Il confine sacro

di Harriet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Confini violati ***
Capitolo 2: *** II - Molto lontano dai confini ***
Capitolo 3: *** III - Confini superati ***



Capitolo 1
*** I - Confini violati ***


Storia quarta classificata al contest di Niobe88, che chiedeva una storia dove fossero presenti la magia e tre oggetti magici a scelta da una lista), e prima classificata contest proposto da Neko Rika per storie illustrate. Che si è concluso con solo me e Crimson come partecipanti, praticamente a pari merito!^^ (qui la storia di Crimson.) Beh, insomma, io mi sono divertita a scrivere e a fotografare. Buona lettura!



Il confine sacro


I – Confini violati


Caldo. Orribilmente caldo. Una cappa di caldo a cui non si sfuggiva, l'aria ferma come un masso e il sole che pioveva addosso quasi fosse stato una colata di lava. In una giornata del genere, c'era davvero bisogno di ottemperare alle operazioni della giustizia all'aperto? D'accordo, il Krenn, il grande cortile del palazzo del Governo, da secoli e secoli era la piazza della Giustizia, era la Giustizia stessa, il luogo dove gli antichi dei avevano stabilito il fondamento delle leggi degli uomini e così via. Ma loro erano dei, e probabilmente quando avevano stabilito il famoso fondamento delle leggi non avevano sofferto tutto quel caldo, e...
- Giudice Davral, ecco il terzo imputato.
La vocetta fioca del suo segretario lo riportò alla realtà. Calda come i pensieri in cui si era perso.
- Sì.- Si passò le mani sul viso e tra i capelli chiari, tentando di scacciare il sonno e la poca voglia di trovarsi lì. - Perché è stato condotto davanti al tribunale della città?
- Ha violato il confine sacro di un tempio, il tempio di Aht sulla collina.- Piagnucolò il segretario.
Le guardie intanto gli avevano messo davanti il violatore di templi. Non era il tipico furfante che ti aspetteresti di pescare a rovistare tra i tesori di un tempio. Era un ragazzo alto e robusto, con la pelle scura e occhi e capelli nerissimi. Di etnia venian, uno degli ultimi rimasti in quella regione. Indossava una specie di tunica sbracciata viola ed era adornato da bracciali, collane e orecchini fatti di una miriade di piccole perle, sassi e pietre multicolore. Nei capelli, lunghi fino alle spalle, erano intrecciate altre perline.
Quegli ornamenti li conosceva.
- E' un Ayna.- Disse, indicando le collane che scendevano sul petto del ragazzo.
- Un che?- Biascicò una delle guardie. Ah, la raffinatezza e la cultura dei bestioni che venivano selezionati per l'esercito cittadino...
- Ayna.- Ripeté lui, paziente. - Una congrega di sapienti e maghi. I gioielli che porta ne sono il segno distintivo. Che ci faceva un Ayna in un tempio nel quale non si può entrare?
- Non risponde.- Disse l'altra guardia. - Gliel'abbiamo chiesto mille volte, ma lui non risponde.
- Giudice Davral, è chiaro che era lì per rubare.- Suggerì il segretario, che evidentemente voleva sbrigarsela in fretta.
- Eri lì per rubare?- Domandò, poco convinto. Il ragazzo scosse la testa.
- Nega, ma è chiaro che...- Si intromise ancora il segretario. Lui lo ignorò.
- Cosa ci facevi, se non volevi rubare?
Niente. Il segretario fremeva per esprimersi ancora contro quella creatura che aveva avuto la disgrazia di finire tra le mani delle guardie.
A pensarci bene, si poteva considerare un vero crimine, entrare nel tempio di una religione dimenticata da tutti, che veniva usato una volta all'anno per una buffonata di cerimonia in onore del re? Di cose da rubare non ce n'erano, in quel posto. Chissà, magari il ragazzo cercava solo un posto per dormire. Aveva un che di tenero, quel tipo. Forse era il contrasto tra la costituzione robusta e la giovanissima età. Non aveva proprio voglia di affibbiargli una pena solo per far contento il segretario.
- Lasciatelo andare.- Sospirò.
- Ma Giudice...
- Lasciatelo andare, e basta.
Mentre le guardie spingevano via il ragazzo, Kheil Davral, Giudice cittadino di Anmaad, si stirò e sbadigliò senza curarsi delle proteste del suo segretario, meditando per la millesima volta di lasciare la carica pubblica e la città e fuggire in qualche posto meno complicato. E meno caldo.

Kheil Davral aveva pensato di aver risolto la faccenda del violatore di templi, in quella torrida mattinata. Il giorno successivo, non meno caldo del precedente, scoprì che non era così.
- Ancora lui?
- Le guardie l'hanno trovato di nuovo nel tempio!- Per il segretario era davvero qualcosa di indicibile.
- Si rifiuta di parlare.- Lo informò la guardia.
- Avrà i suoi buoni motivi...- Borbottò Kheil, guardando il ragazzo. - Gli Ayna sono gente che mantiene i propri segreti.
- Vorrei ricordarvi che potrebbe essersi macchiato di altro un crimine: magia non autorizzata.- Precisò il segretario.
Ecco, ci mancava solo quello. Lui tentava di togliere il ragazzo dai guai e rischiava di procurargliene di peggiori.
- Non ha compiuto magie.- Protestò Kheil. - Non è vero? Le guardie lo hanno trovato lì dentro, ma non stava facendo niente. Gli Ayna sono anche dei sapienti. Forse era lì per studio. Qualcosa del genere.
- Io non capisco questo vostro insistere nella difesa di una congrega dalla dubbia fama e dalle motivazioni oscure!- Si scaldò il segretario.
- Ma no, no, non sto difendendo proprio niente. Solo, voglio una prova concreta dell'implicazione del ragazzo in qualcosa di veramente criminale. Se questa non c'è, per me potete rimetterlo in libertà.
- Ma... ma...
- Forza, portatelo via. E tu, ragazzo, vedi di non tornare in quel tempio, d'accordo? Colse lo sguardo dell'Ayna per un istante appena, ma quel che vide non gli piacque granché.

- Quel tempio deve proprio piacerti, eh?
Kheil avrebbe voluto sbattere la testa contro il tavolo.
- Mi permetto di farvi notare che la faccenda è diventata piuttosto seria.- Disse il segretario, affacciandosi da sopra la sua spalla. Lo sguardo puntava sull'immenso tomo dal quale Kheil avrebbe potuto divertirsi a scegliere la pena per il ragazzo. I giudici semplici, come lui, avevano molta libertà nel gestire il codice penale. C'erano alcuni suoi colleghi che trovavano la cosa piuttosto divertente. Ma lui non aveva mai sentito il bisogno di sfogare il proprio desiderio di controllo e superiorità sui disgraziati che le guardie gli scaricavano davanti ogni mattina.
- Se non mi dici cosa stavi facendo nel tempio, dovrò tenerti un giorno in prigione.- Disse, rivolgendosi direttamente al ragazzo. Il segretario fece uno squittio che voleva essere una rimostranza riguardo la sua decisione.
Il ragazzo ovviamente tacque.
- Bene. Domani a quest'ora sarai liberato. Portatelo via.
E siccome ricascarci alla terza sarebbe stato da veri stupidi, il Giudice Kheil Davral decise di cambiare tattica.

