieme a Mikan. Dopotutto, forse, il suo, non era un problema così mostruoso come avevo creduto che fosse. «Beata lei.» quello avrei dovuto dirlo io, in fondo Ombra, benché avesse partecipato alla missione, si era di sicuro perso i pezzi peggiori. Lui non aveva dovuto torturare qualcuno contro la propria volontà, cercando di non essere scoperto a portarlo in salvo, per via di ciò che altri avrebbero fatto ai suoi amici in Accademia.
«Già,» convenni, sbuffando. «beata lei.» alla fine, l'unico che ricordava tutto per intero, a parte Persona, ero io. Non mi faceva sentire meglio.
«Mi raccomando,» continuò Ombra, accennando con la testa nella direzione di Mikan. Respirai profondamente, per non far esplodere qualcosa: anche lui voleva darmi consigli? Si erano improvvisati tutti terapeuti di coppia? «non mostrare a lei quest'espressione. Sarebbe triste.»
Io annuii, cercando di non mostrarmi troppo infastidito. C'erano un sacco di problemi: i fantastici ricordi della missione, tutti che si impicciavano dei nostri affari e che cercavano di darmi consigli. Mi domandai se davvero non avesse avuto ragione Mikan, quando aveva detto che era stato meglio quando non lo sapeva nessuno.

Quando Nobara si allontanò, Mikan sospirò depressa e decisi di avvicinarmi a lei, che alzò su di me uno sguardo carico di aspettative . Mi sarebbe tanto piaciuto sapere che cosa volesse che le dicessi.
«Ehilà, Campi-di-Fragole.» la salutai, suscitando la sua immediata reazione: sapevo che, quando la chiamavo così, si tirava un po' su di morale. Non questa volta. Quella ragazza era davvero imprevedibile. Arrossì.
«Come...» si bloccò, prendendo il bordo della gonna e addossandolo il più possibile alle gambe, in modo tale che non potessi vedere più su di lì. Non che ne avessi bisogno. «Come fai a saperlo?» inarcai un sopracciglio, dubbioso. Si era dimenticata che ero andato in camera sua, su sua richiesta?
«Le ho prese io dal cassetto, ricordi?» Avrebbe dovuto pensarci da sola. Un lampo di comprensione le passò attraverso gli occhi e strinse ancora di più la gonna.
«Sì, infatti! Ti avevo detto di prenderle, non di guardarle!» protestò, mentre mi dava un colpo, anche abbastanza forte, sul braccio. «Pervertito.» e gridando questo, si avviò verso le cucine. Non potei seguirla, perché mi beccò l'unica persona che volevo evitare e che mi incastrava ogni maledettissimo anno. Perfino dopo il diploma, era rimasta in Accademia, quella maledetta ragazza.
«Hyuuga!» la sentii chiamarmi, sulla porta delle cucine. Alzai gli occhi al cielo, preparandomi psicologicamente al mio noiosissimo lavoro. «Muoviti, non sei qui per poltrire! C'è un forno da riscaldare.» mi domandai che cosa sarebbe successo dopo il mio diploma. Chi avrebbe riscaldato il forno quando nessun altro con l'Alice del fuoco avrebbe frequentato l'Accademia? Non potevano pensarci già da ora, così avrei potuto evitare di impiegare le mie energie in un modo meno inutile? Non avrei mai saputo il nome della mia aguzzina, che non mi interessava particolarmente, se una mia compagna di classe – neanche di lei ricordavo il nome –, con degli stranissimi capelli rosa, non l'avesse chiamata Miruku. Sbuffai. «Arrivo.»
«Sarà meglio.» rispose, facendomi cenno di seguirla. Quando arrivai alla mia destinazione, quel dannato forno, mi sedetti lì vicino e cominciai a buttarci dentro, svogliatamente, le fiamme un po' a casaccio. Nessuno si era mai lamentato e, quantomeno, si riscaldava in fretta. Fu quando sentii una voce fin troppo familiare che, per la prima volta, pensai di essere nel posto giusto al momento giusto.
«Non è niente.» era la voce di Mikan, ma non compresi subito con chi o di cosa stesse parlando. Sembrava arrabbiata. Sentivo il rumore di coltelli e mi domandai che stesse facendo. «Sono solo particolarmente arrabbiata con qualcuno.»
«Guarda che non devi ucciderla quell'arancia.» le ricordò la sua interlocutrice. Avevo già sentito la sua voce, e mi innervosii non poco non ricordare chi fosse. «Parli di Natsume? Avete fatto molto scalpore, da ieri.»
Sentii Mikan sbuffare. «Misaki-senpai... sono terribilmente confusa a riguardo.» dallo spazio che c'era tra il forno e il muro, si vedeva dall'altra parte, e potei scorgere Mikan che si sedeva sul tavolo. Mi chiesi cosa intendesse per “confusa”. «È come se avesse tre personalità differenti. La prima è la solita, quella sarcastica e divertente, la seconda, che tira fuori dannatamente di rado, è quella romantica e gentile, mentre la terza è quella dell'idiota arrogante. Capisci? Quando è entrato in classe, stamattina, era l'idiota arrogante.» appoggiò il mento su una mano, con rabbia. «Non lo capisco. Ha comportamenti così contraddittori che... boh!» di sicuro, non avevo tre personalità e non ero un arrogante idiota.
La ragazza di Ombra si avvicinò a lei e le diede una pacca affettuosa sulla schiena. «Sii un po' più comprensiva, in momenti come questo.» le consigliò, e io sospirai, alzando gli occhi al cielo. Erano davvero tutti esperti in amore, nel periodo di Natale! «È appena tornato da una missione, e...» Mikan la guardò, dubbiosa. «so che, magari, non è una giustificazione! Però... ecco, io non so cosa succede in quelle missioni, e Tsubasa non vuole mai dirmi cosa fanno. È molto diverso dal solito Tsubasa, subito dopo che torna. Non dev'essere facile per loro. Magari non c'entra col tuo caso, ma il fatto che ti tratti diversamente, non significa che non ti voglia bene.» Non ero convinto che fosse stata una buona idea mettermi ad ascoltare una discussione tra ragazze, ma, quando sentii Mikan tirare su col naso, mi feci di nuovo subito attento. Se quella stupida l'aveva fatta piangere, per l'ennesima volta da che si era svegliata, avrei potuto bruciarle tutti i capelli.
«Hai ragione, non ci avevo pensato.» esclamò, però, Mikan, e la vidi passarsi un braccio sugli occhi per asciugarsi le lacrime. «Sono una piagnona, e so solo pensare a me stessa! Ho detto un sacco di scemenze, oggi, senza pensare ai suoi sentimenti!» vederla piangere in quel modo mi fece venire la tentazione di andare lì e consolarla, ma non volevo suscitare reazioni spiacevoli, dato che avrebbero di sicuro capito che avevo sentito tutto. Non volevo peggiorare la situazione già abbastanza precaria: Mikan reagiva in modo diverso anche in situazioni simili. «Sono pessima.» sciolsi una scatoletta di metallo a quella parola. Pessima?
«Dai,» la sua amica tornò nel mio campo visivo con un fazzoletto di carta in mano. «basta piangere.» le asciugò le ultime lacrime e l'abbracciò. «Sono certa che, parlandogli, sistemerete tutto.»
«Misaki!» sentii la voce di Ombra chiamarla dalla sala. Lei si girò in direzione della porta. «Sbrigati, qui abbiamo bisogno del tuo Alice per il personale!»
La sentii sbuffare. «Non posso!» fu la sua risposta. «Sto consolando un'amica!»
«Non fa niente!» la rassicurò Mikan, alzandosi, con un sorriso sulle labbra, come se non avesse pianto neanche per un secondo. Era incredibile che pensasse agli altri anche quando si sentiva triste. «Se hanno bisogno di te, vai.»
«Sicura?» pensai che avesse annuito, dato che la lasciò da sola. Mikan si stiracchiò e mi diede le spalle, anche se lei non poteva saperlo. Sfruttai l'occasione per avvicinarmi; si spaventava spesso quando la prendevo di sorpresa, ma non era quello il mio intento. Non si accorse di niente e le passai un braccio intorno alla vita e uno intorno alle spalle. All'inizio si irrigidii, ma si rilassò immediatamente: di sicuro doveva aver capito che ero io.
«Natsume...» mormorò, infatti, mettendo una mano su una delle mie. Era straordinariamente fredda. Usai una quantità minima del mio Alice per riscaldargliela.
«Non dirlo più.» fu tutto quello che dissi, appoggiando il mento sulla sua spalla. Lei appoggiò la testa contro la mia e sospirò.
«D'accordo, se non vuoi, non ne parl...» da come aveva iniziato, avevo compreso che non aveva capito un bel niente. La interruppi, prima che andasse avanti.
«Non dire più che sei pessima.» la strinsi più forte e la sentii trattenere il respiro. Annuì, girandosi verso di me. Sorrideva e, stranamente, mi venne naturale sorriderle di rimando. Le circondai la vita con le braccia, e lei si sollevò sulle punte dei piedi, per baciarmi. La strinsi più forte, mentre le nostre labbra si sfioravano, e lei mi stringeva le braccia intorno al collo. Il momento venne rovinato da una ragazzina, che in quel momento non riuscivo a ricordare dove avevo già visto, anche perché l'unico pensiero che avevo era di farla allontanare con un bel po' di fuoco. Ero quasi convinto che, da allora in poi, non saremmo riusciti a stare due minuti da soli, o quantomeno per un tempo decente per scambiarci se non altro due parole.
«Mikan, ti vogliono per...» si zittì, e si mise una mano davanti alla bocca, stupita, come se avesse assistito all'evento del secolo. Avevo la tentazione di chiederle se volesse una macchina fotografica per scattarci una foto e spedirla ai giornali più famosi del pianeta.
«A... arrivo subito!» rispose Mikan, imbarazzata, mentre la ragazzina annuiva, senza convinzione.
«Dirò alle altre di aspettare un po'.» fece lei, trotterellando via. Sospirai, sconsolato. Che rompiscatole!
«Pessima giornata.» commentai, pensando a cosa sarebbe successo se avessi creato un muro di fuoco fuori dalle cucine. Perlomeno, nessuno si sarebbe avvicinato. Mikan rise, alle mie parole, e mi diede un bacio sulla guancia.
«Grazie.» sussurrò, andando via. Sì, proprio una pessima giornata.

*****

Risposte alle recensioni:

marzy93: e io che ero incerta su capitolo 3 XD. Che te ne pare dei pensieri di Natsume, in questo? E della loro pseudo litigata? XD
smivanetto: io l'ho trovato per caso su Google, cercando tipo “manga scan ita”, mi pare di averlo trovato così (non ho postato link, io XD). Davvero ti ha emozionata? Sono contenta, grazie XD. Fammi sapere che ne pensi di questo, mi raccomando.
nimi_chan: grazie per i complimenti, spero che tu stia continuando a seguire la fanfiction! Io ho visto alcuni episodi su DeaKids, ma poi l'hanno interrotto per fare Pippi Calzelunghe e non sono sbroccata per poco XD. Per fortuna che esiste Youtube.
Kahoko: Beh, si sa che Mikan è poco perspicace :P e che Hotaru non è mai stata una campionessa di diplomazia, consolazione o empatia; in fondo voleva solo farla ragionare sul fatto che Natsume non l'avrebbe mai abbandonata. O almeno questo era l'intento XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93

In particolare, le new entry:

9. nimi-chan
10. sakurina_the_best


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil

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Capitolo 5
*** Regali di Natale ***


Capitolo 5 – Regali di Natale
(Mikan)


Quando uscii dalla cucina, mi venne voglia di saltellare per la contentezza. Ero felice che fosse tornato tutto a posto, anche se ancora non avevo capito con quale delle tante personalità del mio ragazzo avessi fatto pace. Mi guardai intorno, in cerca di Nonoko, che era venuta a chiamarmi poco prima. La vidi seduta a un tavolo insieme a quasi tutte le altre mie compagne di classe: tagliavano striscioni. Quando mi vide arrivare, mi rivolse un sorriso di scusa, ma io non capii perché.
«Allora, perché mi avete chiamata?» chiesi, guardandole una per una, sinceramente curiosa di ricevere una risposta. In mezzo a loro c'era anche Hotaru, che non mi degnò neanche di uno sguardo, troppo intenta nel suo lavoro di taglio. Sumire invece mi guardò come se volesse fulminarmi lì, esattamente dove mi trovavo; ero curiosa di sapere cosa le avessi fatto di male. Non ricordavo di aver parlato molto con lei negli ultimi tempi e mi ritrovai a rimuginare sul suo comportamento, se fosse quello di sempre oppure qualcosa di del tutto nuovo. La prima a prendere parola e a distogliermi da quei pensieri fu Anna, che aveva momentaneamente lasciato le cucine.
«Stavamo parlando dei regali di Natale.» mi spiegò e, subito, l'eccitazione per l'imminente festa si risvegliò in me, insieme alla fretta di comprare subito tutti i regali che avevo in mente. Certo, l'unico a cui ancora non sapevo che cosa regalare era Natsume, ma ero sicura che avrei saputo cosa comprargli una volta che l'avessi visto, magari in una vetrina fatta apposta per quelle come me, che non hanno neanche la minima idea di cosa regalare al proprio ragazzo. Una specie di colpo di fulmine. «E volevamo sentire se almeno tu avevi qualche idea, ma... ci dispiace di... ecco... aver interrotto...» lasciò la frase in sospeso, probabilmente perché sapeva che avrei immaginato la sua continuazione, ma non capii. Parlare dei regali era la cosa più importante, no?
«Pensavano che avresti preferito restare con Natsume.» dichiarò, caustica, Sumire, mentre continuava a tagliare il festone, evitando di rivolgermi lo sguardo. Rimasi stupita del fatto che lo facessero senza usare i loro Alice, come, invece, era successo gli anni passati. «Ma dato che sei una sciocca, dovevo supporre che l'avresti lasciato lì, da solo.» scosse la testa, indignata, come se la sola idea la ripugnasse. Sembrava anche arrabbiata per qualcosa. Pensai che io non avevo lasciato nessuno da nessuna parte: avevamo fatto pace e adesso dovevamo tornare a fare ciò che ci competeva. Tutto normale. Non potevamo restare a non fare niente, mentre tutti lavoravano sodo per il ballo di Natale!
«Ci chiedevamo se il giorno della Vigilia... volessi venire con noi a comprare i regali di Natale» mi rallegrai per il bel pensiero che avevano avuto. L'idea mi elettrizzava: era da un po' che non facevo shopping con le amiche, quindi non c'era altro da fare se non accettare immediatamente. E così non avrei neanche dovuto escogitare un piano per andare a Central Town senza Natsume quando avrei dovuto comprare il suo regalo. Era tutto perfetto, proprio l'occasione che mi ci voleva!
«Anna!» Nonoko le diede un colpetto sulla spalla , parlando con tono di rimprovero, come se avesse detto qualcosa di male. Neanche stavolta capii, e mi sorpresi di quanto strane fossero tutte quante da un paio d'ore. Beh, tutte tranne Hotaru, s'intende. «Magari lei vuole andarci con...»
Anna si coprì la bocca con entrambe le mani, come se avesse commesso il peggiore sbaglio della sua vita, ma cosa poteva esserci di così grave? «Oh, scusa, Mikan. L'avevo dimenticato!» io le guardai, confusa. Con chi avrei dovuto uscire se non con le mie amiche? «È che mi sembra tutto così strano... non ce lo vedo Hyuuga fidanzato, soprattutto con una ragazza solare come te. È sempre così scontroso...» sembrava intimidita al solo parlarne.
«Non è scontroso!» ribatté Sumire, infastidita, incrociando le braccia al petto, sempre con le forbici in mano. La pensavo così anch'io: Natsume non sapeva come comportarsi in pubblico, ma non era un cattivo ragazzo. «E credo che sia solo un po' ingenuo.» ci pensai su: Natsume... un ingenuo? Non sapevo perché ma le due parole, accostate, stridevano non poco. Non era un aggettivo che gli si addiceva. Io avrei detto... adorabilmente furbo. «Ha sempre detto che non è per le relazioni serie.» alzai subito la testa dai festoni, che mi avevano attirato per i loro splendidi colori, a quelle parole.
«Davvero?» sussultò, Nonoko, mostrando la propria curiosità sgranando gli occhi. Improvvisamente, mi feci più interessata anche io. «Vuoi dire che ha avuto altre fidanzate?» no. Sicuramente non ne aveva avute, altrimenti tutta la scuola l'avrebbe saputo, com'era successo con me. E poi, ero sicura che non fosse così.
«Beh, magari non ufficiali.» fu la risposta di Sumire. Raggelai, mentre una fitta di gelosia mi chiudeva lo stomaco. Lui non aveva mai parlato di ragazze, prima di me. «Sono certa, Mikan, che tu non sia la prima.» come faceva ad esserne così sicura? Immaginai che qualunque ragazza che fosse stata insieme a Natsume sarebbe andata in giro a vantarsene e, prima o poi, tutta la scuola sarebbe venuta a saperlo, a meno che non gliel'avesse vietato come aveva fatto con me. Mi morsi il labbro inferiore, in agitazione, ma non dissi una parola. Non mi ero mai fatta questo genere di problemi, ma ora non riuscivo a non pensare che lui potesse aver avuto qualcuna prima di me. Sarebbe stato del tutto lecito, ma allora perché sentivo tutto quel fastidio?
«E lo sai perché sei il capo del suo fan club...» le chiese Anna, anche lei molto interessata. Non sapevo che mandasse ancora avanti il fan club di Ruka e Natsume, perciò rimasi un po' sorpresa. «...o perché sei stata una di loro?» certo che i pettegolezzi non avrebbero fatto assolutamente fatica a diffondersi, se tutti reagivano come loro a questo genere di notizia. Sumire stava per rispondere, con un'espressione a dir poco compiaciuta e per un attimo ebbi paura di ciò che avrebbe detto, peccato che non lo seppi mai, perché fu interrotta.
«Certo che siete proprio prive di tatto!» intervenne la mia eterna salvatrice: Hotaru, che rivolse a noi la sua attenzione. «Parlare davanti a Mikan di queste cose.» avrei voluto tanto abbracciarla, ma già sapevo che si sarebbe scansata, e io sarei finita col naso a terra. E, quindi evitai di farlo: volevo assolutamente partecipare alla festa di Natale, e tutta intera, possibilmente. Avevo promesso tre balli, dopotutto. Il nonno mi ha sempre detto che è scortese non mantenere le promesse, soprattutto dal momento che avevo promesso di ballare! Se non avessi potuto, sarebbe stato un bel problema. «Immagino che se Natsume abbia avuto delle altre ragazze, Mikan lo sappia.» Hotaru tornò a tagliare la carta in strisce tutte uguali con uno strano misuratore, probabilmente inventato da lei. «Oppure la tua è tutta invidia, Sumire?» l'occhiata che le lanciò fu di ghiaccio. Pensai che, se fosse stata diretta a me, sarei scappata a nascondermi e non mi sarei fatta rivedere per almeno un decennio.
Sumire strinse le labbra tanto da farle diventare quasi bianche. Abbassò la testa sul suo lavoro e, senza dire una parola, continuò a tagliare strisce, meno precise di quelle di Hotaru. L'atmosfera gelida era palpabile, non solo per me, ma anche per Anna e Nonoko, che rimasero zitte per un po'. In effetti, neanche io credevo che quello fosse il momento per parlare, anche se Hotaru diceva sempre che non riuscivo mai a capire quando era il momento di chiudere il becco.
«Ehm...» Nonoko, titubante, cercando di attirare l'attenzione, ruppe il pesante silenzio che si era creato dopo le parole di Hotaru. Ci mise un po' prima di dire il resto della frase. «allora... andiamo a fare shopping il giorno della Vigilia?» si fece un po' più coraggio e sorrise, mentre tutte quante annuivamo. Se non altro, avrebbe sistemato i leggeri dissapori tra di noi. Un'uscita era senz'altro quello che ci voleva! «Un pomeriggio tra amiche.» io annuii con vigore: proprio vero.
«Amiche...» borbottò Sumire, con un'aria più depressa che mai. Mi dispiacque per lei, tanto che volevo davvero sapere quale fosse il suo problema. «Vado al bagno.» e, detto questo, si allontanò, per poi sparire dalla nostra vista. Avrei voluto avvisarla che il bagno era dalla parte opposta da quella in cui stava andando, ma il sospiro di Anna mi distolse da quel pensiero.
«Certo che è proprio strana.» commentò, poi, guardando nella direzione in cui la nostra compagna era sparita. «A volte non la capisco.» Nonoko assentì, allibita, mentre si metteva anche lei a lavorare, sedendosi al posto lasciato vuoto da Sumire.
«Qual è il suo problema?» volli sapere, mentre tutte quante mi guardavano con una strana espressione, poi sospirarono, e mi sembrarono sconsolate. Io non capii. «Che c'è?» beh, perlomeno, sembrava che loro sapessero che cosa turbava Sumire.
Hotaru sospirò di nuovo, ma stavolta sembrava rassegnata. Pensai che non le riuscisse tagliare la carta come voleva. «Mikan, sei un caso disperato.» asserì, lasciandomi allibita. In che senso? «Sei proprio una stupida.»
«Eh?» chiesi, senza capire. «Perché?» in fondo avevo fatto solamente una innocentissima domanda, poteva dirlo subito che Sumire non voleva che la cosa si venisse a sapere in giro, mi sarei fatta subito gli affari miei!
«Lascia stare e aiutami con questa roba.» tagliò corto lei, porgendomi delle strisce di carta. Mi chiesi che cos'avrei dovuto farci: avevo montato milioni di striscioni nella mia vecchia scuola elementare, ma non sapevo in che modo potesse essere utile il mio Alice dell'annullamento. «E come posso essere d'aiuto col mio Alice?» domandai, infatti, per chiarire tutti i miei dubbi. Hotaru mi guardò, spazientita e annoiata, salendo su una scala.
«È ovvio.» rispose, col tono di una maestra che sta spiegando un argomento che riteneva chiuso a un alunno particolarmente stupido. Non credo che volesse offendermi, ma non mi fece sentire comunque molto bene. «Non userai il tuo Alice.» la guardai, sconcertata. «Come no?» replicai, allora. Cioè, se non dovevo usare il mio Alice, che ci facevo lì? «Che significa?»
«L'addetto ai festoni si è diplomato l'anno scorso,» mi spiegò, paziente, mentre cominciava ad appendere il pezzo che aveva costruito. «subito dopo la festa di Natale. È una responsabilità delle Abilità Tecniche, ora.» io annuii: adesso avevo capito tutto, ma... «...io che ci faccio qui, se è un compito delle Abilità Tecniche?» diedi voce ai miei pensieri, mentre lei sbuffava. E perché Sumire era stata lì fino a due minuti prima? Neanche lei era nelle Abilità Tecniche.
«Già che sei qui, renditi utile.» fu la sua glaciale risposta. Io sorrisi, soddisfatta: potevo essere cinquecento milioni di volte più utile se non dovevo pensare ad un'opportuna applicazione del mio Alice. Il lavoro manuale è quello che rende di più, dopotutto. Il nonno lo diceva sempre.

Non ci fu praticamente un attimo di pace o di riposo, non ebbi neanche il tempo di sedermi da qualche parte e prendere un bicchiere d'acqua. Primo perché i bicchieri erano tutti quanti finiti e Hotaru mi aveva vietato categoricamente di bere dal suo, e secondo perché mi chiamavano da ogni parte, prima Hotaru, poi Anna e infine Nonoko. Nessuno aveva più visto Sumire per il resto della giornata.
«Magari si sente male.» ipotizzai, preoccupata. Credevo che sarebbe tornata in pochi minuti, invece era già pomeriggio inoltrato. «Forse dovrei andare a cercarla, sembrava che fosse arrabbiata per qualcosa. Magari parlare dei suoi problemi, potrebbe farle bene.» vidi le mie tre amiche scuotere la testa, ma nessuna delle tre mi degnò di una risposta. Io non sapevo dove cercarla, ma se nessuno veniva con me... avrei potuto andarci da sola.
«Se davvero lo facessi,» mi rispose Hotaru, quando esposi i miei pensieri. «ti perderesti sicuramente, con lo scarso senso dell'orientamento che ti ritrovi.» mi sentii un po' offesa: insomma, per chi mi aveva presa?
«Guarda che sono in questa scuola da quasi sette anni!» protestai, piccata. Insomma, ritenevo di averne una certa conoscenza dopo tutto quel tempo. «La conosco come le mie tasche!»
Hotaru alzò gli occhi al cielo. «Sinceramente ne dubito.» confessò, facendomi sospirare spazientita per via della scarsa fiducia che dimostrava nelle mie capacità. «L'altra sera, quando sei venuta a studiare da me, mi hai chiesto dov'era la tua stanza e anche quella è la stessa da sette anni, se ben ti ricordi. Non credo proprio che riusciresti a trovare Sumire.» arrossii. Quello era successo perché, momentaneamente, avevo perso il senso dell'orientamento! Non c'entrava niente. Quando aprii la bocca per spiegarglielo, Tsubasa venne a prendermi per trascinarmi da un'altra parte, impedendomi di chiarire il malinteso con Hotaru.
«Tsubasa-senpai!» mi lamentai, mentre venivo trascinata non sapevo dove. Quando ci fermammo eravamo davanti a quel coso, di cui in quel momento non ricordavo il nome, da cui partivano tutti i fili della corrente. Ma più preoccupante di ciò, JinJin era insieme a noi. Guardai Tsubasa-senpai con terrore: a JinJin non ero mai andata a genio.
«Perché siamo qui?» bisbigliai, in modo che Jinno-sensei non sentisse. Lui sospirò, e notai che oggi lo stavano facendo tutti troppo spesso. «Qualcosa non va?»
Tsubasa-senpai scosse la testa. «No,» mi rispose allo stesso modo, mentre anche altri ragazzi, tra cui Misaki-senpai ci raggiungevano. «devi usare il tuo Alice dell'annullamento per bloccare parte dei poteri di Jinno-sensei, altrimenti salta tutto l'impianto, dato che si è intestardito. Ha detto che se il suo Alice può essere di qualche utilità, allora lo userà.» ah, beh, se neanche le Abilità Tecniche avevano potuto fermarlo, perché avrei dovuto riuscirci io?
Deglutii. Sinceramente, non mi andava di assumermi una così grande responsabilità: insomma per colpa mia poteva saltare tutto quanto e addio ballo di Natale. No. Infatti, scossi la testa. «Non posso.» chiarii, prima che qualcuno potesse dire qualsiasi cosa che mi avrebbe convinta, con l'arma del rimorso. «Guarda che non è una richiesta.» ci interruppe Jinno-sensei, con la sua profonda voce fredda come il ghiaccio. Rabbrividii, anche peggio di quando Hotaru mi guardava con lo sguardo-freezer. «Se vuoi il ballo di Natale, devi aiutarmi, Sakura.» no, non era per niente una richiesta.
Deglutii di nuovo, rumorosamente; le mie mani cominciarono a sudare per la tensione. Non riuscivo a smettere di pensare che potesse saltare tutto quanto a causa mia. «Devo proprio?» posi la mia domanda, titubante, accorgendomi che, per via del nervosismo, avevo chiuso gli occhi e stavo tendendo le braccia verso JinJin.
«Sakura, per tutti i fulmini!» sbottò lui, infastidito e completamente spazientito, non che JinJin fosse famoso per la sua pazienza, però... «Devi solo limitare il mio Alice, cosa ti spaventa tanto?» ci voleva troppo a capire che era proprio quello? Era risaputo in ogni angolo del mondo che ero un'imbranata e che, se una cosa poteva andare male, con me sarebbe sicuramente andata peggio.
«Sei pronta, Sakura?» mi chiese JinJin, pronto a usare il proprio Alice in qualunque momento. Io presi un respiro più profondo che potei. Mi ripetei più volte che la calma è l'arma per vincere, dopotutto Hotaru riusciva sempre in tutto, e non conoscevo nessuno più calmo di lei. Annuii, più sicura di quanto mi sentissi. «Ottimo.»
Mi avvicinai a lui e cercai di fare come avevo fatto quella volta per limitare l'Alice di Nobara; anche in quell'occasione era stato per la festa di Natale. Mi concentrai, respirando velocemente. Temevo che sarebbe potuto esplodere tutto, mentre JinJin era attaccato a quell'affare. Chiusi gli occhi, per non vedere quella che sarebbe potuto succedere e non li riaprii finché il professore non richiamò la mia attenzione, schiarendosi la gola. Lo guardai, confusa e speranzosa che fosse tutto finito.
«Ebbene?» mi rivolse il suo consueto sguardo omicida. Mi feci piccola piccola e tremai, cercando di fare un sorriso disinvolto, chiedendomi che diamine volesse. Mi fissò come se fossi stata un'idiota. «Sakura, stai annullando completamente il mio Alice. Così mi sei inutile.» spalancai la bocca per lo stupore: non me ne ero neanche accorta.
«Ecco... io... non lo sapevo.» confessai, facendo fremere JinJin per la rabbia e indietreggiai, pensando che avrebbe fritto tutti quanti. «Mi... mi dispiace!» assicurai, nascondendomi il volto fra le mani. «Riproverò e andrà tutto bene!»
Lui mi guardò, scettico ed emise un sibilo spazientito. Per la terza volta, deglutii per il terrore. «Sakura, se esplode tutto, ti farò espellere.» mi minacciò, pensando, forse, che questo mi avrebbe fatto sentire meno sotto pressione. Totalmente l'opposto: adesso sì che ero anche più nervosa! Presi un altro respiro profondo, ripetendomi la formula della calma, e rimisi le mani sul braccio di JinJin. Quando vidi che la quantità di energia che stava sprigionando era minima, mi risollevai un po' il morale, anche se stetti particolarmente attenta a non distrarmi dal mio obiettivo. Non capivo come potesse lui risolvere il problema, ma non feci domande.
«Sì, poverina.» sentii, da dietro di me. Due ragazze stavano parlando tra di loro e ridacchiavano. «Chissà, magari Natsume si stancherà di lei tra qualche giorno.» appena sentii il suo nome, drizzai subito le orecchie, non interessandomi più del resto.
«Di sicuro, guarda com'è imbranata.» fu il commento dell'altra ragazza. Raggelai, mentre mi venivano in mente anche le parole di Hotaru sulla mia stupidità, quelle che proprio il giorno prima aveva pronunciato, forse, per prendermi in giro.
«SAKURA, DATTI UNA SVEGLIATA!» gridò JinJin, ma prima che potessi chiedermi a che si stava riferendo, sentii uno scoppio assurdo, che mi fece balzare il cuore in gola e rammollire le gambe. Non ebbi neanche l'occasione di respirare che venni velocemente trascinata via, senza avere il tempo di capire che stesse succedendo. Qualcuno mi stava stringendo in modo protettivo, ma avevo gli occhi contro la sua spalla e non riuscii subito a capire chi fosse, anche perché c'era un trambusto immane e io non avevo né capito né visto gran parte di ciò che era successo. Tremai per lo spavento, mentre il mio salvatore mi accarezzava i capelli per tranquillizzarmi. Era successo tutto così in fretta che ero orribilmente confusa e spaventata.
«Stai bene?» la sua voce mi arrivò alle orecchie ovattata, ma capii subito che si trattava di Natsume. Sospirai di sollievo e tentai di ricambiare la sua stretta, ma non avevo abbastanza forza nelle braccia. «Ehi, Mikan, stai bene?» mi allontanai un po', per guardarlo in faccia e annuii, cercando tutti gli altri con lo sguardo. Tsubasa-senpai si stava togliendo la polvere dalla fronte e dai capelli che sfuggivano dal cappello, scuotendo la testa.
«Chiamate le Abilità Tecniche, qui c'è bisogno del lavoro di un genio, o niente ballo di Natale.» disse, scoppiando a ridere. Mi domandai cosa ci trovasse di piacevole, io ero quasi morta di paura. «Non avrei mai pensato che sarebbe stato così divertente!»
«Divertente?» ripeté Misaki-senpai, incredula e concordai tacitamente. Poi, però, anche lei scosse la testa, e sorrise, probabilmente cogliendo il lato positivo della cosa. Avrei voluto esserne in grado anch'io. Sentivo le gambe tremare come se fossero state cartone al vento. «In fondo poteva andare peggio.» di sicuro, sapevo che dovevo diventare un po' più come loro.
«Dai, calmati.» mormorò Natsume, allentando un po' la presa sulla mia vita, ma mi sorressi a lui per non cadere. «Non è successo niente di grave.» fissai la scatola degli orrori, da quel momento in poi avrei cominciato a chiamarla così, e vidi solo una cosa: disastro. In pratica, tutto quello che avevo temuto si era avverato, e adesso il ballo rischiava di saltare perché mi ero distratta. Ero così mortificata che non riuscivo neanche a piangere. «Non fare quella faccia.» alzai lo sguardo per incontrare il suo. Non avrebbe potuto essere più calmo. Lì, l'unica ancora agitata ero io. «E non piangere, si può risolvere. La tua amica troverà di sicuro una soluzione.»
«Davvero?» chiesi, speranzosa. Lui annuì, ma non sapevo se lo pensava davvero oppure se lo diceva solo per consolarmi. Arrivò Hotaru, in fretta e sbuffando. Mi tranquillizzai almeno un po', di sicuro se ci lavorava lei, sarebbe tornato tutto a posto.
«Sempre la solita.» commentò, rivolgendomi uno sguardo esasperato. «Possibile che quando ci sei di mezzo tu, finisca sempre così?» io abbassai lo sguardo, mortificata. Non era stata mia intenzione!
«E smettila.» fu la risposta gelida di Natsume. Dopodiché lo sentii trattenere il respiro e stringermi più forte, come se volesse proteggermi da qualcosa. Non ebbi neanche il tempo di chiedermi che stesse succedendo che il preside delle elementari si fece strada tra tutti gli alunni che erano venuti a vedere cosa fosse tutto quel trambusto.
«Dov'è il problema?» chiese, con la sua voce calma. Quel bambino mi spaventava a morte, soprattutto perché, in tutto il tempo che io ero rimasta all'Accademia, lui non era mai cresciuto. Chissà quanti anni aveva.
«Cercavamo di sistemare la corrente.» spiegò brevemente JinJin, lanciandomi un'occhiataccia. Rabbrividii, di nuovo: che uomo terribile. «Ma qualcosa è andato storto, vero, Sakura?» improvvisamente, mi ricordai della promessa che mi aveva fatto: mi avrebbe fatto espellere. Mi feci prendere dallo sconforto: non volevo essere buttata fuori! Ero tesa come la corda di un violino, e la reazione di Natsume non mi aiutava particolarmente a sentirmi meglio.
«Mi dispiace tanto.» assicurai, allora, cercando di impietosire uno dei due. Lo sguardo del preside si addolcì improvvisamente, ma non mi fece sentire più tranquilla: dei brividi di disgusto mi percorsero la schiena. Che brutta sensazione! Volevo solo che la smettesse di fissarmi. «Oh, Jinno-sensei, non avrebbe dovuto chiedere una cosa così impegnativa a una studentessa inesperta.» mi sorrise in modo inquietante, mentre rivolgeva un'occhiata a Natsume che mi fece immobilizzare per la tensione. «Non si preoccupi, Sakura-san, nessuno verrà punito. Questo è il mio regalo di Natale. E poi, di certo le Abilità Tecniche troveranno un modo per risolvere il problema. Non pensi che sia colpa sua.» poi si rivolse di nuovo a JinJin. «La prossima volta, cerchi di fare più attenzione, Jinno-sensei.» JinJin annuì e il preside si dileguò, così com'era venuto. Quando scomparve dalla nostra vista, Natsume si rilassò di nuovo e allentò la presa, sospirando di sollievo.
«Cosa c'è?» volli sapere, preoccupata, lui scosse la testa e non mi rispose. Mi faceva arrabbiare quando si comportava così. «Natsume?»
«Niente.» disse, posandomi un bacio tra i capelli. Stranissimo: non amava darsi a certe manifestazioni d'affetto in pubblico. «Sta' tranquilla.»

Ero insieme a Natsume quando i preparativi per il ballo, per quel giorno, erano finiti. Stavamo per tornare in camera e io non sapevo bene come affrontare l'argomento che mi ronzava in testa da un paio d'ore. Lo fissai di sottecchi, anche perché non aveva detto una parola, cioè, di norma non sarebbe stato un problema se non fosse stato più taciturno del solito e non avesse fatto neanche una battuta per farmi sentire in imbarazzo. Mi chiesi se fosse colpa dell'incontro col preside o fosse semplicemente una nuova personalità che stavo scoprendo. Magari, erano un po' tutte e due le cose.
«Ehm...» se non altro, era meglio intavolare una conversazione, altrimenti non avrei mai chiarito il mio dubbio. «stavo pensando che... si avvicina il Natale.»
«Davvero?» chiese lui, non fingendosi neanche stupito. «Sei arrivata prima.» mi trattenni dal dargli uno schiaffo sul braccio, come facevo di solito, solo perché mi sembrava un po' giù.
«Lasciami finire!» protestai, allora. Voleva farmi anche perdere il filo del discorso? Allora, non sarei mai riuscita a chiederglielo! «Ecco... mi chiedevo se... ci fosse qualcosa in particolare che... sì... insomma...» pensavo che avrebbe alzato le spalle e non mi avrebbe degnato di una risposta, per questo cominciai a balbettare. Presi un bel respiro: in fondo, strappo secco fa meno male. Dirglielo non avrebbe potuto peggiorare la situazione, dato che eravamo arrivati al mutismo. «mi stavo chiedendo se ci fosse qualcosa che vuoi per Natale.» lo dissi tutto d'un fiato.
«Niente.» mi rispose, con lo stesso interesse che ci si mette nel dare da mangiare a un canarino, se non si è un amante degli animali. Mi chiesi che volesse dire con “niente”, non potevo mica lasciarlo senza regalo a Natale! Ma che gli passava per la testa?
«Ci sarà pur qualcosa che posso comprare.» insistetti, ottenendo solo un sospiro da parte sua. Che antipatico! «Pensaci su, dai.»
«Niente.» ripeté, stavolta spazientito. Sbuffai: sembrava che non ci fosse proprio niente che potessi fare per indurlo a conversare e a dirmi cosa gli sarebbe piaciuto, dato che non avevo la minima idea di cosa regalargli. Aveva i gusti più difficili da capire in tutto il mondo.
«Bene, ma non osare lamentarti del regalo che ti farò.» gli comunicai, chiaro e tondo, dato che già sapevo che avrebbe detto: “è inutile” oppure “cosa dovrei farci con questo?” una volta che gliel'avessi dato, speranzosa che mi dicesse “grazie” per la prima volta nella sua vita, dato che nei momenti meno opportuni ero un'inguaribile ottimista. «D'accordo?»
«Sì, sì.» rispose, distratto. Mi irritava non poco che neanche mi stesse a sentire, poteva anche andare avanti da solo, se stare in compagnia gli era così fastidioso, almeno avrei potuto evitare di arrabbiarmi.
«Fai come ti pare.» gli dissi, allora, indignata. «Io la vigilia di Natale vado a Central Town con Hotaru e le altre a comprare i regali.» gli feci la linguaccia ma, probabilmente, lui neanche se ne accorse. Questa cosa mi mandò in bestia anche di più. «Buonanotte!» me ne andai via borbottando quanto fosse stupido e insensibile, a voce abbastanza alta perché anche lui potesse sentirmi, sempre se stava prestando almeno un po' d'attenzione a ciò che lo circondava.
Lo sentii sbuffare: pure! «Mikan,» mi chiamò, con fare condiscendente. Non mi fermai, come era solito fare lui, e continuai sulla mia strada, diretta verso la mia camera. Dopo poco sentii di nuovo la sua voce. «Mikan, ti sbagli se pensi che ti verrò dietro a riprenderti.»
«Non pensavo niente di tutto questo, stupido!» mi girai, avevo intenzione di gridare anche più forte. «Siccome stavo discutendo praticamente con me stessa, pensavo che sarebbe stato meno irritante se fossi stata veramente da sola. Sto andando in camera, sono stanca! Buonanotte.»
Sospirò pesantemente, quando l'unica che doveva essere spazientita ero io. Mi indicò la direzione opposta a quella in cui stavo andando. «La tua stanza, genio, è da quella parte!» quella frase ebbe il potere di farmi completamente saltare tutti i nervi. Mi chiesi perché ero così stupida da preoccuparmi del suo regalo, quando l'unica cosa di cui si preoccupava lui era l'offesa più grossa che poteva farmi.
«Volevo fare il giro più lungo!» mentii spudoratamente, solo per il gusto di non dargliela vinta. «Dicono che camminare aiuti a calmarsi!»
Natsume sogghignò. «Balle.» arrossii, sentendomi colta sul fatto. Non risposi perché non volevo continuare quell'inutile discussione. «Dai, ti accompagno.»
«Non ti preoccupare.» mi finsi altezzosa, anche se l'idea non mi dispiaceva, anche perché sembrava che gli fosse tornata la voce. O forse era solo la personalità gentile e romantica. «Posso andare da sola.» certo che potevo, in barba a quello che pensavano lui e Hotaru.
«Guarda che lo faccio per me.» mi spiegò, e sperai che non dicesse sul serio, se non voleva davvero quello schiaffo che gli avevo risparmiato poco prima. «Svuoterò un tuo cassetto per portare alcune delle tue cose in camera mia, dato che sembri avere la brutta abitudine di fare la doccia da me.»
«A parte il fatto che io non ho proprio nessuna brutta abitudine, dato che è stata tutta una tua idea, quella di portarmi in camera tua, ieri.» cominciai, offesa. Non credevo che gli desse fastidio e poi la sua doccia era almeno due volte la mia. «Se la cosa non ti va a genio, non ti preoccupare, non lo farò più.»
Lui sorrise, ma non rispose alla provocazione. «Per lo meno, non dovrò attraversare tutta la scuola, passando dalle finestre.» era successo solo una volta, quante storie! «E spero di non dover rivedere più camera tua ridotta in quello stato.» come se lui fosse stato ordinato! Però, la constatazione mi fece arrossire, anche perché non ero tornata in camera da quando lui era tornato e non l'avevo, dunque, sistemata.
«Scemo.» fu la mia risposta, mentre abbassavo lo sguardo per l'imbarazzo. Poi, all'improvviso, solo guardandolo di nuovo, mi venne in mente che cosa potevo regalargli, e mi parve una fantastica idea. Gioii senza darlo a vedere, temendo che potesse sospettare qualcosa.

Il giorno della Vigilia, alle due del pomeriggio, mi ritrovai alla fermata dell'autobus diretto a Central Town con tutte le altre, anche Sumire che, però, non sembrava particolarmente contenta di essere lì. «Buongiorno, ragazze!» strillai, raggiante, mentre le raggiungevo. Era una splendida giornata e gli autobus erano stati messi a disposizione per tutto il giorno. L'ultimo era quello delle sei del pomeriggio, così che potessero tornare tutti prima che si fosse fatto troppo buio. Sprizzavo gioia da tutti i pori: avevo raccolto tutti i miei rabbit, guadagnati in previsione di questo evento, e non vedevo l'ora di spenderli.
«Buongiorno, Mikan!» mi risposero Nonoko e Anna, sorridenti. Hotaru mi rivolse un cenno della testa, mentre Sumire mi ignorò e basta: tutto normale. Le prime due si guardarono intorno, circospette; mi chiesi chi o cosa stessero cercando. «Sei qui da sola?» fu Nonoko a chiedermelo.
Io annuii, confusa. «Con chi sarei dovuta venire?» volli sapere, curiosa. Non avevamo deciso di fare shopping tra amiche? Loro due si guardarono, scuotendo la testa.
«Niente,» assicurò Anna, con un sorriso nervoso. «non ti preoccupare. Meglio così.» io sbattei le palpebre un paio di volte, in attesa che mi arrivasse l'illuminazione. Invece di quella, arrivò l'autobus e ci salimmo sopra, eccitate.
«Mikan, ti do un avvertimento.» esordì Hotaru, con il suo sguardo di ghiaccio peggiore. Mi feci piccola piccola sotto quello sguardo terribile. «Se combinerai un guaio anche solo lontanamente simile a quello dell'altro giorno, che mi ha fatto passare mezza giornata a lavorare, giuro che ti userò come cavia.» deglutii: ogni promessa di Hotaru è debito. Questo è vero in ogni caso, anche se la promessa in questione è di squartarti con i più crudi metodi.
Quando arrivammo a Central Town, contai mentalmente tutti i regali che mi restavano – quello di Natsume era quasi pronto e potevo dire che fosse molto carino – e quanti rabbit potevo spendere per ognuno. Per le Abilitià Tecniche era abbastanza facile, potevano fabbricare qualcosa col loro Alice, ma il mio non poteva essere usato per niente di utile, in questo contesto. Sospirai, cominciando a elencarli: Hotaru, Ruka-pyon, Anna, Nonoko, Tsubasa-senpai, Misaki-senpai, Youichi e Narumi-sensei... mi sembrò di aver dimenticato qualcuno. Mi sforzai di più, e poi mi venne in mente, ma solo quando la vidi: Sumire. Così, magari, si sarebbe tirata un po' su di morale. Non c'era niente di meglio di un regalo per sentirsi meglio! E sapevo esattamente anche cosa faceva al caso suo. Dovevo prendere tutti i regali nello stesso negozio, tranne che il suo.
«Dove andiamo prima?» chiesi, curiosa. Almeno, ci avrei messo poco a comprare tutti i regali.
«Beh, i regali più ovvi sono degli oggetti con Babbo Natale, dovremmo provare lì.» mi rispose Nonoko, pensierosa. Io annuii, comprensiva.
«Io ho un'altra idea.» dichiarai, indicando la direzione in cui sapevo che avrei trovato il negozio che faceva per me. Anche le altre fecero lo stesso, ma puntarono il dito da tutt'altra parte. La cosa mi mise un po' in difficoltà. Risi, un po' in imbarazzo.
«Perché non ci ritroviamo alla fermata dell'autobus?» propose Anna, capendo che non saremmo mai riuscite a metterci tutte d'accordo.
«Tra due ore e mezza, se ce la facciamo, c'è un autobus. Possiamo prendere quello.» ci informò Hotaru, guardando tutti gli orari. «Non so se per prima sia possibile.»
«D'accordo!» assentimmo tutte insieme, mentre Sumire, Anna e Nonoko andavano nella via opposta rispetto a quella che avevamo imboccato io e di Hotaru. «Allora, Hotaru,» dissi, saltellando per la contentezza. «dove andiamo prima?»
«Dove ti pare.» tagliò corto Hotaru, controllando una sua lista che non mi lasciò guardare in nessun modo, facendomi presumere che avesse qualcosa da nascondere: il mio regalo, ad esempio! Il mio sorriso si allargò anche di più.
«Va bene! Mi serve il negozio di abbigliamento.»
Lei mi guardò scettica, mentre ci avviavamo verso il negozio. Fu difficile trovare qualcosa in mezzo a tutta quella roba, ma alla fine comprai la maggior parte dei regali di cui avevo bisogno. Quindi, mancava soltanto Sumire. Avevo le mani così piene di borse che non ero quasi neanche capace di tenerle tutte in mano. Hotaru si rifiutò di aiutarmi perché era certa che io poi avrei confuso le buste e avrei preso i suoi regali per i miei. Io sbuffai: che bella fiducia!
«Hotaru, Mikan-chan!» sentimmo la voce di Ruka-pyon che ci chiamava. Ero attaccata al braccio di Hotaru e quando lui ci chiamò la sentii stranamente irrigidirsi. Non credevo che le stesse così antipatico. «Anche voi fate spese di Natale?»
«Sicuro!» risposi, prendendo col braccio libero quello di Ruka che non era occupato a tenere le buste. «Anche tu, vedo!» lui annuì, in imbarazzo. Era davvero strano vederlo così. «Stavo cercando un regalo speciale, per una... persona speciale...» distolse lo sguardo da noi. Era così in imbarazzo! «Hai una persona speciale, Ruka-pyon?» domandai, stupita. Non sapevo che Ruka-pyon fosse innamorato di qualcuno. Pensavo che avesse solo il suo grande amore per gli animali.
«Che mi consigliate?» chiese, fissandoci speranzoso, in particolare Hotaru, probabilmente perché lei ha sempre una risposta per tutto.
«Credo che le farebbe piacere un portafortuna. Magari ne ha sempre voluto uno.» fu la sua risposta. Avrei tanto voluto sapere come poteva esserne così sicura. Sorrisi: Hotaru era davvero un pozzo di scienza!
Ero troppo curiosa per non fare la mia domanda. «Chi è questa persona speciale, Ruka-pyon?» non riuscivo a credere che fosse innamorato! Che bella notizia!
«Perché non ti fai gli affari tuoi, Mutande-a-Pallini?» la voce di Natsume mi arrivò alle orecchie, irritante come ogni volta che usava quel nomignolo. Lo guardai, offesa: io non mi stavo facendo gli affari di nessuno!
«Natsume, dai!» lo sgridò Ruka-pyon, sospirando. «Non ha fatto niente di male.» gli feci un sorrisone riconoscente: lui sì che era gentile e comprensivo!
«Dato che non vuole che la gente si impicci dei suoi affari, dovrebbe imparare a fare lo stesso.» rispose Natsume, guardandomi. Io gli feci una linguaccia.
«Sei un antipatico e un pervertito!» dichiarai, riferendomi al fatto che, incredibilmente, anche oggi sapeva che mutande portavo, nonostante non lo vedessi dalla sera prima, a cena. «Devo comprare ancora un regalo, Hotaru. Mi accompagni?»
Lei mi guardò, sbattendo lentamente le palpebre, poi indicò Ruka-pyon e Natsume. «Li lasciamo qui?» io mi finsi indifferente quanto lei e alzai le spalle.
«Facciano come vogliono. Non siamo qui con loro.» le feci notare, cominciando a camminare, finché Natsume non mi afferrò, impedendomi di continuare.
«Che scortese.» mi rimproverò, stringendo la presa e trattenni il respiro. Era irritante che mi facesse quest'effetto, ma non si poteva evitare. «Allora, che regalo mi hai comprato?» pensava davvero che gliel'avrei detto? Si sbagliava di grosso.
«Niente, esattamente come mi hai detto tu.» gli rinfacciai, in effetti non era proprio del tutto falso. Lui mi guardò dubbioso, gettando un'occhiata alle buste che avevo in mano. «Tu, piuttosto, non hai comprato niente! Che regalo hai intenzione di farmi?»
Lui si limitò ad inarcare un sopracciglio. «Perché avrei dovuto comprarti un regalo?» io rimasi allibita: davvero non mi aveva comprato niente? «Io non faccio regali a Natale.» che cosa? E questo quando aveva pensato di dovermelo dire?
«Che significa?» Non potevo assolutamente credere che non mi avrebbe regalato niente per Natale. La sola idea era inconcepibile: il Natale è Natale perché ci sono i regali!
«Esattamente quello che ho detto.» Non so che avesse in mente, ma non potevo credere a una cosa del genere: sarebbe stato un terribile affronto per me. Mi allontanai da lui con uno strattone.
«Allora siamo pari.» dichiarai, girandomi nella direzione opposta. «Adesso scusami, devo comprare il regalo a Sumire!» gli feci la linguaccia e mi avviai nella direzione opposta.

Alla fine tornammo con l'autobus delle sei, insieme a Ruka-pyon e Natsume, a cui vietai categoricamente di seguirmi in camera. Non potevo permettere che entrasse e vedere così il suo regalo! Non volevo che la sorpresa si rovinasse.
«Perché mi stai seguendo?» gli chiesi mentre eravamo nel cortile, vicino al dormitorio delle ragazze. Non potevo permetterlo.
«Qual è il problema?» Aspettava una risposta, solo che io dovevo ancora pensarne una, in modo da non dirgli la verità. «L'ho sempre fatto.»
«Sì... solo che... adesso non puoi.» tentai di spiegargli. Come potevo trovare una scusa in così poco tempo? Lui inarcò entrambe le sopracciglia, lo faceva sempre quando credeva che gli stessi nascondendo qualcosa. Cavolo come mi conosceva bene! «Te lo spiego domani, promesso!»
Lui sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Come ti pare.»
Quando entrai in camera, sospirai di sollievo, chiusi le finestre e tirai le tende, prima che gli venisse voglia di entrare da lì. Accesi la luce e lo vidi: lo splendido regalo che avevo in mente per Natsume mi aspettava pazientemente adagiato sul letto. Non vedevo l'ora di darglielo e vedere che faccia avrebbe fatto!

*****

Risposte alle recensioni:

nimi_chan: davvero? Mi riescono molto meglio i capitolo di Mikan, in qualche modo mi risultano più facili. Sarà perché lei è una ragazza XD
marzy93: hanno fatto pace ;) mi piace proprio descrivere momenti come quello. XD
marrion: bene, sono contenta XD. Spero che continuerai a seguirla.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil


In particolare, la new entry:

5. Miki89

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Capitolo 6
*** Il ballo ***


Capitolo 6 – Il ballo
(Natsume)

«Natsume!» sentii la voce di Mikan che mi riportava bruscamente alla realtà; sobbalzai per lo spavento, e mi tranquillizzai solo quando realizzai che era lei. Feci uno sbadiglio colossale, mentre lei saltellando per la felicità, faceva muovere il materasso come se il letto fosse stato una nave nel bel mezzo di una tempesta. «Dai, Natsume, alzati!»
Emisi un lamento, pensando che se avessi aperto la bocca avrei vomitato. Tutto quel movimento appena sveglio non mi aiutava granché. «Mikan...» mugugnai, quando lei smise di agitarsi, mettendomi a sedere. Mi guardò con gli occhi brillanti, come una bambina il giorno di... oh, no! Era il giorno di Natale! Il pensiero infausto mi mise subito di cattivo umore. A Natale c'era troppa aria di festa. E di chiacchiere, soprattutto: sembrava che tutti fossero incapaci di farsi gli affari propri, tutti si chiedevano che regali un altro aveva ricevuto, che cosa avrebbe fatto la sera della festa, come si sarebbe vestito... Nessuno smetteva mai di parlare, alla faccia mia che amavo il silenzio.
«Buon Natale!» strillò lei, infatti, gettandomi le braccia al collo, facendomi di nuovo stendere sul letto. Sorrisi, ricambiando il suo abbraccio. In fondo, potevano esserci risvolti positivi nel Natale. «Natsume?»
«Mh?» fu tutto quello che uscii dalle mie labbra. Lei mi guardò, sbattendo le palpebre, forse nell'intento di capire cosa ci fosse che non andava. La sua espressione si intristì, all'improvviso. Oh, cielo, altri sbalzi d'umore repentini? Sperai di no, non sapevo mai come prenderla in certi momenti.
«Niente auguri di Natale?» mi domandò poi, facendomi capire all'istante cos'aveva pensato prima. Appoggiai anche la testa al materasso, rassegnato: sapevo che quell'anno mi avrebbe costretto a farglieli, con quegli occhi da cane bastonato. Non si poteva dire di no quando faceva quella faccia! «Buon Natale.» pronunciai quelle parole come se fosse stata una confessione estorta con la tortura, tirandomi su, spingendo anche lei a cambiare posizione. Si sedette sulle mie gambe, con l'aria imbronciata. Io inarcai un sopracciglio, curioso di sapere cos'altro volesse che facessi.
«Davvero non ho un regalo?» il suo tono era dubbioso, e scoppiai a ridere: non si poteva resistere davanti a quell'espressione. «Dai, non ridere!» protestò, ma sorrideva anche lei.
«Tu adori il Natale per i regali, di' la verità.» commentai, con le mani appoggiate al materasso per sorreggermi. Lei arrossì e io scossi la testa, sconfortato. «Sei proprio strana.»
Lei sorrise timidamente e io mi chiesi se avesse una vaga idea di quanto in quel momento mi sembrasse carina. «Beh, non rispondi?» insistette, speranzosa. Sospirai, sorridendo: non aveva un briciolo di pazienza.
«Mi sembrava di avertelo spiegato a Central Town.» le ricordai, ma sapevo di stare mentendo spudoratamente, solo che lei non sembrava accorgersene. Si limitò a fare una smorfia. Ero un attore formidabile.
«Dai, non è possibile che tu mi abbia lasciata senza regalo!» protestò, stendendosi sull'altro lato del letto. Alzò lo sguardo verso di me. «Non ci voglio credere.» poi rivolse l'attenzione al soffitto.
«Potrei, effettivamente, avere un regalo fuori dall'ordinario.» confessai, con un ghigno: non avevo nessuna intenzione di dirglielo, non in quel momento almeno. Lei mi guardò con gli occhi che luccicavano per la contentezza. «Se proprio vuoi un regalo, potrei soddisfare questa richiesta... in natura.» mi morsi il labbro per nascondere un sorriso malizioso, aspettando la sua reazione, che sapevo perfettamente che sarebbe arrivata.
Lei, infatti, arrossì furiosamente. «Ma... ma che stai dicendo?» balbettò, mettendosi a sedere. Io risi sotto i baffi e lei mi guardò offesa, incrociando le braccia al petto. «Stavi scherzando, brutto pervertito.» beh, questione di punti di vista. Alzai le spalle, con noncuranza.
«Può essere.» bisbigliai, avvicinandomi per baciarla. Lei mi mise le mani sulle spalle mentre la sentivo accarezzarmi i capelli. In fondo, saltare la festa di Natale non era una così cattiva idea, se sapevamo come impiegare il nostro tempo...
«Aspetta... un attimo...» si allontanò leggermente, e io la guardai, aspettando che dicesse qualcosa. Ma lei si morse un labbro e non parlò, facendomi presumere che avrebbe detto qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.
«Che hai?» sospirai, il più gentilmente possibile, spostandomi in modo che non potesse evitare di guardarmi negli occhi. Per un po' non facemmo altro che fissarci, poi, dopo il tempo limite che ci volle per farmi quasi perdere la pazienza, lei si decise a parlare.
«Ecco... hai...» inarcai un sopracciglio, curioso: avevo cosa? Prese un respiro profondo e mi fissò con sguardo dubbioso, così le feci cenno di continuare. «hai... hai avuto qualche...» distolse lo sguardo e capii che era uno di quei problemi tipo quello dell'altra mattina, cosa che rientrava nelle frasi che non mi sarebbero andate a genio. E credevo che lo pensasse anche lei, dato il suo atteggiamento.
«Qualunque cosa sia, no.» risposi, ancora prima di sapere la domanda. Non sapevo cos'avesse in testa, quale fosse il suo problema, ma pareva premerle in modo particolare. Lei mi guardò stupita, arrossendo.
«Che ne sai?» protestò, indignata, sospirando stizzita. La guardai dritta negli occhi: cosa poteva agitarla tanto?
«Beh, allora dillo e basta.» la incoraggiai, anche se non ero sicuro di voler sentire. Lei distolse di nuovo lo sguardo, indugiando sulla finestra.
«Hai avuto... per caso... qualche ragazza prima di me?» l'unica cosa che feci, appena sentii la domanda, fu sbattere le palpebre un paio di volte, senza pronunciare una parola. Non avevo intenzione di reagire come l'altra volta. Le spostai gentilmente il viso perché potesse di nuovo guardami negli occhi.
«Chi è quell'idiota che ti mette in testa certe idee? Perché ho la sensazione di doverlo bruciacchiare un po'.» lei non rispose. «Scema.» sorrisi, prendendo tra le dita una ciocca di capelli.
«Non...» cominciò lei, con le guance in fiamme. Se solo avesse potuto vedersi, probabilmente avrebbe riso. «Non prendermi in giro.» non avevo pensato di farlo. Le accarezzai una guancia, anche se normalmente lo reputavo un gesto troppo sentimentale, ma sapevo benissimo che a lei sarebbe piaciuto.
«Non farti più mettere in testa queste scemenze, per favore.» la avvertii. Lei annuì, ancora in imbarazzo. Scossi di nuovo la testa, divertito. «Dovresti smetterla di credere a tutto ciò che ti dice la gente» le ripetei, avvicinandomi a lei, che chiuse gli occhi. Io non ignorai il suo invito, sarebbe stato molto scortese da parte mia. Poco dopo averla baciata, sentii la porta che si apriva e una voce. Sia io che Mikan aprimmo gli occhi, ma senza separarci l'uno dall'altra.
«Natsume se non ti sbri...» era Ruka, che ci guardava allibito, fermo come una statua di cera. Sembrava che l'avessero imbalsamato. Rimase a fissarci per un po', poi, senza aggiungere altro, in assoluto silenzio, richiuse la porta e se ne andò così com'era venuto. Mikan si allontanò un po' da me, scoppiando a ridere.
«Non è divertente.» le feci notare, anche se veniva da ridere anche a me, ma solo perché la situazione era paradossale: eravamo già stati interrotti, quella volta, in sala da ballo, se adesso venivano anche in camera mia a rompere, potevamo dire addio alla nostra privacy. Forse avrei dovuto mettere il cartellino “DND” davanti alla porta, magari in questo modo la gente avrebbe girato a largo, o forse era solo un invito ulteriore a sbirciare. Sbuffai: non mi veniva più tanto da ridere.
Mikan, invece, era di tutt'altro avviso. «Dai,» mi esortò, alzandosi dal letto. «cambiati così andiamo a scegliere i vestiti per stasera.» le ragazze dovevano sceglierli; di solito noi ragazzi eravamo vestiti tutti allo stesso modo. «Credo che Ruka fosse venuto per questo.»
Sospirai, sconcertato. «Beh, poteva anche venire dopo.» notai, alzandomi svogliatamente. «Oppure andare a prendere la sua ragazza.» il che poteva anche essere una buona idea, o forse ero io che dovevo prendere l'abitudine di chiudere la porta a chiave.
«Pensi anche tu che abbia una ragazza, vero?» mi domandò lei, orgogliosa. Io la guardai, valutando le possibilità: o mi stava prendendo in giro, oppure davvero non sapeva che Ruka e Hotaru stavano insieme, e sospettavo anche che la cosa andasse avanti da un bel pezzo. Sapendo che lei non era in grado di mentire, perché una cosa del genere non le passava neanche per la testa, l'unica che restava era che non lo sapesse, e mi chiesi perché avrei dovuto dirglielo io, se la sua migliore amica non l'aveva fatto. Mi limitai ad annuire, scomparendo dietro la porta del bagno, facendo appena in tempo a sentire: «Lo sapevo!»

Quando uscii dal bagno, lei era ancora lì, seduta sul letto che mi aspettava, canticchiando. La reputai subito una cosa alquanto fuori dai soliti schemi: Mikan non canticchiava quasi mai, non se era tutto okay. Quando si accorse che ero uscito dal bagno, mi fissò con uno sguardo strano, che rese il mio dubbio una certezza. «Che è successo?» volli sapere, ormai sapendo che qualcosa era successa. Lei mostrò un'espressione quasi sorpresa – la solita pessima attrice – per poi guardarmi con i suoi occhioni innocenti, accorgendosi, presumetti, che il suo piano, qualunque fosse stato, non stava funzionando.
«Niente,» rispose, giocando nervosamente con una ciocca di capelli. «che sarebbe dovuto succedere?» la guardai sempre meno convinto, finché lei non si arrese. Alzò gli occhi al cielo, rassegnata. «E va bene! Ho solo cercato qualcosa che somigliasse a un regalo per me.» ora aveva assunto un'aria colpevole. Avevo capito che se non gliel'avessi dato subito, mi avrebbe dato il tormento. Quella mattina, in quel preciso istante, avevo avuto la piena conferma che Mikan non era una a cui piaceva l'attesa.
«Certo che tu non sai proprio aspettare!» le feci notare, infatti, aprendo il cassetto del comodino, luogo in cui cercare per primo, ma dove sapevo che lei non avrebbe mai guardato, troppo impegnata a chiedersi quale poteva essere il posto meno ovvio per nasconderlo. «Prendi, scema.» le lanciai il pacchetto, che lei prese al volo, con un sorriso enorme stampato in faccia. Scossi la testa, di nuovo, mentre mi passavo un asciugamano sui capelli per evitare di sgocciolare su tutto il pavimento.
«Lo sapevo!» strillò, eccitata come una bambina. Scartò la carta velocemente, non vedendo l'ora, presupponevo, di sapere che cosa le avevo comprato. «Lo sapevo che sei un tesoro!» prima di aprire la scatolina si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia.
«Dai...» dissi, un po' in imbarazzo, ma la mia voce suonò infastidita. Troppe smancerie in una mattina sola e nello spazio di poco tempo rischiavano di rendermi un romanticone! Mikan rise e lo aprì, trattenendo il fiato.
«Oh, Natsume!» sospirò, mordendosi il labbro inferiore e guardandomi felice. «Che pensiero carino!» sollevò i due nastri per capelli che mi ero ricordato di comprarle e se li mise subito tra i capelli, legandoli nelle due solite codine davanti allo specchio che avevo in camera, vicino al comodino. Mi sembrò strano osservarla con quella pettinatura: non ero più abituato a vederla così. «Mi piacciono tantissimo!» si girò verso di me, ancora con quel sorriso sulle labbra. Mi abbracciò, nascondendo il visto contro la mia spalla. «Li hai scelti tu?» e chi avrebbe dovuto sceglierli?
«Sì.» anche perché ero da solo quando glieli avevo comprati. Se mi avesse accompagnato Ruka chissà che commenti avrebbe fatto.
Lei mi guardò, senza smettere di sorridere. «Aspetta solo di vedere il tuo!» sembrava eccitatissima alla sola idea. Ridacchiava, e per un attimo la cosa mi spaventò. «Rimarrai senza parole, promesso!»
«Davvero?» domandai, scettico. In qualunque caso, avrei detto qualcosa per farla arrabbiare: era troppo divertente vederla cercare insulti abbastanza offensivi da rivolgermi. «Aspetterò con ansia.» per tutta risposta, lei mi fece la linguaccia, uscendo dalla stanza.

Sbuffai, mentre mi avviavo verso la stanza di Mikan. Erano quasi le otto e lei mi aveva raccomandato di essere puntuale. La cravatta mi dava una noia micidiale, mentre col riscaldamento alto che c'era, con quella giacca sentivo un caldo insopportabile. Avevo la simpatica idea di ricordare a chi aveva scelto i vestiti che avrei potuto bruciacchiarlo in qualsiasi momento. Era vero che preferivo il caldo al freddo, ma non troppo caldo. Bussai alla porta della mia ragazza e venne ad aprirmi la sua migliore amica; non mi finsi neanche sorpreso: avrei dovuto immaginarmelo.
«Entra.» fu tutto quello che mi disse, prima di spostarsi e di scomparire dietro la porta del bagno, da cui sentivo provenire gridolini eccitati di un sacco di ragazze. Mi chiesi come potevano più di due persone entrare nel minuscolo bagno della stanza di Mikan e quanto poco comode dovessero stare.
«Chi era?» sentii Mikan chiederle, mentre sembrava impegnata a fare chissà cosa.
«Il tuo ragazzo.» rispose Imai, gelida. Mi sedetti sul letto, in attesa che finissero le grandi preparazioni. Perché le ragazze ci mettono sempre un secolo? Un quarto d'ora dopo ero nella stessa posizione, aspettando ancora che uscissero dal bagno. Guardai l'ora, scoraggiato, pensando a quanto ancora sarei dovuto rimanere lì prima che fosse pronta. Fortuna che quello che aveva dovuto essere puntuale ero io.
«Natsume... sei ancora lì?» era la voce di Mikan. Sembrava ancora impegnata nello sforzo di fare qualcosa. Sentivo ridacchiare ed ero curioso di sapere se fosse per quello che Mikan aveva detto: pensavano forse che sarei andato via?
«Dove sarei dovuto andare?» ribattei, annoiato. Avevo la tentazione di stendermi sul letto e, magari, dormire, ma Mikan sembrava tenere particolarmente al ballo di Natale e, perlomeno, quest'anno nessuno mi avrebbe inseguito, o almeno così speravo.
«Aspetta, Mikan, se ti muovi in questo modo non finiremo mai!» sentii gridare una delle tante voci, subito seguite dal rumore assordate di cose che cadevano a terra. «Anna guarda che hai combinato!»
«Scusami, Nonoko!» gridò un'altra, mortificata. «Li raccolgo subito! Non ti preoccupare, Mikan, finiremo in tempo per il ballo.»
«Tutto bene lì dentro?» domandai, sospirando sconsolato. Ognuna di loro gridò qualcosa per tranquillizzarmi, ma non capii una parola a causa di tutte le voci sovrapposte. Erano quasi le otto e mezzo: ma si sa che la puntualità non è il forte delle ragazze. «Mikan, ci vuole molto?»
«Ho quasi finito, davvero!» non sembrava molto convinta, in realtà e, infatti, circa un'altra mezz'ora dopo, fu finalmente fuori da quel dannato bagno. Feci un sospiro sollevato, quando furono tutte uscite. Mikan era l'ultima. Rimasi a fissarla per un po', indeciso. «Allora, che ne pensi?» in effetti, non sapevo che risponderle.
«È difficile dirlo.» ammisi, non sapendo esattamente quali parole scegliere. Era davvero difficile. Come potevo dirglielo, lì davanti a tutte quelle ragazze? Mi avrebbero di sicuro soppresso.
«Difficile?» ripeté lei, confusa. Si guardò, prendendo tra le mani alcune pieghe di quella gonna di quel colore orribile, che faceva letteralmente a pugni con i suoi capelli, sistemati in un'acconciatura del tutto... non sapevo bene come descriverla: non conoscevo un aggettivo abbastanza forte. Con tutto il lavoro che dovevano aver fatto in quel bagno, di sicuro si sarebbero avventate su di me con furia omicida se avessi detto ciò che davvero pensavo, senza contare che Mikan teneva molto al mio parere e dirle che il suo vestito era orrendo non mi sembrava proprio una splendida idea.
«È...» iniziai, cercando la parola adatta, qualcosa che non mi facesse mentire spudoratamente ma neanche che potesse farla rimanere troppo male. «orrendo.» tuttavia, non riuscii a trattenermi. Lei mi guardò con gli occhi spalancati, prima delusa, poi offesa. Sbuffò, e mi sembrò anche un po' irritata. Beh, un ragazzo dovrebbe sempre dire la verità alla propria ragazza, giusto?
«Mai che tu riesca a farmi un complimento!» si lamentò ma, stranamente, non accennò neanche ad arrabbiarsi. «Anche se pensi il contrario mi dici lo stesso che è orribile solo perché vuoi che mi arrabbi.» stavolta non era proprio così. «Ma questa volta non lo farò, screanzato.» mi strinsi nelle spalle, per non dire altro. Meglio.
«Che facciamo? Andiamo?» le porsi il braccio, mentre mi accorgevo che tutte le altre si erano dileguate. Beh, c'era almeno un lato positivo in tutto quel casino. Mi arrischiai a guardare di nuovo il suo vestito: se quello era il suo, potevo solo immaginare quelli delle altre.
«Lo sai,» cominciò, tutta elettrizzata. «era il vestito più bello che ci fosse tra tutti.» evitai di commentare e mi limitai ad assentire con un semplice “Mh”, non sforzandomi neanche di fingermi interessato. «A proposito, te lo dico adesso così dopo non ci saranno più problemi. Ho promesso di ballare con Tsubasa-senpai, Narumi-sensei e Ruka-pyon.» Eh? Inarcai un sopracciglio, infastidito: non ero del tutto d'accordo con questa cosa. «Lo so, però li ho promessi l'anno scorso alla festa di Natale. Non prevedevo che sarei stata fidanzata.» lei mi guardò speranzosa. «Dimmi qualcosa, insomma!»
«Fa' come ti pare.» alzai le spalle, indifferente. Lei sembrò contrariata: ma che diamine si aspettava che le dicessi? Voleva o no ballare con quei tre? Sembrava avere così tanti impegni che mi domandai perché avesse voluto che venissi anche io.
«D'accordo.» strinse le braccia al petto, lasciandomi andare. «Visto che proprio insisti,» e io non avevo quasi detto una parola. «il primo ballo sarà tuo.»
«Come vuoi, hai fatto tutto tu.» le feci notare, con tono incolore. Lei sospirò spazientita, guardandomi con una smorfia quasi offesa.
«Potresti anche dimostrarti un po' più interessato.» si lamentò, imbronciata. Io alzai gli occhi al cielo: se mi interessavo ero troppo geloso; se non mi interessavo, ero un insensibile. In poche parole, non andava mai bene. Era lei che voleva ballare con tutta quella gente, dopotutto.
«Sì,» risposi, aprendole la porta per farla passare. «forse potrei.» lei mi fece la linguaccia, subito prima di entrare in sala, già piena di alunni dell'Accademia, chi seduto, chi in piedi. Eravamo in pochi, considerando quanti eravamo gli anni precedenti.
«Wow!» Mikan aveva l'aria più trasognata che avessi mai visto, mentre guardava la sala da tutte le angolazioni possibili. «Non è bellissimo?» annuii senza convinzione, guardandomi intorno circospetto. Aspettavo l'agguato di qualche ragazzina delle medie da un momento all'altro.

Due ore dopo, eravamo praticamente nella stessa situazione: i balli non erano ancora cominciati. Mikan chiacchierava con le sue amiche, che erano al stesso tavolo a cui eravamo seduti noi, mentre io avevo il mento appoggiato su una mano, annoiato.
«Di' qualcosa, musone.» mi incitò Mikan, guardandomi speranzosa. Già, peccato che io neanche sapessi di che stavano parlando. Lei mi fissò, probabilmente capendo tutto quanto. Alzò gli occhi al cielo, spazientita. «Come non detto.» non era proprio la mia priorità partecipare a una discussione tra ragazze.
«Non vedo l'ora che inizino le danze!» trillò, elettrizzata, quella che mi pareva si chiamasse Nonoko. «Anche se prima devono arrivare i presidi!» ah beh, se aspettavamo loro, potevamo anche invecchiare.
«E quanto tempo hanno intenzione di metterci, uffa!» sbottò Mikan, impaziente. «Dopo dobbiamo scartare i regali!» sorrisi alla sua affermazione, ricordandomi di quella mattina. Le altre ridacchiarono, eccitate quanto lei, tranne Imai, che sospirò stancamente. Ruka era seduto vicino a lei, ma non si scambiavano nemmeno due parole. Dovevano avere una relazione piuttosto insolita.
«Guardate!» strillarono eccitate le amiche di Mikan, indicando il soppalco su cui si trovavano i posti a sedere dei tre presidi. «Stanno arrivando!» entrò per primo il preside delle superiori, un uomo che sembrava appena trentenne da chissà quanto tempo. Mi chiesi come mai tutti i presidi avessero l'Alice della longevità o comunque qualcosa che impedisse loro di invecchiare. La preside delle medie era inquietante, soprattutto per le dicerie su di lei e quel suo “giardino”. E poi c'era quel maledetto del preside delle elementari, – desiderai che rimanesse fulminato sul posto, per un attimo – fondatore della classe di Abilità Pericolose. Ognuno di loro prese posto sulla propria poltrona, mentre tutti gli studenti erano in piedi, in segno di saluto.
Il preside delle superiori si alzò; fece il suo discorso, che evitai di ascoltare per intero, sull'importanza di quest'evento e l'impegno che gli studenti dovevano mettere nello studio per fare del loro meglio in campo lavorativo; cosa c'entrasse con la festa di Natale era un mistero, ma nessuno aveva mai fatto troppe domande. Quando, finalmente, ci concesse il suo benestare per cominciare le danze, tutti gli occupanti della sala si mossero per raggiungere lo spazio enorme tra ai tavoli, disposti vicino ai muri.
«Dai,» mi esortò Mikan, prendendomi per mano e trascinandomi in mezzo a tutti gli altri. «balliamo!» mi venne da ridere, pensando che avrei potuto trovarla anche al buio con quel terribile vestito rosa shocking e quei capelli che somigliavano più a un nido di piccioni. Annuii, seguendola. La musica cominciò, quindi le presi una mano e l'altra l'appoggiai sul suo fianco. Mikan appoggiò la testa sulla mia spalla, e cominciammo a danzare piuttosto difficoltosamente, per via della posizione. Quando, però, sollevò la testa per guardarmi, l'impulso di baciarla fu troppo forte per trattenerlo, e avrei ceduto, se qualcuno non ci avesse spintonato. Trattenni l'irritazione, solo per dissuadere qualcun altro dal provarci, e perlomeno evitai che cadessimo entrambi a terra.
«Ti sei fatto male?» mi chiese lei, preoccupata. Io scossi la testa, fulminando con lo sguardo le due sciagurate che avevano osato spingerci. Si allontanarono in fretta, e sperai che fossero le prime e le ultime.
«È pazzesco.» commentai, incredulo. Non potevo neanche baciarla in pubblico, solo perché c'erano ragazzine gelose di lei? Ma neanche per idea.
«Cosa?» insistette. Lei non sembrava aver notato che l'avevano fatto apposta. Scossi di nuovo la testa, anche perché avrebbe detto che sono paranoico, o qualcosa del genere. Tendeva a vedere il lato buono in ogni cosa, e forse era stata la sua ingenuità che le aveva permesso di vivere bene, fino a quel momento, in Accademia. Ci fermammo insieme alla musica; fu allora che colsi l'occasione per baciarla. Lei si strinse a me, e io desiderai che tutti guardassero, così che nessuno provasse anche solo ad avvicinarla e, soprattutto, speravo che fosse chiaro per Naru che non dovesse più metterle le mani addosso. La lasciai andare, prima che iniziasse il ballo successivo. «Vedi di farti trovare per il ballo in maschera.» che noi avremmo dovuto ballare senza maschera.
Sospirai, fingendomi poco felice dell'idea. «Farò quest'enorme sforzo.» lei rise.
«Che fatica!» commentò, allontanandosi per andare da Ruka. Non avrei dovuto essere irritato come mi sentivo, dato che anche lui aveva una ragazza, che era la migliore amica di Mikan, ma se avessi guardato ancora, probabilmente, avrei usato il mio Alice, per cui, andai a sedermi di nuovo allo stesso tavolo di prima, con l'unica differenza che – fortunatamente – le amiche di Mikan si erano tutte volatilizzate. Imai ballava con suo fratello, diventato insegnante fin da quando si era diplomato, mentre le altre due cercavano disperatamente di avere un ballo da Misaki, il professore di biologia delle elementari. Mi lasciai cadere sulla sedia, sbadigliando.
«Ehm...» disse una voce timida, diretta a me. «Ehm... Hyuuga-kun...» aprii gli occhi, per guardare chi era la sfortunata che mi stava disturbando. La guardai dalla testa ai piedi: a una prima occhiata mi sembrava una ragazzina delle medie, come da me supposto in precedenza, che cercava di avere un ballo con me. Lei mi sorrise, imbarazzata.
«No.» risposi, senza che lei mi ponesse la domanda. «Io non ballo.»
«Ho capito... mi dispiace.» fu tutto quello che disse prima di correre via. Beh, se non altro era stata meno insistente di tutte quelle che avevo incontrato fino a quel giorno. Prima che il ballo finisse, arrivarono, se non ne avevo tralasciata qualcuna, quindici ragazze a chiedermi di concedere loro il successivo. Li rifiutai tutti e quindici: non avevo avuto la minima intenzione di ballare con nessuna di loro.
«Sei gentile come una lastra di marmo» mi fece notare Imai, sedendosi al mio stesso tavolo. Io la guardai, chiedendomi che volesse. Lei stava dando dell'insensibile a me? «Mi chiedo proprio cosa ci trovi Mikan in te.»
«Potrei porgerti la stessa domanda, riguardo a Ruka.» la rimbeccai. Lei non si scompose affatto, anzi, sembrava addirittura più tranquilla, anche se non potei affermarlo con certezza, dato che la sua espressione non cambiava praticamente mai.
«Forse le piace semplicemente la gente che la tratta male.» ipotizzò lei, spingendomi a domandarmi perché stessimo affrontando quella discussione. Di sicuro, Mikan non era una masochista e io non la trattavo male, mi sarebbe piaciuto sapere perché diamine tutti credessero che lo facessi. «O forse pensa che la sua presenza possa aiutare le persone tristi a sorridere.»
«Probabile.» concessi, dimostrando scarso interesse. Non capivo dove volesse andare a parare con quelle parole. Mi morsi il labbro inferiore, quando vidi Mikan ballare insieme a Naru e sentii l'irritazione crescere. Forse avrei dovuto dirgli di starle un po' più lontano, almeno lo spazio per far passare in mezzo a loro un treno, o un camion con rimorchio.
«Ascoltami bene, Hyuuga.» Imai attirò di nuovo la mia attenzione, con la sua voce incolore. «Mikan è una ragazza sensibile, come tu ben sai, o dovresti sapere.» mi voltai verso di lei, aspettando che arrivasse al punto. «Ho visto che avete risolto i vostri recenti problemi, o forse è solo Mikan che ingigantisce le piccole discussioni. Non lo so e non lo voglio sapere.» bene, forse era la prima persona che si faceva gli affari propri. «È molto attaccata a te, perciò, vedi di non farla soffrire più. Le mie invenzioni possono essere pericolose quanto il tuo Alice.» potevo dire che ci fosse una non troppo velata minaccia in quelle parole, ma non fece molto effetto su di me: ero abituato a cose ben peggiori. «Immagino che dovrei andare a recuperare il mio ragazzo, prima che le sue spasimanti lo sommergano.» il suo tono era improvvisamente cambiato, come se prima non stesse avesse minacciato di fare chissà cosa con le sue strane attrezzature. Sospirai, appoggiando la testa sulla mia mano. Sperai solo che il ballo di Mikan con Ombra non fosse troppo lungo.

Circa un'ora dopo, per l'apertura dei regali, avevamo – più che altro, gli altri – deciso di aprirli tutti insieme, nella stanza del rappresentante di classe. All'inizio avevano proposto la mia perché era la più grande, ma io mi ero rifiutato categoricamente: non volevo troppa gente in giro a curiosare tra le mie cose. E poi, ero di malumore, non solo perché Mikan, appena avevamo finito di ballare il “ballo in maschera”, aveva pensato di fare un regalo anche a Naru e Ombra, ma anche perché Naru e Ombra avevano pensato di farne uno a lei.
«Che guastafeste!» era stato il commento di Mikan, rivolto a me, mentre ci dirigevamo verso la seconda stanza scelta. Quando siamo arrivati, lui ci ha fatto strada e ci ha detto di comportarci come se fossimo stati in camera nostra. «Sei così gentile, Yuu!»
«Non esagerare, Mikan-chan.» fu la sua risposta, mentre ci apriva la porta. «Sedetevi pure dove volete.» eravamo troppi per le due poltrone e il letto, per cui alla fine decisero che ci saremmo seduti tutti a terra.
«Allora,» esordì Ruka, rompendo il leggero silenzio che si era creato. «chi vuole dare per primo i suoi regali?» tutti lo guardarono, e lui restituì lo sguardo, confuso.
«Potresti farlo tu, già che l'hai proposto.» propose Imai, indifferente. «E poi continuare col tuo vicino.» Ruka mandò giù la saliva rumorosamente. Poi, annuii, rigido come un robottino.
«Allora,» ricominciò, distribuendo regali per tutti. «Tieni, Hotaru.» a lei aveva regalato un portafortuna con una pietra Alice. Chissà se questo avrebbe detto qualcosa a Mikan. «Questo è per te, Mikan-chan.» a lei regalò una sciarpa a strisce colorate. A me, invece, l'ultimo volume appena uscito del manga che stavo leggendo. Beh, avrei avuto qualcosa da fare mentre gli altri si preparavano per gli esami. Il turno di Mikan – che aveva collezionato un libro per smetterla di dire idiozie da parte di Imai e tantissimi altri regali che non ricordavo – fu l'ultimo.
«Tieni, Sumire, questo è per te! Spero che scrivere ti aiuti a sfogarti dai tuoi problemi, qualunque essi siano!» le porse una specie di diario segreto, con qualche particolarità Alice. Lei la guardò, come se avesse voluto ammazzarla.
«Non lo fare,» la fermò Imai, tranquilla come se stesse facendo l'uncinetto. «non lo fa con malizia. È che proprio non ci arriva.» in questo caso, non aveva tutti i torti.
Mikan le guardò, come se aspettasse da loro una spiegazione che, però, non arrivò mai. Quindi, si concentrò sulla distribuzione dei regali che rimanevano. Aspettavo solo di sapere cosa c'era per me, dato che mi aveva assicurato che sarei rimasto senza parole. Fece il giro finché non arrivò quasi alla fine. «Questo è per te, Hotaru.» e le mise in mano un cappellino da cui spuntava un fiorellino, a caso, da uno dei lati. Imai non fece commenti. «Invece, questo è per te, Ruka-pyon. Appena li ho visti, ho pensato subito a te!» infatti, erano delle calze con dei conigli.
«Grazie mille, Mikan-chan!» disse lui, nascondendo in fretta le calze dietro la schiena. Mi domandai se le avesse comprate in un negozio per bambini: Mikan era proprio negata in fatto di regali.
«E questo è l'ultimo.» mi accorsi che teneva qualcosa gelosamente dietro la schiena. «Ci terrei a farti sapere che l'ho fatto a mano, e ci ho messo anche un sacco di tempo.» fece uno dei suoi sorrisoni, mentre avevo sentito un brutto presentimento alle parole “fatto a mano”. «Buon Natale, Natsume! Questo è per te.» mi diede il gigantesco pacco, che non impiegai molto a scartare. Dentro c'era un maglione. Non sembrava neanche tanto male, a prima vista e per un attimo mi ricredetti; ma quando lo girai per vederlo, ci rimasi di sasso: la promessa era stata mantenuta. Ero decisamente senza parole. Credo di non essermi mosso per un po', dato che non sapevo bene come reagire. «Mikan...» cominciai, mentre lei mi guardava speranzosa.
«Allora, ti piace?» mi domandò, con gli occhi che brillavano per la contentezza. Sorrisi un po' – molto – forzatamente.
«Mikan... come mi chiamo, io?» ero perfettamente cosciente che era una domanda strana, cosa che era confermata dagli sguardi perplessi e confusi dei miei compagni di classe. Lei mi guardò come se avessi avuto dei seri, irrisolvibili problemi. «Rispondi e basta.»
«Natsume, perché mi fai questa domanda?» era confusa anche lei. Quindi, per farle capire meglio, girai il maglione verso di lei, che mi guardava ancora come se non capisse, ma gli sguardi dei miei compagni erano diventati quasi compassionevoli. Imai si limitava, invece, a scuotere la testa.
«C'è una “K” sul maglione, non so se l'hai vista.» le feci notare, indicandogliela. La cosa mi stupiva non poco, dato che non capivo come una “K” potesse far venire in mente il mio nome. «Non è che era per qualcun altro?» non che lo credessi seriamente, ma non riuscivo a trovare una spiegazione logica.
Lei fece una smorfia. «Sei uno scemo!» mi sgridò, strappandomi di mano il maglione, che, guardandolo meglio, mi sembrava anche troppo piccolo per me. Se lo strinse al petto, guardandomi male. «Non è una “K” è una “N”.»
Dopo quella frase capii ogni cosa, collegandolo con quel “fatto a mano” che prima mi aveva tanto fatto effetto. «Scusa.» ero incerto su come comportarmi. «Ehm... probabilmente ho visto male.» lei me lo porse di nuovo, ma mi guardava come se non si fidasse delle mie parole. Fissai di nuovo la “K”: non ci potevano essere errori. Era proprio una “K”. «In effetti, sembrano più dei bastoncini da shangai devastati.»
Lei me lo strappò di mano, di nuovo. «Screanzato!» mi schiaffeggiò un braccio e si girò dall'altra parte, offesa, tenendo il maglione stretto a sé, borbottando qualcosa sull'insensibilità dei ragazzi perfino il giorno di Natale. Chissà che avevo detto, poi: era vero, anzi, era proprio una “K” e io che avevo anche cercato di sdrammatizzare!

Mi ero appena steso sul letto quando la voce di Mikan mi raggiunse le orecchie. Appena mi alzai per andarle ad aprire, notai la giacca del mio vestito buttata malamente a terra. Non la raccolsi: per me poteva restare lì per sempre. Quando aprii la porta, vidi Mikan con un'espressione terrorizzata, e mi venne un colpo, pensando alla frase sibillina del preside di qualche giorno prima. Sperai ardentemente che non l'avesse incontrato di nuovo.
«Che succede?» volli sapere, tirandola in fretta dentro la camera per un braccio e richiudendo la porta alle sue spalle. Lei ci mise un po' prima di parlare. «Mikan?»
«Scusa, è che ho fatto una corsa micidiale.» replicò, prendendo fiato. Sembrava più tranquilla, ma temevo comunque che qualcosa la turbasse. «Ho cercato Hotaru dappertutto, ma non riesco a trovarla.» era questo il suo problema... Imai? Quella chissà dov'era a fare chissà cosa con Ruka! Ma lei mica l'aveva capito che stavano insieme. Ruka aveva confessato senza che gli chiedessi niente, e quel giorno, a Central Town, mi aveva reso partecipe dei dettagli: stavano insieme da quasi cinque mesi, ma la cosa non mi interessava particolarmente, in quel momento. «E non trovo nessun'altra ragazza.» avrei tanto voluto sapere quando avesse intenzione di arrivare al punto.
«E quindi?» la interruppi, capendo di essermi preoccupato per niente. Sperai che non dovesse più creare falsi allarmi come questo, o avrei avuto seri problemi di pressione.
«E quindi questo coso è impossibile da togliere, aiutami.» si indicò la chiusura del vestito che era fatta solo di stramaledetti, minuscoli bottoni. Un sorriso malizioso comparve sulle mie labbra.
«Andiamo,» la incitai, ritenendo impossibile che fosse tutto lì. «non sei qui solo per questo, di' la verità.» sul momento, mi sembrava quasi impossibile che fosse venuta lì con certi pensieri.
E infatti, lei mi guardò in un modo che mi fece capire che non sapeva a che cosa mi stavo riferendo. Sospirai. «Che intendi?» appunto.
Beh, di sicuro non avevo problemi a mostrarglielo. «D'accordo.» concessi, mettendomi dietro di lei, per cominciare a sbottonare quell'arnese. «Proprio questo vestito dovevi scegliere?» era una trappola, oltre che orribile. Il peggio del peggio!
«È bellissimo!» protestò lei, come se questo bastasse a pareggiare i conti con tutti quei bottoni. «E poi era uno degli ultimi rimasti.» potevo capire benissimo perché: era una tortura. Non tutte avevano un ragazzo servizievole come me che sganciava anche i bottoni del vestito, nonostante l'orribile regalo che aveva ricevuto. Al solo ripensarci mi vennero i brividi. La “K” era stata di sicuro la parte migliore. «Dannatamente idiota, chiunque abbia cucito questo coso.»
«Qualcuno con l'Alice del cucito, o qualcosa del genere, di solito pensano sempre loro agli abiti.» mi disse lei, pensierosa. «Fatto?» fatto? Ma se non avevo neanche cominciato!
«No.» Il fatto era che c'era una strada molto più breve. «Stavo pensando che...»
«No.» mi interruppe bruscamente, col tono di quella che, categoricamente, non cambierà idea. «Non provare nemmeno a proporlo.»
«Ma se non sai neanche che voglio dire!» protestai; effettivamente, dubitavo che potesse immaginare cos'avessi in mente... se non altro avrebbe preso fuoco bene.
«Lo vuoi tagliare, per caso?» si girò verso di me, con uno sguardo accusatore. Beh, non proprio.
«Bruciarlo, veramente.» ammisi, con naturalezza. Lei mi guardò anche più sdegnata e spalancò la bocca con orrore.
«Come hai potuto anche solo lontanamente pensare una cosa simile?» sbottò, sempre più sconcertata, avvicinandosi. Beh, non c'erano molte soluzioni, a dire la verità. «Lo sai quanto può aver lavorato, chiunque abbia cucito questo vestito?» si avvicinò ancora, con aria sempre più accusatoria. Io alzai gli occhi al cielo: quante paranoie per un pezzo di stoffa. «E poi, non pensi che potrebbe essere un pochino, ma solo un pochino pericoloso bruciarmelo addosso?» e secondo lei, io non ci avevo pensato?
«Non sono mica un idiota.» le feci notare, infatti. «So come controllare le fiamme. E poi pensavo di bruciare le asole dei bottoni.» ma lei continuò a scuotere la testa, irremovibile. Sbuffai: come rendere complicata una cosa semplicissima.
«Non mi interessa.» mi rispose, piccata. Certo che quando ci si metteva, era proprio una testona. «Sbottonalo come farebbe un normale essere umano. Senza Alice.» evitai di dirle che non c'era bisogno di specificarlo. Sbuffai di nuovo: ci avrei messo tutta la notte. Io odiavo i bottoni, specialmente quelli piccoli.
«D'accordo,» sospirai, rassegnato. «ma la prossima volta che vieni qui con una cosa del genere, ti assicuro che la brucerò, qualunque cosa tu dica.»
Lei annuì, come se credere a ciò che avevo detto fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto. «Ti adoro.» confessò prima di baciarmi leggermente sulle labbra. Si girò di nuovo, lasciando che facessi il lavoro pesante. «Dai, su, che prima cominci, prima finisci.» mi venne da chiedermi, per un attimo, se mi stesse prendendo in giro.
Iniziai il mio gravoso compito, e quando dopo non so quanto tempo arrivai alla fine, scoprii che, sotto, c'era un'altra fila di bottoni. Avevo davvero una voglia irrefrenabile di dargli fuoco. «Chi è stato il santo che te l'ha messo?» le chiesi, spazientito.
«Hotaru.» sbuffai: parlava più di lei che di tutto il resto, quasi. Non era normale essere geloso di una ragazza. Cioè: era abbastanza umiliante. Quante volte l'aveva nominata nello spazio di dieci minuti? Quando cominciai a sbottonare la seconda fila, decisi che non avrebbe dovuto pensare né a lei, né ad altro, quella sera. «Ma cos'è, un'armatura?» mi chiese poi, ridendo.
«Non vuoi davvero saperlo.» le assicurai, dopo aver sbottonato l'ultimo, dannatissimo bottone, cingendole la vita con le braccia e avvicinandola a me. Lei lasciò che lo facessi. Mi avvicinai di più, ma quell'impalcatura che aveva in testa, e che Mikan si ostinava a chiamare acconciatura, era troppo fastidiosa; per cui, per prima cosa, me ne liberai. Si era conciata in modo assurdo, per la festa di Natale. Buttai distrattamente a terra ogni malefico arnese che aveva in testa e che le teneva i capelli: sembrava un intricato e sadico groviglio di serpenti. Quando finalmente furono sciolti, glieli scostai dalla spalla per baciarle il collo, strappandole un sospiro, che mi fece sorridere sulla sua pelle.
«Natsume...» adoravo come suonava il mio nome quando lo diceva con quel tono. «un... aspetta un attimo...» mi staccai da lei, sinceramente curioso di sapere quale fosse il problema. Lei girò leggermente la testa per guardarmi, appoggiandola sulla mia spalla. «La porta... non facciamo come stamattina.» un sorriso malizioso comparve sulle mie labbra e lei distolse lo sguardo, balbettando qualche giustificazione, ma non capii neanche una parola. Chiusi la porta a chiave e tornai esattamente dov'ero, ma stavolta lei posò le sue mani sulle mie, come aveva fatto qualche giorno prima in sala. «Devi ancora chiedermi scusa per il maglione.» mi ricordò, anche se non sentivo particolare convinzione nella sua affermazione.
Sorrisi. «Scusa.» le sussurrai all'orecchio. Lei rabbrividii. «Altro?» chiesi, lei dissentì. Ricominciai a baciarla, stavolta partendo dalla guancia. «Sicura, nient'altro?» rispose allo stesso modo. «Bene.» la sentii sospirare di nuovo, quando le mordicchiai il collo, facendo attenzione a non farle male. Stringeva la presa sulle mie mani tutte le volte che facevo qualcosa che le piaceva particolarmente. Poi, però, si allontanò un po', per girarsi verso di me, senza ascoltare le mie proteste. Mi circondò il collo con le braccia, per poi avvicinare il suo viso al mio. Mi morsi il labbro inferiore, in attesa che facesse qualcosa. Si fermò a poca distanza da me e sorrise, tenendo gli occhi chiusi. Era così adorabilmente irritante. Le diedi un leggero bacio sulle labbra, interrotto da una delle sue mani che mi afferrarono la camicia. Mi sentii trascinare, finché non cademmo sul letto.
«Interessante.» commentai, quando lei aprì gli occhi. Dopodiché avvertii soltanto la sensazione delle sue labbra a contatto con le mie, e pensai pigramente che non volevo sentire nient'altro, almeno per quella notte.

*****

Risposte alle recensioni:

marzy93: allora? Che ne pensi del regalo di Mikan per Natsume? È stato abbastanza traumatico XD?
nimi_chan: infatti! XD Natsume non si smentisce mai. I capitoli non sono tanto lunghi, anzi, alcuni mi sembrano anche troppo corti. :P
mikamey: di solito aggiorno a distanza di due settimane. Per il manga, io non vedo l'ora che esca il prossimo capitolo *.*

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89

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Capitolo 7
*** Capodanno ***


Capitolo 7 – Capodanno
(Mikan)

Eravamo stesi sotto le coperte, io avevo la testa sulla sua spalla, e mi accucciavo di più a lui, perché stavo morendo di freddo. Natsume mi strinse più forte, ma non aprì gli occhi; arrossii, ripensando al tempo appena trascorso.
«Hai freddo?» mi chiese, dopo un po', guardandomi un attimo per poi richiudere gli occhi. Io gli sorrisi, mentre sentivo che usava il suo Alice. Mi allarmai subito: l'altra volta gliel'avevo permesso solo perché non ci avevo ragionato su, ma la sua vita si sarebbe accorciata nella stessa misura in cui usava il suo Alice. Non potevo permetterglielo.
«Non devi farlo!» protestai, pregando perché smettesse. «È pericoloso!» lui mi accarezzò i capelli, che mi aveva sciolto. Lo faceva sempre, proprio non riusciva a sopportare le mie codine.
«Ne stavo usando talmente poco...» fu la sua debole replica, mentre si sistemava in una posizione più comoda. Non sapevo neanche se preoccuparmi o meno.
«Sì ma tu sei stanco morto.» osservai, mettendomi seduta. Lui aprì un occhio per guardarmi, poi fece un sorriso malizioso che mi fece arrossire un po'.
«Qualcuno mi ha tenuto impegnato per un pezzo.» rispose. Io distolsi lo sguardo da lui, sentendo le guance infiammarsi talmente che pensavo potessero scoppiare, anche se non capivo perché mi imbarazzavo sempre. Mi attirò di nuovo a sé, baciandomi la fronte e appoggiando la testa sulla mia. Io mi rilassai, anche se sentivo ancora freddo. «Dai, tremi come una foglia. Non fare storie.»
«Non serve il tuo Alice.» chiarii, decisa. Sul letto, l'unico indumento rimasto era la sua camicia, e optai per quella, dato che avevo già sperimentato che i suoi vestiti mi stavano abbastanza bene. La presi e la indossai. Era abbastanza strano vedere che mi arrivava a più di metà coscia e che, per vedere le mie mani, dovessi arrotolare la manica un po'. «Visto?»
Lui mi guardò, con entrambe le sopracciglia inarcate. «Avrai freddo comunque, e, come al solito, sapremo che ho ragione io.» pronosticò, con tono disinteressato. Riusciva a essere irritante anche quand'era stanco. Poi, sollevò le coperte, in modo che io potessi infilarmici sotto; mi morsi un labbro: non poteva essere antipatico e l'attimo dopo completamente l'opposto. Che razza di personalità aveva?
«L'offerta potrebbe non interessarmi.» gli feci notare, giocosamente. Lui sogghignò: sapevo che non mi credeva, anche perché gli avevo dimostrato più volte che non era vero.
«Potrebbe, in effetti.» convenne, come se davvero contemplasse l'ipotesi. Poi sorrise maliziosamente. Mi faceva sempre raddoppiare il battito cardiaco quando lo faceva. «Ma sappiamo entrambi che non è così.»
«Come siamo modesti, eh?» guardai l'ora prima di accettare il suo invito, e mi rilassai nel posto che avevo lasciato caldo. Quando poi lui mi strinse di nuovo, la temperatura divenne perfetta. Stavo quasi per contemplare seriamente l'idea di non muovermi di lì per il resto dell'inverno, e la temperatura era talmente ideale che mi sarei riaddormentata se lui non avesse cominciato a parlare.
«Quanto manca?» volle sapere, avendo sicuramente notato il mio gesto. Lo guardai stupita, non credevo che fosse riuscito a vedermi anche con gli occhi chiusi, o forse aveva solo immaginato che l'avrei fatto. Natsume mi conosceva davvero come le sue tasche.
«Solo qualche minuto.» risposi, improvvisamente raggiante e piena di energia: tra un po' sarebbe stato Capodanno, cioè il mio compleanno, e sprizzavo gioia da tutti i pori: finalmente avrei compiuto diciassette anni!
«Bene.» sussurrò, accarezzandomi il viso e guardandomi dolcemente. Mi si sciolsero le ginocchia; un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra, e sentivo anche l'ormai familiare sfarfallio allo stomaco. Se il solo guardarlo negli occhi mi suscitava tutto questo, ero davvero nei guai.
Si avvicinò a me e io chiusi gli occhi quasi automaticamente; la sensazione delle sue labbra sulle mie mi faceva sempre sentire straordinariamente leggera. Avrei anche potuto restare così per sempre, ma fummo interrotti poco romanticamente dal suono della sveglia, eterna guastafeste, che io avevo insistito per mettere. Natsume sussurrò qualcosa che, però, io non sentii.
«Come hai detto, scusa?» domandai, curiosa. Sembrava in imbarazzo: era così carino! Veniva solo voglia di abbracciarlo, a vederlo così.
Sbuffò, guardandomi storto come se lo stessi costringendo a dire qualcosa di tremendo, come quando mi aveva faticosamente fatto gli auguri di Natale. «Ho detto: buon compleanno, Mikan.» gli sorrisi, baciandolo sulla guancia. Non sapevo per quale motivo gli desse fastidio, ma se stavolta lo fece, non lo diede a vedere.
«Grazie.» mi strinse, appoggiando di nuovo la testa sulla mia. La temporanea energia che avevo guadagnato al pensiero dei miei diciassette anni, sfumò così com'era venuta.
«Ora dormi.» mi consigliò. Mi sembrò decisamente assonnato. «Altrimenti tra qualche ora, chi ti sveglia?» come se far alzare lui fosse una passeggiata!
«Antipatico.» fu la mia risposta, mentre sbadigliavo anch'io, sistemandomi contro di lui il più comodamente possibile.

Aprii stancamente un occhio, mentre la luce che trapelava dalla finestra mi infastidiva come una zanzara che ronza proprio vicino all'orecchio. Mi girai dall'altra parte: stranamente, mancava qualcosa. Aprii anche l'altro occhio, e potei notare, benché ancora quasi dormiente, che quel qualcosa era Natsume.
«Natsume?» mi sedetti nel letto: perché finiva quasi sempre così? Non sentivo il rumore della doccia, quindi, sicuramente, lui non era lì. «Natsume?» sbadigliai. La cosa che mi metteva in difficoltà era che i miei vestiti e i suoi fossero spariti dalla stanza, e che io avessi addosso soltanto quella camicia che avevo preso qualche ora fa. Chiaramente, conciata in quelle condizioni, non potevo pretendere di andare in giro per l'Accademia a cercarlo. Speravo solo che non fosse partito per un'altra missione, altrimenti, questa volta, l'avrei picchiato sul serio. Potevo capire che non volesse farmi preoccupare, ma mi aspettavo che me lo dicesse comunque. Un'altra giornata passata ansiosamente non era proprio ciò che mi serviva.
«Brutto idiota!» sbottai, ributtandomi sul materasso, sentendomi inutile. La porta scattò, facendomi fare un balzo che mi permise di coprirmi fino al collo. Strillai, senza neanche rendermene conto. «Chi è?» la mia voce era piuttosto isterica: mi spaventava l'idea che qualcuno fosse entrato mentre io ero mezza nuda nel letto di Natsume: altri pettegolezzi si sarebbero diffusi per l'Accademia – e non mi andava decisamente a genio che qualcuno mi vedesse così poco vestita: il nonno lo diceva sempre che è disdicevole. Già che avevano quasi smesso di parlare di noi!
«Aspettavi qualcun altro?» mi tranquillizzai quando sentii la voce di Natsume. Quando mi sollevai di nuovo, lo vidi con il cesto della lavanderia in mano. Arrossii per tutti i brutti pensieri che avevo fatto su di lui. «E chi sarebbe il brutto idiota?» certo che quando non doveva sentire, sentiva sempre tutto quanto. Che cosa potevo rispondergli, adesso?
«Niente... lascia perdere.» balbettai, non sapendo che altro dire. Lui sospirò, con la faccia di quello che lascia perdere, ma che ti fa capire che è solo una cosa temporanea. Sbuffai, piano: lui poteva insultarmi, ma io no. Che razza di giustizia era quella?
«Dai, alzati.» mi lanciò i vestiti puliti. A volte sapeva essere delicato come un elefante su un tappetino elastico. Contrariata, cercai di alzarmi, ma stare lì al calduccio era troppo invitante per rinunciare. «Mikan...» mi chiamò proprio quando ero sul punto di riaddormentarmi di nuovo.
Mugolai, irritata. «Che fretta c'è?» voleva proprio allontanarmi dal calduccio e dalla comodità? Lo sentii sospirare, di nuovo; forse avrei dovuto contare le volte che lo faceva in ventiquattr'ore e scoprire che erano molte di più di quelle che pensavo.
«È tardi, dobbiamo mangiare, preparare quei cosi e andare al tempio per quella faccenda di Capodanno, mi sbaglio?»
«Guastafeste!» commentai, mettendomi il cuscino sopra la testa. «E poi, i mochi sono buonissimi!» pensai che non ne avevo mai fatto uno per lui; dovevo assolutamente rimediare: la tradizione è la tradizione, dopotutto. Lui, per tutta risposta, mi strappò via le coperte; per fortuna che avevo quella camicia, altrimenti sarei morta di freddo! Mi raggomitolai su me stessa, in cerca di un po' di calore. «L'hai promesso a quella tua amica, no? Le hai detto che saresti andata al tempio. Sono due settimane che me lo ricordi. Forse tu l'hai dimenticato, ma io no.» non me l'ero dimenticato! Ma il tempio mica scappava via, no?
«Non sono stata così asfissiante.» puntualizzai, mentre combattevo per tenere il cuscino dove avevo appoggiato la testa, dato che lui stava cercando di portarmelo via. «Tu non sai cosa sia la delicatezza.» riusciva ad essere così... così... scortese. Non c'era un altro aggettivo per definirlo.
Sbuffò, rassegnato. «Senti, sono anche stato in lavanderia. Okay? Io, in lavanderia.» sottolineò, come se la sola idea fosse inconcepibile. «perché i vestiti che hai qui avevano bisogno di essere lavati e perché gli inservienti che di solito puliscono la mia stanza e mi portano le cose dalla lavanderia non ti vedessero così.» mi sentii improvvisamente in colpa. Ci scommetto che lo sapeva che, parlandomi in quel modo, mi avrebbe costretta ad alzarmi. «Adesso devo cambiare il letto. Se tu intanto ti preparassi, sarebbe tutto più veloce, non trovi?» mugolai di nuovo. «Dai, non costringere me a farlo.»
«Non lo faresti.» replicai, sicura delle mie parole. L'unica cosa che faceva lui, praticamente tutto il suo tempo, era stuzzicarmi a parole.
«Non dovresti esserne così sicura.» osservò, salendo sul letto con le ginocchia. «Potrei anche farti la doccia, in uno slancio di...» parve pensarci un po', prima di trovare la parola giusta. «...disponibilità.» arrossii, e mi tirai su di scatto.
«Maniaco...» sussurrai, ma lui non mi ascoltò, mi prese di peso, cominciando a dirigersi verso il bagno. «Fermati! Fermati, posso fare da sola!» scalciai in modo che mi mettesse giù.
«Finalmente!» commentò, sollevato, mentre sentivo i miei piedi toccare per terra. «Sbrigati, altrimenti quegli ingordi non ci lasciano niente per colazione.» dopo quelle parole, mi ricordai che a Capodanno, non si facevano più distinzioni in base alle stelle che si possedevano – che fortuna! –, quindi mangiavamo tutti insieme intorno a dei tavoli rotondi. Il mio stomaco, al ricordo di quei fantastici banchetti, cominciò a brontolare. «Visto che anche tu hai fame?»
Cercai di fare una smorfia, ma sorridevo. «Ma perché devi avere sempre ragione tu?»
«Perché sono troppo forte.» fu la sua modesta risposta. Alzai gli occhi al cielo, prima di entrare in bagno: si poteva adorare alla follia e trovare irritante nello stesso tempo la stessa persona?

Quando arrivammo dagli altri, erano quasi le nove, ma ancora non avevano cominciato a mangiare, anzi, sembravano arrivati anche loro in quel momento. Sbadigliavano quasi tutti, e c'era anche chi era ancora in pigiama.
«Ehilà!» Nonoko agitò il braccio per attirare la nostra attenzione. Afferrai la mano di Natsume e lo trascinai nella direzione della mia amica, anche perché poco distante, era seduto Ruka-pyon di fronte ad Hotaru. Mi guardai intorno circospetta, aspettando di veder spuntare la sua fidanzata, ma non arrivò nessuno. «Buon compleanno, Mikan!»
«Grazie!» abbracciai la mia amica, sedendomi subito dopo accanto a lei. «Ovviamente, stasera siete tutti invitati alla mia festa!» era un'altra buonissima occasione per stare insieme a tutti i miei amici.
«Fai la festa?» chiese Anna, che mi parve stupita. Io la guardai, aspettando che dicesse altro. «Non saremo... ecco... come dire...?»
«D'intralcio.» concluse Sumire, acida, prendendo posto vicino a Youichi, scostandosi i capelli dalla spalla. Intralcio? Perché mi sembrava che parlassimo di due cose diverse, tutte le volte che intraprendevamo una discussione?
«Per quale motivo?» volli sapere, confusa. Non avrei detto una parola, se solo lontanamente avessi pensato che potessero essere d'intralcio! Ma... d'intralcio a che?
«È il tuo compleanno, maledizione!» osservò di nuovo Sumire, la qual cosa mi fece sbattere le palpebre, nel vano tentativo di capirci qualcosa. «Pensavamo che volessi passarlo... beh... in altro modo.» concluse sbrigativamente, come se la sola idea la disgustasse e mi chiesi cosa avrei dovuto fare se non la festa per il giorno del mio compleanno. Insomma, non riuscivo a immaginare come potesse essere un compleanno senza gli amici che ti stanno intorno e ti portano un regalo, con tanto affetto, perfino Natsume aveva organizzato la sua e lui, forse, era il meno incline a fare questo genere di cose nell'intero pianeta.
Quando finalmente ci portarono la colazione, mi accorsi di avere una fame da lupo, ma, come era sempre successo da che ero arrivata alla Alice Academy, arrivarono tutti prima di me e restarono solo cose che, com'è normale, non piacciono a nessuno. Il caso aveva voluto che non piacessero neanche a me. Insomma, la sfortuna più totale.
«Questa è ingiustizia.» protestai, infatti, guardando i piatti pieni di tutti quelli seduti al mio stesso tavolo, con l'acquolina in bocca. Oh, sì: era una grandissima ingiustizia. Mandai giù la saliva, desiderando che ci fosse anche qualcosa di commestibile sotto i miei denti. Incrociai le braccia al petto, fissando tristemente il mio piatto vuoto, il giorno del mio compleanno. Questo era ancora più ingiusto.
«No, è la legge del più veloce.» mi fece notare, molto carinamente, Natsume. Lo guardai male, suscitando, da parte sua, soltanto un sorriso malizioso. «Non sopravviveresti due secondi, se dovessi combattere per il cibo.» come se non fosse già tutto abbastanza triste, anche lui si mise a mangiare sotto il mio naso. Bisognava proprio dirlo: che galantuomo.
«Per fortuna, allora, non devo farlo.» replicai, sperando di riuscire a commuoverlo almeno un po'. Neanche mi passava qualcosa che si era preso per sé: era così sgarbato, certe volte. «Anche perché mi lasceresti morire di fame, brutto scemo.»
«Non puoi saperlo.» osservò, mentre addentava la sua fetta biscottata, che aveva un'aria particolarmente invitante. Avrei voluto rispondergli che, invece, lo sapevo con certezza, date le circostanze, ma non dissi niente, interrotta dalle sue parole. «Prendi, non ho fame.» spinse il suo piatto verso di me, alzandosi, e all'improvviso mi sentii ignobile ad aver pensato certe cose su di lui.
«Dove vai?» alzai lo sguardo su di lui, sinceramente stupita. Lui, per tutta risposta, alzò le spalle, come se la cosa non fosse importante. Ma che gli costava dirmelo?
«A fare una cosa.» rispose, sibillino, facendo accrescere ancora di più la mia curiosità. Ma il piatto che mi aveva lasciato davanti mi attirava troppo per permettermi di corrergli dietro e scoprire che aveva intenzione di fare.

Ero in camera mia che cercavo il mio kimono, per andare al tempio con le altre, con cui mi ero messa d'accordo per vederci di lì a mezz'ora, davanti alla fontana più grande che c'era nella sezione delle superiori. Il mio stomaco ancora brontolava: avevo ancora una fame da lupi, dopotutto quello che io e Natsume avevamo diviso non era una gran porzione. Avevo appena preso il mio splendido e nuovo kimono, quando arrivò a rovinare tutti i miei piani proprio Natsume, facendomi prendere un colpo: aveva spalancato la porta senza neanche bussare. Prima di tranquillizzarmi ci volle un po', ma lui non ci fece molto caso.
«Mettiti qualcosa di comodo, lascia perdere il kimono.» parlò sbrigativamente, mentre mi strappava il kimono dalle mani e lo buttava sul letto. «Ci vediamo giù tra cinque minuti.» concluse prima di uscire di nuovo, veloce come era entrato, tanto che mi chiesi se fosse stato passato davvero o era stata solo la mia immaginazione. Poi guardai il kimono e... no: c'era stato davvero; quando ritornò indietro, mi fece prendere un altro colpo, tanto che per poco non mi misi a gridare. «Possibilmente, evita le gonne.» che aveva in mente?
Fu quando scesi nel cortile che tutto mi fu chiaro. Beh, quasi tutto, in effetti. Il che significava che non immaginavo nemmeno il motivo per cui una cosa del genere fosse nel cortile dell'Accademia. «Ehm... Natsume?» lo chiamai, ma non ricevetti una risposta composta di parole, ma un casco, che non lasciai cadere a terra per pura fortuna. Comunque fosse, quello non spiegava un bel niente. Lo guardai confusa. «Che succede?»
Lui sbuffò, da sopra la sella della moto, infilandosi il casco con fare esperto, il che mi portò a chiedermi quando mai lui avesse imparato ad andare in moto. «Succede che andiamo a Central Town, come ti avevo già detto.» beh, d'accordo, ma... io non potevo andarci!
«E il tempio? E i mochi?» gli ricordai, sperando che, rammentando tutti gli impegni di noi studenti a Capodanno, rimandasse la nostra uscita. Ma, ovviamente, ogni mia speranza risultò vana.
«Chi se ne importa!» sbottò, facendomi cenno di mettermi dietro di lui. Altri problemi erano: perché non prendevamo l'autobus? E da dov'era spuntata quella moto? «Gli autobus ci sono solo oggi pomeriggio, perché è Capodanno anche per gli autisti, e se tu non vuoi fare la festa domani, è il caso che ci sbrighiamo.» era come se mi avesse letto nel pensiero, ancora una volta. Doveva avere altri Alice, oltre a quello del fuoco, nascosti da qualche parte. Cedetti. Sospirando, presi posto dietro di lui, dopo aver allacciato il casco, ma non ero sicura che dovesse stare così largo. Ma forse ero solo io che non avevo mai visto una moto in tutta la mia vita.
«Da quando tu sai guidare la moto?» ero proprio curiosa di saperlo. Insomma, non l'avevo mai visto al volante di uno di quei cosi. Lui fece un sorriso furbo, prima di abbassarsi la visiera del casco sul viso.
«Sono tante le cose che ancora non sai di me.» mi rispose, enigmatico, mentre gli passavo le braccia intorno alla vita. Ma ancora non spiegava come mai ne avesse una. «Non mi chiedi come l'ho avuta?» sussultai. L'idea che potesse leggermi nel pensiero mi fece rabbrividire.
«Natsume?» lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione, pensando che si fosse incantato. «Perché non me lo dici?»
Lo sentii ridacchiare, mentre inseriva la chiave nel quadro. «Sai quel tipo che mi venera come se fossi Dio?» pensai che, probabilmente, stava parlando di quel ragazzo che aveva il suo stesso taglio. «Beh, i suoi amici delle abilità Tecniche gli hanno fatto questo regalo, e lui è stato felice di prestarmelo, quando gliel'ho chiesto. Ma mi ha fatto promettere di riportargliela entro le cinque, dato che ha promesso di far fare un giro alla sua ragazza.» Non sapevo neanche se si potevano tenere mezzi di trasporto come quelli dentro il campus, ma a Natsume non sembrava importare molto. Il rumore prodotto dal motore che veniva acceso coprì le sue raccomandazioni, mentre mi scioglievo le codine in modo tale da non perdere i nastri per capelli che avevo appena riconquistato, e più volte rischiarono, durante il tragitto, di sfuggirmi dalle mani. Natsume partì a tutta velocità e mi diede appena il tempo di aggrapparmi stretta a lui.
Quando arrivammo a Central Town, ero praticamente certa di non voler più risalire su una moto, ma tanto sapevo che per tornare indietro era necessario – a meno di non percorrere la strada del ritorno a piedi e Natsume sarebbe stato capace di farmelo fare –, perciò mi rassegnai alla dura realtà e non gli dissi niente. Pensai anche che ci sarebbe rimasto male: dopotutto aveva chiesto un favore solo per fare una sorpresa a me.
Quando mi vidi riflessa nel vetro di un bar, ero certa che i miei capelli fossero la trasposizione odierna di quelli di Medusa della mitologia greca, mentre Natsume era fresco come una rosa e come se si fosse appena pettinato. Gli invidiavo la sua capacità di rimanere perfetto in qualsiasi situazione. Ma poi fui attirata dal paesaggio: non avevo mai visto Central Town così deserta; c'erano soltanto alcuni negozi miracolosamente aperti, per i ritardatari dell'ultimo minuto, come noi, per esempio, anche se i regali, nel mio caso, non erano quelli di Natale.
«Allora, dove vuoi andare?» domandò Natsume, attirando la mia attenzione. Io lo guardai, confusa: era stato lui a portarmi aveva portata a Central Town, perché voleva saperlo da me?
«Come, scusa?»
Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo, per la seconda volta nel giro di poco tempo. Ma perché non parlava chiaro?
«Siamo qui per il tuo regalo, genio.» mi ricordò, indicandomi tutti i negozi visibili con un gesto del braccio. «Scegline uno, ed entriamo.» spalancai la bocca per lo stupore: mi ricordai solo in quel momento di tutta la discussione che avevamo avuto in camera.
Ci pensai su, per un momento, ma la scelta era troppo difficile. «Non posso.» decretai, infatti. Lui mi fissò con uno sguardo tra l'esasperato e l'incredulo. Mi sorprese il suo sguardo, ma solo perché non era mai successo che fossi io quella che dava spiegazioni. «Ci sono troppi negozi carini!» mi affrettai ad aggiungere, allora: non potevo decidere così su due piedi, con tutto ciò che mi trovavo davanti!
Lo scrutai, mentre si massaggiava lentamente una tempia. Certo che era proprio incline a perdere le staffe facilmente! «Allora, dimmi, cosa vuoi fare?» respirò profondamente, probabilmente per recuperare la calma.
«Facciamo una passeggiata, entreremo nel primo negozio che ci ispira.» proposi, cominciando a camminare. Lui mi seguii in silenzio. Mi sarebbe piaciuto che, per una volta, andassimo in giro come due ragazzi normali, ma non potevo chiedergli troppe manifestazioni d'affetto in pubblico, perfino appoggiami al suo braccio mi preoccupava per via della sua possibile reazione, e quindi andavamo in giro così: lui con le mani in tasca, io lungo i fianchi, mentre un autotreno e un carro attrezzi avrebbero potuto passare comodamente in mezzo a noi. Lo guardai di sottecchi, ma lui osservava soltanto la strada semi deserta che si estendeva davanti a noi. Cercai di concentrarmi sui negozi, dato che l'atmosfera romantica del momento era praticamente assente; le vetrine piene di colori mi misero subito di buonumore e non riuscii a tenermi lontana da nessuna. Guardavo tutto – e avrei voluto comprare tutto –, commentando quanto fosse carino questo o quell'oggetto, cercando, anche se inutilmente, di coinvolgerlo in una qualsivoglia conversazione. Macché: tutto fiato sprecato. Mi domandai a che stesse pensando.
«Entriamo lì! Anche se sono sicura che il nonno avrebbe da ridire su questo.» lo trascinai verso un negozio di vestiti, di solito trovavo sempre lì quello che mi poteva interessare. Lo guardai e vederlo sempre meno partecipativo mi scoraggiò, e mi fece dubitare che si stesse divertendo. «Che c'è?»
Lui mi rivolse improvvisamente attenzione, e fece un sorriso malizioso. «Pensavo.» mi rispose, impedendomi di capire a cosa. «Ho avuto una grande idea.» ma non aggiunse altro, e pensai che volesse che glielo chiedessi direttamente. Annuii, cercando di incitarlo a continuare. «Te ne parlerò tra un po', devo ancora perfezionarla.»
Inutile, se non faceva il misterioso non era contento. «Potresti essere più chiaro?» cercai di esortarlo, perplessa. Lui non abbandonò la sua espressione malandrina, e mi chiesi se quella fosse stata tutta una scusa per giustificare la sua assenza mentale.
«No,» scosse la testa, cominciando a trascinarmi dentro il negozio. Ora era lui che aveva fretta? «non credo.» uffa! Non poteva comportarsi così, però! Io gli dicevo sempre tutto e subito...
«Antipatico.» commentai. Adesso che aveva suscitato la mia curiosità, doveva dirmelo. Così era crudele! «Non si dicono le cose a metà! O si dicono, o non si dicono!»
«Sei sempre la solita curiosona.» osservò, quasi... soddisfatto? Perché diamine doveva divertirsi tanto dei miei sforzi di capire a che pensava? «Ho detto che te ne parlerò, devi solo aspettare.»
«Lo sai che non so aspettare, che senso ha?» cercai di convincerlo a parlarmene. Non sapevo neanche io perché volessi saperlo, però volevo saperlo!
«Su, avanti,» mi spinse davanti a sé, verso il reparto di abiti femminili. «non avevamo un regalo da comprare?» lo fissai per circa due secondi, incerta sul da farsi. Ma l'idea di comprare il mio regalo di compleanno, in quel momento che mi trovavo davanti a così tanto bei vestiti, si faceva straordinariamente allettante. E poi, se aveva detto che mi avrebbe parlato di qualunque cosa avesse intenzione di parlarmi, dovevo fidarmi, perché l'avrebbe fatto di sicuro. In fondo potevo aspettare qualche ora! Lui ci metteva poco a perfezionare le sue idee. «Tu scegli quello che vuoi, io vado a farmi un giro, il reparto delle ragazze non mi attira particolarmente.» detto questo si dileguò, prima che potessi anche solo dire una parola. Sbattei le palpebre un paio di volte prima di realizzare che se n'era andato davvero.
Scossi la testa, rivolgendo la mia attenzione a tutti quei vestiti che mi si paravano davanti. Natsume avrebbe anche potuto abbandonarmi in un posto simile, non ce l'avrei avuta con lui. Mentre andavo avanti a cercare qualcosa di nuovo che avrei potuto indossare alla festa, mi ritrovai nel reparto bambini, quello in cui andavamo sempre io e Hotaru quando eravamo piccole. Sembrava passato così tanto tempo! Subito mi ricordai che, proprio lì accanto, c'era il reparto dei pupazzi, e nella mia mente si affacciò un pensiero: dopotutto non c'era niente di male se davo un'occhiatina, avevamo un mezzo di trasporto che non dipendeva da nessun orario, se non quello del pomeriggio, e potevo anche permettermi di perdere un po' di tempo.
Continuai a camminare finché non vidi dei pupazzi enormi: il sogno della mia vita, ma come pretendevo di portarne uno sulla moto? Un po' amareggiata, mi rassegnai all'evidenza: il sogno della mia vita era destinato a rimanere tale. Mi diressi, allora, verso quelli più piccoli, cercandone qualcuno che attirasse particolarmente la mia attenzione, evitando di guardare negli scaffali più alti, dove non sarei arrivata, perché sicuramente ne avrei trovato qualcuno carinissimo, ma non avrei potuto prenderlo. O meglio, questo era ciò che era sempre successo dalla prima volta che ero entrata in quel negozio. Oltretutto non c'era nessuno in giro che potesse aiutarmi, compreso Natsume che chissà dov'era andato.
Prima di arrivare alla fine, vidi un peluche che... non sapevo bene quale aggettivo lo descrivesse meglio, ed era riduttivo definirlo adorabile. Quello doveva essere assolutamente il mio regalo di compleanno: me n'ero completamente innamorata, e non era neanche troppo grande, di sicuro avrei potuto portarlo sulla moto. Adesso dovevo soltanto sentire l'opinione di Natsume, sempre che avesse avuto intenzione di metterci bocca... beh, dopotutto i soldi erano i suoi.
«Dovevo immaginare che ti avrei trovata qui...» sentii la sua voce e mi voltai, mordendomi il labbro inferiore. «trovato qualcosa?» annuii, senza dargli una vera risposta.
«Tu, piuttosto, dove sei stato?» lui mi sventolò sotto il naso una bustina: la seguii, come ipnotizzata. L'odore era buonissimo, il mio stomaco cominciò subito a brontolare. Qualunque cosa fosse, metteva l'acquolina in bocca!
«La colazione, madame.» mi spiegò, sorridendo, benché il mio stomaco l'avesse capito da un pezzo. Oh, cielo! Gli avevo mai detto quanto lo adoravo? Come aveva capito che avevo fame? Guardai la bustina, adorante. «Hai niente da dirmi?»
«In effetti... sì.» gli schioccai un bacio sulla guancia, sorridendo: finalmente potevo mettere qualcosa sotto i denti! «Grazie, sei un tesoro.»
«Divertente.» commentò, senza enfasi, facendomi mancare la presa sulla mia colazione per due volte. «Piuttosto,» continuò, avvicinandomi la busta, impietosito dai miei futili tentativi di raggiungerla. «dimmi cos'hai trovato che ti piace.»
Mi morsi di nuovo il labbro, improvvisamente imbarazzata. Sapevo che avrebbe capito al volo l'allusione, ma quel peluche sembrava fatto apposta! «Sì...» bisbigliai, guardandolo di sottecchi, mentre lui inarcava un sopracciglio. Gli indicai il peluche. «quello nero...» lo vidi spostare lo sguardo sugli scaffali, per poi fermarsi. Appena si fermò, lo vidi scuotere la testa, con l'espressione di quello che avrebbe dovuto aspettarselo. «Che c'è?»
«Non ci posso credere.» affermò, dandomi un colpetto affettuoso sulla testa. «Soltanto tu potevi trovare una cosa simile.» non era mica colpa mia se quel peluche mi era saltato subito all'occhio! Lo prese in mano, guardandolo con più attenzione. «Sicura che sia proprio questo?» che faceva? Mi prendeva in giro? Gli sorrisi, mentre masticavo il mio panino, annuendo. «D'accordo.»
«Ti adoro!» lui alzò le spalle, come se fosse qualcosa che non potesse essere evitata. Beh, adesso, sul mio letto, avrei dovuto fare spazio per quell'adorabile gattino nero con un mandarino tra le zampette. Era incredibile pensare alla terrificante coincidenza.

Quando tornammo in Accademia, erano appena le due del pomeriggio. Ci avevamo messo tanto perché Natsume aveva proposto di rimanere a mangiare lì, già che c'eravamo, e io, come al solito, non avevo saputo dirgli di no, anche perché l'idea non mi sembrava affatto da buttare. Erano settimane, cioè più o meno da quando tutti sapevano che stavamo insieme, che non eravamo riusciti a trascorrere un minuto da soli fuori dalle nostre stanze, e anche dentro non eravamo del tutto certi di essere lasciati in pace, a meno che non chiudessimo a chiave le porte. Andai a posare il regalo, rigorosamente incartato, in camera mia e poi mi diressi al piano terra, dove trovai tutti i miei compagni che preparavano mochi, con Tsubasa-senpai che mescolava nel pentolone, mentre Anna gli spiegava come fare.
«Ehi, Mikan!» mi salutò Misaki-senpai, agitando una mano, festosa. Le corsi incontro e la abbracciai. «Dov'eri stamattina, eh?» mi guardò con uno sguardo che giudicai strano: sembrava stesse alludendo a qualcosa, ma non capii dove volesse andare a parare. Ero andata a Central Town con Natsume, dopotutto... niente di così particolare.
«Non sei venuta al tempio, Mikan, e ti aspettavamo tutti per farti gli auguri.» mi rimproverò bonariamente Tsubasa-senpai, col suo solito sorriso stampato in faccia.
«Che bacchettone!» Misaki-senpai scosse la testa, con un braccio intorno alle mie spalle, mentre mi stringeva a sé. «Aveva altro da fare, no?» mi fece l'occhiolino, e io mi limitai a fissarla, incapace di capirla. Probabilmente avevano saputo della mia gita a Central Town, sperai che la moto non fosse un problema.
«Ah, certo.» rispose lui, come se avesse capito tutto. «Non ci avevo pensato, a proposito... il tuo principe azzurro dov'è, Mikan?» mi guardai intorno: non doveva essere lontano, dato che eravamo entrati in sala insieme. Lo vidi seduto a un tavolo, con Ruka-pyon che parlava con fare concitato, anche se dalla distanza a cui mi trovavo, non riuscivo a sentire una parola. Chissà... magari stavano parlando della fidanzata di Ruka-pyon! Mi domandavo quando l'avrei finalmente conosciuta: doveva di sicuro essere una ragazza deliziosa!
«Eccolo!» glielo indicai, e Tsubasa annuì, facendomi cenno di avvicinarmi. Io lo feci, curiosa.
«Dovresti portargli un mochi, dato che è qui.» mi suggerì, ad alta voce. «Come qualcuno non fa.» rivolse a Misaki-senpai , impegnata a chiacchierare con delle altre ragazze, probabilmente della sua stessa classe, un'espressione offesa, ma capii subito che non lo era davvero.
«Sì, adesso lo faccio.» promisi, ridendo. «A proposito, stasera, dopo cena, siete tutti invitati in camera di Natsume per la mia festa. La faccio nella sua perché è enorme, e non c'entreremmo tutti nella mia.» solo che... mi resi conto che ancora non gli avevo chiesto se lui era d'accordo. Ops... speravo che non mi avrebbe rivolto una di quelle occhiate che avevano il potere di raggelarmi.
«Incredibile quanto sia disponibile con te, ti lascia pure usare la sua stanza...» commentò Tsubasa-senpai, sinceramente sorpreso, continuando a mescolare l'impasto dei mochi.
Pensai di mettere Natsume a parte di quel piccolo dettaglio appena il mochi fosse stato pronto, forse l'avrei ammorbidito un po' e mi avrebbe detto di sì, o almeno lo speravo. Infatti, appena ne ebbi uno tra le mani mi diressi verso il tavolo dove lui e Ruka-pyon erano seduti, cercando di pensare alle parole che avrei dovuto usare. «Ehilà.» salutai, sedendomi lì con loro, con il piattino ancora in mano, cercando di mantenermi disinvolta, anche se, davvero, mi tremavano le ginocchia. «Tieni, Natsume, questo è per te.»
«È commestibile?» domandò, a bruciapelo, guardandolo diffidente. Gonfiai le guance, offesa: mai che riuscisse a dirmi qualcosa di carino! «Sei sicura?»
Mi girai dall'altra parte, evitando di rispondergli. «Antipatico! E io che volevo anche chiederti un favore!» lui mi guardò con l'aria di chi la sa lunga, invitandomi con un cenno della testa ad andare avanti. «Mi è solo sfuggito un piccolo particolare...» mi morsi il labbro, sperando che non dicesse di no, altrimenti non sapevo proprio dove fare la mia festa. «Ruka-pyon, tu vuoi assaggiare?» lo guardai speranzosa, sicura che non fosse scorbutico come il mio ragazzo. Lui sorrise e annuì.
«Sarà il mio primo mochi dell'anno!» ero felice di vederlo così contento. Era lo stesso entusiasmo che avrei preferito dimostrasse Natsume, ma forse chiedevo troppo. Lo prese dal piattino e lo addentò, complimentandosi con me. Io gli sorrisi.
«Grazie mille, Ruka-pyon.» replicai, mentre vedevo Natsume fissarci con uno sguardo poco amichevole. L'unico lato negativo della mia prima e, sicuramente, ultima piccola rivincita, era il fatto che ora fosse indispettito, e non sapevo se avrebbe detto di sì, adesso, dato che anche prima le mie possibilità rasentavano lo zero.
«Non avevi un favore da chiedermi, Lucertole Rosse?» tagliò corto, facendomi drizzare tutti i capelli sulla nuca. Come... quando cavolo le aveva viste, quel pervertito? Non avevo messo gonne, quel giorno!
«Non sono lucertole, sono draghetti!» poi mi tappai subito la bocca, in imbarazzo. «E comunque... per il favore... ecco...» mi torturavo le mani l'una con l'altra, provando ogni tanto a guardare la sua faccia, di sottecchi. «Sai... ho...» cominciai a balbettare e non riuscii ad esprimermi.
«Mikan, non sto capendo niente.» cercò di spronarmi a parlare con la sua solita gentilezza da carta vetrata. Presi un bel respiro profondo: tanto dovevo dirglielo, rimandare non avrebbe di certo cambiato la sua risposta, anzi, forse lo stavo facendo indispettire anche di più.
«Okay.» presi un bel respiro, cercando di farmi coraggio, ma se ne andò subito com'era venuto quando tornai a guardarlo negli occhi. Optai per la pura e semplice verità. «Dunque, ho invitato alla mia festa tutti i nostri compagni di classe più quelli delle abilità speciali...» lui mi guardò come se la cosa non lo riguardasse, perché ancora non sapeva quanto. «e non c'è abbastanza spazio in camera mia...» lui aggrottò la fronte: probabilmente già stava intuendo qualcosa. «e... mi chiedevo se... foss...»
«No.» mi interruppe, senza neanche lasciarmi il tempo di fare la mia proposta. «Non pensarci nemmeno, non lascerò che riducano la mia camera a un porcile.» cercai di fare lo sguardo da cucciolo bastonato, quello che, solo in situazioni straordinarie, riusciva a impietosirlo, ma questa volta sortì l'effetto che avevo sperato di evitare: la sua occhiataccia. «Non riuscirai a convincermi in nessun modo, Mikan. Ho detto di no.» abbandonai la testa contro il tavolo, sconsolata, mentre lui si alzava.

«Mikan...» trasalii, quando la sua voce, che suonò tremendamente minacciosa, mi arrivò alle orecchie, mentre i ragazzi cominciavano a popolare la sua stanza. Lui era uscito dal bagno, con i capelli che gli gocciolavano; menomale che non era in pigiama, o peggio. Mi girai verso di lui, con la migliore espressione innocente di cui ero capace, ma non sono mai stata una brava attrice ed avrei dovuto ricordarmelo. «Di quale parte di “no” ti è sfuggito il significato, prima?»
«Mi dispiace!» assicurai, chiudendo gli occhi per non vedere la sua reazione. Si limitò a prendere un respiro profondo, da quello che potei sentire, e si sedette vicino a me, sul letto.
«Stabiliamo delle regole,» cominciò, a bassa voce perché potessi sentirlo solo io, mentre guardava tutti quelli che erano arrivati con sguardo omicida. «primo, tutto ciò che sporcano lo pulirai tu, da sola. Secondo, la prossima volta che fai qualcosa del genere, potrei anche non dimostrarmi così disponibile: diciamo che tutti questi idioti potrebbero ritrovarsi col posteriore bruciacchiato.»
Mi morsi un labbro con espressione colpevole, immaginandomi terrorizzata il posteriore del povero Ruka-pyon in fiamme, ma poi corressi il pensiero e mi immaginai Tsubasa-senpai: Natsume non avrebbe colpito il suo migliore amico col suo Alice. Mai. Anche se, in quel momento, mi sembrava capace di tutto. «Ti giuro che mi dispiace da morire.» mi affrettai a scusarmi. Speravo solo che non fosse troppo arrabbiato. Era Capodanno, dopotutto, dovevamo essere tutti contenti.
«Non ti preoccupare. È tutto okay.» ma non mi sembrava proprio convinto di quello che diceva. Lo guardai supplichevole. «Ho detto che è tutto a posto. L'importante è rispettare quelle due regole che abbiamo stabilito poco fa.»
Annuii con ritmo febbrile. Volevo solo che non mi parlasse con quel tono freddo come ghiaccio, mi metteva addosso una terribile inquietudine. Potevo affermare di avere appena scoperto la sua personalità glaciale, ed ero sicura che non volevo rivederla mai più. «Davvero non sei arrabbiato?» mi accertai, titubante, non riuscendo ad abbandonare la mia espressione. Lui distolse lo sguardo, ma potevo quasi giurare che si fosse addolcito, anche se non mi avrebbe mai dato la soddisfazione di averne la certezza. «Ti adoro.» confessai, dandogli un bacio sulla guancia. Lui mi fissò, per un attimo, poi mi rivolse un tiepido sorriso, che ebbe il potere di tranquillizzarmi.
«Stavolta è andata così,» mi ricordò, tornando serio. «ma la prossima li butto tutti fuori per davvero.» perlomeno, speravo che non ci fossi anch'io, tra tutti quelli che doveva buttare fuori a calci nel didietro bruciacchiato. Sorrisi.
Quando arrivarono tutti gli invitati, finalmente potemmo mangiare la mia torta, con una splendente candelina a forma di numero diciassette, accesa. L'avevano preparata insieme Anna e Miruku. Quello era il loro regalo di compleanno per me, e non potevano farmi niente di più gradito: adoravo i dolci e senza di loro non ci sarebbe stata nessuna torta! Soffiai sulla fiamma esprimendo il mio desiderio: di avere sempre tutti i miei amici e le persone a cui tenevo sempre con me, perché come diceva sempre il nonno, le persone che ci amano sono la nostra più grande fortuna.
«E adesso...» Nonoko lasciò la frase in sospeso, dopo che tutti ebbero finito di mangiare quella squisita torta al limone. «direi che è il momento dei regali per Mikan!»
Fremevo per l'eccitazione di ricevere i miei regali, non vedevo l'ora di scartare in particolare quello della mia migliore amica: di sicuro sarebbe stato quello che avrei apprezzato di più, anche se a Natale mi aveva lasciata un po' perplessa. «Chi comincia?» volle sapere Anna, rivolgendosi a tutti i miei amici, che si erano riuniti in cerchio nello spazio che separava le due camere di Natsume.
«D'accordo.» sospirò Hotaru, dopo due minuti di silenzio tombale, alzandosi. «Immagino che debba cominciare io, a questo punto.» il pacco che mi porse era piuttosto grande, il che mi fece presagire che fosse qualcosa di spettacolare, come tutto quello che costruiva lei, dunque, fremente, lo scartai immediatamente, troppo curiosa. Quando alzai il coperchio della scatola, sentii tutti gli altri trattenere il respiro, tranne Natsume che era seduto dietro di me, sul letto, ma da cui non mi ero aspettata la minima reazione. Aprii la bocca per lo stupore: era... era... cos'era?
«Hotaru...» iniziai, incerta, tirando fuori tre oggetti dall'aspetto decisamente curioso. Più li osservavo, più li ritenevo strani, ma erano troppo buffi! «che cosa sono?»
Hotaru alzò gli occhi al cielo, spazientita. «Avrei dovuto immaginarmelo che non l'avresti capito.» disse, scuotendo la testa, sconsolata. Perché, certe volte, lei e Natusme sentivano il bisogno di comportarsi così? Avevo fatto una domanda legittima, dopotutto. O no? Le scoccai un'occhiata preoccupata. «Sono due porta fotografie, collegati direttamente a questa macchina fotografica.» mi indicò ogni componente ogni volta che lo citava. La macchina fotografica era piccola e tascabile, mentre i portafotografie erano due, a forma di maialino. Erano così carini! «Non ci sono fili come puoi vedere, e ogni foto che tu scatti con questa macchina è immediatamente visualizzata nel portafotografie. Puoi catalogarle come più ti piace e rivederle in quale ordine vuoi, per data, per le persone che sono ritratte, o come ti pare. Questo è tutto.» era un regalo straordinariamente utile! Avrei potuto mandare uno di quei portafoto al nonno e mostrargli sempre come e dov'ero! «Ovviamente, il raggio d'azione dei portafoto può coprire la distanza terra-sole, perciò potrai vedere le foto scattate in qualunque parte del mondo i portafotografie si trovino, rispetto alla macchina fotografica.»
«Wow...» commentai, ammirata, rimettendo tutto dentro la scatola perché non rompessi tutto e subito. Con me non si poteva mai sapere. L'altro problema era riportare tutto in camera mia, dato che credevo che Natsume non fosse dell'umore adatto per aiutarmi. Fortuna che si erano solo seduti e dovevo solo buttare i piattini di carta sporchi di torta, se avessero sporcato la moquette sarebbe stata la fine per me!
«Mi raccomando, trattali bene! È una vita che ci lavoro su!» disse Hotaru, aiutandomi a mettere di nuovo dentro i suoi regali. Ora che ci pensavo... possibile che quella sera, avesse fatto tardi a mensa perché il progetto a cui lavorava era il mio regalo? Oh, Hotaru era sempre la migliore! Poi mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi. «Buon compleanno, stupida.»
«È il nostro turno!» sbraitò Misaki-senpai, trascinandosi dietro Tsubasa-senpai, con un pacco tra le mani. «Tieni, Mikan. Tanti auguri!» le sorrisi di cuore, cominciando a scartare il regalo: era un vestito semplicemente delizioso. Neanche a farlo apposta, era a pois.
«Farà pendant con le tue mutande a pallini.» mi sussurrò Natsume, da dietro, sogghignando. Io gli feci la linguaccia, sentendo che le guance cominciavano a scottare.
«Grazie!» dissi, alzandomi per abbracciarli. Quando mi trattenni troppo con Tsubasa-senpai sentii Natsume schiarirsi la voce, e sorrisi. «Geloso.» sillabai, senza emettere un suono. Lui mi guardò probabilmente, con l'intento di farmi credere di essere completamente fuori strada, ma chi voleva prendere in giro? Non riuscii a trattenere un sorriso intenerito.
Ricevetti un sacco di altra roba quella sera, dai miei compagni di classe e dai ragazzi delle Abilità Speciali. Youichi e Ruka mi avevano comprato una borsa stupenda, grande, così avrei potuto metterci tutti i miei eventuali acquisti che facevo a Central Town e, meraviglia delle meraviglie, potevo anche abbinarla con tutto. Arrossii, quando guardai nella borsa da parte di Anna e Nonoko, e per fortuna non la mostrai a tutti gli altri: era un completino intimo estremamente succinto. Le ringraziai velocemente, mentre mi sentivo scottare tutta la faccia. Da Sumire e gli altri, un completino: una maglietta bianca con una fragola e un paio di jeans con le cuciture rosse che riprendevano il colore della maglietta. Mi piacque così tanto che decisi di metterlo il giorno dopo! Ero molto più che contenta dei miei regali, li adoravo tutti, senza esclusione. E quando andarono via tutti quanti, verso circa l'una, mi accasciai sul letto, mentre Natsume mi fissava, annoiato. «Non ti preoccupare, adesso butto tutto quanto, come stabilito nei patti.» sbadigliai, stropicciandomi gli occhi.
«Ho già fatto io, Draghetti Rossi.» mi fece notare, lasciandomi letteralmente spiazzata. Lui aveva fatto cosa? «Se aspettavo te, addio moquette.» ah, ecco, che gentile. Doveva sempre rovinare tutto quanto. Io mi limitai a sbadigliare di nuovo, per non insultarlo, infilandomi le scarpe. «Dove vai?»
«A dormire.» fu tutto quello che dissi, mentre raccoglievo i regali e me ne andavo nella mia stanza. Avrebbe anche potuto prolungare il suo slancio di disponibilità e aiutarmi a portare tutti i miei regali, ma già che si era pulito la stanza da solo, non potevo chiedere di più.

A metà del corridoio, ero sicura che sarei crollata a dormire, se qualcuno non mi avesse chiamata. All'inizio non lo riconobbi subito, probabilmente perché ero così addormentata che neanche vedevo più dove stavo andando. Mi venne in mente che non avrei più dovuto prolungare le feste di compleanno oltre mezzanotte, altrimenti non avrei retto.
«Mikan-chan...» mi sentii chiamare di nuovo. «hai bisogno di una mano?» mi voltai verso la direzione da cui proveniva la voce e riconobbi i tratti inconfondibili di Narumi-sensei. Che ci facesse nella sezione delle superiori era un mistero per me, ma non mi venne da chiederglielo, sul momento, dato che stavo praticamente dormendo in piedi.
«Sì, per favore.» risposi, con voce insonnolita, grata della sua gentilezza. Sbadigliai, appena ebbi le mani libere. Lui mi guardò, condiscendente, mentre si sistemava i pacchetti tra le braccia. «Regali di compleanno.» fu la mia spiegazione assonnata. Per un attimo il suo sguardo si accese di comprensione.
«Giusto.» esclamò, come se si fosse dimenticato qualcosa. «Ho anch'io una cosa per te.» annuii, mentre non riuscivo ad associare le parole “una cosa per te” con regalo. Solo quando posò gli altri sulla scrivania della mia stanza – in cui non ricordavo neanche di essere entrata, come anche il percorso che avevamo fatto da che lo avevo incontrato –, mi porse una scatolina, riuscii a realizzare che era il suo regalo per me.
«Cos'è?» chiesi, rigirandomelo tra le mani. Appena lo aprii vidi che era una collanina, ma il pendente era molto strano.
«Una pietra Alice molto speciale.» spiegò, riuscendo, tuttavia, a non spiegarsi affatto. Lo guardai perplessa, ma non aggiunse nient'altro di utile per permettermi di capirci qualcosa: avevo troppo sonno e, probabilmente, non ci sarei riuscita neanche in condizioni normali. «Buon compleanno, Mikan, e buonanotte.»
«Buonanotte.» riuscii a bofonchiare, prima di buttarmi sul letto, decisa a non alzarmi per le successive nove o dieci ore. Non seppi nemmeno se era uscito, se aveva chiuso la porta. Tutto ciò che volevo era farmi una lunga, sana dormita.

*****

Risposte alle recensioni:

nimi-chan: hai proprio ragione, io uno come Natsume lo tenevo legato in una stanza per non farlo vedere a nessuno XD.
_evy89_: no, non era per qualcun altro XP. È solo che Mikan è negata con qualsiasi cosa, e per lei era una “N”. Come si possa scambiare l'una per l'altra lo ignoro, ma faceva troppo ridere XD.
marzy93: infatti mi sono divertita un casino anche a scriverlo :D, specialmente la parte dei regali.
rizzila93: è vero! Io ho adorato questa coppia ancora prima di sapere che lo fosse XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1.bella95
2.Erica97
3.Kahoko
4.mikamey
5.piccola sciamana
6.rizzila93
7.smivanetto
8.marzy93
9. nimi-chan
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E in particolare le new entry:

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12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91


E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1.Mb_811
2.punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89


E in particolare la new entry:

6. _evy89_

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Capitolo 8
*** Seiji no Hi ***


Capitolo 8 – Seiji no Hi
(Natsume)

«Ti prego...» gemette Mikan, in preda alla disperazione. Mi chiesi in che modo fossimo arrivati a questo punto: ripercorrendo il tempo che avevamo trascorso insieme – più o meno cinque minuti – tutto quello che ricordavo era: averla vista sull'orlo delle lacrime spalancare la porta di camera mia e fiondarsi su di me, che ero seduto sul letto a leggere pacificamente. La strinsi a me, tentando di capire il motivo di tanta preoccupazione. «Ti prego... ho bisogno di te...»
Oh... era dunque questo il suo problema? Voleva fare...? Perché mi sembrava così strano? «Dai, Mikan, non mi sembra che sia il caso di fare così.» le feci notare, e in fondo era vero: non mi pareva di essermi mai comportato in modo tale da farle pensare che non avrei accettato quel genere di proposta.
«No, tu non capisci!» mi interruppe, scuotendo la testa, decisa. No, forse aveva ragione: non capivo. «Ho urgente bisogno di te, non dirmi di no, ti prego!» decisamente, quel comportamento non era da lei.
«Mikan, sei sicura di star bene?» mi accertai, cercando di farle recuperare il lume della ragione, non che non avessi intenzione di accontentarla, ma come mai tutta quella fretta? «È successo qualcosa?»
«Solo tu puoi aiutarmi!» continuò lei, guardandomi disperata. «Lo farai, vero?» la guardai, confuso: non è che aveva mangiato qualcosa che la sua amica totalmente incapace ai fornelli aveva preparato da sola e quella era stata la reazione? Come si disintossicava una persona da una di quelle schifezze?
«Perché pensi che non lo farei?» le chiesi, adesso seriamente preoccupato. Ma come poteva tutta quella storia essere la conseguenza di un'indigestione di quella robaccia?
«Stai dicendo che è un sì?» si assicurò, titubante, guardandomi timidamente negli occhi. Le sorrisi, ma non ero sicuro di aver afferrato completamente il suo problema.
«C'è qualche particolare ragione per cui dovrei dirti di no?» volli sapere, avvicinandomi a lei, per rispettare la sua richiesta. «Mi pareva fosse ovvio.»
«Ti adoro!» strillò, gettandomi le braccia al collo e stringendomi quasi fino a farmi soffocare. «Lo sapevo che non avresti detto di no! Possiamo cominciare subito?» non l'avevo mai vista tanto entusiasta. Sorrisi prima di avvicinarmi sempre di più per baciarla. «Natsume!» mi rimproverò lei, prima anche solo che potessi sfiorarle le labbra. «Ma ti sembra il momento?»
«Eh?» se le sembravo confuso, la mia faccia era niente in confronto a quel che davvero provavo.
«Io ti propongo di darmi ripetizioni per gli esami, riuscendo oltre ogni più rosea previsione a strapparti un assenso e tu pensi a baciarmi? Il mio grossissimo problema è la matematica!» avevo sentito bene? Mi aveva chiesto se potevo darle ripetizioni di matematica?
«Eh?» ripetei, con incredulità quasi palpabile. Adesso che la situazione era finalmente chiara, mi veniva quasi da ridere per l'equivoco che ne era venuto fuori. Immaginai che tutto questo avrebbe avuto una logica se i nostri posti fossero stati scambiati: di solito era lei quella che equivocava tutto «E io che credevo che ci saremmo dati ad un altro tipo di attività!» la sola idea di farle da tutor per matematica mi faceva quasi prendere da una crisi di panico. Mikan è sempre stata negata per quella materia e la sola idea di mettermi a tavolino con lei mi poteva creare scompensi. Mi sarebbe tanto piaciuto se ci fosse stato un luogo dove correre a nascondermi e non uscire fino alla fine degli esami.
«Ma che dici?!» era quasi scandalizzata ed io non potei trattenere un sorriso nel veder comparire il classico rossore sulle sue guance: era estremamente divertente metterla in imbarazzo. «Non mi sembra seriamente il momento di... sì insomma...» distolse lo sguardo e io alzai il mio al cielo, scuotendo la testa, domandandomi come facesse ad essere ancora così ingenua dopo tutto quel tempo.
«Mikan, lo sai che sono un pessimo insegnante. Ricordi l'anno scorso? Ti davo ripetizioni anche allora. Hai passato gli esami quasi per miracolo. Come al solito, permettimi di aggiungere.» osservai, mentre lei, offesa, mi guardava male, o almeno ci provava. Beh, era la verità, non ci potevo fare niente se lo studio non era il suo cavallo di battaglia.
«Perché devi sempre dirmi, in un modo o nell'altro, che sono stupida?» mi domandò, seccata. Io le feci un sorriso innocente, e lei abbandonò all'istante la sua espressione offesa, malcelando un sorriso. Mi compiaceva in modo strano avere questo effetto su di lei. «Va bene,» si arrese. «hai vinto.»
«Rassegnati. Non hai speranze contro di me.» risposi, ragionevolmente, con leggerezza. Lei alzò gli occhi al cielo, spazientita, per poi guardarmi scettica. A quanto pareva, non era d'accordo.
Ad un tratto, comunque, rise. «Ti detesto.» replicò, cosa che mi fece sorridere. Difficile credere che lo pensasse seriamente, dal momento che rideva e si trovava nella mia stanza, sul mio letto, e stava parlando con me.
«Ah, davvero?» chiesi, retoricamente, mentre mi avvicinavo per baciarla. Stavolta lei non si ritrasse ma, prima che potessi anche solo pensare di fare un'altra mossa, sobbalzammo entrambi per lo spavento: la porta si era spalancata e il nostro capoclasse – almeno sul momento credevo che fosse lui – gridava istericamente frasi senza senso, tra cui riuscii a distinguere alcune parole, tra cui il nome di Mikan. Ma se sapevano dove trovarla, non potevano anche pensare che fosse, probabilmente, impegnata? E allora perché ci disturbavano sempre? Quella situazione era un'immensa scocciatura.
«Iinchou!» esclamò lei, fermando le sue chiacchiere confuse. Era in tremendo imbarazzo, e mi limitai a lanciare a quell'idiota un'occhiata poco amichevole, che gli fece mandare giù la saliva, rumorosamente. «Adesso calmati, ti prego... e... raccontaci tutto dall'inizio.» beh, se non altro a lei non sembrava dare fastidio. Non che dubitassi che ci sarebbero state altre occasioni, ma alla lunga questa storia poteva cominciare a stancare. Anzi, per me, era durata anche troppo.
«Sta... stamattina... stavo andando a colazione, quando...» cominciò, e io sospirai rumorosamente: la mia classe era forse tutta composta da idioti di quel genere? Aveva il fiatone, sicuramente, perché era corso in camera mia e si soffermava pure sui dettagli inutili?
«Non così dall'inizio.» puntualizzai, spazientito. «Vai al sodo, maledizione. Qual è il problema?» Mikan mi diede un pizzicotto, bisbigliando qualcosa del tipo “non mettergli fretta.”. Io ricambiai lo sguardo, esasperato. Se davvero era così urgente, non potevamo certo soffermarci sul trascurabile. Tornammo a rivolgerci di nuovo verso il capoclasse.
«Calmati, Yuu, per favore.» gli disse Mikan, gentilmente.
Il ragazzo prese fiato, appoggiandosi allo stipite della mia porta. Già ero infastidito che si trovasse lì, figuriamoci che indugiasse tanto a lungo! Se non si fosse dato una mossa, gli avrei dato un motivo abbastanza caloroso per decidersi a parlare o andarsene. «Ruka... Mikan...» ci facemmo subito entrambi più attenti al nome di Ruka e ci guardammo, senza capire. «Dei ragazzi...»
«Parla chiaro, dannazione.» sbottai, irritato. Che ci voleva a dire una frase di senso compiuto? Era inutile che stesse lì se non riusciva ad articolare un suono comprensibile!
«Una rissa...» riuscì a dire, poi, ancora col fiatone. Lo sguardo di Mikan incontrò di nuovo il mio, che doveva essere perplesso e incredulo quanto il suo: Ruka... in una rissa? Ecco, se mi avessero chiesto quale era la cosa più assurda che riuscissi a immaginare, oltre a vedere il Preside e Persona evaporare, era Ruka in una rissa. Da che lo conoscevo, Ruka era sempre stata la persona più calma e meno incline ad arrabbiarsi. Di solito, anzi, quello suscettibile ero io e neanche io avevo mai partecipato a risse, nella mia vita; non intenzionalmente, almeno. Beh, nessuna se non contavo le missioni a cui avevo partecipato e che preferivo di gran lunga non ricordare.
«Muoviamoci, prima che si faccia seriamente male.» proposi, alzandomi in fretta dal letto. Dubitavo anche che il mio amico sapesse come si tira un pugno, e non mi sarei sorpreso se l'avessimo trovato per terra col naso a pezzi. Presi per mano Mikan e la trascinai fuori dalla stanza, senza curarmi di quello scocciatore, ma lei non sembrava essere d'accordo e, mentre gli passavamo vicino, lo afferrò per un braccio. Si mise a correre dietro di noi, indicandoci la strada. Sperai di arrivare lì prima che succedesse il peggio.
«Non avevo mai visto Ruka così arrabbiato.» stava dicendo mentre correvamo. Anche a me sembrava difficile pensare a Ruka arrabbiato. Al massimo si poteva alterare per quelle foto che Imai gli scattava di nascosto, ma non credevo di averlo mai visto coi nervi completamente saltati, e lo conoscevo da più di dieci anni. E, comunque, alla luce dei recenti eventi, non sembrava proprio che gli dispiacesse poi più di tanto essere fotografato da lei in pose imbarazzanti.
«E per cosa stavano litigando?» volle sapere Mikan, stupita. Effettivamente, nessuno l'aveva ancora detto. Di sicuro c'era un buon motivo se Ruka si era fatto coinvolgere in una rissa dopo aver valutato gli stessi parametri che avevo preso in considerazione io, tra cui: esperienza in rissa uguale a zero. «Iinchou?»
«Mi pare che fosse per una ragazza.» alzai gli occhi al cielo: Ruka che si azzuffava per una ragazza? Questa era ancora più impossibile che la semplice rissa per un qualsiasi altro motivo. A meno che... la ragazza non fosse la sua, il che poteva anche essere plausibile, dato che neanche io sapevo come avrebbe potuto reagire in quel caso. «Non ho capito bene chi stavano offendendo.» Si fermò di colpo e facemmo lo stesso io e Mikan; si guardò intorno, confuso. Alzai gli occhi ali cielo: era possibile perdersi dopo dieci anni passati nello stesso posto? «Eppure...» guardò me, preoccupato, come se temesse che l'avrei ammazzato. «era qui.»
«Fantastico!» commentai, acido, appoggiandomi al muro. Poteva essere successo che Ruka avesse vinto e avesse portato i tizi coinvolti in infermeria. Era una cosa proprio da lui. E se invece avesse perso, qualcuno, con tutte le ammiratrici che aveva, doveva aver provveduto a farlo aiutare. La destinazione era comunque una soltanto. Cominciai a camminare, mentre quei due mettevano in piedi le ipotesi più disparate, tra cui: “potrebbero essersi trasferiti sul tetto per non dare troppo nell'occhio dei professori”.
«Ehi! Dove vai?» mi chiamò Mikan, mentre sentivo entrambi venirmi dietro.

«E quindi, come sta?» sentimmo chiedere ad una indifferente Imai all'infermiera che si stava occupando di Ruka. Lei la rassicurò sulle sue condizioni fisiche: aveva un braccio rotto, ma niente che due settimane di gesso non potessero risolvere.
«Te l'avevo detto...» stava dicendo Ruka quando ci affacciammo sulla porta. Lui ci salutò con la mano sana, mentre Imai si limitava a guardarci con il suo solito sguardo vuoto. Era incredibile pensare che fosse tanto intelligente. «Come va, ragazzi?»
«Dovremmo essere noi a chiedertelo!» rispose Mikan, in tono preoccupato, avvicinandosi al letto. Non si appoggiò, quasi avesse avuto paura di poter fare ancora più male a Ruka che si limitò a sorridere, mentre Imai scuoteva la testa. «Ruka-pyon, che ti hanno...?»
«Sinceramente, Ruka,» la interruppi, avvicinandomi al mio migliore amico. «sei un idiota.»
Lui mi rispose ridacchiando. «Tu avresti fatto la stessa cosa, non dire di no.» magari aveva ragione lui, però...
«Con l'Alice che hai tu, avrei di sicuro portato una squadra di rinoceronti.» scherzai, ma lui alzò le spalle, come per dire che non aveva importanza.
«Seriamente, Ruka,» Imai impedì al suo ragazzo di rispondere, mentre vedevo Mikan guardarla con un certo stupore; probabilmente perché per la prima volta la sentiva chiamarlo per nome. «non riesco a capire in che modo tu ti sia lasciato coinvolgere da quegli idioti. Che pensavi di fare? Quando ho detto che volevo che tu fossi un po' più istintivo, non immaginavo che ti saresti messo a fare cose del genere.» Ruka arrossì, nascondendo metà del viso sotto le coperte, balbettando un debole “Mi dispiace”. Nessuno disse più una parola, finché non si verificò ciò che sospettavo.
«E perché mai gliel'avresti chiesto?» la domanda di Mikan spezzò improvvisamente la tensione, facendoci alzare gli occhi al cielo, dopo un tempo ragionevole che mi faceva presagire che avesse meditato a lungo sulle parole della sua amica. Mi guardò in cerca di una risposta, io mossi la testa in direzione di Imai: che fosse lei a spiegarglielo. «Hotaru?»
«Perché nei momenti meno opportuni è troppo riflessivo: è semplice.» vidi Mikan farsi sempre più confusa. Effettivamente, avrebbe anche potuto dirle qualcosa in più, dal momento che le deduzioni non sono mai state il suo forte.
«Che significa?» Sospirai rumorosamente: se non lo facevo io, la sua cosiddetta “migliore amica” l'avrebbe fatta marcire nel dubbio per giorni. Mi chiese aiuto con lo sguardo, quasi disperata, visto che Imai non accennava ad accontentarla.
Cercai di trovare la frase più diretta. «Significa che è la sua ragazza.» questa la lasciò letteralmente a bocca spalancata. Dopodiché, spostò lo sguardo, alternativamente, da me, a Ruka e infine a Imai, incredula e credevo che fosse anche... indignata.
«Come... quando...?» mi guardò, come se avessi appena confessato di averla tradita con una forma di vita aliena. Non sapevo rispondere a quella domanda, o se lo sapevo, l'avevo dimenticato. Ricordavo solo che stavano insieme solo perché era sfuggito a Ruka, prima di Natale.
«Da sei o sette mesi.» spiegò Imai, tranquilla come se non stessimo parlando degli affari suoi. Mikan la fissò, con la stessa espressione con cui prima guardava me. «Non te l'ho detto perché ho semplicemente visto con quanta facilità hai lasciato capire che stavi insieme a lui.» fece un cenno con la testa per indicarmi. Come mai io non ne sapevo niente? «E poi mi avresti chiesto come andava senza curarti se qualcuno stesse ascoltando o meno.» Mikan si offese, incrociando le braccia al petto. «Non fare così. Sai anche tu che è la verità.»
«Beh, può darsi!» concesse Mikan, mettendo il broncio. Mi domandai se avessero intenzione di mettersi a litigare su una cosa che ormai era successa e non si poteva cambiare, anche se potevo capire che, dal punto di vista di Mikan, il comportamento di Imai potesse sembrare discutibile. «Però avresti anche potuto dirmelo, in un'altra occasione, per esempio quando ti ho parlato di noi.» indicò sia se stessa che me. «E non ti avrei sommersa di domande in posti affollati!»
«Ti ricordi che mi hai detto che stavi con Hyuuga a mensa?» guardai Mikan per assicurarmi che fosse vero, e la vidi mordersi un labbro. Okay: era vero. Lei mi restituì lo sguardo quasi intimidita, come se avessi potuto sputare fuoco, ma non ne aveva nessun motivo, dal momento che lo sapevano già tutti comunque. Non mi sembrava che fosse più un problema. «Non mi piace essere sulla bocca di tutta la scuola.»
«Non mi dici mai le cose importanti.» replicò Mikan, girandosi dall'altra parte, improvvisamente triste. «Né che avevi un fratello, né che avevi un ragazzo. Mi sento esclusa.» poi si sedette su una sedia, imbronciata, senza dire un'altra parola, e non lo fece neanche Imai.
«E quindi?» chiesi spiegazioni, dopo qualche minuto di silenzio, per iniziare una conversazione che non vertesse su argomenti “scottanti”. «Cos'è successo esattamente?»
«Beh...» esordì Ruka, pensandoci su. «niente... è... sono arrivati questi ragazzi in gruppo e hanno cominciato a fare battute su di lei, e io mi sono arrabbiato. Però... non è che potessi fare molto contro tutti quei bestioni.»
«Come sapevano che stiamo insieme?» Imai sembrava rifletterci seriamente, come se avesse ordito un piano perfetto perché non sfuggisse la benché minima notizia. «Ti lasci sfuggire le cose troppo facilmente. Sei uno sciocco.» a quel punto, mi chiesi a quale scopo si fosse fatto pestare per lei.
Ruka assunse un'aria mortificata. «Non è stata colpa mia.»

«Dovreste andare, ragazzi.» ci consigliò Ruka, qualche ora dopo. Imai sbuffò, spazientita. «Credo che abbiate passato anche troppo tempo qui. Vi sto facendo buttare la giornata.»
«Se ti lasciassimo solo, magari ti romperesti anche l'altro braccio.» ribatté Imai, guardandolo male. Ruka le fece un sorriso di scusa.
«E dove dovremmo andare?» fu la domanda di Mikan, quasi indignata. Immaginai che la cosa più importante per lei fosse consolare Ruka, in quel momento.
«Mikan, apprezzo molto quello che state facendo per me.» confessò, distogliendo l'attenzione da Imai. «Ma so anche che per te è importante assistere alla cerimonia del giorno della maggiore età. E anche per i tuoi amici. Immagino che loro vogliano condividere questo momento con te.» nascosi un sorriso dietro la mano: ero sicuro che, dopo tutta quella confusione, Mikan si fosse completamente dimenticata della cerimonia.
«Ruka-pyon...» lei, però, parve sorpresa. Poi scosse la testa. «Ci saranno altre occasioni per...»
«Il giorno della maggiore età viene una volta nella vita.» precisò Imai, sospirando. «Resterò io insieme a lui. Se volete andare, andate.» inarcai un sopracciglio: non avevo nessuna intenzione di andare a sentire un discorso di cui non mi interessava praticamente niente e assistere a chissà che noiosità. La cosa ancora più irritante era che avremmo di sicuro passato tutto il tempo insieme a Ombra e alla sua ragazza, e non mi andava giù nessuno dei due. Probabilmente, Imai voleva solo che ci togliessimo dai piedi.
Mikan, però, sembrava non del tutto certa della cosa, così mi alzai e la tirai per la manica. «Su andiamo.» la esortai, mentre lei mi guardava, ma non accennava ad alzarsi. «Torneremo dopo, la sua gamba non guarirà solo perché stiamo qui.» ma dal suo sguardo sembrava che l'avessi offesa pesantemente.
«Aspro, ma corretto.» commentò Imai, con voce incolore. Mikan la fissò dubbiosa, ma poi si alzò, e uscimmo dalla stanza. Fece tutto il tragitto in silenzio, cosa che mi stupii parecchio, perché Mikan era quella che non smetteva di parlare per nessun motivo, a meno che non stesse seriamente meditando su qualcosa.
«Ce l'hai ancora con lei per non avertelo detto?» volli sapere. Lei scosse la testa, senza rispondermi. «E allora dove sta il problema?»
Lei emise un sospiro sconsolato. «Mi sento un'idiota.» in un altro momento, avrei potuto fare una battuta, dicendo magari che non era molto lontano dalla verità. Ma mi guardai bene dal farlo, o rischiavo di finire nel lettino vuoto vicino a Ruka. «Non mi sono accorta di niente. Cioè... ero l'unica a non saperne niente.»
«Cosa cambia?» ero davvero curioso di saperlo. Adesso lo sapeva, qual'era la catastrofe?
«I-In che senso?» alzò lo sguardo verso di me, confusa e sorpresa allo stesso tempo.
«Secondo me non è tanto il fatto di non averlo capito che ti dà fastidio, ma il fatto che non te l'abbia detto, perché tu l'hai fatto.» almeno questa era la mia teoria, la più logica perlomeno, anche se Mikan era di sicuro la persona che più di tutti riusciva a sorprendermi. Se contemplavo delle ipotesi riguardo a ciò che avrebbe potuto fare, riusciva a comportarsi secondo nessuna di queste. «Non è per questo.» ribatté lei, debolmente. «Ho solo paura che se cominciamo a nasconderci le cose, la nostra amicizia ne... risentirà.»
«Non essere ridicola.» non era proprio così che avrei voluto dirglielo, ma a quanto pareva ebbe l'effetto quasi desiderato: una specie di sorriso. «Dici sempre che la vostra amicizia è indistruttibile» e anche un po' troppo spesso.
«Hai ragione...» convenne, poi, stringendomi un braccio. Poi, si fermò improvvisamente, come se avesse dimenticato sul cratere di un vulcano la fonte della sua vita. «Oh, no! I regali!»
Corrugai la fronte, completamente confuso. «Quali regali?» perché saltavamo da una conversazione all'altra senza che mi accorgessi del cambiamento?
«Per il Seiji no Hi! Non posso presentarmi alla cerimonia del giorno della maggiore età senza regalo, soprattutto se li ho promessi!» cominciò a correre nella direzione opposta a quella in cui stavamo andando, e sparì dalla mia vista prima che avessi il tempo di ricordarle che l'uscita più vicina, si trovava proprio a due passi da noi.

