Quindici Uomini

di Sunnyfox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Un canto di morte ***
Capitolo 2: *** 2. Il naufrago ***
Capitolo 3: *** 3. Fuoribordo ***
Capitolo 4: *** 4. Especia ***
Capitolo 5: *** 5. Occhi ***
Capitolo 6: *** 6. Predizioni ***



Capitolo 1
*** Prologo: Un canto di morte ***


Prologo

Un canto di morte

 

''Verrò calato tra le onde;
Troverò la mia casa eterna tra i marosi e la spuma.

Addio amici miei, dunque vi lascio,
abbiamo navigato insieme sugli oceani,
sono diretto altrove, la mia rotta è compiuta, mi avvicino al porto,
il viaggio è finito.''

 

 

Era un canto quello che si udiva da lontano.

Parole sconnesse in un'eco distorta.

Non c'era vento a sufficienza perché arrivasse nitido. Il cielo era privo di nubi, una giornata tanto placida che quasi si stentava a crederci.

Rufy si era abbarbicato sulla polena non appena era stato annunciato l'avvistamento di una nave.

Non un'imbarcazione imponente. Se ne stava ferma, in mezzo al mare, le vele ammainate, le bandiere a mezz'asta. Non si avvertiva quella tipica, frenetica presenza di personale di bordo. Ma quel canto raccontava loro una storia diversa.

Qualcuno c'era e stava intonando una nenia. Lenta, malinconica; parole incomprensibili.

«È un canto funebre...» Robin si era sporta dal parapetto laterale per osservare meglio. Con i suoi poteri certe sfumature poteva coglierle da lontano.

«Stanno celebrando un funerale» persino Jimbe parve concordare. Doveva averne visti diversi, durante la sua lunga esperienza in mare. Così come Brook, che per una volta tanto se ne stava in disparte ad ascoltare quell'effimero cordoglio, meditabondo e mesto.

«Forse dovremmo fermarci o virare, non mi sembra carino avvicinarci»

Usop aveva lanciato uno sguardo a Franky che attendeva solo un cenno dal capitano in ascolto.

«Fermiamoci» ordinò questi, gli occhi puntati sulla nave ormai ben visibile dalla loro prospettiva.

C'erano alcune persone sul ponte. Non troppe così come avevano ingenuamente immaginato. Un uomo se ne stava seduto sulla balaustra, cappello stretto al petto e cantava. Il coro che seguiva era quello profondo e tetro di una manciata di uomini.

«Fa venire i brividi» Nami si era avvicinata a Chopper che, come lei, stava cercando di interpretare le parole.

«Affidatemi al freddo mare azzurro. Che lo strepitio delle onde sia il mio requiem solenne, dormirò un sonno sereno...» enunciò Sanji, affiancandoli. Si accese una sigaretta, per mitigare la solennità del momento. Sbuffò un soffio nell'aria, creando una spessa nuvola di fumo bianco «Zeff cantava tante canzoni marinaresche quando ero ancora un moccioso. Questa la conosco bene»

Un rumore alle loro spalle annunciò l'arrivo di Zoro. Non disse una parola ma si affiancò ai compagni per assistere.

Videro il gruppo di marinai trasportare sulle spalle un'asse, alla quale era assicurato quello che, da lontano, sembrava solo un sacco di iuta.

Solo quando lo fecero scivolare sul parapetto e lo sporsero all'esterno, offrendolo al cielo, al mare e al vento, si resero conto che fasciato lì dentro doveva esserci un corpo.

Probabilmente il compagno di viaggio che se ne era andato per sempre.

Il canto cessò all'improvviso e il brusio sommesso di un uomo riempì il silenzio. Pronunciava una frase di congedo, forse una preghiera.

Infine un ordine, quasi urlato, brutale, focalizzò l'attenzione di tutti e il sacco fu semplicemente scagliato in mare.

Il tuffo di quel peso morto in acqua produsse un rumore agghiacciante. Un fragore che sapeva di definitivo.

Qualcuno scoppiò in lacrime. Sembrava una donna, ma da quella distanza poteva essere chiunque, persino un bambino.

L'equipaggio tutto sulla Sunny era rimasto immobile, ammutolito dalla scena.

Nessuno di loro aveva mai assistito a una simile celebrazione. Sembrava quasi ricordar loro che certe cose sono ineluttabili.

«Dovremmo porgere i nostri omaggi anche noi?» fu la voce di Chopper a smorzare l'atmosfera. Si era arrampicato sulla spalla di Zoro per poter assistere in maniera privilegiata a quel macabro spettacolo.

«Non ho idea di cosa si debba fare in casi simili...» Nami cercò Jimbe con lo sguardo. Non era sicura che lui avesse la soluzione al problema. Ma magari qualche suggerimento, sì.

«Credo che il nostro silenzio sia l'omaggio migliore. Mai interferire nel cordoglio di pirati o navigatori che hanno perso un compagno»

«Però possiamo abbassare la nostra bandiera a mezz'asta» intervenne Rufy, che per una volta tanto sembrava aver centrato il punto.

«Mi sembra un'ottima soluzione» sorrise Jimbe che arretrò per aiutare Franky con l'operazione.