Il tempio Aht dominava il quartiere Nord della città, dalla collina su cui era stato costruito, in un tempo immemore. La collina non era così alta. Era Anmaad ad essere una piana senza un solo rialzo. Una città sul fondo di una scodella. Piena di palazzoni bassi, mura massicce, caldo e insetti. Kheil non aveva ancora capito se l'aveva mai amata.
Raggiunse il tempio piuttosto in fretta, prima del tramonto, e si trovò un posto tranquillo tra i cespugli di arbusti che circondavano la costruzione. Se davvero il loro criminale recidivo avesse ritentato la violazione del confine sacro, sarebbe stato lì ad accoglierlo. Anzi, ad osservarlo. Se un Ayna si sprecava a rischiare la vita per compiere un'effrazione in un posto del genere, forse c'era qualcosa di cui preoccuparsi.
Un'ora abbondante dopo il tramonto Kheil cominciò a sentirsi un po' meno fiero del suo geniale piano. Stava considerando di scendere dalla collina, mandando tutta quella storia dove doveva andare, quando si rese conto che all'interno dell'edificio si era appena accesa una luce. Fu questione di un istante: si spense subito, come ingoiata dal buio. E in quell'istante Kheil fu certo di aver visto qualcosa, all'interno, da una finestra. Una sagoma indistinguibile e molto, molto più alta di qualsiasi essere umano.
Kheil meditò qualche momento sui doveri civici, messi a contrasto con l'importanza dell'evitare i guai. La curiosità fece pendere la bilancia dalla parte dei doveri civici e l'uomo abbandonò il suo rifugio per addentrarsi nel tempio.
I loro antenati avevano dedicato ad Aht, divinità protettrice della purezza, un edificio alto ed elegante, una torre candida che si slanciava verso il cielo. Lungo la torre si aprivano finestre arcuate, attorno alle quali erano stati tracciati fregi d'oro e d'argento, anche se il tempo aveva cancellato parte del loro splendore. Niente a che vedere con gli edifici lineari e imponenti che nell'ultimo secolo avevano affollato la città. Entrare in quel posto era come affacciarsi su un'epoca perduta.
Kheil attraversò l'atrio del tempio e raggiunse la scala che lo avrebbe condotto al primo piano, dove si trovava la sala principale per i rituali. In essa si apriva la finestra attraverso la quale Kheil aveva intravisto la sagoma minacciosa. Adesso la sala era immersa nel buio e l'uomo non riusciva a distinguere le cose che gli stavano attorno. Forse abbandonare la sua lanterna da qualche parte, là fuori, non era stata un'idea geniale. Neppure entrare, a pensarci bene.
Il flusso di pensieri e rimpianti si bloccò quando il piede di Kheil inciampò in qualcosa di indefinito che cadde con un bel tonfo e produsse un rumore di cocci infranti.
E al rumore seguì un grido.
- C'è qualcuno?- Urlò Kheil. - Sono un funzionario del governo di Anmaad, posso arrestare chiunque sia qui per trasgredire la legge!
- Che cosa si è rotto?- Rispose una voce maschile, concitata, dal fondo del buio. Kheil si sentì un po' preso in giro.
- Ho detto che...
- Non importa chi sei. In questo momento importa solo che cosa si è rotto. Quel rumore. Hai toccato qualcosa?
- Non lo so, non ci vedo.
Un lampo verde comparve all'improvviso e subito dopo la stanza fu rischiarata dalla luce verdastra di una lucerna di coccio che brillava senza avere all'interno alcuna fiamma. La lucerna era posata sul pavimento e la sua luce inquietante mostrava i segni che erano stati tracciati con un gesso blu sull'impiantito di pietra grigia, e gli oggetti posti in cerchio al centro della stanza.
- No, no!- Esclamò una figura nell'ombra. - E' il vaso, vero?
- Eh? Ah... sì, credo di aver rotto un vaso.
Kheil si sentiva davvero stupido.
- Spostati da lì. Esci subito. Sparisci.
- Non ho intenzione di farlo, se prima non capirò cosa sta succedendo qui dentro!
A quel punto accaddero troppe cose tutte insieme. L'altro gli gridò qualcosa che suonò molto come “idiota”, ma nello stesso momento dai cocci del vaso si levò una specie di fiamma scura che guizzò in alto, e al centro della sala comparve di nuovo quella sagoma che Kheil aveva intravisto dall'esterno.
- Ma cosa...
- Vattene!
- Cos'è?
L'altro rispose una parola incomprensibile, prima di balzare al centro della sala, nella luce della lanterna.
Era il ragazzo Ayna, e ora stava fronteggiando un essere che sembrava fatto di fumo.
Il ragazzo era immobile di fronte all'avversario: aspettava una mossa, forse, mentre seguiva con gli occhi i movimenti rapidissimi della creatura, cercando di non perderla mai di vista. Kheil osservava entrambi e si domandava come si potesse sconfiggere un nemico evanescente.
A un certo punto l'essere fece un sobbalzo brusco e si gettò sul ragazzo. Lui rimase immobile, con gli occhi chiusi e la mano stretta attorno ad una delle sue collane. La creatura assunse per un attimo la forma di una specie di bestia e puntò alla gola del ragazzo. Prima che potesse arrivarci tutti i simboli disegnati a terra presero a brillare di una leggera luminescenza azzurra. La creatura si dissolse, come spazzata via da una brezza che però non c'era.
Kheil si lanciò in avanti, per raggiungere il ragazzo.
- Stai bene?
- Non entrare nel cerchio e stai attento a non rompere altre cose.
- Scusa. Ma tu stai bene?
- Sì.- Finalmente l'Ayna si rialzò e lo guardò in faccia per la prima volta. - Sei venuto di persona a scoprire cosa faccio al tempio?
- Esatto. Cos'è, tutto questo?
- Dovresti aver capito che gli Ayna non parlano delle proprie missioni.
- L'ho capito. Hai preferito farti acchiappare tre volte dalle mie gentilissime guardie e persino passare una notte in prigione, piuttosto che dire la verità.
- E allora, se l'hai capito, smetti di chiedermelo.
- Non pensi che abbia diritto di saperlo? Ho appena assistito a quel che hai fatto. Potrei incriminarti per uso non autorizzato di magia.
- Fallo.
Quell'atteggiamento lo spiazzava. Il ragazzo non era né arrogante né aggressivo. Anzi, era terribilmente dimesso. Eppure rimaneva immobile sulla sua posizione, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Quanti anni hai?- Domandò Kheil, con una certa ammirazione.
- Cambi tattica di interrogatorio?- Chiese l'altro, con l'accenno di un sorriso sulle labbra. - Ne ho diciannove.
- No. Mi chiedevo come fosse possibile avere tutta quella determinazione, per una persona che sembra tanto giovane. In effetti, a diciannove anni io sarei stato incapace di assumere un atteggiamento come il tuo.
- Non assumo nessun atteggiamento. Se vuoi essere un Ayna devi saper rifiutare i compromessi.
- Ora però dovrai accettarne uno, se non vuoi subirne le conseguenze. Voglio sapere cos'è successo qui dentro e qual è la tua missione.
Lo spiraglio che si era aperto tra i due si chiuse subito non appena Kheil ebbe assunto di nuovo il suo tono ufficiale da funzionario del governo. Ne fu consapevole. Ma non c'era altro da fare: se nella sua città c'era un problema, lui doveva capire ed agire.
- Non puoi semplicemente fidarti di me? Ti ho salvato la vita, anche se forse non lo sai. E gli Ayna concorrono soltanto al bene delle città dove si insediano.
- Lo so, ma non siete incorruttibili, e io ho il dovere di conoscere qualsiasi faccenda che riguarda Anmaad. Non voglio ripeterlo più. O mi dici cosa stai facendo qui, o ti arresto.- Portò la mano alla spada corta che gli pendeva dalla cintura. – Non sto scherzando.
Subito dopo pensò di aver appena detto la sciocchezza che gli sarebbe costata la vita. Cosa se ne faceva di una spada contro un mago? E invece vide il viso del ragazzo riempirsi di angoscia. Rimase immobile, a fissare la mano stretta sull’impugnatura della spada, senza reagire.