Ero arrivato in cortile da dieci minuti quando vidi Mikan correre verso di me, con una busta di plastica in mano. Era pieno di gente, e ciò mi spinse a domandarmi cosa ci fosse di tanto entusiasmante nella giornata dei maggiorenni.
«Sono arrivata in tempo, menomale.» si accasciò sulla sedia vicino alla mia, col fiatone. Chissà poi che bisogno aveva di correre per arrivare. «Che hai? Perché quella faccia?» distolsi lo sguardo: il motivo principale era di sicuro la presenza del Preside, seduto vicino agli altri due.
«No, niente.» scossi la testa, cercando di non guardare in quella direzione. E poi lei sembrava già abbastanza giù per quello che era successo con Ruka e Imai, potevo anche evitare di dirle quello che mi passava per la testa.
«Senti... se non vuoi stare qui... va bene.» le scoccai un'occhiata scettica. «magari vuoi stare con Ruka, è il tuo migliore amico, dopotutto. È tutto a posto. Non sei costretto a restare solo per non lasciarmi sola. Ci saranno gli altri.»
«Tu fai dei ragionamenti davvero strani, Mikan.» osservai, incrociando le braccia al petto. «E arrivi sempre alle conclusioni sbagliate.» lei mi guardò con aria interrogativa.
«Pensavo che... ti stessi annoiando.» beh, magari se le avessi detto che restavo perché avevo il dubbio che il Preside avesse qualche malsano interesse per lei, mi avrebbe detto che pensavo sempre male e, forse, anche che ero paranoico. Ma dalla volta in cui lei aveva fatto saltare l'impianto prima del ballo di Natale, non avevo potuto non notare come si era subito fatto estremamente disponibile, appena aveva capito che c'entrava lei. Quella sottospecie di essere umano non era mai disponibile. La cosa non mi piaceva, non mi piaceva per niente. Se aveva dei piani che la riguardavano, poteva anche tenerli per sé, non gli avrei permesso tanto facilmente di usarla come faceva con tutti gli alunni della classe di Abilità Pericolose.
«Non è un problema.» mi limitai a replicare. E capii che era felice di sentirmelo dire dal sorriso che mi rivolse.
«Ehilà!» la voce di Ombra ebbe il potere di farmi saltare i nervi. Mi girai nella sua direzione e gli rivolsi un'occhiataccia, mentre Mikan gli correva incontro per abbracciarlo.
«Grazie per essere venuta, Mikan.» fu Nobara a parlare, mentre anche lei la abbracciava. Io rimasi a guardarli aspettando che finissero con le smancerie.
«Prima che mi dimentichi!» strillò Mikan, correndo a prendere la busta di plastica con cui era arrivata. «Qui ho dei regali per voi. Non mi sembra vero che diventerete maggiorenni quest'anno! È passato già così tanto tempo!»
«Non dirlo a noi...» rispose la ragazza di Ombra. «C'è Tsubasa, qui, che ha una paura folle per gli esami del diploma.»
Vidi Ombra ridere nervosamente, mentre si grattava la testa. «Lo devi proprio dire a tutti eh? Più che altro, però, mi preoccupa il discorso che dovrò fare a fine anno. Non sono abituato a parlare davanti a tanta gente. Ho paura di dire qualcosa di ridicolo che farà ridere tutti.»
«Oh, no! È vero!» gemette Nobara, cominciando a tremare. «Con tutte quelle persone che mi fissano! Come farò a parlare?» santo cielo, quanti problemi solo per dire due parole!
«Sono sicura che andrete alla grande!» li incoraggiò Mikan, convinta. «E anche lui lo pensa!» inarcai un sopracciglio: perché tirava in ballo anche me? «Vero, Natsume?»
«Oh, sì. Sicuro.» sperai che fosse suonato ironico come volevo che fosse. Ombra parve davvero impressionato. «Dicono che basti pensare che il pubblico sia in mutande.» mi parve che si fossero congelati dopo quello che avevo detto, finché Ombra non si schiarì la voce.
«Non mi aspettavo che saresti venuto, Natsume.» confessò, infatti. «Hai proprio paura che te la portino via, eh?»
«Chiudi quella boccaccia, Ombra.» risposi, con astio. «E fat...»
«Su, su. Calmatevi.» ci interruppe Mikan, cercando di riportare la situazione alla tranquillità. Sbuffai, distogliendo lo sguardo. «Non sono mai stata a questo tipo di cerimonia. Che succederà?»
«Beh,» Nobara tirò fuori un fogliettino dalla tasca. «prima c'è il discorso del Preside, e poi dobbiamo dimostrare, in non ho capito bene in che modo, le nostre capacità. Sai questa non è semplicemente una festa: molte persone importanti, come presidenti di aziende famose in tutto il mondo, vengono a valutare quanto i nostri Alice possano essere importanti per le loro attività. La cosa però non mi riguarda molto. Sai... io vorrei restare qui in Accademia, dopo il diploma.»
«Davvero?» Mikan parve proprio felice della prospettiva. «Diventerai insegnante?»
«Mi vedevo più come assistente di Persona. Sai, so che molti bambini che entrano nella nostra classe di abilità... temono Persona. Vorrei dare loro un punto di riferimento che non incuta terrore.» lei non era molto più tranquillizzante di Persona, quando la sua seconda personalità prendeva il sopravvento, ma pensai che fosse meglio tenerlo per me. Ah, che bella coppia...
«Oh, Noba-chan!» sospirò Mikan, estremamente colpita. «È davvero nobile da parte tua.»
«Sai voglio aiutare i bambini a vedere Persona per com'è.» corrugai la fronte, appena disse quelle parole. Voleva forse rendere le cose peggiori? «Lui non è come sembra, è un uomo buono.»
«Come una massiccia dose di cianuro.» commentai, sprezzante. Non sopportavo di sentire qualcuno parlare bene di Persona. Era l'essere più disgustoso, insieme al Preside, che avessi mai conosciuto.
«Natsume,» mi rimproverò bonariamente lei. «tu non lo conosci come lo conosco io.» se le era tanto vicina da essersi fatta fare il lavaggio del cervello, preferivo che fosse così.
«Sono certa che ce la farai, Noba-chan.» Mikan aveva sempre una buona parola per tutti. Incoraggiava anche le ipotesi fallimentari in partenza. «Sono felice per te.»
Sbuffai, sperando che la cosa si facesse più interessante, altrimenti avevo il forte sospetto di aver appena vinto un viaggio per “noia assoluta”.
«Quando cominciate?» volle sapere Mikan, entusiasta. Ombra si guardò intorno, prima di dire una parola.
«Dopo il discorso del preside, intanto è meglio se ci mettiamo dove abbiamo stabilito stamattina.» indicò un punto poco lontano da dove ci trovavamo. «Venite con noi?»
Io e Mikan rispondemmo due cose opposte allo stesso momento. «Ehm...» proseguì lei, in imbarazzo. «Verremo appena comincerete.»
Ombra scosse la testa con un sorriso malizioso sulle labbra, e mi chiesi se voleva andare a mostrare il suo Alice oppure in infermeria per ustioni. «Come volete.»
«Allora ci vediamo dopo!» ci salutò la ragazza di Ombra, mentre tutti e tre sparivano dalla nostra vista, in mezzo a tutte quelle persone che erano venute per l'esibizione.
«Natsume...» mi chiamò Mikan. Dal suo tono sembrava preoccupata. «so che te l'ho già chiesto, ma... va tutto bene? Mi sembri strano.»
Alzai le spalle, con noncuranza. «Alla grande.» replicai, fissando il Preside che guardava continuamente a destra e sinistra, e aveva un sorriso deliziato stampato in faccia; probabilmente per la moltitudine di gente che era venuta ad assistere al Seiji no Hi. «Non preoccuparti.» aggiunsi, per farle capire che non avevo totalmente ignorato il suo interessamento.
«Oh, guarda!» mi indicava convulsamente il palco improvvisato. Il Preside delle superiori stava per mettersi a parlare. «Stanno per cominciare.» trattenni un sospiro sconsolato e la vidi che guardava verso i suoi amici.
Sapevo che mi sarei pentito di ciò che stavo per dire. «Avanti,» mi alzai, suscitando da parte sua uno sguardo stupito. «andiamo.» annuì, scattando in piedi.
«Prestate attenzione.» ci disse Ombra appena arrivammo. «Questo sarà il discorso che ci permetterà di fare un altro Seiji no Hi il prossimo anno.» ridacchiò.
«È cambiato un po' rispetto all'anno scorso, dai.» commentò la sua ragazza, intenta ad ascoltare. «Sono stata qui due volte, a parte questa, ed era il solito barboso discorso su quanto ci faccia piacere che vengano qui, con tutto quello che avrebbero da fare, per prestare attenzione a noi.»
«Non è solo ruffianeria.» li contraddisse Nobara. Lei doveva sempre fare l'avvocato del diavolo. «Magari lo pensa davvero.»
«Povera illusa.» borbottai, suscitando un sorrisetto da parte di Ombra. Quando sentii tutti quanti applaudire, capii che il discorso era finito, anche perché non ero riuscito a sentire una sola parola.
«Oh, miseria!» strillò la ragazza di Ombra, continuando a ripeterlo come se farlo potesse in qualche modo ritardare la sua esibizione. «Arrivano! Arrivano!»
«Oh no!» anche Nobara fu contagiata dalla tensione. «E se poi non piace loro il nostro Alice?» avrei voluto ricordarle che lei aveva scelto di restare in Accademia, ma in fondo non erano affari miei.
«Smettetela!» le interruppe Ombra, in tono pratico. Lui sembrava più tranquillo che se stesse andando a vedere un torneo di scacchi. «Andrà tutto bene.»

Circa un'ora dopo, io e Mikan osservavamo quei tre usare i loro Alice e quelli che dovevano essere le persone importantissime di cui parlava Nobara, elargire “Oh” ammirati di qua e di là. L'unico lato positivo era che avevamo trovato dove sederci.
«Mikan,» biascicai, nascondendo uno sbadiglio. «davvero siamo venuti per sentire questi idioti dire “oh”?» lei mi guardò come se si stesse divertendo da morire. Beata lei. E io che mi ero anche esibito nella loro perfetta imitazione.
«Non trovi che sia fantastico?» non doveva neanche avermi sentito, anzi era talmente entusiasta che sembrava che li compisse lei vent'anni entro la fine dell'anno scolastico.
«Una meraviglia.» risposi, senza nessuna enfasi. Lei, però, non capì e sorrise.
«Hai visto che hai fatto bene a restare?» sospirai, senza dire un'altra parola. Ma forse era meglio così.
«Senti,» mi alzai, sbadigliando. «vado a vedere se c'è qualcosa da bere per non stare qui.»
«Aspettami, vengo con te.» mi raggiunse, inciampando nei piedi di un tizio. La afferrai per un braccio un secondo prima che si spaccasse il naso.
«Tutto bene?» mi accertai, mettendomi in ginocchio davanti a lei. Lei si mise nella stessa posizione, massaggiandosi il gomito.
«Credo di... di sì.» la guardai anch'io e non potei trattenere un sorriso malizioso, per fortuna che tutti erano impegnati a guardare gli Alice degli studenti.
«Tira giù la gonna, prima che tutti quanti vedano le tue mutande a pallini.» lei arrossì, affrettandosi a fare come le avevo consigliato. Quando si rimise in piedi, le presi una mano. «Rischiamo di perderci.»
«Guarda, lì si prende da mangiare.» mi indicò una specie di bancarella. La trascinai lì, anche se, per la verità, non avevo molta fame. «Accidenti, hanno pensato proprio a tutto. Guarda quante cose buone!»
«Almeno...» concessi, sedendomi sulla prima sedia libera che avevo trovato. Quando Mikan fu di nuovo nel mio campo visivo, vidi che il suo piatto era molto più che pieno.
«Ho preso anche qualcosa per te.» mi porse il piatto, e prima che potessimo fare qualsiasi altra cosa, una voce ci fece sobbalzare. Mi irrigidii all'istante. Non era possibile che mi trovasse anche in un posto pieno di gente! Strinsi la mano di Mikan che mi porgeva il piatto, e mi guardai intorno in cerca di tutte le possibili vie di fuga se le cose avessero dovuto mettersi male. Forse ero troppo esagerato, ma di sicuro era meglio essere preparati per tutte le evenienze.
«Buon pomeriggio, ragazzi.» la sua voce melliflua mi fece venire i brividi per il disgusto. Strinsi ancora più forte la mano di Mikan, mentre con la coda dell'occhio la vedevo guardarmi confusa. Puntai lo sguardo su di lui, che però pareva prestare molta attenzione alla mia ragazza.
«Buon pomeriggio, Preside.» rispose Mikan gioviale, quando vide che io non avevo intenzione di proferire parola. Era un po' strana, probabilmente perché neanche a lei trasmetteva una buona sensazione. Potei notare che quell'inquietante bambino aveva un'espressione più rilassata del solito: mi irritava.
«Buon pomeriggio.» dissi anch'io, poi, freddamente. Lui mi guardò, sorridendo, in modo che sembrasse del tutto naturale, e cercai di trascinare via Mikan, superandolo. Ma la sua voce di fermò, raggelandomi.
«Hyuuga-kun» quando mi girai, i suoi piccoli e furbi occhi viola mi scrutavano con qualcosa che mi sembrò soddisfazione. Era l'unica persona in tutta l'Accademia in grado di mettermi in soggezione. Lo detestavo anche per questo. «prima della fine degli esami, quando hai tempo,» sapevo che lo diceva solo per formalità – in fondo la nostra classe di abilità doveva essere segreta, anche se praticamente tutti sapevano della sua esistenza. Quando parlava così significava che, alla successiva riunione delle Abilità Pericolose, avrei dovuto ritrovarmi nel suo ufficio, e ci metteva sempre maledettamente tanto ad arrivare al punto. La prospettiva non era esattamente una delle migliori. «passa nel mio ufficio. Dobbiamo parlare.»
Aggrottai le sopracciglia, non capendo che volesse dire. Non mi fidavo affatto di lui. «Di cosa?» domandai, circospetto.
«Del tuo futuro.» spiegò, sempre con quel sorriso soddisfatto per chissà che motivo, mentre si girava e scompariva tra la folla. Rimasi un po' a fissare il punto in cui era sparito, turbato. Che cosa voleva dire che avremmo parlato del mio futuro? Che diavolo aveva in mente?
«Natsume?» la voce di Mikan mi distrasse dai miei pensieri. Cercai di rilassarmi e di sorriderle. «Tutto okay?»
«Sì,» mentii, girandomi verso di lei, per riprendere a camminare in direzione di Ombra e della sua ragazza. «dai, andiamo.» lei mi seguì, in silenzio.
«Cosa voleva dire con quella frase?» interruppe il silenzio che si era creato, guardandomi di sottecchi. Sembrava preoccupata. Sospirai: me lo chiedevo anch'io. «Che vuol dire che parlerete del tuo futuro?»
«Immagino che sia per il fatto che da qui a due anni saremo diplomati.» ipotizzai, ma non ne ero molto convinto. Ma, almeno per il momento, non avevo nessuna intenzione di turbarmi per questo. «Magari vuole mettermi a lavorare...» ci pensai un attimo su. «...in una fonderia.»
«Dai, non dire così!» mi interruppe. Beh, era vero: che cosa potevo fare col fuoco se non fondere? Dubitavo seriamente che mi avesse fatto entrare nella classe di Abilità Pericolose per mettermi ad alimentare il camino di casa mia. «Il tuo Alice è fantastico.» se lo diceva lei, magari era vero. «Col fuoco si possono fare tante cose.»
Scossi la testa: lei la faceva troppo semplice. «Magari sì.» concessi, anche se quando il mio sesto senso mi diceva qualcosa, che riguardasse Persona o il Preside, di solito non si sbagliava mai. «Tu, piuttosto, che hai?» mi era sembrata strana dalla fine della conversazione con il Preside.
«No... niente... è solo che...» aveva assunto un'espressione pensierosa e preoccupata, che avevo visto pochissime volte sul suo viso. «ho avuto una strana sensazione.»
«Sì... quel tipo suscita sempre questo tipo di reazioni.» cercai di sdrammatizzare. Ma lei scosse la testa.
«Ho avuto... l'impressione che mi saresti sparito da sotto il naso.» confessò, come se le costasse un certo sforzo. «Cioè... lascia stare...»
La trattenni per la mano, il piatto cadde a terra, e ci ritrovammo faccia a faccia, con lei che mi guardava spaesata. «Sta' tranquilla.» sussurrai, prima di baciarla. Mi strinse il braccio dove aveva appoggiato la mano come se davvero avesse paura che potessi svanire da un momento all'altro. «Te l'ho già detto una volta: non vado da nessuna parte.» annuì, ma non mi sembrava molto più tranquilla di prima.

*****

Ne approfitto per farvi gli auguri di Natale (in ritardo) e augurarvi buone feste e buon anno nuovo. Ci vediamo al prossimo aggiornamento (9 gennaio). Come dice una mia amica, il 6 sono impegnata XD.

Risposte alle recensioni:

_evy89_: finalmente l'ha scoperto. Tutto grazie alla “rissa”. Grazie mille per i complimenti, ma è tutto merito di Natsume, i suoi capitoli vengono da sé XD.
marzy93: la prima parte di capitolo 7 è anche la mia preferita. Mi sono divertita un sacco a scriverla, specialmente quando lui torna dalla lavanderia e lei si mette a gridare XD, di questo invece è la parte dell'equivoco quella che quando l'ho riletta mi ha fatto scoppiare a ridere, perché l'avevo scritta prima del resto e non me la ricordavo. XD
nimi_chan: certo XD è vero Mikan è un po' troppo ingenua per una della sua età, ma non potrebbe essere diversa da così com'è XD. Lei fa troppo ridere. Pensavo di essere l'unica che spesso non capisce al volo i doppisensi, a volte devono pure spiegarmeli XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best
11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91


E in particolare la new entry:

16. lauretta96

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_


E in particolare le new entry:

7. tate89
8. Janika Criselle

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Capitolo 9
*** Sconvolgenti cambi di personalità ***


Capitolo 9 – Sconvolgenti cambi di personalità
(Mikan)

Mi guardai intorno, prima di fare anche solo un altro passo: non volevo che qualcuno mi vedesse, in fondo se mi avessero beccata e portata da Jinno, chissà che punizione avrei potuto subire. Rabbrividii al solo pensiero di ripulire un'altra volta cestini vaganti.
Erano appena le sei del mattino e io ero già in divisa; gongolavo pensando che, se avesse potuto vedermi, Hotaru non se lo sarebbe mai aspettato. Ma quello non era un giorno qualsiasi, era speciale: era San Valentino, il giorno preferito delle ragazze. Sì! Quello in cui tutte le fanciulle innamorate regalano qualcosa di speciale al ragazzo dei loro sogni. Beh, ancora non avevo chiaro in mente cose dovessi regalare io al mio, ma non era la cosa che mi premeva al momento.
Di nuovo, mi guardai intorno, circospetta: davanti alla sua camera non c'era nessuno, per fortuna. Voltai la testa sia da una parte che dall'altra prima di rischiare di aprire la porta, nel caso avesse architettato chissà cosa per tenere lontano le ragazze, che lui chiamava poco carinamente “scocciatrici”. Ma ben presto mi sovvenne che lui non era Hotaru, e che era più da lei fare una cosa del genere. Mi intrufolai nella stanza, in completo silenzio, e stavo quasi gioendo per il fatto che non stessi facendo neanche il più piccolo, minuscolo rumore, quando inciampai nella sedia della scrivania – ero troppo occupata a gridare vittoria che neanche stavo prestando attenzione a dove mettevo i piedi – e caddi dolorosamente per terra.
«Ahio!» strillai, mettendo le mani avanti per non rompermi qualcosa. Sentii Natsume mugolare di fastidio. Forse stava dormendo. Ops...
Mi morsi un labbro, consapevole che mi avrebbe guardata malissimo e sarebbe tornato a dormire, senza neanche chiedermi che ci facessi lì, facendomi capire che, se proprio dovevo restare, avrei dovuto fare meno confusione, in modo da permettergli di dormire. Sì, questo era decisamente da lui.
«Mikan,» mi chiamò, senza sedersi, senza guardarmi e senza ignorarmi. Alzai lo sguardo verso il letto, sorpresa. «che fai qui?» mi alzai da terra, cercando di assumere una posizione più comoda. «Sono venuta da te perché è San Valentino!» gli ricordai. Possibile che se lo fosse dimenticato? Insomma, era importante solo per me?
Lo sentii sospirare ed emettere un gemito infastidito, probabilmente era perché oggi era il giorno più temuto dagli studenti maschi di tutta l'Accademia. Nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo dopo aver mangiato il cioccolatino. «E allora?» si limitò a girarsi dall'altra parte. Mi sedetti sul letto vicino a lui, incredula.
«Come sarebbe “e allora”?» proruppi, stupefatta. Non poteva reagire così, ora che gli avevo detto che era San Valentino: era la festa degli innamorati per la miseria!
«Cosa non hai capito?» sollevò la testa dal cuscino. Aveva l'espressione stanca e i capelli tutti arruffati. «È solo una stupida festa il cui unico scopo è far comprare la cioccolata alle ragazze.» certo che, a sentirlo parlare così, sembrava la festa più inutile del mondo. Si ributtò sul cuscino senza degnarmi di un'altra sola parola. Aveva un talento naturale a sminuire tutto quello che a me, invece, sembrava di vitale importanza.
Poi, all'improvviso mi balenò in mente un'idea che mi fece contorcere le budella per la paura. «Ti hanno mandato in missione, per caso?» sembrava così distrutto! Lui dissentì con un mugolio e mi tranquillizzai un pochino. «E allora che è successo?»
«La riunione con le abilità Pericolose è durata più del previsto, credo di essere andato a dormire tre o quattro ore fa.» replicò, prendendo la sveglia in mano per guardare l'orario. A quelle parole, mi ricordai che doveva fare qualcosa col Preside, anche se non ricordavo bene cosa, a dire la verità non ci avevo capito molto con quella storia del futuro.
«E che ti ha detto il preside?» chiesi, curiosa. Sperai che non fosse niente che implicasse il rischio della vita. Lui mi guardò, e solo dopo diversi secondi, vidi comprensione nei suoi occhi.
«Non c'era.» mi informò, sbadigliando e stiracchiandosi. «Stava predisponendo tutto quanto perché vuole andare a fare una visitina alla Alice Academy di Londra, prima della fine dell'anno prossimo. O almeno così ci ha detto Persona, quando ci ha spiegato che non sarà molto presente da oggi in poi, alle riunioni. Ha detto anche che non lo vedremo più tanto in giro» si stropicciò gli occhi, e mi pentii di essere arrivata così presto a svegliarlo. «Mai stato più felice di sentire qualcosa da quella spazzatura.» sospirai di sollievo: in un certo senso era meglio così. Perlomeno, non avrebbero avuto molto tempo per parlare e se era qualcosa di pericoloso, sarebbe stato il più tardi possibile.
«Mi dispiace, avevo dimenticato...» cominciai, contrita. Mi dispiaceva seriamente che non avesse dormito quanto gli serviva.
Lui mi fece un gesto con la mano, come a dirmi che era poco importante. «Fa niente.» mi interruppe, infatti. «Piuttosto, se sei qui hai qualcosa per me, no? Considerato che mi hai anche svegliato per ricordarmi che è San Valentino.» rimasi pietrificata un momento: ecco... veramente...
«Ma io non ho ancora fatto niente per te!» confessai, mentre le guance mi si imporporavano per la vergogna: sapevo che la cioccolata va preparata almeno il giorno prima, però io avevo un Alice praticamente inutile in situazioni come questa – esattamente com'era stato inutile a Natale –, che se ne faceva di una cioccolata con dentro l'Alice dell'annullamento? Che effetto avrebbe avuto? Avrebbe evitato di fondersi per via delle sue fiamme? Beh, dubitavo che avrebbe potuto essere di qualche utilità.
Lui inarcò un sopracciglio, guardandomi storto. «E allora perché mi hai svegliato?» sbattei le palpebre un paio di volte, prima di rispondere. Beh, come spiegargli che speravo che sarebbe stato un pelino più entusiasta del fatto che fosse San Valentino?
«Ecco... io...» tentai, in imbarazzo. Lo sentii sospirare, per poi ributtarsi a letto, mentre io lo guardavo esterrefatta. Che aveva ora, da lamentarsi?
«D'accordo, forse è meglio che io non sappia.» magari, non aveva tutti i torti, e si sarebbe anche arrabbiato. Mi dispiaceva dirgli che l'avevo svegliato perché volevo che mi dicesse “Buon San Valentino”, anche perché credevo che mi avrebbe cacciata fuori a pedate. Deglutii al solo pensiero, e non avevo neanche cercato di formulare un'immagine nella mia testa. Supponevo che fosse meglio così.
«E allora che facciamo?» chiesi, e dal modo in cui mi guardò, capii che era stata una domanda abbastanza stupida. Cercai di sorridergli.
Lo vidi roteare gli occhi. «Fai come vuoi, Mikan. Io ho sonno: dormo.» beh, incredibilmente aveva proposto di dormire, come potevo rifiutarmi? E poi, il suo letto era infinite volte più grande del mio; avremmo avuto tutti e due uno spazio ragionevole. Sì, era proprio il genere di offerta che non si può proprio rifiutare.

Le lezioni, da sempre, erano preoccupanti per i ragazzi, il giorno di San Valentino, ma solo perché era il momento perfetto per consegnare loro i regali. Natsume, al contrario di tutti gli studenti maschi dell'Accademia, normalmente diligenti, quella mattina mi fece capire che potevo dire quello che volevo agli insegnati o a chi per loro, ma che lui non si sarebbe mosso dalla stanza a meno che qualche invasata – così aveva detto – non gli avesse tirato una bomba dalla finestra o dal buco della serratura, o qualcosa che avrebbe emesso un gas che gli avesse fatto perdere il senno. Come spiegazione era stata abbastanza chiara e avevo anche tutto il tempo di preparargli qualcosa e fargli una sorpresa, e poi, come mi aveva fatto notare Hotaru a suo tempo, lui saltava spesso le lezioni, per cui nessuno si sarebbe messo a fare domande. Essere un genio doveva essere in qualche modo noioso: come avrei potuto spendere il mio tempo, la mattina, se non andando a lezione dove si trovavano tutti i miei amici? La sola prospettiva per me era impensabile!
Quando entrai in classe, non c'era nessun professore, e tutti i miei amici parlavano, eccitati, riuniti a gruppetti. Mi avvicinai ad Hotaru che, come al solito, mangiava cervello di granchio. Questo era forse l'unico momento in cui sentivo il bisogno di allontanarmi da lei.
«Non mi guardare in quel modo,» esordì, dato che, sicuramente, apparivo terrorizzata come ogni volta che faceva scorpacciate di quella roba. «dovresti mangiarla anche tu. Dicono che faccia diventare più intelligenti.»
«Ma tu non potresti essere più intelligente di così, Hotaru.» osservai, pensierosa. Lei alzò le spalle, con noncuranza, mentre infilava di nuovo il cucchiaino nel barattolo, per poi mangiare. «Sei già la più intelligente di tutti, no?»
«Detto da te, non è che sia poi così attendibile.» replicò, andando a buttare la scatoletta, ormai vuota. «Oggi i professori non ci sono, quindi immagino che abbiamo la giornata libera, penso che tornerò in laboratorio.» la guardai, sbigottita. Che storia era? Niente professori?
«Che significa?» volli sapere, confusa. Le lezioni non erano mai state sospese per il giorno di San Valentino, quindi la cosa mi sembrava estremamente strana.
«Qualcuno ha dato della cioccolata ai nostri professori,» mi spiegò, brevemente, mentre prendeva la cartella e si dirigeva verso l'uscita dell'aula. Io, però, ancora io non ci trovavo niente di male. «e sono a letto con la febbre alta. Se trovassi l'autore di questa bravata, potrei anche picchiarlo con la mia arma anti-idiota. Accidenti, avrei usato questo tempo più proficuamente, per esempio, studiando per gli esami, piuttosto che venire qui a non fare niente per mezz'ora.»
«Quindi... che facciamo?» chiesi, sperando che mi proponesse una gita a Central Town. Insomma, anche se diceva di dover studiare, lei di sicuro non ne aveva bisogno. Si limitò a guardarmi, esasperata.
«Fai quello che vuoi, io vado a studiare.» alzò le spalle, freddamente. Deglutii. «Sai, abbiamo gli esami tra poco più di una settimana, non so se te lo ricordi.» una settimana? E basta? Non ce l'avrei mai fatta ad arrivare preparata per gli esami di matematica! Dopotutto, il programma era difficilissimo e per capirlo mi ci voleva un sacco di tempo! Il sabato prima, che io e Natsume avevamo passato a studiare insieme, per esempio, avevamo quasi fatto mezzanotte e lui era arrivato quasi al punto di chiedermi pietà, dopo un pomeriggio totalmente infruttuoso. In parole povere, non avevo capito niente di tutto quello che aveva tentato di spiegarmi e il terrore per l'esame di matematica si faceva sentire sempre di più.
«Pensi che dovrei studiare anch'io?» il suo parere era determinante. Lei mi fissò, annoiata.
«Tu che ne pensi?» rispose, di rimando, mentre mi lasciava con lo stesso esatto dilemma. Non mi aveva neanche dato una risposta! Sospirai, sconsolata, ma i miei infelici pensieri vennero interrotti da Anna e Nonoko, che mi guardavano curiose.
«Che c'è?» mi rivolsi a loro, sperando di poterle aiutare. Prima di aprire bocca, si guardarono e annuirono, titubanti.
«Sai... puoi anche non rispondere, non sono affari nostri, ma...» era stata Nonoko a prendere la parola. «volevamo sapere... ecco... se avevi dato la tua cioccolata a Hyuuga.» le guardai anch'io. Perché volevano saperlo? Beh, dopotutto non c'era niente di male.
Scossi la testa, lasciandole ancora più stupite. «Non l'ho fatto per via del mio Alice. Insomma, non avrebbe alcun effetto sulla cioccolata, capite che intendo?» mi sentivo quasi a disagio a raccontare una cosa del genere. Non l'avevo detto neanche a Hotaru o Natsume.
«Mikan!» esclamò, con tono di rimprovero Nonoko, come se le avessi appena detto che ero stata sulla Luna ed ero tornata sulla Terra in quindici nanosecondi. «Perché non sei venuta da me quando ti sei accorta che la tua cioccolata non avrebbe avuto alcun effetto particolare?» non avevo capito il nesso tra la cioccolata e andare da lei, quindi mi limitai semplicemente a guardarla confusa. «Ricordi che faccio parte delle Abilità Tecniche? Perché non sei venuta da me? Avremmo fatto dei cioccolatini con delle caramelle con una certa qualità.» spalancai gli occhi: aveva ragione! Come avevo fatto a non pensarci da sola?
«Accidenti!» mi maledissi per la mia stupidità: come potevo essere così sciocca? Perché gli altri dovevano sempre dirmi cose che, una volta esposte, risultavano ovvie anche a me? «Se solo ci avessi pensato prima, adesso...»
«Adesso cosa?» mi interruppe, afferrandomi per la manica del maglione della divisa. Lei e Anna sorridevano. «Non abbiamo lezioni e possiamo preparare i tuoi dolcetti, no? Anna ci aiuterà con la parte più tradizionale.» Anna annuì, convinta. Apprezzavo tutta questa gentilezza, da parte loro, però...
«Mi darai solo le indicazioni, Anna, vero?» chiesi, speranzosa. Il regalo doveva essere mio, no? La tradizione voleva che la cioccolata fosse preparata a mano dalla ragazza che aveva intenzione di regalarla e venire meno alla tradizione avrebbe voluto dire privare del suo significato la festa di San Valentino. Non potevo permettere una cosa del genere!
Lei si fece pensierosa. «Sì, dopotutto hai ragione.» replicò, comprensiva. Saltellai, eccitata: avrei fatto della cioccolata per Natsume! Era il primo anno che facevo qualcosa per San Valentino per una persona sola.
«Oggi è tutto così diverso!» sospirò Nonoko, sognante, mentre camminavamo in direzione del suo piccolo laboratorio. Le guardai: forse si riferivano all'atmosfera romantica che anch'io sentivo aleggiare dovunque.
«Già, pensa che oggi anche Central Town è aperta per tutta la notte!» replicò Anna, eccitata. Drizzai subito le orecchie: Central Town aperta fino a tardi? Era la cosa più bella che avessi mai sentito! Anche Nonoko parve stupita.
«Sul serio?» si informò, infatti. Spalancò la bocca, raggiante, congiungendo le mani a quelle di Anna. Cominciarono a saltellare insieme. «Vuoi dire che... ci sono anche gli autobus per andarci?»
Anna annuì. «E hanno detto che un locale darà una festa speciale per gli innamorati. Non è romantico?» Era una notizia sensazionale!
«Davvero?» volli sapere, estasiata. Non ci potevo credere! Meglio di così non sarebbe potuta andare! «Credo che ci porterò Natsume, allora!»
Loro smisero di saltellare per prestarmi attenzione. «Tu credi che vorrà uscire?» Nonoko sembrava davvero stupita. Anna le diede un colpetto sul braccio e, come al solito, mi risultava un mistero il perché. Si picchiavano spesso quando parlavamo di Natsume.
«Ma ti sembrano domande da fare?» la rimproverò, indignata. Nonoko sorrise, imbarazzata, stringendosi nelle spalle.
«Scusa, Mikan.» sussurrò, guardandosi le scarpe. Mi stavo chiedendo il motivo per cui sentisse il bisogno di farmi le sue scuse, dato che non avevo idea di cosa loro pensassero. Perché Natsume non avrebbe dovuto voler uscire? «Non dovrei farmi gli affari vostri così.»
«Non ti preoccupare!» la rassicurai, parlando sinceramente. Non aveva detto niente di male, dopotutto. «Non c'è niente per cui chiedere scusa.» lei mi fece un sorriso, prima di aprire la porta del laboratorio. Appena entrammo, Nonoko buttò la sua borsa a terra e ci invitò a fare altrettanto.
«Io ho portato il fornellino.» ci informò Anna, tirando lo strano oggetto fuori dalla borsa. Non avevo mai visto una cosa del genere: era uno stranissimo coso rettangolare con due fornelli. Mi chiesi in che modo potesse funzionare. Tirò fuori dalla borsa anche il cacao in polvere e il latte. «Meglio iniziare subito, così finiamo prima!» annuii, non vedendo l'ora di iniziare.
Passammo praticamente tutta la mattina, fino all'ora di pranzo, a mischiare latte e polvere di cacao per poi metterci qualche caramella con la particolare caratteristica di far recuperare le forze a chiunque avesse mangiato i miei cioccolatini. L'avevo scelta perché quella mattina Natsume mi era parso un po' giù e volevo che si sentisse meglio. Dopo, li avevamo messi in una specie di forno – anche quello era stato portato da Anna –, ma che non era un forno perché, da quello che avevo potuto capire, serviva a solidificare più in fretta i cioccolatini. Finalmente, a quel punto, ci concedemmo un po' di meritato riposo, buttandoci sul divanetto.
«Sei stata abbastanza brava, Mikan.» mi lodò Anna, coricandosi. «Di solito io ci impiego più tempo.» ricordavo che a casa, dal nonno, ero io quella che cucinava più spesso, perciò avevo solo un po' di dimestichezza con i fornelli e cercavo di non far bruciare le cose: il nonno era molto sensibile all'odore di bruciato. Comunque, non sentivo di essere stata così brava, pensai, dato che eravamo dovute ripartire circa tre volte perché non mescolavo o nel modo giusto o nel giusto verso. La seconda volta che avevamo dovuto ricominciare dall'inizio era stato perché avevo rovesciato tutto per terra. Per fortuna lì con noi c'era Nonoko, che si era offerta di pulire, altrimenti chissà quanto altro tempo avremmo perso.
«Davvero?» domandai, stupita, sbadigliando. Preparare dolci, avevo scoperto, era una cosa veramente stancante. «Quando saranno pronti?»
«Dieci minuti.» rispose Anna, mentre Nonoko rimetteva a posto il barattolo con le caramelle. «Poi potrai portare i cioccolatini al tuo bello.» ridacchiò, facendomi arrossire. Adesso che tutti sapevano che stavamo insieme e non parlottavano più, era tutto più semplice, però mi sentivo sempre in imbarazzo quando le mie amiche ne parlavano. Le sentii ridere entrambe, mentre il mio imbarazzo cresceva.

«Natsume!» strillai, felice, spalancando la porta della sua camera. Era seduto sul divano che aveva sotto la finestra. Lo vidi sobbalzare, mentre il libro di matematica stava quasi per cadergli di mano. Mi guardò infastidito. Lo fissai, confusa: non sembrava molto buono come inizio.
«Finalmente!» sbottò, irritato, mentre il suo sguardo mi metteva i brividi. Perché mi guardava in quel modo truce? «Pensavo che non avessi intenzione di degnarmi della tua presenza! Quando mi hai chiesto di farti da tutor credevo che, perlomeno, mi avresti fatto la cortesia di presentarti in orario. Sto spendendo il mio tempo per te, ricordi? E devo studiare anch'io.»
L'avevo dimenticato! Avevamo ripetizioni quel giorno. Lo guardai, colpevole. «Mi dispiace.» sussurrai, contrita. «Ecco...» non potevo dirgli che mi era passato di mente, perché sicuramente mi avrebbe risposto che, dato che lo ritenevo poco importante, potevamo anche finirla. Sapevo bene che lui non aspettava altro che scaricarmi, che ero un fastidio non indifferente, ma senza di lui non avrei mai passato il test di matematica. «...scusami.»
Lui roteò gli occhi, facendomi poi segno di andare a sedermi vicino a lui. «Dai, non farla tanto lunga.» lo guardai, pensando che avrei dovuto immaginarmelo. Ero io quella che la faceva lunga? Prima mi faceva sentire in colpa e dopo, quasi, se ne dimenticava. Lui, però, aveva di nuovo concentrato la sua attenzione sullo studio.
«Ho una cosa per te.» sventolai il pacchetto che io e le mie amiche avevamo confezionato sotto al suo naso. Era venuto piuttosto carino: viola con le stelline, l'avevo scelto io. Lui alzò lo sguardo dal libro di matematica, di nuovo, e mi guardò con un sopracciglio inarcato. Era diffidente. Non credeva forse nelle mie doti di cuoca?
«Non dirmi che è quello che penso.» il suo tono era quasi supplichevole. Mi domandai perché tutta questa allergia alla festa degli innamorati. «Non dirmi che sono cioccolatini per San Valentino.» ma cosa c'era di male?
Sbuffai, contrariata. «Se non vuoi non te lo dico, anzi.» replicai, sedendomi esattamente dove mi aveva indicato. «Li mangerò io se tu non li vuoi.» aprii la scatola, pensando che questo avrebbe suscitato in lui qualche tipo di reazione. Una qualsiasi mi sarebbe andata bene, beh... forse non proprio tutte.
«Fai pure.» ecco, come questa. Come poteva dirmi di fare come se niente fosse, con quella tranquillità, mentre aveva il naso ancora sui logaritmi?
«Natsume!» lo colpii sul braccio, al che lui mi guardò malissimo, facendomi ritirare un po', fino a che, quasi, non mi raggomitolai vicino ad uno dei due cuscini. Faceva paura quando mi guardava in quel modo.
«Cosa?» mi incitò, spazientito. Lo guardai, come se mi avesse fatto l'affronto più grande che potessi ricevere o, almeno, questo era l'intento. Lo vidi distogliere lo sguardo per un secondo, prima di sbuffare. «Ti avviso, ne mangerò uno solo, e soltanto perché credo che tu abbia fatto tardi per prepararli. Dico bene?» io annuii, orgogliosa, ma dal suo sguardo potei capire che lui non lo era altrettanto. Prima di allungargli il pacchetto, però, avevo bisogno di dirgli qualcosa:
«Buon San Valentino.» lo abbracciai per poi dargli un bacio sulla guancia. Lui sospirò spazientito, alle mie parole, ma mi strinse a sé, avvicinando le sue labbra alle mie. Per poco il sacchetto non mi cadde dalle mani, in modo che tutti i cioccolatini finissero per terra. Era incredibile che perdessi sensibilità a tutto il corpo tranne che alle labbra quando mi baciava.
Quando ci separammo, mi prese dalle mani i miei cioccolatini, come se stesse per andare al patibolo. «Se mi uccide,» parlò, tenendo il mio cioccolatino in mano, confermando il mio dubbio. «lascio tutti i miei averi a Youichi e Ruka.»
«Ti odio.» gli avrei volentieri svuotato la bustina in bocca, solo per sentirmi dire, alla fine, che erano buoni. Ma, probabilmente, sarebbe morto soffocato nel tentativo. Lui si limitò a guardarmi scettico. «Avanti, mangia.»
«Sì, sì.» obbedì alla mia richiesta, senza aggiungere altro. Masticò per un po' prima di ricominciare a parlare, forse sapendo che, in quel modo, mi teneva sulle spine. «Non è male.» dunque, arrivati a questo punto, le reazioni potevano essere molteplici. La prima: avrei potuto ucciderlo molto dolorosamente; la seconda: avrei potuto sorridere e ringraziarlo; la terza: avrei potuto rinfacciargli che ero una brava cuoca per il resto dei suoi giorni. Beh, poteva anche funzionare.
«Hai visto, malfidato, che non è sempre tutto nero come lo dipingi?» gli feci notare, completamente compiaciuta della mia vittoria. Sì, insomma, non succedeva spesso; dovevo godermi i miei momenti di gloria. «Così la prossima volta che ti propongo qualcosa da mangiare, potrai fidarti» e mi stavo riferendo al mio primo mochi dell'anno, che alla fine era andato nello stomaco di Ruka-pyon invece che nel suo. Ma non ebbi tempo di continuare a mettere il dito nella piaga, perché mi prese la mano tra le sue, senza dire nulla, così gentilmente che rimasi pietrificata. Forse stava per dirmi qualcosa di estremamente romantico, così mi sporsi verso di lui: adoravo quando la sua personalità romantica prevaleva sulle altre. In quei momenti, l'atmosfera cambiava radicalmente.
«Mikan...» sussurrò, con una voce strana. Non ricordavo che cambiasse anche voce con il cambio di personalità. Comunque sembrava davvero che volesse dirmi qualcosa di estremamente importante: aveva la stessa espressione di qualcuno che vuole scappare clandestinamente con l'amore della sua vita, ma non credevo che volesse fare una cosa del genere; o, perlomeno, non me ne aveva mai parlato. «Mikan...» lo guardai negli occhi e mi sembrò come ubriaco, ma io non l'avevo mai visto bere, anche perché non era permesso portare alcolici all'interno della scuola, e lui era anche troppo giovane.
«Natsume... stai bene?» gli chiesi, mentre mi guardava adorante. Natsume Hyuuga guardava me adorante, quando di solito era il contrario. Dunque, ebbi la mia risposta: non stava bene, per niente.
«Sto benissimo, piccola mia.» mi contradisse, baciandomi la mano che aveva preso poco prima. Questo non poteva essere tutto merito della personalità romantica, cioè... cambiava personalità piuttosto spesso, ma non si allontanava mai troppo dall'“originale”. «Ci vorrebbe...» si guardò intorno, in cerca di qualcosa che sapeva solo lui, mentre io ero concentrata su di lui, del tutto spaesata. Non credevo che ci fosse un incantesimo che, a San Valentino, trasforma tutti i ragazzi scontrosi in sensibili romanticoni. Scossi la testa, al solo pensiero, catalogandolo come impossibile. «Dai, vieni.» mi trascinò con sé, giù dal divano, verso la porta.
«Ehi!» protestai. Dopo tutta la ramanzina che mi aveva fatto! «Non dovevamo studiare matematica?» Natsume si voltò verso di me, con un sorriso smagliante che riuscivo a vedere solo di rado.
«Matematica?» mi pose questa domanda come se gli avessi appena detto una parola inventata. «Che importanza ha la matematica? Oggi è San Valentino, Mikan!» sbattei le palpebre, incapace di controbattere, mentre mi trascinava dietro di sé, come un sacco vuoto. «Per te,» mi porse una rosa, che aveva preso da uno dei vasi nel corridoio. Di solito, il giorno di San Valentino, le rose erano dappertutto nei vasi dell'Accademia. «perché sei la mia principessa.» mi ritrovai ad arrossire: mi lusingava certamente che mi dicesse cose del genere, ma... era davvero Natsume il ragazzo che avevo davanti?
«Ecco... ti ringrazio...» mi trovai in difficoltà, tanto da non sapere bene cosa dirgli. «Sei sicuro di stare bene?» lui mi rivolse un altro sorriso.
«Non sono mai stato meglio, te lo assicuro.» mi rispose, con leggerezza. Si guardò intorno, mentre io mi limitavo a fissarlo, sentendomi un inutile pezzo di carne. Questo suo nuovo comportamento mi confondeva come nient'altro sarebbe stato in grado di fare. Lo vidi armarsi di rose da un altro vaso per andare da due ragazze delle medie e offrirgliele. Loro strillarono eccitate, quando lui disse: «Oh, leggiadre fanciulle, permettetemi di offrirvi questo fiore come omaggio alla vostra bellezza.» e all'improvviso mi sentii assalire dalla rabbia. Poteva anche comportarsi come voleva, con me, ma di sicuro non potevo permettergli di fare il cascamorto con le altre!
«Natsume!» gridai, contrariata e allibita nello stesso tempo. Lui si girò verso di me, guardandomi con uno sguardo così innocente che, se non l'avessi visto coi miei occhi, avrei davvero creduto che non avesse fatto niente di male.
«Mikan, mio leggiadro fiore di campo, come puoi pensare che io ti faccia l'onta di tradirti?» non riuscivo a capire neanche metà delle parole che usava. «Non c'è ragione di essere gelosa.» non so con che espressione lo guardai, ma ero... non c'era un aggettivo preciso per descrivere il mio stato d'animo, ma avevo la sensazione di voler scappare il più lontano possibile da quel tipo. O forse mi sentivo fuori posto semplicemente perché stavamo parlando di Natsume. Non credevo, comunque, che mi sarei più lamentata del suo scarso romanticismo o entusiasmo per qualcosa. E aveva irritantemente ragione. Come al solito, d'altronde: era perfetto com'era. Ragionai un attimo su ciò che avevo appena pensato e ridussi gli occhi a due fessure, guardandolo con fare indagatore.
«Tu lo stai facendo apposta, non è così?» esposi la mia teoria, con le mani sui fianchi, indignata. «Per farmi ricredere sui tuoi difetti, dico bene? Allora puoi smettere. Ho capito.» lo fissai, orgogliosa del fatto che per la prima volta nella mia vita, ero riuscita a capire il suo piano. Aspettavo solo che lui mi rispondesse qualcosa di raggelante. Ero pronta a subire, ma il suo sguardo si intristì e non ne capivo la ragione.
«Perchè è codesto il tuo parlare?» mi chiese, addolorato, con lo stesso tono di un attore da teatro. «Mio dolcissimo bocciolo di rosa, quale meschinità è mai potuta accadere per portarti a rivolgermi sì dure parole?» alla fine sospirò, posandosi il dorso della mano sulla fronte. Rimasi pietrificata, senza essere in grado di articolare un suono comprensibile. In più, mentre io cercavo di ricominciare a utilizzare nuovamente tutte le mie funzioni cerebrali, per interpretare la frase che mi aveva detto, lui aveva già individuato la sua nuova preda: Hotaru.
«Oh, dolcissima Imai, sei radiosa quest'oggi.» dichiarò, con l'onnipresente rosa in mano. Lei, prima di dire qualcosa, fissò me, chiedendomi tacitamente se Natsume stesse bene o no. «Accetta questo fiore come pegno del mio amore.» e non credevo ai miei occhi quando anche a lei toccò la stessa sorte di quelle due ragazzine. Gli avrei volentieri strappato di mano quella rosa.
«Togliti di mezzo, Hyuuga.» fu tutto quello che disse Hotaru, senza fare una piega e senza rivolgergli ulteriore attenzione. «Dovresti rinchiuderlo, Mikan. Potrebbe essere pericoloso.» aggiunse, scuotendo la testa. Nessuno parlò, finché Hotaru non scomparve dalla nostra vista.
«Dove ti dirigi, perfetta Imai?» sembrava che gli stessero portando via i viveri e io non riuscivo a muovere un muscolo o a parlare. Ero troppo sconvolta. «Oh, Mikan...» aveva il tono di quello che si accorge di una cosa dopo molto tempo. Si avvicinò a me, prendendomi di nuovo una mano tra le sue, appoggiando l'altra dietro la mia schiena. «i miei appartamenti sono qui vicino. Perché, dunque, non andare a sfogare le nostre passioni così a lungo soffocate?»
Credevo che sarei riuscita a contenere la rabbia, sotto il suo sguardo oltremodo innamorato. Lo credevo davvero. Beh, mi sbagliavo: lo schiaffeggiai con tutta la forza che avevo. «Prima fai il cascamorto con tutte quelle che passano per questo corridoio, e adesso ti permetti di farmi una proposta del genere?» strillai, sdegnata e offesa. «Sei un maiale!»
Cominciai ad andarmene nella direzione opposta. «Mikan... dove vai, amore mio?» la sua voce mi raggiunse quando, per fortuna, ero troppo lontana per vederlo e tornare indietro a massacrarlo con qualcosa di veramente pesante. Non sapevo esattamente dove dovevo andare, avevo soltanto bisogno che qualcuno mi aiutasse. La prima persona che mi venne in mente fu proprio lui, ma era il problema principale, quindi dovetti subito scartare l'opzione. L'unica altra persona disponibile il giorno di San Valentino che mi venne in mente era Hotaru, ma lei doveva studiare. C'era una sola altra possibilità.
Cominciai a correre, dirigendomi verso il suo laboratorio. Arrivai alla porta col fiatone e la spalancai. «Ho un disperato bisogno di aiuto!» gridai, con le lacrime agli occhi. Nonoko, con una mano sul petto, forse nel tentativo di tranquillizzarsi, mi guardò, senza capire. «Natsume...»
«Che è successo?» volle sapere, preoccupata, mentre ci sedevamo sullo stesso divano dove avevamo aspettato la cottura dei biscotti. «Racconta.» tirai su col naso, depressa.
«Era tutto normale, poi gli ho rinfacciato le mie ottime doti di cuoca, dato che non si fidava a mangiare il cioccolatino e... puff...» mossi le braccia per rendere meglio il concetto, come se simulassi un'esplosione. «è cambiato tutto. Anzi, no! Lui è cambiato del tutto. Ci provava con tutte, Nonoko! Anche con Hotaru, e la cosa mi ha sconvolta perché neanche si parlano!»
«E prima si comportava normalmente?» mi chiese, pensierosa. Io annuii.
«Sì, lui stava masticando il cioccolatino e...» pensai a che altro avevamo fatto, dopo. «...niente. Dopo è soltanto saltato fuori con quello stranissimo comportamento. L'ho anche schiaffeggiato, sai?» oh, se l'avevo schiaffeggiato!
«Oh... oh...» corse all'armadietto dove teneva le sue invenzioni. «Oh... che cavolo!» sospirò, battendosi il palmo della mano sulla fronte. «Sono un'idiota, Mikan. Mi dispiace.» girò il barattolo verso di me. «È per il cambio di personalità. Personalità opposta.» un po' ermetica come spiegazione, ma quadrava perfettamente con ciò che era successo a Natsume.
«Co... come?» chiesi, scioccata. L'avevo preso a schiaffi per... i miei cioccolatini? «E...» avevo quasi paura a formulare le due importantissime domande che mi erano appena saltate in mente. «e... ecco... quando precisamente recupererà la sua personalità? E... ricorderà... tutto quanto?» Nonoko mi guardò, insicura.
«Non ne ho idea.» confessò, titubante. «Non l'avevo ancora mai provata.» oh, no! Non sapevamo neanche se sarebbe tornato come prima. Che cosa avrei dovuto fare? «Comunque sia non c'è tempo da perdere. Dobbiamo trovarlo e metterlo in un posto dove non lo trovi nessuno. Chissà che potrebbe combinare! Potrebbe sedurre una ragazzina delle medie, ci pensi?» spalancai gli occhi, incredula. Ma a che cavolo stavo pensando quando l'avevo lasciato solo? Mi diedi almeno dieci milioni di volte dell'idiota per non averci riflettuto prima.
«Dobbiamo assolutamente sbrigarci!» ero così agitata che mi tremava anche la voce. Non sapevo come avrei reagito se davvero ciò che aveva detto Nonoko si fosse avverato. «Ma come posso riuscire a convincerlo a venire con me?»
«Beh...» ci pensò per un attimo, finché non le si illuminò il viso. Doveva essere proprio una grande idea. «tenta di sedurlo tu.» che cosa aveva appena detto?

Quando lo trovammo, dopo circa mezz'ora di ricerche, eravamo nel corridoio dei dormitori femminili. Mi chiesi se avessi dovuto aspettarmelo. Stanche, col fiatone, ci appoggiammo al muro, mentre lui era pericolosamente vicino a Sumire, ma noi non lo eravamo tanto da sentire che cosa dicevano, almeno nel momento in cui eravamo arrivate. Col sangue che mi ribolliva nelle vene, mi avvicinai a loro, mentre Sumire lo guardava sognante. Chissà che promesse da marinaio le stava facendo quel maiale! «Certo, Sumire cara,» stava dicendo, con voce persuasiva e suadente. Quel tono mi fece indignare anche di più. «sei l'unica padrona del mio cuore.»
«Oh, Natsume!» sospirò lei, sorridendo, completamente persa nei suoi occhi. «Ho sempre desiderato sentirti dire queste parole!» gli gettò le braccia al collo e quando stava quasi per baciarlo non potei più resistere, per quanto potesse dispiacermi infrangere il sogno della mia amica.
«Natsume che stai facendo?» chiesi, con le braccia incrociate al petto. Vidi entrambi pietrificarsi. Natsume allontanò le sue braccia dalla vita di Sumire e la spinse via, per poi rivolgermi un sorriso smagliante.
«Mikan, amore mio, sei di nuovo davanti ai miei occhi!» mi salutò allegro, come se non stesse per tradirmi davanti al mio naso. Necessitava di tornare quello di prima, o sarei impazzita. «Cosa c'è? Non riuscivi a sopportare che ci separassero infinite mura?»
«Mi sembra che tu ti sia consolato in fretta, invece!» gli rinfacciai, non resistendo, anche se sapevo perfettamente che non era in sé. Lui si voltò indietro, a fissare Sumire che lo guardava fiduciosa, chissà che le aveva promesso.
«Ti inganni, bocciolo.» quasi mi rimproverò, come se avessi sbagliato a dargli così poca fiducia. «Stavo soltanto consolando una fanciulla in difficoltà.» lo fissai, scettica. «Non rivolgermi codesto sguardo, sole della mia vita. Sei a conoscenza di essere l'unica donna per me.»
«Che cosa?» chiese Sumire, stupefatta. «Ma... ma...» balbettò, guardandolo come se l'avesse tradita. «ma tu mi avevi promesso che l'avresti lasciata per me!» che... sporco bugiardo!
«Non prestarle ascolto, luce dei miei occhi,» Natsume si rivolse a me, mentre Sumire era sempre più sconvolta. «non ho mai pronunciato parole simili. Te lo giuro.» era così teatrale che sarebbe stato benissimo su un palcoscenico. «Mi sembra di aver già dichiarato di aver dedicato a te il mio nobile cuore.»
«Da-davvero?» chiesi, cercando di sembrare naturale. Beh, non ero una grande attrice ma, perlomeno, contavo di riuscire a fregare questo Natsume-non-Natsume. Se io e Nonoko dovevamo portarlo in un luogo sicuro era l'unica strada e io dovevo seguire il consiglio della mia amica, anche se ancora non sapevo se ce l'avrei fatta. Dovevo fidarmi di lei. «E come pe-pensi di di-dimostrarmelo?» respirai profondamente, mentre balbettavo, cercando di superare l'imbarazzo per riuscire a dire quella frase. «In... ca-ca-camera t-tu-tua?» serrai gli occhi, arrossendo immediatamente per la proposta appena fatta, soprattutto perché lo stavo facendo in un corridoio e davanti a Sumire, che chissà che stava pensando.
Natsume mi sorrise maliziosamente. «Ogni tuo volere è un ordine, mia amata.» detestavo che mi chiamasse con tutti quei nomi. Mi sovvenne solo in quel momento quanto adoravo il mio Mutande-a-Pallini e mi dispiacque quando vidi Sumire correre via, in lacrime.
Nonoko mi mostrò i suoi pollici. «Sei stata grande!» mi lodò; ma prima che potesse arrivare ad abbracciarmi, Natsume si frappose fra noi e si inginocchiò per terra.
«Qual bellezza si staglia davanti ai miei occhi, sono incantato!» proferì, giungendo le mani, e porgendole quella maledettissima rosa. Non avrei più voluto vederne in tutta la mia vita. Ribollii per l'indignazione. Era solo un pervertito che illudeva le ragazze.
«Ehm... ecco...» balbettò Nonoko, in imbarazzo. Guardò prima me, e poi di nuovo Natsume. Prese la rosa. «Ehm... grazie.» gli fece un sorriso tirato e poi mi afferrò il braccio. «Portiamolo via, subito.» io mi limitai ad annuire.

«Ti siederesti su quella sedia... per me?» gli chiese Nonoko. Lui le sorrise, facendo un mezzo inchino; mi sentivo così fuori luogo.
«Ma certo, raggio di sole. Il mio agire dipende dalle tue splendide labbra.» e così eseguì l'ordine. Nonoko si affrettò a legargli le mani, in modo che non potesse muoversi. «A che gioco vuoi giocare, mia dolce donzella?»
«Natsume... sei... sei un maiale.» ripetei, sdegnata. Lui mi sorrise, ammiccante, mentre mi veniva voglia di schiaffeggiarlo di nuovo. «Parlo sul serio.»
«Non c'è ragione per la quale tu debba essere gelosa, ragione della mia vita.» replicò, con naturalezza. «Stavo solo rendendo omaggio alla bellezza delle fanciulle di quest'Accademia il giorno di San Valentino. Qualcuno doveva pur farlo.» provai di nuovo a resistere. Ci provai davvero, esattamente come poco prima. Ma non ci riuscii, com'era prevedibile, tanto che si ritrovò con il segno della mia mano stampato sulla guancia. Potevo dire di averlo colpito molto più violentemente di prima, nonostante avessi creduto di avergliele suonate con tutta la mia forza. «Maledizione, Mutande-a-Pallini, hai finito di prendermi a schiaffi?»
«Sei un maniaco e te lo meriti!» risposi, quasi gridando, mentre cercavo di contenere la rabbia. Lui mi guardò negli occhi e il suo sguardo raggelante mi mise i brividi, ma... «Natsume...? Sei tu?»
«Chi pensi che dovrei essere, razza di stupida?» sbottò, di rimando, senza abbandonare quello sguardo omicida, che rivolse dieci volte peggiore a Nonoko, che deglutì.
«Beh... Mikan... io... vado. Ci vediamo... ehm... domani.» con queste parole, Nonoko fuggì letteralmente dalla stanza. Quando tornai a fissare Natsume, scoprii che si era liberato di qualunque cosa la mia amica avesse usato per legarlo.
Cominciò ad avvicinarsi a me, e io a indietreggiare, finché non incontrai l'ostacolo del muro. Mi ritrovai intrappolata fra quel malefico pezzo di cemento e il mio ragazzo. «Mikan,» il mio nome suonò terribilmente minaccioso pronunciato con quel tono. Rabbrividii di nuovo e sentirsi in trappola com'ero io non aiutava molto a sentirmi a mio agio. «fammi un altro scherzo del genere, e ti prometto che la prossima cosa a cui darò fuoco saranno le tue mutande a pallini.» mi minacciò. Sembrava che i suoi occhi potessero perforarmi. «Sono stato chiaro...» alzò un braccio e io mi chiesi che intenzioni avesse, finché, come al solito, non mi alzò la gonna. «Mutande-coi-Girasoli?» tentai di riabbassarla, senza guardarlo. Avevo le lacrime agli occhi e pensavo che se le avesse viste si sarebbe comportato anche peggio. Dopo che combinavo guai, detestava vedermi piangere. «Non c'è bisogno di frignare.» la solita delicatezza da tritarifiuti.
Mi passai una mano sugli occhi. «Lo so...» risposi, tirando su col naso. «è solo che non sapevo più cosa fare per farti tornare normale. Mi sono confusa.»
«Pestarmi è stata una magnifica idea, in effetti.» faceva anche lo spiritoso. Non mi ero mai ingelosita o arrabbiata tanto in tutta la mia vita come in quel giorno. Era proprio un San Valentino da dimenticare. «Te lo dico a titolo informativo: non mangerò più cioccolatini a San Valentino. Non cucinarmi più niente, ti prego.» feci una smorfia: non era stata una cosa intenzionale, ma non credevo che fosse il momento adatto per mettersi a discuterne.
«Come vuoi.» risposi, mogia. Beh, allora addio tradizione di San Valentino, Capodanno e tutto il resto. «Ma per i cioccolatini non è stata colpa mia...» tentai di giustificarmi, ma quando lo guardai di nuovo non sembrava più arrabbiato.
«Non è stato divertente fare quelle cose, capire di farle e pensare che fossero giuste. Santo cielo, ero disgustoso!» la sua espressione confermava in pieno le sue parole, e mi fece sorridere. «Se la prossima volta, e spero seriamente che non ci sia, dovesse ricapitare e tu non dovessi riuscire a farmi recuperare la lucidità, ti prego... ammazzami.» sapevo – o almeno era quello che speravo ardentemente – che non parlasse sul serio.
«Non dire così.» lo rimproverai. Lui mi sorrise, furbo, e io seppi che stava per dire qualcosa di imbarazzante, come sempre.
«Allora, dimmi,» si morse un labbro, compiaciuto. Non potei reprimere un sorriso. «sono così male?» che grandissimo... idiota.
Sbuffai, mentre ancora non si decideva a lasciare andare la mia gonna. «Ti piace proprio sentirtelo dire, eh?» osservai, senza, però, particolare convinzione. «Però... no... non sei poi così male.» questo gli avrebbe fatto molto bene, almeno.
«Era ciò che volevo sentirmi dire, dopotutto.» ammise, abbassando la testa per baciarmi. In effetti, non vedevo l'ora che lo facesse, dal momento che avevo passato tutto il pomeriggio con un altro Natsume. E quando mi ritrovai le sue labbra sulle mie, lo attirai di più verso di me per non permettergli di allontanarsi neanche per un secondo, in qualche modo questo mi dava la certezza che era tornato quello di sempre. Mi accorsi solo vagamente che mi stava sciogliendo i capelli.
Quando ci separammo, avevamo il fiato corto. «Allora...» cominciò, riprendendo a respirare. «che si fa?» solo in quel momento mi venne in mente che c'era un posto dove volevo assolutamente andare.
«Portami a Central Town.» fu la mia proposta. «I locali sono aperti fino a tardi.» lo vidi sorridere, nel buio della camera.
«Devo forse noleggiare una moto, Mutande-coi-Girasoli?» mi domandò, baciandomi leggermente le labbra. Io annuii, sorridendogli.
«Smettila di chiamarmi così...» era davvero irritante la mancanza totale di sicurezza nella mia voce, come anche suscitare quel sorrisetto che era comparso sulle sue labbra, al suono delle mie parole.

«Okay, ora lo so.» constatai, mentre mi toglievo il casco dalla testa. «Io e le moto non ci capiamo.» mi sistemai il vestito che mi ero messa per l'occasione. Più precisamente, era quello che Tsubasa-senpai e Misaki-senpai mi avevano regalato per il mio compleanno. Avevo rischiato di rimanere senza la metà inferiore per più di una volta. Di norma non sarebbe stato divertente, ma chissà perché avevamo riso per tutto il tragitto.
«Quanto la fai lunga.» commentò Natsume, scompigliandosi i capelli. «Lo sapevi che una gonna ampia come quella non è adatta per questo genere di viaggi. Io ti avevo consigliato di metterti i pantaloni, ma tu hai la zucca vuota e non mi ascolti mai.» gonfiai le guance, offesa.
«Smettila!» protestai, incrociando le braccia al petto. Lui, per tutta risposta, sorrise e mi strinse la vita con un braccio. Mi morsi un labbro per non sorridergli di rimando, ma non riuscii comunque a reprimerlo.
Lui mise su un espressione pensierosa e si guardò intorno, in cerca di qualcosa. «Allora, dov'è questo magnifico posto dove volevi andare, Mutande-coi-Girasoli?»
Io gli feci la linguaccia, senza proferire parola. Lo trascinai nella direzione delle luci, dove c'era un sacco di gente; di sicuro eravamo nel posto giusto. Lo sentii sospirare, e gli scoccai quella che voleva essere un'occhiataccia, ma che non ebbe l'effetto sperato, almeno dato il modo rilassato e innocente con cui mi guardava. Fece una smorfia, appena ci fermammo davanti all'entrata. «E ora che hai?» domandai, girandomi nella direzione in cui stava guardando per capire quale fosse il problema.
Lo vidi sul punto di sbuffare, per poi trattenersi. «Niente...» replicò, distogliendo lo sguardo. «troppa gente, tutto qui.»
«Beh, è logico!» commentai, stupefatta. Insomma, se eravamo andati a Central Town: l'unico altro luogo dove gli studenti dell'Accademia potevano andare, oltre ai dormitori. Che cosa si aspettava di trovare se non un'immensa folla? «È San Valentino!»
«Guarda chi si vede!» la voce di Ruka-pyon mi arrivò alle orecchie e mi girai verso la direzione da cui proveniva, scorgendo Hotaru con le braccia conserte. Erano due settimane, ormai, che Ruka-pyon aveva potuto riprendere a camminare da solo di nuovo: ero felice per lui, almeno non si era perso i festeggiamenti. «Anche voi qui per la festa di San Valentino?»
Io annuii. «Oh, sì. Giusto per concludere la giornata in bellezza.» ma fu Natsume a parlare. Abbassai lo sguardo, colpevole. Non potevo ripensare a quello che era successo quel pomeriggio.
«Sono quasi felice che tu sia tornato normale Hyuuga.» fu il distaccato commento di Hotaru. «Sarebbe potuto essere un problema per Mikan se tu fossi rimasto in quelle condizioni.» continuavo a trovare tremendamente interessanti le mie scarpe: non potevano cercare un altro argomento di conversazione?
«Volevi entrare in quel locale, Mikan?» mi chiese Ruka-pyon, indicandomi la fonte di tutti i problemi del mio ragazzo. Io annuii, di nuovo, contrita per via della discussione che Hotaru e Natsume avevano intrapreso. «A noi hanno dato due biglietti omaggio. Sono bibite gratis.» lo guardai, riconoscente.
«Sicuro che a voi non servano?» gli domandai, prima di prendere qualcosa che potesse servire loro. Ruka-pyon, però, scosse la testa.
«Non ti preoccupare...» cominciò, ma Hotaru lo interruppe, mettendogli una mano sulla spalla. Lui le restituì uno sguardo curioso, come doveva esserlo il mio.
«Ovviamente,» spostò i suoi occhi raggelanti su di me. «dovrete pagarci.» vidi Ruka-pyon alzare lo sguardo al cielo, divertito.
«Smettila di scherzare, Hotaru.» anche se lei non aveva l'aria di quella che scherza. O meglio, io sapevo che Hotaru non scherzava mai quando c'erano di mezzo i soldi. Beh, diciamo che era una delle mie poche, solide certezze. «Sono in omaggio, non è carino che paghino per averli.» la mia amica si limitò a sbuffare, mentre Ruka-pyon sorrideva. Com'erano carini insieme!
«Grazie Ruka-pyon!» esclamai, abbracciandolo. Circa cinque secondi dopo, sentii qualcuno tirarmi indietro.
«Okay, basta.» era la voce di Natsume; e sembrava anche piuttosto irritato. «L'hai ringraziato abbastanza, andiamo.» e, detto questo, cominciò ad avviarsi verso l'entrata del locale. Rimasi lì impalata per un po', fissandolo mentre si allontanava da noi.
«Natsume!» lo chiamai, costernata. Ma che gli prendeva, all'improvviso? Sospirai, desiderando ardentemente che il momento in cui fossi riuscita a capirlo davvero arrivasse il più presto possibile.
«Non c'è di che, Mikan, comunque.» Ruka-pyon mi riscosse dalla mia temporanea, totale assenza di pensieri. Per tutta risposta, io annuii, per la terza volta in dieci minuti, ancora senza parole.
«Ma che gli prende?» chiesi, sperando che uno dei due avesse una risposta per me.
«Niente di preoccupante, Mikan.» Hotaru mi diede una pacca sulla spalla, mentre cominciavamo a incamminarci anche noi. «Direi che è solo marcio di gelosia.»
«Davvero?» beh, sapevo che era irrimediabilmente geloso, ma non credevo che lo sarebbe stato anche se avessi abbracciato un amico. «Lo raggiungo...» mi misi a correre, fino ad arrivare dov'era lui, prendendolo a braccetto. «Sono felice.» confessai, appoggiandomi al suo braccio.
«Per forza, ci sono io.» fu il suo commento. Mi limitai a ridere: era inequivocabilmente lui, per fortuna.

*****

Spero che questo capitolo vi abbia risollevato un po' il morale dalla depressione che, almeno per me, ha portato la fine delle vacanze ;(. Voi avete ricevuto gli auguri per il giorno della Befana? Io sì XD.

Risposte alle recensioni:

_evy89_: ho cercato di essere il più fedele possibile, perché adoro questi personaggi e non riesco ad immaginare, ad esempio, Mikan in un modo diverso dall'ingenua ragazzina che è XD o una Hotaru diversa da un pezzo di marmo, anche se lei nel manga si sta ammorbidendo un po' XD. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto ^^
marzy93: beh, ti faccio un piccolo spoiler: nel prossimo capitolo si sveleranno parte dei piani del preside e non sarà proprio una cosa piacevole specialmente per Mikan e Natsume, ne vedremo delle belle XD.
nimi_chan: magari è anche l'ideale mio XD ecco perché lo descrivo così, anche se in certe situazioni, se fossi Mikan, lo strangolerei XD. Tanti auguri anche a te, a proposito ^^

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
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E in particolare le new entry:

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18. Silli96
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E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
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Capitolo 10
*** Di male in peggio ***


Capitolo 10 – Di male in peggio
(Natsume)


Quando uscii dalla classe era tardo pomeriggio e ringraziai il cielo di essere fuori di lì. La riunione della classe di abilità Pericolose non era una cosa che aspettavo con ansia tutte le settimane, soprattutto quando dovevamo parlare di cose come portare in Accademia altri bambini. Non avevo ancora capito a che punto erano con questo geniale piano, dato che la missione di tre mesi fa era fallita, ma di sicuro Persona e il Preside avevano le idee chiare, e la cosa non mi tranquillizzava affatto. L'idea che dei bambini venissero strappati alle loro famiglie perché avevano Alice rari che potevano servire agli scopi del Preside mi metteva i brividi, soprattutto perché mi ricordava terribilmente quello che era successo a me.
«Natsume-kun...» la voce di Nobara mi riscosse dai ricordi. Forse era la prima volta che ero davvero felice di sentirla. «...ecco... il Preside ha detto che vuole parlarti.» okay, forse non ero così felice. Sbuffai, ricordandomi che, tempo prima, mi aveva detto che avremmo dovuto parlare del mio non meglio precisato futuro. Speravo solo che finisse tutto in fretta, almeno avrei potuto andarmene.
«Arrivo.» risposi, scocciato. Tornai indietro, fino ad arrivare alla porta più squallida di tutta la sezione delle elementari. Immaginai di dover bussare, così lo feci: il marmocchio teneva particolarmente alle formalità, ed era il caso di non indispettirlo ancora prima di aprire bocca.
«Entra pure, Hyuuga-kun.» la sua voce da bambino, che più di ogni altra cosa mi faceva saltare i nervi, arrivò anche più inquietante da dietro la porta. Sospirai, prima di aprirla ed entrare. Se la stanza fosse stata un po' più luminosa, magari sarebbe sembrata più accogliente, ma di certo, quelle scure tende chiuse, non aiutavano a sentirsi a proprio agio. «Non stare lì in piedi, siediti.» ecco: quando chiedeva di sedersi, era perché aveva qualcosa di maledettamente lungo da dire; e quando lui diceva qualcosa di lungo, di solito, uscivo di lì coi nervi a fior di pelle. Obbedii all'ordine, e mi appoggiai allo schienale: se doveva essere per forza una cosa lunga, meglio stare comodi.
«Ricordi che, qualche mese fa, ti ho mandato in missione insieme a Ibaragi e Andou?» e come avrei potuto dimenticarmene? Mi limitai ad annuire: a lui non andava a genio che gli si rispondesse, quando doveva parlare. «Mi fa piacere.» mi trattenni dal mostrare qualsivoglia espressione, ma dentro di me, mi chiesi se mi stesse prendendo semplicemente in giro. «Persona mi ha detto del tuo comportamento durante quella missione.» a quel punto, desiderai che arrivasse subito al nocciolo della questione: ricordare non era esattamente la mia più grande priorità. «Gesto eroico da parte tua, ma...» fece schioccare la lingua, in segno di disappunto. «terribilmente stupido, sfortunatamente.» intrecciai le mani l'una con l'altra, per non cadere nella tentazione di dargli fuoco, anche perché non avrebbe funzionato, con tutte le “precauzioni” che prendeva contro gli Alice delle abilità Pericolose, e non ci tenevo particolarmente a peggiorare la mia situazione. «Però, voglio offrirti un'altra possibilità, dopotutto.» lo guardai in faccia, sospettoso: lui non offriva mai seconde possibilità. Chi sbagliava, andava fuori. Questo era uno dei principi della nostra classe. E con “fuori” non intendeva fuori dalla classe o dall'Accademia. «Dato che non siamo riusciti nel nostro intento, esattamente come avevamo previsto...» faceva tutti quei problemi per una missione che sapeva già che sarebbe fallita? «penso che vorrai porre rimedio, sbaglio?» aprii la bocca per rispondere, anche se non sapevo ancora bene cosa dire. Ovviamente, non ce ne fu bisogno. «Perfetto. D'altronde, una seconda possibilità non si rifiuta mai.» averne l'opportunità, sarebbe già stato qualcosa. «Tu sei molto intelligente, l'hai dimostrato ampiamente in più di un'occasione, e non voglio che questa tua qualità rimanga inutilizzata. Hai molto potenziale, e pretendo che tu lo usi.» inarcai un sopracciglio, confuso. In che modo pretendeva che io mettessi al suo servizio la mia testa? «Come tu ben sai, o dovresti sapere – comunque non fa molta differenza – la Watanabe Corporation, da noi meglio conosciuta come Organizzazione Z, ci osteggia da troppo tempo. Ci nasconde bambini con Alice preziosi per la nostra Accademia e questo potrebbe crearmi dei fastidi.» beh, quella era la storia delle abilità Pericolose; la conoscevo a memoria, non c'era bisogno che me la ripetesse. «Ti chiederai cosa c'entra con il tuo cervello.» per una volta, ci aveva preso in pieno. Appoggiò i gomiti sulla scrivania, intrecciando le dita delle mani, quasi volesse fingersi un grand'uomo d'affari; visto così sembrava più grande. Mi trattenni dal sorridere: sembrava un bambino che voleva giocare a fare l'adulto. «Tu hai la possibilità di diplomarti, così come sei ora, e mi servi fuori di qui.» quando lo vidi sorridere compiaciuto, immaginai che la mia espressione trasmetteva quello che stavo provando, cioè stupore, irritazione e... non sapevo bene che altro. «Voglio che ti infiltri nella Watanabe, tu hai tutte le capacità di quello che può farcela. E con questo, voglio dire che è un'offerta che non puoi rifiutare. Mi spiego?»
«Direi... di sì.» risposi, un po' confuso, mentre cercavo di elaborare tutto il discorso che mi aveva appena fatto. Non mi attirava per niente l'idea di andarmene.
«Non interrompermi.» mi rimproverò, glaciale. Riportai l'attenzione su di lui: a quanto pareva, le belle notizie non erano ancora finite. «Prima di settembre, voglio che tu abbia un diploma in mano. Sono stato chiaro? Farai questa sessione d'esame, e poi ti metterai a studiare per il diploma, questo perché gli studenti del primo anno, nella sezione delle superiori, non sono ritenuti abilitati ad affrontare un esame per il diploma, dopodiché farai le valigie. Dovrai trovare le ubicazioni di questi bambini e trasmettercele. In fin dei conti, non è così impegnativo.» ah, beh, se lo diceva lui, che motivo avevo di preoccuparmi? Poi distese il viso in un sorriso oltremodo irritante. «Puoi andare ora, se è tutto chiaro.»
«Cristallino.» replicai, alzandomi. Mi domandai perché tutta quella fretta di spedirmi in quell'organizzazione, dopo che avevano fatto un gran fracasso per avermi in Accademia e, soprattutto, come avrei dovuto dirlo a Mikan? «E se non dovessi riuscire a diplomarmi?» la domanda mi arrivò alle labbra prima che potessi anche solo pensare di fermarla.
«Mi pare ovvio.» rispose lui, mi pareva quasi di poterlo vedere sorridere, anche se ero girato di spalle, verso la porta. «L'ipotesi non è contemplata.»

Entrai in camera sbattendo la porta: non riuscivo a credere che mi stessero cacciando fuori, cioè, mi irritava il fatto di essere irritato per questo, anche se non c'era molta logica nel ragionamento. Forse, semplicemente, andarmene implicava lasciare Mikan quasi da sola, senza contare come ci sarebbe rimasta quando gliel'avessi detto.
«Natsume... che hai?» appunto, lei era proprio l'ultima persona che volevo vedere, in quel momento. «Stai bene?» si avvicinò a me, ma non la guardai nemmeno.
Sbuffai, irritato. «Mikan, per favore, lasciami in pace.» fu la mia brusca risposta. Lei non disse altro per un po'. Io mi buttai sul letto, sperando che andasse via.
Ovviamente, non lo fece. «Natsume, se non mi dici qual è il problema, non posso aiutarti.» tanto, non poteva aiutarmi comunque. Dirglielo era prettamente inutile, considerando che l'avrebbe solo fatta piangere. E poi che cos'avrei dovuto dirle? “Ops... prima settembre devo levare le tende, ma in qualche strano modo ci terremo in contatto, anche se l'Accademia controlla tutta la posta che arriva e che viene spedita. Ciao”? Non era esattamente l'approccio migliore. «È successo qualcosa alla riunione?» non feci niente per darle una risposta; in quel momento, mi limitavo solo a respirare. «Insomma, vuoi dirmi che hai o no?» chiusi gli occhi, pregando perché la smettesse di fare domande: dovevo ancora elaborare un buon modo per dirglielo. «Sono stufa di questo comportamento. Quando sei turbato non mi parli mai dei tuoi problemi. Che stiamo a fare insieme, allora? Per fare i piccioncini e nient'altro?»
Mi misi a sedere nel letto, guardandola con non so che espressione. «Se vuoi lasciarmi, sei libera di andartene.» la mia voce suonò annoiata. Lei spalancò la bocca, sdegnata, come se l'avessi colpita alle spalle.
«Come vuoi, allora!» dichiarò e, senza darmi il tempo di capire, spalancò la porta e se ne andò. Quando si richiuse alle sue spalle, mi ributtai sul materasso. Magari era meglio per tutti e due: non avrebbe dovuto turbarla più di tanto sapere che me n'ero andato e io non avrei dovuto dire addio né vedere le lacrime di nessuno. Fino a settembre, di sicuro le cose sarebbero cambiare, magari lei mi avrebbe lasciato perdere. Appena finii di pensarlo, mi accorsi che l'idea non mi attraeva più di tanto, anzi: mi si contorcevano le budella al solo pensiero che Mikan potesse stare con qualcun altro. Sorrisi, pensando all'assurdità dei miei pensieri. Insomma, non era possibile che dicesse sul serio: immaginavo che avesse già dimenticato tutto quanto e che la situazione sarebbe tornata alla normalità a breve, esattamente come al solito.

Fu soltanto la mattina dopo, a mensa, che mi accorsi di non aver capito niente di quella che, ormai, sembrava essere la mia ex ragazza. Quando mi ero avvicinato a lei per metterci d'accordo sull'orario delle ripetizioni, scoprii che non aveva intenzione di rivolgermi la parola.
«Mikan...?» la chiamai, ormai non sapendo più se ci sentiva o meno. «Allora?» continuò a camminare, senza rivolgermi un solo sguardo. Io smisi di seguirla, quando capii che non era perché era distratta come al solito suo che non mi rispondeva, ma perché non voleva farlo. Io non sono il tipo che insegue le ragazze che lo ignorano, e per me poteva anche restare senza matematica per tutta la vita. Io avrei passato l'esame, lei no: non scombinava di troppo i miei piani.
Arrivò quasi a sbattermi la porta della mensa sul naso; sospirai, limitandomi ad alzare gli occhi al cielo; tentai di giustificarla ripetendomi che era arrabbiata, ma sapevo che di lì a poco avrei perso la pazienza. Che esagerata! Quando entrai, la vidi che correva a braccia aperte verso Imai, pressappoco gridando: “Ci siamo lasciati”. Vidi tutto il tavolo farsi più attento, specialmente Ruka, che era quasi traumatizzato, e quell'insopportabile colla di Sumire, che sembrava a dir poco deliziata dalla notizia. Beh, poteva avere tutte le speranze che voleva, sarebbero rimaste solo tali.
«Aspetta, Mikan... che vuol dire?» chiese Ruka, sotto shock. «È impossibile! Cioè... stavate insieme da quasi un anno e sembravate felici insieme! Nel test risultavate la coppia perfetta!» alzai gli occhi al cielo alla parola “test”. Davvero il mio migliore amico aveva fatto un test su di noi? Da che parte mi dovevo buttare per uccidermi?
«Sembravamo, infatti!» replicò Mikan, rivolgendomi un'occhiataccia. Sbuffai, sedendomi vicino a quello che avevo presupposto, fino a trenta secondi prima, essere il mio migliore amico, già sapendo che mi avrebbe sommerso di domande. Se non l'avessi conosciuto, l'avrei comunque capito dal suo sguardo. «Ma quel ragazzaccio che ti siede vicino, Ruka-pyon, non ha idea di cosa sia un rapporto tra due persone che si vogliono bene, né di cosa sia la gentilezza.»
«Mi sembra che non ti sia mai dispiaciuta troppo la mia mancanza di gentilezza.» osservai, irritato. Doveva per forza parlarne davanti a tutti? L'opzione “risolvere la cosa tra di noi” sembrava sfuggirle alquanto. Beh, se lei faceva qualcosa che dava fastidio a me, non vedevo perché non avrei potuto fare lo stesso. «Non chiedermi degli esempi, potrebbe essere imbarazzante.»
La vidi arrossire e distogliere lo sguardo. «Ti odio.» sibilò, ma riuscii comunque a sentirla. Imai le mise una mano sulla spalla, nel blando tentativo di consolarla.
«Ti prego,» cominciò, guardandola compassionevolmente. «non dirmi che siete una di quelle coppie che gioca al tira e molla.» no: stavolta aveva fatto tutto quanto Mikan; o meglio, anche quella volta, aveva fatto tutto lei. Mikan scosse la testa, con decisione.
«Non ci sarà niente di niente! Non lo voglio più vedere!» girò la testa dall'altra parte, e io sospirai a bocca aperta, esasperato. Tutto questo solo perché non le avevo detto che a settembre me ne sarei andato dall'Accademia e l'avrei lasciata sola. Bel ringraziamento.
Mi appuntai mentalmente che, se una cosa del genere fosse ricapitata, avrei dovuto semplicemente porgerle su un piatto d'argento la verità, qualsiasi fossero state le conseguenze.
«Allora devi risolvere il problema del banco.» le fece notare Sumire, zuccherosa. Per poco non diedi fuoco alla sua colazione, per pochissimo. «Potremmo fare a cambio, se ti crea problemi stare vicino a lui. Puoi stare tu tra Anna e Nonoko, ti pare un'idea?»
«Lo faresti d-davvero?» le chiese Mikan, timidamente. Sumire le sorrise gentilmente, come mai le avevo visto fare, soprattutto se il sorriso era indirizzato a Mikan. Che persona ipocrita e squallida. E io avrei dovuto sedermi vicino a una come lei? Ma neanche per sogno, soprattutto se aveva intenzione di provare a fare quello che pensavo.
«Niente da fare.» le interruppi, prima che Sumire potesse darle altre speranze. «Decido io chi si siede vicino a me, dalle elementari. Il tuo posto, Mikan, è quello, non puoi cambiarlo solo perché abbiamo avuto una stupida discussione.»
Lei mi rivolse di nuovo uno sguardo di fuoco. Era guerra aperta, a quanto pareva. «Stupida discussione? Stupida discussione? Allora è così che la pensi! Pensi che per me, esprimere la mia opinione su qualcosa sia stupido!»
«Beh, se la metti così.» fu tutto ciò che risposi, prima che Imai la facesse alzare e la trascinasse via dalla mensa per un braccio. Quando tutte e due scomparvero dalla nostra vista, anche i miei compagni di classe si alzarono per andare a lezione. Lo spettacolo era ufficialmente finito. Ma Ruka mi trattenne per una manica della divisa.
«Vuoi parlarmene?» mi chiese, ancora seduto, mentre il suo coniglietto cercava di saltare nel piatto e racimolare qualcosa extra. Scossi la testa. «Veramente era da interpretare come: parlamene.» oh, fantastico! Adesso anche il mio migliore amico si interessava di gossip. Doveva essere la mia settimana fortunata. «Cos'hai combinato?»
«Perché devo essere sempre io quello che complica la situazione?» forse era una domanda retorica, ma il suo sguardo mi lasciò intendere molte cose, una delle quali era “è quasi sempre colpa tua.”. «Ehi, è stata Mikan a lasciarmi, chiaro? Chiedilo a lei qual è il suo problema.»
Ruka mi fissò, sbigottito, mentre si alzava. «È stata lei?» aveva pronunciato quella frase come se fosse stata una bestemmia. Invece, io lo guardai come se fosse stata una cosa ovvia. «Cosa le hai fatto per farti lasciare?» appunto, alla fine la colpa era sempre mia.
«Ma niente! È proprio questo il punto.» tentai di spiegargli. Non avevo capito perché se la fosse presa tanto. «Quando è finita la riunione della mia classe di abilità, ero un po' nervoso.»
«Quanto nervoso?» indagò, fissandomi con sguardo scrutatore, come se il colpevole, lì fossi io.
«Quanto basta.» replicai, irritato. «Sono tornato in camera sbattendo la porta e lei ha cominciato un sermone sul fatto che non le dico mai cosa mi preoccupa e altre scemenze del genere. Io le ho detto che se voleva lasciarmi, nessuno glielo impediva e lei se n'è andata.»
«E ti aspettavi anche che restasse?» era a dir poco stupito, quasi avessi detto che avevo percorso la distanza terra-sole più velocemente della luce. «Le hai praticamente detto che di lei non ti importa niente!»
Sbuffai. «Beh, non era quello il senso. Non è colpa mia se lei interpreta male le frasi.» I problemi ce li avevano tutti; se ci lasciavamo tutte le volte che litigavamo, beh, allora avevamo una lunga strada da fare!
«Perché non le chiedi scusa e basta?» lo guardai come un predatore che desidera uccidere la sua preda con tutte le proprie forze.
«Perché dovrei?» Ruka sospirò, guardandomi spazientito. Che aveva da guardarmi così? Era lui che si faceva tanto l'esperto di ragazze.
«Perché è quello che lei si aspetta che tu faccia, Natsume!» me lo disse come se avessi dovuto pensarci da solo. «Se non sei disposto a chiederle scusa, come pensi che la situazione potrà migliorare?» non capitava tanto spesso che chiedessi scusa, soprattutto per una stupida discussione! E, sì, era stupida, qualunque cosa pensasse Mikan.
Quando entrammo in classe, scoprii che avevano già fatto muovere le rotative: Sumire sedeva al posto di Mikan, e lei era davanti al nostro banco vicino a Imai. Ruka mi scoccò un'occhiata eloquente, mentre io alzavo gli occhi al cielo.
«Vai prima tu.» quello che uscì dalle mie labbra fu quasi un ordine; non avevo la benché minima intenzione di sedermi vicino a quella lì. «O non garantisco che la lezione proseguirà tranquillamente.»
Ruka scosse la testa, rassegnato. «Dovrai chiarire la situazione prima o poi, lo sai vero?» io alzai gli occhi al cielo, di nuovo. Credevo semplicemente che Sumire avesse capito che non aveva speranze, da quando io e Mikan stavamo insieme, e quello che era successo a San Valentino non mi aiutava particolarmente. A quanto pareva, non si era rassegnata affatto, e quest'oggi aveva colto la palla al balzo. Solo che non sapeva che non c'era nessuna palla da prendere.
«Sì... certo.» risposi, anche se, sinceramente, non me ne importava proprio niente. «Ti devo un favore.» lui si sedette vicino a Sumire, che però lo fermò, prima che potesse anche solo appoggiarsi.
«Non è il posto di Natsume, quello?» domandò, simulando un tono innocente. Ruka sorrise timidamente, in difficoltà, e mi guardò come a incitarmi a rispondere.
«Non mi va di stare lì, oggi.» replicai, lapidario. Lei mise su un'espressione comprensiva, quella che di solito hanno quelli che, a prima vista, hanno capito ogni cosa, ma che in verità non hanno capito proprio un bel niente.
«Oh, beh, vorrà dire che mi ci siederò io, visto che per voi due è un problema.» guardai Ruka, con il chiaro intento di trasmettergli le conseguenze delle sue azioni, ma lui mi guardò impotente, alzando le spalle. Sbuffai: questa era una di quelle cose che non si potevano evitare, un po' come la morte.
Ruka mi sillabò uno «Scusa.» non troppo sentito, mentre si sedeva al posto di Mikan. Sumire al mio, io a quello di Ruka. Appoggiai il mento a una mano, già sapendo che quella sarebbe stata una lunga mattinata. Infatti, come previsto, Sumire non stette zitta un attimo, giusto il tempo di cogliere uno sprazzo di conversazione di Imai e Mikan, che erano sedute proprio davanti a me, posizione giusta per la mia ex ragazza – il solo pensare quel termine mi pareva la cosa più assurda del mondo, anche più di quanto mi era sembrato pensare a Ruka in una rissa, il che era tutto dire – per gettarmi ogni tanto delle occhiatacce.
«Mikan, ti prego, dimmelo. E poi, ti scongiuro, taci: vorrei seguire un po' il ripasso che sta facendo il professore!» Imai doveva essere al culmine della sopportazione, a giudicare dal suo tono di voce. «Volevo solo continuare il discorso che stavamo facendo prima di entrare. Ti stavo dicendo di ieri sera, insomma. L'ho lasciato io.» Imai si girò lentamente verso di lei, scrutandola, da quello che potevo vedere, con una certa incredulità.
«Okay, mi hai sorpresa, Mikan.» confessò, allora, tornando a prestare attenzione al quaderno che aveva davanti. Se non l'avesse detto lei stessa, avrei fatto fatica a crederlo. «Contenta?»
«Natsume...» Sumire si strofinò sul mio braccio, fastidiosa come una vecchia spugna usurata. «tu ci capisci qualcosa di questa roba? Io proprio niente... potresti spiegarmela?» la guardai come se fosse stata spazzatura, giusto per chiarire meglio il concetto, e magari farla staccare dal mio povero braccio, ma non sembrò avere effetti di sorta, così la ignorai semplicemente. «Dopo le lezioni che cosa fai? Ti andrebbe di venire a pranzare insieme a me?» lanciai un'occhiata a Ruka che tratteneva a stento le risate. In momenti come quello, avere un migliore amico così sadico non aiutava. «E poi potresti aiutarmi con la matematica? Sei il più bravo della classe, e io ho proprio bisogno di ripetizioni per passare quell'esame.» presi un respiro profondo, mentre mi massaggiavo una tempia, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe chiuso il becco. «E poi... insomma... potrebbe essere il momento giusto per... beh, sì... insomma hai capito!» rabbrividii per il disgusto: la sola idea di guardarla mi faceva venire il voltastomaco, figurarsi qualunque altra cosa che implicasse sfiorarla anche solo di striscio.
Quando uscimmo dalla classe, dopo che tutti i professori ci avevano fatto fare il ripasso delle loro materie, di cui io non avevo seguito neanche la minima parte per cause di forza maggiore, Sumire non aveva ancora smesso di parlare. «Ecco... quindi, ci vediamo oggi pomeriggio in biblioteca, okay?»
«Abbiamo una biblioteca?» sentii Mikan chiedere, per poi tapparsi subito la bocca, come se avesse appena pronunciato un segreto inconfessabile. Mi girai a guardarla, chiedendomi se avesse ascoltato tutta la pseudo conversazione che Sumire aveva intrattenuto con me. Volevo proprio sapere che gusto c'era a parlare con qualcuno che non risponde. Io non ne vedevo l'utilità, ma magari Sumire non era dello stesso avviso. «Vedo che ti consoli in fretta, maniaco.»
«Cosa intendi dire, Mutande-a-Pallini?» parlai bassa voce, in modo da farle capire che avrei apprezzato se avesse fatto lo stesso, dato che non ci tenevo particolarmente a dare spettacolo com'era successo quella mattina, ma lei non sembrava pensarla allo stesso modo, quindi non servì praticamente a niente.
«Ti sei lasciato con la tua ragazza ieri sera, e il giorno dopo hai già il rimpiazzo.» era incredibile che ce l'avesse a morte con me solo perché avevo detto quella maledettissima frase.
Mi domandai se si rendesse conto di quello che stava dicendo. «Lo pensi davvero?» se non altro, volevo avere la conferma che mi considerasse un tale idiota. Lei si limitò ad annuire. «Allora sei sul serio molto più stupida di quello che pensavo. Lasciarmi è stata la cosa migliore che potessi fare.» non credevo di pensarlo davvero, però.
«Beh, se tu la pensi così, allora sei il più grosso idiota che abbia mai conosciuto e sì: ho fatto bene a lasciarti, ieri sera.» chiarii lei, mettendosi davanti a me, come se dovessimo affrontare un duello, anche se, se dovevo essere sincero, mi sembrava di essere tornato all'asilo. O per meglio dire, il livello della nostra conversazione sfiorava quella profondità.
«Bene.» risposi, senza particolare enfasi. Lei mi fissò, probabilmente nel tentativo di mostrare uno sguardo altezzoso.
«Bene.» ripeté, prima di distogliere lo sguardo dal mio. Dopo un paio di minuti di silenzio, silenzio che mi chiesi se dovessi rompere io, si grattò una guancia, a disagio. «Beh... è meglio che torni da Hotaru... dobbiamo andare a studiare insieme...»
Annuii, senza prestare particolare attenzione all'ultima frase. Soltanto quando realizzai quello che aveva detto, capii che il posto dove dovevo andare era la biblioteca, dato che ciò che aveva mi aveva fatto intendere che lei sarebbe andata lì. Mi riproposi di tenere lontano da lei tutti quei disgraziati che avessero provato a chiederle di uscire. Essere il nuovo ragazzo della ragazza più chiacchierata della scuola poteva essere un titolo ambito da molti e chiunque si fosse avvicinato a Mikan ne avrebbe pagato le conseguenze.

L'unica pecca nel mio geniale piano, l'unica spina nel fianco che mi ero completamente dimenticato di calcolare era Sumire. Infatti, mi aveva dato appuntamento proprio lì, in quella dannatissima biblioteca, dove io non avevo praticamente mai messo piede e, forse, avrei dovuto continuare a non farlo. Fu quando la vidi correre verso di me, che me ne ricordai improvvisamente, e non c'erano nascondigli che potessi sfruttare per far finta di non essere mai stato lì.
«Ero sicura che non mi avresti dato buca!» trillò la scocciatrice, arpionandomi il braccio e trascinandomi verso un tavolo ben nascosto dietro degli scaffali che funzionavano tipo catena montuosa. Nessuno poteva vederci lì dietro, e io avevo quasi paura che avesse escogitato un metodo per abusare di me. Suonava strano, ma era del tutto legittimo pensarlo, dal momento che stavo parlando di quell'invasata. Poi vidi la sua espressione cambiare, da rallegrata diventò disgustata. E ciò mi fece presagire qualcosa di buono per me. «E voi che ci fate qui?»
«Cosa si fa in una biblioteca, di solito?» fu la domanda retorica di Imai. Io mi ero riproposto di tenere gli scocciatori lontano da Mikan, e invece erano lei e la sua migliore amica che facevano ciò che mi ero proposto di fare a parti invertite. Non mi curai nemmeno di trattenere un sospiro sollevato.
«Sì ho capito...» replicò Sumire, con disappunto, come se il suo piano fosse improvvisamente sfumato. «ma perché proprio qui? Ci sono tanti tavoli ben illuminati. Studiare lì è molto più facile, no?» ora che me l'aveva fatto notare, il tavolo a cui mi aveva portato era in una parte della biblioteca scarsamente illuminata. Era la trasposizione scolastica dei vicoli o delle cantine dei film horror. E io avrei dovuto fare come il protagonista: scappare di corsa.
«Sì, infatti.» osservai, mentre ancora esaminavo il luogo del possibile reato. «È uno schifo per studiare. Io me ne vado.»
Lei piegò le labbra in un sorriso forzato. «Hai ragione...» soffiò, tra i denti, mentre guardava Mikan in cagnesco. «che stupidina...» mi trascinò con sé, quasi correndo, come se avesse paura che quelle due ci seguissero, cosa che sperai ardentemente stessero facendo.
Mi fermai, e di colpo si fermò anche lei. Non avrei permesso a quel cemento umano a presa rapida di trascinarmi come uno straccio vecchio. «Lasciami.» ordinai, perentorio. Lei lo fece subito, così mi concentrai ad esaminare bene il panorama: si vedeva tutta la biblioteca e il vecchio bibliotecario poteva benissimo rimproverarci se avessimo parlato a voce troppo alta. Era decisamente perfetto, se quella aveva intenzione di stare con me ancora per molto. Se non altro, avrei evitato di trovarmi da solo con lei.
«Sicuro... proprio qui... in mezzo a tutti questi studenti... non daranno fastidio?» tentava di persuadermi a cambiare idea, ma io, di sicuro, non avevo intenzione di muovermi di lì.
«La biblioteca è famosa per il silenzio.» se non fosse stato maledettamente umiliante e non avesse diffuso ulteriori pettegolezzi in tutta l'Accademia, avrei fatto seduta stante una dichiarazione d'amore con tanto di poesia, fiori e anello a Mikan, solo perché mi aveva dato la soluzione a tutti i miei problemi. Sumire si limitò a fare una smorfia infastidita.
«Che fate, ci seguite?» chiese, guardandole con aria di sufficienza, mentre Mikan si sedeva precisamente nel posto di fronte al mio, puntando i suoi occhi su di me, come a sottolineare il fatto che mi sorvegliava. Avrei pagato per sapere se quelle due si trovavano lì per non lasciarci soli. Mi venne da ridere, ma mi trattenni.
«Suvvia,» sembrava che Imai tentasse di sottolineare il lato positivo della cosa. «è abbastanza grande per tutti.» Sentii Sumire sospirare, stizzita, mentre prendeva posto accanto a me, facendo strisciare le gambe della sedia sul pavimento, cosa che suscitò le proteste dei ragazzi che volevano studiare in pace. Mikan guardò stupita la sua migliore amica. Effettivamente, Imai non si dava mai a certe considerazioni, dal momento che, era risaputo, non prestava attenzione a nient'altro che non fossero i soldi.

Mezz'ora dopo, non era successo quasi niente di eclatante, escludendo Sumire che si schiariva la voce ogni tanto e mi guardava in un modo inequivocabile. Probabilmente, feci una smorfia di disgusto, considerando l'espressione di lei che ne seguì. Speravo seriamente che prima o poi si rassegnasse: ero arrivato al limite della sopportazione.
Mi concentrai sui compiti per dimenticare, finché una voce non distolse la mia attenzione dalla matematica. «Ehm...» esordì il ragazzo, rivolto a Mikan. Già questa cosa mi fece saltare i nervi. «ti dà fastidio se mi siedo qui?»
«Oh no, figurati!» Mikan spostò i libri in modo che lui potesse metterci i suoi. Lo vidi ringraziarla con un sorriso, che Mikan ricambiò educatamente. Era irritante sapere che la cosa mi dava così fastidio.
«Tu sei la ragazza dei cestini, non è vero?» alzai lo sguardo verso di loro, ma nessuno dei due si accorse che di me, la qual cosa, per qualche ragione, mi faceva innervosire ancora di più. Soprattutto pensando che si conoscevano, e che io non ne sapevo niente. Mikan annuì, sconfortata. Non sapevo se per la matematica, o per il fatto che lui si ricordasse di lei come la “ragazza dei cestini”. «Mikan, non è così? Sono Takahashi Toshiro, ti ricordi di me?»
«Sì!» esclamò lei, rivolgendogli un sorriso smagliante – troppo, per i miei gusti –, come se le fosse sovvenuto qualcosa che aveva temporaneamente dimenticato. Chi diavolo era quel tipo? «È vero mi hai aiutata con quella punizione di JinJin...» l'ultima punizione di Jinno che riuscivo a ricordare risaliva a prima di Natale, quando Mikan aveva in uno strano modo, indirizzato, durante un'esercitazione con i nostri Alice, il mio sulla classe di Jinno, facendole quasi prendere fuoco. Gli insegnanti, dopo quell'episodio, avevano proibito a tutti quanti di proseguire con le esercitazioni. «Studi anche tu per gli esami?» lui le mostrò i libri che aveva con sé.
«Magari.» confessò, come se fare gli esami fosse la cosa più piacevole del mondo. «Io quest'anno mi diplomo.» mi morsi un labbro alla parola “diplomo”, perché mi ricordava che, presto, avrei dovuto dire anche io una cosa del genere. «Sono un po' nervoso.» beh, comunque fosse, erano problemi suoi, non certo di Mikan.
«La gente viene in questo posto per studiare in silenzio.» sottolineai; e poi la sua voce era fastidiosa. Lui mi rivolse uno sguardo scettico, ma non mi rispose. Tornò a rivolgersi a Mikan.
«Forse è meglio smettere di chiacchierare, diamo fastidio.» le propose, facendola sorridere di nuovo. Dire che mi dava sui nervi era un eufemismo. Non credo che a quel ragazzo sia sfuggita l'occhiataccia che gli rivolsi, perché mi rispose con un sorrisetto nervoso.
«Non ci capisco niente!» sbottò Mikan, dopo un paio di minuti, buttando via la matita, che finì contro il mio libro. Gliela rimandai indietro.
«Sei tu che non vuoi che ti dia ripetizioni.» le ricordai, mentre lei riprendeva la matita tra le mani. Si limitò a guardarmi, offesa.
«Tu mi tratti sempre come un'idiota.» mi rinfacciò. Aggrottai le sopracciglia: io non l'avevo mai trattata come una stupida! «Avrei dovuto studiare insieme a te perché tu potessi ricordarmi ogni cinque minuti quanto è grande il divario tra le nostre teste?»
«Non ho mai accennato a cose del genere seriamente.» questo lei lo sapeva, o almeno era quello che credevo. «Abbiamo sempre studiato tranquillamente insieme.» non volevo mettermi a discutere anche in biblioteca.
«Hyuuga, proprio tu ti lamentavi della confusione?» la voce glaciale di Imai mi distrasse dalla conversazione, che si concluse, fortunatamente, lì. Sentii Mikan sbuffare, mentre chiudeva il libro. «Forse posso darti una mano io.» si offrì Takahashi. Lei lo guardò, speranzosa. «Gli esami per il diploma sono più tardi dei vostri... penso di poterti dedicare un po' di tempo.»
Mikan, però, scosse la testa, sconsolata. «No, ma ti ringrazio.» replicò, sospirando. «Io e la matematica siamo incompatibili.»
«Mikan,» la chiamò Imai, sollevando per la prima volta lo sguardo dal libro di chimica. «se non passi l'esame di matematica, rischi di perdere l'anno. Forse dovresti valutare la sua proposta. Sempre se ti vuoi diplomare in tempo.»
«Io questo sabato sarei disponibile, se non hai altri programmi.» mi venne in mente che avrei dovuto scoraggiare i suoi tentativi di flirtare con la mia ragazza. Mikan ci pensò su per qualche minuto. «I vostri esami sono tra una settimana e mezzo, no?»
«Oh, no!» mugolò Mikan, sotterrandosi tra i libri. «Non ce la farò mai!» Takahashi le diede una pacca consolatoria sulla spalla. Se non fossimo state persone civili, probabilmente gli avrei bruciato la mano, ma mi limitai a ricordargli che avrei potuto farlo, mostrandogli gli effetti che il mio Alice aveva sui suoi pantaloni. Non troppo, così che quelli seduti al nostro tavolo non potessero vedere. «Cosa...?» cominciò, mentre una quasi invisibile scia di fumo si sollevava dal suo ginocchio. In un attimo, mi sembrò che avesse compreso. «Senti... è... è meglio che vada. Fammi sapere se accetti, okay? Io... vado.» e quella fu la prima e l'ultima persona che aveva avvicinato Mikan in mia presenza.

Erano tre giorni che le cose andavano avanti più o meno in quel modo, solo che, fortunatamente, avevamo smesso di litigare ogni volta che ci incontravamo. Più che altro, se dovevamo stare da soli in uno stesso posto, nessuno dei due fiatava. Non che la cosa mi andasse poi così a genio, ma credevo che se avessi cominciato a parlare, avremmo finito col discutere un'altra volta, e preferivo il silenzio ad un altro spettacolino per i nostri compagni di classe.
«Ehi, Mutande-a-Pallini,» comunque quella volta non c'era altra soluzione. Lei era stranamente da sola, probabilmente perché Imai era insieme a Ruka. Si girò a guardarmi, con un'espressione strana: era curiosa ma sembrava che non volesse darlo a vedere. «questi sono tuoi.» sventolai i suoi nastri per capelli in modo che li vedesse. Solo quando li avevo trovati nel cassetto del bagno mi ero reso conto che lei non aveva più legato i capelli da quando aveva sbattuto la porta di camera mia. La sua espressione si fece sorpresa.
«Oh, menomale!» quasi corse verso di me, per venire a riprenderseli. «Li ho cercati dappertutto, non riuscivo a ricordare dove li avessi messi. Credevo di averli persi: ero disperata.» allungò una mano per afferrarli ma la ritirò quasi subito, mentre io me ne chiedevo il motivo.
«Erano nel cassetto del bagno.» spiegai, afferrandole il polso per metterle i nastri in mano, cercando di non essere troppo brusco. Lei mi guardò, imbarazzata, quando non lasciai andare il suo braccio.
«Ehm... g-grazie.» balbettò, arrossendo, cercando un modo per sottrarsi alla mia mano. «Ecco... io... devo...» non sapevo bene cosa dire, sapevo soltanto che volevo che questa scemenza finisse. Eravamo ridicoli.
«Mikan...» la chiamai, con una nota di esasperazione nella voce. Lei mi pregò con lo sguardo di lasciarla, e la cosa mi sorprese al punto che, allibito, esaudii la sua richiesta senza neanche accorgermene. Lei mi rivolse un sorriso nervoso prima di scomparire dietro l'angolo del corridoio, senza dire un'altra parola. Rimasi interdetto per qualche secondo. «Ma cosa...?» non sapevo bene come reagire a una situazione del genere. Probabilmente, se Ruka fosse stato lì con me, dato che lui, non si sa come, capiva perfettamente le ragazze, avrebbe avuto una risposta.
«Tutto bene?» sentii la sua voce, neanche l'avessi cercato, dalla direzione in cui Mikan era sparita. Mi girai verso di lui, cercando di trasmettergli con lo sguardo che no, non andava bene per niente. «Ho visto Mikan scappare via.» adesso che era lì, non credevo di aver voluto davvero che fosse con me.
«So già cosa stai per dirmi, risparmia il fiato.» sbuffai, privo di espressione. Lui scosse la testa, quasi rassegnato. «Lo so anch'io che questa storia è assurda.» mi appoggiai alla finestra e la vidi camminare. Dal primo piano riuscivo a scorgerla quel tanto che mi bastava per vedere che stringeva a sé i nastri e che stava piangendo. Mi morsi un labbro, tutto quel trambusto era successo perché io volevo evitare di vederla così.
«Non pensi che sia arrivato il momento di scendere a compromessi?» presumetti che la sua fosse stata un'altra domanda retorica. Ma ci pensai un attimo: non aveva neanche voluto ascoltarmi. Non potevo chiederle scusa se nemmeno mi stava a sentire. Dovevo trovare un posto in cui non avrebbe potuto andare da nessuna parte. C'era solo una cosa e un solo posto che mi avrebbero permesso di realizzare quelle condizioni.
Sospirai pesantemente: era proprio arrivato il momento di porgere le mie scuse.

*****

Risposte alle recensioni:

Luine: grazie mille per i complimenti ^^ ho notato anche io che i capitoli di Natsume riscuotono più successo di quelli di Mikan, e non so davvero dire perché XD, forse perché lo adoro. Per il fatto del bruciare le mutande a pallini, devo ammettere che non è stata tutta farina del mio sacco, ho avuto un piccolo suggerimento ;).
marzy93: ci ho messo un secolo, a dire la verità, a trovare le parole da fargli dire XD. Anche io preferisco senz'altro quello normale, anche se i problemi non mancano XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best
11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91
16. lauretta 96
17. EkoChan
18. Silli96
19. stella93mer


E in particolare la new entry:

20. giuly_chan95

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle

E in particolare la new entry:

9. EdelSky

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Capitolo 11
*** Il miglior studente dell'anno ***


Capitolo 11 – Il miglior studente dell'anno
(Mikan)

Quella sera, dopo che ero stata da Hotaru a studiare, mi ero accorta che non era la stessa cosa che con Natsume: insieme a lui era più divertente, anzi con lui tutto era più divertente e più piacevole, ma questo non potevo certo andare a dirglielo; almeno non dopo la confusione che avevo fatto a mensa e tutti gli insulti che gli avevo gridato in tutta una settimana. Con che faccia avrei potuto? Mi vergognavo come una ladra. E poi anche lui avrebbe dovuto chiedermi scusa, dopotutto era andato in giro appiccicato a Sumire in quel modo! Ci eravamo lasciati, ma questo non significava che poteva sentirsi libero di fare il cascamorto con tutte le ragazze che gli capitavano a tiro!
Aprii la finestra, con le lacrime di frustrazione che mi bruciavano gli occhi. «Che idiota!» sbuffai, appoggiando la testa sulle braccia, che avevo piegato sul davanzale, mentre sentivo il vento sul viso. Il tempo cominciava a migliorare, era da un po' che faceva più caldo, ma non riuscivo comunque a gioirne.
«Tutta sola, nel tuo castello, principessa?» seguita alla voce di Natsume, una rosa comparve sotto il mio naso. Lo guardai male: mi stava forse prendendo in giro, chiamandomi principessa e dandomi quella rosa? Mi ricordava terribilmente San Valentino.
Non sapevo bene come reagire a quella rosa, così mi limitai ad annuire e continuare con quel gioco, come facevamo spesso. «Ho cacciato il principe a pedate.» replicai, prendendogli la rosa dalle mani e sedendomi sul letto. «Sai, sa essere davvero un ragazzo scostante e scortese.»
«Avrà pure qualche lato positivo, questo povero principe.» si sedette vicino a me e mi guardò, spronandomi a rispondere. Io alzai le spalle, cercando di mostrare disinteresse, ma non riuscivo a trattarlo male, adesso che eravamo così vicini e che lui sembrava così gentile. Stranamente, non ne vedevo più neanche il motivo. Dimenticavo sempre di essere pessima in questo genere di cose. Aprii la bocca per parlare ma lui mi premette due dita sulle labbra. «Dobbiamo parlare, Mikan.» mi informò, e appena finì di dirlo, provai a ribattere, ma dalle mie labbra uscivano solo suoni incomprensibili, dal momento che lui non si degnava di togliere la sua mano. Alla fine mi allontanai un po'.
«Come pensi di discutere se mi tappi la bocca?» borbottai, aspettando che dicesse qualcosa che avesse il potere di zittirmi.
«Infatti,» cercò di spiegarmi, gentilmente. «io parlo, e tu mi ascolti. Sono qui per chiederti scusa, d'accordo?» mi fece un sorriso a mezza bocca, che non riuscii a non ricambiare.
«E Sumire? Non puoi tenere il piede in due scarpe, Natsume.» incrociai le braccia al petto, aspettando che si giustificasse in qualche modo per il suo inqualificabile comportamento. Insomma, non poteva averci entrambe, doveva scegliere. Tenerci col fiato sospeso, speranzose tutte e due, non avrebbe portato a niente di buono per nessuno dei tre. Il nonno diceva spesso che i triangoli amorosi – quando facevano vedere cose del genere in televisione – non portavano a nulla di buono, e lui ne sapeva sicuramente più di tutti.
Lui roteò gli occhi. «Sumire? Andiamo, Mikan, non essere ridicola!» fu quello che disse, lasciandomi di stucco. Tentai di parlare, ma dalla mia bocca, di nuovo, uscirono solo suoni sconnessi. «È lei che mi si è appiccicata come una cozza allo scoglio dopo che ha saputo che ci siamo lasciati.»
«Davvero?» lo guardai sospettosa: potevo fidarmi di quelle parole, dopo tutto quello che era successo? Accarezzai i petali di quella rosa, mordicchiandomi le labbra, in cerca di una risposta da dargli. . «Se tu mi dicessi cosa ti preoccupa, non saremmo arrivati a quel punto, lo sai?» lo rimproverai, ma lui si limitò a guardarmi con qualcosa che identificai come impotenza, come se fosse dipeso da cause più grandi di lui. «Voglio che ti confidi con me, io lo faccio, ed è perché mi fido di te. Per me, il fatto che tu non lo faccia è indice di scarsa fiducia.» e non esisteva una persona di cui mi fidassi ciecamente più di lui.
«Non essere sciocca, mi fido di te!» mi contraddisse lui, con una certa veemenza, come se il solo pensare che non fosse così, fosse stata la più grossa scemenza che potessi commettere. «Mi hanno solo informato su una missione importante che devo portare a termine a settembre.» era come se gli costasse fatica dirmi quelle cose. Sospirò, dopo aver finito di parlare, dandomi davvero quell'impressione. «Tutto qui.»
«Davvero?» ripetei. Dal suo sguardo mi sembrava sincero, anche se triste per qualche motivo che ancora non capivo. Mi sentii un'egoista e un'idiota per aver fatto quel baccano solo per una cosa così di poco conto, non che le sue missioni non mi facessero stare in pensiero, ma non avevo idea che non volesse dirmelo per non turbarmi. Com'era dolce! «M-mi dispiace.» e mi vergognavo anche di più, per la mia stupidità.
«Sì, beh... anche a me... bocciolo.» sussurrò l'ultima parola, in un misto di sarcasmo e, incredibile, quello che mi parve un lieve imbarazzo. Mi sorrise, quindi e, mentre cercavo di raccapezzarmi, mi abbracciò e il mio cuore fece una capriola Ricambiai la sua stretta, mi sentivo più leggera e pensavo che avrei potuto cominciare a galleggiare. Scoppiai a ridere. «Cosa c'è?»
«Mi stavo solo chiedendo quanto abbiamo dovuto sembrare ridicoli a mensa, l'altra mattina e in questi giorni.» non era una bella immagine, soprattutto perché avevo quasi sempre strillato, ma dovevo ammettere che, col senno di poi, sembrava la scena più divertente che potessi immaginare.
«Beh, potremmo sempre chiarire il malinteso domani.» mi propose, scostandomi i capelli dal viso. Gli sorrisi, quando mi ebbe sistemato la ciocca dietro un orecchio. Si avvicinò a me, e il mio primo istinto fu quello di avvicinarmi a mia volta e chiudere gli occhi. Mi accorsi che aspettavo quel momento da giorni.
Quando fu a un centimetro dalle mie labbra, la domanda che mi premeva uscì, senza neanche che lo volessi davvero. «Sul serio non è successo niente tra te e Sumire?»
«Non so più come dirtelo, Mikan, il solo pensiero mi mette i brividi, e – per inciso – intendo brividi di disgusto.» non c'era irritazione nel suo tono di voce, stranamente. «Qualche altra domanda? Falle tutte adesso, non credo che ti lascerò parlare, tra un po'.» scossi la testa, al suo sorrisetto malizioso, circondandogli il collo con le braccia prima che posasse le sue labbra sulle mie. Mi abbracciò stretta, come se volesse chiarire il fatto che non mi avrebbe più lasciata andare. Quando si staccò lo attirai di nuovo verso di me per il colletto della camicia. «Devo dedurre che...» si interruppe per baciarmi di nuovo. «...stiamo di nuovo insieme?»
«Non lo so.» ammisi, suscitando un suo sospiro esasperato, ma non ebbi il tempo di aggiungere altro perché venni interrotta di nuovo dalle sue labbra. E non potei fare a meno di pensare che succedeva sempre tutto in camera mia.

Mugolai, quando la luce del sole mi svegliò. Mi stropicciai gli occhi, mentre sbadigliavo sonoramente e mi stiracchiavo. Col gomito urtai qualcosa e sentii un gemito di dolore, mi voltai e vidi Natsume, che si spostava sotto le coperte.
«Era il buongiorno, Mutande-a-Pallini?» mi chiese, con una smorfia. Mi stropicciai gli occhi senza controbattere: non avevo nessuna voglia di mettermi a discutere, soprattutto perché avevamo fatto pace da poche ore.
«Scusa!» strillai, poi, allarmata, vedendo che si massaggiava il braccio. Lui mi fissò, tremendamente perplesso, come se stesse fissando un alieno o gli avessi appena detto di essere una macchinina telecomandata. Poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: mi afferrò una codina e mi tirò verso di sé, cosa che suscitò in me la curiosità di sapere che intenzioni avesse. Mi guardò dritto negli occhi e per un attimo l'intensità del suo sguardo mi mise in imbarazzo. «Che... che c'è?»
«Niente.» la naturalezza del suo tono mi lasciò di stucco, ma non mi lasciò molto tempo per sorprendermi, dato che l'unica sensazione che un momento dopo riuscii a percepire era quella delle sue labbra sulle mie. Se ripensavo ai giorni che avevamo passato a litigare, mi sembrava che fossero frutto della mia immaginazione. A vederci così, non sembrava neanche possibile.
Lo abbracciai stretto, stringendo le mani sulla sua camicia, dopo che ci separammo. Quando aprii gli occhi mi irrigidii all'istante, come se mi avessero appena gettato dell'acqua gelida addosso o mi avessero colato in cemento. «Che succede?» se n'era accorto pure lui. Mi allontanò da sé quel tanto che bastava per guardarmi in faccia. Cominciai a balbettare, indicando la parete opposta a quella dove si trovava il mio letto. Era terribile, semplicemente terribile! Lui guardò nella direzione che gli stavo indicando, ma poi i suoi occhi tornarono su di me, confusi. «Ti assicuro che quella parete è sempre stata così.» scossi la testa, incapace di articolare un suono comprensibile.
«Il calendario!» fu il suono flebile che uscì dalle mie labbra. La sua espressione si illuminò improvvisamente di comprensione e per un folle attimo sperai che possedesse la soluzione a tutti i miei problemi.
«E allora?» ma era un problema solo mio, a quanto pareva. «E' il cinque di marzo. Dov'è il problema?» non riuscivo neanche più a collegare il cervello con la bocca. Era come se fossi stata imbalsamata.
«Natsume!» lo scossi, come se avessi dovuto riportarlo alla realtà. «Iniziano gli esami!» lui inarcò entrambe le sopracciglia, come se quello fosse l'ultimo dei suoi pensieri.
«La cosa dovrebbe turbarmi?» come poteva non essere così? Le budella avevano cominciato a contorcersi appena il mio sguardo si era posato sul calendario, e lui era più tranquillo di uno che prende il sole sulla spiaggia.
«Io non sono pronta.» decretai, alzandomi per assicurarmi che fosse davvero il cinque di marzo: il giorno ufficiale della mia dipartita. Ma era esattamente come temevo. Volevo disperatamente nascondermi da qualche parte, andare in letargo, qualcosa del genere, e rivedere la luce solo nel momento in cui gli esami fossero finiti. Mi venne quasi da piangere. «Natsume ti prego, aiutami!»
«Non ho il potere di controllare il tempo.» mi ricordò, facendomi letteralmente andare nel panico più totale. Non riuscivo a stare ferma, se avessi avuto qualcosa in mano, probabilmente, l'avrei distrutto.
«Non sono pronta per l'esame di matematica!» precisai, con tono stridulo. Lo vidi alzare gli occhi al cielo e ributtarsi sul letto, sbuffando.
«Ti prego, non sottopormi a questo supplizio un'altra volta!» lo guardai supplichevole, sperando di intenerirlo. Lui sospirò pesantemente, distogliendo l'attenzione da me. «Questo non farà bene alla mia sanità mentale.»
«Ti prego!» mi inginocchiai accanto al letto, in modo da trovarmi alla sua stessa altezza. «Un ripasso veloce e generale. Okay?» lo vidi prendere un respiro profondo e inumidirsi le labbra.
«Io posso anche accettare. Ma mi domando seriamente come tu pretenda di fare un ripasso veloce e generale di matematica.» si alzò dal letto e si scompigliò i capelli. «Facciamo così. Io torno in camera mia, tu sbrigati a cambiarti. Ricordati che gli esami cominciano alle tre. Non perderti l'inizio come tutti gli anni.» ancora più scoraggiata, presi dei vestiti puliti e mi diressi in bagno: sperai solo che una bella doccia potesse migliorare la giornata iniziata ben poco come avevo immaginato.

Eravamo nel cortile della scuola, quando tutti gli altri ci raggiunsero; un quarto d'ora dopo, mi sarei ritrovata col foglio del test davanti al naso, ed ero sicura che avrei vomitato. Mi tremavano le ginocchia e non riuscivo a smettere di mordermi la lingua. «Ehilà!» ci salutò Anna, gioviale, agitando il braccio per farsi vedere. Ricambiai il gesto, quasi fossi stata un robottino, rigida come un palo di ferro.
«Qualcosa non va, Mikan?» fu Nonoko a chiedermelo, mentre guardava Natsume con diffidenza, il che mi fece ricordare che loro non sapevano della recente riappacificazione. Ma non riuscii a trovare le parole per spiegarlo, dal momento che il mio vocabolario comprendeva solo l'espressione “esame di matematica”. «Tutto bene?» scossi la testa.
«Esami...» fu la mia risposta, mentre mi torturavo le mani l'una con l'altra. Non ero mai stata così nervosa, o forse non lo ricordavo, ma era tutto peggiore perché volevo arrivare a superare gli altri e vincere il premio per il miglior studente dell'anno! Forse era anche questo che mi metteva in soggezione. E, soprattutto, come potevo sperare di avere un esito migliore di Natsume o Hotaru?
«Oh, dai!» tentò di consolarmi lei, dandomi una leggera pacca sulla spalla che, però, mi fece sbilanciare. Natsume mi afferrò per un braccio prima che cadessi a terra.
«Non avrai la scusa dell'infermeria per non sostenere gli esami, Mutande-a-Pallini.» lo guardai, confusa. Che intendeva? Lui, per tutta risposta, alzò gli occhi al cielo. «Lascia stare.»
«Ho paura.» fu tutto quello che riuscii ad articolare. Lui mi prese per le spalle, tentando, presumetti, di calmarmi o di calmarsi, non capivo proprio bene.
«Mikan, me l'hai detto decine di volte da quando ti sei svegliata.» mi ricordò, esasperato. «Calmati, e andrà bene. È semplice.»
Anna sorrise. «Ha ragione, sai?» mi prese una mano nel tentativo di confortarmi. «Se ti calmi, avrai anche la mente più lucida per affrontare il test. Sei passata tutti gli anni, Mikan. Ce la farai.» annuii, cercando di convincermi che era come diceva lei.
Tutta la calma che avevo faticosamente racimolato, scomparve all'improvviso, quando proprio Jinno-sensei ci distribuì i fogli dei test, informandoci del fatto che la sorveglianza l'avrebbe fatta lui. Stavo quasi per perdere il respiro, a quelle parole. Guardai Hotaru, allarmata, a qualche posto di distanza da me; lei mi rivolse uno sguardo annoiato, alzando le spalle. Fu in quell'esatto momento che desiderai di avere la metà del suo cervello.
Quando girai il foglio del test, tutti quei numeri si incrociarono davanti ai miei occhi e mi confusero. La testa cominciò a girare e misi la prima crocetta completamente a caso. La fortuna aiuta i deboli, giusto? Ci pensai su... forse non era proprio così.
«Sakura?» la voce di Jin-Jin mi riportò alla realtà. «Le risposte non sono scritte sul soffitto.» solo in quel momento mi accorsi che erano già passati dieci minuti e io avevo messo solo la prima risposta. Il panico mi immobilizzò perfino le braccia, mentre guardavo tutti quei segni incomprensibili.
Quando suonò la campanella, ero sicura solo di una risposta, e unicamente perché avevo visto per un istante il foglio di Anna, che si trovava davanti a me. Uscimmo dalla classe e ci fermammo poco più in là. Il mio umore non poteva essere in condizioni peggiori.
«Com'è andata?» chiese, elettrizzata, Nonoko, senza parlare a una di noi in particolare. «Io non sono sicura su alcune risposte, ma nel complesso penso... Mikan, che hai?» sospirai, senza rispondere alla domanda, scornata. Avevo tralasciato alcuni problemi e gli altri... se ci pensavo, mi veniva la depressione.
«Non mettere il dito nella piaga.» le suggerì Hotaru, prima di sollecitarci a raggiungere l'aula di biologia. Sospirai di nuovo, cosciente del fatto che il solo esame che avevo la possibilità di passare con dei voti più alti del miei standard era quello di economia domestica. L'unico lato positivo era che dopo l'esame di biologia ci sarebbe stato il test di lingua giapponese e nient'altro per il resto della giornata. Tirando le somme, potevo anche mettermi il cuore in pace.

Quella sera, a cena, tutti commentavano l'esito del proprio esame. Solamente io e Sumire parlavamo soltanto quando ci interpellavano direttamente. Natsume non sembrava dare peso ai miei potenzialmente disastrosi risultati, e non sapevo nemmeno se dovevo essere offesa per questo.
«Domani, quindi, che test abbiamo?» volle sapere Koko, e domandai a me stessa perché lo stesse facendo, dal momento che sapeva leggere nel pensiero. «Oh, beh, nessuno ci stava pensando!» si rivolse a me, gioviale, e mi irrigidii, sentendomi come se fossi stata scoperta a fare qualcosa di male.
«Chimica, inglese ed economia domestica.» rispose Kitsuneme, che si divertiva a far svolazzare il foglio con gli orari intorno al tavolo. Mi chiesi immediatamente come l'avesse avuto e perché io non sapevo neanche della sua esistenza.
«Ah, quindi state insieme di nuovo tu e Natsume?» fu la domanda di Koko che, di nuovo, doveva aver letto i miei pensieri. Arrossii. Sumire per poco si affogò con la zuppa che ci avevano portato e le diedi delle pacche sulla schiena per aiutarla.
«Tutto bene?» mi interessai, preoccupata, mentre lei mi rivolgeva uno sguardo arrabbiato; potevo capirla, poverina, aveva quasi rischiato di strozzarsi con quella zuppa.
«Se andasse tutto bene tu...» si bloccò, come se volesse disperatamente dire qualcosa ma fosse trattenuta. «oh, lascia perdere!» le rivolsi un'occhiata confusa, incapace di avere una qualsiasi reazione. E non ebbi neanche la prontezza di dire qualcosa, quando si alzò e se ne andò, senza un motivo apparente.
«Le sono andati male gli esami?» mi rivolsi ai miei compagni di classe che mi guardarono come se avessi detto che il giorno successivo, mi sarei presentata in mutande.
«Su smettila di scherzare...» mi fece Kitsuneme, mentre lo guardavo perplessa. Come avrei potuto scherzare sui sentimenti di Sumire?
Koko gli mise una mano sulla spalla, con fare quasi rassegnato. «Non sta scherzando.» io ci capivo sempre meno: era una cosa grave?
«Lasciate perdere.» intervenne Hotaru, alzandosi anche lei. «È impossibile che compia da sola ragionamenti così complicati.» mi sentivo come se non ci fossi. È difficile partecipare ad una discussione, quando non capisci di cosa tratta. Stavo per proporre di andare a cercarla e consolarla, ma Hotaru mi interruppe. «Te l'ho già detto a Natale, Mikan. Lasciala sola quando fa così.»
«Nessuno dovrebbe essere lasciato solo, quando si sente giù.» ribattei, piccata. Se lei non voleva andarla a cercare insieme a me, avrei portato Anna o Nonoko. Improvvisamente, però, sentii una pacca sulla testa.
«Mutande-a-Pallini,» nella voce di Natsume c'era una nota esasperata. «fatti gli affari tuoi.» abbassai lo sguardo. Mi vergognavo terribilmente: volevo forse solo sapere i suoi problemi, e non aiutarla a risolverli?
«Ehi, Mikan!» strillò Nonoko, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa. «Perché non ci scatti una foto con il regalo che ti ha fatto Hotaru per il compleanno?» all'improvviso mi ricordai che portavo la macchina fotografica sempre in tasca, in cerca di un momento da immortalare.
«Sì... ma manca...» ma non ebbi il tempo di finire la frase che Nonoko mi strappò dalle mani la macchina fotografica per darla a un ragazzo e chiedergli di scattarci una foto tutti insieme. Passammo la serata a farci le fotografie; me ne fecero anche una dove avevo la faccia piena del dolce che ci hanno portato perché Koko e Kitsuneme facevano a gara a chi ne lanciava di più addosso all'altro e io ero finita, non sapevo bene come, in mezzo a loro. Era stato divertente, anche perché ci siamo lasciati coinvolgere tutti, tranne Natsume, che ci aveva fatto capire con un semplice sguardo che non si sarebbe prestato a quella “cosa da bambini”, così come l'aveva chiamata lui. A volte penso che sarebbe più felice se imparasse a divertirsi.
Alla fine Misaki-sensei ci cacciò fuori dalla mensa perché facevamo troppa confusione, e scappammo via, disseminando per i corridoi pezzi del dolce, che ci cadeva dai capelli o dai vestiti. E avevo anche fatto la strada a vuoto verso la camera di Natsume, dal momento che mi aveva proibito di varcare la soglia della sua stanza in quelle condizioni.
In effetti, potrei dire che mi aveva avvertita che l'avrebbe fatto, ma io non gli avevo creduto.

Fu il pomeriggio dopo che mi ricordai che gli esami non erano stati solo un brutto sogno. Depressa, mi avviai verso il punto dove ci eravamo messi d'accordo per ritrovarci tutti insieme, prima del suono della campanella. Temevo e volevo, nello stesso tempo, che decretasse l'inizio degli esami. Da una parte, volevo che finissero presto; dall'altra, volevo che non cominciassero mai.
«Buongiorno.» salutai, con umore funereo, quando vidi tutti quanti dietro la porta della classe. Brutto, bruttissimo posto, per stare ad aspettare.
«Ben arrivata!» mi risposero le mie amiche, tranne Sumire che distolse lo sguardo. Avevo la vaga sensazione che ce l'avesse con me per qualche motivo. Aveva forse finito il diario che le avevo regalato? «Dopo possiamo venire a vedere le foto che ci siamo scattati ieri?» fu Anna a parlare, speranzosa. Io annuii: questa notizia aveva già migliorato la mattinata.
La campanella suonò e mi preparai psicologicamente ad affrontare l'esame di chimica, ben conscia del fatto che non ci avevo mai capito niente di reazioni. Ricordavo che si conservava qualcosa, ma non sapevo cosa, a fatica avevo capito i legami e non mi ricordavo quasi nulla delle proprietà della materia.
«Per caso avete un libro dove possa ripassare due minuti?» la mia fu quasi una supplica. Ma, sfortunatamente, nessuno aveva ciò che cercavo.
«È proibito dal regolamento, portare i libri nell'aula dell'esame, sciocca.» mi ricordò Hotaru, superandomi per prendere posto. Che disdetta! Prima che potessi anche solo respirare, il professore si schiarì la voce, invitandoci a prendere posto.
Poi fu la volta dell'esame di inglese, ed era già tanto se io sapevo come si scrive “sì” e “no”. Il solo problema era che non avevo potuto studiare bene, per via di tutte quelle cose che erano successe! Picchiai la testa contro il banco, dopo aver consegnato il compito, finché qualcuno non mi trascinò via, in direzione dell'aula di economia domestica.
Sgranai gli occhi quando lessi che dovevamo preparare riso al curry. Io non avevo mai preparato riso al curry e l'unica volta in tutta la mia vita che avevo tentato di mettere qualcosa di piccante nel pranzo del nonno, si era chiuso in bagno per il resto della giornata e mi aveva pregata di non prendere mai più del peperoncino tra le mani. La cosa che più mi preoccupava, era il fatto che il professore avrebbe chiesto a qualcuno di assaggiare, e io non volevo ripetere la stessa brutta esperienza.
«Su ragazzi, è l'ultima cosa che abbiamo studiato. Ho cercato di venirvi incontro.» ci fece sapere il professore, facendomi rendere conto che la ricetta non c'era vicino alle indicazioni su cosa cucinare. «Lo sapevate che, dal primo anno di superiori, dovete essere in grado di cucinare senza ricetta.» potevo giurare che fosse la prima volta che lo sentivo, ma gli altri sembravano tutti perfettamente a proprio agio. Io e Sumire ci guardammo.
«Da dove vuoi cominciare?» mi chiese lei, prendendo in mano una cipolla e un coltello. Per un attimo mi fece paura con quell'arnese in mano. Il suo tono di voce era estremamente calmo, ma aveva qualcosa di strano che interpretai come ansia per gli esami.
Per non dirle che potevo essere una potenziale rovina per il suo esame, sorrisi forzatamente. «Da dove vuoi tu.» lei inarcò un sopracciglio. Mi sembrò diffidente, e io deglutii rumorosamente.
«Accendi il fuoco e fa' sciogliere del burro, frana.» mi ordinò sbrigativa, rivolgendo la propria attenzione alla cipolla. Gioii quando mi ritenni soddisfatta del mio lavoro. Potevo dire di aver seguito le istruzioni di Sumire alla lettera.. «A fuoco lento, sciocca, altrimenti finirà per bruciarsi!» ecco, appunto.
Circa mezz'ora dopo, cospargevamo il riso di salsa al curry, mentre il professore controllava il nostro lavoro. Era la prima volta che riuscivo a finire l'esame di economia domestica dopo così poco tempo, anche se potevo dire che fosse tutto merito di Sumire: se non ci fosse stata lei insieme a me, probabilmente, non avrei neanche saputo tagliuzzare la cipolla nel modo giusto.
«Sì, va bene.» concesse, facendoci cenno verso la porta. «Potete andarvene.» quasi scappammo tutte e due, e speravo che questo avrebbe migliorato i rapporti fra di noi ma, non appena uscimmo dalla porta, Sumire se ne andò senza degnarmi di uno sguardo. Rimasi a guardarla, del tutto smarrita, mentre si allontanava.

Due giorni dopo, la sera, mi trovavo in camera di Natsume, mentre stringevo convulsamente il mio adorato gattino di peluche, nervosa come non mai. Il giorno successivo sarebbero usciti i quadri degli esami e io puntavo ad essere promossa con dei voti dignitosi, dal momento che al premio avevo rinunciato dal momento in cui il test di storia era apparso davanti al mio naso.
«Se fosse viva, uccideresti quella sfortunata bestia.» mi fece notare Natsume, dalla porta del bagno. Per lui era così facile! «Non pensi di esagerare? Sono solo... esami!»
«Non è così.» ribattei, depressa, mentre giocavo con le zampine del mio peluche. «Non voglio studiare con un'altra classe.»
«Credevo che sperassi di vedere tuo nonno, quest'anno.» alzai lo sguardo su di lui, con l'umore ancora più nero. «Non è così?»
«Sì...» risposi, senza entusiasmo. «ma chi voglio prendere in giro? Sono una frana. Non riuscirò mai a vedere il nonno prima del diploma.» sospirai, girandomi in modo da affondare la faccia nel cuscino.
«Sono certo che ti sbagli.» era carino da parte sua cercare di consolarmi. Sollevai la testa e lo guardai, e lo vidi che cercava di reprimere un sorriso.
«Che ti prende?» gli domandai, non capendo il motivo per cui dovesse sorridere. Già che era un tipo poco incline a queste cose, che lo facesse senza motivo poteva preoccuparmi!
«Niente... niente.» fu la sua evasiva risposta, mentre si stendeva vicino a me. «Domani vedremo.»
«Non credo che riuscirò a dormire.» confessai. Agitata com'ero, non sarei di sicuro riuscita a chiudere occhio, in trepidazione, aspettando che fosse un altro giorno.
«Se vuoi, ho qualche idea per impiegare il nostro tempo in maniera costruttiva.» mi rivolse un sorriso malizioso e capii improvvisamente dove voleva andare a parare. Arrossii, scattando in piedi, all'improvviso.
«Ma come ti vengono in mente certe idee?» strillai, quasi isterica per l'imbarazzo. «In un momento come questo, poi!»
«Ehi, era solo un'idea!» si difese lui, con fare innocente. «Volevo solo aiutarti a rilassarti. Il nervosismo fa alzare la pressione, andrebbe tutto a vantaggio tuo.» quando vide che non accennavo a tornare dov'ero, alzò le spalle. «Svegliami se cambi idea.» emisi un sospiro, prima di stendermi di nuovo. Scherzi del genere mi destabilizzavano il battito cardiaco.

La mattina dopo, io ero ancora nella stessa posizione. Da quant'ero agitata non avevo neanche sonno. La sveglia suonò e sentii Natsume lamentarsi lievemente, prima di girarsi verso di me, gli rivolsi un sorriso tirato in segno di buongiorno.
«Alla fine non mi hai svegliato.» commentò, scompigliandosi i capelli, per poi sbadigliare. Io spalancai la bocca, incredula. Non stava scherzando?
«Ah...» risposi, mordendomi il labbro inferiore. «dicevi sul serio?» tanto per avere una conferma. Lui alzò semplicemente gli occhi al cielo.
«Lasciamo perdere. Non avevi tanta fretta di vedere i quadri? Perché sei ancora in pigiama?» la domanda mi mise un po' in difficoltà. Come spiegargli che non ci avevo pensato? Lui scosse la testa con un sorrisetto sulle labbra. «Su, sbrigati, scema.» comunque fosse, l'aveva capito da solo.
Mezz'ora dopo, eravamo pronti per scendere in cortile. Mandai giù la saliva molto rumorosamente, benché non ne avessi la minima intenzione. «Sono troppo nervosa.»
«No,» mi contraddisse Natsume, come se tutto questo non avesse la minima importanza. «sei troppo esagerata.» forse aveva ragione lui, ma io non stavo più nella pelle e, contemporaneamente, ero terrorizzata.
Presi un respiro profondo, e con questo arrivò anche uno slancio di coraggio. «Corri! Hanno già messo i risultati!» lo trascinai per il braccio e cominciai a correre per tutto il cortile, finché non arrivammo davanti ai tabelloni. Tutti i nomi stampati lassù mi si confusero davanti agli occhi, tanto che quasi dimenticai il mio nome, mentre non sentivo più il braccio di Natsume stretto nella mia presa. Era andato a guardare il lato destro del tabellone, quello coi nomi degli studenti che avevano preso i voti più bassi. Forse voleva cominciare da lì. Io mi diressi sul lato sinistro, dove avrei tanto voluto leggere il mio nome.
«Mikan,» mi chiamò Natsume, facendomi cenno di avvicinarmi a lui. «dove vai? Il tuo nome è qui.» pensai che non avrebbe potuto darmi una peggiore notizia con maggior noncuranza. Sembrava davvero che non gliene importasse niente che neanche quella volta avevo vinto il premio per il miglior studente dell'anno e che non avrei potuto andare dal nonno. A quel punto, tanto valeva aspettare il diploma, sempre se fossi riuscita nell'ardua impresa. Mi immaginavo già annoverata tra gli studenti che avevano messo cinque anni per diplomarsi. Sospirai, affranta.
«Non ci posso credere.» commentai, scornata: non riuscivo mai a combinarne una giusta. «Sono un disastro.» la cosa che ancor più mi deprimeva era che avevo passato questi esami con un voto ancora più basso di quelli a cui ero solitamente abituata. Benché fossero sempre stati bassi, non ne avevo presi mai bassi come quello. Avevo raggiunto il minimo per pura fortuna, ed era senza ombra di dubbio, il risultato peggiore di tutta l'Accademia. Natsume aprì la bocca per dire qualcosa, che io presumetti fosse un commento sulla mia stupidità, dato che il suo nome doveva essere tra i primi. «Risparmiamelo. Ti prego.» la mia voce suonò quasi supplichevole.
«Possiamo andare.» dichiarò, comunque. «Dato che anche io ho guardato i miei risultati.» non mi ero neanche accorta che si era allontanato. Mi diede una pacca consolatoria sulla testa e mi fece cenno con la testa di seguirlo. «Su, forza, ho una cosa da darti.»
«Per tirarmi su il morale?» domandai, camminando di fianco a lui. Non potei non notare il sorrisetto che nacque sulle sue labbra, il che mi incuriosì sulle sue intenzioni. Fece schioccare la lingua prima di parlare.
«Ti ricordi, il giorno del tuo compleanno, a Central Town?» ci pensai un po' su. Ma non riuscii a ricordare molto di quella giornata, a parte il fatto che avevo trovato il mio adorato peluche, che usavo spesso come antistress. Lui alzò gli occhi al cielo. «Mi hai tempestato di domande perché volevi saperlo e nemmeno te lo ricordi?» la connessione con i risultati degli esami non mi era ancora chiara, ma decisi di fidarmi di lui, che ci capiva sicuramente più di me di collegamenti. Però forse...
«Ora che mi ci fai pensare... hai detto qualcosa...» niente da fare, non riuscivo a ricordare molto di più. Lo vidi scuotere la testa, evidente segno di disappunto.
«Mi era venuta un'idea,» annuii: se lo diceva lui, sicuramente era vero. «quando hai parlato di tuo nonno. E allora ho pensato che, forse, potevo fare qualcosa per te.» non sapevo che cosa intendesse, ma suonava veramente carino da parte sua. «Dal momento che sapevamo tutti e due che non saresti mai riuscita ad essere tra i primi di tutta l'Accademia,» sbuffai: e io che avevo anche avuto l'illusione che volesse consolarmi! «ho pensato che avrei potuto farlo io per te.»
«Che intendi?» il senso di quelle parole miera davvero ignoto. Di che aiuto poteva essermi il fatto che lui fosse arrivato, come al solito, tra i primi?
Bussò ad una porta a cui non mi ero neanche accorta di essere arrivata. «Entra.» fu tutto ciò che rispose, mentre la aprivo e varcavo la soglia. Era l'ufficio del Preside della sezione delle superiori. Lanciai a Natsume uno sguardo interrogativo, lui però si limitò a spostare lo sguardo da me al Preside.
«Sedetevi, prego.» ci indicò le poltroncine davanti alla sua immensa scrivania. Mi sentii per un attimo in soggezione, senza neanche capirne il motivo. Si sedette anche lui, e spostò lo sguardo da me a Natsume, ma non mi diede la stessa strana sensazione che provavo quando lo faceva il Preside delle elementari. Strano, avevo sempre creduto che fosse una cosa che succede con le persone di una certa importanza. «Mi è parso di capire, che ci sono dei problemi con il premio per il miglior studente dell'anno.» problemi? Che genere di problemi?
«Precisamente.» intervenne Natsume. Il Preside gli fece cenno di andare avanti. «Mi chiedevo se fosse possibile cedere il proprio premio a qualcun altro.» ma questo fece inarcare le sopracciglia al suo interlocutore e lasciò me costernata: voleva convincere il vincitore a cedermi la sua settimana? In che modo pensava di riuscirci?
«Mai sentito di qualcuno che abbia rinunciato al suo premio.» commentò, appoggiandosi allo schienale della propria poltrona.
«Beh, sono stato io a vincerlo.» spalancai gli occhi, incredula, alla rivelazione. Aveva davvero...? Lui non aveva mai parlato di andare a visitare la sua famiglia, né era mai arrivato davvero primo agli esami, la qual cosa mi lasciava sempre stupita, dal momento che era il più intelligente di tutta l'Accademia. «E vorrei che lo usasse lei.» mi indicò e io rimasi ancora più spiazzata.
«Natsume!» non sapevo se dovessi essere contenta di questo gesto oppure no. «Non starai rinunciando ad andare a trovare la tua famiglia per me?» come potevamo andare dal nonno sapendo che lui aveva rinunciato a tornare a casa per permettere a me di farlo? Non era davvero possibile. Non lo avrei permesso!
«È proprio questo il punto.» spiegò, ma come al solito, io non capii. «Non ho nessuna famiglia da cui tornare.» per la prima volta, mi accorsi di conoscere molto poco questo suo lato. Non sapevo niente della sua vita prima che entrasse in Accademia, mentre a me a volte capitava di raccontargli episodi della mia vita quotidiana, insieme al nonno, oppure una delle mie giornate in compagnia di Hotaru. «In che modo potrei usufruire di questa settimana? Vagando per le strade di Tokyo senza meta? O...»
«D'accordo, Hyuuga. Hai reso l'idea.» lo interruppe il Preside, esibendo un sorriso gentile. «Non è mai successa una cosa simile; ma, in effetti, oggi potremmo fare uno strappo alla regola.» e perché mai? Non che non volessi la mia settimana, però potevano esserci tanti studenti che avrebbero voluto la stessa cosa, e sarebbe stato più corretto se ci fosse stato una specie di test, o qualcosa del genere, per valutare il più meritevole tra tutti, anche se sapevo benissimo che, in quel caso, avrei perso.
Natsume sembrava in qualche modo sollevato dalle parole del Preside, e per un attimo pensai che fosse davvero curioso di conoscere il nonno di cui gli parlavo tanto. Era incredibile pensare che saremmo tornati a casa insieme. Come avrei dovuto presentarlo al nonno che era un tipo all'antica? Ringraziammo il Preside e uscimmo, dopo che aveva firmato qualche foglio per autorizzare questa strana cosa, almeno questo era quello che avevo capito. Chiusi la porta alle nostre spalle e gettai a Natsume un'occhiata incerta. «Perché?» volli sapere, e sperai che la sua risposta rendesse le cose un po' più chiare.
«Non l'ho già detto dentro?» era il suo turno di essere confuso. Non sapevo perché, ma mi sentivo in qualche modo in colpa per il fatto che si fosse impegnato tanto per essere il primo solo per me.
«Avevi una settimana di libertà tutta per te e...» non sapevo bene esprimere cos'avevo nella testa.
«Per fare cosa? Non conosco nessuno fuori da questo posto, e non ho nessuno da andare a trovare che mi interessi rivedere. E poi...» mi parve che riflettesse bene su ciò che stava per dire, ma poi scosse la testa. «no, niente. Lascia perdere.» e, per una volta, feci come mi aveva chiesto.

Quando uscimmo dalla mensa, dopo cena, pensavo ancora a quello che era successo quella mattina e, improvvisamente, mi ricordai che non avevo ancora fatto la cosa più importante. Mi fermai nel bel mezzo del corridoio. Come avevo potuto dimenticarlo?
«Natsume,» lo chiamai, riprendendo a camminare e raggiungendolo. «Non ti ho ancora ringraziato per oggi.» lui alzò gli occhi al cielo, come se questa fosse l'ultima cosa che si aspettasse da me. In fondo, era il minimo che potessi fare.
«Niente smancerie inutili.» mi avvertì, e non sapevo perché, ma questo suscitò il mio sorriso. Mi attirò a sé, ma mi sbilanciai e lui per non farmi sbattere la testa sul muro si era appoggiato a un mobile. Dopodiché sentii uno schianto, e mi accorsi che un vaso era rotto e l'acqua stava bagnando tutto il pavimento. Sembrava quasi che il tempo si fosse congelato, niente si muoveva e avevo una stranissima sensazione: deglutii, sentendo già odore di punizione secolare.
«Che succede?» era, appunto, la voce di Jin-Jin. Guardai Natsume quasi terrorizzata, lui si morse un labbro, nell'evidente tentativo di trattenere un sorriso; a me, invece, tremavano le ginocchia. Ricordavo l'ultima punizione, la preferita di Jinno-sensei: mettere me a inseguire i bidoni della spazzatura vaganti. Natsume mi prese la mano e mi trascinò via, correndo, prima che Jinno-sensei potesse anche solo vederci.
Quando chiuse la porta della sua stanza dietro di sé, scoppiai a ridere – probabilmente per scaricare il nervosismo, ma non ne ero completamente certa – sedendomi sul letto. Lui sorrise e si avvicinò a me. Si accovacciò a terra fino ad arrivare a guardarmi negli occhi. Mi sentii avvampare: mi succedeva sempre così quando mi guardava in quel modo. Però, allo stesso tempo, provai una specie di necessità di stargli vicino: a quanto avevo capito, lui non aveva nessuno fuori dall'Accademia e pensai che, nel mio piccolo, avrei potuto farlo sentire meglio. Decisi che sarebbe stato il mio impegno da lì in poi. Sapere che gli volevo bene, poteva fargli capire cosa provavo io quando pensavo al nonno. Sorrisi: non avrebbe avuto questo problema, quando lo avrebbe conosciuto. «Aspetta di conoscerlo.»
Lui corrugò la fronte. «Chi?»
«Il nonno.» precisai. Eravamo andati dal preside perché lui voleva che usassimo entrambi il suo premio, no? Lui sorrise, come se stesse guardando una bambina che ha appena scritto il suo nome per la prima volta. Mi sentii un tantino stupida.
«E come?» sembrava che fosse la domanda più legittima del mondo, a giudicare dal suo tono di voce. «Il premio vale soltanto per una persona.» rimasi a bocca aperta. Io avevo capito che sarebbe venuto con me. Negli ultimi sette, quasi otto, anni non eravamo mai stati divisi, se non per i tre, quattro giorni delle missioni. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato e illogico in questa separazione di una settimana. Improvvisamente, ebbi quasi paura di allontanarmi da lui, come se davvero – come quella volta, durante la giornata della maggiore età – avesse dovuto volatilizzarsi da un momento all'altro. Gli sfiorai il viso per essere sicura che fosse davvero lì. Lui mi fissò, e vidi confusione nel suo sguardo. Si sollevò un po' e sussurrai il suo nome prima che le sue labbra si ritrovassero sulle mie. Persi totalmente la cognizione del tempo e, quando mi accorsi che ci stavamo spostando solo perché la mia schiena venne a contatto con il materasso, mi sembrava che fossero passati solo pochi secondi. Poi si staccò da me, e io aprii gli occhi.
«Mikan...» mi guardava intensamente ed ebbi la sensazione che dovesse dirmi qualcosa di estremamente importante. Poi, però, si morse il labbro inferiore, distolse lo sguardo e appoggiò la fronte alla mia, come se fosse frustrato per qualche motivo. «mi dispiace.» mi chiesi per quale motivo mi stesse rivolgendo quelle parole. Gli dispiaceva per che cosa?
«Natsume?» lo guardai in attesa di spiegazioni, ma l'unica cosa che arrivò dopo fu un altro bacio che mi tolse il fiato. Arrivai alla conclusione che dovesse dispiacergli perché non aveva avuto la possibilità di partire insieme a me per andare dal nonno. O almeno questa era la conclusione più logica alla quale ero arrivata in quel momento. Tuttavia, niente fu in grado di entrare nella mia testa nel momento in cui cominciò a sbottonarmi la camicetta della divisa, mentre sentivo come se avessi potuto andare a fuoco nei punti in cui si fermavano le sue labbra. Sussurrai il suo nome di nuovo, prima che mi zittisse con un altro bacio.

*****

Volevo dire che, dal momento che capitolo 12, di cui, per il momento, so soltanto il titolo e più o meno ciò che deve succedere, non è ancora stato scritto (credo che siano... ehm... cinque righe...) e dal momento che il tempo scarseggia (un po' anche l'ispirazione) causa scuola, non so che giorno potrò aggiornare, ma dal pronostico che avevo fatto all'inizio, il capitolo dovrebbe essere pronto per il 7 marzo, ma dubito di farcela. Penso proprio di arrivarci (a scriverlo, si intende), comunque, dato che non vedo l'ora di scrivere capitolo 17 XD.
Mi impegno a non lasciarla marcire come le altre fanfiction che mi sono ripromessa di finire.

Risposte alle recensioni:

marzy93: ho deciso di spezzare il capitolo (prima era uno intero) per mantenere la suspance XD, e anche per problemi di narrazione, ma è un altro discorso XD. Se Natsume riuscirà a non partire, beh, lo scopriremo nei prossimi capitoli ;). Diciamo che per arrivare a settembre non ne mancano molti XD.
prettyvitto: grazie mille, mi fa piacere che tu segua questa fanfiction! Fammi sapere che ne pensi di questo capitolo.
Kahoko: diciamo che entrambi hanno il loro bel caratterino e quando Mikan si impunta sono guai per tutti XD. Sumire non mi sta molto simpatica, forse è per questo che ciò che emerge di più è il suo lato-piattola, anche se dubito che Natsume potrebbe vederla in modo diverso XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best
11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91
16. lauretta 96
17. EkoChan
18. Silli96
19. stella93mer
20. giuly_chan95


E in particolare le new entry:

21. _Dana_
22. simpatikona

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky

E in particolare la new entry:

10. simpatikona

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Capitolo 12
*** Sotterfugi ***


Capitolo 12 – Sotterfugi
(Natsume)

Quando entrai in camera, scoprii che averle fatto mettere la sveglia non aveva provocato alcun effetto: Mikan dormiva ancora come un sasso. Solo lei poteva continuare a farlo con quella confusione infernale nelle orecchie.
«Mikan...» la chiamai, premendo il tasto sopra la sveglia. Nessun segno di vita: come al solito. La scossi. «Mikan, alzati. Tra meno di due ore devi salire su una macchina e andare da tuo nonno, l'hai dimenticato?» lei, probabilmente ancora persa nel mondo dei sogni, si girò dall'altra parte, con un mugolio. Sbuffai, cercando di non ridere, e la chiamai di nuovo.
Mugolò di nuovo, immergendo la faccia nel cuscino, e si raggomitolò sotto le coperte. La sentii borbottare qualcosa che somigliava a «Guastafeste».
«Buongiorno.» ribattei, sarcastico. Lei sbadigliò, stiracchiandosi, dopodiché mi rivolse la sua attenzione, ma non ero ancora certo che fosse completamente sveglia. Il fatto che lo sembrasse era già qualcosa. «Allora, pronta per partire?» mi rivolse uno sguardo confuso, e io sperai che non fosse successo quello che pensavo.
«Per dove?» con un sospiro, mi sedetti sul letto, cercando di non perdere la calma. Negli ultimi tre giorni, si era comportata esattamente come aveva sempre fatto quando qualcosa la eccitava particolarmente: non aveva smesso di parlarne neanche per un secondo, tanto che a volte mi chiedevo se fossi in grado di comprendere di nuovo altre parole che non fossero “nonno” e “viaggio”. E aveva anche il coraggio di farmi quella domanda! Quando recuperai un po' di autocontrollo, mi accorsi che si aspettava seriamente una risposta.
«Hai dimenticato tuo nonno... e tutto il resto?» spalancò la bocca e gli occhi, come se si fosse appena ricordata il suo nome. Adesso era completamente sveglia, senza dubbio.
«Hai ragione!» saltellò sul letto, rischiando più volte di cadere, finché non si bloccò, quasi avessero staccato la spina che la collegava alla corrente. Mi guardò come mi aveva guardato il giorno degli esami, quando mi aveva implorato di darle una mano con la matematica. La cosa mi portò a presumere qualcosa di insostenibile per i miei nervi. «Ma io non ho ancora fatto i bagagli.» la sua tranquillità, dovetti ammettere, ebbe il potere di stupirmi.
«E che aspetti?» la domanda sarebbe stata piuttosto lecita, se non avessimo parlato di Mikan.
«Sono confusa.» ammise, scendendo dal materasso per posare i piedi a terra e aprire un cassetto. «Oh, Natsume! E se non mi riconoscesse? E se si fosse arrabbiato per essere scappata di casa e mi buttasse fuori dalla porta, senza neanche volermi vedere? E se... avesse trovato una moglie e una nuova famiglia e non mi volesse più?» la fissai, dubbioso: cos'erano quelli? Complessi pre-viaggio?
«E se fosse scappato sul dorso di un drago per andare sulla luna?» ironizzai per farle capire che le sue ipotesi erano tutte quante totalmente assurde. Ma Mikan è il tipo più imprevedibile che esista sul globo, perciò reagì nell'ultimo modo in cui mi sarei aspettato.
«Pensi davvero che possa essere successo? E come farei a raggiungerlo?» mi chiesi se stesse davvero pensando a una simile possibilità. Mi appuntai mentalmente di pensare bene prima di fare paragoni del genere.
«Mikan,» cominciai, tentando di trovare le parole giuste per distoglierla dall'ipotesi del drago. «perché ti poni problemi prima di essere arrivata? Pensaci nel caso in cui i tuoi sospetti si rivelino una certezza.»
Lei, per tutta risposta, mi rivolse un sorriso smagliante. «Hai ragione.» cominciò a buttare alla rinfusa vestiti dall'armadio in un borsone, per poi sospirare, soddisfatta, quando ritenne di aver finito. Osservai il borsone e avrei tanto voluto sapere in che modo aveva intenzione di chiuderlo, dal momento che stava quasi per esplodere.
«Non pensi di aver... come dire? Esagerato?» lei mi rivolse un'occhiata sorpresa, come se volesse comunicarmi che aveva preso solo lo stretto necessario. Ah, le esigenze delle ragazze!
«Credi?» guardò il borsone, poi me. L'unica cosa che fece dopo fu chiudere la cerniera più velocemente di quanto avrei solo potuto immaginare.

«Sono nervosa.» la sentii borbottare, mentre si mordeva il labbro inferiore, febbrilmente. «E se non dovessi trovarlo?»
«Mikan,» sospirai: era forse il cinquantesimo dubbio dell'ultima mezz'ora, o forse degli ultimi dieci minuti. «ne abbiamo già parlato. Ricordi?» lei si limitò a guardarmi dubbiosa. All'improvviso mi sembrò che stesse cercando una scusa banale per evitare tutto questo. «Ehi... va tutto bene?»
«Beh, no... sono agitata e ho una strana sensazione.» la guardai serio, mentre lei continuava a camminare per il corridoio, in direzione dell'uscita con quel borsone più grande di lei, che mi aveva vietato di portare al posto suo, dal momento che avrebbe dovuto fare da sola, una volta scesa dalla macchina. Era da un po' che aveva strane sensazioni e si comportava in modo strano, ma non le davo troppa corda: non che non mi fidassi, ma era di Mikan che stavo parlando. Speravo solo che quella specie di vacanza la aiutasse a schiarirsi le idee. «Farò delle foto, così, quando torno, ti farò vedere il nonno. E il nonno vedrà te. Porterò uno dei miei portafotografie, così vedrà tutti quanti.»
«Mi sembra una buona idea.» cercai di incoraggiarla su quella strada, in modo che potesse evitare di pensare che fosse stato rapito dagli alieni, o qualcosa di peggio che non riuscivo a immaginare ma che, potevo scommetterci, la sua mente avrebbe potuto elaborare senza sforzo.
Lei mi rivolse un sorriso smagliante e mi prese per mano, trascinandomi in cortile. Si fermò a pochi metri dal cancello, senza che potessi capirne il motivo. Si morse un labbro e mi scoccò un'occhiata, esitante.
«Che c'è?» volli sapere, cercando di non suonare esasperato: un altro dubbio simile ai precedenti e non credevo che sarei sopravvissuto. Lei abbassò per un momento lo sguardo sulle scarpe e poi lo posò ancora su di me. Inarcai le sopracciglia, cercando di spronarla a parlare.
«Non ci vedremo per una settimana.» era una specie di constatazione, ma ancora non capivo dove volesse andare a parare. Pensavo che avesse già metabolizzato la notizia da quando le avevo dato il premio, qualche giorno prima. «Sì... ecco... non voglio sembrare quella che dipende sempre da altre persone, ma...» giocò con il lembo della maglietta, sempre senza guardarmi. «non siamo mai stati separati per più di qualche giorno...» pensai all'incredibile ironia della situazione. Stava pronunciando quella frase per una settimana, che non era neanche un tempo estremamente lungo. Sembrava che lo sconforto le fosse piombato addosso in un secondo. Come diavolo avrei potuto dirle che mi sarei diplomato e che, con ogni probabilità, fino a che lei non avesse fatto lo stesso, non mi avrebbe più rivisto? Perfetto. Trattenni a fatica un sospiro.
«Andiamo, Mikan,» cercai sdrammatizzare. «sono solo sette stupidi giorni. Passeranno in fretta, e poi... starai insieme a tuo nonno.» e probabilmente, per un tipo spensierato come lei, poteva anche essere vero. Mi restituì uno sguardo privo di convinzione, ma annuì.
«Forse hai ragione, dopotutto.» convenne, accennandomi un sorriso. «Almeno lo rivedrò. Ma... non è solo questo.» esitò di nuovo prima di continuare. «È vero che ho vissuto per un po' nel “mondo esterno”, ma ero una bambina. Facciamo un esempio: se mi chiedesse di andare a fare la spesa, aiutarlo a fare qualsiasi altra cosa... sento che mi ritroverei smarrita.»
Mi sfuggì un sorriso e mi guadagnai un'occhiataccia. «Mikan,» cominciai, scuotendo la testa. «forse è la millesima volta che te lo dico, ma lo ripeterò ancora: è inutile preoccuparsene adesso. Io scommetto che sarà una passeggiata.» probabilmente, conoscendola, sarebbe successo davvero.
«Temo sia ora di andare.» ci interruppe una voce spaventosamente familiare. Strinsi il polso di Mikan, facendola quasi gridare per il gesto improvviso. Mi voltai per gelare Persona con un'occhiata, notando quanto sembrasse normale in quel momento: pieno di soppressori di Alice e senza maschera. Sembrava che non fosse neanche lui; semplicemente un professore normalissimo che si aggirava per un normalissimo campus. Assolutamente terrificante.
«E tu che cosa fai qui?» mi venne spontaneo chiedere, mentre Mikan mi rivolgeva uno sguardo confuso. Persona si limitò a un sorrisetto, di cui, sul momento, non capii il significato; si limitò a fissarmi, con la solita espressione di sufficienza e disgusto che rivolgeva a tutti gli studenti, specialmente me. Eh, sì, gli sono sempre piaciuto in modo particolare. «Dal momento che un'auto esce dall'Accademia... il Preside ha pensato che potessi controllare che la ragazza arrivi a destinazione e... fare una piccola commissione per lui.» in altre parole significava missione. Anche se non capivo il motivo per cui, quella volta, partisse Persona e basta. Non sapevo perché avesse quel sorriso irritante stampato in faccia, ma la cosa non mi piaceva per niente. Sapendo che Mikan avrebbe passato qualche ora nella stessa macchina con un tizio che ti uccide appena ti sfiora, e che il Preside aveva una strana e particolare attenzione per Mikan, non ero esattamente l'immagine della tranquillità. «Andiamo.» accennò alla macchina con la testa, rivolto a Mikan, che annuì.
«Arrivo immediatamente.» fu la sua risposta. Si girò verso di me e mi abbracciò. Ricambiai distrattamente, immaginandomela mente gli dava una pacca sulla spalla per fargli notare lo splendido panorama. Forse, dovevo dirle due paroline.
«Sta' attenta a quel tizio.» la avvertii. «E mi raccomando, attenta a non toccarlo. Neanche di striscio. D'accordo?»
«Oh, andiamo! Ma che ti viene in mente?» fece lei, sconcertata. «E poi sono io quella paranoica? Non è che perché vado a trovare il nonno mi butto tra le braccia di tutti quelli che passano! Tutta qui la tua fiducia?» inutile: era sempre la solita Mikan.
«Scema, intendo il suo Alice! È molto pericoloso, e funziona anche se lo sfiori.» precisai. «Perciò, è meglio che tu non lo faccia.» si scostò un po' per guardarmi e mi rivolse un sorriso.
«Agli ordini, capo.» mi baciò sulla guancia e si voltò per andarsene.
«Mikan...» il suo nome mi uscì dalle labbra prima che potessi pensare a qualcosa da dire, oppure a fermarlo. Lei si voltò di nuovo verso di me, con espressione interrogativa, poi rise.
«Hai detto di non preoccuparmi.» mi ricordò, tornando indietro di qualche passo. «Allora non farlo neanche tu. D'accordo?» alzai gli occhi al cielo: non sapevo perché, ma quella frase suonava maledettamente sentimentale. Mi strinse una mano, prima di parlare ancora. «Ci vediamo tra una settimana.» si avvicinò per baciarmi, scostandosi quasi subito, con un sorriso imbarazzato. «Sarà meglio che mi decida ad andarmene.» non mi permise di aggiungere niente, mentre correva verso la macchina, impacciata per via dell'enorme borsone. Io speravo solo che tenesse bene a mente quello che le avevo detto.