Chopper sembrava ancora scosso e fissava l'imbarcazione. L'equipaggio che lentamente si ritirava, si disperdeva sul ponte, ognuno perso nelle sue riflessioni.

«Non avevo mai davvero pensato al mare come a un cimitero...» mormorò e Zoro si volse a guardarlo appena, con il suo unico occhio buono.

Nemmeno lui ci aveva mai davvero pensato. Ma era logico, era naturale. In un mondo coperto per la maggior parte di acqua, dove le persone avevano fatto del mare la loro dimora, era normale che in mare vivessero, che in mare morissero.

«Meglio in mare che a bordo» esordì imperturbabile.

«Questo è un commento davvero insensibile, in questo momento» gli fece presente Nami, accompagnando l'affermazione con uno di quei suoi sguardi di fuoco. Ancora non le erano passati i brividi al ricordo della nenia funebre e sembrò colpevolizzare Zoro per sminuire una sensazione del tutto legittima.

«Perché, non è così?» le scoccò un'occhiata eloquente «Credo sia meglio finir divorato dai pesci che marcire in cambusa. Per non parlare della puzza»

«Sei disgustoso» si allontanò di malagrazia dal parapetto, affatto incline ad ascoltare una parola di più sull'argomento.

«Zotico di uno spadaccino, non hai rispetto nemmeno per i morti» si intromise Sanji, spegnendo la sigaretta di malagrazia.

«Non ho detto questo, torciglio del cazzo» sibilò fra i denti «Dico solo che è la soluzione più pratica»

«Tranquillo, ci assicureremo tu finisca rapidamente sul fondo del mare, quando sarà il tuo turno di schiattare»

Chopper era saltato giù dalla spalla di Zoro con un movimento convulso.

«Potete non litigare proprio adesso, per cortesia?» esclamò con aria esasperata. Aveva gli occhi lucidi e Zoro per un istante si sentì in colpa per aver provocato quella reazione. Ma non certo per aver solo detto la verità.

Il mare era un cimitero. E loro ci stavano navigando sopra.

 

*

 

Il sole era tramontato da un pezzo e il viaggio era ripreso senza particolari scossoni.

Erano passati accanto alla nave che aveva celebrato il funerale ma non avevano visto nessuno che potessero omaggiare per davvero.

A Rufy era sembrato di intravedere qualcuno, sulla coffa, ma per il resto sembrava che a nessuno fosse rimasta la forza di portare a termine i compiti della giornata. Il ponte era deserto, le vele restavano ammainate, il cadavere esausto di un veliero che non aveva la forza di riprendere a navigare. Magari si sarebbero concessi un giorno di riposo, dal lutto, dalla tristezza. Potevano dargli torto?

In un batter d'occhio la nave era tornata ad essere un puntino all'orizzonte, fino a sparire del tutto, prima del tramonto.

Brook aveva improvvisato un concertino sul ponte, dopo l'ora di cena. Avevano acceso le luci e illuminato il campo di mandarini, dando un'aria festosa alla Sunny.

Un modo, forse, per scacciare la terribile sensazione del pomeriggio.

Nessuno sembrava essere davvero in vena di festeggiamenti, ma d'altro canto non sembravano esser pronti a farsi vincere dalla tristezza.

Si cercava di celebrare la vita.

«Sanji, oggi hai detto che Zeff cantava un sacco di canzoni marinaresche» esclamò improvvisamente Chopper, approfittando di una pausa dal violino di Brook «ne conosci altre?»

Il cuoco aveva appena servito un intero vassoio di tartine e si fermò al centro della scena con aria leggera.

«Ne conosco più di quante vorrei ammettere...» disse, avvicinando il dottore per porgergli un dolce che aveva preparato espressamente per lui «Ma sono sicuro che Brook abbia un repertorio più ampio del mio»

«Yo-oh-oh, Sanji... il repertorio si arricchisce solo se qualcuno condivide le sue esperienze» lo incoraggiò il musicista, mettendosi comodo «Sono tutto orecchi. Io che di orecchie non ne ho!»

«Ti prego, Sanji! Cantaci una canzone!» lo implorò Chopper, trattenendo in mano il manicaretto come un premio.

«Non sono sicuro di avere una gran voce»

«Con tutte le sigarette che fumi...» Zoro se ne stava in disparte, le braccia intrecciate dietro la testa, accanto a uno degli alberi di mandarino. Teneva gli occhi chiusi ma era vigile e presente a se stesso.

«Non ascoltarlo, Sanji-kun» intervenne Nami «siamo curiosi di sentire le tue canzoni.»

«Dici davvero, Nami-san?!» quello sembrò lo sprone definitivo per convincerlo.

Se posizionò accanto a Brook e si allentò il nodo della cravatta. Per una volta tanto non teneva una sigaretta stretta fra le labbra.

Si schiarì la gola e dalle sue labbra uscì una sfilza di note appena accennate. Come volesse riportare alla mente la melodia della canzone. Poi, iniziò finalmente a cantare.

«Non aver paura se la tua nave è dritta, prendi coraggio amore mio, dalle schiume del mare sono tutta bagnata. Il mare era così profondo, non si poteva trovare il fondo...»