- Questo è sleale.- Mormorò il giovane mago, abbassando la testa. – Sai che non posso rispondere alle minacce.
No, Kheil non lo sapeva, ma fece finta di aver capito perfettamente, e iniziò ad estrarre la spada.
- Allora parla.
- Perché fai questo? Equivale ad attaccare un uomo disarmato.
Kheil intuì che quell’atteggiamento doveva avere a che fare con i principi di rispetto della vita su cui erano basati i codici etici degli Ayna. Probabilmente era loro vietato di attaccare un innocente, anche se ciò significava rischiare la vita. Avrebbe spiegato perché un mago andava in crisi di fronte a una spada.
- Se questo è uno scontro, io gioco come ritengo opportuno.- Rispose Kheil, sentendosi molto idiota in quella finta strategia. Non sapeva assolutamente dove sarebbe andato a parare.
Ma la finta strategia funzionò, inaspettatamente. Il ragazzo si accoccolò a terra, con aria sconfitta.
- In questo tempio c’è un pericolo e la mia congrega ha mandato me a sistemarlo.- Borbottò, stizzito. – Ti basta?
- No. Cos’era quel coso che... Insomma, quello.
- Uno spettro meiri. E’ come il fantasma di un fantasma. E’ una creatura fatta dell’eco di incantesimi antichi, che viene sigillata tra le pietre di un edificio. Questo posto ne è pieno. Avevo preparato questo cerchio di simboli e oggetti per proteggermi, e quando hai rotto il vaso la protezione si è spezzata.
- Come mai il tempio è pieno di questi spettri?
- E’... Il motivo della mia missione. Hai mai sentito parlare della setta dell’Onice?
- Mmm... No.
- Erano un gruppo di folli. Dei maghi oscuri convinti di poter arrivare a dominare tutta Anmaad e poi l’intera regione. Circa cinquanta anni fa costruirono un meccanismo per assicurarsi il dominio. Gettarono un incantesimo sui venti templi più importanti della regione: al termine del tempo stabilito l’incantesimo si sarebbe risvegliato e i templi avrebbero rovesciato la loro maledizione su tutte le terre. Ne sarebbe uscito un intero esercito di creature come quella che ho distrutto prima, e loro l’avrebbero comandato per conquistare tutta la regione.
- Stai scherzando? E noi avremmo vissuto per cinquant’anni sotto una minaccia del genere, senza saperlo?
- Non mi sembra che questo re e i suoi governatori abbiano mai preso troppo sul serio la magia, eh?
Kheil avrebbe voluto ribattere qualcosa di duro a quell’impertinenza, ma si trattenne. Sospettava che il ragazzo avesse ragione.
- E allora?
- Allora, tre anni dopo l’elaborazione di questo piano, il vecchio re trovò tutti i gruppi legati all’Onice e li sterminò completamente. Però il loro progetto è sopravvissuto. Qualche mese fa gli Ayna hanno ritrovato dei quaderni contenenti le indicazioni relative al progetto e abbiamo capito che dovevamo annullare l’incantesimo nei templi. Altrimenti la regione sarebbe stata devastata da un’invasione di creature magiche incontrollate.
Kheil soppesò per qualche istante le parole del ragazzo. Alla fine decise di crederci, ma non troppo, perché in fondo facevano un po’ paura.
- E quindi tu saresti venuto qui per bloccare la maledizione nel tempio di Aht?
- E’ uno degli ultimi tre templi da liberare. E se avessi trovato subito la chiave della maledizione, avrei già fatto il mio dovere senza farmi scoprire. Invece la chiave è andata perduta e le tue guardie che vengono qui a bere di nascosto, di prima mattina, continuano a beccarmi.
Kheil ingoiò il riferimento all’indisciplina delle sue guardie e si ripromise di indagare.
- Che cos'è, la chiave della maledizione?
- Può essere qualsiasi cosa. Un ornamento del tempio, una statua, un oggetto votivo... Negli altri templi l’abbiamo trovata in vari luoghi. Ha forme diverse, ma siamo in grado di avvertirne il potere, quando la recuperiamo.
- E non riesci a trovarla?
- No, e sto cominciando a temere il peggio. Che qualcuno l’abbia rubata, probabilmente per rivenderla.
- E’ assurdo! Nessuno è mai venuto a razziare il tempio di Aht!
- Questo lo pensi tu. Mancano tantissimi ornamenti, mancano gli oggetti rituali tradizionali, mancano intere statue... Si vedono i posti dov’erano prima. E’ evidente che questo tempio ha fatto la ricchezza di qualcuno. Sali ai piani superiori, nelle stanze dove sono sepolti i sacerdoti antichi, o in cima alla torre, la stanza dell'oracolo. Ci sono tombe aperte, altari devastati, bassorilievi da cui sono state staccati i listelli d'oro e d'argento...
Era sempre così commovente, scoprire dove poteva arrivare la bassezza degli esseri umani. Kheil fece un sospiro e alzò le spalle, come per dire che non ci poteva fare nulla.
- Quindi non puoi andartene da qui se non risolvi la faccenda?- Domandò ancora. Il ragazzo scosse la testa.
- Morireste tutti, se lasciassi perdere. L’unico modo di evitare guai è che io ritrovi quell'oggetto. Solo che... Temo di doverlo cercare nei mercati clandestini della magia, più che nel tempio. Se qualcuno ha capito il suo valore magico l'avrà rivenduto di corsa. Anche da solo è un veicolo di maledizioni che potrebbe interessare a molti.
- C’è qualcosa che posso fare, per aiutarti?
- Un’autorizzazione a stare qui dentro, per esempio.
- Non posso. Il tempio non è di mia competenza. Potrei autorizzarti ad usare la magia “in caso di pericolo”, secondo la legge, ma questo posto...
Il ragazzo si rialzò e gli gettò uno sguardo gelido.
- Allora dovrò stare attento alle tue guardie.
Kheil lo osservò che raccoglieva i cocci del vaso e cominciava a riavvicinarli, mormorando parole incomprensibili. Il vaso si ricompose e il ragazzo lo rimise al suo posto.
- Ehi.- Lo richiamò Kheil. – Come ti chiami?
- Eren.
- Eren, perché ci tieni tanto, a questa missione?
- Perché è quello che fanno gli Ayna. Aiutano le città dove si stabiliscono.
- Sì, ma, ci sarà qualche altro motivo, no? Insomma, va bene, gli Ayna sono buoni e tutto il resto, ma avranno un tornaconto anche loro, credo.
Eren fece qualche passo avanti e uscì dal cerchio, infuriato.
- Probabilmente ci saranno Ayna con il loro tornaconto, sì. Per quanto riguarda me, l’unica cosa che ho guadagnato per ora da questa storia è di farmi catturare dalle tue guardie. Se non ci credi, non so cosa dirti. E se vuoi arrestarmi perché sono un problema, fallo pure. Sarà peggio per voi.
- Calmati, adesso! Non voglio arrestarti. E riguardo il tuo altruismo, mi fa piacere scoprire che ci sono persone come te, in giro. Non volevo offenderti.
Eren scosse la testa.
- Non sono offeso. Solo... Stanco.
- Senti. Facciamo così. Starò dietro alle mie guardie, così avrai modo di cercare senza essere scoperto, va bene?
- Va bene. Grazie.- Il ragazzo avanzò e si tolse una delle sue collane. Era un ciondolo a forma di mezzaluna, appeso ad un cordino azzurro insieme a dieci perline di colori diversi. Lo porse a Kheil, che rimase immobile, senza toccare l'oggetto. - Prendilo. E' una protezione.
- Perché dovrei averne bisogno?
- Potrebbe succedere qualcosa. Finché non ho tolto l'incantesimo, nessuno è al sicuro, in città.
- E di tutti quanti, perché vuoi proteggere me?
- Sei stato buono, con me, quando mi hai giudicato.
- Sono stato giusto. E' il mio lavoro.
- Non sei il primo che incontro. Non tutti i giudici sono così. E per la tua giustizia, ti sono grato. La gratitudine è una delle leggi fondamentali della mia congrega. Voglio che tu tenga questo oggetto. Puoi disprezzare la magia, o non darle valore, ma io saprò che sei al sicuro.
Kheil allungò la mano e accettò il dono, titubante. Poi capì che era il momento di andarsene, prima di rimanere troppo coinvolto in quella storia.