Prima che i cancelli potessero chiudersi, la voce di Tsubasa mi arrivò alle orecchie. Non la trovavo irritante solo in quel momento, in cui avrei tanto voluto che mi lasciassero in pace: era semplicemente una repulsione inevitabile. «Che diavolo vuoi?» sbottai, rivolgendogli un'occhiataccia. Lui, contro ogni aspettativa, era l'immagine della tranquillità.
«Gentile come sempre, vedo.» rispose, con leggerezza. Avrei tanto voluto sapere come far sparire quel sorrisetto maledettamente irritante dalla sua faccia. «Missione.»
«Missione?» chiesi conferma, quasi avessi sentito male. Non era andato già Persona in missione? Quante ne dovevamo svolgere? Ombra annuì, come se volesse dirmi di rassegnarmi alla dura realtà.
Poi Mikan si chiedeva perché lo odiavo: andavamo in missione e lui era felice come davanti alla torta di compleanno. «Già, il Preside mi ha detto di informarti, partiamo più o meno...» guardò l'orologio con espressione critica. Aspettai che si decidesse a decifrare l'orario. «...adesso.» le buone notizie sembravano non essere ancora finite.
«E in cosa consisterebbe?» volli sapere, mentre ci dirigevamo verso il cortile sul retro. Ombra fischiettava come se niente fosse. Beato lui.
«Non ne ho idea. Ho sentito solo che riguarda una scuola elementare. Penso che ci sia un bambino con un Alice che dobbiamo portare qui.» Magari era così perché, a sentirlo, sembrava una missione decisamente migliore dell'ultima a cui avevamo partecipato.
«Fantastico...» commentai, con sarcasmo. «Immagino che verrà anche Nobara, no?» chissà perché eravamo sempre insieme quando si trattava di missioni. Questo non faceva altro che migliorare le cose.
«Lo sapremo tra poco, immagino. Sali pure in macchina: prima le signore.» mi indicò la portiera con un cenno del braccio. Feci una smorfia in risposta al suo sorrisetto ironico.
«Prego,» lo imitai, con lo stesso sarcasmo. «prima i bambini.»
Si limitò a chinare il capo, come in segno di resa. Dopo che salii, chiusi la portiera dietro di me. Dentro l'auto c'erano anche Nobara e un'altra ragazza che di recente era entrata a far parte della classe di Abilità Pericolose. Credevo proprio che fosse stata scelta per ricoprire il ruolo di quella sciocca, una volta che lei se ne fosse andata. Non ricordavo assolutamente il suo nome, ma sapevo che aveva concluso il secondo anno delle superiori e che si era trasferita dall'Alice Academy di un'altra città.
«Qual è il piano?» fu la domanda di Ombra. Nobara gli rivolse un sorriso rilassato, sembrava quasi di essere in un centro benessere, mancavano solo i massaggiatori.
«Il Preside ha detto che dobbiamo portare qui questa bambina.» ci passò una specie di fascicolo. Lo aprii, mentre Ombra fischiettava. Questa volta era piuttosto interessante: sulla scheda c'era scritto che aveva un potere particolare, non meglio specificato, a cui dovevamo prestare particolare attenzione. Come diavolo pensavano che potessimo organizzarci in assenza di informazioni? Avrei dovuto ringraziarlo, prima o poi. Senza Persona non avremmo proprio saputo come fare! «Persona ha aggiunto che questa missione non deve assolutamente fallire. È molto importante.» chissà perché mi sembrava un messaggio a mio uso e consumo.
«Oppure è un'altra stupida prova.» sbottai, tra i denti, in ricordo delle parole del preside. Ora era tutto chiaro. Perfino le parole di Persona: «Era una prova. Una prova che non hai superato.» aveva detto questo e mi aveva anche incastrato per bene.
Nobara mi guardò con espressione confusa. «Di che parli?» feci un gesto con la mano, ad indicarle che era poco importante e di lasciar perdere, mentre ancora Ombra sembrava che fosse in una dimensione parallela. «Che hai?» e, per la prima volta, Nobara rese utile la sua presenza.
«Eh?» Ombra sembrava essersi finalmente distratto dal suo mondo delle favole. «Oh, niente... pensavo: questa è la nostra ultima missione.» inarcai un sopracciglio, aspettando che continuasse. «Beh, sì... tra qualche giorno c'è la cerimonia di diploma: addio Abilità Pericolose.» ora era tutto chiaro. Probabilmente avrei fischiettato anche io, se non avessi saputo che il Preside aveva qualcosa in mente.
«Oh, no!» gemette Nobara, appoggiando il mento sulle mani. «Mikan-chan è partita! Speriamo che la cerimonia si svolga tra più di una settimana, così ci sarà anche lei!» alzai gli occhi al cielo: non credevo che fosse il sogno della vita di chiunque assistere ad una noiosissima cerimonia in onore diplomati: era composta solo da cibi pesanti e discorsi ancora peggiori. Niente che qualcuno potesse avere il dispiacere di perdersi.
«Già. Un vero peccato.» commentò Ombra, sospirando e guardando fuori dal finestrino. «Spero davvero che torni prima che ci buttino fuori. Vorrei salutarla.»
«Piuttosto,» cercai di riportare il discorso sull'argomento missione. Forse loro avevano già la testa fuori da quelle mura, ma di sicuro ancora non c'eravamo. «qual è il piano? Questa bambina avrà anche otto anni, ma non sappiamo neanche che tipo di abilità abbia.»
«Tranquillizzati, ragazzino.» mi disse l'altra ragazza, mentre si ravvivava i capelli. «È tutto sotto controllo.» sollevai entrambe le sopracciglia, con fare scettico: che era così l'avrebbe capito anche un bambino, dato che quei tre erano rilassati come lucertole al sole. A quanto pareva ne sapevano più di me. «Sappiamo esattamente cosa dobbiamo fare.»
Sospirai, domandandomi perché il Preside aveva preteso che ci fossi anche io, quando aveva detto che non avrei dovuto più occuparmi di nessuna missione, dal momento che dovevo essere concentrato nello studio per passare la sessione straordinaria degli esami Non sembravano neanche intenzionati a mettermi a parte dei dettagli. Ero decorativo quanto un adesivo.
«Quanto manca?» volle sapere Ombra, che si tamburellava le mani sulle gambe. La ragazza lo fulminò con lo sguardo, e immediatamente lui congiunse le mani e rimase in silenzio, come se all'improvviso qualcuno gli avesse comandato di farlo.
Dopo qualche minuto la risposta arrivò da Nobara. «La scuola in questione si trova in un paesino non troppo lontano da qui. Dovremmo arrivarci in circa venti minuti.» consultò una cartina, con fare interessato. «A proposito, Natsume...» alzò gli occhi verso di me, brillanti di preoccupazione. «ho saputo che parteciperai alla sessione straordinaria di settembre. È tutto okay?» vedere quella donna ghignare soddisfatta mi fece intendere che fosse una notizia di dominio pubblico, ormai. O almeno per la nostra classe di abilità. Dal momento che se qualcosa può andare peggio sicuramente lo farà, non sapevo che aspettarmi da quella giornata iniziata benissimo e proseguita ancora meglio.
«Perché non dovrebbe esserlo?» suonai molto indifferente, mentre lei non abbandonava quello sguardo da infermiera che sta guardando un malato agonizzante che non può curare.
«Per Mikan, intendo... insomma...» si contorse le mani, nella speranza che rispondessi all'implicita domanda: “Mikan lo sa, oppure no?”. Da una parte, mi fidavo poco di tutti quelli che si trovavano nell'abitacolo della macchina e, dire che Mikan non lo sapeva, poteva avere conseguenze complicate. Forse mi facevo solo milioni di paranoie, ma era logico supporlo, specialmente essendo all'oscuro dei piani di quel marmocchio. Se invece avessi detto di sì, lei gliene avrebbe parlato come se nulla fosse e Mikan sarebbe venuta a saperlo comunque nel modo sbagliato. Insomma, in definitiva, la soluzione era una sola: né l'una, né l'altra.
«Non dovresti preoccuparti di questo, Nobara.» replicai, infatti. «Per ora concentriamoci sulla missione.» lei annuì, senza abbandonare quello sguardo oltremodo fastidioso.

«Piantala di fissarmi.» fu quello che le dissi mentre ci avvicinavamo a un minuscolo edificio di un solo piano, neanche troppo nuovo e curato, anzi sembrava che dovesse cadere a pezzi da un momento all'altro. Tsubasa represse una risata, mentre gli scoccavo un'occhiataccia. «Adesso che facciamo?»
«Kobayashi-san,» Nobara si rivolse alla ragazza bionda, che non aveva mai perso la sua smorfia di superiorità. «puoi spiegarci il tuo piano, adesso?» probabilmente, invece, era solo lei che ne sapeva più di tutti.
Lei si limitò a ghignare. «Prima le abitudini della bambina. Di solito, quando sua madre lavora fino a tardi, come oggi, ad esempio, torna a casa da sola, tanto il paese è molto piccolo.» informazione decisiva, pensai con ironia. «ovviamente sarà durante il tragitto verso casa che dovremo agire. Nobara il tuo ruolo è decisivo, soltanto tu puoi convincerla.» Nobara annuì, come se quella fosse la missione più importante della sua vita. «Voi due siete qui per bloccare eventuali imprevisti.» mi domandai quali imprevisti potessero esserci in un paese di una cinquantina di persone.
«Splendido.» commentò Tsubasa, sistemandosi più comodamente sul sedile. L'espressione di Kobayashi si indurì ancora di più, ma distolse lo sguardo immediatamente al suono flebile di una campanella. Voltai lo sguardo per vedere circa venti bambini uscire dal portone, mentre mi veniva in mente quanto strana potesse sembrare la presenza di quattro studenti delle superiori in un paesino dove non c'erano nostri coetanei. Ci mimetizzavamo al meglio, senz'altro.
«Scendiamo.» ordinò lei, aprendo la portiera e scomparendo. Tsubasa si rivolse a me, quasi a volermi chiedere se dovevamo fare lo stesso, dato il nostro ruolo marginale nella missione. Immaginai che, qualunque fosse stato il nostro compito, avremmo dovuto seguire quella smorfiosa. Gli feci cenno di scendere e lui sbuffò, contrariato.
Trovammo quella strega e Nobara sedute su una panchina davanti ad un parco giochi, ed esaminavano ogni bambina che passava loro davanti. Ci fermammo poco più lontano da loro, per non dare troppo nell'occhio. «Farà questa strada, Kobayashi-san?» domandò Nobara dopo qualche minuto. «Non è che l'abbiamo persa?»
«Impossibile.» la gelò lei, aguzzando la vista verso la scuola. In effetti, nessuno aveva preso in considerazione l'ipotesi che potesse non aver frequentato le lezioni, quel giorno. «Dev'essere lei.» mi voltai verso l'entrata della scuola, una bambina sventolava l'ombrellino nel tentativo di far cadere tutte le gocce, probabilmente per non bagnarsi. Lo sistemò e lo mise nello zaino prima di cominciare a saltellare verso le ragazze, mentre sembrava canticchiare una canzone. Vidi Ombra sorridere intenerito, cosa che mi fece alzare gli occhi al cielo.
Passò loro davanti, senza cambiare espressione, come se neanche le avesse notate, e probabilmente era così. Kobayashi si girò verso di lei, rivolgendole lo stesso sguardo che le avevo visto usare su Tsubasa per farlo stare in silenzio. La bambina inciampò. Due volte non era certamente un caso: doveva avere a che fare con il suo Alice.
Rimase a terra per qualche minuto, e mi domandai se dovessimo accertarci che stesse bene. Ombra mi rivolse uno sguardo preoccupato e incerto, mentre Nobara si alzava dalla panchina per correre a controllare. Prima che potesse arrivare da lei, la piccola si mise a sedere, tenendosi una mano sul ginocchio e cominciando a piangere.
«Ti fa male?» fu l'inutilissima domanda di Nobara. Se avesse avuto malizia sufficiente, quella bambina avrebbe potuto risponderle ironicamente. «Posso darti una mano?»
Lei tirò su con il naso. «La mamma dice che non devo dare confidenza alle persone che non conosco, specialmente a quelle che non ho mai visto.» di sicuro era una donna con del buonsenso. Nobara sorrise gentilmente, inginocchiandosi vicino a lei. «Ma noi due non siamo estranee, non del tutto almeno.» la bambina strinse gli occhi, con espressione dubbiosa. Mi sembrò che fosse sempre più confusa ogni minuto che passava. «Io mi chiamo Nobara, e tu?»
«Miyako.» rispose lei, stupendomi: credevo che avrebbe dato ascolto agli avvertimenti di sua madre, e invece si era lasciata convincere come niente da una frase da cioccolatino. D'accordo che aveva otto anni, ma credevo che le nuove generazioni fossero più sveglie.
«Che bel nome!» Nobara sembrava estasiata. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, e si rivolse alla bambina con uno sguardo benevolo. «Vieni, cerchiamo di pulire almeno un po' quella ferita.» la bambina annuì, ancora un po' incerta.
«Tu che lavoro fai, signora?» domandò, ingenuamente. Nobara scoppiò in una risatina, immergendo il fazzoletto nell'acqua di una fontana che si trovava al centro del parco giochi. Noi la seguivamo con lo sguardo, ma eravamo abbastanza vicini da poterla sentire.
«Io non lavoro! Sono qui con i miei amici.» ci indicò con un gesto del braccio. Lei ci guardò con interesse, scrutando me in particolare con sguardo diffidente. «Sai, veniamo da una scuola di Tokyo. È frequentata da persone speciali.» frequentata da persone speciali? Non è proprio così che avrei definito l'Accademia.
«Persone speciali?» ripeté la bambina, distogliendo l'attenzione da noi; si fece improvvisamente più attenta alle parole di Nobara. Evidentemente, doveva essersi accorta che lei aveva qualcosa di diverso, qualcosa in più degli altri bambini.
Nobara annuì, con espressione rilassata, mentre cominciava a passare il fazzoletto sul ginocchio della bambina. «Sì. So perfettamente come ti senti, quando puoi fare qualcosa che gli altri non capiscono. E cosa provi quando ti guardano in quel modo strano se lo racconti a qualcuno.» sospirai quando alcuni frammenti di ricordi delle scuole elementari mi ritornarono in mente. Io non avevo avuto grossi problemi: mio padre mi diceva sempre di tenere nascosta la mia abilità e di non parlarne con nessuno. E io avevo imparato a farlo. «Però... sai... all'Accademia Alice ci saranno tanti bambini come te, avranno abilità diverse dalle tue, e non ti giudicheranno.»
«Dici davvero?» suonava quasi come una domanda retorica. Francamente, io non avrei creduto su due piedi a una storia del genere. La cosa più irritante era che faceva passare l'Accademia per un luogo idillico in cui i bambini trovavano la felicità eterna, quando invece era tutt'altro, specialmente per quelli delle Abilità Pericolose. Qualcosa mi diceva che anche quella bambina, Miyako, ci sarebbe finita. Solo per quelli della nostra classe il Preside si prendeva la briga di mandare qualcuno a prenderli, a meno che i genitori non opponessero resistenza, come avevo sentito avevano fatto quelli di Imai, anni fa.
«Certo!» confermò Nobara, con estrema convinzione, mentre sciacquava di nuovo il fazzoletto nella fontana. «Ci sono dei professori che ti insegneranno a controllare meglio e a scoprire le nuove potenzialità del tuo dono.»
Miyako si morse un labbro, indecisa. «Tu sei felice?» era una strana domanda da porre. Insomma, non era la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente di chiedere.
«Molto felice. I miei compagni di classe sono fantastici. So che ora ti sembra difficile crederlo, ma è così.» rivolse lo sguardo verso di noi e ci fece cenno di avvicinarci. «E anche loro lo sono; anche loro hanno trovato persone fantastiche con cui trascorrere il tempo che passano lì.»
«E nelle vacanze rivedete i vostri genitori? Potete telefonare a casa?» avrei scommesso che Nobara aveva una rassicurante risposta anche su questo. Povera bimba: non aveva idea che i suoi genitori, con ogni probabilità, non avrebbero avuto la benché minima notizia, come lei di loro.
«Le comunicazioni, purtroppo, non sono semplici: noi siamo una specie di patrimonio nazionale. Non possiamo lasciare l'Accademia finché non ci diplomiamo, ma... dopo possiamo tornare a casa se lo desideriamo. Le comunicazioni con le nostre famiglie si svolgono per lettera.»
«Siamo una specie protetta? Come gli orsi polari degli zoo in televisione?» aveva un'espressione corrucciata, come se davvero si stesse immaginando nei panni di un orso polare. Nobara rise di nuovo.
«Più o meno.» passò di nuovo il fazzoletto sulla ferita, togliendo gli ultimi residui di polvere.
Miyako si morse un labbro, guardandomi, e fece a Nobara cenno di avvicinarsi. «Lui non mi piace.» affermò, a bassa voce, quasi timorosa.
Nobara le accarezzò i capelli. «Non temere. Ha solo l'aspetto da duro, in realtà è un pezzo di pane. In più è molto gentile. Vedrai che di lui puoi fidarti.» in risposta ebbe solo uno sguardo dubbioso che poi rivolse a me, carico di perplessità. Io avrei volentieri messo a tacere Nobara. «Quindi... ti piacerebbe visitare l'Accademia?»
«E la mamma?» Miyako portò di nuovo la propria attenzione al viso di Nobara. «Lei non ne sa niente.»
«Ma non ci avrebbero mai mandati a prenderti se non fosse stata d'accordo!» obiettò Nobara, come se ci credesse davvero. Insomma... non poteva essere così ingenua, no? Come poteva dopo tutto il tempo che era passato?
«E quando potrò scriverle? Vorrei dirle che sono arrivata e che sto bene. Lei dice sempre che vuole sapere dove sono.» precisò la bambina, seria. «Dice che non devo mai allontanarmi senza il suo permesso, ma mi fido: tu mi stai dicendo la verità, quindi... devo scriverle. Ora non posso andare da lei: non può essere disturbata mentre lavora.»
Nobara aggrottò la fronte, divertita. «Come sai che sto dicendo la verità?» era una domanda di cui volevo sentire la risposta anch'io.
«È questo quello che tu hai chiamato dono. Dagli occhi delle persone posso capire se mi mentono o mi dicono la verità. Tu mi hai detto la verità, fino ad ora. Perciò mi fido di te.» sorrise, tendendole la mano. «Mamma dice che fa solo quello che è meglio per me, quindi se ha deciso di iscrivermi in questa scuola, vuol dire che è davvero un posto dove posso sentirmi come gli altri e imparare ad usare per bene il mio dono.» provavo pena per lei, povera piccola: non aveva idea che Nobara non stesse mentendo semplicemente perché credeva davvero in ciò che diceva. L'Accademia non era un posto per persone come lei. Il suo modo di parlare e di fare mi ricordava Mikan, in qualche modo.
Il sorriso di Nobara si allargò. «Bene, allora. Ti spiego tutto più precisamente mentre andiamo, okay?» Miyako annuì, cominciando a saltellare verso la macchina, tirando Nobara per la mano.

Durante il viaggio di ritorno, sentivo Nobara spiegarle degli Alice, della moneta dentro al campus, delle stelle attribuite ad ognuno, di come si svolgevano le lezioni, di quando, due volte a settimana, tutte le classi di Abilità si riunivano per fare lezione insieme, dei festival, degli esami, di ogni cosa. Miyako sembrava entusiasta, quasi la stessimo portando in un lunapark, mentre Kobayashi sembrava molto più che soddisfatta dell'esito della missione. Chissà che diavolo volevano da quella povera bambina.
Quando rientrammo nel cortile dell'Accademia, sbuffai: probabilmente, il giorno successivo, sarebbero iniziati i preparativi per la cerimonia dei diplomi e avevo il vago sospetto che mi sarebbe toccato un ruolo in tutta quella faccenda. Scendemmo dalla macchina e Ombra mi tirò per una manica.
«Accompagniamo Nobara da Narumi per trovare una stanza per Miyako?» sospirai: beh, dopotutto non è che avessi proprio qualcosa da fare e poi svegliare Narumi nel cuore della notte poteva anche avere i suoi risvolti positivi.
Sbadigliando, quel tizio venne ad aprirci la porta buoni cinque minuti dopo che noi avevamo bussato. Avevo proposto di bruciare la porta, ma Nobara aveva opposto resistenza e alla fine Naru era comparso davanti al nostro naso.
«Narumi-sensei... non è che potrebbe trovarci una stanza per lei? L'abbiamo portata qui giusto poco fa, e... beh, vorremmo trovarle una sistemazione in attesa che le siano attribuite delle stelle.» fu Nobara a parlare.
Naru sbadigliò sonoramente, e solo allora notai il suo ridicolo pigiama azzurro con quel cappello con tanto di pompon. Miyako ridacchiò. Solo allora Naru la notò. «Ciao, piccola. Io sono Narumi: sarò uno dei tuoi professori. E tu come ti chiami?»
«Miyako Aihara.» rispose la piccola. «Quando potrò scrivere alla mamma? Non è normale che non abbia mie notizie a quest'ora. Potrebbe preoccuparsi.» l'espressione di Narumi si intristì all'improvviso, ma lei non sembrò notarlo, nel buio del corridoio.
Emise un flebile sospiro. «Ti mostro la tua stanza.» cominciammo a camminare, fino ad arrivare al dormitorio elementare femminile. Era tutto così... rosa. Si vedeva anche alla debole luce della luna che passava dalle finestre. Miyako si guardava intorno, come a volersi ricordare la strada che avevamo percorso. «Eccoci.» indicò una porta. «Troverai che tutti i bagagli sono dentro.» quindi non avevano mandato solo noi. Il nostro compito era prelevare la bambina, a quanto pareva l'Accademia aveva provveduto al resto.
Miyako annuì, mentre Nobara sbadigliava. «Beh... io vado a dormire. Sono stanca morta. Buonanotte ragazzi.» poi si abbassò all'altezza della bambina. «Buonanotte, piccola.» le accarezzò di nuovo i capelli.
«Buonanotte.» rispose, tentennante. Anche Ombra se ne andò, e solo in quel momento mi accorsi che Kobayashi non si era neanche presa il disturbo di venire con noi. Eravamo rimasti io, Miyako e Naru.
«Beh, se questo è tutto,» si congedò Naru, sbadigliando di nuovo. «io torno a letto. Se ci sono problemi, cara... rivolgiti pure a...» si bloccò per sbadigliare di nuovo. «lui.» e mi indicò. Gli rivolsi un'occhiataccia, che però non colse. Avrei solo voluto strozzarlo. Non ebbi però il tempo di ribattere che era già sparito.
«Senti un po',» iniziai, mentre lei apriva la porta. «scrivi le tue lettere domani. Dalle a Naru: farà in modo che arrivino prima a destinazione se gli spieghi la tua situazione.» non potevo certo dirle che lui si sarebbe impegnato a fargliele mandare a casa seriamente, se gli avesse raccontato com'erano andate le cose, sperando che Naru capisse che sua madre di questa storia non ne sapeva proprio un bel niente. Ma credevo che conoscesse perfettamente, almeno in parte, come funzionasse l'Accademia. Non avrebbe avuto problemi. Miyako annuì, ma non accennò ad entrare in camera. «Beh, che hai?»
«La mamma mi legge sempre una favola prima di andare a dormire.» trattenni un sospiro sconsolato con tutte le mie forze. Potevo fare di tutto, ma non il baby-sitter! «Sei rimasto solo tu, non è che potresti...?»
Cercai di prendere un respiro profondo. Non avevo nessuna intenzione di prestarmi per questa cosa, ma allo stesso tempo non me la sentivo di dire di no. E la cosa mi sembrava alquanto strana, dal momento che non avevo mai avuto problemi a farlo. Era quell'espressione: quella maledetta espressione che Mikan usava più spesso di quanto avrebbe dovuto. «D'accordo... dammi questo libro. Vedrò che posso fare.» a quanto pareva, è vero che c'è sempre una prima volta per tutto nella vita. Speravo solo che questa non fosse una lunga serie di letture: io non amavo particolarmente tanto questo genere di cose. Per di più, non ero affatto portato per prendermi cura dei bambini, e non credevo di voler iniziare in quel momento.
Mi porse un libro quadrato dalla copertina plastificata, gialla. Per fortuna che non c'era nessuno che potesse testimoniare tutto quello. Aprii a una pagina a caso. «Dunque. C'era una volta, un...»
«No!» sbottò lei, contrariata. La guardai, sconcertato. Cosa c'era di sbagliato? Stavo leggendo esattamente le parole che c'erano scritte! «La mamma ci mette più emozione! Devi leggermela come me la legge lei!» avrei potuto farle notare che non ero sua madre, ma poi mi resi conto che era solo una bambina di otto anni e che non aveva senso mettersi a discutere.
Stavolta non riuscii a reprimere il sospiro. No: io e i bambini non eravamo compatibili. Lei mi guardava imbronciata aspettando che ricominciassi. Non c'era proprio modo per evitarlo. «C'era una volta, un taglialegna che viveva nel bosco...»
Lei sorrise. «Così va meglio, ci siamo quasi. Puoi andare avanti.»
Sbuffai silenziosamente: si prospettava una lunga notte.

*****

Rediviva da un'immersione nella filosofia di Hobbes, mi sono sforzata di trovare un minuto per scrivere e ce l'ho fatta XD, però il problema persiste ;). Tra scuola, ispirazione che scarseggia, e roba varia non ci capisco più niente XD. Per fortuna ci sono le vacanze (Buona Pasqua a tutti, a proposito :P). Capitolo dodici mi soddisfa poco, se devo dire la verità, per Natsume, che mi sembra alquanto distante da come l'avevo descritto precedentemente: c'è qualcosa di lui che ultimamente mi sfugge, non riesco a descriverlo come vorrei e devo dire che la cosa mi urta parecchio.
Buttate ogni tanto un occhio agli aggiornamenti, mi raccomando ;).
Un'altra cosa... avete visto? Il manga è quasi finito T^T.

Risposte alle recensioni:

mikamey: si sa, Natsume fa sempre il duro ma sotto sotto è un tenerone XD. Comunque, mi fa molto piacere che tu continui a seguire la fanfiction!
marzy93: grazie mille, mi riempi sempre di complimenti ^//^. Quando ho pensato a quel “Mi dispiace” mi è subito sembrata un'ideona, e mi sono detta che dovevo scriverlo assolutamente, anche se magari poteva essere un po' troppo “sdolcinato”, in qualche modo, da parte sua. Sono in assoluto la mia coppia preferita in Gakuen Alice, anche se nel manga ancora non si capisce se finiscono insieme oppure no :@
Kahoko: il destino riserva sempre delle sorprese, per tutti quanti XD. Non si può mai sapere. A dirti la verità, Sumire mi fa più pena che rabbia, in fondo può essere compatita: il ragazzo che le piace da una vita non la degna di uno sguardo XD. Sto pensando di farla riscattare, in qualche modo, ma ci devo ancora pensare su. Per il nome, fa' come ti viene più comodo: suffissi, prefissi... nessun fastidio non preoccuparti :P.
Manu5: grazie mille ^///^ spero tanto che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento :)

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. Kahoko
3. mikamey
4. piccola sciamana
5. rizzila93
6. smivanetto
7. marzy93
8. nimi-chan
9. sakurina_the_best
10. _evy89_
11. Luine
12. Yumi-chan
13. Veronica91
14. lauretta 96
15. EkoChan
16. Silli96
17. stella93mer
18. giuly_chan95
19. _Dana_
20. simpatikona


E in particolare le new entry:

21. CarlyCullen
22. asuka_hime
23. neko_yuki
24. XIUKY88
25. Manila
26. giadinacullen
27. twilighttina
28. SEXY__CHiC

E questa settimana, c'è anche le uscenti XD:

1. bella 95
2. cicci89

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona

E in particolare le new entry:

11. marrion
12. 95etta
13. XIUKY88
14. laurA_
15. dolce_luna
16. feilin

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Capitolo 13
*** Dal nonno ***


Capitolo 13 – Dal nonno
(Mikan)


Durante il viaggio mi accorsi che i timori di Natsume sarebbero stati difficili a realizzarsi anche se avessi voluto. Quel professore non parlava molto, anzi, da quando eravamo saliti in macchina credevo di non aver più sentito la sua voce. Proprio uno strano tipo; chissà che materia insegnava. Beh, magari avrei potuto chiederglielo, dopotutto Natsume mi aveva raccomandato solo di non toccarlo. Non aveva accennato niente a riguardo di una possibile discussione o al fatto che il suo Alice funzionava anche con le parole. Sembrava che chiedere non costasse nulla e poi... ero molto curiosa. Natsume sembrava conoscerlo eppure io non l'avevo mai visto. Non solo non sapevo che materia insegnasse, ma neanche in quale sezione, e sembrava anche molto giovane. Forse era un nuovo insegnante delle elementari... prima di fare qualunque cosa, cercai di costruire mentalmente la sua possibile storia, ma non arrivai a quasi nessuna conclusione.
Aprii la bocca per parlare ma la richiusi immediatamente: lui mi metteva terribilmente in soggezione. Aveva l'aria gentile, ma non sapevo se mi avrebbe considerata invadente come mi aveva fatto notare Hotaru tempo fa a proposito del misterioso comportamento di Sumire. Mi accorsi solo in quel momento che lo stavo fissando da tutto il tempo e che lui, in quell'istante, mi stava restituendo lo sguardo. Deglutii: i suoi occhi di ghiaccio mi misero i brividi, come se all'improvviso mi avessero immersa in una ghiacciaia. Forse Natsume non aveva tutti i torti.
Mi scappò un sorriso nervoso, mentre il professore tornava a fissare il panorama. Mi concessi un sospiro di sollievo, pensando al nonno. Speravo tanto di ricordarmi la strada di casa, e mi era anche venuta una strana voglia di rivedere la mia cameretta: non sapevo se era rimasto tutto come l'avevo lasciato, ma dubitavo che avrei notato delle differenze, dal momento che non entravo lì da molto. Mi misi a fantasticare sulla settimana che avremmo passato insieme: sulle cose che avremmo potuto fare e mi appuntai una specie di elenco mentale per assicurarmi di non dimenticare nulla. Non sapevo neanche quanto mancasse all'arrivo ed ero sempre più in fibrillazione, senza che ne capissi precisamente il motivo. Ero sicuramente emozionata all'idea di rivedere il nonno, ma mi sentivo come se avessi dovuto sostenere una specie d'esame, forse perché ero convinta che fosse arrabbiato con me per essermene andata senza averlo consultato e per avergli lasciato come saluto soltanto una breve lettera. Lui aveva sempre tenuto particolarmente a queste cose, e sospettavo che, appena mi avesse visto, nonostante nelle sue lettere non ne avesse mai fatto menzione, mi avrebbe sottoposto a un corso intensivo sulle buone maniere che non era riuscito a trasmettermi in dieci anni di convivenza, con suo grande rammarico. Ma io, nonostante tutta la mia buona volontà, non riuscivo mai a ricordarle: erano troppo complicate.

Quando il professore mi chiamò, mi sembrava che avessi appena cominciato a contorcermi le mani, ma quando mi affacciai al finestrino e riconobbi il panorama, capii che era passata almeno qualche ora. Lo fissai, terrorizzata: non ero ancora pronta!
«Ci rivediamo qui tra una settimana esatta. Sono stato chiaro?» dichiarò glaciale, mentre l'unica altra cosa di cui ero cosciente era il tremore alle gambe. Annuii febbrilmente, cercando di aprire la portiera... ma c'era un problema: non avevo idea di come fare. Avevo la mano tesa verso la maniglia invisibile e mi domandai se ci fosse qualche trucco particolare per farla apparire. Avrei potuto scommettere che Hotaru o Natsume, in una situazione del genere, mi avrebbero detto “scema” e avrebbero aperto la portiera come se quello fosse stato il loro mestiere. L'unica altra persona a cui potevo chiedere mi terrorizzava. Deglutii, prima di aprire bocca.
«Ehm... non è che...» cominciai, suscitando il suo interesse. Mi incoraggiai, magari non era così freddo come l'avevo immaginato. «sa dov'è... la maniglia?» la sua espressione cambiò di colpo, e mi raggelò in un secondo.
«Esattamente sotto la tua mano.» guardai più attentamente e mi accorsi che aveva ragione. Risi nervosamente, precipitandomi fuori dalla macchina. Appena riaprii gli occhi, trovai la valigia proprio vicino a me e la macchina era sparita; ma fu quando alzai lo sguardo che mi resi conto che ero veramente arrivata a casa e che non ero più dentro l'Accademia. Era una sensazione molto strana: immaginavo di sentirmi come gli animali vissuti negli zoo che venivano rimandati nel loro ambiente naturale, ecco! Proprio come una scimmia.
Camminando, riconobbi la strada che facevo per tornare da scuola insieme a Hotaru quando eravamo piccole, e mi sentii come se non fosse passato neanche un giorno. Svoltai l'angolo, intravidi la casa del nonno e mi bloccai, come se tra me e il giardino ci fosse stato un muro di vetro. In effetti, diversamente da tutto il resto del villaggio, la casa del nonno aveva qualcosa di diverso: sembrava trascurata e pareva proprio che quel buco nel tetto fosse lì da molto tempo. Immediatamente, mi portai le mani al viso, terrorizzata: che il nonno avesse lasciato che tutto andasse in malora perché era disperato per la mia partenza? Come avevo potuto non considerare ciò che avrebbe potuto significare per lui non avermi più con sé? Cominciai a correre, chiamando il nonno a squarciagola: se aveva lasciato che la casa arrivasse a quelle condizioni, non riuscivo proprio a immaginare cosa aveva potuto fare a se stesso!
«NONNO!» spalancai la porta e lo spettacolo che mi si parò davanti era terribile: un disordine che in casa non c'era mai stato. Il nonno era sempre stato un tipo preciso: mi diceva sempre di rimettere al loro posto i giocattoli, una volta finito di usarli. E lui non aveva mai lasciato che neanche un qualsiasi oggetto fosse in un posto diverso da dove lui aveva deciso che dovesse stare, e adesso era tutto così... così... come se ci fosse passato un uragano. «Nonno? Nonno, ci sei?» non ricevetti risposta, e corsi in camera sua, preoccupata. Mi aspettavo di trovarlo nel suo letto, malato o qualcosa del genere, ma quando spalancai la porta, il futon era ripiegato vicino all'armadio e di lui non c'era traccia. Scossi la testa, disorientata. Pensai a tutti i posti in cui poteva essere, ma era tardi e tutte le piccole botteghe del villaggio erano chiuse. Inoltre, non c'erano negozi o supermercati, quindi dove poteva essere?
Tornai in cucina: magari aveva lasciato un biglietto per avvertirmi che partiva per un pellegrinaggio chissà dove, in fondo aveva sempre detto che voleva vedere il mondo. Mi avvicinai al tavolo con trepidazione, ma non c'era niente, né sopra, né sotto. Le finestre e le tende erano chiuse, come se la casa fosse stata disabitata da tempo. Cos'era successo al nonno? Pensai subito all'ipotesi di Natsume: che fosse davvero stato rapito? Se era così, dovevo subito avvertire la polizia! Forse anche a quell'ora avrei trovato qualcuno.

Quando arrivai davanti alla piccola stazione di polizia, in cui di solito c'erano tre poliziotti, le luci erano ancora accese e così entrai. Era una stanza abbastanza piccola con due scrivanie e una specie di ufficio separato dal resto da dei mobiletti bassi. Mi guardai intorno: neanche lì c'era anima viva. La paura che un gruppo di alieni avesse deciso di rapire tutti gli abitanti per fare su di loro degli strani esperimenti mi paralizzò. A giudicare dallo stato del posto, doveva essere stata anche una cosa recente. Non sapevo cosa fare: chi dovevo avvisare in casi del genere?
Una voce alle mie spalle mi fece sussultare: gli alieni stavano per rapire anche me? Chi l'avrebbe detto ai ragazzi in Accademia? E al professore che tra una settimana mi avrebbe aspettata inutilmente? «Che ci fai qui ragazzina?» sembrava stesse masticando qualcosa, pregai che non fosse mio nonno. Mi voltai, aspettandomi una forma di vita con la testa verde spropositatamente grande, come quelle che comparivano una volta ogni tanto sulle locandine dei film che vedevo occasionalmente sui giornali che portavano in Accademia, ma quello che avevo davanti era solo un normalissimo poliziotto. Sospirai di sollievo: qualcuno a cui potevo raccontare la tragica scomparsa del nonno!
«Ho bisogno di aiuto!» strillai, quando mi ripresi dalla paura. «Mio nonno è sparito!» la reazione non fu proprio quella che mi ero aspettata.
L'uomo sbadigliò, finendo di masticare la sua ciambella, si sedette alla sua scrivania e prese un foglio. Poi, con aria assonnata, afferrò una penna e tornò a fissarmi. «Quando e dove l'hai visto per l'ultima volta?»
«Beh...» ci pensai su: erano circa... «dieci anni, su per giù. Ed era a casa sua. Ora non c'è più!» improvvisamente, mi domandai perché suonasse così strano.
L'uomo si massaggiò una tempia, con la mano libera. Era simile al gesto che compiva spesso Natsume quando aveva un disperato bisogno di riprendere la calma. «Scusami, ragazzina... siamo qui perché tuo nonno non è a casa, giusto?» annuii con forza. «E mi stai dicendo che l'ultima volta che l'hai visto è stato dieci anni fa?»
«Esattamente.» risposi, dopotutto era giusto che confermasse le testimonianze.
«Senti...» si alzò e mi porse la mano. «vai a casa, eh? Insomma, se era vecchio, è possibile che possa essere... sai com'è... al cimitero.» Eh? Al cimitero? Il nonno?
«Ma non avrebbe motivo per andarci!» asserii, sconcertata. «Non ha nessuno da andare a trovare!» poi all'improvviso il significato della frase del poliziotto mi colpì come un pugno. «Ma... ma...» cominciai a balbettare, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi: non era possibile! «Il nonn... il nonno...» mi aggrappai al braccio che mi offriva e cominciai a singhiozzare: il nonno non poteva essere morto! Non avrei mai potuto accettarlo, soprattutto perché i ricordi che avevo di lui erano quelli di un anziano davvero pimpante per la sua età. Non poteva essere morto!
«Che succede, Eichi?» fu una seconda voce sconosciuta a parlare, mentre la porta si richiudeva. «Oh, no! Non dirmi che anche lei è una delle tue fidanzate! Te l'avevo detto che non era una buona idea tenere il piede in più di una scarpa, ma tu non mi ascolti mai, vecchio...» si bloccò di colpo. «Oh... non è una di quelle, eh?»
Tirai su col naso e mi staccai dal suo braccio. «Sto cercando mio nonno.» magari lui ne sapeva qualcosa in più: non potevo smettere di cercare. L'altro poliziotto si grattò il collo, chiedendomi il suo nome, cosa che non mi era neanche venuta in mente di fare qualche minuto prima.
Risposi a tutte le sue domande, e iniziò a ridere come se qualcuno gli avesse appena raccontato la barzelletta migliore del mondo. Immaginai che fosse un buon segno, ma la tensione non era ancora passata.
«Accidenti, se l'avessi saputo prima ci saremmo risparmiati tutto il lavoro!» commentò, dandomi una pacca sulla spalla che ebbe il potere di spostarmi di qualche passo. «La casa stava andando a pezzi e un suo amico gli ha proposto di andare a vivere da lui e sua moglie, dato che hanno una casa molto grande; lui ha accettato perché era solo. È proprio sulla collina. Sono sicuro che lo troverai lì.»
Spalancai gli occhi per la sorpresa, mentre quelle parole uscivano dalla sua bocca: non avrei potuto sentire notizia migliore! «Grazie mille!» gli strinsi la mano che mi porgeva e uscii dalla stazione di polizia. Mi rilassai, improvvisamente: il nonno stava bene, non c'era più bisogno di preoccuparsi. Mi stiracchiai e partii alla volta della casa sulla collina, trascinandomi dietro il mio enorme bagaglio: forse Natsume aveva avuto ragione per quanto riguardava il peso.
Compresi solo più tardi quanto, effettivamente, avesse avuto ragione, e precisamente quanto vidi tutte le scale che avrei dovuto salire per arrivare al portone della villa. Erano quasi le sette di sera, e stavo per rinunciare quando, di nuovo, una voce dietro di me mi fece sobbalzare.
«Ehilà!» mi girai di scatto, trovandomi di fronte una ragazza un po' più grande di me con dei lunghi capelli castani. «Ti sei persa? Hai bisogno di aiuto?» sembrava molto gentile, e io avevo davvero bisogno di aiuto.
«Ecco... io sto cercando mio nonno, so che è venuto a vivere con degli amici che abitano lì.» le indicai la casa che troneggiava sopra di noi. Lei alzò lo sguardo, che si accese improvvisamente di comprensione.
«Oh, ma certo!» trillò, sorridendo. Mi prese per mano e afferrò il borsone, prima che potessi dire un'altra sola parola. «Tu devi essere Mikan, giusto?» rimasi interdetta per un attimo: lei come faceva a sapere il mio nome quando io non le avevo detto quasi niente? Cominciò a trascinare sia me che il mio bagaglio come due sacchi di patate, tutto alla velocità della luce. «Sai, tuo nonno parla un sacco di te, aveva detto che prima o poi saresti venuta a trovarlo. Ti aspetta da un bel po', sai?» sorrisi nervosamente. D'altra parte non ero mai riuscita a superare gli esami con il massimo dei voti, e le cose non erano proprio cambiate... «Scusami, che maleducata, non mi sono neanche presentata! Sono Harada Mitsuki, i miei nonni sono i proprietari di questa casa. A proposito quei due sono un po' rimbambiti perciò ti consiglio di chiamarmi per nome, altrimenti potrebbero confondersi.» scoppiò a ridere.
«Oh, certo!» avrebbe potuto insegnarmi come ci si comporta fuori dall'Accademia e potevamo anche diventare amiche! Sarebbe stato meraviglioso! «Molto piacere, Sakura Mikan!» mi resi conto solo dopo che l'informazione era completamente superflua, dato che lei lo sapeva già.
Quando arrivammo davanti alla porta, io avevo il fiatone e credevo di non ricordare come si respirava, mentre lei sembrava che fosse appena uscita da un centro benessere, esattamente com'era successo con Natsume quella volta in moto. Avevamo salito almeno cento scalini tutti di corsa. Mi appoggiai al muro, sicura che sarei caduta, esausta. Però era stato divertente!
«C'è nessuno?» gridò Mitsuki, spalancando la porta. «Nonno, nonna?» sentii un sacco di voci in lontananza, e immaginai che stessero guardando la televisione. «Sono di sicuro in cucina a giocare a carte.» sospirò, distruggendo la mia teoria. «Se anche questa volta mio nonno bara spudoratamente solo per essere l'unico a non portare niente alla festa di paese giuro che quelle carte le brucio nel camino!»
«C'è una festa?» domandai, incredula. Non che non ce ne fossero mai state, quando ci abitavo io, ma non c'ero quasi mai stata perché al nonno non piacevano e si spaventava a sapermi lì da sola o con qualcun altro che non fosse lui.
«Sì, la prossima domenica. Quest'anno ci siamo organizzati perché tutti portino qualcosa, e adesso di là sicuramente si stanno giocando a carte l'immunità. Ma mi sentirà quel vecchio scorbutico!» risi, mentre lei diceva quelle parole con un'espressione davvero decisa. Aprì violentemente la porta di cucina, facendo sobbalzare tutti i suoi occupanti. Erano più di dodici anziani che sedevano intorno al tavolo con delle carte in mano, ma la luce soffusa mi impediva di vederli bene tutti. «Che cos'è?» la voce di Mitsuki era veramente indignata, anche se io non ne capivo il motivo. «È poker, disgraziato di un vecchio? Come ti è venuto in mente?»
«Ci eravamo stancati di giocare a briscola.» protestò lui, alzando le spalle e tornando a rivolgere l'attenzione alle proprie carte. Vidi Mitsuki rimanere senza parole per qualche secondo. Scosse la testa, con espressione decisamente sdegnata, come se stessero facendo qualcosa di male. Non avevo idea di come si giocasse a poker, ma sembravano divertirsi parecchio: che poteva esserci di male? «Punto duecento yen!» e li gettò con un gesto sicuro al centro del tavolo.
«NONNO!» strillò di nuovo Mitsuki, riprendendo i soldi e rimettendoli vicino a suo nonno. «Ora smettetela. Abbiamo un'ospite e vi state facendo riconoscere subito. Questa non è la casa delle scommesse clandestine, è una cucina e io non permetterò che tu prosciughi le pensioni dei tuoi amici in questo modo. È chiaro?»
«Quali scommesse clandestine? È solo un gioco tra amici, niente di illegale!» sbottò l'anziano signore, alzando di nuovo le spalle, con noncuranza. «Tu ci rovini sempre il divertimento, e poi dicono tanto dei vecchi che sono bigotti!» poi si volse a guardarla, decisamente più interessato di prima. «Hai detto che abbiamo un'ospite?»
«Credo di averlo detto, sì. È Mikan, la nipote del tuo amico, ricordi? O a poker ti sei giocato anche il cervello?»
«Hai ereditato la lingua di tua madre.» commentò suo nonno, con una smorfia. «Se la nipote di Takuma è qui, non credi che sia il caso di mostrarle la sua stanza e farle fare un bel bagno? Che razza di padrona di casa sei?»
Mitsuki spalancò la bocca, se possibile ancora più indignata di prima. «Credevo semplicemente che prima volesse vedere suo nonno e sono felice del fatto che non si sia unito alla vostra cricca! Bene, dov'è?» a quanto pare sembrava una cosa buona che il nonno non fosse lì, anche se di quella discussione non ci stavo capendo davvero una parola. Mi limitavo semplicemente ad alternare lo sguardo dalla mia nuova amica a suo nonno.
«Ehm... ecco...» balbettò l'uomo, improvvisamente a disagio. Sperai che non fosse niente di grave. «Lui è... ecco...»
«Sono tornato! Ragazzi ho portato la rob...» quella era inequivocabilmente la voce del nonno, stavo per correre ad abbracciarlo quando vidi che si era praticamente pietrificato sulla soglia con una busta in mano. «Come va... Mitsuki-chan?»
Lei aveva una brutta espressione in viso, quasi il nonno l'avesse delusa profondamente e ora si stesse arrabbiando molto. Faceva paura quasi quanto JinJin. «Cosa c'è in quella busta, Takuma-san?»
Il nonno guardò la busta e poi di nuovo Mitsuki, dopodiché nascose tutto dietro la schiena. «Quale busta?» aveva l'espressione più innocente del mondo. Non avrei mai creduto che il nonno potesse comportarsi in maniera simile.
Mitsuki si massaggiò le tempie, come aveva fatto il poliziotto poco prima. Si voltò verso suo nonno, mordendosi il labbro inferiore. «Adesso mi dirai che vi eravate stancati dei sigari e che siete passati agli oppiacei?» l'uomo voltò lo sguardo verso il suo vicino che si stava accendendo un sigaro e fece finta di niente. «Dimmi che quelli non sono alcolici!» indicò il nonno.
«Di sicuro, quello è Takuma.» ci fu un attimo di silenzio dopo questa frase, e mi sembrò quasi la quiete prima della tempesta. La tensione era quasi palpabile, ma mi chiedevo per quale motivo. Quegli anziani signori erano così allegri e divertenti! «Hai visto, la mia nipotina ti ha riportato a casa la tua.»
Quasi mi ero dimenticata che ancora non ci eravamo salutati. «Mikan?» domandò il nonno, incredulo guardando in giro per la stanza. La luce, però, era troppo bassa perché potesse vedermi da dove si trovava. «Mikan è qui? Accidenti, proprio quando ho dietro la schiena un sacco di birr.. cioè... dove sei, cara?»
«Sono qui, nonno.» mossi le braccia per farmi vedere, mentre stavo per commuovermi di nuovo. Era tanto tempo che non lo vedevo, ma non sembrava cambiato di una virgola. Lui posò le birre a terra, facendo l'occhiolino al suo amico e venne verso di me con un sorriso. Lo abbracciai di slancio, mentre lui mi accarezzava i capelli.
«Ah, la mia nipotina!» disse, scoppiando a ridere. «Sei proprio cresciuta, accidenti! Che ti hanno dato da mangiare in quella scuola? Hai un sacco di cose da raccontarmi, signorinella e...» improvvisamente, mi sentii come se avessi immerso i pedi in una pozzanghera. «Che cavol...»
Abbassai lo sguardo, ancora offuscato dalle lacrime, troppo confusa per capire che stesse succedendo. Tuttavia, dalla busta che il nonno aveva portato con sé stava uscendo dello strano liquido che non sembrava acqua, ma sotto quella luce non avrei saputo dirlo con certezza. Aveva anche uno strano odore.
«Accidenti! Si è aperta una bottiglia!» fu il nonno di Mitsuki a parlare. «Mitsuki, che diamine, porta la ragazza a cambiarsi!» lei si limitò a sospirare, toccandomi un braccio e facendomi cenno di seguirla.
«Su, vai a riposarti cara.» mi disse mio nonno, dandomi una leggera pacca sulla spalla. «Appena torni ti insegnerò a giocare a poker!» sembrava una bella idea, dopotutto era un gioco divertente a giudicare dal loro stato d'animo. Forse era quello che aveva permesso loro di mantenersi così giovani dentro. Avrei dovuto parlarne con Natsume. Abbracciai di nuovo il nonno prima di seguire Mitsuki e, proprio prima che lei chiudesse la porta alle nostre spalle sentimmo un frammento della loro discussione:
«Devo aver urtato qualcosa mentre venivo qui... te l'ho detto che con le bottiglie di vetro può accadere più volte.» sembrava quasi un rimprovero da parte del nonno.
«Non importa. Sempre meglio dell'altra volta: Renji se l'è bevute tutte durante il tragitto!» fu la risposta di un altro di quei simpatici signori anziani.
«La prossima volta aspettiamo che quella scocciatrice torni a lavorare!» propose il nonno di Mitsuki. «Ci rovina sempre la festa!» questa affermazione suscitò una risatina da parte sua.
«Vecchi pazzi!» commentò Mitsuki, con totale disapprovazione. «Non hanno il fegato per reggere un succo di frutta, figuriamoci una bottiglia di sakè! Ci scommetto che ne avevano una ciascuno!» solo allora mi accorsi che la busta che prima teneva mio nonno adesso era nelle sue mani. Lei dovette notarlo. «Beh, almeno così non corriamo rischi, no? Hai presente che vuol dire avere dodici vecchi ubriachi in giro per una casa come questa? Dove dovrei andare a ritrovarli?» poi alzò le spalle. «Tanto passeranno almeno dieci minuti prima che se ne accorgano. Credo proprio che penseranno a pulire prima che arrivi mia nonna. Lei può essere molto pericolosa, in effetti.»
Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerla immediatamente, ma non potevo andare in giro con quelle ciabatte completamente zuppe. Qualunque cosa ci fosse stata in quelle bottiglie aveva un odore pungente che pizzicava il naso.
«Allora, Mikan...» si volse verso di me, con un'espressione rilassatissima. «vuoi fare un bagno per riprenderti dalla stanchezza della giornata?» improvvisamente, quella proposta mi sembrò l'unica da prendere in considerazione, come se avessi l'impellente desiderio di vedere una vasca da bagno.

Quando uscii, avevo completamente perso la cognizione del tempo: l'unica cosa chiara era che era ora di cena, a giudicare dal buon odorino che proveniva dalla cucina. Quando entrai c'erano solo Mitsuki e un'anziana signora che pensai fosse la famosa nonna; stavano amabilmente chiacchierando, ma smisero, quando sentirono la porta aprirsi.
«Salve, signora. Sono Sakura Mikan, piacere di conoscerla.» salutai, sorridendo. Mitsuki mi fece un cenno con la testa, prima di sbadigliare. Mi sedetti accanto a lei, che aveva le braccia incrociate sulla tavola e la testa sopra di esse.
«Ciao cara! Sono Harada Midori, molto piacere.» mi rispose, mentre sistemava l'ultimo bicchiere sulla tavola. Sembrava una stanza completamente diversa da quella che avevo visto al mio arrivo. Era tutto perfettamente in ordine e la luce della lampada illuminava l'ambiente come se fosse stato giorno. «Mitsuki-chan mi stava raccontando della vostra disavventura con quei vecchi maniaci del gioco.» Io mi limitai ad annuire, anche se non riuscivo bene a collegare quei simpatici vecchietti alla parola maniaci. «E... quindi? Che fine ha fatto il sakè?»
«L'ho buttato, che altro?» l'espressione dell'anziana signora sembrava quasi dispiaciuta. «Non permetterò che in questa casa si ubriachi qualcun altro, nonna. Non voglio ripetere l'esperienza di Capodanno! Per settimane ho dovuto raccogliere vom...»
«Non è il caso di rendere noti i dettagli disgustosi, cara.» la bloccò sua nonna, con un sorriso nervoso. Mitsuki sbuffò, appoggiando il mento sopra la mano, quasi rassegnata.
«Io non so più cosa fare. Il nonno è completamente andato! Oggi giocavano a soldi!» sospirò, mugugnando qualcosa sui vecchi squinternati e tornò a fissare Midori-san, aspettando che dicesse qualcosa. Ma lei era occupata a cucinare. Mitsuki mi lanciò un'occhiata furtiva, a quel punto e con gli occhi mi indicò uno sportello di un mobile alle mie spalle. La guardai, in cerca di spiegazioni. Che stava cercando di dirmi? Si avvicinò a me un po' di più. «Lì dentro ci sono dei biscotti al cioccolato.» bisbigliò, guardandosi intorno, forse in cerca di orecchie indiscrete. «fatti in casa.» le sorrisi, annuendo, ma che avrei dovuto fare? Passammo un'infinità di secondi a fissarci. «Beh? Che hai? Aprilo e prendili!»
Spalancai la bocca, incredula. «Okay.» risposi, dimenticandomi di abbassare la voce. Mi tappai subito la bocca, ma Midori-san non sembrava essersi accorta di niente. Mi alzai, tentando di non fare rumore, ma inciampai nella gamba della sedia e, fortunatamente, il mobile frenò la mia caduta. Mitsuki non era riuscita a trattenere un urlo spaventato e sua nonna si era girata per controllare la situazione.
Mi guardò, spaventata, e mi alzai tentando di rassicurarla sulle mie condizioni di salute: dopotutto, non volevo che stesse in pensiero per me. «Vieni qui, cara.» mi indicò una sedia più vicina a lei dove potessi sedermi. «Non dovresti fare movimenti bruschi.»
«Questo non succederebbe,» iniziò Mitsuki, avvicinando una sedia al mobile. «se tu non nascondessi i biscotti in posti assurdi!» salì su di essa e si allungò per arrivare allo sportello.
«Mitsuki!» si allarmò subito Midori-san. «Scendi di lì, puoi farti male! E poi è ora di cena, non è il caso di prendere quei biscotti!» in effetti anche il nonno mi proibiva sempre di mangiare qualcosa subito prima di cena: diceva che mi rovinavo l'appetito. «A te neanche piacciono.»
«Non è il caso di fare tutte queste scene, ti pare? Hanno riposato abbastanza.» ribatté Mitsuki-chan, piccata. «E poi sarebbe scortese non offrirli a Mikan adesso che sa che li hai cucinati, no?»
«Ecco... veramente...» cominciò a balbettare lei, sempre più preoccupata. Avrei tanto voluto sapere se mi sarei comportata allo stesso modo con i miei nipotini. Forse era normale per i nonni essere così apprensivi. «Li prendiamo dopo cena, che ne dici?»
Mitsuki si voltò verso di lei, con la mano sulla maniglia. «Nonna,» esibiva un sorriso a trentadue denti. «mi stai per caso nascondendo qualcosa?» aspettava una risposta che non arrivò. Sentendosi autorizzata da quel silenzio, aprì lo sportello e si mise a gridare talmente forte che non capii quasi niente di quello che diceva, se non alcune cose come “alcolici”, “delusione” e poi “non me l'aspettavo da te”.
Quando si calmò, tornò a parlare normalmente. «Biscotti al cioccolato, eh?» riprese ancora una volta fiato, infuriata. «Buona scusa, dato che a me non piacciono. Non sarei mai andata a guardare! Non credevo davvero che ti saresti messa in combutta con quei furfanti!»
Midori-san la guardò, colpevole. «È stato tuo nonno a convincermi.» protestò poi. «Lo sai che sono contraria a queste cose.» Mitsuki scosse la testa e sospirò.
«Lasciamo perdere. Tanto ormai ho capito che è impossibile vincere contro dei vecchi che si alleano.»

Durante la cena Mitsuki rimproverò suo nonno per l'inammissibile comportamento, sembrava quasi una madre con i suoi bambini dispettosi. Lui si limitava ad alternare lo sguardo da lei alla televisione, sbadigliando di tanto in tanto. Era un vecchietto così buffo che era impossibile anche prendersela a male.
«Insomma!» sbottò lei, poi, andando su tutte le furie. «Puoi fare almeno finta che la cosa ti interessi?»
«Mitsuki,» suo nonno le parlò come se stesse per affrontare la discussione più seria di tutta la sua vita. «il fatto è che anche tu quando avrai la mia età avrai bisogno di sentirti giovane. Passiamo tutte le giornate a giocare a briscola da anni! Ci siamo stufati di bere sempre quella sottospecie di tè. Anche noi abbiamo bisogno del cambiamento.»
«Non sapevo che il mio tè ti disgustasse così tanto.» ribatté lei, offesa. «Avresti potuto dirmelo. Potevo comprare dell'aranciata.» lui sbuffò, come se l'ipotesi non dovesse neanche essere presa in considerazione. «Ah, certo!» riprese lei, facendomi sobbalzare per lo spavento. «Passare dal tè agli alcolici sembra la cosa più logica da fare, in effetti!»
«Adesso sì che capisci!» si alzò, stiracchiandosi. «Lasciamo stare. Io vado a dormire. Se ti sento urlare ancora un po'... credo che diventerò più sordo di quello che sono.»
«Già,» convenne lei, arrendevole per la prima volta in tutta la giornata. Quasi avevo creduto che non si sarebbe mai rassegnata dal riprenderli. In effetti potevo capirla benissimo: era solo preoccupata per loro. Chissà che quelle bottiglie che aveva trovato non facessero male alla salute... «anche io sono stanca di gridare.»
Midori-san sorrise, rilassandosi. «Bene, è il caso che andiamo tutti a fare una bella dormita.» non sembrava una cattiva idea. Ma era anche vero che con tutto quello che era successo quel giorno, non ero ancora riuscita a parlare col nonno per più di cinque minuti.
Ci sedemmo sul balconcino che dava sul giardino circostante. Tirava un venticello fresco che mi fece sentire improvvisamente meno stanca.
«Allora, Mikan...» mi incalzò il nonno, sedendosi vicino a me. Alzai lo sguardo su di lui e sorrisi. Mi sembrava impossibile che fosse davvero lì, a pochissimi passi da me, dopo tutto questo tempo. «racconta. Che cos'hai fatto da quanto sei andata via?»
«Mmh...» ci pensai un po' su. Dovevo riassumere più o meno dieci anni, e di cose ne erano successe parecchie. Decisi di cominciare dall'inizio, esattamente da quando avevo lasciato casa e poi continuai raccontandogli di tutto quello che avevo dovuto passare prima di diventare un membro effettivo della classe; tutto quanto, fino a che non ero riuscita a tornare a casa. Gli descrissi tutti i miei amici e gli mostrai le foto che avevo portato con me. Ci vollero un paio d'ore, ma lui non sembrò stanco neanche per un attimo, si limitava ad ascoltarmi. Mi soffermai in particolar modo su Natsume e su quello che aveva fatto per permettermi di tornare da lui, tentando in tutti i modi di fargli capire in che tipo di rapporti eravamo, senza riuscire a dirglielo direttamente.
Il nonno storse il naso, restituendomi il portafotografie che mi aveva regalato Hotaru. «Di' a questo tipo, per favore, di non allungare troppo le mani, non ha una bella faccia. Non mi fido, qualunque cosa abbia fatto per te. Ha la faccia da furfante.» mi limitai a ridere nervosamente. Non avrei mai associato Natsume ad una faccia da furfante. «Spero proprio che tu non gli dia troppa confidenza. Devi imparare a riconoscere le amicizie buone da quelle che non lo sono, Mikan. È quello che ho cercato di insegnarti tutta la vita.» all'inizio ci rimasi un po' male. Non avrei mai voluto che fosse questo il giudizio del nonno su Natsume, ma era anche vero che da una foto non si poteva cogliere davvero il suo carattere e che, a guardarlo e basta, magari poteva sembrare un po' scorbutico e il nonno aveva ingigantito un po' le cose.
«Non è come sembra. È gentile.» protestai, debolmente. Non riuscivo proprio a capire come associare la descrizione che aveva fatto il nonno al Natsume che conoscevo io. Non avevano niente in comune. Ma come potevo spiegarglielo?
«Stai attenta ai ragazzi come lui, Mikan. Fanno soffrire le ragazze.» mi mise in guardia, deciso. «Non dargli troppa confidenza, ripeto.»
«Ma nonno... io...» tentai di replicare, e quando vidi che aspettava che continuassi, improvvisamente il coraggio venne meno. Ma non potevo di certo lasciare che avesse un'opinione così sbagliata di Natsume. «ecco... noi... siamo...» con un cenno della testa mi invitò a completare la frase. Presi un respiro profondo, mentre il cuore mi batteva all'impazzata. Avevo il terrore di scoprire quale sarebbe stata la sua reazione. «siamo fidanzati.»
«CHE COSA?» avevo quasi paura che sarebbe svenuto, o che sarebbe corso a costruire una bambolina wodoo per pizzicargli la schiena a distanza. Si passò una mano sugli occhi, palesemente disperato. Avrei tanto voluto fare qualcosa per questo. «Dove ho sbagliato?» mi guardò, ed ebbi paura che potesse mettersi a piangere. «Dove ho sbagliato? Quale dei miei insegnamenti non hai recepito?» scosse la testa, apparentemente deluso. Mi sentivo davvero l'ultimo essere della catena alimentare. L'ultima cosa che volevo era deludere il nonno, ma a quanto pare c'ero riuscita in pieno. La cosa peggiore era che non avevo ancora capito perché. «Da quanto tempo dura?»
«Beh... ora che ci penso... è quasi un anno, ormai.» il nonno ripeté l'ultima parte della mia frase, come se dovesse realizzarne davvero il significato. «Nonno, tutto bene?»
«O santo cielo! È peggio di quel che credessi!» giunse le mani, sconcertato. «Dimmi almeno che gli hai detto di tenere le mani a posto!»
«Certo che gliel'ho detto!» protestai. Come dimenticare quando si era comportato da ficcanaso? L'espressione del nonno si rilassò, e sospirò di sollievo. «Aveva cominciato a rovistare nel cassetto delle mie mutande!» fu come se si fosse strozzato con del cibo. Diventò quasi viola. Mi preoccupai.
«MA È UN MANIACO, MIKAN!» gridò, e per un attimo pensai che avesse svegliato tutti i paesini vicini. «Devi liberartene, e in fretta! Prima che succeda l'irreparabile!» cosa avrebbe potuto esserci di irreparabile? Non era così male stare con lui, dopotutto. Lo sapevo che avrei dovuto portarlo con me per farglielo conoscere!
«Non esagerare, nonno!» cercai di calmarlo. «È tutto a posto. Non è successo niente di irreparabile, tranquillo.» lo diceva sempre lui che l'unica cosa a cui non c'era rimedio era la morte. Forse era questo che intendeva. In effetti, Natsume rischiava la vita ogni giorno, quando andava in missione.
Il nonno si rilassò definitivamente. «Sia ringraziato Dio!» soffiò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Non avresti potuto darmi notizia migliore, nipotina mia. Sono così fiero di te!»
Mi sentii improvvisamente leggera e felice. Ero contenta di non averlo deluso e del fatto che, finalmente, avesse capito e accettato il mio rapporto con Natsume. Il nonno, anche se a volte poteva dimostrarsi un po' burbero, era sempre stato comprensivo.
«Tu, però, devi ancora dirmi cos'hai fatto durante tutto questo tempo!» e così anche lui mi raccontò di quanto avesse borbottato sul fatto che me ne fossi andata e su quanto era stato contento quando Narumi-sensei gli aveva portato tutte le lettere che gli avevo scritto. Aveva avuto paura quando aveva visto l'acqua che quasi allagava la casa e poi era stata la volta del buco nel tetto. Finché il suo amico, Shinji-san, il nonno di Mitsuki non gli aveva offerto un posto a casa sua e lui aveva accettato di buon grado, dato che viveva da solo. Ero proprio felice che non avesse dovuto passare tutto il tempo che io ero mancata da solo. I nonni di Mitsuki dovevano essere delle persone davvero splendide ed erano anche simpatici!
Sbadigliai, quando il nonno finì il racconto. «Su, ora vai a dormire. Scommetto che questa giornata ti ha stancata molto.» mi aiutò ad alzarmi e mi diede una pacca affettuosa sulla testa. «Tanto abbiamo tutta la settimana, no?»
Sorrisi e annuii. «Proprio così. Buonanotte, nonno.»

La mattina dopo, mi svegliai davvero tardi. Per casa c'era davvero un gran trambusto e gli amici del nonno e di Shinji-san erano tutti indaffarati a fare qualcosa. Correvano da una parte all'altra della villa e non riuscivo a seguirli per quanti erano e per quanto erano veloci. Andai alla ricerca disperata di Mitsuki, in modo che potesse spiegarmi che stava succedendo, dato che il nonno mi aveva salutata e poi era scappato via. Speravo solo che non fosse una specie di malattia, non sapevo se dovevo cominciare a preoccuparmi seriamente oppure no. Aprii piano la porta di cucina, per non farla sbattere addosso a qualcuno che, eventualmente, si trovava dall'altra parte.
«Sì, sì...» sentii la voce di Mitsuki-chan e mi affacciai per vederla davanti ai fornelli, al telefono. «tutto bene, tranquilla. Sì, è andata bene. Te l'ho detto. Tutto... oh, buongiorno, Mikan!» mi salutò con la mano, mentre l'altra era impegnata col mestolo. «Aspetta, non ho capito... dove?» prese un foglietto di carta e cominciò a scrivere. «Soltanto una? Okay. No, tranquilla, posso pensarci io, nessun problema.» sembrava che fosse una telefonata importante. Ora che ci pensavo, non sapevo neanche che lavoro facesse la mia amica. «Posso tenerla per un po', in fondo si divertirebbe alla festa di paese. Starà bene...» sentii dei suoni confusi, erano le parole del suo interlocutore. «D'accordo quindi, ci vediamo lunedì. Buona giornata, capo.» attaccò, e ricominciò a mescolare il contenuto della pentola. «Dormito bene? Hai fame?»
«Sì... ecco...» balbettai, in cerca delle parole giuste da usare. Come spiegarle che in casa erano diventati tutti matti? «Cos'è... cos'è successo a...?» accennai alla porta con la testa e lei rise.
«Oh, beh... sai... quando ci sono feste in arrivo diventano sempre così. Tra qualche ora passerà l'euforia. Stanno rimediando le decorazioni per la piazza. Per l'ora di pranzo sarà tutto come prima.» annuii, cercando di convincermi che forse aveva ragione lei. «Mi preoccupa lasciarti da sola con quei tre, domani mattina. Devo fare una cosa per il mio capo.»
«Oh, giusto...» esclamai, sperando di non sembrare un'impicciona, come mi aveva detto Hotaru. «posso... posso sapere che lavoro fai?»
Lei mi sorrise, nervosamente. «È... complicato da spiegare. Lavoro... lavoro in un'azienda di... collocamento.» rispose, grattandosi il collo. Non avevo idea di cosa fosse un'azienda di collocamento, ma preferii non fare domande. «Devo... solo stare dietro a sua nipote per un po'...» mi fece un sorriso più rilassato e tornò a dedicarsi alla colazione. «Allora, hai fame?»
«Beh... in effetti...» balbettai, un po' in imbarazzo per via del mio stomaco che aveva cominciato a lamentarsi rumorosamente. Lei mi mise di fronte un piatto di frittelle dall'aspetto davvero invitante. Come avrei potuto rifiutarle?

*****

Intanto chiedo scusa per l'enorme ritardo XD, ma l'ispirazione è davvero dispettosa, e, se non c'è, la faccio venire a forza, perché questa storia deve finire assolutamente, la adoro ;). Per ora, anche di questo sono arrivata alla fine XD. Comunque penso di aggiornare (o quantomeno scrivere) più di frequente ora che, finalmente [!!!], sono iniziate le vacanze. Mi sono resa conto che l'ultimo capitolo non ha riscosso molto successo... speriamo di essere migliorati. Ditemi tutto, mi raccomando ;)

Risposte alle recensioni:

marzy93: ne deduco che non ne sei rimasta proprio entusiasta, a giudicare dall'ultimo commento XD. Dai, spero che con questo io sia ritornata in carreggiata, staremo a vedere :P
Annie Jackson: ben arrivata XD, nuovi recensori (manco io so come si dice al femminile, di preciso XD sono sempre stata indecisa tra recensora e recensitrice XD) sono sempre ben accetti! Sono contenta che ti sia piaciuta e spero che anche questo capitolo non sia stato da meno ;)

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. Kahoko
3. mikamey
4. piccola sciamana
5. rizzila93
6. smivanetto
7. marzy93
8. nimi-chan
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15. EkoChan
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19. _Dana_
20. simpatikona
21. CarlyCullen
22. asuka_hime
23. neko_yuki
24. XIUKY88
25. Manila
26. giadinacullen
27. twilighttina
28. SEXY__CHiC

E in particolare le new entry:

29. Annie Jackson
30. valuzza92
31. mechy
32. amorelove

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
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8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
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14. dolce_luna
15. feilin

E in particolare le new entry:

16. Bliss_93
17. shinigamina_love
18. _Haruka_
19. sailorm
20. sakura92
21. I love sasunaru

Per parcondicio, pure di qua ne abbiamo persa una XD:

1. 95etta

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Capitolo 14
*** Segreti ***


Capitolo 14 – Segreti
(Natsume)

Sbadigliando, uscii dalla stanza di Miyako. Non sapevo ancora in che modo, ma mi aveva incastrato per bene ogni sera a leggerle le favole. La cosa più scocciante era che, ovviamente, non si addormentava mai all'inizio o più o meno a metà, ma alla fine, e non di certo della prima. Sarebbe stato chiedere troppo. Quella sera, dovevo aver raggiunto il record mondiale: diciassette storie.
Tutto ciò era particolarmente irritante soprattutto perché mi ero studiato i miei piani e credevo davvero di poterli attuare, fino a che non avevo guardato l'orologio e non avevo visto che era quasi mezzanotte. Più di due ore a fare da cantastorie. L'assoluta aspirazione della mia vita.
Da quando Mikan era partita, cioè più o meno da due giorni, avevo cercato Naru in lungo e in largo senza trovarne la più piccola traccia. Non che la cosa mi andasse particolarmente a genio, ma se c'era qualcuno che poteva sapere che diavolo stava succedendo in quel periodo in Accademia, senza essere a stretto contatto con le Abilità Pericolose, era lui. Mi era assolutamente ignoto il motivo per cui fosse al corrente di cose che, in teoria, non avrebbe mai dovuto sapere, ma l'importante era che le sapesse. Anzi, speravo che avrebbe saputo rispondere alle mie richieste.
Uscii dal dormitorio femminile elementare, e mi incamminai per la strada verso l'edificio delle superiori. Notai subito che c'era qualcosa che non andava: qualcuno stava facendo la mia stessa strada, poco più avanti. Era del tutto insolito, anche perché non avevo mai visto nessuno durante tutti i miei viaggi di ritorno. Era anche estremamente tardi e a noi studenti non era permesso gironzolare per il campus oltre una certa ora. C'era di sicuro la possibilità che l'obbligo venisse ignorato, esattamente come nel mio caso, ma non era mai successo.
Mi avvicinai di più, ben attento a non fare alcun rumore. Non avevo idea del motivo mi interessasse così tanto sapere dove stesse andando, dato che neanche sapevo chi era. E, come se l'avessi chiesto, la luce della luna lo investì completamente, e rimasi alquanto stupito: Naru. Il professore perfettino andava in giro di notte a fare chissà cosa. Era decisamente l'ora di scoprirlo.
Si guardò intorno e andò avanti, mentre io gli andavo dietro in completo silenzio. Di sicuro, gli insegnamenti della mia classe di abilità erano utili per i pedinamenti. Entrammo nella sezione superiori e mi domandai se non fosse per una specie di incontro notturno di un qualche gruppo che cercava di far fuori il Preside delle elementari. Dopotutto, Naru non aveva mai fatto molto per nascondergli la propria ostilità, se non ritirare tutto quanto quando si scopriva troppo.
Niente di tutto questo, ovviamente: Mikan mi avrebbe certamente detto che ero un paranoico. Arrivammo in un corridoio del tutto deserto, nessuno ci andava mai perché non c'erano porte se non di una stanza che non usava mai nessuno. Sapevo bene a cosa serviva quell'affare, appena veniva colpita dalla luce della luna. In fondo, Mikan ci aveva coinvolti in quell'improbabile missione di recupero dell'Alice del nostro capoclasse, alle elementari, per cui l'avevamo usata anche noi; permetteva di andare ovunque si volesse. Dubitavo che Naru volesse usarla per andare a trovare sua madre, ma non ebbi tempo di muovere un muscolo che era già sparito, chissà dove.
Davvero interessante.

Quando entrai nella mensa, la mattina dopo, erano già arrivati tutti. Notai con estremo disappunto che non avevo mai fatto così tardi; colpa della notte decisamente estenuante che avevo passato e che speravo non dover ripetere mai più. Sbuffai, prendendo posto accanto a Ruka, come ogni mattina.
«Buongiorno, Natsume.» mi salutò lui, sorridendo. Gli risposi con un semplice cenno della testa, troppo stanco anche solo per aprire la bocca. «Tutto okay?» annuii. Imai stava mangiando del cervello di granchio: faceva venire il voltastomaco solo a guardarlo, figuriamoci cosa volesse dire mangiarlo. Rabbrividii: per fortuna non l'avrei mai scoperto, almeno finché fossi stato sano di mente.
«Sembri completamente fuori gioco, Hyuuga. Vuoi un po' di cervello di granchio?» la sua voce funerea e annoiata mi conciliava davvero il sonno, ma ero ancora abbastanza vigile per rifiutare un'offerta del genere. Avrei potuto tranquillamente rimanere a dormire tutto il giorno, dal momento che le vacanze estive erano appena cominciate, ma avevo delle cose piuttosto urgenti da fare. In cima alla lista, chiaramente, c'era trovare quel pervertito di Naru e porgli alcune interessanti domande.
«No, grazie.» mi chiesi se il mio disgusto si fosse manifestato anche attraverso le mie parole, perché vidi Ruka rimproverarmi con lo sguardo. Scossi la testa, in segno di disapprovazione. Mi versai del tè nella tazza, cercando di evitare qualunque movimento di troppo.
«Comunque Hotaru ha ragione... che hai?» Ruka si avvicinò un po' di più e abbassò la voce. «Eri in missione?» feci un segno di diniego con la testa.
«Credo di aver letto favole fino a mezzanotte, o giù di lì. O meglio, credo di aver letto la stessa favola fino a mezzanotte a un'irritante bambina di otto anni e... poi... poi ho studiato.» sbadigliai. Certamente, la parte più stancante era stato rileggere quella stupida favola più di venti volte, e solo perché non ero mai abbastanza bravo o espressivo. E non potevo neanche saltare degli stupidi aggettivi, quando ce n'erano una sfilza semplicemente perché quella bambina sapeva tutte quelle dannate favole a memoria. E ogni volta, quando sbagliavo qualcosa, dovevo ricominciare daccapo. Insomma, non sapevo neanche io perché non avevo buttato quel libro giù dalla finestra e non ero tornato subito in camera. Anche se avevo scoperto cose che potevano rivelarsi utili, anche se non proprio leggendo.
«Studiato?» Imai sembrò improvvisamente interessata a questo particolare, e mi guardava anche in modo strano. Avrei semplicemente dovuto mordermi la lingua: non aveva senso per uno studente normale studiare una settimana dopo l'inizio delle vacanze, ma per uno che, a quanto pareva, a settembre doveva diplomarsi era piuttosto ovvio. Solo che loro non lo sapevano, e preferivo di gran lunga che le cose rimanessero così, almeno finché non l'avessi detto a Mikan, in qualche modo.
«Non ti facevo così secchione, Natsume.» alzai le spalle, con finta noncuranza. Non avevo idea di dove potesse portare quella discussione, specialmente se avessi dovuto dire qualcos'altro di troppo. Meglio togliere le tende, senz'altro. Tanto anche il tè freddo faceva davvero schifo. «Quella bambina ti sta davvero mettendo sotto, eh?» non erano esattamente le parole che avrei usato io, ma il concetto che esprimevano era pericolosamente vicino alla verità.
«Lasciamo perdere.» ottima scusa per andarsene. A volte Ruka era davvero un genio senza saperlo. «Io me ne vado, prima di addormentarmi qui.»
«Senti,» mi bloccò Ruka, mentre cercavo svariate via di fuga dal momento che Miyako sembrava avermi individuato. «oggi andiamo a Central Town, insieme a un paio di nostri compagni di classe. Vieni anche tu?»
«No, non credo.» non avevo proprio tempo per quello e dovevo ancora trovare Naru che non si era fatto vedere, a meno che non fosse andato via prima che arrivassi.

«Che diavolo vuoi?» sbottai, spazientito, nel corridoio della sezione elementare. Non sopportavo di essere seguito, specialmente da un'insistente bambina di otto anni che non apre bocca, ma ti viene dietro e basta come fosse un cagnolino. Non poteva semplicemente dirmi che voleva da me e poi sparire? Non potevo starle dietro tutta la giornata.
«Non so cosa fare!» si lamentò lei, venendomi accanto, come se averle parlato l'avesse autorizzata improvvisamente ad agire. «E dato che tu sembri sapere dove stai andando, farai sicuramente qualcosa di divertente, vero? Le vacanze sono sempre divertenti.» mi chiesi se fossi stato anche io così alla sua età, ma avevo forti dubbi.
«Sto cercando un professore.» ed era la verità, infatti spalancò gli occhi, incredula. Dopodiché sembrò quasi delusa. Chissà in che eccitante avventura di fantasia pensava che mi stessi per andare a cacciare. «Beh?»
«Sei proprio un secchione.» non era normale che me lo dicessero due volte nello stesso giorno, anzi, nell'arco di mezz'ora, specialmente se non lo ero affatto. Forse, da un certo punto di vista, poteva tornarmi utile che lei lo credesse: se mi trovava noioso magari avrebbe smesso di venirmi dietro e di rovinarmi i programmi.
«In effetti...» cominciai, ma venni subito interrotto da una voce alle mie spalle. Una delle più irritanti dell'Accademia, di certo, ma apparteneva esattamente a chi stavo cercando.
«Che succede, ragazzi?» ci domandò, irritantemente gioviale come al solito. Mi girai verso di lui. «Qualcosa non va, Natsume?» possibile che si fossero messi tutti d'accordo per chiedermelo?
«Devo parlarti.» fu la mia telegrafica risposta. Era anche abbastanza umiliante, per certi versi. Io non sarei mai andato a chiedere il suo aiuto, ma c'erano troppe cose che non sapevo ed era ora di avere delle risposte su un paio di cose.
Lui mi fece un sorriso nervoso, che mi portò a domandarmi che diavolo avesse. «Ora però... non ho tempo.» mi suonava tanto come una scusa.
«Non credevo che per parlare con te dovessi prendere un appuntamento.» ribattei, ironico. Lui mi fece un sorriso condiscendente. Nessuno sapeva quanto lo odiavo, lui e i suoi troppo frequenti atteggiamenti da paparino affettuoso, in particolare nei confronti di Mikan.
«Non devi, infatti.» rispose, gentilmente. Mi accorsi solo in quel momento che Miyako lo guardava con estremo interesse. Forse anche lei era rimasta affascinata a causa dei suoi ferormoni. «Ma ora proprio non posso. Ho... del lavoro da sbrigare.» che lavoro poteva avere da fare un professore delle elementari d'estate, dopo che erano anche usciti i quadri dei risultati degli esami di fine anno? Che scusa patetica.
«Forza, allora.» lo incitai, sbuffando. Non è che stare alle sue condizioni mi piacesse più di tanto, ma non c'era proprio altra scelta. «Controlla la tua agenda piena di impegni e dimmi quando sei disponibile.»
«Ehm...» ci pensò su, o almeno fece finta di farlo. «Al momento non lo so, comunque... appena sono libero ti verrò a cercare, d'accordo? È urgente?»
«Abbastanza.» replicai, infastidito. Se aveva tempo di fare domande stupide, nonostante tutta la fretta che dimostrava di avere, magari aveva tempo anche per rispondere.
«D'accordo, allora. Appena posso, parleremo. Ora devo andare.» e, senza che qualcuno potesse aggiungere nient'altro, sparì dalla nostra vista. Abbassai lo sguardo sulla bambina, sperando che non si ricordasse dei suoi propositi per divertirsi, anche perché non avevo più nessuna scusa da utilizzare, dal momento che l'unica che avevo in mente si era improvvisamente volatilizzata.
«Che strano tipo.» commentò, stranamente. Nessuno aveva mai definito Naru uno “strano tipo”.
«E perché?» volli sapere. Lei alzò lo sguardo su di me, e lo trovai terribilmente serio.
«Non è del tutto sincero.» mi spiegò, e mi ritrovai a pensare che non era proprio una novità, dal momento che aveva trovato delle scappatoie davvero ridicole e del tutto vaghe. «Non ha mentito del tutto, ma non ha detto la verità.»
Mi domandai se per cominciare ad avere delle risposte a tutte quelle domande che mi ronzavano per la testa non avessi dovuto cominciare da lui. Che lavorasse per l'Accademia era da escludere, ma lo era altrettanto l'iniziativa personale per contrastarla. Dunque, che diavolo stava combinando, se non era lavoro collegato con l'Accademia?
Ormai era senz'altro tardi per seguirlo di nuovo, e c'era un'inutilissima riunione della mia classe di Abilità che mi impediva anche solo di provarci.
Quando arrivai di fronte all'ufficio del Preside, dove avevamo deciso di tenere le ultime riunioni, mi accorsi che ero l'unico presente, quindi. Arrivare in anticipo non era esattamente tra le mie priorità. Farlo avrebbe significato stare per un tempo indeterminato da solo con quel parassita la cui voce mi dava sui nervi; non mi andava di sentirla, anche se sapevo che rimandare non avrebbe cambiato le cose: presto o tardi avrei dovuto sentire quella voce ciarlare di qualcosa di cui non mi interessava minimamente, ma che riguardava il bene dell'Accademia.
Non bussai perché sentivo delle voci provenire dall'interno e pensai che la riunione fosse già iniziata, con un gran fastidio perché mi sarei dovuto sorbire un sermone sulla puntualità o sul rispetto da parte di Persona o del Preside stesso. Ah, che gioia!
Non potevo dire di sentire voci di studenti all'interno, eccezion fatta per quella di Kobayashi, che avrei fatto volentieri a meno di incontrare. Mi concentrai sulla loro discussione, perché parlavano animatamente. Il piccoletto di solito non si scomponeva mai.
«Comincia davvero a darmi sui nervi.» commentò lui, infatti, con grande disappunto. Provai uno strano senso di compiacimento a saperlo su tutte le furie.
«Quindi che cosa dobbiamo fare?» fu Persona a parlare. Lo immaginai mentre stava scodinzolante al fianco del preside, dietro la scrivania, in piedi. Ci fu qualche attimo di silenzio.
«Sorvegliamo strettamente le sue mosse.» propose Kobayashi. La sua voce era particolarmente ovattata da dietro la porta.
«Sinceramente,» cominciò il Preside, lentamente. «sono proprio stanco di aspettare. Ma, in fondo, potresti anche avere ragione. Magari scopriamo che intenzioni ha e con chi è in contatto, se è in contatto con qualcuno. Questi suoi spostamenti notturni mi irritano. Kobayashi, sorveglialo strettamente. Non permettere che il nostro caro professore si muova dall'Accademia per nessun motivo. Non vorrei dover essere costretto a trasferirlo come ho fatto con il professor Yukihira anni fa.» stronzate. Sapevamo tutti che era morto e stecchito per mano di Persona. Mi pare che fosse il fratello minore del Preside delle Superiori. Ora c'era sicuramente qualcosa di cui parlare.
Bussai, soltanto per il buonsenso di non farmi beccare mentre origliavo una volta che fossero usciti dalla porta.
Sentii il Preside sbuffare. «Avanti.» aprii la porta ed entrai. Vidi gli occhi del preside illuminarsi, mentre un sorriso furbo gli si dipingeva sulle labbra. «Oh, già. La riunione. È bello vedere che sei il primo.» Mi limitai ad annuire, per non mandarlo a quel paese. «Allora, come vanno le vacanze?» inarcai un sopracciglio: sembrava che ce la stesse mettendo tutta per prendermi in giro.
«Studio.» tanto era quello che voleva sapere. Meglio non cominciare una conversazione: avevo il dubbio che non solo non sarei più riuscito ad alzarmi per qualche ora, ma che, soprattutto, mi avrebbe affidato il compito di sorvegliare chiunque fosse quell'insegnate idiota che non sapeva nemmeno come nascondere i propri segreti.
«Bene.» il suo sorriso si allargò ancora di più. Disgustoso. Fortunatamente, non ebbe il tempo di aggiungere altro, anche se avrebbe voluto, perché cominciarono ad arrivare anche gli altri.
Nobara si sedette accanto a me, sorridendomi come saluto. Io la guardai un attimo, per poi tornare a rivolgere la mia attenzione al Preside.
«Come vi avevo già detto,» cominciò, appoggiando le mani sul tavolo, tranquillo. «andrò a fare una visita alla Alice Academy di Londra. Non so quanto tempo starò via, né quando partirò. Alla fine della settimana, saprò dirlo con certezza. Comunque vorrei affidare a ognuno di voi, un compito specifico.» si alzò un rumoroso borbottio dalla folla che avevamo creato noi studenti. «Ovviamente, questo esclude i ragazzi che si sono diplomati. Anche perché, per la fine della settimana, dovrete andare via.»
Nobara alzò una mano. «E per chi volesse restare?» alzai gli occhi al cielo: ancora con questa storia che doveva stare vicino a Persona per aiutarlo a terrorizzare i bambini?
«Sfortunatamente,» rispose il Preside, affabile. «questo non è un problema mio, Nobara. Devi chiedere al Preside della sezione superiore se vuoi diventare un insegnante. Anche se, al momento, non mi risulta che ci siano posti vacanti.» Nobara tentò di parlare di nuovo, ma si bloccò, vedendo l'espressione del Preside, che sembrava alquanto infastidito. «Bene, se non ci sono altre interruzioni... procederei.»
Nominò alcuni di noi e gli descrisse le loro missioni da svolgere. Quando arrivò al mio nome, alzò lo sguardo, con un sorriso che avrei potuto definire diabolico.
«Natsume, noi abbiamo già parlato del tuo compito.» sorrise, con estremo compiacimento. Non avevo proprio idea del perché gli facesse così tanto piacere che mi togliessi dalle scatole. «E non voglio toglierti del tempo con le missioni. Per cui, ribadisco, sei esonerato. Il che significa anche che non parteciperai a nessun'altra missione di recupero. Non vorrei, inoltre, che qualche altra bambina ti assumesse come cantastorie.» era proprio stupendo essere così umiliati in pubblico, specialmente se si ha uno scarso controllo del proprio Alice come ce l'avevo io in quel momento. Non avrei voluto bruciare qualche preziosissima e tetra tenda di quel ancora più tetro studio.
«Quindi, posso andare?» domandai, mentre qualcuno dietro di me ancora ridacchiava, ma ebbe il buonsenso di smettere quando gettai un'occhiataccia alle mie spalle. Il Preside mi concesse il suo benestare con un cenno della testa. Mi ritrovai a ringraziare il cielo.

L'unica cosa veramente chiara, domenica sera, mentre leggevo la noiosa biografia di Rudyard Kipling, era che non avrei aspettato i comodi di nessuno. Non avevo idea del perché, oltre alla lingua di per sé, dovessi studiare anche la letteratura inglese, ma avevo deciso di farlo e basta. Il contrario sarebbe stato solo peggio per me, dal momento che era chiaro che, se non fossi riuscito a passare gli esami, sarei stato buttato fuori in un altro modo, magari meno elegante e forse un tantino più fastidioso. Se non altro avrei avuto tra le mani un diploma di una scuola valida.
Quando ero entrato in quella stanza, mi ero aspettato che si trovasse lì, dal momento che aveva avuto la malsana idea di lasciare aperta la finestra. Naru era proprio un idiota. Salire fino al secondo piano con dei libri sottobraccio non era stata proprio una passeggiata, ma alla fine ero riuscito a entrare in camera sua. La scrivania era proprio vicino al letto, piena di carte che sicuramente riguardavano gli studenti. Insomma, una noia mortale. A lui non sarebbe dispiaciuto avere altro da fare, quindi buttai giù della scrivania tutto quanto, così da poter mettere i miei libri. Da qualche parte avrei dovuto studiare, dopotutto.
Mi guardai intorno, prima di riprendere a studiare quella biografia. Era tutto così... così... così maledettamente da Naru! Il copriletto era blu con gli orsetti, non aveva un briciolo di dignità alla sua età. O magari era davvero il pervertito che sembrava essere. In un certo senso, avrei tanto voluto scappare da quel posto rivoltante: sembrava che il suo proprietario non fosse mai cresciuto davvero. Però, soltanto in camera sua avrei potuto bloccarlo e parlarci senza mettere ridicole scuse di mezzo.
Sbuffai, chiudendo il libro: non era una cosa facile studiare qualcosa di estremamente noioso. Mi alzai in cerca di qualcosa di più interessante da fare: dopotutto, anche Naru doveva avere i suoi segreti, sotto quell'improbabile facciata da Peter Pan, qualcosa da spulciare che non fosse la vita di Kipling.
Ci volle un po' prima che mi decidessi di iniziare dall'armadio. Oltre tutti quegli strambi vestiti che aveva l'abitudine di mettere in classe, giusto quei cinque minuti in cui si faceva vedere, c'era anche il cassettone. Sperai che non fosse pieno di parrucche, perché era l'unica cosa che avrebbe potuto traumatizzarmi. Lo aprii, e notai subito che c'era qualcosa che non tornava. Il cassetto non aveva niente che non andasse in sé, ma era decisamente più piccolo di quello che poteva sembrare. Sì, c'era senz'altro qualcosa che non andava. E Naru non era neanche troppo furbo. Bussai nello spazio sotto il cassetto: vuoto. Decisamente prevedibile. Lo tirai ancora verso di me e cercai un doppiofondo. La parte inferiore del cassetto si sollevò senza troppo sforzo. Beh, se necessitava di un doppiofondo nel cassetto dei calzini, magari aveva qualcosa da nascondere.
Sotto c'era una scatola piuttosto anonima. Magari erano le foto delle medie, quando tutti lo prendevano in giro e le voleva nascondere. Mmm... poco credibile. Lo aprii e dentro c'era tutto quello che non mi sarei mai aspettato di trovare: schede. Tantissime, maledette schede di bambini che avevo visto gironzolare nell'Accademia negli ultimi tempi, tra cui anche Miyako. C'era scritta ogni cosa: dove abitava, chi erano i suoi genitori e che scuola frequentava. Informazioni sugli orari lavorativi dei genitori e delle abitudini, in generale, della famiglia. Che cosa diavolo ci faceva Naru con quella roba? Di solito il Preside faceva sparire quella roba subito dopo che i bambini erano entrati in Accademia. Sul coperchio c'era stampato l'anno scolastico in corso. Guardando meglio nel cassetto, trovai anche altre scatole simili a quella, che comprendevano tutti gli anni scolastici precedenti, anche da prima che Naru diventasse insegnante. Ce n'erano alcune con un segno di spunta oppure piegate agli angoli, nelle cartelle di studenti diplomati negli ultimi anni. Non avevo idea di cosa potesse significare. Tra quelli c'era anche l'amico di Mikan che si era diplomato due anni fa, Tonouchi Akira, a giudicare dalla sua scheda. Aveva sicuramente a che fare coi piani dell'Accademia. In alcuni c'era scritto che la causa della scomparsa era totalmente sconosciuta. A quanto pareva, Naru indagava sull'Accademia e quello che faceva all'esterno e la cosa doveva piacere molto poco al Preside. Conseguenza di ciò, Naru doveva essere il tizio a cui il Preside aveva intenzione di fare la festa.
A quel punto, mi domandai se ci fosse altro da scoprire: c'erano altri cassetti. E se non c'era nient'altro, magari teneva un diario segreto o qualcosa del genere che poteva permettermi di capire che diavolo stesse succedendo, un po' come le ragazzine delle medie. Una volta una di loro staccò e mi regalò una pagina del suo diario che parlava di me. Più che una pagina erano qualche paio, ma non ricordavo proprio di averle lette. Anzi, credo di averle bruciate quando lei si voltò per scappare lontano da me.
Mi avvicinai alla cassettiera, e poi aprii qualche cassetto, anche se dubitavo che ci fosse qualcosa di interessante in un posto così ovvio. Se qualcuno fosse entrato in quell'istante avrebbe pensato che ero un maniaco o qualcosa del genere, perché ero capitato proprio nel cassetto delle mutande. Qualcosa spuntava al di sotto di esse, una specie di diario marrone: dopotutto, forse era davvero un tipo molto ovvio, anzi era maledettamente prevedibile.
Lo aprii, dopotutto avevo curiosato da tutte le altre parti. C'era la foto di una donna nella prima pagina: proprio romantico tenerla nel cassetto delle mutande. Guardandola meglio, rimasi quasi di sasso. Una specie di stretta mi attanagliò lo stomaco, qualcosa di davvero molto strano: quella donna era quasi identica a Mikan e la cosa mi inquietava. Adesso capivo perfettamente come mai le stava tanto appiccicato: probabilmente gli ricordava quella donna. Se era così, e speravo tanto di no per lui, era davvero frustrato e dovevo proprio diffidarlo dall'avvicinarsi ancora alla mia ragazza.
Andai avanti, sperando che fosse soltanto l'inquadratura il motivo per cui me la ricordava così tanto. Ovviamente, non fu così. All'improvviso mi chiesi se dovessi preoccuparmi seriamente. Sfogliai ancora, per vedere addirittura il fratello di Imai quando era un bambino, che teneva per mano quella che ormai avevo bollato come “ragazza di Naru”. Ma non potei vedere altro, dato che, proprio mentre stavo per sfogliare l'ennesima pagina, la porta si aprì, e al rumore del cigolio dei cardini si accompagnò quello di uno sbadiglio. Lo vidi sobbalzare appena mi vide e non potei trattenere un sorriso soddisfatto.
«Avevo detto che ti avrei cercato io.» sbadigliò di nuovo. Sarei stato un vero cretino se gli avessi creduto.
«Mi credi un idiota, eh?» era una domanda retorica, non mi interessava davvero sapere se lo pensava oppure no. «Ho delle domande da farti.»
«Sei tu il mio torchiatore? Sai, la tua amica delle Abilità Pericolose, mi ha mollato solo quando sono entrato nell'edificio. È irritante essere seguiti.» si sedette di fronte a me. Io non avevo semplicemente intenzione di aspettare oltre. Stavano capitando delle cose estremamente strane, almeno dal mio punto di vista, e non sapevo perché lui sembrava sempre essere un passo davanti a tutti gli altri insegnanti apparentemente non coinvolti nelle trame del Preside delle elementari.
«Io non le faccio queste stronzate. Lo sanno tutti che se si segue, poi alla fine si viene seguiti.» Naru sorrise ironicamente, come per dirmi che non potevo capire. Era senz'altro meglio cominciare a parlare, prima che gli tirassi un pugno. Sarebbe stato anche interessante studiare la sua reazione; escludevo quasi totalmente che fosse un alleato del Preside, ma non si poteva mai sapere.
«Allora non hai davvero passato il tuo tempo ad aspettarmi.» commentò, senza smettere di sorridere.
«Ovviamente no.» replicai, inarcando un sopracciglio. Pensai di andare subito al sodo. «Qualche settimana fa, il Preside mi ha convocato nel suo ufficio e mi ha fatto una strana proposta.» Naru sembrò improvvisamente vigile, come se la stanchezza che gli avevo visto prima addosso fosse scivolata via tutto d'un tratto. «Mi ha detto di diplomarmi entro settembre.» era davvero strano che fosse lui la prima persona con cui ne parlavo.
Lui corrugò la fronte, e mi sembrò anche piuttosto confuso. «Capisco il tuo problema, ma... perché sei venuto da me?» dubitavo seriamente che capisse del tutto il problema, ma mi trattenni dal farglielo notare.
«Ascolta, tu sei sempre in mezzo a tutto quello che succede in questo maledetto postaccio. Perciò devi sapere qualcosa. Quel bastardo ha fatto carte false per avermi, e tu lo sai bene, c'eri anche tu, dico bene? Perché adesso ha tanta fretta di levarmi dai piedi?» era una delle domande che mi martellavano in testa dallo stesso momento in cui ero uscito da quel dannato ufficio.
Naru appoggiò un braccio alla scrivania, e sospirò, corrugando per un attimo la fronte alla vista dei miei libri, delle sue cose a terra e del suo diario, o quello che era. Beh, avevo dovuto appostarmi, e non poteva pretendere che non facessi niente mentre lo aspettavo. Mi guardò storto e si riprese ciò che gli apparteneva. «Per l'esperienza che ho...» riprese poi, con tono scocciato. Controllò se la prima foto fosse ancora al suo posto. «...so che il Preside si libera solo di coloro che gli danno fastidio, per qualche motivo. Quelli che gli servono se li tiene ben stretti. Hai fatto qualcosa per cui pensa che potresti essergli di intralcio?» l'unica cosa che mi veniva in mente era la, la stupida prova cui mi aveva sottoposto prima di Natale. «Una prova, eh?» sembrava davvero pensieroso.
«Quanto può entrarci in questa storia? Non mi sembra che mi sia mai fatto problemi a contestarlo. Poteva buttarmi fuori quando voleva, e adesso di sicuro è inutile, dal momento che mi diplomerei comunque il prossimo anno. Dovrebbe sopportarmi solo un anno scolastico in più e poteva utilizzarmi nelle missioni.» non credevo seriamente di essere un elemento di disturbo per lui. E poi, in che modo? Certo era che non potevo fermarlo da solo, assolutamente.
«Ti avrà detto perché vuole che tu ti diplomi in anticipo, no?» in effetti l'aveva fatto, ma non mi convinceva. Non capivo perché avesse scelto proprio me.
«Mi ha detto che devo lavorare per lui fuori di qui perché sono l'unico che ha le caratteristiche giuste. Ma non ha senso.» insomma, era qualcosa che poteva fare chiunque dei suoi carissimi collaboratori, non capivo il motivo per cui era una missione che aveva affidato a me. Non c'era nessuna logica. La sua espressione cambiò, mi parve quasi di vederlo sbiancare. «Tu sei quello che ha contatti fuori dalla scuola, vero?» non avevo nessuna intenzione di dirgli come l'avevo scoperto. Lui non parve sorpreso e colto con le mani nel sacco come mi aspettavo. Forse aveva capito un po' come avevo passato il mio tempo, ma tentò comunque di mantenere la recita. «Natsume, che stai dicendo?» si era sforzato di mantenere un tono naturale, come se io non fossi stato in grado di capirlo.
Sbuffai: sì, mi credeva un idiota. «Senti, non mi interessa se vai a trovare la tua ragazza, tua nonna o sistemi chissà dove i diplomati dell'Accademia, ma smettila di farlo. Ho il dubbio che il Preside voglia “trasferirti” e credo proprio che il senso della parola non sia letterale.» anche perché nessuno che lo faceva arrabbiare seriamente si faceva rivedere troppo spesso.
Narumi sorrise, quel sorriso maledettamente fastidioso che si rivolge ai bambini che non possono capire. «Non è così semplice.» rispose.
«Lo è.» ribattei, invece. «Se ti fanno la festa e tu sei la talpa, la talpa non c'è più. È molto più che semplice.» insomma, due più due lo sapevano fare anche i bambini. «Mi pare che da morto non sarai molto utile, mi sbaglio?»
«Non essere ridicolo. Quale talpa?» scoppiò a ridere. Alzai gli occhi al cielo: evviva l'elasticità mentale dei vecchi. «Era solo questo che volevi chiedermi?»
Fu il mio turno di sorridere. «Ovvio che no.» Narumi si sistemò nuovamente contro lo schienale della sua sedia, con l'espressione di chi non ce la fa più. Effettivamente era piuttosto tardi, ma, ad essere sincero, non me ne importava affatto.
«Su, avanti. Spara.» incrociò le braccia sullo stomaco. «Che altro vuoi sapere?»
Cominciai a collegare un paio di fili: forse le cose stavano per diventare più o meno chiare, almeno per una volta. «L'altro giorno sono andato in missione per recuperare questa bambina dall'Alice apparentemente inutile. Voglio dire, che diavolo se ne fa il Preside di una che capisce se stai dicendo la verità o no?» Narumi sollevò entrambe le sopracciglia, probabilmente in completo disaccordo. Potevo capire che potesse tornare utile, ma aveva lavorato benissimo anche senza. Non gli serviva affatto un Alice di una bambina che può vedere la verità ma può mentire al riguardo. Quel tizio non si è mai lasciato fregare da qualcuno che preferisce nascondere la verità, per quale motivo avrebbe dovuto volere una bambina in più per non fare niente di nuovo?
«Natsume, non ti facevo tanto ingenuo.» fu la sua risposta. E suonò come se dovesse farmi un corso accelerato di furbizia. «Natsume, io ho solo scoperto la punta dell'iceberg. Chissà quanti affari ha al di fuori dell'Accademia. Pensa al fatto che ti mandi via a fare chissà cosa per prendere due piccioni con una fava. Se ti userà per fare qualcosa, vorrà essere sicuro che tu dica la verità. E non si tratta solo di te, ma di tutti quelli con cui collabora fuori di qui.» questa era una cosa abbastanza fastidiosa. Non tanto i piani cervellotici del Preside, quanto il fatto che quell'idiota ci fosse arrivato prima di me. Sì, era davvero inaccettabile. Mi limitai ad assentire. «Quello che ora devi fare, se vuoi rovinargli la festa, è capire per quale motivo ritiene che tu sia di troppo.» e questo poteva essere potenzialmente problematico. Non ero uno psicopatico e pensare come lui poteva suscitare qualche difficoltà.
«Comunque,» continuai, mettendo da parte quei pensieri. «non è questo il punto. Abbiamo portato una bambina in Accademia, e quando Mikan è andata via, Persona andava via dall'Accademia e ho il malsano dubbio che sia per andare a prendere qualche altro bambino. Ho ragione?»
«Potresti.» evitai completamente di dirgli che si poteva risparmiare la recitazione. Avevo avuto qualche risposta e discrete informazioni.
«Quindi, la domanda è: che diavolo vuole farci lui con tutti questi bambini? A che cosa servono? Non credo proprio che sia per la classe di Abilità, non ci crederò mai.»
«Neanch'io so di preciso cosa ci faccia.» confessò Naru, facendomi ampiamente capire che avevo perso solo tempo andando da lui. «Ma posso dirti che non è loro che vuole ma i loro Alice. Ma non so cosa intenda farci o come voglia usarli.» in effetti non era stato chiaro per niente. «E ora spero proprio che le tue domande siano finite, perché ne ho una per te e, davvero, sto morendo di sonno.»
Beh, anche se avessi avuto altre domande, lui non avrebbe comunque saputo rispondermi e non mi aveva neanche lasciato l'opportunità di farmi capire meglio. Mi ripromisi di riprendere l'argomento quando avesse finito di riempirmi di chiacchiere. Una domanda per una domanda, dopotutto. «Cosa potrei dirti, oltre che il Preside ti sorveglia e che tu dovresti fare più attenzione a dove tieni le cose importanti?» contro tutti i miei buoni propositi. Ghignai.
«Avevo previsto una cosa del genere. Ma non cambiare argomento. È di Mikan che ti voglio parlare.» beh, anche io avevo due paroline a proposito di Mikan.
«Parla.» era quasi un ordine, dopotutto non credevo che lui avesse bisogno di dirmi qualcosa su Mikan che non sapessi già. E la sola idea mi faceva saltare i nervi più di quanto mi sarei aspettato. «Ha per caso... manifestato...» si bloccò, mordendosi un labbro. Manifestato che cosa? «Insomma, ha fatto cose strane ultimamente?» non avevo idea di cosa intendesse con cose strane.
«Spiegati.»
«Si è comportata in modo diverso dal solito? Non so, si è sentita male, o ha avuto comportamenti diversi dal normale?» ci pensai su. Non sapevo perché gli venisse improvvisamente questa preoccupazione, Mikan era sempre stata Mikan. Niente di diverso dal solito. Tranne che...
«Uno strano sesto senso, che non è da lei.» non che fosse proprio scema come tutti le facevamo credere, ma non era mai stata una gran volpe. Anzi, avevo il dubbio che qualcuno le dovesse spiegare con dovizia di particolari la situazione di Sumire.
Lui si limitò ad annuire, con aria pensierosa. «D'accordo... è tutto, allora.»
«Aspetta.» gli dissi, prima che avesse l'opportunità di sbattermi fuori dalla stanza. «Te lo dico ora e spero di non dovermi ripetere. Non mi interessa se Mikan somiglia alla tua ragazza del liceo. Stalle lontano.»
Naru sorrise, per la prima volta incomprensibilmente. Lui sorrideva mentre io volevo mandargli a fuoco il materasso? «Tranquillizzati, Natsume.» rispose. «Mikan è come una figlia, per me.» questa era proprio una frase sibillina.
Comunque fosse, l'unica soluzione che vedevo in quel momento era trovare il motivo per cui ero tanto d'impiccio e, se possibile, toglierlo di mezzo.

Quando tornai in camera, vidi subito che c'era della luce di troppo: proveniva dal portafotografie che mi aveva lasciato Mikan, in modo che potessi ricevere notizie in tempo reale. Le foto nuove erano abbastanza: c'era un vecchio insieme a lei e presupposi che fosse suo nonno. Me l'aspettavo un po' diverso, a dire la verità: sembrava un vecchio totalmente andato che si ubriacava tutto il giorno. Fino a due foto dopo, in cui era insieme a una ragazza e nella successiva insieme a lei e una bambina, niente di strano. Fu l'ultima di quelle che mi lasciò un attimo perplesso: cosa ci faceva quel ragazzo con un braccio intorno alle spalle di Mikan. E, soprattutto, chi diavolo era?
Strinsi talmente forte quell'aggeggio che per un attimo ebbi la sensazione che l'avrei spaccato. Mi fermai, credo, un attimo prima che succedesse. Avevo la tentazione di prendere una macchina, sebbene non sapessi neanche guidarla, e andare dovunque si trovasse. Subito dopo, però, mi ricordai che avrei rivisto Mikan la mattina dopo. Beh, questo poteva anche andare bene e risolvere tutti i problemi.

*****

Per quanto riguarda gli aggiornamenti: silenzio stampa in queste due settimane perché me ne vado in “vacanza” :). Ho scritto parecchio, capitolo 15 è quasi pronto (è tutto nella mia testa, ma ancora non ho avuto voglia di metterlo per iscritto), e ho già in mente qualcosina per capitolo 16. Mwhahahaha, mi sento poteeeente. XD
Comunque, questo capitolo sentenzia definitivamente la fine del primo anno scolastico di Mikan e Natsume alle superiori, infatti dal prossimo capitolo del nostro ragazzo si comincia con il successivo. L'ho fatto perché capitolo 17 è vicino e non volevo che fosse una mazzata troppo grossa, nel senso che non volevo che da marzo si passasse subito a settembre. Sì, lo so che vi siete rotti delle festività, le ho percorse tutte. Ma ho finito, giuro ;)
Poi, ho aggiunto altri due capitoli, perché se non allungavo il brodo non ero contenta XD. Scherzi a parte, per motivi di narrazione (la narrazione a doppio punto di vista fa questi scherzetti), per far tornare temporalmente gli eventi dovevo aggiungere un capitolo per lui e, di conseguenza, ho dovuto farlo anche per lei. Insomma, un vero strazio XD. Invece dei trentasei previsti, ora sono trentotto. XD. E non posso assicurare che non aumentino ancora, io ho questo brutto vizio. Per esempio la mia seconda fanfiction su Aquarion doveva venire circa ventotto capitoli, ma la previsione era di superare i cinquanta, dopo la stesura dell'indice dei capitoli. Insomma, si capisce... durerà a moooolto a lungo :P
Un'altra cosa di cui volevo parlare sono le recensioni. No, non è un messaggio per mendicarne, promesso. Volevo solo sapere una cosa, perché invece di aumentare, qua diminuiscono XD. Mi sono partite due recensioni, una di marrion e una di prettyvitto (rispettivamente, a capitolo 4 e a capitolo 10), e volevo sapere se la ragione è perché la storia fa brutalmente schifo (e, in questo caso, mi interessa parecchio saperlo) o se semplicemente erano contro il regolamento e sono state cancellate. Comunque, non mi è arrivata nessuna comunicazione ed è silenzio totale @.@. Vabbè, la smetto di sproloquiare e mi rimetto a scrivere, io mi dilungo sempre troppo XD.

Risposte alle recensioni:

marzy93: beh, menomale che siamo rientrati nei ranghi XD. Pure io vado in una specie di vacanza-studio (spero più vacanza che studio, in realtà XD) due settimane. La discussione con il nonno si è scritta davvero da sola, all'inizio non sapevo di che farli parlare, e poi mi è venuto in mente l'argomento più scottante di tutti: il fidanzato XD. Per quanto riguarda i tuoi dubbi, posso dirti che probabilmente ci sei vicina, ma non troppo XD. Comunque si scoprirà tra un po', per bene ;)
Luine: non avevo idea, all'inizio, di come sviluppare questo capitolo, ma alla fine mi sono venuti in mente dei vecchi sbroccati e ho pensato che fosse un'idea bestiale XD. Devo ammettere che l'idea del viaggio in Tibet mi aveva tentata, ma poi ho pensato che non sarebbe stato niente di nuovo (d'accordo, neanche i vecchietti lo sono, ma almeno fanno ridere, o almeno spero), mi ricordava troppo Ufo Baby. Grazie mille dei complimenti ^.^

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. Lady Koishan
3. mikamey
4. rizzila93
5. Neko51
6. marzy93
7. sakurina_the_best
8. _evy89_
9. Luine
10. Yumi-chan
11. Veronica91
12. lauretta 96
13. EkoChan
14. stella93mer
15. giuly_chan95
16. _Dana_
17. simpatikona
18. CarlyCullen
19. asuka_hime
20. neko_yuki
21. XIUKY88
22. Manila
23. giadinacullen
24. twilighttina
25. SEXY__CHiC
26. Annie Marie Jackson
27. valuzza92
28. mechy
29. amorelove

E in particolare le new entry:

30. anime xx
31. forzaN
32. federicaa

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH

E in particolare la new entry:

3. sakura2611

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
13. laurA_
14. dolce_luna
15. feilin
16. Bliss_93
17. shinigamina_love
18. _Hakura_
19. sailorm
20. sakura92
21. ChibiRoby

E in particolare le new entry:

22. forzaN
23. Spuffy93

E volevo anche ringraziare chi ha deciso di preferire/seguire/ricordare la fanfic fino a qui ma ha deciso di abbandonarla.

In sintesi, in questa storia i numeri non tornano da nessuna parte XDXD.
Ora la smetto sul serio di parlare XD.

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Capitolo 15
*** Una settimana movimentata ***


Capitolo 15 – Una settimana movimentata
(Mikan)

La mattina dopo mi svegliai molto presto, o almeno pensavo che fosse così dal momento che in casa c'era un silenzio quasi innaturale. Era il terzo giorno che mi trovavo lì, ma c'erano sempre state chiacchiere dovunque. Shinji-san e il nonno avevano un sacco di amici e la mattina si davano da fare per la preparazione della festa, mentre ogni pomeriggio si ritrovavano per giocare a dei giochi strani con le carte. Avevo cercato di capire come funzionassero e, forse, per qualcuno ci ero anche riuscita, o almeno in parte. Ma il poker rimaneva un assoluto mistero. Però mi piacevano molto le monete colorate che usavano, anche se non avevo capito bene a che servissero. Il nonno mi aveva spiegato che servivano per delle “puntate”, ma non mi aveva spiegato cosa fossero.
Scivolai fuori dal letto, sbadigliando. Magari avrei trovato Mitsuki in cucina intenta a preparare la colazione; lei non aveva mai approvato i loro giochi, ma non volle mai spiegarmi il motivo per cui era tanto contraria. Pensavo che fosse una cosa positiva che passassero del tempo insieme. Insomma, io adoravo passare del tempo con i miei amici, che poteva esserci di male? Inoltre, sembrava un po' stressata in questi giorni, e mi chiedevo se fosse per quello o se per il suo lavoro.. Entrai in cucina, cercando di non fare rumore, e la trovai che si stiracchiava, davanti ai fornelli.
«Buongiorno.» sbadigliai. Lei si girò verso di me, sorridendo.
«Non mi aspettavo di vederti in piedi così presto.» confessò, asciugandosi le mani. «Pensavo che per voi studenti le vacanze servissero per dormire.» ridacchiò.
«Non riesco più a prendere sonno.» replicai, in tutta sincerità. Una volta che mi svegliavo era difficile che mi riaddormentassi, a meno che non avessi veramente molto sonno. «E non sono abituata a dormire fuori casa... quindi...» solo dopo mi resi conto della stranezza delle mie parole: in teoria, era quella in cui mi trovavo una casa, invece l'Accademia era la mia scuola.
«Ti capisco. Anch'io la pensavo così, una volta. Poi, credo di essermici abituata. Sai, con dei nonni svitati come loro, è impossibile non farlo.» mise un piatto di frittelle davanti a me e altri due nel forno, in modo che rimanessero al caldo. Mi brillarono gli occhi, non appena feci sparire il primo boccone: non avevo mai assaggiato delle frittelle così buone!
Guardai l'orologio: erano quasi le sette di mattina, e probabilmente i nostri nonni avrebbero dormito ancora per un paio d'ore. Shinji-san si svegliava molto dopo di me, di solito. Mitsuki diceva che era un gran dormiglione, e che, soprattutto, andava a letto troppo tardi, come i ragazzini, e che per questo non poteva pretendere di essere in forma la mattina. «Vado a prepararmi. Devo andare a prendere la bimba.»
Mi sentii un po' in imbarazzo a fare quella domanda, ma volevo davvero fare una cosa prima di tornare in Accademia. «Ehm...» cominciai, mordendomi un labbro. Lei mi fissò, senza capire. «Non è che... non è che... sì, ecco... potrei venire con te?» la vidi spiazzata per un secondo e cercai di ritirarmi subito. «Cioè... se non vuoi, è lo stesso. Però...» avevo sempre voluto vedere il mondo “esterno”, come lo chiamavamo spesso noi studenti. Non ne avevo mai avuto l'occasione. O meglio, avevo visto qualcosa, dalla macchina con cui ero arrivata. Ma anche da piccola, quando abitavo col nonno non ero mai andata molto in giro, e volevo vedere tante cose.
«Beh,» rispose lei, poi, con leggerezza. «non credo che sarà un problema. Però sappi che quella bambina ha una situazione familiare un po' strana. Perciò... beh, dovremmo essere piuttosto... attente.» annuii. Era fantastico che mi avesse permesso di andare con lei! «Su, allora, è il caso che ti prepari anche tu.»
«Subito!» quasi corsi verso la mia stanza prendendo le prime cose che mi capitavano, e dopo aver fatto una velocissima doccia, mi catapultai letteralmente in sala. Mitsuki ancora non c'era, così mi sedetti sul divano ad aspettarla.
Ancora non mi ero abituata a non svegliarmi nel mio letto all'Accademia e non correre a fare colazione insieme agli altri, sempre in ritardo. Era strano, ma era qualcosa che avevo sempre fatto e il cambiamento mi aveva un po' scombussolata. Mi sembrava già un'eternità che mi trovavo in quella villa, insieme al nonno, Mitsuki e tutti gli altri e, invece, erano solo passati tre giorni.
L'occhio mi cadde su un mobile vicino alla porta della cucina che non avevo mai notato prima. C'erano un sacco di premi e strane fotografie. Ma, dove doveva esseri una foto, c'era una specie di rettangolo di metallo. Erano delle cose stranissime. Mi avvicinai per guardare meglio e lessi: era un diploma. Avevo capito che Mitsuki fosse più grande di me, ma non pensavo che si fosse già diplomata. Mi domandai se fossi troppo curiosa a voler sapere tutte quelle cose. Non avevo idea delle scuole che ci fossero al di fuori della Alice, quindi andai lo stesso a guardare. Quello che vidi fu sorprendente: Mitsuki si era diplomata alla Alice Academy due anni prima. Per cui, doveva avere all'incirca ventidue anni. Rimasi sorpresa: non avevo idea che anche lei possedesse un Alice. «Allora, sei pronta?» scese le scale, saltando gli ultimi gradini, con una mano sul corrimano, del tutto allegra e rilassata. Rimasi un momento senza parole, non volevo sembrare un'impicciona. «Beh, che hai?»
«No... no, niente.» replicai, allontanandomi dal mobile. Lei mi guardò come si guarda un bambino che ha fatto una marachella. Mi sentii un po' stupida.
«Sicura, tutto bene?» annuii, e lei sorrise, facendomi cenno di uscire dalla porta, con le chiavi della macchina in mano. «Ti ha sconvolta il primo premio alla gara di rutti di mio nonno, di' la verità.» spalancai gli occhi, incredula: non l'avevo neanche notato!
«Oh, ecco...» iniziai, mentre salivo in macchina, al posto di fianco al suo. «non sapevo che avessi frequentato la Alice.» in effetti, non ricordavo di averla mai vista, durante gli anni.
«Davvero? Beh, ero nelle Abilità Tecniche. Ho un Alice abbastanza inutile, a dirla tutta.» accese la macchina e partimmo. «La tua classe era abbastanza famosa per via delle lamentele di Jinno... sia quella di abilità che l'altra. Alle riunioni del comitato studentesco era Tonouchi Akira che ci intratteneva, prima che si diplomasse.»
«Si è diplomato molto tempo fa.» mi ricordai. Era stato due anni dopo che ero entrata in Accademia. Era un mio caro amico ed era stato davvero triste vederlo andare via. Dopo che se n'era andato lui e, dato che Tsubasa-senpai era nella classe di Abilità Pericolose, Misaki-senpai era diventata la nuova rappresentante. La cosa ancora più triste era che anche loro sarebbero andati via, quando sarei tornata io.
«Già.» concordò lei, ridacchiando. «Non ridere, assolutamente, ma avevo una cotta per lui, tempo fa.» era sorprendente: Tono-senpai non ci aveva mai parlato di avere una ragazza! «Non fare quella faccia, parlo seriamente. Ma, ovviamente, non avevo alcuna speranza. Aveva sempre un sacco di ragazze, intorno.»
«Mi sembra incredibile che faceste entrambi parte del comitato studentesco...» dissi, pensierosa. Lei ridacchiò di nuovo, probabilmente in imbarazzo. «io l'ho sempre visto come un fratello più grande. E a Natsume non è mai piaciuto che stessi troppo vicino a qualche ragazzo.»
«E chi è Natsume?» mi chiese, curiosa. Io arrossii.
«Beh, è il mio ragazzo.» risposi, quasi senza pensarci. «Da un anno, circa. Solo che si è sempre comportato così, quasi da quando ci siamo conosciuti. Pensa che neanche agli insegnanti mi faceva stare vicino. Anzi, non lo fa tuttora.» soprattutto se si pensava ai comportamenti che assumeva quando mi avvicinavo di un passo di troppo a Narumi-sensei. Diciamo che lui vedeva il pericolo dovunque. O almeno immaginavo che fosse per questo.
«Accidenti, che tipo geloso.» commentò lei, come se la sola prospettiva la mandasse sui nervi. In effetti era vero, a volte era davvero geloso, ma come poteva essere geloso di ogni ragazzo nella scuola? Avevo sempre pensato al fatto che volesse proteggermi. «Io gli avrei già tirato un pugno.»
Scossi la testa: a parte il fatto che non ci sarei mai riuscita, non ci avevo neanche mai pensato e poi... «Va bene così.» conclusi ad alta voce i miei pensieri.
Lei rise, e immaginai di aver detto la cosa più stupida della storia. «È così che funziona.»

Arrivammo in un villaggio a poco più di due ore di distanza. Parcheggiammo poco lontano da un chiosco di panini. Era una piazza splendida: le mattonelle erano bianchissime, e c'era una vista sul mare letteralmente mozzafiato. Non avevo mai visto niente del genere. Mi guardai di nuovo intorno e al profumo dei panini mi venne di nuovo fame. Lei si tolse gli occhiali da sole e si guardò intorno. Prese il foglietto su cui l'avevo vista scrivere il giorno prima e lo consultò, con espressione seria.
Mugugnò qualcosa che non riuscii a capire. «Che barba.» protestò, ripiegando il bigliettino e rimettendosi gli occhiali. «Ci sarà da camminare per un po'. A quanto pare hanno la casa sulla collina più alta dei dintorni. Che fortuna, eh?»
«Avanti,» cercai di guardare il lato positivo, in fondo non ce n'erano molte. «tanto questo posto è bellissimo!»
Comprammo una cartina a una specie di bancarella e il venditore ci guardò con gratitudine. Mi domandai come mai, in fondo da quelle parti, con dei posti così belli, avessero quel comportamento. Chissà quanta gente arrivava, magari faceva parte delle attrattive turistiche.
«Non credo che ci siano molti turisti, qui.» ridacchiò Mitsuki, come a voler smentire i miei pensieri; la guardai in cerca di spiegazioni, ma la sua attenzione era stata completamente richiamata dalla mappa, mentre io tornavo a dedicarmi all'osservazione del paesaggio: era così tranquillizzante, tutto quel verde! E quegli alberi altissimi al limite della strada davano un gran senso di protezione. «Allora...» aprì la cartina davanti a sé. Cercai di darle una mano, ma tutte quelle strane linee e quegli strani simboli si confusero davanti ai miei occhi. L'unica cosa che riuscivo a capire davvero erano i nomi delle vie. Insomma, quelle per orientarsi nel campus della Alice Academy erano molto più grandi e c'era sempre un grosso punto rosso con scritto “Voi siete qui”, che in quella era totalmente assente. Mi chiesi se Mitsuki stesse riuscendo a orientarsi. Che avrei dovuto fare se mi avesse chiesto una mano? Stavo quasi per andare nel panico, forse non era stata una buona idea seguirla ed esserle, così, di peso. «Dovremmo andare...» assunse un'espressione concentrata. E poi indicò alla nostra sinistra. «Di là.» evidentemente c'era una strana tattica per leggere quelle strane mappe, come c'era per giocare a poker!
«Che bello qui!» esclamai, completamente persa nel panorama, mentre prendevamo il sentiero, una stradina sterrata che andava in salita. Anche in Accademia c'era la foresta, quella dove abitava Mr. Bear, ma non sapevo descrivere in che modo fossero diverse. Forse la mia meraviglia era dovuta al fatto che tutto quello fosse lontano dall'Accademia. Guardai avanti e vidi che la stradina di sassi che stavamo percorrendo si snodava per tutto il boschetto fino ad arrivare in cima ad un'altissima collina.
«Accidenti...» Mitsuki scosse la testa, probabilmente notando la stessa cosa.
Durante il tragitto mi raccontò del suo primo anno all'Accademia: il secondo mese da quando si trovava lì, JinJin le aveva dato la sua prima punizione ed era diventata una senza-stelle come me.
«Sai,» mi confessò, poi. «mi ha tenuta in quella stanza per i due anni successivi. Solo dopo ha deciso di darmi una stella per la dedizione con cui avevo pulito i cortili della sezione elementare. È davvero un tiranno.»
Non riuscivo a crederci. Io ero stata per pochi mesi una senza-stelle ed era stato orribile. Con quei cinque rabbit potevo comprare solo delle mele parlanti. Una al mese, per di più. «Beh, io sono stata un po' più fortunata, da questo punto di vista. La mia stella non ci ha messo molto ad arrivare.» anche se la “missione” in cui l'avevo conquistata mi aveva spaventata a morte. «Però... anche se non so come ho fatto... ho incendiato la sua classe, qualche mese fa.» Mitsuki scoppiò a ridere, e non riusciva più a fermarsi, suscitando anche le mie risate. Era davvero esilarante raccontare certi episodi, anche se, mentre erano in corso, mi avevano fatto tremare le ginocchia paurosamente. «È stato un incidente!» assicurai, tra le risate. «E lui ha chiesto che fosse impedito a chiunque di esercitarsi con il proprio Alice nei pressi della scuola. Quindi, in pratica, in nessun posto.»
«Credo che gli studenti ne siano stati felici. Lezioni di meno.» beh, non ero mai riuscita a vederla in questo modo. Anzi, credevo che agli altri questo avesse dato molto fastidio. Sumire, ad esempio, non mi aveva parlato per settimane, anche se Hotaru mi aveva ripetuto più volte che non era quello il motivo, ma si era sempre rifiutata di spiegarmelo, liquidandomi con un «Se te lo spiegassi, non ci sarebbe alcun divertimento. Aspetterò che tu capisca quello che c'è da capire.», ma io aspettavo ancora che succedesse.
«Accidenti!» commentò lei. «La tua vita accademica è stata senz'altro più movimentata della mia.» non ebbi il tempo di rispondere, però.
«CE NE HAI MESSO DI TEMPO, DISGRAZIATA!» l'urlo improvviso mi fece tremare le gambe per lo spavento. Non riuscivo a capire da che direzione provenisse la voce, che sembrava anche piuttosto irritata. Vidi Mitsuki alzare gli occhi al cielo e mi guardò, ma non capii che volesse dirmi. Percorremmo ancora qualche metro prima di vedere l'entrata della casa sulla collina. Era sperduta tra gli alberi, ma era davvero molto carina. Una ragazza più o meno dell'età di Mitsuki – o almeno così sembrava – si trovava sulla soglia con le mani sui fianchi e un'espressione alquanto alterata. Mi spaventava da impazzire, tanto che mi aggrappai al braccio di Mitsuki per avere un po' di conforto. Sembrava Natsume quando si arrabbiava.
«Comprami delle gambe nuove, e vedrai che saprò fare più in fretta una salita del genere!» si lamentò Mitsuki in risposta. Ci pensai: avevamo fatto una gran bella salita, e, grazie alle chiacchiere, non mi ero accorta di niente. Scoppiarono entrambe a ridere, e io mi ritrovai ad essere confusa: fino a due secondi prima ero certa che stessero per litigare.
«Mitsuki, accidenti quanto tempo. Ti sei presa le vacanze, eh? Vecchia volpe! È un sacco che non ti si vede giù a...» Mitsuki le tappò la bocca, e il resto furono solo degli strani, incomprensibili suoni. La guardò male, prima che accennasse a me con la testa. La sua amica alzò le sopracciglia. «oh, hai portato un'amica. Chi è?»
«Lei è Mikan Sakura.» mi fece cenno di avvicinarmi. L'amica di Mitsuki mi incuteva ancora un po' di terrore, se avessi dovuto dire la verità.
«Piacere.» bisbigliai. Lei mi afferrò una mano, con una forza sconcertante. Sentii il mio braccio andare per conto suo. Quella ragazza era davvero formidabile!
«Il piacere è mio, tesoro.» rispose, scoppiando di nuovo a ridere. «Io sono Igarashi Yui.»
Mi trattavano tutti quanti come se fossi una di famiglia, ed era molto confortante e quella sensazione spiacevole di poco prima era completamente sparita. Mi squadrò con interesse, come per cogliere qualche strano particolare, e mi sentii improvvisamente sotto esame, almeno finché Mitsuki non si schiarì la voce, attirando l'attenzione su di sé.
«Quindi, dov'è?» domandò, guardandosi intorno, come se la cosa che aspettava fosse dovuta sbucare da un momento all'altro.
«Dentro. Ho avuto il cambio poco fa, lo sai com'è il capo.» alzò le spalle e ci condusse all'interno della casa, togliendosi gli occhiali dai capelli scuri. Mi ricordava qualcuno, e anche il suo nome mi era familiare, ma sul momento non riuscivo a collegarla a nessuno che conoscevo. Forse anche lei era stata alla Alice Academy. Avrei voluto chiederglielo, ma mi metteva in soggezione. Avrei dovuto aspettare di tornare in Accademia e chiedere a Natsume se si ricordava qualcuno con questo nome, ma lui era decisamente una frana in questo campo, forse l'unico. A fatica ricordava quelli dei nostri compagni.
«C'è qualcosa di particolare che devo sapere?» domandò Mitsuki, mentre percorrevamo il corridoio d'ingresso.
«Niente che tu non possa scoprire stando con lei.» ridacchiò Igarashi-san. «E non vorrei mai rovinarti la sorpresa.» Mitsuki la guardò storto per un momento.
«Spero che non sia niente di ingestibile.» dichiarò lei, sospirando. «O giuro che se non mi hai avvertito ti farò portare il caffè al direttore per settimane.»
Assunse per un attimo un'espressione sconsolata. «Non lo faresti.»
«Non lo farei?» chiese Mitsuki, con un sorriso furbo. «Io vivo con dei vecchietti molto dispettosi. Ricordatelo. Mi insegnano un sacco di trucchetti meschini.»
Igarashi-san sbuffò. «Non sei una che ha senso dell'umorismo!» protestò. Sembrava davvero che forse una bruttissima minaccia. «Ha compiuto da poco quattro anni. Fa scherzetti un po'... divertenti. Più o meno. Avanti, ti prego, non farmi raccontare tutto. Toglie tutta la suspense!»
«Ti sembra il momento per la suspense?» Mitsuki non sembrava arrabbiata. Io alternavo lo sguardo dall'una all'altra. E come capitava ormai da giorni, non capivo assolutamente niente di quello di cui stavano parlando. Mi sentivo davvero molto stupida.
«Che guastafeste.» commentò Igarashi-san, scuotendo la testa.
«Parli come mio nonno.» fu la risposta di Mitsuki.
Arrivammo davanti a una porta e mi sentii davvero strana. Era come se avessimo dovuto aspettare qualcosa di brutto. Mi sentivo stranamente tesa, come se dall'altra parte della porta ci fosse un uomo armato che teneva degli ostaggi sotto tiro. Deglutii rumorosamente, e Mitsuki mi gettò un'occhiata interrogativa al che le risposi con uno sguardo terrorizzato. Avevo il timore che ci avessero attirate lì e che dietro la porta ci fosse un killer assetato di sangue. Quel film che mi aveva fatto vedere Hotaru il giorno del compleanno di Natsume mi aveva del tutto traumatizzata.
«Mikan, tranquilla.» cercò di rassicurarmi Mitsuki, strofinando la sua mano sul mio braccio. Annuii, febbrilmente. Mi sentivo la gola secca e credevo che il sangue avesse smesso di circolarmi nelle gambe.
«C'è abbastanza tensione?» domandò Igarashi-san, prendendo le chiavi. «Così almeno posso aprire.»
«Stai dicendo che siamo qui da dieci minuti e tu potevi aprire anche prima?» il tono di Mitsuki era stridulo. Il posto dove lavorava doveva essere davvero strano. Però se erano tutti come la sua amica, dovevano divertirsi un sacco! Anche io avrei voluto fare un lavoro divertente, anche se non sapevo precisamente quale.
«No!» protestò, di nuovo, come se quello che avesse detto Mitsuki fosse impensabile. «Lo dice sempre anche il capo che c'è un buon tempo per tutto!»
Vidi Mitsuki tentare di reprimere un sorriso. «Non so nemmeno perché ho consigliato al capo di assumerti!»
Igarashi-san ghignò. «Lo so che non lo pensi davvero.» Mitsuki sospirò, sconsolata.
«Avanti, deciditi ad aprire.» Igarashi-san girò la chiave nella toppa e quella si spalancò. Mandai giù altra saliva, mentre cercavo di scorgere qualcosa dentro la stanza. Era ben illuminata e le pareti erano tutte quante di un colore diverso. Sul letto, sotto la finestra, c'era una bambina che giocava con una bambola di pezza. Istantaneamente, mi tranquillizzai: era semplicemente adorabile. Molto concentrata sulla bambola, le stava raccontando una storia.
«Ehi, Chihiro-chan,» la chiamò Igarashi-san, entrando. La bimba alzò lo sguardo su di lei, e lo rivolse a me e Mitsuki. «ti presento due mie amiche, ti va?» all'iniziò sembrava un po' indecisa, ma dopo averci guardate a lungo, prese la mano che Igarashi-san le stava porgendo. Poi si nascose dietro di lei. Igarashi-san si abbassò all'altezza di Chihiro e le accarezzò i capelli. «Stai tranquilla, piccola. Va tutto bene. Questa è Mitsuki, e lei è Mikan.» ci indicò quando pronunciò i nostri nomi.
«Quando posso tornare da mamma e papà?» domandò lei, stringendosi al petto la bambola. Era così carina! Igarashi-san sospirò.
«Presto.» le assicurò. Sapevo solo che aveva una strana situazione familiare, però Mitsuki non mi aveva detto altro. Però era fantastico che potesse rivedere i suoi genitori senza problemi. «Promesso.» Chihiro-chan annuì, sorridendo appena. Dalla bambina ci distrasse il suono del cellulare di Igarashi-san, che prima di rispondere aggrottò la fronte, come a chiedersi chi fosse. «Pronto, capo? Che c'è?» sentii dei rumori confusi provenire dall'altra parte dell'apparecchio. Dalla faccia della nostra nuova amica non sembrava che fossero buone notizie. Sperai che non fosse successo qualche contrattempo che avrebbe dovuto tenere lontana Chihiro-chan dai suoi genitori più del previsto. «Che cos...?» ci fu un altro momento di pausa. «No! Io... sì, capo.» chiuse la conversazione in fretta.
«Che succede?» anche Mitsuki sembrava piuttosto preoccupata.
«Il capo ha detto che Chihiro ha la priorità. Abbiamo... beh, giocheremo a guardie e ladri. Il resto te lo racconto... in un altro momento.» aveva l'espressione preoccupata, e anche Mitsuki lo era diventata. Per un lungo momento, l'unico rumore che riuscii a sentire nella stanza era il mio respiro e mi sembrava fin troppo rumoroso. Ma poi Igarashi-san si rivolse a Mitsuki e prese la mano nella bambina nella sua, eppure continuavo ad avere una strana sensazione.
«Hai un piano?» domandò.
«In questo momento, no.» rispose l'altra. Mi sentivo paralizzata dalla paura, e non sarei riuscita a muovermi se Mitsuki non mi avesse trascinata per un braccio.
«Facciamo così. Io e Chihiro saremo le guardie, voi due i ladri.» cominciò Mitsuki. Io mi limitai a stare in silenzio. Non capivo assolutamente niente di quello che stava succedendo e sentivo un'inquietudine pazzesca addosso. Non sapevo come descriverla. «Prendi Mikan e andate via subito. Io prendo la bambina. La... la... base è casa mia, d'accordo? Se riuscite ad arrivare per prime, avete vinto.» Igarashi-san non rispose. «Yui-senpai!» la scosse e lei ritornò concentrata. «Ricordati cosa ci è stato insegnato: la missione prima di tutto.» era una cosa che avevo sentito dire a Natsume, un paio di volte, quando scimmiottava il Preside delle Elementari. Ora non avevo idea di come collegarla al gioco di guardie e ladri. Ora che ci pensavo, non avevo neanche idea di come si giocava.
Igarashi-san sospirò. «Certo.» si morse il labbro inferiore, annuendo lentamente. «La missione. Vieni, ragazzina.» mi prese per un braccio e mi ritrovai catapultata nella sua auto, senza riuscire neanche a vedere il tragitto.
«Che... che...» cominciai, balbettando. Le ginocchia avevano cominciato di nuovo a tremarmi. Non sapevo se avessi dovuto scappare o rimanere nell'auto. «che succede?»
Lei si girò verso di me. «È un gioco, sai, per... far divertire un po' Chihiro-chan. Ha bisogno di svagarsi un po'.» allora aveva ragione Natsume quando diceva che i bambini hanno uno strano senso dell'umorismo. Specialmente, se si divertono con queste cose. Mi sentivo terrorizzata! Sembrava che stessimo scappando dalla distruzione del mondo.
Partimmo a tutta velocità, ma non c'era nessuna traccia di Mitsuki. Solo allora mi ricordai che la nostra macchina era parcheggiata piuttosto lontano dal nostro punto di incontro. Se era solo un gioco non avrei avuto motivo di preoccuparmi, eppure quella strana sensazione che ci fosse qualcosa di tremendamente pericoloso alle nostre spalle non se ne voleva andare. E quindi non potevo neanche tranquillizzarmi.

Mi ritrovai seduta sulle scale della villa di Mitsuki circa mezz'ora dopo. All'andata ci avevamo messo molto di più, ma al ritorno Igarashi-san aveva premuto molto sull'acceleratore. Lei, in giradino, camminava avanti e indietro, gettando ogni tanto un'occhiata all'orizzonte per vedere arrivare, o almeno questa era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare, la macchina rossa di Mitsuki.
Lei ogni tanto guardava il cellulare e poi sbuffava, rimettendolo con rabbia nella tasca. Dopodiché ricominciava a fare avanti e indietro. Sembrava molto agitata, e questa cosa faceva agitare me molto di più.
«Grazie al cielo.» la sentii bisbigliare e guardai nella sua stessa direzione. Mitsuki stava facendo sgommare l'auto a una velocità supersonica. Quando si fermò, ci volle un po' prima che la polvere se ne andasse e ci permettesse di vederla.
«Scusate se vi ho fatto aspettare.» disse, scendendo dall'auto, per poi aprire la portiera a Chihiro-chan. Le sorrise e le accarezzò la testa. «Vuoi dirmi che succede? Ho creduto per tutto il tragitto di essere stata una trapezista del circo di Amsterdam per tutta la vita. Mi ci è voluto parecchio per restare concentrata.» si rivolse a Igarashi-san che si concesse un sorriso stentato.
«È questo quello che fa.» ma se mi avessero chiesto a che si stava riferendo, non avrei saputo dirlo. «È andato tutto bene?»
«Ho dovuto seminare qualche scocciatore, ma sì. La mia bambina non mi abbandona, ancora.» e diede una affettuosa pacca sul cofano della macchina. Ma chi le andava dietro se erano loro le guardie? «Ma credo di avere il serbatoio quasi vuoto.»
«Avevi ragione, onee-chan.» disse la bambina, con un sorriso enorme, rivolgendosi a Mitsuki. «È stato proprio come essere su una macchina da corsa.» sorrisi anch'io. In fondo era una cosa buona che la bambina si fosse divertita. Probabilmente quelle due organizzavano questo tipo di giochi per i bambini. Beh, così si spiegava tutto. Spiegava anche il fatto che Mitsuki fosse stata inseguita, magari erano loro collaboratori.
«Tutto okay, Mikan?» mi domandò, poi Mitsuki. «Sei sopravvissuta a un giro in auto con Yui-senpai, sei proprio sorprendente!» scoppiò a ridere, e solo dopo capii che stava scherzando. Si voltò indietro, verso Igarashi-san, che non si era ancora mossa. «Che ti prende?»
Lei scosse la testa. «Ce l'hanno loro.» soffiò poi, e vidi che era sull'orlo delle lacrime. «Dovevo immaginarlo, maledizione! Sono stata un'ingenua, un'idiota!»
Mitsuki rimase a bocca aperta, per un paio di secondi. «Non è stata colpa tua, senpai.» cercò di rassicurarla. Avrei voluto dire qualcosa, per farla stare meglio, ma non riuscivo ad aprire bocca.
«Devo andare a riprenderla e–» si interruppe, per mordersi di nuovo il labbro.
«Non ci pensare nemmeno! Non fare l'idiota! Non le... non succederà niente.» replicò Mitsuki, seria. «Aspettiamo finché non siamo pronti. Lo sai che dobbiamo fare così, non fare scemenze!»
Igarashi-san scosse la testa. «La fai sembrare così facile! Devo parlare col capo.» prese le chiavi dalla tasca e si avvicinò alla sua macchina. «Ci rivediamo quando torni in ufficio, Mi-chan.»
«Sì.» rispose lei, prendendo un bel respiro. «Senpai, non fare niente di sconsiderato, mi raccomando!» dopodiché salì in macchina e partì a tutta velocità. Mitsuki si girò verso di me, stiracchiandosi. «Allora, c'è qualcun altro che ha fame qui?» Chihiro-chan fece un salto, a quella frase e Mitsuki sorrise. «Allora è il caso di andare a preparare il pranzo!»

Domenica mattina, Mitsuki buttò giù dal letto tutti gli occupanti della casa, letteralmente. Ricordo solo di essermi svegliata con la faccia sul cuscino, ma a terra, mentre Mitsuki aveva un sorriso poco rassicurante sulle labbra.
«Buongiorno, Bella Addormentata!» mi disse, appena aprii gli occhi. «Una bambina di quattro anni è saltata giù dal letto prima di te, lo sai?» mi stiracchiai, tirandomi su a sedere. «Sveglia?»
«Credo di sì...» biascicai, sbadigliando. Lei aveva addosso un grembiule da cucina e stava aspettando che mi alzassi. «Qualcosa non va?»
«Oh, no! Niente affatto!» mi rispose, gioviale. «È che avevi promesso di preparare un dolce con me e Chihiro.»
«Dolci?»mi ricordai della sera prima, quando Mitsuki mi aveva detto che per contribuire alla festa avremmo dovuto fare qualcosa e Chihiro aveva proposto di fare dei dolci, perché le piacciono molto.
«Non ti preoccupare. Ti aiuterò io, è tutta la vita che faccio la pasticcera, dopotutto.» mi stupii: non mi aveva mai detto niente del genere! Forse era specializzata nel fare dei dolci per bambini, questo spiegava il fatto che sapesse perfettamente come prenderli...
«Davvero?» domandai, incredula. Lei mi sorrise, per poi corrugare la fronte, come se fosse confusa.
«Veramente... no.» concluse, pensierosa. «Scusa, è che... sono un po' confusa in questi giorni.» scosse la testa, prima di indicare la porta con un cenno della testa. «Sbrigati, dai. Oppure quegli scalmanati mi distruggono la cucina! Pensa che gli ho anche lasciato la bambina... oddio! Dobbiamo assolutamente sbrigarci! Tu intanto preparati, io scendo, okay?» annuii, prima che lei uscisse dalla stanza.
Dieci minuti dopo ero in cucina, in compagnia di tutti gli altri abitanti della casa. C'era Shinji-san in lacrime.
«Perché non mi hai detto che ho perso una gamba in guerra?» sembrava davvero che dicesse sul serio. Caspita, che attore formidabile! Era veramente una bella cosa che si dessero tutti quanti così tanto da fare per farla divertire. Infatti, Chihiro-chan non ne poteva più dal ridere.
«Nonno, ti prego!» Mitsuki cercò di consolarlo. «Guardati le gambe, le hai entrambe.»
Shinji-san la guardò come se fosse impazzita. «Questo lo so benissimo, cara. Sei sicura di stare bene?»
Mitsuki parve davvero sconcertata. «Ovviamente.» rispose. «E io immagino di non essere una ragazza madre, vero?» gettò un'occhiata a Chihiro che si nascose dietro una gamba del tavolo con un sorriso birichino sulle labbra. Eppure io non avevo notato niente di strano.
«Tu non me ne hai mai parlato.» osservò Shinji-san, accomodandosi su una poltrona. «Ehi! Buongiorno, Mikan.» sobbalzai quando mi chiamò. Ero ancora concentrata sulla loro scenetta.
«Buongiorno a tutti...» Chihiro mi si avvicinò e mi guardò attentamente. Sembrava altamente concentrata. Aveva preso molta più confidenza con noi, dopo qualche giorno, e la telefonata della sera prima con i suoi genitori aveva contribuito moltissimo. Per quello che avevo potuto capire, entro la fine della settimana successiva, avrebbe potuto rivederli. Era fantastico! All'improvviso, sembrò contrariata per qualcosa. Pensai che volesse iniziare con la preparazione del dolce. «Qualcosa non va?»
Lei mi squadrò, con sospetto. «Perché con te non ci riesco?» ma non si stava rivolgendo a me in particolare. Mi domandai a che si riferisse.
«Ehi, qui qualcuno aveva commissionato un dolce, o mi sbaglio?» Mitsuki ci distolse da quella strana conversazione.
«Dolce?» si interessò subito il nonno di Mitsuki. «Ah, ho capito... ci vuoi fare qualcosa per merenda, brava Mitsuki, mentre noi guardiamo le telenovelas. Bussa prima di entrare, okay?»
Mitsuki non ebbe il tempo di ribattere. Sospirò, rassegnata. «Ho capito. Ragazze, abbiamo una torta in più rispetto a... beh, a quelle previste.»
Chihiro batté le mani, contenta. «Evviva! Posso prendere gli ingredienti?» Mitsuki sorrise, annuendo.
«E io... che faccio?» domandai. Io non avevo idea di come fare un dolce. Sapevo fare solo delle cose semplicissime... ed erano cose che avevo imparato quando abitavo col nonno, un sacco di tempo fa; non sapevo se sarei stata in grado di fare qualcosa di più complicato. Alle lezioni di economia domestica ero letteralmente una schiappa.
«Mi aiuti, ovviamente.» spiegò, come se avessi dovuto pensarci da sola. «Abbiamo delle commissioni straordinarie.»
«Che cosa devo prendere?» domandò Chihiro. Sembrava che non stesse più nella pelle. «Lo faccio sempre con la mamma.»
«Perfetto... allora... portami tre uova. Le trovi nel frigo.» le spiegò. «Noi, intanto prendiamo una teglia e la cospargiamo di burro.» annuii, andando a prendere ciò che mi era stato chiesto. Aprii lo sportello, ma rimasi lì a guardare cosa c'era dentro. Mitsuki mi raggiunse poco dopo. «Che succede?»
«Ci sono un sacco di teglie...» cercai di giustificarmi. Mitsuki rise e ne prese una grande quanto un cesto da basket.
Mescolammo gli ingredienti in una scodella. Mitsuki ci riusciva alla velocità della luce. La osservai attentamente, nel caso in cui fosse toccato anche a me fare una cosa del genere, per un qualsiasi motivo.
Aspettammo circa mezz'ora che la torta si cucinasse nel forno, e dopo un mio tentativo andato a vuoto, dal momento che ero riuscita a carbonizzarla, le altre due vennero, tutto sommato, bene. Penso, soprattutto perché Mitsuki fece il possibile per tenermi lontana dal timer e dalla manopola per la regolazione della temperatura del forno.
«Il primo pezzo tocca a Chihiro, dato che senza il suo aiuto la realizzazione di questi dolci non sarebbe stata possibile.» le tagliò una fetta enorme e gliela passò in un piattino. «Buon appetito.» lei ringraziò masticando.
«E ora andiamo dai vecchi sbroccati.»
Non fu una bella scena, quando entrammo nella stanza in cui avrebbero dovuto guardare delle telenovelas. Erano dentro il tavolo rivoltato, con i piedi rivolti verso il soffitto, mio nonno e Shinji-san, con le mani nascoste in guanti davvero gonfi che ricoprivano loro le mani. Il nonno li aveva rossi, Shinji-san blu. Non capivo che stessero facendo. Saltellavano sul posto l'uno davanti all'altro con i pugni all'altezza del viso.
«Combatti se hai il coraggio, vecchia ciabatta!» era stato il nonno a parlare, e io non potevo credere alle mie orecchie.
«Arrivo, vecchio babbui...» venne interrotto da Mitsuki che si stava schiarendo la voce. Non sapevo come, ma emetteva una specie di aura negativa. «Era ora che arrivasse quella torta, stavamo morendo di fame, Renji è quasi svenuto dopo l'incontro di boxe con me!»
Vidi Mitsuki arricciare le labbra. «Non eravamo rimasti che avreste guardato delle telenovelas?» sembrava che stesse per gridare.
«Ma l'abbiamo fatto!» assicurò suo nonno, come se fosse stato infamato ingiustamente. «Solo che era stramaledettamente noiosa. Non è successo niente e abbiamo girato sul canale dello sport. C'era l'incontro di boxe e abbiamo deciso di provare. Sembrava divertente picchiarsi a vicenda, lo avresti fatto anche tu!»
Mitsuki prese un respiro profondo, mentre Chihiro dietro di me scoppiò a ridere. Io mi preoccupai un po' perché parlavano di picchiarsi. «Io non so più cosa fare con te, vecchio maniaco!» sbuffò. «Non so neanche più come prenderla. Mi sembri un bambino dispettoso.»
«Capirai quando avrai anche tu la mia età.» tagliò corto lui, scrollando le spalle e ricominciando a saltellare sul posto. «Beh, quindi... volete unirvi a noi? Siamo giocatori gentiluomini, non vi faremo male.»
«Dov'è la nonna?» domandò Mitsuki, cercandola con lo sguardo. La trovai che distribuiva fogliettini e riceveva in cambio dei soldi. Una pratica alquanto strana. Era dietro di noi e mi fece cenno di rimanere in silenzio. Annuii, ma Mitsuki fu più veloce di me. «Non ci posso credere!» fu un bisbiglio, ma mi parve davvero arrabbiata. «Ora fate anche le scommesse! Io ho bisogno di uscire di qui, prima che mi venga la tentazione di usare una mazza da baseball sui vostri posteriori.» passò la torta a uno degli amici del nonno e scappò fuori dalla stanza. Decisi di seguirla, probabilmente aveva bisogno di fare due chiacchiere.
«Va tutto bene?» domandai, un po' preoccupata, appena la raggiunsi in salotto. Lei era seduta sul divano e sembrava davvero esausta.
«Più o meno.» replicò, non distogliendo l'attenzione dal tetto. «Credo... credo di essere sull'orlo di una crisi di nervi.» all'improvviso mi fissò, anche se sembrava piuttosto tranquilla, forse rassegnata. «Credi che io sia noiosa?» scossi la testa violentemente: io mi ero divertita un sacco con lei e, di sicuro, anche Chihiro-chan.

Mi stiracchiai, poco dopo aver finito di incartare i dolci insieme a Mitsuki per portarli giù in piazza. Dopo che eravamo scappate dal raduno dei nonni, lei mi aveva pregato di non andare neanche a dare un'occhiata. Non voleva saperne più niente, a meno che non fosse «una questione di vita o di morte». Dall'altra stanza, però, si sentivano solo risate e rumori di cose che vanno in pezzi. Avevo espresso la mia preoccupazione, ma lei si era limitata ad alzare le spalle e dirmi di non pensarci troppo. Fu allora che sentimmo la voce squillante di Chihiro-chan che scendeva le scale, canticchiando. Aveva addosso un delizioso vestitino rosso e bianco che Mitsuki le aveva comprato poche ore prima, quando era andata a fare un salto in ufficio e sembrava davvero una bambola di porcellana.
«Mitsuki-onee-chan!» le abbracciò le gambe, col mento appoggiato sulle ginocchia per poterla guardare. Mitsuki le sorrise e le accarezzò i capelli. «Andiamo alla festa?»
«Diamo solo un minuto a Mikan per cambiarsi, okay?» le propose, abbassandosi, poi, alla sua altezza. «Dopo andiamo a fare un sacco di baldoria alla festa, sei d'accordo? Mangeremo un sacco di dolci!»
«Però, poi, dobbiamo lavarci i denti tante volte...» non sembrava molto felice della prospettiva. «la mamma mi dice spesso che sennò mi vengono delle ca... cas... car...» si interruppe col labbro inferiore sporto in fuori, e con un'espressione pensierosa. «non mi ricordo come si chiamano.»
Mitsuki trattenne una risata e solo allora mi venne in mente che aspettavano me. Ma... «Perché mi devo cambiare?» arrossii: non credevo di essere così impresentabile.
«Sai, ho tentato di andare in giro per il campus dell'Accademia in pigiama, una volta. E solo perché non avevo avuto tempo di cambiarmi, dato che era tardi e io ero già in punizione. Sono rimasta a pulire secchi per altre due settimane.» aggrottai le sopracciglia: perché me lo stava raccontando? «Non vorrei che ti succedesse la stessa cosa, quando ti verranno a riprendere, e la festa non finirà prima di una certa ora. Forse dovresti metterti la divisa. Non credo che saranno disposti ad aspettarti senza che tu debba poi pulire i bagni per chissà quanto tempo, una volta tornata.»
Spalancai la bocca: non ci avevo pensato! Sarei dovuta tornare in Accademia! La cosa mi era completamente passata di mente! Come avevo potuto dimenticarmene? «Hai ragione, accidenti!» strillai, dandomi una botta in testa. «Devo sbrigarmi!»
Dieci minuti dopo, stavo quasi per fare un volo dalle scale, se non ci fosse stato un provvidenziale muro sul quale bloccare la caduta. Ci fu qualche minuto di silenzio totale, dopo il rumore delle mie mani che venivano a contatto con la parete. Bruciavano come se avessi deciso di cucinarle. Le strofinai l'una contro l'altra, nel vano tentativo di avere un po' di sollievo.
«Mikan...» non vidi Mitsuki avvicinarsi, anche perché non mi ero ancora allontanata dal muro. «...tutto okay?»
Sventolai le mani più forte che potevo, sperando che quel metodo funzionasse più del precedente. «Credo di sì.» risposi, mentre Chihiro ridacchiava.
«Bene, possiamo andare. I nonni sono già partiti.» lanciò un'occhiata dubbiosa alla porta. «Forse dovremmo sbrigarci, prima che combinino qualcosa di cui potrebbero pentirsi.» sperai che non volessero continuare a picchiarsi, come avevano detto prima. Sembrava un gioco pericoloso, potevano farsi male. Sicuramente Mitsuki era preoccupata per questo, così annuii, convinta.
Prima di muovere un altro passo, quasi inciampai nella valigia che avevo portato con me, memore delle parole di Mitsuki. «La metto vicino all'ingresso?» domandai, tirandola su. Mitsuki mi disse semplicemente di sistemarla dove volevo.
Era un po' strano pensare di partire... mi sembrava quasi di aver sempre vissuto in quella casa, con quelle persone, proprio come avevo pensato che potesse essere strano essere lontani dall'Accademia tre giorni prima. Ero un po' triste all'idea di andarmene, anche se, d'altra parte, non vedevo l'ora di tornare da tutti i miei amici, che sembravano così lontani. L'ultima volta che li avevo visti era molto lontana e mi risultava proprio strano pensare che fosse passata solo una settimana. Mi dispiaceva soprattutto lasciare il nonno: chissà quando avrei potuto rivederlo! Non avrei mai potuto vincere il premio per un'altra settimana, non c'ero riuscita neanche stavolta. Se non fosse stato per Natsume...
«Mikan, che hai?» la voce di Mitsuki mi distolse dai miei pensieri. «Ti sei imbambolata?» mi sentii per un attimo molto stupida. Mi ero fissata a guardare un punto della stanza, mentre loro due mi aspettavano, specialmente Chihiro-chan che sembrava molto elettrizzata all'idea di partecipare alla festa.
«Scusa!» replicai, posando la valigia proprio dietro la porta e correndo per raggiungerle fuori nel giardino.

Mitsuki si tamburellava nervosamente un dito su un braccio, da circa cinque minuti. Più o meno da quando il nonno e i suoi amici erano venuti a dirci che il prossimo turno di salire sul palco a cantare era il loro. Sembrava stranamente agitata.
«Che cos'hai?» ero un po' preoccupata per lei. Credevo che, dalla velocità acquisita, il dito si sarebbe staccato dalla mano.
«Oh, niente.» mi rispose nervosamente, inarcando entrambe le sopracciglia. «Loro sono dei tiratori scelti dell'esercito, non dei ballerini di lento. Non possono salire sulla pista da... ma che cavolo sto dicendo?» si massaggiò un attimo le tempie. Parve calmarsi un po'. Anche il dito smise di picchiettare il braccio. «Scusa, Mikan. È... una serata un po' strana. Però mi preoccupa seriamente quello che possono dire o fare, su quel palco.»
«Secondo me faranno ridere un sacco di gente!» esposi la mia idea. Loro facevano divertire un sacco anche Chihiro e a volte neanche se ne accorgevano. Sarebbe andato tutto per il meglio.
«Non lo metto in dubbio.» sospirò, mettendosi a sedere su una delle sedie, miracolosamente rimasta libera. La festa era cominciata da un'oretta e già i tavoli sparsi lungo tutta la piazza erano quasi del tutto privi di cibo. «È il come che mi preoccupa. Seriamente.»
Non ebbi occasione per replicare, dal momento che il fischio del microfono coprì ogni altro suono. «Allora,» era Shinji-san che parlava, con accanto mio nonno che aveva un'espressione quasi solenne. «stasera volevamo proporre al nostro gentile pubblico qualche canzoncina divertente.» arrivarono anche gli altri loro amici e si presero a braccetto. Presero tutti un bel respiro e cominciarono a cantare. All'inizio non riuscivo bene a decifrare le parole, perché le casse vicino a noi funzionavano poco e arrivavano solo poche parole. Capii che c'era qualcosa che non andava quando Mitsuki tappò le orecchie di Chihiro, per non farle ascoltare. La bambina aveva tutta l'impressione di non capire che stesse succedendo. Una chiara visione delle cose non ce l'avevo neanche io, ma il nonno faceva così con me quando la gente diceva brutte parole. Era impossibile che ora le stesse cantando davanti a tutti! Quindi, qual era il problema?
«Mikan!» gridò Mitsuki per attirare la mia attenzione e per farsi sentire sopra quel brusio. «Puoi sostituirmi un secondo?» annuii, facendo come mi aveva chiesto. La vidi sparire tra la folla, ed ebbi seriamente paura per suo nonno. Sembrava davvero arrabbiata. Qualche secondo più tardi, la canzone venne bruscamente interrotta, tra le lamentele di quelli che avevo davanti e altra gente.
Mitsuki sbucò poco dopo, con i capelli un po' spettinati. «Tutto a posto.» sentenziò, sedendosi di nuovo al proprio posto. Scosse la testa, lasciandosi andare a un sospiro. «Vado a bere un po' di sakè! Ne ho stranamente bisogno.» mi alzai e andai con lei, trascinando per una mano anche Chihiro-chan, che guardava tutto, estasiata. Ora che ci pensavo, era anche la mia prima festa di paese, e non sapevo davvero cosa fare. Lo stavo per chiedere a Mitsuki quando mi accorsi che non era più nel mio campo visivo. Spostai lo sguardo in tutte le direzioni: niente. La bambina non sembrava averlo notato e io avrei dovuto comportarmi normalmente per non farla agitare. Guardai di nuovo nella sua direzione, cercando di tranquillizzarla. Niente. Era sparita anche lei! Mi guardai febbrilmente intorno, cercando di scorgerla da qualche parte.
«Mikan?» mi girai, sperando che fosse qualcuno di conosciuto. Ma quando mi voltai e vidi chi mi aveva chiamata, non riuscii davvero a identificarlo. «Sei proprio tu?» io annuii, e un ragazzo un po' più alto di me, con i capelli e gli occhi scuri mi si parò davanti. Teneva una ragazza per mano ed ero sicura di non aver mai visto né lui né lei. Aggrottai le sopracciglia: come facevano a conoscere il mio nome? «Sono Shuichi, e lei è Haine. Non ti ricordi di noi? Eravamo nella stessa classe alle elementari!» ci pensai su: era passato davvero parecchio tempo...
Mi misi a pensare a dei bambini che potesse somigliare ai ragazzi che avevo davanti. No, non riuscivo proprio a ricordarmeli. «Come mai qui? Non eri stata ammessa alla Alice Academy, la scuola per geni?» mi domandò Haine-chan, interessata.
«Ho vinto una specie di premio, per una settimana in famiglia...» spiegai, brevemente. Loro sembravano davvero curiosi, e mi sentii un po' in imbarazzo.
«E com'è lì? È tutto come lo descrivono, studiate davvero tutto il giorno?» beh, non proprio tutto il giorno, c'era anche spazio per fare un sacco di cose...
«Oh beh, no. Andiamo anche a Central Town.» poi mi ricordai che nessuno che fosse esterno all'Accademia sapeva cosa fosse. «È una città dove ci sono tutti i tipi di negozi, dentro al campus. Non possiamo uscire, se non con dei permessi straordinari.»
Sembrava davvero che brillassero loro gli occhi. «Dev'essere davvero un posto straordinario!» sospirò lei, ammirata. In effetti, non era affatto male. Pensai che avrei dovuto dirlo a Hotaru che avevo rincontrato due nostri vecchi compagni di classe. E mi venne improvvisamente un'idea:
«Che ne pensate di fare una foto insieme?» loro acconsentirono, ma Haine-chan mi pregò di poter fare la foto, visto che sosteneva di non essere affatto fotogenica. E poi a lei piaceva scattarle, diceva che era un'arte e che solo in pochi avevano questo dono. Così ebbi la mia foto insieme a Shuichi-chan. «È veramente bellissima...» commentai, fissando il portafotografie che avevo appena tirato fuori dalla borsa, davvero stupita. Non aveva affatto torto, quando diceva che le foto bisognava saperle fare! Al confronto le mie erano sfocate e, spesso, riuscivo a mettere le dita davanti all'obiettivo. Tornai a guardarli per chiedere se avessero qualche notizia degli altri, ma loro erano fermi come se avessero avuto le pile scariche. Mi ricordai subito delle mie ipotesi sugli alieni, ed ero pronta a nascondermi nel primo cespuglio disponibile. «Shui-pon! Senti la canzone che hanno appena messo?» mi misi ad ascoltare anche io, ma non la conoscevo.
Lui le strinse le mani e si guardarono negli occhi per un lungo momento. «Dovremmo ballare, Hai-pin.» sembrava davvero una scena da film romantico. Potevo quasi vedere le stelle luccicare intorno a loro, che bella sensazione!
«Sai, Mikan, se si balla questa canzone a una festa in piazza, si dice che i due che danzano rimarranno insieme per sempre!» mi spiegò Haine-chan, con occhi sognanti. «Sbrigati, vai a prendere il tuo ragazzo e balla!» scomparvero in mezzo alla folla, e vidi solo Haine-chan che mi salutava con la mano.
Osservai ancora per un po' la foto, sedendomi sulle scale della casa alle mie spalle e cominciai a scorrerle, per vedere quelle che avevo fatto lungo tutta la vacanza. Arrivai presto alla foto di Natsume che avevo mostrato al nonno. Non capivo perché gli fosse sembrato un poco di buono. Non stava guardando verso di me perché non si era accorto che lo stavo fotografando, ma aveva uno sguardo molto assorto, chissà a che stava pensando. Avevo una strana sensazione: volevo tornare in Accademia, eppure non volevo lasciare il villaggio. Insomma, una cosa che non sarebbe stato possibile fare.
«Mikan!» Mitsuki mi diede una pacca sulla spalla. Per fortuna, teneva Chihiro per mano. «Cosa fai qui tutta sola? Scatenati in pista, la festa è appena cominciata! Io ho già portato su cinque vecchi ubriachi come non so cosa.» aggrottò le sopracciglia, fissandomi. «Che cos'è quella faccia?» si sedette vicino a me, sinceramente preoccupata. «È per quella foto?» accennò con la testa al portafotografie.
«Un po'.» confessai. Lei si sporse di più per guardare facendo sedere Chihiro-chan sulle sue ginocchia. Sembrava avere sonno, dal modo in cui si stropicciava gli occhi.
«È il tuo ragazzo?» io annuii e lei si fece un po' pensierosa. «Mi sembra di averlo già visto da qualche parte...» non capivo come fosse possibile. Natsume era in Accademia da quando aveva otto anni. «Bel ragazzo.» commentò, restituendomelo. Poi, la vidi guardare un punto dietro le mie spalle e fare un sorriso tirato. «Pare che siano venuti a prenderti, Mikan...»
«Di già?» mi sfuggì a voce un po' troppo alta. Mi girai e vidi la macchina dell'Accademia che parcheggiava, mentre il professore che mi aveva accompagnata si stava già avvicinando. Mitsuki si alzò, ma io non ebbi la prontezza di fare lo stesso.
Si fermò proprio di fronte a noi, con un sorrisetto ambiguo che gli increspava le labbra. «Ma guarda.» la sua voce mi mise i brividi per un attimo. «Harada Mitsuki, che coincidenza.» spostai lo sguardo sulla mia amica, che però guardava dritto negli occhi del professore. Esattamente come avevano fatto quei due miei vecchi compagni di scuola. Non sapevo da cosa l'atmosfera fosse resa leggermente diversa, ma il gesto era esattamente identico.
«Persona.» si limitò a dire lei, senza sciogliere il contatto visivo. Che fossero... spalancai la bocca incredula. Mi aveva detto di aver avuto una cotta per Tono-sempai non per Persona! E poi, lui non era il professore delle Abilità Pericolose? Mitsuki come lo conosceva?
Fu lui il primo a distogliere lo sguardo, senza perdere il sorriso. Non poteva essere così insensibile come lo dipingeva Natsume se si era innamorato di Mitsuki! Era una cosa fantastica! «Sakura, temo sia ora di andare.» mi trovai un attimo impreparata e ci misi qualche secondo per rispondere. «Vado a prendere... la valigia.» era il momento per lasciarli soli! Non sapevo perché ero così contenta per loro.
«Ti accompagno.» fu Mitsuki a proporsi. Stavo quasi per dirle che poteva restare, ma non avrei saputo come giustificare una simile uscita. Non potevo certo rifiutare l'aiuto della padrona di casa.

Restammo in silenzio per tutto il tempo, rotto solo qualche strana frase di Mitsuki che prima aveva detto di voler riprendere la sua chitarra, senza averne una e poi che avrebbe volentieri fatto bungee-jumping dalla finestra del bagno, anche se poi mi assicurò di non aver mai avuto una simile aspirazione e mi pregò di non farci caso. Varcammo la soglia e la casa era silenziosa come l'avevamo lasciata. «Tuo nonno è di sopra. Ha alzato un po' troppo il gomito. Ma era il più sobrio tra tutti, gli altri sono tutti K.O.»
Salii le scale. Era un po' strano pensare che non avrei più fatto quella strada, era una cosa quasi impossibile da credere: davvero una strana sensazione. Tutto quanto. Entrai nella stanza e il nonno russava della grossa. Se la sarebbe presa tantissimo, una volta sveglio, perché non aveva potuto salutarmi. Mi aveva sempre detto di non svegliare qualcuno che dorme: il sonno è sacro. Però non potevo andarmene senza salutarlo; questa volta, forse, avrebbe fatto uno strappo alla regola.
Lo scossi un po', ma lui si girò dall'altra parte, senza svegliarsi. Tentai un altro paio di volte, ma all'ultima quasi mi arrivò una gomitata sul naso e decisi di desistere. Mi dispiacque proprio non poterlo salutare da sveglio. Gli lasciai un bigliettino sul comodino, proprio vicino alla sveglia, in modo che non potesse evitare di vederlo.
Quando scesi le scale il mio morale era abbastanza basso. «Com'è andata?» volle sapere Mitsuki, che stava seduta sul divano, mentre Chihiro dormiva appoggiata a uno dei cuscini. Scrollai le spalle, conscia che se avessi detto una parola sarei scoppiata a piangere. Tirai su col naso. Lei si alzò e si avvicinò. «Non fare così, Mikan. Questi due anni voleranno, te lo giuro. Arriverai al diploma senza neanche ricordarti come. E trascinerò questa banda di delinquenti fuori da quel cancello, quando arriverà quel momento. E poi, puoi sempre tornare a farci visita un'altra settimana, giusto? Ti basterà procurarti di nuovo il premio per il miglior studente dell'anno. Non si sa mai, ce l'hai fatta una volta, puoi farcela ancora.» annuii. Forse, non aveva tutti i torti, anche se la possibilità che ci riuscissi era molto remota, però... sentivo lo stomaco chiuso e la gola secca, non riuscivo neanche a mandare giù la saliva. Mitsuki mi abbracciò. «Fai buon viaggio, e continua a scrivere. Tuo nonno va in brodo di giuggiole quando arriva una tua lettera.»
Mi misi a piangere davvero, quando la salutai dalle scale. Mi sentivo un po' sola immersa in tutto quel buio, benché fosse relativamente presto. Mi disse che non mi avrebbe accompagnata fino alla macchina perché detestava i saluti e perché avrebbe «aperto le fontane senza riuscire a smettere per un bel pezzo». Mi soffiai il naso prima di salire in macchina. L'autista stava caricando la mia valigia nel bagagliaio quando Persona si mise nel sedile di fronte. Mi rannicchiai sul mio, gettando un'ultima occhiata alla villa dei nonni di Mitsuki. Mi era dispiaciuto non salutare neanche loro.
«Faremo una piccola deviazione prima di tornare in Accademia.» mi informò il mio accompagnatore, con tono piatto, distraendomi dalla casa. «Perciò ci metteremo un po' di più dell'andata.» annuii, senza sapere cosa dire. Non riuscivo quasi più a respirare per via delle lacrime che stavo trattenendo. Avevo il naso completamente tappato. Mi domandai, per un attimo, se anche a lui non fosse dispiaciuto non passare un po' più di tempo con Mitsuki.