La voce di Sanji era incredibilmente vellutata. Si destreggiava su note più o meno basse, carezzandole in modo limpido. Brook aveva evidentemente riconosciuto la canzone, perché aveva preso ad accennare delle note di violino per stargli dietro, dapprima quasi timidamente, poi fino a tenergli testa in una rincorsa di note.

L'equipaggio tutto aveva cominciato a battere le mani, qualcuno cercava di star dietro a ritornello, altri si limitavano a far da chiassoso accompagnamento.

Persino Zoro aveva riaperto un occhio per godersi lo spettacolo, nonostante tutto rinfrancato da quel quadretto che sembrava aver riportato il buonumore. Il fatto che si fosse astenuto dal commentare ulteriormente la performance di quel cuoco da strapazzo diceva molto persino sul suo, di stato emotivo.

Si tirò su solo quando fu il turno di Franky di intonare il suo canto: a quanto pareva il momento musicale si era trasformato in una vera e propria sfida e lui aveva davvero bisogno di alcool per sopportarlo.

E probabilmente avrebbe portato a termine il suo intento, cullato a lungo in quell'interscambio di esperienze, se un rumore sordo fuori bordo non avesse improvvisamente catturato la sua attenzione. Nessun altro sembrava essersi accorto di niente e per un istante Zoro sperò di esserselo solo immaginato. Ma l'istinto non era una cosa a cui poteva opporre resistenza. Si decise a rimettersi in piedi, abbandonando temporaneamente, silenziosamente il luogo di festa per avvicinare il parapetto.

Si sporse appena.

A rispondere ai suoi dubbi sembrava esserci solo l'oceano, oscuro e profondo che si estendeva a perdita d'occhio. Il cielo trapuntato di stelle. La luna, luminosa e fiera, a farsi beffe di tutta quell'oscurità.

«Capisco che Sanji non ti è simpatico, ma non ti par scortese andartene, addirittura?»

La voce di Nami, alle sue spalle. Non era pronto a quell'intromissione e ne fu infastidito ma non erano tutti sul ponte a festeggiare? La sensazione di essersi distratto dalla silenziosa ricerca della causa del suo stato d'allarme.

Le fece cenno di zittirsi, scoccandole uno sguardo serio. La ragazza parve immediatamente capire che c'era qualcosa che non andava.

Si sporse dal parapetto a sua volta, al suo fianco, scandagliando i dintorni.

«Che cosa stiamo cercando?» sussurrò dopo un minuto buono di silenzio, disturbato solo dalla musica di sottofondo e dallo sciabordio delle onde a poppa.

«Ho sentito un rumore» la rese partecipe del suo stato d'animo, senza però dare ulteriori spiegazioni.

«Potrebbe esser stato un uccello? O un pesce? O semplicemente un'onda più invadente delle altre?»

«No...» sentenziò sicuro e di nuovo Nami parve credergli, non c'era davvero motivo per dubitare delle sue percezioni. Aveva visto fare a Zoro cose impensabili, fuori dalla portata di qualsiasi altro essere umano non dotato dei poteri del frutto del diavolo, non sarebbe stata sorpresa si fosse scoperto dotato di un terzo occhio. Non era il suo numero fortunato, dopotutto?

«Forse dovremmo...» ma la sua frase fu bruscamente interrotta da un uncino, che in volo andò ad agganciarsi rumorosamente proprio sotto al suo naso, rischiando di prenderla in pieno viso, di deturparla o peggio.

«Merda!» esclamò, arretrando scioccata, mentre il suono fendente della lama di una delle spade di Zoro sferzava l'aria, a decretare la fine dei giochi.

«Chi cazzo c'è là sotto?» la voce tonante dello spadaccino pose una brusca frenata persino ai festeggiamenti. Il suono del violino di Brook restò intrappolato in una stonata nota morente. L'attenzione di tutti fu catapultata in quell'angolo della nave.

Non arrivò un solo rumore, per diverso tempo; solo i respiri mal trattenuti dell'equipaggio e delle onde. Poi, all'improvviso, un pigolio implorante.

«Non f-fatemi del male, s-sono solo un naufrago» la voce che arrivò loro era debole e tremante. La corda, agganciata all'uncino, oscillava inghiottita dall'oscurità.

Poi un flash e Franky inondò di luce il povero malcapitato.

Appeso alla fune c'era un uomo: fradicio, impaurito e dall'aria poco sana. Le braccia tutte nervi, si reggevano alla fune come se ne andasse della sua stessa vita.

Zoro si rese conto che quelle mani stavano sanguinando.

 

Continua.

 

Note:

1) I testi delle canzoni presenti sono una libera interpretazione di canti marinareschi per niente frutto della mia immaginazione.

2) Mi sono tuffata nell'universo classico di One Piece senza colpo ferire. Non era proprio mia intenzione infilarmi in un'altra long, ma non sarei riuscita a raccontare questa storia in breve e mi prudevano un po' le mani. Brutta bestia l'ispirazione. Va e viene come le pare. Non so esattamente in quale arco vada ad infilarsi tutto ciò, ma possiamo semplicemente ignorare la cosa e prenderla come una delle tante avventure dell'equipaggio. La sola vera premessa è che volevo scrivere una storia di Pirati. Non credo la tirerò molto per le lunghe. O almeno spero.