***

Questa storia è dedicata a Shu, per tre miliardi di motivi. <3
L'immagine più grande la trovate qui. La manina è mia, il fondotinta di mia madre, il ciondolo l'ho costruito davvero dopo averlo descritto. E la foto l'ho fatta da sola, con innumerevoli difficoltà, e infatti la luce fa schifo!XD
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** II - Molto lontano dai confini ***


II – Molto lontano dai confini


La parte più complicata della sua giornata, a differenza di ciò che si potrebbe potuto pensare, non era l'esercizio delle funzioni di giudice, il districarsi tra il codice penale e il suo irrimediabile spirito di compassione, la sopportazione del segretario e della maggior parte della guardia cittadina o il confronto con i suoi superiori riguardo la sua presunta leggerezza nel giudizio.
La parte più complicata della giornata di Kheil Davral, funzionario del governo (e fiero di ciò), giudice, ex-vice capitano dell'esercito ed ex-capitano della guardia cittadina, era attraversare il mercato per tornare a casa dopo il lavoro.
Kheil non era particolarmente amante dei mercati in generale, ma quel mercato, quel maledetto mercato del quartiere Est, era un genere differente di problema. C'era qualcosa di perverso e inafferrabile, nel modo in cui gli abitanti del quartiere Est disponevano le loro bancarelle e portavano avanti i loro affari. Anmaad era una città come tante, ma tutto sommato poteva considerarsi una capitale ordinata, controllata, ben tenuta. Il mercato del quartiere Est vanificava ogni cosa. Era come fare un tuffo in un altro tempo, un tempo passato in cui la città era giovane e scalpitante di vita irrequieta. Tra i banchi e i colori di quel mercato era rimasto un che di arcaico, lontanissimo dalla quiete sonnolenta delle grandi piazze o dalla folla prevedibile che percorreva le vie del centro.
Il mercato si snodava per tre vicoli e si spandeva in due piazzette, eppure era molto più labirintico che qualsiasi altro posto della città. Ogni giorno, da mezzogiorno fino al tramonto, quel pezzo di città diventava preda di una frenesia indomabile.
La gente che frequentava il mercato sembrava deridere l'ordine e il controllo anche solo con la sua apparenza esotica: tinte insolite, fogge straniere, ornamenti che non si vedevano in altri luoghi... E poi merci impensabili per qualsiasi vendita rispettabile, ciarlatani, saltimbanchi e suonatori a tutti gli angoli, commercianti improvvisati che si spenzolavano dalle finestre per vedere al primo stupido pezzi della loro stessa casa, e così via.
Per Kheil, entrare in quel mercato era come spostarsi dai confini conosciuti, per addentrarsi ben oltre le linee nemiche. Ogni sera vi si addentrava con la circospezione del soldato, consapevole di essere in un territorio insicuro e pieno di pericoli. Pericoli sconosciuti, di sicuro ben peggiori di quelli che aveva incontrato in guerra o tra le aule della giustizia.
Nemici armati, tribunali e superiori li poteva anche gestire. Ma quella folla vociante e confusionaria, lo zig-zag tra le bancarelle, la fuga da ladri e profittatori (e perché no, le signore che lavoravano in quel campo anche di giorno), ecco, quel genere di faccende lo mettevano in crisi. Era un uomo fatto per il suo piccolo mondo di cose ben conosciute, e di certo conosceva meglio i campi di battaglia e le leggi, piuttosto che l'animo umano dispiegato nei suoi innumerevoli volti e colori lì, in quel caos insopportabile.
Quando passò davanti al banco dove una donna con un velo verde sui capelli cercava di convincere due malcapitati a comprare cianfrusaglie, non stava pensando a niente: era troppo impegnato a passare tra quella gente senza farsi contaminare in nessun modo. Il pensiero lo colpì che aveva già passato il banco di un minuto almeno. Tornò indietro, dandosi dell'idiota. Però tornò indietro.
Aveva una vaga idea di cosa fosse la merce esposta.
I due malcapitati se n'erano appena andati con diversi pacchetti e Kheil si avvicinò alla donna. Era probabilmente poco più vecchia di lui, alta e leggermente in carne, ma molto bella. Aveva gli occhi di un verde chiarissimo e lunghe ciocche scure e mosse che scivolavano fuori dal velo. Indossava una veste azzurra e verde, di taglio bizzarro, anche se i suoi tratti fisici la descrivevano in tutto e per tutto come una donna di Anmaad.
- Cosa sono questi oggetti che vendi?- Le chiese, indicando collane, bracciali, coppe, specchi, piccole borse e simili cose esposte sul banco. - Dal modo in cui li presentavi ai tuoi clienti, si direbbe che tu li consideri oggetti magici o dotati di qualche potere.
- Chi sei, tu, che mi fai questa domanda?- Rispose lei, con una voce profonda, venata da una gocci di ironia.
- Sono un funzionario del governo.
- Oh. In tal caso, sono semplicemente cianfrusaglie senza valore.
- E se non fossi un funzionario del governo?
- Potrebbero anche essere oggetti magici.
- Sai che dovrei arrestarti per truffa?
- Non ho affermato niente. Stiamo solo parlando per possibilità.- Gli sorrise in maniera perfida e deliziosa. Kheil provò il desiderio di arrestarla, per vedere che faccia avrebbe fatto. Ma probabilmente non ci sarebbe riuscito. Quella donna gli metteva quasi paura, anche se si vergognava ad ammetterlo.
- Va bene. Diciamo che sono un funzionario del governo che però non prenderà provvedimenti se sarai sincera.
- Anche i funzionari del governo hanno un lato oscuro, eh?- E se mai Kheil aveva creduto di conoscere il significato del sarcasmo, il modo in cui la donna pronunciò quelle parole riscrisse completamente la sua idea in merito.
- Non sono qui per comprare un artefatto per me. Sto cercando un oggetto in particolare, per una faccenda importante.
- Certo. E' per un tuo amico.
- Potrei arrestarti per mancanza di rispetto ad un funzionario governativo.
- Semmai, per mancanza di rispetto ad un amico di un funzionario governativo.
Perché, perché la sua esistenza doveva essere tormentata da esseri insistenti come quello?
- Mi ascolti o no? Sto cercando una cosa, ti ho detto.
- E io ne ho tante, da vendere. Guarda.- Sollevò una manciata di braccialettini dal suo banco. - Il tuo amico potrebbe apprezzare questo genere di cosa?
- Ti ho detto che...-
- Niente è come sembra, qui. Guarda questa.- La donna prese tra le dita una conchiglia appoggiata su un drappo rosso. - Se il tuo amico la compra, mi darà da mangiare per tre mesi. E' un oggetto raro.
- Smettila con questa storia e rispondimi. Tra la tua roba c'è qualcosa che viene dal tempio di Aht?
La donna rimase in silenzio, pensierosa, per qualche momento. Poi scrutò fin troppo a lungo il viso di Kheil, come per leggere il vero significato di quella richiesta.
- E' per te?- Domandò alla fine. - Senza scherzi, stavolta.
- Sai di cosa sto parlando?
- Forse. Ma non è qualcosa che si possa vendere con leggerezza.
- Lo immagino. Non è per me. Voglio solo rimetterlo a posto.
La donna lasciò passare altri istanti silenziosi, durante i quali fece del suo meglio per guardare Kheil come se si fosse appena trasformato in qualche creatura strana e disgustosa.
- Che stai dicendo?
- Voglio rimettere a posto quell'oggetto. Ammesso che sia lo stesso che hai tu. - Perché vuoi rimetterlo a posto?
- Perché non è solo un oggetto potente. E' la chiave di una maledizione.
Quella notizia sembrò sconcertarla, ma in modo diverso da come aveva colpito Kheil. Lui aveva preso il ragazzino Ayna per un esaltato. Oh, insomma, un po' continuava a crederlo anche in quel momento, che il ragazzino Ayna fosse un esaltato. La donna, invece, pareva sconvolta dalla maledizione, ma non dal fatto che esistessero cose come le maledizioni.
- E che ci fa, una maledizione in un tempio dedicato al Dio dei Puri di Cuore?- Chiese lei, scuotendo la testa.
- E' una faccenda complicata che temo di non essere in grado di spiegarti. Ma ho bisogno di quell'oggetto. Al più presto.
- Quanto presto?
- Stanotte. Te la pagherò.
- Quello era ovvio. Non faccio buone azioni gratis.
L'ironia tornò nella voce e negli occhi della donna. Kheil si domandò che razza di persona potesse pretendere di fare buone azioni a pagamento. Rifletté che in fondo anche i funzionari governativi spesati potevano far parte della categoria. E il più delle volte facevano solo finta di fare buone azioni.
- E puoi darmela?
- Non ce l'ho qui. Stasera. C'è una locanda, in questo quartiere. Non ricordo il nome, ma è conosciuta come La buona idea. Meglio che tu non sappia perché. Vieni dopo l'ultimo tocco dell'orologio cittadino e chiedi di Naima.
Ma c'era un solo motivo al mondo per cui un uomo sensato dovesse presentarsi di notte ad una locanda equivoca, per incontrare una ricettatrice di oggetti magici, il tutto allo scopo di aiutare un ragazzino membro di una congrega di pazzi convinto di dover salvare la città?