La fermata che facemmo fu a Tokyo, ma non riuscii a stabilire con certezza se fosse vicino o meno all'Accademia. Era un quartiere molto bello, con le case quasi tutte uguali, ma sembravano molto grandi, da fuori. Mi appoggiai al finestrino, dopo che Persona era sceso dall'auto. La porta della casa era aperta e due persone, che supposi essere i genitori della bambina che stava davanti a loro sembravano avere paura. Ma avevano quell'espressione già prima che arrivasse il professore. Mi chiesi come mai. Gli consegnarono la piccola e, stranamente, non aspettarono neanche di vederla salire in macchina. Chiusero la porta immediatamente, nonostante lei continuasse a guardarsi alle spalle.
«Sali.» lo sentii intimarle, una volta che aprì la portiera. La piccola si guardò intorno, forse un po' timorosa. Le sorrisi per incoraggiarla e lei venne a sedersi vicino a me.
«Ciao.» mi disse, dondolando le gambe. Era troppo piccola per toccare a terra. «Mi chiamo Otomiya Maika e ho cinque anni.»
«Ciao, Maika-chan!» le sorrisi di nuovo, porgendole la mano. «Io sono Sakura Mikan, ho diciassette anni.»
«Dove mi portano, Mikan-onee-chan?» le spiegai ogni cosa più dettagliatamente che potei e lei mi ascoltava con interesse. Le raccontai come funzionavano le lezioni, che la sua classe di abilità si sarebbe riunita due volte a settimana e lei parlai di Narumi-sensei, che sarebbe stato il suo insegnante fino a che non fosse passata alle scuole medie. Ricordandomi di tutte quelle situazioni divertenti che erano accadute ai festival, gliele dissi. Le descrissi Central Town e cercai di rendere una vaga idea della bontà dei Fluffa-puffa. «Qual è il tuo Alice, Onee-chan?»
«È un po' strano, a dire la verità.» risi nervosamente, in che modo avrei potuto spiegarglielo? «Si chiama Alice dell'Annullamento. È una specie di... ehm... beh, quando uso il mio Alice tutti gli altri smettono di funzionare.»
«Ho capito. È come se li rompesse tutti.» era una spiegazione che faceva sembrare il mio Alice brutale, ma rendeva l'idea, in effetti. «Io invece non lo so. Mamma e papà hanno chiamato l'Accademia perché dicono che sono strana. Sai, ascoltavano un cd di Mouri Reo, un cantante molto famoso, però se toccavo lo stereo e mi concentravo, la voce cambiava tono. Si sono spaventati tanto quando hanno scoperto che ero io.»
«Non ti preoccupare. Imparerai ad usare il tuo Alice, senza che qualcun altro debba avere paura di te. È a questo che servono le lezioni.» tentai di rassicurarla. Doveva essere difficile per una bambina accettare che i propri genitori la temevano.
«Siamo arrivati.» ci interruppe Persona e pochi secondi dopo la macchina si arrestò. Non cercai di aprire la portiera, per non fare un'altra figuraccia. Maika-chan si avvicinò ad essa e la aprì senza alcuno sforzo. Rimasi un attimo seduta, del tutto sconcertata, senza sapere come definire me stessa.
«Sakura, vuoi dormire lì dentro, per caso?» quella era la voce di JinJin, terribile come al solito. Si era appena affacciato, e mi aveva quasi spaventata a morte. Non mi mossi. «Fuori.» solo allora mi accorsi che dovevo scendere davvero. «E muoviti a tornare nel tuo dormitorio.» dopodiché si incamminò e scomparve dalla mia vista.
Mi stiracchiai, accorgendomene solo dopo di quanto ne avessi realmente bisogno. Doveva essere notte fonda, perché non riuscivo a vedere a un palmo dal mio naso, e i lampioni erano tutti quanti spenti.
«Hai presente da quanto tempo sto aspettando?» istintivamente sorrisi al suono di quella voce, anche se sembrava molto, molto infastidito. Mi girai, ma non lo vidi, però lo sentii sbuffare. «Pensavo che ci avresti messo più entusiasmo.»
Risi. «Non ti vedo, Natsume.» potei quasi giurare di averlo sentito sospirare, e lo immaginai mentre alzava gli occhi al cielo.
«Questo perché stai guardando dalla parte sbagliata.» sentii le sue braccia stringermi la vita, e mi ritrovai quasi lo stomaco in gola per la sorpresa. Voltai la testa verso di lui e mi appoggiai alla sua spalla. «Com'è andata?»
Non avevo molta voglia di parlarne, in quel momento. Specialmente perché ero ancora molto triste per il fatto di non aver potuto salutare tutti quanti come avrei voluto. «Abbastanza bene.»
«Accidenti, come sei loquace, stasera.» alzai lo sguardo verso di lui: non era esattamente il tipo che poteva dire una cosa del genere. Infatti lo guardai, con un espressione del tutto sbalordita. Lui roteò gli occhi. «Era un modo per dire: “Ehi, dimmi che ti prende”, allora?»
Cercai di sorridergli: dovevo avere proprio una brutta faccia per farlo preoccupare in quel modo. «Solo un po' di... nostalgia, credo. È un po'... triste allontanarsi dalle persone a cui tieni.» gli spiegai. Lui mi fece un mezzo sorriso e mi trascinò per un braccio e cominciammo a camminare verso i dormitori. Avevo proprio bisogno di riposare un po'. Mi ero divertita un sacco a casa di Mitsuki, ma era stata una settimana davvero piena di avvenimenti. Però Natsume mi sembrava un po' strano, era come se fosse diverso dal solito. Lo guardai di sottecchi: sembrava ancora immerso in chissà quali pensieri. «Qualcosa non va?»
Storse un attimo il muso. «No... niente.» replicò, abbassando la voce. Lo sguardo triste che mi lanciò mi lasciò la brutta sensazione che mi avessero privato dello stomaco per qualche secondo. Lo fermai, e lui non mi diede il tempo di fare nient'altro. Mi abbracciò, stretta, togliendomi il respiro con un bacio. Mi strinsi a lui, rilassandomi improvvisamente. «Va tutto bene.» assicurò, appena si staccò da me, ma non ero del tutto sicura che fosse come lui diceva.

*****

Buondì, ragazze/i! Siete appena arrivati in fondo al capitolo più lungo fino a questo momento! C'è un piccolo cambio di programma. Ho mentito ancora XD. Capitolo 16 avrà una piccola parte dedicata ancora a quest'anno scolastico. E un'altra cosa! Giusto il primo di questo mese, la fanfiction ha compiuto un anno da quando ho cominciato a scriverla. Lo sto scrivendo perché è un grande motivo di orgoglio, nessuna era mai durata tanto XD.
Comunque, dato che scrivo in modo disordinato, posso dirvi che metà dell'epilogo è su carta XD. Pazzesco, lo so. Manca tutto quello che c'è nel mezzo XD.

Risposte alle recensioni:

marrion: non avevo intenzione di lamentarmi perché eri sparita, ci mancherebbe altro XD. Intendevo solo dire che un giorno avevo 41 recensioni e il giorno dopo mi sono ritrovata con 39 perché una delle tue e una di prettyvitto erano scomparse nel nulla XD. Mi chiedevo solo se fossero state cancellate da voi o dall'amministrazione. Niente di cui preoccuparsi. Spero che tu stia bene, comunque. E per il diploma ti capisco, quest'anno mi tocca XD. *Terrore* XD.
marzy93: sono tornata la settimana scorsa e posso dire di adorare l'Irlanda XD, lo “stage” più piacevole in quattro anni di superiori. In tutti i negozi ci ono oggetti con le pecore stampate di sopra. Era il mio mondo XD. Per quanto riguarda la storia, scopriremo presto chi è Mitsuki e la situazione si districherà tra qualche capitolo. Non del tutto, ma verso capitolo venti avremo tutti le idee più chiare. Io soprattutto, spero. Cioè, la trama ce l'ho nella zucca, ma per ora è lì. XD
thedarkgirl90: pure io ho scoperto Gakuen Alice su youtube, in un video per l'esattezza. Natsume mi ha ispirata fin da subito e ho detto: questo va visto XD. Non ti preoccupare, durerà a lungo, siamo sui quaranta capitoli e con le mie storie funziona sempre così. Il brodo si allunga, e si allunga ancora XD. Ho il dubbio che non vedremo mai la fine XD. Scherzo (spero). :)

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. mikamey
3. rizzila93
4. marzy93
5. sakurina_the_best
6. _evy89_
7. Luine
8. Yumi-chan
9. Veronica91
10. lauretta 96
11. EkoChan
12. stella93mer
13. giuly_chan95
14. _Dana_
15. simpatikona
16. CarlyCullen
17. asuka_hime
18. neko_yuki
19. XIUKY88
20. Manila
21. giadinacullen
22. twilighttina
23. SEXY__CHiC
24. Annie Marie Jackson
25. valuzza92
26. mechy
27. amorelove
28. animexx
29. forzaN
30. federicaa

E in particolare le new entry:

31. AkA GirL
32. thedarkgirl90

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH
3. sakura2611

E in particolare la new entry:

4. thedarkgirl90

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
13. laurA_
14. dolce_luna
15. feilin
16. Bliss_93
17. shinigamina_love
18. _Hakura_
19. sailorm
20. sakura92
21. ChibiRoby
22. forzaN
23. Spuffy93

E in particolare le new entry:

24. Lady Koishan
25. thedarkgirl90

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Capitolo 16
*** Bugie svelate ***


Capitolo 16 – Bugie svelate
(Natsume)

Appena posai il portafotografie, notando che c'erano anche altre foto oltre a quella col bamboccio, qualcuno bussò alla porta. Non avevo idea di chi fosse lo stramaledetto idiota che veniva a disturbarmi a quell'ora di notte, domenica notte, peraltro, subito dopo che avevo avuto una chiacchierata abbastanza rivelatrice – anche se avevo ancora la certezza che mancasse qualcosa – con Narumi.
Scocciato, mi diressi verso la porta e la aprii, facendo bene intendere a chiunque si trovasse lì dietro che non ero proprio felice di vederlo. Era una ragazza bionda, che credevo di non aver mai visto. Incrociai le braccia, aspettando che parlasse, sperando che non fosse lì a chiedere un appuntamento come avevano fatto tante altre durante tutta la settimana, anche a orari assurdi come quello. Pensavano di avere campo libero solo perché Mikan era via. Pazzesco.
«Ehm...» cominciò lei, spostandosi una ciocca dietro l'orecchio. «Hyuuga-kun... il Preside delle Elementari ha detto che... ti... ti deve parlare.» sbuffai, a quelle parole. Forse era meglio una petulante bambina delle medie.
Non era abbastanza che qualcuno venisse a rompere le scatole a quell'ora assurda, ci si metteva anche il Preside. «E che vuole?» chiesi più a me che a lei. Non mi andava affatto di parlare con quel tipo, specialmente se aveva qualcos'altro da dirmi riguardo alla missione. Ne avevo fin sopra i capelli e avrei tanto voluto che nessuno me la nominasse più fino a settembre.
«Io... non lo so.» ammise lei, quasi spaventata. Alzai gli occhi al cielo, non ero stato con lei neanche due minuti e già non la sopportavo: parlava sicuramente troppo. Chiusi la porta alle mie spalle e mi incamminai, con lei che mi veniva silenziosamente dietro. Immaginai che dovesse fare la mia stessa strada per uscire dal dormitorio maschile, ma che andasse nell'edificio delle elementari sembrava assurdo. Mi voltai. «Senti...» mi accorsi solo in quel momento di non sapere il suo nome, beh, poco importava. «tu... come ti chiami, non ho bisogno della balia. Conosco la strada.»
Lei parve un po' spiazzata e, forse, anche delusa. Beh, non potevo ricordare i nomi di tutti gli studenti della Alice Academy, non ricordavo neanche quelli dei miei compagni di classe. «Il mio nome è Kamiya Kisaki, anche se non te lo sei mai ricordato. Sono nelle Abilità Pericolose da due settimane. E il Preside mi ha convocata, solo che ha detto di portarti con me, perché deve parlarti. Non ti sto seguendo!» scrollai le spalle, continuando a camminare.
Fortunatamente, decise di rimanere in silenzio fino a che non arrivammo davanti alla porta dell'ufficio del Preside. Entrammo subito dopo aver ricevuto la benedizione dall'interno.
«Grazie Kamiya, per averlo portato qui. Non dev'essere stato facile.» fu lui a parlare, con quell'onnipresente sorriso ironico. Forse era per colpa sua se non mi piacevano i bambini.
«Oh, no è stato mol...» la interruppi, con un gesto della mano, infastidito. Non eravamo certo lì per parlare di quanto gentile fossi stato con una che dovevo conoscere ma con cui ero certo di non aver mai parlato prima.
«Sì, d'accordo.» sbottai, mentre lei mi guardava, stupefatta. «Perché sono qui?» il Preside sospirò, sistemandosi meglio contro lo schienale della sua sedia, decisamente troppo grande per lui.
«Una firma.» rispose lui, senza abbandonare la propria espressione rilassata. Dunque, ricapitolando la situazione: mi aveva fatto chiamare nel bel mezzo della notte per una stupida firma. Fantastico! «E qualche spiegazione, ma prima finiamo con te, Kamiya. Firma qui.» lei fissò il foglio per qualche minuto. Forse lo stava leggendo. «Beh, che hai? Firma.»
Alzò lo sguardo, sobbalzando. «Mi chiedevo... solo... cosa fosse.» rispose lei, timorosa. Lui alzò gli occhi al cielo.
«È semplicemente la richiesta per diventare presidente del comitato studentesco che domattina presenterai al Preside della tua sezione.» lei parve del tutto sorpresa, come se non avesse mai pensato di fare il presidente del comitato in tutta la sua vita. «E togliti quell'espressione dalla faccia. Ho deciso così.» aggrottai le sopracciglia: sembrava che avesse una specie di crisi premestruale, e se si pensava che era un poppante, maschio, era preoccupante. «Puoi andare, grazie.» lei annuì, ripiegando il foglio con cura. Dopodiché scappò dalla stanza, salutando velocemente. «E ora a te. Firma qui, anche tu.»
Abbassai lo sguardo sul foglio, con la penna in mano. Sapere cosa fosse non cambiava molto le cose, perché avrei dovuto firmare comunque, ma ad una rapida occhiata sembrava che fosse una richiesta per diplomarsi in anticipo. Ah, quanto adoravo le questioni burocratiche! Firmai, senza prestarci troppa attenzione.
Il Preside tornò a sorridere. «Bene,» commentò, compiaciuto. «adesso, ecco quello che dovrai fare.» intrecciò le dita delle mani su alcune carte che teneva davanti a sé. «Domani mattina, anzi, tra qualche ora, porterai questo foglio al tuo Preside, sai... inutile burocrazia.» mosse la mano come se avesse dovuto scacciare una mosca fastidiosa. «Subito dopo la cerimonia d'apertura del nuovo anno scolastico ti verranno consegnati i documenti per il diploma e tutto il resto, ti verrà anche comunicata la data. I risultati saranno affissi al massimo una settimana dopo che avrai concluso la tua prova. Puoi andartene quando vuoi, una volta visti i risultati. Ma,» e qui fece una pausa per enfatizzare il tutto, una specie di ciliegina sulla torta. «pretendo che tu sia fuori da quest'Accademia entro due o, al massimo, tre giorni, ma... ti confesso che, se dovessi scegliere la seconda opzione, potrei irritarmi. Molto. Ti daremo un telefono non rintracciabile per comunicare con noi e per trasmettere tutte le informazioni di cui l'Organizzazione Anti-Alice dispone.»
Feci schioccare la lingua, del tutto scettico. «Quest'organizzazione è composta da completi idioti?» lui parve un po' sorpreso all'inizio, e mi guardò come se fossi totalmente uscito di senno. «Mi presento lì un giorno e gli dico che voglio perorare la loro causa? Mi crederanno su due piedi?»
Storse la bocca, e pensai che fosse perché non aveva ancora una risposta da darmi. «Ovviamente no.» rispose, contrariato. «Ma se tu non avessi la brutta abitudine di interrompermi mentre cerco di spiegarti il piano, lo sapresti.» cercai di trattenere al meglio un sospiro esasperato: se non ci avesse messo dei secoli per spiegarmi una cosa semplicissima, io avrei smesso sicuramente di fare delle domande! E, soprattutto, a quell'ora ignobile della notte, quando la gente normale dormiva. «Ho molta fiducia nei tuoi... mezzi, per così dire. L'attività di facciata è un centro per l'impiego, è così che assumono i loro dipendenti. Tutti i diplomati della nostra Accademia vanno lì per cercare lavoro, ma non c'è mai stato nessuno che fosse adatto per questo compito.» il suo sorriso si allargò anche di più. «Non quante te, almeno. Quanto ci metteranno a darti una risposta, dipende da quando arriverà il tuo curriculum al direttore e da quali mani passerà, soprattutto.»
Io ancora non capivo. «Non capisco perché il mio curriculum dovrebbe sconvolgerli.» sapevo che magari non dovevo interromperlo ancora, ma era una cosa a cui non potevo proprio resistere.
«Oh, Natsume! Il tuo nome apre molte porte.» spiegò lui, quasi gongolando. Che cos'avesse da goderci tanto, era un mistero. «Specialmente, data... la fama di Kaoru.»
Avrei preferito che avesse evitato di nominare mia madre, un tipo come lui non meritava neanche di vederla di sfuggita una come lei, figuriamoci parlarne. «È tutto?» speravo ardentemente che fosse così: non avrei resistito un attimo di più in quell'ufficio soffocante. Lui, con un gesto della mano, mi fece capire che potevo anche andarmene. Finalmente!
«Aspetta,» mi bloccò, appena ebbi abbassato la maniglia. Repressi la voglia di dargli un pugno e mi girai, cercando di esibire la mia migliore espressione vuota. «se il tuo Preside dovesse farti qualche domanda, digli che sono fatti personali e che non vorresti parlarne.» ah, come la faceva semplice!

Quando uscii dalla porta vidi Jinno che stava camminando, del tutto scocciato, per quel corridoio. Aggrottai le sopracciglia, guardando l'orologio. Che diavolo ci faceva in giro alle quattro di notte?
«Che ci fai qui, Hyuuga?» era stato lui, a quanto pareva, il primo a chiederlo. Aprii la bocca per rispondergli, ma lui lasciò perdere ancora prima che riuscissi ad emettere suono: «Ah, non importa. Muoviti a tornare nel tuo dormitorio, o potrei anche decidere di punirti.» era sempre il solito diplomatico.
E lui dove stava andando? La questione puzzava parecchio: di tutte le – troppe – volte che ero stato convocato dal Preside a orari assurdi come quello, lui non si era mai fatto vedere. Mi venne da chiedermi se stessero portando qualche altro bambino in Accademia. Volevo assolutamente saperne di più su quella storia, soprattutto perché non mi era ben chiara l’utilità che potessero avere. Che dovessero entrare nella classe di Abilità Pericolose non era di sicuro l’obiettivo principale. Cominciai a seguire Jinno, tanto che quello sembrava essere stato il mio sport della settimana. Lo vidi uscire nel cortile sul retro da una porta che non avevo neanche mai notato, e non sembrava neanche troppo contento di doverlo fare. Sbuffando, si sedette sul muretto, mentre io decisi di aspettare dietro una colonna: una punizione era l’ultima cosa che mi serviva.
Dieci minuti più tardi, dopo aver passato tutto il tempo a intrecciare fili d’erba nei modi più assurdi – anche perché con i lampioni spenti non si vedeva quasi niente –, una macchina oltrepassò il cancello: era la solita maledetta, noiosa macchina nera. Come avevo previsto, la prima a scendere fu una bambina e, subito dopo di lei, Persona. Si dissero qualcosa che non riuscii a sentire, dopodiché Jinno si affacciò dentro la macchina e poi se ne andò, portandosi dietro la piccola.
Sinceramente, non mi aspettavo che fosse Mikan l’ultima occupante della macchina, che partì per il garage subito dopo che lei aveva messo i piedi e la valigia a terra. Mi dava le spalle e si guardava intorno confusa, forse non riusciva a vedere niente. Sorrisi, forse l’avrei spaventata, ma non provare sarebbe stato un peccato.
«Hai presente da quanto tempo sto aspettando?» feci in modo che riuscisse a sentirmi, ma non che capisse perfettamente da dove venisse la mia voce. Non si mosse, e pensai di rincarare un po’ la dose. «Pensavo che ci avresti messo più entusiasmo.»
La sentii ridere mentre mi avvicinavo. «Non ti vedo, Natsume.» sospirai, non potendo evitare di alzare gli occhi alzare gli occhi al cielo: quanto poteva essere messa nel sacco da chiunque da uno a dieci?
«Questo,» cominciai, circondandole la vita con le braccia. «perché stai guardando dalla parte sbagliata.» lei sobbalzò per la sorpresa, voltando la testa verso di me a appoggiandosi. «Com'è andata?»
Lei abbassò lo sguardo, improvvisamente. Sembrava quasi triste. «Abbastanza bene.» mormorò, ma sembrava che fosse appena tornata da un funerale.
«Accidenti, come sei loquace, stasera.» tentai di sdrammatizzare, anche se non ero esattamente in vena. Specialmente la tasca destra, in cui avevo messo quel foglio del cavolo, pesava come se ci fosse stato dentro un macigno. Mikan si limitò a fissarmi, come se avessi perso la testa, io alzai, di nuovo, gli occhi al cielo. Avrei dovuto semplicemente chiederlo. «Era un modo per dire: “Ehi, dimmi che ti prende”, allora?»
Sfoderò il suo sorriso più falso, e abbassò ancora lo sguardo. «Solo un po' di... nostalgia, credo. È un po'... triste allontanarsi dalle persone a cui tieni.» decisi di usare la stessa tattica: non era esattamente il momento per discorsi, in particolare, per frasi del genere, che mi avrebbero fatto sentire un verme. Decisi di evitare totalmente l’argomento: la trascinai per un braccio in direzione dei dormitori. Ritirata, insomma. Sentivo che mi stava fissando, ed era una sensazione abbastanza fastidiosa, soprattutto perché sarebbe arrivata presto una domanda alla quale non sapevo se volevo davvero rispondere. «Qualcosa non va?»
Feci una smorfia: non si poteva evitare. «No... niente.» risposi, abbassando la voce. La guardai per un attimo e mi sorprese la sua espressione sconvolta. Strinsi la presa sulla sua mano e la attirai verso di me, baciandola. La sentii rigida per un attimo, poi mi abbracciò anche lei, smettendo di trattenere il respiro. «Va tutto bene.» cercai di rassicurarla, ma non ero certo di poter mentire così spudoratamente ancora per molto.

«E tu,» cominciò lei, una volta che entrammo nei dormitori. Non avevo ascoltato con troppa attenzione tutte le cose che le erano successe, troppo occupato a pensare a quali parole avrei potuto usare per parlarle del mio diploma. All’inizio ero davvero convinto che sarei riuscito a dirglielo, ma lei aveva avuto la fantastica idea di dire quella frase e la mia già scarsa convinzione si era ridotta al minimo, così come era aumentata la voglia di nascondere tutto quanto in un cassetto e ricoprirlo di altri pensieri meno inquietanti. Era decisamente umiliante. «che cos'hai fatto in questa settimana?»
«Niente di particolare, ho...» mi morsi la lingua, prima di dire che avevo studiato, pensai semplicemente di raccontare una mezza verità. «...letto delle favole a un'irritante bambina.» e ora che ci pensavo avevo anche saltato l'appuntamento serale. Non che mi dispiacesse più di tanto, di sicuro stava già dormendo della grossa anche senza favola. Era anche ora che si abituasse a farlo sempre.
Mikan parve incredula. «Non ci posso credere!» commentò, infine, senza chiudere la bocca per lo stupore. «Eccezion fatta per Youichi non sei mai stato dietro a un bambino!»
Non risposi. Non ero esattamente dell'umore per parlare, e stavo anche morendo di sonno. «Sono una sorpresa continua.» ironizzai. Ma ancora non sapevo bene se le sorprese fossero buone o meno. «Te la farò conoscere.» Feci qualche passo, prima di accorgermi che Mikan non era più vicino a me. Mi voltai, chiedendole tacitamente con lo sguardo che avesse.
Lei si morse il labbro inferiore, senza accennare a muoversi. «Va... va tutto bene... davvero?» era preoccupata. Mi venne quasi da ridere: avevo fatto tutto quello per evitarlo, e succedeva comunque. Ah, accidenti, che disastro totale!
Risi, scuotendo la testa. «Sì, davvero.» assicurai, sperando che fosse l'ultima volta che me lo chiedeva. Lei parve tranquillizzarsi, e mi venne incontro, prendendomi un braccio.
«Scusami,» rise nervosamente. «ho tenuto praticamente il muso da quando sono scesa. Mi dispiace, non ci vediamo da una settimana e...», tutto quello che aveva detto, da quando l'avevo vista era stata una continua pugnalata allo stomaco. La zittii con un bacio, di nuovo. Lei parve un attimo sorpresa, ma sorrise contro le mie labbra.
Fu più o meno così che arrivammo davanti alla mia camera, senza allontanarci per più di un secondo. Mi separai da lei solo il tempo di aprire la porta. La tirai dentro la stanza per un braccio e ripresi da dove avevo lasciato. Quando arrivammo al letto, ci separammo per riprendere fiato. Appoggiai la fronte alla sua e, improvvisamente, mi ritornarono in mente le parole che aveva detto subito dopo che era scesa dalla macchina. Era frustrante non essere in grado di dire la verità. Quella faccenda era diventata una specie di persecuzione. Sbuffai, anche se avrei tanto voluto evitare di farlo.
«Che c'è?» mi domandò lei, confusa. Mi spostai di lato, buttandomi di peso sul materasso. Ero così dannatamente patetico! Avrei dovuto solo sbattere la testa contro un muro.
«È che... è stata una settimana piuttosto stancante. Per tutti e due, immagino.» buttai lì, non sapendo che altra scusa inventare. «Sto morendo di sonno, sarebbe meglio dormire.» data l'ora, non credevo assolutamente che, se non mi fossi spostato, avremmo dormito granché. Sospirando pesantemente, mi girai dall'altra parte e chiusi gli occhi.
«Natsume?» la sentii spostarsi sul materasso. E quando la guardai era seduta più o meno dove l'avevo lasciata prima, solo che era appoggiata su un braccio per guardarmi. «Sei arrabbiato?»
Inarcai un sopracciglio: quando avevo dato quest'idea? Mi misi a sedere, guardandola. Che c'entrasse quel tipo che avevo visto nella foto? Mi feci più sospettoso. «Perché mai dovrei essere arrabbiato?» non con lei, almeno.
«Non lo so.» ammise, corrugando la fronte. Era ancora troppo presto per rilassarsi, chissà che cosa aveva potuto dirle. «È solo che oggi sei molto diverso dal solito. Non capisco... sei molto distante. E...» arrossì, riducendo il tono di voce, tanto che dovetti avvicinarmi per sentire. «non mi avevi mai dato la schiena, prima... per dormire.»
Sorrisi, scuotendo la testa. Soltanto lei poteva farmi un discorso del genere e sembrare di aver capito tutto quanto. A volte era preoccupante. «Ti ho già detto che va tutto bene.» a forza di ripeterlo mi sembrava quasi di essere diventato un robottino. Le passai un braccio dietro al collo e la attirai verso di me, dopodiché tornai ad appoggiare la schiena sul materasso. «Così va meglio?»
Lei mugolò un assenso. «Buonanotte.» abbandonai la testa contro il cuscino e non risposi.

Mi svegliai qualche ora dopo. Fin troppo presto, a giudicare dalla sveglia che segnava le sei e mezzo di mattina. Neanche due ore di sonno. Questo contribuiva senz'altro al mio proverbiale buonumore. Decisi di alzarmi dopo dieci minuti: riprendere sonno era fuori discussione.
Quando uscii dal bagno, trovai Mikan sveglia, si alzò in piedi sul materasso, non appena mi vide, biascicando un “Buongiorno”. La vidi perdere l'equilibrio, e sarebbe caduta a terra, rompendosi qualcosa, se non l'avessi presa.
«Di un po',» tentai, credendo che si fosse riaddormentata. «pensi di essere di gomma?» la scossi un po', non riuscivo a vederle la faccia, per la posizione in cui era. Ma sospettavo che se l'avessi lasciata andare, sarebbe caduta a terra come un sacco di patate. «Mikan...?»
La sentii lamentarsi. «Scusa.» sbadigliò, tirandosi su. «Mi sono alzata troppo in fretta e la testa ha cominciato a girarmi in modo strano.» scosse la testa, e poi si stiracchiò. Non mi fidai ancora a lasciare la presa sulle sue braccia.
«Tutto a posto?» Mikan fece una smorfia, appoggiando la testa sulla mia spalla, con gli occhi chiusi. Assentì, senza muovere un muscolo. Poi aprì gli occhi, confusa.
«Stavi andando da qualche parte?» mi ricordai che effettivamente, avevo qualcosa da fare: andare dal Preside e consegnargli la mia spontanea dichiarazione di volermi diplomare in anticipo.
«Sì... c'è qualcosa che devo dare al Preside.» spiegai, rimanendo il più possibile sul vago. Lei mi guardò curiosa. «È un foglio da parte di quello delle elementari. Niente di grave.» più o meno.
«Ah...» parve delusa per un attimo. Magari aveva immaginato di passare un po' di tempo insieme, subito dopo che era tornata. Sospirai, il Preside mi stava dando più grane di quante ne meritassi. «posso... venire con te?»
Non era proprio una felice decisione. Però avevo un'alternativa che le avrei proposto in ogni caso, dato che sapevo perfettamente che ci teneva. «I ragazzi partono, oggi.» le dissi, ricordandomi di cosa mi aveva detto Ombra, il giovedì precedente. «Nobara e gli altri hanno detto che volevano salutarti.» poteva essere un buon compromesso, dopotutto.
«Tu non vuoi salutarli?» sembrava che avesse quasi paura ad andarci da sola. Schioccai la lingua.
«Lo sai che non mi piacciono le scene madri.» cercai di smorzare la tensione, ma forse con scarso effetto. «Non ti mangiano mica, anche se sei sola.»
Lei sorrise. «Lo so,» confermò, abbassando lo sguardo. «ma piangerò come una fontana se non ci sarà nessuno lì con me!» mi morsi l'interno della guancia: ecco, questo era un problema di cui non conoscevo la soluzione.
Sospirai, pensando a un metodo per tranquillizzarla. «Verrò anch'io. Tanto sicuramente finirò prima che voi finiate di salutarvi, conoscendo Ombra.» Mikan sorrise, riconoscente.
Mi gettò le braccia al collo, rischiando seriamente di sbilanciarmi. «Sei un tesoro!» mi stritolò, riconoscente. «Ci vediamo giù, allora!» e mentre lei andava a farsi una doccia, io andavo nell'ufficio del Preside. Ne vedevo troppi, ultimamente..
Uscii dal dormitorio e mi diressi verso l'edificio delle aule, stiracchiandomi. Doveva essere ancora maledettamente presto, dato che il sole non dava neanche troppo fastidio. Entrai e, durante il tragitto, incontrai la stessa ragazza che, la sera prima, mi aveva accompagnato nello studio del Preside delle Elementari. Se avesse dovuto chiedermi ancora il suo nome, non avrei saputo cosa rispondere.
«Buongiorno.» mi disse, quasi scoraggiata e sparì dalla mia visuale. Alzai le spalle, e continuai per la mia strada. Appena arrivato davanti alla porta, bussai, sbuffando mentre tiravo fuori dalla tasca il foglio che dovevo consegnare. Dentro sentii cadere qualcosa e qualcuno borbottare, scocciato.
«Avanti.» alzò la voce, con un certo fastidio. Aprii la porta e trovai il Preside che raccoglieva dei libri e, dopo averli rimessi sulla scrivania, inarcò un sopracciglio. «Com'è che oggi tutti quanti volete candidarvi per il comitato studentesco?»
Guardai il foglio che avevo in mano. «Ehm...» tenni per un po' il foglio in mano, sventolandolo, incerto se consegnarlo o meno. Non che avessi molta scelta, però... «veramente... non sareb...» peccato che non ebbi occasione di concludere.
«Senti,» si sedette, immaginai in un disperato tentativo di recuperare la calma. Da che l'avevo visto la prima volta, non mi era mai sembrato un pazzo isterico come quella mattina. «essere presidente del comitato studentesco porta solo un sacco di grane, nessuna gloria e nessuno sa il tuo nome.» sembrò fermarsi a ragionare su ciò che aveva appena detto. «D'accordo, più o meno.» si tolse i capelli da davanti agli occhi e sospirò. «Comunque sia, te lo sconsiglio vivamente, tutti quegli studenti che...»
«Preside,» lo interruppi, cercando di dargli un'idea dei fatti. «non sono qui per questo.»
«Oh,» parve stupito. Poi alzò le spalle, come se non fosse successo niente e si appoggiò allo schienale della sua poltrona per poi indicarmi una sedia davanti alla scrivania. «perché non l'hai detto subito?» accettai l'invito e gli porsi il pezzo di carta. Corrugò la fronte, appena ebbe iniziato a leggere. Dopo qualche minuto, lo posò con calma sul tavolo, come se stesse pensando a quali parole scegliere. «Posso...» esitò, fissando di nuovo ciò che gli avevo dato. «Posso chiederti perché... vuoi diplomarti in anticipo?»
«Perché?» magari non era educato rispondere a una domanda con un'altra domanda, ma, sinceramente, non mi ero preparato una risposta, e avevo il serio dubbio di non potergli snocciolare la verità senza problemi.
«Quest'anno la... classe speciale è ben nutrita.» non sembrava molto contento della cosa. «Ora, mi chiedo perché quindici persone tra studenti del secondo e terzo anno abbiano deciso, a una settimana prima della scadenza delle iscrizioni, che è divertente diplomarsi prima degli altri.» corrugai la fronte: certo che potevano trovare scuse migliori. «Quando ho chiesto loro perché non potessero aspettare sette mesi, mi hanno risposto che era per “affari personali”. Ingegnoso. Non hai idea del lavoro che c'è da fare per diplomarsi in anticipo. Specialmente per uno studente del secondo anno.» secondo anno neanche iniziato, per di più. Non sapevo che diamine inventarmi. «Senti, sono disposto a far finta di non averla mai vista, se vuoi ripensarci.»
Se avessi potuto farlo, sarebbe finita nel cestino subito dopo essere uscito dall'ufficio del marmocchio. E invece avevo proprio paura che questa possibilità non esistesse. «Non voglio ripensarci.» era davvero il mio tono più convincente. Ero pronto per Hollywood.
«D'accordo.» concesse, probabilmente sapendo che non avrebbe potuto dirmi niente per farmi cambiare idea. «Anche se, francamente, non ho proprio idea del perché un ragazzo che ha rifiutato persino il premio per il miglior studente dell'anno, voglia provarle tutte per andarsene.»
A questo non avrei potuto ribattere con una risposta logica. «È stata...» cominciai, incerto. «una decisione... ehm...» non ero mai stato bravo a trovare scuse sul momento che avessero delle buone possibilità di reggere. «difficile, ma...» pensai che non fosse utile peggiorare le cose. «è così e... beh, tutto qui.»
Lui mi guardò, scettico. Forse avrei dovuto rinunciare all'improvvisazione. «Quand'è così.» si alzò e feci lo stesso. «Puoi andare.»
«Arrivederci.» salutai, e mi avviai verso la porta.
«Aspetta,» mi morsi l'interno della guancia: cos'era, un'abitudine dei Presidi bloccare la gente sulla porta? «lascia che ti dica ancora una cosa.» tornai a dare le spalle alla porta. «Qualunque stupidaggine la gente ti obblighi a fare, con qualunque mezzo, ricordati che c'è sempre una scappatoia. Trovala, e fai ciò che vuoi fare.»
Perché sembrava che avesse capito tutto senza che gli avessi detto niente? «Lo faccio sempre.» dichiarai, salutandolo di nuovo, prima che mi fermasse un'altra volta. Ero certo che anche Mikan si stesse chiedendo che fine avessi fatto.

«Ehi...» la chiamai. Lei mi dava le spalle e stava fissando il cancello, ormai chiuso. Forse ero arrivato tardi per salutare. L'unica cosa positiva della giornata: detestavo i saluti. Lei si girò verso di me, gli occhi erano gonfi e rossi. Aveva proprio mantenuto la promessa.
«Ti ha intrattenuto più del previsto, eh?» si asciugò un occhio, prendendo un bel respiro. Probabilmente aveva il naso tappato. Annuii, e l'abbracciai, sperando che potesse tirarla un po' su.
«Aveva voglia di chiacchierare e lamentarsi delle candidature a presidente del comitato studentesco.» spiegai. «Non l'ho mai visto così fuori di sé.» le accarezzai la schiena. «Tu, tutto bene?»
«Ora va bene.» rispose lei. Andava... bene? «Avresti dovuto vedermi prima...» si passò ancora una mano su una guancia. «Sai.. non avevo intenzione di farlo, ma... ho visto piangere gli altri e non sono riuscita a trattenermi.»
«Onii-chan!» mi irrigidii un momento, non poteva essere. «Sei stato molto cattivo!»
Mikan mi guardò confusa. Scossi la testa, come per dirle che non era importante. «Avevo altro da fare.» lei mi guardò sospettosa, mentre Mikan alternava lo sguardo da me a lei.
«Non sono riuscita a dormire perché non sei venuto a leggermi la storia!» aveva le braccia conserte e sembrava che mi stesse rimproverando. Ci mancava solo questa: essere rimproverato da una bambina con meno della metà dei miei anni. Ero davvero a posto.
«Tu sei la bambina di cui mi ha parlato!» Mikan con un sorriso. Si abbassò all'altezza di Miyako e le porse la mano. «Sakura Mikan, piacere di conoscerti.» la sua voce era ancora un po' impastata, ma sembrava che non piangesse più. La bambina la guardò confusa. Le tese anche lei la mano.
«Aihara Miyako.» si presentò, poi sorridendo a sua volta. «Sei un'amica di Natsume?» Mikan ridacchiò, grattandosi una tempia e cominciando a balbettare.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, vedendola in imbarazzo. «È la mia ragazza.» tagliai corto. Miyako corrugò la fronte, confusa.
«E questo che c'entra con il fatto che non sei venuto a leggermi la favola?» repressi l'istinto di dirle che me l'aveva chiesto lei: dovevo ricordarmi che aveva solo otto anni.
«Potresti sempre rimediare adesso.» propose Mikan, e pensai che sarebbe stato perfetto avere qualcosa per imbavagliarla. Miyako, infatti, sembrava proprio gradire l'idea.
«E cosa? Ormai so a memoria quelle favole.» mi ero proprio stufato di leggere sempre le stesse cose. «Non ho intenzione di rileggerle un'altra volta.»
Mikan si fece pensierosa e sperai che non avesse una soluzione fulminante anche per quel problema. «C'è una sezione di libri per bambini in biblioteca.» non ebbi neanche la forza di muovermi: come diamine faceva una che aveva scoperto da qualche settimana l'esistenza della biblioteca a sapere di una sezione che non usava anima viva, in una parte dell'edificio dove nessuno andava mai se non per i libri di cucina? «Potremmo trovare qualcosa di interessante, non credi, Miyako-chan?»
Lei sorrise a trentadue denti, e poi si rivolse a me. «La tua ragazza mi piace tantissimo!» cominciò a saltellare e a incamminarsi nella direzione della biblioteca. Ah, che cosa meravigliosa!
Mikan ed io rimanemmo qualche passo indietro, e le rivolsi un'occhiataccia. «N-non... sarai arrabbiato, vero?» balbettò, nervosa. Ridacchiò, indietreggiando di un passo. «Volevo... beh, sai...»
«Lasciamo perdere.» la interruppi, avviandomi verso Miyako.
«È da quando me l'hai detto che volevo sentirti leggere una favola.» mi confessò, venendomi vicino. «Scusa...»
Sbuffai, rassegnato. «Non importa.» dissi, anche se non ne avevo assolutamente voglia, specialmente davanti a Mikan.
Quando entrammo lei aveva già scelto almeno cinque libri. Mikan mi rivolse uno sguardo di scusa, e io alzai le spalle. «Non qui di sicuro.» decretai, prendendo i libri e trascinando Miyako per una mano al tavolo più nascosto della sezione per bambini dietro a degli scaffali inutilizzati, e anche penosamente illuminato. Presi il primo libro “Hanaco dal grande cappello”. Mai sentito.
Mi sedetti e lei fece lo stesso, piazzandosi di fronte a me, con un'espressione di estrema aspettativa, la stessa che era stampata sul viso di Mikan. Evitai di guardarle ancora.
«Dunque,» iniziai, scorrendo con gli occhi tutta la fiaba. «tanto tempo fa, viveva in Giappone un samurai ric...»
«Natsume!» mi rimproverò la bambina. Alzai lo sguardo, col chiaro intento di fulminarla, ma la sua espressione di disappunto non scomparve. «Che ti prende? Sai fare di meglio!» poi sorrise, birichina, rivolgendo uno sguardo fugace a Mikan. «Sei emozionato, per caso?»
«Vuoi che ti legga questa cosa o no?» la mia più grande aspirazione non era esattamente essere preso in giro da lei. «Allora: un samurai ricco, potente, generoso e buono.» e continuai finché non sua figlia non sposò il principe, alla fine della storia. Mikan stava ridendo, e mi chiesi se fossi sembrato tanto ridicolo.
«Non credevo,» disse, guardandomi in modo strano. «che fossi così bravo.» le rivolsi un'occhiata scettica. «Dico davvero, ci sai fare con i bambini, non ti sto prendendo in giro.» accennò a Miyako con la testa: dormiva con le braccia incrociate sotto la testa, tipo cuscino, appoggiata al tavolo.
Mi alzai, dopo aver posato il libro. «Portiamola in camera sua.» proposi, prendendo Miyako in braccio. Mikan si portò le mani al petto, quasi... commossa?
«Sembrate davvero padre e figlia!» pensai che fosse ammattita e sgranai gli occhi, atterrito: sperai solo di aver sentito male. Non avevo piani per avere figli a diciassette anni.

Scesi le scale, totalmente svogliato. Come tutti gli anni, dovevo sottopormi a quella grossissima noia della cerimonia d'apertura dell'anno scolastico. Una cosa totalmente inutile, a cui avrei volentieri evitato di partecipare, come era successo negli ultimi anni. Ma Mikan mi aveva pregato di esserci, sarebbe stata la penultima a cui avremmo partecipato. Beh, almeno per lei questo era vero.
Era passata una settimana esatta da quando Mikan era tornata in Accademia e adesso le favole le leggevamo in due. La sera dopo che mi aveva sentito leggere, aveva fatto l'ennesima proposta indecente: montare una specie di teatrino dove io ero la voce narrante e i personaggi maschili mentre lei era quelli femminili. Ed era del tutto imbarazzante, ma avevo evitato di protestare.
Quella mattina, Mikan era scappata via a razzo, dopo avermi detto “buongiorno” perché voleva assolutamente andare alla cerimonia con Imai, dato che non avevano passato più tanto tempo insieme da quando lei era andata a trovare suo nonno e si sentiva in colpa. Io avevo semplicemente alzato le spalle, e adesso mi trovavo in compagnia di Miyako che mi aveva raggiunto mentre attraversavo il cortile, perché non conosceva ancora nessuno e si sentiva in imbarazzo ad andare con gli altri bambini che già si conoscevano da un paio d'anni.
«Ah, smettila con queste scemenze.» le dissi, a un certo punto. Lei mi guardò, risentita. «Per voi bambini socializzare è la cosa più semplice della Terra.»
Lei non sembrava molto convinta. «Io non ho mai fatto amicizia facilmente.» rispose, allungando il muso. Alzai gli occhi al cielo: era incredibile!
«Senti, non è possibile che in qualunque posto capiti non ci sia qualcuno con cui vai d'accordo. Ci sono un sacco di bambini che la pensano come te, perché non ti fai avanti tu e cominci a chiacchierare?» più o meno era quello che si intendeva con socializzazione, no? Io non avevo mai avuto di questi problemi. La gente cominciava sempre a parlare con me e basta.
«Ci devo pensare.» concluse lei, incrociando le braccia. «E cosa dovrei dire?» sembrava seriamente preoccupata a riguardo.
«Presentati, tanto per cominciare.» se non altro, era un buon inizio. «Di' loro del tuo Alice e poi... beh, immagino che comincerà una conversazione.» o almeno era quello che succedeva alle persone normali.
Neanche stavolta sembrava proprio sicura di quello che dicevo. «Sarà.» commentò, infatti. Arrivammo nel piazzale principale del campus, gremito di studenti. Non sapevo esattamente dove cercare gli altri, così cercai di individuare Ruka: era l'unico con un coniglio in braccio in tutta l'Accademia. Per fortuna.
«Su andiamo!» trascinai Miyako verso gli altri. Almeno non sarebbe rimasta da sola a guardare gli altri bambini che ridevano tra loro. Non era un granché come immagine, per una come lei. Mi avvicinai al gruppo, Ruka aveva proprio il coniglio sulla testa: niente di meglio per riconoscerlo.
«Ehi.» salutai e lui mi rivolse un sorriso. Prendendo una mini carota e porgendola al coniglietto che accettò con piacere.
«Tutto okay?» mi domandò, guardando Miyako con espressione confusa. In risposta diedi una scrollata di spalle. Poteva andare meglio.
«Mikan-onee-chan!» fu allora che sbucò dalla folla una bambina, sembrava quasi terrorizzata. In lontananza, sopra le chiacchiere, si sentiva bene anche la voce di Jinno: stava rimproverando qualcuno. Non che fosse strano, era l'occupazione preferita di quel tipo. «Il professore si è arrabbiato! Non ho fatto niente, davvero! Stavo soltanto facendo un giretto e lui ha cominciato a inseguirmi urlando! Ho paura!» e davanti avevamo il suo obiettivo.
Mikan si abbassò all'altezza della bimba, con espressione comprensiva. Ci era passata anche lei, dopotutto, e anche di recente. «Che è successo, Maika-chan?» lei, però, invece di rispondere le buttò le braccia al collo e cominciò a singhiozzare. Mikan, dapprima spiazzata, cercò di tranquillizzarla, accarezzandole i capelli. «Sta' tranquilla. Sono sicura che se gli spiegheremo cos'è successo, andrà tutto bene.»
La bimba tirò su col naso. «Non mi metterà in punizione?» domandò, portando il labbro superiore a coprire quello inferiore. Mikan non rispose: effettivamente non poteva assicurarglielo, e lei capì che non ne era del tutto convinta. Perciò riprese a piangere.
Io non sopportavo i bambini che piangevano, era proprio una cosa che mi mandava in bestia. «Senti.» la staccai da Mikan e la presi in braccio. Sembrava essere il mio mestiere, da un po' di tempo a quella parte. «Jinno non è un tipo paziente, ma una cosa è certa: se fai la brava e fai come ti dice non ti spaventerà più.»
«Davvero?» era ancora insicura. Io annuii, con fare quasi solenne e con l'espressione più convincente che avessi mai usato in tutta la mia vita. «Ma... io non conosco nessuno. Non so quello che devo fare.» sorrisi, consapevole di aver già sentito quelle parole giusto qualche minuto prima.
«Conosco qualcuno che può aiutarti.» la posai a terra, proprio di fronte a Miyako. «Ecco qui, questa è Miyako. Sono certo che saprà aiutarti.» lanciai un'occhiata di intesa a lei, che mi restituì uno sguardo incerto. Una buona opportunità per fare amicizia, no?
L'altra era ancora un po' dubbiosa. «Ciao.» disse solo, porgendole la mano. «Mi chiamo Maika. Otomiya Maika. Sono qui solo da una settimana... vorresti... diventare mia amica?»
Miyako tese la mano, con un po' di sforzo. «Io sono Aihara Miyako.» poi sorrise. «Vieni con me!» la prese per mano e si unirono al gruppo di bambini delle elementari. E menomale che non facevano amicizia facilmente!
«Ecco...» commentò Mikan, sinceramente stupita. «Arrivi tu e risolvi tutto in cinque minuti.» non potei evitare di rivolgerle un sorriso ironico.
«È perché io sono un genio, Mutande-a-Pallini.» lei mi sorrise, lasciandomi un attimo interdetto: credevo che mi avrebbe accusato di averle dato della stupida.
«Lo so,» rispose, abbracciandomi. «sei il mio piccolo genio.» cercai di divincolarmi: non poteva dire cose del genere! Suonava così semplicemente... sdolcinato!
«Mikan, puoi evitare certe smancerie in pubblico?» lei mi fissò, contrariata e si staccò, sbuffando.
«Uffa, che antipatico!» si voltò e si diresse verso il punto in cui si trovavano alcuni dei nostri compagni. Sospirai: soltanto lei poteva farmi sentire uno schifo dopo una semplice, normalissima frase.
«Ehi.» l'afferrai per un braccio e lei si girò a guardarmi. «Mi dispiace.» spalancò gli occhi, incredula. Si avvicinò, preoccupata, mettendomi una mano sulla fronte.
«Stai bene?» mi pareva una sorta déjà vu: io dicevo qualcosa di carino e lei mi chiedeva se era tutto a posto. Dovevo imparare, una buona volta, a tenere il becco chiuso.
Il sospiro che mi uscì, stavolta, era rassegnato. «Benissimo.» conclusi, secco. Lei sorrise, e mi sembrò più tranquilla. Donne.
«Sarà meglio avvicinarsi.» propose Ruka, indicando il palco, allestito per l'occasione. «Oppure Jinno inseguirà noi invece della piccola Maika.» e non era una possibilità da scartare. Vidi Mikan incamminarsi e incitare anche Imai a fare la stessa cosa. Jinno la terrorizzava, anche dopo tutti questi anni.
Appena arrivammo, il Preside chiese subito silenzio. Sbuffai, i discorsi del Preside delle Elementari alle cerimonie erano ancora più noiosi e prolissi del normale, solo che non portavano a niente. Incrociai le braccia, preparandomi psicologicamente a una dormita in stile cavallo.
«Benvenuti, ragazzi.» cominciò, con un sorriso oltremodo falso stampato in faccia. «Innanzitutto, vorrei dare il benvenuto ai ragazzi che sono qui per la prima volta, specialmente ai bambini della sezione elementare, e un augurio ai ragazzi che cambiano sezione.» venne interrotto da qualche debole applauso, ma il suo sorriso non si incrinò. Gli piaceva rimproverare solo me per queste cose. «Spero tanto che quest'anno scolastico vada per il meglio per tutti voi. E, già che ci sono, vi presento il vostro nuovo presidente del comitato studentesco: Kamiya Kisaki, della sezione superiore.» lei, che era sul palco insieme agli altri componenti del comitato, salutò con un movimento secco della mano. Non sembrava affatto il tipo adatto per essere presidente del comitato studentesco, ma avevo il sospetto terribile che il Preside lo sapesse perfettamente. «Inoltre vorrei anche ringraziare i ragazzi della classe speciale, quest'anno particolarmente nutrita, come il mio collega, Yukihira, Preside della sezione superiore, mi ha fatto notare.» lo indicò e ci fu un grosso applauso. Sospirai. Ma fu il suo sorrisetto a spaventarmi: che intenzioni aveva? «Vorrei ringraziarli uno per uno, dal momento che si diplomeranno a settembre. Mi fa piacere che ci siano così tante menti brillanti nella nostra Accademia.»
«Chi vorrebbe diplomarsi in anticipo?» chiese Mikan, contrariata. «Non è forse più divertente farlo con i compagni con cui sei stato in classe molto tempo?» mi morsi la lingua. Il Preside stava per elencare i nostri nomi. Che... bastardo. Aspettai con nervosismo il mio nome, mentre con lentezza scorreva quella lista. Ogni tanto i nomi erano seguiti da urla o applausi, o entrambe le cose. Il mio ovviamente, ultimo, fu seguito da un silenzio tombale. «Nat...sume?» evitai lo sguardo di Mikan e puntai il mio a terra, senza dire una parola. Sembrava sconvolta. A quanto pare, l'aveva saputo comunque e nel modo più sbagliato in cui poteva accadere. «Natsume?» inclinò la testa, e la guardai. «È... è vero?» la voce le tremava, non sapevo però se per rabbia o disperazione.
«Sì... io...» tentai di spiegare, ma cos'avrei potuto dire? Che non gliel'avevo detto... perché? Non lo sapevo neanche io il perché!
«E perché non me l'hai detto?» indignazione. Questo traspariva dalla sua voce. «Lo sai da tanto tempo, vero? Da quando... credevo...» la voce le si spense in un sussurro. Mi voltai verso di lei, forse in un tentativo estremo di spiegarmi, ma tutto quello che mi arrivò in risposta fu uno schiaffo. Non stava piangendo, non stava gridando – non ancora, perlomeno – ma, di sicuro, era furiosa. «Tu,» mi indicò, con rabbia. «non parlarmi per una settimana!» ero troppo spiazzato per replicare. L'unica cosa che fui in grado di fare fu guardarla mentre spariva tra la folla di studenti, ancora troppo scosso per realizzare che avevo ricevuto davvero una manata da lei, la seconda da San Valentino.
Vidi Imai sorridere, serafica. Le scoccai un'occhiataccia, che però non vide, già troppo occupata a continuare a seguire la cerimonia d'apertura. Poco dopo arrivò Ruka, massaggiandosi il viso.
«Che ti è successo?» domandai, vedendo l'ironia della sorte: entrambi con una bella impronta di mano su una guancia.
«La tua ragazza è calma, questo è certo: ma se vuole picchiare, sa farlo bene.» fu tutto quello che disse, prima di toccarsi di nuovo la parte dolorante, facendo una smorfia.
«E perché ti avrebbe picchiato?» non riuscivo proprio a capire. Mikan non era il tipo che tirava schiaffi a chiunque le capitasse a tiro. Era anche vero che non credevo che potesse dare schiaffi, ma questa era tutt'altra faccenda.
«Perché credeva che lo sapessi. Mi ha rimproverato perché continuavo a negare. Dev'essere difficile farla arrabbiare, e tu ci sei riuscito in pieno.» rispose, cercando di tranquillizzare anche il suo povero coniglietto, probabilmente traumatizzato dalla reazione di Mikan. Riuscivo difficilmente a immaginarla mentre prendeva Ruka a schiaffi. «Cavolo, Natsume!» sbottò poi, guardandomi deciso. «Posso capire che tu non l'abbia voluto dire a me, ma almeno avresti potuto farlo con lei! È la tua ragazza e saperlo così non è proprio il metodo migliore.» non è che avessi proprio bisogno di sentirmi dire quelle cose dal mio migliore amico, ma probabilmente era una specie di legge del contrappasso. «A volte proprio non ti capisco.»
«Già...» concordai, sbuffando. Il problema adesso era cosa fare con lei: se mi fossi ripresentato, mi avrebbe tirato qualcosa.
«Va' a chiederle scusa, invece di stare qui. Parlale. Risolvi questo problema.» mi consigliò, sospirando sconsolato. «Non vorrai mica andartene senza aver risolto, no?» mugugnai in risposta. «A proposito...» aggiunse, confuso. «perché cavolo hai fatto richiesta per diplomarti in anticipo?»
«Ruka,» risposi, guardandolo. Lui deglutì. «tu che mi conosci bene, diresti mai che ho fatto tutto di mia spontanea volontà?»
Lui assunse un'espressione pensierosa. «Beh,» rispose, incerto. «no.» ecco, appunto.

Spalancai la porta, mentre lei mi guardava stupita. Era stesa sul letto e si mise a sedere, del tutto esterrefatta e contrariata. Avevo pensato a lungo a cosa dire e a cosa non dire. Non ero il tipo che faceva piani prima di agire, specialmente in casi come questi e mi era passato tutto completamente di mente.
«Metti qualcosa di comodo e scendi.» suonò quasi come un ordine. Uscii e mi avviai per il corridoio, per poi tornare indietro. «Dieci minuti, se non sei troppo arrabbiata.» mi scappò un sorriso, quando la vidi ancora ferma nella stessa posizione, come se avesse messo al proprio posto una statua di cera.
«Okay,» disse, appena uscii fuori dalla porta, sembrava ancora un po' – forse un po' tanto – irritata. Per la prima volta nella storia, aveva seguito il mio “consiglio”: aveva addosso qualcosa di comodo. «cos'è quest...» le lanciai un casco e lei mi restituì uno sguardo scettico, ma non riuscì a trattenere un sorriso.
«Andiamo.» proposi, mettendomi il mio, e abbassando la visiera. Non poté vedere il ghigno che mi era comparso sulle labbra. Lei fissò il casco, indecisa. «Avanti, sei ancora arrabbiata?»
«Beh, considerando che... tra meno di sei mesi te ne vai, non c'è molto tempo per essere arrabbiati.» constatò, tristemente, sollevando entrambe le sopracciglia per un attimo. Poi tornò a fissarmi con uno sguardo disarmante. «Perché non me l'hai detto?» ci fu una pausa di parecchi minuti. «Perché non rispondi? Sai... ho passato ore a pensarci, ma... non ho trovato una risposta, perciò... se volessi dirmi perché...» gesticolava in modo strano. «mi sentirei... non dico meglio, ma... quasi.»
Mi appoggiai al manubrio della moto. «Credo di non averlo mai accettato al punto di... dirtelo, forse... e non sapevo neanche come fare.» lei fece un sorriso stentato.
«Beh,» rispose, stringendo il casco tra le braccia. «scommetto che ci hai provato un sacco di volte, ma non ho capito niente.» strinse ancora di più la presa. «Sono proprio un disastro, io...»
«Stronzate!» sbottai. Che volesse prendersi anche questa colpa era semplicemente assurdo. «Sali.»
Lei annuì, e mi guardò, imbarazzata. Dopodiché mise il casco, e si sedette dietro di me, stringendomi.
Poco più tardi eravamo a Central Town, piena di studenti che si godevano l'ultimo pomeriggio di libertà. Spensi la moto e scesi dopo Mikan, che si stiracchiò. «Dove andiamo?» volle sapere, curiosa. Io sorrisi.
«Sorpresa.» risposi, senza dare ulteriori spiegazioni. Le feci cenno di seguirmi: avevo sentito dei ragazzi che ne parlavano e volevo provare. Arrivammo in una piazzetta, poco lontano dal mio obiettivo. «Aspettami qui, torno tra cinque minuti.» il tempo di fare la fila.
Stranamente, non c'era molta gente, forse perché ormai, tutti gli studenti dell'Accademia l'avevano provato. Pagai e tornai indietro, porgendole il suo e addentando il mio.
«Questo è...» ci pensai un attimo. «un'offerta di pace.» ed era anche una cosa buonissima.
«Un fluffa-puffa enorme?» chiese lei, con gli occhi che brillavano, prendendolo con entrambe le mani. Non era solo quello. Era ripieno. Nel mio c'era cioccolato, per esempio. Lo addentò e masticò con lentezza, come se volesse assaporarlo bene. «È...» cominciò, con gli occhi chiusi, sognante. «la cosa più buona che abbia mai mangiato!»
«Fa' assaggiare.» dissi, sedendomi accanto a lei e dando un morso al suo fluffa-puffa. Lei sembrò contrariata per un attimo, ma scoppiò a ridere quando vide la mia espressione disgustata. «Cosa diamine c'è dentro?» era... semplicemente orribile.
«Avevo dei dubbi, prima.» confessò lei, allontanando da me il suo dolcetto. «Ma adesso sono sicura che sia lampone.» bleah.
«Ora sì che si spiega tutto.» rabbrividii e addentai il mio. Molto meglio. Poi glielo porsi, un morso per un morso, dopotutto. Lei mi guardò, diffidente. «Non sono io quello che ha tentato di avvelenarti. È buono.»
Lei assunse un'espressione dispiaciuta. «Scusa.» mormorò, mordendosi un labbro. Io scrollai le spalle. «E anche per stamattina...» continuò. «ti ho fatto male?» mi sfiorò la guancia che aveva colpito quella mattina con le dita.
«Nah!» feci un gesto con la mano, come per dire che non era importante. Poi cercai di trattenermi dal ridere. «Ma scommetto che Ruka è ancora col ghiaccio sulla faccia. Era davvero traumatizzato.»
«Oh, poverino!» si portò la mano alla bocca, mortificata. «Devo assolutamente chiedergli scusa!»
«Non credo se la sia presa.» osservai, continuando a mangiare. Ma lei non sembrava aver cambiato idea. «Quando...» prese una pausa prima di continuare. «quando hai deciso di diplomarti in anticipo?» perché diamine tutti quanti credevano che avessi deciso tutto da solo? Sembrava davvero che volessi andarmene?
«Non l'ho deciso io.» puntualizzai, forse con una punta di risentimento. Lei mi fissò, scioccata. «È stato il Preside. Ha detto: “diplomati”» cercai di imitare la sua voce da bambino. «Non mi ha lasciato molta scelta.»
«E perché?» domandò, posando il fluffa-puffa sulle gambe, avvolto dalla carta.
«Perché è pazzo. Pensa di usarmi per una cosa assurda.» spiegai, molto sommariamente. «Io credo che sia solo fuori come un balcone.» e, in effetti, era assurdo. Mi sarei presentato lì, in quell'ufficio, avrei detto “Ehi, gente! Sono Natsume Hyuuga!” e tutti mi avrebbero svelato i loro peggiori segreti? Non lo credevo possibile.
«Mi sembra proprio incredibile.» si appoggiò allo schienale della panchina. A chi lo diceva. Guardai l'orologio, erano quasi le sette, ora di cena. Peccato che quei cosi riempissero come se fossero dei grossi tacchini farciti..
«Che facciamo, torniamo indietro?» proposi, lei annuì, portandosi dietro il fluffa-puffa.

Eravamo appena tornati dalla mensa, dove tutti gli altri mi avevano riempito di domande a cui non avevo risposto. Tutte sul mio diploma. Erano stressanti: ne sapevo quanto loro!
«La prossima volta che succede una cosa del genere, mi chiudo in camera, come in una prigione.» insomma, dov'era il punto nel farsi gli affari degli altri?
«Ecco...» iniziò lei, appoggiata alla porta, con lo sguardo rivolto alla parete della mia stanza più che a me. «non credi che, in questo caso, dovremmo passare più tempo insieme?»
Sorrisi, malizioso. Doveva assolutamente prestare più attenzione alle parole che sceglieva di usare. Si avvicinò a me, guardandomi, forse, in cerca di una risposta. Mi finsi pensieroso. «Mhm...» mugugnai, portandomi una mano sotto al mento. «e come avresti intenzione di...» poi le strinsi l'altro braccio intorno alla vita, in modo da attirarla del tutto verso di me. «impiegare questo tempo?» la mia voce era poco più che un sussurro. La sentii rabbrividire, quando le sciolsi uno dei nastri per capelli. Lei, però, si staccò velocemente, e mi accorsi che era arrossita. Confuso, cercai di prenderle la mano, ma lei indietreggiò ancora. «Che ti prende?» era davvero incredibile: prima se ne veniva fuori con frasi del genere – d'accordo, opportunamente riutilizzate – e poi scappava via, senza un chiaro motivo. Seriamente, non riuscivo a capirla. Continuai a camminare verso di lei, tanto più indietro della parete non sarebbe potuta andare.
«C-che...» balbettò, schiacciandosi contro il muro. «che intenzioni hai?» pensai che avrei dovuto sentirmi offeso per una domanda del genere, ma poi ragionai sul fatto che lei era Mikan. Era semplicemente fatta così.
Mi fermai davanti a lei, che mi guardava ancora tremendamente imbarazzata. Mi abbassai all'altezza del suo orecchio. «Credevo,» sussurrai, senza poter trattenere un sorrisetto. «che le mie intenzioni... fossero abbastanza chiare.» piegai il collo, in modo da sfiorare il suo con la punta del naso, per poi sostituirlo con le labbra. La sentii stringere la presa sul mio polso, e non potei non sorridere, di nuovo. Passai a sbottonarle il primo bottone della camicetta, facendola scorrere un po' lungo le spalle, per soffermarmi su un punto che sapevo piacerle.
Però c'era qualcosa che non andava: il suo respiro era certamente irregolare, ma non come al solito. Era come se fosse... a disagio? Mi allontanai da lei, scioccato, per un attimo. «Mikan, che hai?» non riuscii bene a nascondere la vena di preoccupazione nella mia voce. La guardai: era ancora tutta rossa, con gli occhi lucidi e una delle sue mani stringeva la camicetta per tenerla ben chiusa.
«Non guardare...» quasi supplicò, mormorando, mentre stringeva la presa ancora di più. Mi trovai del tutto spiazzato, tanto che il momento in cui non sapevo come dirle che l'avrei lasciata prima del previsto, mi sembrava niente al confronto. Distolse lo sguardo, che vagava per la stanza, ma non si soffermava mai su di me. Che diamine stava cercando? Cercai di capirlo osservando nella sua stessa direzione, ma non c'era niente che potesse darmi neanche il più piccolo indizio. «Natsume...» mi chiamò, sempre con lo stesso tono. Spostai lo sguardo di nuovo su di lei, non sapendo bene dove focalizzare l'attenzione, e la vidi mordersi un labbro. «...da dove si spegne la luce?» nascose il volto nell'incavo del mio collo e strinse la mia camicia in un pugno.
Mi rilassai improvvisamente: era solo per quello! E io avevo quasi preso un infarto. Mi lasciai andare a un sospiro liberatorio, dopodiché le passai un braccio intorno alla vita per allontanarla dal muro: per forza non riusciva a trovare l'interruttore, ce l'aveva dietro la schiena! «Scema.» commentai, dopo aver fatto ciò che mi aveva chiesto. Non osai muovermi per un po', e non lo fece neanche lei. Dopo qualche minuto, mi sentii troppo ridicolo, in quella situazione. «Ehi...» interruppi il silenzio e la sentii sussultare. Immaginai che non fosse niente di più di quel che meritavo. «ti va un po' di cioccolata calda?» che non fosse il momento per altre cose, lo capivo anche da solo. Lei si allontanò da me, e potei vedere i suoi occhi illuminarsi. Le porsi il nastro che le avevo preso poco prima e lei lo strinse in mano. Poi tornò a guardarmi, scettica.
«Ma non hai i fornelli.» mi fece notare, suscitando un sorriso da parte mia. «Hai... hai solo un frigo e un congelatore.»
Mi limitai a roteare gli occhi, con fare teatrale. «E chi diamine ne ha bisogno?» ribattei, retorico. La presi per mano e la trascinai nell'altra stanza.

Venti minuti dopo, eravamo seduti sul pavimento della “cucina” a ridere come due matti, ricordando eventi particolarmente divertenti che ci erano capitati durante la nostra permanenza in Accademia.
«Sì...» concordai, dopo che lei aveva tirato fuori il suo primo Alice Festival, il gioco di Aladino e la sua conseguente schiavitù. «in effetti, potevo essere un po' più...» non riuscii a trovare un aggettivo adatto al concetto che volevo esprimere.
«Lascia perdere.» interruppe la mia ricerca, con tono divertito, colpendo un mio piede con il suo e bevendo poi un altro sorso di cioccolata. «Rifaresti la stessa cosa, anche due milioni di volte.» feci una smorfia pensierosa e poi alzai le spalle, con noncuranza.
«Sì, probabilmente hai ragione.» commentai, con un ghigno, che però lei non vide perché eravamo ancora al buio. Non avevo ancora capito perché tutto quel terrore della luce elettrica. Non era ancora mai morto nessuno per aver tenuto la luce accesa di sera, per quel che ne sapevo io. A meno che non avesse deciso di attaccarsi ai fili della corrente senza staccarla dal contatore. O questo, o aveva intrapreso la politica del risparmio energetico. «È stato divertente tenerti al guinzaglio, però.»
Dopo il mio intervento, restammo in silenzio per un po', finché non la sentii emettere uno strano suono, e aggrottai la fronte: avevano rapito Mikan e l'avevano sostituita con un clone? Pensavo proprio che mi avrebbe gridato qualche insulto, o qualcosa del genere, invece si era limitata a mugolare dopo qualche minuto, neanche con troppo interesse. Mi misi sulle ginocchia, e cominciai ad andare verso di lei, a qualche passo di distanza, o almeno dove mi sembrava che fosse. «Che c'è?» quando non mi rispose, cercai di indagare più a fondo. «La cioccolata fa schifo, eh?» era una domanda più che legittima, dal momento che era la prima volta che “cucinavo” qualcosa su una mano. Lei scosse semplicemente la testa. Mi sedetti di fronte a lei, sospirando. Era una serata davvero... strana. «Ho una proposta interessante.» cominciai, ma lei neanche alzò la testa. Lo presi come un invito a continuare. Se lei non parlava, qualcuno doveva pur farlo. «Tu mi dici che hai, e poi...» ci pensai un po', ma non mi venne in mente niente. «vediamo che si può fare a riguardo.» la sentii tirare su col naso e mi avvicinai di più. Che stesse... nah! Che motivo aveva per piangere se fino a due secondi prima ridevamo come due deficienti? Inclinai la testa per avere una miglior visuale, ma la luce era spenta ed era una notte di luna nuova, insomma una fortuna allucinante. Sentii il suo respiro farsi più pesante, come se fosse raffreddata. Già: stava sicuramente piangendo, e poteva esserci un'unica, ovvia conclusione. «Mikan...» tentai di trovare una sorta di lato positivo della cosa, benché fosse davvero difficile. «manca ancora un sacco di tempo al diploma, più di cinque mesi. È tanto.» non era proprio tanto, ma... forse riuscivo a tirarle su il morale. «L'hai detto anche tu, no? Possiamo fare un sacco di cose... tipo...» solo che, sfortunatamente, al momento non me ne veniva in mente neanche mezza. «tipo...» ero decisamente un disastro in materia. E forse stavo anche peggiorando la situazione. Non suonava molto bene dire “fare quello che facciamo tutti i giorni” e “stare insieme” era fin troppo sdolcinato. No, non avrei mai detto cose del genere.
«Sai... ho sempre immaginato che... avremmo fatto delle foto, il giorno del diploma.» mi confessò, con voce impastata. «Sarebbe stato carino fotografarci con quei cappelli buffi, tutta la classe insieme... fare una festa...» sorrisi: doveva tenerci davvero molto.
«Possiamo sempre farle e riderci su... tra...» beh, dire due anni non era esattamente una fantastica idea, dato che sembrava un sacco di tempo, sul momento. «beh... dopo il tuo diploma.»
«È diverso.» affermò lei, senza nessuna forza. Tirò di nuovo su col naso. Sospirai, passandole un braccio dietro al collo per abbracciarla: non sapevo che dirle, e non mi sembrava esattamente il momento di chiederle di smetterla di piangere come se fossi dovuto andare a morire. Avevo la sensazione che non avrebbe risolto granché. «Scusa...» mormorò, poi, staccandosi un po'. «non è esattamente il miglior finale di serata...» stronzate.
«Non dovresti piangere così.» tentai, distogliendo lo sguardo da dove credevo che fosse, anche se non ce n'era alcun bisogno. «Anche se passerà del tempo, ci rivedremo, no?»
Lei assentì, ma non pensavo che fosse così tanto d'accordo. Mi posò le mani sulle spalle e spostò il suo peso sulle ginocchia. Aspettai che parlasse, ma non disse niente. Si avvicinò e posò le labbra sulle mie. Non aveva mai preso l'iniziativa per baciarmi, avevo sempre semplicemente pensato che si sentisse troppo in imbarazzo per farlo. Ma il fatto che l'avesse fatto subito dopo avermi chiesto di non guardare, quando non riuscivo a vedere niente comunque, era abbastanza... come dire... contorto. «Hai ragione tu.» disse poi, tornando ad abbracciarmi. «Non ha senso piangere adesso.» la sentii asciugarsi le lacrime con una mano. «Non posso promettere niente per il momento dei saluti, però.»
«Non è il caso di pensarci adesso, direi.» insomma, ogni cosa a suo tempo. Lei si alzò e mi tese una mano, invitandomi a fare lo stesso. Mi tirai su, stiracchiandomi. La cioccolata era stata un fiasco, ma l'avrei preso come ammonimento per la volta successiva.
«Sai, Koko mi ha detto che più tardi spareranno dei fuochi.» mi prese per mano, improvvisamente felice. «Che ne dici di andare a vederli? Solo che sono tardi, se dovessimo addormentarci...»
«Oh... non preoccuparti.» sorrisi, avvicinandomi per baciarla. «ho qualche... idea per passare il tempo. Tu che ne pensi?» mi diede un leggero schiaffo sul braccio.
«Che scemo.» scosse la testa, circondandomi il collo con le braccia. Ghignai: io ero dannatamente serio. La baciai per non lasciarle il tempo di dire altro.

*****

Sono quasi arivata a 50 recensioni e non sapete quanto la cosa mi faccia piacere, perciò un grazie mille a tutti quanti i commentatori (e anche ai lettori XD)! Dunque, il prossimo capitolo sarà pubblicato tra pochi giorni (spero, ancora non è pronto), circa una settimana perché sarà l'anniversario della pubblicazione del primo capitolo (sì, insomma, è assodato che sono una che tiene alle date XD). E il prossimo... capitolo diciassette! Tanto atteso (da me, almeno) e tanto temuto, perché mi vergogno troppo XD.
Poi *inizio pubblicità abusiva* ho pubblicato:
1) Una one-shot su Bleach The traitor takes in twice, coppia Gin/Rangiku per chi potesse interessare XD. Fateci un salto, se volete.
2) E un'altra one-shot su questa sezione: I Wanna Know You, coppia Yuka/Izumi *.* *fine pubblicità abusiva*
E ora, una piccola anticipazione! *musica per i momenti di tensione di sottofondo* Ci sarà una – brutta – sorpresa. Insomma, quando si arriva in fondo non solo si può risalire, ma si può anche cominciare a scavare XD, credo che Mikan e Natsume lo scopriranno presto. Volevo copiare anche una piccola citazione perché ho scritto già qualche pagina, ma... ci ho ripensato: niente spoileroni XD.
Ecco un'altra cosa! Quest'immagine (da capitolo 135 del manga) mi ha davvero rimanere così *ç* per un tempo considerevole, perciò volevo condividerla con voi, in attesa della traduzione del 136 :3 (non so se si vede perché sono un'imbranata)



Diciamocelo, il manga è tutta un'altra cosa XD, però si intona bene col capitolo :P

E ora... le risposte alle recensioni!

AkA GirL: oddio XD. E io che speravo che si capisse, sono un disastro con le descrizioni subliminali *sob*. Vabbé, questo capitolo dovrebbe aver chiarito i dubbi (almeno spero), però voglio spiegare per bene il suo comportamento. Penso di averlo un po' compreso, povero Natsume. All'inizio ho pensato a quello che avrei fatto io se avessi dovuto andarmene senza volerlo (probabilmente piangere a catinelle XD), e quello che avrebbe fatto lui (incavolarsi come una miccia, senza dubbio). Nello scorso capitolo probabilmente non si è molto capito che lui era un po' giù di corda perché Mikan non lo sapeva (e neanche lo immaginava, poveretta XD), e non è neanche molto recettiva per capire che c'era qualcosa che non andava da parecchio tempo, da prima degli esami. Per lui invece è tutto un altro paio di maniche. Stava male per svariati motivi: primo tra tutti, era "ferito" nell'orgoglio per non riuscire a trovare il coraggio di dirglielo, si sentiva una specie di codardo e non poteva davvero sopportarlo (uno come lui, poi XD). Non ho volutamente messo in evidenza un altro aspetto della cosa, perché Natsume non mi sembra il tipo che farebbe pensieri del genere. L'aspetto di cui parlo è quello del cambiamento: infatti, se lui gliel'avesse detto, le cose sarebbero radicalmente cambiate. Nessuno dei due avrebbe più potuto evitare di pensare che qualunque momento trascorressero insieme, sarebbe stato uno degli ultimi, in questo modo lei poteva essere semplicemente felice e contenta, rendendo la cosa molto più lontana di quanto in realtà non fosse. Volevo rimarcare questa cosa quando lui non è riuscito ad andare "avanti" all'inizio (quasi :P) di questo capitolo. Si sente un approfittatore (più o meno XD), perché non riesce a dirle la verità, gli sembra proprio di prenderla in giro (è per questo che si fa molti più scrupoli dopo che lei l'ha saputo, su cosa dire e cosa no). Forse è difficile da ammettere dal suo punto di vista, ma, anche se vuole fare il duro, sotto sotto è un tenerone (*.*), e non vuole vederla soffrire. Ha sempre l'impulso di dirle tutto quanto ma c'è qualcosa che lo blocca, una sua frase, o un commento. Si sente proprio come se stesse facendo (e in effetti è così) qualcosa di male a lei, per questo è “bloccato”. Con questo papiro, spero di aver fugato tutti i possibili dubbi :P. Nel caso ne avessi ancora, dimmelo pure XD. Penso si sia capito che adoro parlare XD.
marrion: figurati, te l'ho detto XD, la leggevo e neanche sapevo che l'avessi scritta tu *Ale è senza speranza*. Sono anche in arretrato di un po' di capitoli, ma appena posso, la leggerò! Mi fa molto piacere che la storia continui a tenerti attaccata allo schermo. Speriamo che sia così fino alla fine XD.
marzy93: grazie mille XD, ho cercato di creare quei vecchi più divertenti che potessi, altrimenti i capitoli del nonno sarebbero stati anche una noia da scrivere, oltre che da leggere. Insomma, lavoro sì, ma anche svago, giusto? XD. Felice di sapere che ti piaccia ancora :).
E volevo anche ringraziarti per il commento alla mia one-shot, sono davvero contenta che ti sia piaciuta.
Luine: sì, l'Alice della bimba è proprio divertente XD e, a quanto pare, i vecchi hanno spopolato tra il pubblico XD. Non sarà certo l’ultima volta che compariranno sui nostri schermi, comunque :P, anche loro non vedono l’ora di tornare alla ribalta e hanno promesso di picchiarmi se non darò loro un altro po’ di spazio XD! Grazie di tutti questi complimenti ^.^. I personaggi sbroccati sono quelli che mi riescono meglio, sarà che sono come loro O.o?
lidya: dunque XD. Non ho ben capito che vuoi dire, però risponderò a ciò che ho interpretato XD. Innanzi tutto, non preoccuparti, non me la prendo assolutamente e ti vorrei anche ringraziare dei complimenti, in effetti ho lavorato parecchio per mantenere i caratteri dei personaggi il più simili possibile all'originale, infatti credo che andando avanti coi capitoli, siano sempre più vicini agli “originali” (ho anche intenzione di rivedere capitolo uno, a questo proposito). Ecco, dopo questo punto ho perso un po' il filo. Per quanto riguarda gli intrighi, non ho ben capito se intendi amorosi o di altro tipo, perché questi ultimi ce ne sono, pure troppi XD. Ti faccio degli esempi: la pietra Alice che Narumi ha regalato a Mikan, il sesto senso di Mikan che non è una cima nelle deduzioni, e la chiacchierata di Natsume con Narumi che non ha ancora un vero e proprio punto, per non parlare di tanti altri piccoli dettagli. Per ora queste cose sono state sviluppate ben poco. Pensavo di aver lasciato un po' di perché XD. Se intendi intrighi amorosi o cose del genere, non vedo dove potrei, dopotutto Mikan e Natsume sono innamorati (e non è poco), in un certo modo destinati a stare insieme (perdona la spiegazione mediocre, nel manga si capisce molto meglio, ma è una cosa lunga), non voglio fare una cosa tipo Edward Cullen che abbandona Bella Swan, la quale cade nell'oblio (oddio ¬.¬). Non sto mica scrivendo la saga di Twilight XD. Per quanto riguarda il distacco di Natsume da Mikan l'ho spiegato anche un po' più su, nella risposta ad AkA GirL, è tutto un fatto di orgoglio personale, a cui si aggiunge la preoccupazione per lei che rimarrà da sola: non avrebbe molto senso allontanarsi troppo (almeno per come la vedo io); non so se il capitolo ha rispecchiato le tue aspettative perché il pezzo era già scritto prima che ricevessi la recensione XD. Qualunque altro dubbio/domanda/perplessità tu abbia, non esitare a dirmelo :)

Già che ci sono, vorrei ringraziare anche feddy_chan555 per aver commentato la one-shot su Yuka e Izumi.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. mikamey
3. rizzila93
4. marzy93
5. sakurina_the_best
6. _evy89_
7. Luine
8. Yumi-chan
9. Veronica91
10. lauretta 96
11. EkoChan
12. stella93mer
13. giuly_chan95
14. _Dana_
15. simpatikona
16. CarlyCullen
17. asuka_hime
18. neko_yuki
19. XIUKY88
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21. giadinacullen
22. twilighttina
23. SEXY__CHiC
24. Annie Marie Jackson
25. valuzza92
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27. amorelove
28. Animexx
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30. federicaa
31. AkA GirL
32. thedarkgirl90

E in particolare le new entry:

33. Spuffy93

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH
3. sakura2611
4. thedarkgirl90

E in particolare le new entry:

5. AkA GirL
6. MissAnime4Ever

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
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7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
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17. shinigamina_love
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Capitolo 17
*** Diploma ***


Capitolo 17 – Diploma
(Mikan)


Ero terrorizzata. Non semplicemente terrorizzata, del genere che ti chiudi in camera a tremare come una foglia sperando che l'aggressore passi oltre la tua porta senza notarla! No, ero terrorizzata, così tanto che non riuscivo più a muovermi né a pensare a dove fosse la mia via di fuga. Erano mesi, anni, forse che aspettavo questo momento e, adesso che era arrivato, mi tremavano le gambe come se fossero stati rametti secchi, piantati malamente a terra mentre soffia una tromba d'aria.
«Mikan, muoviti!» sento un colpo alla porta e la voce di Hotaru provenire da fuori. «Iniziano senza di noi e a te tocca il discorso. Ricordi?» andai nel panico più totale: discorso? Quale discorso? Mi guardai intorno, nella stanza, alla ricerca di un pezzo di carta che potesse somigliare alla trascrizione di un discorso di fine anno. Non c'era niente.
«Ho... Hotaru?» aprii uno spiraglio della porta, e trovai Hotaru ancora lì. Piuttosto insolito: ero quasi certa che fosse già andata via. «Non trovo il discorso.»
Si portò una mano alla tempia, chiudendo gli occhi. «È anche possibile che tu non l'abbia mai scritto, Mikan.» disse, sospirando. «Non mi stupirebbe.»
Era davvero possibile? Cercai di fare mente locale, ma non mi venne in mente nessun discorso. Guardai dentro la stanza: era più bella del solito. Davvero una bella stanza, anche più grande. Mi dispiaceva un po' lasciarla. «E cosa dovrei dire?» questo però era un problema più urgente: non potevo salire sul palco e fare scena muta! Era il discorso del mio diploma, anzi del diploma di tutti quanti!
«Improvviserai.» Hotaru alzò le spalle e cominciò a trascinarmi per il corridoio. Lei aveva la divisa. Quella era l'ultima volta che l'avremmo messa, ed ero quasi commossa. Tanto che abbassai lo sguardo, fino alle mie ciabatte. Mi bloccai, guardando le scarpe di Hotaru.
Scarpe, ciabatte.
Ciabatte, scarpe.
Qualcosa non quadrava. Risalendo su per le gambe con gli occhi, mi accorsi che non avevo neanche la divisa addosso. Ero in pigiama. Inorridii. «Non c'è tempo per cambiarsi.» fu come se mi avesse letto nel pensiero.
«Ma...» tentai di ribattere: come avrebbero ricordato gli altri questo giorno? Io che salivo sul palco col pigiama senza neanche un discorso pronto... all'inizio poteva far ridere, ma cosa avrebbero raccontato ai loro nipotini, se non delle belle parole che si spendono quando ci si diploma? «Ma io...»
Mi zittì con un gesto della mano, e in un lampo fummo fuori. Non riuscivo a crederci. Mi ritrovai confusa per un attimo. «Adesso calmati.» la sua voce esprimeva tranquillità. «E andrà tutto bene.»
Annuii febbrilmente, cercando di convincermene. «Mi aiuterai, vero?» ero così fiduciosa che pensavo quasi di farcela, se ci fosse stata lei con me!
«No.» chiarì lei, gambizzando le mie speranze. Cercai di commuoverla con la mia espressione bisognosa. «Ho detto di no. Ho altro da fare, non posso trattenermi. Ci sono soldi da guadagnare.» e andò via, su un camion colmo di monete d'oro. Rimasi spiazzata.
«Hotaru è proprio fantastica!» sospirò Ruka-pyon, sorridendo, mentre anche il suo coniglietto aveva gli occhi che brillavano.
Non avevo mai sentito Ruka-pyon parlare così di Hotaru. «Ru... Ruka-py...» mi mise una mano sulla spalla, orgoglioso.
«Dovresti andare fiera di essere la sua migliore amica!» sentenziò e sparì, così com'era arrivato. Cominciai a guardarmi intorno, alla ricerca di qualche volto sconosciuto, ma il cortile era pieno di studenti, tanto che non riuscivo a vedere niente. Mi feci coraggio ed entrai nella calca, cercando di avanzare metro dopo metro senza riportare grossi danni.
Anche se non sapevo cosa dire, era necessario che andassi sul palco; non sapevo proprio perché, ma volevo andare sul palco. «Buongiorno!» salutai, prendendo il microfono. Ma nessuno mi sentì.
Picchiettai sul microfono: non funzionava. Non sapevo neanche come accenderlo. Mi girai in cerca di aiuto, trovai Narumi-sensei, vestito da pirata, con tanto di bandana nera sull'occhio destro, una cicatrice disegnata sulla guancia sinistra e un teschio sulla bandana. Deglutii: metteva paura!
«Benvenuta sulla mia nave, Mikan-chan!» era attaccato a una corda e teneva una spada in mano, brandendola come se dovesse tagliare l'aria. Mi girai per vedere se qualcuno l'avesse notato e, improvvisamente, mi portai una mano alla bocca: dove prima c'era stato un mare di studenti, adesso c'era solo quello: mare, azzurro, cristallino, piatto come una tavola. Non c'era altro che mare intorno a noi e alla nostra barca. Paralizzai: quando ero salita sulla barca? Ruka-pyon, Hotaru e gli altri erano tutti scomparsi. C'eravamo solo io e Narumi-sensei, e forse la ciurma. «Ti ammetto nella Naruciurma senza problemi!»
«Ma io non voglio diventare un pirata!» ribattei. Io dovevo fare il discorso! Era assolutamente importante che lo facessi! Il diploma non sarebbe stato tale, altrimenti! Dovevamo rispettare questa tradizione, altrimenti niente consegna. Niente consegna, niente diploma! Non potevo permetterlo, chissà quanti ragazzi aspettavano di riceverlo!
Narumi-sensei si fece pensieroso. «Cosa dovrei fare a questo punto?» si domandò, sfregandosi il mento con una mano. «Beh, se non può averti la mia ciurma, non posso permettere che ti abbia qualcun altro. Perciò...» unì le mani e sorrise: aveva sicuramente capito il mio problema, dopotutto, era di Narumi-sensei che stavo parlando! «ti darò in pasto ai pescecani.» indietreggiai: l'aggressore aveva una maschera uguale alla faccia del mio povero professore, probabilmente tramortito in qualche cabina? Dovevo trovarlo e salvarlo! Soprattutto, dovevamo scappare dalla nave e tornare a scuola!
«Ma...» mi guardai intorno, in cerca di qualcosa che potesse aiutarmi. Lui si staccò dalla corda, avvicinandosi con uno strano passo saltellante.
Mi puntò un dito contro. «Niente ma, signorina.» mi rimproverò, bonariamente. «Non puoi rifiutare un invito ufficiale a entrare nella Naruciurma e poi aspettarti che non ti succeda niente. Non è carino rifiutare le proposte degli amici.»
Indietreggiai, ma finii contro il parapetto della nave. «Devo per forza finire in pasto ai pescecani?» non sapevo neanche come fossero fatti i pescecani! Sapevo solo che avevano dei denti aguzzi e che avevano sempre una gran fame.
Narumi-sensei assunse un'espressione dispiaciuta. «Ho proprio paura di sì.» rispose. Poi alzò le spalle. «Guarda il lato positivo, c'è gente che crede nel Paradiso.» il parapetto dietro di me scomparve e io caddi. Ciò che c'era sotto di me vibrò in maniera sconcertante. Deglutii, e mi girai a guardare. Una tavola di legno pendeva dalla nave e dava nel vuoto. Sotto di essa c'erano dei pescecani con le bocche aperte, che battevano le pinne le une contro le altre, come se stessero applaudendo.
«Narumi-sensei...» pregai, girandomi, terrorizzata. «non potremmo... riparlarne?»
Lui alzò entrambe le sopracciglia, per poi calarsi alla mia altezza. «Mikan, tesoro,» disse lui, sempre sorridendo. «ognuno di noi deve prendersi la responsabilità delle proprie scelte. Non puoi sempre tornare indietro e scegliere la strada più comoda. Ormai è questa la tua decisione e devi arrivare fino in fondo.» capii solo in quel momento che avrei dovuto davvero saltare da quella specie di trampolino e che sarei diventata cibo per pesci. Lui non poteva salvarmi perché io avevo deciso così: perché ero sempre così stupida?
Arrivai al limite, con la gola secca. Non avevo il coraggio di dire addio al mondo... e Natsume? Natsume dov'era? Se non potevo dirgli addio, chi gli avrebbe detto che ero andata a riempire le pance degli squali? Sentii qualcosa spingermi e caddi nel vuoto, chiudendo gli occhi e gridando a più non posso.
«Mikan!» sentii una voce sgridarmi. «Perché cavolo ti sei buttata?» aprii gli occhi e trovai Natsume che mi guardava con aria di rimprovero. Lo guardai con tutta la gratitudine di cui ero capace: mi aveva appena salvata!
«Narumi-sensei ha detto...» tentai di spiegare, gesticolando. Mi accorsi solo in quel momento che eravamo di nuovo nel cortile della scuola.
«Non devi fidarti di quello che ti dice la gente solo perché ti sembrano amici!» sbottò, posandomi a terra. «Ti devo sempre insegnare tutto io.» rimasi appoggiata a lui: le gambe tremavano ancora al ricordo, e sarei certamente caduta a terra come una mela dall'albero se non mi fossi retta a lui.
«Mi dispiace...» mormorai. Guardai verso il palco: il pirata era scomparso e mi concessi un sospiro di sollievo. Niente più Naruciurma. Poi mi ricordai che cos'avevo da fare! «Alla fine sei venuto davvero al mio diploma!» aveva mantenuto la promessa! Ma, improvvisamente, mi sentii afferrare per la vita e mi ritrovai completamente schiacciata contro di lui.
«Lo sai,» mi disse, e notai solo allora che era vestito con abiti bianchi larghi e un turbante sulla testa che gli ricadeva su una spalla. «dovresti dare un bacio al tuo salvatore.»
Arrossii. «Non qui davanti a tutti...» lo sapevano tutti che stavamo insieme, ma era comunque imbarazzante.
«Oh sì.» ribatté lui, avvicinandosi. «Qui.» cercai di allontanarmi, imbarazzata, mentre lo spingevo. «Mutande-a-Pallini, che diamine stai facendo?» aveva completamente cambiato espressione: più irritato.
«Eh?» domandai, stropicciandomi un occhio. Mi guardai intorno, ero in camera sua, e stavo tentando di buttarlo giù dal letto. «Oh!» lo tirai nella direzione opposta, aggrappandomi alla sua maglietta del pigiama, in modo da farlo entrare di nuovo per bene sul materasso. «Scusami.»
«Che ti prende?» mi guardò, divertito. «Prima mi gridi nell'orecchio e poi cerchi di togliermi dai piedi? Che diavolo di sogno stavi facendo?» beh, come spiegarlo?
In effetti era... «Molto strano.» conclusi, a voce alta. Il dettaglio più nitido era sicuramente Narumi-sensei vestito da pirata, ma forse Natsume avrebbe riso e basta se gliel'avessi raccontato. «Sono curiosa di sapere come sarebbe finito...» chissà se sarei riuscita a fare il discorso. Speravo davvero che il mio diploma fosse diverso dal mio sogno.
«Bene.» commentò lui e sembrò davvero sollevato. «Perché non sono neanche le cinque.» guardai l'orologio per avere conferma. Quattro e quaranta. «Che ne pensi?»
Lo guardai, sorridendo. «Penso che sia una buona idea.» concordai, riappoggiandomi di nuovo a lui, sperando di non farlo cadere dal letto definitivamente con il sogno successivo. Lui mi abbracciò, e io appoggiai la testa contro di lui, sistemandomi tra le sue braccia.

Qualche ora dopo mi stavo mettendo la divisa per andare a lezione. Era una tortura alzarsi tutti i giorni per andare in classe! Sbadigliai, allacciandomi il fiocchetto sulla camicetta. Natsume ancora dormiva, beato lui. Le sue lezioni, a quanto mi aveva detto, cominciavano dopo quelle normali, ma finivano prima di pranzo. Non riuscivo davvero a credere che si sarebbe diplomato in meno di due mesi. Sembrava che fosse tutto normale, tutto come al solito, anzi, lui si era dimostrato anche più dolce, nei miei confronti, dopo il giorno dell'apertura dell'anno scolastico.
Chiusi la porta del bagno alle mie spalle, Natsume era steso su un fianco, con un braccio sotto al cuscino. Sorrisi, e mi avvicinai a lui, cercando di non fare rumore per non svegliarlo. Mi accucciai vicino al letto, se gli avessi detto quanto lo trovavo carino quando dormiva, non sapevo davvero come avrebbe reagito.
«Mikan...» borbottò, poco dopo, e pensai che stesse parlando nel sonno. «mi dà sui nervi se mi guardi mentre dormo.» mi portai le mani sul volto, in totale imbarazzo. Si girò dall'altro lato, con una specie di grugnito infastidito.
«Ehm–» tentai, ridacchiando nervosamente. Lui non diede nessun altro segno di vita. «non volevo svegliarti, ma...» distolsi lo sguardo per un momento. «Però... tu non stavi dormendo, giusto?» mi arrampicai sul letto con le ginocchia, per riuscire a guardarlo in faccia. Sembrava che stesse di nuovo nel mondo dei sogni, ma non potevo saperlo per certo, dato che mi aveva fatto prendere un infarto, quando mi aveva beccata a guardarlo.
Infatti, si mise sulla schiena e aprì gli occhi. «Ci stavo provando. Hai la grazia di un elefante quando ti alzi, o cammini Mutande...» aggrottò la fronte e non si fece troppi problemi ad alzarmi la gonna, rischiando di farmi cadere dal letto, per i miei tentativi di evitarlo. «ah! Non riesco a vedere!» inclinò la testa, forse per avere una miglior visuale, mentre io tentavo di sottrarmi al suo sguardo. «È davvero imbarazzante.» commentò, poi, vedendo i miei delfini colorati. Gli diedi uno schiaffo sul braccio, e lui ritirò la mano, ridendo a crepapelle. Dopodiché schiacciai la gonna contro le gambe, arrossendo furiosamente.
«Smettila di ridere.» lo pregai. Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. Mi tirò un codino, e poi ne attorcigliò la fine su un dito, facendomi formicolare la nuca. Succedeva sempre così quando mi toccava i capelli. Non mi ero mai accorta che fossero cresciuti così tanto da arrivare al materasso. Aveva smesso di ridere, ma il sorriso sulle labbra non era ancora scomparso. «Che... che c'è?»
Lui si tirò su, fino ad arrivare a sfiorare il mio naso con il suo, senza lasciar andare il mio codino. Trattenni il fiato, credendo che stesse per baciarmi, ma non lo fece: piegò la testa di lato e mi posò un bacio sul collo. Ripresi a respirare solo quando si staccò, e solo allora mi resi conto che lo stavo abbracciando. Mi ritirai velocemente, sentendo le guance in fiamme. Lui mi mise due dita sotto il mento per alzarmi il viso, in modo da poterlo guardare negli occhi, e poi mi baciò. Cercai di staccarmi: mi sentivo in qualche modo a disagio, dopo il sogno che avevo fatto, sapevo che era una stupidaggine, però non riuscivo a smettere di pensarci.
«Devo andare.» dissi, di fretta. Lui mi rivolse semplicemente un'espressione confusa, prima che io uscissi dalla camera.

Sospirai, chiusa la porta alle mie spalle, facendo attenzione a non essere vista da nessuno. C'erano state parecchie trasgressioni al regolamento, da parte di tanti studenti che erano stati trovati in dormitori in cui non avrebbero dovuto essere ed erano stati puniti severamente da Jinno-sensei in persona. Avevo sentito un ragazzo che raccontava di aver dovuto trascorrere una delle settimane delle vacanze estive a fargli da assistente, e aveva detto che Jiniin era stato peggio di un aguzzino. A volte non l'aveva neanche lasciato andare al bagno per ore, per finire di controllare i documenti dei nuovi studenti. Rabbrividii: non riuscivo a pensare a niente di peggio.
«Hotaru!» esclamai, vedendola uscire dal dormitorio femminile. Sbracciai per farmi vedere. Tutto quello che ricevetti in risposta fu un'occhiata, ma si fermò ad aspettarmi. «Lo sai? Stanotte ti ho sognata!»
«Chissà che emozione.» rispose, con l'attenzione rivolta ai propri appunti. Mi sporsi verso quello che stava leggendo, curiosa. Erano delle specie di disegni strani, con delle ancora più strane indicazioni e delle frecce.
«Che cos'è?» domandai, allora. Lei chiuse di scatto il quaderno e mi lanciò uno sguardo terribilmente calmo.
«È un progetto che ho intenzione di portare all'Alice Festival di quest'anno.» spiegò, tranquillamente. «A quanto pare ci sarà una mostra per questo genere di cose, sai, per raccogliere fondi. A quanto pare l'Accademia è un po' a secco e potrebbero anche decidere di ridurci la distribuzione di rabbit per categorie. Non vorrei dover rinunciare alle mie riviste robotiche, per questo.» sembrava davvero tenerci molto. «Qualcuno potrebbe decidere di comprare le mie invenzioni e fare una... generosa donazione, non ti pare?»
«Tu sei davvero un genio!» non avrei mai potuto pensare a un piano del genere! Hotaru era senz'altro la studentessa più formidabile di tutta l'Accademia! Non avevo mai fatto caso ai problemi economici della scuola, non sapevo neanche che ne avesse.
«Tu e la tua classe di abilità avete già deciso cosa portare?» feci un segno di diniego con la testa: ancora non avevamo avuto occasione per riunirci e parlarne per bene, anche perché non avevamo ancora scelto il nuovo rappresentante di classe, dopo il diploma di Tsubasa-sempai, e Noda-sensei era ancora disperso in chissà quale epoca storica. Per le vacanze estive era partito per vedere i dinosauri dal vivo e ancora non era tornato – dovevo confessare di essere un po' preoccupata. Era tutto piuttosto caotico e, fortunatamente, doveva mancare ancora parecchio perché il comitato studentesco non aveva ancora detto niente a riguardo. «Pensateci in fretta, le richieste devono essere portate tra poco.»
«Eh?» che significava? Di solito l'Alice Festival si teneva verso Febbraio, come l'anno scorso. Mancava ancora un sacco di tempo, no?
«Sarà meglio entrare in classe, non voglio arrivare in ritardo.» disse lei, aprendo la porta. I nostri compagni erano tutti seduti ai propri posti e avevano alzato lo sguardo quando avevano sentito la porta aprirsi. Probabilmente, temevano l'arrivo del professore. Ancora, però, non avevano sostituito Noda-sensei, e tutte le prime ore del giovedì eravamo sempre soli. Per fortuna, Jinjin aveva classi alle elementari, perché si era proposto di sostituirlo nel suo giorno libero.
«Buongiorno, ragazze!» ci salutò Ruka-pyon. Posò il libro che stava leggendo sul banco e coccolò un po' il coniglietto, che dormiva pacifico al suo fianco. «Pronte per il test?»
Mi irrigidii. «Quale test?» volli sapere, spaventata. Il mio sogno era stato un avvertimento di una catastrofe in arrivo?
«Qualcosa che riguarda la corsa.» la risposta di Hotaru si abbatté su di me come un monte su una formica. Co...corsa?
«Perché facciamo un test del genere?» io avevo il terrore dei test, non importava che cosa riguardassero, bastava che fossero classificati come tali per farmi prendere un colpo. «Hotaru!» cercai conforto, ma lei mi respinse, e mi feci qualche passo indietro, non appena lei tirò fuori l'arma anti-idiota. Erano anni che mi terrorizzava con quell'attrezzo!
«Per stabilire le nostre condizioni fisiche, tutto qui.» spiegò Ruka, tranquillamente. Poi tornò a leggere: la cosa non lo preoccupava minimamente.
«E i risultati... a che servono?» non avevamo mai fatto niente del genere. Però sembravano tutti così entusiasti! Lo erano talmente tanto che l'atmosfera mi coinvolse, quasi non vedevo l'ora di cominciare!
«Niente... solo per... dare un voto a educazione fisica.» mi spiegò una voce flebile alle mie spalle. Mi voltai: era la nostra nuova compagna di classe, nonché Presidentessa del Comitato Studentesco. Ora era tutto più chiaro! «Ho sentito degli studenti che si sono lamentati di non fare abbastanza attività fisica, e... ho pensato di dedicare questa giornata allo sport, dato che ci manca un professore... m-mi dispiace...»
«Oh...» chissà perché era così mortificata. «Non preoccuparti, guardali, sono tutti così contenti!» doveva esserlo anche lei, specialmente se aveva reso possibile la realizzazione delle loro aspettative.
Lei accennò un sorriso, dando uno sguardo alla classe che, divisa in gruppetti, parlava eccitata. Solo Sumire fissava tutti quanti con una strana smorfia. Chissà che aveva. Ultimamente Hotaru mi aveva diffidata dall'avvicinarmi a lei, e negli ultimi mesi non avevamo parlato molto. Mi dispiaceva molto, ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi girava la testa dall'altra parte, come se non mi vedesse. Anche Ruka-pyon aveva dovuto convincermi, oltre Hotaru e Natsume, che non ero diventata invisibile, grazie a un nuovo Alice, due settimane prima.
«Smettila di darci peso.» mi disse Hotaru, senza distogliere lo sguardo dal suo quaderno. Mi chiesi come facesse a sapere che stavo guardando proprio Sumire.
«Aspetta che sia lei a parlarti.» mi consigliò Ruka-pyon, sorridendo. Io annuii: aveva ragione, dopotutto. Magari stava passando un periodo non proprio roseo, e io avrei dovuto esserci se lei avesse voluto parlarne con qualcuno.
Mi girai verso Kisaki-chan: era una ragazza che non parlava molto, però a me sembrava davvero simpatica. «Andiamo fuori?» proposi. Lei mi rivolse un debole sorriso in risposta e annuì. «Che cosa faremo?» volli sapere poi, curiosa.
«Beh... in realtà non lo so di preciso. Ho fatto questa proposta ai Presidi e quello delle Elementari ha insistito per... organizzare la cosa.» non mi sentivo molto tranquilla, non sapevo perché. Le sorrisi in risposta.
«Corsa ad ostacoli?» fu Hotaru a parlare. Rivolsi lo sguardo verso il punto che la mia amica stava fissando e mi accorsi che era stata un po' riduttiva. Il cortile della sezione superiori era interamente disseminato di ostacoli. Però non erano semplici ostacoli, ognuno di essi – almeno a quanto avevo capito dalla spiegazione – doveva essere affrontato con il proprio Alice. Deglutii: che cosa avrei mai potuto fare, io?
«Che bello sport.» commentò un altro dei miei compagni di classe, sbuffando. «Pensavo solo a una sana corsa.»
Non sapevo quale delle due cose mi terrorizzasse di più: se una corsa a ostacoli, oppure usare il mio Alice in una situazione del genere. Vedere le due cose unite mi fece solo tremare le gambe, specialmente al pensiero che fosse anche un test. «Hotaru...» cercai il suo sguardo, ma lei era impassibile. «mi aiuterai, vero?»
Lei alzò le spalle, sedendosi a terra. «Non possiamo fare questa corsa.» decretò, e riaprì il quaderno, stavolta per scrivere qualcosa. Io la guardai, in cerca di una spiegazione: perché no?
«Dai,» disse Anna, prendendo Nonoko per un braccio. «proviamoci, sarà divertente!» poi si voltò verso di me e Hotaru. «Venite anche voi?»
Ridacchiai nervosamente. Non sapevo proprio che rispondere. «Ecco, veramente...» l'ipotesi più allettante era scappare a gambe levate, ma non volevo davvero rischiare di correre da sola. Mi imposi di calmarmi: era soltanto una semplice corsa. Riuscii quasi a convincermi. «Arrivo...» e così mi diressi verso di loro.
Il primo ostacolo fu semplice da superare, era l'unico che doveva essere saltato senza altre implicazioni, ma il successivo era tutto un altro paio di maniche. Era una specie di portone, ma non si poteva attraversare né aggirare, altrimenti si allargava, in modo da non permetterci di passare. «Ma che roba è?» sbuffò Nonoko, tirando un calcio a uno dei pannelli che lo sosteneva. «Non è possibile!»
Guardai in direzione di Hotaru, anche se avrebbe potuto fare poco per noi, visto che era troppo lontana perché potessi urlare e non mi sembrava corretto lasciare la pista prima di aver finito la corsa. Lei scuoteva semplicemente la testa. «Mikan, tu non puoi fare niente? In fondo questa cosa è stata fatta dall'Alice di qualcuno, no? Non puoi annullarlo?»
Ci pensai su: in effetti non avevano tutti i torti. Annuii. «Ci posso provare.» in fondo, non costava nulla. Il problema che si pose era: che cosa esattamente dovevo annullare? Il potere alla fonte (e in questo caso sarebbe stato impossibile perché non sapevo dove si trovasse) oppure l'effetto che aveva sul portone? Mi grattai il mento, in cerca di una risposta. Alla fine, decisi di provare ad annullarne gli effetti, se non avesse funzionato, potevamo dichiararci sconfitte e tornare dagli altri. Mi concentrai intensamente sul portone, cercando di percepire il potere da annullare.
«Mikan... va tutto bene?» mi domandarono entrambe. Venni colta da un altro capogiro, com'era successo qualche tempo prima, in camera di Natsume, e caddi a terra, sulle ginocchia. «Mikan!»
Scossi la testa, spaesata. «Credo di...» strizzai gli occhi: vedevo a pallini. «non esserne in grado.»
«Forse dovremmo portarti in infermeria.» propose Anna, preoccupata. Io scossi la testa: adesso stavo bene, mi ero semplicemente impegnata troppo per usare il mio Alice.
«Sei sicura?» volle accertarsi Nonoko. Io mi misi a ridere, e le vidi tranquillizzarsi almeno un po'. Così ritornammo, sconfitte, dai nostri compagni di classe.
«Si può sapere cos'è successo?» la voce inquisitoria di Hotaru arrivò con chiarezza alle mie orecchie.
Sorrisi. «Avevi ragione tu,» spiegai, sedendomi vicino a lei. «non possiamo fare questa corsa. Servirebbero tutti gli Alice della nostra classe insieme.»
«Che razza di scherzi.» commentò Koko, ributtandosi a terra anche lui, dopo che aveva provato a passare l'ostacolo numero due. «A che serve una corsa a cui non possiamo partecipare? Una corsa ad ostacoli per venti persone insieme è impossibile.»
«Infatti.» convenne Anna, scoraggiata. «Il Preside delle Elementari stavolta ha esagerato.» sospirarono.
«Che ne dite di rimettere a posto le cose?» domandai, attirando gli sguardi di tutti su di me. «Almeno faremo qualcosa insieme, se la corsa è fuori discussione.»
«Non è una cattiva idea.» commentò Nonoko, battendo le mani velocemente. «Su, cominciamo!» mi alzai, piena di energia. Questo sì che sarebbe stato divertente!

«Ehi!» spalancai gli occhi, lasciando andare i sostegni del traguardo e arrossendo al ricordo di come ero scappata via dalla stanza, quella mattina. Sembrava piuttosto arrabbiato... che fosse per quello? Mi girai lentamente, e lo trovai affacciato a una finestra del piano terra che dava sul cortile. Sorrisi debolmente. Lui mi fece cenno di avvicinarmi. Più che arrabbiato, sembrava... strano.
«Che succede?» domandai, sfiorandogli il viso con una mano. Lui non rispose, afferrandomi il braccio e attirandomi verso di sé. Appoggiò la fronte sulla mia testa, e sospirò. «Natsume...?»
«Ti devo parlare.» annunciò, con tono funereo. Alzai lo sguardo, senza muovere un muscolo, ma non riuscii a vedere i suoi occhi. «Entra dentro. Non sarà una cosa lunga.» fece un altro respiro profondo, come se stesse disperatamente tentando di darsi una calmata.
«Devo preoccuparmi?» avevo già iniziato a farlo, ancora prima di chiederlo. Lui non rispose, si allontanò e mi indicò solo con un cenno della testa la direzione della porta. Io annuii e mi affrettai a raggiungerlo all'interno dell'edificio. Il cuore mi batteva all'impazzata per la tensione: che fosse successo qualcos'altro? «Allora?»
«Non qui.» disse, prendendomi un polso e cominciando a trascinarmi su di una rampa di scale. Cominciò a stringere sempre di più a ogni passo che facevamo.
«Natsume...» lo chiamai. Tentavo di sottrarrmi alla sua stretta di ferro. «mi fai male.» lui allentò immediatamente la presa e quando arrivammo davanti alla porta del tetto mi lasciò andare.
«Scusa...» mormorò, appoggiandosi alla ringhiera delle scale, con le mani in tasca. Sembrava alquanto seccato. Sbuffò, gettando indietro la testa. «Sono stato convocato dal Preside delle Elementari, stamattina. Sono uscito giusto cinque minuti fa.»
Rabbrividii. «E... che... che ti ha detto?» lo incitai a continuare, dopo qualche secondo di silenzio.
Lui spostò di nuovo la testa, per guardarmi. «La data del diploma è stata spostata.» annunciò. Mi appoggiai al muro, pregando di non cadere. Fino a trenta secondi prima, ero sicura che mancasse ancora un mese e mezzo alla cerimonia.
«Q-quando?» mi sedetti, cercando di calmarmi. Forse era questo che stava cercando di dirmi il mio subconscio, con quel sogno assurdo.
«Tra due settimane.» fu la sua lapidaria risposta. Spalancai gli occhi, incredula. Due settimane? Non mi sarei neanche accorta che sarebbero passate! Appoggiai la testa a una mano, in preda a un capogiro: le cose non facevano altro che peggiorare, nonostante noi due avessimo cercato il più possibile di non parlarne e di non pensarci.
«M-ma...» tentai, inutilmente. «perché?» non era possibile che se ne dovesse andare anche prima del previsto. Mi strinsi le mani al petto: che cosa avrei dovuto fare?
Lui alzò le spalle, facendo una smorfia. Aveva spostato la data del diploma senza un motivo? Non riuscivo a capire! Alzai lo sguardo su di lui, in attesa che dicesse qualcos'altro, che fosse uno scherzo, o qualcosa del genere. «Penso di non aver appiccato fuoco allo studio solo perché c'ero dentro.» sbuffò, stringendo con forza la ringhiera. Scivolai a terra, senza più forze. Deglutii, cercando di recuperare la calma: dovevo dire qualcosa, credevo avesse bisogno che io lo facessi, solo che avevo la mente completamente svuotata. «Non so...» continuò, con una smorfia. «nemmeno come arrivarci. Due settimane non sono sufficienti per il lavoro che ho da fare. Ciliegina sulla torta, se supero l'esame sarà difficile, ma se non lo supero ci saranno grossi problemi. È una cosa davvero semplice.»
Non capivo quasi niente di quello che stava dicendo, di problemi e cose varie. Ebbi paura che stesse delirando. «Non fare così.» lo pregai, alzandomi, per prendergli le mani che agitava in modo preoccupante.
«Mi dispiace.» mormorò, abbracciandomi. Chiusi gli occhi, per evitare di piangere: non si poteva proprio fare niente per evitarlo?

Due settimane dopo, capii che era davvero così che sarebbe andata. Ero seduta sul letto, sotto le coperte, mentre mi abbracciavo le ginocchia, riflettendo su cosa avrei potuto fare per rendere speciale il suo ultimo giorno in Accademia. Mi si accelerò il battito cardiaco al pensiero che fosse seriamente l'ultimo. I risultati degli esami erano usciti due giorni prima, e lui era il primo della lista, come al solito. Il risultato migliore. In un'altra occasione sarei stata di sicuro più contenta. Mi girai su un fianco: erano le sette e mezzo, e la consegna ufficiale dei diplomi era prevista per le nove. Avrei dovuto alzarmi e prepararmi, ma proprio non riuscivo a mettere un piede fuori dal materasso. Se il tempo si fosse fermato, sarebbe stato un sollievo.
Ero stata io a proporre di dormire ognuno nella propria stanza, almeno per quella notte, ma il non trovarlo lì dove mi aspettavo che fosse, appena sveglia, mi fece provare un po' di sconforto. Mi ributtai con la testa sul cuscino, fissando quello di lato al mio, che avevamo deciso di mettere se avessimo dovuto fermarci in camera mia. Sarebbe sempre stato così, da quel giorno in avanti, e non riuscivo a capacitarmene. Per il momento, sapevo solo che se avessi aperto la porta e deciso di andare nel dormitorio maschile l'avrei visto, ma dopo? Non sapevo davvero cos'avrei fatto.
«Che combini?» una voce mi arrivò dalla direzione della finestra e scattai a sedere, spaventata. Natsume era seduto sul davanzale, con un braccio appoggiato su un ginocchio e l'altra gamba che gli pendeva dentro la stanza. Rimasi a fissarlo per un po', quasi come un miraggio. Lo vidi rivolgermi uno sguardo stupito, come se fossi una mucca su una mongolfiera a pois. «Volevi dormire in camere diverse perché avevi paura che ti prendessi in giro per il pigiama, non è vero?»
«Eh?» domandai, spiazzata, fissandomi il pigiama. Era largo, come piacevano a me ed era rosa, con disegnati sopra dei maialini fucsia con le ali che, tra le zampe, avevano delle cetre azzurre, ed erano tutti circondati da stelline. Io lo trovavo veramente carino. «Perché dovresti prendermi in giro?»
«Ehm...» si morse il labbro inferiore, per un attimo mi sembrò senza parole. «giusto... perché mai?» alzò le spalle e si sedette sul letto, vicino a me. Lo guardai meglio: da quel che sapevo io, la consegna dei diplomi doveva essere fatta in un certo modo, che comprendeva vestirsi diversamente dal solito, ma lui aveva la solita divisa. Mi lanciò uno sguardo strano, come se volesse farmi una domanda che io avrei dovuto capire. Non ero mai stata brava nelle conversazioni non verbali, ma sembrava che nessuno dei due volesse rompere il silenzio che si era creato. Sapevo che portare il discorso a galla avrebbe semplicemente gettato una patina di malumore su entrambi, e così volevo evitare il discorso, benché ci pensassi più spesso di quanto avrei dovuto. Dopo che mi aveva detto che la data era stata spostata, avevamo stipulato un tacito accordo di non parlarne mai, un po' come prima, solo con la pressante consapevolezza che sarebbe finito tutto entro tempi molto più brevi.
Lui si limitava a fissarmi e dovevo ammettere che la cosa mi metteva in soggezione: era come se aspettasse che fossi io a fare qualcosa, ma cosa avrei dovuto fare? Lo vidi trattenersi dallo scoppiare a ridere e risposi con un'espressione sconvolta.
«Scusa, è che...» scosse la testa, non distogliendo lo sguardo da me. «è ridicolo quel coso che hai addosso!» all'inizio non seppi bene che dire: la sua frase mi aveva colto del tutto alla sprovvista. Io mi preoccupavo, mentre lui pensava al mio pigiama. Trattenni un sospiro sconsolato.
Mi coprii i miei piccolini con le braccia: chi non li apprezzava, non avrebbe dovuto fissarli. «Cos'hai contro i miei maialini?» volli sapere, accusatoria.
«Perché, sono maiali?» chiese, stupito. Abbassai di nuovo lo sguardo, per vedere se si capisse o meno a una prima occhiata se quelli fossero dei teneri maialini o qualcosa di diverso. Ma non riuscii proprio a immaginare nient'altro. Annuii. «Ah.» fu il suo commento.
Mi buttai di nuovo sul letto, mentre l'orologio segnava impietosamente le otto di mattina. Non sapevo bene cos'altro dire. Era davvero troppo tardi perché continuassimo a ignorare la situazione. Improvvisamente una domanda interruppe i miei pensieri. «Che ci fai qui?»
Borbottò qualcosa, prima di tornare a fissarmi col suo solito sguardo deciso. «Niente.» disse, mentre io sorridevo. Per tutta risposta, sbuffò. «Credevo che ce l'avessi con me.»
«E perché?» non credevo di aver mai dato quest'impressione, anche perché non era affatto così. Forse era perché gli avevo chiesto di dormire in stanze separate? Era semplicemente perché volevo evitarmi di vederlo uscire dalla stanza un po' prima di me, sapendo a cosa andavamo incontro. Sarebbe stato più semplice vederci alla cerimonia.
«Lascia perdere!» sbottò, infastidito e forse anche imbarazzato. «È così?» scossi la testa, e lo vidi tranquillizzarsi un po'. Gli presi una ciocca di capelli e la tirai: lui lo faceva sempre con me, pensavo che fosse per allentare la tensione. Tutto stava nel provare. «Che... ahia.» brontolò, tirandosi indietro. Sorrisi, avvicinandomi ancora. Mi afferrò la mano, e la strinse. «Sono qui anche per un'altra cosa.» non sapevo proprio che altro potesse spingerlo a venire qui. «Mi hanno detto che ti sei sentita male un'altra volta. Si può sapere che ti prende?»
Abbassai lo sguardo. «Non lo so.» ammisi, sospirando. «Ogni tanto mi gira la testa e mi sento debole, tutto qui... non c'è niente di cui preoccuparsi.» lo sguardo che mi stava rivolgendo mi diceva a chiare lettere che lui non la pensava così.
«Perché diamine non me ne hai parlato? Dovresti andare in ospedale a farti visitare.» insistette. Lo fissai negli occhi, colpita da tutta quella preoccupazione.
«Non te ne ho parlato perché mi è completamente passato di mente.» confessai, con un po' di imbarazzo. «Con tutto quello che sta succedendo in questi giorni! Sono solo... disorientata. Tu te ne vai e non so cosa fare! Ed è... tutto così... complicato. Fisicamente, sto bene.» per il resto era diverso. «Mi dispiace... non volevo farti agit...»
«Se finisci la frase, non so come potrei reagire.» mi avvertì, con tono serio. «Smettila di chiedermi scusa!» fu un sussurro a cui non riuscii a replicare perché mi baciò, molto delicatamente. Si allontanò dopo qualche istante, ma non trovai la forza per cambiare posizione. «Dovresti cambiarti.» sussurrò a una distanza minima. Assentii con un mugolio, senza muovermi o distogliere lo sguardo da lui, che fece lo stesso. Avrei potuto avvicinarmi e ci saremmo baciati di nuovo, ma fu lui a farlo e mi ritrovai ad abbracciarlo in modo che fossimo il più uniti possibile. Il respiro mi si era mozzato in gola e il mio stomaco aveva fatto un balzo di qualche metro. Mi allontanai per riprendere fiato. Gettai uno sguardo all'ora: otto e mezzo. Rimasi a fissarlo per un po', abbracciata a lui.
«Forse hai ragione.» concordai, non troppo convinta. «È tardi...»
Mi baciò una tempia e si alzò. La sensazione di vuoto che lasciò il suo movimento era indescrivibile. «Bene,» disse, lasciando andare la mia mano. «allora vado anch'io. Devo mettermi quella cosa ridicola. Solo...» distolse lo sguardo per un momento. «non farmi foto. È imbarazzante.»
Cercai di non mostrarmi troppo delusa. «D'accordo.» acconsentii, facendo un sorriso tirato. Uscì da dov'era venuto. Sinceramente, mi chiedevo ancora come riuscisse a saltare come un grillo dal secondo piano senza rompersi l'osso del collo.

Poco più di mezz'ora dopo, io e gli altri miei compagni di classe eravamo nel cortile. Avevano insistito per esserci, e il fatto che anche Hotaru fosse lì mi aveva commossa. Pensavo che avesse troppo da fare nelle preparazioni per l'Alice Festival, e invece eccola lì.
«Hotaru!» la chiamai, gettandomi tra le sue braccia. Lei mi diede una pacca sulla spalla e poi mi allontanò da sé. La guardai stupita: nessuna arma strana dal nome strano era sbucata fuori dal nulla. Mi trascinarono, ancora traumatizzata, verso le prime sedie libere e le occupammo.
«Ehi, Mikan...» mi chiamarono Anna e Nonoko, con espressione preoccupata. «come ti senti?» non sapevo bene come rispondere a quella domanda.
«Beh... sono un po'...» mi grattai la testa, a disagio. «stordita.» forse non era la parola esatta, ma almeno era una delle tante cose che mi sentivo.
«Dovresti rendergli quest'ultimo giorno in Accademia indimenticabile.» mi suggerì Anna, con convinzione. Ci ragionai su, seriamente, ma in che modo? Prima di tutto, pensai a cosa avrei voluto io: una bella festa. Il sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra: ecco cosa dovevo fare! Quella era la soluzione. Era talmente ovvio che quasi non riuscivo a crederci!
«Ci sono!» esclamai, spiegando a tutti la mia idea. Si guardarono tutti per un po' di tempo, lasciandomi fuori da quella taciturna discussione. «Quindi...?»
«Sei... sei sicura?» domandò Ruka-pyon, dubbioso. «Insomma... Natsume non è proprio il festaiolo per eccellenza e...» si bloccò, in cerca delle parole da usare. «l'altra volta non mi è sembrato particolarmente felice che... fossimo in camera sua. Per il tuo compleanno, ricordi?»
Ricordavo che mi aveva detto qualcosa a riguardo, ma in questo momento non mi sovveniva cosa. «Andiamo,» tentai, congiungendo le mani in segno di preghiera. «per favore! È il suo ultimo giorno, possiamo permetterci uno strappo alla regola...»
Ruka-pyon però non abbandonava la sua espressione dubbiosa. «Spero che tu abbia ragione.» non avevo idea di come Natsume si fosse mostrato a lui per terrorizzarlo così tanto alla sola idea di vederlo irritato. In effetti, credevo di averlo visto arrabbiato raramente, nei miei confronti perlomeno, e tutto prima di stare insieme ufficialmente.
«Vedrai,» cercai di rassicurarlo, con una pacca sulla spalla. «andrà tutto bene.» lui annuì, e sperai di averlo convinto. Mi guardai intorno: c'era un sacco di gente. Ridacchiai, alla fine tutta la scuola era sempre riunita nel cortile, per un motivo o per un altro.
«Guardate!» gridò Koko, indicando il palco. «Arrivano i Presidi! Sta per cominciare!» trattenni il fiato, cercando di scorgere Natsume, ma non vidi nulla, per via della calca che si era formata davanti a noi. «Avremmo dovuto fare più in fretta.» notò Hotaru, a braccia conserte, con espressione annoiata. «Di questo passo non vedremo niente.» perfino il discorso al microfono ci arrivò del tutto ovattato. Hotaru mi disse solo che aveva detto tanti bei paroloni sulla vita che avremmo condotto una volta fuori dall'Accademia e qualcos'altro sulla nostra indiscutibile superiorità rispetto al genere umano. Per fortuna non si sentiva, sembrava molto inquietante. «Tutto qui.» concluse, riponendo il suo microfono e le sue cuffie.
«Ah...» commentai, spiazzata. Sedetti con le ginocchia sulla sedia, giusto per guardare sopra le teste degli altri studenti. Vedevo solo che i ragazzi della classe di Natsume erano stati fatti salire sul palco. C'era anche lui, ma avevo il dubbio che non sarebbe riuscito a vedermi neanche se avessi sbracciato al massimo delle mie possibilità.
Il Preside delle superiori si alzò, mentre Kisaki-chan portava i diplomi in braccio, accanto a lui. Ne prendeva uno e chiamava il nome del candidato, a cui poi stringeva la mano e consegnava l'enorme foglio. Quando fu il turno di Natsume, vidi che si guadagnò anche una pacca sulla spalla, in risposta a un sorriso tirato. Mi fiondai giù dalla sedia, correndo verso il lato della fila: scendendo dalle scale mi avrebbe sicuramente vista. Inciampai in qualche gamba, ma alla fine arrivai a destinazione. Mi voltai per vedere da dove stesse arrivando, ma non vidi assolutamente niente.
«Guardi sempre dalla parte sbagliata, Mutande-a-Pallini.» commentò lui, e mi girai di nuovo per guardarlo. Lanciò il suo diploma già arrotolato a Ruka, che tentò di non farlo cadere a terra, e mi abbracciò. Sorrisi, appoggiando la testa alla sua spalla, con gli occhi socchiusi. «Divertente che tu le abbia messe davvero.»
Mi allontanai da lui, in imbarazzo. «E dai...» arrossii e cercai di tenerlo lontano stendendo le braccia. Lui mi rivolse un sorriso furbo, facendo schioccare la lingua. Cercai di lanciargli uno sguardo risentito, ma non funzionò, soprattutto perché non ce l'avevo affatto con lui. Lo vidi reprimere un ghigno e lo guardai, aspettando che si spiegasse.
«Aspetta qui.» mi raccomandò, sparendo tra la folla, sentendolo solo chiamare qualcuno. Decisi di non girarmi, perché forse me lo sarei ritrovato di nuovo alle spalle. Mi pizzicò un braccio qualche secondo dopo, mettendomi qualcosa in testa. «Te lo dico adesso, così puoi metterti l'anima in pace. Questa sarà l'unica foto che farò oggi.» alzai gli occhi su quello che avevo in testa, ma non riuscii a vedere. Lo presi in mano e scoprii che era un cappello uguale al suo. Rimasi completamente di sasso: era l'ultima cosa che mi sarei aspettata che facesse. Non ebbi neanche la forza di ringraziarlo, o di dire la prima stupidaggine che mi fosse venuta in mente. Ero ammutolita. Lo senti sbuffare, e mi prese la macchina fotografica dalla tasca: sapeva che la tenevo lì. «Prendi!» la lanciò a Ruka-pyon che per non far cadere a terra né la macchina né il diploma, stava per sbilanciarsi pericolosamente.
«Devo farvi una foto?» domandò lui, dubbioso. Effettivamente, tutti sapevamo bene quanto Natsume preferisse fare qualunque altra cosa piuttosto che farsi fotografare. Non sapevo perché di questa repulsione, io trovavo che le foto fossero il mezzo perfetto per immortalare dei bei momenti. Anche se questo non portava ad eventi piacevoli, era pur sempre il suo diploma, e doveva essere ricordato. Mi passò un braccio intorno alle spalle e mi attirò a sé. Sorrisi, rimanendo a fissarlo, mentre Ruka-pyon scattava la foto. Sapevo bene cosa dovevo fare, adesso, col portafotografie che avevo dimenticato di lasciare dal nonno.

«Cosa significa questo?» domandò, staccando un pezzo di striscione dal muro, con uno sguardo pericolosamente arrabbiato. Deglutii, accennando un sorriso. Come spiegarglielo? L'avevo trattenuto fuori per gran parte del pomeriggio in modo che i nostri compagni avessero tempo di addobbare la stanza per la festa. Avevo preferito che fosse una sorpresa, sarebbe stato più d'effetto. Anche se... non era esattamente quello che mi ero immaginata.
«Ehm... volevamo...» balbettai, lui aveva tutta l'aria di voler sentire la spiegazione. «fare... qualcosa di speciale, ecco!» abbassai lo sguardo, sulle mie mani, che stavo stringendo convulsamente tra loro. «Siccome è... l'ul-ultimo giorno...»
Lo vidi fare un respiro profondo. Ebbi paura che fosse un brutto segno. «Una festa.» non era una domanda, ma una semplice affermazione. Io annuii, non sapendo come altro comportarmi. Chiuse gli occhi, come se quella fosse stata la più brutta notizia della Terra e io avessi dovuto smentirla. Non credevo che fosse così male avere una festa tutta per sé come saluto. «Stai scherzando.» neanche questa era una domanda.
«Perché mai dovrei scherzare?» sbuffai, quasi offesa. Credeva che avessi fatto fare tutto quel lavoro ai nostri compagni per dirgli che era una burla? «Credevo che fosse il modo migliore per salutare gli altri, tutto qui!» assunsi un'aria colpevole: forse, prima, avrei dovuto chiedergli cosa preferiva lui. «Mi...»
«D'accordo.» rimasi spiazzata dal cambio di comportamento. «Dove sono gli invitati?»
Sorrisi a trentadue denti, cominciando a battere le mani per la contentezza. «Sono qui ovviamente!» trillai, e subito dopo gli altri sbucarono da dietro le poltrone, le tende, dal bagno e da sotto il letto. Natsume aveva un'espressione indescrivibile sul volto, credevo che fosse... sorpreso, ma era strano.
«C'è qualcun altro nascosto nell'armadio per caso?» mi girai verso di lui, che aveva un tono piuttosto irritato. Koko alzò le spalle, guardandosi intorno.
«Tanto è vuoto.» si giustificò, con tono leggero. «Non vi andrebbe di mangiare?» Natsume si sedette sul divano, appoggiandosi allo schienale, quasi rassegnato. L'occhiata che rivolse ad ognuno di loro non indicava niente di buono.
«Già!» intervenni, per cercare di salvare l'atmosfera. «Mi sembra un'ottima idea.» loro sorrisero e scoprirono tutte le prelibatezze che Anna aveva portato su dalle cucine e che ora si trovavano su quella che era stata la scrivania di Natsume.
«Allora,» intervenne Kitsuneme, solenne. «dovresti fare un discorso di addio a questo punto.» si rivolse a Natsume, con tono estremamente serio. Lui inarcò semplicemente entrambe le sopracciglia, scettico, tenendo un bicchiere in mano. «D'accordo, allora, lo farò io!» venne a sedersi vicino a me e dopo avermi rivolto una lunga occhiata accusatoria, rivolse l'attenzione al nostro amico. Accennai un sorriso nervoso. «Dunque: ci conosciamo dai tempi delle elementari, e perciò è molto difficile fare questo discorso.» mi misi ad ascoltare con attenzione: sembrava davvero che lo stesse dicendo con sentimento. «Ma... ovviamente è giunto il momento di salutarsi, e so che è molto... strano. Insomma, io credevo che saremmo rimasti insieme fino alla fine, che ci saremmo diplomati tutti insieme,» sorrisi tristemente, perché lo credevo anch'io. «ma poi... beh, le cose sono cambiate e... anche se ci dispiace, oggi ci troviamo qui per...» elencò i motivi per cui tutti quanti ci eravamo sentiti uniti per tutti questi anni, e riportò alla memoria anche episodi abbastanza divertenti che avevamo vissuto insieme. Era davvero un discorso commovente, o almeno io stavo per scoppiare a piangere. Continuò per un sacco di tempo, a partire addirittura da prima che io entrassi in Accademia, fino ad arrivare ad avvenimenti recenti. «Come non dimenticare quella volta che Jinno si è arrabbiato con Mikan per aver dato fuoco alla sua classe? È stata una liberazione sapere che non dovevamo più beccarci le esercitazioni pomeridiane, e poi...»
«Quanto durerà ancora?» mi chiese in un bisbiglio, quasi esasperato, Natsume. Effettivamente, tutti quanti si erano quasi addormentati. Sumire, sbadigliando, gli tirò un cuscino.
«E finiscila!» ringhiò, stizzita. «Abbiamo capito: ti dispiace.» Kitsuneme la guardò quasi con risentimento.
«Era il discorso più bello e lungo della mia vita!» obiettò, ferito nell'orgoglio. La sentii borbottare qualcosa riguardo alla pesantezza delle proprie palpebre, ma non riuscii a sentire altro.
Koko si alzò, schiarendosi la voce. «Vorrei farti presente che...» tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta dalla tasca. «questa l'abbiamo scritta tutti insieme, perciò... beh, solo... non avercela solo con me, okay?» «Ci proverò.» assicurò Natsume, senza particolare entusiasmo.
Si schiarì di nuovo la voce e prese un respiro profondo. «Ed è qui il nostro Natsume,
che serve alla nostra classe come il tuorlo all'albume.
Oggi stai per salutarci,
ma non siamo qui per disperarci,
divertirci noi vogliamo,
e ai ricordi ci appigliamo.
E ora che siamo qui, il cuore salta in diagonale
e precipita nel sale.
Crederci è impossibile
infatti già sembra incredibile,
quasi come un cammello che apre la finestra
e aggiusta una balestra.
E guardando un pulcino nudo,
qui mi fermo, passo e chiudo.
» in effetti, Piopio era uno degli invitati, ma dalla finestra si poteva vedere solo un occhio e il becco. Koko fece un inchino profondo e si rimise a sedere. Guardavo i miei compagni di classe ridere a crepapelle. Natsume era rimasto fermo tutto il tempo, immaginai che fosse perché non voleva esternare le proprie emozioni davanti agli altri. Ma era comunque inutile, dal momento che Koko leggeva nel pensiero. Perché non si lasciava andare un po'?
«C'è un altro regalo.» sussurrò Nonoko, imbarazzata, stendendo le braccia e rivelando un contenitore rotondo pieno di strane caramelle. Ricordavo che l'ultima volta che avevo visto qualcosa di simile era stato il giorno di San Valentino. Rabbrividii. Anche lui sembrava piuttosto intimidito. «Sta' tranquillo. Sono solo caramelle.» si affrettò a spiegare. «Sono di vari tipi, per avere più memoria, meno bisogno di dormire, alcune servono a fare bei sogni, altre a ricordare meglio eventi passati, mentre ce ne sono anche alcune che ti fanno addormentare all'istante. Non so se possano esserti utili ma è tutto ciò che ho potuto fare.» intanto che spiegava gli indicò i colori per ogni caramella. Io avevo già dimenticato tutto, ma ero sicura che Natsume si ricordasse ogni mossa alla perfezione.
«Ehm...» prese le caramelle, indeciso. «grazie.»
Strinsi il portafotografie che avevo incartato. «Adesso il mio.» dissi, porgendoglielo. Lui mi guardò curioso, come se non si fosse aspettato niente. Era una cosa che mi aveva suggerito Hotaru qualche giorno prima: mi aveva detto che potevo tenermi in contatto con lui, in questo modo, anche se potevo dimenticarmi di poter ricevere una risposta. Non importava, l'essenziale era potergli far sapere cosa succedeva e avere la sensazione che potesse sempre sapere dov'ero e che cosa stavo facendo. Lo scartò e rimase sorpreso. Mi limitai a sorridergli, avrebbe capito tra qualche giorno a cosa servisse.
Dopo di me toccò agli altri, che gli regalarono (oltre al foglio con la poesia), delle foto della classe e delle candele. «In caso non riuscissi a trovare una casa e ti servisse un po' di luce.» disse Koko, con un sorriso. Poi fu il turno di Sumire, che gli porse un pacco incartato.
«Potrebbe servirti per portarti dietro ciò che ti serve.» disse, senza guardarlo. Lui lo scartò e si ritrovò con in mano una borsa nera molto capiente.
Si era alzato Ruka dopo di lei. Sembrava proprio scosso. «Ecco...» iniziò, deglutendo. «questi sono i volumi più recenti dei manga che stai leggendo. Li ho avuti in anteprima per posta dalla mamma, lei si è messa in contatto coi disegnatori.» glieli porse. «Tanto lo so che... tu te ne saresti dimenticato, quindi...» si trattenne, e rimasi colpita dal fatto che stesse per piangere. «Beh, stai bene, amico.» si abbracciarono e dovetti impegnarmi a fondo per non seguire Ruka a ruota. «Io vado.» disse, asciugandosi una guancia, per poi salutarci tutti con un cenno della testa. Uscì dalla porta che fece un tonfo sordo, nel silenzio che si era creato.

Quando tutti uscirono dalla stanza, li salutai sulla soglia e chiusi la porta, esausta. Mi appoggiai con la schiena ad essa, sospirando; scivolai a terra, raggomitolandomi su me stessa, tentando di rilassarmi almeno un po'. Natsume non era stato molto partecipativo, anche se erano venuti tutti quanti per salutarlo. Mandai giù della saliva per evitare di sentire la gola secca, ma non servì a molto. «Non eravamo rimasti...» iniziò lui, con voce scocciata. Io alzai lo sguardo. Era steso sul letto e guardava il soffitto. «che non avremmo più fatto feste in camera mia e senza il mio permesso?» si tirò su a sedere e mi guardò davvero male, doveva essersela presa molto, benché la festa fosse stata poco rumorosa e non troppo lunga.
Risi nervosamente, grattandomi la testa, in tremendo imbarazzo. «Scusa...» abbassai lo sguardo, sentendomi davvero in colpa. «volevo davvero fare qualcosa, prima che...» mi sforzai di trattenere le lacrime. Avevo promesso. «che... tu...» non continuai la frase, e lo sentii sbuffare. Ora che si era diplomato, non sapevo che cosa avrebbe dovuto fare. Alzai di nuovo gli occhi, improvvisamente colta da una fitta allo stomaco. «Quando...?» mi accorsi solo in quell'istante di quanto la domanda stesse premendo sulle mie labbra per uscire e, nonostante questo, non riuscivo a concluderla, quasi questo avesse evitato la sua partenza. Ma era lo stesso quasi come se mi fossi tolta un grosso peso di dosso. In un certo senso, avevo sempre avuto paura di ricevere una risposta, e ne avevo ancora, ma il bisogno di sapere l'aveva sopraffatta.
Lui non fece neanche finta di non capire. «Non lo so... di preciso.» sperai tanto che non mi stesse mentendo di nuovo. Non avrei sopportato di non poterlo salutare. «Domani mattina molto presto, credo.» spalancai gli occhi, mentre sentivo che i miei buoni propositi erano sul punto di crollare e cominciavo a tremare.
«C-così presto?» balbettai, mentre ancora tentavo di trattenere le lacrime. Lo fissai negli occhi e per la prima volta mi resi realmente conto che non poteva fare niente per restare, che sarebbe andato via davvero, e che forse,, dovevamo usare quel preciso istante per dirci addio. Prima di quel giorno era sempre stata quasi un'ipotesi impalpabile, qualcosa che ancora era troppo lontano per potersene preoccupare davvero: ero convinta che Natsume avrebbe trovato una soluzione, esattamente come aveva sempre fatto. Non era più così, non questa volta. Non riuscii a trattenere un singhiozzo e quella fu, probabilmente, l'ultima goccia. Le lacrime cominciarono a annebbiarmi la vista, senza che potessi neanche pensare di opporre resistenza, contrariamente a tutti i miei tentativi di non peggiorare ulteriormente le cose.
Sentii il rumore delle molle del letto, e i suoi passi che si avvicinavano. Istintivamente mi chiusi ancora di più su me stessa, stringendo le ginocchia al petto più che potevo. Mi passò una mano tra i capelli, sospirando, mentre i nastri che lui stesso mi aveva regalato scivolavano a terra, senza far altro rumore che un delicato fruscio. Non volevo che finisse in questo modo, perché non riuscivo a smettere di piangere?
Si sedette di fronte a me, senza smettere di accarezzarmi i capelli. «Mikan...» mi chiamò, con dolcezza. Strinsi più forte le mie ginocchia: non volevo guardarlo.
«Non dirmi addio.» lo pregai, con la voce impastata dal pianto, rendendomi subito conto di quanto egoistico suonasse. Mi sentii subito molto peggio. Sapevo perfettamente che non dipendeva da lui, e sicuramente le mie parole e il vedermi in quello stato lo stavano facendo sentire più male di quanto potessi solo immaginare. Sentii la sua presa farsi più stretta, ma non disse una parola. Poi, senza preavviso, un'altra domanda mi attanagliò lo stomaco: qualcosa a cui non avevo mai pensato prima. «E se tu non potessi venire al mio diploma?» questa, probabilmente, era quella che pesava più delle altre. Potevo sopportare, forse, di guardarlo andare via. Ma non avere più la possibilità di vederlo per i successivi due anni era impensabile. Alzai lo sguardo, scioccata e per un attimo la luce della stanza mi fece girare la testa.
Si morse il labbro inferiore e appoggiò la fronte alla mia, chiudendo gli occhi, le sue mani ancora tra i miei capelli. Avrei tanto voluto che avesse qualcosa da dire. Il cuore mi batteva all'impazzata per l'attesa e per il terrore di ricevere una risposta che non avrei voluto mai sentire. Strinsi con forza le maniche della sua camicia, come se avessi voluto assicurarmi che, in quel modo, non sarebbe andato proprio da nessuna parte. Mi attirò verso di sé, abbracciandomi, con un gesto che mi parve veramente molto lento. Appoggiai la testa sulla sua spalla, mentre il rumore del mio cuore che batteva, nel silenzio della stanza, mi rimbombava nelle orecchie.
Chiusi gli occhi, prendendo un bel respiro a scatti, dato che il naso era completamente tappato. Natsume mi baciò la tempia, e il suo gesto trasudava una calma del tutto innaturale, tanto che ebbe l'effetto opposto. Tutto quel silenzio, quella tranquillità, quei gesti lenti, erano del tutto fuori dal normale e tutto ciò mi metteva addosso un'agitazione pazzesca. Tutto quanto stava per finire: questa era l'unica cosa che ero in grado di pensare.
«Io... io non...» stavo per dirgli che non riuscivo a sopportare tutto questo, di pregarlo di dire qualcosa. Tutto quel silenzio mi faceva quasi impazzire, volevo soltanto che parlasse, non mi importava di cosa. Invece, mi posò due dita sulle labbra, bloccandomi all'istante, e mi offrì semplicemente un mezzo sorriso. Mi scostai un po', del tutto spiazzata, e cercai di riprendere a parlare, ma nel momento in cui stavo per aprire di nuovo la bocca per farlo, Natsume mi zittì con un bacio. La sua lingua scorreva con lentezza esasperante sulle mie labbra e, poi, nello stesso modo toccava la mia, senza fretta, come se avesse voluto far durare tutto quanto per molto tempo.
Quando si allontanò da me, sussurrò di nuovo il mio nome, ma gli impedii di continuare. Era del tutto irrazionale, perché se prima avevo desiderato che parlasse, adesso volevo l'esatto opposto. Impegnai di nuovo le sue labbra con le mie, con la febbrile urgenza di non lasciar andare la sua camicia per nessuna ragione. La sua stretta era più forte delle altre volte, ma non così tanto da farmi male, non c'era nessuna fretta o urgenza nei suoi gesti, del tutto controllati, o forse era soltanto il modo in cui lo percepivo io. Mi sembrava che ogni cosa durasse un'eternità, e non mi dava più la sensazione che fosse sbagliato, come poco prima, era quasi come se tutta quella calma mi avesse contagiata all'improvviso.
Mi prese le mani e si tirò su e poi mi attirò di nuovo a sé, senza il minimo sforzo, stringendomi un braccio intorno alla vita. Le nostre labbra si incontrarono di nuovo, per pochissimi secondi. Dopo che ci separammo mi rivolse un altro sorrisetto, a cui, questa volta, non potei evitare di rispondere. Si morse il labbro inferiore, senza smettere di sorridere, e per un attimo rimasi imbambolata a fissare i suoi occhi, fino a che non aggrottò le sopracciglia, e io arrossii. Scosse la testa, divertito, forse, e si avvicinò, di nuovo, mettendomi una mano dietro la schiena. Rabbrividii, sollevando la testa per baciarlo. Si staccò poco dopo, mentre io mi sporgevo ancora verso di lui, che aveva, evidentemente, diverse intenzioni. Si abbassò sul mio collo, lentamente, e a ogni bacio che vi posava, stringevo di più la sua mano. Un sospiro mi sfuggì dalle labbra e arrossii di nuovo, cercando di allontanarmi da lui. Mi sentivo troppo a disagio quando succedevano cose del genere, e sentirlo sorridere mi fece sentire ancora peggio.
«Aspetta qui.» era un sussurro appena udibile, come se non volesse farsi sentire. Si allontanò verso un punto alle mie spalle e poco dopo si spensero le luci: fu allora che mi ricordai di quando gli avevo chiesto di farlo, più o meno due mesi prima. Mi portai una mano alle labbra per non singhiozzare di nuovo.
Tremai quando mi prese una mano, e tirai su col naso. Mi abbracciò stretta, baciandomi una tempia. Chissà quanto doveva essere difficile per lui, tutto questo. Allontanai la testa dalla sua spalla, e lo guardai. Soltanto la luce della luna, ora, illuminava la stanza. Avrei voluto dire qualcosa, ma non riuscivo a parlare. Natsume strinse la presa, abbassando la testa sulla mia spalla. Appoggiai la fronte sulla sua, prendendo un bel respiro. Doveva essere davvero turbato per non dire niente che mi avrebbe messa in imbarazzo, neanche adesso. Sembrava quasi che gli piacesse dire qualcosa di imbarazzante per poi dire cose come “Non è vero” oppure “Scherzavo, scema”. E mi accorsi che anche se a volte preferivo che la smettesse, mancava anche quello. Come odiavo il mio soprannome Mutande-a-Pallini, difficilmente avrei potuto – e voluto – farne a meno. Gli presi il viso tra le mani, e lo baciai. All'inizio lui parve un po' sorpreso, ma mi strinse un braccio intorno ai fianchi e mi sollevò il viso con l'altra mano.
Quando ci separammo, il suo respiro sul collo mi fece rabbrividire. Seppi che se n'era accorto dalla leggera risatina che ruppe il silenzio della stanza. Mi baciò di nuovo delicatamente, per poi prendermi una mano e condurmi gentilmente verso il letto, su cui mi sedetti. Si accucciò davanti a me, senza lasciar andare la presa sulla mano. Era quasi come se stesse succedendo tutto in un sogno, come se fosse stato tutto avvolto in una bolla di sapone. Non sentivo più alcun rumore, soltanto una sensazione di eccitazione alla bocca dello stomaco.
Lui mi scostò la frangia dagli occhi, per poi scendere ad accarezzarmi una guancia, procurandomi dei brividi lungo la spina dorsale, ogni suo gesto era impregnato di una dolcezza tale che mi fece stringere il cuore. Era la stessa che vidi riflessa nel suo sguardo, quando si sollevò un po' per arrivare alla stessa altezza dei miei occhi. Non mi aveva mai guardata in quel modo disarmante: questo era, molto probabilmente, l'ultimo momento che avremmo passato insieme. Mi vennero di nuovo le lacrime agli occhi e una fitta al petto mi impedì di respirare. Gli presi il viso tra le mani, sentendo le lacrime che mi bagnavano la gonna della divisa, in goccioline poco distanti tra loro.
«Non piangere.» mi sussurrò, prima di baciarmi ancora. Lo attirai verso di me, accarezzandogli i capelli. Si scostò lentamente, e cercai di riprendere fiato. Mentre muovevo il braccio per avvicinarlo di nuovo, sfiorò il mio collo con due dita, prima di tornarci di nuovo con le labbra. Stavolta, i suoi baci erano meno lenti di prima e mi fecero sembrare che la mia pelle stesse andando a fuoco.
Mi coprii le labbra con una mano, per non sospirare troppo rumorosamente, com'era successo prima. Cercai di reprimere la vergogna, ma non riuscivo proprio a controllarlo. Serrai gli occhi, nella speranza che potessi mettere a tacere quelle emozioni tanto forti. Li riaprii soltanto quando mi accorsi che si era allontanato da me. Alzai lo sguardo verso di lui, senza guardarlo negli occhi, e potei notare il suo sorrisetto, che fece crescere ancora di più il mio imbarazzo.
Prese la mia mano e se la portò alle labbra, poi, si spostò fino a che non si fermò all'altezza del mio orecchio. Restai in attesa che dicesse qualcosa, mentre il suo respiro sul mio collo mi faceva rabbrividire. «Ti amo.» sussurrò, per poi baciarmi delicatamente. Al suono di quelle parole, un'altra fitta mi attanagliò lo stomaco. Socchiusi gli occhi, prima di rispondere, mentre mi chiedevo se il cercare disperatamente di trattenermi dallo scoppiare a piangere mi avrebbe permesso di parlare.
Mi morsi l'interno della guancia, fissando la parete che avevo vicino con molto interesse. «Anch'io ti...» mi interruppe, posandomi due dita sulle labbra e facendomi cenno di non dire niente. Mi limitai a fissarlo, confusa. Non avevo idea del perché l'avesse fatto, dopotutto, anche se stavamo insieme da più di un anno, soltanto una volta gli avevo confessato i miei sentimenti, e mai con quelle parole. Avrei tanto voluto sapere perché non me l'aveva permesso, ma mi impedì di domandarglielo, baciandomi. Sentii la sua mano passare dalla spalla fino al primo bottone della camicetta. Quando lo sentii sbottonarlo, rabbrividii di nuovo e gli morsi, involontariamente, un labbro. Si allontanò, aveva una luce divertita nello sguardo e un sorriso furbo sulle labbra. Mi sentii un po' in colpa, credendo di avergli fatto male. Quando si avvicinò di nuovo, istintivamente, indietreggiai, fino a finire con la schiena contro la testiera del letto. Lui mi raggiunse subito dopo, in ginocchio sul materasso e con le mani ad entrambi i lati della mia testa; sentivo il suo respiro sul mio viso e abbandonai anche la testa contro la testiera, in attesa che mi baciasse. Ma non lo fece neanche questa volta.
Mi baciò la guancia, poi il mento, mentre sentivo un altro bottone cedere. Mi strinsi a lui, passandogli una mano dietro al collo. E, molto lentamente, anche gli altri bottoni fecero la fine dei precedenti. Fu allora che mi resi conto, in quel poco di lucidità che mi restava, che non era solo un'impressione che tutto andasse a rallentatore: sembrava che scorresse una vita per ogni gesto. Era Natsume che rendeva tutto quanto di una lentezza esasperante. Mi allontanò dalla testiera per aiutarmi a sfilarla, così lo abbracciai e altri brividi, dati dal contatto della sua pelle contro la mia, mi percorsero la schiena quando ricambiò. Il calore del suo corpo, che normalmente aveva il potere di rilassarmi incredibilmente, stavolta non mi tranquillizzò affatto. Tremai, mentre le mie lacrime cominciavano a bagnargli la camicia.
«Non piangere.» mi ripeté, asciugandomele con il pollice. Mi stava rivolgendo un sorriso dolce, splendido. Avrei tanto voluto poter fare lo stesso, ma non ci riuscivo. Mi sentivo impotente, e non riuscivo a rassegnarmi all'idea che se ne sarebbe andato. Sapevo che era stupido, sapevo che non sarebbe servito a cambiare le cose, ma era un sentimento che non potevo contrastare.
«Natsume...» l'unica cosa che riuscivo a vedere nel buio pesto della stanza erano i suoi occhi brillanti. Mi accarezzò di nuovo una guancia prima di tornare a baciarmi.
Fece una leggera pressione verso di me e mi ritrovai con la schiena contro il materasso, mentre la sua camicia finiva abbandonata a terra vicino alla mia. Il cuore mi batteva all'impazzata, potevo sentirne il rimbombo attraverso tutto il corpo.
Gli impedì di separarsi da me, mentre la testa cominciava a girarmi come una trottola per l'emozione. Quando si allontanò per riprendere aria, mi sembrò come se non riuscissi più a far funzionare il cervello.

Mi svegliai molte ore dopo, accorgendomi solo in quel momento di essermi addormentata, l'ultima cosa che ricordavo era che stavo chiacchierando con Natsume. La sveglia segnava le cinque e mezzo di notte, l'ultima volta che l'avevo guardata, prima di crollare in un sonno profondo, erano quasi le due. Mi tirai su a sedere, guardandomi intorno, allarmata. Natsume non era né nel letto né in giro per la camera. Percorsi febbrilmente ogni angolo la seconda volta, per paura di aver tralasciato qualcosa.
«Natsume?» lo chiamai, flebilmente. Ritentai, ma il suono della mia voce rimbombò contro i muri. Rimasi ferma per un attimo, ad ascoltare il mio respiro che, improvvisamente, era diventato un rumore assordante, mentre nella mia mente l'unica parola a rimbalzare da un punto all'altro era il suo nome. Le lacrime mi riempirono gli occhi, quando realizzai che non c'era più: come aveva potuto farmi questo? Dopo che gli avevo detto che avrei voluto salutarlo! Cominciai a tremare e mi portai le mani a coprirmi il viso, scoppiando in un pianto disperato.

*****

*Umore funereo per i raws di capitolo 137 T^T* uff... non sto più nella pelle per aspettare il prossimo >.<. Il cinque ottobre è ancora lontano...
Mi ricordo dell'atmosfera totalmente diversa dell'anime quando ho cominiciato a ideare la fanfic!
Vorrei parlarvi di com'è nata la fanfiction, ma dopo aver fatto questo parto sono troppo stanca XD
E, comunque, scommetto che non è questa la cosa che vi interessa, giusto? XD. Si rivedranno? Mmm... forse! :P non me la sento di rivelarvelo, non ancora XD.
E' l'occasione di festeggiare l'ufficiale compleanno (un botto di tempo fa, ma facciamo finta di niente) e volevo festegiarlo anche con una candelina.

Tanti auguri! XDXD




E ora passiamo ai grossi (non troppo, su XD) problemi. Come tutti gli studenti sanno, la scuola è ormai cominciata (e che palle! Lo so. A nessuno dev'essere ricordato.). Non ve la farò tanto lunga, quindi vi dico subito che gli aggiornamenti potrebbero smettere (speriamo di no) oppure diventare un capitolo al mese. Con questo, però, non prometto niente. Quest'anno ho la maturità (non riesco neanche a immaginare che sia davvero così, a dire la verità) e non so quanto tempo mi rimarrà per scrivere. Comunque sia, chi non muore si rivede. E può essere che pubblichi qualche altra one-shot, dato che non ci vuole molto tempo per buttarle giù. Alla prossima, dovunque sia XD.

E, ora, le risposte alle recensioni!
AkA GirL: allora menomale XD. Sì, il Preside è stato mooolto s*****o, ma in questo capitolo ha battuto tutti i record. Volevo qualcosa di brutale, e mi è venuto in mente di farglielo dire all'apertura del nuovo anno scolastico. :P
Luine: ebbene sì :P, lo ammetto, il riferimento c'era. Ho pensato che potesse essere carino, anzi, avevo intenzione di far prendere alla bambina lo stesso libro, ma poi mi sono accorta che non avrebbe avuto alcun senso. Per quanto riguarda i vecchi bisogna aspettare poco più di una decina di capitoli. E Natsume... è pur sempre un ragazzo, anche se di un manga shoujo XD.
marzy93: ho dedicato larga parte alla tristezza in questo capitolo, non volevo che risultasse troppo pesante anche nel precedente. E non c'era fisicamente tempo per complicare le cose, lo hanno capito anche i miei personaggi XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. mikamey
3. rizzila93
4. marzy93
5. sakurina_the_best
6. _evy89_
7. Luine
8. Yumi-chan
9. Veronica91
10. lauretta 96
11. EkoChan
12. stella93mer
13. giuly_chan95
14. _Dana_
15. simpatikona
16. CarlyCullen
17. asuka_hime
18. neko_yuki
19. XIUKY88
20. Manila
21. giadinacullen
22. twilighttina
23. SEXY__CHiC
24. Annie Marie Jackson
25. valuzza92
26. mechy
27. amorelove
28. Animexx
29. forzaN
30. federicaa
31. AkA GirL
32. thedarkgirl90
33. Spuffy93

E in particolare la new entry:

34. kokuccha

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH
3. sakura2611
4. thedarkgirl90
5. AkA GirL
6. MissAnime4Ever

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
13. laurA_
14. dolce_luna
15. feilin
16. Bliss_93
17. shinigamina_love
18. _Hakura_
19. sailorm
20. sakura92
21. ChibiRoby
22. forzaN
23. Spuffy93
24. thedarkgirl90
25. AkA GirL
26. grifoncina93
27. BlAcK_pAnTeR_94
28. Lizzie23
29. MissAnime4Ever

E in particolare la new entry:

30. micia692

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Capitolo 18
*** In cerca di casa ***


Il riassunto, ve l'avevo promesso XD. Devo ammettere di essere in difficoltà: è successa un po' di roba ma non so come riassumerla. Vabbè, io ci provo (ma non prometto niente).
Dunque, le superiori sono iniziate nel migliore dei modi per Mikan e alla festa di Natale si sono consolidate le coppie che si dovevano stabilizzare, tra le gelosie di Natsume in particolare verso gli interessi che il Preside ha dimostrato verso Mikan. C'è stato anche il suo compleanno durante il quale ha ricevuto svariati regali, tra cui un portafotografie portentoso da Hotaru, un pupazzo carino da Natsume e da Narumi una pietra Alice.
Per Natsume, invece, l'anno è iniziato un po' meno meglio: ha dovuto partecipare a un'altra missione che l'ha turbato e per la quale è stato scelto per infiltrarsi nella Watanabe Corporation, una specie di centro del lavoro, che smista i ragazzi diplomati, a seconda delle loro attitudini, in un certo ambiente di lavoro. Natsume è costretto a diplomarsi prima per far iniziare l'operazione il più presto possibile, ma ancora i piani del Preside sono piuttosto oscuri, anche dopo la bella chiacchierata con Narumi durante la quale sperava di capire come mai stiano arrivando tutti questi bambini in Accademia.
Dovremmo esserci, più o meno XD.
E ora vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo.

Capitolo 18 – In cerca di casa
(Natsume)


Sentii dei rumori provenire dall'altra stanza, tesi l'orecchio, anche se non credevo possibile che Mikan potesse essere già sveglia: si era addormentata come una pera cotta – e svegliarla sarebbe stata davvero un'impresa – mentre stavamo parlando, avevo colto l'occasione e mi ero alzato.
Guardai l'orologio: avevo decisamente sforato gli orari dei patti: qualche ora in ritardo. Tornai a sentire degli strani suoni dall'altra stanza e stavolta decisi di andare a controllare, sperando che nessuno fosse venuto ad assicurarsi che avessi davvero tolto il disturbo. Sarebbe stato un problema.
Aprii la porta del bagno, e trovai Mikan a piangere disperatamente. Sospirai: speravo che non sarebbe dovuto succedere, ma a quanto pare era inevitabile. Improvvisamente, cercai qualcosa da dire e non la trovai. L'unica era improvvisare, cercare di sdrammatizzare, o quantomeno provarci.
«Ehi, non avevamo detto niente saluti... corredati di pianto?» immaginai che avrei potuto essere meno lapidario, ma lei sembrò non averci fatto minimamente caso, anzi sobbalzò, come se fosse spaventata. Improvvisamente smise di singhiozzare e mi rivolse uno sguardo sconvolto, quasi come se fosse stata sorpresa di trovarmi lì. Aspettai una spiegazione, ma lei aveva davvero la faccia di qualcuno che ha visto un fantasma o ha avuto una visione mistica. «Ehi,» sussurrai, abbracciandola. Lei ricambiò la stretta con forza, immergendo il volto nella mia camicia. La sentii sospirare di sollievo. «ehi... Mikan, che hai?» possibile che credesse...? Aspettai che rispondesse prima di costruire teorie.
Mi sfiorò il viso, mentre un debole sorriso le increspava le labbra. Mi gettò le braccia al collo e mi baciò, come se davvero non si aspettasse di vedermi. «M-mi dispiace.» la sentii biascicare, tra le lacrime. Si aggrappò ai miei vestiti, stringendosi di più a me. Avevo pensato spesso a come avrei fatto ad andarmene, al momento dei saluti, e tante altre cose, ma alla fine avevo sempre desistito, confidando nel fatto che avrei saputo cosa fare al momento opportuno. Il risultato? Zero idee. Poteva andare peggio... no, effettivamente, no. «Credevo... credevo che... fossi andato via.» continuò a singhiozzare, mentre le accarezzavo i capelli.
«Stai scherzando?!» il fastidio che mi provocò quell'affermazione era più di quanto mi fossi aspettato, nonostante avessi appena pensato che lei potesse crederlo veramente. Si allontanò un po', rivolgendomi uno sguardo di scuse.
Scossi la testa, accantonando la curiosità di sapere che razza di persona lei pensasse che fossi, e mi sedetti vicino a lei, senza dire nient'altro.
«Scusa...» mormorò lei, abbassando lo sguardo. «È che... non ti ho visto, non...» feci un gesto con la mano, come per dire che non era importante. Rimanemmo in silenzio per un po'. «E... e ora?» senz'altro la peggiore domanda in quel momento, ma anche la più ovvia. Che avrei dovuto rispondere?
Ci misi un po' prima di farlo. «E ora... beh, dovrei andare.» la diplomazia era il mio cavallo di battaglia. Gettai un'occhiata furtiva all'orologio. Lei cominciò a scuotere la testa, e vidi gli occhi che le tornavano lucidi. Non avevo idea di come risolvere la situazione, e non mi aspettavo neanche che mi avrebbe lasciato andare tranquilla come se la cosa non la riguardasse. Mi trattenne per le maniche della camicia, più per bisogno che altro, dato che la stretta non era affatto forte. «Non...» capii che non c'era modo di risolvere il problema: se fossimo rimasti a guardarci senza muoverci, non sarei mai andato via, e l'ipotesi, come più volte mi era stato gentilmente ricordato, non era contemplata. In definitiva, era uno schifo, e non c'era possibilità che potesse finire diversamente. Allontanai le sue mani e mi alzai: c'era una sola cosa da fare, per quanto potesse fare ancora più schifo, in mezzo allo schifo.
«Non... non si può...» tentò lei, guardandomi confusa mentre aprivo il borsone che avevo preparato per partire. Non ero del tutto certo di stare per fare quello che stavo per fare. L'unica certezza era che lei se la sarebbe presa a morte, ma in queste condizioni, non saremmo andati da nessuna parte, in senso letterale e figurato.
Richiusi il borsone velocemente, senza lasciare che il senso di colpa mi fermasse. La missione prima di tutto. La peggiore frase che potessero insegnarmi. «Che co...?»
«Mastica.» quasi le ordinai, dopo averle fatto mangiare una caramella. Se non ricordavo male, erano quelle che facevano addormentare all'istante, almeno stando a quello che aveva detto l'amica di Mikan. «Cos...» era sempre più confusa, ma continuava a masticare. La mandò giù, e poi alzò lo sguardo, quasi preoccupata, come se fossi impazzito o qualcosa di simile. Io le sorrisi debolmente, accarezzandole i capelli. «Mi gira la testa...» si allontanò un po' e si mise una mano sulla fronte. Abbassai lo sguardo per non incontrare il suo, non c'era bisogno di nessuna spiegazione per capire che ero stato io.
«Mi dispiace.» mi affrettai a dire, prima che perdesse i sensi. Mi avvicinai per baciarla, e un secondo più tardi era nel mondo dei sogni. Mi rassicurò molto il fatto che funzionasse davvero, o avrei potuto correre a scavarmi una bara, e sarebbe stato lo stesso se si fosse svegliata e fossi stato ancora lì.
Buttai il borsone fuori dalla porta. Nessuno scocciatore sarebbe entrato a darle fastidio, inoltre era abbastanza irritante saperla in una stanza aperta con addosso solo un lenzuolo, perciò la decisione più ovvia era stata decidere di uscire dalla finestra, dopo aver chiuso a chiave la porta.
Non mi voltai indietro a guardare, faceva molto commedia romantica, e non avevo intenzione di farmi prendere dai rimorsi per la frettolosa scelta fatta. Non era il caso, e neanche il momento adatto.

«Finalmente.» commentò Persona, vedendomi arrivare. Avevo il borsone caricato in spalla e – sperai – un'espressione considerevolmente annoiata stampata in faccia. «Credevo che sarei dovuto venire a prenderti, per portarti qui.»
Inarcai un sopracciglio, annoiato. «Come vedi,» allargai le braccia, come per mostrargli che ero lì, davvero. «non ce n'è bisogno.» ghignai. «Non credevo di mancarti così tanto da venirmi a cercare.»
Anche lui fece un sorrisetto. «Avevo il dubbio che volessi restare molto più di quanto pattuito.» il suo tono aveva qualcosa che mi piaceva poco. «A... come dire... perderti tra le grazie di quella ragazzina.»
Non risposi subito, perché altrimenti avrei potuto tirargli un pugno, e sarebbe stato controproducente: lui avrebbe avuto un gran bel livido, ma io avrei detto addio al mondo, e ancora non ci tenevo. Pensai che fosse meglio non buttare altra benzina sul fuoco, dato che non ero una persona eccessivamente riflessiva. «Beh,» incrociai le braccia al petto, scocciato. «avevi così tanta fretta e hai il tempo di metterti a chiacchierare?»
Lui rispose con un sorriso malizioso. Forse non potevo tirargli un pugno, magari un sasso, qualcosa... mi guardai intorno, ma interruppe la mia ricerca. «Su, avanti.» mi indicò la sezione delle Elementari con un cenno della testa. «Andiamo.»
«Devo porgere i miei più sentiti e sinceri saluti al Preside prima di andarmene?» non suonai ironico come volevo, e Persona inarcò un sopracciglio.
«Ti facevo più intelligente.» e non disse altro. Mi limitai a seguirlo, non è che avessi molta voglia di fare discussione con quel tizio. Il corridoio per arrivare all'ufficio del poppante non mi era mai sembrato tanto breve. Persona si mise davanti alla porta e me la indicò con un gesto del braccio. «Prego.» mi stupii leggermente: entravo senza il cagnolino? «Ti sta aspettando.»
Entrai, e mi stupii di quanto poca fosse la differenza dello studio visto alle sei – o sette, non sapevo bene – del mattino e in pieno pomeriggio. Rimaneva sempre buio e ti dava la sensazione di volerti soffocare. Proprio da lui, non c'era niente di cui stupirsi.
«Finalmente.» aveva un sorriso più o meno soddisfatto, con una nota di irritazione che gli percorreva la voce. Mi chiesi se si scambiavano le battute, lui e il suo caro amico. «Pensavo che avessi intenzione di farmi aspettare ancora a lungo.»
«Non trovavo la crema per i piedi.» risposi, sarcasticamente. «Sarebbe stato difficile sopravvivere senza.»
«Divertente.» commentò lui, senza enfasi. «Credo che mi dispiacerà non godere più del tuo fantastico senso dell'umorismo.» mi appoggiai allo schienale della sedia, dove mi ero seduto ancora prima che lui mi avesse invitato a farlo. «Adesso riassumeremo quello che già sappiamo e ti spiegherò bene cosa dovrai fare, giusto per evitare... errori.»
Mi trattenni dallo sbuffare. Quel piano da strapazzo avrei potuto benissimo recitarlo a memoria, ma perché togliergli il piacere di fargli ascoltare la sua stessa voce? Non sarebbe stato carino. «Sono tutto orecchie.» entusiasmo: meno infinito.
«Perfetto.» sorrideva in modo irritante. «Come ti ho detto, la Watanabe Corporation è un'azienda che smista i diplomati della nostra Accademia dove ci sia un posto di lavoro per loro. Tu farai richiesta per entrare a lavorare lì. Dalle informazioni che abbiamo, ci sono vari tipi di mansioni che una persona può ricoprire, non mi interessa quale ti daranno. L'importante è che questa ti permetta di mandarci informazioni utili sull'ubicazione di qualche Alice interessante che possiamo prelevare e portare in Accademia, e se questo non dovesse accadere, trova il modo di aggirare gli ostacoli. Tutto chiaro?» annuii. «Bene, questo palmare ha la connessione diretta con noi. Raccogli i dati, e trasferiscili attraverso questo. Arriveranno qui direttamente.»
Bel piano. «E se mi scoprono che faccio?» non ero 007, e se lui credeva di poter mettere in mano questa cosa a un ragazzino era fuori di testa. Ma questa non era una novità: era lo stesso pazzo che mandava i bambini a sbrigare le sue faccende.
«Magari non ti uccideranno.» i suoi occhi si fecero improvvisamente più luminosi: evidentemente, gli interessava la prospettiva. «Comunque, spero proprio che tu eviterai questo... come dire... inconveniente, sempre che a te interessi la sorte di... come si chiama? Sakura Mikan?» mi rivolse uno sguardo eloquente.
«Ho un'altra domanda.» ed era forse quella che mi interessava di più. Lui inclinò il capo da un lato, come se non riuscisse a capire. Pensai che fosse un invito a parlare. «Per quanto tempo dovrò farlo?» Lui rise, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta. «Non ho mai detto che il nostro patto avesse una scadenza.» mi fece notare. «Non ci sono limiti di tempo. Starai lì finché mi servirai, anche a costo di tenere qui per sempre la ragazza. Se questo dovesse servire.» non era esattamente questo quello che avevo immaginato. «In altre parole, fino a che non troverò un degno sostituto. E potrei anche non trovarlo mai.» immaginavo che avessero delle squadre di recupero come le aveva l'Accademia. Provai a pensarmi mentre, a ottant'anni, cercavo di saltare giù da un muro di cinque metri e mi rompevo un femore. Nella migliore delle ipotesi.
«È tutto?» volli sapere, del tutto saturo di quella conversazione.
«Sì. In ogni caso, se ci dovesse essere altro,» si alzò e feci lo stesso. Quasi non vedevo l'ora di andarmene! «ci metteremo in contatto con te.» era davvero ottima come prospettiva. «Arrivederci, allora.»
“A non tanto presto” pensai, stringendogli la mano per obbligo. Quando richiusi la porta dietro le spalle mi concessi un debole sospiro di sollievo: non avrei visto la sua brutta faccia per un bel pezzo, questo era l'unico lato positivo della cosa, e poteva anche bastarmi, in fondo.
«Allora, andiamo?» la voce di Persona interruppe il primo quasi buon momento da che ero uscito dalla stanza. «O preferisci restare lì?»
Evitai di rispondere, prima di dire qualcosa di vagamente offensivo.