Intanto salpiamo...

 

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Capitolo 2
*** 2. Il naufrago ***


Capitolo 1

Il naufrago
 

Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum per conforto!


 

 

La notte a Especia si illuminava spesso di bagliori cangianti.

Il vulcano, che svettava come un grosso gigante oscuro, fatto di pietra e zolfo, di tanto in tanto ancora si preoccupava di ricordare che era vigile e attivo. Lo dichiarava con orgogliosi zampilli di lava e singhiozzi di fumo. Lo ribadiva ostentando la sua magnificenza, con la speranza che nessuno si sarebbe mai davvero accomodato alle sue pendici.

Eppure la vita aveva trovato modo di adattarsi anche lì.

La terra scura, ricca e profumata aveva dato vita a prosperose piantagioni di fiori ed erbe aromatiche. Gli isolani erano riusciti a farne la loro ricchezza e ad avviare un fiorente commercio di spezie, nonostante la fama tutt'altro che favorevole che si portava appresso.

Dal porto fino al villaggio la strada era illuminata da una lunga scia di fiaccole e luci imprigionate in lanterne colorate. Per le strade c'era odore di incenso e spezie dalle essenze più esotiche e su ogni lato una lunga, straordinaria, colorata esposizione di botteghe dalle insegne bizzarre.

Eppure l'isola non era fatta di sole luci.

Così come la luna mostra più o meno sempre la stessa faccia alla Terra, persino l'isola sembrava voler nascondere il suo lato più oscuro. Sul lato opposto c'era una foresta che si inabissava in una fosca palude ma nemmeno lì la vita sembrava essersi fermata. Nemmeno lì l'isola sembrava trovar pace dagli insediamenti umani.

Un piccolo villaggio, dimenticato tanto dagli esseri umani quanto dalle divinità che si preoccupavano di onorare. Poche case, un recinto a tener lontano la civiltà dal loro minuscolo, esclusivo nucleo infernale.

Un ragazzo dall'aria spaurita si era fermato sulla soglia di quella che sembrava l'abitazione più riccamente decorata, nella sua dignitosa povertà. Tenuta insieme da legno marcescente e consunti mattoni d'argilla. Un tetto fatto di paglia che necessitava manutenzione. Tutt'intorno, un recinto di paletti acuminati sui quali svettavano diversi teschi di animali. Strani simboli dipinti sulle pareti.

«M-madame Dust...» la voce del ragazzino sembrò rimbombare in quel silenzio spettrale, fatto di echi distorti, di animali notturni, creature striscianti negli acquitrini, occhi vispi nei canneti e nell'erba alta.

La porta si aprì lentamente, mossa da una mano invisibile.

Dapprima ci fu solo fumo, del colore delle foglie d'autunno. Inondò il ragazzino, costringendolo a tossire un paio di secchi colpi di tosse.

«Mia madre vi manda questo» disse posando sulla soglia un cesto, coperto da una tovaglia «quindici pulcini, come avevate richiesto...»

Si allontanò di un passo, come temesse di venir inglobato da quel fumo che si arricciava in spirali mai esauste.

«Ringrazia tua madre» rispose una voce di donna all'interno. Impossibile dire con certezza da quale parte della stanza «La sua richiesta verrà presto esaudita. Torna domani».

Qualcosa si allungò dall'oscurità e diradò il fumo. Due lunghe braccia afferrarono la cesta, trascinandola all'interno.

Il ragazzino fece appena in tempo a cogliere due occhi enormi, gialli e spalancati, che per un attimo gli sembrarono implorarlo di qualcosa. L'istante successivo la porta si richiuse di schianto, facendolo trasalire.

Non ebbe bisogno di altri pretesti per allontanarsi il più velocemente possibile da lì.

Nell'abitazione la nebbia cominciava a diradarsi. Dalla cesta i pulcini pigolarono in coro.

Il vulcano gorgogliò da lontano.

«Qualcuno sta tornando...» disse una voce nell'oscurità.

Una mano tatuata e con lunghe unghie rovinate, si allungò sui pulcini e ne afferrò uno e uno soltanto.

 

*
 

L'uomo con l'uncino era stato issato a bordo.

Con sommo disappunto di Zoro che non aveva allentato nemmeno per un istante la presa sull'elsa della sua Wado e le placida diffidenza di Robin, che lo occhieggiava da lontano, pronta a intervenire in qualsiasi momento. A far da vedetta persino Franky e Jimbe, due massicci colossi, come ultimi baluardi di un possibile pericolo.

Rufy gli si era fatto incontro, cercando di spronarlo a parlare, ma quando l'uomo aveva scorto il volto scheletrico di Brook nel gruppo, aveva preso a gridare come se ne andasse della sua stessa vita.

«È tornata a prendermi! È tornata per me!»

Ci erano voluti i duri sforzi di Rufy e Sanji per tenerlo fermo e placarlo dalle convulse manovre che volevano spingerlo di nuovo fuori bordo, verso il mare. Usop si era preoccupato di trascinare via Brook, più scioccato della sua vittima: non riusciva proprio a capire cosa avesse mai potuto scatenarlo a quella maniera.