Non era una buona idea per nulla. No. Proprio per nulla. Posto del cavolo. E che avevano da guardare, quei quattro bestioni armati nell'angolo? E la danzatrice che si districava tra i tavoli gettando sorrisi ovunque? E la barista? Non l'aveva mai visto lì, e allora? E quel tipo lì dietro stava facendo oh no no no non voleva sapere cosa. No. Perché era lì? Non riusciva a ricordare come mai qualche ora prima gli era sembrata un'idea così buona.
- Cerchi qualcuno?
Una creatura piccina e scheletrica, con un ammasso di capelli scuri, l'aveva appena fermato. Gli ci volle qualche momento per capire che era una ragazzina. Era infagottata in una tunica enorme e si portava dietro un'arpa più grossa di lei.
- Uhm... Beh... Cerco... Naima.
- Non è ancora arrivata. Puoi sederti e ordinare da bere, mentre l'aspetti. La manderò da te non appena sarà qui.
- Oh. Ordinare da bere. Certo. Tu sei la proprietaria di questo posto?
- Neanche per sogno. Oppure sì. Tutti, lo siamo. Cosa vuoi bere?
Kheil arrancò verso un tavolino con due sedie e prese il suo posto.
- Acqua?
La ragazzina rise.
- Un... Una... Tisana?
- Si può fare. A modo mio. Ti fidi?
- No.
- Sei tra amici. Se sei amico di Naima non hai da temere dalla maggior parte di quelli che sono qui. Allora, ti fidi?
- Diciamo di sì.
Lei sorrise e sgattaiolò via. Lasciando Kheil a darsi dello stupido, per la millesima volta.
La cameriera improvvisata arrivò insieme a Naima. Posò sul tavolo due boccali pieni di roba indefinita e spostò la sedia per far accomodare la donna. Naima non indossava il velo e l'abito del mercato. Aveva una veste rossa assolutamente dignitosa, che le lasciava scoperte soltanto le spalle, e un piccolo diadema rosso sui capelli scuri. Di sicuro infrangeva ogni credenza che le donne fossero belle solo nella giovinezza e con poca stoffa addosso.
- Allora, signor funzionario governativo. E' un piacere vederti qui. Beviamo alla tua salute e alla tua amicizia duratura con questo posto!
- Io, veramente...
Naima aveva già sollevato il boccale e Kheil decise di imitarla per cortesia. Bevvero, e ingoiare il liquido, sebbene palesemente alcolico, non fu una brutta esperienza.
- Allora, signor funzionario.- Cominciò Naima, dopo il brindisi. - Prima di tutto, mi piacerebbe avere un nome con cui chiamarti, ma sospetto che non sia proprio felice di rivelarmelo, eh?
- In effetti...
- Ci sono tuoi colleghi che frequentano posti peggiori di questo. Almeno qui alcol, truffatori e meretrici sono simpatici, onesti e di buon cuore.
Quel discorso era un capolavoro di incoerenza ma Kheil rinunciò a farglielo notare.
- Lasciamo perdere me. Tanto non penso che tornerò più. Mi serve l'oggetto che ti ho chiesto. E' importante. Ed è una faccenda che ha a che fare con il mio ruolo pubblico, anche se potrai non crederci. E' per il bene della mia città.
- Ma io ci credo. Potrei dubitare delle parole di un collega di lavoro, ma non certo di un funzionario governativo così tenero, ingenuo e senza difese.
- ... molto lusinghiero, come ritratto.- Borbottò lui, concentrandosi su ciò che rimaneva nel boccale. Era questione di poco. Comprare la chiave, portarla all'esaltato su al tempio e poi fine fine fine fine fine.
- La chiave è questa.- Naima trasse fuori qualcosa da una borsa che aveva con sé. Un involto di stoffa che srotolò velocemente. Conteneva uno specchio di forma esagonale, piuttosto piccolo, ornato di una cornice d'argento scurito dal tempo.- Mi è stato portato da un trafficante di Anmaad. Se cerchi un oggetto che proviene dal tempio di Aht, non può essere che questo.
- Dovrò fidarmi e tentare. Quanto ti devo?
- Ti farò un prezzo di favore per le tue buone intenzioni e per la tua indescrivibile dolcezza. Quattrocento wen.
- Cosa? E' quasi quanto mi pagano ogni mese!
- E' la metà del valore di questo oggetto. E in omaggio ti offro una protezione contro le maledizioni. Non è molto sicuro portare in giro una cosa simile senza protezione.
- Non importa. Ho già una protezione. Ma tu non ti senti in colpa a commerciare oggetti pericolosi come questo?
- E' una minaccia del tipo “se non mi fai lo sconto ti arresto”?
- Sì. No. Lascia perdere. Pago e me ne vado, e ti giuro che non sentirai più parlare di me.
- Che peccato. Mi è piaciuto, fare affari con te.
- Eh, già, dove lo trovi un idiota come me?
- Guarda che ti sei portato via un pezzo raro alla metà del prezzo. Non sei un idiota. Il piacere dell'affare è puramente spirituale.
Le gettò i soldi sul tavolo con una certa stizza. Lei gli passò l'involto, senza aggiungere altro.
- Bene. Da chi devo andare, per pagare da bere?
- Offro io.
- Lascia perdere. Dimmi dove...
- Lascia perdere tu. Offro io. Vattene. Non stai bene, in questo posto, si vede. Non trattenerti oltre.- Si era fatta seria, e Kheil si sentì quasi in colpa per averla incupita in quel modo.
Mentre si alzava il ciondolo che gli aveva regalato il ragazzo scivolò fuori dalla sua tunica. La donna ebbe un'esclamazione soffocata di sorpresa.
- Te l'ha dato un Ayna, quello? E' la tua protezione?
- Sì.
Naima fece un sorriso quasi dolce.
- Penso di aver fatto bene, a fare affari con te.





