Call of Duty - Destini incrociati

di Batckas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Corri, Ramirez, corri ***
Capitolo 3: *** Metal Zero-Quattro ***
Capitolo 4: *** Incubi ***
Capitolo 5: *** Riscuotere un debito ***
Capitolo 6: *** Nel cuore nessuna croce manca ***



Capitolo 1
*** Ghiaccio ***


Solo, sconfitto, desolato.
Il sergente Derek Westbrook lasciò scivolare le piastrine dei suoi compagni e fratelli d’armi: Truck, Grinch, Sandman.
Tutti morti.
Non capiva perché fosse ancora vivo.
Per sua fortuna la guerra non era ancora finita. Nonostante Makarov fosse stato ucciso e la pace dichiarata tra le nazioni, alcuni gruppi di ultranazionalisti russi continuavano con la loro crociata sia sul territorio americano che in Europa.
Aveva ancora la possibilità di offuscare i suoi pensieri con il dolce rombare delle armi.
“Sergente Westbrook?”, domandò qualcuno.
L’uomo si alzò, lanciò un’ultima occhiata alle piastrine. Ormai non si poteva fare niente per i morti, soltanto vendicarli.
“Chiamami Frost.”

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Capitolo 2
*** Corri, Ramirez, corri ***


 “In arrivo da tutte le cazzo di direzioni!”, urlò il caporale.
L’unità Hunter del 75esimo Rangers era impegnata in uno scontro a fuoco contro un ingente forza nemica. Erano bloccati da ore.
“Rinforzi in arrivo, resistete!”, rispose il sergente.
“Non ce la facciamo!”, il caporale fu raggiunto da una scheggia al viso e si dovette ritirare.
“Dunn!”, chiamò il sergente sollevandosi dal riparo, sparò ad un paio di ultranazionalisti in avvicinamento.
“Merda, cazzo!”, si lamentò il caporale. “Sergente Foley, come sono messo?”, chiese.
“Brutto come al solito, Dunn, brutto come al solito.”, rispose quello.
Il soldato scelto Wagner morì con un colpo di fucile alla testa e si rovesciò su Foley e Dunn.
“Merda, abbiamo bisogno di aiuto!”
Gli ultranazionalisti erano a meno di duecento metri da loro.
Il rombo di un motore fece voltare sia i Rangers sia gli ultranazionalisti.
Le canne di una M134 vorticarono voraci e aprirono il fuoco spazzando via i russi in nuvole di carne e sangue.
“Porca troia, Ramirez, giusto in tempo, sei una macchina da guerra.”, si congratulò il sergente Foley.
Il soldato scelto smontò dal mezzo con l’arma in pugno e si assicurò che la zona fosse sicura.
Gli ultranazionalisti sopravvissuti si buttarono in ginocchio alzando le mani. Alcuni di questi si fecero saltare in aria con le granate, altri si uccisero con colpi di pistola alla tempia. La maggioranza, comunque, si lasciò arrestare dai Rangers.
Foley raggiunse Ramirez e gli diede una pacca sulla spalla tanto forte da destabilizzare il ragazzo.
“Dov’è Dunn?”, domandò Ramirez.
Foley gli indicò il riparo, il caporale Dunn emerse tenendosi una mano sul volto.
“Sarai ancora più bello, ora.”, commentò Ramirez.
“Tutti con la solita battuta di merda.”, si lamentò Dunn.
Il soldato semplice Whitney raggiunse il resto della squadra.