Riuscirono a placarlo solo dopo diversi tentativi e a trascinarlo in cambusa, per un rapido controllo.

Nulla di lui suggeriva davvero qualcosa di diverso da ciò che diceva di essere: solo un naufrago. Non sembrava aver più di trent'anni. Ad invecchiarlo solo la pelle scura, incartapecorita dall'acqua e da troppe giornate spese al sole. E sotto due folte sopracciglia, nere come la sua chioma, un paio di straordinari occhi verdi. Gli mancavano un paio di incisivi e il volto era affilato, scarno, quasi privo di barba, deperito forse anche a causa di un inizio di scorbuto.

Chopper si era preoccupato di medicargli le mani e le piccole ferite che aveva riportato in una non ben nota occasione; Sanji gli aveva portato qualcosa di caldo da mettere sotto i denti.

Sulle spalle teneva una coperta, ma non aveva smesso un solo istante di tremare. Come il gelo gli si fosse insinuato nelle ossa, sottopelle.

«Il mio nome è Ishmael» aveva esordito solo quando Rufy aveva cominciato a mostrare insofferenza per quei silenzi, intervallati da lunghi colpi di tosse: suoni secchi, esausti, scosse che si rincorrevano ad inseguire ossigeno, lasciandolo momentaneamente senza forze, pallido come un cencio. Sembrava aver ingerito troppa acqua di mare, i polmoni prosciugati dal sale.

«È tutto ciò che ricordo...» un'ammissione che parve non bastare a nessuno. Men che meno chi, come Nami, aveva rischiato la vita a causa di quel suo unico uncino. Non lo avrebbe perdonato tanto facilmente.

«Ricordi quello e il fatto che sei un naufrago a quanto pare...» si intromise nel discorso, guardandolo di sbieco, seduta accanto a Brook che lo scrutava, non meno impaziente degli altri, dietro quelle sue orbite oscure.

L'uomo sembrò non voler guardare nella loro direzione, il tremolio che non pareva chetarsi. Era dal loro primo disastroso incontro che non aveva fatto altro che evitare lo sguardo scheletrico del musicista della ciurma.

«Hai ragione, signorina dai capelli color del tramonto...» mormorò l'uomo, mantenendo la testa bassa.

«Nami...» suggerì lei, cercando di mantenere la calma, di non lasciarsi trascinare in quell'atmosfera lugubre, vagamente infastidita da come fosse stata apostrofata «il mio nome è Nami»

«Perdonami, non volevo arrecare alcuna offesa».

«È possibile perdere la memoria, in alcuni casi» intervenne Chopper «Rimuovere ricordi, a seguito di un profondo shock» sembrava più accomodante di tanti altri. Forse a convincerlo erano state le precarie condizioni di salute del malcapitato. Non pareva avere cattive intenzioni e, anche ne avesse avute, non avrebbe certo avuto le forze necessarie per portare a termine i suoi malefici intenti. Non nell'immediato, almeno.

«Dici che la memoria potrebbe tornargli, presto o tardi?» chiese Sanji. Preoccupato del fatto che l'uomo non sembrasse aver intenzione di assaggiare nemmeno un goccio della minestra che aveva preparato per lui.

«Difficile da stabilire. Ognuno reagisce a modo suo a certi eventi.»

«In effetti Usop di shock ne ha subiti tanti, eppure ricorda perfettamente tutte le sue strabilianti avventure» esclamò Rufy, dando una pacca sulla schiena del cecchino che cadde in avanti, andando a sbattere il viso sul pavimento, a causa della potenza messa in atto dal suo capitano.
Usop annaspò per qualche istante, prima di rimettersi dritto. Il volto, una maschera orrenda: «Ti vuoi ricordare o no che adesso al posto delle mani hai due padelle da mille chili ciascuna?!» lo aggredì, senza avere la forza di controbattere fisicamente.

«Scusami!» si affrettò a giustificarsi il capitano, saltando giù dal suo trespolo, mentre Chopper abbandonava la sua postazione dal naufrago per andare in aiuto al povero Usop che aveva preso a sanguinare copiosamente dal naso.

«Ora è qui comunque...» la voce di Zoro arrivò dal fondo della stanza: seduto accanto alla porta aperta, a prevenire qualsiasi tentativo di fuga o irruzione, nel caso l'uomo non fosse stato... solo.

Non aveva fatto altro che fissarlo, cercando anche solo un segno di cedimento, un guizzo di spavalda falsità, sembrò non trovarne e la cosa lo innervosì più di quanto si fosse atteso. Aveva una sensazione, alla quale ancora non era riuscito a dare un nome, ad individuarne l'origine.

Ma alle sue spalle c'era il rumore dell'oceano sconfinato e della fresca brezza da ponente, mentre di fronte a lui solo un uomo stanco, spaurito.

«Che dobbiamo farne di lui?»

La sua sentenza definitiva non trovò che scarsa solidarietà dalla ciurma.

«Intanto accertarci che si rimetta del tutto» lo rimproverò Chopper con in mano ancora il fazzoletto colmo del sangue del povero cecchino «e poi...»