***

Naima sono io, la bancarella l'ho montata con lo stendino e i copridivani di mia mamma, le cianfrusaglie sono tutte mie, la location è il mio giardino, l'autoscatto è il male.
L'immagine più grande: qui. Se vi garbasse l'idea di vedere altre foto da questo set, le trovate qui, qui e qui. Sempre me, sempre l'autoscatto. Con l'aiuto del vento.
Al prossimo – e ultimo capitolo.

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Capitolo 3
*** III - Confini superati ***


III – Confini superati


Il tempio era illuminato. Dapprima Kheil pensò che fosse normale: il ragazzo doveva essere tornato lassù alla ricerca della chiave. Poi però si ricordò della sera precedente: l'Ayna lavorava quasi completamente al buio, usando una lanterna probabilmente magica che non faceva molta luce. La cosa lo spinse ad affrettarsi.
Quando fu davanti alla porta del tempio sentì il cuore fare un balzo folle. Quelle dentro il tempio erano torce. E c'erano voci – tante voci – incuranti del confine sacro costituito dalla soglia del tempio: gridavano, furiose e prepotenti. Non riusciva a distinguere le parole ma non era difficile capirne il tono. C'era solo una spiegazione che gli veniva in mente.
Si precipitò dentro con una foga di cui non si credeva capace, volò lungo le scale e raggiunse la sala principale del tempio.
Esattamente quel che si aspettava, se non peggio.
Le sue guardie avevano avuto la bella idea di occupare il tempio, chissà per quale motivo. Non un motivo che lui avrebbe approvato, ne era certo. C'erano almeno otto membri della guardia cittadina, lì dentro. E c'era il ragazzo, incatenato e inginocchiato, mentre alcune guardie gli gridavano contro. I simboli protettivi disegnati dall'Ayna sul pavimento erano stati cancellati e gli oggetti magici disposti a terra giacevano in frantumi, sparsi per tutto il pavimento. Una delle guardie teneva tra le mani la lucerna che irradiava luce verdastra. All'ennesimo diniego del ragazzo, quando gli venne chiesto di spiegare cosa stesse facendo, l'uomo scagliò l'oggetto addosso al mago. Lui abbassò la testa e chiuse gli occhi. Pezzi di coccio schizzarono ovunque. Il ragazzo mormorò qualcosa e la pioggia tagliente si sollevò verso la guardia che aveva distrutto l'oggetto. L'uomo si riparò a malapena, coprendosi il viso con le braccia, mentre vomitava oscenità e offese. Un altro degli uomini raccolse una manciata dei pezzi che dovevano essere stati qualche artefatto magico e li gettò in viso al ragazzo.
Se per qualche frazione di secondo Kheil aveva vagamente pensato di non lasciarsi coinvolgere, fu come se quel pensiero non fosse mai esistito.
- Fermi. Fermi, tutti quanti, o ve la vedrete con me.
Doveva avere ancora un po' di autorità, perché gli otto uomini si bloccarono, muti, sconcertati dalla presenza di uno dei loro capi, in quel posto. E magari anche spaventati per essere stati colti lì dentro. Bene, che se la facessero sotto. Una volta finita la faccenda del ragazzo, Kheil avrebbe indagato su di loro, dal primo all'ultimo, e avrebbe agito di conseguenza a ciò che scopriva.
- Signore, quest'uomo si è introdotto di nuovo nel tempio! Ha violato il confine sacro!- Protestò una delle guardie.
- E voi cosa ci facevate qui?
- Abbiamo visto la luce nel tempio. Siamo venuti a fare il nostro dovere.
- Il vostro dovere, a quest'ora, è di fare la ronda altrove. Non credo a questa versione e quando sarà il momento verrò a capo dei vostri spostamenti notturni. Ora andatevene immediatamente. Il primo che emette un solo suono sarà arrestato e giudicato come il più squallido dei criminali.
Gli uomini si scostarono dal ragazzo e si allontanarono in silenzio. Solo uno di loro sembrò riflettere sull'opportunità di liberarlo e tornò indietro per sciogliere la catena che lo imprigionava.
- Signore, non vi preoccupate dei motivi che hanno spinto quest'uomo a tornare nel tempio?- Domandò una delle guardie, mal nascondendo la rabbia nella voce. Kheil lo fulminò con lo sguardo.
- Mi preoccupo del fatto che abbiate distrutto ciò che lui aveva fatto qui dentro.
- Non è giusto.- Disse un altro del gruppo. - Eravamo qui per fare il nostro dovere e siamo trattati peggio di questo criminale!
- Il vostro è un abuso di autorità, signore!
- Vattene.- La voce debole del ragazzo emerse tra il vociare confuso delle guardie in rivolta. - Vattene da qui. Stanno per arrivare. I tuoi uomini hanno distrutto la barriera. Vattene. Nemmeno la mia protezione potrà salvarti per sempre, quando si saranno liberati tutti!
- Chi sta per arrivare, Eren?- Si domandò cosa avrebbero pensato le guardie del fatto che aveva appena usato il nome del ragazzo. - Di cosa stai parlando?
- Hanno distrutto la barriera.- Eren si rimise in piedi. - Non possono...
Fu nel momento in cui cinque creature dalla pelle viscida e scura schizzarono fuori dal pavimento, che Kheil si accorse delle figure incise nella pietra sotto i loro piedi. I segni di gesso colorato tracciati da Eren andavano a ricoprire le incisioni. Una volta cancellati i segni, le incisioni erano attive. Ciò che si nascondeva sotto il pavimento era libero di uscire fuori e attaccare i presenti.
Attaccare i presenti.
- Fuggite, idioti!- Gridò Kheil, facendo cenno ai suoi uomini di correre verso la porta. Ma le guardie rimasero immobili, a bocca aperta, a fissare quella specie di lucertole alate e dotate di artigli che prendevano possesso della stanza, volando rasoterra ad una velocità incontrollabile.
- Morirete tutti.- Disse il ragazzo. Poi fu attaccato da una delle creature e dovette concentrarsi sulla magia. Con orrore, Kheil lo vide vacillare sotto un colpo artigliato e scansarsi appena in tempo, con un rivolo di sangue che scendeva giù da una spalla.
- Andatevene!- Ripeté lui. - Vi ho detto di...-
Una delle creature puntò la guardia che le era più vicina. L'uomo, abbagliato come un animale davanti al fuoco, non si mosse. La creatura balzò avanti e piantò gli artigli nel petto dell'uomo. Kheil chiuse gli occhi e sentì le lacrime dietro le palpebre. Le guardie gridarono. Qualcuno doveva essere corso alla porta, finalmente: sentì il suono dei passi. Riaprì gli occhi per vedere le ultime quattro guardie rimaste dentro al tempio che fuggivano alla stregua di pazzi disperati per tutta la stanza, inseguite dagli esseri. Al centro, Eren continuava la sua guerra, nel suo modo. Già due delle creature giacevano a terra, uccise dalla magia Ayna.
Si domandò come mai gli esseri lo evitassero. Forse era la protezione del ragazzo, il ciondolo che sentiva premere contro la pelle, sotto la tunica.
Poi si ricordò all'improvviso cos'era venuto a fare.
- Eren. Ho la chiave della maledizione. Credo.-
Il ragazzo sollevò la testa dalla lotta e la creatura gli artigliò una gamba. Eren crollò a terra, ma non si lasciò sopraffare. Gridò un incantesimo e serrò le mani attorno ad una delle ali traslucide dell'essere. L'urlo di lui si fuse con il lamento dell'essere. Dalle mani del ragazzo partì una sorta di fiamma azzurra che avvolse le ali della creatura. Una sorta di onda violacea avvolse l'essere, prima che questo si accasciasse a terra privo di vita.
- La chiave?- Gridò Eren, scrollandosi di dosso il corpo della creatura vinta. - Devi cercare il posto dove si trovava, rimetterla a posto e distruggerla.
- Distruggerla?
- Colpiscila con qualcosa. E macchiala di sangue.
- Cosa?
Il pavimento maledetto sputò fuori altre due creature, più piccole delle precedenti, con una colorazione rossastra e una sorta di corno ritorto al centro della fronte. E subito dopo arrivarono due spettri meiri, gli esseri di fumo che Eren aveva sconfitto la sera prima. Questi ultimi si gettarono su una delle quattro guardie ancora nel tempio e l'uomo sparì in così poco tempo da non lasciar capire cosa gli fosse successo. Poi una manciata di polvere piovve dall'alto sul pavimento, e tutti a quel punto capirono cosa gli fosse successo.
- Vai e distruggi la chiave della maledizione, altrimenti ci uccideranno tutti!- Gridò Eren, bloccando gli spiriti meiri con un incantesimo che li congelò, sospesi in aria, un attimo prima che attaccassero le altre guardie. - Vai. Se fai in fretta, posso controllarli. Se ne arrivano altri siamo perduti!
- Vado.- Gridò Kheil. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, come “buona fortuna” o “vedi di non farti ammazzare, scemo”, ma non ebbe il coraggio di dire altro.
Si precipitò fuori dalla sala e imboccò la scala che saliva ai piani superiori, quelli di cui aveva parlato il ragazzo, con le tombe e gli altari depredati. Lo specchio sembrava pulsare contro il suo petto, nella tasca interna alla tunica dove l'aveva nascosto. Non doveva essere difficile capire dove metterlo. La forma esagonale non era comune. Doveva farcela. Doveva a tutti i costi.
Se si fosse portato una luce, magari. Rotolò a terra, senza capire su cosa avesse inciampato. Sul più banale dei gradini, probabilmente. Portò le mani al petto, per assicurarsi che lo specchio fosse intatto, e avvertì la superficie dura e fredda, sotto la stoffa della tunica e del drappo protettivo. Tutto bene. Quasi. Come avrebbe fatto, nel buio più completo?
Disteso a terra sulla schiena, chiuse gli occhi, per calmarsi, e li riaprì lentamente. Vedeva. C'era una luminescenza violacea, attorno a lui... Portò una mano al petto e trovò il ciondolo Ayna. Scintillava debolmente, ma abbastanza da mostrargli la via e ciò che doveva trovare.
Passò in rassegna le tombe, cercando disperatamente con lo sguardo un qualcosa di esagonale che potesse contenere lo specchio. Niente, assolutamente niente. Con l'angoscia che gli stringeva la gola, abbandonò la sala, tornò alle scale e raggiunse il piano superiore. Ancora tombe, sarcofagi di marmo roseo decorati con una ricchezza sorprendente di gemme e incisioni. Niente di quel che albergava nella sala pareva essere la culla per lo specchio maledetto.
Restava l'ultima stanza, quella più in alto. La stanza dell'oracolo, aveva detto il ragazzo. Vi arrivò che non aveva quasi più fiato. Cercò attorno a sé, osservò le decorazioni di quel mondo segreto e spaventoso, carico di significati antichissimi, estranei al tempo senz'anima in cui Kheil era nato. Forse, un uomo di qualche secolo prima, pregando la divinità del tempio e confidando nel mondo invisibile, avrebbe capito subito. Avrebbe sollevato gli occhi e trovato immediatamente...
Sul muro. Il rilievo del Dio Aht. Lì, sul petto della figura di pietra c'era uno spazio esagonale. Kheil gridò, mentre le lacrime finalmente gli bagnarono il viso. Corse verso la divinità, quasi fosse stato un impetuoso fedele, e piazzò lo specchio al posto giusto. L'oggetto vi si adagiò perfettamente.
Ora doveva...
Distruggerlo.
Estrasse la spada e tentò di colpire lo specchio con la punta dell'arma, ma quello resisté. Furioso, senza pensare alle sue azioni, afferrò la spada dalla lama e colpì lo specchio con l'impugnatura. Schizzi di sangue macchiarono l'artefatto. Kheil ignorò il dolore e lo colpì di nuovo.
Quando i pezzi dello specchio vennero giù, si ricordò che il ragazzo gli aveva raccomandato di bagnarli di sangue. Fece una specie di risata di sollievo, lasciò andare la spada a terra e poi la seguì, crollando sul pavimento con il cuore che batteva tanto forte da annullare ogni altra cosa.