“Sergente, vieni a vedere.”
Whitney, Ramirez e Foley si spostarono vicino al cadavere di uno degli ultranazionalisti. Riconobbero immediatamente i tatuaggi, quell’uomo era parte di un gruppo segreto e prestigioso che l’intelligence credeva essere il braccio armato di Makarov quando questi era ancora in vita.
“Sono i Serpenti del Cremlino.”, riconobbe Foley. “Merda. Credevo che la Task Force 141 li avesse fatti fuori tutti.”
“A quanto pare no.”, commentò Whitney.
“Mandiamo queste informazioni a Overlord.”, continuò il sergente. “E attendiamo ordini.”
I Rangers scortarono via i prigionieri di guerra e si radunarono, avevano perso venti dei loro. I cadaveri erano stati allineati. I loro compagni si presero dieci minuti di silenzio per piangerli.
Dopodiché Overlord tuonò nelle loro orecchie con nuovi ordini.
“Unità Hunter, restate in posizione, elicottero in arrivo.”
“Qual è la nostra destinazione, signore?”, domandò Foley.
“Unità russe ostili stanno attaccando le tendopoli a sud.”
“Vogliono uccidere quanti più civili possibile… maledetti bastardi.”
“Unità Hunter, sul luogo troverete unità russe lealiste nostre alleate, fate attenzione.”
“Ricevuto, Hunter Due-Uno-Actual, chiudo.”
Molti soldati russi, dopo la fine delle ostilità e la resa pubblica dell’inganno in cui Makarov aveva gettato la Russia, avevano deciso di restare indietro e aiutare, ricostruire, combattere contro i loro vecchi compagni. Molti di questi soldati lealisti non si sarebbero mai più ripresi psicologicamente, i crimini che avevano commesso erano troppo grandi per essere affrontati. Molti di loro cercavano soltanto la morte in combattimento. Erano validi alleati degli americani e degli europei, combattevano come leoni e morivano come martiri.
La tendopoli sud, dove erano stati ammassati i civili in attesa di evacuazione, aveva resistito alle prime ondate nemiche, ma un’intera colonna di ultranazionalisti era in arrivo e, per il momento, non c’era supporto aereo disponibile. I Rangers, i russi lealisti e la compagnia della Guardia Nazionale erano le uniche forze a difesa dei civili.
“Ramirez, fianco destro, non far passare nessuno!”
“Sì!”
“Dunn, vai con lui.”
I due si mossero in posizione. Dunn brandì una mitragliatrice M240, Ramirez un M4 con mirino olografico e lanciagranate. Al loro fianco c’era una squadra di cinque russi.
Dunn fece loro un gesto col capo, quelli risposero, lo sguardo deciso e fiero.
“Spero non mi sparino alle spalle.”, commentò il caporale.
“Il fuoco amico non sarebbe tollerato.”, rise Ramirez. “Sono dalla nostra parte. Vedi quegli ultranazionalisti morti a trecento metri da qui? Sono stati loro ad averli uccisi. Non vorrei essere nei loro panni: combattere contro coloro che qualche attimo prima erano alleati.”
“Già, che merda.”
“Come gli italiani durante la Seconda guerra mondiale.”, commentò Ramirez.
“Cosa?”
“Niente, lascia perdere.”
“Cazzo, eccoli.”