«Especia...» la voce di Ishmael intervenne nel dibattito, debole ma chiara. Alzò lo sguardo puntandolo dritto in quello dello spadaccino con aria improvvisamente consapevole.

A Zoro parve che l'uomo stesse cercando di leggergli dentro, e quando anch'egli scrutò nei suoi occhi, avvertì di nuovo quella strana, effimera sensazione che non gli dava pace dacché lo avevano issato a bordo. Dovette fare un immenso sforzo per non abbassare per primo lo sguardo.

«So che è lì che dovrei tornare»

Quando Ishmael andò a indirizzare altrove la sua attenzione, Zoro puntò l'unico occhio sano in direzione di Nami.

L'unica che forse avrebbe potuto dare una risposta a quella imprecisa richiesta.

La ragazza si ritrovò ad annuire senza aver bisogno di spiegazioni.

«È su una delle nostre rotte. A non più di un paio di giorni di navigazione da qui...» si mise in piedi andando a recuperare una delle mappe che stava già consultando, prima dell'arrivo del naufrago «sempre che queste mappe trafugate siano precise. Ci stavo ancora lavorando»

La dispiegò sul tavolo, lasciando che i compagni ne analizzassero il contenuto, seguendo il movimento delle sue dita sulle linee tracciate approssimativamente.

«Especia... l'isola delle spezie»

«Ho già sentito questo nome. Forse in qualche leggendario racconto marinaresco» Robin si era avvicinata, scrutando la mappa distrattamente «non è quell'isola piena di cialtroni che pensano di occuparsi di arti occulte?»

Ishmael sembrò destarsi dal suo esausto torpore.

«Non di soli cialtroni...» sgranò gli occhi come avesse avuto una rivelazione «le cose che possono succedere a Especia vanno ben al di là di mere leggende marinaresche»

«Ti è per caso ritornata la memoria, naufrago?» di nuovo Zoro che si levò in piedi per tornare a osservare il mare, fuori dalla cambusa.

«No, ma di Especia ricordo cose che sembrano più un sogno che qualcosa di tangibile» si portò le mani alla testa, socchiudendo gli occhi «ma è tutto così confuso... ricordo un vulcano. Ricordo una donna»

«Ricordare una donna a me sembra un gran passo avanti, amico mio» cercò di incoraggiarlo Sanji, stringendogli una spalla.

«E ricordo...» sussurrò di nuovo, prima che la sua voce cambiasse tonalità e prendesse ad armonizzare quello che si rivelò un canto «Quindici uomini. Quindici uomini... sulla cassa del... morto»

«Io la conosco questa canzone» esclamò Rufy, trovando solidarietà nello sguardo di tutti. Sembrava che l'intera ciurma avesse riconosciuto la melodia di quella che fino a quel momento non era stata altro che una vecchia canzone popolare.

Fra le luci e le ombre della cambusa però quelle parole avevano assunto una connotazione oscura, inquietante. Ma soprattutto avevano riportato alla memoria quell'atmosfera lugubre che aveva caratterizzato il loro mesto pomeriggio, dopo aver assistito alla sepoltura in mare.

«Non una canzone...» dichiarò di nuovo Ishmael «Una maledizione».

La ciurma tutta restò ammutolita alla conclusiva piega che aveva preso il racconto, poi, una risata esplose come uno schiocco sul fondo della cambusa, deflagrando nel silenzio attonito e composto.

Decine di occhi si voltarono per posarsi su Zoro che non era riuscito a trattenersi.

«Scusate. Ma il mio corpo reagisce a modo suo, quando avverte odore di stronzate»

«Zoro!» esclamò Chopper che aveva abbandonato finalmente Usop, avanzando rissoso e claudicante al centro della stanza.

«Perché, non sembra a tutti un bel po' confuso?»

«Può darsi che lo sia, ma questo non ti da il diritto di prenderti gioco di lui...»

Zoro scosse la testa, gli sembrava perfino superfluo spiegare che non si stava prendendo gioco di lui, ma solo mostrando la sua completa sfiducia nei suoi riguardi. Gli sembrò di ricevere uno sguardo solidale solo da parte di Robin che però se ne restò in silenzio, ancora indecisa sull'esprimere un giudizio definitivo.

«Dovremmo permettergli di riposare» aggiunse il medico, indicando l'uomo che non sembrava avere le forze per reggere ancora per molto.

«E noi prendere una decisione...» Nami si era rivolta direttamente al Capitano, forse provata lei stessa da quell'inutile interrogatorio. L'unico che avrebbe potuto dare una svolta a quella serata già di per sé fin troppo singolare.

Rufy si sentì lo sguardo di tutta la ciurma addosso e per un attimo li osservò spaesato.

«Bè, se c'è davvero un vulcano...» esordì infine, a rispondere alla muta richiesta di tutti «io direi di andarci davvero ad Especia!»

Il sospiro collettivo che ne seguì chiuse definitivamente la questione.

 

*

 

Zoro si era sistemato sulla coffa. Nonostante fosse stata una serata piuttosto intensa, aveva accettato stoicamente il suo ruolo di vedetta, per quella notte.

Ma forse non sarebbe comunque riuscito a dormire: troppe informazioni, troppe stramberie per un giorno solo, per non rimuginarci su a dovere. La sensazione che ci fosse qualcosa che gli sfuggisse ancora lì, presente e martellante.