Tornò in sé poco dopo – o così gli sembrò. Chissà quanto tempo era passato, magari. Si alzò e fuggì dal sotterraneo. Dal piano di sopra giungevano delle voci confuse. Delle voci erano un buon segno, decisamente.
Si era aspettato di trovare i suoi uomini, aveva sperato di vedere il ragazzo e di sicuro non si immaginava che ci fosse lei.
Eren era disteso a terra e Naima gli stava fasciando le ferite. Accanto a loro c'erano i frammenti di qualcosa. Come se non ci fossero state già abbastanza cose in pezzi, lì dentro. I suoi uomini – i tre che erano fuggiti e l'unico superstite di quelli rimasti dentro il tempio – se ne stavano in disparte, muti. E menomale. Li avrebbe uccisi lui, se si fossero provati a dire qualcosa fuori posto.
- Naima, tu che ci fai qui?- Domandò, avvicinandosi alla donna. Lei gli sorrise, divertita.
- Sorpreso?
- Tu che dici?
- Comunque, ringrazia quel briciolo di senso della responsabilità che ancora si nasconde nelle profondità del mio animo da trafficante.
- Se non fosse stato per lei, non ce l'avrei fatta.- Mormorò Eren, sorridendo. - Tu e lei avete salvato Anmaad, probabilmente.
- Ma cos'è successo?- Domandò Kheil.
- La maledizione è esplosa nel momento in cui questi uomini hanno distrutto la mia protezione.- Spiegò Eren. - Era lì, in attesa di liberarsi. La rottura della mia barriera ha anticipato i tempi. Erano comunque troppe per me. Naima è arrivata appena in tempo per aiutarmi.
- Ho sacrificato il mio artefatto migliore, per questa città che non mi piace neanche.- Sospirò la donna. Raccolse qualche frammento tra le mani e sollevò il palmo verso Kheil. - Ti ricordi la bella conchiglia esposta tra la mia merce?
- Hai detto che ti avrebbe fatta sopravvivere per tre mesi, se qualcuno l'avesse comprata.
- Ed è la verità. Ma l'ho usata questa sera. Era un oggetto purificatore. Capace di spazzare via l'aura negativa di ogni incantesimo, dai luoghi. Una volta resa più respirabile l'aria del tempio, le creature hanno perso la loro forza e Eren le ha distrutte in un attimo.
- Perché sei venuta qui?- Le domandò di nuovo Kheil. La donna alzò le spalle e scosse la testa.
- Non lo so. Forse è stato il ciondolo Ayna. Se sono coinvolti gli Ayna, mi sono detta, allora è grave. Così sono venuta a vedere se c'era bisogno di aiuto.
- Non pensavo che gli Ayna fossero così tenuti di conto, nei...- Si bloccò, rendendosi conto che stava per dire “nei bassifondi”, cosa ben poco lusinghiera. Ma la donna rise. Doveva aver già capito.
- I poveri e i disgraziati riveriscono gli Ayna come amici e salvatori.- Rispose lei.
- Cosa che li rende migliori dei potenti.- Disse Eren. - Ma tu ti sei distinto. Ti sei fidato. Ti devo di nuovo la vita.
- Anch'io la devo a te, Ayna. Siamo pari.