Dunn e Ramirez aprirono il fuoco contro i primi ostili. I russi lealisti seguirono poco dopo. Mantennero quella posizione per venti minuti e fecero fuori decine di nemici. Al fianco degli ultranazionalisti, però, comparvero i carri armati e furono costretti a ritirarsi.
Via radio abbaiò la voce di Foley.
“Ramirez, armi anticarro alle barricate, vai, vai!”
Il soldato corse come un forsennato, recuperò i Javelin e, sempre con l’aiuto di Dunn, distrusse due dei cinque carri armati che stavano attaccando la tendopoli.
“Vai così!”, esultò Dunn.
“BTR in arrivo!”, urlò qualcuno.
L’attimo dopo furono bestemmie, fuoco e fiamme.
Ramirez si riprese, gli fischiavano le orecchie, gli ultranazionalisti avevano sfondato il perimetro difensivo.
Uno di loro stava per giustiziare il caporale Dunn, Ramirez mise mano alla Beretta M9 che aveva al fianco e sparò due colpi che centrarono il nemico al petto e alla testa.
“Stai bene?”, domandò a Dunn mentre lo aiutava a rialzarsi.
Dunn tossì.
“Sì.”
“Oggi non è il tuo giorno fortunato.”
“Decisamente no, cazzo.”
Ramirez scorse in lontananza il sergente Foley che conduceva un gruppo di civili al sicuro. I due Rangers si ricongiunsero con il loro comandante.
“Fuoco di copertura, portiamo in salvo i civili, è in arrivo un convoglio di evacuazione!”, disse Foley.
Tre ultranazionalisti presero di sorpresa i Rangers, ma furono freddati dalla raffica di AK-74 di un soldato lealista russo, Dima, che si palesò agli americani facendo un cenno con la mano.
“Parli inglese?”, domandò Dunn.
Dima annuì.
“Ci hai appena salvato il culo.”, ringraziò il caporale.
“I carri armati e i BTR stanno avanzando.”, riferì Dima.
“Vieni con noi.”, ordinò Foley.
Ramirez fece un cenno di benvenuto al russo.
I quattro affidarono i civili alla Guardia nazionale.
“Cosa facciamo, sergente?”, domandò Dunn.
“Ramirez.”, il sergente lo guardò come se stesse per chiedergli la cosa più assurda della giornata. “Ho bisogno che corri più che puoi attirando il fuoco degli ultranazionalisti. Dunn, Dima ed io annienteremo i loro mezzi con i Javelin.”
“Vado.”
Foley lo fermò.
“Sei sicuro?”
“Sergente, lei mi dà un ordine, io lo eseguo, sono sopravvissuto seguendo questa semplice filosofia. Mi fido di voi. Non lasciate che quei carri mi aprano il culo.”
Il miracolo di Ramirez funzionò. Corse davanti ai carri e ai BTR, si slanciò come una gazzella con tutto l’equipaggiamento nascondendosi in ogni buco che trovò finché tutti i mezzi non furono distrutti. Gli ultranazionalisti rimasti furono uccisi durante la controffensiva guidata dalla Guardia Nazionale.
Quando arrivò il supporto aereo, la zona era già in mano alle forze americane.
Dunn abbracciò Ramirez e lo stritolò.
“Un cazzo di coniglio sei!”, gridò saltando.
“Complimenti, Ramirez, un lavoro da dio.”
Il soldato scelto si sedette su un cumulo di macerie, madido di sudore e avido d’aria.
“Mi scoppia il cuore tra qualche secondo.”