Quando udì un rumore provenire dalla scala che scendeva sul ponte non si scompose più di tanto. Sapeva che qualcun altro della ciurma avrebbe faticato a riposare, tanto quanto lui. A parte forse solo quello sconsiderato del loro Capitano.

Chi mai avrebbe potuto dormire tranquillo con uno sconosciuto a bordo che di sé non aveva fatto altro che nominare il proprio nome e quello di una maledetta isola?

«Vuoi un cambio?» la voce di Nami arrivò prima che entrasse nel suo campo visivo quella sua chioma color del tramonto, così come l'aveva apostrofata Ishmael solo poche ore prima. Curioso come non ci avesse mai pensato prima. Se doveva associare un colore a Nami, sarebbe stato quello dei mandarini inondati dal sole, non certo quello del sole morente.

«Non è il tuo turno» le disse, raccogliendo le gambe per permetterle di non inciampare mentre si issava con lui sulla postazione.

«Lo so. Li faccio io i turni» si prese la responsabilità di quell'affermazione «ma visto che non riesco a prender sonno, mi chiedevo se volessi andare a dormire»

«Sto bene. Puoi tornare a... fare quello che stavi facendo giù.»

Nami gli lanciò uno sguardo tagliente, forse un po' offeso, ma gli si sedette di fronte comunque, ignorando la sua pseudo proposta.

«Alle volte mi chiedo se ti ci impegni a far girare le palle alla gente o se ti viene proprio così: naturale»

«Non sono responsabile di come le persone percepiscono le cose che dico»

«Potremmo andare avanti per ore con questa conversazione e non uscirne fino all'alba ma non ne ho voglia»

Zoro le rivolse un solo, breve sguardo, prima di tornare a rivolgerlo verso il mare.

«A quanto pare Rufy ha deciso di riportare Ishmael a Especia»

«Lo so. C'ero anche io mentre lo diceva»

«Sì, bé, credo lo faccia più che altro perché non vedeva l'ora di imbarcarsi in una nuova avventura e forse il mistero di quell'uomo ha affascinato un po' tutti. Persino Sanji sembrava eccitato all'idea di approdare in un posto del genere, probabilmente attirato dalla fama delle loro spezie...»

«Nominami una sola cosa che non ecciti quello svitato.»

Nami lasciò cadere l'argomento.

«Non ti fidi di quell'uomo, non è così?» gli chiese allora, la domanda era diretta, aveva provato a girarci attorno senza riuscirci. Ma Zoro non aspettava altro.

«No»

«Perché? Chopper sembra sicuro della sua diagnosi»

«Plausibile, certo. Non fosse per quell'improbabile dettaglio della maledizione.»

«E tu non credi alle maledizioni»

«Lo sai che non ci credo»

Nami annuì, sbirciando le spade che aveva posato al suo fianco. Le portava con sé persino quando dormiva. Forse la sua Wado la teneva stretta a sé, durante la notte. Non aveva maneggiato anche delle spade maledette? O che possedevano uno spirito indipendente? Gliene aveva parlato una volta, in una conversazione che si era persa fra i fumi dell'alcool. Non aveva approfondito, in seguito.

«Anche Robin ha i suoi dubbi» disse allora «E... anche io»

Zoro adesso le stava rivolgendo tutta la sua attenzione. Non si era certo illuso di essere l'unico a non credere al racconto dell'uomo ma trovare l'appoggio di Nami, per una volta tanto, sembrò confortarlo.

«A partire da come abbia fatto ad aggrapparsi alla nostra nave e farsi trascinare per tutto il giorno senza che ce ne accorgessimo o senza morirci malandato com'è...» disse, guardandolo dritto negli occhi «e al fatto che non abbia pensato fosse importante farcelo sapere»

La logica della ragazza gli strappo' un sorriso.

«Immagino dovremo tenere gli occhi aperti, allora» le rispose, intrecciando le mani dietro la nuca «me ne farebbe comodo uno in più»

Nami sgranò gli occhi, era forse la prima volta che lo sentiva scherzare su una cosa del genere. Su una delle sue cicatrici. Nemmeno le era mai capitata l'occasione di chiedergli come lo avesse perso il suo occhio sinistro. Nemmeno le era mai passato per l'anticamera del cervello di farlo, in effetti. Probabilmente uno dei tanti misteri che si sarebbe portato appresso per sempre.

«Considerami il tuo occhio di scorta...» gli rispose, rimettendosi in piedi, pronta a lasciarlo solo e tornare alle sue mappe, a stabilire la nuova rotta, ora che alcuni dei suoi dubbi erano stati sedati.

Zoro la seguì con lo sguardo senza augurarle la buonanotte.

 

Fu solo verso le tre del mattino che il vento parve cambiare.

Quando tutto si era fatto davvero silenzioso e tutte le luci interne della Sunny si erano spente.

Zoro si levò in piedi per ascoltarne il mormorio, per osservare l'increspatura delle onde sulla carena, lo spostamento delle vele.

Ma una sensazione di vuoto terribile ed oscuro s'impossessò di lui, quando da lontano gli parve di avvertire le note di un canto.