Entrai in macchina dopo aver caricato il bagaglio. Era una sensazione quasi confortante pensare che era l'ultima volta che dovevo sedermi su quel sedile grigio topo. Bella limousine, certo, ma la odiavo quasi quanto odiavo Persona.
«Le richieste di lavoro si fanno al terzo piano.» mi spiegò lui, distogliendomi dal guardare il panorama. Uno spettacolo sicuramente più interessante di lui.
«So leggere e parlare.» ribattei, in un misero tentativo di troncare qualunque tipo di conversazione volesse intraprendere. Non ero mai stato un tipo loquace, nella mia vita. E, soprattutto, non lo ero di mattina presto.
«Non pensare di poterti comportare così solo perché sarai lontano dalla scuola.» disse lui, sorridendo in modo orribile. «I tuoi amici sono ancora lì...» incrociò le mani sullo stomaco. «potrebbe succedere qualunque cosa, non credi?»
Sbuffai. «Dacci un taglio.» sbottai: era sempre la solita musica. «Che stavi dicendo?»
«Da' loro questo.» mi passò una cartellina marrone, di quelle che usavamo anche durante le missioni. Supposi dover essere la mia. «Il resto, se siamo fortunati come il Preside crede, si farà da sé.» l'unica cosa che dovevo fare io era presentarmi. Per il momento, sembrava tutto semplice, anche troppo.
«Tutto qui?» domandai, sventolando debolmente quei quattro fogli. Lui semplicemente non rispose e io supposi che fosse davvero tutto lì. Buttai uno sguardo all'orologio, erano quasi le sette e mezzo. Mi chiesi se fosse possibile che fossero già tutti pronti in ufficio.
Venti minuti dopo, la macchina si fermò, inchiodando. «Siamo arrivati.» commentò Persona, senza particolare enfasi. «Coraggio, scendi.»
Obbedii, cercando il più possibile di sembrare scocciato. Mi immaginavo mentre entravo vestito come un vecchio senatore romano dicendo il mio nome con voce solenne. Scossi la testa: dovevo scoraggiare la mia immaginazione in questo senso.
«Da ora in poi la missione è nelle tue mani.» mi voltai verso Persona che aveva abbassato il finestrino. Quel sorrisetto sempre presente sulle sue labbra, come se sfottermi fosse di questo grande conforto. «Vedi di non fallire.»
«Sì, sì...» borbottai, mentre lui rialzava il finestrino e la macchina partiva per ritornare in Accademia. Mi passai le mani tra i capelli, per riordinare un attimo le idee. I punti fermi erano pochi: avevo lasciato l'Accademia, e in quel momento ero davanti allo stesso palazzo da cui era uscito quel tizio che Persona aveva ucciso qualche mese fa. Sarebbe stato semplice non ricordarsene e vivere tranquillo. Certo, com'era vero che i miei capelli erano rossi.
Quando varcai la porta di vetro, c'erano solo due persone dietro due banconi. Mi fermai un momento chiedendomi perché in venti metri quadri dovessero esserci due segretari. Ma non era una cosa importante, in effetti. La solita vecchia abitudine di osservare qualunque cosa in un posto che non conoscevo, esattamente come quando andavo in missione per l'Accademia. Beh, in effetti, anche questa lo era.
«Hai bisogno di aiuto?» mi chiese uno di loro. Non so come lo fissai, perché mi restituì uno sguardo terrorizzato. Pensavo addirittura che si sarebbe nascosto sotto il bancone. Tentai di assumere l'espressione più neutra che potevo.
«Ehm...» cominciai, indeciso su cosa dire. “Sto cercando un lavoro” era forse la soluzione migliore, ma non avevo intenzione di mettermi a fare conversazione. «Terzo piano, giusto?» lui mi rivolse un debole cenno della testa: probabilmente pensava che mi sarei messo a sputare fuoco come un drago.
Corrugai la fronte. «Grazie.» dissi, poi, poco convinto e con sottile ironia. Lui rispose con un sorriso tirato: okay, non ero un vecchio senatore romano, ero decisamente un drago sputafuoco. Un inizio decisamente promettente, non c'era che dire.
Optai per l'ascensore, e quando arrivai al terzo piano, mi ritrovai sommerso in un mare di gente, che probabilmente era andato a fare la stessa identica cosa per cui anch'io ero lì. Era un'enorme stanza con le pareti bianche e qualche sedia blu appoggiata al muro: più che un centro del lavoro sembrava un ospedale. Nessuna faccia conosciuta, per fortuna.
Mi misi in coda per prendere il numerino, mi sentivo tanto un tizio che va a comprare del prosciutto. La ragazza che li distribuiva mi fece un sorriso, io risposi solo con un cenno della testa, sperando di non aver spaventato anche lei, ma non diede segno di aver notato niente di strano: o avevo raggiunto lo scopo oppure era abituata a vedere gente scontrosa alle otto del mattino.
«Ciao!» mi disse un'altra ragazza, non appena mi sedetti vicino a lei. Non avevo avuto neanche il tempo di accorgermi che ci fosse qualcuno in quel posto, che subito lei aveva iniziato a parlare.
«Ciao.» sperai che il mio tono fosse abbastanza eloquente e la inducesse a lasciar perdere, ma a quanto pare non ero stato abbastanza persuasivo.
«Mi chiamo Kurumizawa Yuuko. Mi sono diplomata alla Alice Academy quest'anno, e tu?» appoggiai la testa al muro, cercando di non far uscire quel sospiro sconsolato che cercavo di bloccare da quando mi ero svegliato. Una risposta del tipo “io no” avrebbe di sicuro troncato la discussione, ma non era il modo migliore di iniziare le mie relazioni lavorative. Sempre ammesso che avessi dovuto averne.
Potevo fare di meglio. «Hyuuga Natsume.» risposi, voltando la testa verso di lei. Lei mi rivolse un sorriso quasi compiaciuto. «Mi sono diplomato...ehm... ieri?»
Ci fu un attimo di silenzio. «Davvero?» mi chiese, non seppi se con disgusto, sorpresa, o entrambi. Io annuii. «Oh...» mormorò poi, sorpresa. «Sei uno di quelli che si diplomano in anticipo...» a quanto pare ero l'unico a non essere al corrente di una cosa del genere, prima che mi fosse stato chiesto.
«Già...» risposi intrecciando le mani sullo stomaco. Non mi sembrava possibile che fino a un'ora prima ero ancora in Accademia; sembrava quasi che avessi preso il razzo e non la macchina per arrivare fin lì. «Beh, meglio così.» commentò lei, facendomi inarcare un sopracciglio. «In fondo prima si esce da quel posto, meglio è. Il mio fratellino è stato “reclutato” nella classe di Abilità Pericolose. Neanche sapevo che esistesse una cosa del genere dentro l'Accademia,» non mi stupiva affatto: non che non si sapesse, ma di solito era semplicemente considerata una classe di abilità come le altre. «dovevo andarlo a trovare tutte le settimane in ospedale. Se lo portavano sempre in missione, ma ha sempre avuto un fisico debole, e il suo Alice è uno di quelli che più lo usi, più rischi la vita.»
«E sei qui per... lavorare con loro?» domandai, accennando con la testa agli operatori dietro alle scrivanie che raccoglievano i numeri e i nominativi. Lei annuì. «Per salvare tuo fratello?»
Lei rise, tristemente. «Non c'è più niente da salvare, purtroppo.» distolse lo sguardo, puntandolo insistentemente contro la finestra. «Non ce l'ha fatta.»
Chissà perché non mi sembrò strano per niente. «Mi dispiace.» dissi. Non ricordavo assolutamente un bambino con quel cognome, ma neanche questa era una cosa strana, difficilmente mi concentravo sui membri della mia classe di abilità.
«È successo molto tempo fa.» continuò lei, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Dieci anni.» pensai che ero arrivato io in quel periodo, quindi forse non l'avevo mai conosciuto. «E tu,» mi chiese dopo essersi soffiata il naso. «perché sei qui?»
«Io ero nella classe di Abilità Pericolose.» spiegai, sbuffando. Era una mezza verità, dopo essermi diplomato, ovviamente percorrendo il normale corso di studi sarei finito lì comunque. «Avrei voluto prendere a calci il Preside quando me ne sono andato ma non potevo.»
«Perché no?» volle sapere lei, corrugando la fronte.
Si vedeva che non sapeva granché su di loro. «Ho delle persone a cui tengo a scuola.» precisai, guardando il tetto, cosparso di luci al neon. «Mi hanno elegantemente fatto capire che se al primo passo falso sarebbe successo loro qualcosa. Preferivo di no.»
Non sapevo bene perché le stavo dicendo tutte quelle cose, in fondo nemmeno la conoscevo e non amavo particolarmente parlare dei fatti miei. Fatto sta che lo stessi facendo.
«Capisco...» disse lei, prima che una voce la facesse sobbalzare. «Scusa, mi hanno chiamato. Beh, se ci accettano, ci vediamo!» mi sorrise, assottigliando gli occhi azzurri, ma se avessi dovuto giurare di averli visti scuri, la prima volta che l'avevo guardata, l'avrei fatto.

Quando arrivò il mio turno, che fu qualcosa come due ore dopo, avevo ascoltato i problemi esistenziali di almeno una dozzina di persone. Non ho mai capito il motivo per cui erano tutti venuti da me. Chi a poco più di vent'anni aveva avuto un figlio, chi non sapeva cosa fare, chi aveva cari all'ospedale, chi non sapeva dove andare. Quest'ultimo mi fece particolarmente riflettere: io non avevo uno straccio di posto dove stare. Appena fossi uscito di lì, mi appuntai mentalmente che avrei dovuto provvedere a procurarmene uno, anche se non sapevo in che modo. Scrollai le spalle: ci avrei pensato in un secondo momento.
«Salve,» mi salutò la ragazza dietro il bancone. Io risposi con un cenno della testa e lei prese alcuni fogli. «dunque...»
«Haruko!» la interruppe un'altra, scendendo dalle scale alla nostra sinistra. «Haruko!» rischiò di investire circa venti persone durante il tragitto per arrivare proprio da noi. Si appoggiò al bancone prendendo un bel respiro, come se avesse corso per chilometri. «Haruko, il capo vuole vederti per via di quella questione. Pare ci sia bisogno di te, di sopra.»
«Ma...» tentò di protestare lei, quasi scioccata. «devo finire qui... mi ha specificatamente detto di non muovermi di nuovo o...»
«Oh, non ti preoccupare.» le rispose l'altra, prendendole i fogli dalle mani. Io mi limitavo a fissarle, sconcertato. «Finisco io qui, è tanto che non facevo un turno qui al terzo piano, sarà divertente. Tu va' pure.» poi si voltò verso di me, con un sorriso smagliante comparso dal nulla. «Ciao, io sono Mitsuki. Harada Mitsuki!» mi porse la mano e io la strinsi.
«Hyuuga Natsume.» mi presentai. Lei annuì, tornando a fissare i fogli di cui si era appropriata.
«Bene, allora. Hai il tuo curriculum?» mi guardò, in attesa. Pensai che il curriculum di cui neanche sapevo l'esistenza fossero quelle quattro carte che Persona mi aveva dato in macchina. Gliele passai, ricordandomi di ciò che aveva detto. «Oh, fantastico. Alice del fuoco, mmm...» si mise una mano sotto il mento, pensierosa. «carriera scolastica interessante!» mi gettò un'occhiata, come se non ci credesse davvero. Corrugò la fronte, tornando alla pagina dei miei dati personali. Forse il momento di spalancare porte con l'interminabile potere del mio nome era arrivato. Lei borbottò qualcosa che io non riuscii a capire. «Avevi qualche...» distolse lo sguardo dai fogli in un tempo molto più lungo del normale. «qualche idea?»
«Mi chiedevo se...» avrei tanto voluto sapere che cos'avrei fatto se non fossero stati in cerca di personale. «potevo... ehm... lavorare qui.»
Lei sollevò entrambe le sopracciglia, come se questo non fosse niente di meglio di quanto si aspettasse. «Oh, beh...» cominciò, appoggiando il mio curriculum al banco. «abbiamo sempre bisogno di personale, ora devo... inoltrare la richiesta al mio capo. Ehm...» si guardò intorno, in cerca di una penna. «puoi lasciarmi un indirizzo, o un numero di telefono, sai per contattarti in caso tu dovessi essere accettato.» l'unica cosa che avevo e che somigliava a un telefono era quell'attrezzo che mi aveva dato il Preside. Ma ignoravo totalmente quale fosse il numero. Bel problema.
«Non ho... niente del genere.»
Il suo entusiasmo sembrò svanire in un colpo solo. «Ah.» tossicchiò, grattandosi la nuca. «Okay, facciamo così. Appena esci dall'ascensore se ti giri a destra e guardi sulla bacheca alla parete trovi un sacco di annunci per persone che affittano case per studenti. Magari c'è qualcosa che va bene anche per te. Quando ti sei trasferito, torna qui a depositare l'indirizzo, in ogni caso. Non si sa mai quali sono i casi della vita.» mi strizzò l'occhio, come se questo avesse dovuto dirmi qualcosa. Io annuii, cercando di sembrare il più convinto possibile. «Qui non c'è da fare molto di più.» chiuse il fascicolo. Io annuii.
«Arrivederci.» dissi, non sapendo bene che altro dire.
Le mi rispose con l'ennesimo sorriso. «Arrivederci!» trillò, e la sentì scusarsi con il tizio dietro di me, perché doveva portare su il mio curriculum. Corrugai la fronte: che il Preside avesse visto giusto?

Appena uscii dall'ascensore, feci esattamente come mi era stato detto. Sulla parete c'era una bacheca verde con un sacco di annunci. Sospirai: mi sarebbe servito un bel po' di tempo, prima di riuscire a leggerli tutti. Dovetti scartare i primi tredici: erano annunci per ragazze non fumatrici e chissà che altro. Ne trovai un paio adatti a me, anche se l'ultimo era alquanto... strano. Insomma, non avevo molta esperienza in quel campo ma quello era davvero diverso da tutti gli altri. Presi una copia di ognuno e solo allora mi accorsi cosa c'era davvero di strano nell'ultimo annuncio.
Cercavano un ragazzo serio e responsabile a cui piacesse l'acqua. Mi trovai in difficoltà su questo punto: che cavolo significava? Lo misi in fondo agli altri, lasciandolo come ultima alternativa. Sperai che se avessi dovuto prendere in considerazione quella proposta, non fossero dei salutisti. O almeno, che non cercassero di coinvolgermi.
Bussai alla prima porta, dopo aver fatto un bel po' di strada ed essermi perso un paio di volte. L'unica cosa che mi aveva lasciato del tutto scioccato durante il tragitto era stato un vecchio a cui avevo chiesto informazioni che mi aveva raccontato la storia di sua nipote, costretta a fare la prostituta. Lo avevo ringraziato ed ero andato via, mentre aveva cominciato a raccontarmi i fatti di alcuni suoi clienti che avevano problemi con le mogli. Mi concessi un sospiro di sollievo, appena voltato l'angolo, accorgendomi di essere arrivato a destinazione.
Mi venne ad aprire un altro signore anziano, sperai senza problemi di nipoti. Mi guardò come se fossi stato una specie di apparizione divina. Si spostò da una parte e mi fece cenno di entrare senza dire una parola. Seduta sul divano c'era una donna che supposi essere sua moglie, teneva le mani giunte in grembo e sembrava che stesse attendendo qualcosa, un qualcosa che probabilmente ero io, anche se non mi spiegavo come potessero farlo, dato che non avevo neanche telefonato.
«Cara,» disse l'uomo, emozionato. «È arrivato!»
Anche i suoi occhi si illuminarono, e un sorriso le nacque sulle labbra. Aggrottai la fronte: c'era assolutamente qualcosa che non andava, dal momento che la casa era immersa nel buio fatta eccezione per tre candele, tre macabre candele posizionate davanti ad una foto che non riuscivo a vedere.
L'istinto mi disse di svignarmela, ma l'uomo mi invitò a sedermi nel divanetto di fronte a quello su cui sedevano loro.
In effetti, sarebbe stato scortese scappare a gambe levate mentre quei due mi guardavano con così tanta aspettativa, inoltre pensavo che non sarebbe successo niente di male se fossi stato ad ascoltare quello che avevano da dire. Non sembravano due cattive persone.
«Siamo contenti che tu abbia letto il nostro annuncio.» fu lei a parlare, e la sua voce mi mise i brividi. Scossi la testa: dovevo assolutamente darmi una calmata. «Molti ragazzi sono venuti prima, ma... sono tutti scappati via.» tirò su col naso, come se la cosa la rendesse molto triste. Non riuscii a capire il motivo per cui qualcuno avrebbe desiderato restare, ma io non avevo di questi problemi. Di sicuro ero stato in posti peggiori, qualunque strano problema emozionale quei due avessero. L'unico problema si sarebbe presentato se avessero voluto strangolarmi nel sonno, ma evitai di approfondire quel pensiero, altrimenti sarei sconfinato nella paranoia.
«Già!» aggiunse suo marito, circondandole le spalle con un braccio, forse nel tentativo di consolarla. Deglutii, immaginandomi alla loro età seduto sullo stesso divano, a fare lo stesso discorso. Scossi la testa: quel giorno la mia immaginazione aveva deciso di giocarmi dei brutti tiri. «Nessuno di loro ha voluto ascoltare la nostra storia...»
Mi massaggiai una tempia, innervosendomi: non è che avevano ideato una specie di storia di fantasmi per rendere la convivenza più avventurosa per i giovani – o qualcosa del genere – in modo tale da spingere qualcuno ad accettare, sprezzante del pericolo? «Quale storia?» lo incitai, immaginando che fosse la domanda che si aspettava che facessi.
«Sai, caro...» fu la donna a riprendere la parola. Sembrava che avessero deciso di parlare a turno. «c'è una credenza popolare secondo cui l'anima di un defunto, se i suoi cari non sono disposti a lasciarlo andare, non va nell'aldilà.» fece una breve pausa, in cui suo marito le strinse la mano. «Non va all'aldilà, quindi... si incarna in uno di quelli che noi chiamiamo spiriti affini. Sono esseri umani vivi le cui caratteristiche sono simili a quelle del defunto. Da quel momento le due anime condividono lo stesso corpo.» ammutolii. «Ed è questo che noi stiamo cercando!»
«Ehm...» cominciai, senza capire. «State cercando... cosa
«Uno spirito affine al nostro defunto figlio che voglia finalmente tornare a casa!» mi alzai, in fretta: ora sì che avevo ben chiaro il motivo per cui tutti quanti erano scappati. Lo stavo per fare anch'io.
«Scusate il disturbo.» dissi, infatti. «Arrivederci.»
Uscii di tutta fretta. Appena fui convinto di essere lontano abbastanza, accartocciai il loro annuncio e lo buttai nel cestino più vicino, augurando al prossimo sfortunato di fuggire molto prima di sentire quella storia. Io non potevo rimpiazzare il figlio di nessuno, questo era tutto: c'era un che di macabro in tutta quella faccenda, a cominciare dall'altarino con la foto di quello che ero certo essere il figlio defunto. Sicuramente non sapevo cosa significasse perdere il proprio figlio, ma lo trovavo esagerato.
L'annuncio successivo fu un buco nell'acqua: la stanza era già stata affittata e non c'era più spazio per nessuno. Quando bussai alla porta, uno degli occupanti mi chiese che ci facessi lì.
«Oh, mi spiace...» si scusò, dopo che gli spiegai la situazione. «Credevo di averli tolti dalla circolazione tutti questi annunci. Abbiamo già affittato la camera...» avrei volentieri bruciacchiato qualcosa, ma pensai che fosse meglio contenersi. Avevo avuto esperienze abbastanza significative riguardo l'uso dell'Alice fuori dalla scuola, e non avevo intenzione di creare nessun tipo di incidente, o qualunque altra cosa.
Il terreno su cui era costruita la casa del terzo annuncio era stato comprato, la casa demolita e, al suo posto, avevano costruito un supermercato. In conclusione, l'unica scelta papabile, era quella dei salutisti amanti dell'acqua. Non solo, era anche dalla parte opposta della città, rispetto a quella in cui mi trovavo io. Sospirai: dovevo prendere in seria considerazione l'idea di fare un abbonamento per i mezzi pubblici.
Salii le scale che conducevano alla porta. L'appartamento aveva un piano solo, a giudicare da quello che vedevo. Mi decisi a bussare, sperando, contro ogni aspettativa che avessero ancora il posto libero.
«Sì?» un ragazzo aprì la porta e si guardò intorno, evitando di soffermarsi su di me. Mi schiarii la voce, giusto per farmi notare. «Oh!» e fu davvero come se non mi avesse visto prima. Quello che riuscii a pensare fu: cominciamo bene. «Chi sei?»
«Sono venuto per l'annuncio...» cominciai, lui mi fece un gesto con la mano, come se dovesse scacciare una mosca fastidiosa.
«Senti, se vuoi vendermi qualcosa, non girarci tanto intorno.» disse, svogliato. Presi fiato: dopo aver camminato per tutta la città e aver incontrato la gente più strana di tutto il globo, non avevo assolutamente voglia di mettermi a discutere con un tizio che sembrava del tutto fuori di testa.
«Questo annuncio.» specificai, quasi con rabbia. Lui indietreggiò di un passo.
«Okay, amico, calmati. Scherzavo!» mi chiesi se avessi dovuto picchiarlo, perché la tentazione era abbastanza forte. «Su, dai, entra.» mi fece un cenno con la testa e io lo seguii, trascinandomi dietro il borsone, che mi aveva seguito in tutte le mie disavventure. «Ragazzi, abbiamo trovato il coinquilino.»
Altre due teste sbucarono fuori dalla cucina. Avevano in mano dei palloncini pieni d'acqua, e cominciai a farmi delle raccomandazioni mentali sui successivi annunci. «Ciao!» salutarono in coro, alzando la mano libera.
«Ciao.» risposi diffidente. Loro sorrisero, e uno dei due diede una gomitata al ragazzo che mi aveva aperto.
«Sembra un tipo simpatico!» gli altri due annuirono.
«Siamo d'accordo, allora!» disse il terzo, buttando il palloncino in un angolo, questo scoppiò, lasciando una grossa pozza d'acqua sulla moquette. «Sarai il nostro nuovo coinquilino.»
Aggrottai la fronte: io non avevo ancora detto di sì, anche se le possibilità erano davvero poche. «Ehm... ecco...» tentai, confuso.
«Ah, giusto. Che scemo, neanche ti abbiamo chiesto come ti chiami.»
«Hyuuga Natsume.»
«Perfetto, Nat, vieni ti mostro la tua stanza!» notai con apprensione che anche a loro piaceva vivere al buio, quando ne chiesi il motivo, la risposta che ricevetti fu abbastanza allarmante. «Abbiamo smesso di pagare la luce. Tanto a che ci serviva? Nessuno di noi guardava la televisione.» decisi di non fare più domande. Il lato positivo era che la stanza era piuttosto grande e il prezzo piuttosto basso, anche se lo stato della compagnia era piuttosto preoccupante.
«A proposito,» fu di nuovo il tizio che mi aveva aperto a parlare. «Io sono Shiratori Ryoutarou, piacere di conoscerti. Loro sono Yamamoto Eichi,» e mi indicò quello dei due che aveva buttato via il palloncino. «e Chiaki Masao.»
«Piacere!» di nuovo in coro, mentre facevano qualcosa che non riuscivo a capire. Erano accovacciati a terra e confabulavano, ma a voce troppo bassa perché potessi capire.
«Ci conosciamo dai tempi delle elementari.» raccontò ancora Kintarou. Io annuii, buttando a terra il borsone, vicino al letto. La posizione era alquanto scomoda, dato che era sotto la finestra e non c'era né una tenda o la serranda. Forse avevano abolite anche quelle per fare economia. «Di solito, alle otto di sera la vecchietta del piano di sotto ci porta la cena. A proposito, se vuoi cucinarti qualcosa, beh... è meglio se vai da lei, perché anche la bolletta del gas è una cosa che abbiamo abolito. Spero che le docce fredde non siano un problema.» mi diede una pacca sulla spalla e uscì. «Fa' quello che devi fare e poi raggiungici, se ti va.»
«Okay...» risposi, ma non mi sentivo per niente tranquillo.
Quando uscii dal bagno capii perché: nessuno di quei tre era a posto. Mi ritrovai davanti un palloncino rosso con disegnate sopra due ics al posto degli occhi e la bocca con la lingua che sporgeva, come se si fosse impiccata. Mi chiesi se volessero spaventarmi o se fossero semplicemente scemi.
C'era un puntaspilli sul mobile proprio lì vicino, ed era una tentazione davvero troppo grande, qualunque delle due ipotesi fosse quella giusta. Ne presi uno e bucai il palloncino. Dopodiché sentii un grido, come se qualcuno si stesse facendo squartare. Feci qualche passo, evitando di pestare l'acqua che era caduta a terra, e trovai quello che mi pareva fosse Masao con espressione dolorante e avvilita. «Sei pazzo?» mi chiese alzandosi e puntando un dito contro di me. «Quello era... quello era...» sporse il labbro inferiore e si appoggiò contro il muro, battendo un pugno su di esso. «il mio palloncino!»
«Che è successo al piccolo Heiji?» venne Eichi, di corsa, con un'espressione preoccupata sul viso. «Dov'è il nostro piccolino?»
Gli indicai il relitto del palloncino, che a quanto pareva era il loro piccolo qualcosa. Ora quei due vecchi che avevo incontrato a inizio giornata, non mi sembravano più tanto strani, e la loro proposta non mi sembrava più così male. Eichi mi guardò costernato.
«Che c'è?» domandai, reprimendo l'impulso di chiudermi in camera o di farmi ricoverare in un manicomio.
«Era il nostro piccolo Heiji!» gridò, e mi scosse per le spalle. Sapevo che era irrazionale cercare una spiegazione in tutto quello, ma non riuscivo a capire perché tutta quella storia per un palloncino uguale a quello che lui stesso aveva gettato in un angolo senza riguardo poco prima. E anche se non l'avesse fatto, insomma... era uno stupido palloncino uguale a milioni di altri.
«Era il nostro piccolino...» singhiozzò Masao. «l'abbiamo messo lì perché volevamo solo che anche lui ti desse il benvenuto come nostro nuovo amico...» nascose il volto tra la mano e il muro. «e tu l'hai ucciso!»
Sospirai: avevo passato molto tempo con Miyako che aveva otto anni, ma giuravo di non sapere come comportarmi in una situazione del genere. Probabilmente aveva ragione Mikan quando, ogni tanto, diceva che non avevo rispetto per i sentimenti altrui. «Posso sempre gonfiarne un altro.» in fondo poteva essere la soluzione.
Vidi Masao sgranare gli occhi e voltarsi verso Eichi, come se la mia proposta fosse stata quella di uccidere la signora del piano di sotto e mangiarla per cena. «L'hai sentito, Eichi?» gli domandò, puntando un dito contro di me, di nuovo. «L'hai sentito anche tu, vero?» l'altro annuì, solenne. Masao assottigliò gli occhi e si avvicinò a me. «Come puoi pensare, come puoi solo.... immaginare che uno stupido, comune palloncino possa rimpiazzare il mio piccolo Heiji?» fece una pausa. «Eh?»
«Insomma ragazzi perché state gridando?» intervenne Ryoutarou, uscendo dalla propria stanza. Calciò i resti di Heiji verso il battiscopa e si avvicinò a noi.
«Niente.» assicurò Masao, scrollando le spalle. «Solo uno scherzetto.» mi diede una pacca sulla spalla e tutti e tre si diressero in cucina, lasciandomi fermo come un idiota in mezzo al corridoio, del tutto scioccato. Forse aveva davvero ragione chiunque mi avesse detto che non avevo senso dell'umorismo, perché davvero non capivo. L'unica cosa certa era che adesso avevo un indirizzo da dare alla Watanabe, ed era il caso che ci andassi, prima che cambiassi idea, oppure casa.

Mi svegliai alle tre di notte con la testa che pulsava per il dolore. Mi alzai per andare a vedere se in cucina c'era qualcosa che potesse aiutarmi a farlo passare, senza svegliare qualcuno di quei tre. Primo perché non mi pareva il caso di sentirli chiacchierare a quell'ora di notte e poi perché se qualcuno avesse osato svegliare me, mi sarebbero saltati abbastanza i nervi. Quando uscii dalla stanza, però, sentii delle voci e degli strani rumori. Pregai perché fossero ladri e non loro tre svegli.
«Dai, ora tocca a te!» sentii dire a Masao. «Dai, che Ryoutarou ci ha messo un secolo per trovare questi costumi!» costumi? Sperai che non volessero giocarmi qualche altro brutto tiro, magari vestiti da polli. Era più di quanto potessi sopportare a quell'ora indegna.
«Ma perché prima io? E se poi è fredda?» chiese Eichi, contrariato. Mi appoggiai allo stipite della porta che dava sulla piccola sala e li vidi appollaiati sul mobile che avrebbe dovuto ospitare la televisione. Quando ero arrivato non avevo capito perché fosse vuoto, ora ne avevo una vaga idea.
«È fredda per forza, genio! L'acqua calda non l'abbiamo da quando abbiamo smesso di pagare il gas!» non riuscivo bene a vedere che stessero combinando da dove mi trovavo perché uno dei due divani mi copriva la visuale di quel che c'era a terra.
«E va bene.... oh! Kaname! Eccoti qui, perché te ne stai lì fermo? Unisciti a noi!» mi fece cenno con il braccio di avvicinarmi e allora capii che con “Kaname” si stava riferendo a me. «Sono certo che possiamo trovare un costume anche per te.» e, finalmente, capii: non erano costumi di carnevale o chissà che altro, erano costumi da bagno. Stavano cercando di tuffarsi in una piscina per bambini e anche da quell'altezza ridicola, se si fossero tuffati come da un trampolino, ad andargli bene, si sarebbero rotti il naso.
«Credo che... stavolta... passerò.» dissi, arretrando verso la porta della cucina.
Sentii mugolare Ryoutarou. «Forse non è così divertente come pensavamo...» borbottò. Trovai le pasticche per il mal di testa e tornai a dormire, cercando di non fare caso a quello che avevo appena visto.

La mattina dopo, durante l'ora di colazione, composta da latte freddo e biscotti, sentimmo bussare alla porta, appunto perché il campanello non funzionava.
«Ehi,» Eichi mi diede una gomitata, col risultato che il biscotto che tenevo in mano cadde nel latte. Mi limitai a guardarlo, truce. «scusa, amico, ma è l'ultimo arrivato l'addetto alla porta!»
Mi alzai e mi diressi alla porta, maledissi chiunque avesse avuto la malaugurata idea di venire a bussare alle nove di mattina. Mi ritrovai davanti la stessa ragazza con cui avevo parlato il giorno prima «Natsume-kun,» mi salutò, gioviale. «il mio capo vorrebbe vederti.»
Prima che potessi rispondere ero già stato sommerso da quei tre e spinto verso il muro. «Cavolo,» commentò Ryoutarou, molleggiando sulle gambe. «salve bellezza, cercavi me?»
«Certo che no, idiota!» ribatté Masao, passandosi una mano tra i capelli per poi farle il baciamano. «Lei cercava me.»
«Come no!» fu il turno di Eichi di parlare. Si appoggiò allo stipite della porta schioccando la lingua. «È me che cerchi, vero, tesoro?»
Il sorriso della ragazza si incrinò un po', ma non scomparve. «Mi dispiace deludervi, ragazzi...» disse lei, mettendo le mani avanti. «cercavo lui.» mi prese per la maglietta e mi trascinò fuori. Mi voltai indietro e vidi che tutti e tre mi guardavano con espressione sconcertata. L'unica cosa a cui pensavo io era che stavo andando a conoscere il mio nuovo capo.

*****

Allora! Eccoci qui: volevo pubblicare oggi, nonostante il capitolo sia pronto da una buona settimana, perché sono i miei 18 anni e volevo fare qualcosa di straordinario (in effetti la pubblicazione è un evento straordinario, sono mesi che non pubblico questa storia XD. Non è un miraggio!).
Per quanto riguarda il prossimo ce l'ho quasi tutto, mi mancano delle piccole – okay, forse non tanto piccole – parti, ma non c'è niente di cui preoccuparsi, non dovrebbe essere così complicato scriverle, anche se ho bisogno di un bel colpo di genio per una scena in particolare. Ma mi verrà in mente, sono sulla buona strada!
Spero che questo capitolo abbia fatto il suo lavoro, insomma... per quanto riguarda gli ultimi eravamo piuttosto sulla modalità “depressione blu”. Spero di aver risollevato un po' il tono, ai lettori l'ardua sentenza!
Ora passo direttamente ai ringraziamenti. Non ci capisco più un tubo perché mi ritrovo a oscillare tra i 33 e i 34 preferiti e non capisco chi va e chi viene, quindi mi sono limitata a copiare le liste per non fare confusione, anche perché coi cambi di nick è diventato tutto più difficile XD

Pertanto, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. AkA GirL
2. Anime xx
3. Annie Roxane Jackson
4. bennycullen
5. Butterfly_Dream
6. Deni Coccy Boh
7. EkoChan
8. Erica97
9. fedee_s2
10. forzaN
11. HimeRein
12. Kiuxy
13. lauretta 96
14. Luine
15. Manila
16. marzy93
17. mikamey
18. MooN_LiE_
19. rinxse
20. rizzila93
21. Rubis HD
22. sakurina_the_best
23. Seleliu
24. SEXY__CHiC
25. Spuffy93
26. stella93mer
27. Thedarkgirl96
28. twilighttina
29. valuzza92
30. Veronica91
31. XIUKY88
32. Yumi_chan
33. _evy89_

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. AkA GirL
2. aliasNLH
3. angteen
4. HimeRein
5. Mei91
6. sakura2611
7. Thedarkgirl96

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. AkA GirL
2. ChibiRoby
3. DaMnEdQuEeN
4. Deni Coccy Boh
5. dolce_luna
6. EdelSky
7. feilin
8. forzaN
9. grifoncina93
10. HimeRein
11. laurA_
12. Lizzie23
13. MatsuriGil
14. Mb_811
15. Mei91
16. Miki89
17. miricullen
18. naruhina 7
19. punk92
20. Rubis HD
21. sailorm
22. sakura92
23. shinigamina_love
24. Spuffy93
25. tate89
26. Thedarkgirl96
27. XIUKY88
28. _Dana_
29. _evy89_
30. _Haruka_

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Capitolo 19
*** Complicazioni ***


Capitolo 19 – Complicazioni
(Mikan)


Fu il suono della sveglia a strapparmi dalle immagini confuse del mio sogno. Era stato molto strano, e non sapevo perché ma mi metteva i brividi. Zittii la sveglia con un colpo ben assestato che la fece finire a terra e allungai il braccio per svegliare Natsume, solo per trovare l'altra parte di letto vuota. Mi tirai su, guardandomi intorno: niente. Scossi la testa, in preda a un leggero capogiro, mentre le immagini di quello che credevo fosse stato un sogno mi passavano velocemente davanti agli occhi. La prova che non era stata solo la mia immaginazione a giocarmi un brutto scherzo era il fatto che il borsone fosse sparito e che i cassetti della cassettiera fossero in parte aperti e del tutto vuoti. Fissai la porta del bagno per un po', come se lui dovesse uscire di lì improvvisamente e brontolare sul fatto che fossi, di nuovo, in ritardo e che non avremmo trovato quasi niente per la colazione.
Ma non successe niente.
Presi un bel respiro per non mettermi a piangere di nuovo. Avevo fatto una promessa e intendevo mantenerla il più a lungo possibile. Decisi di alzarmi per andare a fare colazione, notando solo allora che anche il cassetto con le mie cose non era ben chiuso. Magari si era dimenticato che lì c'era roba mia, oppure l'aveva lasciato aperto per ricordarmi che non si era portato via tutto.
Subito dopo aver indossato anche la divisa, presi un altro respiro profondo e mi incamminai verso la porta. Abbassai la maniglia e andai avanti, sicura di trovare il corridoio, invece la porta non si mosse, impietosa, e, prima che me ne accorgessi, avevo già battuto una testata. Mi massaggiai la fronte, dolorante e solo allora notai la chiave nella toppa. Sbattei le palpebre un paio di volte, solo per essere sicura che il colpo non fosse stato troppo forte e ci vedessi ancora bene. Se la porta era chiusa da dentro, lui com'era uscito dalla stanza? Mi girai indietro, sentendomi improvvisamente osservata.
Niente.
Ricapitolai mentalmente che non poteva essere né in bagno, dato che c'ero appena stata, né in cucina, perché da dov'ero la vedevo benissimo. Mi portai una mano alle labbra, pensierosa.
Mi feci inspiegabilmente speranzosa: magari era ancora a scuola, magari il borsone non c'era solo perché l'aveva portato da un'altra parte e ancora non era partito. Forse, se solo fossi scesa a colazione, l'avrei trovato seduto vicino a Ruka-pyon e a Youichi mentre dava un'occhiata svogliata a qualche giornale o a lanciare qualche altra ancora più inspiegabile occhiataccia a Sumire, esattamente come tutti i giorni. Sorridendo, girai la chiave nella toppa e mi diressi a mensa più velocemente che potei, dato che mi aspettavo proprio di vederlo lì.
Aprii la porta di scatto e percorsi tutta la sala con lo sguardo, fino al tavolo dove sedevano abitualmente i miei amici. Ruka-pyon stava dando da mangiare quietamente al suo adorato coniglietto. Guardai con più attenzione nei dintorni, Natsume doveva essere lì. Mi avvicinai, molto lentamente, per paura di perdere qualche centimetro importante.
«Mikan,» mi chiamò Hotaru, sorprendendomi alle spalle. Sobbalzai per lo spavento. «perché cammini come un bradipo? Stai creando una fila lunga fino all'entrata. La gente vorrebbe entrare.» mi prese per un braccio e mi trascinò via, mentre sentivo gli altri studenti ringraziare il cielo. «Su, andiamo a sederci.» non potei fare altro che annuire, poi prendemmo posto vicino a Ruka. Sondai il tavolo, sperando nella più completa discrezione.
«Non c'è,» mi interruppe Ruka-pyon, con sguardo dolce e tono del tutto rassegnato. «se n'è andato.» mi sentii colta in flagrante, come se stessi facendo qualcosa di male. Finii di esaminare accuratamente la mensa, prima di rassegnarmi davvero al fatto che non ci fosse. Sospirai, appoggiando la testa sul tavolo. Mi sentivo come se mi avessero abbandonata in un posto che non conoscevo.
«E così è andato via davvero.» però speravo ancora che sbucasse da qualche parte come faceva quando ricompariva da qualche missione. Mi sembrava impossibile che le cose fossero cambiate così tanto in così poco tempo. Non avevo avuto nemmeno il tempo di abituarmi all'idea che lui era già sparito.
Hotaru mi appoggiò una mano sulla spalla, non sapevo se per dirmi qualcosa o per darmi conforto. «Ti va un po' di cervello di granchio per tirarti su il morale?» mi porse la sua solita scatoletta d'acciaio con la solita sostanza grigia informe e dal solito odore poco raccomandabile. Lei mi guardava con aspettativa, porgendomi la scatolina. Precisamente come quasi tutte le mattine.
Deglutii. «Grazie, Hotaru...» tentai, respingendo la scatoletta. «non ho fame.» e non era del tutto falso. La fame mi era passata totalmente, e non solo per l'odore nauseante del cervello di granchio.
«È davvero inutile cercare di renderti più intelligente.» commentò lei, riprendendo la sua abituale colazione. Ruka-pyon la guardava rapito, mentre accarezzava distrattamente la testa al suo coniglietto. Distolsi lo sguardo, sentendomi improvvisamente sola.

Arrivati in classe, Hotaru si sedette al suo solito posto, nelle prime file, mentre io e Ruka-pyon ci avviammo verso l'ultimo banco, il nostro storico posto.
«Sei sicura che vada tutto bene?» mi chiese lui, gentilmente. Io mi limitai ad annuire, senza aggiungere altro. Fissavo il posto, di solito vuoto, alla mia destra, che ora non lo era più. Sumire era seduta al posto che apparteneva a Natsume.
Vidi Ruka-pyon aggrottare la fronte; mi lanciò un'occhiata, ma non riuscii a capire che volesse dirmi. Più di una volta Hotaru mi aveva detto che avevo bisogno di un corso accelerato sull'interpretazione del linguaggio che lei aveva chiamato “non verbale”, ma non me ne aveva più parlato, anzi era addirittura andata via con una strana espressione dopo che le avevo fatto notare che nessun'altra parte del corpo, eccezion fatta per la faccia, aveva una bocca con cui parlare.
«Shoda-san...» la salutò Ruka-pyon, sedendosi alla sua destra. Io mi sistemai al mio solito posto, alla sinistra di Sumire. «buongiorno.»
«Buongiorno Sumire.» dissi, appoggiandomi stancamente al banco. Lei mi guardò in modo estremamente strano. Io sbattei soltanto le palpebre, confusa. I suoi occhi si assottigliarono in modo inquietante, come se volesse leggermi nel pensiero.
«Perché dovrebbe saperti leggere nel pensiero?» mi chiese Koko, voltandosi verso di noi. «Dovresti preoccuparti di più che sia io a farlo.» poi scoppiò a ridere, lasciandomi del tutto interdetta. Ad un certo punto si voltò verso Sumire. «Invece di stare lì a fissarla, dovresti dirle che la sua espressione abbattuta ti dà fastidio.»
Stavolta non riuscii davvero a capire di che stesse parlando. «Oh,» sospirò la mia amica. Sembrava scocciata. Gli diede uno schiaffo sul braccio. «fatti gli affaracci tuoi, Koko! Guardala com'è ridotta, ti sembra possibile?»
Lui inarcò un sopracciglio, mentre io mi voltavo verso di lui, per cogliere i dettagli della discussione. Avevo la strana sensazione che mi riguardasse. «Non credi che siano affari suoi?» ribatté lui, lanciandomi per un secondo un'occhiata dubbiosa, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione a Sumire. «E poi lo dici come se lo facessi per puro spirito altruista.»
«Ma che ne sai, tu?» rispose lei, come se ciò che lui aveva appena detto le avesse dato particolarmente fastidio. «Solo perché sai leggere nel pensiero non pensare di sapere tutto di tutti.»
«Ti lamenti solo perché ho ragione.» concluse Koko, indicando la testa di Sumire.
«Anche ammesso che sia così,» concesse lei, incrociando le braccia al petto. «non sono affari tuoi. Vuoi dirmi che sei tu quello che si è intromesso in una discussione neanche iniziata, perché sei un gentiluomo?»
«Ma...» provò Koko, ma Ruka-pyon li interruppe frapponendosi tra loro.
«Adesso basta.» disse, perentorio. «Non riesco a capire perché stiate discutendo, dato che la diretta interessata non è neanche stata interpellata. In più, la classe non mi sembra il posto adatto per un battibecco. Sta anche arrivando il professore.» sospirando e guardandoli con disapprovazione, si rimise al proprio posto.
Sumire abbassò la testa, contrita. «Scusa... hai ragione.» tornò a sedersi composta e in silenzio, mentre Koko si girò verso il proprio banco con una smorfia delusa sul volto. La mia amica si girò verso di me e fece per parlare, ma poi richiuse la bocca, appiattendo le labbra le une contro le altre. Il suo sguardo mi mise in soggezione e non potei fare altro che deglutire. Sembrava che volesse estorcermi qualche strana confessione, come in un fumetto che avevo visto leggere a Natsume, il poliziotto si siede dall'altro lato del tavolo con quell'aria minacciosa e il colpevole si sente piccolo piccolo. Era la stessa cosa che stava succedendo a me. Ero talmente congelata che il professore, per ottenere una minima risposta da parte mia, fu costretto a colpirmi in testa col registro.
«Si risponde “presente” all'appello, Sakura.» fu tutto quello che mi disse, prima di rendere la mia mattinata ancora più complicata. «E già che stai ancora dormendo, perché non vieni alla lavagna a svolgere qualche esercizio? Potrebbe aiutarti a svegliarti.»
«E-esercizio?» domandai, per essere sicura di aver sentito bene. Lui annuì con quello che mi parve un ghigno sadico, sul modello di quello di Jinjin che ancora tormentava i miei incubi peggiori. Pensai che fosse una caratteristica che apparteneva esclusivamente agli insegnanti di matematica. Mi guardai introno, in cerca di supporto o di qualcuno che mi salvasse dal mio tragico destino. Tutti gli altri, però, fissavano il proprio quaderno, tranne Ruka-pyon che coccolava il suo coniglietto e Hotaru che mi fissava con un sopracciglio inarcato, come se si aspettasse qualcosa da me.
«Sakura, a meno che tu non abbia un braccio estensibile che ti permetta di scrivere sulla lavagna da dove ti trovi ora, ho dei seri dubbi che tu possa riuscirci. Perché non ti alzi?» fu allora che capii che non stava assolutamente scherzando e che avrei dovuto davvero svolgere un esercizio di matematica tutto da sola.
Sospirando sconsolata, mi alzai, dirigendomi alla lavagna a passo di bradipo, come l'aveva definito la mia migliore amica neanche un'ora prima, sperando che ciò avrebbe aiutato a far durare il meno possibile l'interrogazione. «Piuttosto,» riprese a parlare il professore. «dato che Noda-sensei è di nuovo disperso nel tempo, la prossima ora ci sono ancora io.» così le mie speranze furono totalmente e definitivamente abbattute. Era praticamente certo: non avrei potuto sopravvivere.
Il professore sorrise di nuovo in modo inquietante quando arrivai di fronte alla lavagna. Presi in mano il gesso e mi voltai verso di lui in attesa che mi desse un esercizio.
«Qualcuno di voi ha un esercizio da proporre?» mi girai verso i miei compagni di classe con un espressione da cagnolino bastonato. Tutti quanti scossero la testa e li ringraziai mentalmente. «Bene, Imai mi daresti il testo?» vidi Hotaru prestargli il suo libro e lui sfogliarlo con lentezza estenuante. «Ah, questo è davvero divertente.» cominciai a sudare. Quando il professore di matematica trovava un esercizio “divertente” significava che era impossibile. Almeno per me. Deglutii.
Quando cominciai a scrivere quell'espressione goniometrica sapevo già che senza un intervento divino non avrei saputo dove mettere le mani. Nel momento stesso in cui finii di scriverla cominciai a sentirmi strana: mi girava la testa. Mi appoggiai prima alla lavagna e poi al contenitore dei gessi, mentre uno strano senso di vertigine faceva sembrare che il pavimento si avvicinasse e si allontanasse di colpo. Mi appoggiai al pavimento, nella disperata idea che si sarebbe fermato, ma non accadde. Scivolai verso terra, mentre le parole che gli altri stavano dicendo si confondevano col mio nome, pronunciato forse dal professore. Non riuscivo a capire più niente, luci e suoni si confondevano. L'unica cosa certa era che avevo la sensazione di trovarmi su un qualcosa che girava a migliaia di chilometri all'ora.

Nell'irrazionale flusso di pensieri in cui ero immersa, l'unica cosa chiara sembrava la mano di qualcuno stretta nella mia, che diceva qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa, e una voce familiare che rispondeva, ma non riuscivo a ricordare chi fosse. L'ultima immagine che mi si parò davanti fu quella di Natsume, non sapevo perché fossimo separati da delle sbarre e del perché sentissi il disperato bisogno di allontanarmi da lui.
Mi svegliai, sussultando, in un letto. Sbattei le palpebre, prima di capire esattamente dove fossi: l'infermeria. Cercai di tirarmi su, ma una voce mi bloccò.
«Mio fratello ha detto di non sforzarsi troppo, scema.» era la voce di Hotaru. Voltai la testa verso di lei, e la vidi seduta su uno sgabello, con un libro sulle gambe. Mi sorrise brevemente. «È inutile che cerchi di scappare dalla matematica, Mikan. Verrà comunque da te.»
Mi massaggiai la testa: faceva un po' male. «Non l'ho fatto apposta.» mi lamentai. Avrei preferito fare miliardi di esercizi di matematica, era stata una sensazione orribile. «Che è successo?»
«Io e il professore abbiamo cercato di svegliarti. Si è preso un colpo quando pensava che fosse stato l'esercizio a farti questo effetto, per cui ha cercato tutti i possibili motivi per il tuo svenimento.» mi spiegò, sfogliando il suo libro. «Sorprendentemente ti ha curata una bambina. Non ricordo il suo nome, ma il suo Alice è strano, decisamente strano. Non è come quello di mio fratello e c'era il Preside delle Elementari con lei. Ha detto una cosa curiosa.»
Mi sentii stranamente agitata. «Cosa curiosa... come?» la incitai, nervosamente.
«Ha detto che il fatto che lei fosse riuscita a curarti gli diceva esattamente quello che voleva sapere. Ma non ho ben capito che intendesse.» si mise una mano sotto al mento. «Comunque ti farà piacere sapere che il professore ha insistito per mandare all'ospedale Alice un campione del tuo sangue per fare un test di gravidanza.»
Spalancai gli occhi, del tutto spiazzata. «Perché?» domandai, sentendomi andare a fuoco le guance.
«Te l'ho detto che ha cercato ogni possibile motivo per il tuo svenimento.» mi ricordò, con tono piatto. Mi chiesi come facesse a mantenere la calma in una situazione del genere.
«Hanno detto che cos'ho?» chiesi io, ancora più agitata. Lei scosse la testa, alzandosi. Lisciò la copertina del libro, con una calma che mi mise ancora di più in agitazione.
«Mio fratello ha detto che non sa spiegare cosa sia successo.» mi disse, rivolgendomi lo sguardo. «Comunque, tra una settimana avremo il risultato del test.»
Ci pensai un attimo. Non mi sentivo per niente diversa, avevo una sensazione generale di malessere, ma non mi sentivo diversa. Non come aveva detto il nonno che una mamma dovesse sentirsi. «Tu non lo pensi, vero?»
«Certo che no.» mi rispose lei, ancora prima che potessi finire la domanda. «Tu sarai anche un'idiota, e da te una cosa del genere ci si potrebbe aspettare, ma non dal tuo ragazzo. Insomma, credo che lui sia stato un po' più previdente di te, che a quanto pare non avevi nemmeno pensato ad un'eventualità del genere.»
«E se dovesse essere positivo?» ero in panico totale: non avevo mai pensato che potesse accadere una cosa anche solo lontanamente simile.
«Natsume Hyuuga perderebbe il briciolo della mia stima che si era guadagnato con tanta fatica.» concluse lei.
«E io cosa dovrei fare? Insomma... Hotaru!» la chiamai, sperando che si fermasse. Si era già avviata verso la porta e aveva abbassato la maniglia. «Non so neanche come farglielo sapere.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Vuoi dirmi che nemmeno hai pensato a un modo per mantenervi in contatto senza che la scuola lo scopra?» poi sospirò. «Voglio dire, lui non ci ha pensato?»
Mi accorsi che non riuscivo a pensare. Mi ributtai sul letto e osservai il soffitto. Cercai di tranquillizzarmi pensando al fatto che Hotaru fosse così sicura che il test sarebbe stato negativo. Rimasi inerte finché il fratello di Hotaru non entrò nella stanza.
«Come ti senti?» mi chiese, posando dei fogli sul tavolo vicino alla porta.
«Bene.» fisicamente stavo discretamente bene, ma non riuscivo a rimettere ordine in testa.
«I tuoi amici hanno detto che sei svenuta davanti alla lavagna, è la matematica che ti fa paura o è successo qualcos'altro?»
«In effetti... è da un po' che mi capita che mi giri la testa e ho la sensazione di svenire.» ed era vero, già da prima che Natsume andasse via.
«Un po' quanto?» domandò, facendosi improvvisamente serio.
«Un paio di mesi...» ci pensai su. «Tre o quattro mesi, in effetti.»
«Tra una settimana arriveranno i risultati delle analisi del sangue, spero che la situazione si farà più chiara. Piuttosto non posso dirti di più, mi dispiace.» prese un bel respiro. «Intanto, se ti senti male di nuovo, torna in infermeria.»
«Dottore... e per...» deglutii, imbarazzata. Non sapevo come porgli la domanda. «per...»
Lui sospirò. «Il test di gravidanza?» io alzai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. «Sta' tranquilla, quel tizio l'ha ordinato per almeno quindici ragazze negli ultimi tre giorni. Lo fa solo con quelle che sa che hanno un ragazzo. È un tipo strano.»
Annuii, ma sentivo un peso notevole sullo stomaco, come se ci fosse stato un macigno. «Posso tornare in camera?» domandai.
«Se ti senti bene, puoi andare.» rispose. Poi si fece di nuovo serio. «Ma ricordati di tornare se ti senti di nuovo male.» io annuii.

Corsi in camera e mi chiusi la porta alle spalle. Quando alzai lo sguardo, quasi mi aspettavo di trovare Natsume steso sul letto a leggere uno dei suoi fumetti. Il fatto che non ci fosse stato a colazione o a lezione, non era stato molto rilevante, le saltava spesso entrambe. Negli ultimi tempi, poi, non eravamo più nemmeno nella stessa classe e raramente facevamo colazione insieme. Ma non vederlo sul letto, subito dopo essere rientrata, fu una specie di colpo di grazia, una sorta di prova del nove. Mi misi le mani sugli occhi che avevano già cominciato a bruciare. Scivolai fino a terra e rimasi lì per un po', non sapevo veramente cosa avrei dovuto fare.
Mi trascinai fino al letto e abbracciai il cuscino, cominciando a singhiozzare tanto forte da non riuscire quasi a respirare. A poco a poco, scivolai di nuovo in quello stato di incoscienza in cui mi ero ritrovata dopo essere svenuta. Solo che questa volta, invece di immagini confuse di cui non conoscevo la provenienza, mi ritrovai immersa in un mio ricordo.

“Stavo passeggiando in giardino. Pioveva a dirotto ed ero completamente fradicia, ma mi piaceva tantissimo camminare sotto la pioggia d'estate. Hotaru mi diceva spesso che quando mi fossi presa una bronchite da manuale mi sarebbe passata la voglia, ma non era ancora mai successo. Mi calmava molto, specialmente dopo aver avuto una discussione con Natsume. Quel giorno non era successo, perché non si faceva vedere da qualche giorno ed ero un po' preoccupata. Succedeva tutte le volte che andava in missione. Questa, poi, era durata più a lungo delle altre, e nessuno sapeva o voleva dirmi niente a riguardo, nemmeno Narumi-sensei.
Mi stupii di quanto frequentemente mi capitasse di pensare a Natsume negli ultimi tempi. Negli ultimi sei o sette anni non avevamo fatto altro che litigare, sarebbe stato logico pensare che non lo sopportassi. Invece, avevo sempre voglia di vederlo, anche se discutevamo tutte le volte che succedeva. Non avevo mai detto niente ad Hotaru a riguardo, perché non sapevo bene che dirle, e poi mi vergognavo tantissimo. Sospirai pesantemente e alzai gli occhi verso il cielo: era strano vedere le goccioline di pioggia cadermi addosso, ma non potei guardare a lungo perché alcune mi entrarono negli occhi.
Sbattei le palpebre per ritrovare la vista e vidi una sagoma scura contro un albero. Istintivamente, arretrai di un passo, ma il profilo mi sembrava familiare, così decisi di avvicinarmi lentamente, magari non mi avrebbe vista. Pestai un rametto che si spezzò facendo un rumore, almeno per me, assordante. Quando il ragazzo alzò gli occhi verso di me, ebbi le vertigini. Era proprio Natsume.
Nel momento in cui notai il profondo taglio sulla sua guancia mi si mozzò il respiro per la preoccupazione. Neanche immaginavo che cosa fosse successo durante la missione, ma dal suo sguardo spento, dedussi che doveva essere stato qualcosa di orribile. Fremevo per il bisogno di fare qualcosa per lui. «Natsume...» lo chiamai.
Lui tornò a guardare di fronte a sé, come se invece che guardare me avesse guardato una foglia cadere dall'albero. «Che vuoi?» mi chiese, debolmente ma con astio. Sussultai a quelle parole e a quel tono. «Vattene.» abbassai lo sguardo e feci per fare un passo indietro. Ma quando il mio sguardo cadde di nuovo su quel taglio, imposi a me stessa di non farmi intimidire dalle sue parole. Non potevo lasciarlo lì in quelle condizioni.
Mi inginocchiai accanto a lui, guadagnandomi un'occhiata tutt'altro che amichevole. Distolsi lo sguardo: era davvero terrorizzante. «Non me ne vado.» risposi, debolmente, grattandomi una guancia, a disagio. «Sei... sei ferito.»
«Perspicace.» commentò, tossendo. Sospirò pesantemente, voltandosi dall'altra parte. Abbassai lo sguardo, fino a notare lo stato impietoso dei suoi vestiti. Doveva esserci stata anche un'esplosione, o un incendio, perché in alcuni punti erano bruciati.
«Se sali un attimo in camera mia, ti disinfetto questi tagli.» gli misi una mano sul braccio, per convincerlo, ma lui si scansò come se l'avessi scottato.
«Non ce n'è bisogno.» sbottò, sistemandosi la manica sgualcita e sospirando spazientito. «Vattene.»
Mi accorsi che non ci sarebbe stato niente che avrei potuto dire per convincerlo, per quant'era testone. Ma decisi che sarei rimasta lì, non potevo lasciarlo da solo, almeno se fosse svenuto avrei potuto chiamare qualcuno, sapevo che non me l'avrebbe permesso da sveglio. «D'accordo, ti lascio in pace.» sussurrai. «Credevo solo che ti saresti sentito meglio.»
Quando vide che non avevo intenzione di muovermi, imprecò sottovoce. «Perché perdi così tanto tempo dietro a uno come me?» la domanda arrivò completamente inaspettata. «Non mi odi per come ti tratto? Non ti viene naturale starmi lontano?»
Mi chiesi per quale motivo avrei dovuto odiarlo o trovare piacevole stare lontano da lui. Scossi la testa, con forza. «Ma che stai dicendo?!» era fuori di testa, forse?
Lui sorrise stancamente. «Perché tu devi sempre rendermi tutto più complicato? Sarebbe tutto più facile se tu ti facessi gli affari tuoi.» finalmente rivolse lo sguardo verso di me e cercai di sostenerlo con tutta la determinazione che riuscii a tirare fuori. «Perché cavolo non te ne vai?»
«Perché sei ferito.» ammisi, arrossendo e abbassando lo sguardo. Quando rialzai gli occhi verso di lui lo vidi fissarmi quasi con fastidio e io mi ritrassi un po', muovendomi sulle ginocchia. Sembrava davvero pericoloso con quei vestiti strappati e quell'espressione. «Lo so che non ti sto simpatica, ma non puoi davvero pretendere che ti lasci qui da solo mentre sanguini. Potrebbe succederti di tutto.»
«Se avessimo una televisione decente qui in Accademia,» disse lui sbuffando. «ti direi che guardi troppi film. Non sono le ferite più gravi che ho avuto.» immaginai che fosse abituato a cose del genere. Mi chiesi come mai l'Accademia permetteva cose del genere. «Non dovresti preoccuparti più di tanto, anzi... non dovresti preoccuparti affatto.» la sua voce era appena udibile, col rumore della pioggia. «Te l'ho già detto un sacco di volte, Mikan,» sobbalzai al suono del mio nome pronunciato da lui, dato che non lo faceva quasi mai e una strana sensazione si impadronì della bocca del mio stomaco. «non avvicinarti all'oscurità più di quanto tu non abbia bisogno di vedere.» non avevo mai capito a che oscurità si riferisse. Perché io non riuscivo a vederla, neanche con tutto quel buio che c'era. Immaginai che non era in senso letterale che dovevo interpretare quella frase, ma qualunque cosa fosse, non aveva il potere di convincermi a scappare a gambe levate.
«Smettila con le scemenze!» sbottai, strattonandolo. Lui gemette di dolore e io mi ritrassi istintivamente, preoccupata. «Mi dispiace, scusami.» era stato tanto l'impeto che mi ero addirittura dimenticata che fosse ferito. Rimanemmo in silenzio per un po'; nessuno dei due si mosse, e io non sapevo cosa fare: come convincerlo a farsi medicare?
«Sei ancora qui?» mi domandò, scocciato, alzando lo sguardo su di me. Mi sentii avvampare, ma cercai di mettere su l'espressione seria più seria che potevo.
«Non me ne vado finché non vieni con me.» dichiarai, piccata. Se con lui non ci si impuntava, non si poteva avere una sola, minima speranza. Non che, insistendo, si ottenesse qualcosa di più, ma almeno potevo dire di aver tentato: comunque sarei rimasta lì con lui e lui lo sapeva.
«Immagino che, per quanto sei stupida e per la testa dura che hai, lo farai davvero.» sbuffò, contrariato. Cercò di alzarsi, e io mi sporsi per aiutarlo. «Ma, per favore,» mi scostò estremamente poco gentilmente. «è già abbastanza umiliante che qualcuno mi veda così, figuriamoci farmi portare dentro l'Accademia da una ragazza.» non capivo il motivo per il quale una ragazza non potesse aiutare un ragazzo a camminare quando era ferito, ma non parlai. Non volevo fare la figura della stupida un'altra volta, o meglio, per l'ennesima volta.
Lo accompagnai nella stanza, e dovetti sorreggerlo per un po' quando entrammo nel dormitorio femminile. Era piuttosto pesante per me e raggiungemmo la stanza con qualche difficoltà. Aprii la porta e lo aiutai ad entrare.
«Siediti qui.» gli dissi, conducendolo verso il letto. «Io torno tra un attimo.» andai verso la cassettiera a prendere delle bende e il disinfettante e intanto mi massaggiai la spalla, sperando che non mi vedesse. Eravamo bagnati fradici perché non aveva smesso di piovere neanche per un secondo, ma non osavo proporgli di cambiarsi, anche perché avevo solo vestiti da donna e non potevo garantire che non mi avrebbe uccisa al solo sentire una simile proposta.
«Te l'avevo detto che era meglio se mi lasciavi lì.» disse accennando alla mia spalla. Arrossii, non ero nemmeno riuscita a non farmi vedere. «Comunque, tu devi davvero essere stupida.» certo che quando apriva la bocca, lo faceva solo per insultarmi! Gli rivolsi un'occhiata poco amichevole, ma non ero sicura che l'avesse colta, per quant'era buio. «Dovresti mettere tra me e te una distanza di chilometri, ed essere contenta di farlo.» mi venne in mente solo in quel momento che l'unico amico che aveva era Ruka-pyon. Mi chiesi se ogni tanto non si sentisse solo.
«È sempre per il discorso dell'oscurità?» gli passai un po' di disinfettante sulla guancia e poi ricoprii il taglio con il cerotto. Probabilmente con oscurità si riferiva a lui o alle cose che faceva in missione. Ma ora che lo vedevo lì, sul letto, distrutto e ferito, non riuscivo a immaginarlo mentre faceva brutte cose.
«Beh, non sembri averlo afferrato tanto bene.» osservò, rivolgendomi un'occhiataccia. Anch'io lo guardai negli occhi, non sapevo come fargli capire che non era solo affatto. Io e i miei compagni di classe, oltre che Ruka-pyon gli volevamo bene, anche se lui non se ne rendeva conto.
«Questo è perché non capisco ciò che mi impedisce di fare certe cose.» risposi, aggiungendo un altro cerotto sul suo polso. «Sei tu quello che si allontana da tutti, non ti interessa quello che gli altri possono provare.»
«Fidati,» mi rispose lui, prendendo un po' di cotone con del disinfettante e passandoselo all'angolo della bocca. «state tutti meglio senza di me.»
«Non esserne così sicuro.» ribattei, piccata.
«Non esserne così sicura tu.» disse lui, calmo. «Mikan, non sai che cosa vuol dire.»
«Non è che tu abbia mai provato a spiegarmelo!» osservai, un po' triste. Non si era mai lasciato conoscere davvero da me. «Quando ci parliamo non facciamo altro che litigare, guardaci ora, stiamo discutendo su una cosa... non hai idea di quanto io ci rimanga male.»
«Più stai lontano da me, più sei al sicuro.» spiegò lui. «Cerco solo di proteggerti.» non riuscii a credere alle mie orecchie, era talmente impossibile che avesse detto quelle parole, che quando le sentii il mio cervello non le accettò nemmeno.
«Non è tutta una scusa per liberarti di me, vero?» temevo che fosse così. O meglio, era la soluzione più plausibile tra le due. Proteggermi? Proteggermi da che cosa?Appoggiò la fronte alla mia, con un gesto così dolce che mi pietrificai: non poteva fare così! Non poteva trattarmi male e, il secondo dopo, essere così gentile. E il modo in cui mi guardava, mi impediva di muovermi o di distogliere semplicemente lo sguardo. Quando si avvicinò, però, girai la testa da un lato, in modo che le nostre labbra non potessero incontrarsi. Non avrei sopportato che lo facesse e andasse via di nuovo. «Non comportarti così.» lo pregai, senza guardarlo. «Non puoi trattarmi male e poi comportarti così. Non è giusto.» era già successo una volta, era vero, ma avevo dieci anni e non me l'aspettavo affatto. Ma era sempre stato il suo classico comportamento, fare qualcosa e poi andare via. «Lo vedi che non ti interessa quello che provano gli altri?»
Lui inclinò la testa da un lato, assottigliando gli occhi. Qualche ciocca di capelli gocciolò sul materasso, e i suoi occhi in quel buio sembravano ancora più brillanti. «Non avrei fatto niente, se davvero non mi interessasse.» rispose lui. «Non sai quello che dici, Mutande-a-Pallini.»
«Vuoi dire che ti interessa sapere quello che provo io, adesso?» gli domandai, spalancando gli occhi, appena mi uscii la frase dalle labbra. Il fatto che dicessi le cose a ruota libera non era un buon segno. Lo vidi inarcare un sopracciglio, in attesa. Distolsi lo sguardo: non potevo dirglielo.
Lui mi posò una mano sulla testa. «È meglio così.» rispose lui, tirandosi su. «Sei proprio una sciocchina.»
«No, io...» tentai di fermarlo. Non sapevo come dirglielo, mi metteva a disagio, ma non volevo nemmeno che andasse via senza saperlo. Perché sarebbe tornato tutto come prima, lui sarebbe tornato ad ignorarmi e io a non sopportarlo.
«Lascia perdere.» mi consigliò avviandosi verso la porta. «Se non lo dici, va bene lo stesso.»
Mi alzai in piedi, con un coraggio che non credevo di avere. Sembrava che non gli interessasse, davvero i miei sentimenti contavano così poco per lui? «Davvero non ti importa sapere che sono innamorata di te?» gli domandai, quasi con sdegno. Lui si voltò verso di me, e lo vidi, sconvolto. Mi pentii subito di averlo detto. Abbassai lo sguardo, arrossendo.
Mi chiesi per un momento se fosse andato via senza far rumore: nella stanza c'era un silenzio assoluto, tanto che neanche lo sentivo respirare, ma quando spiai verso la sua direzione lo vidi ancora lì, in piedi, ma non riuscivo a vedere bene che espressione avesse.
«Sei davvero, davvero una sciocca.» lo sentii avvicinarsi e istintivamente tornai a fissarlo. Il cerotto con gli orsetti si staccò dalla sua guancia, e alzai un braccio per riattaccarlo. Lui, però, mi afferrò il polso, bloccandomi le parole in gola, e continuò a camminare fino a che non finii con la schiena contro il muro. Inclinò la testa da un lato e mi appiattii ancora di più contro la parete. Non avevo idea di che intenzioni avesse, e il suo sguardo mi faceva sentire strana. Non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto che si era avvicinato che già mi stava baciando. Non potevo muovermi, non potevo fare niente, chiusi gli occhi e lasciai che mi abbracciasse. Se non mi avesse tenuta lui, probabilmente sarei caduta a terra, le mie ginocchia si rifiutarono improvvisamente di sorreggermi.
Lo allontanai per riprendere fiato. «Non... non sparirai di nuovo, vero?»
Lo vidi sorridere. «Non vado da nessuna parte.» si allontanò da me e si guardò intorno con espressione critica. «A proposito, so che questa stanza è piccola, ma... non è che posso restare qui?»
«Eh?» raggelai. «Q-qui... come?»
Lo sentii ridacchiare. «Mi spiace deluderti, Mutande-a-Pallini, ma sono troppo stanco per quel genere di cose.» arrossii al suo sorriso malizioso. «È solo che non posso andare in giro così: oltre alla biancheria, hai anche i cerotti imbarazzanti.»
Mi trattenni dal dargli un colpo solo perché avevo sprecato tempo per curargli le ferite. Sospirai quando si sistemò comodamente nel mio letto.
«Lasciami un po' di spazio, maniaco.» lo spinsi più in là, suscitando delle rimostranze e dei commenti sulla mia gentilezza. Sorrisi. «Buonanotte.»

La mattina successiva, mi svegliai con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Qualcosa di troppo sul mio addome; per essere precisi, c'era un braccio di troppo. Subito dopo essermi svegliata, prima ancora di ricordarmi chi fossi e che cosa fosse successo la sera prima, sobbalzai e quasi gridai. E l'avrei sicuramente fatto se Natsume non mi avesse tappato la bocca in tempo.
«Non credevo di fare quest'effetto, la mattina appena sveglio.» osservò, mentre ancora la sua mano mi impediva di articolare decentemente un suono. «Non ti metterai ad urlare, vero?» mi rilassai improvvisamente e tentai di scuotere la testa, ma la sua presa ferrea mi creò qualche problema. «Brava bambina.» mi lasciò andare e ricominciai a mandare ossigeno al cervello.
«Beh...» cominciai, titubante, mentre vedevo curiosità nel suo sguardo. Non sapevo bene che domanda porre, o come porla, ma... cos'eravamo noi esattamente, arrivati a quel punto? «stai bene?» lui annuì, scompigliandosi i capelli scuotendo la testa. «E... e ora... che facciamo?»
«Potremmo, per esempio...» si avvicinò inaspettatamente a me, facendomi avvampare. «riprendere da dove avevamo lasciato ieri sera.» feci in un nanosecondo mente locale. Avevamo parlato molto, la sera prima, ma delle cose che ricordavo...
«Co-cos... non... credo... i-io...» balbettai, incoerentemente, indietreggiando sul materasso. Come prevedibile, anche se in quel momento non mi passava neanche per la testa, il materasso finì e io mi ritrovai col fondoschiena sul pavimento, mentre le mie gambe, per la parte sotto il ginocchio, erano ancora sul letto. Mugolai di dolore: il pavimento non era il materasso dei sogni. Che male! Era come se fossi stata travolta da uno schiacciasassi. Lo vidi ridere, e mi accorsi solo in quel momento che l'aveva fatto apposta a mettermi in imbarazzo. «Sei.. sei uno...»
«Oh, avanti...» parve lasciare la frase in sospeso, mentre inclinava la testa da un lato. Mi chiesi che stesse guardando, finché un ghigno poco rassicurante comparve sul suo volto. Quando mosse il braccio all'inizio non avevo realizzato che volesse fare. Lo capii troppo tardi, quando mi alzò la gonna. Tentai in tutti i modi di riabbassarla, ma dalla mia posizione non riuscivo a fare molto, o a spostarmi né muovermi. «Mutande-coi-koala... sono settimane che mi insulti, non credo che riusciresti a trovarne di nuovi.» mi riabbassò la gonna, come se niente fosse successo, mentre il mio fondoschiena ancora si lamentava per l'ingiusta batosta.
Mi prese per un braccio e mi tirò su, verso di sé e solo dopo che mi resi conto che la testa non era più sul pavimento ma attaccata al mio collo, mi accorsi che mi stava abbracciando.
«Natsume?» lo chiamai, stupita. Lui si limitò a stringere la presa, tutto quello che potevo fare era abbracciarlo anch'io. «Cosa c'è?» lui si staccò da me, e per poco non sobbalzai, di nuovo, quando i miei occhi incrociarono i suoi. Non potei fare a meno di sorridere imbarazzata.
Lui mi scostò gentilmente una ciocca di capelli dal viso. «Sei più carina quando sorridi.» la frase mi aveva lasciato letteralmente senza parole, anche se lui non mi aveva dato molte opportunità di rispondere, dato che si era alzato e se n'era andato. L'unica cosa che mi ritrovai a pensare era che fosse un tipo estremamente strano.”

Mi riscossi da quella specie di sogno per il continuo bussare alla porta. Mi passai una mano sull'occhio destro che ancora bruciava e aprii la porta. Mi ritrovai davanti la faccia annoiata di Hotaru. Mi appoggiai alla maniglia, e inclinai la testa da un lato, cercando di capire che ci facesse lì o se stessi semplicemente continuando a sognare.
«Non starai certo pensando di restare qui a deprimerti, vero?» mi domandò, incrociando le braccia al petto. Io scossi la testa, velocemente. «Perché sembra che tu stessi facendo proprio quello, a giudicare da come sei messa.» fece un cenno verso di me con la testa.
«Come... come sono messa?» mi guardai, e la sentii sospirare. Alzai di nuovo lo sguardo, ma lei si era già avviata per il corridoio. «Hotaru?»
«Ti aspetto giù.» mi informò, girandosi a guardarmi con sguardo vacuo. Il tono era di quelli che non ammetteva repliche, quindi mi limitai ad annuire, ricordandomi di sciacquarmi la faccia, per riprendere il contatto con la realtà.
«Dov'è che andiamo?» chiesi, arrivandole vicino. Lei mi gettò un'occhiata abbastanza infastidita, e poi mi indicò Sumire, proprio vicino a lei. Sbattei le palpebre, confusa. «Che... succede?»
«In realtà,» cominciò la mia migliore amica, incrociando di nuovo le braccia e battendo un piede a terra, un gesto inconfondibile di nervosismo, o meglio, la massima espressione di disappunto che ci si potesse aspettare da Hotaru. «avevo pensato di andare a Central Town, ma non so se sia una buona idea, ormai.»
«Perché no?» fu Sumire a parlare, con un tono pimpante che non le sentivo usare da tempo. «Mikan ha bisogno di distrarsi, è davvero un'ottima idea.» poi si voltò verso di me, sorridendomi. Mi venne spontaneo risponderle. «Tu che ne pensi? Non sarebbe bello andare a Central Town?»
Beh, io adoravo andare a Central Town. «Certo che sì.»
Sumire si voltò di nuovo verso Hotaru. «Visto?» mi prese per mano e mi trascinò verso la fermata. «E poi dobbiamo comprare anche qualche tutina.»
«Di che stai parlando?» volle sapere Hotaru, con uno sguardo che mi avrebbe fatto correre a nascondermi, se l'avesse rivolto a me.
«Oh, andiamo! Lo sa già tutta la scuola!» guardai Hotaru, in cerca di spiegazioni. Lei, semplicemente, sbuffò. «Ascolta, Mikan, non te la prendere, ma lo sapevamo tutti che... beh, prima o poi sarebbe potuto accadere, non è un dramma, certo... è per questo che siamo qui.»
«Ehm... eh?» fu tutto quello che fui in grado di articolare.
«Il bebè, Mikan.» scandì lei, allargando le braccia.
Corrugai la fronte. «Quale bebè?» all'improvviso, mi ricordai della faccenda del test, mi sembrava che fossero passati dei giorni. Ma il fratello di Hotaru aveva detto che non c'era niente di cui preoccuparsi.
«Lo capisco se non vuoi parlarne, ma dovresti cominciare a pensare al nome.» mi disse lei, prendendomi una mano e dandole delle pacche gentili. Fissai prima la mano e poi lei, indecisa, e forse con espressione dubbiosa. Avevo la sensazione che desiderasse che ci fosse un bambino più lei che io, e avevo la netta sensazione che non fosse così, una specie di certezza. Non sapevo perché, ma non ero affatto preoccupata da quel punto di vista. Lo ero stata un po' all'inizio, ma dopo il sogno, non sapevo perché, né come, era come se avessi la convinzione che non fosse assolutamente vero. «Preferiresti maschio o femmina?»
«Vogliamo smetterla con le scemenze?» l'intervento di Hotaru mi impedì di dare una risposta alla domanda. «Avrei una certa fretta, devo comprare delle cose, possiamo salire sull'autobus?» la sentii borbottare qualcosa sul fatto di essere stata una stupida per non essere andata a Central Town da sola. Mi sentii un po' in colpa, forse era per causa mia.
Arrivammo a Central Town in meno tempo di quanto mi aspettassi. Hotaru non era stata molto partecipativa nella discussione, continuava a controllare una lista, probabilmente delle cose che doveva comprare. Sumire, nel frattempo, aveva cominciato a parlare del vestito che aveva adocchiato da tempo e che non vedeva l'ora di indossare. Io ero l'unica che pensava al cibo, in quel momento. Central Town mi ispirava sempre verso i Fluffa-Puffa.
«Uh!» esclamò Sumire, balzando in piedi. «Siamo arrivate.» Hotaru alzò lo sguardo e poi si voltò a guardarmi.
«Se non trovi un modo per farla stare zitta, almeno falla parlare di cose intelligenti.» le rivolse un'occhiata mentre lei guardava il panorama estasiata. Era sempre così per tutti quando scendevamo a Central Town, non importava quante volte l'avessimo vista. «Sempre che ne sia capace.» mi nacque spontaneo un sorriso sulle labbra a vedere Sumire così contenta. L'unica cosa che vidi fare ad Hotaru fu scuotere la testa. «Lo dicevo che dovevo venire da sola.»
«Hotaru...» cercai di parlare per farle cambiare idea, ma lei scese dall'autobus e io e Sumire la seguimmo a ruota. «Dove andiamo prima?»
«Facciamo prima se ci dividiamo.» intervenne Hotaru, lanciando una rapida occhiata al suo taccuino. «Sumire perché non vai a comprare quel vestito, mentre io compro gli attrezzi che mi servono?»
Lei la guardò dubbiosa. «Non è una brutta idea, dopotutto, non voglio avere niente a che fare con quei noiosi affari.» mi sentivo un po' sull'orlo di un precipizio, oppure a un bivio. Con chi sarei dovuta andare? «Tu, Mikan?»
«Ehm...» non avevo pensato a niente da comprare, dato che non credevo che sarei tornata a Central Town tanto presto e non avevo neanche dei soldi con me, quindi non sarei potuta andare da nessuna parte, in ogni caso. «Io...» ma Hotaru già si era avviata per la sua strada. Guardai Sumire. Lei mi terrorizzava, non sapevo perché. Se poi, avesse dovuto tirare di nuovo fuori l'argomento del test di gravidanza, davvero non sapevo come avrei potuto risponderle. Non ci avevo pensato abbastanza per dire se avrei voluto di più un maschio o una femmina. Lei, al contrario, sembrava che avesse pensato a tutto quanto. «Credo che... credo che rimarrò qui ad aspettarvi, ecco... sono un po' stanca.»
Lei assunse un'aria comprensiva. «Giusto.» mi appoggiò una mano sulla spalla. «Non devi affaticarti. Stai qui e non muoverti. Sarò di ritorno tra pochissimo.»
Io annuii. «Vai tranquilla, non mi muoverò di un solo passo.» mi sedetti sulla panchina proprio lì vicino, e mi appoggiai allo schienale, all'ombra di un grosso ciliegio. Proprio di fronte a me c'era un negozio di dolciumi, ma decisi di non avvicinarmi, specialmente dopo che Hotaru mi aveva raccontato la storia delle carie che trapanano i denti delle persone che mangiano troppi dolci. Lei ne sapeva troppo su queste cose per potersi sbagliare, perciò era meglio tenersi lontano dalle tentazioni.
Mi stiracchiai, godendomi il leggero venticello non troppo freddo. «Mikan?» mi sentii chiamare e cercai in tutte le direzioni qualcuno che potesse avermi chiamato. «Sono qui.» mi comparve davanti il volto sorridente di Kisaki Kamiya. Da quando era arrivata nella nostra classe era diventata molto più socievole, specialmente dopo che era diventata il Presidente del Comitato Studentesco. «Che fai di bello?»
«Aspetto le mie amiche.» risposi, guardando con un po' di reticenza la busta che teneva in mano. Era evidente che fosse del negozio che mi ero appena ripromessa di non guardare. «E... e tu?» lei seguì il mio sguardo e corrugò la fronte.
«Commissioni di vario genere.» rispose, sedendosi vicino a me. «Il Preside delle Elementari mi ha mandato a comprare delle caramelle, dice che sono per ricompensare una persona speciale, ma...» si guardò intorno, furtiva e abbassò la voce, avvicinandosi a me, con una mano a pararle un lato della bocca «detto tra noi, secondo me vuole fare scorta.»
Sollevai entrambe le sopracciglia: davvero a volte si comportava come un bambino vero? «Scorta?» chiesi, infatti. «Per cosa?»
«Tra un paio di giorni parte per Londra, pensavo che volesse portarsi dietro qualcosina dal Giappone. A volte i bambini preferiscono mangiare le caramelle che conoscono piuttosto che altre.» io annuii, in effetti quando ero piccola anche io avevo le mie caramelle preferite. Non vedevo perché non potesse succedere anche a lui. «E poi ho comprato della carta. Una montagna di carta. Non hai idea di quanta se ne utilizzi durate le riunioni del Comitato. Bastano a stento per le firme e per i verbali.»
«Dev'essere un lavoro duro.» commentai, non sapendo che altro dire. Non ci conoscevamo molto bene, lei era sempre molto impegnata e negli ultimi tempi non riusciva neanche a venire a lezione.
«Già, ed è pure peggiorato, da quando arrivano scartoffie su scartoffie per il nuovo studente.» si lamentò, sospirando pesantemente. «Di solito dovrebbe occuparsene il Preside, ma ha da fare con i preparativi per la partenza, non c'è mai. Neanche alle riunioni della classe di Abilità.»
Mi feci curiosa. «Arriva un nuovo studente?» era raro che arrivasse ad anno inoltrato. Cioè, non quell'anno. Erano arrivati tanti bambini, in effetti. «Come mai tutti questi bambini?» forse lei era la persona giusta a cui chiederlo.
«Non è un bambino. Ha la nostra età.» mi spiegò lei, alzando la testa per guardare il cielo. «Non ricordo il suo nome, ma sembra carino. Le ragazze torneranno a sperare, dopo che ti è toccato il ragazzo più richiesto della scuola.» mi fece l'occhiolino e io arrossii.
«Non credo che si siano arrese solo perché stavamo insieme.» replicai, indecisa. Alcune ragazze provavano ad avvicinarlo lo stesso, in fondo.
«Hai scoraggiato tre quarti delle ragazze, fidati.» mi sorrise, dandomi una pacca sulla spalla. «Io sono arrivata qualche settimana prima che se ne andasse, perciò non posso dire di averlo conosciuto, ma alcune ragazze con cui avevo fatto amicizia, non facevano altro che parlarne. Non si sono mai azzardate ad avvicinarsi, però.»
«Per me?» domandai, incredula. Non sapevo niente di queste cose.
«È vero che non vi ho visti molto insieme, ma Mikan sono certa che hai notato come ti guardava.» il suo sorriso si addolcì. «Non molte ragazze possono vantare qualcuno che le guarda così. Ti ho invidiata parecchio.»
«Non ci credo...» affermai, a bocca aperta.
«Credici, perché è così.» mi diede una pacca sulla testa. «Adesso vado, che dobbiamo cominciare a stilare il programma per l'Alice Festival. Se arrivo tardi gli altri mi linciano. Mi ha fatto piacere chiacchierare un po' con te. Ci vediamo in classe, se ce la faccio ad arrivare.» la salutai con un gesto della mano, mentre correva per prendere l'autobus proprio nel momento in cui stava per partire.
«Chiacchierata illuminante?» Hotaru mi fece distogliere l'attenzione dal pulmino giallo. «Quella tipa è davvero, davvero strana.»
Mi ricordava qualcuno, se ci pensavo. Solo che non riuscivo davvero a ricordare chi.

Una settimana più tardi, mi diressi in infermeria. Hotaru mi aveva chiesto se volevo che lei venisse con me, e io avevo risposto che era meglio di no. Ero stata tranquilla per tutta la settimana, ma in quel momento sentivo una grossa agitazione alla bocca dello stomaco, la mia sicurezza scemava a ogni passo che facevo. Deglutii.
Passarono un paio di minuti prima che bussassi alla porta. «Avanti.» mi disse un indaffarato Subaru Imai. Mi affacciai per vedere che stesse succedendo.
«Po-posso?» lui mi fece un veloce cenno di entrare, e io lo feci, chiudendomi la porta alle spalle, mentre l'unico rumore che sentivo era il battere impazzito del mio cuore, come se mi stesse rimbombando nelle orecchie. «Ehm...»
«Aspetta un secondo, è svenuta una ragazza.» mi disse, sparendo dietro una tenda. «Siediti, comunque.» obbedii, cominciando a strofinare le mani l'una contro l'altra, come se si dovessero consumare per l'attesa. Ricomparve dopo un po' riponendo un contenitore di plastica con delle pastiglie in un armadietto. Si rivolse verso di me, con aria grave. «Dobbiamo parlare, Mikan, a lungo.»
Mi tirai su, in preda ad un giramento di testa, non so se per l'agitazione o per qualcos'altro. Cercai appoggio al tavolo, ma non ero davvero cosciente della reale distanza a cui mi trovavo così appoggiai la mano sul vuoto. Mi afferrò il fratello di Hotaru. «Mikan?» mi chiamò, mi appoggiai al muro, respirando affannosamente.
«Che cos'ho che non va?» chiesi, mentre sentivo l'impulso di chiudere gli occhi. Non sentii mai la risposta, scivolai di nuovo in uno stato di incoscienza in cui le immagini e i suoni si confondevano tra loro.

*****

Rieccomi dopo tempo interminabile XD. Come avrete potuto notare, le battute del professore di matematica sono un tributo al mio prof *.*, sono le sue frasi tipo, anche perché si scorda sempre il libro XD. Per il resto, finalmente siamo arrivati in fondo a capitolo 19, al ventesimo, il mongolino d'oro per l'autrice XD.
E ora passiamo ai ringraziamenti:

A tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. AkA GirL
2. angteen
3. Anime xx
4. Annie Roxane Jackson
5. bennycullen
6. Butterfly_Dream
7. Chocola98
8. DarkAngel_oF_DarkNess
9. deliventor0989
10. Deni Coccy Boh
11. EkoChan
12. Erica97
13. fantasmina97
14. fedee_s2
15. forzaN
16. Hester988
17. HimeRein
18. jess chan
19. Kiuxy
20. lauretta 96
21. Luine
22. Manila
23. marzy93
24. mikamey
25. MooN_LiE_
26. rinxse
27. rizzila93
28. Rubis HD
29. sakurina_the_best
30. Seleliu
31. serena4
32. SEXY__CHiC
33. soga6
34. Spuffy93
35. stella93mer
36. Thedarkgirl96
37. Timy21
38. twilighttina
39. valuzza92
40. Veronica91
41. XIUKY88
42. Yumi_chan
43. _evy89_

A chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. AkA GirL
2. aliasNLH
3. fantasmina97
4. HimeRein
5. liyen
6. sakura2611
7. supermimi213
8. Thedarkgirl96

E anche a chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. AkA GirL
2. Caterina96
3. ChibiRoby
4. C_Milo
5. DaMnEdQuEeN
6. Deni Coccy Boh
7. dolce_luna
8. EdelSky
9. fantasmina97
10. forzaN
11. Gladice
12. grifoncina93
13. Hester988
14. HimeRein
15. kariri97
16. Lallina33
17. laurA_
18. Lizzie23
19. MatsuriGil
20. Mb_811
21. Mei91
22. Miki89
23. miricullen
24. Nala_95
25. naruhina 7
26. punk92
27. Rubis HD
28. sailorm
29. sakura92
30. sara_sessho
31. serena4
32. Spuffy93
33. tate89
34. Thedarkgirl96
35. tinotina
36. VaLeNtInA1993
37. walpurgis
38. WingedMind
39. XIUKY88
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41. _evy89_
42. _Haruka_

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Capitolo 20
*** Organizzazione AntiAlice ***


Capitolo 20 – Organizzazione AntiAlice
(Natsume)


«Lo sai?» mi disse quella ragazza, che mi stava ancora trascinando senza troppi problemi verso l'auto. «Sembri un tipo strano.»
Mi domandai se gli Alice potessero sembrare persone normali, soprattutto uno come me che, anche se a causa di alcuni eventi inevitabili, viveva in casa con tre squilibrati che aprivano un canotto nel bel mezzo della sala allagata, alle tre di notte. Aggrottai la fronte: forse ero davvero un tipo strano e aveva ragione lei. Decisi di non rispondere per non darle la soddisfazione di sapere che stavo quasi per convincermi della sua teoria. Cambiare argomento della conversazione su uno di maggiore interesse e importanza mi sembrò la cosa migliore. «Per quale motivo il tuo capo vuole vedermi?»
«In effetti è una buona domanda.» chissà perché non mi sembrava che lo pensasse seriamente. Mi guardò come se si aspettasse la risposta da me. Io le restituii lo sguardo. «Davvero non lo sai, o mi prendi in giro?»
Anche questa volta evitai di rispondere alla domanda. «Vuoi dirmelo oppure devo tirare a indovinare?» «Delle cose che vi insegnano oggi in Accademia, scommetto quello che ti pare che l'educazione non è tra queste.» però sorrise, inspiegabilmente. Mi chiesi se fosse lei quella fuori di testa e non il contrario. Conclusi che probabilmente era così. «Comunque suppongo che lo capirai quando la vedrai, e in ogni caso te lo dirà lei.»
Quindi il suo capo era una donna. Fui quasi sollevato all'idea che non mi sarei dovuto trovare davanti una specie di copia troppo cresciuta – nei modi, perlomeno e nel tipo di situazione – del Preside delle Elementari. Non sarebbe stato esattamente il mio prototipo di mattinata perfetta. «Di solito chiede un colloquio per gli assunti?» era poco probabile che mi avessero già scoperto, anche perché non avevo ancora contattato in nessun modo l'Accademia, quindi se fosse stato qualcosa fuori dall'ordinario c'era davvero da aspettarsi che avesse ragione il poppante. Sarei stato curioso di sapere come mai e da quando il mio nome fosse stato così importante.
«No, in realtà.» rispose lei, confermando qualche mia ipotesi. «Solitamente mi dice di chiamare e basta sia quelli a cui troviamo una collocazione diversa che per gli assunti nella nostra azienda.»
«Significa che io sono particolare?» forse non poteva direttamente dirmi il motivo, ma ci sarei arrivato, giusto per trovarmi preparato all'incontro, per farmi un'idea di quello che voleva sapere da me.
Lei fece un sorriso sottile. «Particolare, dici?» assottigliò gli occhi, senza smettere di sorridere. «Probabile.»
Sorrisi anche io: la ragazza non si lasciava sfuggire informazioni facilmente. «D'accordo.» concessi, momentaneamente. «Ma vorrei comunque saperne di più»
«Sono certa che il capo vorrà rispondere a tutte le tue domande, Natsume.» fece lei, aprendo la portiera della macchina. «Un'altra cosa,» alzai la testa e la guardai, curioso. Lei accennò con la testa alla direzione da cui eravamo venuti. «quei tizi sono davvero, davvero strani.»
«Ma non mi dire...» borbottai, tra i denti, poco prima di salire in auto. Non mi sembrava una buona cosa, dopotutto, che avesse usato lo stesso aggettivo per descrivere me e loro. Sperai che non mi credesse capace di gonfiare un palloncino con dell'acqua e fare finta che sia mio figlio, o chissà che grado di parentela. In effetti, strano non era sufficiente per descrivere una cosa del genere.

«Siamo arrivati.» annunciò, circa dieci minuti dopo. Avevo memorizzato la strada, in modo da essere in grado di tornare indietro e di farla a piedi i giorni seguenti. Era piuttosto vicino; dopo tutte le strade che avevo girato in cerca di casa, neanche me ne ero accorto. Se non altro, era qualcosa di positivo. «Ansioso?»
Inarcai un sopracciglio, chiedendo silenziosamente per quale motivo avrei dovuto sentirmi preoccupato. La sentii dire qualcosa a proposito dei ragazzi di ghiaccio, ma non le prestai molta attenzione. La seguii fino all'ascensore, ma lei non entrò, si sporse per premere un tasto e si allontanò prima che le porte potessero chiudersi e mi salutò con un gesto della mano e un sorriso a trentadue denti.
Probabilmente al “capo” non piaceva avere troppe persone intorno quando aveva qualcosa da dire. Mi appoggiai alla parete, aspettando di salire a quel piano maledettamente alto, e pensai a che tipo di persona avrei potuto trovarmi davanti.
Quando l'ascensore si fermò, arrivai ad un piano che sembrava quello di un ospedale. Forse era così per tutto l'edificio. Entrai nel corridoio e le porte si chiusero dietro di me, senza fare rumore. Non c'era nessuno a cui potessi chiedere, e immaginai che ci si annunciasse da soli. Non credevo che quella donna aspettasse qualcun altro a parte me e sapevo, in qualche modo, che mi avrebbe riconosciuto senza che io dicessi una parola.
Bussai alla porta e prima di sentire «Avanti.» riuscii a percepire il rumore di un cassetto che si chiudeva. Entrai senza aspettare troppo, e mi chiusi la porta alle spalle. Quello che trovai dentro, effettivamente, non era proprio ciò che mi aspettavo. Io avevo già visto quella donna, da qualche parte, solo che in quel momento, non mi ricordavo esattamente dove, ma ero praticamente certo che fosse successo in Accademia.
Mi fece un sorriso caloroso e mi indicò una sedia. La stanza era ben illuminata e l'atmosfera era decisamente diversa da quella cui ero abituato. Mi sedetti e aspettai che dicesse qualcosa. Lei fece lo stesso e appoggiò le mani alla scrivania, su cui erano sparsi dei fogli, dei quali, però, non riuscivo a vedere le parole.
«Scommetto che ti stai chiedendo il motivo per cui ho chiesto di parlarti.» iniziò lei, io mi limitai a guardarla. Sorrise di nuovo. «Mi chiamo Azumi Yuka, e non ci girerò intorno a lungo, vorrei che tu lavorassi per me.» non riuscivo a credere alle mie orecchie: i dirigenti del posto dove avrei lavorato si erano appena fatti mettere nel sacco dal Preside delle Elementari come degli idioti. Ora cominciavo a capire perché aveva quel perenne sorriso irritante stampato in faccia.
«Perché io?» quasi mi aspettavo che mi rispondesse che era merito del mio nome. Naturalmente – e fortunatamente –, non lo fece.
«Conoscevo tua madre.» rispose lei, abbassando lo sguardo. Immediatamente, compresi il piano. Non ci volle molto perché capissi il tranello in cui il Preside aveva messo loro e, contemporaneamente, anche me. Sapeva che loro mi avrebbero voluto a causa di mia madre, e traeva un piacere perverso dalla certezza che li avrei traditi per non permettergli di fare del male a Mikan. Era veramente un gran bastardo, molto più di quanto potessi immaginare. «Non ti voglio con noi per farti rischiare la vita, ovviamente, ma per aiutarci. Sono certa che tua madre vorrebbe vederti al sicuro, anzi, sono molto più che certa che lo volesse. Perciò ho intenzione di non metterti in pericolo. So che hai lavorato per la classe di Abilità Pericolose, a scuola... so cosa significa.»
Assottigliai gli occhi per un momento, mentre mi passavano davanti agli occhi tutte le foto che avevo guardato nella stanza di Narumi. Lei era tra quelle, ora ne ero sicuro. Ma non sapevo perché quell'idiota le tenesse chiuse in un cassetto, se lei aveva fatto parte di quella classe, probabilmente allora valeva per tutti gli altri, e forse valeva anche per quei bambini. «Che cosa devo fare?» chiesi, una domanda che mi pareva di riferire non solo al mio ruolo nell'azienda ma anche a tutto il resto.
«Come sai, la nostra organizzazione contrasta l'Accademia. Abbiamo un paio di infiltrati che riescono a passarci informazioni sulle missioni, e molte volte riusciamo a evitare che raggiungano i loro scopi. A quanto pare, le missioni più importanti erano quelle che ti coinvolgevano, e di queste non abbiamo mai saputo niente. La cosa che volevo chiederti, a questo proposito, è perché ha voluto che tu ti diplomassi prima del tempo, se sei così utile per lui.»
Tentai di reprimere un sorriso: evidentemente, non era così stupida. Solo che non sapevo cosa rispondere. Per quanto ne sapevo, lei poteva anche essere un infiltrato dell'Accademia in quell'organizzazione, e in quel caso, il Preside mi stava solo mettendo alla prova. Prima di spifferare tutto il piano, avevo intenzione di aspettare per capire le sue reali intenzioni. Come si dice, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. «Non mi ha lasciato molta scelta, in effetti.» e non era del tutto falso. «Comunque non è il tipo che dà spiegazioni e immagino di essere diventato una specie di spina nel fianco per lui. Credo che abbia trovato il rimpiazzo che cercava.» e dopo averlo detto, risultava davvero credibile. Non ci avevo mai pensato a lungo, e questa poteva essere una possibile spiegazione.
«C'è un'altra cosa che voglio chiederti.» mi sistemai meglio contro la sedia: a quanto pareva, la conversazione sarebbe durata parecchio. Deglutì prima di iniziare a parlare, ed ero curioso di sentire il motivo per cui sembrava così nervosa. «Quando eri a scuola, hai mai sentito delle voci su uno strano Alice? Un Alice di cui molti avevano paura?»
Inarcai un sopracciglio. C'erano decine di Alice che corrispondevano a quella descrizione, il mio era uno di quelli, ma di solito le voci si perdevano una volta passata la novità. «Non uno in particolare, ma se fosse più chiara, forse potrei aiutarla.»
«C'è stato qualcuno che ha perso inspiegabilmente il proprio Alice?» questa domanda mi lasciò alquanto sorpreso: non riuscivo a capire il motivo per cui avrebbe dovuto succedere. Ci pensai, a lungo, per non tralasciare nessun dettaglio. Io passavo molto tempo in ospedale, perché le mie condizioni fisiche non erano del tutto rosee, specialmente nei periodi in cui il Preside decideva che farmi usare più del solito il mio Alice era divertente. Mikan non ne aveva mai saputo niente, avevo sempre detto a Ruka di dirle che ero in missione, e lei non aveva mai fatto domande, preferivo che non si preoccupasse continuamente. Nessuno era mai stato lì per manifestare il problema della scomparsa dell'Alice, comunque.
«No.» risposi, poi. Lei tirò un sospiro di sollievo e tornò ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia, borbottando qualche ringraziamento al cielo. «Perché?»
Rimase molto sul vago, e la cosa non mi piaceva per niente. «Abbiamo alcune informazioni al riguardo, tutto qui... cercavo di verificare.» fece un sorriso tirato e il mio istinto mi diceva che non stava dicendo la verità.
Un'altra cosa non era ancora chiara. Pensai che domandarlo di nuovo fosse utile. «Quindi, quale sarebbe il mio ruolo?»
«Giusto.» sorrise di nuovo, questa volta più sinceramente. «Oltre a contrastare l'Accademia sulle missioni, le nascondiamo Alice potenzialmente pericolosi, nell'accezione che intende il Preside: utili a conquistare qualsiasi cosa lui voglia. Ci sono sfuggiti in molti nell'ultimo periodo.» questo spiegava la singolare affluenza di bambini a metà anno scolastico. «Voglio che tu ci aiuti a trovare delle sistemazioni sicure e a impedire all'Accademia di raggiungerli.» questo era potenzialmente difficoltoso, visto che per l'Accademia avrei dovuto fare esattamente il contrario. C'era bisogno che trovassi una soluzione, e abbastanza in fretta.
«Siamo organizzati in squadre. Ogni membro risponde ad un caposquadra, ognuno dei quali si occupa di massimo cinque persone, cosa che ci permette di mettere d'accordo molte più teste. Tu subentrerai ad un membro, che al momento non sappiamo dove si trovi. So che le teste calde con cui lavorerai si stanno organizzando per recuperarla, ti prego di convincerli a desistere, prima che debba intervenire io. Non sarebbe piacevole, credimi.» mi chiesi se fosse il momento di alzarmi. Lei rimase in silenzio per un po', e la presi come una specie di autorizzazione. «Aspetta un attimo.» mi bloccai. «C'è un'ultima domanda che voglio farti.» avevo la brutta sensazione che non mi sarebbe piaciuta per niente. «L'anno scorso abbiamo perso uno dei nostri dirigenti, in una missione di cui non sapevamo niente. Vorrei sapere se tu... hai idea di chi abbia partecipato.»
Feci schioccare la lingua, facendo una smorfia. «Io.» non era piacevole da ricordare.
Yuka annuì, premendo le labbra le une contro le altre, non sapevo bene se come segno di comprensione della cosa o di scusa. «Meglio che non sappia altro, allora.»
«Non l'ho ucciso.» mi sentii in dovere di puntualizzare. Lei alzò lo sguardo, quasi speranzosa. «Mi hanno costretto a torturarlo, ma non l'ho ucciso.» non c'era bisogno che sapesse com'era morto, anche perché non avrei saputo descriverglielo in un modo che non risultasse orribile.
«Ed è...» cominciò, fissando il bordo della scrivania. «morto?» io annuii. «D'accordo, prendi questa e vai pure.» mi diede una busta al cui interno c'erano il mio cartellino, una chiave magnetica e dei fogli piegati a metà. «Il piano è il sesto, oggi non è necessario che cominci a lavorare, ma preferirei che rimanessi per prendere confidenza con i tuoi compagni e con il loro modo di lavorare, e per ambientarti prima di cominciare.»
Per me non aveva molto senso, ma decisi di accettare, forse anche loro avevano bisogno di un po' per accettare l'idea che avrei rimpiazzato il tizio che non sapevano dove fosse.

Ripresi l'ascensore e scesi fino al sesto piano. Quando entrai mi colpii la luce che entrava dalle grandi finestre sull'altro lato della stanza. Non c'erano corridoi, il piano era costellato di scrivanie, riunite a gruppi divisi da separatori alti poco più di un uomo seduto. Tirai fuori dalla busta il mio cartellino, su cui c'era scritto anche il numero di scomparto in cui doveva esserci la mia squadra. Quando la raggiunsi, tre di loro erano seduti a un tavolo e confabulavano, mentre una donna, che mi dava le spalle, era in piedi a parlare con quello che ero sicuro che fosse il dottore dell'ospedale Alice, il fratello di Imai Hotaru. A quanto pareva, avevo trovato il primo infiltrato all'Accademia, per cui Yuka doveva già sapere se in ospedale c'erano stati ragazzi a cui era misteriosamente scomparso l'Alice. Strano.
Mi appoggiai a uno dei separatori con la schiena, e feci quello che mi era stato detto: osservai, e ascoltai. «E dai, Subaru, ti prego!» disse la ragazza di spalle. Lo vidi scuotere la testa, con evidente disapprovazione. «Lo sai anche tu che è un piano geniale!»
«Piano geniale? Tu hai intenzione di farti...» si guardò indietro, mordendosi un labbro, forse perché aveva parlato troppo forte, e infatti non riuscii a sentire la fine della risposta. «E poi Yuka ci ammazzerà di sicuro.» concluse, tornando a parlare con tono di voce piuttosto adirato.
«Oh, andiamo!» ribatté lei, allargando le braccia. «Cosa potrebbe mai farci?»
Uno dei ragazzi seduti al tavolo, quello che sedeva più vicino a dove si trovava Mitsuki, alzò la testa, contraendo la mascella. I suoi occhi chiari, insoliti per un giapponese, sembravano minacciosi. «Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che l'hai detto?» l'espressione che fecero sia lui che il collega mi disse che non era un ricordo piacevole.
«Già.» concordò l'altro ragazzo, passandosi una mano tra i capelli con un taglio assurdo, con una smorfia disgustata sul volto. «Non toccherò mai più uno di quei cosi in tutta la mia vita, Mitsuki!» solo allora lei si girò e potei riconoscerla come quella che era venuta a prendermi a casa per portarmi lì. Il mondo era davvero piccolo.
«I giorni in cui erano quasi tutti malati di dissenteria, poi!» aggiunse l'altro, guardando Mitsuki con un po' di risentimento. Non ero certo, però, di voler sapere altri dettagli.
«Non stiamo parlando dei vasi da notte della nostra infermeria, Jou.» gli fece notare lei, mettendosi le mani sui fianchi. «Stiamo parlando di...»
«Sì, sono settimane che ci lavoriamo sopra, sperando che nessuno se ne accorga!» ribatté l'altro ragazzo, alzandosi per l'impeto.
«Se la finiste di urlare, sono certa che passeremmo più inosservati...» cercò di calmarli l'altro membro del gruppo, di quelli seduti al tavolo, una ragazza.
«Non cercare di calmarci, sei arrivata solo stamattina, non hai idea di cosa abbiamo dovuto fare per non farci scoprire!»
«Sì, bravi.» intervenne Mitsuki, arricciando le labbra. «Buttate al vento i nostri sforzi. L'idea, Ryu è stata tua, posso ricordartelo? E, Yuuko, non perdere tempo a cercare di calmarli, non ci riuscirai.»
Ryu sbuffò, scuotendo le spalle, e tornò a sedersi. «Appunto per questo ci tengo. Il tuo piano ci farà finire direttamente nelle prigioni di quegli aguzzini, Mit.» rispose, più pacatamente. «E c'è anche la piccola da portare via, perché sappiamo bene che non verrà mai con noi senza sua figlia.»
«Questo problema lo affronteremo quando l'avremo trovata.» ribatté Mitsuki. «Sapete tutti bene che se portiamo via la bambina, la prima cosa che faranno è avere interesse per lei. Mi duole ammetterlo, ma lì dentro è il posto più sicuro che riesco a immaginare, finché il suo Alice non si manifesta del tutto, continueranno a cercare il suo possessore, e di sicuro non lo faranno tra le loro mura.»
«Prova a spiegarlo a lei che vuoi portarla via ma senza sua figlia. Vedremo se vorrà tornare o preferirà restare lì. La conosci.» ribatté Ryu.
Mitsuki sbuffò, e roteò gli occhi. Solo dopo si accorse di me e aprì la bocca, sorpresa. «Oh, Natsume... hai bisogno di aiuto? Non sai dove trovare la tua squadra?»
«Veramente... tutto a posto.» risposi, non cambiando posizione. Lei aggrottò la fronte, apparentemente confusa.
«Allora... che stai facendo lì?»
«Quello che mi ha detto di fare Yuka.» spiegai, con tono piatto. «Osservo la mia squadra e il modo in cui lavorano.»
«La... la tua... squadra?» domandò lei, gettando un'occhiata ai compagni. Jou rise, ma non era divertito.
«Lo vedi, Mit? Non puoi nascondere niente a Yuka! Ci ha mandato anche i rimpiazzi!» vidi la ragazza seduta vicino a lui incrociare le braccia, come offesa. Beh, non c'era molto da offendersi, era abbastanza evidente.
Mitsuki sospirò, massaggiandosi una tempia. «D'accordo.» sorrise brevemente e mi indicò anche lei una sedia. «Benvenuto nuovo membro numero due.»
Mi sedetti vicino a Jou che mi fece un cenno della testa come saluto. Ryu sollevò una mano con espressione stanca e Yuuko mi sorrise. «Mi chiamo Natsume Hyuuga e credo di essere qui per...» ci pensai un attimo, prima di ricordarmi le parole di Yuka. «tenere i bambini lontani dall'Accademia.»
«Bene,» commentò Ryu, stiracchiandosi. «perché abbiamo perso per strada Yui, che si occupava di trovare posti sicuri a loro e alle loro famiglie.» cercai di passare sopra al fatto che era la seconda volta che lo diceva. Mi chiesi se volesse farmi pesare il fatto di essere il rimpiazzo.
Comunque, la conversazione mi aveva dato un'idea su cosa poteva essere successo a quella donna, ma volevo vederci molto più chiaro. «Allora, che le è successo esattamente?»
Ci fu un silenzio raggelante per un po', ma alla fine fu Mitsuki a decidersi a rispondere. «Sua figlia è stata portata in Accademia qualche tempo fa. Non abbiamo avuto il permesso di andarla a prendere come squadra, così ci ha pensato da sola, ma... purtroppo è stata intercettata dagli uomini del Preside delle Elementari. Non sappiamo con esattezza dove sia e stiamo cercando un modo per scoprirlo e per andare a riprendercela.»
Sorrisi, ironicamente. Yuka mi aveva detto “fai in modo che desistano”, solo che era impossibile riuscirci. «Io so dov'è.» dissi, infatti. Quattro teste si girarono verso di me, ansiose. Credevo proprio che Yuka sapesse perfettamente quello che avrei fatto, ma non poteva, evidentemente, darmi un'approvazione ufficiale. «Ero nelle Abilità Pericolose, prima di diplomarmi. Ci sono solo un paio di posti dove tengono i prigionieri, ma quelli più... ingestibili...» ci pensai un po'. «c'è un unico posto dove potrebbe essere la vostra amica.»
Mitsuki sorrise. «Questo è fantastico.» commentò, guardando i suoi compagni con soddisfazione. «E io ho un piano geniale!» i suoi colleghi rotearono gli occhi, esasperati.
«Per riuscire a entrare passando inosservati, salvarla, uscire e tornare a casa senza che nessuno se ne accorga, dobbiamo elaborare un piano che vada ben oltre il semplice “geniale”» feci notare loro. Quei tizi non si ingannavano facilmente, specialmente Persona.
Ryu sollevò entrambe le sopracciglia, improvvisamente interessato. «Hai qualche idea, novellino?»
«Quando intendi oltre il “geniale”...» intervenne Jou, il tizio con gli occhi inquietanti, ghignando. «intendi anche pericoloso?»
«Dopo il genio c'è il pazzo, amico.» risposi, semplicemente. «E il nostro piano dovrà essere decisamente folle perché funzioni.» c'erano anche un paio di cose che desideravo scoprire lì dentro, a cominciare dall'Alice dei bambini che erano stati portati in Accademia e dell'utilizzo che se ne poteva fare. Avevo bisogno di tornare di nuovo nella stanza di Narumi, e se andavamo a salvare quella tizia, sarebbe bastato creare l'occasione per farlo. Dovevo saperne assolutamente di più, anche perché c'era una scheda che riguardava Yuka, e non potevo negare di voler qualche altra informazione anche su di lei, e sul perché conoscesse mia madre.
Mitsuki fece schioccare la lingua. «Ora ho capito perché Yuka ha deciso per questa squadra.» si sedette sulla sedia libera, mentre Subaru Imai scuoteva la testa e disse che se ne andava, prima di sentire qualcosa di troppo, aggiungendo che aveva un paziente in Accademia. «Avanti, come entriamo?»
Sollevai entrambe le sopracciglia: lei stava correndo decisamente troppo. «Il mio possibile piano non arriva così lontano.» mi guardarono tutti come se avessi deluso gran parte delle loro aspettative. «Non possiamo organizzare un salvataggio in due minuti e sperare che io sappia già come oltrepassare il cancello. Prima bisogna arrivarci, e non in un giorno qualunque, perché non sarebbe possibile.» mi sorpresi di quanto facile fosse dirlo. Di loro avevo incontrato solo Mitsuki e già stavo organizzando per loro un piano decisamente diabolico. Mi guardavano tutti come se avessero dovuto strapparmi le informazioni dagli occhi, tranne Yuuko che sembrava un tantino turbata all'idea di tornare in Accademia.
«Spiegati.» mi incitò, quindi, Jou, appoggiando i gomiti sul tavolo.
«Se sperate di entrare come se niente fosse siete fuori strada.» cominciai, accorgendomi che giocare un bel tiro all'Accademia poteva essere anche una grossa soddisfazione personale, oltre che utile per avere delle informazioni. «C'è solo un mezzo, uno solo che entra da quel cancello senza controlli.» sapevamo tutti quale fosse, ma visto lo sguardo confuso di Ryu pensai che fosse meglio dirlo. «Le auto che usano per le missioni. Quindi la prima cosa da fare è sapere la data della prossima missione, intercettarli, rubare una delle loro auto ed entrare dal cancello passando inosservati.» continuai. «Non solo. Dobbiamo evitare assolutamente che Persona sia avvisato della cosa, quindi dobbiamo rendere del tutto inoffensivi gli uomini a cui ruberemo l'auto, facendo attenzione che non sia proprio quella di Persona, o siamo fregati.»
«Come facciamo?» chiese Yuuko, muovendosi ansiosa sulla sedia. Avevo riconosciuto la sua voce solo perché l'avevo sentita il giorno prima e perché mi aveva quasi stordito da quanto aveva parlato.
«Sarà fondamentale la tua abilità.» lei sobbalzò e mi guardò sorpresa. Non ci era voluto un genio per capirlo, già la prima volta che l'avevo incontrata avevo avuto un sospetto, adesso ne ero certo, anche perché aveva un aspetto orribilmente diverso da quello che aveva il giorno prima. «Se puoi cambiare il tuo aspetto in qualunque cosa, puoi anche fingerti uno di loro.»
Mitsuki mi guardò con un misto tra il sorpreso e l'orgoglioso. «Folle.» ghignò. «Esattamente come piace a me.»
«C'è un'altra cosa a cui dobbiamo fare attenzione. Di solito escono tre macchine dall'Accademia per ogni missione, in caso ci sia un'emergenza e ci sia bisogno di personale.» forse era difficile, ma era la via d'accesso più immediata. «Chiunque di voi abbia la patente, o comunque sappia guidare, dovrà fare attenzione a far passare davanti le altre due auto, a missione conclusa. Ogni garage dell'Accademia ne contiene massimo due e se siamo con un'altra macchina, possiamo dire addio al nostro piano, perciò le altre due occuperanno il garage vuoto e noi l'altro.» gli altri annuirono. «Quando saremo al sicuro dentro, usciremo dalla macchina, ma c'è un problema: non so come poter evitare di incontrare gli altri, una volta salite le scale interne.»
«Parlaci delle auto.» insistette Mitsuki, pensierosa. «La parte folle sarà anche la tua, a me spetta quella geniale.» mi fece l'occhiolino.
«Come ho detto, sono tre auto. La prima è, generalmente, quella di Persona, insieme a lui ci sono gli studenti che si porta dietro e l'autista. La seconda macchina di solito serve a contenere i prigionieri fino a destinazione, mentre la terza è di supporto. In questa, oltre all'autista ci sono altri quattro uomini.» quattro più uno, cinque, mi dissi. Noi eravamo cinque e avevamo già stabilito che avremmo preso la terza macchina. In che modo poteva migliorare?
«Le prime due macchine, quindi, oltre all'autista, restano vuote?» indagò, ancora. Io annuii, e lei sorrise soddisfatta. «Ho bisogno di un po' di tempo per elaborare la parte geniale.» sorrise misteriosamente, e si alzò. «Dato che, in teoria, oggi era il nostro giorno libero, ed eravamo qui per organizzare un piano geniale, con la scusa di conoscere un nuovo membro che poi si è rivelato in doppio, possiamo anche andare. Buona giornata, ragazzi!» se ne andò via quasi saltellando.

La mattina dopo avevo le scarpe piene d'acqua a causa di quei pazzi, che avevano provato a fare surf nel salotto, riempendo la sala d'acqua per metà con sotto il ventilatore a pile, che non avevo idea di come potesse funzionare sommerso com'era, ma l'effetto non era stato quello desiderato, e stamattina, oltre ad aver trovato il pianerottolo allagato, avevo trovato quei tre idioti tossicchiare acqua stesi su un divano fradicio quanto loro. Dovevano considerarsi fortunati per non essere morti fulminati. Mi ero limitato a scuotere la testa al loro buongiorno ed ero uscito di casa per non essere coinvolto in qualche strana operazione di pulizia o asciugamento.
«Buongiorno!» mi salutò Mitsuki, allegra, per poi gettare uno sguardo interrogativo alle mie scarpe e alle pozze che si trascinavano dietro.
«Pioveva quando sono uscito di casa.» mi limitai a dire, anche se non era vero. Lei sorrise in modo malizioso.
«Naturalmente.» commentò, tornando a qualunque cosa stesse facendo, ridacchiando.
Ryu arrivò qualche minuto dopo con una cosa che aveva tutta l'aria di essere una planimetria arrotolata. «Guardate un po' che mi ha dato un mio amico?» ci sventolò il tubo di carta sotto il naso.
«Che cos'è?» domandò Mitsuki, inarcando un sopracciglio, dubbiosa. «La mappa di un tesoro?»
Lui ghignò. «Magari.» disse. «Ma non lo è.» lei scosse le spalle, come se la cosa avesse perso d'importanza. «Ma se non vuoi vedere la planimetria della Alice, la terrò tutta per me.»
«La planimetria di... di cosa?» balzò in piedi, poi si guardò intorno, furtiva, per assicurarsi che nessuno stesse facendo caso a loro. Io ipotizzai che se anche l'avessero fatto, dovevano aver smesso da tempo, a giudicare dal comportamento che avevano: immaginai che si sarebbero girati a guardarli solo quando avessero smesso di farlo.
«Vuoi che lo divida in sillabe?» domandò lui, sornione. Mitsuki fece un sorriso sottile e lo guardò con aspettativa. «Dunque, Natsume, avvicinati.» fui veramente sorpreso quando mi chiamò col nome giusto, semplicemente perché in quei giorni, ero stato chiamato sempre con nomi diversi e alquanto fantasiosi, perché i miei coinquilini non riuscivano a ricordarselo. Fui in qualche modo stupito che lui se lo ricordasse dopo avermi visto solo una volta. Quei tre dovevano essere degli esemplari davvero rari. Comunque feci come mi aveva chiesto, dopo che aveva steso la carta sulla scrivania di Mitsuki.
«E perché l'hai portata, poi? Ti avevo detto che quando siamo a lavoro non dobbiamo elaborare il piano.» fu Mitsuki a parlare, Ryu le dedicò un'occhiataccia.
«Se vuoi gliela riporto!» lei, per tutta risposta, arpionò la cartina come se da quella dipendesse la sua vita. «Appunto. Smetti di lamentarti.»
«Non hai i fogli in cui sono riportati gli edifici sotterranei?» domandai sollevando dei fogli.
Mitsuki mi guardò col tipico sguardo di chi ti sta dicendo che deve insegnarti tutto. Io le rivolsi un'occhiata che avrebbe dovuto dirle di spiegarsi. «Magari anche con un freccione luminoso che indichi dove tengono Yui?»
«Cosa ce ne facciamo della planimetria del piano terra?» volli sapere, mollando tutti i fogli. Non aveva nessun senso.
Mitsuki corrugò la fronte. «Già, perché abbiamo le planimetrie del piano terra?»
Ryu alzò le spalle. «Non lo so.» ammise. «Non ci servono?»
Non so con che espressione reagii a quella situazione, fatto sta che Mitsuki mi mise una mano sulla spalla. «Non ti preoccupare, a volte può sembrare che non sappiamo che pesci prendere, ma posso tranquillamente affermare che siamo la squadra migliore di tutte.» io rimasi impassibile, chiedendomi come fosse la peggiore, se la migliore era composta da soggetti simili.
«Adesso cominciamo a lavorare. Penseremo alle planimetrie o a qualunque altra cosa, durante la pausa pranzo.» fece Mitsuki, appoggiando le mani al bordo della scrivania. «Yuuko, vieni qui.» lei si alzò, e fece come le era stato detto. «Bene, tu e Natsume condividerete lo stesso compito, dato che sostituite un membro solo. Tu risponderai alle telefonate perché sono certa che lui sarebbe scortese, e tu, Natsume, esaudirai le richieste.»
«Come Babbo Natale?» domandai, sarcastico.
«Non c'è molto su cui scherzare. Chi chiama da noi cerca un posto dove nascondersi dal tuo amico Persona e proteggere i suoi figli.» mi rimproverò, guardandomi storto. Io scrollai le spalle, sedendomi sull'altro lato della scrivania, rispetto a quello a cui sedeva Yuuko. Non mi andava molto a genio, a dire la verità, non sapevo come ci si potesse fidare di qualcuno che cambiava aspetto continuamente, tuttavia la sua abilità sarebbe stata fondamentale per il nostro piano.
«Che ti prende?» chiese lei, probabilmente sentendosi osservata.
«Niente.» risposi appoggiandomi allo schienale e guardando il soffitto. «Pensavo che avrei fatto altro una volta entrato qui.»
«Faremo altro quando saremo più... beh, più efficienti.» ipotizzò lei, sistemando delle carte. Io sbuffai: efficienti?
«Come facciamo a diventarlo mentre siamo dietro a una scrivania?» non era l'ideale di lavoro per me, che avevo sempre avuto una parte attiva nelle missioni dell'Accademia e stare chiuso in una stanza, intrappolato dietro a un tavolo non era nel mio stile.
«Io penso che sia un lavoro importante quello che ci hanno assegnato.» ribatté lei, un po' troppo irritata, per i miei gusti. «Pensa se a te fosse stata data questa possibilità. Nessuno di noi sarebbe finito in Accademia se ci fossero state persone come me e te dietro una scrivania come questa.»
«Io non credo che sia così semplice.» dissi soltanto. Se l'Accademia vuole trovarti, lo fa, indipendentemente dai mezzi che usi per nasconderti. L'esperienza di Imai Hotaru era piuttosto chiara su questo: i suoi genitori avevano passato la vita a nascondersi da loro e alla fine gli avevano portato via entrambi i figli. Serviva solo a prolungare i tempi, e finiva che studenti come me rapivano i loro figli mentre tornano da scuola, com'era successo per Miyako. Ripensarci mi fece uno strano effetto: chissà se era Mikan a leggerle le favole la sera.
«Scommetto che lo dici solo perché non hai voglia di rispondere al telefono.» evitai di dirle che quello era il suo lavoro e non il mio.

«Bene,» mi diede una botta sulla spalla Mitsuki, verso l'ora di pranzo. Mi ero ridotto a fare dei cruciverba mentre aspettavamo una telefonata, sembrava che fossimo l'unica scrivania a cui non ne era arrivata nemmeno una. «hai avuto tempo per pensare alla seconda parte del piano, giusto?»
«Tempo a sufficienza.» concordai, cercando l'ennesima definizione. «Ma... non ho trovato la soluzione.»
Lei sospirò sconsolata. «Porca miseria.» imprecò, buttandosi su una sedia.
«La parte geniale?» domandò, invece, Yuuko. Mitsuki si limitò a scuotere la testa.
«Io non ho avuto il tempo per pensare, con quel disgraziato di mio nonno e del suo amico. Se solo sapeste che si sono messi a fare...»
«Hanno perso la dentiera?» chiesi, sogghignando. Lei mi gettò un'occhiataccia e pensai che potesse essere così.
«Magari!» disse, invece, lasciandomi alquanto perplesso. Credevo che alle persone non piacesse raccogliere le dentiere altrui, evidentemente mi sbagliavo. «Voi non sapete di cosa sono capaci.»
«La solita scusa del nonno, Harada?» la prese in giro Jou, posando sul tavolo del cibo.
Lei assunse un'espressione indignata. «Scusa del nonno? Vorrei vedere te a passare un solo giorno con lui.» scosse la testa, incredula, e si sistemò di nuovo contro lo schienale.
«Che cosa gli hai fatto fare stavolta, nella tua perversa immaginazione?» volle sapere Ryu che stava posando da bere.
Stavolta Mitsuki lo fissò con sguardo assassino. Chissà perché non le credevano. «Vuoi saperlo davvero? Ha quasi dato fuoco alla casa, quel maledetto vecchio! Lui, sua moglie e il suo amico! Sono uscita per fare la spesa e lui mi ha detto “Vai tranquilla, tesoro, a pulire il forno ci penso io” e quando sono tornata il forno era sul pavimento e l'estintore del negozio giù al villaggio aperto in due. E non so come dal forno è uscito un gatto.» ora capivo perché sembrava difficile crederle: insomma, un anziano che sradica un forno da un muro... non sembrava proprio credibile.
«Credevo che si fosse messo a volare su un pony!» replicò Ryu, in tono deluso. «Dai, puoi fare di meglio.»
«Non ci guardare così.» disse l'altro, puntandole contro le bacchette con il sushi. «Ho passato un po' di tempo col tuo povero nonno, ed è un normalissimo vecchietto. Perciò non propinarci queste storielle sperando di rendere la giornata interessante.»
La sentii borbottare qualcosa su un viaggio sulla luna, ma non riuscii bene a capire. Improvvisamente, il telefono squillò, Yuuko si immobilizzò, e guardò Mitsuki terrorizzata.
«Beh?» la incitò lei, indicandole il telefono. «Rispondi!»
«Ma... ma io...» tentò lei, con le mani che tremavano. Era il nostro primo cliente, ed era comprensibile essere nervosi, ma stava un po' esagerando. C'era bisogno di fare qualcosa: presi il telefono e risposi.
«Buongiorno, Watanabe Corporation, come posso aiutarla?» chiesi, nel tono più gentile che riuscissi a fare. «Come? Kou Hijiro? No... ha sbagliato numero, non è un'abitazione privata.» sbuffai silenziosamente. «Non si preoccupi. Arrivederci.» riattaccai.
«La nostra prima telefonata e hanno sbagliato numero?» rise Mitsuki, incredula. «Hai iniziato bene, ragazzo, ma hai cambiato totalmente tono verso “Arrivederci” sembrava che tu volessi mangiarlo più che “non si preoccupi”.»
«Ehi, era la prima telefonata.» mi difesi, appoggiandomi alla sottospecie di muro di plastica che ci separava dalle altre squadre.
«La pratica rende perfetti, no?» Ryu si stiracchiò, per poi mettere una mano sulla spalla di Yuuko. «Calmati novellina, se non rispondi al telefono c'è qualcuno che potrebbe non ricevere aiuto. E, cosa peggiore, potrebbe prendere la chiamata qualcuno degli altri e potremmo perdere la sfida mensile. Non farlo mai più.»
s Mitsuki si allungò e lo pizzicò sul braccio. «Smettila! Tranquilla, cara. Non c'è nessuna sfida mensile, è solo per metterti sotto pressione!» dopodiché gli tirò un orecchio e cominciò a parlargli sottovoce, sperando che noi non sentissimo. In realtà, non era così. «La nostra credibilità rasenta lo zero, non mettere loro in testa scemenze come la sfida mensile! Come ti è venuta?»
«Scusa, capo.» rispose lui, dolorante.
Mitsuki tornò a fissarci con un sorriso smagliante, esattamente come se credesse che noi non avessimo davvero sentito. «Dato che io non ho potuto elaborare la parte geniale... nessuno ha qualche idea?»
«Fare come dice Natsume è maledettamente rischioso.» rifletté Ryu, e non aveva tutti i torti, ma non si poteva entrare in Accademia senza essere visti diversamente, saremmo stati catturati come la loro collega. «Mi rendo conto che se l'hai proposto è l'unica soluzione possibile, ma dobbiamo non solo rendere inoffensivi i tizi a cui ruberemo il posto, ma anche gli altri. Se ci riconoscono siamo fritti, e non abbiamo tutti l'Alice di Yuuko.»
«Immagino che tu abbia ragione.» riflettei, in effetti avevo dato per scontato che non ci sarebbero state nessun tipo di relazioni tra le macchine prima di arrivare in Accademia.
«Di sicuro, poi, ci sarà bisogno del personale della terza macchina. La missione dell'Accademia verrà boicottata da Yuka.» aggiunse Yuuko. «Se una delle macchine viene distrutta durante gli scontri che facciamo?»
«Allora dovremo agire più velocemente.» suggerii, mentre una scappatoia al problema si formava lentamente nella mia testa. «Le opzioni sono due: o li cogliamo di sorpresa mentre tornano alla macchina, sperando che non sia distrutta, oppure, nel caso in cui una venga distrutta, dobbiamo organizzarci nei bagagliai, e neanche nelle restanti due auto potremo entrarci tutti. Nel caso peggiore in cui ne rimanga una sola, possiamo entrare massimo in due. E rimane comunque il problema di andarsene.»
«Quello non è un problema, se ci sbrighiamo a liberare Yui.» sorrise Mitsuki. «Tu sei fondamentale per la missione, ti muovi nella scuola come se fossero le tue tasche, quindi sarai uno dei due, nel caso peggiore. E poi sai con precisione dove la tengono.»
La mia prima missione si prospettava piuttosto difficile. «Mi serve qualcuno che sappia arrangiarsi con quello che ha... per entrare, scassinare le serrature, e che sappia far fronte a tutti i possibili contrattempi che possono capitare.»
«Mitsuki, tu sai costruire qualunque cosa anche con i resti di un telecomando.» le fece notare Jou, con un po' di delusione. Era ovvio che volessero venire tutti, ma era altrettanto evidente che l'organizzazione avrebbe intercettato la missione e ci sarebbe stato un po' di scompiglio.
«Quindi io e Natsume? Siete tutti d'accordo?» continuò Mitsuki. Gli altri non erano entusiasti, specialmente Jou e Ryu.
«Certo che non ci va bene!» obiettò, infatti, Ryu. «Ma se rivogliamo Yui indietro, ci dobbiamo adeguare.»
Mentre parlavano, mi domandai quante volte ancora avrei dovuto essere incastrato dalla gente a fare ciò che volevano. Prima il Preside che mi usava come informatore, poi Yuka che mi diceva di non aiutarli, ma metteva uno come me che conosce anche il più segreto passaggio dell'Accademia in una squadra con quel problema. Cominciò a non sembrarmi più una grande idea, ma ormai non potevo più tirarmi indietro.

Poco prima che la pausa pranzo stesse per finire, entrò dall'ascensore una delle ultime persone che mi sarei mai aspettato. «Che cosa ci fa lui qui?» chiesi, infatti, stupito. Sapevo che aveva affari fuori dalla scuola, ma non immaginavo proprio nello stesso posto in cui li avevo io, e per il motivo opposto, per giunta.
«Si vede che porta notizie dalla scuola.» mi rispose Mitsuki, con tono ovvio. Evidentemente non era la prima volta che lo faceva. «Lo fa quasi ogni mese, anzi... ora ha un po' smesso perché lo sorvegliano. Ma, a quanto pare, il Preside parte per l'Inghilterra. Chissà che problemi ha col suo clone lì.»
«Quale clone?» chiese Yuuko, sbalordita.
«Come sarebbe a dire “quale clone”?» fu Ryu a parlare, quasi indignato. «È l'Alice del Preside. Ha un suo clone in ogni Alice Academy del globo. E li controlla tutti.» noi avevamo la fortuna di avere l'originale. Chissà che razza di Alice aveva adocchiato nell'Alice Academy a Londra.
«È terrificante.» commentò Yuuko.
«Già.» concordò Jou, pensieroso. Si alzò. «Ehi, vecchia ciabatta! Quali notizie porti dal postaccio?»
Il sorriso di Narumi era tirato e per niente sincero. Sembrava stanco e preoccupato. Cosa poteva essere successo di così grave in due giorni? Sperai vivamente che non riguardasse Mikan.
«Ciao Jou...» era strano non vederlo fare l'idiota. «C'è Yuka? Ho bisogno di parlarle, assolutamente.»
«Stamattina aveva una riunione col Presidente, ma ora dovrebbe essere finita. Quindicesimo piano come al solito.»
«Giusto.» commentò, scuotendo la testa, come se se lo fosse dimenticato. «Grazie.»
«Naru, aspetta.» lo chiamai, prima che potesse entrare nell'ascensore di nuovo. Lui si girò e mi guardò con preoccupazione, ma non credevo che fosse per me. «Che è successo?»
«Non è successo niente.» mi assicurò, ma si vedeva da lontano un chilometro che non era così. Inarcai un sopracciglio e lui sospirò. «Niente che tu abbia bisogno di sapere.»
«Dimmi solo se riguarda Mikan.» il mio istinto mi diceva che era successo qualcosa di strano e non ero per niente tranquillo.
«È svenuta di nuovo, e hanno mandato delle analisi da fare all'ospedale.» mi disse. «Sta bene, comunque.»
«Perché sviene di continuo da mesi?» volli sapere, mentre la preoccupazione mi faceva contorcere lo stomaco.
«Tra una settimana ci saranno i risultati delle analisi. Lei sta bene, non ti preoccupare.» non sapevo perché ma non riuscivo a credergli completamente. «Adesso devo andare da Yuka, scusami.»
«Hai intenzione di andartene senza dirmi altro?» lo fermai per una manica.
«Non so altro, Natsume. E lo sai che non ti dirò quello che dirò a Yuka.» questo non era per niente soddisfacente. Mi aveva detto una mezza verità per farmi stare calmo, ma non aveva funzionato affatto, lo conoscevo troppo bene.
«Giuro che se sai qualcosa riguardo Mikan e me l'hai tenuta nascosta, torno in Accademia e ti faccio passare la voglia, dopo aver verificato di persona.» e non stavo per niente scherzando.
«Non ho alcun dubbio.» stavolta il suo sorriso era più rilassato. Entrò nell'ascensore senza degnarmi più di una parola. Sbuffai, tornando alla mia scrivania.
«Che gli hai chiesto?» volle sapere Mitsuki, curiosa. «Informazioni sulla tua ragazza?»
La guardai. «Esatto.» confermai, in tono piatto. Ma non avevo idea del perché gliel'avessi rivelato nonostante volessi che si facesse gli affari suoi.
«E io che stavo scherzando!» scosse la testa, divertita. «Allora, continuiamo col piano?»
«La pausa pranzo è finita.» le ricordò Ryu, stiracchiandosi. «È ora di tornare a lavorare, capo.»
«Sì, sì...» rispose lei, spettinandosi i capelli sopra la fronte. «Non torturarmi ricordandomelo.»
«Sono moralmente obbligato a dire la verità.» dopodiché scoppiò a ridere, dando delle pacche sulle spalle al suo amico, da cui si guadagnò un'occhiataccia. «E dai!»
«Se tu la smettessi di prendere in giro il suo Alice, smetterebbe di guardarti così.» gli fece notare Mitsuki, alzandosi. Si guardarono per un po', prima di annuire come se si fossero messi d'accordo per qualcosa. «Io dico di ringraziarlo. Senza di te non avremmo un piano, Jou.»
Aggrottai la fronte: che intendeva dire? «Li ho soltanto messi a loro agio.» la corresse l'interpellato. Li osservai per un po', senza che dicessero altro. «Per non aspettare troppo a sentirci una squadra. Non abbiamo tempo da perdere.»
«Che significa?» fu Yuuko a domandarlo. Jou le sorrise, forse con una traccia di colpevolezza.
«Il mio Alice controlla gli stati d'animo. In questi due giorni ho preferito rendervi più disponibili a lavorare con noi, come se fossimo un gruppo da sempre. Mi dispiace, lo faccio per Yui.» anche Mitsuki ci rivolse un'occhiata per scusarsi.
«Non c'era un modo facile per dirlo.» ammise. «Ci dispiace di averlo fatto.»
«Perché ce lo state dicendo?» volli sapere. Questo spiegava molte cose, a cominciare dal motivo stesso per cui mi ero seduto e avevo cominciato a elaborare un piano per loro, o del perché rispondessi a tutte le domande che mi facevano. Non che la cosa non mi infastidisse, ma arrivai alla soluzione che bruciare i loro pantaloni, questa volta, non sarebbe stata una grande idea.
«A noi non piacerebbe essere controllati in alcun modo, e sappiamo che neanche Yui approverebbe.» spiegò Jou. «E, dopotutto, siamo una squadra. Ci aiutiamo perché vogliamo farlo. Non lavoreremo mai bene insieme se ci comportiamo così.»
«E come mai dovremmo essere ben disposti a farlo, adesso?» domandai, sinceramente curioso di ricevere una risposta.
Mitsuki mi rivolse un sorriso quasi timido. «Perché abbiamo detto la verità?» tentò.
Io lavoravo per salvare Mikan, in un modo o nell'altro dovevo andare d'accordo con loro. «Il lavoro è lavoro, comunque la mettiate.» conclusi e pensai che, probabilmente, avendone l'opportunità, avrei fatto lo stesso se avessi dovuto salvare qualcuno a cui tenevo. Ripensandoci ancora meglio, avevo fatto cose ben peggiori di quella.

*****

Stavolta ammetto di non sapere quanto tempo è passato dall'ultima pubblicazione, mi sembra un'eternità XD comunque rieccomi con un capitolo del nostro adorato Natsume *.* come giusta ricompensa dopo la fine degli esami di maturità, una cosa di cui non sentirò più parlare grazie a Dio XD.
E ora passiamo ai ringraziamenti (anche se non so di nuovo chi siano le new entry XD):

A tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. AkA GirL
2. Anime xx
3. Annie Roxane Jackson
4. bennycullen
5. Butterfly_Dream
6. Chocola98
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9. DarkAngel_oF_DarkNess
10. deliventor0989
11. DeniCChan_
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A chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. AkA GirL
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6. liyen
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E anche a chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. AkA GirL
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Capitolo 21
*** Un nuovo studente ***


Capitolo 21 – Un nuovo studente
(Mikan)


Sentivo dei suoni confusi e ovattati, mentre cercavo di capire dove mi trovassi. Mi faceva male la testa, e l'unica cosa di cui ero quasi sicura era che ero stesa su un letto.
«Quindi?» era la voce di Hotaru, apparentemente ansiosa: era strano, di solito era praticamente impossibile agitarla. «Si può sapere che diavolo ha?»
Mi mossi e mugolai senza volerlo, aprendo gli occhi. La mia migliore amica entrò nel mio campo visivo, sembrava preoccupata. «Hotaru?» chiesi, stupidamente. Lei mi sorrise, perdendo la solita espressione calma.
«Ti sei svegliata, finalmente.» mi disse lei, sedendosi sullo sgabello vicino al mio letto. Dovevamo essere in infermeria. «Hai dormito parecchio tempo.»
«Qualche ora.» confermò il dottore e, guardando fuori dalla finestra, vidi che aveva ragione: era pomeriggio inoltrato. «Come ti senti, Mikan?»
Non sapevo esattamente come descrivergli in che stato mi trovassi. «Strana.» ammisi, sentendomi frustrata per non poter dare una descrizione più precisa.
«La buona notizia è che...» intrecciò le dita delle mani sulle ginocchia. «non diventerai mamma, almeno non per ora.»
Non sapevo bene in che modo reagire a una notizia del genere: in effetti avevo sempre avuto una specie di sesto senso che non c'era davvero un bambino. Eppure, in qualche modo, ci avevo... forse sperato. Forse con un bambino Natsume sarebbe ritornato da me in minor tempo. Forse. Il fatto che, però, non aspettassi nessun bambino, per quanto impegnativo avrebbe potuto essere, apriva le porte a molte possibilità e se il fatto di non essere incinta era una buona notizia, c'era sicuramente qualcos'altro da aggiungere.
«Quella cattiva?» domandai, infatti, dato che sembrava che ce ne fosse una. Sentii Hotaru borbottare qualcosa ma non riuscii a capire. Suo fratello si schiarì la gola.
«Quella cattiva...» iniziò lui, facendo una smorfia, e distogliendo lo sguardo. Fece schioccare la lingua. «è difficile da spiegare.» mi appoggiai alla testiera in ferro del lettino, aspettando che andasse avanti, il cuore che batteva forte per la tensione. Che Hotaru fosse lì con me era un gran conforto, se non avessi capito la spiegazione, ero certa che me l'avrebbe riproposta in maniera così semplice che mi avrebbe fatto sentire una stupida per non averlo capito subito. «Pare che tu stia sviluppando un altro tipo di Alice, oltre a quello dell'Annullamento.»
Sgranai gli occhi. «Che cosa?» era difficile da credere, ma la cosa ancora più misteriosa era il motivo per cui questo nuovo Alice avrebbe dovuto farmi sentire male. Avevo già sentito di ragazzi che avevano sviluppato i loro poteri durante gli studi, ma nessuno di loro aveva avuto i miei problemi. «E perché...» Hotaru mi mise una mano sul braccio, senza prendermi a botte con uno strano attrezzo di sua invenzione. Strano. «Lascialo finire.» mi consigliò.
«Quello che è strano, Mikan,» riprese, quindi, il dottore, con tono tutt'altro che rassicurante. «è che pare che questo nuovo Alice sia in conflitto con quello vecchio.»
Sbattei le palpebre, confusa. «Com'è possibile?» deglutii, sembrava che le cose si stessero complicando sempre di più ogni volta che il fratello di Hotaru cercava di spiegarsi meglio.
«Sembra che il tuo nuovo Alice... in qualche modo, spinga quello vecchio fuori dal tuo corpo, ma non ci riesca perché il tuo vecchio Alice ne limita gli effetti.» mi morsi un'unghia aspettando che tutto fosse più chiaro. «Non sono riuscito a capire di che natura sia l'Alice che stai sviluppando, ma... sembra che il conflitto tra i tuoi... poteri sia la causa degli svenimenti.»
«E... non possono smettere?» sembrava quasi che non potessi fare niente per migliorare la situazione.
«Assumere il controllo del tuo nuovo Alice, come hai fatto per quello vecchio.» concluse lui, rilassandosi sulla sedia. Sembrava facilissimo, ma allora perché era così preoccupato?
«Come posso riuscirci?» per il mio Alice dell'Annullamento non era stato poi così difficile, e Natsume mi aveva aiutato molto a migliorare. Ricordai un sacco di occasioni in cui aveva minacciato di bruciarmi i capelli o le mie mutande a pallini, per poi sorridere soddisfatto quando riuscivo a bloccare le fiamme prima che arrivassero a destinazione. Quando gli chiedevo perché mai fosse così contento del fatto che riuscissi a migliorare, lui rispondeva sempre “Sto perdendo sempre meno tempo con te, questo è un buon motivo per sorridere.”, ma tornava sempre per aiutarmi, il pomeriggio successivo. Immaginai di dover fare un lavoro simile per un altro Alice, solo che avrei dovuto farcela senza il suo aiuto. Aggrottai la fronte, pensando al fatto che non sapevo niente sul mio nuovo potere. «Come posso controllarlo se non so neanche cos'è?»
Il dottore si grattò una guancia, pensieroso. «Credo che dovresti...» cominciò, mordendosi un lato del labbro inferiore. «parlare col Preside della tua sezione. Scommetto che saprà darti maggiori dritte al riguardo.»
Non capivo come il Preside potesse saperne di più di un dottore, ma non feci domande e mi limitai ad annuire: effettivamente, se il dottore mi consigliava di fare una cosa era meglio farla. Alzai gli occhi sulla mia amica. «Vieni con me?» chiesi, speranzosa. Lei tornò a fissarmi con la solita espressione e un sopracciglio inarcato.
«Sei impazzita? Ho del lavoro da fare.» chiarì lei, e improvvisamente mi ricordai che, negli ultimi tempi, aveva passato molto tempo nel suo laboratorio a lavorare su qualche strana attrezzatura. «Devo finire del lavoro, e poi... beh, c'è la cerimonia di saluto per il Preside delle Elementari che parte per l'Accademia di Londra.»
«Oh...» avevo dimenticato anche quello. Ma se c'era una specie di cerimonia di saluto, quando avrei potuto parlare con il Preside delle Superiori? «Potrei parlare con lui domattina.» completai il pensiero ad alta voce.
Vidi i due fratelli spalancare gli occhi, come se fossi salita sul davanzale della finestra e stessi per buttarmi di sotto. «Col Preside delle Superiori?» fu Hotaru a chiedere, io annuii, temendo di dire qualcosa di sbagliato. «Meglio se ci vai subito, visto che sembri esserti ripresa.»
«Perché non posso aspettare?» che fretta c'era? Non credevo che un giorno in più o in meno per imparare a controllare il mio nuovo Alice avrebbe fatto una gran differenza.
Hotaru alzò gli occhi al cielo, con un sospiro esasperato. Poi si rivolse al fratello. «Te l'avevo detto o no che è completamente tonta?» incrociò le braccia al petto, quasi come se fosse arrabbiata per qualche motivo. Non riuscivo a capire. «Comincio a credere che non ci arriverebbe neanche con un disegno.»
Lui mi fissò con un sorriso comprensivo, mentre io guardavo alternativamente lui e Hotaru, in attesa. «Mikan, vedi... l'Alice dell'Annullamento mentre cerca di contrastare l'altro prosciuga le tue forze, esattamente come l'altro le usa per combatterlo, capisci?» non era del tutto chiaro, ma decisi di annuire, non volevo che Hotaru pensasse che ero più stupida di quanto credesse. «Non sappiamo quando potresti svegliarti ogni volta che svieni.»
«O vuoi dire se» precisò Hotaru, fissandomi con uno sguardo terrificante. Deglutii. «È meglio cercare in fretta la soluzione.»
«D'accordo.» accettai. Tutto pur di impedire che lei continuasse a guardarmi in quel modo. Mi metteva addosso dei brividi di paura, come neanche il primo e unico film horror – visto perché ero stata praticamente costretta da Natsume, una sera di Halloween – aveva potuto. «Vado subito, prima di non trovarlo.» mi alzai, notando come non mi sentissi le gambe molli come al solito. Immaginai che fosse per il fatto che avevamo parlato abbastanza a lungo. Guardai Hotaru con sguardo implorante. «Sicura che non vuoi venire con me?» magari avrebbe potuto ritardare un pochino sulla tabella di marcia per i suoi attrezzi meccanici.
Lei fece una smorfia. «Sei proprio una fifona.» commentò, prendendo la sua borsa. «Muoviti o ti lascio indietro e me ne torno in laboratorio.» si avviò verso la porta. Io ringraziai il dottore e mi affrettai a seguirla, o temevo che avrebbe davvero mantenuto la promessa.
Il Preside delle Superiori sembrava simpatico e certamente mi metteva meno terrore di quello delle Elementari, anche se era solo un bambino... aveva qualcosa di inquietante che non riuscivo a cogliere. Il Preside Yukihira aveva un tipo di Alice che gli impediva di invecchiare e sembrava sempre un uomo sui trent'anni, ma sorrideva raramente, chissà per quale motivo. Non credevo che fosse cattivo, ma quando sedeva dietro quella scrivania, mi metteva in soggezione. Ero stata nel suo ufficio una sola volta, ed era stato quando avevo distrutto per sbaglio l'aula di JinJin, durante un'esercitazione con Natsume. Invece di bloccare il suo Alice l'avevo deviato e questo era finito nella sua aula, incendiandola. Per fortuna era vuota, o quasi... il professore era arrivato da noi furibondo, con alcune ciocche di capelli bruciacchiate. Nessuno aveva detto niente, nemmeno Natsume che però aveva uno strano sorrisino in faccia. JinJin si era limitato a guardare tutto il gruppo di studenti, ma i suoi occhi si erano fermati sopra di me, e con un cenno della mano mi aveva fatto capire che dovevo seguirlo. E quello era stato il giorno in cui avevo avuto la mia prima e ultima esperienza in quell'ufficio. La punizione non era stata dura, ma nello sguardo del Preside c'era qualcosa di strano. Natsume sosteneva che aveva tenuto quell'espressione per evitare di scoppiare a ridere in faccia a Jinno-sensei. Probabilmente, aveva ragione. Comunque fosse andata, le esercitazioni erano state proibite e io avevo passato più di una settimana a pulire quei cestini in metallo, che si muovevano in continuazione, sparsi per il cortile e pieni di spazzatura, come quando non avevo stelle.
«Devo anche entrare o basta che venga con te fino alla porta?» come spiegarle che ogni tizio che stava dietro una scrivania mi faceva sentire piccola come una formica?
Compresi, però, che aveva del lavoro importante da fare, o almeno lo sembrava a giudicare dalla fretta che aveva. Lei non era una di quelle persone che si lascia impressionare da un tipo in divisa dietro una scrivania. Rabbrividii. «Credo... credo di... poter entrare da sola.» non ne ero molto convinta.
«Non è terrificante come lo fai sembrare.» mi fece notare lei, con la solita voce fredda. «È un tizio esattamente come gli altri. Spiegagli la situazione e capirà. Non ti sbatterà certo dentro una delle celle sotto la sezione Elementare perché gli hai chiesto aiuto.»
Gelai sul posto. «C-ci... s-sono... pri-prigioni sotto la... sezione Elementare?» era davvero possibile che finissi là dentro mentre mi nutrivano con delle ossa spolpate? Scossi la testa, cercando di scacciare quell'immagine della testa. Guardai Hotaru che non sei era scomposta minimamente, e capii di essere stata presa in giro. «Smettila di mettermi paura.» lei mi restituì lo sguardo, ma aveva qualcosa di strano, non come al solito quando mi trattava da scema. «Non... non ci sono prigioni nel campus, vero?» sembrava una supplica più che una domanda.
Lei sospirò. «Tu crederesti anche che le mucche hanno le ali, se ti venisse detto col giusto tono.» osservò, fermandosi davanti a una grossa porta di legno scuro. «Siamo arrivate,» mi sembrò una specie di annuncio, o... l'ultimo saluto prima della condanna a morte. E se davvero mi avesse rinchiuso? Cosa avrei fatto? «e non sto scherzando.»
Cercai di darmi un contegno e di non balbettare, ma le gambe mi tremavano come se fossero state fatte di gelatina. «Credi davvero che sia una buona idea?»
Lei non rispose, bussò alla porta, ricevendo subito il permesso di entrare la aprì e mi spinse dentro, senza dire una sola parola. Mi girai verso la porta, ormai alle mie spalle e la trovai chiusa.
«Hotaru...» chiamai, agitata, sottovoce. Non volevo che mi sentisse. «Hotaru... dimmi che sei là fuori...» sentii qualcuno che si schiariva la voce e mi girai lentamente. Il Preside delle Superiori era seduto dietro la scrivania, esattamente come al solito, ma aveva un sorriso rilassato sul viso e un non so che di rassicurante. Mi fece cenno con una mano di sedermi in una delle due sedie di fronte a lui, e pensai che fosse saggio accettare: probabilmente, non mi avrebbe rinchiusa da nessuna parte se avessi fatto come voleva. Cercai di rilassarmi.
Lo vidi inarcare un sopracciglio. «Non mordo.» assicurò, posando il braccio sulla scrivania. Solo allora mi accorsi che non avevo mosso un passo verso la sedia. Mi affrettai a raggiungere la sedia, ma non sapevo bene da che parte cominciare per spiegargli il motivo per cui mi trovavo lì. «Ho parlato con il dottore, qualche giorno fa.» questo mi prese alla sprovvista. «Mi ha detto che hai qualche problema di salute.»
«Sì.» confermai, appoggiandomi su un bracciolo. «Il dottore ha detto che ho due Alice che... si respingono l'uno con l'altro.» non sapevo se la spiegazione era sufficiente a far capire l'entità del problema, e non ero neanche tanto sicura che fosse quella giusta.
«E non ti ha detto altro?» volle sapere, intrecciando le dita sotto il mento.
«Beh... ha detto che se non imparo a controllarlo, potrei svenire sempre più spesso senza sapere quando potrei svegliarmi, e... che dovevo venire da lei per sapere come fare.» credevo che fosse tutto. Preferii lasciar perdere la puntualizzazione di Hotaru, perché mi metteva davvero in agitazione.
Lui sorrise, in un modo piuttosto inquietante. Mi chiesi se avessi fatto bene ad andare da lui, sembrava che fosse pronto a balzare al collo di qualcuno e banchettare con il suo cadavere. «Ti ha detto così, eh?» io mi limitai ad annuire, non sapendo se volesse una risposta o meno, mi capitava spesso di rispondere a domande retoriche solo perché non sapevo che lo fossero. Lui sospirò. «D'accordo...» concesse, ma non riuscivo a capire se stesse parlando con me. «immagino di meritarmelo.» corrugai la fronte, ma decisi di non chiedere niente riguardo gli affari suoi e del dottore, memore delle prigioni e delle ossa spolpate.
«C'è qualcosa che posso fare?» pregai che fosse una domanda legittima da porre, sperando che non suscitasse qualche tipo di strana reazione indesiderata.
Niente si mosse.
«Ascoltami bene, Mikan,» il suo tono di voce si faceva sempre più serio. «probabilmente so che tipo di Alice è il tuo nuovo potere, ma devi ascoltarmi con attenzione.» io annuii di nuovo: non volevo interromperlo. «Conoscevo i tuoi genitori.»
«Davvero?» non riuscii a trattenermi. Il nonno non mi aveva parlato molto di loro, era quasi come se preferisse evitare l'argomento, quindi io non sapevo molto riguardo i miei genitori. Tuttavia, non riuscivo a trovare il nesso tra loro e il mio nuovo Alice.
«Tuo padre aveva l'Alice dell'Annullamento, un tipo raro, che non si manifesta come gli altri. È raro e... potente, in qualche modo.» sapere che mio padre era un Alice fu una grossa sorpresa: non immaginavo di aver ereditato anche quello dai miei genitori. Sembrava che fosse una sofferenza per lui andare avanti, ma lo fece. «Tua madre, invece... quello del Teletrasporto.» mi ritrovai a sorridere senza volerlo. Forse, avevo ereditato anche quello e di potevo spostarmi da un punto ad un altro del mondo, come volevo. Magari avrei anche potuto andare a trovare Natsume. Era un Alice molto utile e sembrava proprio che io l'avessi. «almeno all'inizio, ma non ha la caratteristica di trasmettersi di generazione in generazione. Si tramanda con l'andare del tempo, ma non è questo il caso.» le mie speranze furono abbattute con poche parole in pochissimi secondi, con la forza di un bulldozer. «Più tardi, verso i tredici anni, sviluppò un secondo Alice, che nessuno aveva mai visto prima, almeno in questa scuola.» si fermò, con lo sguardo fisso su una penna che teneva tra le mani, ma non sembrava che la stesse osservando.
«Che tipo di Alice era?» lo spronai, curiosa. Era la prima volta che potevo sentire qualcosa a proposito dei miei genitori ed era una stranissima sensazione.
Lui sembrò risvegliarsi dal sonno, era come se mi notasse per la prima volta. «Credo che... sia meglio descrivertelo.» disse, passandosi la lingua sulle labbra secche. «Aveva il potere di... sottrarre, per così dire, l'Alice di una persona e... inserirlo nel corpo di qualcun altro.» corrugai la fronte. «Lo chiamavamo, a quel tempo, Alice del Furto, ma non è del tutto esatto.»
A me sembrava una spiegazione davvero calzante. Come si poteva portare via l'Alice a qualcuno e non considerarlo furto? Non mi piaceva l'idea di poter possedere un Alice simile. Sperai che anche quello fosse uno che non era trasmesso dai genitori ai figli, e che mio padre avesse avuto un altro Alice, anche se avesse dovuto essere la capacità di sparare fuochi d'artificio color salmone. Non mi trovavo a mio agio con l'idea di essere in grado di privare un altra persona del suo potere. «E...» tentai, cercando di trovare un lato positivo nella faccenda. «...perché non è del tutto esatto?»
«Se l'Alice è davvero molto forte, radicato nella persona, non è possibile portarglielo via del tutto. Il tuo vecchio insegnante, Narumi-sensei, l'ha sperimentato personalmente.» non riuscivo a credere che mia madre avesse cercato di rubare l'Alice di Narumi-sensei e che lui fosse così gentile con me. Mi chiesi che razza di persona fosse mia madre. «Non è come pensi,» sorrise, come se mi avesse letto nel pensiero. «Narumi voleva liberarsi del suo Alice, ma tua madre non fu in grado di accontentarlo.»
«Perché lei pensa che io possa avere questo Alice?» nonostante tutte le spiegazioni, il fatto che potessi averlo davvero non mi dava una gran bella sensazione. «L'idea non mi entusiasma.» pensai che questo avrebbe potuto scongiurare la possibilità.
«Mi dispiace di non essere riuscito a spiegarmi.» sembrava amareggiato dalla mia reazione. Me ne chiesi il motivo. «L'ho già detto in passato a un mio studente, che poi è diventato padre di un altro mio studente: l'Alice non è un'entità separata da chi lo possiede.» mi grattai la testa, cercando di capire dove volesse arrivare. «Come non puoi dire di un bambino se sarà una buona persona o meno, non puoi neanche stabilirlo del tuo Alice. Saprai che un bambino diventerà una buona persona in base a ciò che farà della sua vita, saprai che un Alice fa del bene in base a come verrà usato.»
Le sue parole mi impressionarono: non ci avevo mai pensato. «Quali vantaggi potrebbe darmi questo tipo di Alice?»
«Chiamarlo Alice del Furto non è del tutto esatto per il semplice fatto che non mette in evidenza tutti i suoi aspetti. Tanta gente ha sempre pensato che Alice del Furto e dell'Inserimento fossero separati, ma sono uno soltanto. Puoi portare via l'Alice a qualcuno ma puoi anche darlo a qualcun altro.» non riuscivo a capire tutta quella positività. «Pensa a uno come Narumi.» non riuscivo davvero a immaginarlo mentre chiedeva a qualcuno di privarlo del suo Alice. «Puoi sottrarre l'Alice a chi non lo desidera e donarlo a chi ne ha bisogno. Una pietra Alice della guarigione, per esempio, data a qualcuno come te, e inserita nel corpo di qualcuno che soffre, ma non può essere curato dai metodi tradizionali, potrebbe dare al malato una possibilità.» mi sentii molto stupida per aver giudicato senza pensare sia mia madre che il suo Alice. «Mi sembra una prospettiva... confortante.»
«Lo è.» ammisi, a bassa voce. «Lei è sicuro che io... l'abbia ereditato?»
Lui annuì. «Abbastanza sicuro,» specificò. «visto che tua madre è stata la prima a possederlo, almeno da quando sono Preside in questa scuola.» e doveva essere parecchio tempo che lo faceva.
«Quindi... come si esercitava mia madre?» probabilmente, se avessi fatto ciò che faceva lei, avrei risolto ogni mio problema.
«Lei non si è mai... allenata.» mi rispose lui, sospirando. «il suo potere è venuto fuori è ha dovuto imparare a controllarlo in fretta. La mandavano in missione, temo che abbia imparato lì.»
Mi morsi il labbro inferiore. «E io come posso fare?» Natsume mi aveva quasi sempre tenuta all'oscuro di ciò che succedeva durante le missioni, e sapevo che aveva le sue buone ragioni. Io non volevo prendere parte a quelle cose spaventose.
«Immagino che sarò la tua cavia.» spalancai gli occhi: non potevo permetterlo. «È necessario che nessuno a parte te, me, il dottore e Imai Hotaru sappiano del tuo nuovo Alice.»
«E se non riuscissi più a restituirle l'Alice, Preside?» domandai, terrorizzata. Narumi-sensei poteva anche avere il raro dono di non poter essere privato dell'Alice, ma il Preside? «E perché nessuno deve saperlo?»
«Mikan, se puoi privarmene puoi anche restituirmelo, tranquillizzati.» disse lui, per niente agitato. «Ti ho detto che ho già avuto a che fare con questo Alice. E anche gli altri, purtroppo. Pensa a come hai reagito tu, che lo possiedi. Cosa pensi che farebbero gli altri quando sapranno che ce l'hai?» non riuscivo esattamente a farmi un'immagine mentale della possibile situazione. «Avranno paura di te, perché li priverai dell'Alice solo toccandoli, se non impari a gestirlo.» rabbrividii immaginandomi i miei amici che mi guardavano con terrore. Mi chiesi se davvero dovevo cambiare la visione negativa che avevo del mio nuovo Alice. Non ero del tutto sicura di volerlo, nonostante tutto quello che aveva detto. «Quando imparerai a padroneggiarlo, potrai dirlo alle persone di cui ti fidi ciecamente. Ma è sempre meglio che tu lo tenga nascosto alla maggior parte della gente. Mikan, ci sono... persone che... desiderano utilizzare il tuo Alice per i loro scopi. Non dargliene modo spargendo la voce che lo possiedi.»
«Ho capito.» assicurai: nessuno doveva sapere niente tranne Hotaru, almeno per il momento. «E quando....»
«Cominceremo domani, Mikan.» mi interruppe, alzandosi. «Ora andiamo a salutare il Preside delle Elementari, e dopo a cena. Torna domani e cominceremo.»
«Ho un'altra domanda.» non riuscivo più a contenere la curiosità, ora che ero certa che Hotaru mi avesse preso in giro riguardo alle prigioni. Il Preside sembrava una gran brava persona. Lui attese. «Saprebbe dirmi... i nomi dei miei genitori?»
Lo vidi deglutire e stringere la penna che aveva tenuto fino a quel momento. Si schiarì la gola. «Tu.. tua madre si chiama Azumi Yuka. Tuo padre...» sembrava molto addolorato a riguardo, per qualche motivo. Mi fissò stranamente. «Mi dispiace...» continuò, schiarendosi la voce. «...non ricordo come si chiamasse.» rimasi un po' delusa: era ovvio che fosse il figlio del nonno, visto che portavamo lo stesso cognome, ma... neanche lui aveva mai voluto dirmi niente.
Strano.

Mentre scendevamo le scale, in silenzio, ricominciai a pensare alle informazioni che avevo ricevuto. Per qualche strano motivo, il Preside aveva parlato di mia madre al presente, come se fosse ancora viva, ma non riuscivo a capirne il motivo, forse la conosceva bene e non si era accorto di averlo fatto. Doveva essere così per forza, visto che il nonno mi aveva detto che erano morti prima che io fossi in grado di ricordarli entrambi. Non avrebbe avuto motivo di mentirmi su qualcosa del genere, eppure non riuscivo a non sperare che si fosse sbagliato e che lei fosse viva.
Sarebbe stato bello incontrarla e farmi dire qualcosa di più sul mio Alice. Lui era stato convincente, quando aveva parlato delle intenzioni di chi usa l'Alice piuttosto che dell'Alice stesso, ma io non sapevo ancora come usarlo, e qualche indicazione in più mi avrebbe resa più sicura a riguardo.
Scendemmo le scale verso il cortile, la sezione delle superiori era in un punto piuttosto lontano dal cancello principale, tuttavia mi stupii molto vedere che davanti alla porta ci aspettava una macchina. Il Preside mi fece cenno di salire, quando un uomo vestito di nero aprì la portiera. Eseguii l'ordine, notando che nell'auto c'era un altro occupante.
«Hotaru!» la chiamai, sbracciando. Avevo intenzione di raccontarle tutto su quel colloquio, e anche del fatto che le prigioni sotto la sezione elementare erano solo una specie di leggenda metropolitana. Ammesso che lei già non lo sapesse, ovviamente.
Lei mi rivolse uno sguardo scocciato. «Muoviti a salire, scema.» mi disse, invece, indicando alle mie spalle. Allora mi ricordai che, probabilmente, il Preside aspettava per salire. Mi affrettai a mettermi a sedere, non sapendo se scusarmi o meno. «Allora, tutto bene, a quanto pare.»
Io mi limitai ad annuire, sperando che non andasse avanti e non rivelasse al Preside quanta paura avessi di lui prima di entrare. «E tu che stavi facendo in laboratorio?» mi ricordai che aveva detto qualcosa a questo proposito, appena fuori dall'infermeria, ma non si era spiegata di più.
«Quante volte te lo devo dire?» sbuffò lei, incrociando le braccia al petto. «È per la mostra che ci sarà in occasione dell'Alice Festival.» corrugai la fronte: non sapevo se mi avesse mai detto una cosa simile, ma immaginai che fosse così. «I ragazzi delle Abilità Tecniche avranno la possibilità di esibire le proprie invenzioni a degli imprenditori, in modo che le loro aziende possano offrirsi di produrlo e dare una certa percentuale dei guadagni alla scuola.»
«Non ho mai visto una mostra.» commentai, pensierosa. Ora che ci pensavo, non mi ero mai preoccupata di pensare a come la scuola guadagnava i soldi per pagare le nostre famiglie, darci dei soldi per andare a Central Town, e darci del cibo.
«Non so se la vedrai anche quest'anno.» mi rispose lei, storcendo il muso. Mi chiesi perché mai non avrei potuto. «Sarai sicuramente a occuparti dell'attrazione della tua classe di Abilità, non credi?»
«Giusto!» mi battei il pugno sull'altra mano aperta: come avevo potuto non pensarci prima? Ovviamente, tutte le classi di Abilità stavano cominciando a organizzarsi, mentre né io né i miei compagni avevamo ancora tirato fuori l'argomento. Mancava ancora molto al Festival, ma, di solito, cominciavamo a prepararci molto prima. Tutte le volte che noi non l'avevamo fatto, l'attrazione aveva sempre avuto qualcosa che non andava, ricordavo che Tsubasa-sempai dava la colpa alle cose fatte all'ultimo minuto. «Dovremmo pensare a prepararci...»
«Quest'anno le Abilità Tecniche non parteciperanno.» precisò lei, in tono piatto. «Perciò non aspettarti che avrò tempo per provare il vostro gioco.» io annuii: avrebbe avuto molto da fare, comunque, quindi non pensavo che avrei dovuto di disturbarla.
Mi voltai verso il Preside Yukihira, che era rimasto immerso nei suoi pensieri per tutto il tempo, da quando avevo nominato i miei genitori. Sapere che lui li conosceva era stata una grande scoperta, e avevo intenzione di fargli altre domande su di loro, quando avremmo avuto tempo. «Lei verrà a provare la nostra attrazione, vero, Preside?»
Lui sorrise. «Forse.» fui piuttosto scoraggiata dalla mancanza di una promessa. Forse non avrebbe potuto perché avrebbe dovuto fare lo stesso per gli altri, o perché aveva da fare cose di cui non voleva parlare con noi. «Quest'anno, Jinno-sensei si è rifiutato di prestarsi per le valutazioni delle proposte dei ragazzi, e nessuno si è offerto come sostituto, perciò ho deciso di assumermi la responsabilità. Se la vostra proposta mi piacerà, magari verrò a farvi visita.»
«Anche se sarà una casa dei fantasmi?» Jinno-sensei non aveva voluto sentirne parlare. Sumire una volta mi aveva detto che aveva paura dei fantasmi, ma riusciva difficile da immaginare JinJin spaventato da qualcosa. Avevo sempre pensato che anche i fantasmi, o un mostro marino sarebbero fuggiti davanti a lui.
Il Preside inarcò un sopracciglio. «Perché la casa dei fantasmi dovrebbe rappresentare un problema?»
Io mi grattai una guancia, a disagio. «Beh...» preferivo tenere per me le considerazioni su JinJin, ma non sapevo se perché pensavo che lui si sarebbe messo a ridere o perché mi aspettavo che sbucasse fuori nel momento in cui l'avessi nominato. «i fantasmi fanno paura a molte persone.»
«Sono troppo grande per aver paura dei fantasmi, Mikan.» mi fece notare lui, gentilmente. Immaginai che fosse così: chissà quanti anni aveva.
«Avete intenzione di fare una casa dei fantasmi?» mi girai verso Hotaru, che aveva un tono piuttosto dubbioso. «E come farai? I fantasmi ti terrorizzano.» ovviamente, l'osservazione era più che giusta. Poi, mi venne in mente un'altra questione: quel giorno che Hotaru mi aveva accennato alla mostra, o comunque qualcosa che doveva fare a proposito delle sue invenzioni, anche Kisaki aveva detto qualcosa di interessante su un nuovo studente che si sarebbe presto trasferito alla Alice.
«Preside,» lo chiamai, curiosa. «che cosa sa del nuovo studente?»
Lui parve preso di sorpresa. «Come fai a sapere del nuovo studente?» domandò, infatti, ma non come se lo volesse sapere davvero, piuttosto come se volesse rimarcare il fatto che non dovessi sapere niente. Sperai di non aver appena messo Kisaki nei guai. Deglutii. «Arriverà stasera, penso proprio che tu possa chiedergli le cose che vuoi sapere di persona.»
«Arriverà stasera?» il tono di Hotaru si fece strano.
Lui parve comprendere. «Non è un'Abilità Tecnica.» la mia amica si limitò a muovere le sopracciglia, e mi chiesi se davvero avesse considerato una minaccia per le sue incomparabili invenzioni una persona che nemmeno conosceva. Io, di invenzioni, non ci capivo un granché, ma Hotaru era semplicemente insuperabile, e l'aveva dimostrato più volte. Non capivo cosa avesse di cui preoccuparsi. «Il resto lo vedrete da voi, più tardi.»
«Non vedo l'ora.» ammisi, eccitata. Non capitava tutti i giorni di vedere arrivare uno studente da qualche altra scuola, chissà quante cose sapeva delle scuole che non erano la Alice. Io avevo avuto la possibilità di frequentare parte delle scuole elementari con gli altri bambini, ma non sapevo se le altre erano come la nostra o no. Sarebbe stata una buona occasione per fare domande.
«Siamo arrivati.» annunciò Hotaru, guardando fuori dalla finestra. Quando la imitai vidi una consistente folla di studenti di tutte le età. Erano venuti tutti per salutare il Preside delle Elementari. Non capitava spesso che un Preside partisse, quindi era comprensibile la confusione. Inoltre pensavo che non fossi l'unica che si sentiva in soggezione con lui nei paraggi: io ero piuttosto contenta che non avrei più avuto la possibilità di incontrarlo per caso nei corridoi, e forse anche altre persone la pensavano come me, o almeno lo speravo, anche solo per non sentirmi l'unica stupida che si sentiva gelare di fronte a un bambino. Gli uomini che ci avevano aperto le portiere poco prima lo fecero ancora, invitandoci a scendere dall'auto. Una volta a terra, presi il braccio di Hotaru per non perderla di vista, non volevo ritrovarmi da sola in mezzo a un mare di studenti.
«Cerchiamo i nostri compagni.» proposi, sorridendo. «Magari troviamo anche Ruka-pyon.» non ero ancora abituata a pensarli come una coppia, Ruka-pyon non sembrava esattamente il tipo per Hotaru, ma forse era questo che lo rendeva adatto a lei. Ma non ci avevo mai capito molto di affinità in una coppia, perciò non avevo mai esternato i miei pensieri, nemmeno con Natsume, anche perché a lui non piaceva parlare di queste cose: di solito alzava le sopracciglia e mi diceva che erano tutte sciocchezze che servivano alle persone che cercavano un qualche tipo di conferma sul rapporto di coppia. Quella volta, aveva concluso la discussione con: «Le percentuali alte di qualunque cosa non faranno durare di più o iniziare un bel niente.» mi chiesi se non avesse ragione. Però ricordavo di aver sentito anche Ruka dire qualcosa in proposito a test di compatibilità di coppia, ma non ne ero sicura.
«Ruka è laggiù.» disse lei, indicando proprio di fronte a noi. Ruka-pyon stava sbracciando per farsi notare col braccio sinistro, mentre il destro era tra le grinfie di Sumire. «E ha anche compagnia.» arricciò le labbra per un attimo, prima che ci incamminassimo. Immaginai che fosse la reazione più vistosa di gelosia che avrei mai potuto vederle avere.
«Siete arrivate!» Ruka-pyon sorrideva come un bambino, mentre muoveva un passo verso di noi. Hotaru non rispose al sorriso, si limitò a guardare in modo inespressivo Sumire, per poi tornare a fissare Ruka. Non so per quale motivo, ma il suo modo di fare mi mise i brividi.
«Il Preside è arrivato?» volle sapere la mia migliore amica. Ruka aggrottò la fronte, come se fosse stato preso alla sprovvista. Chissà se si aspettava un commento su Sumire. In effetti, anche io avevo pensato che Hotaru avrebbe detto qualcosa a lei, in tono tanto glaciale da farla spostare, come faceva con me quando non mi voleva tra i piedi. Rimasi un po' sorpresa.
«Ehm... no.» rispose lui, titubante. «O... almeno, io non l'ho visto.»
«Immagino.» commentò lei, spostando lo sguardo sulla folla di studenti davanti a noi. «Sarebbe impossibile accorgersi di qualcosa nelle tue condizioni.»
Ruka-pyon sembrò anche più confuso. «Cos...?» poi si girò verso Sumire e parve illuminarsi per la comprensione. «Non è come pensi!» si liberò dalla stretta della mia compagna di classe e mise bene in mostra le mani libere. «Te lo giuro, Hotaru, non è come pensi!»
Se avessi creduto che Hotaru potesse sorridere, avrei anche potuto giurare di averglielo visto fare. «Stavo parlando degli studenti. Non si vede niente.» rispose lei, e mi sembrò... divertita? Possibile? «Non l'avevi notato?»
«Cos...?» Ruka-pyon deglutì, e si raddrizzò. «Certo che l'avevo notato.» si inumidì le labbra con la lingua e proseguì. «Di cosa pensavi stessi parlando?»
Lei inarcò un sopracciglio, tirando su un angolo della bocca. «Non lo so proprio.» concluse, girandosi di nuovo verso gli studenti. Io passai lo sguardo prima all'uno e poi all'altra, senza capire il senso di ciò che si erano detti.
«Ma cosa dovremmo fare?» chiesi, allungandomi sulle punte per vedere se riuscivo a scorgere qualcosa di interessante o un cambiamento nei movimenti degli altri ragazzi. «Salutarlo mentre passa in macchina?»
«E come faccio a saperlo?» Hotaru si girò verso di me, indicando gli altri con la testa. «Anna, Nonoko e gli altri sono più avanti. Vuoi raggiungerli per sapere che fanno?»
«Magari.»
Io, Hotaru e Ruka-pyon ci dirigemmo dagli altri, notando che Sumire ci aveva preceduti. Le ragazze chiacchieravano a proposito del nuovo studente in arrivo, eccitate, mentre i ragazzi sbuffavano, chiedendosi che ci facevano lì. Koko era appoggiato contro uno degli alberi che segnavano il confine tra l'erba su cui ci trovavamo e la parte di terra battuta su cui, di solito, passavano le macchine vicino ai plessi delle scuole. «Mikan i tuoi pensieri sono così turbinanti che non riesco a sentire niente.» ammise lui, aprendo gli occhi. Io alzai le spalle, evitando di chiedere in che modo potessero sembrare turbinanti i miei pensieri. Forse era materia per lettori del pensiero.
«Mi dispiace.» dissi, non sapendo che altro fare. Lui rise.
«Lo sai? Ho incontrato Otonashi-san e mi ti stava cercando.» si stiracchiò, allontanando la schiena dal tronco dell'albero. Otonashi-san aveva frequentato con noi, per un periodo, le elementari: era la veggente dell'Accademia, ma nessuno sapeva mai se faceva sul serio o meno. «Secondo lei c'è un sacco di aura negativa intorno a te. Avrai degli incontri spiacevoli, molto presto.» la sua voce era tetra e l'atmosfera molto cupa. Deglutii, fissandolo agitata. Lui mi fissò e poi scoppiò a ridere come se non desiderasse di fare altro da secoli. «Le tue espressioni sono magnifiche!» si batté una mano su una coscia, mentre continuava a ridere. «Le predizioni di Otonashi-san non si avverano mai! Dovresti essere contenta, invece di fare quella faccia. Adesso sai per certo che non farai nessun incontro spiacevole. Sorridi.» distolse l'attenzione da me e fissò lo sguardo sul punto da cui sarebbe dovuta sbucare l'auto del Preside. «Ah, le ho anche letto un'altra parola nella mente, mentre pensava a te.»
«Sarebbe?» mi feci curiosa, anche se non sapevo se sarebbe stata una buona predizione oppure no.
«Foto.» rispose lui, alzando le spalle. Io, però, non riuscii a capire: non aveva nessun senso per me. «Te l'ho detto che le sue predizioni sono, per la maggior parte delle volte, inutili, o senza senso.» mi rivolse un sorriso entusiasta. «Sta arrivando finalmente.» accennò con la testa davanti a sé e vidi un'auto nera, quella del Preside, con ogni probabilità. «Mi ero rotto di aspettare per sentirgli dire quanto gli dispiace lasciarci.»
«Farà un discorso?» in effetti, poteva spiegare il motivo per cui tutta quella gente si trovava lì.
«Fare discorsi è roba da presidi.» lui scrollò le spalle, come se fosse del tutto ovvio.
«Capisco.» solo allora notai una specie di palchetto che doveva essere stato messo in piedi per l'occasione.
«Non è una gran bella notizia,» commentò Ruka, stiracchiandosi. «il Preside delle Elementari è un tipo piuttosto prolisso.»
«Già...» mi ricordai che Natsume lo ripeteva sempre ogni volta che era convocato da lui. Mi diceva sempre di aspettarlo per cena, se veniva chiamato di mattina. Esagerava di proposito, ma ci metteva sempre un po' a tornare.
Vedemmo il Preside scendere dalla macchina per farsi strada tra gli studenti e mettersi davanti al microfono. Qualche mio compagno di classe si stiracchiò, mentre Hotaru tirava fuori un blocchetto di appunti pieno di calcoli e disegni strani. Poi si rivolse a Ruka. «Se dice qualcosa di interessante, dopo, me la riassumerai.» lui rispose con un cenno della testa.
«Buonasera ragazzi,» incominciò lui, mentre la sua voce si espandeva per il cortile. «mi dispiace di avervi fatto venire qui quasi all'ora di cena. Prometto di essere breve.» in effetti sembrava avere una certa fretta, probabilmente era in ritardo e l'aereo sarebbe partito presto. Non avevo idea di come funzionassero gli aeroporti nel dettaglio. «Volevo comunicarvi che, in mia assenza, il professore Rei Serio farà le mie veci, e che di qualunque cosa abbiate bisogno lui sarà disponibile a risolvere i vostri problemi, proprio come ho sempre cercato di fare io.» sorrise spostando lo sguardo su di noi. «Inoltre volevo augurare un buon diploma ai ragazzi dell'ultimo anno, dato che non credo che potrò partecipare alla cerimonia in vostro onore. Spero anche che tutti voi passiate un anno scolastico degno di essere ricordato.» sorrise di nuovo, e, per un attimo, mi parve che stesse guardando proprio me. Comunque non potevo dirlo con certezza con tutta quella gente. Il Preside guardò il proprio orologio, sollevando entrambe le sopracciglia. «Purtroppo è tardi, e ho ancora dei dettagli da definire prima della partenza, e non voglio trattenervi oltre dal recarvi a cena. Volevo salutarvi e augurarvi un buon proseguimento dell'anno scolastico. Arrivederci.»
«Arrivederci!» gridammo tutti. Hotaru ripose il suo blocchetto nella borsa che si era portata dietro, senza dire una parola. Ruka-pyon la prese per mano e le sorrise. «Niente degno di nota.»
«Perfetto.» rispose lei, cominciando a incamminarsi verso la mensa. Si girò a guardarmi. «Andiamo, non hai fame?»
Ora che ci pensavo, non mangiavo da un bel po', ero svenuta quella mattina nell'ora di matematica e avevo anche saltato l'ora di pranzo. Il mio stomaco si stava lamentando un bel po'. «In effetti sì.» ma non avevo neanche avuto il tempo di pensarci, che quei due erano a quasi mezzo metro da me. «Hotaru!» la chiamai, sperando che mi aspettassero.