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Capitolo 3
*** Metal Zero-Quattro ***


Due giorni dopo i Rangers erano passati all’attacco. Overlord aveva individuato una possibile base nemica nel cuore della città devastata dai bombardamenti.
“Attenzione al fuoco amico, un’unità alleata si è infiltrata nella zona qualche ora prima di voi, passo.”, comunicò Overlord.
“Ricevuto, Hunter Due-Uno-Actual, chiudo.”
Dima era diventato ufficiosamente parte di Hunter Due-Uno.
“Quale sarà questa unità?”, domandò Dunn.
“Occhi aperti.”, rammentò Foley.
Si mossero spediti attraverso le macerie controllando ogni angolo. Il silenzio era soprannaturale e agghiacciante. Ramirez chiudeva la fila insieme a Dima.
Nel tempo che avevano trascorso con il russo avevano scoperto che faceva parte di un’unità Spetsnaz che aveva disertato il giorno stesso dell’invasione, Overlord aveva confermato la storia. L’unità di Dima aveva cercato di avvisare le autorità americane di ciò che stava succedendo, senza riuscirci. Per il loro tradimento, i compagni di squadra di Dima erano stati uccisi dagli ultranazionalisti, lui era riuscito a scappare per miracolo e riportando serie ferite. Era stato salvato da alcuni civili americani. Appena si era riuscito a mettere in piedi aveva impugnato un’arma e non si era più fermato.
Udirono degli spari provenire da nord.
La radio gracchiò.
“A qualsiasi unità americana nell’area, parla Metal Zero-Quattro, l’unità di Marines di supporto è stata annientata da un’imboscata nemica, la zona è sicura, ma richiedo assistenza, passo.”
Foley rispose alla chiamata.
“Andiamo.”, disse ai suoi.
I Rangers attraversarono un campo di battaglia, oltre cinquanta ultranazionalisti morti e venti Marines, ad ergersi solitario su quel campo di morte era solo un uomo.
“È un Delta.”, riconobbe Dunn dall’uniforme.
“Hunter?”, domandò l’uomo.
“Affermativo.”, rispose Foley.
Quello si avvicinò, aveva il volto coperto.
“Metal Zero-Quattro, potete chiamarmi Frost, Delta Force.”, si presentò.
“Sergente Foley, lui è Dunn, Ramirez e l’amico russo è Dima, ex Spetsnaz.”
Frost annuì.
“Siamo caduti in un’imboscata.”, raccontò Frost indicando i Marines morti.
“Gliel’hai fatta vedere.”, commentò Dunn, soddisfatto.
“Il sangue dei nemici non permette ai nostri di tornare in vita, caporale.”, lo ammonì Frost. “Ma aiuta a soffocare i sensi di colpa.”, aggiunse poco dopo.
“Qual è la nostra missione?”, chiese Foley.
“In zona c’è un quartier generale nemico, dobbiamo trovarlo e neutralizzarlo, cerchiamo tutto ciò che potrebbe essere utile: informazioni, mappe, qualsiasi cosa.”, spiegò Frost.
“Andiamo.”, tagliò corto il sergente.
I cinque si mossero in quella terra di nessuno senza incontrare resistenza. Perlustrarono per oltre due chilometri. Arrivarono al loro presunto bersaglio quando incrociarono una pattuglia nemica.
“Scegliete i bersagli, con calma.”, ordinò Frost.
“Pronti.”, confermarono.
“Al mio via.”
Frost fece il cenno.
Gli ultranazionalisti caddero.
Poco dopo ne sopraggiunsero altri.
“Dobbiamo essere vicini alla base.”, riferì euforico Frost.
Appena le pallottole iniziarono a fischiare tutto intorno, Metal Zero-Quattro si trasformò in un automatismo con un’unica direttiva: uccidere.
“Porca troia…”, commentò Dunn con Ramirez quando gli spari cessarono.
“Deve avere parecchi sensi di colpa da annegare.”, rispose Ramirez.
Frost prese uno degli ultranazionalisti ancora vivo. Gli diede un paio di pugni, gli ruppe delle costole e il setto nasale, dopodiché gli domandò dove fosse il loro quartier generale. Il russo non rispondeva, al che Frost estrasse il coltello e torturò l’uomo per venti minuti buoni. Comunque, nessuna risposta.
“Lascia che ci provi io.”, disse Dima.
Foley, Ramirez e Dunn restarono in disparte, disturbati da ciò che stava succedendo, ma in silenzio.