Probabilmente gli avrebbero chiesto spiegazioni. Che lui non sarebbe stato in grado di dare.
Sospirò, guardando con una certa preoccupazione il ragazzo che osservava discretamente la sala per gli ospiti della sua casa, e Naima che invece ficcanasava ovunque senza ritegno. Per un funzionario del governo non era proprio normale portarsi a casa due sconosciuti equivoci, probabilmente rei di aver usato la magia senza autorizzazione e di una quantità di altre cose. Anche se erano lì solo per un'innocente colazione dopo un'innocente notte di lotta con i mostri.
- Credo sia il momento di andare.- Disse il ragazzo all'improvviso. - Non voglio crearti ulteriori guai.
Kheil fece cenno di sì con la testa e si tolse il ciondolo di Eren dal collo. Il ragazzo scosse la testa, quasi offeso.
- Devi tenerlo.
- Ma... è tuo.
- Te l'ho dato. Sarò più tranquillo, se saprò che sei protetto.
- Ehi, come mai ti preoccupi tanto?
Eren alzò le spalle, un po' imbarazzato.
- Non voglio che una delle poche persone oneste di questa città si metta nei guai. - Grazie del complimento.- Ed era davvero bella, la sensazione che avvertiva ogni volta che il ragazzo ribadiva quel concetto.
- Me ne vado anch'io.- Disse Naima. - Grazie per aver comprato da me, signor funzionario del governo. Torna quando vuoi.
- Non ci contare. E poi, la pianti di chiamarmi “funzionario del governo”?
- Non è carino, quando si presenta come funzionario del governo, tutto serio e così fiero del suo ruolo?- Chiese la dannata strega al ragazzo. Eren faticò a trattenere una risata.
- Vattene, prima che cambi idea sulla legalità dei tuoi commerci!- Brontolò Kheil.
- Vado.- Poi la donna si rivolse a Eren, e il suo modo di fare spavaldo e insopportabile sparì del tutto. - Ayna, ti ringrazio per quel che hai fatto. Ogni volta che vorrai, io ci sarò. E anche la mia merce. A buon prezzo, per voi.
Il ragazzo rise e scosse la testa.
- Ti ringrazio, Naima. Anche se temo che i tuoi prezzi saranno sempre troppo alti, per noi. Gli Ayna sono viandanti senza niente.
- Beh, puoi sempre chiedere al signor funzionario del governo se ti compra qualche gingillo magico, ogni tanto.
- Cosa?- Tuonò Kheil, indignato.
- Ehm...- Balbettò il ragazzo. - In che senso?
- Facciamo un patto.- Disse lei, con gli occhi che brillavano. - Tu diventi un informatore per il signor funzionario e lui in cambio ti compra i miei articoli più interessanti.
- Ma non mi sembra proprio...
- Assolutamente no!
- E' cattivo, non vuole bene agli Ayna!- Protestò lei, mettendo su un finto broncio.
- Non c'entra niente!- Si difese Kheil, sconvolto da tanta audacia. - Non accetterò mai una simile cosa assolutamente spregevole dove l'unica che ottiene qualcosa senza dare sei tu!
- Cosa vuoi che dia? Sei interessato in qualche genere di favori in modo particolare?
- Eeeeeeeeh?
- Aspettate.- Eren si mise tra i due, prima che Kheil esplodesse dalla stizza o dall'imbarazzo. - Forse ho un'idea. Io ti farò da informatore per i quartieri Sud e Ovest, mentre Naima terrà gli occhi aperti nel quartiere Est. Ogni cosa fuori posto, ogni situazione sospetta ti sarà riferita. Ti aiuteremo nelle indagini. In cambio, e solo se vorrai, potrai aiutarmi a pagare qualche artefatto che mi occorre. Se accetti, avrai guadagnato l'amicizia di tutti gli Ayna. Chi fa un patto con uno di loro, fa un patto con tutta la congrega.
- Questo vorrebbe dire che...- Mormorò Kheil, sapendo di essere già stato sconfitto senza nemmeno tentare di ribattere. - Dovrò vedere quella disgraziata di nuovo?
- Puoi anche rifiutare.- Disse Naima. - Certo, se rifiuti, potrei decidere che sei un buon obiettivo da suggerire a qualche amico truffatore.
- Ma che razza di... Ah, basta. Va bene. Tanto lo sapevo che mi sarei lasciato coinvolgere!- Piagnucolò Kheil, nascondendo il viso tra le mani. - Ora questo ragazzino mi trascinerà nei guai e quella disonesta mi finirà il patrimonio...
- Sui guai, d'accordo.- Rispose lei, seria. - Ma non ti finirò il patrimonio. Non ti trufferò mai, a questo puoi credere.
- Ah. Certo.
- Certo. Non si ingannano gli amici.
Ecco, ci mancava solo l'uscita sentimentale, per farlo capitolare del tutto.
Le gettò un'occhiataccia, sperando che la donna capisse che non era proprio convinto e diceva di sì solo perché era in vena.
- Va bene. Accetto il patto.
Naima fece una faccia orribilmente soddisfatta. Eren invece sorrise nel suo modo discreto e gli fece tenerezza. Kheil posò la mano sulla spalla del ragazzo (che sensazione sconfortante, avere circa dieci anni più di lui ed essere un ramettino tutto ossa, in confronto al fisico allenato di uno che è abituato a combattere e camminare...)
- E' bello sapere che ci sono delle persone idealiste come te.- Disse.
- Ce ne sono più di quante pensi.- Rispose Eren. - E altre lo diventano all'occorrenza.-
E in fondo aveva ragione.
- Beh, sì, anche tu sei stata... notevole.- Borbottò, rivolto alla donna.
- E tu non ti sei comportato male, per essere un funzionario del governo.
- La smetti con questa storia o no?

Kheil Davral non era un tipo che concedeva troppo ai ricordi e ai sentimenti. Ma quella sera, al tramonto, guardando verso la collina e il tempio di Aht, sfiorò il ciondolo che gli era stato regalato e assaporò dopo tanto tempo la sensazione esaltante del mondo che veniva riscritto e rinnovato dalla nascita di qualcosa che prima non c'era. Avvertì una specie di vertigine, nel realizzare quanto quelle due persone e tutta la faccenda fossero riusciti ad arrivare vicino a quella parte di anima che usava raramente. Non c'era voluto poi molto, a superare i suoi confini e raggiungerlo veramente.
E poi si sentì fiero di sé. Era riuscito a salvare la città. E tutto perché era stato onesto nel giudicare un prigioniero. Niente male, per uno che veniva costantemente deriso per la sua troppa indulgenza, per una certa ingenuità e perché non sfruttava i benefici della sua carica.
Rise di sé, ma con simpatia. Guardò di nuovo il tempio. Il dio dei puri di cuore, eh?
Beh, grazie, dio. Devi averci dato una mano tu. Aht. Posso chiamarti Aht?
Si versò da bere (un innocuo estratto di camomilla) e brindò da solo alla rivincita degli stupidi onesti.





***

Grazie di essere arrivati fin qui! <3
No, non vi dico come ho fatto l'ultima foto. Però vi giuro che questa scena è rimasta nella mia stanza per una settimana!XDDD
Immagine grande: qui. Alla prossima!

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