«Chi è Rei Serio?» domandò Koko, mentre stavamo mangiando. Ricordavo di averlo sentito nominare da qualche parte, mi girai verso Hotaru, ma anche lei stava guardando Koko.
«Mi sembra che una volta sia venuto a fare supplenza da noi, alle elementari.» ridacchiò Kitsuneme, mentre masticava. «Narumi-sensei se la svignava spesso!»
«Io non l'ho mai visto in giro.» commentò Sumire, gettando un'occhiata al tavolo dei professori. «Non dev'essere un'insegnante regolare.»
«Certo che non lo è.» confermò Ruka, sospirando. «È l'insegnante di una Classe di Abilità piuttosto impopolare.» lo guardai, confusa.
«Abilità Pericolose.» mi sussurrò Hotaru all'orecchio. Mi girai, stupita, nella direzione dei nostri insegnanti: non avevo mai visto quell'uomo senza la maschera, non avrei mai potuto riconoscerlo. Quel tipo, quindi, era quello che Natsume chiamava Persona. Mi chiesi che motivo avesse di usare quel nome quando ne aveva già uno, che suonava piuttosto normale. Comunque, anche gli altri sembravano aver capito. Ricordavo che Natsume parlava di lui come un sottoposto del Preside quasi senza voce in capitolo che dipendeva direttamente da ciò che lui diceva. Chissà perché aveva fatto in modo che fosse lui a sostituirlo. Hotaru mi avrebbe sicuramente dato una risposta, perciò le esposi i miei pensieri.
«Certo che tu sei proprio scema.» fu, però, la sua inaspettata risposta. «L'ha lasciato qui proprio per questo. Chi lasceresti per controllare i tuoi affari quando sei via? Una persona che ha capacità di iniziativa o qualcuno che non si lava nemmeno i denti se non sei tu a dirglielo?»
«Credo di aver capito.» assicurai, mentre tornavo a rivolgere l'attenzione al mio piatto. «Ma perché se n'è andato se non vuole che qualcuno si immischi nei suoi affari?»
«Questo è strano.» concordò lei, e fui felice e sorpresa di non aver tirato fuori un argomento che lei considerava stupido o di poca importanza. «Probabilmente non ha potuto farne a meno. Chissà che sta succedendo a Londra.»
Ruka si avvicinò ad Hotaru e me, e parlò a bassa voce. «Non abbiamo modo di scoprirlo?» chiese, e sembrava preoccupato. «Non so a voi, ragazze, ma a me tutta questa storia non convince per niente. Prima Natsume che se ne va chissà dove, tutti questi bambini che arrivano da tutte le parti del Giappone, e adesso anche il Preside leva le tende. Io penso che qualunque cosa abbia da fare a Londra, sia collegata con Natsume e con i bambini... ci sono troppe coincidenze.»
«È possibile.» concesse Hotaru, pensierosa. «Ma non saltare a conclusioni affrettate. Se c'è un modo per scoprire che combina a Londra, lo troverò. E se è collegato col resto, lo scopriremo.»
«Ci fa molto investigatori, non trovi, Hotaru?» chiesi. Lei scrollò le spalle, come se la cosa non le interessasse per niente.
«Fossi in te,» mi disse lei, poi. «non spererei di trovare qualche risultato, il Preside è troppo furbo per farsi mettere nel sacco da tre studenti, per quanto geniali possano essere.» avevo paura che avesse ragione.
«Ehi, Mikan!» mi chiamò Anna, che si trovava due posti a sinistra davanti a me. «Stasera, io e Nonoko pensavamo di passare un po' di tempo nel dormitorio dei ragazzi, per vedere che tipo è questo nuovo studente,» guardò l'amica con la coda dell'occhio e lei annuì. «forse verranno anche Sumire e Wakako, ma Hotaru mi ha già detto di no, lei aspetta domattina. Noi non resistiamo alla curiosità! Tu che fai?» era un po' di tempo che non stavamo un po' tutti insieme, e non avevo voglia di tornare in camera mia sapendo che sarei stata sola.
«Vengo con voi.» risposi. Lei sorrise, emettendo un urletto di gioia.
«Fantastico!» strillò poi, attirando l'attenzione di metà mensa su di sé. Arrossì. Parlò a voce più bassa, sporgendosi verso di me. «Andiamo subito dopo cena. Hanno una grande sala d'aspetto al primo piano, e questo ragazzo nuovo dovrà passare per forza di lì.»
«Gli tendiamo un agguato.» specificò Kitsuneme, ghignando. «Il primo regalo dai suoi nuovi compagni di classe.»
«Non sarà un po' stressato dalla cosa?» chiesi, ricordandomi come ero stata accolta nella classe, diversi anni prima. «Forse sarà stanco.»
«Sì, beh... sai, com'è...» cercò di spiegarmi lui, gesticolando. «È il rito di iniziazione. Ognuno dei nuovi ci deve passare. L'hai fatto anche tu, ricordi?» deglutii al ricordo di cos'avevo passato nella foresta e di Mr. Bear. Lo ritenevo spaventoso quasi come JinJin, e lui era in assoluto la persona più spaventosa del mondo: su questo non avevo dubbi. «Questo sarà il suo.»
«E in cosa consisterà?» chiese Nonoko, interessata.
«Gli faremo prendere un bello spavento!»
Lei, però, sembrò piuttosto delusa. «Tutto qui?»
«Beh, che pretendi? Arriva stasera non possiamo organizzare qualcosa di più complicato! E poi abbiamo le illusioni di Yuu, sarà spaventato a morte, te lo prometto.»
Sentii Nonoko borbottare sul fatto che era proprio quello che la preoccupava. Quando ci alzammo mi presero da parte e mi trascinarono un po' lontano dai ragazzi. «Che ne pensate?» chiese lei, dubbiosa. «In questo modo non ci presenteremo certo nel migliore dei modi. Saremo solo gli stupidi che hanno fatto paura a quello nuovo quando stava morendo di sonno.»
«Penso che Yuu si rifiuterà.» le feci notare io: in fondo, Yuu non avrebbe mai potuto fare paura a qualcuno di spontanea volontà. Non era il tipo.
«Penso che abbiano già escogitato un modo per convincerlo.» mi contraddisse Anna. «Erano piuttosto sicuri. Cosa pensate che ne verrà fuori?»
Essere spaventosi era il classico modo di presentarsi, o almeno così mi avevano spiegato quando ero diventata parte integrante della classe, dopo varie peripezie. «Non lo so.» ammisi, sospirando. «Avete qualche idea?»
«Non complottate contro di noi.» ci rimbeccò Koko, sbucando dietro la spalla di Nonoko. «Abbiamo un piano geniale che non abbiamo il tempo di spiegare nei dettagli.»
«Parla.» lo incitò invece lei, incrociando le braccia al petto.
«La prima parte vi riguarda, ma... promettete di non rovinare tutto.» si intromise Kitsuneme, facendo l'occhiolino ad Anna. «Sarà uno scherzo coi fiocchi.» poi lanciò una strana occhiata al suo migliore amico.
«Va bene.» cedette Anna, con lo sguardo basso. «Cosa dobbiamo fare?»
«Solo dirci quando arriverà.» spiegò Koko, con semplicità. «Tu» indicò Nonoko «e Mikan sarete le nostre spie. Una di voi torna indietro, mentre l'altra resta a sorvegliarlo, magari lo tiene anche occupato per un po', d'accordo?» io e la mia amica annuimmo. «Così, magari, abbiamo il tempo di perfezionare i dettagli. Da te Anna abbiamo bisogno dei tuoi dolci, o almeno di spiegare a Yuu come dovrebbe sembrare in modo che sembri vero. Partiamo.»
«Mi domando cosa abbiano in mente.» sospirò Nonoko, mettendomi una mano sulla spalla, mentre loro si allontanavano, e trascinandomi dietro un cespuglio. «Però se sarà divertente e ne varrà la pena, allora non dovremo picchiarli.» mi fece l'occhiolino e io capii che scherzava.
«Cosa facciamo, quando arriva?» in effetti quella parte del piano era piuttosto nebulosa. Lei alzò le spalle, tranquilla.
«Io torno indietro per avvisarli, e tu ti inventi qualcosa per trattenerlo finché non torno e ti dico che è tutto okay.» spiegò lei, con un dito rivolto verso di me. «Così sarà tutto perfetto.»
Io deglutii: non ero un buon diversivo. «Non possiamo fare il contrario?» quasi temevo la risposta.
«Tu sei brava a parlare con le persone.» mi disse lei, con convinzione. «Io non ne sarei capace!»
Sbattei le palpebre: brava a parlare con le persone? «Lo pensi davvero?»
«Certo.» assicurò lei, sorridendomi. Poi indicò spasmodicamente un punto alle mie spalle, muovendo il dito su e giù a una velocità impressionante. «Eccolo, lì! È un ragazzo! Dev'essere lui!»
Mi accorsi di avere la bocca secca: il piano dipendeva unicamente da me. «Sei sicura?» sperai che dicesse di no, ma lei scappò via, in direzione del dormitorio maschile. Era inevitabilmente il mio turno di rendermi utile per la classe. Mi tirai su di scatto, in cerca di forza di volontà, e urlai quando mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo. «Sei... sei il nuovo studente?» chiesi, dopo averlo sicuramente spaventato a morte.
Lui si schiarì la gola. «Mi hai fatto prendere un colpo.» disse lui, appoggiandosi una mano sul petto. «Sono io, tu chi sei?»
«Sakura Mikan.» mi presentai, tendendogli la mano. Lui la fissò, sospettoso.
«Sei il comitato di accoglienza, Sakura Mikan?» chiese lui. Aveva una voce che metteva i brividi, non so se era per via del buio, o perché era proprio lui che aveva una voce terrorizzante.
«Beh...» cercai di trovare una buona risposta. Meglio la verità. «più o meno... come ti chiami?»
«Tanaka Yahiro.» rispose, ma non mi strinse la mano. «Posso sapere perché mi aspettavi qui al buio, Sakura Mikan?»
«Non c'è bisogno che mi chiami col mio nome per intero.» gli assicurai io, non era necessario essere tanto educati. «Chiamami pure Mikan. Ti aspettavo qui perché...» sospirai, anche se sarei sembrata una specie di stalker. «non vedevo l'ora di conoscerti!»
Lui sembrò sorpreso. «Perché?»
«Beh, sei il primo studente adulto che si trasferisce da quando sono qui. Tutti quanti sono ansiosi di conoscerti, e hanno mandato me per vedere quando saresti arrivato.»
Yahiro sembrò rilassarsi un po'. «D'accordo...» emise un sospiro quasi esasperato. «Portami da loro, allora... solo... mi aiuteresti con i bagagli?»
Solo allora vidi Nonoko arrivare di corsa. «Siamo pr... ciao!» rivolse al nuovo arrivato un sorriso raggiante e gli porse la mano. Lui gliela strinse, spingendomi a chiedermi per quale motivo aveva rifiutato di farlo con me. «Sono Ogasawara Nonoko, piacere di conoscerti.» anche lui si presentò con un sorriso. «Ti stanno aspettando tutti, vieni, coraggio!» gli prese una borsa dalla spalla, lanciandomi un'occhiata nel frattempo: doveva essere tutto quanto pronto. Mi chiesi se la festa di benvenuto avrebbe fatto paura anche a me. In un certo senso, temevo proprio che fosse così.

*****

Rieccomi dopo un tempo relativamente breve XD. L'orario è barbaro, rispetto al solito, ma non ho potuto fare diversamente XD
Oggi sono poco loquace, quindi grazie per aver letto :)

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. AkA GirL
2. Anime xx
3. Annie Roxane Jackson
4. bennycullen
5. Butterfly_Dream
6. Chanel_Blue_
7. Chocola98
8. DaMnEdQuEeN
9. dany94
10. DarkAngel_oF_DarkNess
11. deliventor0989
12. DeniCChan_
13. EkoChan
14. Enjio
15. fantasmina97
16. fedee_s2
17. franki
18. Hester988
19. Ila_Cun
20. jess chan
21. ladycolette
22. lauretta 96
23. lily luna 96
24. Luine
25. MangaKa98
26. Manila
27. marzy93
28. micia95
29. mikamey
30. MissTata55
31. Miyo_Chan
32. MooN_LiE_
33. Natsumikan
34. OoO Reiko OoO
35. rinxse
36. Rubis HD
37. sakurina_the_best
38. SaMiNa
39. Scarlett96
40. Seleliu
41. serena4
42. SEXY__CHiC
43. soga6
44. Spuffy93
45. SunshineInTheDarkness
46. Tessa_94
47. Thedarkgirl90
48. Timy21
49. twilighttina
50. valuzza92
51. verdiana500
52. Veronica91
53. XIUKY88
54. Yumi_chan
55. _evy89_
56. _Miruku_

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. AkA GirL
2. aliasNLH
3. Chanel_Blue_
4. Erica97
5. fantasmina97
6. franki
7. laurA_
8. liyen
9. MangaKa98
10. mechy
11. MinexX
12. MissTata55
13. sakura2611
14. SparksFly
15. supermimi213
16. Thedarkgirl90

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. AkA GirL
2. angteen
3. Caterina96
4. Chanel_Blue_
5. ChibiRoby
6. C_Milo
7. DeniCChan_
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9. EdelSky
10. Enjio
11. fantasmina97
12. FM107 3 RADIOCAOS
13. franki
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17. Hester988
18. kariri97
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21. lily luna 96
22. Lizzie23
23. MangaKa98
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27. micia95
28. Miki89
29. MinexX
30. miricullen
31. MissTata55
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34. Nala_95
35. naruhina 7
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39. sailorm
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41. sara_sessho
42. serena4
43. Spuffy93
44. SunshineInTheDarkness
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47. Thedarkgirl90
48. walpurgis
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52. _evy89_
53. _Haruka_
54. __Artemide__

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Capitolo 22
*** Scoperto ***


Capitolo 22 – Scoperto
(Natsume)

Aprii la porta e buttai la borsa sul pavimento. Ero stanco morto. Avevamo perfezionato la prima parte del piano, anche se ancora non avevamo una missione dell'Accademia a cui agganciarlo per metterlo in moto. Tutti si aspettavano qualcosa da me che non ero sicuro di poter garantire. Non sapevo in che modo potessi aiutarli senza mettere in pericolo Mikan. Non che non mi dispiacesse per la loro collega, con ogni probabilità era una gran brava persona, ma non sapevo se potevo mettere sullo stesso piano la vita di una sconosciuta con quella di Mikan.
«Ehi, sei tornato.» era uno dei miei coinquilini, in quel momento non mi ricordavo precisamente quale dei tre. Avrebbe potuto essere Ryoutarou, ma non ne ero certo, ancora non avevo associato alle loro facce il loro nome, e sospettavo che anche loro non l'avessero fatto con me. Anche se ricordarsi una singola persona nuova dovrebbe essere meno complicato che ricordarsene tre, quelli non sembravano esattamente persone a posto, almeno cerebralmente parlando. «Sai che praticamente dormi e basta a casa?»
«Ma non mi dire...» borbottai, trascinando la borsa con i piedi. Mi avevano dato delle planimetrie dell'Accademia, chiedendomi di studiarle per sapere se ci sarebbero servite. Almeno queste erano dei piani sotto il livello della strada, un po' più utili del piano terra. Io sapevo più o meno dove si trovavano le entrate per la prigione, quindi trovare la collega non sarebbe stato un grosso problema, ciò che ci importava era conoscere tutte le possibili vie di fuga.
«Lo sai, vero, che... in questo modo ti sei evitato un po' di responsabilità.» mi chiesi in che modo avrei potuto evitarmele, con tutto il lavoro che avevo. Erano tutte responsabilità, e lui mi stava dicendo che le stavo evitando. Lo guardai, in attesa che continuasse. «Sai, i turni per pulire, per cucinare. Il minimo per farti perdonare sarebbe pensare alla cena.»
«E come pensi che possa fare?» non seppi se suonai sarcastico come desideravo. «Non paghiamo il gas, è difficile cucinare qualcosa senza quello. A meno che tu non abbia scoperto come cuocere qualcosa sul ghiaccio. Saresti il primo, un sacco di soldi.»
«Davvero si può cucinare sul ghiaccio?» domandò lui, sinceramente sorpreso. Io evitai di rispondere, e mi limitai a massaggiarmi le tempie con l'indice e il pollice della mano destra e mi imposi di calmarmi, forse non potevo cucinare la cena, ma in un impeto di rabbia sarebbe potuto succedere che fossero loro a finire cucinati inspiegabilmente.
«Dov'è la signora di sotto?» sapevo che era lei che ci sfamava. «Come mai non vi ha portato la cena?»
«Se n'è andata da suo figlio per un po'.» disse lui, scrollando le spalle. «Dice che ci sono infiltrazioni d'acqua dal soffitto. Mi chiedo come mai.»
«Già...» commentai io, con ironia. «c'è davvero da chiederselo!» sospirai, volendo proprio sapere come avevo fatto a ritrovarmi in mezzo a dei pazzi simili, e come avevo potuto sopportarli per tutto quel tempo. Poi mi ricordai dei vecchi con l'altarino per il figlio, e decisi di ritenermi fortunato. Ma solo un po'.
«Vero?» disse lui, grattandosi la testa. «Eichi dice che è colpa della pioggia, ma... non piove da un po'.» lui si portò un dito alla tempia e lo picchiettò contro di essa. «Ma secondo me, detto tra noi, la vecchia è un po' fuori di testa.»
«Senz'altro.» fu tutto ciò che risposi, senza particolare enfasi. Se non capivano da soli che era colpa loro, non c'era modo in cui potessi anche solo pensare di convincerli. Perciò, decisi di lasciar perdere. «Quindi siamo senza gas, cioè senza fuoco, quindi senza possibilità di cucinare qualcosa. Come pensate che potrei procurarvi la cena?»
«Beh...» quello che credevo fosse Masao sbucò da dietro il divano. Evitai di chiedergli che stesse facendo, forse era meglio che non lo sapessi: li consideravo abbastanza strani senza conoscere ogni loro mossa, e non avevo bisogno di altri particolari da aggiungere all'idea che mi ero fatto. «pensavamo che, siccome hai un lavoro, potevi andare a comprare qualcosa di pronto per tutti.»
«Giusto. Io ho un lavoro.» mi morsi il labbro superiore, per non sputare fuoco. Non era mai successo, ma non potevo escluderlo. «e voi?»
«Noi siamo studenti.» spiegò lui, come se questo avesse dovuto fugare tutti i dubbi. «Non possiamo spendere troppi soldi, i nostri genitori potrebbero anche decidere di tagliarci i fondi.»
«Come no.» avevano soldi per comprare canotti – e ogni genere di altro bizzarro attrezzo – e bucare palloni, ma non per comprare qualcosa da mangiare. Comunque non commentai, ero piuttosto stanco e non avevo voglia di mettermi a discutere con quei tre, soprattutto perché non sapevo dove saremmo potuti finire, magari in ergastolo in Brasile. Meglio lasciar perdere. «Quindi... dovrei uscire e andare a comprare qualcosa.» non era una prospettiva allettante, anche perché sospettavo che comprare da mangiare per quattro persone non fosse economico in nessun caso.
Loro tre annuirono entusiasti. «Vedo che hai capito, Soichiro.» e, detto questo, Masao mi diede una pacca sulla spalla. «Ci piacerebbe mangiare cinese.»
«Pure.» borbottai, cacciando la sua mano dalla mia spalla. Decisi di contenermi ripensando che un triplice omicidio non lascia scampo. «Cinese, d'accordo.»
«Perfetto. Porzioni doppie, per favore. Siamo affamati.» rincarò la dose il suo amico Eichi, strofinandosi la pancia per sottolineare il concetto. «E portaci tanti nachos.»
Quanto volevano mandarmi in giro? «Ma non avete detto cinese?» o cinese, o nachos, pensai.
«Perché,» intervenne Ryoutarou, sfregandosi il mento con aria pensierosa. «i nachos non sono cibo cinese?»
Tirai un lungo sospiro, massaggiandomi la solita tempia. «Sentite, voi tre state zitti. Io vi porto da mangiare.» era meglio fare così, prima che avanzassero proposte assurde, magari cibo del Burundi. E poi, l'altro lato positivo era che sarebbero stati occupati a mangiare piuttosto che dire altre scemenze.
Loro tre si sono guardati, in un tacito consulto. Poi Ryoutarou si è girato verso di me, e mi ha dato un'altra pacca sulla spalla. «Va bene, amico.» disse, con una convinzione nella voce del tutto fuori luogo. «Lasciamo tutto nelle tue mani, da te dipende la nostra sopravvivenza.»
«Sì... certo.» ho commentato, con un sospiro. Desideroso di non continuare quella conversazione – o meglio, qualsiasi tipo di conversazione con quei tre – sono uscito di casa in cerca del più economico take away di cibo cinese. Se non ricordavo male, ce n'era uno in fondo alla strada, a circa dieci passi dalla porta della vecchietta che abitava sotto di noi. Non ci avrei messo troppo tempo, o, almeno, meno di quanto ci avrebbero messo loro a cambiare idea. Comunque, se l'avessero fatto, avevo piani per ficcare loro il cibo in bocca con un imbuto, anche se la visione del brutto spettacolo minacciava di togliermi l'appetito per mesi. Pensai che il gioco valesse comunque la candela: la soddisfazione sarebbe stata non indifferente.

Quando entrai dalla porta, il proprietario, un tizio di circa settant'anni, socchiuse gli occhi, probabilmente per riuscire a mettermi decentemente a fuoco e mi squadrò da capo a piedi, come se stesse cercando di capire se fossi un ladro o meno. Avrei voluto avere uno specchio per sapere che razza di aspetto avessi a quell'ora, senza neanche aver avuto la possibilità di cambiarmi o passare dal bagno. «Sono venuto ad ordinare qualcosa.» pensai di dire, prima che si facesse qualche strana idea.
Lui grugnì e mi passò un foglietto, che supposi fosse una specie di menu. Scelsi involtini primavera, nuvole di drago, riso alla cantonese e qualche altra cosa, quattro porzioni, nessuna doppia. Mi sedetti ad aspettare su uno sgabello dal cuscino rosso, mentre guardavo i suoi dipendenti correre da una parte all'altra del piccolo locale con i muri di legno. Sbuffai, prendendo un giornale: non c'era davvero niente di interessante. Erano riviste di attualità con delle rubriche assurde, ad esempio “cosa mangiano i giovani d'oggi?”, oppure “cosa guardano di più in televisione i nostri ragazzi?”, cosa c'era di tanto interessante? Lo chiusi e lo buttai in un angolo, su uno dei minuscoli tavolini. Alzai lo sguardo solo perché mi sentivo osservato: la moglie del vecchietto che aveva preso le mie ordinazioni mi stava guardando storto. Mi chiesi che volesse: era solo uno stupido giornale.
Anche lei mi squadrò con gli occhi socchiusi, sembrava che volesse leggermi nel pensiero. «Tu sei combattuto, ragazzo.»
Sollevai entrambe le sopracciglia, scettico. Che intenzioni aveva? Leggermi il futuro sui fondi di caffè, forse? «Ma non mi dire...» soffiai, tra i denti. Era solo tutta la settimana che cercavo di far conciliare il mio lavoro, quello vero, con quello che dovevo fare per l'Accademia tentando di tenere fuori bambini innocenti e cercare di tenere Mikan lontana dal Preside delle Elementari allo stesso tempo. Un gioco da ragazzi, insomma. Non ero stressato o chissà che, era solo un'impressione!
«Vuoi un biscotto della fortuna, caro?» mi domandò, porgendomene uno. Avevo sentito dire che dentro c'erano dei foglietti con sopra scritto delle scemenze, ma non ricordavo bene a che servissero.
«Se lo tenga pure,» risposi, prendendo la busta che suo marito mi stava porgendo e appoggiando i soldi sul bancone velocemente. «arrivederci.»
Avevo forse la faccia di quello che si lascia abbindolare da scemenze come “biscotti della fortuna”? Non che ne avessi da vendere, certamente, ma credevano davvero che la situazione si sarebbe ribaltata mangiando uno stupido biscotto e leggendo uno stupido messaggio? Ero troppo cresciuto per credere in certe cose, e in ogni caso non ci credevo nemmeno da bambino. Se fosse bastato uno stupido biscotto per far togliere di torno il Preside e far diventare l'Accademia un buon posto per gli Alice ne avrei mangiati almeno dieci. Non era così, Mikan era ancora lì dentro, e io non sapevo niente riguardo le sue condizioni. Naru non era stato per niente chiaro, e io iniziavo a preoccuparmi, soprattutto perché nella decina d'anni che avevo passato in quella scuola, avevo imparato che non ci si può mai fidare di quel nanetto e che Mikan combinava guai in abbondanza già da sola; in più, il non sapere che diamine stesse succedendo dietro quelle mura mi dava sui nervi. Come se non fosse bastato, anche i miei 'colleghi' facevano i misteriosi, volevano che io li facessi entrare lì dentro, ma non erano disposti a condividere più di tante informazioni. Insomma, prima mi avevano preso con l'unica garanzia del nome e poi finivano col dire molto meno di quello che sapevano. I conti non tornavano per niente.
I miei pensieri furono interrotti a circa tre passi dalle scale che mi avrebbero portato nel regno dell'acqua. Il mio istinto mi diceva che c'era qualcosa che non andava e lo notai quasi subito: la porta della casa della vecchietta che abitava sotto di noi era socchiusa. Che l'Accademia non avesse voluto aspettare per ricevere informazioni e avesse deciso che era ora di venirsele a prendere? Ma come avevano scoperto dove vivevo? Quei tre idioti non avevano nemmeno un contratto regolare, non c'era nessuna traccia – legale, quantomeno – del mio soggiorno in quel palazzo. Piuttosto strano, mi dissi. Le ipotesi erano molteplici, e l'unico modo per verificarne una era entrare e controllare. Se fosse stato un ladro, quantomeno avrei sventato una rapina. La mia buona azione del giorno.
Posai la busta di cibo cinese su uno degli scalini e, cercando di fare meno rumore possibile, spinsi la porta della casa con un dito. Le missioni mi avevano insegnato a essere silenzioso come un gatto. Solo per un attimo mi soffermai sull'ironia della mia ultima affermazione. La porta dava su una saletta, le persiane erano chiuse e non si vedeva granché, ma non sembrava esserci nessuno. Proseguii, e mentre attraversavo il corridoio che separava l'entrata dal resto dell'abitazione, sentii uno strano rumore, come di qualcosa di duro che cade sul pavimento. Vidi la porta della cucina semiaperta e decisi di dare un'occhiata.
Fu quando sentii le mie mani prudere in modo incontrollabile, che mi domandai in che modo si potessero sopprimere istinti omicidi tanto forti, o se fosse un crimine semplicemente il pensare di farlo. Avrei liberato il mondo da delle aberrazioni inutili.
«Che cazzo state facendo?» sbottai, aprendo la porta di scatto. Loro si girarono, improvvisamente impauriti. Ryoutarou si mise una mano sul cuore e prese un bel respiro.
«Caspita, amico!» disse, appoggiandosi al lavello. «Ci hai fatto prendere un colpo, pensavamo fossi un ladro!»
«Un ladro.» ripetei, trattenendomi dal saltargli al collo per strozzarlo. «Che stavate facendo?»
«Beh...» fu Masao a rispondermi. «sai com'è... avevamo fame e tu non tornavi più, quindi... abbiamo pensato che alla signora non sarebbe dispiaciuto se usavamo i suoi fornelli. Lo sai che non...»
«Sì lo so.» lo interruppi, per non sentirgli dire di nuovo il motivo per cui non pagavano il gas. Li avrei ammazzati sul serio. «Fatemi capire bene. Io sono stato via dieci minuti scarsi, ho comprato cibo per tutti coi miei soldi, e adesso vi trovo che frugate nella dispensa di una vecchietta e usate i suoi fornelli e...»
«E cosa c'è che non va?» proseguì Masao. Eichi era vicino a lui che si ingozzava di merendine, probabilmente destinate ai nipoti di quella povera donna. «Non essere esagerato.»
«Sarò sincero: non so se chiamare la polizia e farvi rinchiudere in prigione, o uno psichiatra e farvi rinchiudere in un ospedale in isolamento.»
Ryoutarou ci mise una mano sulla spalla, e diede una leggera pacca a quella di Masao. «Deponete le asce, compagni.» annuì con fare solenne. «Hai detto di aver portato del cibo, amico? Bene, perché in questa casa ci sono solo cibi precotti. E lo sai che noi mangiamo sano.»
«Quale parte di... pane e cipolle crude, completamente scondito è sana?» domandai, senza però ricevere risposta. Si erano ormai avviati tutti verso il piano di sopra. Sospirai e li seguii.

«Ma... ma come?» era la voce delusa di Eichi, che aveva appena aperto la busta che nessuno di loro si era degnato di raccogliere dalle scale mentre passava. «Niente doppie porzioni?»
«No.» ribattei, sedendomi. «Niente doppie porzioni.»
«Accidenti, Kyou, sei davvero come i miei genitori! Sempre che cerchi di responsabilizzarmi...» ribatté lui, sedendosi. «Cos'è questa mania che avete tutti?»
«Guarda che non si chiama in quel modo!» lo interruppe Ryoutarou, puntandogli contro un indice, con fare saputo. «Ma Naruhiko.»
«Ma...» stavolta fu Masao a parlare. «ma siete sicuri? Per me era Ryozo.»
«Non può essere Ryozo! E nemmeno l'altro!» riprese la parola Eichi. «Gli ho visto un maglione, mentre curiosavo tra la sua roba.» inarcai un sopracciglio a quell'affermazione, ma non dissi una parola, mentre mangiavo la mia parte di involtini. «E c'è una visibilissima “K” stampata sopra.» io l'avevo sempre detto che sembrava una “K”, anche se Mikan non mi aveva mai creduto. Decisi non solo di trovare un posto sicuro per le mie cose – in modo che quegli invasati non ci potessero mettere le mani quando non c'ero –, ma anche di ottenere qualche informazione in più su di lei. Il problema era come. Non potevo elaborare un piano decente con quei tre che ancora discutevano sul mio nome.
«Allora quale sarà il suo nome?» Ryoutarou si mise una mano sotto al mento, guardando il soffitto, concentrato. «Koetsu!»
«Kokushi!»
«Kaname!»
«No, Kobo!»
«Natsume.» risposi, gelandoli. Mi alzai, per buttare i cartoni vuoti della mia cena. «Se proprio non ve lo ricordate, evitate di chiamarmi. Anzi, evitatemi e basta.» loro mi guardarono straniti per un po', fino a che non mi girai per andarmene. Non appena entrai nel corridoio che separava la sala dalle camere, però, ripresero a parlare.
«Però...» commentò Ryotarou. «che caratteraccio...»
«Eppure sembrava un tipo così simpatico...» fu la risposta di Eichi, col tono di qualcuno che ha visto tutte le sue speranze deluse.
Chiusi la porta della stanza alle mie spalle e gettai un'occhiata alla borsa: era sfatta, ma era logico supporlo, visto che quei tre ci avevano curiosato dentro. Sbuffai e decisi di tirare fuori le mie cose, tanto era abbastanza chiaro che non sarebbero state al sicuro nemmeno con una tagliola. Il mio maglione con la “K” era appallottolato vicino al letto; lo scossi e lo posai sullo schienale della sedia, tanto non mi sarebbe mai stato, a meno che non fossi tornato alla mia statura da dodicenne. Scossi la testa, posando uno dei portafotografie che la sua amica Imai aveva regalato a Mikan per il compleanno, e infilai nei cassetti il resto dei vestiti. Solo dopo notai che c'erano un sacco di foto nuove: erano quasi tutte buie, ma sembrava che i miei vecchi compagni di classe se la stessero spassando ad una specie di festa; in una più luminosa sembrava che fosse appena scoppiato qualcosa e mi chiesi che diavolo stessero combinando quei pazzi. La cosa positiva era che, se Mikan era impegnata a fare delle foto, non si trovava in mezzo a nessun trambusto.
Mi sedetti sul letto continuando a guardare le foto, ma non si vedeva davvero niente, era come aver immortalato il cielo di notte. Niente. Sembravano più gli scatti di una scimmia ubriaca che non sapeva come funziona una macchina fotografica e stava – inutilmente – tentando di scoprirlo.
Nonostante fosse ovvio che era opera di Mikan, dovevo assolutamente sapere che stava succedendo. Avevo bisogno di qualche informazione in più. Posai il portafoto sul comodino e incrociai le braccia al petto, appoggiandomi alla testiera del letto con la schiena. Era chiaro che se avessi mandato informazioni tramite quell'affare che mi avevano dato il Preside e Persona per comunicare con loro, non avrei mai saputo niente, perciò era meglio seguire il consiglio che il Preside delle Superiori mi aveva dato il giorno in cui gli avevo portato la mia richiesta per diplomarmi in anticipo: «Qualunque stupidaggine la gente ti obblighi a fare, con qualunque mezzo, ricordati che c'è sempre una scappatoia. Trovala, e fai ciò che vuoi fare.»
La scappatoia era semplice: in un incontro faccia a faccia avrei potuto fare qualche domanda. Inoltre, era più facile ottenere dei file cartacei che digitali. Consegnarli a mano era più rischioso, ma non avevo molta scelta. La cosa difficile era trovare delle informazioni inutili da mandare loro, dato che non avevo nessuna intenzione di trasferire qualcosa che loro potessero usare per i loro scopi. Sarebbe stato piuttosto complicato, dato che non avevo idea di quali fossero.

«Che ci fai qui?» mi domandò Mitsuki, non appena sbucai fuori dall'ascensore, quasi sapesse che stavo arrivando. «Non è il tuo giorno libero?»
«Sì,» risposi, buttandomi su quella che, ormai, consideravo la mia sedia. «immaginavo solo che avreste voluto che continuassi a lavorare su quello.» indicai con un cenno della testa le planimetrie della scuola, che erano arrotolate in un angolo.
«Non ce n'è bisogno.» mi disse Ryu, dandomi una pacca sulla spalla. Doveva essere arrivato dopo di me. «Anzi, è meglio se stiamo fermi per un po'.»
«Come mai?» chiesi, confuso. Prima mi mettevano tutta quella fretta, e poi... niente? «Che è successo?»
«Yuka è parecchio nervosa in questo periodo.» fu Mitsuki a parlare. «Evidentemente, ha ricevuto brutte notizie. Non è il momento per strani colpi di testa.» guardò ogni membro della squadra attentamente. «Vale per tutti.»
«Tranquilla, capo.» rispose Jou, sbadigliando, e tirandosi via il giornale della faccia. Non aveva la faccia di quello che ha dormito molto. Mi chiesi che razza di compito potesse averlo tenuto in piedi per tutta la notte. «Siamo troppo stanchi per pensare a qualche scemenza da fare.»
«Tu dici?» chiese lei, ironica. «Ricordati la volta che Ryu ha incendiato l'archivio. Non so quanto ci abbiamo messo a recuperare tutti quei dati.»
«Ancora con questa faccenda?» brontolò il diretto interessato. «Non è stata colpa mia, se la luce ha deciso di scioperare e tutto ciò che avevamo a disposizione era una candela!»
«Sì, certo.» commentò Mitsuki, stiracchiandosi. Poi, si rivolse a me. «Che fai, non torni a casa?»
«Già che sono qui.» sollevai le spalle, come se non mi importasse. «Almeno vi darò una mano.»
Lei mise su un'espressione indecisa. «Come vuoi, in effetti un po' di aiuto non ci farà male.»
«Bene,» commentai, sollevandomi dallo schienale. «che devo fare?»
«Aiuta me.» disse Jou, tirandosi su dalla sedia. «Ci sono un paio di documenti da sistemare nell'archivio. Così prendi anche dimestichezza con l'ambiente.»
Mitsuki annuì, pensierosa. «Mi sembra okay.» concesse, poi. «Buon lavoro, allora.»
Ci allontanammo e colsi l'occasione per fare qualche domanda. «Si può sapere che sta succedendo?»
Jou mi rivolse lo sguardo, a metà tra annoiato e sonnolento. «Sei un tipo piuttosto impaziente, Natsume.»
«Quindi?» continuai, quando non disse altro.
«Quindi, niente.» rispose lui, semplicemente. «Non ti aspetterai certo che tutti sappiano tutto.»
«Così,» commentai, sbuffando. «siete una specie di surrogato dell'Accademia?»
«Niente affatto.» ribatté lui, con voce dura. «Noi forniamo nuove identità e tutto il resto alle persone che si sentono minacciate dalla scuola.»
«Va bene,» concessi. Ma queste cose già le sapevo. «ma che c'entra con quello che sta succedendo?»
«C'entra che c'è qualcosa che non va.» disse lui, svoltando in un altro corridoio. «Si supponeva che l'Accademia non sapesse della nostra organizzazione. Fino a qualche mese fa. Uno dei dirigenti ai piani alti viene fatto fuori e ritrovato fuori città.» mi limitai a mugolare una specie di assenso, aspettando che continuasse. «Non sappiamo ancora in che modo sia successo, qualche informazione è trapelata, perciò non tutti sappiamo quello che succede. A volte bisogna solo eseguire gli ordini, Natsume.»
«Sì, ma...»
«So che per te, per ora, non c'è differenza con la scuola.» riprese Jou. Tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e aprì una porta. «Ma nessuno di noi vuole fare del male agli Alice per qualche oscuro motivo. Il Preside delle Elementari non è una brava persona, come ben sai, e i suoi piani sono tutt'altro che noti. Dobbiamo fare molta attenzione. Tutti noi.»
Annuii, lasciando che mi guidasse dentro quella stanza piena di scaffali di ferro. Contenevano tutti degli scatoloni, classificati per anno. «Come mai è tutto su carta?»
«Perché se fosse su computer e qualcuno decidesse che è divertente aggirare i nostri sistemi di sicurezza, tutte le informazioni che cerchiamo di proteggere sarebbero in pericolo.»
«Capisco.» presi in mano dei fogli e li lessi: somigliavano molto a quelli che Naru nascondeva in camera sua, anche se questi non erano scritti a mano. Era evidente che lui avesse qualcosa a che fare con Z, come anche un sacco di altre persone all'interno dell'Accademia, tra cui Subaru Imai, ma non erano certo persone che avevano contatti con la classe di Abilità Pericolose o con le loro missioni. «Non abbiamo un infiltrato nella classe delle Abilità Pericolose?»
Jou sorrise, ma non disse nulla. Io aggrottai le sopracciglia: avevo azzeccato il problema oppure c'era davvero qualcuno nelle Abilità Pericolose? «Perché ti interessa saperlo?»
«Perché sarebbe utile averne uno.» risposi, mettendo da parte fogli di persone adulte. «Non credi?»
«Forse.» disse lui, strascicando la parola.
Immaginai che sarebbe stato difficile averne uno, dal momento che tutti i membri dell'Organizzazione erano già diplomati da un pezzo, ritornare a scuola da vecchi sarebbe stato un problema, li avrebbe resi insegnanti e nessuno di loro aveva una benché minima possibilità di diventarlo al posto di Persona. Se davvero c'era un informatore per loro doveva essere uno degli studenti. Che fosse stato Narumi a metterlo in contatto con loro? Conoscevo tutti i ragazzi di quella classe, chi mai di loro – che fosse in possesso di conoscenze sufficienti, perlomeno – si sarebbe prestato a una cosa del genere? E se non c'era, stavano forse lavorando per procurarselo? Mi chiesi se tutto quel mistero fosse dovuto a questo problema. Qualcosa, però, non quadrava. Per niente. «Senti,» decisi di tentare, dopotutto non mi andava di spifferare informazioni al Preside, nemmeno se inutili, a meno che non avessi avuto altra scelta. «non è che per caso sai che cosa Naru ha detto a Yuka, quando è venuto qui?»
Lui scosse la testa. «Nessuno sa mai di cosa si tratti, puoi chiedere a chi vuoi.» rispose lui, frugando in uno scatolone. «Sappiamo solo che è incaricato di sorvegliare una persona. Meno persone sanno di cosa si tratta più il tutto è sicuro. Pare che il suo compito sia delicato.»
Per me non aveva alcun senso, ma decisi di tenerlo per me. Non dissi nulla, anzi, evitai di fare altre domande, dal momento che stava rispondendo, anche se non mi stava dicendo nulla di utile. Le ipotesi erano due: o davvero non sapeva nulla, oppure non voleva condividere le sue informazioni con me. Strano.
Strano e anche fastidioso, non avevo scelta. «Io vado a posare questo, tu continua pure.» mi fece sapere, sollevando lo scatolone che aveva in mano. Il momento era assolutamente perfetto, senza lui che guardava tutto quello che facevo e con la telecamera che puntava dall'altra parte rispetto a me, potevo sottrarre qualche documento, senza che nessuno se ne accorgesse.
I bambini erano classificati tutti per ordine alfabetico, di ognuno c'erano le fotocopie dei nuovi documenti, nella scheda allegata, invece, i dati riguardanti l'Alice. Ne trovai tre che facevano al caso mio: uno con un Alice che gli permetteva di farsi crescere le antenne, uno con l'Alice dell'Amplificazione dei Sapori, e l'ultimo con un Alice che poteva cambiare il colore a qualunque cosa. Inutili. Perfetto.
Terminai il mio lavoro proprio prima che la telecamera ruotasse verso di me, ma riuscii a piegare i fogli e me li misi sotto la maglietta, fermati dalla cintura, in modo che non cadessero mentre camminavo e che non si vedessero mentre mi muovevo. Misi qualche altro foglio dentro lo scatolone e quando fu pieno lo chiusi. Jou tornò e non sembrò sorpreso di vedere che avevo finito.
«Bene,» disse, infatti. «mettilo pure laggiù, in quel posto vuoto.»
«Ricevuto.» mi alzai e feci come mi aveva chiesto.

«Allora,» fu la voce squillante di Mitsuki a farci saltare per lo spavento. Ci prese alle spalle. «com'è andata lì dentro?»
«Bene.» rispose Jou, riconsegnandole le chiavi. «Lì dentro sembra tutto okay.»
«Perfetto.» commentò lei, dandoci una pacca sulla spalla l'uno. «Giornata proficua, allora?»
Aggrottai le sopracciglia, pensando che avesse potuto intuire qualcosa, soprattutto per come pizzicavano quei fogli. «In che senso?»
«Hai imparato qualcosa, no?» mi disse lei, lasciandomi andare. «Basta che non hai fatto casino coi fogli.»
«No.» confermai io, appoggiandomi a un muro. «Tutto okay, sono stato supervisionato da vicino per praticamente tutto il tempo.» accennai con la testa a Jou.
«Bene.» commentò lei, con un sorriso. «Noi andiamo a pranzo, che fai, vieni con noi?»
Purtroppo, avevo cose più urgenti da fare. Scossi la testa. «Non posso.»
«Non anche a pranzo!» brontolò Jou, stropicciandosi gli occhi. «Non ce la posso fare.»
«A fare cosa?» sibilò Mitsuki, con una nota di avvertimento nella voce.
«A sopportare te. Pensi sempre e solo a lavorare.» rispose lui, facendole la linguaccia. Lei sembrò calmarsi all'improvviso, stupendomi, avrei giurato che si sarebbe messa a gridargli contro, e invece niente. Sembrava essere parecchio stanca anche lei.
«Screanzato.» gli rispose lei, scuotendo la testa.
«Io non vengo.» disse Ryu, sommerso dalle carte. «Prenderò un panino al volo.»
«Eccone un altro.» commentò Jou, sbuffando.
«Smettetela di litigare.» li ammonì Mitsuki, con calma. «O Yuka verrà giù e ci butterà fuori perché ci sente fin da su.»
«Sei tu quella che strilla.» osservò Ryu, ridacchiando. «Di solito, almeno.»
Mitsuki si girò verso di me. «Spero che tu non le tratti così le ragazze.» disse, lanciando un'occhiataccia ai colleghi un attimo dopo. «A proposito, fai tanto il misterioso perché vai a pranzo con la tua fidanzata?»
Beh, non era proprio così. «Qualcosa del genere.» non stavo per incontrarla fisicamente, ma stavo cercando informazioni su di lei e – speravo, di conseguenza – su tutto il casino che stava succedendo, quindi non era proprio falso.
«Goditela finché puoi.» mi consigliò Jou. «Perché tra un po' non avrai tempo di mantenere una relazione.»
Feci un breve sorriso. «Non è un gran problema.» non avevamo opportunità di vederci in ogni caso.
«Bravo ragazzo!» stavolta la pacca sulla spalla me la diede Ryu. «Nessun sentimentalismo.»
Mitsuki sbuffò. «Uomini.» borbottò, con aria di disapprovazione.
«Parli così solo perché il tuo è...» cominciò Jou, ma lei lo interruppe subito.
«Offendilo di nuovo e ti faccio arrivare la lingua lì dove non batte il sole.»
Jou fece una faccia fintamente impressionata.«Manesca la signora.»
«Io vado.» dissi; non avevo intenzione di perdere altro tempo con le loro sciocchezze. E prima mi toglievo di mezzo quei fogli, prima avrei potuto sapere quello che mi tormentava da giorni. Avevo pensato che, una volta fuori dalla scuola, il Preside avrebbe smesso di avere un'influenza su di me e sulle azioni che avrei dovuto compiere. Credevo che sviare i suoi piani da fuori sarebbe stato molto più semplice, solo che non avevo tenuto conto di parecchi fattori, e ora ero costretto a barattare informazioni nel peggiore dei modi. L'unico lato positivo era che l'Accademia non era un brutto posto per chi non ha un Alice degno di attenzione.
Uscii dall'ufficio e mi diressi verso casa. Non volevo che qualcuno dei miei colleghi mi vedesse col palmare che mi aveva dato il Preside in mano, sembrare sospetto era l'ultima cosa che mi serviva. La cosa migliore era telefonare chiuso in camera mia, l'ora sembrava anche essere quella giusta, quei tre idioti avrebbero dovuto essere a lezione, o comunque a studiare. Avrebbero.
Non appena varcai la soglia di casa, li trovai mentre si tiravano palloncini pieni d'acqua. I tappeti dovevano essere ormai abituati ad assorbire acqua, oppure erano già completamente fradici, perché le parti bagnate non erano distinguibili dal resto.
«Ehm...» iniziai, ma le loro grida di euforia sovrastavano la mia voce. «che state combinando?»
Ryoutarou si girò verso di me e sbracciò per salutarmi. «Ehilà, amico, che ci fai qui?»
«Ci vivo.»
Riuscii a raggelare l'aria, ma solo per un attimo.
«Intendevamo... che ci fai qui a quest'ora, ehm...» Eichi si girò verso Masao. «Com'è che ha detto che si chiama?»
«Iniziava con la K.» ricordò loro Ryoutarou.
Oltre a quello strano hobby, a quanto pare condividevano anche un unico neurone ubriaco. È sempre deprimente trovare degli adulti che hanno la stessa capacità di comprendere – e farsi comprendere – di un pesce rosso. «Ma voi non studiate mai?»
«Siamo studenti.» disse Masao, come se fosse la miglior giustificazione. «Non si è mai sentito che gli studenti debbano studiare.»
«Capisco.» dissi, chiudendomi la porta alle spalle. Forse i loro genitori li avevano spediti fuori casa per levarseli dai piedi, non perché credevano davvero che avrebbero combinato qualcosa nella loro vita «E cosa dovrebbero fare? Tirarsi palloncini fino a farsi la doccia?»
«Buona idea!» Ryoutarou diede una forte botta sulla schiena a Eichi che finì con la faccia sul tappeto con uno 'splat', che mi fece capire che il tappeto era davvero completamente impregnato d'acqua. «Perché cavolo non ci abbiamo pensato prima! Sei un genio, Nu.. Ka... beh, tu.»
«Già!» convenne Masao, non perdendo neanche per un secondo la sua giovialità. «Perché non ti unisci a noi? Le tue idee potrebbero portare meraviglie al nostro circolo.»
«No, grazie.» risposi, senza entusiasmo. Mi chiesi fino a che punto uno sguardo potesse intimorire, ma non lo scoprii mai con quei tre. «Preferisco restare fuori dal circolo.»
I tre si scambiarono delle occhiate sospettose. «Tra le persone noiose?» domandò poi Masao.
«Tra le persone sane di mente.» borbottai, mentre mi avviavo verso la mia stanza. Li sentii vagamente parlare su quanto strano fossi e chiusi la porta. Non mi serviva che durante la telefonata che stavo per fare si sentissero loro di sottofondo.
C'era un unico numero memorizzato in rubrica, così chiamai senza indugiare oltre.
«Chi non muore si rivede.» sentii la voce di Persona dall'altra parte.
«Già...» commentai, come se io, invece, fossi stato ansioso di risentire la sua voce. «Ho qualcosa per te.» «Finalmente.» disse lui, ma non mostrò alcun entusiasmo. Che diamine mi potevo aspettare da quello? «Ero ansioso di sapere quand'è che ti saresti reso utile.»
Allontanai il telefono e sbuffai. «Sono tutti dati cartacei.» lo informai, trattenendomi dal dire qualche altra cosa di offensivo. «Quindi dobbiamo incontrarci.»
Ci fu un attimo di silenzio dall'altra parte. «Ti faccio sapere io quando e dove.» poi chiuse, senza darmi tempo di dire qualcos'altro.

Il terzo giorno che aspettavo le notizie di quel tipo, mi arrivò un messaggio con il luogo e l'ora dell'incontro, previsto quel giorno stesso. Potevo arrivarci a piedi, ci avrei messo un po', ma per fortuna avevo finito il mio turno di lavoro, così non avrei dovuto chiedere a Mitsuki di farmi andare via prima. Quando arrivai al bar indicato nel messaggio, non fu difficile individuarlo. Era, come al solito, vestito di nero – in netto contrasto con il bianco delle sedie e dei tavoli all'aperto –, ma non aveva quella ridicola maschera in faccia, era solo pieno di orecchini. Sentii una ragazzina riferirsi a lui come “il tizio goth”. Alzai un sopracciglio: definirlo goth, purtroppo, era un'offesa per il genere.
Mi sedetti davanti a lui, facendo strisciare la sedia sul pavimento. Lui alzò lo sguardo. «Ce ne hai messo di tempo, Natsume.»
Feci una smorfia invece di rispondere alla provocazione. «Pensiamo alle cose serie.»
«Giusto, dammi quello che hai.» tese una mano e io gli cedetti i fogli. Lui li contò. «Un bottino piuttosto magro, mio caro.»
«Beh, che ti aspettavi? Sono appena entrato.» protestai, quando lui alzò entrambe le sopracciglia, in evidente segno di disappunto.
«Quindi è... tutto qui?» sembrava deluso. «Non dirmi che mi hai fatto venire qui solo per questo.»
«Ho un paio di domande, effettivamente.»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Mi viene il dubbio che tu non abbia ben capito qual è il tuo ruolo, Natsume.» disse lui, massaggiandosi una tempia. Mi chiesi se gli fosse venuta voglia di toccarmi col suo Alice. «Tu procuri informazioni, e basta.»
«Voglio sapere di Mikan.»
Lui incrociò le gambe e intrecciò le dita delle mani. «Non ti facevo così sentimentale.» mi schernì, sorridendo sprezzante.
Non riuscii a trattenermi dallo scoccargli un'occhiataccia. «Vuoi dirmelo, o no?» lo incalzai.
«So che è stata in infermeria qualche tempo fa. Subaru Imai ha detto calo di zuccheri.» rispose, come se fosse la cosa meno interessante del mondo. «Interessante, no?» mi stava evidentemente prendendo in giro. Strinsi un pugno per non tirargli la zuccheriera.
«Nient'altro?»
«Sembra molto impegnata a seguire il nuovo studente.» mi riferì lui, con un sorriso malizioso. Io inarcai un sopracciglio, senza dire niente. «Sembrano diventati grandi amici.»
«Ma davvero?» ora capivo che era venuto lì solo per stuzzicarmi un po'. Sbuffai. «Insomma, sta bene?»
«Per ora.» confermò lui, con un cenno di assenso della testa. «Se, ovviamente, continuerai a fare il tuo lavoro, lei starà bene ancora per molto.»
«Già che siamo qui, ho bisogno che tu cerchi informazioni su una famiglia.» aprì un foglietto e me lo consegnò, c'era solo un cognome “Tamura”. Lo guardai, in cerca di spiegazioni. «A quanto pare, la loro figlia è scomparsa. O meglio, è stata nascosta dall'Organizzazione Z. Aveva un Alice molto utile. Trovala.» ordinò, secco.
«Come si chiama?» chiesi. Non era affatto una cosa facile, senza un punto da cui partire. «Tamura è uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Come posso trovarla se non so come si chiama la bambina?»
«Chihiro Tamura.» rispose. «A quanto pare, eravamo quasi riusciti a prenderla, ma alla fine ci è sfuggita perché quelli di Z si sono messi in mezzo.»
«E voi non l'avevate previsto.» conclusi io per lui. Persona, però, non disse nulla. Non potei non provare una certa soddisfazione per il loro fallimento.
«Tu vedi di fare il tuo lavoro.» suonava più come una minaccia che un buon consiglio.
«E se non dovessi riuscire a trovare niente su di lei?»
Lui sorrise nello stesso modo inquietante del Preside. «Credevo che tenessi alla tua amichetta, Natsume.» osservò, con un tono falsamente preoccupato. «Sono certo che troverai qualcosa di utile negli archivi.»
Guardai il foglietto: non avevo nessuna intenzione di mettere nelle mani del Preside qualcosa di utile. «Mi ci vorrà del tempo.»
Lui sorrise. «Non mettercene troppo.» mi disse, come a voler sottolineare che ci sarebbero state delle conseguenze. «E non pensare di poter prendere tempo in questo modo.»
«Non lo sto facendo.» assicurai, ma aveva decisamente colto nel segno. «Ma non pensare che non lo stia facendo solo perché non hai mie notizie a riguardo.»
«Ma certo.» presi un bel respiro, perché la zuccheriera era ancora troppo vicina alla mia mano, ma sarebbe partita presto con destinazione la sua faccia, se non l'avesse fatta finita. Non ero certo lì per farmi prendere in giro da lui.
«Hai nient'altro da darmi?» volevo solo che sparisse dalla mia vista.
«Non per ora, ma tieni acceso il palmare. Potrei avere motivo di contattarti di nuovo.»
Sorrisi brevemente. «Ma certo.» lo imitai.
Lui mi rivolse un sorriso beffardo. «Buon lavoro.»
“Crepa” avrei voluto rispondergli io, ma mi trattenni. L'imprecazione minacciò di uscirmi dalle labbra quando un cameriere mi presentò il conto da pagare. Non c'era niente da dire: era un gran signore.

«Ma guarda tu...» borbottai, rimettendo il portafogli in tasca. Stavo meditando di non presentarmi al prossimo incontro, ma poi sbuffai, mimandolo mentre parlava di Mikan. Chissà se per la strada qualcuno mi prese per scemo. Probabilmente lo stavo diventando per davvero. Alla fine, non avevo concluso granché, ma di certo non mi aspettavo che proprio lui si presentasse all'incontro, credevo che non avesse intenzione di occuparsi di queste cosucce, ma, a quanto pareva mi sbagliavo.
Sbuffai: non ne andava una per il verso giusto. Alla fine ero stato solo incaricato di fare un altro sporco lavoro per loro e di Mikan sapevo solo che “stava bene”. Fantastico. Niente di più di quello che mi aveva detto Naru. Avevo fatto tutto quello per niente. No, aspetta, mi aveva detto che si stava occupando di un nuovo studente... speravo per lui che tenesse le mani a posto.
«E così torni a casa?» era una voce che conoscevo bene. «Senza sentirti nemmeno un po' in colpa? Non eri tu quello che si lamentava tanto dei metodi della scuola? E poi sei tu che li aiuti...»
Mi voltai. Davanti a me, c'era Ryu che mi guardava con l'aria di volermi azzannare il collo e dissanguarmi. «Non è certo perché mi piace farlo.» provai a rispondere, ma Ryu sembrò non sentirmi.
«Yuka si è fidata subito di te.» commentò lui, con disprezzo. «Mitsuki però ci ha chiesto di tenerti sotto osservazione, dato che lei sembrava così sicura su di te. Voleva saperne di più, e alla fine non ha scoperto il motivo per cui Yuka si fida di te, ma tutt'altro.»
Sospirai, cercando di mantenermi calmo. «Senti...»
«Non voglio nemmeno sentirle le tue stupide scuse!» mi puntò un dito contro, con rabbia. «Sei stato contro di noi fin dall'inizio!»
«Pensa quello che ti pare.» tanto qualunque cosa dicessi, sarebbe stato inutile.
«Cosa vuoi fare ora, spifferare tutto alla scuola? Dove sono le persone che abbiamo nascosto? Ti hanno mandato per questo?»
«Portami da Mitsuki.» tagliai corto. Lei, se non altro, in questi giorni era calma e, forse, più ragionevole. «Così ci spieghiamo.»
Lui ridusse gli occhi a due fessure. «Non so che piani hai, ma non riuscirai a scamparla, Natsume. Mitsuki saprà cosa fare di te.»
Mi finsi impressionato e ottenni solo di farlo diventare ancora più ostile. «Vogliamo andare?» chiesi, sbuffando. «Oppure vuoi tenermi qui a fare la ramanzina?» non ero per niente fiero di aver preso quei fogli, soprattutto dopo aver ottenuto dei così magri risultati, e non c'era nessun bisogno che parlasse in quel modo. Ero già abbastanza nervoso, perché potessi restare calmo.
Lui fece solo una smorfia disgustata. «Vedremo se avrai ancora voglia di fare del sarcasmo, quando parlerai col capo.»
Mi trascinò per un braccio, e mi resi conto che non potevo usare il mio Alice su di lui. «Hai una pietra Alice dell'Annullamento?» chiesi, esterrefatto. «Da chi l'hai avuta?» per quanto ne sapevo io era un Alice molto raro e lo possedeva solo Mikan.
«Non sei è proprio nella posizione adatta per fare domande.»
Beh, qualunque fosse dovevo saperlo. «È stata una ragazza a dartela?»
«Perché insisti tanto? È importante per l'Accademia?» chiese lui, con un sorriso derisorio. Sospirai rumorosamente. Non c'era niente che potessi dire o fare per convincerlo a parlare, perciò preferii rimanere in silenzio.
Quando arrivammo da Mitsuki, Ryu mi spinse a sedere su una sedia. Lei e Jou stavano ancora pranzando. Dopo che sentì la storia, credevo che il boccone che aveva preso dalle bacchette le si sarebbe fermato in gola. «Che hai detto?» chiese lei, senza fiato, dopo averlo mandato giù con un litro d'acqua.
«Quello che ho visto.» rispose lui, guardandomi male. «Passa informazioni all'Accademia.»
Il braccio di Mitsuki crollò sul tavolo e il suo sguardo era smarrito dietro di noi. «Spero che tu,» si riprese dopo qualche minuto, voltandosi verso di me. «abbia una spiegazione grandiosa per tutto questo.»
«Ce l'ho.» dissi, subito, sperando che nessuno mi interrompesse, stavolta.
Mitsuki prese un bel respiro. Credo che fosse la prima volta che dimostrasse un po' di serietà. «Voglio sentirla.»
«È sicuro una stronzata.» ribatté Ryu. Mitsuki si girò verso di lui, con una calma che non credevo potesse possedere in un simile momento. Stava dimostrando di essere un buon caposquadra e che, in fondo, anche se lei e i suoi si erano presentati come dei cialtroni, non lo erano davvero. Un buon modo per mascherare le loro vere intenzioni e per farmi abbassare la guardia. Ero davvero stupito.
«Fallo parlare. Possiamo strozzarlo più tardi, intanto sentiamo che ha da dire.» poi mi rivolse di nuovo la sua attenzione. «E ora spara.»
«Non qui.» mi guardai intorno. Se mi avevano seguito loro senza che me ne accorgessi, avrebbero potuto farlo anche quelli dell'Accademia. Non avrei fatto due volte lo stesso errore. «Andiamo in ufficio.»
«Jou, paga il conto.» disse lei, mettendogli una mano sull'avambraccio. «Noi andiamo, raggiungici.» lui annuì, mi guardò storto e si alzò. «E tu, non fare cose strane, sei già abbastanza nei guai, per quello che mi riguarda.»
«Perché non lo portiamo da Yuka? Lei saprà cosa fare con lui.» propose Ryu, strattonandomi il braccio sinistro. «Almeno deve sapere che il tizio di cui lei si fidava tanto ci rema contro!»
Mitsuki parve pensarci un po', guardò da me a lui e poi rispose: «Dopotutto, hai ragione tu.»
Mi chiesi che tipo di punizione mi stesse aspettando, se neanche lei mi avesse lasciato il tempo di spiegarmi. Se non fossi riuscito a chiarire tutto, mi avrebbero sbattuto fuori – nella migliore delle ipotesi – quindi, in che modo avrei potuto aiutare Mikan, o evitare che le facessero del male per via di questo fallimento se non potevo stare all'interno dell'Organizzazione Z? Non sarei stato più utile all'Accademia e questo avrebbe potuto mettere molti forse sul mio futuro.
Questo era un bel problema.

*****

Ehilà ^^ alla fine ho mantenuto la promessa di pubblicare oggi. Non credevo che ce l'avrei fatta, fino a due giorni fa. Ho finito di scrivere ieri sera all'ora di cena e ci è voluto un bel po' per farlo ricontrollare e per mettere il codice html, ma è perché non sono molto pratica, ancora -.- vabbè, oggi niente lista, altrimenti ritardo ancora la pubblicazione, magari la aggiungerò in un secondo momento.
Comunque, grazie a tutti quanti per averla inserita tra i preferiti, seguite, ricordate, e soprattutto alle new entry!
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!
A presto (tenendo conto dei miei brevissimi tempi di pubblicazione, ovviamente) =)

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Capitolo 23
*** Mezzi di comunicazione (parte 1) ***


Capitolo 23 – Mezzi di comunicazione
(Mikan)

Parte 1


Improvvisamente, mi venne da pensare a tutte quelle feste che avevo organizzato 'illegalmente' nella stanza di Natsume, e sentii una fitta allo stomaco: lui non si sarebbe goduto la festa di benvenuto per il nuovo arrivato, anche se, se lo conoscevo abbastanza bene, avrebbe fatto un sacco di storie e avrebbe partecipato solo se fossi stata io a chiederglielo. Chissà come stava e che stava facendo... era davvero frustrante non possedere un mezzo di comunicazione che ci permettesse di stare in contatto e sapere in tempo reale quello che succedeva. Se davvero l'Accademia controllava la posta, che speranze avevo di ricevere sue notizie?
Quando rialzai lo sguardo verso il punto dove credevo che Nonoko e il ragazzo nuovo si fossero fermati per aspettarmi, non vidi più nessuno. Per un attimo, trovarmi fuori, anche se non molto lontano dalla scuola, mi fece deglutire dal terrore: era un bel pezzo che non uscivo più da sola di notte, e quando lo facevo Natsume era sempre insieme a me, oppure Hotaru.
«Nonoko-chan...» chiamai, debolmente, sperando che Mr. Bear non sbucasse da qualche parte con la sua pericolosissima ascia e mi tagliasse a fettine sottili sottili, proprio come faceva con la legna davanti alla sua casetta in mezzo agli alberi.
L'unica soluzione era rientrare nella mensa, e aspettare che qualcuno si accorgesse della mia assenza e venisse a recuperarmi. In fondo, non potevo perdermi la festa di benvenuto! Avevo anche portato la macchina fotografica che mi aveva regalato Hotaru! Controllai di averla sul serio, subito dopo averlo pensato, oppure non avrei potuto conservare nessun ricordo di quella serata e, se Yahiro avesse voluto un paio di foto per lo stesso motivo, non avrei potuto fargliele avere.
Pensandoci meglio, però, io non avevo voluto affatto ricordi di quella brutta avventura che era stata la mia 'iniziazione' come l'avevano chiamata i miei amici. Accantonai questi pensieri, quando mi accorsi di essere ancora fuori, ed esposta a potenziali pericoli, per quanto ne sapevo non era proibito dalle regole stare fuori dalla propria camera prima delle undici di sera, ma non avevo idea se le cose fossero cambiate o meno, e Hotaru mi aveva messa una discreta paura a proposito delle prigioni sotto la sezione Elementare. Mi chiesi se avessi dovuto andare a controllare di persona – magari di giorno – se davvero esistevano. Un brivido freddo lungo la schiena mi spinse a desistere anche nell'ora in cui il sole brillava di più nel cielo. Avevo letto un paio di libri che coinvolgevano sotterranei bui, e non c'era lieto fine per chi li attraversava, quale che fosse l'ora dell'esplorazione. Meglio desistere e mettersi al sicuro nella mensa.
Quando entrai era tutto veramente buio, inspiegabilmente buio: sembrava che fossero scomparse anche le finestre dai muri perché nemmeno la luce della luna filtrava da fuori. Ora che ci pensavo meglio, io e Nonoko eravamo uscite e ci eravamo separate dagli altri ben prima che potessero spiegarci il loro piano nei dettagli, quindi non sapevo come sarebbe proseguita la festa di benvenuto... se avessi dovuto rovinare tutto per qualche motivo, non avrei mai potuto perdonarmelo.
«Nonoko-chan...» riprovai, sentendo la mia voce rimbombare per la stanza l'attimo dopo. Non avevo mai avuto quella sensazione, quando ero a mensa, ma era anche vero che non ci ero mai entrata da sola a quell'ora. Non riuscivo nemmeno a vedere la parete opposta della sala e questo mi inquietava più del resto. «C'è nessuno?»
Sentii qualcosa di viscido strisciarmi lungo la gamba e subito sobbalzai, portandomi una mano sul polpaccio. Cercai di non strillare o di chiamare aiuto: ricordavo che parlare era l'ultima cosa da fare se non si voleva essere trovati, aiuta il nemico a sapere dove sei! Pregai che anni passati a giocare a nascondino con i miei vecchi compagni di scuola mi aiutassero, anche se non ero mai riuscita a fare tana. Così, mi spostai vicino al muro, anche se la tentazione di salire su un tavolo era forte... se solo avessi visto un tavolo! Non sapevo se era colpa del buio pesto oppure del fatto che la stanza si fosse trasformata. Una volta avevo sentito Sumire parlare di strani eventi accaduti di notte nel campus, pareva che alcune stanze cambiassero durante la notte, ma Hotaru aveva commentato con un «Idiota.» e io mi ero sentita subito rassicurata. Avrei dovuto dire alla mia amica di fare più attenzione, anche se avevo dei dubbi perfino sulla mia stessa sopravvivenza. Mi venne da chiedermi se insieme a me, in quella che una volta era una delle mie sale preferite di tutto l'edificio ci fosse una piovra gigante affamata da chissà quanti anni che aspettava solo il primo folle studente che fosse entrato per farle da cena, o pranzo... o quello che era. Deglutii, e solo quando avvertii un altro spostamento d'aria, probabilmente dovuto ad uno di quei tentacoli enormi, mi spostai, pregando che non mi trovasse.
Mi sfiorò di nuovo e non riuscii a trattenere un grido terrorizzato: «Hotaru aiutami!» gridai, rannicchiandomi a terra e proteggendomi la testa con le mani. Chiusi gli occhi istintivamente ripassando mentalmente il mio testamento. Poi, improvvisamente, mi ricordai che le creature della notte hanno paura della luce, sperai che funzionasse anche quella artificiale, e cominciai a fare foto a tutto spiano, per allontanare quella cosa malefica da me.
«Mikan?» sentii una voce familiare pronunciare il mio nome, seguita da altre cinque o sei, del tutto stupite come la prima. «Mikan, che diamine ci fai tu qui?» era Kitsuneme, con le mani sui fianchi, ora piuttosto contrariato.
Cosa avrei dovuto rispondere? Che mi ero terrorizzata per... solo allora mi accorsi che riuscivo a vedere qualcosa, insieme alle finestre, i tavoli e tutto il resto. «Ehm...» sbattei le palpebre, confusa. «Ecco, io... ero venuta a cercarvi, poi la piovra...» Hotaru fece esplodere una specie di pallina da tennis e io, per riflesso condizionato, mi raggomitolai su me stessa, col risultato di schiacciare di nuovo il pulsante della macchinetta. Adesso, però, si vedeva come se fosse giorno. Mi guardai intorno: non c'era nessun mostro strambo.
«Ma quale piovra!» sbottò lui, sbuffando. Sembrava davvero molto deluso. «Erano le illusioni di Yuu... aspettavamo che arrivasse quello nuovo. A proposito...» si guardò intorno, come se si aspettasse di trovarlo insieme a me. «dov'è?»
Io mi limitai ad alzare le spalle: l'ultima volta che l'avevo visto era insieme a Nonoko. Lei l'aveva portato via dicendo che era tutto pronto. Quando anche gli altri presero a fissarmi, ebbi la sensazione pressante di dover dire qualcosa. «Nonoko l'ha portato qui.»
«Apparentemente,» fu la mia migliore amica a parlare, con un tono strano. «non è così.» si guardò intorno, con la sua solita aria annoiata. «Se non c'è niente da vedere, io me ne vado.»
«Aspetta!» la fermai, ripensando a una di quelle tante storie che avevo sentito sulla foresta di Mr. Bear, proprio vicino alla mensa. «E se fossero diventati dei fantasmi o Mr. Bear...»
«Ma la pianti?» mi bloccò Sumire, infastidita. «Erano stupide storie che ci raccontavano da bambini per non farci uscire di notte, razza di stupida.» aggiunse, spostandosi i capelli dietro una spalla, con gli occhi chiusi e una strana smorfia in volto. «Avanti, dicci dove lo hai nascosto.»
Aggrottai la fronte: di che stava parlando? «Dove ho nascosto che cosa?» chiesi, infatti. Lei alzò gli occhi al cielo, e quando Hotaru mi tese una mano, mi accorsi di essere ancora sul pavimento. «Insomma?»
«Il ragazzo, santo cielo!» sbottò Sumire, di nuovo, e mi guardò come se fossi stata una completa idiota. «Ce l'hai tu da qualche parte, e chissà dove hai mandato Nonoko a cercarlo, dillo!» mi puntò un indice contro, accusatorio. «Lo sappiamo tutti che vuoi i bei ragazzi della scuola tutti per te.»
Mi girai verso Hotaru che si mise una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio. «Sumire,» disse, in tono glaciale. «non ti sembra di essere troppo cresciuta per discorsi del genere?»
«E anche tu dovresti tacere!» si rivolse a lei stavolta. «Come lo spieghi altrimenti che Ruka e Natsume si siano interessate proprio a voi due?»
«Non lo so...» risposi io, in effetti non ci avevo mai pensato: ma perché stavamo parlando di quello invece di correre a cercare il ragazzo nuovo e Nonoko? Chissà che cos'era successo o se erano finiti dal Preside per qualche violazione del regolamento.
«Smettetela, vi prego.» Koko si intromise fisicamente con le mani alzate vicino al volto, in una muta richiesta di pace. «Mi state per fare saltare i nervi. La tua testa Sumire è così incasinata che ho creduto di vomitare.»
«Basta non guardarci dentro.» commentò lei, acidamente, mentre incrociava le braccia al petto e rivolgeva la testa dalla parte opposta in cui ci trovavamo io e la mia migliore amica.
«Ammirevole.» disse, invece, Kitsuneme, ridacchiando. «E io che pensavo fosse vuota!»
Anna si intromise per la prima volta in tutta quella discussione con aria decisamente preoccupata. «Non credete che dovremmo andare a cercarli?» domandò, incerta. Fissava la porta della mensa con apprensione. «Mikan...» spostai lo sguardo dalle porte a lei. «quanto tempo fa sono andati via insieme?»
«Forse mezz'ora...» tentai, non sapevo quanto tempo avevo passato fuori dalla mensa, aspettando di entrare o quanto tempo fosse trascorso dall'entrata a quando loro mi avevano trovata. Solo che non era da Nonoko fare scherzi del genere, che quel tizio non fosse stato il nuovo studente, ma un semplice impostore? In effetti, la prima impressione che avevo avuto di lui non era stata molto buona. Non sapevo se fosse stata la tensione di non deludere le aspettative degli altri o il buio pesto che c'era fuori, ma mi aveva messo i brividi.
«Io sono un po' preoccupata.» ammise lei, fissando anche gli altri, in cerca di appoggio. Mi tirai su grazie alla mano di Hotaru e mi spazzolai la gonna. Anche io credevo che non ci fosse tempo da perdere, ma da come gli altri si stavano fissando, non sembrava che avessero fretta di fare qualcosa.
«Da dove pensi di cominciare a cercare?» domandò Koko, stiracchiandosi. «Potrebbero essere dovunque,» proseguì, con un'alzata di spalle. «anche se io non starei tanto a preoccuparmi.»
«Ragazzi,» intervenne Yuu, grattandosi una tempia. «io credo sia meglio così... in fondo, da come ha gridato Mikan chissà come avremmo spaventato quello nuovo. Ho sentito che viene da una scuola tradizionale, non sa niente di Alice e cose varie. Forse è davvero meglio così.» abbozzò un sorriso nella mia direzione. «Mi dispiace di averti spaventata.»
Ridacchiai, nervosamente. «Non ti preoccupare...» risposi, avvicinandomi a lui per dargli una pacca sulla spalla. «sto bene.»
«E che c'entra?» chiese Kitsuneme, con un sopracciglio inarcato. «Stavamo decidendo se andare a cercarli o aspettare che si facciano vivi loro.»
Yuu abbassò lo sguardo, sembrava che si sentisse in colpa per qualcosa. «Non mi sembrava giusto neanche prima e...» si interruppe, fissando gli altri da dietro gli occhiali spessi con qualcosa che somigliava alla paura. «ho chiesto a Nonoko di tenerlo lontano dalla mensa per un po'...»
«E che noia!» sbottò Wakako, la migliore amica di Sumire, come se avesse appena perso la più preziosa delle occasioni nella vita. «Se ce lo avessi detto prima avremmo perso molto meno tempo.» sbuffò.
«Ma ci saremmo persi le grida di Mikan.» osservò Sumire con aria decisamente compiaciuta. Mi venne da guardarla contrariata: io non mi ero divertita affatto.
«E sai che affare!» la contraddisse lei, sbuffando di nuovo. «Meglio un bel ragazzo che le urla di quella stupida.»
«Ehi!» mi sentii improvvisamente offesa. Lei mi fissò per un momento e poi alzò le spalle, ma non sembrava avere la minima intenzione di chiedermi scusa. Mi ricordavo del giorno in cui Natsume e Hotaru si erano nominati unici studenti col diritto di darmi della stupida. Hotaru aveva proposto anche a Ruka-pyon di diventare uno di loro ma lui aveva, molto gentilmente, rifiutato l'offerta. Girai la testa da entrambi i lati, improvvisamente consapevole del fatto che Ruka-pyon non era minimamente intervenuto nella discussione. Anzi, io non l'avevo proprio visto. Decisi di chiedere a Hotaru: chi meglio di lei poteva sapere dove si trovava il suo ragazzo?
«Ha detto che gli dispiaceva, che è stanco di partecipare a queste cose,» mi disse, senza alcuna particolare enfasi. «e che andava a letto.»
«Ha fatto bene.» commentò Koko, lanciando un'occhiata in tralice al nostro capoclasse. «Ed è meglio se anche noi facciamo la stessa cosa, prima che qualcuno ci trovi ancora in piedi. Scommetto che anche se il Presidente del Comitato Studentesco è in classe con noi, ci ritroveremo a pulire cestini per il resto della settimana. Le undici sono passate da un pezzo, e domani abbiamo lezione.»
«Già,» convenne Kitsuneme. «prima che ci trovi Prez e ci sistemi lei. È più cattiva del Preside.»
“Prez” era il soprannome che avevano dato a Kisaki per non dover pronunciare il suo titolo per intero, ma anche se lei non diceva niente, non sapevo se le piacesse o meno. Avevo sentito dire che si usava anche nelle scuole normali, forse era per questo che il nomignolo si era diffuso in meno di un secondo. Hotaru mi aveva detto che, nonostante gli Alice si credessero superiori praticamente a tutti, non desideravano altro che essere uguali agli altri. Io, ad essere sincera, non mi sentivo molto diversa dalle altre persone, ma lei diceva che era perché il mio Alice era, a conti fatti, invisibile e quasi inutile. Non mi ero mai sentita offesa per quell'affermazione, anche se in quel momento mi chiesi se avesse voluto essere un insulto o meno.
«Tanto non è rimasto molto da fare qui.» notò Hotaru, trascinandomi fuori dalla sala per un braccio. «La prossima volta non mi farò coinvolgere in queste sciocchezze.»
Io sbattei le palpebre, confusa: ero abbastanza sicura di aver sentito dire che lei non sarebbe venuta. «Credevo...» provai a ribattere, ma lei interruppe quasi subito le mie parole sul nascere.
«Avevo la sensazione che ti saresti messa nei guai.» disse, fissandomi con i suoi occhi viola. Deglutii, anche per via dell'atmosfera del dormitorio in cui eravamo appena entrate: un buio così porta solo guai. «E non ero del tutto fuori strada.» un lieve sorriso le comparve sulle labbra, stupendomi oltre ogni immaginazione: lei non rideva quasi mai. «Tu e la tua piovra.»
«Smettila di prendermi in giro!» obiettai, mentre ancora mi trascinava attraverso il dormitorio femminile. «Non sapevo che fossero illusioni di Yuu...»
«Lo so.» ribatté lei, in tono ovvio. «Quello che mi stupisce, è che tu abbia subito pensato ad una piovra gigante.» il sorrisetto che aveva si fece ancora più largo. «E non allo stupido serpentello che era.»
«Oh...» fu il mio striminzito commento: era meglio non aggiungere altro, avevo già reso onore alla mia stupidità a sufficienza. Chissà che avrebbe detto Natsume, se si sarebbe messo a ridere anche lui o se, semplicemente, avrebbe scosso la testa. Abbassai gli occhi sul pavimento, improvvisamente triste. «Ehi...»
«Non ci posso credere.» sentii dire a Hotaru, la qual cosa mi lasciò anche più sorpresa del suo sorriso: niente sconvolgeva la mia migliore amica... niente! E il fatto che lo avesse appena ammesso, e ad alta voce, per giunta, mi spinse ad alzare gli occhi e puntarli nella stessa direzione in cui lei stava guardando. Potei sinceramente ammettere che non aveva tutti i torti.
«Ho... ta... ru...» indicai proprio davanti a noi, con un dito tremante. «Quella è...» quando tornai a fissarla, lei si era già ricomposta: ogni traccia di stupore o di qualunque tipo di emozione era scomparsa dal suo volto, come per magia.
«Apparentemente.» commentò e potei notare che il suo tono era tornato il solito. Completamente neutro. Mi chiesi che dovessimo fare: passare senza dare fastidio era un'opzione non contemplabile, e nemmeno sarebbe stato credibile. Nonoko e il nuovo studente, Yahiro-kun, si stavano apertamente sbaciucchiando nel mezzo del corridoio. La cosa mi lasciò stupita perché, nonostante sapessi che Nonoko desiderava un ragazzo, non avevo idea che avesse già così tanta confidenza con quello nuovo.
«Che si fa?» chiesi a Hotaru, la quale, per tutta risposta, si incamminò come se non ci fosse nessuno a sbarrarci la strada, continuando a trascinarmi dietro di sé.
L'impeto con cui lo fece mi portò a sbandare e il mio fianco colpì una delle braccia di Yahiro-kun, col risultato di portare i piccioncini fuori dal loro idillio. Mi sentii mortificata. E, all'apparenza, Nonoko lo sembrava più di me: spalancò gli occhi appena ci vide. «Oh...» disse, sistemandosi la divisa in modo che non fosse spiegazzata. «siete voi...» gettò un'occhiata al ragazzo al suo fianco che aveva lo sguardo puntato a terra e si grattava nervosamente una guancia. «Stavo...» si schiarì la gola, mentre Hotaru mi faceva cenno di seguirla. «stavo facendo vedere a Yahiro... la scuola.»
La mia migliore amica inarcò entrambe le sopracciglia. Si limitò, però, ad afferrarmi per un braccio con una presa più salda della precedente e a portarmi via, senza darmi il tempo di formulare una risposta decente. «Buonanotte.» li salutò, e tutto quello che fui in grado di fare fu guardarli mentre diventavano più piccoli a mano a mano che io e lei camminavamo. Non le chiesi il motivo per cui non avesse detto nulla, tanto sapevo che non mi avrebbe risposto, o almeno di solito funzionava così.

La mattina dopo, quando mi svegliai, mi stupii di scoprire che la sveglia ancora non aveva suonato. Di solito mi svegliavo dopo, e nemmeno mi accorgevo che avesse fatto rumore. Mi avevano sempre detto che non mi svegliavano nemmeno le cannonate, perfino il nonno spesso si lamentava che non sentivo il canto del gallo all'alba. Io mi ero sempre ritenuta fortunata per quello. In ogni caso, mi diressi in classe prima del solito.
«Mikan.» mi chiamò Hotaru, subito dietro di me. Insieme a lei c'era Ruka-pyon, con il suo immancabile coniglietto tra le braccia. Non capii se mi stesse salutando o se stesse semplicemente notando che ero lì. «Hai sentito la sveglia, oggi, o era il brivido di conoscere quello nuovo?»
Io scrollai le spalle. «Non lo so.» ammisi, entrando. Da quando Natsume era andato via, avevo deciso di cambiare posto, non che quello vecchio non mi piacesse, ma fissare il posto vuoto vicino al mio, nonostante l'avessi fatto per settimane, mi portava sempre una strana sensazione di disagio. Mi ero spostata nei banchi in quarta fila, dove mi aveva raggiunta Hotaru. Avevamo fatto a cambio con due nostri compagni che non vedevano l'ora di potersi sedere tra gli ultimi, in modo da non seguire le lezioni e non essere rimproverati per questo. Beh, era quello il motivo per cui era il posto preferito di Natsume, dopotutto. «C'è una cosa che volevo chiederti a proposito dei compiti di matematica.»
«Ovviamente.» rispose lei, come se se lo fosse già aspettato. Lanciai un'altra occhiata al posto alla mia sinistra. Avevo chiesto a Kisaki-chan di sedersi insieme a noi, dato che si era lamentata spesso del fatto che stare vicino a Wakako e Sumire era snervante. Quando le avevo chiesto perché, mi disse: “Pensa che so anche che tipo di mutande porta Nogi ogni giorno.”. Non avevo capito quale fosse il nesso tra le due cose, ma glielo avevo chiesto comunque, sembrava proprio che con loro non si trovasse bene, per qualche ragione. «Quale esercizio?»
Sospirai, mogia. «Tutti.» avevo aperto il libro degli esercizi, il giorno prima, e i simboli mi si erano confusi sotto gli occhi. «Non ci ho capito molto.» e poi il mio rapporto col professore di matematica non era mai stato molto buono, ma non solo con lui, fin dai tempi delle elementari tradizionali. Poi Jinjin mi aveva traumatizzata definitivamente, a questo proposito, ma com'era successo a me era successo a tanti altri studenti che riuscivano ad avere una media decorosa. Al contrario della mia, purtroppo. Avevo già rinunciato a vincere anche quest'anno il viaggio a casa. Avevo davvero intenzione di tornare dal nonno, ma nessuno mi vietava certo di andare a trovare anche Natsume, se ne avessi avuto l'occasione. Comunque sapevo bene che il problema non si sarebbe posto affatto, nessuno avrebbe vinto il premio per me stavolta, e anche gli altri desideravano tornare a casa almeno quanto lo volevo io.
«Se non mi ascolti,» Hotaru arricciò le labbra, e mi parve alquanto infastidita. «è inutile che mi chiedi aiuto.»
Ruka-pyon si sporse dal suo banco, subito dietro il nostro. «Sei pensierosa stamattina, Mikan.» osservò, quasi preoccupato. «Qualcosa non va?»
Scossi la testa. «Tutto okay.» e, in effetti, lo era. Non potevo certo lamentarmi: avevo degli amici fantastici e, anche se a volte mi sentivo sola, quando ero in camera mia perché le lezioni erano finite ma Hotaru era in laboratorio e gli altri troppo stanchi per rimanere in piedi, non ero davvero triste. Natsume mi mancava, ma immaginavo che la sua vita fosse più difficile della mia, lui era davvero solo, non come me. Pensai che se lui non si fosse lasciato abbattere, ed ero sicura che era così, non potevo farlo nemmeno io. «Non preoccuparti.»
«Ci preoccupiamo perché pensi.» disse Hotaru, chiudendo i libri con uno schiocco secco. «Non è da te.» Non feci in tempo a rispondere. «Buongiorno.» ci salutò Kisaki-chan, con un bello sbadiglio al seguito.
«Buongiorno!» risposi io, con un sorriso. Hotaru le rivolse un'occhiata e Ruka mosse una mano. Lei si sedette al suo posto, come un sacco di patate, sembrava più stanca di quando ci aveva salutati il giorno prima. «Qualche problema?»
«Un'infinità.» buttò la testa sul banco ed emise un sospiro sconsolato. «Il Preside non c'è e Persona ha pensato bene di usarmi come facchino.» si girò verso di me con sguardo disperato. «Dopo cena ho corso per tutta la scuola con dei fogli in mano. Non ho capito perché proprio durante il mio mandato la gente debba continuare a trasferirsi qui.»
«Ancora trasferimenti?» indagò Hotaru, con la bocca piena del suo amato cervello di granchio. Kisaki annuì. «Insolito.»
«Già...» convenne lei, sbuffando. «A quanto pare, il nostro adorato nano da Londra ci spedisce uno studente con tanto di dottore.» si grattò la testa, con l'aria di chi non ne può più. «Quindi, una montagna di scartoffie da sottoporre a tutti e tre i Presidi, che non hanno nessuna intenzione di schiodare i propri fondoschiena dalle loro poltrone. O dal letto come Hana-hime-sama...»
A letto? «Sta male?» chiesi io, preoccupata. Mi piaceva tanto la Preside delle Medie, anche se era un po' strana era simpatica e per niente terrificante come il Preside delle Elementari o Persona.
Lei mi scoccò un'occhiata scettica. «Ma quale male!» sbottò, tirandosi su. «Prima che entrassi io stava benissimo.» poi fissò tutta la classe con uno sguardo omicida. Sembrava che fosse parecchio arrabbiata. Deglutii. «E mi hanno anche fatto una bella ramanzina, ora che ci penso.»
«A proposito di cosa?» volle sapere Ruka-pyon. Il suo coniglietto gli saltò in testa e si mise seduto sulle quattro zampe, poi sbadigliò.
Kisaki storse il muso, e mi parve contrariata. «Ieri sera.» spiegò, prendendo un bel respiro. «Al casino successo nella mensa. Ho sentito che mezzo dormitorio femminile delle Elementari è stato svegliato da un grido.» sembrava che la ramanzina la stesse facendo lei a noi, in quel momento. Beh, in effetti pensavo di meritarla, dopotutto ero stata io l'unica a gridare ieri sera nella mensa. «Persona mi ha fatto carinamente notare che se non posso spingere la mia stessa classe a seguire le regole, non posso pretendere che lo faccia il resto della scuola. Non ha tutti i torti ma...» sospirò di nuovo. «in ogni caso, ieri sera c'eravate voi là dentro. Si può sapere che ci facevate a mensa a quell'ora, e che diamine è successo?»
«Piovre.» fu la risposta di Hotaru, che richiuse la scatola del suo cervello di granchio e la ripose nello zaino. Io la guardai, risentita: non avrebbe mai smesso di prendermi in giro per la storia della piovra gigante con mille tentacoli. Non era colpa mia se io ero facilmente impressionabile, mentre lei aveva una calma inattaccabile.
«Ho capito,» disse Kisaki-chan e la cosa mi stupì non poco. Come faceva a sapere della piovra? «meglio se non indago oltre, a quanto pare.»
Il nostro professore di matematica entrò in classe e interruppe tutte le conversazioni. Un silenzio di attesa aveva improvvisamente ricoperto tutta la stanza. Sapevamo tutti che adesso sarebbe entrato il nostro nuovo compagno di classe. Dovetti ammettere che io speravo solo sinceramente che avessimo perso un bel po' di tempo durante le presentazioni e che la lezione di matematica andasse quasi tutta persa. Probabilmente c'erano anche altri ragazzi che nutrivano la stessa speranza, ma per qualche motivo mi sentii in colpa. Lanciai inconsapevolmente un'occhiata a Nonoko, che sembrava stare fluttuando a un palmo da terra. «Girati, scema.» mi ordinò la mia migliore amica, con un tono che non ammetteva repliche.
Il nostro professore non si perse in molti convenevoli riguardo al nuovo studente. Gli chiese di presentarsi e lui entrò dalla porta, mettendosi al suo fianco per poi chinare il capo nella nostra direzione.
«Salve a tutti.» esordì, in modo che potessimo sentirlo bene anche dal fondo dell'aula. «Sono Tanaka Yahiro e sarò vostro compagno di classe fino al diploma.» nessuno era sorpreso, dopotutto già lo sapevamo tutti, ma alcuni accavallarono le voci per chiedergli che tipo di Alice avesse. Mi sorpresi che lui avesse capito: io c'ero riuscita solo perché Kitsuneme mi aveva gridato nell'orecchio. Yahiro-kun sorrise. «Non è niente di speciale. Spero che mi aiuterete a imparare a controllarlo...»
«Modesto.» commentò Kisaki-chan, appoggiando il mento su una mano. Sembrava che già lo conoscesse.
Mi girai verso di lei. «Come mai dici così?» le chiesi, curiosa. Lei scrollò le spalle e accennò a lui con la testa, senza sollevarla dalla mano.
«È nelle Abilità Pericolose insieme a me.» lo disse in tono naturale, quasi fosse una cosa da tutti i giorni finire in quella classe di Abilità. A me metteva i brividi solo sentirne il nome, non riuscivo a immaginare come sarebbe stato farne parte e, in tutta sincerità, non avevo nessun desiderio di scoprirlo. «Non so nello specifico che tipo di Alice abbia, ma se è in quella classe, di sicuro non è qualcosa di ordinario.»
Ora che ci pensavo, in effetti, non avevo la minima idea nemmeno di quale fosse l'Alice della mia compagna di banco, nonostante fosse insieme a noi da mesi. Tuttavia, non osai chiedere. «Credo che ce lo direbbe se fosse una minaccia per tutti.»
Lei annuì. «Hai ragione.» concluse, tirando fuori il quaderno di matematica. Non sembrava realmente preoccupata e questo mi tranquillizzò, dopotutto lei era sia la Presidentessa del Comitato Studentesco che uno dei membri della vecchia classe di Natsume, e sapevo che alcune cose che gli altri studenti non potevano sapere, per loro erano notizie ben note.
«Sakura!» mi richiamò il professore, con aria scocciata. Hotaru mi sussurrò che mi aveva chiamata almeno tre volte. Sollevai lo sguardo, impaurita. «Sei qui con noi o a vagare in qualche strana fantasia?» «Scusi...» borbottai, suonando colpevole.
Lui, però, non si lasciò impietosire, e mi lanciò un'occhiata raggelante. Mi impietrii. «Stavo dicendo,» proseguì, distogliendo – per fortuna – lo sguardo da me. «che il tuo vecchio partner, Natsume Hyuuga, era il miglior studente nella scuola.» questo commento suscitò in Hotaru una smorfia. Io decisi di non muovere un muscolo, sperando che il professore si scordasse di me e si mettesse a spiegare. Lo preferivo. «Dovresti aver imparato ogni cosa da lui.» annuii febbrilmente, intenzionata a mostrarmi una studentessa modello almeno nel comportamento ai suoi occhi. «Potrai insegnare bene anche al nostro nuovo ragazzo. E assicurati anche che si metta in pari col programma dove ne ha bisogno.»
Io sbattei le palpebre: non ero sicura di aver capito bene. Io avevo bisogno di qualcuno che aiutasse me a rimanere in pari... «Cioè...» iniziai, incerta. «devo fargli da partner?»
Lui arricciò le labbra. «Già.» disse, e poi si voltò verso la lavagna. «Adesso, finalmente, possiamo cominciare la nostra lezione.»
«Buona fortuna.» era la voce di Hotaru, e io stavo quasi per ringraziarla, ma quando mi voltai verso di lei, mi accorsi che non era a me che si stava rivolgendo, bensì a Yahiro-kun. Gonfiai le guance, offesa: ero io che necessitavo di incoraggiamento, non sapevo da dove cominciare per essere una buona partner e insegnargli quello che doveva sapere! Non avevo idea di come funzionassero le cose nelle scuole superiori tradizionali, perciò pensai di dovermi informare in proposito. Sospirai e aprii anche io il quaderno. Chissà se i miei amici avrebbero voluto darmi una mano...

«Oh, Mikan!» fece Nonoko-chan, non appena mi sedetti a mensa insieme al resto della mia classe. Yahiro-kun mi aveva chiesto se c'era una biblioteca e io gli avevo detto più o meno dove si trovava – anche perché c'ero stata una volta sola, e avevo seguito Natsume e Sumire, per cui non mi ricordavo precisamente dove si trovasse – perché aveva intenzione di cominciare a studiare con i nostri libri. Quando gli avevo chiesto se aveva fame lui aveva scosso le spalle, dicendo che non lo entusiasmava l'idea di essere guardato da tutti gli studenti costantemente ed essere additato subito come “quello nuovo” io non avevo capito dove fosse il problema, ma l'avevo lasciato al suo lavoro senza obiezioni. Pensavo che avrei potuto offenderlo, per cui l'avevo salutato ed ero andata via. «Sei così fortunata!»
La fissai, senza comprendere. «Perché?» vidi con la coda dell'occhio Hotaru alzare gli occhi al cielo.
Nonoko sospirò con aria sognante e si strinse le mani al petto. «Yahiro-kun è così carino!» disse, poi, sbattendo le palpebre ripetutamente. Anna ridacchiò. E ora che ci pensavo, ieri sera lei e Yahiro-kun si sbaciucchiavano nella hall dei nostri dormitori, forse era perché voleva essere lei la sua partner. Il fatto di esserci arrivata così in fretta, mi suscitò la tentazione di scartare quell'ipotesi: sapevo per esperienza che non era praticamente mai quella giusta, se era la prima che mi veniva in mente.
«Già.» convenne Anna, posando la sua forchetta sul tovagliolo accanto al piatto. «Tu sei stata la partner solo di bei ragazzi, Mikan. Davvero fortunata.»
«Oh...» riuscii a dire solo. In effetti, il mio ultimo partner era stato Natsume... sbuffai, e spinsi il piatto un po' più lontano da me. Non avevo più molta fame. «È vero... ma...» mi chiedevo perché io non l'avessi notato. «davvero pensate che Yahiro-kun sia... carino?» a me non sembrava, insomma, credevo che la bellezza fosse qualcosa su cui potessimo essere tutte d'accordo, e invece...
Tutte quante, eccetto Hotaru, ma Sumire compresa, mi fissarono sconvolte. «Diamine, Mikan!» fu Wakako a parlare. Mi stupii: di solito non mi rivolgeva molto la parola, in questi giorni però era diventata piuttosto loquace. «Ma dove li hai gli occhi?»
«Non mangi?» fu, invece, l'intervento di Hotaru. Io scossi la testa, anche se dopo, forse, mi sarei pentita di quella scelta, quando i morsi della fame mi avrebbero tormentata per tutto il pomeriggio. «In ogni caso, non sembra così bello da fare tutto questo chiasso.»
«Bella prova!» commentò Sumire, con una smorfia. «Voi due siete fidanzate con Ruka e Natsume, ci credo che quel ragazzo non vi fa né caldo né freddo.» mischiò il suo cucchiaio nella minestra che aveva di fronte ma nemmeno lei mangiò.
«Sì, ma non c'entra.» obiettò Wakako, stupita. «È una cosa che si vede e basta, anche noi abbiamo ben presenti quei due, eppure...»
«Comunque,» la interruppe Nonoko, che sembrava ancora avere la testa tra le nuvole. «penso di essermi presa una bella cotta per lui.»
«Di già?» chiese Anna, stupita. Hotaru inarcò un sopracciglio, guardandomi, e io pensai che si riferisse a quello che avevamo visto ieri sera. «Non ti sembra un po' troppo presto per dirlo? Si è presentato solo stamattina.»
Sumire si sporse nella direzione di Nonoko, che intanto stava balbettando qualcosa che il rumore della mensa coprii in risposta alla domanda della sua migliore amica. «Ieri sera, poi, dove siete finiti?» sembrava molto curiosa. Ci girammo tutte verso di lei.
Deglutì e fissò me e Hotaru come se cercasse aiuto. Io fissai Hotaru, perché non sapevo cosa fare: la mia migliore amica, però, rimase impassibile e riprese a mangiare dopo lo scambio di occhiate. «Ehm... ecco...» ridacchiò nervosamente Nonoko. «abbiamo... visitato un po' la scuola.» io decisi di non intervenire, magari ancora era troppo presto, secondo lei, per far sapere in giro che si erano fidanzati. Oppure lui la pensava come Natsume, perciò stetti in silenzio, proprio come aveva fatto Hotaru a suo tempo, quando l'aveva capito da sola.
«Uffa...» commentò Sumire, buttando definitivamente il cucchiaio nel piatto con uno schiocco. «avreste potuto portarcelo tu e Yuu, allora. Ci saremmo divertiti, se non altro.»
«Già...» aggiunse Wakako. Incrociò le braccia al petto, guardando la mia amica, sospettosa. «ci siamo fermate lì a non fare nulla, almeno avremmo impegnato la serata. Sei sicura di avergli fatto visitare la scuola?»
Sentii Nonoko deglutire di nuovo. «P-perché?»
Wakako fece una smorfia, come a sottolineare che non le interessava ma lo chiedeva perché non speva che altro fare. «Beh... voglio dire... non vi ho visti in giro quando sono tornata a dormire e una notte è troppo breve per visitare tutto il campus.»
«Oh, avanti!» sbottò Anna, stupendoci tutte. Lei non alzava mai la voce. «Nonoko non avrebbe motivo di mentirci, non credete? E poi è ovvio che non hanno visitato tutto il campus, sono stati al dormitorio maschile, e lei gli ha mostrato la sua stanza. Dopo un lungo viaggio chiunque vorrebbe andare a dormire.»
Nonoko si limitò ad annuire. «Esatto.» mi fissò di nuovo, e io decisi di sorriderle per tranquillizzarla. Sapevo che cosa significava avere un ragazzo in segreto, dopotutto. Mi riproposi di darle qualche consiglio per evitare di essere scoperti, forse avrei potuto farmi aiutare anche da Hotaru, visto che anche lei era fidanzata da molto più tempo con Ruka di quanto si sapesse ufficialmente. «Ma non era di questo che stavamo parlando.»
«Perché,» fu Hotaru a parlare, annoiata. «stavamo parlando di qualcosa di interessante, prima?»
«Beh,» Sumire si spostò i capelli dietro una spalla. «È difficile trovare qualcosa che interessi te, Imai, oltre alle macchine che costruisci.»
Solo allora notai che Kisaki-chan non era a mensa con noi. Mi guardai intorno e la vidi al tavolo con il resto del Comitato Studentesco. Raramente si sedeva con loro, diceva che almeno all'ora di pranzo voleva smettere di lavorare.
«A proposito di macchine!» strillò, eccitata, Anna, muovendosi sulla sedia. «Si avvicina il l'Alice Festival, non è meraviglioso? Un paio di settimane e le lezioni saranno sospese per i preparativi!»
Un sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra. «Hai ragione!» mi misi a saltellare anche io sulla sedie per la contentezza: non vedevo l'ora di distrarmi un po' dallo studio intensivo che stavamo facendo quell'anno nonostante non fosse iniziato da molto. «I vostri gruppi hanno già pensato a qualcosa da fare?»
Tutte quante scossero la testa e, in effetti, era ancora un po' presto, forse. Gli altri anni, ora che ci pensavo, quando Tsubasa-sempai era eccitato quanto me riguardo a questo evento, avevamo già pianificato tutto da almeno una settimana. Chissà come ci saremmo ridotti quest'anno, senza di loro si prospettava tutto un po' meno divertente. «Nessun evento è stato ancora deciso.» osservò Hotaru. Immaginai che quello della nostra classe fosse l'unico evento a cui avrebbe preso parte attivamente. Dopotutto, quest'anno era un anniversario importante della fondazione della scuola, e ad un sacco di persone importanti – più degli altri anni, se non avevo capito male – era permesso varcare i cancelli della nostra scuola per assistere al Festival e alla contemporanea esposizione di creazioni delle Abilità Tecniche. Ero curiosa di sapere quante invenzioni avrebbe venduto la mia amica, le sue erano davvero eccezionali!
«Ora che mi viene in mente!» interruppi la conversazione che le ragazze avevano intrapreso sul Festival e mi battei un pugno sull'altra mano aperta. «Nonoko-chan se il nostro nuovo studente ti piace così tanto, perché non chiedi al Preside di assegnarti come suo nuovo partner?»
Lei sembrò sorpresa dal cambio di argomento e arrossì. «Perché?»
«Beh, io non sono molto brava.» ammisi, ricordandomi di tutte le lamentele del mio vecchio partner. Giocai un po' col bordo del mio bicchiere, pensando inoltre che non volevo che qualcuno lo sostituisse, anche se lui non era più a scuola. «E tu sei sicuramente una studentessa migliore di me. Come posso aiutarlo? Non ho saputo nemmeno dirgli per bene dove sta la biblioteca...»
«Abbiamo una biblioteca?» fu Wakako a domandarlo. Hotaru gettò via le posate e si alzò dal tavolo, annunciando che se ne andava. Io annuii, sentendomi un po' in tensione, per qualche motivo. Mi consolai, al tempo stesso, perché almeno sapevo di non essere l'unica a non averlo mai notato.
«Credi che possa?» mi chiese Nonoko, dubbiosa. «Penso che ci voglia una ragione valida per cambiare partner, se ti viene assegnato da un professore...»
«Chi è che vuole cambiare partner?» la voce di Kisaki-chan interruppe la nostra conversazione. Ci girammo tutte a guardarla, sembrava che avesse fretta.
«Prez.» la salutò Sumire, arricciando le labbra, forse alla vista della sua divisa scomposta, o forse della grossa macchia di zuppa sulla gonna. «Quali buone notizie ti portano da noi?»
Lei non le ripose, forse presa dal compito che doveva assolvere. «Qualcuno sa dov'è finito quello nuovo? A quanto pare hanno sbagliato a registrare i suoi dati, e mi serve, prima che Persona torni a ricordarmelo.»
«In biblioteca.» risposi io, chiedendomi se tutte quelle visite da parte del professore delle Abilità Pericolose non le sembrassero un tantino preoccupanti. Il suo Alice mi metteva i brividi, anche se non l'avevo mai visto usarlo.
«Hanno sbagliato i dati?» si interessò Nonoko. «In che senso?»
Kisaki lanciò un'occhiata al foglio che aveva in mano. «La scuola e il suo Alice.» rispose, in tono spiccio. «Non ho capito quale sia il problema, in ogni caso devo andare. Ci vediamo domani a lezione.» sgusciò via velocemente, così com'era arrivata.
«Tipa strana, quella.» commentò Wakako, per poi tornare a dedicarsi al suo dessert. Era talmente invitante che lo mangiai anche col blocco allo stomaco che mi ritrovavo. Avrei voluto fargli una foto anche per quant'era bello, ma non avevo con me la macchina fotografica.

Quel pomeriggio, a lezione con la mia classe di Abilità, però, la portai con me. Volevo riguardare un po' le foto della sera della “festa” magari avrei trovato una prova a mia discolpa per aver urlato per nulla. Ne dubitavo, dal momento che avevamo già chiarito che erano tutte illusioni create dal nostro capoclasse – e speravo ardentemente che fosse davvero così – o avrei avuto un altro motivo per preoccuparmi ad andare in giro la notte, oltre a Mr. Bear e ai fantasmi che si aggiravano per la sua foresta. Per il corridoio mi scontrai con qualcuno.
«Fai attenzione, Mikan!» era la voce di Hotaru, che stava scrivendo sul suo solito taccuino, prima che io la investissi, letteralmente. Mugolai delle scuse, mentre mi stringevo al petto il mio portafoto. Lei inarcò un sopracciglio. «Che ti prende? Perché lo stringi come se fosse un bambino?»
Io alzai lo sguardo. «Eh?» fissai l'oggetto tra le mie braccia e lo allontanai un po' da me. «Mi è presa paura!»
L'espressione interessata scomparve totalmente dal suo volto. «E io che credevo che tu e il tuo ragazzo steste usando il mio regalo per comunicare.» sbuffò lei, quasi delusa. «Pensavo che almeno tu lo stessi facendo, dopotutto hai la macchina, e le foto si registrano su entrambi.»
Sbattei le palpebre, improvvisamente confusa. «Hotaru-chan... che... stai dicendo?» non riuscivo a capire come potesse essermi questo d'aiuto. Vidi la mia migliore amica sbuffare.
«Immagino che avrei dovuto dirtelo prima, dopotutto...» commentò, alzando gli occhi al cielo. «Aspettare che tu ci arrivi da sola è come sperare che i maiali si mettano a volare.» mi prese il portafoto dalle mani e me lo sventolò sotto al naso. «Questo qui ce l'ha uguale Natsume, dico bene?» io annuii. «Allora le foto che fai le vede anche lui. Stop. Tutto qui, quindi hai un modo per fargli sapere che stai bene, giusto?»
Spalancai gli occhi, dandomi dell'idiota almeno un migliaio di volte. «Accidenti, Hotaru!» la scossi con una mano, per dimostrarle la mia eterna gratitudine. Se l'avessi abbracciata avrei rischiato di distruggere il portafoto insieme alle mie ossa e ai miei principali organi interni a causa di qualche strana invenzione anti-Mikan. «Sei un genio! Come farei senza di te? Devo subito mettermi a lavoro!»
«Era ora.» commentò lei, in tono annoiato. «Avresti dovuto esserci arrivata da settimane.» ovviamente, era troppo ottimista. Mi sarei dovuta mettere a scrivergli una lettera durante la lezione con Noda-sensei, ammesso che non ci fosse perché era a spasso nel tempo e che non facessimo nulla, dato che quella sera ero impegnata con la lettura della favola a Miyako. Anche se ancora non avevo raggiunto i livelli di bravura di Natsume, almeno avevamo smesso di ripetere intere sequenze di storia perché non ci mettevo abbastanza emozione. Anche così, però, ci mettevo molto tempo, e non potevo permettermi di andare a letto troppo tardi, anche perché mi addormentavo in classe già con otto ore di sonno, figurarsi cosa avrei potuto fare con qualche ora di meno. In ogni caso, dovevo farlo per forza.
Ora, però, sorgeva il problema più pressante. «Cosa pensi che dovrei scrivergli?» insomma, avrei dovuto scrivergli che cosa mi era successo durante il tempo in cui non ci eravamo visti? Oppure questo gli avrebbe fatto sentire troppo la mancanza della scuola e dei nostri amici? Era davvero un gran bel dubbio.
«Che cosa vuoi che possa saperne io?» sbuffò lei, oltrepassandomi. «Sei tu la sua fidanzata, quasi scommetto che qualunque cosa scriverai andrà bene.»
Abbassai la testa. «Spero che tu abbia ragione...» ma lei già era scomparsa oltre l'angolo, verso il suo laboratorio. Sospirai, sconsolata, chi avrebbe potuto mai aiutarmi, se non lei? Tutti gli altri erano impegnati con le loro classi di Abilità, il che mi fece pensare che lo ero anche io, e avrei fatto anche bene a sbrigarmi.
Quando raggiunsi la classe e aprii la porta, trovai i ragazzi tutti riuniti intorno a Noda-sensei, mentre ascoltavano attentamente quello che diceva, quasi a pendere dalle sue labbra. Mi avvicinai, mettendo il portafoto nella borsa per non dimenticarlo da qualche parte.
«Forte!» fu il commento di uno dei miei compagni, stupito. «E io che credevo che fossero solo storie per spaventare i bambini.» sembrava che fosse il tema della mia giornata. Che sfortuna.
Nodacchi scosse le spalle, come se anche lui non sapesse la risposta. «Il bello è che non so se sognavo o se viaggiavo nel tempo...» lo disse come se ci stesse pensando solo in quel momento. «O entrambe le cose!» ridacchiò e si complimentò con se stesso per la fantastica battuta. Io non capii, forse perché non avevo idea di quello di cui stavano parlando. «Oh, Mikan, sei arrivata!»
Io ero tra gli studenti più grandi della mia classe di Abilità, ce n'erano forse altri due del terzo anno, ma non venivano mai. Tutti i componenti della classe, o almeno per la gran parte, erano studenti delle Medie, che all'inizio avevano guardato a me come se fossi stata il loro mentore, le volte che Noda-sensei non si presentava. Non c'è da stupirsi che io li abbia delusi molte volte, specialmente quando mi chiedevano di mostrare i terribili poteri celati dietro il mio Alice, quando non c'era molto da far vedere. Dopo due o tre volte avevano smesso di chiedere, ma sospettavo che credessero che non volevo mostrargli i miei trucchi, perché mi guardavano piuttosto diffidenti. I bambini delle Elementari, invece, erano semplicemente adorabili!
«Mikan-sempai!» mi chiamò uno di loro, che era appena entrato nella Sezione Elementare, tirandomi l'orlo della gonna. «Mikan-sempai ho sentito che tuo marito è partito.»
Risi, abbassandomi alla sua altezza. «Mio marito?» domandai, per essere sicura di aver capito bene. Il bambino annuì. «Natsume?» lui continuò a fare cenno di sì con la testa. «Già, si è diplomato e ha dovuto lasciare la scuola.» mi accorsi di aver riassunto in poche parole un sacco di mesi.
«Sì, ho sentito che tanti studenti lo dicevano.» continuò lui, allargando le braccia, come se volesse farmi vedere quanti studenti l'avevano, effettivamente, detto. «Sei triste, Mikan-sempai?»
Gli scompigliai i capelli, lentamente. «Un po'.» ammisi, però cercai di sorridergli. Era così dolce, che sembrava impossibile non farlo.
«Non ti preoccupare, sempai!» cominciò a saltellare per la foga con cui stava dicendo quelle parole. «Diventerò io tuo marito se lui non torna!»
Gli altri bambini risero, e con loro anche un paio di studenti più grandi. «Sei genitle,» osservai, cercando di non ferire i suoi sentimenti, in fondo come potevo accettare quella richiesta? «ma...»
«Lui è il suo principe azzurro!» obiettò Miyako, sulla porta. Mi girai, spaventata: non mi aspettavo che si presentasse da noi. Non era ufficialmente parte della classe di Abilità Pericolose perché non aveva un vero e proprio Alice che potesse nuocere agli altri, però di solito alle lezioni non veniva mai. Aveva stretto amicizia con i nuovi bambini arrivati da poco come lei, e per questo cercava di intrufolarsi nella classe di Persona piuttosto che stare con noi. «Non puoi sostituirlo.»
Lui sporse il labbro inferiore, offeso. «Quando crescerò lo farò!» obiettò, però, prima di tornare a sedersi, si parò di fronte a me. «Te lo prometto Mikan-sempai!»
Miyako alzò gli occhi al cielo, fissandomi con disapprovazione. «Ho sentito che hai un nuovo partner.» lo disse con un tono che mi ricordò quello di Hotaru. Anche il suo sguardo di ghiaccio era molto simile a quello della mia migliore amica e mi venne la tentazione di indietreggiare. «Anche io sono stata assegnata a un altro bambino.» io mi limitai a sbattere le palpebre, aspettando che mi rivelasse il motivo per cui mi stava guardando così male. Sarebbe arrivato, lo dicevano sempre tutti quando mi facevano quella faccia. «Natsume era il tuo vecchio partner, vero?» annuii. «Non lascerai che quel bellimbusto prenda il suo posto, non è vero?» mi corse incontro e, per un attimo, mi sembrò disperata.
Allargai le braccia per confortarla. «No.» assicurai, in tono serio. «Certo che no.»
Lei sembrò approvare, perché mi fissò più soddisfatta. «Bene,» commentò. «perché lui mi ha chiesto di tenerti d'occhio e io ho intenzione di farlo.» ridacchiai, pensando, però, a come gli fosse venuto in mente di caricare una bambina così piccola di una simile responsabilità.
«Miyako-chan ci sei anche tu!» fu Noda-sensei che interruppe la nostra chiacchierata. «Stavo giusto parlando della fondazione della scuola. Vi va di sentire la storia?»
Mi feci più interessata. Non ne avevo mai sentito parlare. «La fondazione della scuola?» ripetei, incredula. Forse non avrei dovuto suonare così stupita, magari era anche nel programma di studi, ma forse delle Elementari, e io non mi ricordavo nemmeno cosa avevo mangiato a colazione quella mattina.
Lui annuì. «C'è una leggenda che ne parla.» mi disse lui, per poi prendere in braccio Miyako e portarla tra gli altri bambini. «E così sono andato a vedere com'è successo davvero.»
Aggrottai la fronte. «Perché l'hai fatto?» volli sapere, curiosa. Insomma, era una leggenda per mantenere l'alone di mistero, se lui andava direttamente a vedere cos'era successo davvero perdeva tutta la magia. Alla fine, comunque, spinse anche me a chiedermi quale fosse la realtà, o meglio, quale fosse la storia, perché non la conoscevo neanche un po'.
Lui scrollò le spalle, di nuovo. «Mi annoiavo.» spiegò, con semplicità. «Stavo leggendo un libro sulla fondazione della Alice, circa sessant'anni fa e... mi sono detto... perché no? Potrebbe essere interessante, Noda... prova, così avrai...»
«Ehi!» lo interruppe Miyako-chan, tirandogli i pantaloni per attirare la sua attenzione. «Dai, diccelo e basta!»
Tutti gli altri obiettarono, perché era una storia che avevano già sentito, ma il professore li zittì con un gesto della mano. «Coraggio, bambini, non vi ho detto la parte migliore.» la stanza si riempì di silenzio, prima che Noda si mettesse a raccontare. Anche io mi stavo quasi mangiando i gomiti per la curiosità e non vedevo l'ora che iniziasse.
«Dunque, come ho già detto, sessant'anni fa, anno più, anno meno, fu fondata la Alice Academy di Tokyo da tre Alice che poi, come potete ben immaginare, diventarono i primi tre Presidi della nostra scuola. Tanto per chiarire, questa è stata la prima Alice Academy del mondo.» non dissi nulla, anche se non lo sapevo, e lo incitai ad andare avanti. «Contrariamente a quanto scritto su tutti i libri di storia, ho scoperto che non c'erano molti studenti, nei primi dieci anni, e che la sezione Elementari era completamente vuota. Capisci, Mikan? Del tutto. Niente bambini.»
Mi chiesi perché mi sembrasse decisamente inquietante e perché si stesse indirizzando a me in modo particolare. «E come mai?» chiesi, con un po' d'ansia. Noda-sensei si limitò a dire una parola:
«Boh.» fece sorridere tutti gli altri, ma io rimasi stupita. Forse era uno di quei dettagli inutili che interessavano solo me e che non erano di nessuna importanza, come diceva spesso Natsume. «In ogni caso, poi, si è popolata. I figli degli Alice che hanno frequentato la scuola e i loro figli, hanno cominciato a frequentare l'Accademia, ed eccoci qui.»
«Beh?» fece un altro bambino, scocciato. «È esattamente quello che hai detto a noi. Dov'è la “parte migliore”?»
Noda sorrise. «Hai ragione figliolo.» e subito dopo scomparve, lasciandoci tutti di stucco. I bambini più piccoli cominciarono a protestare, mentre quelli un po' più grandi si lamentavano di essere stati presi in giro. Noda-sensei era famoso per le sue sparizioni al momento opportuno, dopotutto.
«Così non vale!» fu, invece, il commento di Miyako-chan, con le braccia conserte, quasi offesa. «Non può andarsene nel bel mezzo di un racconto! Sembrava interessante.»
«Secondo me,» intervenni, per cercare di calmarla. «è meglio così. Ci sono delle storie che è meglio che rimangano misteriose, per suscitare un po' di interesse. Insomma, anche nelle favole non si sa cosa succede dopo l'ultima pagina. È bello perché puoi immaginarti quello che succede dopo.»
«Sì,» convenne lei, con un adorabile broncio stampato in faccia. «ma questa roba è completamente diversa!»
Fu il mio turno di aggrottare la fronte. «Perché?»
Lei fece un sospiro paziente. «Perché le favole non sono cose successe per davvero!» lo disse come se fosse scontato. «Immaginarsi un finale o un altro non fa alcuna differenza! Se è successo veramente, invece, sì. La storia è storia, se io me la immagino in un modo ma è andata in un altro è una cosa completamente diversa.»
Mi accorsi di non averla mai vista in questi termini. Mi chiesi che cos'avrebbe detto Natsume su un'osservazione del genere, perché io rimasi in silenzio, non sapendo come ribattere. Lanciai subito un'occhiata alla mia borsa, ricordandomi della lettera che dovevo scrivere.
«Mikan-sempai...» mi chiamò un ragazzino delle Medie, quasi come se avesse paura di dire qualcosa. «domani noi abbiamo un compito in classe... non è che potremmo andare via per studiare?» io scrollai le spalle: non sapevo come avrebbe reagito Noda-sensei a una richiesta simile, ma come potevo tenerli lì a non fare niente? «Quindi... possiamo andare?»
«Certo, perché no?» lanciò un'occhiata strana ai suoi amici e la cosa mi fece preoccupare, per qualche motivo. Quando uscirono dalla porta, ero ancora sospettosa, ma Miyako mi distolse da quei pensieri, facendomi la stessa domanda. «Immagino che possiamo andare via tutti, sì... sarebbe utile poter usare questo tempo per studiare.»
Tutti gli altri si guardarono vicendevolmente e scoppiarono a ridere. Avrei tanto voluto sapere che cos'avevo detto di così sbgliato o divertente. Mi limitai a sorridere e a precedere gli altri fuori dalla porta, solo per non fare la figura di quella che non ha capito un tubo.

Caro Natsume.
Il foglio stava di fronte a me, bianco immacolato, se non per quelle due parole. Ma... “caro Natsume”? Potevo davvero iniziare una lettera per lui in quel modo? E se non potevo farlo, in che altro modo avrei dovuto cominciare? Mi misi la matita in bocca, pensierosa: lui che cos'avrebbe scritto se fosse stato al posto mio?
Per qualche ragione, non riuscii a immaginarmi Natsume che scriveva delle lettere, se non come il pervertito che era diventato a San Valentino, che avrebbe cominciato una lettera o con “mia adoratissima Mikan” o “luce dei miei occhi”. Sorrisi, fissando la rosa ormai morta da giorni che mi aveva regalato quella volta: mi ero dimenticata di curarla e adesso si era tutta rinsecchita. Un po' mi dispiacque, ma nemmeno il potentissimo innaffiatore-robot che aveva inventato Hotaru per piante capitate nelle mani inadatte – così aveva detto lei – aveva potuto fare niente contro la mia sbadataggine.
Tornai a fissare il foglio. Caro Natsume. No. Scarabocchiai le due parole e poi andai accapo: mi serviva qualcosa di meno formale, qualcosa che non mi facesse immaginare lui che scoppiava a ridere e non la finiva più per quant'ero stata stupida.
Ehi, Natsume! La scarabocchiai subito dopo averla scritta. Troppo colloquiale, era addirittura peggio del classico inizio. Ma allora che potevo fare? Col nonno era sempre stato molto più facile, sapevo bene che era un tradizionalista, per cui “Caro nonno” era assolutamente d'obbligo!
Mi accasciai sulla scrivania, mentre i libri di matematica mi guardavano in modo minaccioso, mentre io li ignoravo deliberatamente, lasciandoli accatastati alla mia destra per fare posto al foglio su cui stavo cercando di scrivere qualcosa al mio ragazzo. E senza alcun successo.
Come va? Anche questo non sopravvisse molto a lungo. Decisi di girare il foglio dall'altra parte e nascondere i miei tentaitvi falliti, sperando che la smettessero di influenzarmi.
Fu dopo dieci minuti di mente vuota come un tubo di vetro che decisi semplicemente di essere sincera, dopotutto, questa era l'unica cosa che non poteva essere un problema... giusto? In ogni caso, quale che fosse la sua reazione, non l'avrei mai conosciuta, dato che potevo scrivere solo io e lui poteva solo leggere. Da una parte era un bene, dall'altra assolutamente frustrante: come avrei fatto io a sapere se lui stava bene? Avrei chiesto alla mia migliore amica in un altro momento, visto che lei sembrava avere le idee più geniali di questo mondo.

Ho riflettuto a lungo su come iniziare a scrivere, e devo ammettere che non mi è venuto in mente. “Caro Natsume” e “Hey, Natsume!” non sembravano delle scelte valide per iniziare una lettera del genere. Comunque sia, Hotaru mi ha dato questa fantastica idea e adesso ti sto scrivendo per farti sapere un po' come vanno le cose da quano sei andato via. E poi devo anche giustificare quelle foto orribili di qualche sera fa!
Ero sicura che avrei trovato la prova della piovra gigante, te la ricordi? Quella di cui ci parlavano sempre quando eravamo bambini per convincerci a non allontararci dai dormitori di sera tardi. Come hai ben visto, insomma, non ho nessuna prova, e Sumire mi ha anche detto che non esiste. Ma che l'abbia fatto per tranquillizzarmi? Ancora non lo so, ma forse è meglio che io non lo sappia, a volte sa essere così poco chiara!

Strillai di eccitazione quando mi accorsi che, dopo la difficoltà dell'inizio, le parole sembravano scorrere via dalla penna quasi non avessi neanche il tempo di pensarle. Era una bella sensazione avere così tante cose da dire.

E poi, oggi, Noda-sensei ci ha raccontato la storia della fondazione della scuola anche se i bambini non ne sono rimasti entusiasti. Ma lo sai che...

Gli raccontai tutto, senza tralasciare nemmeno i più piccoli dettagli, per quanto bene potessi ricordarmi io stessa, ovviamente. La penna si bloccò improvvisamente quando stavo per parlargli del mio nuovo Alice, perché pensai a come avevo reagito io alla notizia, o meglio, di come ancora non avessi metabolizzato la cosa, e mi sembrasse impossibile che fosse vero. E poi, se anche avessi provato a spiegargli come aveva fatto con me il Preside delle Superiori, non sapevo se sarei stata in grado di esprimermi tanto bene come aveva fatto lui per convincermi che non faceva così schifo come sembrava. Se gli avessi detto che potevo rubare i poteri agli Alice come avrebbe reagito?
Scossi la testa: non potevo dirglielo. Così ripiegai sul nuovo studente, sentendomi contemporaneamente in colpa per il fatto di sapere che gli stavo nascondendo qualcosa di mia iniziativa.

*****

!Attenzione! XD
Questo capitolo è spezzato in due e, anche se perderò la continuità tra i due POV e un po' mi dispiace, se avessi pubblicato il capitolo tutto insieme sarebbe risultato troppo pesante. In ogni caso, l'ho detto solo per avvisare che il prossimo non è Natsume come ci si aspetterebbe ma sempre la nostra Mikan.
Lo so che con lui è più facile fangirleggiare – io sono la prima, eccomi! XD – ma adesso tutti(e) voi avreste bisogno di una flebo e io di uno psichiatra molto bravo :P
Mi sono pure specializzata e ho trovato il modo per ingrandire il testo *mwhahahahahaha* mi sento strafiga al momento, sì ù.ù anche se nessuno se n'è accorto perché sono passati tipo cinque o sei mesi dall'ultima pubblicazione *scappa in un angolino sperando che nessuno la veda e la prenda a sprangate*
Comunque, chiudo il becco, ci vediamo tra... un paio d'anni luce (?) con la seconda parte (che preventivavo di aver già scritto una volta pubblicata questa ma, ovviamente, non è così). Tanto per ribadire che sono un'autrice diligente – non mi smentisco mai!
♪ ♫ Pigriziaaa portami viaaa ♪ ♫
Vabbè... sono fuori ed è il caso che la smetta.

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Capitolo 24
*** Pettegolezzi e problemi (parte 2) ***


Capitolo 23 - Pettegolezzi e problemi
(Mikan)


Parte 2

Sbuffai, le lettere erano troppo difficili da scrivere! Adesso che gli avevo raccontato tutto dovevo trovare una conclusione, ma... quale? “Beh, ci sentiamo”? “Per sempre tua”? Su quella avrei scommesso la sua faccia disgustata, seguita da un'espressione accigliata, perciò decisi di lasciarla, almeno per ora, incompleta, in modo da poter chiedere consiglio ad Hotaru o alle altre mie amiche.
Chissà se loro erano più esperte di me in lettere per un ragazzo, anche se non si trattava di uno qualunque ma di Natsume, e tutti sapevamo che carattere particolare avesse. Ogni tanto gli altri dicevano che era scontroso, e forse era così, ma negli ultimi tempi avevo cominciato seriamente a trovarlo adorabile, specialmente da quando non ce l'avevo più intorno.
Rilessi la lettera un paio di volte, solo per scrupolo: non volevo che si capisse che mi mancava, sapevo bene che Natsume non dimostrava affetto a parole o gesti espliciti, è sempre stato più il tipo che pensa al bene delle persone a cui tiene, e fargli sapere che ero triste perché non potevo più stare con lui, l'avrebbe sicuramente impensierito. Mi rendevo conto che non poteva tornare da me come e quando voleva, perciò avere solo vagamente l'idea che l'avrei voluto vicino anche fisicamente l'avrebbe spinto a trovare un modo per vedermi. E si sarebbe messo nei guai, di sicuro. L'aveva sempre fatto fin da bambino, per me e per Ruka-pyon.
Presa da un moto di nostalgia, afferrai il mio portafoto, e feci scorrere qualche immagine finché non trovai quella che stavo cercando: Natsume dormiva steso sul mio letto, si prendeva praticamente tutto lo spazio come al solito, ma l'espressione calma e rilassata mi aveva colpito in modo particolare e l'avevo immortalata: appariva così dolce e indifeso da fare tenerezza... e reale, tanto che sembrava quasi di poterlo toccare davvero. Sfiorai il vetro quasi inconsapevolmente, mentre la foto successiva prendeva il posto di quella che stavo guardando. Lui era praticamente nella stessa posizione ma sveglio, il fastidio era ben visibile nella sua espressione, e ricordai che mi aveva detto, dopo che gli avevo mostrato gli scatti, che erano imbarazzanti e mi aveva praticamente ordinato di cancellarli.
Ovviamente, non l'avevo mai fatto, e per fortuna lui non l'aveva più chiesto, perché ero un'incapacissima attrice e lui avrebbe capito subito, come quella volta che mi aveva regalato i nastri per capelli, e io non avevo saputo aspettare.
La sveglia suonò lasciandomi spiazzata: avevo pensato a scrivere la lettera tutta la notte? E adesso come avrei fatto a sopportare tutte quelle ore di lezione senza cadere addormentata sul banco?
Mi immaginavo Hotaru prendermi a gomitate, cercando, invano, di svegliarmi. Ma poi mi accorsi che, probabilmente, mi avrebbe lasciata dormire per rimproverarmi a lezione conclusa. Sospirai, fissando la sveglia che non aveva intenzione di accontentarmi e spostare le lancette qualche ora indietro per farmi recuperare un po' di sonno, e mi stiracchiai.
Con un sonoro sbadiglio, mi alzai e presi la divisa di scorta e l'occorrente per farmi una doccia. Dopo una notte completamente insonne, era senz'altro quello che ci voleva.

«Buongiorno.» biascicai, prendendo posto davanti a Hotaru, come quasi ogni mattina. Appoggiai la testa sul tavolo della mensa, e mugolai.
«Stai sbavando.» mi avvertii la mia migliore amica, con tono incolore. Stava immergendo le sue bacchette nel riso. «E non è un bel vedere, specialmente se stai mangiando.»
«Scusa.» borbottai, sollevandomi, con un sospiro. Cercai di stiracchiarmi ancora, senza allargare troppo le braccia per non rischiare di prendere a pugni i miei vicini, e mi ripetei mentalmente di non fare mai più una pazzia del genere.
«Mikan-chan.» mi chiamò Ruka-pyon, sempre premuroso. «Perché hai quella faccia? Sembra che tu non abbia chiuso occhio.» io mi limitai ad annuire, mentre bevevo il mio tè. «Sei preoccupata per i test di fine semestre?»
Quasi soffocai. «T-test di fine semestre?» chiesi, più per la speranza che avessi sentito male che per reale conferma.
Hotaru alzò gli occhi al cielo. «Sì, Mikan, esattamente come tutti gli anni.» posò le bacchette accanto alla ciotolina del riso e mi rivolse i suoi occhi di ghiaccio. «C'è ancora parecchio tempo, comunque, e non è da te preoccuparsi per lo studio, quindi... che ti prende?»
Scrollai le spalle. «Cercavo qualcosa da scrivere a Natsume.» spiegai, poi. «Ma più leggo la lettera che gli ho scritto, meno mi sembrano cose interessanti. Chissà che sta combinando lui, là fuori... insomma, potrebbero sembrargli insignificanti le faccende che succedono qui. O forse non gli importa...»
«Non dire sciocchezze.» mi ammonì Ruka-pyon, serio. Sembrava volermi rimproverare davvero. «A Natsume importa di quello che succede qui, altrimenti non se ne sarebbe mai andato. Secondo me scrivergli è stata un'ottima idea, più che annoiato si sentirà solo.»
Mi accorsi di non averci mai pensato molto a lungo, anzi. Il solo pensiero che Natsume potesse sentirsi solo stonava con la sua personalità, non riuscivo a credere che sentisse la mancanza di qualcosa o di qualcuno, anche se era perfettamente plausibile. Di nuovo, annuii e basta, sentendomi improvvisamente in colpa per aver pensato solo a me stessa.
«Potresti avere ragione.» intervenne Hotaru, appoggiando il viso su una mano. «Anche se Natsume non è certo un sentimentale.» per qualche ragione, Ruka-pyon arrossì.
Io sbattei le palpebre: in effetti non lo era, almeno non in pubblico. «Ho capito.» dissi, allora, anche se non ero certa di aver afferrato il senso del discorso. «Adesso devo solo trovare una buona conclusione.» «Piantala di farti tutti questi film mentali.» sbuffò la mia amica, spazientita. «Tutti questi problemi per una stupida lettera, e non hai nemmeno dormito per questo.»
«Non capisco perché ti scaldi tanto...» osservai, dispiaciuta. Sembrava che non ne facessi una giusta quella mattina.
Ruka-pyon sorrise. «È solo preoccupata per te.» mi disse, comprensivo. «Lo siamo tutti e due, Mikan. Non hai parlato molto di lui da quando se n'è andato.» non avrei saputo cosa dire, ad essere sincera. Non era giusto tempestare i miei migliori amici con le mie paranoie.
«Piantala.» borbottò Hotaru, dandogli una leggera gomitata. Lo sguardo dolce che lui le rivolse mi fece sentire di troppo ed ebbi l'impulso di alzarmi e allontanarmi da lì. «Comunque,» rivolse l'attenzione a me. «perché non sei venuta subito da me quando ti sei accorta di non riuscire a tirare fuori niente di intelligente?»
Deglutii. «Non mi sono affatto accorta del tempo che passava.» confessai, sentendomi un po' stupida. Avevo pensato così a lungo alla cosa giusta da dire che avevo passato la notte a farlo e nemmeno me n'ero resa conto. Sì, suonava decisamente sciocco. «La prossima volta correrò da te, promesso.»
«Ma non ci fare l'abitudine.» rettificò lei, con un sorrisetto. «Mi ero quasi abituata a non avere più rompiscatole tra i piedi.» si alzò e il suo ragazzo la seguì, dopo avermi rivolto un cenno di saluto.
Io feci una smorfia offesa. «Hotaru!»

Mi spalmai sul banco come se fosse stato un cuscino, sperando di avere almeno un paio di minuti di relax prima che le chiacchiere dei miei compagni mi arrivassero alle orecchie. Non c'era ancora nessuno quando ero entrata in classe, e la cosa era parecchio bizzarra visto che ero sempre l'ultima a varcare la soglia, in ogni caso era riposante quel silenzio, sembrava quasi che l'intero edificio fosse vuoto.
Ovviamente, non lo era.
La porta si spalancò subito dopo e il vociare di alcune mie compagne di classe riempì l'ambiente. Sollevai, stancamente, lo sguardo e vidi Sumire, Wakako, Anna e Nonoko davanti alla porta, a parlottare di qualcosa. L'argomento mi era oscuro.
«In effetti, hai ragione.» stava dicendo Wakako, prima di ridacchiare. «È carino, ma è un po' strano.»
Sumire fece una smorfia. «Già girano pettegolezzi su di lui e Mikan.» non sembrava felice per la cosa, e io mi domandai che c'entrassi in quel discorso strano. «Eppure tutti sanno che è...» fece uno strano movimento con le sopracciglia, e tutte le altre annuirono.
«Già.» osservò Nonoko, cupa. «mi domando solo perché ce l'abbia tenuto nascosto.» io non mi mossi, anche se non sembravano avermi notata e ascoltai.
Anche Anna sembrava preoccupata per qualcosa. «Secondo me,» intervenne, con un sospiro. «si vergogna... insomma, ha solo diciassette anni, chi di noi vorrebbe ritrovarsi in una situazione del genere? Scommetto che è un grosso peso.» probabilmente, mi dissi, stavano parlando di Natsume e della sua lontananza, che carine che erano a pensare a me!
«Sicuro.» confermò Sumire, con convinzione. «Ma il peso è più leggero se lo condividi con le amiche.» girò la testa verso la classe e sembrò sorpresa. «Oh, Mi-Mikan...»
Le altre sembrarono a disagio. «Ehilà.» le salutai, abbozzando un sorriso, ma le palpebre mi si stavano abbassando da sole, e dovevo avere anche gli occhi gonfi per la mancanza di sonno. Si fiondarono tutte su di me, compresa Wakako, anche se non mi era mai sembrato che le piacessi molto. Erano tutte preoccupatissime, e le loro voci si accavallarono l'una sull'altra, impedendomi di capire.
«Mikan, come stai?»
«Cosa è successo?»
«Stai male?»
«C'è qualcosa che possiamo fare per te?»
«Vuoi bere qualcosa di fresco?»
«Perché non sei rimasta in camera a rilassarti? Lo sai che non ti devi affaticare!»
«Sai già la data per la prima radiografia?»
«Pensi che sia maschio o femmina?»
«Hai già le nausee?»
«Ma è vero quello che dicono di te e di quello nuovo?»
«Ragazze!» le interruppi, confusa. «Che state dicendo? Quale radiografia? Quello nuovo? Non l'ho più visto da quando mi ha chiesto dov'è la biblioteca, perché?»
Loro si scambiarono un'occhiata bizzarra. «Mikan...» fu Nonoko-chan a parlare. Mi prese una mano e la strinse, con delicatezza e partecipazione. «non c'è più bisogno che ce lo nascondi... ormai lo sa tutta la scuola.»
«Che cosa?» chiesi, curiosa. Io non stavo nascondendo niente, se non che Natsume si era diplomato in anticipo per fare qualcosa per il Preside delle Elementari, ma come facevano tutti gli altri a saperlo, se era un segreto della classe di Abilità Pericolose?
«Oh, andiamo!» sbottò Sumire, sbattendo una mano sul banco. «Già l'altra volta a Central Town hai fatto finta di niente e io non ho più chiesto per rispettare la tua privacy, ma ormai lo sanno tutti che aspetti un bambino.» si spostò i capelli dietro una spalla, con una strana smorfia in viso. «Il figlio di Natsume.»
Non risposi, scioccata. Non riuscivo a credere che quell'incidente avesse generato voci tali da far diffondere la falsa notizia per tutta la scuola. Come potevo risolvere un problema del genere? E, soprattutto, chi aveva diffuso la voce? Perché tutti quanti ci avevano creduto subito?
«Mikan...» fu il titubante intervento di Anna. «perché non ci hai detto nulla?»
«Avremmo potuto aiutarti.» rincarò la dose Nonoko, convinta. «Anzi, da adesso puoi contare su di noi. Siamo tue amiche.» mi fece l'occhiolino. «E le zie del bambino... o bambina. Quello che sarà, insomma.»
«Ragazze...» sussurrai, commossa dalle loro parole. «mi dispiace, ma... io non aspetto nessun bambino.» «Cosa?» stavolta sembrava essere Wakako quella scioccata e me ne chiesi il motivo. D'accordo che tutti lo credevano ma perché questa reazione esagerata? «Mikan, tu... hai perso il bambino?»
«Eh?»
Di nuovo fui sommersa dalle loro voci, e non capì più chi stesse parlando. Erano tutte concitate e con delle espressioni terribilmente dispiaciute stampate in faccia, addirittura Anna era sull'orlo delle lacrime. «Oh, cielo, Mikan, stai bene?»
«Ecco perché quegli occhi pesti, hai pianto!»
«Possiamo aiutarti in qualche modo?»
«Vuoi che firmiamo una petizione per farti uscire della scuola e dare la notizia al padre?»
«Mikan, ti saremo vicine!»
«So che la scuola ha messo a disposizione uno psicologo, perdere un bambino è un trauma, dovresti andare a parlarci!»
«Stai tranquilla, ti aiuteremo! Non ti lasceremo sola!»
Scossi la testa, cercando di dare un senso a quelle grida disperate. «Ragazze,» tentai, ma di nuovo la mia voce fu sovrastata dalla loro che mi pregavano di non dire nulla, che non si poteva esprimere a parole un simile dolore. Ma quale dolore? «Ragazze!»
Anna mi abbracciò, scoppiando a piangere. «Oh, Mikan!» sussurrò, con la voce impastata. «Quanto mi dispiace! Vorrei poter fare qualcosa per te. Vuoi uscire per svagarti un po', oggi pomeriggio? Devi pensare ad altro.» poi mi rivolse un'occhiata ammirata. «Sei così forte, amica mia!»
«Ragazze.» ripetei, più decisa. «Non sono incinta.»
«Certo,» convenne Sumire, in tono ovvio. «non più.»
Scossi la testa. «No.» scandii, in modo che capissero una volta per tutte. «Non lo sono mai stata.»
«Va bene.» acconsentì Nonoko, ma per qualche motivo mi parve che mi stesse dando il contentino, come faceva Hotaru qualche volta. «La fase del rifiuto è la prima che porta all'accettazione, così dicono.»
Cercai di discutere con loro per un altro po', ma era come gridare contro un sordo. Loro erano rimaste convinte che io fossi incinta e che avessi, successivamente, perso il bambino di Natsume. Ma come avrei potuto essere così spensierata se fosse successa una tragedia simile?
La folla davanti al mio banco si diradò, non appena entrò il professore e tutte presero posto ai loro banchi, ma non mi lasciarono senza occhiate compassionevoli. «Che idiote.» fu il commento di Hotaru, che aveva varcato la soglia due secondi prima del nostro insegnante, ma sembrava sapere tutto della discussione che avevamo appena avuto.
Io scrollai le spalle. «Si preoccupano per me anche loro.» osservai, con un sorriso. Lei mi lanciò un'occhiata dubbiosa, e poi aprì il libro di letteratura straniera. Spostai lo sguardo sul banco alla mia sinistra, sperando di trovare qualcuno che mi avrebbe creduta.
Ma era vuoto.
Chissà dov'era finita Kisaki-chan...

La rincontrammo a mensa, seduta al nostro tavolo: sembrava più stanca di me. Mi sedetti vicino a lei, aspettando che anche Hotaru e Ruka-pyon si unissero a noi. Il pranzo mi era sempre piaciuto, e non solo perché non c'erano le facce da funerale della mattina, ma anche perché tutti erano più propensi a chiacchierare ed era un ottimo distrattore dai pettegolezzi e dagli imminenti esami di fine semestre che si fondevano con l'altrettanto imminente preparazione del Festival.
«Kisaki-chan!» la salutai, posando il mio vassoio proprio accanto al suo. Lei mi rispose con uno sbadiglio sonoro. «Che succede?»
«Teppisti.» brontolò, con sguardo omicida, verso un altro tavolo, a cui erano seduti un paio di ragazzini con la divisa delle medie. Avevano delle facce familiari, ma non ricordavo dove li avevo già visti. «E sono così piccoli!»
Riportai lo sguardo su di lei, senza capire. «Che hanno combinato?» volli sapere, curiosa. Lei trafisse con una bacchetta un wurstel, quasi avesse commesso qualche terribile crimine.
«Hanno tappezzato il muro dei dormitori femminili delle medie con delle scritte per una ragazza.» spiegò, con una smorfia infastidita sul viso. «Proprio ieri pomeriggio, disgraziati. Hanno anche disertato la lezione della classe di Abilità. O sono usciti prima... boh. Insomma, non erano lì.»
«Oh...» commentai, senza sapere che altro dire. «E a che classe appartengono?»
«Dovresti conoscerli.» replicò lei, tetra. «Sono nella tua... non è che ieri hai notato niente di strano?» io scossi la testa, quasi nessuno andava più alle lezioni di Noda-sensei, proprio perché non eravamo mai sicuri di trovarlo. Ora che ci pensavo, non credo nemmeno che fosse tornato dal suo ultimo viaggio nel tempo. Magari stavolta era andato a trovare i dinosauri. «Piuttosto!» interruppe i miei pensieri con la stessa forza di una ruspa. «Cos'è questa storia che aspetti un bambino e che te la fai con quello nuovo? Credevo che fosse l'amico... speciale di Nonoko. Che è successo?»
Sospirai. «È tutto un grosso malinteso.» spiegai, sperando che almeno lei mi credesse. «Non sono incinta, ho problemi con... il mio Alice e... per quanto riguarda quello nuovo, è un po' che non lo vedo, non c'è neanche a lezione. Ho parlato con lui solo il primo giorno e c'eri anche tu.»
«Mah...» fece lei, dubbiosa. «quel tipo è strano. Credo che non si sia abituato a stare qua dentro e ci consideri un po'... fuori di testa. Ieri sera l'ho visto che girava per i corridoi nella nostra sezione, e quando l'ho beccato sembrava che dovessi ammazzarlo.» si mise in bocca lo sfortunato wurstel e masticò con forza, per mettere fine alla sua agonia. «Gli ho solo chiesto se si era perso ed è scappato via.»
Considerato che uno degli scherzi per il suo arrivo era la mia piovra, potevo capire benissimo che non si fidasse di nessuno. Probabilmente, venendo da una scuola tradizionale, essendo poi catapultato in un mondo diverso a diciassette anni, si sentiva scombussolato e non potevo dargli torto, lo ero stata io a dieci... a diciassette suonava come un brutto colpo da digerire. Forse era meglio entrare alla Alice da bambini, dopotutto. «Vedrai che, col tempo, si fiderà più di noi.»
«Beh, credo che gli convenga, se vuole vivere in pace, o lo prenderanno tutti di mira.» disse lei, in tono preoccupato, fissando i ragazzini che avevano vandalizzato il muro della nostra scuola. «Non si fa vedere nemmeno a mensa... credi che abbia qualche strano tipo di fobia?»
«Non lo so.» ammisi, perché di fobie non ne sapevo niente, esattamente come niente sapevo di quel ragazzo dagli occhi strani.
«O questo, o il suo Alice lo ricopre di pustole puzzolenti e schifose da guardare ogni volta che qualcuno lo fissa.» scherzò lei, con un sorriso sulle labbra, che poi si trasformò in una smorfia disgustata, forse perché si stava immaginando la scena. «A proposito... oggi che avete fatto a lezione?»
«Niente di nuovo.» fu Hotaru a rispondere, mentre il suo vassoio riempiva il posto vuoto di fronte al mio. Ruka-pyon prese posto accanto a lei, salutandoci con un breve cenno della mano. «Ha soltanto approfondito il commento sulla solita poesia di Wordsworth.»
«Ancora?» chiese Kisaki-chan, sconvolta. «Io di quel tipo non ne posso davvero più. Che ci sarà poi da dire su una poesia che parla di Londra nel 1802, tanto da starci tre lezioni?»
Ruka-pyon scrollò le spalle. «Secondo me,» disse, pensieroso. «crea un'atmosfera romantica il pensiero di Londra all'alba.»
«Ma che genio!» commentò Hotaru, arricciando le labbra. «È un poeta romantico.»
Ruka arrossì di nuovo. «Scusa... volevo solo dire che... ha reso l'idea di ciò che voleva davvero esprimere.» abbassò lo sguardo, e mi fece improvvisamente tenerezza: sembrava che lei lo stesse sgridando. «Fare una passeggiata all'alba... non sarebbe male, no?»
Lei gli indirizzò un'occhiata obliqua. «Sono solo ore rubate al sonno.» fu la sua lapidaria risposta. Ruka-pyon deglutì rumorosamente e non disse più nulla per il resto del pranzo, e mi dispiacque per lui, dopotutto potevo capirlo alla perfezione: sapevo anche troppo bene come ci si sentiva ad essere trattati così dal proprio fidanzato. Natsume lo faceva spesso, forse era una prerogativa dei geni, o chissà che.
Tentai di alleggerire la tensione. «In ogni caso,» dissi, infatti. «se ci stiamo tre lezioni significa che non facciamo niente di nuovo. E a me va bene, abbiamo già un sacco di compiti di cui occuparci.»
«Giusto.» convenne Kisaki-chan, con un sorriso. «Vuol dire che non mi sono persa niente, no?»

«Certo che il povero Ruka-kun è davvero paziente con Hotaru.» osservò Kisaki-chan, mentre la accompagnavo alla sala in cui si sarebbe tenuto il prossimo consiglio del Comitato Studentesco. C'erano un sacco di carte da portare e mi aveva chiesto il favore di aiutarla. Non avevo potuto rifiutarmi e mi ero ritrovata in braccio dei pacchi di fogli senza neanche sapere bene come. Comunque decisi di non dire nulla a proposito della relazione che avevano i miei amici: niente effusioni in pubblico e nessun gesto di dolcezza da parte di Hotaru.
A pensarci era strano che fosse la ragazza quella più abbottonata dei due, ma pensare alla mia migliore amica che dispensa baci, abbracci e carezze... no, quello sarebbe stato definitivamente strano, anche se non era adatto per le storie da film di cui avevo sentito parlare da Anna. Pare che sua sorella e i suoi amici, ai loro tempi, avessero trovato un modo per sintonizzare la TV sui canali tradizionali e che avessero cominciato a guardare questi famosi telefilm. Ogni tanto, prima che lei si diplomasse, andava nella sua stanza, passava la serata tra lacrime e popcorn e poi ci raccontava tutto. Dopo che sua sorella se n'era andata, le sintonizzazioni illecite erano terminate, perché Hotaru non si era mai prestata a una cosa del genere. Sapevo che un po' tutti ce l'avevano con lei per questo, ma non potevo biasimarla per aver rifiutato di mettersi nei guai. «Insomma, se il mio ragazzo mi trattasse così lo pianterei su due piedi.»
Mi feci interessata più di prima. «Hai un fidanzato?» domandai. Lei nascose il viso dietro la sua pila di pacchi e si schiarì la voce. Che strano. «Kisaki-chan?»
«Beh... è complicato.» rispose, debolmente. «Diciamo che... la nostra non è una relazione tradizionale.» Mi chiesi che cosa potesse significare “tradizionale” in quel contesto, e sbattei le palpebre, confusa. «Cioè non è un Alice?»
Lei ridacchiò. «Intendo dire che non è... insomma, è più grande di me.» spiegò, con una vena di divertimento nella voce. «Probabilmente se ti dicessi tutto scapperesti via urlando.» «Anche Natsume è più grande di me.» osservai io, che proprio non capivo perché avrei dovuto scappare via dopo aver saputo l'identità del suo ragazzo.
«Sì, ma di quanto? Due mesi?» chiese lei, con un sospiro che mi parve sconsolato. «Ti parlo di uno... un bel po' più grande.»
Per un momento l'immagine di Narumi-sensei mi balenò in testa: era vero che Natsume lo considerava un pervertito che ci provava con le studentesse più grandi... anzi, aveva sempre avuto la fissazione che ci provasse con me, ma non credevo che lui, davvero... la sola idea mi fece rabbrividire per il disgusto. Narumi-sensei era troppo grande per noi! «D-di quanto è più vecchio?»
«Non lo so di preciso.» ammise lei, ridacchiando. «Ma non era di questo che stavamo parlando.»
«Hotaru tratta così Ruka perché gli vuole bene.» presi le parti della mia migliore amica perché la conoscevo come le mie tasche, e sapevo bene come si comportava, ormai. Kisaki-chan non poteva saperlo, perché Hotaru appariva fredda a quelli che non sapevano com'era fatta davvero. «Lo fa anche con me, ma so che lo fa per mascherare i suoi veri sentimenti. Ed è così anche per Ruka-pyon. Non credo che starebbe con lei, altrimenti, non trovi anche tu?» in più, aveva dimostrato molte volte di tenere a entrambi e io non avevo alcun dubbio in proposito.
Lei scrollò le spalle per quanto poté. «I maschi sono strani.» e suonò come la giustificazione di tutto, ma io non sapevo come ribattere a un'affermazione del genere. Dopotutto, non avevo neanche le prove per farlo, Natsume era davvero un tipo bizzarro a volte, con tutte quelle personalità diverse con cui dovevo combattere... anche se non avevo idea di cosa volesse dire “normale”, e in una scuola di Alice dubitavo che la normalità fosse di casa, ma rimasi comunque in silenzio. «Ed è strana pure lei, ma in senso buono.»
Sorrisi. «Hotaru è un genio!» e i geni erano strani per forza, dopotutto erano persone fuori dal comune.
«Beh, direi.» convenne lei. «È quasi sempre prima in tutti i test. Insieme al nostro capoclasse e a Ruka-kun.» invece io ero sempre tra gli ultimi, e questo mi fece pensare che ero l'unica nel nostro gruppo.
Arrivammo in aula poco dopo, e con mio grandissimo sollievo, anzi, delle mie braccia doloranti. Chissà a che servivano tutti quei fogli, ma non chiesi, perché non avevo idea se gli affari del Comitato Studentesco erano di dominio pubblico o meno. «Abbiamo finito?» chiesi, speranzosa.
«Prego di sì.» sbuffò lei, massaggiandosi un avambraccio, con una smorfia. «Problemi su problemi. L'anno prossimo spero che eleggano qualcun altro. Sono troppo vecchia per questo lavoro.»
«Ma hai solo diciassette anni!» le feci notare, con un sorriso. Lei non disse nulla, si buttò semplicemente su una sedia, appoggiando la testa allo schienale ed emise un lamento frustrato. «Però ti capisco, se dovessi farlo io... mi confonderei.»
Qualcuno bussò. Kisaki-chan sollevò la testa e lanciò un'occhiata perplessa alla porta. «Avanti.» brontolò, tornando nella posizione precedente.
«Kisaki-sempai?» fece una voce, prima che una testa comparisse dallo spiraglio che aveva aperto. «Sei tu?»
«No.» rispose lei, senza enfasi, e mi domandai perché mentire. «È la befana.»
La ragazzina che era entrata indossava la divisa delle medie, e sembrava essere un po' turbata. «Beh...» abbassò lo sguardo a terra, quando vide che c'ero anche io. «scusa... è sempre meglio essere sicuri.»
Pensai di presentarmi per prima. «Io sono...»
Lei sorrise. «Lo so chi sei.» mi bloccò, lasciandomi di stucco. «Sakura Mikan, sei parecchio famosa in tutta l'Accademia. Io sono Tsuruga Aki.» mi guardò con occhio critico, come se mi stesse studiando, mentre io non riuscivo a mettere insieme nemmeno due parole. Possibile che sapessero tutti chi ero? «Non sembri incinta...»
«Non lo sono.» spiegai per l'ennesima volta, mentre Kisaki-chan rideva. «E non vedo quello nuovo da quand'è arrivato.» era meglio metterlo in chiaro, prima che anche lei mi chiedesse se l'avevo visto, come tutti gli altri.
«C'è chi sostiene che tu l'abbia incatenato in camera tua.» disse lei, come se non stesse parlando di una persona imprigionata ma del tempo. «Dicono che è per questo che non si vede in giro.»
«Incatenarlo? E per farci cosa?» domandai, incredula. Insomma, non credevo di essere il tipo che appare come qualcuno a cui piace torturare la gente! Come avrei potuto incatenare il povero Yahiro-kun? Non aveva fatto niente di male, dopotutto.
La ragazzina assottigliò gli occhi e poi li rivolse a Kisaki-chan. Avevo la sensazione di starmi perdendo qualcosa. «Hai saputo chi ha scritto quelle cose sulla mia amica?» le chiese, e io realizzai che doveva trattarsi della faccenda di cui mi aveva parlato a mensa. La mia compagna di classe annuì. «E chi sono quegli imbecilli? Lo sai quanto ci è rimasta male? Adesso non vuole nemmeno uscire dalla stanza.»
«Che cos'è successo?» volli sapere, curiosa. Non avevo potuto trattenermi.
«Tre idioti.» iniziò Aki-san con astio. «Hanno scritto delle cose orribili sulla mia migliore amica proprio sul muro sotto la sua finestra. Che stronzi.»
«Ehi,» la rimproverò Kisaki-chan, con la fronte aggrottata. «modera i termini, signorina. Siamo in una scuola.»
Aki-san deglutì, ma non si scusò. «Beh, è così. Che io lo dica o no.» rispose, incrociando le braccia al petto. «Non è che verresti con me, cercando di aiutarmi a tirarla fuori dal letto? Stamattina non ha nemmeno avuto il coraggio di venire a lezione. E quelle oche delle nostre compagne, come se non bastasse, le ridevano dietro.» borbottò qualcosa che non riuscii a capire, ma dall'occhiataccia di Kisaki-chan, non dovevano essere belle parole. «Io queste cose davvero non le sopporto. Se non fossi venuta io a dirtelo, senpai, nessuno si sarebbe disturbato a preoccuparsi di questa faccenda.»
Mi chiesi cos'avrei fatto io se mi avessero preso a male parole su un muro e mi accorsi che, magari, nemmeno io mi sarei fatta vedere in giro. Per fortuna avevo delle amiche fantastiche che mi sarebbero state vicino, proprio come cercava di fare Aki-san. «Ma sì.» intervenni, con entusiasmo. «Dobbiamo consolarla!»
Lei mi rivolse un'occhiata dubbiosa. «Non so se è una buona idea andare in tanti, Yumi è una ragazza molto timida. Sarà rassicurata certamente dal fatto che il Presidente del Comitato si è personalmente interessato alla faccenda. Tutto qui.»
Io rimasi delusa, e pensare che avevo creduto che qualcuno potesse avere bisogno del mio supporto. «Capisco...» sussurrai, mogia. Kisaki-chan si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, nel tentativo di confortarmi.
«Non te la prendere.» mi consigliò, prima di seguire Aki-san che era già sparita oltre la porta. «Grazie per l'aiuto, Mikan. Ora è meglio se vai a studiare, non mi perdonerei mai di essere la causa di un esito negativo nei prossimi test.» quando sparì anche lei, la stanza piombò nel silenzio, e mi chiesi come tornare al dormitorio femminile, dato che non sapevo più orientarmi, con tutti i corridoi che avevamo fatto, strada per prendere la roba che avevamo portato lì compresa.
Sospirando, mi diressi verso la porta e pestai qualcosa. Quando sollevai la scarpa, notai che era una specie di braccialetto, con una lettera appesa “A”, e non poteva essere che di Aki-san, a meno che non fosse di qualcuno dei membri del Comitato. Comunque fosse, era meglio accertarsene.
Sperando che tutte e due non fossero andate molto lontano, lo raccolsi e le inseguii.
Quando imboccai un corridoio, temetti di essermi persa, ma i capelli lunghi e mossi della mia compagna di classe comparvero in fondo al corridoio un momento prima che mi disperassi.
«Kisa-chan, Aki-san!» chiamai, prima che si allontanassero troppo e rischiassi di perderle di vista. Loro si girarono quasi sorprese, e la mia amica aveva la fronte aggrottata. Io mi fermai davanti a loro, col fiatone: non ero abituata a fare attività fisica. «Ho...» boccheggiai, in cerca d'aria, così allungai il braccio, in modo tale che il braccialetto parlasse per me.
«Oh...» sussurrò Aki-san, sorpresa. Allungò un braccio ma lo fermò a mezz'aria, quasi che avesse avuto paura di toccarmi. «è... è mio.» sorrisi, incoraggiante e le presi una mano, prima di appoggiare il braccialetto sul suo palmo.
Fu allora che avvertii qualcosa di strano.
Era una sensazione mai provata prima, come se stessi risucchiando qualcosa con le mani, che sembravano essere diventate l'equivalente di una ventosa umana, eppure sotto i miei occhi niente era cambiato. Serrai la mano che non era a contatto con Aki-san e il mondo iniziò a girare, esattamente come tante altre volte nel corso degli ultimi mesi. Terrorizzata all'idea di svenire ancora, cercai di aggrapparmi a qualcosa ed ebbi la sensazione di scivolare.
Qualcuno chiamò il mio nome e mi strinse le braccia, impedendomi di cadere, e mi parve di risvegliarmi da un sogno.
«Che ti è successo?» chiese la voce preoccupata di Kisaki-chan. Aki-san mi guardava quasi spaventata, stringendosi il polso, mentre tratteneva tra le dita il suo braccialetto. «Ti senti male?»
Scossi la testa, e mi resi conto di essere seduta sul pavimento, abbracciata alla mia amica. «Sto... sto bene.» tentai di alzarmi e lei mi aiutò a stare in piedi. «Almeno credo.» sbattei le palpebre un paio di volte, per assicurarmi che niente si stesse muovendo e di essere perfettamente cosciente.
Non era mai capitato.
Kisaki-chan mi prese l'altra mano, ancora chiusa a pugno, e dal suo sguardo capii che c'era qualcosa che non andava. «Ehm...» si girò verso Aki-san, ancora un po' spaesata. «senti... io... l'accompagno in infermeria... più tardi verrò dalla tua amica, tu aspettami da lei e non muoverti dalla sua stanza, è meglio che non resti da sola, se c'è qualcuno che ce l'ha con lei. Mi raccomando.» mi rivolse uno sguardo estremamente serio e pensai che fosse davvero preoccupata per la mia salute. Poi, avvolse una mano sulla mia, stringendo più forte di quanto fosse necessario. Mi trascinò nella direzione da cui ero venuta, dato che non riuscivo a reagire in nessun modo, sebbene fossi almeno mentalmente lucida. Non appena girammo l'angolo mi lasciò andare, ma prima si guardò intorno con fare circospetto, come se stessimo facendo qualcosa di male.
Non appena le mie dita furono libere di muoversi, si rilassarono senza che io lo volessi e qualcosa tintinnò sul pavimento. La mia amica non abbassò lo sguardo, ma io seguii quella che sembrava essere... sussultai quando compresi cos'era. «Una pietra Alice...» sussurrai, incerta se recuperarla o meno.
Ci pensò la mia compagna di classe, con un gesto secco, facendomela sparire da sotto gli occhi. Non seppi dire se era più arrabbiata o più preoccupata. La pietra che teneva in mano, grossa quanto una mela, era di un blu intenso, e veniva attraversata dalla luce creando dei riflessi celesti sul pavimento. Li avrei considerati splendidi, se solo non avessi avuto la consapevolezza che quello che avevo di fronte era l'Alice di qualcuno che non me l'aveva concesso di sua spontanea volontà. Non ebbi nemmeno il coraggio di guardare Kisaki negli occhi... chissà che stava pensando di me. Probabilmente mi avrebbero cacciata dall'Alice Academy perché ero una minaccia per tutti gli studenti. «Mikan...» mi chiamò lei, rigirandosi la pietra tra le mani. «il Preside delle Superiori... lo sa?»
Io deglutii, prima di annuire. «Mi ha proposto di esercitarmi con lui, ma...» non volevo confessare di non esserci mai andata perché avevo paura di combinare guai, di non essere in grado di restituirgli il suo Alice e che, a causa di questo, lui mi avrebbe fatto rinchiudere in quelle prigioni di cui mi aveva parlato Hotaru, così non aggiunsi altro, non sapendo come giustificarmi.
«Beh, questo è un problema.» osservò, con un sospiro. «Dobbiamo trovare il modo di restituirle l'Alice prima che si accorga che non ne ha più uno e senza che si renda conto di quello che stai per fare.»
Alzai lo sguardo, senza capire. «Ma io non ne sarei capace...» mugugnai, ben sapendo che avrei peggiorato la situazione se solo avessi provato ad essere discreta. Purtroppo, non rientrava nelle mie abilità.
«Beh, se non ci riesci, tutta la scuola lo saprà.» mi mise la pietra Alice sotto il naso, come a voler sottolineare anche fisicamente il concetto. Mi si chiuse la gola per la paura. «E non mi pare che sia una buona idea. Tutti gli studenti saranno spaventati a morte quando sapranno quello che sai fare. Credo che sia meglio che tu eviti di farglielo sapere, non credi?»
Già... tutti gli studenti mi avrebbero evitata come la peste... ma... «Tu non hai paura di quello che posso fare?» domandai, stupita e, quasi, consolata dalla prospettiva che almeno una delle mie amiche non mi avrebbe abbandonata.
«Mikan, io sono nelle Abilità Pericolose da quando sono arrivata qui.» mi ricordò, e mi accorsi che aveva ragione. «Ho visto cose ben peggiori di persone che estraggono pietre Alice da altri inavvertitamente, credimi. Nessuno sa cosa sa fare il mio Alice e,» aggiunse, guardandomi quasi con rimprovero. «preferirei che le cose rimanessero così. Non credere che non sappia cosa voglia dire dover nascondere qualcosa. Capisco perché non hai detto niente, ma ti prego.» mi rimise in mano il corpo del mio reato, che rimasi a fissare per un po', prima di essere in grado di distogliere lo sguardo. «ti prego di partecipare alle lezioni che il Preside intende darti, okay?»
Io annuii, sperando che niente di tutto ciò che temevo si sarebbe realizzato. «Cosa credi che succederà se non riesco a... restituire l'Alice ad Aki-san?» mandai giù la saliva più per forza di volontà, dato il nodo che mi aveva stretto la gola.
Kisaki-chan mi mise una mano sulla spalla, ma dalla sua espressione non ricevetti una buona sensazione. «Spero che non lo sapremo mai.»