Dima bisbigliò qualcosa nelle orecchie dell’ultranazionalista, quello gridò qualcosa in russo e Dima gli sparò in testa.
Frost non batté ciglio.
“Allora?”, chiese.
“Venite.”
Dima si mise in testa.
“Sergente, che cazzo sta succedendo?”, domandò Ramirez.
“Seguite i miei ordini, non ci faremo ammazzare per gli atteggiamenti spregiudicati di un Delta impazzito.”, rispose sottovoce Foley. I suoi uomini avevano la priorità sempre e comunque.
Giunsero nei pressi del quartier generale nemico, situato in uno degli edifici della zona che meglio aveva resistito ai pesanti bombardamenti.
“Qual è il piano?”, domandò Dunn.
“Flash e ripulire.”, tagliò corto Frost pronto a partire.
Foley lo fermò tenendolo per un braccio.
Se lo sguardo potesse uccidere, quello di Frost avrebbe pugnalato dieci volte il sergente.
“Non sappiamo quanti sono, dobbiamo escogitare un piano migliore, aspettare i rinforzi.”, disse Foley.
“Non aspetterò.”, concluse Frost.
“Allora pensiamo ad un piano che non ci faccia uccidere tutti.”, si impuntò Foley.
Ci fu un’intensa lotta di sguardi, ma gli occhi da padre di Foley vinsero su quelli spenti di Frost e alla fine si optò per una strategia migliore.
Eliminarono in silenzio le guardie all’ingresso.
Senza il minimo rumore ripulirono la prima zona del quartier generale, si mossero in verticale salendo al secondo piano. Dunn attivò un allarme, l’attimo dopo gli ultranazionalisti gli erano addosso.
Caricando come un toro assetato di sangue, Frost fece breccia nelle difese nemiche. I Rangers seguirono il Delta e ripulirono la zona da ogni minaccia. Dima copriva loro le spalle da alcuni vagabondi ultranazionalisti che avevano sentito l’allarme e si erano diretti all’edificio.
Raccattarono quello che poterono.
“Andiamo via.”, disse Foley.
“Facciamo saltare in aria questo posto.”, rispose Frost.
“Altri in arrivo, dobbiamo muoverci!”, avvisò Dima.
“Ramirez, coprici le spalle mentre piazziamo gli esplosivi.”, ordinò il sergente.
“Ricevuto.”
Ramirez si posizionò con un M14 EBR, prendeva meticolosamente la mira e faceva fuoco. Uno dopo l’altro gli ultranazionalisti cadevano. Appena trovavano la sua posizione, il Ranger cambiava angolo di tiro. Consumò cinque caricatori in questo modo. Il suo operato guadagnò agli alleati abbastanza tempo per posizionare l’esplosivo.
“Dobbiamo andare.”, disse Frost.
“Sono troppi, non ce la faremo!”, avvisò Dunn.
“Vi copro io, voi andate.”, sentenziò Dima.
“Morirai!”, urlò Ramirez.
“Oh, caro ragazzo, sono morto tanto tempo fa. Mi avete dato uno scopo, lasciate che io muoia come un soldato. Venderò cara la pelle e vi darò la possibilità di fuggire. Concludete questa battaglia anche per me.”
Foley, Dunn e Ramirez si scambiarono delle occhiate dubbiose.
“Dobbiamo avvisare qualcuno della tua morte?”, domandò Frost.
“Tutti quelli che potevano piangere per la mia morte, sono già tra le sue braccia.”, rispose Dima prendendo posizione.
Frost annuì e gli porse la sua arma e i caricatori. I Rangers fecero lo stesso.
Dima li salutò con un cenno del capo.
“Muovetevi.”, disse.
I Rangers e il Delta si allontanarono rapidamente mentre alle loro spalle infuriava la battaglia.
Sedici caricatori di M4.
Dodici caricatori di AK-74.
Sei caricatori di KBP GSh-18.
Sette fori d’entrata, un occhio spappolato, cinque costole rotte, spina dorsale frantumata.
Eppure, Dima rideva.
Oltre centocinquanta nemici caduti per mano del diavolo russo.
Nonostante fosse ridotto ad un ammasso di carne e sguazzante nel suo stesso sangue, gli ultranazionalisti avevano comunque paura di lui. Entrarono sparando contro i fantasmi e si accorsero dell’uomo morto da tempo ai loro piedi.
Ne deturparono il cadavere e lo gettarono dal secondo piano.
Gli esplosivi detonarono.

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Capitolo 4
*** Incubi ***


L’esplosione fu talmente violenta che diversi edifici già fatiscenti crollarono. Frost ebbe dei flashback dalla Germania. Dovettero muoversi rapidamente, evitarono detriti e frane, ma alla fine un palazzo crollò loro in testa bloccandoli sotto tonnellate di cemento.
“Ehi, stai bene?”, domandò Frost spintonando Ramirez con un piede.
Il soldato riprese conoscenza.
“Dunn? Sergente Foley?”, chiamò.
Frost si tolse il passamontagna per respirare meglio.
“Ramirez?”, la voce del sergente sembrava provenire dall’oltretomba. “Stiamo bene, ma ho una gamba ferita. Dunn se l’è cavata con una lieve distorsione del polso. Tu stai bene?”
“Sì, sergente, Frost è con me.”
“Bene, dobbiamo trovare un modo per uscire da qui.”
“Restate lì, verrò io da voi.”
“Dobbiamo avvisare la base, ma le radio non funzionano.”
Ramirez fece un respiro profondo.
Frost lo guardava con un misto di ammirazione e curiosità. Si rivedeva in lui, così giovane e carico di entusiasmo. Ponto a scavare un buco nel cemento spaccandosi le unghie pur di salvare i suoi commilitoni.
“Non usciremo da qui.”, disse.
Ramirez continuò a studiare il piccolo spazio in cui erano capitati, c’era pochissima luce.
“Risparmiamo ossigeno.”, tagliò corto il Ranger.
“Assomigli ad un mio vecchio amico, Grinch.”, continuò Frost.
Ramirez temette che stesse iniziando a delirare.
“È morto.”, aggiunse Frost.
“Mi dispiace.”
“Sono morti tutti… Metal non esiste più. Resto solo io, Metal Zero-Quattro.”
“Mi dispiace molto, Frost, ma al momento dobbiamo pensare ad uscire di qui. Ti prometto che verseremo una birra insieme in onore dei tuoi compagni morti in battaglia.”
Frost ridacchiò stuzzicato dalla disperazione.
“Sei un bravo ragazzo e un ottimo Ranger.”
“Ho bisogno di una mano. Credo che possiamo spostare questa parete…”, disse Ramirez.
Frost si fece coraggio e, come se pesasse quanto il mondo, si alzò e raggiunse il Ranger.
Tutto l’edificio sembrava muoversi con loro.
“Ramirez, tutto bene?”, domandò Foley dall’altra parte.
“Affermativo, sergente, facciamo progressi.”
“Ottimo, ottimo…”, Foley tossì orribilmente.
Frost e Ramirez continuarono il loro lavoro.
“Dove hai combattuto?”, chiese il Delta.
“A Washington. Ero parte dell’unità che ha liberato Whiskey Hotel.”
“I miei complimenti.”
“Tu?”
“New York, Parigi… ho visto crollare la Tour Eiffel. Lo sogno ancora la notte.”
Ramirez fischiò per la sorpresa.
“L’ho visto in alcuni filmati. Deve essere stato terribile. Io ho gli incubi sul secondo Sole.”
Frost annuì.
“Ero lontano dal paese quando è successo.”, rifletté. Guardò Ramirez. “Vuoi sapere cosa mi ha salvato? Perché la mia squadra è morta mentre io sono ancora qui?”
Ramirez non rispose, sapeva che il sergente avrebbe continuato con la sua storia per esorcizzare quei demoni che nel buio dell’edificio crollato sembravano diventare sempre più forti.
“Una fottuta caviglia slogata. Il mio comandante, Sandman, mi ha dovuto tirare un pugno per convincermi a restare fermo. Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui.”
Continuarono in silenzio finché non furono in grado di aprirsi un varco. Per raggiungere Foley e Dunn, però, dovettero insinuarsi in condotti di areazione semidistrutti, scivolare lungo le crepe di edifici che si reggevano a malapena in piedi. Impiegarono mezz’ora per aggirare il muro che li separava dai compagni.
“Sergente!”, chiamò Ramirez.
Foley voleva parlare, ma fu bloccato da tosse stizzosa.
“Fa così da mezz’ora.”, disse Dunn.
“Sto bene.”, commentò Foley.
Ramirez esaminò la ferita del sergente, era più grave di quello che aveva immaginato. Non avrebbe potuto strisciare in quelle condizioni.
“Ramirez.”, chiamò Foley. “Trova un modo per uscire da qui e chiama i rinforzi.”
“Vengo con te.”, aggiunse Frost.
Ramirez era insicuro di lasciare lì Dunn e il sergente.
“Prenditi cura di lui.”, disse al caporale.
Dunn annuì.
“Non preoccuparti.”
Frost e Ramirez fecero dietrofront e nel giro di un’ora furono fuori dal dedalo di macerie.
La zona era circondata dagli ultranazionalisti che cercavano i responsabili della distruzione della loro base.
Frost scivolò alle spalle di uno di quelli che si era separato dal resto del gruppo, gli spezzò l’osso del collo e si appropriò della sua arma. Un minuto dopo faceva lo stesso con un secondo soldato e porgeva il fucile a Ramirez. Recuperarono le munizioni che poterono.
“Dobbiamo andarcene.”, disse Frost. “Le radio sono state danneggiate dall’esplosione. Torneremo per i tuoi compagni.”
“Non posso abbandonarli.”
“Rischiamo solo di farci ammazzare. Non lasceremo indietro nessun Rangers, ma la cosa più intelligente da fare è tornare qui in forze.”, insistette Frost.
Ramirez maledisse quella situazione. Tornò sui suoi passi per nascondere l’uscita che avevano usato lui e Frost, tornò dal Delta e annuì sconsolato.
“Andiamo.”