Aki-san non si era presentata a cena, e scoccai un'occhiata in direzione del tavolo del Comitato Studentesco, ma la Presidentessa non stava ricambiando lo sguardo, così cercai di tranquillizzarmi, finché qualcuno mi toccò e sobbalzai, spaventata.
«Ehi,» era la voce di Hotaru, e mi sentii rassicurata per un attimo, pensando che avrei potuto raccontarle tutto. «sembri seduta su degli spilli, si può sapere che ti è successo oggi? Di solito sei una gran chiacchierona, a cena.» ma se poi avesse dovuto scappare lontano da me? Hotaru era orgogliosissima del suo Alice, non ne faceva un mistero, e le sue invenzioni erano la cosa più importante del mondo. Come avrebbe reagito se avesse saputo che avrei potuto rubarle il suo potere? Insomma... anche farlo senza volerlo era un grosso pericolo, forse anche più grosso della possibilità che fosse intenzionale. Un potere incontrollato era peggio di una bomba inesplosa. Il Preside aveva detto che il dottore sapeva, ma non riuscivo a ricordare se conoscesse tutti i dettagli del mio nuovo Alice e, in ogni caso, non avevo idea di quanto avesse potuto dire a Hotaru.
«Ho avuto un pomeriggio difficile.» ammisi, però, e Ruka-pyon si fece improvvisamente comprensivo, il che mi fece sentire anche peggio. «Preferirei non parlarne.»
«Che hai combinato, stavolta?» mi domandò la mia migliore amica, gettando una dubbiosa occhiata ai suoi onigiri. «Jinno ti ha spedita a pulire i condotti fognari?»
Sorrisi nervosamente alla prospettiva. «No...» e sperai sinceramente che non gli venisse mai un'idea tanto disgustosa. «Ma... credo di aver combinato un pasticcio.»
«Io l'avevo detto a Prez di non portarsi dietro una sbadata come te.» fu il suo commento, mentre prendeva a morsi una delle sue palline di riso. «Scommetto che hai perso dei fogli importanti, o che l'hai distolta dal suo lavoro.»
Deglutii: l'avevo distolta eccome dal suo lavoro. «Qualcosa del genere...» ammisi, appoggiando la testa sul tavolo. Come potevo restituire l'Alice a quella ragazza se nemmeno la vedevo a mensa? E come potevo fare se non sapevo nemmeno da dove cominciare? Emisi un sospiro frustrato, e il bello era che non c'era nessuno che potesse aiutarmi, perché in tutta l'Accademia non esisteva un Alice uguale al mio. Era successa la stessa cosa per quello dell'Annullamento, ma almeno non era dannoso per gli altri...
«Ne ero certa.» concluse lei poi, allungando distrattamente qualche chicco al coniglietto del suo ragazzo che emise uno strano suono di apprezzamento.
«Sono certo che non l'hai fatto apposta, Mikan, qualunque cosa sia successa.» cercò di rassicurarmi Ruka-pyon ma io non riuscii a rispondere, con la gola di nuovo chiusa dal magone che rischiava di soffocarmi.
«Questo non evita di renderla una pasticciona.» continuò Hotaru, tornando a rivolgere l'attenzione alla sua cena, ma poi fece un sorriso sottile, nella mia direzione. «Ma, a quel punto, non ci sarebbe più niente di divertente, immagino.»
Mi limitai a scuotere le spalle, in risposta, prima che qualcuno mi picchiettasse una spalla. Improvvisamente mi si fermò il respiro, pensando che Aki-san fosse tornata a reclamare il suo Alice e che mi avrebbe accusata davanti a tutta la mensa, invece quando mi voltai c'era Kisaki-chan, ma non mi sentii affatto sollevata. «Il Preside vuole vederci.»
«Oh, mamma...» mugolai, aggrappandomi al suo braccio in cerca di conforto. Non era una gran bella notizia: non solo non avevo accettato il suo aiuto, ma avevo anche combinato un guaio gigantesco, e avevo paura che non sarebbe stato comprensivo come l'ultima volta.
Questo era un bel problema.

*****

Dunque, eccoci arrivati alla fine di capitolo 23, tanto per ricordarvelo, visto che sicuramente – dato il tempo passato – nessuno se lo ricorda, il capitolo si conclude con la stessa battuta di Natsume in capitolo 22.
Entrambi i piccioncini sono nei pasticci! *Mwhahahahahahahaha*
In ogni caso mi pare – ad un'occhiata alla scaletta – di aver gestito i capitoli in modo ignobile, quindi qualcosa potrebbe slittare di un po', tipo l'incontro tra i due, avevo deciso che (e l'avevo pure scritto) sarebbe stato dal punto di vista di Natsume, ma non si può più fare, ci sarà solo un assaggino e solo perché avete aspettato tanto XD, il resto si rimanda al 25, può farlo Mikan, e forse è pure meglio.
Adesso mi dileguo, aspettando di trovare una data – e un po' di tempo per scrivere – per pubblicare il prossimo :)
A – non tanto – presto :)

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Capitolo 25
*** Ritrovarsi ***


Capitolo 24 – Ritrovarsi
(Natsume)

Non sentivo più niente.
Era successo all'improvviso, le sensazioni erano sparite. Probabilmente avrei dovuto provare angoscia... paura, forse. Eppure non sentivo niente. Mentre mi spingevano dentro l'auto, io non sentivo niente. Mi sedetti sul sedile posteriore, vicino avevo Mitsuki che aveva un'aria tutt'altro che soddisfatta, mentre percepivo con chiarezza il mio Alice scorrermi tra le dita quasi che fosse stato acqua che scendeva dal rubinetto e, per quanto fosse assurdo, mi aspettavo di vedere delle fiamme sul palmo, ma non c'erano. Qualcuno di loro doveva avere una pietra Alice dell'Annullamento, anche se perfino la sola idea era bizzarra, dato che Mikan era l'unica a possederlo, e di certo non ne aveva data una a loro.
Non avevo pensato a lei per un po' di tempo, dopo essere uscito dalla scuola ma, esattamente come succede per tutto quello a cui vuoi evitare di pensare, i ricordi avevano finito per affollarsi nella mia testa senza che davvero lo volessi. E tutto quello mi riportava al fatto che ero stato totalmente un fallimento: avevo scelto quella strada per aiutarla ad uscire dalla scuola, prima che il Preside delle Elementari si accorgesse che in lei c'era qualcosa di più. Sapevo bene come finivano gli studenti che avevano un Alice troppo prezioso per andare perso, rinchiusi da qualche parte nell'Accademia a fare il lavoro sporco per lui. E Mikan era ancora troppo ingenua per non cascarci, solo da poco tempo sospettavo che stesse per manifestare un altro Alice, ma l'avevo intuito troppo tardi, al mio nuovo lavoro, quando avevo letto di casi simili al suo, giusto poco prima di incontrare Persona. E tutto quel silenzio da parte di tutti non faceva che confermare i miei sospetti. Per adesso potevo solo sperare che ancora non fosse venuto fuori, oppure, come minimo, sarebbe finita nelle Abilità Pericolose.
Ma non riuscivo a provare paura per lei o preoccupazione, era come se fosse tutto un dato di fatto e non riuscissi nemmeno ad essere frustrato per questo.
Non sentivo niente.
E allora chiusi gli occhi e provai a immaginarmi la mia ragazza nella testa, sperando che avrebbe portato a qualche miglioramento, ma nonostante riuscissi a visualizzare ogni dettaglio dei suoi capelli, del fisico, del modo in cui portava la gonna della divisa, o si arrotolava le maniche delle mie camicie, mi fu difficile riportare alla mente i dettagli del suo viso: l'unica cosa che ricordavo per davvero era lo sguardo preoccupato che mi aveva lanciato quella notte di pioggia, quella in cui aveva curato le mie ferite e aveva visto cos'ero per davvero, ma nonostante questo non era corsa via. La prima volta che mi ero accorto che iniziavo a non sentire più niente.
Comincerà con la perdita delle emozioni più forti.
Questo aveva detto il fratello di Imai, quel giorno in ospedale, ma avevo fatto del mio meglio per non credergli e non pensarci. Perché nella vita di tutti i giorni sembrava che niente stesse succedendo, ed era troppo comodo pensarlo per crearsi dei problemi.
All'inizio, sarà lento e graduale, magari non te ne accorgerai nemmeno, ma prima o poi spariranno del tutto.
E ricordare quella frase e sentire una fitta all'altezza del petto fu un tutt'uno. Terrore. Avevo una stramaledetta paura che succedesse per davvero. Mi portai una mano all'altezza del cuore, nel vano tentativo di calmarmi, o quantomeno di non mettermi a tremare come uno stupido ragazzino impaurito.
Fissai fuori dal finestrino e mi accorsi che eravamo nel parcheggio sul retro del palazzo dove lavoravamo.
Qualcuno aprì la portiera, Mitsuki mi spinse fuori e io assecondai il movimento, tanto opporre resistenza non sarebbe servito a niente. L'unica cosa che aveva ripreso a preoccuparmi era sentire il mio Alice come se fosse costantemente in azione, bloccato da Mitsuki, che era l'unica a non aver staccato la mano dal mio braccio nemmeno per un secondo. Mi lanciò uno sguardo strano, e pensai che avesse compreso il mio problema, ma non disse nulla.
Nessuno stava dicendo niente, quasi che stare in silenzio avesse dovuto rendere le cose migliori. Così, ancora senza dire una parola, salimmo in ascensore, fino al piano in cui si trovava l'ufficio di Yuka, ma Ryu si stava scrocchiando le dita, forse in un tentativo di non schiacciarmi il naso con un pugno, o forse si stava solo preparando nel caso in cui avesse dovuto farlo.
Le porte si spalancarono, e ci ritrovammo nello stesso corridoio in cui ero stato qualche tempo prima, il giorno in cui il capo aveva voluto parlarmi. Ryu mi spinse fuori senza troppe cerimonie, mentre Mitsuki lo tratteneva con una mano.
«Forse è meglio se continuo io.» e non suonava granché come un consiglio. Lui si fece subito da parte, abbassando lo sguardo. Adesso cominciavo a intuire perché proprio lei fosse il capo squadra. Ryu premette un bottone e le porte dell'ascensore lo nascosero alla nostra vista. Una volta che si fu accertata che nessuno era in giro, lei mi rivolse un'occhiata omicida. «Puoi piantarla di usare il tuo Alice? Tanto ormai è fatta, siamo qui. E dovresti aver capito che non puoi usarlo.»
Sospirai: non aveva capito un bel niente. «Non ci riesco.» spiegai, con fare rassegnato. Era un bene che non staccasse la mano dal mio braccio, ma il fatto di non riuscire a capire perché non ce la facessi a fermare il mio Alice mi metteva a disagio. Non era mai successo, e temevo che alla prima sua distrazione avrei incendiato tutto, anche quello che, normalmente, non avrebbe dovuto prendere fuoco, come il cemento.
Mitsuki strinse la presa su di me, e mi fece cenno di continuare a camminare. Sembrava agitata, ma niente di nuovo, visto che lo ero anche io. Bussò alla porta di Yuka, ma, sorprendentemente, fu Naru a venirci ad aprire, e fu un po' stupito quando mi vide, quando avrebbe dovuto essere il contrario. Adesso si spiegavano molto bene le sue continue assenze, durante le lezioni. «Che succede?» chiese, infatti.
La mia accompagnatrice mi spinse dentro senza delicatezza. «Ho qualcosa per te, capo.» ignorò totalmente il mio vecchio insegnante e mi trattenne per la maglietta, prima che potessi fare un passo in più di quelli che lei aveva stabilito che dovessi fare. Era un tantino frustrante essere trascinato in giro come una bambola di pezza, ma non desideravo peggiorare la mia posizione.
Yuka aveva le braccia appoggiate alla sua scrivania e si stava massaggiando una tempia, quasi che stesse cercando un po' di calma dopo aver ricevuto una brutta notizia. Beh, a quanto pareva le brutte notizie della giornata non erano finite. «Cosa?» lo chiese quasi esasperata, come se non ne potesse più di sentire cose che proprio non le piacevano.
«Abbiamo sorpreso il ragazzino a scambiarsi informazioni con niente di meno che Persona.» mi fissò con disgusto, ma non mi lasciò andare. «E dice di non riuscire a controllare il suo Alice, ma non mi fido per niente.»
Yuka alzò lo sguardo verso di me, come a volermi studiare, ma non sembrava per niente sorpresa. «Siediti.» era un ordine, e non sembrava che si aspettasse che disobbedissi. Lanciai un'occhiata alla mia accompagnatrice, la quale sembrò sorpresa almeno quanto me.
Mitsuki si schiarì la voce. «Capo...» tentò, ma lei alzò una mano per bloccarla.
«Ho capito bene.» la rassicurò, senza smettere di fissarmi. «E sapevo già tutto.» dovetti mettere su un'espressione davvero stupita, perché sorrise. «Credevi che ammettessi qui le persone senza controllarle nemmeno un po'?» si appoggiò allo schienale della sua sedia, non potendo apparire più tranquilla. «Mitsuki... lasciaci soli.» lei le indirizzò uno sguardo preoccupato e Yuka scosse la testa. «È tutto a posto, questa stanza è stata fatta appositamente per inibire gli Alice. Naru, ti prego. Resta.»
Lei annuì, e quando si chiuse la porta alle spalle, il mio fondoschiena era attaccato a una delle sedie di fronte alla scrivania di Yuka; vicino a me, Narumi, il quale era totalmente confuso, e mi guardava in cerca di una spiegazione. «Perché stai dando informazioni a Persona?» suonava sinceramente sorpreso e vagamente in ansia.
«Già.» commentò Yuka, guardandomi con severità. «Vorrei saperlo anche io.» si sporse verso di noi, ma non mi mossi. «Ti ho messo a disposizione informazioni molto limitate, e quasi tutte sono finite in mano all'Accademia. La cosa mi delude molto, e deluderebbe anche tua madre.»
Arricciai le labbra: fare leva sulla morte di mia madre era davvero di cattivo gusto. Sembrava che volesse deliberatamente farmi sentire un verme, e questo indipendentemente dal fatto che fossi innocente o meno. «No.» replicai, secco. «Non li sto aiutando, o meglio... non nel modo che vorrebbero loro.»
«Non riesco a capire.» ammise Naru. «Quando sei andato via dalla scuola, credevo che lo facessi per una buona causa.»
Sbuffai: forse era il caso di raccontare loro tutta la storia. «Per prima cosa, è stato il Preside a insistere perché mi diplomassi prima, proprio perché aveva fretta di inserirmi in quest'organizzazione come infiltrato.» vidi Yuka assottigliare gli occhi. «Cercano informazioni su Alice rari e utili, ma non so per cosa. Per adesso ho passato informazioni più che altro su Alice di tipo Tecnico e Somatico, mai Abilità Speciali, e soprattutto Pericolose.»
«Questo perché non te ne ho mai dato l'opportunità.» fu Yuka a parlare, e aveva la fronte corrugata. «Gli alice rari e pericolosi non li farei mai gestire a un nuovo arrivato.»
«Non l'avrei fatto nemmeno se ne avessi avuto l'opportunità.» preferii mettere in chiaro, anche se probabilmente nessuno mi avrebbe creduto. «Non voglio che altri bambini come me finiscano nel posto che mi ha rovinato l'infanzia, non so se mi spiego.» lo dissi quasi che fosse stata stupida. «Per i generi che ho nominato prima, la scuola non è un gran brutto posto. E hanno insistito tanto per mandarmi qui per una ragione, stavo solo cercando di prendere tempo.» quasi lanciai sul tavolo le cose che mi avevano dato per comunicare con loro e il foglio su cui Persona mi aveva scritto il nome della persona che dovevo cercare. «Questo è tutto quello che ho.»
«Se davvero sei in buona fede...» ribatté lei, con un sospiro stizzito, prima di prendere il palmare per studiarlo. «non capisco perché lo stai facendo.»
«Il Preside ha la brutta abitudine di ricattare le persone di cui si serve.» e probabilmente, per Naru non c'era bisogno che mi spiegassi oltre. Gli lanciai un'occhiata e vidi la comprensione balenargli nello sguardo, finalmente iniziava a capirci qualcosa. Tornò a fissarmi sorpreso e io annuii. «Mikan.»
«Mikan?» chiese il mio capo, suonando terrorizzata. «Cosa c'entra Mikan in tutto questo?» la cosa che terrorizzava me era che lei sapesse della sua esistenza. Forse Mikan davvero lavorava per loro? Che altra spiegazione c'era per le pietre Alice? Ma come poteva una come lei fare una specie di doppiogioco? Non riuscivo a credere che fosse possibile. Non Mikan.
«Lei e Natsume...» fu Narumi a parlare, e anche lui non era affatto tranquillo. «te ne avevo parlato, stanno insieme.» lo sguardo di Yuka si alternò da lui a me. «È plausibile che lo stiano ricattando usando lei come... leva.»
«Persona mi ha detto che finché avrò informazioni da dare loro, non le faranno niente. Le permetteranno di vivere la vita in Accademia... tranquillamente.» e adesso che ascoltavo le mie stesse parole, mi accorsi di quanto fossi stato uno stupido, perché forse avevo sperato che lo facessero per davvero. «Mikan sta sviluppando un altro Alice.» adesso i pezzi del puzzle si stavano ricomponendo, piano, piano.
«Come lo sai?» fu la domanda allarmata di Narumi. «Quando sei andato via ancora...»
«Svenimenti, sesto senso un po' più sviluppato del normale, e tanti altri piccoli dettagli di casi che ho letto qui negli archivi.» spiegai, ma il senso di apprensione che si era impadronito di me, ormai non aveva intenzione di abbandonarmi. «Non vivrà mai una vita tranquilla in Accademia, giusto?» il suo Alice era... pericoloso. «Che Alice è?»
Narumi lanciò un'occhiata a Yuka e deglutì. «Non ne siamo certi.» precisò, prima di continuare. «Ma potrebbe essere... nocivo per gli altri.»
Un improvviso furore si impadronì di me. «Dobbiamo portarla via di lì.» lo dissi all'improvviso, interrompendo la apparente calma che regnava nella stanza. «O la costringeranno ad entrare nelle Abilità Pericolose e chissà cos'altro.» rivolsi gli occhi a Yuka, la quale li abbassò a terra. «Non voglio che finisca dover uccidere le persone, come me. Non Mikan.» non avrebbe mai potuto reggere il colpo, io stesso non avevo ancora digerito ciò che era successo in quel magazzino un anno prima, e mi consolavo giorno per giorno cercando di convincermi che non era stata colpa mia. Ma, a lungo andare, non funzionava più, niente funzionava contro il senso di colpa da parecchio tempo, soprattutto da quando ero mi ero allontanato dall'Accademia, per quanto assurdo potesse suonare. In ogni caso, c'era ancora una domanda che non aveva ricevuto risposta. «Ma... com'è che lei è così importante per voi due?» perché erano troppo in ansia, e nessuno si sentiva inquieto per la vita un estraneo.
Yuka aspettò a lungo, prima di rispondermi. «Mikan e io... siamo parenti.» ci fu un silenzio tombale per qualche secondo: non sapevo bene come reagire alla confessione ci fossero parenti in vita di Mikan che non fossero suo nonno. Lei non ne aveva idea, di sicuro: mi aveva detto che le restava solo lui. Adesso capivo la somiglianza, adesso capivo perché nell'armadio di Narumi era stato come vederla una seconda volta, in quel fascicolo. In ogni caso, questo rendeva tutto molto più facile: di sicuro non avrebbe fatto alcuna opposizione alla mia proposta. E, alla fine, era questo ciò che mi interessava.
«Che stiamo aspettando per andare a prenderla, allora?» feci, incoraggiato da quella confessione. «Non possiamo lasciarla lì.» e questo era uno dei miei pochi punti fermi, al momento.
Quando nessuno si mosse capii che c'era qualcosa che non andava. Narumi stava grattando il bordo della scrivania del mio capo, fingendosi molto interessato in quel compito, mentre Yuka aveva gli occhi chiusi, e sembrava che si stesse trattenendo dal rispondermi.
«Qual è il problema?» li incalzai, allora, spazientito.
«Non è facile come la fai tu, Natsume.» rispose, allora, Yuka, con un sospiro rassegnato. «Credi che non ci piacerebbe portare tutti i bambini in pericolo fuori di lì? Non è così facile.» io aggrottai la fronte: cosa c'era di tanto complicato? Ci saremmo infiltrati in Accademia, alla prima occasione buona, per andare a salvare il componente mancante della squadra, quanto ci voleva ad andare a prendere anche Mikan e portarla in salvo?
«Yuka ha ragione.» la supportò il mio vecchio insegnante, ma non diede nessuna spiegazione in più. Ma anche se l'avesse fatto, probabilmente non sarebbero state sufficientemente valide, per me.
«Evitate di riempirmi di scuse.» dissi, allora. Stavo seriamente per perdere la pazienza, e il mio Alice mi stava accompagnando nella cosa. «Per me potete ficcarvele...»
«Natsume.» mi riprese Yuka, esasperata. «Il nostro lavoro è proteggere tutti quelli che, come te, hanno vissuto o potrebbero vivere delle esperienze terribili dentro quella scuola.» mi lanciò un'occhiata di fuoco. «Ed è esattamente questo il punto, tutti.» appoggiò le mani alla scrivania e guardò Narumi velocemente, prima di tornare a fissare me. «Se portiamo via Mikan, adesso, il precario equilibrio che abbiamo faticato a creare si spezzerà. Il Preside ha gli occhi puntati su di lei, coinvolgerla in qualche piano sarebbe rischioso per tutto ciò che abbiamo creato. Non possiamo esporre i nostri piani contro l'Accademia. Non siamo ancora neanche lontanamente pronti.»
«Quindi...» iniziai io, sentendomi le mani tremare per la rabbia. Sentivo il fuoco incendiarmi le mani, ma per via di quella stanza non si manifestava niente. «Lasciamo Mikan al suo destino finché non fa comodo a voi?»
Narumi girò la testa verso di me, sembrava frustrato. «Sai bene che non è così.» mi riprese, risentito. «Mikan, per me, è come una figlia.»
Bell'affetto che dimostrava ai suoi figli. Mi morsi la lingua pur di non dirlo, per qualche motivo. «Ma sei pronto a sacrificarla per la causa.» ero davvero amareggiato da questa consapevolezza, perché non importava da che parte stessimo, o chi ci fosse a darci ordini, alla fine eravamo comunque strumenti nelle mani di qualcun altro, che guardava i suoi interessi, o quelli che credeva tali.
«Sei entrato in quella scuola per una ragione.» iniziò Yuka, con voce calma: sembrava che stesse riflettendo su qualcosa. Volsi gli occhi verso di lei, domandandomi dove diavolo volesse andare a parare e come facesse lei a saperlo. Anche se era stata amica di mia madre, non poteva sapere niente di me, dato che avevo scelto – più o meno liberamente – di entrare in Accademia molto dopo la sua morte. «Sapevi che ti avrebbero fatto del male, perché l'avevi provato sulla tua stessa pelle, eppure ci sei entrato lo stesso, perché volevi fermarli, in modo che nessuno avesse dovuto pagare il prezzo che avevi pagato tu.»
«Questo cosa c'entra? Io ho scelto di sacrificare me stesso, proprio per impedirlo alle persone che dicevo di amare.» rivolsi il mio sguardo carico di risentimento su Narumi, che si affrettò a guardare da un'altra parte. Lui non mi era mai piaciuto e adesso mi piaceva anche meno. Sapeva chi era Mikan, sapeva che aveva parenti nell'Organizzazione Z, o quantomeno, che avesse parenti che odiavano la scuola, eppure le aveva permesso di entrare a farne parte, per un motivo che non riuscivo a immaginare, ma che avevo tutta l'intenzione di scoprire. «Non ho mai voluto aspettare che si facessero avanti per salvare me stesso e altri che neanche conosco a loro spese.»
«Anche lei c'è entrata di sua spontanea volontà.» disse Narumi, ma lo ignorai. «Perché voleva rivedere la sua amica.» già, se Imai Hotaru non fosse stata un Alice, niente di tutto questo sarebbe mai successo.
«E tu non hai fatto niente per impedirglielo.» gli ricordai, a quel punto, incapace di trattenermi. «Anzi, hai insistito perché fosse ammessa, sapevi di lei eppure non hai fatto niente per fermarla.»
Lui sospirò. «Ammetto di aver fatto degli errori in passato.» disse, con colpevolezza. «Ma non ho mai pensato di usarla come credi. Volevo solo prendermi cura di lei, pensavo che avrebbe potuto cambiare la vita degli studenti, così come fece...» un'occhiata del mio capo lo zittì.
Se avessi potuto credergli, sarebbe stato più facile. «Mikan era ingenua, per questo ci è entrata, pensava che fosse una scuola come un'altra. D'altra parte, chi poteva immaginare cosa si celasse oltre quelle belle pareti?» e poi era solo una bambina. «Io sapevo più o meno cos'avrei trovato dietro al cancello, lei no. Le nostre scelte non sono nemmeno lontanamente paragonabili.»
«Io sono qui per lo stesso motivo per cui tu sei entrato a scuola.» ci interruppe Yuka, in tono deciso. «Mikan è una delle cose più importanti che ho. Non potresti mai capire quanto conta per me, e non sai quanto mi costa prendere questa decisione, quanto mi è costato per quasi dieci anni.» intrecciò le mani sulla scrivania, forse per calmarsi. «Mi piacerebbe tanto che fosse facile come la fai tu, cosa credi? Se fosse possibile lo farei anche subito. Non lo è.»
Sbuffai, ma decisi di non dire niente, perché rischiavo di arrabbiarmi anche di più. La vista aveva cominciato a sfocarsi e mi girava un po' la testa. Il mio dannato Alice non mi aiutava a mantenermi lucido, visto che continuava a fare ciò che voleva. Mi portai una mano alla tempia: stavo andando praticamente a fuoco: mi era successo solo una volta, ma non così a lungo. Presi un respiro per cercare di calmarmi: lasciare lo spazio alla paura non mi avrebbe aiutato, anche se percepivo il cuore battere all'impazzata e avevo il terrore che non avrei resistito fino all'ospedale. «Non...» tentai, cercando di mantenermi cosciente. «non mi...» mi tappai la bocca, sicuro che, altrimenti, avrei vomitato sangue, un'altra volta.
«Natsume...» era la voce di Narumi. «non stai bene?» e quella fu l'ultima cosa che fui in grado di sentire.

Sentii delle voci concitate proprio dal lato destro che mi impedivano di riposare. Avrei voluto dirgli di lasciarmi dormire, ma quando aprii gli occhi realizzai che non ero nel posto in cui ero svenuto. Mi tirai su e mi ritrovai in quello che sembrava l'ospedale dell'Accademia. Ma gli ospedali erano quasi tutti uguali, per me, quindi non avrei saputo dirlo con certezza.
«È sveglio.» disse una voce, quando spostai lo sguardo nella direzione da cui proveniva, scoprii che era di Mitsuki, che parlava al telefono con qualcuno, forse Yuka, o gli altri della squadra. Non ne avevo idea. «Subaru dice non in troppi. Sì, ho capito... certo, capo.» quando attaccò la chiamata mi guardò in modo strano.
«Cosa c'è?» chiesi, allora, dopo qualche minuto di silenzio. Mi irritava che stesse lì a guardarmi come se fossi un carro di Carnevale particolarmente brutto. Avevo la testa un po' leggera e avevo la sensibilità lievemente distorta, mi pareva di essere sospeso a qualche decina di centimetri dal pavimento, ma sapevo di essere su un letto per via del lezuolo che stringevo nel pugno. Sicuramente avevo qualche tubo infilato da qualche parte e le braccia piene di aghi per le flebo.
«Niente, mi chiedo solo come ho fatto a non riconoscerti prima.» mi disse, appoggiando la testa su una mano. «Mikan mi ha fatto vedere una tua foto e mi ha parlato un po' di te.»
Cercai di tirarmi su, ma lei mi spinse con gentilezza di nuovo contro il letto. «Quando hai conosciuto Mikan?» tutti quanti sapevano di lei, e adesso veniva fuori che Mitsuki addirittura l'aveva vista di persona.
«Lei è la nipote del tizio che abita con mio nonno. Ci siamo conosciute sei mesi fa, durante la settimana-premio per il miglior risultato agli esami.» spiegò lei, come se mi stesse parlando del tempo. Non riuscivo a credere che il mondo fosse tanto piccolo. Approfittando del suo attimo di distrazione, cercai di nuovo di alzarmi. «Sta' buono lì.»
«Non mi va di stare steso come un malato.» obiettai, sbuffando. Ora stavo meglio, anzi, avevo addirittura recuperato la mia lucidità. «Sto bene.»
«Riposati.» ribatté, invece, lei. Si era fatta seria d'un tratto. «Jou ha scoperto qualcosa riguardo una missione dell'Accademia.» io non dissi nulla, aspettando che lei continuasse a parlarmene: non sapevo se Yuka avesse parlato loro della mia situazione e non volevo sembrare troppo interessato alla cosa. «A quanto pare è il momento giusto per attuare il nostro piano.» mi mostrai confuso: sapevo a che si riferiva, ma non capivo perché me lo stesse dicendo. «Yuka ci ha detto tutto, e immagino che tu voglia partecipare, anche se gli altri sono contrari e, in tutta sincerità, lo sono anche io. Ma scommetto che anche se non ti dessi il permesso troveresti il modo per venirci dietro. Quindi, tanto vale che tu vienga con me e non mi crei problemi che poi dovrò comunque risolvere.» poi roetò gli occhi. «Ma te lo chiedo lo stesso: ci stai?»
Cercai di mascherare un sorriso: mi conoceva da poche settimane, eppure sembrava aver capito molto di me. «Ovvio.» confermai, assentendo anche con un cenno della testa.
Mitsuki sbuffò. «Non avevo dubbi.» borbottò, lanciando poi un'occhiata alla porta che si apriva. Yuuko fece capolino dalla porta, quasi timidamente, Mitsuki sorrise, mentre io mi limitavo a fissarla: non mi stava molto simpatica, anzi, la trovavo una persona inutile, non sapeva neanche rispondere al telefono, non aveva determinazione e mi inquietava il fatto che cambiasse aspetto come desiderava. «Cosa ci fai, qui?»
Lei stette a fissarmi per qualche secondo, e io alzai gli occhi al cielo. «Insomma?» chiesi, allora, irritato dal fatto che tutti mi guardassero come se fossi stato un fenomeno da baraccone.
Yuuko parve risvegliarsi da un momentaneo trance. «Oh...» disse, voltandosi poi verso Mitsuki. «Ryu e Jou hanno continuato a indagare e pare che si tratti del sequestro di un bambino... speciale.»
«Perché sono tanto interessati ai bambini?» colsi l'occasione per chiederlo, proprio perché io stesso avevo contribuito a far entrare in Accademia Miyako e perché un sacco di bambini erano entrati quell'anno nella scuola. «Cos'hanno di tanto particolare?»
«L'opinione del capo è che il Preside stia cercando un Alice particolare, anche se ancora non sappiamo quale di preciso.» sembrava che ci fosse qualcosa di più, ma che ancora non si fidasse a mettermene a parte. Mi chiesi se anche io non avrei fatto lo stesso, e se avesse intenzione di portarmi con sé solo per tenermi meglio d'occhio e sapere se mi sarei scoperto o meno.
In ogni caso l'ipotesi aveva senso, dopotutto quello era uno che non poteva più clonarsi e sarebbe stato bambino finché non fosse morto. Ci avrei fatto un pensierino anche io, al suo posto. «A quando il grande piano?» preferii chiedere, a quel punto.
«Tra tre giorni.» mi rispose il mio caposquadra. «Per questo devi riposare, ragazzino. È meglio per te che tu sia pronto e in forze per quella notte, perché non posso garantire per la tua sicurezza se intralci il piano.»
«Ognuno pensa per sé, no?» domandai, retoricamente, e lei annuì. «In quanti andiamo?»
Lei fece un cenno della testa verso Yuuko. «Noi tre.» mossi gli occhi verso la ragazza che era nella stanza con noi e mi chiesi se fosse la scelta giusta. «Siamo anche troppi, per quel che mi riguarda. Ma Yuuko è praticamente fondamentale, con il suo Alice.» inarcai le sopracciglia, sperando che fosse all'altezza della missione, mi ricordava molto Nobara, come modi di fare. Questa era una buona ragione per dubitare di lei.
Scossi semplicemente le spalle, in fondo quello che mi importava era solo entrare di nuovo in Accademia e sperare che portare via di lì Mikan fosse facile. Le scuse di Yuka e di Narumi mi avevano convinto ben poco, ed ero sempre più convinto che fosse meglio portarla via di lì.

Tre giorni dopo, appena finito di lavorare, tornai a casa per mettermi qualcosa di adatto alla missione. Ci saremmo visti poco lontani da casa mia nel giro di due ore. Avevo tempo per darmi una ripulita e cambiarmi. Salii le scale che mi avrebbero portato davanti alla porta e non sentii i consueti rumori che quei rinoceronti che avevo per coinquilini producevano. Appoggiai un orecchio alla porta, sospettoso: forse erano di nuovo andati a svaligiare la dispensa di quella povera vecchietta che abitava al piano di sotto. Avevo sempre creduto che, prima o poi, suo figlio sarebbe venuto a bussare alla nostra porta e spaccare le nostre facce.
Evitai di pensarci: non avevo alcuna intenzione di impicciarmi dei loro affari.
Quando aprii la porta una consistente massa d'acqua per poco non mi inzuppò le scarpe: feci leva sul corrimano per sollevarmi, e l'acqua passò tra gli spazi tra le ringhiere e si riversò sulla strada. Imprecai sottovoce, rimettendomi coi piedi per terra. «Idioti.»
Spinsi la porta quasi con rabbia, sperando che quei tre non mi intralciassero la strada o avrei fatto un barbecue di imbecille per cena. Le parti basse dei mobili erano completamente fradicie, sospettavo che prima o poi avrebbero ceduto, e l'umidità che c'era in quella stanza era irrespirabile. Aprii una finestra, o non sarei arrivato vivo in camera mia. E non appena pensai alla mia stanza, mi chiesi in che condizioni potesse essere, nonostante chiudessi la porta a chiave tutte le mattine, dopo la storia del maglione con la “K”.
Come minimo, avrei scoperto che le chiavi erano tutte uguali e che loro potevano aprire la mia stanza come e quando volevano. Ormai, niente mi stupiva in quella casa, ma ancora non avevo avuto tempo di trovarmi una sistemazione migliore con un prezzo abbastanza decente per le mie tasche.
Mi avviai verso la mia camera e quando aprii la porta, scoprii che i miei sospetti non erano del tutto infondati: il mio borsone l'avevo lasciato per terra quella mattina, l'acqua era filtrata da sotto la porta, e adesso tutti i miei vestiti erano zuppi.
Grandioso.
«Ehi, ragazzi è tornato Gonshiro!» era la voce di uno di quegli animali, ovviamente. Mi girai con occhio assassino verso la porta, e il capo degli idioti, Ryoutarou, aveva un palmo alzato in segno di saluto. «C'è stato un piccolo incidente...»
«Piccolo... incidente?» ripetei, incredulo e con una voglia di spaccargli la faccia non indifferente. Per me potevano fare quello che volevano, tranne che rendere inagibile il palazzo, toccare la mia roba, o impedirmi di vivere tranquillamente. Loro stavano lavorando per rendere impossibili tutte e tre le cose.
Lui si limitò a scuotere le spalle, come se non avesse potuto evitarlo oppure non fosse assolutamente colpa sua. «Stavamo riparando un guasto idraulico, e... Masao ha piantato il chiodo nel punto sbagliato.» evitai di chiedergli come intendevano riparare un “guasto idraulico” con un chiodo, ma mi dissi che preferivo non saperlo. «Si è bucato un tubo, abbiamo dovuto chiudere l'acqua e chiamare un idraulico. Ha detto che siamo stati quasi dei criminali.»
«Non stento a crederlo.» commentai, acido, e gli indicai con un gesto del braccio il mio borsone. Non avevo mai sistemato le mie cose nei cassetti perché erano quasi tutti sfondati e non avevo mai avuto voglia di ripararli o pulirli, usavo quella casa solo per dormirci. «Adesso spiegami cosa devo mettermi.»
Eichi comparve sulla soglia, accanto al suo degno compare un millesecondo dopo. «Ci penso io, amico.» tentò di rassicurarmi. Io mi limitai ad inarcare un sopracciglio, indeciso se esprimere i miei dubbi o meno. «Abbiamo più o meno la stessa taglia, ti presto qualcosa, che ne dici?»
Sospirai sconsolato: avevo forse altra scelta?
Lo seguii nella sua camera e mi porse un paio di normalissimi jeans e una maglietta verde ben ripiegata, suscitando tutto il mio stupore. «Sono nuovi, mai messi.» in effetti, che bisogno ne avevano? Stavano tutto il giorno in casa a giocare con i tubi sperando che si spaccassero e che loro potessero giocare quanto volevano.
Solo quasi un'ora dopo, quando passai davanti allo specchio, mi accorsi che qualcosa non andava: di solito non guardavo molto quello che avevo addosso, perché qualunque cosa andava bene, e quella maglietta verde non sembrava nascondere nessuna cattiva sorpresa.
Mi sbagliavo.
Poco dopo, mi bloccai di fronte allo specchio come se fossi stato folgorato in quel preciso istante. Delle lettere troneggiavano al centro della maglietta: una freccia indicava verso la mia testa e sotto c'era scritto “THE MAN” a lettere cubitali, sotto un'altra freccia, che però indicava il cavallo dei pantaloni, e sopra citava “THE LEGEND”. Mi trattenni a stento dal gridare.
Penso che scoppiarono a ridere nel momento stesso in cui videro la mia faccia. Indirizzai loro la peggiore occhiata del mio repertorio, ma erano troppo impegnati a reggersi l'un l'altro e prendere aria per accorgersene. Non so cosa mi impedì di prendere il vaso sul mobile alla mia destra e lanciarglielo contro, sperando che gli facesse molto male, forse il fatto che era di plastica e che non avrebbe sortito nessun effetto apprezzabile.
Mi girai verso di loro e i fiori finti nel vaso presero fuoco. Loro smisero di ridere, ma iniziarono a gridare “al fuoco” prima di rinchiudersi in camera, terrorizzati.
Almeno un po' della mia vendetta era stata consumata.

«Noi ci presentiamo per una missione seria, e tu vieni conciato come un cretino?» la voce di Mitsuki mi mise, se possibile, ancora più di cattivo umore. Mi limitai a tirare su la cerniera della giacca, così nessuno avrebbe visto niente, e forse mi sarei dimenticato che stavo davvero andando in giro come un cretino. Il mio caposquadra non poté evitare di ridacchiare, alla mia occhiata omicida. «Non voglio sapere cos'è successo.»
«Bene.» commentai, aspro. «Perché non ho nessuna voglia di raccontarlo.»
Si portò una mano alla bocca per nascondere il sorriso. «Sono ancora vivi?» domandò, quasi interessata. Io annuii e non aggiunsi altro. «Forza, andiamo, Yuuko è già in macchina.» feci di nuovo un cenno di assenso e la seguii fino alla sua auto.
«Allora,» cominciai, appoggiandomi allo schienale dei sedili posteriori. «vogliamo ripassare il piano?» credevo che fosse meglio per tutti, dato che era la nostra prima missione insieme e, probabilmente, la prima per almeno uno di noi.
«È davvero necessario?» chiese Mitsuki, esasperata. In effetti, prima che fosse tutto perfetto, quasi lo sapevamo tutti a memoria. La cosa che mi puzzava parecchio era che Yuka non ne sapesse niente, dato che se aveva scoperto tutto su di me, non capivo come pretendevamo di fargliela sotto al naso. In ogni caso, ce ne saremmo preoccupati in seguito. Passò un auricolare prima a me e un altro a Yuuko. «Questi infilateveli nelle orecchie, per ogni evenienza. Se ci premete sopra gli altri vi sentiranno, li useremo in caso di separazione. Ci siamo capiti?» annuii e lo fece anche lei.
Adesso la questione più pressante era infilarsi in una delle auto dell'Accademia, sperando che fosse Persona quello a non accorgersi di nulla. Mitsuki sembrava fiduciosa, e lo ero un po' anche io. La macchina veniva lasciata in custodia all'autista, mentre lui e gli studenti si occupavano della “missione”, così noi avremmo avuto campo libero, perché anche se erano stati appositamente indottrinati dall'Accademia, non erano Alice e molti di loro non erano nemmeno molto svegli. Speravo che ci capitasse proprio uno stupido, quella notte.
Il piano era semplice: ci saremmo infiltrati in Accademia grazie a quell'auto e poi avremmo proseguito verso le prigioni, in passaggi che mi erano sembrati un po' strani, ma su cui Mitsuki avrebbe messo la mano sul fuoco. Sapevamo addirittura in che prigione era detenuto il membro mancante della squadra, grazie a una fonte che lei aveva definito “autorevole”, e su cui non aveva accettato domande. La cosa importante era che Yuuko non andasse nel panico, lei doveva cambiare aspetto per fingersi l'autista che avremmo messo fuori combattimento, ma doveva essere perfetta per non insospettire nessuno.
Cercai di tirarmi su il morale dicendomi che anche se fosse stato tutto perfetto, niente ci diceva che saremmo tornati indietro tutti interi, indipendentemente dalle abilità teatrali della mia collega.
A quanto avevo capito, la missione dell'Accademia era il recupero di due bambini che riuscivano a riprodurre gli oggetti solo toccandoli, e questo somigliava all'Alice del Preside delle Elementari, che magari voleva duplicarsi in questo modo. Ma mi sembrava una spiegazione troppo banale. Quei due erano già stati recuperati da qualcuno che veniva pagato per fare quel lavoro, e il luogo di scambio era in un quartiere poco frequentato dove nessuno era abituato a fare domande. Mi ricordò molto la situazione che avevo vissuto con Mikan e Imai, quando Reo ci aveva rapiti.
Il peccato era che Persona ancora non sapeva che i bambini erano al sicuro e che sarebbe tornato a casa con un palmo di naso.
Mitsuki fermò l'auto a circa un isolato dal “posto X”.
«Siete pronti, ragazzi?» ci domandò, prima di aprire la portiera. Non sprecò tempo ad aspettare le nostre risposte, così scrollai le spalle e la seguì un momento prima di Yuuko. «La missione è ufficialmente iniziata.»
Iniziammo a camminare in silenzio: nessuno aveva molta voglia di parlare, ci avrebbe distratti dal nostro compito e, sempre in silenzio, ci sistemammo in un punto dalla buona visuale, quasi che ci fossimo messi d'accordo, e rimanemmo ad aspettare che qualcuno si facesse vivo, a dimostrazione del fatto che il salvataggio operato da Ryu e Jou era andato a buon fine e che l'Accademia non sospettava che avessimo boicottato il loro piano. Avrebbero dovuto vedersi in quel magazzino, noi avremmo semplicemente dovuto prendere tempo.
Mezz'ora dopo nessun cambiamento accettabile, e io iniziai a sospettare che eravamo stati noi, quelli presi in giro. «Quanto ci vuole?» si chiese Mitsuki, che probabilmente stava pensando la stessa cosa che era passata per la testa a me. «Se Ryu e Jou non ce l'hanno fatta li uccido con le mie mani.»
«Ammesso che siano ancora vivi.» le feci notare, forse un po' cinicamente. Ma quella era la realtà, una missione fallita poteva implicare molte cose, anche quella. Specialmente dato che chi collaborava con l'Accademia, in generale, non era proprio uno zuccherino.
«Taci.» mi ordinò, quasi che nemmeno volesse sentir parlare dell'eventualità. Io scossi le spalle, e tornai a fissare nel parcheggio.
Nessun movimento.
Quando stavamo per perdere tutte le speranze, il rumore familiare di un auto ci spinse a guardarci l'un l'altra in faccia, mentre l'adrenalina cominciava a scorrermi nelle vene in modo quasi percepibile. Il rombo del motore delle auto su cui avevo viaggiato per anni venne accompagnato dal battito del mio cuore che rimbombava nelle mie orecchie. Mitsuki spinse me e Yuko contro il muro, più al buio, mentre una delle macchine frenava a pochi passi da noi. C'erano due auto. Ne ignoravo il motivo.
Probabilmente avevano fiutato la fregatura e si erano portati del personale per farla pagare a chi aveva provato a prenderli per i fondelli. Il problema era che c'erano due autisti e metterne fuori gioco uno sarebbe stato difficile se l'altro si fosse messo in mezzo.
Puntai lo sguardo sul mio caposquadra, la quale fece cenno a me e a Yuuko di stare in silenzio, neanche ce ne fosse stato bisogno. Allungai il collo solo un po' per vedere oltre la spalla di Mitsuki che stesse succedendo: Persona era sceso dall'auto più lontana e faceva cenno a degli studenti di seguirlo. Non vedere Mikan tra loro fu motivo di conforto, anche se non riusciva a mitigare il mio nervosismo.
Un passo falso e nessuno di noi tre avrebbe rivisto la luce.
Il fatto che l'altra macchina quasi ci coprisse poteva essere una relativa fortuna, dati i vetri oscurati e il fatto che la portiera del guidatore fosse dalla nostra. Se l'altro fosse stato almeno un po' disattento, non avremmo dovuto avere dei problemi, ma come puntare tutto sulla fortuna? Forse avremmo dovuto considerare meglio i dettagli, invece di buttarci subito nella missione.
«Adesso che si fa?» domandai, quindi, seguendo Persona passo dopo passo, mentre si avvicinava al magazzino.
«Stai a guardare, ragazzino.» mi rispose Mitsuki, prendendo dalla borsa il telecomando di qualche strano congegno. «Aspetta che mettano piede nel magazzino, e ti faccio vedere a che serve essere stata per anni nella classe di Abilità Tecniche.» indirizzò un'occhiata a Yuuko. «Tu avvicinati alla macchina, ma senza farti vedere. Tramortisci il tizio con questo e prendi il suo posto. Aiuta il suo collega, capito? All'autista reale ci pensiamo noi. Devi essere veloce, ci siamo capiti?»
«Non è meglio se lo tramortisco io?» proposi. «Se lei deve prendere il suo posto è meglio che si faccia vedere subito appena si apre la portiera. A quello vero penso io.» Mitsuki annuì.
Non appena Persona e i suoi studenti si lasciarono alle spalle la saracinesca del garage, lei ci fece cenno di andare verso l'auto. Dopo, la saracinesca si chiuse, facendo suonare una sirena in modo irritante, le portiere delle auto si aprirono in un secondo e io spinse Yuuko che già aveva assunto l'aspetto dell'autista nel punto in cui si supponeva ci fosse quello vero e stesi il tizio con il teaser. Quello cadde a terra come un sacco di patate, che io mi affrettai a trascinare verso il retro della macchina.
Mitsuki mi raggiunse un secondo dopo e mi aiutò a metterlo nel bagagliaio. Pesava un quintale, quel maledetto! «Sbrigati, cavolo, prima che li liberino.» mi spinse dentro l'auto e ci sistemammo stesi sotto ai sedili della limousine. Per fortuna c'era spazio a sufficienza, là sotto, fatto apposta per metterci le borse.
Mi schiacciai contro la parte che delimitava il bagagliaio, in modo da non essere visto dagli occupanti della limousine, ammesso che ce ne fossero stati (se non era stata presa solo perché una non bastava a portare tutti gli studenti più i bambini). Fortunatamente, eravamo vestiti di nero – eccezion fatta per la mia maglietta che per fortuna era coperta dalla giacca. Sperai solo che Yuuko se la cavasse, ormai l'arrivo in Accademia dipendeva da lei.
Qualche minuto più tardi fui rincuorato dal fatto che l'auto partì, e che era vuota. Avevamo avuto più fortuna di quanto riuscissi a immaginare. Sentii anche Mitsuki sospirare, ma nessuno dei due osò muoversi: non c'era modo di sapere chi ci fosse alla guida, se Yuuko oppure l'altro autista. L'avremmo scoperto una volta varcati i cancelli della scuola, per il momento c'era solo da stare buoni e in silenzio. E sarebbe stato anche bene se l'autista vero non si fosse svegliato durante il tragitto.

«Forza.» Yuuko aprì la portiera dell'auto, e guardò dentro per un secondo del tutto disorientata. Vidi il sollievo sul suo viso quando Mitsuki sbucò da sotto al sedile. «Oh, cielo... credevo che non ce l'aveste fatta a salire e mi era preso il panico.» era ancora conciata da autista, ma era un bene.
«Beh, ci siamo.» fu la risposta del mio capo. Scendemmo dall'auto strisciando contro il muro per evitare la telecamera. «E devi fare un'altra cosuccia per noi, Yuuko.»
«Sarebbe?» chiese lei, fingendo di controllare che l'auto fosse a posto, mentre parlava. Mossa astuta per intrattenersi di fronte alla telecamera senza destare sospetti.
«Disattivare le telecamere per qualche ora, un fermo immagine quando sono tutte vuote.» spiegò Mitsuki, spostando lo sguardo su quella che puntava proprio sulla macchina vicino a noi. «Avvertici della buona riuscita della cosa con l'auricolare.»
«Vado subito.» scomparve dalla nostra vista poco dopo. Sperai che facesse in fretta, stare come le belle statuine in un punto cieco non era il massimo, dato che stare fermo quando sai che non puoi fare altrimenti è una cosa che ti spinge a muoverti anche se normalmente non ne sentiresti il bisogno. Un po' come sentire lo stimolo di andare in bagno quando sai che non puoi.
Avevamo passato tre giorni a studiare la planimetria della scuola, quindi Yuuko sapeva esattamente dove trovare la stanza che conteneva i video che riportavano le immagini trasmesse da ogni punto del campus. Il fatto che non fosse in un altro plesso rispetto al magazzino mi rincuorò: non avremmo dovuto attendere tutta la notte, anche se ogni minimo secondo sembrava durare un secolo.
«Ho fatto.» la voce di quella ragazza mi indusse a sussultare per lo spavento. Non me l'aspettavo. «Ci ho messo molto a convincere quello che controllava che era finito il suo turno, e ho dovuto bloccare le registrazioni in modo che si vedano solo le ultime immagini.»
«Grazie al cielo.» borbottò Mitsuki, prima di aprire il bagagliaio dell'auto su cui eravamo arrivati. «Aiutami a tirarlo fuori.» gli fece ingurgitare una pillola, e mi fece cenno di avvicinarmi. «Così dormirà di sicuro fino a domani e non ci creerà problemi.»
Lo afferramo con una certa fatica, dato che era un peso morto, ma dopo circa un centinaio di passi incerti, riuscimmo a scaraventarlo su una delle sedie nella sala in cui si trovava Yuuko, così non ci sarebbe stata nessuna spiegazione da trovare. Se l'avessimo lasciato nel corridoio qualcuno avrebbe potuto chiedersi com'era finito lì senza che fosse ripreso.
«Abbiamo completato la prima parte della missione?» trillò Yuuko, contenta. Io e Mitsuki la guardammo storto: non eravamo nemmeno lontanamente vicini alla fine di quella storia. Ancora dovevamo arrivare alle prigioni e sperare che la fonte di Mitsuki fosse davvero attendibile come credeva lei.
«Tu resta qui.» le disse Mitsuki, mettendole una mano sulla spalla. «Assumi l'aspetto del furbone che se n'è andato, nel caso qualcuno venga a fare domande. E avvertici se vedi negli schermi qualcuno di sospetto che si avvicina a dove siamo noi. Intesi?»
«Agli ordini, capo!» rispose lei, suonando molto soddisfatta di se stessa. Mi tirò per un braccio, prima che potessi fare qualche commento e uscimmo nel corridoio, chiudendoci la porta alle spalle.
Aprii la bocca per parlare ma lei mi fermò. «Zitto, ti prego, non dire niente.» disse, continuando a trascinarmi per la giacca. «Muoviamoci, invece.»
«Non sai nemmeno che cosa volevo dire.» obiettai, inarcando un sopracciglio. Mi liberai il braccio dalla presa e la affiancai: non avevo bisogno di essere portato in giro come un cane. Lei mi indirizzò un'occhiata dubbiosa.
«So che volevi dire qualcosa in proposito di lei, quindi evitamelo. Lo so che non è molto sveglia, non ho bisogno che tu me lo dica.» si guardò intorno al primo svincolo, e io imboccai la via a sinistra quasi senza pensarci, troppo abituato a farlo, anche se erano mesi che non vedevo quel posto. Lei mi seguì. «Non dico che sia una stupida, dopotutto se l'è cavata egregiamente stasera, è solo che è... ingenua.»
«Puoi sopravvivere bene solo se sei così, qui dentro.» osservai, aprendo la porta antipanico che ci portò in giardino. Solo se non ti accorgevi di niente di ciò che c'era dietro a quello che intendevano farti vedere i tre Presidi, allora la vita scorreva molto bene in quella scuola. Ognuno di quei tre aveva qualcosa da nascondere, perché non era plausibile che nessuno sapesse degli affari del Preside delle Elementari.
«Come si raggiungono le prigioni sotto alle Elementari, da qui?» mi chiese lei, non appena mettemmo piede sui sassi davanti all'erba. «Non ho molto senso dell'orientamento.»
Io mi guardai intorno per cercare di recuperare il mio: le prigioni non erano un posto che frequentavo assiduamente, anzi, preferivo tenermi lontano da lì il più possibile. Sapevo che per entrarci servivano delle chiavi che aveva solo Persona, e di certo non potevamo chiederle a lui. Mitsuki aveva liquidato la questione con il fatto che lei avrebbe potuto costruire un congegno sostituitivo, per cui non avevamo più parlato della cosa, ma non aveva smesso di preoccuparmi. Detestavo non avere un piano definito nei minimi dettagli, quando rischiavo di lasciarci le penne.
Mi guardai intorno, con un sospiro paziente. La sezione Elementare non era lontana dai garage e l'entrata per le prigioni era all'interno, poco lontano dall'ufficio del preside, il muro si faceva da parte solo se si inseriva la chiave giusta in una toppa nascosta da un mobile. Proprio come nei migliori film di spionaggio.
«Di qua.» dissi, incamminandomi verso la mia destra, Mitsuki, di nuovo, mi venne dietro senza obiettare. «Quanto tempo abbiamo per trovarla e portarla via?» avevamo un limite di tempo perché il dannato passaggio per uscire si apriva solo allo scoccare della mezzanotte, non un minuto prima e men che meno il minuto dopo. Poteva essere aperto solo a mezzanotte precisa, se l'avessimo mancato, avremmo perso tutto. Ritenevo stupido aver puntato tutto su questo ma, ragionevolmente parlando, non esisteva altra via di fuga che non attivasse degli allarmi che non potevamo disattivare.
«Meno di tre ore.» mi rispose Mitsuki, e dal tono si intuiva che iniziava, come me, a sospettare che non ce l'avremmo fatta facilmente come credevamo. Questo perché c'era stato quel ritardo iniziale delle auto della scuola, che ci aveva fatto perdere del tempo prezioso.
In ogni caso, questo era il tempo che avevamo a disposizione e dovevamo farcelo bastare. Spinsi una delle porte laterali del plesso delle Elementari e mi diressi lentamente verso la porta dell'ufficio del Preside. Feci cenno a Mitsuki di camminare rasente il muro sotto la telecamera che inquadrava la porta, portandosi sulle punte per non rischiare che le scarpe si vedessero nell'inquadratura. Quella telecamera apparteneva a un altro circuito, per quel che ne sapevo io, ed era bene non rischiare a un passo dalla porta che ci serviva.
«Quindi?» chiesi, impaziente, quando spostai il mobile il tanto che bastava perché la serratura si vedesse. «Come la apriamo?»
Lei si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa. «Non c'è niente di smontabile qui intorno?» mi chiesi che razza di domanda fosse: non credevo che non avesse niente in quella borsa, ma cosa ci poteva essere di “smontabile” in un corridoio deserto e spoglio?
«Ti aspettavi di trovare arnesi pronti per essere usati da te per scassinare la porta?» fu la mia risposta retorica, la qual cosa suscitò uno sguardo esasperato. «E allora che pretendevi?»
«Credevo solo che in una scuola all'avanguardia come questa ci fosse qualcosa da smontare.» obiettò, sbuffando. Scavò nella borsa, alla ricerca di qualcosa di utile, ma niente che potesse aiutarci a calcare la forma della chiave, non in un muro. «Avresti anche potuto dirmelo che la porta era una parete.»
«Credevo che lo sapessi.» in fondo era lei che aveva frequentato l'Accademia prima di me e che se n'era andata a lavorare da Z per fermare i traffici loschi, pensavo che sapesse tutto a riguardo. Ovviamente, mi sbagliavo. Se una situazione simile avesse dovuto riverificarsi – sempre che riuscissimo a uscire da questa – avrei messo a disposizione anche la più stupida delle informazioni che possedevo a riguardo.
«Al diavolo i piani male organizzati!» imprecò Mitsuki, appoggiandosi al mobile che avevamo appena spostato. «La fretta ci ha giocati per bene. Come facciamo a tornare a casa e a dire “niente di fatto, gente”? Saranno Ryu e Jou ad ammazzare noi, per non parlare di Yuka che ci aveva proibito di avvicinarci a questo posto.»
«Per la storia del precario equilibrio che non va sconvolto finché non siamo pronti ad affrontare questi invasati?» era di nuovo una domanda retorica, ma lei annuì lo stesso. Io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo, trattenendo il commento sarcastico che avevo sulla punta della lingua.
«Hai qualche idea, genio-Hyuuga?» mi domandò, dopo qualche secondo in cui nessuno dei due sapeva come sbloccare la situazione. «Se solo i laboratori delle Abilità Tecniche non fossero dall'altra parte del campus...»
«Beh, lo sono.» osservai, dato che preferivo non affidarmi ai “se” e ai “ma”: non serviva a niente, tantomeno in una situazione simile. E se proprio non c'era scelta, dovevamo pensare a un mezzo di trasporto, dato che le auto nel garage non potevamo utilizzarle. La chiusura della saracinesca era nell'ufficio del Preside e non potevamo entrare senza essere inquadrati da un'altra telecamera.
«Porca misera. Non possiamo rinunciare ora.» si alzò e mi fece cenno di seguirla da dov'eravamo venuti. «Andremo a piedi. Almeno ci avremmo provato.»
«Abbiamo poco più di due ore, Mitsuki.» era il caso che le facessi rimettere i piedi per terra. «Non ce la possiamo fare ad andare, cercare e trovare le cose che ci servono, tornare a fare il calco – sempre se ci riusciamo, trovarla, liberarla e portarla via prima di mezzanotte. Non è possibile. Dobbiamo anche trovare la chiave del Wraphole. E sta nella sezione Superiore, dal Presidente del Comitato Studentesco.»
«Quello è il più piccolo dei problemi, ora.» mi disse lei, mentre di nuovo uscivamo nel giardino. «Non credevo che mi sarei trovata nel bel mezzo di una missione senza sapere cosa fare e perdere tempo in modo tanto idiota.»
Stava andando tutto troppo bene perchè potessimo essere fortunati fino all'ultimo, e di certo non mi aspettavo che la chiave sbucasse da un albero o fosse sotto un sasso. Feci vagare lo sguardo più per disperazione che per reale convinzione. «Ho trovato.» proruppi, a un certo punto, facendole alzare lo sguardo speranzosa. «Spero che possa esserti utile, perché è la nostra ultima spiaggia.»
«Parla, ragazzino.» mi incitò, e le indicai uno dei vari capanni dei giardinieri – ce n'era una per ogni area – che si prendevano cura del bosco di Mr Bear, e di tutte le aiuole disseminate nel campus. Sorrise vittoriosa. «Sei un genio, Hyuuga!»
«Muoviamoci.» la interruppi, prima che le venisse in mente di fare qualcosa come scompigliarmi i capelli con le nocche. Dentro non mi aspettavo di trovare qualcosa che ci aiutasse a trovare la forma della chiave, ma tentare non costava nulla. «Dici che ci sarà qualcosa di utile?» le porte di quei capanni non erano mai chiuse per via delle punizioni degli studenti che a volte riguardavano pulire i bidoni della spazzatura vaganti. Le buste speciali le tenevano lì.
«Qualcosa troveremo.» entrammo ma era un po' buio, finché non trovai l'interruttore della lampadina dalla luce decisamente tremante. Ma lì c'erano solo strumenti per tagliare l'erba e per il terreno, niente che potesse essere utile. «Ehi, dimmi una cosa...» mi voltai verso di lei, iniziando a perdere la poca speranza che avevo acquisito. «il tetto delle prigioni... dà sull'esterno o sul pavimento?»
«Le prigioni sono sotto ai nostri piedi.» risposi, confuso. «Sotto all'edificio ci sono dei cunicoli per le emergenze. Non c'era spazio lì.»
Lei ghignò in modo quasi inquietante. «Bingo.» disse solo, prima di prendere quasi tutti gli attrezzi del giardiniere, smontarli e cominciare a rimetterli insieme per un qualche strano congegno da lei ideato.

Circa un'ora dopo, stavamo trascinando un pesantissimo affare verso il punto in cui, a detta della planimetria, doveva esserci la prigione che cercavamo. Il piano era di tagliare la fetta di terreno e di soffitto che ricopriva la cella che ci interessava, prelevare la collega che eravamo venuti a salvare e sparire prima che qualcuno notasse il buco che avevamo lasciato.
Yuka ci avrebbe uccisi, questo ormai era chiaro, tanto valeva andare fino in fondo.
«Sicuro che sia questa?» domandò lei, col fiatone. Io annuii, per non sprecare fiato inutilmente. Il congegno aveva delle ruote, ma non volevamo sprecare batteria, per essere sicuri che non si fermasse a metà del lavoro. Mitsuki aveva fatto in modo che la lama tagliasse in cerchio, o una figura chiusa che ci si avvicinasse, ma ancora non sapevamo se avrebbe dato gli effetti sperati. «Accendilo, ti scongiuro.»
Premetti il pulsante e rimasi sorpreso: non avrei mai creduto che quell'attrezzo potesse funzionare per davvero. Dovevo ammetterlo, Mitsuki aveva un Alice particolarmente utile, in situazioni del genere. Mi guardai intorno, per essere sicuro che neanche le telecamere fuori dall'ufficio del Preside ci avessero ripresi per errore. Non stava arrivando nessuno, quindi mi convinsi che eravamo stati sufficientemente mimetici. Quello che mi preoccupava era il rumore del motore da tagliaerba che quel coso aveva in sé: qualcuno si sarebbe chiesto se c'era un giardiniere pazzo che tagliava l'erba alle dieci di sera? La fortuna era che i bambini delle Elementari non scorrazzassero in giro grazie del loro coprifuoco, le nove di sera, poco dopo la cena.
Nel frattempo, Mitsuki tirò fuori dallo zaino una corda che fissò all'albero più vicino. «Dammi una mano, sennò che ci stai a fare qui?» mi richiamò, porgendomi l'estremità della corda. Avevo imparato a fare dei nodi nel caso in cui fossero serviti, non si sapeva mai cosa poteva succedere in una missione, così ne feci uno dei miei, e verificai che potesse reggere almeno un po' di peso, visto che avevo il vago dubbio che avremmo dovuto calarci nel buco creato con quell'attrezzo con quella.
«Vado prima io.» annunciai, prima che ci andasse lei e cadesse, dandomi la colpa di qualche osso rotto. Ma Mitsuki si limitò ad annuire, probabilmente pensando che le mie ossa rotte erano meglio delle sue. Mi aggrappai alla corda e feci attenzione a non far sbriciolare il terreno più del necessario, o anche risalire sarebbe stato un problema. Quando toccai il pavimento della prigione, era così buio che non riuscivo a vedere quasi nulla, se non una debole luce che doveva provenire dal fondo del corridoio e trapelava dalle sbarre. L'unico rumore percepibile fu quello che le scarpe di Mitsuki produssero sul pavimento, proprio vicino a me. «Non si vede niente.» commentò, a bassa voce.
«Che intuito.» ironizzai, nello stesso modo, per poi guardarmi intorno e cercare di abituarmi alla mancanza di luce. «Sei sicura sia la prigione giusta?»
«Certo che sono sicura. Me l'ha detto una fonte autorevole.» ero curioso di sapere chi fosse la sua “fonte autorevole” per valutare la sua attendibilità, ma non feci domande. «Conoscendola, sta zitta per la suspance.»
«Dubito che sia così stupida.» obiettai, assottigliando gli occhi. Mi diressi verso il fondo della cella, anche se dubitavo che qualcuno sano di mente sarebbe andato a infilarsi nell'anfratto più scuro e sporco di quel posto orribile. Urtai qualcosa col piede e ne seguì un lamento. «Mi sa che l'ho trovata.»
Mitsuki corse verso di me e si inghinocchiò. «Yui-sempai?» domandò, e mi abbassai anche io, pensando che avesse bisogno di aiuto. «Natsume... lo so che ti costa, ma mi faresti un po' di luce per un attimo?» obbedii, ma giusto il tempo per permetterci di distinguere qualcosa, poi la fiamma si spense, e tornammo a vedere anche meno di prima. Almeno avevamo capito con chi eravamo, e che eravamo nella cella giusta.
La donna tossì. «Mitsuki-chan?» domandò, suonando sollevata. Non stentavo a crederlo, a nessuno piaceva trovarsi lì in fondo. Sembrò risvegliarsi completamente quando si tirò su. «Sei pazza? Cosa fai qui?» adesso sembrava agitata.
«Io e Natsume siamo venuti a salvarti.» spiegò lei, bisbigliando. «Ma dobbiamo fare in fretta, dubito che ci mettano molto per accorgersi che le telecamere sono state bloccate. Dobbiamo andarcene subito.»
«E come pensi di uscire?» le chiese l'altra, appoggiandosi a me e a Mitsuki per alzarsi.
Senti il mio caposquadra sorridere. «Come siamo entrati, ovviamente.» mi pareva che stesse accennando all'apertura che avevamo creato nel soffitto con la testa, e quando Yui sollevò lo sguardo per fissarla emise quasi uno sbuffo divertito. «Come ricoprirai le prove della mia fuga?»
«Che senso ha ricoprirle quando sapranno comunque che sei scappata?» domandai, suonando ironico. «Capiranno comunque che siamo stati noi.»
«E Yuka ci ucciderà.» completò Mitsuki, anche se non sembrava realmente preoccupata. «Ci aveva detto di muoverci con cautela.»
«Non mi stupirebbe se vi avesse detto di non muovervi affatto.» commentò Yui, e mi sembrò che non fosse nemmeno un po' risentita. Forse erano tutti uguali, all'Organizzazione Z.
«Ormai è andata, giusto?» Mitsuki si legò la corda in vita. «Vado prima io, poi manda su Yui, così ci sarà qualcuno di lucido fuori e dentro la cella, avremo più possibilità di portarla in salvo se ci scoprono. Se succede qualcosa di sopra, Natsume, tu resta qui. Siamo d'accordo?» la luce si fece improvvisamente un po' più forte, tanto che riuscimmo a guardarci in faccia potendo distinguerci. Penso che il sangue nelle vene gelò a tutti come nelle mie. Ci spingemmo verso l'angolo più buio, pregando che nessuno vesse il foro nel soffitto. Anche se era notte e il cielo scuro poteva anche essere confuso col tetto grigio della cella, dubitavo che sarebbe passato inosservata la corda che portava dritta a noi, a qualcuno che era solito controllare che fosse tutto a posto. Se, poi, fosse stato Persona, avevo il dubbio che ci trovassimo in guai talmente grossi da non averne nemmeno idea. Soprattutto io che si supponeva che fossi la loro spia e poi mi infiltravo nella scuola per sottrarre dei prigionieri.
«Che facciamo?» sussurrò Yui, con voce malferma. «Avete un piano di riserva anche per questo?»
«Veramente... da un certo punto in poi siamo andati a ispirazione.» confessai, lanciando un'occhiata obliqua a Mitsuki, che aveva scombinato tutti i piani. Lei mi pizzicò un braccio, penso per non muoversi per darmi un calcio.
«Oh, sta' zitto.» mi fece poi, frustrata. «Non prevedevo che sarebbe successo questo
«La tua fonte autorevole aveva omesso le ronde di controllo dei prigionieri?» magari non era il momento giusto per fare del sarcasmo, ma non riuscivo a credere che ci fossimo cacciati nei guai, che avrei fatto saltare la mia copertura perché qualche imbecille aveva tralasciato dei dettagli importanti. E non riuscivo a non smettere di pensare che se mettevo nei guai me, mettevo nei guai anche Mikan, forse anche peggio di quanto potessi immaginare.
La luce si fece sempre più forte, era a pochi passi dalla cella in cui tentavamo di nasconderci, ondeggiò per qualche secondo e poi mi accecò. Durò solo un momento, ma mi ci volle qualche attimo per riuscire a vedere in modo decente. C'era qualcuno con un vassoio, davanti alle sbarre: le avevano portato la cena.
«Yui-san...» fece una voce, che alla prima non riconobbi. «sei sveglia? Scusa se sono arrivata tardi, ma non ho potuto portarti prima da mangiare.» la ragazza si allungò sulle punte, forse per sbirciare meglio nella prigione, ma teneva la luce sotto al vassoio, e non riuscivo a vedere chi fosse. Solo qualcuno delle Abilità Pericolose conosceva quel posto. «Stai... stai bene?»
Diedi una gomitata alla nostra prigioniera perché rispondesse. «Sì...» disse, allora, flebilmente. «Ma non ho molta fame...»
«Ma... Kisaki-chan ha detto che avevi assoluto bisogno di mangiare...» obiettò, e mi ricordò molto Mikan, ma non era possibile che fosse lei. La ragazza si piegò fino alla fessura per lasciar passare il vassoio, e quando lo fece, davanti alla lampada caddero i suoi capelli, legati in due codini che furono dolorosamente familiari.
«Mikan?» mi sfuggì, quasi che non avessi alcun controllo su ciò che dicevo. Mitsuki mi assestò un altro dei suoi pizzichi, ma lo ignorai deliberatamente e mi avvicinai alle sbarre. Adesso che la luce non aveva più l'ostacolo del vassioio vedevo bene e non c'era possibilità di sbagliarsi: era davvero lei. Lasciò andare di scatto la lampada che cadde a terra – per fortuna senza rompersi – e indietreggiò fino al muro, quasi che l'avessi spaventata a morte, e forse era così.
«N-Natsume...» aveva gli occhi sbarrati e non poteva sembrare più stupita di vedermi e disorientata.
«Cosa ci fai qui?» adesso era la preoccupazione di vederla in posti di cui nemmeno avrebbe dovuto sapere l'esistenza che aveva preso il sopravvento sulla sorpresa.
Per un momento, lei continuò a fissarmi come se non fossi davvero lì ma solo un'allucinazione, e lo strisciante sospetto che fosse veramente entrata a far parte delle Abilità Pericolose non riuscì ad abbandonarmi.


*****

Scusate – per l'ennesima volta – il ritardo nella pubblicazione. Questo periodo è un po' strapieno di cose da fare, e devo ammettere di aver perso un po' di vena creativa, riguardo a questo fandom. Un po' perché il manga va avanti col contagocce e con quasi niente di nuovo, e un altro po' perché l'autrice ha usato lo stesso identico finale che era venuto in mente a me U.U – la parte un po' prima che Natsume ci lasci le penne.
Questo è seccante. U.U
In ogni caso il capitolo non è stato Betato, se c'è qualcosa che non va, lo correggerò più avanti, ma non ce l'avrei fatta a farcela a pubblicare oggi se l'avessi fatto leggere a un occhio che non era il mio XD.
Per tutti gli universitari, buon inizio del secondo semestre!

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Capitolo 26
*** Cambiamenti ***


Prima di cominciare, vi dico di leggere lentamente XD prendetevi le vostre pause... un giorno o due tra una parte e l'altra perché il capitolo è veramente lungo e pesante, avevo pensato di tagliarlo ma non riuscivo a capire dove, quindi è tutto intero. Buona lettura!

Capitolo 25 – Cambiamenti
(Mikan)


Avevo il cuore in gola. Mi ci era saltato alle parole di Kisaki-chan, forse perché avevo una vaga idea sul perché il Preside ci avesse convocato. L'unico rumore che avevo sentito per il corridoio più che buio, oltre a quello dei nostri tacchi sul pavimento, era proprio quello del mio battito accelerato, che mi rimbombava nelle orecchie come un tamburo.
I denti avrebbero anche iniziato a fare un rumore inquietante, come quelli degli scheletri, se non mi fossi sforzata di mantenere la mascella ferma. Lanciavo di tanto in tanto delle occhiate la mia accompagnatrice che aveva uno strano sguardo, quasi che stesse pensando a un piano geniale, che io speravo avesse. Insieme a tutto questo ci si mettevano anche i sensi di colpa, per aver derubato una ragazza innocente del suo potere, cosa per la quale avrebbe anche potuto essere espulsa dalla scuola, come gli studenti che lo perdevano in modo naturale, e io non riuscivo a trovare una giustificazione per ciò che era successo. Non mi ero nemmeno resa conto che stavo facendo qualcosa, in quel momento, avevo solo un totale black-out.
Arrivammo davanti alla porta dell'ufficio senza quasi che mi rendessi conto di quanta strada avevamo percorso. «Sei pronta?» mi domandò la mia amica, con un pugno già alzato a mezz'aria verso la porta. Io mi limitai a deglutire, così bussò.
«Avanti.» la voce del Preside era calma, ma dubitavo che, se anche fosse stato arrabbiato con noi, l'avremmo sentito gridare: sembrava una persona incapace di una qualunque manifestazione del genere. Mitsuki mi sospinse piano oltre la soglia, probabilmente perché non avevo nemmeno accennato un passo verso di essa. «Eccovi, accomodatevi.» non era solo, c'era Aki-san seduta su una delle due sedie di fronte alla sua enorme scrivania. Sarà stato perché era sera, ma mi metteva davvero una grande agitazione addosso.
Mitsuki mi cedette il posto sull'unica sedia rimasta e decisi che sedersi era la migliore tra le cose che potessi fare, data la tremarella che mi era presa alle ginocchia.
«Preside, perché siamo qui?» chiese la mia compagna di classe, appoggiandosi al bracciolo su cui non avevo posato il braccio.
Aki-san fece una smorfia. «Non dovresti nemmeno chiederlo.» disse, risentita. Ci guardò nello stesso modo in cui i poliziotti guardavano i sospettati nella sala degli interrogatori nei vecchi film polizieschi che avevo visto guardare al nonno molto tempo fa, e la cosa mi metteva ancora di più in soggezione, forse perché già sapevo di aver fatto qualcosa di male.
Il Preside sospirò. «Ho ascoltato la versione dei fatti della signorina Tsuruga, adesso gradirei sentire la vostra.» lanciai un'occhiata a Mitsuki, sperando che lei avesse qualcosa da dire che non fossero delle immagini confusionarie di tutta la scena. La mia unica certezza era quella pietra Alice nella tasca della mia gonna, che adesso pareva pesare come un macigno.
Le mie preghiere furono ascoltate: «La nostra è che... abbiamo avuto un problema durante una ricognizione su un... caso di bullismo che la signorina Tsuruga ha portato alla mia attenzione.»
Il Preside annuì, e sembrava assorto in qualche strano pensiero. «Problema di che genere?» chiese, allora.
«Mi hanno rubato l'Alice in qualche modo!» intervenne Aki-san, con uno sbuffo di sopportazione. «Gliel'ho già detto.»
«Non è stata una cosa voluta...» mugugnai, abbassando la testa. Mi sentivo così in colpa che avrei dato qualunque cosa per risolvere la questione. «Lo giuro...» trattenni a stento le lacrime, al pensiero che mi avrebbero rinchiusa in quelle famose prigioni sotto la sezione Elementare di cui mi aveva parlato Hotaru. «E allora perché l'hai fatto?» scattò lei. «Se non volevi farlo perché l'hai fatto?»
Non mi azzardai a guardarla in faccia, preferii rimanere a fissare il fermacarte del Preside, lui non mi avrebbe guardata in quel modo. «Non lo controllo.» spiegai. «Non sapevo nemmeno di poterlo fare sul serio.» era vero che mi era stato spiegato, ma non ci avevo mai creduto, avevo sempre sperato che si fossero sbagliati.
«Mikan.» fu il Preside a chiamarmi, prima che chiunque altro potesse dire qualunque cosa. «Ti avevo avvisata che dovevi venire a esercitarti qui da me, perché non ti sei mai presentata?» immaginai che avrebbe ritenuto una scusa, perciò non dissi nulla.
«Eri consapevole di avere un Alice del genere e non hai mai pensato di metterlo sotto controllo?!» sbraitò Aki-san scandalizzata e al tempo stesso terrorizzata. «Sai quante persone hai messo in pericolo?! Dovrebbero quantomeno sapere cosa sei in grado di fare, per potersi difendere da qualcosa per cui hai scelto di non fare nulla!»
«Mi dispiace...» sapevo che non era una cosa a cui si poteva mettere fine con le scuse, ma davvero non sapevo che altro fare. «Preside... posso...?» estrassi la Pietra Alice dalla tasca e la posai sulla scrivania. «Posso provare a restituirglielo?»
Lui annuì. «Devi.» guardai Aki-san di sottecchi, aspettando che mi desse il permesso di avvicinarmi, ma lei rimase ferma lì dov'era senza dare un segno che l'idea le andasse a genio o meno. Così, per riparare al mio sbaglio, feci la prima mossa e mi alzai.
«Adesso proverò a invertire ciò che ho fatto. Va bene?» chiesi, titubante. Anche lei si alzò, ma mi guardò con diffidenza prima di annuire. Speravo che invertire il processo fosse una cosa per cui non avrei dovuto impegnarmi più di tanto così com'era stato prenderglielo, perché davvero non sapevo come fare. Magari il mio desiderio di rimettere le cose al loro posto sarebbe stato sufficiente.
Sentii uno strano potere scorrere lungo le mani, non avevo mai provato niente del genere: forse era il mio Alice! Sorrisi e appoggiai la pietra Alice sulle mani di Aki-san.
Non successe nulla.
Mi voltai verso il Preside, improvvisamente terrorizzata. «Cosa...?» chiesi, confusa.
Lui era di nuovo pensieroso. «A volte restituire l'Alice non è così semplice.» io lanciai un'occhiata a Kisaki-chan, che aveva gli occhi fissi sul pavimento, in cerca di una spiegazione che non poteva darmi. «Così come rubare l'Alice non lo è. Te ne avevo parlato.»
Ricordavo vagamente qualcosa sul fatto che alcuni poteri non vengono mai risucchiati completamente, ma questo non rispondeva alla mia domanda: «Come posso fare, allora?»
«Senza esserti esercitata dubito che potrai mai riuscirci.» fu la sua risposta, che mi gelò sul posto. Non potevo essere di alcuna utilità, se non prima di una certa quantità di tempo. «Certo, se non avessi lasciato passare dei mesi, adesso potresti anche farcela.»
«E io cosa farò?» fu il commento affranto di Aki-san che indietreggiò di un passo, per rimettersi a sedere, del tutto scoraggiata. Io sospirai e decisi anche io di ritornare al mio posto. «Come faccio a riavere il mio Alice? Io non voglio andarmene a causa sua!» e mi guardò, quasi con odio, come faceva Sumire quando dicevo che sarei uscita con Natsume.
«Scriverò una lettera dettagliata al nostro dottore all'ospedale Alice.» rispose il Preside, mantenendo la calma. «Spiegherò la situazione e cercherà un modo per aiutarti.» cercò di rassicurarla così, ma non le sue parole non sembrarono fare effetto su Aki-san che si agitò sulla sedia. «Comunque non c'è nessuna garanzia che possa funzionare. Probabilmente il tuo Alice stava già iniziando a scomparire quando Mikan te ne ha liberato inavvertitamente. Questo tipo di Alice è difficile da gestire, il tuo corpo potrebbe non riconoscerlo più, dato che sarebbe sparito comunque con la crescita.»
«Ma... ma...» balbettò lei, con le lacrime agli occhi, prima di guardarmi come se dubitasse della mia esistenza. Abbassai lo sguardo, sperando che mi venisse in mente un'idea geniale.
«Preside.» fu la voce di Mitsuki a rompere il silenzio che si era creato e che rendeva i singhiozzi di Aki-san ancora più forti. Avrei voluto consolarla, ma sapevo di non averne alcun diritto, sapevo solo che ognuno di essi mi faceva sentire sempre peggio. «Perché siamo qui?»
«Per la punizione.» e il suo tono ovvio non avrebbe dovuto stupirmi così tanto. «A Mikan perché ha deliberatamente saltato delle attività a cui l'avevo obbligata personalmente a partecipare e per aver, in conseguenza di ciò, fatto un danno potenzialmente irreparabile; e a te, perché un Presidente del Comitato Studentesco non dovrebbe comportarsi così: non si coprono i propri compagni, anche e soprattutto se sono amici. Mi aspettavo che mi riportassi la cosa, Kamiya Kisaki.»
Lei non rispose e io mi sentii in dovere di dire qualcosa. «Quali...» mi schiarii la voce. «quali sono le nostre punizioni?»
Lui mi rivolse la sua attenzione e per un attimo la sua calma glaciale mi ricordò Hotaru, solo che lei faceva molta meno paura. «Ho deciso che recupererai le lezioni perse e che...»
«Posso fare una proposta, signor Preside?» domandò Aki-san, asciugandosi le lacrime con rabbia. Spostammo tutti l'attenzione su di lei, completamente. «Direi che Sakura Mikan starebbe meglio tra le Abilità Pericolose! Non sa usare questo... questo suo nuovo Alice e non fa niente per cercare di controllarlo. Non sa usare nemmeno quello dell'annullamento, figuriamoci, quindi, quando imparerà a usare questo, che è... è un Alice terribile! Sanno tutti che è una maldestra, è famosa per questo! Non voglio che ad altri capiti quello che è capitato a me!»
«Mi sembra un po' presto per parlare di...» stava dicendo il Preside, quando una voce lo interruppe, e sembrava provenire da una profonda caverna a centinaia di metri dalla superficie.
Rabbrividii di terrore. «Io sono d'accordo.» era Persona, e lo scoprii non appena mi girai verso l'entrata dell'ufficio. Lui era sulla porta, come se fosse naturale per lui stare lì e senza farsi annunciare. «Dobbiamo tutelare i nostri studenti, dico bene?»
«Non credo sia una buona idea, invece.» ribatté il Preside, ma sapevamo tutti che aveva ragione. Io ero pericolosa. «Mikan non è...»
«Oh, sì. Lo è.» lo interruppe di nuovo Persona, con un sorriso stampato sul viso. Sarei scappata volentieri urlando se Kisaki non avesse avuto una mano sul mio polso. «Abbiamo già avuto una studentessa col suo Alice. Devo ricordarti com'è andata a finire? Qualcosa mi dice che non ne hai bisogno.» mi sembrava di aver già sentito una cosa del genere, forse quando ero stata in quell'ufficio mesi prima, ma allora non avevo pensato che avrei dovuto cercare delle informazioni in più su questa studentessa che possedeva il mio stesso Alice, magari potevo contattarla e farmi aiutare a controllarlo. Non che non mi fidassi del Preside, anzi, ma parlare con qualcuno che aveva il mio stesso problema – o l'aveva avuto – mi sarebbe stato sicuramente di grande aiuto.
Una cosa che sapevo non avrei mai dimenticato, dei minuti successivi, era lo sguardo del Preside in quel momento, sembrava che avrebbe potuto fulminarlo con il pensiero. Non disse nulla e io capii che ormai il mio destino era segnato.
«E che dire della nostra cara Kamiya Kisaki?» Persona studiò la mia amica da capo a piedi, con una smorfia di disgusto. «Dovresti avere a cuore gli interessi degli studenti, mia cara. Non i tuoi o dei tuoi amici.»
Kisaki-chan si irrigidì. «Io...» lui le fece cenno di tacere e lei ubbidì immediatamente.
«Ho in mente una buona punizione anche per lei, in modo che sia da monito anche per gli altri studenti.» proseguì, girando intorno alla scrivania per arrivare alle spalle della sedia del Preside. «Dimissioni.» «Sta scherzando!» fece incredula lei, portandosi la mano alla spilla che la designava come Presidentessa del Comitato Studentesco. Abbassai di nuovo gli occhi sul fermacarte: non solo avevo privato molto probabilmente in modo permanente dell'Alice una povera e innocente ragazzina delle medie, adesso avevo anche fatto perdere a Mitsuki la sua posizione nel Comitato. Tirai su col naso, sentendo che ora non potevo più trattenermi.
«Sono d'accordo.» il Preside stavolta sembrava non avere riserve, e la cosa mi colpì ancora di più.
«Ma... ma non è stata colpa sua!» intervenni, cercando di limitare il danno che avevo fatto. Era solo colpa mia, non avrebbero dovuto punire anche lei. Kisaki-chan mi mise una mano sulla spalla.
«Lascia perdere.» aveva una strana smorfia sul viso, ma potevo perfettamente capire che le desse fastidio dover rinunciare alla sua carica solo perché aveva cercato di farmi un favore. «Ha già il voto di due Presidi su tre, dato che Persona è il portavoce di quello delle Elementari. È deciso.» si tolse la spilla e la lasciò cadere sul tavolo. «C'è altro?»
«La chiave.» Persona sorrise di nuovo, in quel modo che gli era proprio caratteristico. Allungò una mano, come se la volesse in quel momento. Ma quale chiave?
«Ma certo.» fece lei, come se si fosse improvvisamente accorta o ricordata di qualcosa. Fece passare la mano dentro al colletto della camicia e ne tirò fuori una catenina con una chiave come pendente. Tirò e se la staccò di dosso. «Ecco qui.» lasciò cadere anche quella sulla scrivania, non accorgendosi o ignorando la mano che Persona le tendeva.
Il Preside completò le direttive per l'Ospedale Alice e Aki-san, appena più sollevata, uscì dalla stanza. Restammo in silenzio per un po'. «Alla prossima riunione della classe di Abilità ti unirai a noi, Sakura Mikan.» disse Persona, prima di andarsene anche lui.
«Grandioso.» commentò Kisaki-chan, ma sembrava che non parlasse con me e sembrava anche che non fosse seria. «Bel lavoro.»
«Mikan.» intervenne il Preside, facendo cenno verso la porta. «Ora puoi andare. Ti aspetto domani pomeriggio per fare esercizio, non mancare per nessuna ragione. Nel frattempo è meglio se ti tieni lontana dagli studenti, per non replicare ciò che è successo oggi. Non voglio che si spargano voci inutili sul tuo conto.» io annuii e guardai la mia amica, in attesa che facesse una mossa per raggiungermi.
«Ho due cose da dire al Preside, Mikan. Ti raggiungo dopo, va bene?» io annuii e decisi che l'avrei aspettata fuori, ma avevo paura che volesse mettersi a discutere con lui per causa mia, così non potei non rimanere fuori ad ascoltare per accertarmi che non fosse così.
«Perché il tuo voto è stato favorevole?» domandò lei, e mi stupii sinceramente di non sentirle usare nessun titolo onorifico e che si prendesse così tanta confidenza con lui. Non era mai capitato in mia presenza.
«Perché in quasi un anno non sei stata affatto utile, Kisaki.» replicò lui, ed ebbi la sgradevole sensazione che quella conversazione non fosse fatta per le mie orecchie, ma qualcosa mi impediva di allontanarmi per farmi gli affari miei.
«Cosa?» chiese lei, e suonò incredula. «Io non sarei stata utile?» ci fu una lunga pausa, ma non seppi dire cosa stava succedendo, pareva che niente si stesse muovendo all'interno della stanza ed ebbi paura che mi avessero scoperta, ma quando guardai dalla fessura che avevo lasciato per poter ascoltare, li vidi semplicemente l'uno di fronte all'altra.
«Già. Non abbiamo raccolto molte informazioni da quando sei nella classe di Abilità Pericolose né sappiamo molto di più da quando gestisci il Comitato. Era la scelta più sensata, inoltre, dato che per chiunque altro sarebbe stato così, non avrei avuto scuse per oppormi.»
«Già,» suonò amareggiata. «tu non hai mai scuse per opporti.» ed era strano che sembrasse avere esperienza a riguardo. «È quello che hai fatto fin dall'inizio, no? Cercare una scusa per fare qualcosa.» rise, eppure non era divertita. «O per non farla. Se non ci fosse stata Yuka saresti ancora lì dietro a quella scrivania a cercare la tua dannata scusa. E vieni a dire a me che non sto facendo niente.» si sporse verso di lui, appoggiando le mani sulla scrivania. «Forse è vero che non ho fatto il mio lavoro come avrei dovuto, ma non accetto che me lo dica l'uomo che ha lasciato suo fratello morire stando solo a guardare e che ancora guarda, nonostante la figlia di quel fratello, sua nipote, abbia un disperato bisogno del suo aiuto. Se lei non è venuta da te, spettava a te andare da lei, il resto è una giustificazione piuttosto sciocca.» si tirò di nuovo su. «Per me le tue scuse puoi infilartele su per il naso, Kazumi, perché non sono io quella che non sta facendo niente.»
Sembrava che la conversazione fosse finita, ma comunque non avevo il coraggio per ascoltare altro. Così scappai, perché non potevo più sentire altro, perché avevo troppe domande che non potevo porre a nessuno, perché mi sentivo in colpa per aver origliato e per aver creato tutto quello scompiglio. E perché anche se non avevo capito niente di ciò che si erano detti, sapevo solo che mi aveva messo lo stomaco in subbuglio, la stessa sensazione che avevo quand'ero terrorizzata, o quando il mio nuovo Alice stava per farmi perdere i sensi.

«Mikan.» quando Kisaki-chan mi chiamò ritornai alla realtà e mi accorsi di essere appoggiata a una colonna del corridoio che dava sul cortile. Sembrava felice di vedermi. «Ti ho cercata dappertutto.» Solo allora mi ricordai che cos'era successo fino a quel momento. «Oh...» fu tutto quello che riuscii a dire inizialmente.. «Mi dispiace.»
Lei scosse le spalle, come se non fosse stato granché importante. «Ho una cosa per te.» mi disse e aprì la cartellina che aveva in mano e che solo allora notai. «Me l'ha data Persona mentre venivo qui, quel simpaticone, no?» mi rivolse mezzo sorriso e mi passò un foglio tra i tanti che c'erano dentro.
«Che cos'è?» domandai, titubante. La sola vista di un foglio che sapevo mandato da quel tipo strano mi faceva venire i brividi.
«La prossima lezione di classe di Abilità e saltata, grazie al cielo.» spiegò lei, e allora presi il foglio dalla sua mano. «Immagino che debba impiegare il suo tempo in modo più proficuo... insomma, è la tua prima missione.»
«Mi-missione?» non ero pronta per una missione! Non ero nemmeno entrata nella classe di Abilità e subito avevo un compito da svolgere? «Mi stai prendendo in giro?»
«No.» rispose lei, e fu così seria che non potei dubitarne. «Non è niente di che, se vuoi saperlo.» queste parole mi convinsero a leggere gli ordini che mi erano stati dati: dovevo portare cibo e acqua a un prigioniero della scuola. Prigioniero?
«Abbiamo dei prigionieri?» volli sapere, costernata. Pensavo davvero che ci fossero delle prigioni sotto le Elementari, ma non credevo che qualcuno avesse potuto fare qualcosa di così sbagliato da finirci dentro, o almeno nessuna voce era girata per la scuola riguardo a una punizione esemplare.
«Mikan, piantala con le domande retoriche.» mi fece cenno con la testa di seguirla. «Ti faccio vedere da dove si entra, così le guardie ti faranno passare da domani.» avrei tanto voluto dirle di lasciar perdere, che me l'avrebbe mostrato in un altro momento, perché ero molto stanca e non mi andava per niente di vedere le prigioni, nemmeno da fuori, nello stato d'animo in cui mi trovavo. Avevo paura che fosse tutta una scusa per buttarmici dentro, buttare la chiave e dimenticarsi di me per i miei crimini.
«D-dobbiamo per forza?» lei non rispose e mi accorsi che potevo aver fatto di nuovo l'ennesima domanda retorica. «Okay...» avevo tanta voglia di chiederle un sacco di cose e perché riusciva a chiamare il Preside addirittura per nome, ma mi trattenni, per una ragione che non riuscivo a capire neanche io. «Mi dispiace, Kisaki-chan.»
Lei si girò a guardarmi, come se non avesse la minima idea di ciò di cui stavo parlando. «Per...?» chiese, infatti.
«Perché hai dovuto lasciare il Comitato.» chiarii, allora. «È stata tutta colpa mia, e alla fine ci hai rimesso perché hai voluto darmi una mano. Mi dispiace.»
Lei scosse le spalle. «Il Comitato non era niente di personale per me, anzi, era una seccatura inutile. Mi hanno dato quella carica pensando che potessi essere utile e ora che non lo ritengono più, se la riprendono. Tutto qui.» mi mise una mano sulla spalla, anche se avrei dovuto essere io quella che consolava lei, e non il contrario. «In realtà mi hai fatto un favore. Era tutto lavoro, tanta gloria, ma alla fine non avevo tempo per fare niente. Perciò, va bene così.»
«Davvero?» avevo bisogno di una conferma, forse per stare a posto con me stessa, o forse per sapere se era davvero la verità.
«Piuttosto,» mi disse lei, riprendendo a camminare. «pensa di più a te stessa, ora che sei dei nostri. Devi cominciare a imparare a nascondere le emozioni, in modo che nessuno possa usarle contro di te, mi spiego? Anche se non sarò più sola in mezzo a quelle teste calde, non mi piace molto l'idea.» la seguii, chiedendomi a che si stesse riferendo. «Li conoscerai la prossima settimana. Quelli delle Abilità Pericolose sono un po' strani, ma alla fine ti ci abitui. Anche Yahiro è dei nostri, lo sapevi? Quello nuovo che non si fa mai vedere in giro. Credo di averlo visto solo lì.»
«L'avevo sentito dire.» mormorai. «Ho sentito che ci sono anche dei bambini.» e alcuni li avevo anche conosciuti, tra cui Miyako-chan e Maika-chan, che se anche non avevano un Alice fisicamente pericoloso, venivano comunque usate nelle missioni.
«Ci sono sempre stati dei bambini.» mi ricordò lei, e sapevo che era vero, dato che Natsume aveva passato tutta la vita in quella classe. «Mi dispiace che proprio tu sia finita in mezzo a tutto questo.» proprio io?
«Non capisco.» ammisi, e avrei voluto intuire una minima parte di ciò che stava accadendo, perché mi sentivo confusa e spaesata, era come se fossi stata catapultata in un altro mondo, dal quale Natsume mi aveva sempre pregato di tenermi lontana. Io non l'avevo mai fatto, ma non ne avevo mai fatto parte così tanto.
«Capirai.» tagliò corto lei, scrollando di nuovo le spalle. «Capiscono tutti quelli che fanno parte di quella classe, prima o poi.»
La sua risposta mi lasciò una vaga inquietudine che mi seguì fino all'ingresso delle prigioni, che si trovava vicino alla Sezione Elementare e che, nonostante fossi passata da quelle parti migliaia di volte quando ero più piccola e quel portone fosse sorprendentemente sotto gli occhi di tutti, non l'avevo mai notato. Kisaki mi aveva costretta a disegnare una mappa della strada da seguire dalla sezione delle superiori a quella elementare, anche perché con la memoria bacata che mi ritrovavo avrei sicuramente perso l'orientamento. Dovette ripetermi le cose tre volte, ma alla fine scrissi tutto correttamente. Quando fu soddisfatta, tornammo indietro, ma io sentivo che non avrei mai più dimenticato quel percorso, così come avevo capito che la sensazione di inquietudine non mi avrebbe abbandonata. Mi accompagnò, infatti, per tutto il resto del giorno, fino al dormitorio e perfino nel letto, tanto che, quella notte, faticai ad addormentarmi.

La sveglia interruppe il mio incubo: stavo rubando incontrollatamente l'Alice a tutti e perfino Hotaru non poteva più starmi vicino. Avevo così tanta voglia di vederla, anche se il Preside aveva proibito qualsiasi contatto con gli altri studenti per non ripetere la scena di ieri, e io avevo intenzione di rispettare il compito.
Così mi lavai e mi vestii abbastanza in fretta, per essere la prima ad arrivare in mensa, ma anche la prima ad andarsene, e non avrei incontrato Hotaru né Ruka, sicuri che sarei andata più tardi a mangiare. Non volevo che mi stessero lontani, ma non volevo nemmeno che mi guardassero come mi aveva guardata Aki-san il giorno prima. Solo Kisaki-chan sembrava non aver cambiato atteggiamento nei miei confronti dopo averlo saputo, ma era piuttosto normale visto che lei conviveva in prima persona con un Alice pericoloso e ne era circondata nella classe di Abilità. Mi avviai verso la mensa, da sola, ma i corridoi della scuola erano già pieni. Tutti bisbigliavano tra loro come se un pettegolezzo particolarmente interessante avesse fatto il giro della scuola. Mi sentivo osservata come quella volta in cui tutti avevano scoperto che io e Natsume stavamo insieme: tutti lanciavano occhiate nella mia direzione e poi riprendevano a bisbigliare, per poi smettere quando mi avvicinavo. Sembravano ritrarsi al mio passaggio, o forse era solo qualcuno dietro di me che era vittima dei pettegolezzi, ma non volevo girarmi per non farlo sentire più in imbarazzo di quanto non fosse già.
Solo quando entrai nella mensa e calò un silenzio tombale mi accorsi che c'era qualcosa che non andava in me: forse ero scesa con metà pigiama, ma quando mi guardai non trovai niente di strano nel modo in cui avevo messo la divisa. Era impossibile che sapessero ciò che avevo fatto, chi mai avrebbe potuto diffondere la voce in tutta la scuola?
«E sembrava così innocente.» sentii dire qualcuno. «Rubare l'Alice è qualcosa di disgustoso.» mi girai di scatto verso le voci, ma quando guardai sembrava che nessuno avesse aperto bocca, e per un attimo credetti che fosse la mia immaginazione a giocarmi brutti scherzi. Ma anche altri stavano facendo commenti simili.
«Ho paura che possa farlo anche con me. Ho sentito dire che la ragazza a cui ha rubato l'Alice è finita all'ospedale perché è impazzita.» corrugai la fronte: era una cattiveria, Aki-san non era impazzita! Stavo per dirglielo, quando li vidi allontanarsi non appena mi avvicinai di un passo. Sembravano tutti terrorizzati. «Stai indietro!» mi disse qualcuno che non vidi, isterico. «Sei un pericolo per la scuola, dovrebbero espellerti!»
Feci vagare lo sguardo tra i miei compagni di scuola, ma nessuno di loro sembrava provare qualcosa di diverso dalla paura o dal disgusto. Mi salirono immediatamente le lacrime agli occhi e mi voltai per andarmene: volevo scappare e basta, non volevo più vedere quello sguardo negli occhi di qualcuno. Ma andai a sbattere contro un altro studente. Subito mi allontanai. «Mi dispiace...» mormorai, mortificata. Pensavo che potesse avere paura di aver perso l'Alice.
«E di che?» era Ruka-pyon, che mi salutava col suo solito sorriso. «Non mi hai fatto niente, stai tranquilla. Ho affrontato dei ragazzi più grossi di te e sono uscito solo con un braccio rotto, non dimenticarlo.»
«Ruka-pyon...» piagnucolai, e lui mi guardò stranito.
«Frigni già di prima mattina?» era Hotaru, ovviamente. Spinse di lato il suo ragazzo e mi guardò come mi guardava tutte le mattine. Sembrava che non fosse cambiato niente per loro. «Cos'è questo mortorio?»
Deglutii, forse a loro la voce non era ancora arrivata. Ed egoisticamente volevo che non lo sapessero mai, così rimasi in silenzio, ma solo per un momento. «È colpa mia.» ammisi, e scoppiai a piangere perché sapevo che li avrei persi, una volta che avessi spiegato come stavano davvero le cose.
Hotaru sbuffò. «Piantala.» mi disse, solo. «Stai dando uno spettacolo molto poco richiesto.» mi afferrò per un braccio e mi condusse all'area dove ritiravamo i nostri vassoi. «Dovresti imparare a dare meno soddisfazione a quelli che vogliono vederti ridotta così.»
«Ma Hotaru...» mi lamentai, asciugandomi le lacrime prima di prendere la mia colazione, anche se non avevo molta fame. «Hanno ragione ad aver paura di me. Tu sai cosa posso fare?»
«Lo so dalla prima volta che sei svenuta, scema. Me l'ha detto mio fratello che c'era questa possibilità.» scrollò le spalle e liquidò la cosa come se fosse stata l'ultima tra le notizie meno importanti di un giornale trovato spiegazzato in un angolo. «E non capisco perché tutto questo panico, ho sentito che puoi fare anche il contrario.»
Sospirai, sconsolata. «Non sempre.» ammisi, contrita. «Ieri non ce l'ho fatta con quella ragazza. Il Preside ha detto che a volte non funziona, dipende dall'Alice con cui ho a che fare e anche dal suo proprietario.»
«Non ha nessuna importanza.» mi rassicurò Ruka-pyon, sistemandosi vicino a Hotaru, di fronte a me. «Siamo amici al di là dei nostri Alice.»
«Se non riesci a restituirmelo, dopo avermelo preso, pretendo un risarcimento per tutti i soldi che perderò irrimediabilmente a causa tua.» mise in chiaro la mia migliore amica, con tono serafico, mentre infilava le bacchette nel suo amato cervello di granchio. «Questa è la mia unica condizione per restare amiche.»
Sorrisi: Hotaru era sempre Hotaru! «Certo!» assicurai, con convinzione. «Dovessi anche coprirmi di debiti per mantenere la promessa!»
«Guarda che ti prendo in parola.» suonava quasi come una minaccia, ma non ci feci caso: avrei fatto tutta l'attenzione possibile a non usare il mio potere su di loro. Il Preside aveva promesso di insegnarmi come fare anche se avevo saltato tutti gli appuntamenti.
«Smettila di scherzare.» fu ciò che disse Ruka-pyon, accennando a me con la testa. «Non mi sembra il momento per fare dell'umorismo.»
Lei scrollò le spalle. «Anche ammesso che scherzassi,» rispose lei, in tono pratico. «ha smesso di piangere.»
Avrei voluto ricordargli che c'ero anch'io e che non mi piaceva che parlassero di me come se non ci fossi, ma qualcuno che prese posto accanto a me mi impedì di aprire bocca. «Non è che posso sedermi qui?» era Yahiro-kun, e sembrava che avesse bisogno di una risposta affermativa.
«Buongiorno.» lo salutò Ruka, gioviale. Lui rispose al saluto con la bocca piena, mentre Hotaru si limitava a rivolgergli uno sguardo privo di interesse. «Oggi vieni a lezione con noi?»
Yahiro-kun annuì. «Ho notato che c'è molto scompiglio tra gli studenti... cioè tra gli altri. Che è successo?» domandò, curioso. Io abbassai lo sguardo, di nuovo. «Sembra che sia arrivato il lupo cattivo delle fiabe per divorarli tutti.»
«Sono solo dei pusillanimi.» fu il commento di Hotaru. «Hanno paura che Mikan possa portare loro via i loro preziosi Alice. Almeno fossero utili...»
Lui si girò verso di me, improvvisamente interessato. «Davvero?» domandò, molto più euforico di quanto mi aspettassi. «Puoi rubare l'Alice alle persone? Forte.» non mi stupii granché che lo trovasse “forte” perché anche lui era nelle Abilità Pericolose, anche se io non l'avrei definito esattamente così. «Mi hanno dato un partner di tutto rispetto.»
«Mi dispiace di non essere stata molto utile, in questo periodo.» dissi io, invece, perché in effetti non mi ero affatto presa cura di lui, anzi, l'avevo lasciato al suo destino, a dirla tutta. Pensavo che Nonoko sarebbe stata molto più felice di farlo al posto mio, ma ora che ci pensavo non l'avevo vista per niente, e forse non mi avrebbe più avvicinato in vita sua.
«Preferisco osservare e imparare da solo.» confessò, con un'alzata di spalle. «Ma adesso che incuti terrore è d'obbligo farsi vedere in tua compagnia. Hai un grande potere, Sakura-san.»
«E il potere attira tutti quelli come te, giusto?» fu Hotaru a dirlo, e aveva un sopracciglio inarcato, come tutte le volte che qualcosa non le andava a genio. «Cosa c'è di tanto interessante nello spaventare gli studenti stupidi?»
«Nel fatto che ti liberi degli stupidi?» domandò lui, in tono retorico. «È un gran buon metodo, e poi Sakura-san è la mia partner, dovrei passare più tempo con lei, specialmente ora. Tra partner ci si aiuta a vicenda.» si girò verso di me. «Giusto?»
Trovai strano il fatto che si interessasse a me solo per via del mio Alice quando il resto dell'Accademia mi teneva alla larga per lo stesso motivo. «Se lo dici tu.» sembrava che stesse per giocare qualche partita a un gioco da tavolo e avesse appena pescato la pedina vincente. Scoprii quanto il mio partner era un buon chiacchierone solo durante il tragitto verso la classe, Hotaru era salita sulla sua papera gigante e ci aveva salutati in modo freddo, in particolare il nuovo arrivato, mentre Ruka-pyon era rimasto a piedi insieme a noi. Sembravano avere una strana sintonia, come se si conoscessero da tempo, ed ero felice che Ruka-pyon avesse trovato un altro amico, dopo che Natsume aveva lasciato l'Accademia. Sapevo che un po' si sentiva solo, anche se Hotaru passava del tempo con lui.
«Ehilà, buongiorno.» ci salutò Kisaki-chan, di fronte alla porta della classe. «Ragazzo nuovo, sei sorprendentemente tra noi...»
«Già...» commentò lui, con una smorfia. «Grazie a te che hai segnalato che non partecipo alle lezioni.» lei sorrise, e lui sembrò tornare calmo. «Sei la Presidentessa più puntigliosa che abbia mai conosciuto.»
«Ti farà piacere sapere che ho dovuto dare le dimissioni ieri sera.» gli comunicò, con tutta la nonchalance di questo mondo, ma lui non parve sorpreso. «Piuttosto, Mikan, come stai? Ho sentito degli studenti parlare della questione di ieri che a quanto pare ha già fatto il giro della scuola. Quella Tsuruga Aki ha la bocca più larga di quanto credessi.»
Cercai di scrollare le spalle, per farle capire che non mi importava, anche se ci ero rimasta molto male, ma non era il caso che iniziasse a preoccuparsi anche per me. «Mi ci abituerò presto.» ma non sapevo se era una promessa che potevo mantenere o meno.
«Lo spero per te.» fu il commento di Hotaru, accennando ai nostri compagni di classe che formavano un semicerchio intorno a noi, sembravano indecisi se avvicinarsi o meno alla porta dell'aula. Lei era appoggiata alla porta, quasi che non le importasse nulla di loro. «A quanto pare siamo circondate da idioti.»
Io abbassai lo sguardo: non credevo che sarebbero entrati prima che mi facessi da parte. «Mi accompagnereste un momento al bagno?» domandai, allora, a Hotaru e Kisaki. Hotaru sbuffò, borbottando qualcosa sulla ritirata strategica, mentre Kisaki-chan rideva sotto ai baffi. «Anche il Preside ha detto che dovevo tenermi lontano dagli altri.» cercai di giustificarmi così, perché la mia migliore amica pareva non approvare la mia scelta di non mettere gli altri in totale imbarazzo per il non sapere se credere o meno al fatto che gli avrei rubato l'Alice. Magari io al loro posto avrei fatto lo stesso.
«Come se non ti conoscessimo.» fu ciò che disse Hotaru, quando esposi il mio pensiero di fronte alla porta del bagno. «Quasi otto anni fa, ti hanno detto tutti che stare vicino Natsume era pericoloso per i più svariati motivi, per tutti tranne che per Ruka e Youichi... e buttarsi tra le sue braccia è stata la prima cosa che hai fatto.»
«Sì, ma Natsume non mi avrebbe mai rubato l'Alice.» osservai, pensierosa: chissà se le cose avrebbero potuto andare diversamente se lui fosse stato qui.
«Certo, avrebbe solo potuto ucciderti.» ribatté lei, alzando gli occhi al cielo. «Hai ragione, non c'è proprio paragone che tenga.»
«Dai, Mikan...» Kisaki-chan mi mise una mano sulla spalla, sembrava comprendere la mia posizione. «Vedrai che prima o poi imparerai a controllarlo e non sarà più un problema. Se poi vedono che non ci sono effetti collaterali per noi che ti stiamo vicine, presto passerà del tutto il terrore che hanno nei tuoi confronti.»
«E se...» cominciai, ma Hotaru mi rifilò un grosso pugno sulla testa, sparato da una pistola costruita appositamente per momenti come questo. O almeno così pensavo, dato che lei aveva un'arma per ogni situazione immaginabile.
«Piantala.» disse, solo. «Tanto non è che se ci ripensi di continuo le cose cambiano. E poi non dobbiamo necessariamente socializzare perché siamo in una scuola.»
«Ma, io...» tentai, di nuovo, ma una sua occhiata mi fece desistere dall'esporre le mie preoccupazioni. Non sapevo se mi stava chiedendo di fare finta di niente con i nostri amici, ma come potevo?
«Adesso torniamo in classe, o ci puniranno.» osservò Kisaki-chan, rivolgendo lo sguardo alla parte di corridoio che avevamo appena percorso. «E credo che né a me né a te, Mikan, serva. Tantomeno a Hotaru, che detiene il record della studentessa più tranquilla della scuola.» in effetti, lei non aveva mai ricevuto una punizione in tutto il tempo che aveva passato all'Accademia. Ma lei era Hotaru ed era formidabile.
Proprio mentre stavamo per girarci, la porta del bagno si frappose tra noi e la strada per la nostra classe. Mi fermai di scatto, trattenendomi a stento dal gridare come un'ossessa per lo spavento: mi posai una mano sul cuore, che batteva all'impazzata. Otonashi Yura fece il suo ingresso nel corridoio.
Dovevo essere sincera, Yura-san mi aveva sempre messo un po' d'agitazione addosso, forse per quella strana danza che doveva ballare tutte le volte che guardava nel passato o nel futuro, ma anche il fatto stesso che potesse fare delle predizioni mi metteva i brividi, o forse era solo la voce che assumeva quando doveva dire ciò che aveva visto. Non credo di averlo mai saputo con certezza.
Si voltò verso di noi, con sguardo vacuo. «Scusatemi.» disse, prima di richiudersi la porta alle spalle con uno strattone, sempre con lo sguardo puntato su di noi, anzi, su di me. Io deglutii quando ridusse gli occhi a due fessure e sembrò piombare in uno stato di trance.
«C-cosa c'è?» balbettai, indietreggiando di un passo. Non appena tentai di allontanarmi, lei allungò il braccio e strinse la presa sul mio polso così forte da farmi un po' male. «Yura-san...»
«Sta' calma e ferma.» mi consigliò Kisaki-chan, guardando Yura-san con una certa inquietudine. «Sta facendo una predizione e non ti lascerà andare finché non avrà finito.» sperai che non durasse a lungo, non solo perché avevo paura che le ginocchia non potessero reggere per molto, ma anche che mi sarebbe caduta la mano.
«Pare che abbia perso l'abitudine di fare quella stupida danza.» fu il distaccato commento di Hotaru, che non sembrava affatto preoccupata. Kisaki-chan si limitò ad annuire, e io pensai che probabilmente non aveva bisogno di ballare per usare i suoi poteri.
«Tu,» Yura-san alzò l'indice della mano libera per indicarmi. «se vuoi le risposte che cerchi, devi oltrepassare la soglia del ponte e quando la luna non è in cielo.» poi mi lasciò andare il polso e smise di guardarci in quel modo strano. «Penso di avervi tagliato la strada.» e, detto questo, se ne andò.
«Che cos'è che ha detto?» chiese Kisaki, confusa, ma io lo ero almeno quanto lei. Hotaru rilesse dal suo blocchetto la strana frase che aveva pronunciato Yura-san, e forse avrebbe dovuto stupirmi di meno il fatto che se la fosse segnata. «Cosa diavolo è la soglia del ponte?»
«Forse Mikan inciamperà in un fiume di giorno.» ipotizzò la mia migliore amica, poi mi indirizzò un'occhiata. «Sarebbe da te, ma dubito che sia di così facile interpretazione, nonostante tu sia così maldestra.»
«Le sue predizioni di solito si avverano?» chiesi, preoccupata. Kisaki-chan alzò le spalle e spostò lo sguardo verso Hotaru, la quale ripose il suo blocchetto in tasca e si diresse verso la classe senza darmi una risposta.

Sospirai stiracchiandomi, prima di alzarmi dal letto. Per una volta, ero grata alla sveglia che mi aveva strappato dal mio incubo fatto di porte con strane chiavi. Erano quasi le dieci e trenta di sera, tra poco ci sarebbe stato il coprifuoco e dovevo sbrigarmi prima di non riuscire a portare il pasto al prigioniero di cui Kisaki-chan mi aveva parlato. Oggi all'ora di pranzo ci aveva pensato lei, dicendomi che ero stata strapazzata anche troppo per quel giorno, ma anche lei mi sembrava piuttosto tesa, e non aveva smesso un secondo di raccomandarmi di ricordare di portare il cibo a quella persona.
«Forza e coraggio!» cercai di tirarmi su in questo modo, ma avevo ancora paura di incontrare qualcuno nei corridoi che potesse avere paura di me. All'inizio non avevo capito bene quanto poteva essere pericoloso il mio Alice, forse per questo avevo saltato le lezioni con il Preside, anche se adesso me ne pentivo più di ogni altra cosa. Hotaru mi aveva detto, a riguardo, di non piangere sul latte versato, ma non riuscivo a non pensare che se fossi stata più responsabile, nessuno si troverebbe nel guaio in cui io ho messo tutti, Aki-san per prima.
Mi infilai le scarpe e mi incamminai a passo svelto verso le cucine. Sapevo che prima del coprifuoco non potevo entrare nelle prigioni, per paura che qualche studente di passaggio potesse vedermi, o almeno quelle erano le regole che Kisaki mi aveva spiegato brevemente, inoltre mi aveva disegnato una specie di mappa abbastanza accurata dell'interno delle prigioni per trovare la cella. Più volte mi aveva ovviamente ricordato, quel pomeriggio, che avrei potuto perdermi se non fossi stata attenta, anche se c'erano uscite in più punti del corridoio, ma mi sarebbero servite delle chiavi, anche ammesso che le avessi trovate, e avevo dei dubbi su questo, dato che riuscivo a perdere i miei nastri per capelli in un cassetto.
Avrei preferito non andarci da sola, ma lei aveva insistito sul fatto che prima o poi avrei comunque dovuto cominciare, ed era sempre meglio farlo dall'inizio. Sembrava che avesse qualcos'altro di urgente da fare, almeno dal modo frettoloso in cui mi aveva salutato ed era corsa via. Mi domandai se avesse qualcosa a che fare col fatto che doveva portare a termine le questioni in sospeso che aveva lasciato come ex Presidentessa del Comitato. In realtà, non sapevo nemmeno se dovesse farlo, o se rimanesse in carica finché non ne veniva scelto uno nuovo... non gliel'avevo nemmeno chiesto.
Quando arrivai al retro della mensa, il vassoio era già pronto perché lo portassi via. Gli inservienti della cucina non si azzardavano nemmeno a guardare chi lo portasse via, forse perché, nonostante la mia nuova classe di Abilità fosse meno ricoperta di segretezza rispetto a un paio d'anni prima, ancora i suoi componenti venivano temuti da tutti. Coperto parzialmente dalla ciotola di zuppa, c'era un foglietto:

La prigioniera si chiama Yui, ha assoluto bisogno di mangiare. Se per caso trovassi qualcun altro, prigioniero o meno che sia, durante la strada, passa avanti senza parlare con loro, meno tempo rimani lì sotto meglio è, o potrebbero venire a cercarti le guardie. In più, stai attenta, perché c'è stato un problema all'impianto di illuminazione lì sotto, perciò non dimenticarti una torcia, le troverai dietro la porta che ti apriranno.
Ho il dubbio che Persona non veda l'ora di trovare una scusa per punirti, perciò non fare niente di avventato.
Buona fortuna con la tua prima missione!
Kisaki.

Ancora più sotto c'era un tesserino con un piccolo gancio in modo che potessi attaccarlo al taschino della divisa senza problemi, c'erano il mio nome e cognome e la mia classe di Abilità. Lo agganciai, stando attenta a non far cadere il vassoio e mi diressi verso la mia prima missione.
Il cuore mi martellava nel petto, al pensiero che quelle specie di guardie che avevo visto fuori dalla porta potessero farmi delle domande o potessero anche solo parlarmi, perché sapevo che sarei scappata via urlando per il terrore. Con i loro completi scuri e gli occhiali da sole perfino di notte, non mi trasmettevano alcuna tranquillità. Anzi, non sapevo nemmeno se avessi dovuto salutarli o meno, o cos'avrei dovuto dire. “Buonasera”? Come si salutano degli uomini loschi al servizio di Persona?
Mandai giù della saliva, al pensiero che poteva torturarmi per una parola sbagliata. Però scossi la testa, avevo visto più volte Natsume ridotto male, ma soltanto quando tornava dalle missioni. O almeno speravo, anche se l'avvertimento di Kisaki mi aveva messo più agitazione addosso di quanto avrebbe potuto farlo una scossa elettrica.
Arrivai al luogo che mi aveva mostrato la mia amica in meno tempo di quanto avessi sperato, anche se, ormai, erano quasi le undici e trenta. Mi stupii di averci messo tanto tempo, anche se il tragitto dalla mia camera alla mensa e dalla mensa alle prigioni, non era brevissimo.
Non appena gli uomini in nero entrarono nella mia visuale, le ginocchia iniziarono a tremarmi, e da dietro quegli occhiali non riuscivo neanche a capire se mi stessero fissando o meno. Non sembrava che mi stessero degnando di uno sguardo, ma quando fui abbastanza vicina mi aprirono la porta pesantissima con una chiave enorme.
Passai senza dire niente, evidentemente non esisteva una parola d'ordine come in un film di spionaggio che ho guardato insieme al nonno, mentre lui e i suoi amici cercavano di imitare le spie durante una delle sere che avevo passato con lui in quella settimana che mi aveva regalato Natsume. Richiusero la porta dietro di me subito dopo che passai, con un tonfo, seguito da un silenzio di tomba. Riuscivo a sentire nelle orecchie i battiti del mio cuore e sperai ardentemente che lì sotto non ci fossero ratti.
Appoggiai il vassoio su un braccio per tirare fuori dalla tasca della gonna le indicazioni che Kisaki mi aveva lasciato: la strada era quasi tutta dritta, in discesa per quelle scale buie, ma per fortuna lì c'erano un sacco di torce elettriche che avrei potuto usare per non rischiare di rompermi l'osso del collo – proprio come Kisaki mi aveva detto, poi il mio percorso curvava sulla destra verso la fine. La prigione era proprio la prima di quel corridoio. Ero stata abbastanza fortunata, se non per il fatto che non potevo correre oppure avrei rovesciato tutto il contenuto del vassoio.
Mi imposi di calmarmi, prendendo alcuni respiri profondi, prima di scendere le scale ripide. Camminai piuttosto lentamente per non rischiare di cadere, dato che non avevo nemmeno una mano libera per appoggiarmi al corrimano. Comunque mi consolò parecchio che, nonostante stessi continuando a scendere, non sentissi nessun rumore inquietante di zampette di ratto. Controllai più volte, cercando di illuminare la mia unica guida, a che punto dovessi girare a destra prima di sbagliare svolta, ma quando giunsi in fondo a un corridoio che si diramava dalle scale, mi resi conto che era l'unica svolta che c'era e che non potevo assolutamente sbagliarmi.
La mia torcia illuminava gran parte del corridoio, ma non c'era segno di vita, il che era strano... insomma, non lasciavano ai prigionieri nemmeno un po' di luce?
Mi affacciai alla prima cella. «Yui-san...» mi sporsi un altro po', quando non riuscii a vedere niente, cercando di illuminare l'interno. «sei sveglia?» attesi un altro attimo che mi rispondesse, ma non lo fece. «Scusa se sono arrivata tardi, ma non ho potuto portarti prima da mangiare.» quando ancora non disse nulla, cercai di alzarmi sulle punte, ma con la luce sotto al vassoio non potevo fare granché per vedere. «Stai... stai bene?»
Solo allora mi giunse una flebile risposta: «Sì...» ci fu un'altra pausa, durante la quale mi preoccupai un po' per le sue condizioni, dato che non riusciva a parlare. «Ma non ho molta fame...»
«Ma...» rimuginai sul messaggio che mi era stato lasciato. «Kisaki-chan ha detto che avevi assoluto bisogno di mangiare...» cercai di allungarle il vassoio attraverso la fessura, ma per poco non lo rovesciai sulla lampada, così la spostai un po', in modo da riuscire a sistemare per bene a terra il cibo. Mi sforzai per riuscire a vedere qualcosa, ma quasi subito qualcuno venne più avanti, ma non aveva la corporatura che mi sarei aspettata da una donna.
«Mikan?»
Sulle prime non capii. Pensai ad un'allucinazione o qualcosa del genere. Mi dissi che mi ero sbagliata, che la paura mi faceva brutti scherzi. Poi pensai che l'Alice di Yui-san potesse comprendere l'imitazione delle voci, ma quando mi concentrai per guardare meglio capii che non era così.
Sgranai gli occhi alla vista del mio ragazzo: non lo vedevo da quelli che mi sembravano anni, e forse non era passato che qualche mese, ormai avevo perso del tutto la cognizione del tempo. Venne più vicino alla luce, e la torcia mi sfuggì di mano, cosa che avrebbe sicuramente fatto anche il vassoio se non l'avessi posato a terra poco prima. Le forze mi erano mancate improvvisamente e inspiegabilmente, c'era una sola cosa che avrei voluto fare: abbracciarlo forte fino a stritolarlo, ma era anche una delle cose che dovevo assolutamente evitare, per questo indietreggiai verso il muro, in modo che non riuscisse a toccarmi nemmeno se avesse allungato il braccio oltre le sbarre. Poi si aggiunse un'altra persona a lui e rimasi scioccata.
«N-Natsume...» riuscii a dire, nonostante la lingua impastata. Non riuscivo ancora a credere che si trovasse lì, a dieci centimetri da me, appoggiato a una cella dov'ero sicura di trovare una prigioniera, e poi c'era anche una delle amiche di Mitsuki, la ragazza che si prendeva cura del nonno e dei suoi amici. Cosa c'entravano loro in tutto questo? «Cosa ci fai qui?»
Lui emise uno sbuffo quasi divertito, forse incredulo. «Non pensi che dovrei essere io a chiederlo a te?» mi domandò, e mi salirono le lacrime agli occhi al suono della sua voce e alla sua espressione quasi intenerita. Distolsi lo sguardo per impedirgli di accorgersene, anche se di solito riusciva a farlo anche al buio.
Sentii qualcuno lamentarsi, e Mitsuki comparve alla debole luce della lanterna, con le mani sui fianchi, particolarmente contrariata. «Tanto ormai la segretezza della missione è andata a farsi benedire.» esordì, con un sospiro. «Piuttosto, come mai voi due vi conoscete?»
«Non mi sembra il momento di fare conversazione.» intervenne Yui-san, che doveva per forza essere la prigioniera iniziale, a giudicare dal suo aspetto malandato. Come si fossero triplicati, non ne avevo idea, ma facendo vagare lo sguardo nella cella immaginai che fosse per via del buco sul tetto. «Sai che in un altro momento lo farei, ma...»
Natsume era rimasto come paralizzato con le mani intorno al metallo delle sbarre, quasi che dovessi scomparire sotto al suo naso. «Mikan?» fu di nuovo Mitsuki a parlare e io le rivolsi di nuovo l'attenzione. «Devo proprio chiedertelo... come mai sei qui?»
Abbassai lo sguardo sul pavimento, sentendo gli occhi degli altri puntati su di me. In realtà la risposta era molto semplice, ma non mi sentivo in grado di pronunciare nemmeno una parola: avevo una terribile paura che mi avrebbero guardata nello stesso modo in cui avevano fatto i miei compagni di classe non appena avevano saputo che avevo cambiato classe di Abilità e che il mio Alice era incontrollabile.
«Sei entrata nelle Abilità Pericolose?» la domanda di Natsume sembrava più un'affermazione, e non potei fare altro che annuire, ma senza avere il coraggio di osservare la sua reazione. Mi aveva sempre pregata di tenermi lontano dalle faccende di quella classe e di Persona, ma non avevo potuto accontentarlo, anche se avrei tanto voluto farlo. «Perché non mi hai detto niente nella lettera?» sembrava risentito, e io mi sentii in colpa.
«È successo da poco...» borbottai, ma non fui certa che mi avesse sentito. Presi un bel respiro e ricacciai indietro la voglia di piangere, per cominciare a seguire il consiglio di Kisaki-chan e cioè iniziare a nascondere le emozioni. Mai niente di più difficile. «Dovreste sbrigarvi ad andare via, il prossimo giro di ronda è poco dopo mezzanotte.»
«L'uscita da dove sei arrivata è ancora sorvegliata, vero?» chiese Mitsuki, gettando uno sguardo al corridoio, e quasi mi aspettavo che comparisse qualche scagnozzo di Persona e un brivido di terrore mi salì su per la schiena, ma per fortuna non arrivò proprio nessuno.
«Sì, mi hanno fatta passare solo perché faccio parte delle Abilità Pericolose.» confermai, senza staccarmi dal muro, nonostante loro si preparassero a risalire dal buco che avevano creato. Deglutii, senza sapere bene cosa fare, e soltanto per dare un po' di sollievo alla mai gola completamente secca. Presto sia Mitsuki che Yui-san scomparvero su per la corda, senza mostrare nessuna particolare sorpresa o reazione, diversamente da ciò che mi ero aspettata. Le aiutò Natsume, che era rimasto per ultimo. Mi ci volle un po' per realizzare che stavano scappando sotto ai miei occhi, sembrava che la mia mente fosse impantanata nel fango. Natsume era ancora a una decina di passi da me e non riuscivo nemmeno a concepirlo, nonostante ce l'avessi davanti agli occhi.
Girò di nuovo la testa per guardarmi e io mi sentii ancora più inchiodata contro la parete. «Ora posso sapere perché non mi hai detto niente?» mi chiese, con gentilezza, ma con fermezza, anche se io avevo creduto che fosse arrabbiato con me per averglielo taciuto.
Se possibile, questo mi fece sentire ancora peggio. «Non volevo che...» deglutii, e poi mi morsi il labbro inferiore. «Non volevo che ti preoccupassi per me. E avevo paura, perché mi avevi sempre detto di cercare di evitare più possibile quel lato della nostra scuola.»
«Mikan...» cominciò lui, ma una voce dal buco nel soffitto lo interruppe, ordinandogli di darsi una mossa. Per un attimo, mi venne l'istinto di fermarlo, perché non volevo che andasse via così presto, ma le parole non mi uscirono di bocca, proprio come quella stessa mattina, in cui non avevo saputo difendermi da tutte le cose che mi erano state dette. Potei solo osservarlo sospirare, prima di lanciarmi l'ennesima occhiata frustrata, per poi vederlo salire su per la corda, come poco prima avevano fatto Mitsuki e Yui-san.
«Natsume...» bisbigliai, prima di riprendere il vassoio, e fissare il cielo oscuro che riuscivo a intravvedere dal soffitto. Decisi di svuotare la zuppa in un tubo che probabilmente serviva per lo scolo dell'acqua insieme al resto, così i sorveglianti non avrebbero fatto domande, e io avrei potuto giustificare in qualche modo tutto il tempo che avevo perso lì sotto. Gioii intimamente al pensiero che perfino Hotaru sarebbe stata fiera di me per questa trovata geniale.
Superai le guardie con successo, mentre il cuore mi batteva furioso nel petto per il terrore che potessero capire che qualcosa non andava, ma erano impegnati a chiacchierare tra di loro, e non fecero quasi caso a me. Uno di loro si limitò semplicemente a richiudere la porta alle mie spalle, con due giri di chiave, in uno schiocco metallico che mi mise i brividi e che mi spinse a camminare più velocemente verso il dormitorio.
Invece di entrare, però, pensai di dare un'occhiata a quello che stavano facendo i miei amici fuggitivi, ero un po' in pensiero per loro, così svoltai dietro al primo albero e tornai indietro passando per il boschetto. Avevo sentito dire a Ruka-pyon che era lì che andava a nascondersi quando il suo fanclub riteneva che fosse ora di una riunione straordinaria alla quale lui doveva assolutamente presenziare, forse potevo fare lo stesso per nascondermi ai sottoposti di Persona. Fu tra i cespugli che abbandonai il vassoio.
Quando arrivai in prossimità del luogo in cui pensavo fossero risaliti, notai che Natsume mancava all'appello, e mi chiesi dove potesse essere andato a finire. Yui-san aveva appena tappato il buco nel terreno, con un semplice gesto della mano. «Fantastico...» commentai, a bassa voce, anche se non potevano sentirmi da quella distanza. «Chissà se è il suo Alice.»
«Non lo è.» confermò una voce alle mie spalle, che mi fece sobbalzare quasi fino ai rami dell'albero. Mi voltai e mi ritrovai il mio fidanzato davanti al naso. Indietreggiai di un passo, istintivamente. «È solo una Pietra presa in prestito.» fece una smorfia strana, guardandomi dalla testa ai piedi, e io mi chiesi se avessi qualcosa che non andava. «Piuttosto, raccontami un po' che è successo... evidentemente, mi sono perso dei passaggi importanti.»
Io all'inizio non dissi niente: ero troppo occupata a cercare un modo per evitare che mi toccasse anche involontariamente, dato che non potevo permettere che anche Natsume iniziasse a trattarmi come i miei compagni, non avrei potuto sopportarlo. Sarebbe stato corretto dirglielo, in fondo stavamo insieme, ma avevo un assoluto bisogno di tenermelo per me, anche se mentirgli era la cosa peggiore che potessi immaginare di fare, dopo privarlo del suo potere. «Scommetto che...» lanciai un'occhiata a Mitsuki e Yui-san che si stavano dirigendo proprio verso di noi. «non hai tutto questo tempo... magari... un'altra volta...»
«Quante volte pensi che possa tornare a fare gite in Accademia?» mi domandò, abbassando la testa per guardarmi dritto negli occhi. Cercai di evitare i suoi occhi, ero davvero vicina allo scoppiare a piangere, perché pensavo al disagio che avevo provato qualche ora prima davanti a tutta la scuola, e perché temevo che lui avrebbe potuto rivolgermi lo stesso sguardo disgustato. Non facevo altro che pensarci. «Mikan, che hai?» il tono passò da scocciato a preoccupato, ma io mi limitai a tirare su col naso.
«Credimi...» biascicai, e non sapevo se aveva davvero intuito cos'avevo detto. «non è niente.»
Lo sentii sospirare, ma non capii se era rassegnazione o se si era di nuovo arrabbiato. «Lo sai che non sei capace a mentire.» disse lui, con pazienza. «E se non fosse davvero niente non ti staresti trasformando in una fontana da giardino.» mi mise le mani sulle spalle e mi scosse leggermente. «Ti hanno fatto qualcosa nelle Abilità Pericolose?»
Scossi la testa. «Ti prego,» mi scostai, facendo un passo indietro. «non toccarmi.» e avrei voluto scappare via al suo sguardo ferito e confuso. Stava per dire qualcosa ma fu interrotto dall'arrivo di Mitsuki e Yui-san, che si avvicinò a me con aria preoccupata.
«Stai bene?» mi chiese, infatti «Quei tizi ti hanno fatto qualche strana domanda?» mi si avvicinò ancora e io feci un passo indietro, cosa che fece fermare anche lei. «Non ti daranno la colpa, vero?»
«Dubito seriamente che lo faranno.» fu Mitsuki a rispondere. «Dato che dai sotterranei è uscita da sola.» fece un cenno con la testa verso l'edificio delle Superiori, alle mie spalle. «Diamoci una mossa. O arriveremo troppo dopo la mezzanotte. Yuuko dovrebbe trovarsi già lì.»
«Le hai detto di prendere la chiave?» domandò Natsume, raggiungendomi. Avrei voluto nascondermi dietro un cespuglio, ma già sapevo che non sarebbe servito a niente. Quella sera sembrava pronto a inseguirmi perfino in capo al mondo. «Non credo che ci abbia pensato da sola.»
«Tranquillo, so già chi ha la chiave e non è un problema. Ho organizzato la fuga meglio di quanto credi.» fu la risposta di Mitsuki e sentii Natsume borbottare qualcosa sul fatto che tutto il piano fosse riuscito da schifo, ma dovevo aver capito male. «Andiamo.»
Natsume riportò lo sguardo su di me. «Vieni anche tu.» nemmeno stavolta era una domanda. «Ci sono alcune cose di cui ancora dobbiamo parlare.» annuii e cominciai a seguirli. Le mie due amiche erano un po' più avanti di noi di una decina di passi, e io mi sentii stranamente in imbarazzo: non sapevo da dove cominciare per rispondere alle sue domande. «Come mai sei così strana?»
Cercai di sorridere. «Niente di preoccupante.» sapevo di non essere stata convincente, come aveva detto lui non ero in grado di mentire, nemmeno a me stessa. «Piuttosto, hai detto che hai letto la lettera, mi dispiace di non aver pensato prima a poter comunicare con te in questo modo.»
Natsume sbuffò, forse spazientito, e mi afferrò per un gomito. «Piantala di sviare il discorso.» il tono che usò era duro e io mi sentii di nuovo gli occhi bruciare. «Se ti è successo qualcosa a causa di Persona, voglio saperlo. Anzi, voglio sapere se ti è successo qualcosa di male in generale.» poi parve pensare a qualcosa di preciso ed emise uno strano lamento, e voltò la testa come se si vergognasse amaramente. «Aspetta...» mi lasciò andare lentamente e io ringraziai il cielo di non dovermi più concentrare per non rubargli l'Alice involontariamente. «non è che... sei arrabbiata con me, vero?» la sua voce aveva perso sicurezza, così come il suo sguardo.
Lo fissai, incredula. «Cosa?» chiesi, senza riuscire a credere di aver capito bene. «Perché mai dovrei essere arrabbiata?» come gli era saltato in mente? Nelle mie lettere avevo forse dato una simile idea? Avrei dovuto fare più attenzione, e così si confermava la mia tesi che le lettere erano veramente difficili da scrivere.
Lui si infilò le mani in tasca e continuò a camminare al mio fianco, ed era una cosa che faceva solo quand'era in imbarazzo. «Sai...» borbottò, prendendo un bel respiro. «per via del fatto che... me ne sono andato.» rimase in silenzio per un po'. «Ti ho dato molto poco preavviso, e non abbiamo mai avuto molto tempo per parlare di ciò che pensavi a riguardo.»
Sorrisi, e repressi la tentazione di stringergli un braccio per confortarlo un po'. «Lo so che non volevi farlo. Sei stato costretto, non sono affatto arrabbiata.» abbassai gli occhi sull'erba, leggermente a disagio. «Mi dispiace se ti ho dato quest'idea nelle lettere.»
Lui sbuffò. «Lascia stare le dannate lettere.» mi disse, e stavolta mi costrinse a girarmi verso di lui, facendo leva sul mio polso. «Se non è colpa mia, mi dici perché ti comporti in modo così strano?» eravamo appena fuori dalla porta di servizio dell'edificio e avremmo perso di vista le nostre amiche se non fossimo entrati alla svelta.
Tirai via il mio braccio in modo brusco, senza successo, ma sapevo che la mia espressione la diceva lunga su ciò che provavo, perché non ero mai stata in grado di nascondere le emozioni. «Natsume, per favore.» lo pregai, disperata. «Non mi toccare.» lui lasciò la presa sul mio braccio, con la stessa velocità che avrebbe avuto se l'avessi costretto a farlo con un lanciafiamme. E io scappai dentro, aspettando che mi seguisse.
«Dammi una spiegazione.» disse, lapidario, comparendo alle mie spalle come un'ombra. Sobbalzai per lo spavento. Mi raggiunse, ma non cercò di fermarmi, perciò continuammo a camminare a una decina di passi da Yui-san e Mitsuki. Sospirò. «So che è stato difficile stare qui da sola, credimi, sono stato solo per anni tra queste mura. Mi dispiace di averti lasciata sola proprio adesso che hai sviluppato un altro Alice, mi sento già abbastanza in colpa senza che continui a respingermi così.»
«Ma io non...» stavo per dire che non lo stavo respingendo perché lo volevo, quando tutto il discorso che aveva fatto mi risuonò nella testa come un'eco. «Come... Natsume, tu sai del mio nuovo Alice?» lo sapeva e aveva comunque... «E nonostante questo cercavi di toccarmi? Sei impazzito?» si era sottoposto a quel pericolo pur sapendo che avrei potuto portargli via il suo Alice? Com'era possibile?
«C'entra col tuo Alice?» domandò, anche lui confuso. «Adesso spiegati.» sbattei le palpebre: non avevo capito se sapeva oppure no. In ogni caso era ovvio che dovessi parlargliene.
«È a causa di questo se sono nelle Abilità Pericolose.» lo superai, perché stavamo distanziando troppo Mitsuki e avevo paura che Natsume perdesse la sua via di fuga, lui mi raggiunse di nuovo e solo allora continuai a parlare. «Qualche giorno fa ho... manifestato il mio potere su una studentessa e mi hanno costretta a entrare a farne parte.»
«Va bene,» fece lui, in tono accondiscendente. «qual è questo potere? Perché non posso toccarti, rischi di uccidermi?»
«Santo cielo.» per poco non soffocai alla sola prospettiva. «No!»
«E allora cosa?» sentivo che stava davvero per perdere il briciolo di pazienza che aveva, così mi giocai il tutto per tutto: la verità.
«Potrei rubarti l'Alice.» lo sussurrai, e sperai ardentemente che non avesse sentito. Solo quando scoppiò a ridere ebbi la certezza che non l'aveva fatto. «Ma hai sentito quello che ho detto?» salimmo le scale verso il secondo piano, e ancora io non avevo ben capito dove ci stessimo dirigendo.
«Fammi capire.» mi distolse dall'osservare il tragitto, e aveva un tono stranamente divertito. «Mi hai fatto prendere mezzo infarto, e ti sei fatta tutti questi problemi perché potresti derubarmi del mio Alice?» sollevò un angolo della bocca, incredulo. «Tutto qui?»
Non seppi come ribattere, dato che mi sembrava davvero una cosa da poco adesso che ne parlavo con lui e la reazione degli altri mi sembrava molto più ingiustificata. «Sembra meno grave a parole.» tentai, allora. E forse era così per davvero.
Mi sorrise e credo che le mie ginocchia diventarono burro. «Mikan.» mi chiamò, e ci fermammo a metà tra le due rampe, quando mi prese la mano e la strinse come se volesse stritolarmela. Non mi ritrassi, anche se ne avevo la tentazione perché non ero ancora del tutto tranquilla. «Sei proprio scema.» mi attirò a sé e mi abbracciò. Credo che fu allora che scoppiai a piangere senza ritegno, anche se tentai di trattenere i singhiozzi per non farmi sentire fino in città.
«Non voglio che mi odi.» biascicai tra le lacrime, mentre sentivo le sue braccia stringermi più forte, e la sua testa appoggiarsi sulla mia.
«Non ti odio per niente.» mi rassicurò, in un sussurro. «Smettila di piangere, non succederà niente.» sollevai la testa per guardarlo, e credo che mi lesse la domanda in faccia perché rispose senza che la ponessi. «Lo so perché se anche tu dovessi rubarmi l'Alice andrà benissimo, credimi.»
«Come... che dici?» domandai, incerta. Non ci capivo più niente.
«Vuoi dirmi che qualcuno ha avuto paura di te?» domandò, addolcendo ancora il tono di voce. Io non potei fare altro che continuare a piangere annuire. «Oh, Mikan...» mi strofinò le mani sulle braccia, come per riscaldarmi. «Pensavi che potessi spaventarmi per così poco? Dovresti conoscermi, ormai.»
«Nessuno vuole essere privato di ciò che lo rende speciale.» obiettai, ripetendo quello che avevo sentito dire quella mattina da alcuni studenti. Mi portai le mani sul viso, nel tentativo di smetterla di piangere.
«Io sono speciale dalla testa ai piedi.» fece lui, sollevandomi il viso con una mano, dopo avermi allontanato le mani. «E con l'Alice non c'entra proprio niente, credimi.» mi sorrise ancora, e stavolta cercai di ricambiare, ma chissà che razza di espressione tirai fuori. «E lo sai che preferirei mille volte non averlo, giusto? Perciò tutto a posto, direi.»
Gettò uno sguardo oltre le scale rimanenti, e anche io lo imitai, vedendo Mitsuki e Yui-san insieme a un'altra ragazza, che si guardavano intorno come se stessero aspettando qualcuno. «Devi proprio andare?» sapevo che era sciocco chiederlo, ma non volevo salutarlo, ora.
«Non ancora.» guardò l'orologio e notai che mancavano dieci minuti a mezzanotte. «Abbiamo qualche altro minuto.» io annuii e lui piegò la testa, con un sorrisetto strano. «Ti sei accorta che ti preoccupavi per niente, vero?»
«Stamattina non sembrava affatto niente...» mugolai, tentando di giustificare il mio comportamento. Mi rendevo conto che avrei dovuto fidarmi di più di lui, avrei dovuto immaginare che avrebbe fatto proprio come Hotaru, Ruka-pyon e Kisaki-chan: avrebbe ritenuto il nostro legame più importante di tutto il resto. «Mi dispiace... di aver dubitato di te.»
«Non fa niente.» mi strinse di nuovo in un abbraccio, che stavolta ricambiai. «Credo che sia comprensibile.» mi diede un bacio sulla testa. «Piuttosto, stai bene? Hai già partecipato a una riunione della classe di Abilità, avete già parlato di missioni o cose simili?»
«Non ancora.» risposi, chiudendo gli occhi e ascoltando il battito leggermente irregolare del suo cuore. «Mi hanno solo affidato l'incarico di portare da mangiare a Yui-san qualche ora fa, ma nient'altro. Credo che sia ancora troppo presto per mandarmi in missione...» o almeno ci speravo. «giusto?»
«Non è mai troppo presto, fidati.» sapevo che non voleva spaventarmi, ma solo mettermi in guardia, eppure non potei fare a meno di iniziare a tremare per il terrore. Come risultato ottenni una stretta più forte da parte sua. «Comunque, come ho ragione di credere che succederà, avrai davvero poche occasioni per andare in missione.»
«Come fai a saperlo?» chiesi, confusa. Lui mi rivolse un sorriso strano e non si spiegò. «Ho paura.» Lui si staccò da me il tanto che bastava per guardarmi in faccia. «Stai tranquilla. Andrà tutto bene.» mi disse, e mi parve così serio che non potei fare a meno di credere che stesse dicendo la verità. «Non appena saremo pronti ti porterò via di qui, te lo prometto.» gettò un'occhiata di nuovo alle tre ragazza e poi si mise a bisbigliare: «E solo perché oggi sono in troppe e non so che Alice siano in grado di usare, perciò non posso portarti con me.»
Mi limitai ad annuire, perché non avevo idea di cosa stesse parlando, né di chi esattamente si dovesse preparare. «Va bene così.» dissi, poi. «Non devi preoccuparti per me, ho Hotaru, Ruka-pyon e Kisaki-chan, mi vogliono bene. E poi ci sono anche Miyako, Maika-chan, Youichi e tutti gli altri bambini, non me la sento di lasciarli soli.» perché ora sapevo cosa provavano ad essere emarginati dai loro stessi coetanei, ed era una cosa che prima non riuscivo a comprendere. Dovevo assolutamente aiutarli.
Lui sorrise. «Chissà perché me l'aspettavo.» commentò, prima di sollevarmi il mento di nuovo e di baciarmi. Rimasi sorpresa per un attimo, e lo allontanai di scatto. «Cosa c'è adesso?» chiese, ma non seppi se più infastidito o divertito.
«Potrei ancora... rubarti l'Alice.» osservai, dubbiosa. Lui scosse la testa.
«E quando me l'hai rubato, pazienza.» obiettò lui, e si avvicinò di nuovo, ma lentamente. «Ti sembra così impensabile che non mi importi?» scossi la testa, e lui sorrise di nuovo. «Bene.» e dopo non aggiunse altro, appoggiò semplicemente le sue labbra sulle mie, con la differenza che stavolta non lo rifiutai, ero solo felice che sapesse che avevo un Alice pericoloso ma che non se ne preoccupasse.
Sussultai e mi allontanai di un passo da lui, quando sentii dei passi per le scale, e fissai Natsume negli occhi, per sapere se lui sapesse chi fosse, ma lui si limitò a spingermi nell'angolo più buio della scala e a mettersi davanti a me, ma sempre al buio: voleva proteggermi dallo sconosciuto. Gli strinsi la maglietta all'altezza delle costole, pregandolo silenziosamente di essere prudente.
«Scusate il ritardo.» era la voce della mia amica Kisaki-chan, che aveva l'aria di quella che ha affrontato la nottata peggiore della sua vita, con tutta la divisa sporca di qualcosa simile all'inchiostro, ma niente mi poteva dare un indizio sul perché lei fosse lì e come sapesse di tutta quella storia in cui mi ero trovata in mezzo senza avere il tempo di ragionarci un po' su. «Ho avuto un paio di problemi a recuperare la chiave.»
«Credevo la portassi attaccata al collo.» osservò Mitsuki, un po' contrariata. «Ti aspettiamo da un pezzo.»
«Ce l'avrei avuta al collo se fossi ancora Presidentessa del Comitato Studentesco, ma è stato stabilito diversamente, anche grazie al vostro amico Yukihira.» che c'entrava ora il Preside? Che fosse Mitsuki sua nipote? O forse quella ragazza che non conoscevo? «Comunque eccola qui. Buon viaggio e buonanotte.» lanciò la chiave a Mitsuki e fece per andarsene.
«Ehi... non resti per riprendertela?» domandò Yui-san, contrariata. «Menomale che questa fuga era organizzata nei dettagli!»
«Beh, era lei l'elemento chiave!» protestò debolmente Mitsuki, mentre Kisaki-chan sospirava e io capivo sempre meno di tutta quella storia così confusa. «Datevi una mossa, è quasi mezzanotte... Mikan che diamine ci fai tu qui?» lo sguardo le cadde su di me casualmente, proprio mentre Natsume si spostava per salire le scale che restavano, mentre lo trattenevo istintivamente per la maglietta, realizzando che mi sarebbe scomparso sotto al naso senza che avessi avuto il tempo di dirgli tutto ciò che avevo bisogno di dirgli.
«Niente.» replicò lui per me, prendendomi per un gomito, e fui costretta a lasciare la presa su di lui. «Mi ha solo accompagnato fin quassù.» mi lanciò un'occhiata per cui non potei fare a meno di sorridere. Lei alzò gli occhi al cielo ma non commentò.
«Andiamo prima noi, principe azzurro.» Mitsuki passò la chiave alla ragazza che non conoscevo. «Ma datti una mossa, chiaro?»
Lui sbuffò. «Sì, sì...» e fu allora che la chiave venne inserita nella toppa e si aprì un enorme buco nero nella porta, come se la serratura si fosse allargata a dismisura. Se non ricordavo male, portava in qualsiasi posto si desiderasse andare, che a dirlo sembrava una buona cosa, ma non so perché mi metteva paura solo a guardarlo da lontano.
«Senti, andiamo avanti io e Yuuko.» disse Yui-san, fissando Mitsuki. «Per oggi abbiamo fatto abbastanza idiozie, direi, non vorrei che ce ne fossero altre.» fece cenno verso di me e Natsume con la testa e Mitsuki inarcò un sopracciglio.
«Probabilmente hai ragione.» constatò, con rassegnazione. Quando sparirono oltre il portale portò di nuovo lo sguardo verso di noi. «È il tuo turno, Natsume.»
«Immagino di sì...» borbottò lui, prima di lanciarmi uno sguardo strano. Avrei voluto chiedergli di rimanere, anche solo fino a domani notte, quando avrebbe potuto usare un'altra volta il portale, ma non dissi nulla perché avevo capito che non avrebbe potuto, fissai solo il pavimento con ostinazione: non volevo che mi vedesse piangere di nuovo. Non sapevo proprio come salutarlo, che cosa dire... non sapevo nemmeno quando e se ci saremmo rivisti di nuovo e non riuscivo a pensare a nient'altro. «Mikan, io...»
Lo abbracciai forte, prima di farlo finire di parlare. «Ti scriverò tutte le sere.» lo sentii sorridere. «E stavolta non nasconderò nessuna informazione importante, te lo prometto.»
«Sarà meglio per te.» scherzò lui, mettendomi le mani sulle spalle per allontanarmi un po'. «Perché quando tornerò a prenderti non voglio vederti coperta di squame per poi venire a sapere che un altro Alice è sbucato fuori.»
«Me lo prometti?» domandai, speranzosa che tornasse davvero.
«Dovresti saperlo, no?» mi diede un piccolo colpo sulla testa. «Io mantengo sempre le mie promesse.» io annuii, e lui appoggiò la fronte sulla mia e per un momento mi sembrò triste quanto lo ero io. «Fidati, va bene? Fino ad allora cerca di non farti mettere sotto dagli idioti che hanno paura di te.» mi diede un altro bacio sulla testa e poi salì le scale, ma prima di attraversare il buco nero mi lanciò un'ultima occhiata che fece sì che il mio stomaco si contorcesse dolorosamente per il senso di abbandono che stavo provando.
«Fatti forza, tesoro.» mi disse Mitsuki, con un sorriso. «E dato che so che probabilmente avresti voluto chiedermelo, te lo dico adesso: tuo nonno sta bene.» feci cenno di aver capito, sentendomi subito in colpa per non averci pensato nemmeno un po', povero nonno. Poi scomparve anche lei e piano, piano il portale si chiuse, sembrava quasi che non si fosse mai aperto e che tutto ciò che era accaduto da che ero stata nelle prigioni fino ad allora fosse stato tutto un sogno, forse anche perché sembrava che fosse durato tutto un attimo, nella mia mente.
Io e Kisaki-chan rimanemmo qualche minuto a fissare il vuoto, poi lei si voltò verso di me con sguardo interrogativo. «Come conosci Mitsuki e Yui?» mi chiese, curiosa.
«Le ho conosciute quando sono andata a trovare mio nonno.» raccontai, cercando di sorridere al ricordo delle marachelle a cui avevo assistito. «E tu, invece?»
«Mia sorella frequentava la scuola nello stesso periodo in cui c'erano loro. Erano amiche...» scosse le spalle, come se fosse un racconto davvero poco interessante, ma non feci domande in ogni caso, non ero davvero dell'umore giusto e non sembrava che volesse parlarmi di come l'avevano contattata per organizzare quella fuga, e non credevo che la cosa in sé mi riguardasse, nonostante fossi curiosa di sapere come si manteneva in contatto con l'esterno dell'Accademia e riuscisse in una comunicazione da entrambe le parti, ma non avevo il coraggio di chiederglielo. «Su, dai, Mikan...» mi mise una mano sulla spalla e mi guardò con preoccupazione. «Tornerà, te l'ha promesso.»
«Sì, sì lo so...» risposi, e cercai di mostrarmi più tranquilla per non farla preoccupare di più, ma la realtà era che averlo rivisto per poi doverlo lasciar andare così presto mi aveva creato una grande sensazione di mancanza. Avevo pensato spesso a lui nel tempo in cui eravamo stati separati prima di quella sera, e mi mancava molto, ma quell'orribile sensazione che provavo all'altezza del petto era quasi incomparabile con quella. «Sto bene.»
«Mmh, sì...» commentò lei, con sarcasmo. «E io sono una paperella di gomma.» mi batté di nuovo la mano sulla spalla, forse per convincermi a scendere le scale, quando una luce mi accecò. «Ma che cavolo...?»
«Oh, scusate...» la voce la conoscevo, ma non seppi proprio dire a chi apparteneva, non prima che abbassasse la torcia e riuscissi a distinguere cose diverse da milioni di puntolini. Era Yahiro-kun. «Non credevo che ci fosse qualcuno qui a quest'ora e quando ho sentito delle voci mi sono spaventato...»
Kisaki-chan si strinse nelle spalle. «Ci dispiace, ragazzo nuovo.» si scusò, anche se non mi sembrava molto contrita. «La prossima volta ci assicureremo che sei al sicuro sotto le coperte.»
Lui fece un sorriso strano. «Cosa ci fanno due ragazze che dovrebbero essere al sicuro sotto le coperte in giro per la scuola a quest'ora della notte?» e come spiegarglielo?
«Cose da femmine.» rispose lei, stringendomi il collo con un braccio, tanto da farmi piegare finché la mia testa non andò a contatto con la sua spalla, e mi fece l'occhiolino. «E tu, invece?» cominciammo a scendere in quella scomoda posizione.
«Jinno-sensei.» spiegò, con una smorfia che indicava quanto poco piacesse anche a lui. Doveva essere una dote di Jin-jin quella di essere temuto da tutti gli studenti. «Mi ha messo in punizione perché ho saltato un bel po' di lezioni da quando sono arrivato senza una giustificazione valida, a quel che dice lui, almeno.»
Kisaki-chan mi lasciò andare per controllare l'orologio. «Non te l'ha detto nessuno che dopo mezzanotte i turni di ronda degli studenti e le punizioni decadono?» lui scosse la testa e lei diede una pacca sulla spalla anche a lui. «Perfetto, ora lo sai. Buonanotte.»
«Aspettate...» ci fermò, prima che lo superassimo. Sembrava incerto se dire qualcosa oppure no. «Mi piacerebbe accompagnarvi, dopotutto è notte e non si sa mai chi potreste incontrare.»
Kisaki inarcò un sopracciglio, sembrava dubbiosa. «Beh, abbiamo degli Alice pericolosi.» osservò, e quella frase fu come se mi avesse tirato un pugno nello stomaco. Non potevo ancora sopportare l'idea di avere un Alice pericoloso, anche se la prospettiva ora mi sembrava almeno un po' meno terribile, dopo averne parlato con Natsume. «Non abbiamo bisogno del cavaliere senza macchia e senza paura, anche se non ho ancora idea di quale sia il tuo potere.» poi gli sorrise. «Comunque grazie per l'offerta.»
Fece una smorfia strana. «In realtà non volevo fare il cavaliere, speravo che potessi trovare la strada per il dormitorio maschile. Non ho ancora molta familiarità con la scuola e non volevo fare la figura del cretino.»
Non avevo molta voglia di stare in compagnia, al momento, ma non potevo lasciare di certo che si perdesse a causa di questo. «Dai, vieni con noi... ti indicheremo la strada da un certo punto in poi.» intervenni io, prima che Kisaki-chan rifiutasse la sua richiesta: non sembrava che il nostro nuovo studente le stesse molto simpatico. O forse era solo una mia impressione. «I nostri dormitori non sono molto distanti.»
Kisaki mi prese per un gomito, e parlò a bassissima voce, tanto che quasi faticai a sentirla. «Non mi sembra una buona idea, lo sai che i maschi non sono ammessi nel dormitorio femminile. Siamo già abbastanza nei guai per attirarcene altri addosso, non credi?» cercai di non pensare a quante volte io e Natsume avevamo violato quella regola, e mi limitai a scrollare le spalle.
«Magari vuole solo fare una capatina da Nonoko e non vuole dircelo.» ipotizzai, e lei, di nuovo, inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. «Vedrai che non succederà niente.»
«Lo spero.» fu tutto ciò che disse lei, prima di iniziare a camminare, e avrei voluto dirle che lo speravo anche io.
«Ehi, Yahiro-kun...» cominciò lei, probabilmente cercando di fare conversazione, dato che ormai eravamo destinati a passare almeno un po' di tempo insieme. «ma se non ti sei mai presentato a lezione... cos'hai fatto in questo periodo?»
Lui parve sorpreso alla domanda, forse perché avremmo dovuto immaginarci la risposta già da sole. «Ehm... ho cercato di rimettermi in pari col programma nelle materie tradizionali.» cercò di sorridere. «Immagino che per voi sia diverso, lo so che vi sembro strano, ma... trovo difficile ambientarmi»
«Sei qui da qualche tempo e ancora non ti sei ambientato perché non frequenti gli studenti.» continuò lei, in tono spiccio. «Tranne nella classe di Abilità, che è il tipo di gente che io eviterei.»
«Significa che devo evitare anche te?» chiese lui, e mi parve piuttosto ironico. Rabbrividii un po' quando uscimmo dall'edificio, per il vento che si era alzato, o forse era solo il tono di voce che lui aveva usato, così strano. «Comunque, hai ragione. Per questo ho deciso di presentarmi regolarmente a lezione, e tutto il resto. Penso che finirò per provare perfino qualche attrazione al Festival.»
Sospirai: mi sembrava così stupido essermi preoccupata del Festival, alla luce di ciò che mi era accaduto negli ultimi giorni. «Già...» ma pensai che avrebbe potuto essere una grande fonte di distrazione. «Perché non chiediamo l'autorizzazione a partecipare con gli altri?» sarebbe stato un modo per evitare di pensare, durante il lavoro.
Yahiro-kun non riuscì a trattenere una risatina e io lo guardai risentita: non mi sembrava fosse un'idea così stupida. «Scusami.» disse subito, dopo aver notato il mio malumore. «È che mi immagino i ragazzi delle Abilità Pericolose a uno stand per il Festival.»
Anche Mitsuki sorrise, ma in modo diverso. «Tu non li conosci ancora, Mikan.» mi disse, con comprensione. «Non ce li vedo proprio che tentano di invogliare gli studenti coi metodi giusti. E poi tutti avrebbero paura ad entrare, inoltre non siamo ancora ufficialmente riconosciuti come classe di Abilità anche se tutti sanno che esistiamo.»
Mi sembrava così strano che stessero parlando come se ci fossi anche io di mezzo. «Capisco.»
«Non prenderla a male.» mi consigliò Yahiro-kun, dandomi una pacca sulla spalla. «Il lato positivo è che potremo provare tutte le attrazioni che vogliamo senza il cruccio di dover abbandonare il nostro posto.»
Annuii debolmente, dato che lui non poteva sapere il divertimento e il senso di stare in famiglia che nasceva dal preparare uno stand e se anche gliel'avessi spiegato era qualcosa che doveva sperimentare in prima persona per capire davvero. Inoltre, sospettavo che non ci fosse una grande intesa tra i membri delle Abilità Pericolose, o almeno Natsume evitava come la peste di avere contatti con loro. Non riuscivo ancora a smettere di pensare al fatto che se n'era già andato dopo non aver avuto quasi il tempo per guardarlo in faccia, come se il mio destino si fosse divertito a giocarmi un brutto tiro. Perché doveva essere così per forza, altrimenti non sarebbe arrivato proprio nel momento in cui fossi stata io a portare il cibo alla prigioniera che lui doveva portare via.
«Noi ci fermiamo qui.» annunciò Kisaki, mentre io mi rendevo conto che avevamo raggiunto la nostra destinazione. «Per il dormitorio maschile basta che continui a camminare per altri cinque o dieci minuti. Se hai qualcuno che può farti entrare di straforo è meglio, anche perché Jinno-sensei quest'anno è incaricato di sorvegliare il coprifuoco nel vostro dormitorio e ho sentito dire che è stata una strage.»
«Grazie per la dritta.» disse lui, senza alcuna enfasi, prima di scomparire lungo il sentiero, ma non senza avermi rivolto un cenno di saluto. Era uno strano ragazzo.
«Ehi, Mikan...» mi richiamò la mia amica, con aria impensierita. «tutto okay?»
Io annuii, ma mi affrettai ad entrare, prima che notasse che non c'era molto che andasse bene. La mia vita era stata rivoluzionata in poco più di un paio di mesi e non sapevo più che pesci prendere. Fino a quel momento vivere in Accademia era stato sorprendentemente semplice: avevo Hotaru e gli altri amici con cui avevo condiviso gran parte della mia vita, una classe di Abilità che adoravo, Natsume, e una vita tutto sommato tranquilla. Ora ero praticamente sola, tranne che per Hotaru, Kisaki e Ruka-pyon, e, come aveva detto Natsume, molto probabilmente, la mia vita tranquilla sarebbe stata trasformata in un susseguirsi di missioni pericolose, e chissà quando avrei potuto rivederlo di nuovo. Ero in preda allo sconforto, ma non volevo dirlo a Kisaki, perché capivo quanto in questo momento fosse difficile rimanermi vicino, era difficile stare con me perfino per me stessa. «Finalmente.» ci salutò Hotaru, con il suo pigiama celeste e un cipiglio infastidito sul viso. Non so perché ma nel vederla mi sentii almeno un po' meglio. «Vi aspettavo da dieci minuti.»
«Scusa.» fece Kisaki, giungendo le mani come se stesse pregando. «Pensavo di fare prima ma abbiamo incontrato quello scocciatore di Yahiro per la strada. Non intendevo tenerti in piedi così a lungo, anche se...» il suo tono cambiò improvvisamente e le fece l'occhiolino. «avresti potuto trascinarti dietro la tua buona compagnia.»
Hotaru arricciò le labbra, e pareva molto più infastidita di quanto l'avessi mai vista prima. «La mia buona compagnia sta russando da almeno mezz'ora, e sul mio lato del letto.» lanciò un'occhiata alla sua stanza, la porta semiaperta mi permise di vedere Ruka-pyon disteso sotto le coperte che dormiva tranquillamente. «Il che mi ha fatto indisporre molto più del vostro ritardo. Stavo giusto pensando di venire a recuperare i vostri cadaveri in qualche fossa nascosta.»
«Ah, grazie.» fece Kisaki, ma non sembrava molto grata. Io mi limitai a sorridere, perché ero davvero stancami limitai ad avvicinarmi alla mia migliore amica e abbracciarla stretta.
«Ehi,» si lamentò lei, ma non cercò di scrollarmi via, con mia grande sorpresa. «cos'è questa carenza di affetto? Ti dico subito che non puoi dormire da me, a meno che non ti accontenti del pavimento.»
Sorrisi un po': lei era la mia unica costante. «Lo sai che per stare insieme a te, starei dovunque.» le ricordai.
Lei sospirò. «Avanti, immagino che Ruka abbia un letto in camera sua.»

«Oh, andiamo.» fece Hotaru spazientita, fuori dalla porta. «Non esiste che ti lascio qui solo perché hai paura che qualche imbecille ti dia della ladra o chissà che. Fuori da quella stanza, ora.» fu strano sentirle fare il discorso più lungo della sua vita che non riguardasse lo studio o i soldi. Fu molto, molto strano. Forse fu proprio quello il motivo che mi spinse ad alzarmi. «Sto per buttare giù la porta.» avevo finito per rifiutare la sua offerta, la sera prima, perché sapevo quanto Ruka desiderasse stare un po' solo con lei, anche se Hotaru era rimasta con me fino a tarda notte, per assicurarsi che stessi bene, dopo aver sentito tutta la storia che avevo raccontato. Mi aveva detto che ero una stupida, ma non so per quale motivo, e poi era rimasta in silenzio a lungo, prima di decidere di andare a letto.
«Credi che avere come testimone l'ex Presidente del Comitato Studentesco sia un'aggravante?» domandò la voce di Kisaki-chan, che suonò vagamente preoccupata e assonnata.
«Se tieni il becco chiuso, no.» fu la secca risposta della mia migliore amica. «E adesso allontanati, non vorrei affettarti una gamba. Ricostruirtela sì che sarebbe un problema.» mi chiesi se avessi dovuto semplicemente aprire la porta prima che qualcuno si facesse seriamente male. Così corsi verso la porta e la aprii, per fortuna l'arnese di Hotaru si fermò un millimetro prima della mia pancia, o sarei diventata cibo per qualche strano animale. «Sei scema?» mise via il congegno con la lama e mi guardò come se volesse picchiarmi, il che mi fece ritrarre di qualche passo. Sbagliavo a pensare che fosse meno terrorizzante del Preside «Avrei potuto farti l'autopsia da viva, se non fossi stata attenta, perché non ti sei decisa ad aprire prima?»
«Scusa...» mugolai: ero davvero una stupida, aveva ragione lei. «Non volevo aprire, ma poi ho pensato che qualcuno potesse farsi male...»
«Già...» commentò lei, con uno sbuffo. Poi cambiò espressione, come se avesse raggiunto il suo scopo. «Adesso che hai aperto la porta puoi anche metterti la divisa e venire a colazione con noi.» lanciò un'occhiata a Kisaki-chan, ma lei mi guardò come se non ne sapesse niente, poi rivolse ad Hotaru un sorriso malizioso.
«E Ruka quando ci raggiunge?» chiese, cercando evidentemente di non scoppiare a ridere.
Hotaru sbuffò. «Che ne so?» fece, e fu la prima volta che mi sembrò risentita, o forse era semplicemente in imbarazzo. Non seppi dirlo con certezza. «Scommetto che è già a mensa.» poi si girò di nuovo verso di me. «Tu muoviti.» e per qualche ragione non potei oppormi a quell'ordine.
Dieci minuti dopo, ero fuori dalla stanza e Hotaru mi aspettava con un sopracciglio inarcato, quasi come un gendarme che dovesse controllare il suo carcerato. «Fatto.» annunciai, allora, per farla tranquillizzare. Lei parve gradire, dato che annuì e cominciò a fare strada fino alla mensa. Di Kisaki-chan non c'era più nemmeno l'ombra, ma non volli chiedere dove fosse finita.
«Hai visto che non c'era niente di difficile?» mi disse poi, mentre io mi guardavo intorno alla ricerca di qualcuno che potesse spaventarsi di me. Ma dovevano già essere scesi tutti, perché i corridoi erano deserti.
«Finora no.» concordai, ma ero sempre insicura della riuscita di tutto quello. «Ma...»
«Vedrai che tra due settimane, anche meno, se ne saranno dimenticati tutti.» mi interruppe. «Come di un pettegolezzo di scarso interesse.»
Io deglutii un attimo prima di varcare la soglia della mensa. «Speriamo.» ma non dovetti sperare a lungo, dato che non appena misi piede sul pavimento, piombò tutto in un silenzio mortale, che era anche peggio che sentirmi accusare come il giorno prima. Scoccai un'occhiata verso Hotaru che mi fece cenno di andare al tavolo, ma io non avrei mai potuto farlo come se niente fosse. Così, scossi la testa. «Credo che vi precederò in classe.»
«Vuoi spiegarmi che te ne importa?» mi domandò lei, sbuffando. «La pensano in quel modo perché sono tutti stupidi, ma se stai al loro gioco sei più stupida di loro.»
Sospirai. «Beh, sono stupida. L'hai detto tu.» risposi, mogia. «Sono più stupida di loro.» mi diressi fuori dalla mensa e cercai di fare il tragitto senza alzare la testa. Per andare dalla mensa fino alle aule c'era un po' di strada da fare, dieci minuti a piedi, ma comunque avevo un'ampia possibilità di incontrare studenti mattinieri, perciò era meglio non guardare in faccia nessuno. Pensavo che fosse un'idea geniale finché non andai a sbattere contro qualcuno e finii a terra, mugolando per il dolore. «Mi dispiace.» dissi, ancora prima di sapere con chi mi ero scontrata. «Non guardavo dove andavo e...»
«Mikan.» era la voce di Narumi-sensei. Ero stata fortunata, stavo per scoppiare a piangere e raccontargli tutto, quando alzai lo sguardo e lo trovai in compagnia di una ragazza, che sembrava guardarmi come se fossi uno strano fenomeno da baraccone. La sorpresa mi fece dimenticare tutto quello che stavo per fare. «Mikan?» lui mi tese una mano e ci misi un po' a capire che aveva intenzione di aiutarmi ad alzarmi.
Spostai lo sguardo sul mio vecchio insegnante e mi sforzai di sorridere. «Narumi-sensei...» lo salutai, tirandomi su. «Ecco, io...»
Lui scosse la testa, come a volermi dire che non c'era bisogno di scusarsi e solo allora notai un terzo uomo, vestito col camice da dottore. Avevo sentito dire che sarebbe arrivato un nuovo studente accompagnato dal suo dottore, e io c'ero finita proprio contro. Non un gran modo per iniziare «Questa ragazza studierà con te e i tuoi compagni da oggi, Jung Hana. E questo è il dottor Wright.» feci un piccolo cenno con la testa ad entrambi, anche se non sapevo come ci si presentava in Inghilterra.
«Piacere, mi chiamo Sakura Mikan.» la ragazza mi sorrise e io mi sentii un po' incoraggiata, anche se lei non poteva scansarmi per il semplice motivo che non sapeva che avrei potuto derubarla dell'Alice.
«Mikan,» proseguì Narumi-sensei. «che ne pensi di accompagnare la nostra nuova studentessa in classe? Stavi andando lì, giusto?»
Io non potei fare altro che annuire e fu solo allora che incrociai lo sguardo di Hana-san: mi si fermò il respiro. Occhi rossi come il fuoco. Ne avevo visti di simili da troppo poco tempo per non fare una analogia con quelli di Natsume, perché me li ricordavano davvero troppo. E anche il colore di capelli, così scuri come i suoi... peccato che fosse una ragazza, che i capelli le arrivassero fino a oltre metà schiena e che i lineamenti fossero troppo gentili per essere i suoi. «Piacere mio, Sakura Mikan-san. Spero che vorrai prenderti cura di me.» anche lei fece un piccolo inchino, ma non appena mi tese la mano e la sfiorai, tutto ciò che vidi fu il buio.

*****

Ehilà ^^ salve lettrici (almeno di maschi non c'è traccia XD), in questo capitolo ho fatto un po' di fanservice... ho fatto rincontrare i nostri piccioncini. Immagino che tutte abbiano capito chi ho tirato fuori alla fine di questo capitolo, ma nel caso non lo sappiate in anticipo, non disperate! Tutto verrà svelato a suo tempo ;) – che, tipo, lo sapete tutte ma mi piace mantenere il mistero. Mi fa sentire potente. Mwhahahahaha.
Tornando a noi, a manga finito in modo ignobile (sì, odio i finali aperti) e la sessione di settembre alle porte, ho la depressione blu. Probabilmente ci rivediamo a Gennaio, come – quasi? – ogni anno, o forse più in là, non lo sapremo finché non mi metterò a lavoro XD
Ma, non disperate, avrete tempo per dimenticarvi ogni cosa come capiterà a me. Comunque vi ho lasciato con un capitolo luuungo, in modo che non sentiate la mancanza di GAHS (ammesso che qualcuno sia arrivato in fondo LOL) XD
Alla prossimaaaa :)

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Capitolo 27
*** Tutto sbagliato ***


Capitolo 26 – Tutto sbagliato
(Natsume)


Passare attraverso il Wraphole era un'esperienza che non avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico, anzi... magari al Preside delle Elementari sì, ma avrei voluto che ci passasse per finire all'inferno. Non riuscivo a capire nemmeno da quanto tempo fossi in quella sottospecie di tunnel senza uscita, mi pareva solo che mi volessero strappare le braccia e le gambe dal resto del corpo. Mi avevano avvisato che, per uscirne, si doveva desiderare un posto specifico, oppure la magia del tunnel avrebbe fatto da sé: realizzai in quel momento di dover desiderare di tornare in azienda, così visualizzai nella mente l'ufficio dove avevo lavorato negli ultimi mesi, sperando che funzionasse. In realtà, sapevo che se avessi lasciato fare alla mia mente, non sarei andato da nessuna parte, proprio perché sarei voluto rimanere in Accademia.
Ciò che mi aveva detto Mikan mi impediva di stare tranquillo: ovviamente già sapevo che stava sviluppando un nuovo Alice, ma non avevo idea che fosse proprio quello. Era preoccupante, e non c'erano dubbi sul fatto che lei fosse finita nelle Abilità Pericolose a causa di questo, e la cosa ancora peggiore era che quella classe, ora che il Preside era a Londra, era sotto il controllo di Persona, che mi odiava da sempre e non vedeva l'ora di avere un pretesto per farle del male. Non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di una scusa, in missione, anche se, a quel che mi aveva detto lei, non era ancora uscita, e per fortuna. Sperai che riuscissimo a salvarla prima che ci fosse anche solo l'odore di un'occasione per farlo, detestavo l'idea che potesse vedere e vivere le stesse orribili esperienze che avevo dovuto sopportare io. Non avevo idea se potesse metabolizzarle o meno: mesi fa avrei detto di no, ma avevo trovato una ragazza in qualche modo diversa da quella che conoscevo. Mikan non si era mai abbattuta di fronte a niente, nemmeno per il mio comportamento nei suoi confronti, e sapevo che Ruka e Imai non l'avrebbero mai abbandonata, ma l'avevo trovata molto abbattuta per via dei giudizi di quegli idioti dei suoi compagni di scuola. Immaginavo che solo le Abilità Pericolose non facessero caso al suo Alice, ma quelli non avrebbero potuto considerarsi nemmeno amici di se stessi, figurarsi di Mikan. Onestamente, preferivo che fosse così: lei era molto ingenua, avrebbero potuto prenderla in giro in qualunque modo.
Quasi senza rendermene conto, mi ritrovai nella solita stanza in cui avevo lavorato fin da quando mi ero diplomato, e mi ritrovai addosso gli sguardi preoccupati di cinque persone. Non me lo spiegavo, così inarcai un sopracciglio, nel dubbio. «Che c'è?»
«Che c'è?!» sbottò Mitsuki, con le mani sui fianchi, aveva ripetuto la domanda come se non avesse creduto alle sue orecchie. «Ti aspettiamo da almeno mezz'ora. Eravamo in pensiero, non sapevamo dove ti fossi cacciato e...»
Quella che avevamo salvato le mise una mano sulla spalla, e il mio caposquadra si fermò come se le avessero staccato la corrente. «Perché ci hai messo tanto, ragazzino?»
Scossi semplicemente le spalle, perché non avevo voglia né intenzione di spiegare loro i pensieri che mi turbavano. «Era il mio primo viaggio.» non era del tutto vero: avevo già viaggiato da bambino con quel tunnel, anche se la sensazione non era stata terribile come quella di questa volta. Avevamo attraversato il portale con alcuni compagni di classe per recuperare l'Alice di Tobita, e quella volta non avevo dovuto pensare a un luogo in cui desiderassi andare, il Wraphole ci aveva semplicemente portati a destinazione. «Ci ho messo un po' a capire come funziona.»
Lei si limitò a guardarmi storto, come se non mi credesse. «Piuttosto,» fu Ryu a parlare, lui sembrava sollevato che fossimo tornati tutti, e si rivolse proprio al nostro nuovo acquisto. «di... di tua figlia hai saputo niente?»
Si voltò verso di lui, con un piccolo sorriso, e non riuscii a capire se fosse contenta o solo amareggiata. Annuì. «Mikan si sta prendendo cura di lei.»
«Mikan?» domandai, dubbioso. Mikan a stento sapeva prendersi cura di se stessa, di solito era Imai che sopperiva alle sue mancanze, come metterle la sveglia, o mandarle la divisa sporca in lavanderia, o a ricordarle dove avesse messo qualcosa che le serviva. «Quale figlia?»
«Tu non sai proprio niente, eh?» mi domandai se fosse il momento di fare del sarcasmo, ma attesi senza parlare, nel caso in cui avesse deciso di rispondermi di sua spontanea volontà. «Hanno rapito mia figlia, qualche mese fa. L'hanno portata via delle schifose bestie di Persona che hanno approfittato di trovarla da sola, maledetto suo padre che avrebbe dovuto essere con lei!» parecchie bambine e parecchi bambini erano stati portati in Accademia in quel periodo, ma non avevo idea che fossero coinvolti anche i figli o i parenti di gente che dovrebbe evitare che queste cose succedessero. «Miyako di solito non si fida delle persone, non so in che modo subdolo si sia lasciata convincere ad entrare a scuola con gente che le ha mentito. Lei lo sa quando succede.»
Oh, certo: ora capivo tutto quanto. Trovavo quasi paradossale che fosse proprio la bambina che mi costringeva a leggere le favole la sera. «Hanno mandato l'unica persona che crede davvero che l'Accademia sia un bel posto.»
Lei mi guardò come se avessi appena ammesso di aver ammazzato qualcuno. «Come lo sai?» il tono era di accusa e potevo ben capire perché.
«Io ero lì.» girarci intorno, tanto, non aveva senso. «E, come sai, ci minacciano di fare del male alle persone che amiamo, se non obbediamo agli ordini.» e nessuno, nemmeno chi diceva di essere tanto virtuoso, avrebbe pagato con la vita di qualcuno che ama per fare del bene a uno sconosciuto, nemmeno se fosse stato un bambino. O, almeno, io non ero in grado di farlo.
«È solo una bambina.» mi rinfacciò, quasi con disgusto.
«Lo eravamo tutti.» tagliai corto, per non sentirmi improvvisamente come se avessi dovuto fare qualcosa per impedire di finire nella mia stessa trappola, come trovare un'alternativa per salvare capra e cavoli.
«Pensavi di vendicarti sui bambini per il tuo passato?» con questa frase, forse, voleva irritarmi o spingermi ad ammettere colpe che non avevo mai sentito di avere, fino a quel momento.
«Penso che se non avessi voluto che te la portassero via, avresti dovuto tenerla d'occhio un po' meglio.» c'erano migliaia di fattori che avevano contribuito a creare l'occasione perfetta perché portassimo via quella bambina, si poteva dire che era colpa di tutti quanti? La realtà era che era colpa solo di uno, ed era Persona, o il Preside. «Non possiamo pretendere di proteggere i figli di altri, se non siamo in grado di proteggere i nostri.»
Lei alzò gli occhi al cielo, quasi che fosse stata una frase già sentita e che non avesse voglia di sentirla più. «Tu parli come faceva il marito di mia sorella.»
«Doveva essere una persona sensata.» e, dato che il nostro obiettivo era proprio quello, non mi sembrava una malvagia idea pensare di modificare o potenziare il modo in cui nascondevamo la gente dall'Accademia, forse anche trovare un modo per portare fuori quelli che già erano dentro non sarebbe stato male. Ma chi si poteva mettere a discutere con Yuka che aveva smesso di lottare per la sua stessa famiglia?
«Igarashi Kaoru non aveva sposato una persona sensata.» arricciò le labbra, e io mi sentii punto sul vivo: quella era mia madre, e di sicuro lei, per parlare così di mio padre, non l'aveva conosciuto affatto. «Prima di perderla, era un sognatore e un'idealista, uno che credeva, come te, che volere è potere. Poi non si è fatto più sentire, ha abbandonato tutto quanto perché... chissà perché.»
«Ehi, sta' attenta a come parli di mio padre.» se aveva abbandonato tutto, l'aveva fatto per tenerci lontano da quel mondo. L'Accademia ci aveva trovato lo stesso e, per tentare di salvare mia sorella, avevo accettato di andarci. Il fatto che nemmeno lui avesse potuto nascondere i suoi figli dal Preside mi spinse a domandarmi se qualcuno ci sarebbe mai riuscito.
«Tuo padre?» mi chiese, allibita. «Ora capisco perché mi irriti così tanto. Hai i suoi occhi e il suo brutto carattere.»
«Ho solo il suo maledetto Alice.» preferii mettere in chiaro, dato che di mio padre si poteva dire di tutto, ma non che avesse un brutto carattere. Io, senza dubbio, l'avevo.
«Ecco perché mi sembravi familiare.» si prese qualche secondo per studiarmi meglio, sotto un altro aspetto, forse. «Somigli tanto a tua madre...» e questa era una frase che avevo sentito ripetere fin troppe volte, da gente che la conosceva, fin da bambino. Poi sembrò che la conversazione che avevamo avuto, non avesse mai avuto luogo: sollevò le sopracciglia e sorrise. «Ho un nipote.» e solo allora realizzai che aveva detto di essere la sorela di mia madre.
«Ne hai due.» mi resi conto che avevo una zia di cui non avevo mai saputo niente, e avrei tanto voluto sapere perché mio padre me l'aveva tenuto nascosto.
Lei assottigliò il sorriso, quasi con pena. «Sì, intendevo dire che ne ho solo uno in vita.» avrei preferito che non me lo ricordasse: non sapevo bene quando era successo, né in che modo, mi era arrivata una lettera di mio padre che mi comunicava la notizia, avevo tredici anni, e l'unica altra persona a cui l'avevo detto era stato Ruka, molto affezionato a mia sorella fin da quando eravamo piccoli. Comunque, quella sottospecie di riunione di famiglia stava avendo solo il potere di portare a galla brutti ricordi, non avevo più intenzione di continuare a discutere con lei, specialmente perché dovevo ancora scendere a patti con il fatto che avessi una zia e anche una cugina che non sapevo di avere.
«Ancora per poco.» era la voce di Yuka, e non sembrava tanto ben disposta nei nostri confronti. Non c'era certo bisogno di tirare a indovinare per saperne il motivo: a quanto pareva Ryu e Jou non avevano fatto un gran bel lavoro. Cercammo di allontanarci con disinvoltura per evitarci la ramanzina, almeno io e Mitsuki, che eravamo quelli più coinvolti, insieme a Yuuko, che però non sembrava molto turbata dall'entrata in scena del nostro capo, ma c'erano veramente poche cose che sembravano turbarla. «Si può sapere che avevate in mente?»
Mitsuki spinse indietro Yui, ma non ero certo che Yuka non l'avesse notata. «Avevamo in mente di portare un'amica in salvo.» spiegò, ed era più calma di quanto l'avessi mai vista. «Sapevamo che non ci avresti mai dato il tuo permesso, così siamo partiti senza. È così. Siamo...» ci rivolse un'occhiata per uno, quasi a scusarsi. «Siamo pronti per qualunque punizione vorrai darci.»
Il nostro capo sbuffò una risata, e la compresi: anche io mi sarei sentito preso in giro, dopo una frase del genere. «Punizione?» ripeté, incredula. «Credo che non basterebbe nessuna punizione per farvi capire la gravità di cosa avete fatto.»
«Che cosa abbiamo fatto di male?» era una domanda più che legittima anche secondo me, ma fu Jou a porla. «Abbiamo riportato a casa uno dei nostri, e direi che ne abbiamo bisogno, dato che non siamo rimasti in molti a combattere questa battaglia. Metà della gente che è qui non sa nemmeno perché lo sta facendo, e Yui è una dei nostri migliori elementi.»
«Già.» commentò Yuka, e non riuscii a capire se fosse ironica o meno. «Credi che non avessi anche io l'impulso di salvarla? Credi che sia una persona meschina che lascia la sua stessa figlia a patire le stesse pene che ho patito io?» nessuno ebbe il coraggio di guardarla in faccia, nemmeno io, e chissà che non fosse anche un pensiero condiviso da tutti, quello che mi ronzava in testa fin dall'ultima volta che avevo parlato con lei. «Se l'obiettivo è salvarli tutti, non possiamo buttare alle ortiche i nostri sforzi per dolori personali. Riuscite a capirlo?»
Questa zuppa l'avevo sentita troppe volte, per rimanere in silenzio. «Se non ne salviamo nemmeno uno, come pretendiamo di salvarli tutti?» ero stufo dell'ipocrisia del loro ragionamento: stare fermi finché non eravamo sicuri di fare qualcosa, salvarli tutti. Quando mai sarebbe stato possibile farlo? Nemmeno nelle favole che leggevo a quella bambina.
«Avete messo a rischio tutta l'operazione.» ripeté Yuka, stizzita. «Forse per davvero non riusciremo a salvarne nessuno, a causa di questo.» avevo l'impressione che la stesse facendo fin troppo lunga. L'Accademia non si faceva scrupoli, mai, in nessun caso, contro la gente che la osteggiava, avevamo dato loro soltanto un altro motivo per avercela con noi.
«L'operazione era stata messa a rischio dall'inizio.» le feci notare, in fondo, fin da quando Yui era entrata in Accademia per cercare di salvare Miyako qualcosa nella scuola si era mosso.
«Non è così.» mi contraddisse lei. «Che una madre, che sa cosa succede davvero nella scuola, voglia andare a riprendersi la figlia rapita, è piuttosto normale. Non ti bolla inequivocabilmente come membro dell'Organizzazione Z, mentre il fatto di riuscire a scappare, sì.»
«E come?» non che chiunque sarebbe potuto scappare da una prigione del Preside da solo, ma come poteva esserci la certezza che saremmo stati noi?
«Suppongo che non abbiate tramortito nessuno o manomesso delle telecamere.» lo disse in tono stanco, quasi rassegnato. «Queste non sono cose che una persona fa da sé. Ed è fin troppo noto che siamo noi quelli che contrastano l'Accademia, mentre tutte le altre organizzazioni nel mondo pensano solo a stringerci accordi. A chi credete che penseranno? Non potremo più inviare Yui per missioni speciali, ed è così che perdiamo un ottimo elemento, sarebbe il primo bersaglio.»
«Non avreste potuto usarmi lo stesso chiusa in una prigione.» questa sì che era una risposta intrisa di sarcasmo, in effetti chiunque si sarebbe aspettato di essere accolto con maggiore contentezza in un posto fatto di gente che si supponeva ti volesse bene. Sembrava che Yuka riuscisse a pensare solo alla buona riuscita della missione, senza preoccuparsi dello stato fisico o mentale dei suoi collaboratori.
«In quel modo, però, non avrebbero potuto sfruttare tua figlia per minacciarci.» ci stava spiegando le cose come se fossimo stati incapaci di capire. Forse era così per davvero, sia io che gli altri, sorprendentemente, avevamo una visione simile delle cose: non avremmo salvato proprio nessuno se fossimo morti o stati catturati. C'era un fatto fondamentale che ci serviva per attuare la sua preziosa missione, ed era restare vivi e uniti. «Credi che non arriveranno a farlo?»
«Non credo che sappiano chi è sua figlia.» intervenne Yuuko, per la prima volta da quando eravamo tornati sembrava aver preso coscienza di quanto le accadeva intorno. «Sono così tanti i bambini che sono stati portati in Accademia, ultimamente. Sarebbe impossibile senza saperlo già da prima.»
«Credo che Yuuko abbia ragione, ma c'è un grosso problema che non avevamo previsto.» intervenne Mitsuki, in tono grave, e io un po' mi sorpresi: non bastavano già tutti i problemi che avevamo, oltre alla ramanzina che ci stavamo beccando, ci si metteva anche qualcos'altro. «Abbiamo perso il Comitato Studentesco.»
«E Narumi non mi sembra che stia cantando più.» aggiunse Ryu, seccato. «Sono settimane che non si fa sentire.» pensai che fosse strano: da quando l'avevo visto la prima volta, sembrava che lì fosse di casa. Evidentemente, era lui l'informatore su cui contavano di più, e non era normale che tra un'informazione e l'altra facesse passare così tanto tempo. Doveva essere successo qualcosa.
«Mi domando che fine abbia fatto...» mormorò Yuka, e colsi una punta di preoccupazione nella sua voce. «Non si è mai comportato così.»
«Sono certa che sta bene.» commentò Yui, con le labbra arricciate per il fastidio, forse di essere ancora lì, e di non poter andare a casa a passare la notte su un materasso, per la prima volta dopo mesi. Ero certo che non ci avrebbe dormito, nemmeno io credevo che ci sarei riuscito, ma almeno non era il pavimento di una prigione da cui non poteva fare altro che aspettare il pasto successivo. «Misaki me ne ha parlato, cose che ha sentito dire a Mikan.»
«Mikan?» fu la domanda sorpresa e spaventata del nostro capo. Lanciai un'occhiata a Mitsuki che però stava guardando male la sua amica. «Lei sta bene?»
«Sì, sta bene. Fisicamente, almeno. Sta passando un brutto momento.» ed era un eufemismo, purtroppo.
Yuka sembrava non capire dove il discorso stesse andando a parare. Forse io ne avevo un'idea perché già conoscevo tutta la storia. «Dove l'hai incontrata?»
«Nelle prigioni, chiaramente. Sai, non è che mi lasciavano l'ora d'aria.» Yui aprì una bottiglietta d'acqua trovata sulla scrivania di Mitsuki e ne bevve una generosa sorsata. «Mi sa che Narumi non te l'ha detto... è entrata nelle Abilità Pericolose poco tempo fa, non so quanto di preciso. Ha l'Alice del Furto e la scuola l'ha scansata.» doveva per forza averlo sentito mentre lo raccontava a me, e mi chiesi come diamine avesse fatto a sentirla.
Yuka si sedette su una sedia, a peso morto, con lo sguardo perso nel vuoto. Chiuse gli occhi e abbassò la testa, pareva sentirsi in colpa per qualcosa, anche se non avevo idea del perché. «Queste sono parole che avrei preferito non sentire mai.» confessò, portandosi una mano alla fronte. «Mikan nelle Abilità Pericolose è un incubo che mi perseguita da quando è entrata in Accademia.»
Le Abilità Pericolose erano una classe non adatta a una ragazza come lei, piena di gente che c'era entrata da bambino e che aveva perso la sensibilità verso gli altri, erano tutte persone restie ad affezionarsi agli altri e ad aiutare il prossimo. Io ero diverso solo grazie a Mikan, e adesso lei non aveva me per ricambiare il favore. Ma sembrava che non fosse solo questo e il rischio della vita a impensierirla. Se sei in Accademia e sei coinvolto col Preside non serve stare lì dentro per avere buone probabilità di morire. «Perché per lei è diverso?» volli sapere, quindi.
Yuka mi guardo, confusa. «Cosa vuoi dire?»
«Cosa ti preoccupa del fatto che sia lì, oltre alle missioni? C'è qualcos'altro.» doveva esserci per forza, dato che le missioni per chi le compieva, almeno, non erano quasi mai mortali, a meno che non si decidesse di opporsi agli ordini di Persona sul campo. «Allora?»
«Mikan ha un Alice speciale, te l'avrà detto.» cominciò lei, con rassegnazione. «Serve a rubare altri Alice, credi che il Preside, o chi per lui, non la sfrutterà? Sarà a rischio costante della vita, sarà sfruttata tutto il giorno, a tutte le ore e non dovrei preoccuparmi? Gli altri la allontanano perché hanno paura di lei. È sola, sarà spaventata e non posso fare niente per lei.»
«Avrei voluto portarla con me.» ammisi, e ora ero certo che avrei fatto meglio a caricarmela in spalla, senza a stare a sentire le sue ragioni e portarla via di lì, in un posto dove nessuno avrebbe mai più potuto riportarla indietro. «Lei non ha voluto.»
«Lo so.» inaspettatamente, sorrise. Non avrei mai creduto che, dopo le mie parole, avrei potuto scatenare una simile rezione. «Lei è come suo padre.»
Suo padre? Yuka mi aveva detto di essere imparentata con Mikan, e non mi era mai venuto in mente di chiedere informazioni sui suoi genitori. Non li aveva mai conosicuti, anzi, mi aveva detto che erano morti, senza che lei li conoscesse, o almeno non ricordava niente di loro. Aveva solo suo nonno. «Chi è suo padre?»
«È morto molto tempo fa.» mi rivelò, sospirando e sfiorando una collana che aveva al collo. «Lei non era ancora nata. Non l'ha mai conosciuto.»
«Non ha mai conosciuto nemmeno sua madre, se è per questo.» dissi, perché ne fosse a conoscenza. «È cresciuta solo con suo nonno, credo che sua madre sia morta quando lei era molto piccola. Non ha ricordi di lei.»
«Sua madre non è morta.» Mitsuki lo disse come se avessi appena detto la più grossa castroneria della storia. «Sua madre...»
«L'ha lasciata perché l'Accademia non potesse risalire a lei.» Yuka interruppe Mitsuki, scoccandole anche un'occhiataccia. Sembrava che non volessero rivelarmi più del necessario, perfino dopo che le avevo aiutate a portare Yui fuori dall'Accademia. Bella fiducia! «Perché crescesse in un posto sperduto, sperando che non manifestasse mai i suoi poteri.»
Risi, senza allegria. «E invece ci è entrata per inseguire la sua migliore amica.» era stato uno strano caso del destino a portare Mikan nel posto che sua madre avrebbe voluto che evitasse come la peste. «Io credo che se l'avesse amata davvero avrebbe dovuto stare con lei e proteggerla.»
«Forse hai ragione.» fece Yuka, con una smorfia. «Ma è tardi per recriminare. Dobbiamo rimetterci subito al lavoro. Perciò andate a casa a riposarvi, non avrete un permesso, per domani.» guardò l'orologio sulla parete. «O forse dovrei dire oggi. E per i prossimi giorni non dovete uscire di casa se non per venire qui. Mi sono spiegata?» si alzò e gli altri iniziarono a raccogliere le proprie cose per tornare a casa. Poco prima che Yuka potesse allontanarsi troppo pensai di fermarla.
«Dov'è lei?» chiesi, e per diversi secondi ci fu un silenzio di tomba, tanto che pensai che non avesse capito. «Vorrei parlare con la madre di Mikan. Sai dove si trova?»
«E cosa mai vorresti dire a una povera donna che sa che sua figlia è proprio lì dove non avrebbe mai voluto che fosse? Che ha fallito nel suo intento di proteggerla? Che è stata una madre inutile?» scossi la testa, senza capire. Era la prima volta che mi sentivo come se mi stesse sfuggendo qualcosa di importante, di solito il mio cervello aveva sempre elaborato le informazioni molto prima degli altri, e molto prima di loro riuscivo a mettere insieme i pezzi del puzzle. Mi capitava perfino con i piani della scuola, perché con lei no? «E allora cosa?»
«Vorrei conoscerla.» le andai dietro, quando mi resi conto che stava andando via. «E vorrei che conoscesse Mikan.»
Yuka si fermò, e mi guardò come se mi stesse sfidando a mentirle. «Come?»
«Mi scrive spesso e ho molte sue foto recenti. Quasi tutte le sere, con un metodo che ha inventato Imai, la sua migliore amica. Io non posso rispondere, ma da ciò che scrive si capisce molto di lei.» non c'era quasi niente di personale che mi riguardasse, e poi volevo parlare con quella donna, quantomeno per capire davvero le sue motivazioni. «Pensavo che potesse farle piacere sapere che, più o meno, sta bene. Ci sono delle persone che le stanno vicine, nonostante il suo potere.» rimasi in silenzio per un po' aspettando che dicesse qualcosa, ma non disse niente. «Lei non dà quasi mai a vedere quando sta male, ma nelle lettere si capisce che... che sta bene, anche se inciampa nei problemi di tutti i giorni. Credevo solo che a sua madre avrebbe fatto piacere saperlo.»
«Natsume...» fece una pausa, e mi guardò con gli occhi pieni di lacrime. «sono io sua madre.» disse questo come se volesse liberarsi di un grosso peso, e mi lasciò immobilizzato, poi scomparve nell'ascensore e non fui in grado di seguirla, incapace di muovermi a causa della rivelazione com'ero rimasto. Continuavo a ripetermi che non aveva senso e che lei era troppo giovane per essere la madre di Mikan, ma più, da una parte, mi rifiutavo di accettarlo, più dall'altra comprendevo che era l'unica cosa che avesse un senso. La figlia di cui tanto parlava era proprio la mia ragazza, e io avevo appena detto a sua madre che era stata un totale fallimento. Oltre a lavorare sulla mia diplomazia, avrei anche dovuto trovare un modo per comunicare a Mikan la mia scoperta, ero rimasto scioccato per un po', perciò non riuscivo a immaginare come l'avrebbe presa lei, che la credeva morta da tutta la vita.

Il giorno seguente, o per meglio dire, qualche ora dopo, entrai in ufficio con quelle che dovevano essere le movenze di uno zombie: non ero riuscito a dormire a causa della scoperta che avevo fatto sul capo e non riuscivo a smettere di pensare al motivo per cui le informazioni da Naru si erano improvvisamente fermate, nonostante lui sembrasse stare bene. Un perché doveva esserci per forza, e doveva anche essere serio: per almeno dieci anni aveva fatto il doppiogioco per Z, e poi improvvisamente aveva smesso. Che fosse passato dalla parte del Preside era da escludere, ma se l'avesse minacciato? Poteva aver usato i bambini... ma se fosse stato un informatore e fosse stato scoperto, che senso aveva tenerlo in vita e in buona salute? Qualcosa non tornava, e questo pensiero non riusciva a smettere di tormentarmi.
«Ehilà...» mi salutò Mitsuki, senza allegria. «Sembri un morto, stamattina.»
Le rivolsi una smorfia. «Grazie.» avrei voluto essere più sarcastico, e invece suonai solo terribilmente stanco, con lo sbadiglio che parlare mi provocò.
«Dormito male, stanotte?» Yui mi comparve alle spalle con dei fascicoli tra le mani. Stava scendendo al piano di sotto, al centro di collocamento per diplomati. «Io non ho dormito per niente, se proprio volete saperlo, e credo che questo sia il decimo caffé. Quindi, non hai scuse per non lavorare.»
Non che ne stessi cercando, ma evitai di protestare: avrebbero potuto dirmi qualunque cosa, più o meno, avrei parlato il minimo possibile per concentrare le forze a rimanere sveglio. «Piantala, non vedi che dorme in piedi?» Ryu mi diede una pacca sulla spalla che mi fece barcollare, così decisi di sedermi alla mia scrivania. La cosa che avrei voluto sapere era come facevano loro ad essere così svegli a quell'ora, dopo la nottataccia che avevamo passato. Specialmente Mitsuki che era stata tutto il tempo con me e aveva fatto le stesse cose che avevo fatto io. Magari lei era riuscita a dormire, al contrario di me.
«Lascialo stare, ha lavorato parecchio, ieri sera.» mi difese proprio il miocaposquadra e mi ritrovai ad esserle grato per la comprensione.
«Piuttosto... dov'è Yuuko?» domandò Jou, affacciandosi da dietro il suo computer. Fu allora, credo, che ci rendemmo tutti quanti conto che mancava: non era una presenza che si notava, anzi. «D'accordo che anche lei ha lavorato ieri sera, ma non aveva detto Yuka che non avevamo scuse e che, soprattutto, non dovevamo uscire se non per lavorare?»
«Lei ha tenuto sotto controllo le telecamere... sai che gran fatica. Io e il ragazzo abbiamo scavato per arrivare nelle prigioni.» sbuffò Mitsuki, con malcelato risentimento. «E lei, invece, esce con un ragazzo.»
«Esce... con un ragazzo?» il tono di disgusto con cui parlò Ryu mi stupì, perché mai non avrebbe dovuto o potuto? Appoggiai la testa a una mano e sognavo di avere stecchini per tenere su le palpebre. Mmm... Yuuko usciva con un ragazzo, e quindi? «Mentre noi lavoriamo lei prende un permesso per uscire con un ragazzo?»
«Ma non stava scritto nel regolamento che non dovevamo intrattenere relazioni di tipo sentimentale con gente di cui non sapevamo niente?» domandò Jou, sporgendosi dalla sua scrivania verso quella del capo. «Potrebbe essere chiunque.»
«E che ne sa la gente che lei lavora per noi?» domandò Mitsuki, scuotendo semplicemente le spalle. «E poi come fa a sapere qualcosa di lui se non inizia a uscirci?»
«Le hanno concesso delle ore libere?» domandai, ed era questa la cosa strana. Avevamo cose importanti da sbrigare, chi mai le avrebbe dato il permesso per un appuntamento? Eravamo, forse, stati scoperti dall'Accademia e lei se ne andava in giro con uno sconosciuto in barba alle sue responsabilità? «Non capisco.»
«Ma che volete?» ci chiese, seccata. «Mi ha chiesto di uscire perché le ha telefonato questo ragazzo e io le ho detto di sì. Dopo quello che abbiamo passato ieri sera, mi sembrava giusto che si svagasse almeno un po'.»
«Ah, ecco.» ora si spiegava tutto. Il permesso non era arrivato dall'alto, gliel'aveva dato Mitsuki.
«Sentite, ad essere onesti: Yuuko ha un grande Alice, ma non è molto utile qui.» nessuno se la sentì di darle torto: lo sapevamo tutti bene che non era ferrata per fare granché che non fosse usare i suoi poteri. «Quando usciremo per una missione, ne avremo bisogno, ma per ora non sa nemmeno rispondere al telefono. E io sono già abbastanza nervosa per averla tra i piedi. Mi ha implorata di darle il permesso perché questo ragazzo era di certo quello giusto, e così l'ho lasciata andare.»
«Ma come hai potuto?» Ryu sembrava sinceramente disperato. «Lei esce a divertirsi e noi siamo qui a sgobbare! Dovremo gestire anche le sue telefonate.»
«Ci penso io, tranquillo.» gli fece lei, ironica. «Non vorrei mai che tu ti affaticassi. Dopotutto, hai fatto così tanto, ieri.»
«Ehi, ho tenuto a bada Yuka, per un po'. Inventarsi scuse è faticoso.» io mi limitai a continuare a fissarlo con quella che credevo essere un'espressione piuttosto vacua, perché avrei voluto chiedergli se avesse avuto voglia di prendere il mio posto, la prossima volta, ma proprio le parole non volevano uscirmi di bocca. Sbadigliai di nuovo, e sperai che il mio telefono non si mettesse a squillare tanto presto.
«Sì, certo.» commentò lei, tornando a scrivere qualcosa sui fogli che aveva sparsi sul tavolo. Poi smise e allungò le braccia sul tavolo. «Per voi è strano?»
«Che cosa?» riuscii a domandare, stendendomi sulla mia scrivania. Non sapevo se aveva cambiato argomento in modo repentino o ero io che non riuscivo a collegare i fili del discorso.
«Insomma, mi ha detto che doveva assolutamente uscire con questo ragazzo, quando prima non aveva idea che fosse disponibile, anche perché è venuta a lavorare.» osservò lei, e io capii che stava di nuovo parlando di Yuuko. «Avete fatto tutte quelle domande perché per voi è strano o siete solo invidiosi che lei abbia un appuntamento e voi no?»
Scossi la testa, senza aggiungere delle spiegazioni, ma Ryu sbuffò. «Veramente, cercavo solo di assicurarmi che non fosse qualche malintenzionato che volesse ottenere informazioni su di noi da un'ingenua come lei.»
Mitsuki inarcò le sopracciglia. «Credo che sia meno ingenua di quanto credi.»
«Per favore,» biascicai, ormai ritenendo un cuscino il pezzo di legno che avevo sotto la testa. «controlla dove si trova con il GPS del suo cellulare, così ci mettiamo tutti quanti l'anima in pace.» e io posso dormire, conclusi, ma solo mentalmente. Non credevo che un'uscita con qualcuno nascondesse sempre e per forza qualche agguato o sotterfugio, e ero anche dell'opinione che dovessimo avere una vita fuori da quelle maledette quattro mura, indipendentemente dalle cose che fossero scritte nel contratto di assunzione.
«Sì, hai ragione.» annuì e fece come le avevo suggerito. Avevamo un sistema per rintracciare i nostri colleghi, nel caso in cui avessero avuto bisogno di aiuto, ma non potessero dare la posizione precisa, per qualche motivo. Funzionava un po' come le tessere dell'Accademia, quelle che davano agli studenti con dentro un localizzatore, anche lì potevamo solo vedere i telefoni che emettevano dei segnali specifici che emettevano solo i nostri dispositivi. Mitsuki non sembrava avere una faccia da buone notizie. «Sono in un bar, non molto lontano da qui.»
«E allora perché quella faccia?» domandò Jou, forse anche lui stranito da quella reazione. Non si capiva se ci fosse rimasta male o se semplicemente ce l'avesse avuta con se stessa.
«Sto iniziando a preoccuparmi per nulla.» disse, scornata, e capii che era la seconda tra le alternative che avevo pensato. «E ho anche un gran mal di schiena.»
«Quando sei un capo sei un po' come una mamma.» Jou imitò la voce di Yuka, che doveva averlo detto quando aveva nominato Mitsuki il capo della nostra squadra, ancora prima che arrivassi a lavorare per lei.
«Non iniziare a ricordarmi che diventerò come la mia.» lo avvisò, truce. «O come Yuka.» e la prospettiva sembrava inorridirla anche di più.
«A forza di scavare ti è venuto mal di schiena?» domandò Ryu, sghignazzando, quasi. «O hai passato la notte in qualche strano modo insieme al tuo fidanzatino?»
«Piantala, Ryu.» gli intimò, ancora con lo sguardo fisso sullo schermo del computer. Questa volta fece una faccia davvero strana. «Secondo voi che significa il fatto che il segnale sia scomparso dalla mappa?»
«Il telefono è spento?» azzardai, senza trovare un'altra spiegazione logica.
«I nostri telefoni trasmettono anche da spenti.» disse lei, lentamente. Stava pensando a una possibile motivazione, forse. «Quindi...»
«Le è caduto e l'ha schiacciato una macchina?» offrì Ryu, in tono leggero. «A me è successo almeno dieci volte.»
«Sì ma tu sei una calamità naturale.» osservò Jou, ridendo. Poi rivolse l'attenzione a Mitsuki, sempre più preccupata. «Piantala! So dove vuoi arrivare: il tizio che sta con lei l'ha rapita, legata e ha distrutto il telefono perché non vuole far sapere dove si trova. Giusto?» per un attimo la prospettiva che fosse così mi svegliò dal mio momentaneo torpore. Era strano che il giorno dopo che ci eravamo fatti vedere in Accademia, qualcuno chiedesse a Yuuko di uscire, ma come avevano fatto ad arrivare a lei in così poco tempo? «Devi smettere di guardare la TV prima di dormire.»
«Ti dico che c'è qualcosa che non va.» ripeté Mitsuki. Mi sollevai su dalla posizione scomoda che avevo scelto e non potevo non darle ragione. «Per me le è successo qualcosa.»
«Se non abbiamo il segnale, come pensi di cercarla?» fece Ryu, scocciato. Anche questa era una buona domanda, ma di certo non era un buon piano stare lì e sperare che il telefono ricominciasse a trasmettere, quando probabilmente non l'avrebbe più fatto, o stare lì ad attendere che Yuuko si materializzasse dall'ascensore. Dubitavo che anche quello sarebbe successo.
«Potremmo iniziare dal bar dove l'hai vista per l'ultima volta.» suggerii, dato che non avevamo altri posti da cui partire. «A meno che tu non abbia visto un altro ultimo posto.»
Mitsuki scosse la testa. «No.» confermò, poi, fissando ancora il monitor, quasi che il pallino di Yuuko dovesse accendersi davvero di nuovo. «E non riesco a capire come possa essersi rotto in un posto del genere. Hai ragione, Natsume, usciamo. Vai di sotto a prendere Yui.» mi ordinò, tirandosi su dalla sedia. «Voi due rimanete qui, mi serve qualcuno che risponda al telefono se ci serve, e, nel caso le cose si mettano male, avverta Yuka.»
«Perché non possiamo uscire noi, questa volta?» domandò Jou, forse più preoccupato del fatto che uno di noi si sarebbe addormentato alla guida, piuttosto che del possibile rapimento di Yuuko.
«Squadra che vince non si cambia.» disse solo Mitsuki, prima di trascinarmi per il colletto della camicia. «Vado a prendere la macchina, fatti trovare all'entrata del personale con Yui tra cinque minuti. Se le è successo qualcosa, dobbiamo fare in fretta.» immaginai che si sentisse in colpa per averla lasciata uscire, quando ci era stato detto di non allontanarsi dal posto di lavoro, così feci cenno di sì con la testa e scesi al piano di sotto, mentre lei prendeva l'ascensore per il garage.
Rischiai di investire qualche collega che riportava al piano di sopra i fascicoli con i dati di nuovi possibili lavoratori e mi precipitai agli sportelli.
«Ehi, ragazzino.» mi fermò Yui, con un braccio. Era davanti a una fotocopiatrice e mi stava guardando come se fossi un idiota. «Dove corri?»
«Dobbiamo uscire.» riuscii a dire, col fiatone. Non avevo più il fisico per fare certe cose, anzi, forse andare in missione e usare il mio Alice sarebbe stato fin troppo rischioso, ma non avrei detto niente a nessuno, finché questo avrebbe potuto rappresentare un pericolo per Mikan. «Mitsuki ci vuole tra due minuti fuori.»
«Che diamine succede?» lasciò le sue fotocopie a un malcapitato lì vicino e si tolse il maglioncino degli impiegati. Sotto aveva i vestiti con cui l'avevo vista poco prima. «Spiegami.»
«Yuuko.» dissi, premendo il bottone dell'ascensore. «Mitsuki crede che le sia successo qualcosa.»
«Mitsuki vede complotti anche nei formaggini della mensa, in questo periodo.» osservò lei, ma entrò lo stesso nell'ascensore. «Almeno a quanto mi ha raccontato, mentre mi accompagnava a casa.» sbuffò, appoggiandosi alla parete, mentre premevo il pulsante 0. «Non che abbia torto, ovviamente, ma se sta con un ragazzo perché disturbarla?»
Fu a quella domanda che mi venne da chiedermi se non ci stessimo preoccupando troppo per nulla. Così la misi al corrente di tutti i fatti. «Il suo telefono ha smesso di trasmettere.»
Yui si limitò ad alzare gli occhi al cielo, come se mi trovasse ingenuo. «Tu lasceresti il tuo telefono trasmettere se la situazione si facesse piccante?»
«Si può bloccare il segnale?» ero incredulo: a che scopo fare dispositivi che trasmettevano se potevamo bloccarli quando volevamo?
Lei scrollò le spalle. «Con i dispositivi giusti? Sì.» mi precedette all'uscita dell'ascensore non appena si aprirono le porte sull'atrio. Lo attraversammo e uscimmo dal retro, lì da dove gli esterni non potevano entrare.
«Meglio andare a controllare comunque, non credi?» era sempre meglio prevenire che curare, si dice.
La mia collega non sembrava dello stesso parere. «Prova a dirlo alla tua amica, quando irromperemo ovunque si trovi e la beccheremo a fare chissà cosa con il suo uomo.»
«Capirà.» sentenziai, sicuro. Poi la fissai, incerto. «Capirà, vero?»
«Tu capiresti?» mi domandò e realizzai che non lo sapevo per certo. Poi mi indicò una macchina che veniva verso di noi. «Oh, eccola.» si fermò e quando il finestrino si abbassò, Mitsuki aveva un pollice bene in alto per il fatto che ero riuscito a portarle la collega nei tempi stabiliti. Yui mi diede una pacca sulla schiena. «Sali, su.»
Obbedii, e feci appena in tempo a chiudere la portiera, prima che Mitsuki premesse sull'acceleratore come non avevo mai visto fare a nessuno. Non ci volle molto per arrivare a destinazione: il bar era a due svolte da dove lavoravamo, ma lì non sembravano sapere niente di utile. La cameriera aveva notato solo il bel ragazzo con cui stava e che erano andati via in macchina.
«E ora?» domandò Yui, rivolgendosi a Mitsuki, la quale sembrava, esattamente come noi, non sapere che pesci prendere. «Da che parte sono andati?»
«La cameriera ha detto che sono andati da quella parte.» indicò la direzione da cui eravamo arrivati. «E, dato che nessuno ci ha chiamate... Yuuko non è tornata in ufficio.»
«Secondo me dovremmo piantarla di cercare e lasciarla in pace.» ripeté Yui, con le braccia conserte. «Ci chiamerà quando ha finito.»
«Oppure ci maledirà quando li interromperemo. Pagherei perché fosse così.» rispose il nostro capo, prima di sospirare, rassegnata. Io non sapevo cos'altro pensare se non che avevo un forte bisogno di un caffé. Aprii dal cellulare il programma di localizzazione, nel caso in cui avessimo ritrovato il segnale, era una vana speranza, ma poteva tornare utile. «Adesso che si fa?»
«Aspettiamo che ricompaia il segnale?» suggerì Yui, tentando di sedersi su una delle sedie del bar, ma Mitsuki la prese per un braccio prima che potesse farlo. «E dai, Natsume, che dice il... coso, lì... come si chiama?»
«Lascia perdere.» tagliai corto, tanto non c'era niente di utile sullo schermo. «Tanto è inutile.» e subito dopo le parole famose, un pallino comparve dall'altra parte della città. Il segnale era quello del telefono di Yuuko. «Aspettate...»
«Che vi avevo detto?» fece Yui, come se avesse avuto ragione fin dall'inizio, e in effetti era così. Non era sensato che il cellulare si fosse riattivato da rapitori o cose del genere, ma come si era procurata Yuuko un dispositivo per inibire l'invio del segnale?
«Dice che sta... dall'altra parte della città. Nei pressi della pagoda abbandonata, quel monumento per i turisti.» spiegai, girando verso di loro il mio cellulare. Entrambe ci misero qualche secondo a realizzare quanto avevo appena detto. «E allora... andiamo?»
«Certo che andiamo.» confermò Mitsuki, trascinando entrambi di nuovo in auto, in un viaggio per cui sarei morto di paura, se solo non fossi stato in auto con gli agenti dell'Accademia, che guidavano dieci volte peggio di lei, al ritorno dalle missioni.

«Su...» mi incitò Yui, scocciata. Sembrava credere ancora alla versione dell'appuntamento romantico sfociato in qualcosa di più piccante. Ma chi diamine sarebbe andato a consumare la propria passione in una pagoda abbandonata a cui i turisti non fanno altro che fare foto, un posto fatiscente e, si diceva, infestato. Chiaramente, nessuno di noi credeva alla storia dei fantasmi, era una cosa per attirare di più l'attenzione su una cosa vecchia e cadente per quelli che venivano nel nostro paese a fare foto strambe. «dai, attiva quel localizzatore, così facciamo prima.»
«Le telefono.» disse Mitsuki, fissando prima la pagoda e poi i dintorni. Il posto non era molto alto, però era vagamente inquietante, specialmente con quel tempo: sarebbe venuto a piovere in poco, e la cosa non mi piaceva granché, e non solo perché avevo dei coinquilini che la notte non facevano altro che allagare la casa in cui vivevo. Aspettammo qualche minuto di sentire suonare il telefono, e lo sentimmo, una volta tese le orecchie.
Era nei dintorni, ma nessuno rispondeva.
«Sono appartati?» domandò Yui, adesso non sembrava più molto convinta della sua precedente ipotesi. «O il telefono è stato gettato da una parte... da solo?» ci dirigemmo verso il suono e sì, era buttato tra le macerie del cantiere vicino alla pagoda abbandonata. Avevano tentato di restaurarla ma i lavori non erano mai proseguiti, le transenne e qualche resto di impalcatura erano ancora lì e il telefono era in mezzo a dei sassi.
«Non so se debba consolarmi o meno.» commentò Mitsuki, a mezza bocca, studiando il terreno vicino al cellulare.
«Consolarti?» ripeté Yui, guardandosi intorno, quasi che si aspettasse di vedere sbucare qualche malintenzionato da dietro le macerie.
«Non c'è il corpo di Yuuko, significa che è ancora viva. Il problema è che non so se starebbe meglio all'altro mondo.» prese il telefono in mano e, in quel momento, squillò. Sobbalzammo tutti e tre, Mitsuki più di noi, tanto che il cellulare ricadde lì dove l'aveva preso, perché le era sfuggito di mano per la sorpresa. «Siamo osservati, è evidente.»
Yui si voltò, guardandosi alle spalle. «Sarei più tranquilla se sapessi da chi e da dove.»
«Io ho un'idea.» commentai, accennando alla pagoda con la testa. Era un ottimo posto tetro per tirarci un'imboscata, era evidente ormai che volevano che fossimo proprio noi a recarci lì. Yuuko doveva essere ben nota alla Alice, il suo potere non era molto comune, e noi avremmo dovuto pensarci prima, di certo farla abboccare non era stato difficile, visto che aveva una stupida fiducia nella gente. «All'Accademia piace essere teatrali.»
«Spero che sia solo questo, Natsume.» il telefono squillò di nuovo, ma stavolta era un messaggio che assicurava che avrebbero preso le nostre vite. «Hai ragione, sai? Sanno essere molto teatrali.» si voltò verso di me come se non fossimo stati appena minacciati di morte e ci incoraggiò a incamminarci verso l'edificio. «Si dice che sia infestato, ma non credevo da una massa di imbecilli con gli occhiali da sole.»
Arrivammo all'entrata ed era tutto così straordinariamente tranquillo che si sarebbe potuto pensare che, davvero, non ci fosse nessuno dentro. Ma era troppo quieto per crederlo veramente, nemmeno un topo che cammina, una formica, niente di niente. Perfino i nostri passi riecheggiavano nell'ambiente e perfino la porta cigolante sui cardini fece il suo effetto da film horror. Alzai gli occhi al cielo, ma non si mosse niente per qualche altro minuto. Feci in tempo ad abituarmi all'assenza di luce e potei notare che anche l'interno della torre non stava molto meglio del cantiere poco distante da essa: macere e calcinacci erano dovunque.
«Manca ancora la giusta suspance, per farsi vedere, immagino.» commentò Yui, guardando anche lei in alto, forse per vedere se qualche testa dei già citati imbecilli sbucasse da una delle passerelle che portavano fino alla cima della torre. Non c'era nessuno, in compenso cominciavano già a sentirsi i loro passi. Lì dentro era così buio che potevamo affidarci solo all'udito per capire da che direzione stessero arrivando.
«Natsume,» sussurrò Mitsuki, tenendomi per un gomito. «tu cerca di non usare il tuo Alice.» me ne chiesi il motivo, ma forse era solo perché non voleva far sapere che ero lì con loro e che stavo tramando contro l'Accademia. Adesso capivo il motivo per cui tutti quanti sembravano tenere così tanto a Mikan, era la figlia di Yuka e doveva essere anche una loro priorità proteggerla. Fu un pensiero confortante, da un lato.
E forse fu perché mi ero perso nei miei penseri che non mi accorsi che i passi si erano fatti più vicini di quanto mi sarebbe piaciuto in una situazione del genere. La luce delle torce che accesero mi impedì di vedere per qualche istante, solo dopo mi accorsi che eravamo circondati da agenti della scuola che ce le stavano puntando contro. Non sembravano avere altre armi, eravamo semplicemente sotto i riflettori.
Non riuscivo a capire di che utilità fossero, finché non ne comparvero altri dalle passerelle che prima la mia collega stava guardando. Loro non avevano solo le torce, ma qualcos'altro in mano che non riuscivo a distinguere, mentre ancora mi paravo gli occhi per far diminuire il fastidio di avere la luce puntata dritta contro di me dopo che si erano abituati al buio. Una delle due imprecò, prima che gli agenti dell'Accademia lanciassero le bottigliette che avevano in mano, le quali esplosero a contatto con il pavimento, generando un fumo denso che, molto probabilmente, serviva a tramortirci, o comunque qualcosa del genere. Mi coprii d'istinto la bocca con la manica della giacca, anche se non sarebbe servito a molto. La luce delle torce non faceva altro che peggiorare la situazione, dato che il fumo stava arrivando a irritarmi gli occhi, e immaginavo che sia Mitsuki che Yui non se la stessero passando molto meglio di me. Dovevamo andarcene di lì e anche in fretta, prima che iniziassero a spararci.
Di certo noi non li vedevamo, ma sospettavo che loro ci vedessero benissimo, poco ma sicuro. L'unica cosa che dovevamo fare era toglierci dal mirino di tutti quei pazzi ammaestrati. Spinsi Yui nella direzione che intendevo prendere, lì dove avevo fatto appena in tempo a notare un minore assiepamento di agenti e trascinai Mitsuki, afferrandola per un lembo di stoffa. La situazione non migliorò granché e finalmente capii l'utilità dei famosi occhiali da sole che portavano anche al chiuso: serviva a proteggerli da fumogeni o altri agenti chimici come quelli che ci avevano appena buttato addosso.
Respirare piano era il segreto per mantenere il più a lungo possibile la lucidità: questa era una di quelle cose che avevo imparato in missione, ed era una gran brutta cosa da accettare, il fatto che mi stessero tornando estremamente utili.
«Ma che cavolo...?» fu la mezza frase di Yui, quando ci ritrovammo tutti addosso al muro, proprio dietro uno di quegli idioti che avrebbe dovuto ucciderci. Forse il fumo non danneggiava i loro occhi, ma a quanto pare la loro visuale sì. Buono a sapersi. Le misi una mano sulla bocca per farle capire che doveva fare silenzio e poi la lasciai andare. Non c'era il tempo di lamentarsi della mia mancanza buone maniere, non credevo che fossero cose importanti, quando devi salvare la vita di qualcuno. E poi non c'era da pensare a un piano di fuga: le opzioni erano solamente due, prima che la copertura che ora il fumo ci offriva svanisse così com'era arrivata.
La prima: avremmo dovuto trovare un modo per costeggiare il muro dalla parte giusta e uscire, ma in quel caso avremmo lasciato Yuuko al suo destino, oppure l'opzione numero due: avremmo dovuto prendere la direzione opposta e trovare dei passaggi o delle scale che ci permettessero di esplorare il dannato posto. L'unico problema era il difficile orientamento dentro una stanza dove non si vedeva praticamente niente e la luce che filtrava entrava da delle finestre molto più in alto di dove ci trovavamo in quel momento. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata, per il nervosismo e la rabbia di non riuscire a trovare una soluzione.
Mitsuki mi trascinò verso destra, evidentemente lei aveva trovato un modo per riconoscere la strada giusta, quale delle due avesse deciso di scegliere, ovviamente, non lo sapevo ancora. L'unica cosa che immaginavo avesse fatto era prendere me e la sua amica e portarci o all'uscita o all'imboccatura di un qualche corridoio, ammesso che ce ne fossero stati e che non fossimo praticamente in una trappola mortale. Ma se c'erano delle passerelle ci dovevano essere delle scale, dovevamo solo trovarle e pregare che quelli di sopra fossero idioti come quello che avevamo superato senza farci vedere, per pura fortuna.
Quando il fumo si diradò, non c'era rimasto più nessuno nella sala. In compenso, eravamo in una specie di sottoscala, avremmo solo dovuto aggirarla per salire. «Dov'è Yui?» sentii la voce della caposquadra, e mi girai. Non riuscivo molto bene a distinguerla, dopo tutto quel fumo e quel buio.
Cercai di guardarmi intorno, ma non sembrava esserci anima viva oltre me e lei. «Credevo che fosse con noi.»
Mitsuki sospirò frustrata. «Dobbiamo andare a cercarla prima che la trovi la persona sbagliata.»
«Cominciamo a salire.» suggerii, accennando alla scala con la testa. Da qualche parte saremmo pur dovuti partire, ed era logico pensare che Yui avesse proseguito anche da sola, soprattutto conoscendola, visto che era andata anche da sola a fare un'improvvisata in Accademia. «Forse la troviamo per la strada, e poi non mi pare che qui sotto sia rimasto nessuno.»
«Mi chiedo il perché di tutto questo.» e anche io me lo stavo chiedendo: non era difficile da immaginare che qualcosa era andato storto nel loro piano, ma mi domandavo ancora dove fosse Persona e se ci fosse. Rapire un membro dell'Organizzazione Z senza di lui equivaleva a una missione fallita, ma se lui c'era, perché mai non era venuto a darci una calda accoglienza? Non era da lui.
La cosa mi preoccupava alquanto, perché se non era ad occuparsi di noi, era – o era stato – con qualche prigioniero, e sperai che così non fosse, altrimenti stavamo andando a raccogliere un cadavere, o più di uno, con ogni probabilità.
«Forse pensavano che catturarci sarebbe stato facile.» ipotizzai, aguzzando la vista e l'udito in cerca di qualche rumore nemico o amico. Sarebbe stata una fortuna ritrovare Yui, ma quando notai l'altra rampa di scale, diametralmente opposta alla nostra, cominciai a dubitare che ci saremmo riusciti tanto presto. «E quando non ci hanno visti più hanno pensato che fossimo andati in giro. Non usavamo mai questo fumogeno, quando ero nelle Abilità Pericolose proprio perché è difficile controllarlo.»
«Allora sono davvero degli idioti.» commentò, senza mezzi termini.
«Fidati, irrita gli occhi e forse ha anche effeti a lungo termine. Non ne so granché.» non potevamo sperare che l'avessero lanciato solo per scherzare, certo la maggior parte di loro era composta da imbecilli, ma chi organizzava la missione di solito aveva un cervello dentro la testa, e di solito era Persona. «Penso solo che si siano sentiti più sicuri perché sono in molti.»
«Sono comunque degli idioti.» sentenziò, indicandomi la destra. «Andiamo per di qua.»
La seguii, e anche in fretta, perché non era prudente separarsi in un posto che noi non conoscevamo ma gli avversari sì. Sbucammo in un corridoio ancora più buio del precedente, su cui procedemmo lentamente, cercando di avvertire perfino il rumore dei nostri passi, per fare in modo che non fosse avvertibile da qualcuno che voleva farci fuori.
Fu allora che vedemmo un cerchio di luce prodotto sicuramente da una di quelle torce che avevamo già visto, e sentimmo delle voci provenire dalla stessa direzione, anche piuttosto concitate. Mitsuki mi spinse di lato, dietro a una porta aperta che io, in quel buio, non avevo nemmeno fatto in tempo a notare, troppo occupato a chiedermi a quanta distanza fossero gli agenti dell'Accademia e quanti fossero. Ci spostammo nel lato più buio della stanza, in modo che non potessero vederci e cercai di limitare la respirazione, nel caso in cui anche loro avessero avuto un buon senso dell'udito.
«Se non finiamo questo lavoro, ce la vederemo brutta.» stava dicendo uno di loro. Potevo vedere la luce di una torcia lungo il corridoio. «Mi chiedo dove diavolo si siano cacciati, quegli stupidi ratti.»
«Certo che si profondono in complimenti...» osservò la mia caposquadra, a mezza bocca. Mi limitai a darle una gomitata perché non rischiasse di farci scoprire e non coprisse la risposta di quello con cui il primo uomo doveva essere in compagnia. Dai passi sembravano in due.
La luce si introdusse un po' nella stanza, e mi appiattii di più contro la parete per non fare ombra. Il posto non era dei più grandi, e non ci sarebbe voluto molto a beccarci se avessero guardato dentro con la torcia. «Chiudi la porta, imbecille. Non vorrai che ci mettiamo in guai più seri.» Non successe niente per qualche secondo, e dedussi che l'altro non riteneva il fatto della stessa improtanza. «Non si muoverà di certo, dopo aver passato del tempo con lui
«Sempre meglio essere prudenti, non credi?» l'ombra del primo uomo oscurò la luce della loro torcia, ma per fortuna era sempre girato di spalle, presumibilmente verso il suo collega.
Ci fu un altro attimo di silenzio. «Forse hai ragione.»
La porta venne improvvisamente sbarrata e un inquietante click segnò il bloccaggio della serratura. Era evidente che non saremmo riusciti ad andare da nessuna parte, e non potevamo certo rimanere lì per sempre, dal momento che era una stanza senza finestre e, nonostante il legno della struttura fosse marcio, l'aria disponibile prima o poi sarebbe finita. Tra l'altro quell'odore non era nemmeno il massimo da respirare, perciò mi domandavo quanto avremmo potuto resistere. Mitsuki ci provò lo stesso ad andare ad aprire ma, nonostante tirasse con tutte le sue forze, la porta rimase lì dov'era.
Sentimmo le voci allontanarsi e poi nemmeno un po' di luce passò dallo spiraglio tra la porta e il pavimento. Eravamo di nuovo soli. «Cosa diavolo ci fa una porta di metallo in un posto come questo?» poi imprecò sottovoce e diede un calcio alla ragione dei suoi problemi. «Ahia...»
«Troveremo un modo.» supposi che Mitsuki avesse avuto ragione fin dall'inizio. Evidentemente, la casa era ritenuta infestata per le grida di quelle che, dalla gente normale, erano ritenuti fantasmi e che, forse, erano semplicemente gente che veniva portata lì dall'Accademia per essere indotta a confessare qualcosa che a loro interessava, tanto sapevano che era un luogo in cui nessuno metteva più piede da decenni e questo avrebbe spiegato anche perché gli operai che si stavano occupando della sua ristrutturazione avevano lasciato il lavoro a metà e anche in fretta. Non mi stupì granché che nessuno avesse mai pensato di indagare, dato che la gente quando non vuole avere problemi o, semplicemente vedere la verità, si nasconde dietro all'ipotesi più comoda. «Dobbiamo solo pensare.»
Lei sbuffò. «La stanza è di metallo. Moriremo soffocati, prima o poi.» la cosa non sembrava turbarla più di quanto non turbasse me. Sarà stato perché avevamo praticamente convissuto con la morte giorno dopo giorno. Io, ormai, sapevo da tempo di essere condannato, a causa del mio Alice, e la cosa mi fece pensare che, forse, anche lei doveva avere un simile problema.
«Si sente odore di legno marcio.» le feci notare, indicando il soffitto, anche se a vuoto, dato che non poteva vedermi. «Qualcosa è in legno.»
«Dev'essere il tetto, allora.» avevamo avuto la stessa idea. «Forse possiamo uscire di lì.» la sentii spostarsi verso destra e avvertii che toccava una parete. «A meno che non sia sigillato sulla parte superiore.»
La stanza era fredda, e nel momento in cui era entrata un po' di luce avevo notato che il soffitto era piuttosto alto. «Io non credo di poterci arrivare. E dubito che ci sia una scala provvidenziale per aiutarci o qualcosa che tu possa usare per costruirla.»
Mitsuki schioccò la lingua, forse delusa dal fatto di non poter rendersi utile. «Tu sì che sai come consolare una ragazza.»
Sbuffai: non era certo la risposta che mi aspettavo. «Non mi sembra il momento per fare del sarcasmo.» eravamo sulla buona strada per essere uccisi, anche perché prima o poi si sarebbero resi conto che non c'eravamo più da nessuna parte, sarebbe stato naturale cominciare a cercare nelle stanze, e ci avrebbero trovato di sicuro. E poi c'era un altro problema: non sapevamo dove diamine fosse finita Yui, e io non sapevo nemmeno che diamine di Alice avesse e se ci fosse una minima possibilità che sopravvivesse. Certo, dovevo ancora metabolizzare di avere una zia, ma avrei comunque preferito che sopravvivesse, non solo perché avrei voluto farle delle domande sulla morte di mia madre, senza contare che era, forse, l'ultima parente che avevo in vita, dato che non avevo più ricevuto notizie da mio padre, dopo la morte di mia sorella, ma anche perché Miyako aveva bisogno di una madre con cui crescere.
«Se c'è una cosa che ho imparato da Yui-sempai è che è sempre il momento buono per fare del sarcasmo.» parlò in tono distratto, le sue dita che ancora scorrevano sulla parete. «Le pareti sono troppo lisce per potersi arrampicare, e il soffitto troppo alto per arrivarci, anche se ti salissi sulle spalle.»
Sospirai: non avevamo uno straccio di piano e stavo già iniziando a innervosirmi, per prima cosa perché avremmo potuto evitare tutto quel casino, se semplicemente Mitsuki avesse detto di no alla stupida richiesta di Yuuko, e perché eravamo caduti in trappola come degli imbecilli, nonostante fossimo consci perfettamente dei metodi dell'Accademia. «Buono a sapersi.» borbottai, cercando di camminare in linea retta per misurare la stanza e fare una stima dell'ossigeno che avevamo a disposizione.
«Hai visto? Ci sei riuscito.» mi stava prendendo in giro, ed era chiaro, ma non replicai, non riuscivo a smettere di pensare a quanto Yuka avesse avuto ragione fin dall'inizio: eravamo degli idioti e probabilmente avevamo davvero compromesso tutta l'operazione. Non ci avevamo pensato, ma era chiaro che Yuuko era la più riconoscibile tra noi e che la scuola avrebbe potuto risalire a lei senza problemi. Evidentemente, le telecamere dovevano aver ripreso qualche scena del garage, o qualcosa del genere, forse anche prima. Ormai sapevano chi era Yui, chi era Yuuko e chi eravamo tutti, prenderci di sorpresa non era stato un compito per niente difficile, specialmente con lei. Solo che questa consapevolezza non mi aiutava minimamente a trovare una soluzione, ma mi faceva solo venire i nervi a fior di pelle anche di più. «Yui-sempai è convinta che allenti la tensione.»
«Credevo che fosse quella a cui piace aumentarla.» commentai, abbandonando momentaneamente quei pensieri.
«Solo se sa che andrà a finire bene.» mi ricordò, e mi accorsi che si stava sforzando di sembrare allegra, forse per tirarmi su di morale, o forse perché lei era il capo, e doveva dare l'esempio.
Un colpo di tosse mi paralizzò. Non avevo ben intuito a cosa si stessero riferendo quei due uomini quando stavano parlando e, sul momento, non me ne ero nemmeno preoccupato. Solo in quel preciso istante realizzai che non eravamo da soli e che era stato estremamente stupido pensarlo. Io e Mitsuki ci voltammo verso l'origine del rumore, alle nostre spalle, qualche decina di passi da noi, ma era troppo buio per distinguere qualcosa che non fosse il nulla.
«Hai sentito anche tu?» mi chiese, bisbigliando, stavolta. Ormai era troppo tardi, se qualcuno era lì inisieme a noi si era accorto anche troppo che era in compagnia, dato che non ci eravamo preoccupati di abbassare la voce, una volta certi che i due scagnozzi di Persona non erano più a portata d'orecchio.
Annuii, prima di rendermi di nuovo conto che avrei dovuto parlare. «Fin troppo bene.»
«Dovremmo avvicinarci?» non sembrava che ne fosse proprio convinta, tant'è che fece un passo indietro, invece che verso quella che ritenevo fosse la fonte del rumore.
La fermai, tendendo un braccio verso il vuoto. Per fortuna riuscii ad afferrarle la giacca. «Tu credi che possa essere una trappola?»
Mitsuki sembrò pensarci su, e poi fece due passi in avanti, tirando anche me. «Beh, qualunque cosa sia non possiamo andare da nessuna parte, e se ci vuole morti prima o poi ci ammazzerà.» il dubbio le era passato in fretta, c'era da ammetterlo. «Tanto vale tentare.»
Sentivo dei bisbiglii, qualcosa che suonava come un delirio. Presi Mitsuki per un polso per non perderla e la trascinai dove ora sapevo che c'era un'altra persona. «Che sta dicendo?» sussurrò di nuovo, fermandosi.
«Non riesco a capire.» era tutto troppo confuso per poterlo fare, c'erano solo alcune parole che si potevano interpretare, e il significato mi era tristemente noto. «Sembra una richiesta d'aiuto.»
Si sporse verso il buio, come se potesse essere d'aiuto. «Secondo te è cosciente?»
«Vedremo.» certo era che non potevo dirlo a una distanza come quella senza avere nemmeno un po' di maledetta luce. «Devo usare il mio Alice almeno per vederci qualcosa.»
«E consumare un po' dell'ossigeno che ci serve per rimanere in vita per qualche altra ora? Non mi sembra una grande idea.» in effetti, poteva sembrare che non lo fosse, dovevo ammetterlo, ma non ci saremmo mossi dal punto in cui eravamo, se non avessi fatto niente.
«Non è una grande idea.» concordai, senza poterlo negare. «Questo non significa che non sia utile.»
«Natsume...» suonava più come un avvertimento, dello stesso tipo che mi aveva fatto prima di entrare nella pagoda. Chissà perché era così preoccupata del fatto che dovessi usare il mio potere, lei non poteva sapere che stavo male, e doveva sapere che ero perfettamente in grado di controllarlo, perciò non riuscivo a capire dove stesse il suo problema.
«Vogliamo stare qui a discutere ancora per molto?» quello sì che non era utile, anzi, era più utile consumare ossigeno con il fuoco che per discutere se era meglio accenderlo oppure no.
Sbuffò, e mi diede una spinta, quasi che le desse fastidio darmela vinta. «Avanti, fallo. Tanto siamo morti lo stesso.»
Sorrisi. «Adesso sei tu che ragioni come me.» aprii la mano e le fiamme si crearono quasi istantaneamente, fu una sorpresa rivederle dopo un po' di tempo. Ne usai una quantità irrisoria, giusto quella che era necessaria per non brancolare nel buio. Il qualcuno che era lì con noi era una ragazza, ma io non l'avevo mai vista prima. «E questa chi è?»
Mitsuki sollevò lo sguardo verso di me, confusa quanto lo ero io. «Io non ne ho idea.» si inginocchiò verso di lei, che non sembrava essere cosciente del fatto che fosse con altre persone. La osservammo entrambi per un po', finché non realizzai cosa fossero le macchie nere che le sbucavano dalle maniche. Un'altra cosa di cui parlavano quei due idioti: lei era una prigioniera che era stata toccata da Persona, e l'avevano lasciata lì a morire di una morte lenta e dolorosa.
«Persona.» dissi solo, indicando le macchie che era meglio non toccare per non rischiare il contagio. Mitsuki doveva saperlo, perché allontanò le sue mani ancora prima di poter arrivare a sfiorarle. «Forse era nel posto sbagliato al momento sbagliato.»
Lei contrasse le sopracciglia, come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa. «Mi è familiare.»
Anche io cercai di guardarla meglio, ma proprio non mi veniva in mente dove potevo averla vista. Io non ero un tipo fisionomista, avrei anche potuto vederla dieci volte lo stesso giorno, mi sarei comunque dimenticato la sua faccia. Tendevo a fare così in modo che i volti della gente che mi capitava di dover interrogare durante le mie missioni non tornassero a tormentarmi nei miei incubi. Non aveva quasi mai funzionato. «Dici che è dei nostri?»
«Non lo so, io...» usò la manica della giacca per proteggersi le mani e tentò di muovere le braccia della ragazza. «Oh, mio Dio...»
«Che succede?» mi inginocchai anche io, cercando di osservare se il contagio era passato anche attraverso il tessuto, ma Mitsuki sembrava stare bene.
Sollevò lo sguardo preoccupato su di me. «Se è stata toccata da Persona, non c'è molto tempo.» voltò di nuovo la testa verso la nostra compagna di stanza e si morse un labbro. «E credo proprio che sia Yuuko.»
«Mi stai prendendo in giro?» doveva essere uscita di testa. Yuuko non aveva di certo quell'aspetto, d'accordo che tendevo a non ricordarmi le persone, ma questo era troppo, questa ragazza aveva i capelli rossicci e mossi, Yuuko aveva...
«Il suo Alice le permette di cambiare aspetto, genio.» in effetti non l'avevo mai vista con lo stesso colore degli occhi, sapevo solo che era lei, come lo sapevano anche gli altri membri della squadra, senza un vero perché. «È lei, ma non è la lei che siamo abituati a vedere.»
E questo poteva essere un vantaggio quanto uno svantaggio. Un vantaggio per chiunque avesse voluto farci credere che era lei, e uno svantaggio per noi che non sapevamo come confermare quale fosse la verità e quale la menzogna. «Come facciamo a esserne sicuri?»
«Il tatuaggio che ha sul polso.» lo indicò, sempre attraverso la manica della giacca. «Magari non è una prova schiacciante, ma...»
«Sì, ho capito.» la bloccai, tanto non c'era molto tempo. Che fosse lei o non lo fosse, era stata contagiata dall'Alice della Morte, perciò che fosse sotto il controllo della scuola o meno, stava morendo, e noi non potevamo certo lasciarla lì.
«Presto,» mi tirò per una manica, e mi scosse. «chiama aiuto.»
Presi il telefono in automatico, e feci come mi aveva appena chiesto. C'era un solo altro, piccolo problema: l'edificio doveva essere schermato, perché non c'era nemmeno la più piccola traccia di segnale.
«Siamo perduti.» fu la sua consolante constatazione, quando voltai lo schermo verso di lei.

*****

Scusate il ritardo, a tutti, pensavo di fare prima ma non ce l'ho proprio fatta a finire il capitolo per la festa della donna. Sono felice che continuiate a seguire la storia nonostante i numerosi ritardi e gli aggiornamenti più unici che rari. I 101 preferiti che ho raggiunto sono un grandissimo traguardo che non mi sarei mai aspettata di raggiungere, perciò grazie :)
Alla prossimaaa
_Pan_

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Capitolo 28
*** Stato d'allerta ***


Capitolo 27 – Stato d'allerta
(Mikan)


Sentivo uno strano rumore, era una specie di ronzio nelle orecchie, del genere che ti dà fastidio quando stai cercando di dormire e te lo senti sempre di più nelle orecchie. Mi girai su un fianco, aspettando che la sveglia si mettesse a suonare e che fosse ora di alzarsi, ma... c'era qualcosa di strano.
Le lenzuola odoravano di disinfettante.
Spalancai gli occhi, spaventata, prima di realizzare dove mi trovassi: era l'Ospedale della scuola, e io non ricordavo assolutamente come c'ero finita.
Anzi, l'ultima cosa che ricordavo era la faccia di Narumi-sensei, che non avevo visto per parecchio tempo e con cui non vedevo l'ora di scambiare due chiacchiere, anche solo per raccontargli di tutto ciò che era successo in quel periodo. In qualche modo, lui riusciva sempre a farmi vedere un po' meno nera la situazione, e io ne avevo proprio bisogno, specialmente dopo aver scoperto di avere questo Alice che minacciava tutti i miei amici e tutti gli altri studenti della scuola.
Mi tirai su, sbattendo le palpebre, ma più cercavo di ricordare cosa fosse successo, più le cose che mi erano successe
diventavano confuse. Solo allora notai una ragazza fissarmi con una faccia strana, dall'aria terribilmente familiare, e solo allora realizzai che era la stessa che si trovava col mio vecchio insegnante delle elementari.
Jung Hana.
Ora che ce l'avevo davanti agli occhi, ricordavo di essere svenuta subito dopo averla toccata, e sobbalzai sul letto, portandomi una mano al petto, terrorizzata all'idea di averle portato via il suo Alice senza essermene resa conto, proprio il suo primo giorno di scuola.
«Stai bene?» le chiesi, quindi, cercando di non avvicinarmi per non spaventarla di più di quanto non dovesse essere già. Sorprendentemente, lei mi sorrise, e mi sembrò così strano che qualcuno mi rivolgesse un'espressione diversa da una disgustata o impaurita che per poco non scoppiai a piangere per la gratitudine e per il sollievo.
«Non dovrei essere io a chiederlo a te?» mi domandò, curiosa. «Sei tu che dormi da giorni.»
Rimasi imbambolata per qualche secondo: ero rimasta a letto per dei giorni? «Non credo...» iniziai, confusa, accarezzando le lenzuola, come se quelle potessero dirmi cosa mi ero persa, in chissà quanti giorni di sonno.
Senza contare le lezioni che avrei dovuto recuperare... e i compiti in classe...
Già mi faceva male la testa.
«Temo sia stata colpa mia.» mi raccontò lei, interrompendo i miei funesti pensieri. «Sai, non so controllare bene il mio Alice, e... a volte mi capita di mettere K.O. la gente, sai... come se mandassi un circuito in sovraccarico.»
Sembrava a disagio, ma quella confessione ebbe incredibilmente il potere di farmi tranquillizzare almeno un po', perché almeno sapevo che non ero l'unica in quella situazione preoccupante, l'unica che doveva stare isolata dal resto degli studenti perché era un pericolo per loro.
Non avrei potuto sopportare l'idea di costringere qualcuno a lasciare la scuola, specialmente se si dovesse trattare dei miei migliori amici.
«Oh, sai... succede anche a me.» decisi di rivelarle, per farle capire che nemmeno lei era sola nella sua disgrazia.
Poi avrei potuto parlare col Preside, da cui dovevo decidermi di andare, prima che la situazione diventasse incontrollabile. Potevamo trovare una soluzione tutte e due.
Sarebbe stato grandioso! Forse era per questo che si trovava nella nostra Accademia, e non più da quella dalla quale veniva.
Hana-san abbassò lo sguardo sulle sue mani giunte in grembo. «Mi succede da quando avevo pochi anni.» fu poco più che un sussurro, ma mi fece comunque trattenere il respiro per la pena.
Doveva avere sui quindici anni, perciò era su per giù dieci anni che conviveva con un potere pericoloso per chiunque le stesse intorno.
Forse l'unico amico che aveva avuto era proprio quel dottore con cui ora ricordavo di averla vista, e mi resi conto che, forse, quello sarebbe stato il mio stesso destino.
«Non ricordo assolutamente niente di più vecchio di allora.» continuò, e io non sapevo cosa dire, per cercare di farla stare meglio, per consolarla di qualcosa che tormentava anche me.
Lei soffriva da anni e anni di qualcosa che non poteva controllare, io da pochi mesi, e non ero affatto in grado di comportarmi come lei, che non aveva fatto altro che sorridermi, cercare di tranquillizzarmi, mentre io fuggivo dagli altri, solo con la paura di far loro del male.
Eppure avevo anche paura di andare dal Preside e scoprirmi un'incapace, perché lo sapevo che era merito di Natsume, che mi aveva aiutata così tanto, quand'eravamo bambini, se ero riuscita a imparare a tenere a bada il mio Alice dell'Annullamento. Ad essere sincera, non c'ero nemmeno riuscita tanto bene, visto il trambusto che era successo a Natale.
«Il mio dottore dice che l'amnesia è permanente.» sollevò le spalle, come se non potesse farci niente, e come se, in fondo, non le importasse granché. «E che mi è successo qualcosa quel giorno che mi impedisce di controllare il mio potere. Per ora, lo tengo sotto controllo con il suo Alice, che è una specie di sigillante.»
«Pensi che funzionerebbe anche per il mio?» domandai, titubante e, in fondo, in fondo speranzosa che quella potesse essere una soluzione valida.
Lei scosse la testa, ponendo fine alle mie aspettative. «Ho sentito dire che hai l'Alice dell'Annullamento.» rispose. «Dubito che funzioni qualunque cosa con te che non sia il controllo che può esercitare la tua mente.»
La notizia non era delle migliori e sospirai, sconsolata al pensiero che l'unica soluzione al mio problema ero io, che ero un asso nel combinarli, non certo nel risolverli. Per non scoppiare a piangere come una bambina, cercai di ricordarmi gli incoraggiamenti di Natsume, il modo in cui si era dimostrato fiducioso per farmi un po' di forza e perché non volevo continuare a piangermi addosso: non era da me.
Hotaru aveva sempre detto che sono troppo stupida perfino per preoccuparmi, e in effetti è sempre stato così, ho sempre avuto una soluzione per tutto, ricordavo che perfino alle scuole elementari, prima ancora di sapere che la Alice Academy esistesse mi aveva detto che trovava il mio ottimismo irritante.
Ma dubitavo che questa volta sarebbe stato tanto facile, non quando erano in pericolo perfino lei e Ruka-pyon.
Hana-san mi mise una mano sulla spalla, e mi ritrovai a trattenere istintivamente il respiro, sia perché avevo paura che succedesse qualcos'altro, sia perché mi sembrava di guardare negli occhi il mio ragazzo. Erano davvero molto simili...
«Mikan-san, la tua mente può più di qualsiasi Alice.» strinse un po' la presa, forse per consolarmi. «Non so cosa voglia dire, ma me lo ripetono in continuazione, perciò... prendilo come un consiglio.»
Doveva essere una specie di segno del Destino, o forse era l'Universo che mi parlava, o era solo una coincidenza che la stessa persona che mi ricordava Natsume così tanto mi stesse dando dei consigli per affrontare il mio problema.
Dal suo sorriso lieve, sembrava davvero che fosse quel 'tutto qui?' che mi aveva detto lui, come se davvero potessi controllare qualunque cosa che succedeva dentro di me, come se il mio Alice non fosse più tanto spaventoso come avevo creduto.
Le sorrisi. «Ti ringrazio, Hana-san.»
Poi la porta si aprì: io pensavo che fosse il dottore, e avevo quasi la tentazione di nascondermi sotto le coperte, per evitare di essere visitata o di farmi infilare qualche ago nel braccio, o rischiare di combinare qualche cosa delle mie perfino in un ospedale.
O forse mi avrebbero fatto diventare un esperimento alieno, o qualcosa del genere... dopotutto, non era affatto chiaro cosa succedesse nell'Accademia, a chi entrava nella classe di Abilità Pericolose. Natsume non aveva mai voluto dirmelo!
«Mikan!» era la voce preoccupata della mia migliore amica. Spostai il mio sguardo incredulo dalla ragazza nuova a lei, e ai suoi occhi spalancati. «Ti sei svegliata!»
Solo dopo recuperò la sua solita compostezza, quella che ero abituata a vedere e che, anche se a volte era così tanto inquietante, riusciva a darmi un senso di familiarità. Perché se anche era cambiato tutto, quella caratteristica di Hotaru permaneva immutabile, ed era una cosa tranquillizzante, in un certo senso.
Mi si avvicinò con le braccia conserte, e come se le avessi appena detto che avevo appiccato il fuoco per sbaglio al suo laboratorio – cosa che era successa davvero, una volta, qualche anno prima. «Tu devi sempre le fare le cose in modo eclatante o non sei contenta, non è vero?»
«Scusa...» mi ritrovai a dire, abbassando la testa, sentendomi colpevole per qualche ragione che non comprendevo fino in fondo.
Lanciò una brevissima occhiata a Hana-san, la quale accennò a un sorriso, prima che la mia migliore amica tornasse a rivolgermi la sua glaciale attenzione.
«Ti ho preso gli appunti di matematica.» mi informò, sventolandomi il mio quaderno a fiorellini gialli sotto al naso. «Così non avrai scuse per non studiare per il test della prossima settimana.»
Sbattei, di nuovo, le palpebre per qualche secondo, prima di realizzare che, veramente, mi aveva preso gli appunti di matematica, materia in cui ero la studentessa più carente della storia dell'umanità, e che non mi aveva portato nemmeno un Howalon, uno di quelli ripieni, con cui mi veniva sempre tirato su il morale, fin dalla prima volta che ne avevo assaggiato uno.
Al solo pensiero, mi saliva l'acquolina in bocca.
Avevo così tanta fame!
«Hotaru!» la pregai, aggrappandomi alla maglietta della sua divisa, e fui soddisfatta di me stessa, quando evitai il pugno della sua ultima invenzione anti-Mikan, proprio come l'ha chiamata lei.
È successo per caso, ma almeno ho avuto fortuna... «Davvero non hai nient'altro per me?»
«Scema.» commentò lei, prima di sorridermi come le avevo visto fare poche volte. Solo quello ebbe il potere di scaldarmi il cuore: la mia amica si era preoccupata per me, ed ero sicura che avesse nascosto il mio Howalon da qualche parte, in attesa di darmelo come sorpresa.
Ah! La mia migliore amica! «Ovviamente, ti ho portato anche quelli di storia, geografia, e mi sono premurata di farti dare un incarico per l'allestimento del Festival, visto che ci tenevi tanto. La preparazione comincia tra due settimane, la prossima abbiamo i test di fine semestre.» posò i miei quaderni sul mio letto, uno sopra l'altro. «Ti consiglio di studiare.»
Ci fu un attimo di drammatico silenzio, uno in cui spostai gli occhi su Hana-san, come per farmi dire che avevo sentito male, ma anche lei guardava Hotaru in modo strano, come se, come me, non potesse credere alle sue orecchie.
«Ehi!» Ruka-pyon comparve sulla soglia con una bustina bianca in mano. Aveva un sorriso sulle labbra che ebbe il potere di risollevare perfino il mio morale ormai sotto terra. «Allora aveva ragione, il dottore, quando diceva che ti saresti svegliata oggi!»
Io mi limitai ad annuire, depressa, per la mancanza del mio Howalon e per tutti quegli appunti che mi aveva portato Hotaru e su cui avrei dovuto studiare, se avessi voluto passare all'anno successivo.
Sarebbe stato l'anno del diploma, il prossimo... come potevo perdermi la mia foto con la mia migliore amica, ora che non potevo averla con Natsume?
«Hotaru mi ha mandato a prendere qualcosa per te.» mi mostrò la bustina, e io non sapevo più cosa pensare: magari lì dentro c'era un progetto di scienze, o qualcosa del genere.
Un po' avevo paura.
Hotaru gli strappò la busta dalle mani in malo modo. «Evita i commenti inutili.» me la passò, incitandomi con uno sguardo ad aprirla. «Su, coraggio.»
La presi, quasi timorosa che fosse un'altra strana invenzione che la mia amica voleva testare su di me, come spesso accadeva.
«Non è mica una bomba.» fece di nuovo Hotaru, come se non si aspettasse quella reazione da parte mia.
Be', in fondo già c'ero in ospedale. «D'accordo.»
L'aprii e non riuscii a trattenere un gridolino di gioia: eccolo lì il mio Howalon! «Grazie Hotaru!» mi sbilanciai per abbracciarla, ma lei mi respinse, mettendomi una mano sulla fronte e premendo nella direzione opposta, finché non tornai a sedere sul mio letto.
«Hotaru...» piagnucolai, stringendo quel sacchetto che era l'unica mia gioia, insieme alla consapevolezza della sua amicizia. Ruka-pyon mi mise una mano sulla testa, e io mi voltai verso di lui, ricordandomi che era stato lui, in effetti, a portarmelo. «Grazie anche a te, Ruka-pyon.»
«Figurati.» mi ha sorriso, dopo.
«Dai, adesso mangia.» mi incoraggiò Hotaru, in modo un po' più dolce, che ha strappato un sorriso anche a me.
Ora che ci pensavo, adesso che avevo i miei migliori amici lì con me, non mi sentivo più tanto persa come prima. Hotaru mi aveva addirittura toccata e non era successo niente, sebbene io non avessi idea di come avessi fatto.
Non succedeva sempre: non prendevo gli Alice degli altri al solo sfiorarli, succedeva soltanto quando ero particolarmente spaventata o stanca, forse era così anche ad Hana-san.
«A proposito!» strillai, a voce alta, facendo sobbalzare tutti e tre. «Hana-san! Non hai mai assaggiato un Howalon!»
Dovevo assolutamente rimediare, così, nonostante la fame mi chiedesse di divorarlo tutto e basta, lo divisi a metà per dargliene un po': non potevo proprio permettere che un'allieva dell'Accademia non sapesse quali fossero i piaceri di studiare lì. «Ecco, prova! Sono squisiti.»
Hana-san sembrava piuttosto titubante, così le misi semplicemente il sacchetto in mano dopo aver preso la mia porzione. «Oh... beh, grazie.» lo prese timidamente, con lo sguardo basso a terra, forse perché non era abituata ad essere circondata da così tante persone che non avevano paura di lei. Tra l'altro mi era passato tutto di mente, con lo stomaco vuoto, e non avevo nemmeno pensato di presentarla ai miei amici. Che scema.
Hotaru aveva proprio ragione.
«Ci conosciamo?» fu la domanda di Ruka-pyon, che piegò la testa per guardare la nuova arrivata in viso, ma lei non sembrava volerlo fare, col naso ancora chino sul suo Howalon.
«No. Credo di no.» rispose, però, in poco più che un sussurro. «Sono Jung Hana e vengo dall'Alice Academy di Seoul.»
«Seoul?» chiese, dubbiosa, la mia migliore amica. Io non avevo nemmeno idea di dove fosse quella città, fu per questo che non feci domande a riguardo, né aprii bocca per dire nient'altro. Non aveva un nome familiare, quindi non pensavo che fosse in Giappone.
E poi, anche il suo nome era strano nel suono, perciò era probabile che venisse dall'estero.
Nemmeno Ruka-pyon disse niente, e immaginai che avesse il mio stesso dubbio, e la cosa mi ha risollevato il morale un altro po', perché non ero sola nella mia ignoranza, come succedeva di solito.
Hana annuì alla domanda della mia amica, a conferma di ciò che aveva detto. «Sono venuta qui perché... ci sono molti studenti che hanno problemi a controllare il loro Alice, e c'è quindi una possibilità di trovare una soluzione.»
«Capisco.» commentò Hotaru, fredda come sempre. Se non mi sbagliavo, non era nemmeno troppo interessata alla nuova arrivata, anche se la stava guardando in modo decisamente strano, per il quale io mi sarei sicuramente voluta sotterrare nel buco più buio che esista. «Beh, allora benvenuta alla Alice Academy, Jung-san. Mi chiamo Imai Hotaru e lui è Nogi Ruka.»
«Spero che vorrete tutti prendervi cura di me.» fu la cortese risposta di lei, che fece loro il classico inchino di chi si sta presentando.
Ruka-pyon rimase in silenzio, e come la mia migliore amica, fissava la povera Hana, e la cosa mi parve strana, per un come lui, che era sempre gentile con tutti. Sembrava quasi che la stesse studiando, era lo stesso modo in cui si comportava quando incontravamo il professore Rei Serio nei corridoi, e anche a me quel tipo incuteva timore, l'aveva sempre fatto, solo che non riuscivo a capire come mai il mio migliore amico riservasse lo stesso trattamento anche a quella ragazza che di inquietante non aveva niente, o almeno niente di cui loro fossero a conoscenza, ma dopotutto non si spaventavano di me, perciò dubitavo che potessero spaventarsi di lei per lo stesso motivo.
Mi riservai di chiederglielo, più tardi, prima di addentare l'ultimo morso del mio squisito Howalon.

Ero ben conscia che piagnucolare non sarebbe servito proprio a niente, la mia preoccupazione era una: come si supponeva che dovessi risolvere un problema così grande? Non importava quanto potessi arrovellarmi il cervello, o di quanto mi ci impegnassi davvero: era inutile.
Non avrei mai potuto trovare il bandolo di quella matassa.
Fu con quella consapevolezza che gettai il quaderno di matematica in fondo al letto dove ero stesa, nel vano tentativo di cercare di comprendere gli appunti che la mia migliore amica aveva così premurosamente preso per me.
Solo che il mio rapporto con tutte quelle formule che non riuscivo a ricordare era così conflittuale che era impossibile da migliorare, ci avevo provato in tutti quegli anni di studio faticoso, ma niente.
Odiavo quella materia dai tempi di Jinjin, e ormai non potevo più usare la scusa che era lui ad odiarmi solo perché ero io. A forza di cambiare professore solo una cosa non era cambiata: la mia media scolastica.
Un leggero bussare alla porta di camera mia mi distrasse momentaneamente dalla mia disperazione riguardo alla matematica: speravo tanto che fosse Hotaru, magari con Ruka-pyon che avessero deciso di venire a farmi visita, sapendo dei miei fin troppi problemi con la materia.
Mi affrettai ad andare ad aprire e rimasi stupita nel trovare Yahiro-kun sulla porta, visto che non lo vedevo da un po' e che non eravamo riusciti nemmeno a scambiare due parole decentemente, da quand'era arrivato a scuola.
«Ehi...» mi salutò, tirando su la mano, con un sorriso a metà. «Ho saputo che sei stata male... ero... volevo chiederti se va tutto bene.»
Rimasi sorpresa dal fatto che avesse fatto tutta la strada dal dormitorio maschile solo per chiedermi come stavo, così gli sorrisi, per ringraziarlo. «Oh, sto bene.» beh, almeno fisicamente era vero, anche se la mia testa stava sbandando dal mio Alice agli esami di metà semestre. «Grazie.»
Lui si grattò dietro al collo. «Ho provato a seguire le lezioni, questa settimana... sono stato poco bene anch'io in questi giorni, e...» si bloccò, lasciandomi confusa per un momento. «Mi stavo chiedendo... se potessi darmi una mano a studiare.»
Io? Dare una mano a lui a studiare? Non riuscivo nemmeno a memorizzare due formule, e dovevo fare da partner a un ragazzo che sembrava almeno dieci volte più intelligente di me.
Non che ci volesse troppo impegno, anzi, magari avrebbe finito lui per aiutare me, ma io proprio non sapevo da dove cominciare: ero passata improvvisamente da essere una “tutorata” ad essere un tutor, e non ci avrei mai fatto l'abitudine. «Ho un'idea!» ed era anche brillante! «È la soluzione a tutti i nostri problemi.»
Andai a recuperare dal mio letto i miei libri di matematica – che era il primo test in ordine temporale, e in effetti anche quello più preoccupante – poi, trascinai con me Yahiro-kun fino alla porta della mia migliore amica.
Nessuno meglio di lei avrebbe potuto darci una mano.
Bussai, e da dentro sentii solo un sospiro, uno di quelli seccati, che di solito Hotaru ama rivolgermi quando dico qualcosa che poi definisce sempre incredibilmente stupido.
La sua voce mi arrivò alle orecchie un momento più tardi. «Entra, Mikan.»
Mi venne spontaneo dare una gomitata al mio accompagnatore, giusto per sottolineare che la mia migliore amica avevo capito che ero io senza nemmeno vedermi.
Solo dopo notai l'enorme cannocchiale sulle nostre teste che sbucava dalla parete, e che doveva funzionare come spioncino – in effetti, le nostre porte non lo avevano.
«La tua amica è strana.» commentò lui, prima che mi decidessi ad aprire la porta e varcare la soglia.
Mi limitai a scuotere le spalle, perché sapevo che chiunque avrebbe trovato strana Hotaru, a meno che non la conoscesse bene e da tanto tempo, come me.
«Prima che mi diciate che siete qui per studiare, vi dico subito che se rimarrete lo faremo per davvero.» ci avvisò, girando la sua sedia nella nostra direzione, mettendo in mostra quella pila di libri che campeggiava sulla sua scrivania.
Io già mi stavo sentendo male.
«Non posso lavorare con chi non ha intenzione di darmi il cento percento.» continuò, e suonò terribilmente come una minaccia, tanto che mi ritrovai a deglutire, spostando lo sguardo sulle sue mani, in attesa che qualche nuova arma anti-Mikan facesse la sua apparizione.
Con mia grande sorpresa, non successe proprio niente.
Allora, solo allora accadde l'impensabile: Hotaru sorrise. «Ora che ci siamo capiti, possiamo cominciare.»
Cominciammo per davvero: e non solo perché lei sembrava già sapere tutto sull'argomento che stavamo ripassando – d'accordo che lei sapeva tutto – ma anche perché ogni volta che io o il mio povero partner ci azzardavamo a dire qualcosa di sbagliato, a ritardare anche solo di un secondo la risposta a quelle che riteneva domande banali, ci beccavamo una martellata di gomma in testa.
Anche se sono fatti apposta, fanno male lo stesso.
«Bene, almeno ci siamo sulle nozioni base.» è stato il suo commento, dopo un'ora e mezzo di sevizie.
«No-Nozioni base?» chiese Yahiro-kun, per conferma, prima di massaggiarsi un bernoccolo sulla fronte.
Vidi la mia migliore amica sollevare entrambe le sopracciglia e incrociare le braccia al petto, nella sua posa spaventosa per eccellenza. «Sì.» confermò, quindi. «Non ti sarai certo aspettato che fosse finita qui.»
«Non vorrei trovarmi nei panni del suo partner.» mi sussurrò, una volta che Hotaru si fu girata per prendere qualche altra paccata di esercizi da sottoporci.
Ma io sorrisi, al pensiero di Ruka-pyon, che poteva essere il suo partner come non sarebbe riuscito nessun altro.
Piuttosto, era strano che non fosse lì con noi. Di solito, il pomeriggio lui e Hotaru erano sempre insieme, chissà cos'aveva da fare...
Anche lei era strana, non che di solito fosse più espansiva o calorosa, però non era la solita Hotaru. Perfino in quel momento era davanti alla finestra e l'aria dubbiosa.
Lei non aveva mai un'aria dubbiosa!
«Questo non è normale.» commentò, infatti, sporgendosi forse per vedere meglio qualunque cosa stesse guardando.
«Cosa?» chiesi, curiosa, così mi alzai e la raggiunsi. Avrei proprio voluto sapere la causa di tutta quella confusione.
Ora che ci facevo caso, si sentivano delle grida, come se stessero svolgendo qualche attività nel cortile.
Ma non appena mi affacciai, mi resi conto che non era un'attività convenzionale: c'era una marea di studenti che andava dietro, o meglio, inseguiva un piccolo gruppo di quelli che sembravano proprio ragazzini delle medie, a giudicare dalle divise blu.
Lei aprì la finestra, e il silenzio calato nella stanza fu spezzato dalle grida di terrore di quei ragazzini.
Yahiro-kun fu subito al nostro fianco, al davanzale. «Che sta succedendo laggiù?»
«Mikan...» Hotaru mi indirizzò un'occhiata quasi preoccupata. «la tua nuova amica ti ha detto che Alice ha?»
Sbattei le palpebre, confusa: che c'entrava adesso Hana-san con il fatto che degli studenti stavano correndo dietro ad altri, come se fossero stati una massa di zombie?
Decisi di rispondere, perché di sicuro lei aveva capito più di me. «Non lo so.» dissi. «Mi ha solo detto che anche lei ha problemi a controllarlo e qualcosa sul potere della mente che non ho capito tanto bene.»
«Ha il potere di controllare la mente?!» fu la domanda preoccupata del mio partner.
Feci per ribattere, ma in effetti io non avevo idea di quale fosse il reale potere della mia nuova amica: lei non me l'aveva detto, e il suo dottore le aveva raccomandato di tenere a bada il suo Alice, dicendo che la mente è potente.
Forse lo sapeva perché il suo Alice la controllava, e adesso cominciava tutto ad assumere un senso: lei che diceva di essere pericolosa, lei che non aveva amici.
Tutto quanto sembrava tornare.
Hotaru mi mise una mano sulla spalla. «Lei ora dov'è?»
«Non l'ho più vista da quando sono uscita dall'Ospedale.» ci eravamo salutate, lei mi aveva raccontato che sarebbe andata da Narumi-sensei per farsi dare l'orario delle sue lezioni e rimettersi in pari con i compiti.
Non mi sembrava agitata o turbata al punto tale da scatenare un così tanto scompiglio, ammesso che scatenasse il suo potere quand'era sotto stress o spaventata come me.
Me l'aveva detto lei... sembrava tutto così normale.
«Dobbiamo trovarla.» sarebbe stato pericoloso finché lei non si fosse calmata, a meno che non perdesse i sensi come succedeva a me, dopo aver usato fin troppa energia. «Potrebbe essere in pericolo!»
L'espressione corrucciata di Hotaru non sembrava promettere niente di buono, e adesso anche io iniziavo seriamente ad agitarmi.
Non sapevamo cosa stesse succedendo, o se davvero fosse colpa di Hana-san come sembrava, ma era certo che qualcosa, all'interno dell'Accademia proprio non andava.
«Prima dobbiamo capire cos'è successo agli studenti.» si mise a frugare nei suoi cassetti, alla ricerca di qualcosa, forse qualche arnese adatto a risolvere la situazione.
Io ci speravo davvero, perché non sapevo come avrei reagito se qualche studente-zombie avesse raggiunto la nostra porta. Ero pericolosa perfino io sotto stress, e questo non faceva altro che farmi impaurire di più, perché non sapevo se fosse peggio il mio Alice o quello di Hana-san.
«Che state facendo lì impalati?» mi riscossi dai miei pensieri, e Hotaru era già sulla porta, impaziente. «Andiamo nel mio laboratorio.»

«Cosa?» domandai, incredula. «Perché devo fare da esca?»
Eravamo nascosti dietro dei cespugli, poco fuori dall'edificio in cui la mia amica aveva il suo prezioso laboratorio che avrebbe dovuto risolvere il nostro problema.
Hotaru alzò gli occhi al cielo, esasperata. «Mikan tu non puoi essere contagiata!» mi ricordò. «Hai l'Alice dell'Annullamento, renditi utile! Mi servono tutti dentro l'edificio.»
Lei ovviamente aveva già escogitato un piano, solo che la parte che mi piaceva di meno consisteva nel fatto che io – sì, proprio io – ero la chiave per farlo funzionare.
Non era molto complicato, solo che se non fossi riuscita nell'intento sarebbe fallito tutto, e non solo sarei stata presa dagli zombie, ma Hotaru ce l'avrebbe avuta con me per il resto dei nostri giorni, e non so quale delle due prospettive sia la peggiore.
Mi tese una mano, mentre Yahiro-kun controllava che non ci fosse nessuno strano individuo nei dintorni. «Adesso, muoviti e fammi una pietra delle tue.»
«E come facciamo a sapere che è quella giusta?» non ero stata in grado di fabbricare una Pietra Alice decente nemmeno quando avevo un solo Alice, figuriamoci due.
«Non lo so, Mikan, muoviti e basta!» mosse la mano sotto al mio naso con impazienza, e io annuivo, desiderosa di non disattendere le sue aspettative su di me. «Non abbiamo tutto il giorno!»
«Guardate, ragazze!» ci interruppe Yahiro-kun, indicando in un punto oltre il cespuglio dietro il quale eravamo nascosti per non farci trovare.
Spostai gli occhi in quella direzione e notai che gli studenti-zombie erano aumentati, solo che questa volta stavano correndo dietro a due ragazzi delle superiori. Aguzzando lo sguardo, mi resi conto che erano Ruka-pyon e Nonoko.
«Oh, no!» strillai, tirandomi su.
«Mikan, accidenti a te!» borbottò la mia migliore amica, tirandomi l'orlo della gonna per farmi capire che avrei dovuto tornare ad accovacciarmi vicino a loro.
Ma era troppo tardi: mi avevano già vista.
In compenso, mi avevano vista anche Ruka-pyon e Nonoko, che mi raggiunsero senza aspettare. «Mettetevi a correre!» Ruka aiutò Hotaru ad alzarsi in fretta, mentre anche il mio partner si tirava su. «Ho visto che gli basta toccare qualcuno perché diventi come loro.»
Aveva il fiatone, tipico di chi ha corso parecchio e mi domandai da quanto tempo stava correndo, ma non ci fu tempo di domandare, di pensare, che venni trascinata via dai miei amici, un momento prima che gli studenti infetti ci raggiungessero.
La porta del laboratorio di Hotaru era chiusa, e tremavano perfino a lei troppo le mani per aprirla tanto in fretta. «Come cavolo è successo?»
Due secondi più tardi, eravamo sbarrati dentro, e io iniziavo a sentirmi più tranquilla: c'era solo un problema.
«Hotaru...» chiamai, guardandomi intorno. «Questo non è il tuo laboratorio.»
Sembrava una specie di laboratorio di chimica che, però, noi non usavamo più, o forse era un'altra parte di quello della mia amica, dove faceva gli esperimenti più pericolosi.
Notai che si trovava molto a suo agio, che sapeva dove trovare tutto ciò che le serviva, perciò doveva essere così.
Lei mi liquidò con un gesto della mano, prima di rivolgersi al suo ragazzo e a Nonoko. «Insomma?»
«Non lo sappiamo.» rispose la mia amica, ancora riprendendo fiato. «Stavo andando alla riunione della mia classe di Abilità quando ho incontrato Anna, e ho visto che era strana... ha detto che si sentiva male.»
«Le ho incontrate in infermeria.» raccontò Ruka, poi. «Ero andato a cercare il dottore per chiedergli qualcosa sull'Alice della nuova arrivata, ma poi Anna ha cominciato davvero a diventare... diversa.»
«Diversa come?» continuò Hotaru, prima di aprire un armadio di metallo pieno di ampolle di vetro vuote. Ma prima tirò fuori un camice bianco e degli occhiali di plastica per proteggersi gli occhi. «Tu Mikan concentrati con quella pietra, e non ti distrarre.»
Annuii febbrilmente e tesi una mano, solo che il racconto di Ruka-pyon non era finito e mi impediva di concentrarmi.
«Sembrava avesse la febbre, i suoi occhi sono diventati scuri all'improvviso. Ci siamo spaventati e siamo corsi a cercare il dottore.» continuò lui. «Poi si sono aggiunti gli altri e non sapevamo dove andare...»
«Finché non siete arrivati voi.» concluse Nonoko, che ora respirava più normalmente.
Io mi decisi a chiudere gli occhi e fare ciò che Hotaru mi aveva chiesto: non potevo deludere tutti, a quanto pare la mia pietra Alice dell'Annullamento era l'elemento centrale del piano della mia migliore amica.
Tesi la mano, di nuovo, e lasciai che il mio Alice fluisse lì, proprio come ci aveva insegnato Narumi-sensei alle Elementari, il giorno che avevo fatto una Pietra Alice minuscola e avevo deciso di darla a Natsume.
Mi domandai cos'avrebbe fatto lui in questo momento, e se il mio vecchio professore stesse bene, o si fosse unito alla banda di studenti-zombie, come rischiavamo di fare noi, se io avessi fallito.
«Non ci riesco.»
Non succedeva niente, e nella mia mano non c'era nemmeno quel granello di polvere che ero riuscita a fabbricare quella volta.
«Non ti impegni abbastanza.» fu la risposta caustica di Hotaru, che mi indirizzò un'occhiata gelida. «Vuoi che le cose siano facili, Mikan, ma non lo sono, è ora che tu te ne renda conto. Se vuoi fare una cosa, puoi, altrimenti è inutile. Perciò vedi di volerlo e di concentrarti, o saremo i prossimi a scorrazzare in giro per la scuola senza apparentemente usare il cervello.»
Ruka-pyon le mise una mano sulla spalla e lei si zittì, tornando a dedicarsi a qualunque cosa stesse mettendo dentro quell'ampolla. «Va tutto bene, Mikan.» mi disse lui, avvicinandosi. «Al tuo posto anch'io avrei paura.»
Tentai di trattenere le lacrime di frustrazione per essere inutile e per le parole della mia migliore amica, che non aveva fatto altro che confermare i miei dubbi.
«Puoi farcela.» mi incoraggiò lui, con un sorriso. «Lo sappiamo tutti, e questo perché l'hai sempre fatto Mikan. Tu non ti sei arresa davanti a niente: hai iniziato a combattere quando avevi dieci anni, per Hotaru, quando sei entrata in questa scuola, e poi con Jinno-sensei, quando ci trattava male, con Natsume, che non legava con nessuno. Non ti sei arresa nemmeno con lui, nonostante abbia fatto di tutto per convincerti, quasi costringerti a farlo. So che ora non è qui, per dirti queste cose, così voglio che tu le senta da me.»
Coprì le mie mani con le sue, e io mi sforzai con tutta me stessa, per non mettermi a piangere davanti a tutti: per i ricordi che stava richiamando, per Natsume, di cui mi sforzavo di non sentire la mancanza, ma non ero mai stata un asso a fingere, e dovevo immaginare che nessuno ci avesse creduto.
La vita era stata più semplice, quando c'era stato lui, chissà perché aveva iniziato tutto a precipitare vertiginosamente, nell'esatto istante in cui aveva messo piede fuori dal cancello.
O forse l'aveva fatto prima e io non me n'ero mai resa conto: Hotaru aveva ragione, le cose non erano semplici come pensavo io.
Ruka strinse leggermente la presa, riportandomi alla realtà. «Io mi fido, e sai che si fida anche lui, come si fida Hotaru, anche se non lo ammetterebbe mai.»
Avrei voluto dirgli quanto gli ero grata, per quelle parole, ma non riuscivo a parlare, col groppo in gola che mi impediva di articolare un suono decente. Avrei voluto dirlo a tutti, quant'era importante, per me, che non mi guardassero con terrore, che non fossero più spaventati da me che dal resto della scuola.
E avrei voluto tanto anche confessare quanto mi sentissi male, per tutto quello che stava succedendo, per la lontananza dell'unica persona che oltre a capirmi come facevano i miei amici, era anche in grado di farmi affrontare i miei problemi nel modo giusto.
Però dovevo farlo. Per Ruka-pyon, per Hotaru, per Hana, per tutti, e anche un po' per Natsume, perché potessi credere che anche lui sarebbe stato orgoglioso di me.
«Non ci posso credere.» commentai, osservando tra le mie mani una Pietra Alice grande quanto un piccolo sassolino. Anzi, erano due: una era arancione e una era trasparente, ma quella trasparente si riassorbì quasi subito. «Credo che... sia questa.»
Hotaru la prese con un sorriso strano, aveva solo un angolo della bocca tirato all'insù. «Sono fiera di te.»
Era la prima volta che si concedeva una simile ammissione, e mi strappò un sorriso enorme, ed ero commossa, perché ora sapevo che Ruka-pyon aveva avuto ragione, era vero: lei si fidava di me, non ci avevo creduto solo perché era necessario farlo.
Era la verità.
«E adesso che si fa?» domandai, però.
«Adesso,» mi rispose lei, tirando su un indice. «è il momento della seconda parte del piano.»
Con ciò, prese una specie di rullo compressore in miniatura e polverizzò la mia Pietra Alice che mi era costata così tanta fatica.
La osservammo tutti in silenzio, finché non prese la polvere e la mischiò all'intruglio scuro che stava riposando nella beuta che aveva messo sul fuoco.
«Posso chiederti...» iniziai, prima che mi bloccasse con una mano, facendomi capire che non potevo chiedere che cosa diamine fosse, anche se stavo morendo dalla curiosità.
Forse volevo anche un po' ritardare quella che lei aveva chiamato, molto sinteticamente, seconda parte del piano. La versione meno sintetica era quella in cui sarei dovuta uscire per attirare l'attenzione degli studenti-zombie, anche se adesso che dovevano essere dentro l'edificio, non capivo quale fosse il mio ruolo in tutto quello.
Poi, un tonfo sulla porta che mi fece saltare il cuore in gola, al pensiero che ci avessero trovati e che stessero per buttare giù la porta.
«Hotaru?» era una voce che conoscevo bene, ed era anche parecchio preoccupata. «Sei lì dentro?»
«Kisaki-chan!» chiamai, prima di aprire la porta. Anche lei aveva il fiatone, e non aspettò nemmeno che mi facessi da parte che mi spinse di nuovo dentro e si richiuse la porta alle spalle. «Che succede?»
«Succede che questo edificio è infestato da studenti che sono stati sottoposti a qualche... controllo mentale.» mosse un braccio in direzione della porta, come se anche quella fosse stata uno zombie.
«Come hai fatto ad evitarli e a sapere che eravamo qui?» intervenne il mio partner, dubbioso.
Lei alzò gli occhi al cielo. «Ero il Presidente del Comitato Studentesco, ragazzino.» spiegò. «E le vostre tessere magnetiche sono tracciabili, guarda caso proprio perché stavo a capo del comitato so come si fa. Speravo solo che anche voi non foste stati contagiati. Per fortuna è così.»
Hotaru tolse l'intruglio dal fuoco e si sfilò gli occhiali di plastica. «È una fortuna che tu sia qui.» tappò con il pollice coperto dal guanto di lattice il collo dell'ampolla. «In effetti sei arrivata giusto in tempo per aiutare Mikan a portare a termine il suo compito.»
Kisaki si mostrò perplessa. «Quale sarebbe?»
«Dobbiamo attirare l'attenzione degli studenti in modo da... permettere a Hotaru di curarli.» spiegai, incerta. «Ma non ho ancora capito come.»
Hotaru ci sventolò sotto al naso l'ampolla ancora tappata. «Ve lo spiego subito.» si portò sul lato destro della stanza, quello che era pieno di tubi e che io notavo solo in quel momento.
C'erano dei frammenti di muro sul pavimento, e addirittura sembrava che quei tubi fossero stati dentro al muro, prima che qualcuno pensasse che tirarli fuori fosse una buona idea.
La mia amica si limitò ad aprire una valvola, e dell'acqua cominciò a zampillare, finché non si mise a girare una manopola, che bloccò il circolo dell'acqua nel tubo.
«Questi sono i tubi dell'antincendio.» li indicò con la mano libera. «Adesso mischierò all'acqua questa soluzione, sperando che sia sufficientemente concentrata. Il vostro compito è assicurarsi che tutti gli studenti siano nel corridoio quando farete scattare l'allarme.»
Kisaki-chan sembrò rilassarsi. «Sembra facile.»
Io, però, non ne ero così tanto sicura.

«Dicevo?» chiese lei, quando ci ritrovammo a dover correre per il corridoio, un drappello di studente-zombie che ci inseguiva, mentre degli altri non c'era più traccia.
Non era solo quello il problema: io non ero mai stata un'atleta, non era solo la matematica il mio tallone d'Achille, ma anche l'educazione fisica. La milza aveva iniziato a fare male da morire, ed essere travolta dalle scarpe dei miei inconsapevoli compagni di scuola non sembrava più un'idea così spaventosa.
Tra le altre cose, non c'era una solo sensore antifumo, o qualcosa di simile nel raggio di metri da dove ci trovavamo noi. Ci fermammo dietro un angolo, quando anche Kisaki-chan non ne poté più di correre.
«Siamo noi la parte debole nel piano.» constatò, sbirciando da dietro la parete a che distanza fossero i nostri inseguitori. Io mi appoggiai al muro, nel disperato tentativo di riprendere a respirare. «Perché ci stanno inseguendo, secondo te?»
«Perché sono convinti di doverci rendere come loro.» sporse la testa ancora un po': non doveva esserci traccia di nessuno. «Come lo sai?» continuai, confusa.
Finalmente, lei tornò a guardarmi. «Perché ho già visto... cioè, mi è stato detto di un episodio molto simile, tanti anni fa.»
Il che escludeva categoricamente che fosse colpa di Hana-san che era appena arrivata a scuola. Era già successo in passato, quindi che significava?
«A cosa pensi sia dovuto?» chiesi, improvvisamente di nuovo impaurita che potesse non trattarsi di un Alice che potevo annullare e che, quindi, il piano di Hotaru poteva non funzionare per il semplice motivo che la mia Pietra non avrebbe avuto alcun effetto. «C'è qualcosa nella scuola, tipo uno spirito maligno che possiede gli studenti?»
Dopotutto, perfino il miraggio delle Prigioni sotto la sezione Elementare si era rivelato essere vero, perché non avrebbe dovuto farlo anche un spirito maligno?
Lei sbuffò una risata, come se avessi appena detto qualcosa di divertente. «Mikan, adesso non essere ridicola.»
Li sentimmo parlare tra loro, dicendo che dovevano trovarci, e io raggelai sul posto: sembrava che fossero totalmente normali, solo che non appena capitavamo sotto il loro sguardo, capivano all'istante che non eravamo come loro e tentavano di fare di tutto perché lo diventassimo.
Kisaki mi prese per un braccio, e mi guardò seria. «Dobbiamo muoverci.» sussurrò. «Se non ricordo male c'è un interruttore per l'antincendio vicino all'entrata.»
Io non avevo idea in che direzione fosse l'entrata, perché avevamo corso così a lungo che non avrei saputo ritrovarla, dopo aver percorso quei corridoi così tante volte. Non ero pratica dei laboratori delle Abilità Tecniche e probabilmente non avrei saputo trovare l'uscita nemmeno se lo fossi stata.
Riuscivo a perdermi anche dopo otto anni nella scuola, per trovare i dormitori.
«Da questa parte.» mi prese per un braccio e iniziò a trascinarmi nella direzione presumibilmente giusta. Mi limitai a seguirla, gettandomi occhiate indietro di tanto in tanto, sperando da una parte che non si facesse vedere nessuno, e dall'altra che fossero tutti dietro di noi per farli tornare normali.
I passi non troppo lontano mi fecero capire che la seconda opzione era quella più probabile.
«Siamo qui!» sentì la mia amica gridare, mentre rallentava il passo. «Coraggio, ragazzi! Siamo qui e siamo normali. Ehilà!»
«Che stai facendo?» chiesi, allarmata da quel cambio di atteggiamento.
«Fare da esca significa questo, Mikan.» mi spiegò lei, paziente. «E guarda qua!»
Si scostò per mostrare la nostra salvezza: il bottone rosso dell'antincendio. «Oh, menomale!» mi lasciai sfuggire, prima di appoggiare un braccio al muro, esausta per tutta quella corsa.
La tranquillità non durò che qualche frazione di secondo: come api richiamate dal miele, i nostri compagni di scuola sembravano essere tutti lì. Ci avevano lasciato una misera via di fuga, proprio alle nostre spalle, ma io non avevo idea di dove portasse, ammesso che conducesse fuori e non solo più all'interno di quell'edificio che non sembrava finire mai.
«Bene.» commentò Kisaki, non appena furono a pochi passi da noi. «Ciao, ciao!»
Ruppe il vetro che copriva il pulsante e lo schiacciò.
Per diversi secondi pensai solo: “È fatta!”, ma la realtà era che non stava succedendo assolutamente niente. I ragazzi guardavano in alto, come se dovesse piovere un qualche acido, o chissà che, mentre io e Kisaki ci scambiavamo solo occhiate preoccupate.
«Vedrai che funzionerà.» cercai di convincerci entrambe, perché avevo visto i tubi pieni d'acqua, eppure non ne stava scendendo nemmeno una goccia.
«Spero che lo faccia prima che mi trasformino in uno di loro.» mormorò la mia amica tra i denti, facendo un passo indietro, non appena loro ne fecero uno avanti, ormai consci che non sarebbe uscito proprio niente dai beccucci dell'antincendio.
«Ragazze...» una voce, stanca, di una ragazza piegata conto la parete, poco dietro di noi. «Ditemi che non siete anche voi... strane.»
Si avvicinò e si rivelò essere Hana-san.
«Hana!» la chiamò Kisaki-chan, correndole incontro per sorreggerla. «Sei pazza? Non te l'ha detto il dottore che non ti devi sottoporre a sforzo fisico?»
Hana-san doveva aver corso come tutti noi per sfuggire al tocco degli altri, perché sembrava tanto normale quanto noi.
«Prendiamole!» fu Anna a parlare, e a riunire tutti gli studenti-pazzi sotto un'unica bandiera, e avevano tutti un'espressione inquietante e determinata, come se vivessero al solo scopo di metterci in condizione di essere controllate come lo erano loro.
Mi allontanai anch'io, finendo per raggiungere le mie amiche.
Ero momentaneamente nel panico: «Perché l'antincendio non ha funzionato?»
«Che idiota.» commentò Kisaki, cercando di trascinare con sé anche Hana. «Hanno messo rilevatori di fumo qualche anno fa, il maledetto antincendio non si attiva se non percepisce il fuoco! Come ho fatto a non ricordarmene prima?»
Questa era una notizia anche peggiore: non avevamo modo di accendere un fuoco, in un edificio in cui non c'era della legna e Hotaru era chissà dove. Non avevamo nemmeno pensato a tenerci in comunicazione in qualche modo. «E dove lo troviamo del fuoco?»
Hana mise una mano sulla spalla di Kisaki-chan. «Lo so io.» mormorò, prima di staccarsi da lei. «Solo... state indietro, non voglio fare del male a nessuno.»
Mi feci indietro insieme alla mia amica, ancora senza capire, e non avrei potuto, perché ciò che successe dopo era incredibile, non sarebbe stato possibile immaginare una cosa anche solo lontanamente simile: avevo studiato che era rarissimo incontrare delle persone con lo stesso Alice che non avessero un qualche tipo di parentela, ma Hana-san aprì una mano e, all'improvviso, una scia di fuoco si frappose tra noi e gli altri studenti.
Guardai le fiamme levarsi verso il soffitto con un terrore misto a nostalgia che guardavo senza riuscire a credere che fosse reale: Hana-san aveva l'Alice del Fuoco, proprio come Natsume.
Ed ecco perché aveva gli occhi rosso sangue come lui, ecco perché me lo ricordava tanto.
L'allarme suonò solo dopo qualche secondo, e l'acqua scese dal soffitto, ma io potevo ancora solo fissare le fiamme che, piano, piano diminuivano d'altezza, e mi resi conto che faceva sempre meno caldo, finché non scomparvero del tutto.
Ci trovammo faccia a faccia con tantissimi studenti confusi, che non avevano la minima idea del perché si trovassero lì, e non c'era spiegazione che potessimo dare loro che suonasse credibile.
Kisaki mi prese per un braccio e mi spostò più indietro. «Fate finta di non sapere niente anche voi.» ci suggerì, prima di assicurare a tutti gli altri studenti che anche lei era all'oscuro di tutto. «Dovreste tornare nei vostri dormitori.»
Ben presto la folla di ragazzi si dissipò: magari la mia amica non era più il Presidente del Comitato Studentesco, ma ancora, almeno per ora che non ne avevamo un altro, era un grande punto di riferimento.
Rimaste sole, ci fece cenno di seguirla, e io non riuscii ad obbedire, non prima che anche Hana-san si mettesse in cammino.
«Come sei finita quaggiù?» fu la domanda di Kisaki-chan, non appena, ancora zuppe, raggiungemmo il laboratorio di Hotaru dove loro, perfettamente asciutti, ci stavano aspettando.
«Non lo so.» ammise la ragazzina, strizzandosi un lembo della camicia della divisa. «Ho iniziato a correre e poi ho visto te che venivi da questa parte, così ho pensato di raggiungerti, ma dopo sei sparita e c'era solo quest'edificio. All'inizio ho pensato che qui dentro sarei stata al sicuro, poi hanno continuato a inseguirmi ancora finché non vi ho trovato.»
«Ma cos'è successo?» volle sapere Yahiro-kun, esprimendo quella che probabilmente era una domanda che stava nella testa di tutti.
Io ero ancora troppo scossa dalla scoperta, da quello che era successo e da ciò che avrebbe potuto significare per la scuola. C'era davvero qualcuno di così potente che poteva controllare le menti degli studenti con così poco sforzo?
«Esiste un tipo di Alice del controllo mentale.» raccontò Kisaki-chan. «Ce ne doveva essere traccia nei nostri archivi, ma ho già cercato e non c'è niente, sai nei verbali di registrazione degli incidenti come questo. È già successo in passato, più di vent'anni fa, ma allora c'era uno studente con quel tipo di Alice che faticava a controllarlo.»
Ruka-pyon ci porse della carta assorbente, per i capelli. «Chi era?» chiese, quindi.
Kisaki si strofinò le braccia, in cerca di un po' di calore. «Mi sembra che si chiamasse Koizumi Luna. Ma è impossibile che sia ancora qui...»
Avevo la sensazione che stesse parlando più con se stessa, che con noi, e notai la sua espressione strana, tirata, come se fosse in pensiero per qualcosa di grave.
«La conosci?» chiesi, allora, cominciando a sentirmi ansiosa allo stesso modo, subito dopo aver recuperato almeno un po' di calma, alla consapevolezza che il nostro mirabolante pomeriggio era appena finito.
«Cosa?» mi domandò lei, di rimando, stupita, quasi che non fosse nemmeno una vaga possibilità. «No! Certo che no! Ho solo diciassette anni, io!»

«Fantastico.» commentò, sbuffando, Hotaru. «Come se non dovessi trovare un fornitore disposto a portarmi ciò che mi serve fin qui, ora che ho consumato delle scorte importanti per tutto questo. Ci mancava solo il sostituto del Preside che vuole fare un annuncio!»
Ruka le mise una mano sulla spalla che lei scostò senza troppi complimenti. «Penso che voglia parlarci dell'incidente di oggi.»
Avevo avuto appena il tempo di cambiarmi e asciugarmi i capelli che era arrivata la mia migliore amica a bussare per dirmi di scendere in cortile: il professore Rei Serio doveva fare un annuncio agli studenti.
Io ero della stessa opinione del mio amico, anche perché il sostituto del Preside delle Elementari non si era mai fatto sentire, in questi mesi di assenza, anzi, devo dire che nemmeno si era preoccupato tanto di accogliermi nella sua classe di Abilità, anche se immaginavo che non fosse una festa essere ammessi nelle Abilità Pericolose.
I nostri compagni di classe erano già tutti giù quando uscimmo dal nostro dormitorio. Anna e Nonoko erano insieme e piuttosto distanti da Yahiro-kun.
«Si sono lasciati?» domandai a Hotaru, accennando a Nonoko con la testa. Lei mi guardò con un sopracciglio inarcato, mentre io le restituivo uno sguardo confuso: c'era anche lei, dopotutto, quando li avevamo beccati a baciarsi la prima sera.
Lei mi mise una mano sulla spalla, con fare comprensivo. «Non credo che siano mai stati insieme.»
«Ma...» cominciai, ma lei mi ignorò e proseguì verso gli altri come se non avessi parlato. «Ma Hotaru!»
Perché sembravano sempre tutti sapere qualcosa che io non sapevo? Ero sempre l'ultima a cui arrivavano le notizie del genere!
«Eccolo...» commentò Koko, non appena il professore mise piede sul piccolo palco allestito all'ultimo minuto, ma era solo, gli altri due Presidi non erano con lui, e un po' ci rimasi male, quando mi resi conto che non avrei potuto sfruttare quell'occasione per parlare col Preside delle Superiori per spiegargli che intendevo accettare la sua offerta e, magari, scusarmi per i guai che avevo combinato.
Era strano che fosse da solo, di solito quando c'erano comunicazioni importanti, o ufficiali, i Presidi erano sempre insieme, e invece c'era solo lui, quello che per Natsume era noto come Persona. A guardarlo, con tutti quei soppressori dell'Alice, metteva davvero paura, tanto che mi si chiuse lo stomaco e dimenticai i morsi della fame che mi avevano avvisata che stava arrivando l'ora di cena.
«Come tutti sapete,» cominciò, e ci fu subito silenzio nel cortile. «oggi c'è stato un... problema, qui a scuola.»
Si prese del tempo per osservarci tutti, e per un momento mi sembrò che stesse guardando proprio me. Mi nascosi dietro a Ruka-pyon, tentando di guardare da un'altra parte, anche se per una qualche forza misteriosa non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Finalmente, passò oltre, e io tornai a respirare.
«Non è stato un incidente.» specificò, una volta che ebbe finito di sondarci tutti. «È una cosa che vi abbiamo tenuto nascosta per non farvi sentire in pericolo, ma... purtroppo, da oggi, non potrà più essere così.»
Sentii gli studenti che iniziavano a borbottare tra di loro, e mi guardai intorno, e così fecero anche Hotaru e Ruka. «La realtà è che l'Organizzazione Z, nemica da sempre della nostra scuola, sta ancora una volta tentando di sabotarci.»
«Cos'è l'Organizzazione Z?» chiese qualcuno.
«Io e gli altri Presidi siamo arrivati alla conclusione che è bene dichiarare, per la prima volta da molti anni, lo stato d'allerta della scuola. Le barriere saranno rinforzate, sposteremo l'Ospedale Alice in un'area all'interno del campus, e nessuno potrà lasciare gli edifici scolastici a meno di mia autorizzazione. Fino a nuovo ordine, sono sospesi tutti i viaggi premio, ed è assolutamente vietato uscire dalla scuola o entrare o avere scambi di posta con l'esterno, e anche le riunioni delle classi di Abilità. Vi sposterete dalle vostre stanze solo per i pasti e per le lezioni. Inoltre, le comunicazioni con le vostre famiglie saranno sospese fino ad allora, per la sicurezza di ognuno di voi.»
«Fantastico.» borbottò la mia migliore amica, scornata. «Addio rifornimenti e sponsor.»
«Ma che significa?» chiesi, confusa.
«Significa che te ne devi stare in camera tua finché loro non decidono diversamente.» mi spiegò Hotaru, arricciando le labbra, sempre più infastidita. «Il che si traduce in: la scuola diventerà una specie di prigione, e non so perché ma questa storia non mi piace.»
«E cosa pensi?» fu Ruka-pyon a domandarlo.
Lei sospirò. «Beh, in tanti anni non mi sembra che l'Organizzazione Z abbia fatto grandi passi avanti nel combattere la scuola, te lo ricordi quando Mikan e Natsume sono stati rapiti, otto anni fa?»
Io me lo ricordavo: eravamo stati salvati solo grazie agli auricolari che aveva inventato Hotaru, dopo era arrivato Tsubasa-sempai e il resto della classe di Abilità Pericolose a salvarci.
«Secondo me,» continuò lei. «c'è qualcosa qui dentro che non vogliono rischiare assolutamente che esca per nessuna ragione e il nostro problema di oggi è stato tutto una scusa, e ci impediscono di riunirci perché credono che Z abbia delle spie qui dentro.»
Non ebbi tempo di replicare, di chiederle se sapesse di che si trattava, che qualcuno mi prese per un gomito. Mi girai, spaventata, ma era solo Kisaki-chan. «Mikan, dobbiamo andare.» spostò gli occhi verso l'edificio in cui facevamo lezione e notai Persona insieme a Yahiro-kun che ci stavano, evidentemente aspettando.
Rivolsi lo sguardo verso il palco dove avevo notato il professore un attimo prima e, ovviamente, non c'era più. «Dove?»
«Riunione di classe di Abilità.» mi spiegò, con un'alzata di spalle e io devo aver fatto una faccia davvero strana, perché lei mi ha sorriso e mi ha dato una pacca sulla spalla. «Lo sai che per noi quello che ha detto non vale, non siamo una classe di Abilità convenzionale.»
Annuii, prima di seguirla, anche se un po' controvoglia: era la mia prima, vera riunione, e non sapevo cosa avrei fatto se mi avessero davvero assegnato una missione.
Avevo proprio paura e così tante domande in testa che non riuscivo nemmeno a collegarle tra loro, o a trovare un senso. Avevo bisogno di risposte.
Se vuoi le risposte che cerchi, devi oltrepassare la soglia del ponte quando la luna non è in cielo.
Mi portai una mano alla testa, ricordandomi all'improvviso le parole di Yura-sempai, la mattina che ero svenuta. Mentre attraversavamo i corridoi semibui della sezione superiore, non potevo fare a meno di pensare che non avevo idea di cosa si riferisse, ancora.
Eppure quella predizione mi faceva più paura delle stesse domande che mi vorticavano nella testa.
«Professore,» iniziò Yahiro-kun, affiancando Persona come non avevo mai visto fare ad anima viva, prima. «Kamiya-san pensava di avere qualche idea in proposito di ciò che è successo oggi.»
Vidi la mia amica alzare gli occhi al cielo e sbuffare. «Zitto mai, eh.» borbottò, tra i denti.
«Interessante.» commentò lui, senza nessuna enfasi, prima di spalancare la porta davanti a noi. Dentro la classe, che vedevo per la prima volta, c'erano degli altri studenti, alcuni delle superiori come noi, altri erano delle Elementari, come lo era stato Natsume. «Ora, entrate.»
Tra loro c'erano Miyako, Maika e altri bambini che avevo avuto occasione di conoscere perché erano stati portati a scuola da poco. Nell'ultimo periodo non avevo avuto modo di occuparmi di loro, e solo allora mi resi conto di quanto, invece, sarebbe stato utile che lo facessi.
Non sembravano più i bimbi spensierati che avevano varcato la soglia della scuola, e non potevo nemmeno iniziare a immaginare in che misura non lo fossero più.
«Capitate proprio nel momento giusto.» ci lanciò dei fogli raccolti accuratamente dentro una cartellina marrone. «La vostra missione, di cui discuteremo più tardi. Ora andate a sedervi.»
Ubbidimmo immediatamente, e io decisi di sedermi insieme alla mia piccola amica, desiderosa di sapere cosa ci facesse lì, quando l'ultima volta che ci eravamo viste, era nelle Abilità Speciali, dov'ero anch'io.
«Perché il mio Alice non funziona bene?» mi chiese Miyako, in un sussurro, non appena mi sedetti vicino a lei. La guardai, improvvisamente confusa. «Tante volte non riesco a capire chi mi dice la verità e chi no. Sembra che me la dicano, secondo il mio Alice, ma poi scopro che non lo è.»
Mi curvai verso di lei, per riuscire a sentire. «Ad esempio?»
«Mi era stato detto che la scuola era un bel posto.» mi strinse forte una mano e io le passai un braccio intorno alle spalle. Mi ricordava Natsume anche troppo, con quell'atteggiamento di chi non vuole piangere anche se sente il bisogno di farlo. «E invece... guarda!» accennò a Persona, che stava distribuendo dei fascicoli ai ragazzi delle prime file. «Voglio la mia mamma, Mikan-sempai.»
La abbracciai più forte, nella speranza che questo potesse darle conforto, anche se sapevo che non sarebbe stato così facile. «La rivedrai.» mentivo, e sapevo di mentire per la prima volta. E se prima non avevo mai capito il motivo delle bugie a fin di bene, mi era chiaro solo in quel momento, in quel preciso istante in cui sapevo che, grazie al mio Alice dell'Annullamento, lei non avrebbe potuto sapere che stavo dicendo una bugia, almeno finché non si fosse diplomata.
Ma non c'era modo in cui potessi dire a una bambina che per i prossimi dieci anni il suo desiderio non si sarebbe realizzato, a meno che non si fosse dimostrata la migliore studentessa della scuola.
In genere, nessuno di quelli delle Abilità Pericolose – ad eccezione di Natsume, ma lui aveva un'intelligenza fuori dal comune – eccelleva negli studi, proprio a causa delle continue assenze dovute alle missioni.
«Promesso?» mi domandò, speranzosa.
Mi trattenni dal dire la verità, mordendomi le labbra. «Promesso.»
E quella era la seconda bugia del giorno, e della mia vita.

*****

Eccomi qua :)
Alla fine ce l'ho fatta davvero a pubblicare, anche se con un po' di ritardo rispetto alla tabella di marcia (so che sembra assurdo dare una data e non rispettarla, ma se non lo faccio è la volta buona che non pubblico e basta) e sarete felici di sapere che in meno di dieci capitoli la storia sarà conclusa.
Non mi sembra vero XD
No, non ho ancora scritto niente, ma mi sono fatta una tabella piuttosto precisa su cosa deve succedere, quando e perché. Quindi mi sento un pezzo avanti XD
Insomma, ce la facciamo in meno di cinque anni. Sì, è un'eternità, lo so... e devo ammettere che non ci avevo mai fatto caso, fino ad ora.
Proprio per questo mi ero ripromessa di fare più alla svelta possibile, perché, credetemi, di questa storia – sarà anche brutto dirlo, ma è la verità – non ne posso più (la scrivo da cinque anni, ormai), come credo tutti noi XD
Ma passiamo oltre.
Vorrei ringraziare chi continua a leggere/recensire la storia e anche chi è entrato a far parte della nostra ciurma più in qua coi tempi, i preferiti (siete 112! Roba che così non ne ho mai avuta!), seguiti e ricordate continuano ad aumentare – e lo so che non vi ringrazio da anni XD.
Per il resto, nonostante mi sia stato estremamente difficile riprendere in mano Mikan dopo più di un anno, spero che questo capitolo sia stato comunque all'altezza di tutti gli altri.
Mi raccomando, fatemi sapere :)
A presto.
Ale

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Capitolo 29
*** Fuga ***


Capitolo 28 – Fuga
(Natsume)

«Siamo perduti.» era un eufemismo.
Per riassumere: eravamo chiusi dentro una stanza che sembrava impossibile da aprire dall'interno, l'ossigeno non sarebbe durato in eterno, il fuoco ne stava consumando una discreta quantità per permetterci di vedere qualcosa – senza contare le forze che mi stava richiedendo –, in più avevamo una nostra collega in punto di morte a causa dell'Alice di Persona e non c'era uno straccio di segnale per comunicare con l'esterno.
Avevamo anche perso Yui, e io non avevo la minima idea di cosa fare per risollevare la situazione. Mitsuki aveva distolto lo sguardo dallo schermo del mio cellulare per fissarlo di nuovo sulla ragazza tra di noi, che a malapena respirava. Stavamo entrambi cercando di mantenere la calma, ma non era per niente facile tentare di pensare lucidamente in una situazione simile.
Mi era capitato, qualche volta, di vedere il potere di Persona in azione, ma mai per una tortura così lenta e dolorosa. Da quando avevo dieci anni ho assistito a delle scene che non voglio ricordare, ma nessuna mi impediva di continuare a guardare come questa.
«Ci dev'essere qualcosa che possiamo fare!» borbottò la mia caposquadra, con un sospiro frustrato che mi sono scoperto a condividere. «Per forza. Forse Yui ci troverà.»
«Onestamente,» dissi, piano, per essere sicuro che non potessero sentirci da fuori, nel caso qualcuno fosse tornato a controllare. «spero che abbia avuto il buonsenso di andarsene.»
C'era una parte di me che sapeva che non era quello il caso, e non solo perché eravamo parenti: noi eravamo una squadra, e nessuno dei membri, per quanto strani potessero essere, si sarebbe mai sognato di abbandonare un compagno nei guai.
Mi beccai un'occhiataccia, comunque, anche solo per averlo ipotizzato, ma non commentò, come se avesse saputo che già quello era abbastanza.
«Che ne pensi di riprovare con la porta?» mi suggerì, mentre mi faceva cenno di seguirla di nuovo verso l'altra parte della stanza.
Ora che era illuminata, era chiaro che era vuota, se non per qualche traccia di fornitura in legno, ed ecco spiegato l'odore, perciò davvero quella era l'unica via di fuga che possedevamo. Come già sapevamo, tirarla fu inutile: era bloccata, ma ci provammo lo stesso. Il fatto che il tempo stringesse di certo non aiutava a pensare con calma, ma certo era che se avevamo una speranza di uscire era proprio lì.
Un punto debole, una spaccatura nella porta. In fondo quella struttura era vecchia e mal tenuta.
Studiammo la porta per qualche minuto, prima di renderci conto che non c'era niente del genere. Mitsuki, frustrata, le tirò un calcio, finendo per farsi male da sola, e la porta emise un tonfo sordo e un rumore che somigliava a un fischio, non appena fu colpita dal suo piede che temevo proprio ci avrebbe fatti scoprire prima di subito. Rimanemmo in ascolto del silenzio che ne seguì per un bel po', paralizzati, ma non successe nulla.
«Non guardarmi così.» mi avvisò. «Lo so che non è stata una grande idea.»
Il che mi portò a pensare che tutta questa situazione era stata portata da una non tanto grande idea. Chissà come, io e quei quattro squilibrati, riuscivamo sempre a metterci nei guai – e che guai – per cose che non riguardavano quello che si supponeva fosse il nostro lavoro.
E finivamo sempre per rischiare la vita.
«Ahi...» borbottò di nuovo la mia caposquadra, non sapevo se più arrabbiata o più dolorante.
Decisi di non commentare il fatto che ti aspetti che il tuo piede ti faccia male dopo aver dato un calcio a, praticamente, un muro di metallo, anche se lei sosteneva che il sarcasmo migliorasse l'atmosfera e altro genere di amenità. Fare spirito era l'ultima cosa che ci serviva.
«Stupidi cardini.» continuò lei, spingendo la porta. «E dai!»
«Aspetta.» la bloccai, e la scansai con la mano libera, l'altra ancora impegnata a fare luce con le fiamme. Avevo appena avuto un'idea. «Se non possiamo aprire la porta dalla maniglia, lo faremo dall'altra parte.»
Lei incrociò le braccia al petto, dubbiosa e scettica. «E come pensi di farlo?»
Passai una mano sui cardini per assicurarmi che quel piano messo in piedi in meno di cinque secondi potesse avere anche solo la speranza di andare in porto.
«Li fondo.» spiegai, e mi rimproverai di non averci pensato prima: ho passato così tanto tempo a pensare agli effetti negativi del mio Alice che faccio sempre fatica a considerarlo qualcosa di utile.
Mi guadagnai una pacca sulla spalla di incoraggiamento. «Allora è vero che sei un genio!» mi disse lei, ma non sembrava soddisfatta come se il piano l'avesse messo in piedi tutto da sola: mi ha preso per un braccio prima che potessi avvicinarmi alla nostra unica speranza per la fuga. «Yuka mi ha detto in che condizioni sei, non è il momento buono per uccidersi.»
Sospirai. «Vedila così.» intendevo tagliare corto. «Se non lo faccio, restiamo qui tutti e tre. Se lo faccio, c'è una minima possibilità che usciamo di qui.»
O almeno due di noi.
Lei continuò a tenermi per il braccio, lontano abbastanza perché non potessi fare nulla.
«Molla la presa.» suonò quasi come un ordine, a cui, ovviamente, lei non obbedì. «E fammi una promessa: se perdo i sensi, lasciami indietro.»
«Col cavolo, ragazzino!» fu subito la sua obiezione, ma la scansai, riprendendomi il mio braccio e facendo quello che andava fatto: perdere tempo in inutili chiacchiere avrebbe solo consumato ossigeno fin troppo utile.
La stanza piombò nel buio appena avvicinai le mani agli unici due cardini su cui ruotava la porta, l'unica cosa che si vide, in mezzo all'oscurità, fu il metallo rosso incandescente, non appena si fu riscaldato abbastanza.
«Natsume, per favore.» mi pregò Mitsuki, e mi sembrò davvero dispiaciuta per me. «Non serve a niente farsi del male.»
Odiai che avesse ragione.
Il bello era che non potevamo fare altro: in fondo alla stanza c'era una ragazza che stava morendo e noi saremmo stati i prossimi, se non ci fossimo dati una mossa in qualche modo. Il mio Alice mi stava consumando, era una cosa che succedeva da anni e prima o poi avrebbe avuto la meglio su di me.
Avrei dovuto essere spaventato a morte, invece riuscivo solo a pensare a una cosa: «Ci sono delle persone che devo proteggere.»
Persone che non meritavano di condurre la vita che stavano facendo in quella scuola, e a cui mancava poco per essere sull'orlo del baratro. Ruka aveva un peso non indifferente sulle spalle, uno che sa tutto e non può fare niente, ma Mikan... era sempre stata quella che vedeva il lato buono di tutto, e tutti quanti, Imai in cima alla lista, abbiamo sempre cercato di proteggerla dal lato oscuro dell'Accademia, e ora c'è finita dentro, senza essere minimamente preparata per questo. Mi domando quanto ancora potrà resistere tra gente che non è affatto come lei.
A volte non posso fare a meno di pensare che tutto questo sia colpa mia.
«Se è così, devi essere vivo per farlo.» la voce di Mitsuki mi tirò fuori dai miei pensieri, e la sentì chiaramente scuotere la testa, ma si allontanò da me, forse per andare a prendere la nostra collega.
E fu una buona idea, perché non appena avessi finito con quella porta, avremmo dovuto fare veramente alla svelta.
Non potei, appena le notai entrambe al mio fianco, fare a meno di pensare che c'era qualcosa di strano, in tutta quella storia: prendere una ragazza entrata da poco nell'azienda concorrente non è esattamente la strategia che Persona amava usare. A lui piaceva prendere pezzi grossi, giusto per sottolineare il fatto che nessuno è al sicuro, che per quanto a chi si oppone al Preside piaccia pensare di avere una possibilità, l'Accademia può arrivare dovunque.
Non riuscivo a trovare un senso nel fatto che Yuuko fosse stata scelta per creare problemi all'Organizzazione Z. Era praticamente l'ultima arrivata, una ragazza che non era in grado nemmeno di rispondere al telefono, perché mai avrebbe dovuto sapere qualcosa che avrebbe finalmente permesso al Preside di togliersi dai piedi quelli che continuavano a mettergli i bastoni tra le ruote?
Doveva essere qualcos'altro, e dal momento che l'unica cosa che interessava a quel piccolo, infido essere erano gli Alice, era fuori di dubbio che considerasse quello di Yuuko di una particolare utilità, anche se non riuscivo a capire in che modo potesse giovare al Preside qualcuno che sa cambiare aspetto: mi pareva che raggiungesse i suoi scopi molto bene anche senza.
«Ho quasi finito.» mormorai, dopo aver aggiunto un altro po' di calore, per fare più in fretta.
Avevo di certo quelle curiosità, ma non intendevo trattenermi tanto a lungo per scoprirle.
«Stai bene?» mi domandò Mitsuki, una vena di preoccupazione che attraversava le sue parole.
E non mi fidavo della mia voce, ormai, abbastanza da suonare convincente, così mi limitai ad annuire, tentando di ignorare il sudore freddo che mi scendeva dalla fronte. Eppure ero incapace di avere paura per me stesso, inspiegabilmente, mi sentivo anzi profondamente convinto che non sarebbe successo nulla, quando invece sapevo, razionalmente, che il mio Alice mi stava accorciando la vita ogni minuto che passava, sempre di più.
Quando la porta coprì lo spiraglio che la separava dal pavimento, non ci fu più tempo per pensare a nient'altro che spostarla e correre, e sperai che Mitsuki si ricordasse la strada che avevamo fatto bene quanto me: ma a quanto pareva era così, perché mentre mi porgeva il braccio libero di Yuuko, ci stavamo già dirigendo il più velocemente possibile verso le scale.
La complicazione di non toccarla direttamente non sembrava essere abbastanza: non appena iniziammo a scendere sentimmo delle voci, le stesse di quei due che ci avevano chiuso dentro, sensibilmente più agitati di quanto fossero stati prima. Mitsuki mi scoccò un'occhiata agitata e cercammo di fare meno rumore, di darci una mossa, ma la nostra collega era completamente svenuta, e non potevamo andare poi così veloci.
«Eccoli!» un colpo di pistola ci sfiorò sopra le teste, costringendoci a inginocchiarci sugli scalini, a un passo dal cadere e ritrovarci in fondo con tutte le ossa rotte.
Quando un altro colpo riuscì a sfiorare la spalla di Mitsuki facendola lamentare per il dolore, mi resi conto che non avevano – o non ce l'avevano più – l'ordine di lasciarci in vita. Piuttosto che farci portare fuori di lì quella ragazza, ci avrebbero fatto fuori – avrebbero fatto fuori anche me che ero il loro informatore.
E mentre ci accingevamo a continuare la nostra folle discesa, coperti dalla grata di ferro che faceva da corrimano a quella scala, non potei fare a meno di chiedermi ancora come mai Yuuko, proprio perché era lei e non perché era una dei nostri, fosse così importante per qualche motivo dal non rischiare di lasciarci andare via con lei.
«Avanti, idioti!» fece un altro, che raggiunse quelli che già ci stavano prendendo di mira e fece per seguirci.
Avevo un'agitazione per niente inspiegabile in fondo allo stomaco, e non per i proiettili, avevo passato così tanto tempo in missione per loro che era praticamente un suono familiare, da bambino ero stato terrorizzato, ogni volta che ci avevano sparato addosso per provare a difendersi, ma ormai non erano altro che l'ennesimo ostacolo tra noi e la sopravvivenza: il mio Alice era ad un passo dallo sfuggirmi di mano e la consapevolezza che quella poteva essere l'ultima fu improvvisamente più tangibile.
«Vai.» lasciai il braccio di Yuuko e Mitsuki mi guardò come se fossi impazzito, ma la incoraggiai verso il piano inferiore con una piccola spinta.
Non aggiunsi altro perché non era il momento delle spiegazioni: se nessuno dei due fosse rimasto indietro era impossibile che anche solo uno di noi sarebbe uscito di lì e portare la ragazza priva di sensi fuori da quel posto era diventata una priorità assoluta, senza contare che qualcosa mi diceva che non era tanto probabile che ce l'avrei fatta in ogni caso.
Inoltre, mi sentivo in dovere di trovare mia zia, sperando che non l'avesse fatto uno di loro prima di me.
«Torno a prenderti.» fu la promessa della mia caposquadra, prima di caricarsi sulle spalle Yuuko, trovando un modo per non farsi infettare dall'Alice di Persona e si affrettò ad uscire di lì. Le assicurai un percorso tranquillo innalzando una specie di barriera di fiamme tra gli inseguitori e loro, fornendole una strada libera da lì all'uscita.
Ancora accucciato per evitare i proiettili, tentai di incamminarmi lungo la stessa strada, ma qualcosa – qualcuno – mi afferrò per il colletto della maglietta.
«Avrei dovuto ammazzarti quando potevo.» l'uomo che era il braccio destro di Persona da quando avevo memoria, mi schiacciò contro il muro, e mi ritrovai a tossire sangue sulla sua camicia, facendogli fare una smorfia disgustata, poi accennò con la testa a due tizi dietro di lui. «Andate.»
Spostai lo sguardo solo per notare che il mio Alice mi aveva effettivamente tradito: troppo stanco per continuare a mantenere le fiamme che avrebbero intrappolato dentro quei bastardi, ora erano liberi di inseguire Mitsuki e Yuuko. Ci provai a farle alzare di nuovo, ma non riuscivo quasi più a sentirmi le dita, figurarsi fare qualcos'altro.
Chiusi gli occhi, sentivo già che il mondo intorno a me stava assumendo una conformazione piuttosto confusa: mi stavo estraniando di nuovo, come tutte le volte che chiedevo troppo a me stesso, ma stavolta sembrava così diverso che per un momento fui percorso da un brivido di terrore.
Non ero mai stato spaventato, mai. L'idea di morire non era mai stata di grande peso, per me, ma non riuscivo a smettere di pensare alle parole di Mitsuki: dovevo vivere per proteggere le persone che amavo, se fossi morto sarei stato inutile e, dopotutto, una parte di me non ne voleva proprio sapere di lasciare questo mondo sapendo quelle persone impunite.
Non avevo però la forza di riaprirli, sebbene lo volessi con tutto me stesso.
Sentii altri passi. «Capo, il soggetto è pericoloso.»
«Nah, non lo vedi che sta morendo?» gli rispose lui, con una risata fin troppo divertita. «Magari Persona vorrà fare chiacchiere con la nostra talpa, prima che ci lasci le penne. Così può spiegargli perché diavolo ha deciso di fare il voltafaccia, e accorciarsi l'agonia che lo aspetta.»
Mi lasciò andare e mi ritrovai di nuovo accasciato su uno scalino, incapace di sentire nulla se non ciò che mi circondava fisicamente. Mi stava lasciando ogni cosa, e io non potevo farci niente.
Poi, uno sparo e delle grida.
«Che diavolo fai, idiota?» una domanda che mi pareva provenire dal tizio di fronte a me, e poi ci furono altri colpi, ma io non ero in grado di tenere gli occhi aperti del tutto, riuscivo solo a guardare la scena attraverso le ciglia, e per qualche ragione che non riuscivo a spiegarmi, vidi gli uomini dell'Accademia spararsi tra di loro.
I passi di corsa di quelli che scappavano facevano vibrare la scala di metallo così forte che rischiai di cadere, fui afferrato di nuovo per il colletto e improvvisamente qualcosa mi andò giù per la gola.
«Bevi, ragazzino.» mi sembrava la voce di mia madre, la stessa negli unici ricordi veramente felici, nemmeno un po' sporcati da quella vaga tensione che sembrava impossibile abbandonasse i miei muscoli da che avevo varcato il cancello della scuola, a poco più di sei anni.
Fu questo che mi spinse a reagire: il ricordo di mia madre.
'Promettimi che starai sempre attento, hai ereditato la caratteristica Alice dalla tua mamma.'
Era una cosa che mi ripeteva spesso.
«Dai, Natsume...» mi spronò la voce di quella che solo dopo mi accorsi essere Yui. «Che ti è successo?»
Scossi la testa, l'unica cosa che fui capace di fare, e spostai lo sguardo verso l'uscita. Lei mi capì al volo, e supportandomi riuscì a condurmi fuori, tenendomi la testa bassa per evitarmi di essere colpito da qualche proiettile vagante, il che mi riportò a pensare a come potesse stare la mia caposquadra.
E forse eravamo stati anche fortunati con gli uomini all'interno del palazzo, ma con quelli fuori che cercavano di stanare gli altri due membri della nostra squadra, non potevamo avere speranza.
«Ma questi non finiscono mai...» fu il commento soffiato tra i denti di mia zia, che col braccio che non mi sosteneva tirò fuori dalla borsa una pietra Alice, ed ero tornato fin troppo lucido per potermi sbagliare. La strinse nel pugno e le scomparve sotto la pelle, con una strana luce viola. «Che ne pensate di un bel sonnellino?»
Fece appena in tempo a domandarlo, che già uno di loro ci aveva puntato contro la sua arma, ma Yui si baciò il palmo della mano e soffiò verso di loro, come a volerglielo mandare, esattamente come quelle coppiette melense da cui mi sono sempre guardato.
L'attimo dopo, dormivano tutti.
«Chi l'avrebbe mai detto.» commentò lei, ma non perse tempo e mi tirò per la manica verso l'ultimo posto in cui avevo visto la nostra macchina. «L'Alice di Narumi funziona davvero!»
«Come hai fatto?» le chiesi, stupito.
Avevamo entrambi il fiatone per la corsa.
«Un Mix di Alice con quello dell'Amplificazione.» mi spiegò, spingendomi di fronte a sé per andare più veloci. «Sono partita dall'ufficio con un paio di Pietre, non si sa mai. A quanto pare ho fatto bene.» di nuovo mi diede una spinta e mi ritrovai contro la fiancata dell'auto. «Sali.»
Stupito dal fatto che Mitsuki fosse rimasta lì, mi affrettai a salire al suo fianco, spinto anche da lei che mi faceva fretta con un gesto della mano: ancora non mi ero del tutto ripreso, e quando mi sedetti sul sedile, finalmente in grado di rilassarmi, mi resi conto di quanto in realtà fossi stato teso per tutto il tempo.
I muscoli mi facevano male dovunque e avevo quest'incredibile bisogno di dormire che non mi faceva sentire per niente tranquillo, così come non mi rassicurava quel bruciore che mi sentivo scorrere nelle vene come se al posto del sangue avessi avuto pezzi di vetro.
«Lei come sta?» domandò, in fretta, Yui, mentre Mitsuki metteva in moto e partivamo in direzione dell'Ospedale Alice più vicino. Mia zia si preoccupò di avvisare Yuka di ciò che era successo con un messaggio, proprio nell'attimo in cui Mitsuki imprecava.
«Se riusciamo ad arrivare in fretta, sopravviverà.» rispose, prendendo una curva così velocemente che ci ritrovammo tutti spiaccicati sul lato destro dell'auto. «Le ho dato una pietra Alice di Izumi, delle poche che ci sono rimaste, per rallentare il contagio. Sono più grandi ed efficaci di quelle di Mikan, ma non possono fare miracoli. Ci serve Yuka.»
Abbassai lo sguardo su Yuuko – raggomitolata nel sedile vicino al mio e priva di sensi – e la sua espressione sofferente: la sua pelle stava per essere quasi completamente invasa dal nero che testimoniava l'infezione data dall'Alice di Persona, l'Alice della Morte.
Stavo per dire di fare più in fretta, di rischiare anche di fondere il motore, ma quando alzai lo sguardo per rivolgermi alle mie due colleghe sui sedili anteriori, una chiazza nera sullo specchietto retrovisore attirò il mio sguardo, e per essere sicuro che non stessi immaginando qualcosa per colpa del fatto che ero provato dall'uso del mio potere, mi girai.
Non avevo le visioni.
«Ci stanno seguendo.» mi spostai per essere completamente girato verso il bagagliaio. Qualunque cosa li avesse fatti combattere gli uni contro gli altri sembrava aver perso il loro effetto perché sembravano tutti d'accordo su una cosa: distruggerci.
Un momento dopo mi nascosi di nuovo dietro il sedile, premurandomi di spingere Yuuko in modo tale che anche la sua testa fosse protetta dalla scarica di proiettili che investì la nostra macchina.
«Ehi!» strillò Mitsuki, abbassandosi sul volante per evitare le schegge del vetro posteriore praticamente polverizzato. «Devo ancora finire di pagarla!»
Mi scrollai le schegge dai capelli, mentre le lanciavo un'occhiataccia che non poteva vedere – questa storia di fare del sarcasmo per migliorare la situazione cominciava a darmi sui nervi –, ma invece notammo entrambi mia zia che si premeva la mano sulla gamba, colpita da un frammento di vetro che era ancora conficcato nella sua coscia e che pensò bene di lasciare lì, prima di rischiare di morire dissanguata.
Era tutto così maledettamente frenetico che non c'era tempo per elaborare una strategia: richiamai le mie ultime forze per uno sforzo che sperai ci facesse perlomeno guadagnare tempo.
«Ci penso io.» dovevo indirizzare comunque il mio potere in qualche modo, prima che mi si ritorcesse contro nello stato in cui ero, sembrava quasi che mi dovesse scoppiare tra le mani. Quindi abbassai il finestrino, e mi affacciai per puntare al bersaglio.
La strada sarebbe stata dritta per un po', per fortuna, e questo mi permetteva di non rischiare di fare del male a qualche innocente.
Mirai alle gomme: indirizzai il mio Alice proprio là, riscaldando il materiale che non potendo sopportare l'alta temperatura esplose, togliendoci dai piedi la prima delle due auto degli inseguitori.
«Grande!» si complimentò Yui, affacciandosi anche lei, armata di una pistola che doveva aver sottratto a uno degli scagnozzi di Persona.
«Come mai sono arrivati così presto?» fu la domanda di Mitsuki, che lanciava occhiate prima allo specchietto e poi alla strada di fronte a sé.
Yui si sistemò contro il sedile con un lamento che le sfuggì tra i denti. «Be', anche l'Alice di Chihiro ha la sua durata. È solo una bambina!» si giustificò, sparando il primo colpo, che andò a incrinare il parabrezza dell'auto dell'Accademia troppo vicina a noi, riducendolo in un'accozzaglia di piccoli frammenti di vetro, che di sicuro avrebbero compromesso la visibilità dell'autista.
Ottimo.
«Non possiamo cambiare strada?» domandai, notando la fin troppa presenza di passanti. Tra l'altro, era più facile che gli sfuggissimo, se cambiavamo direzione proprio ora che non potevano distinguerci chiaramente. «Si farà male qualcuno.»
Fui costretto a ritirarmi dentro l'auto, a una nuova scarica di proiettili, uno dei quali mi sfiorò la fronte proprio mentre mi mettevo al riparo.
«Stai bene?» fu la domanda preoccupata di Yui, ma io mi limitai ad avvolgere il pugno nella manica della maglietta per pulire la scia di sangue che mi stava scendendo dalla ferita per fortuna superficiale. Tremavo così tanto che non sarei riuscito per niente al mondo a dare una risposta, e non volevo preoccupare nessuno più di quanto già fosse necessario.
Ero stato miracolato.
Ero vivo.
Pensai con rabbia che chissà quante persone non avevano avuto la mia stessa fortuna e che molte di quelle lo meritavano. Uno dei dirigenti dell'Organizzazione Z per primo, e io avevo aiutato a farlo fuori, anche se non per mia scelta, quelle persone, quelle che erano in auto con me e che io ero stato mandato a tradire, avrebbero dato qualunque cosa per salvare uno come me.
Una volta, Persona mi aveva detto che ero nato per seminare morte e distruzione, proprio come il mio Alice, ma quella fu la prima volta in cui fu il mio sangue a richiederlo, a pretenderlo.
Girai la testa e osservai con la coda dell'occhio l'autista con la testa fuori dal finestrino per osservare la strada.
Avevo la nausea ma non potevo sprecare quell'occasione.
«Dammi la pistola.» tesi la mano verso Yui, la quale mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. Non tremavo più, la mia mano era più ferma di quanto non fosse mai stata mentre le chiedevo di passarmi l'arma.
Non era mai stata mia intenzione uccidere qualcuno, eppure da quando avevo dieci anni questo era stato il mio destino. Per causa mia era morta così tanta gente che avevo perso il conto, ma mi sentivo un maledetto assassino ogni volta, anche se non era mai stata colpa mia.
Sapevo che stavolta sarebbe stato diverso. Stavolta stavo scegliendo di farlo.
C'erano troppe vite in gioco, vite di innocenti, coi miei sensi di colpa ci avrei fatto i conti più tardi, quando l'adrenalina sarebbe sfumata e mi avrebbe lasciato solo con la consapevolezza che avevo spezzato l'ennesima vita.
Mia zia, però, scosse semplicemente la testa, come a volermi comunicare che non me l'avrebbe mai lasciato fare, nemmeno se fosse stata l'ultima opzione disponibile, come credevo che fosse.
«Mi-chan, chinati.» le ordinò, e quando lei obbedì, schiacciandosi ancora di più sul volante, Yui si trovò uno spazio tra lei e il sedile per riuscire a mirare dal lato giusto, al prezzo di aprire il taglio nella sua gamba che cominciò a sanguinare copiosamente.
Fu lei a sparare il colpo, e mi scoprii a non avere il coraggio di guardare, lo feci solo dopo, quando sentii il tonfo dell'auto che si scontrava con un palo, ma era già troppo lontana perché si potesse distinguere altro che il motore fumante e le persone agghiacciate dalla scena a cui avevano appena assistito.
«Il capo avrà da brigare per coprire questo.» fu l'unico commento di mia zia, mentre si rinfilava in auto, stavolta estraendo il pezzo di vetro, con un lamento e una smorfia dolorante. «Quanto manca all'ospedale? Non vorrei dissanguarmi nella tua auto nuova.»
Mitsuki le lanciò la stessa occhiata di rimprovero che mi era appena venuta in mente, se non fosse stato che non avevo la forza di muovere nemmeno le palpebre. «Lo scolapasta nuovo, vorrai dire.» la corresse lei, cosa che mi spinse davvero a farmi qualche domanda sulla sanità mentale di entrambe.

Quando arrivammo finalmente in ospedale, Yuka ci venne incontro con dietro due barelle e dei medici che si occuparono sia di Yuuko che della gamba di Yui.
«Si può sapere cosa diavolo è successo?» ci domandò, alternando lo sguardo tra me e Mitsuki che a parte quel graffio sul braccio e la testa piena di schegge e polvere sembrava stare bene. La mia fronte ancora sanguinava, credo, almeno a giudicare dal fatto che sentivo qualcosa di caldo colarmi sulla guancia, ma non ero nemmeno riuscito ad alzarmi dal sedile.
Subito dopo essermene accorto mi erano entrambe praticamente addosso, estremamente preoccupate.
«Sto bene.» tentai di assicurare ad entrambe, ma non devo essere sembrato convincente, perché le loro facce non mutarono nemmeno un po'.
«Cosa ti aveva detto il dottore sull'usare il tuo Alice, Natsume?» mi riprese Yuka, aiutandomi ad uscire dalla vettura. Non persi nemmeno tempo a chiedermi come faceva a sapere cosa mi avesse detto il dottor Imai quando ancora ero a scuola, che fu proprio lui che vidi nell'atrio dell'ospedale.
Per un attimo ebbi paura che fossimo di nuovo all'Accademia, prima di rendermi conto che era impossibile che succedesse una cosa simile, che per quanto pazzi potessero essere i membri dell'Organizzazione Z, non erano necessariamente degli idioti, sapevo che Imai era uno di noi.
«Be', se può essere di consolazione...» fece Mitsuki, prendendomi dall'altro lato per non farmi cadere. «...ci ha salvato la vita.»
Mi misero momentaneamente a sedere su una di quelle sedie del corridoio, dubitavo che avrebbero potuto tenermi in piedi per più tempo, anche se erano in due.
La testa mi pulsava terribilmente, così l'appoggiai al muro fresco, tentando di trovare un po' sollievo, cosa che ovviamente non successe, perfino le parole che si scambiavano Yuka e la mia caposquadra mi rimbombavano nelle orecchie come un tamburo, capivo che più o meno stavano parlando di cos'era successo e di cosa fare da ora in avanti, ma parlavano troppo piano perché potessi concentrarmi.
L'unica cosa che volevo era starmene in pace.
L'avevo voluto per tutta la vita, e nonostante questo mi ero ritrovato a fare tutto tranne che quello. Le uniche volte in cui avevo potuto considerarmi tale era stato insieme a Mikan, e avevo finito per mettere in pericolo pure lei, e questo sarebbe stato il mio unico, gigantesco rimpianto se avessi dovuto morire.
Avevo promesso a me stesso che l'avrei tenuta al sicuro ad ogni costo, e adesso lei era così tanto in pericolo che non avrei nemmeno saputo dire quanto. Avevo lasciato la scuola per lei, per fare in modo che non le accadesse nulla di male, e da allora era precipitato tutto.
«Non ti addormentare, ragazzino.» mi avvisò la voce di Mitsuki, ma era così distante che non seppi mai se l'aveva detto veramente o se era solo uno scherzo della mia immaginazione.
«Mitsuki!» fu un urlo che mi strappò veramente dal mio stato di torpore e dormiveglia. «Si può sapere che hai combinato?»
Aprì lentamente gli occhi e trovai la mia caposquadra seduta vicino a me, una mano sulla mia spalla, e solo allora mi accorsi che mi stava scuotendo per riportarmi alla realtà.
Lei anche alzò lo sguardo sul dottor Imai, sbattendo le palpebre, come se non sapesse di cosa stesse parlando, quando avevamo davvero rischiato grosso, e più di una volta.
«Oh, ciao, Subaru.» lo salutò lei, allegra, tirando la manica sulla sua ferita perché non gli ci cascasse l'occhio, cosa che non fece altro che attirare il suo sguardo di rimprovero.
Le prese la parte ferita con gentilezza ma con fermezza. «Stai bene?» le domandò, e non pensavo che avrei mai visto Subaru Imai parlare dolcemente a qualcuno che non fosse sua sorella.
Mi lanciò uno sguardo, e valutò anche la mia ferita alla testa, mi tolse il cotone che nemmeno mi ero reso conto qualcuno mi aveva messo sulla testa, e sembrò soddisfatto dal fatto che non sanguinasse più, anche perché non mi degnò di un'ulteriore occhiata, tornò a rivolgersi alla ragazza accanto a me.
«Non dovresti fare cose del genere, nelle tue condizioni.» stavolta il rimprovero era più duro. «Avevi promesso che non saresti andata in missione. Di nessun tipo.» Mitsuki sbuffò. «Non doveva essere una missione.» precisò, e chiese aiuto con lo sguardo a Yuka, la quale scosse la testa con disapprovazione, lasciando me con l'impressione di essere l'unico a non sapere di che cavolo stessero parlando. «Ero uscita per sorvegliare uno dei miei, e ci siamo imbattuti nei nostri cari, vecchi amici. Non pensavo di essere in pericolo, nonostante le mie condizioni
Quali condizioni?
Imai le tese la mano, aspettando che lei la prendesse. «Dobbiamo fare dei controlli.»
«Sto bene.» ribatté Mitsuki, seccata. «È a lui che devi fare dei controlli. Sta male.»
Accennò a me con la testa, la mano ora stretta in quella di lui, e mi resi conto che non era una semplice stretta amichevole: quei due condividevano qualcosa di più che la dedizione a una causa.
Se non ricordavo male, Ryu e Jou avevano fatto qualche battuta in proposito a un ragazzo, ma davvero non avevo la testa per pensarci, anzi, mi domandai subito perché non fossero corsi subito lì.
Il dottore non sembrava dello stesso parere, e cercò di convincerla a cambiare idea.
«Sono incinta, non sono in fin di vita come il ragazzino.» si lamentò, adesso lasciando la presa con stizza. «Io e il bambino stiamo bene, Subaru. Occupati di chi ha bisogno, non di me, perché questo è anche tuo figlio.»
E con questo ero ufficialmente convinto di stare perdendo la testa.
Imai sospirò, sconfitto. «Vieni, Natsume.» mi incitò ad alzarmi, con un cenno della mano che la sua fidanzata aveva appena mollato. «Adesso ti trovo un letto.»
Cercai di prepararmi psicologicamente al fatto di dovermi muovere, anche se mi sembrava davvero l'ultimo dei miei bisogni. Avevo appena iniziato a sentirmi meglio, o così mi sembrava. Mi alzai nel silenzio dell'ospedale intravvedendo la capigliatura eccentrica di Narumi: stava parlando con qualcuno, ma non appena mi alzai, forse troppo in fretta per le forze che avevo, fui colto da un capogiro che mi tolse anche il fiato.
L'ultima cosa che mi parve di vedere, prima di perdere completamente i sensi, fu Mikan.
Da bambina.

*****

Ciao a tutti, lo so sono in un ritardo imbarazzante, e credo di aver detto già l'altra volta che avrei tentato di fare prima per non finire tra altri otto/nove anni, ma non ce l'ho fatta U.U
Scusate, se ancora seguite la storia sappiate che mi dispiace!
So che è un pelo più corto degli altri, ma mi sembrava un po' pesante, io stessa non ce l'ho fatta a rileggere molti capitoli, e ho deciso di tagliare le parti che non sono poi così utili ai fini della trama.
Grazie di essere passati :D

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