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Capitolo 5
*** Riscuotere un debito ***


Nonostante i chilometri percorsi a piedi evitando le truppe nemiche, Ramirez non si risparmiò dal puntare dritto verso il colonnello Marshal al campo avanzato americano. In un sol fiato spiegò la situazione. Frost la confermò aggiungendo alcuni dettagli logistici e consegnando all’ufficiale tutte le informazioni che avevano preso dal quartier generale. Il colonnello ascoltò per qualche minuto, poi fece un cenno con la mano mentre studiava i nuovi dati.
“Mi dispiace per i nostri uomini, ma dovranno resistere ancora delle ore, devo guidare una controffensiva il più rapidamente possibile ora che avete distrutto i loro sistemi di comunicazione. Ricordo il sergente Foley, guidò l’assalto alla Casa Bianca, è un tipo tosto, se la caverà.”
Ramirez insistette sfociando nell’insubordinazione.
Marshall sopportò in silenzio, ma alla fine congedò ugualmente il Ranger.
“Cazzo!”, gridò Ramirez, attirando su di sé l’attenzione della polizia militare sul posto.
Frost li fermò e, preso il giovane sottobraccio, lo condusse lontano.
“Riprendi fiato.”, gli suggerì.
Se avesse potuto, Ramirez avrebbe strappato le orecchie di Marshall a morsi.
Frost si sedette al suo fianco.
“Cerchiamo qualcuno che venga con noi e andiamo a salvare il caporale e il sergente.”, propose Frost. “Ci occuperemo dopo della burocrazia e degli ufficiali.”
Gli occhi di Ramirez si illuminarono.
“Burocrazia e ufficiali… c’è qualcuno che potrei chiamare.”
Frost dubitava che un soldato scelto avesse conoscenze così in alto nella gerarchia.
Ramirez recuperò una radio e iniziò a farneticare con chiunque si mettesse in contatto di un certo Raptor.
“Il sergente Foley ha trascinato il suo culo attraverso una zona di guerra. È tempo di ripagare il favore.”, lo sentì dire Frost.
Quindici minuti di chiacchiericcio indistinto dopo e questo Raptor, che poi Frost individuò come il direttore della CIA, parlò direttamente con Ramirez.
Raptor ascoltò in silenzio.
“Mandami la posizione.”, disse.
Ramirez gliela comunicò.
“Hai ragione, l’unità Hunter ha salvato la mia vita. È tempo che ripaghi i miei debiti.”, disse Raptor.
Nel giro di venti minuti, un drone Predator e due unità di contractor della CIA giungevano sul posto per fornire il loro supporto.
Il colonnello Marshal capì subito che c’era lo zampino del Ranger che aveva congedato bruscamente. Lo fermò prima che potesse partire.
“Soldato, quando tornerai dovremo fare due chiacchiere.”, disse il colonnello.
“Sissignore.”, rispose stoico Ramirez.
“Sei nei guai, amico.”, commentò Frost.
“Ne ho passate di peggio.”

Frost e Ramirez guidarono i contractors in zona nemica, abbatterono ogni ostile nel loro campo visivo e con il supporto aereo del predator distrussero i mezzi blindati in avvicinamento. Dopo aver scavato per due ore, furono in grado di trascinare fuori di lì Dunn e un sempre più pallido Foley.
“Raptor manda i suoi saluti, sergente.”, commentò Ramirez.
Foley rise e nello sforzo si tenne il petto.
“Ramirez, sei un figlio di puttana.”, tossì. “Grazie…”
“Se la caverà?”, domandò Dunn che, come il sergente, veniva messo su una barella. Richiedevano immediata assistenza medica.
“Sì.”, lo confortò Ramirez, mentendo.
Quando entrambi furono lontani, Ramirez si tolse l’elmetto e si asciugò gli occhi.
Frost gli si avvicinò.
“Ce la faranno.”
“Lo spero.”
Il sergente Foley morì durante il tragitto.
Dunn si riprese e assunse il comando dell’unità Hunter in tempo per dare il colpo di grazia ai Serpenti del Cremlino.
L’assalto, guidato dal colonnello Marshal, vide i Rangers impegnati in prima linea a fare strada.
Ramirez, divenuto caporale, fu ferito ad un occhio. Guadagnò una benda e la Medaglia al Valore.
Frost non placò mai i demoni che lo tormentavano, ma sacrificò a loro ogni suo nemico.

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Capitolo 6
*** Nel cuore nessuna croce manca ***


Erano sul tetto.
Alle loro spalle gli agonizzanti Serpenti del Cremlino esalavano il loro ultimo respiro.
Dunn si sedette, esausto.
Ramirez lo imitò.
Frost rimase in piedi.
“Quando ho saputo della morte di Foley…”, esordì Dunn. “Ho avvertito questo desiderio dentro di me. Radere al suolo Mosca. Mattone dopo mattone, vita dopo vita. Riprendermi tutto ciò che mi hanno tolto.”
Ramirez lo ascoltava in silenzio.
“Quanti amici abbiamo perso in questa guerra del cazzo? La volontà di un solo uomo… ha provocato tutta questa distruzione.”
La città in rovina piangeva davanti ai loro occhi.
“Non voglio più andare a Mosca. Voglio tornare a casa. Anche se Mosca fosse ridotta ad un cimitero… il vuoto che sento dentro non potrebbe mai essere colmato.”
Lacrime rigarono le guance di Dunn.
Ramirez pianse con lui.
“Abbiamo risposto alla chiamata del dovere, adesso è tempo di riposare.”, disse tra i singhiozzi.
Frost guardava i due soldati.
Gli venne in mente la poesia di un militare italiano impegnato nella Prima guerra mondiale. Gli sembrò dannatamente coerente con ciò che il suo cuore e i suoi occhi stavano vivendo.

“Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
 
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
 
Ma nel cuore
nessuna croce manca
 
È il mio cuore
il paese più straziato”, recitò.

“Di chi è?”, gli chiese Ramirez.
“Di un soldato che capì tutto della guerra.”, spiegò Frost. “Finché ci batterà sangue nelle vene dovremo portare il fardello delle vite che sono state spezzate. Non abbiamo altra possibilità che andare avanti.”
Ramirez si rialzò e aiutò Dunn a fare lo stesso.
“Andiamo a casa.”, disse.
Dunn annuì.
Ramirez guardò Frost.
“Tu starai bene?”, gli chiese.
Frost sorrise.
“No, non credo, ma cercherò di guarire le ferite che porto dentro per onorare coloro che mi hanno permesso di vivere.”
Ramirez annuì, rise nervosamente.
“Non mi sembra di aver vinto.”, disse.
“Neanche a me, Ramirez.”
Lo sguardo di Frost si perse sulla Terra bruciata dalla guerra.

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