Serrò le mani al parapetto della coffa, scandagliando i dintorni, non meno di come aveva fatto solo poche ora prima. E fu di nuovo quel maledetto naufrago che individuò sul ponte, il busto sporto in direzione del mare.

Cantava di nuovo quella canzone come attratto da qualcosa verso l'oscuro nulla.

«Che diamine sta facendo?» bisbigliò rabbioso, improvvisamente allarmato.

«Ehi!» lo richiamò, la voce che veniva inghiottita dal vento. Combatté insensatamente con se stesso per vincere la ritrosia a spostarsi da lì. Come il suo corpo avesse deciso preventivamente di evitare quel confronto. Poi si forzò di scendere le scale con solerzia e attraversare il ponte con ampie falcate.

Afferrò il braccio dell'uomo prima che potesse arrampicarsi sul parapetto.

«Devono piacerti parecchio i tuffi in mare!» esclamò senza trovare davvero altro da dire a quella scena da manuale.

Ishmael si dimenò per un solo istante, prima di realizzare che si trovava di fronte allo spadaccino. I suoi occhi sembrarono ridestarsi dalla nebbia che li avevano offuscati solo l'istante prima.

Zoro riconobbe gli occhi di un sonnambulo. Quando era ancora un cacciatore di taglie aveva condiviso spesso una stanza per la notte con Johnny e Yosaku. Uno dei due fratelli soleva levarsi dal proprio giaciglio e camminare in circolo per la stanza, blaterando stupidaggini con quegli stessi occhi, velati dal sonno. Yosaku si assicurava di non svegliarlo mai bruscamente, di riportarlo a letto e convincerlo a tornare a dormire.

Si chiese se non avesse fatto una grande stupidaggine, svegliandolo.

Ishmael era arretrato dalla quella presa, da quel risveglio atterrito. Si guardava attorno come se non avesse la benché minima idea del perché si trovasse lì.

«È tutto a posto, Ishmael» gli parve che chiamarlo per nome fosse la soluzione migliore per tenerlo ancorato alla realtà «stavi solo sognando. Sei ancora sulla Sunny. Ricordi?»

L'uomo ansimò qualcosa a mezza bocca, prima di focalizzarlo, e di focalizzare i dintorni. Sembrò placarsi lentamente, sebbene il volto fosse ancora pallido e gli occhi infossati e persi in luoghi remoti della sua stessa mente.

«Ti riaccompagno dentro. Dovresti tornare in cabina a riposare»

«Riposare. Forse è quello che avrei dovuto fare... per sempre...» gli rispose in modo ambiguo.

«Di che diavolo stai parlando?» lo guardò dritto in volto, avvertendo di nuovo quel paralizzante, gelido terrore, al suo cospetto.

«Di qualcosa che hai visto da vicino anche tu. E che probabilmente ha visto anche l'uomo scheletro che vi portate appresso. Ve l'ho letto addosso. Come il residuo di qualcosa che vi si è insinuato dentro»

«Non riesco a seguirti.»

«Parlo della Morte, spadaccino. La Morte»

Zoro realizzò, finalmente, dove avesse già avvertito quel respiro glaciale in grado di far fremere persino le sue solide ossa.

 

Continua.

 

Note:

Ci ho messo un po' a cacciar fuori questo capitolo perché da quando ho ripreso a scrivere sono precipitata nel classico, tremendo, blocco dello scrittore. Ho scritto e cestinato queste pagine più volte di quante voglia ammettere, ma alla fine eccoci qui.

Sono sicura che qualcuno di voi avrà colto la citazione sul nome del naufrago: Ishmael o Ismaele.

«Chiamatemi Ismaele» famosissima intro dell'ancor più famoso romanzo: Moby Dick. No, la storia non c'entra nulla con balene bianche e capitani ossessionati ma mi diverto a inserire minuscole citazioni marinaresche. Così come la canzone dei Quindici Uomini. Devo citare davvero L'isola del Tesoro? Vediamo quante riesco a sgraffignarne in giro, prima di finire le risorse.

Alla prossima.

 

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Capitolo 3
*** 3. Fuoribordo ***


Capitolo 3

Fuoribordo

 

''Bella, se il mar m’inghiotte tu vedi a sera

Una colomba bianca venir leggera''

 

 

La Sunny ebbe un sussulto imprevisto.

Nami alzò di scatto la testa dalla scrivania su cui si era addormentata e capì che quello non era solo il risultato di un'onda anomala.

Aveva tenacemente tenuto duro fino a tardi, esaminando carteggi, analizzando rotte per Especia, ma alla fine l'oblio aveva avuto la meglio. Nonostante tutti i suoi propositi di vegliare, di tenere sotto controllo ogni movimento sospetto, ogni singolo scricchiolio della nave.

L'idea che ci fosse solo Zoro a vigilare sulla loro incolumità di solito la faceva sentire al sicuro, ma la verità era che dormire sotto lo stesso tetto di quello strambo individuo aveva disintegrato inspiegabilmente quella granitica certezza.

La prima impressione al suo risveglio fu che ci fosse stato un significativo mutamento nell’aria. Lo sentiva serpeggiare sulla pelle, lungo la spina dorsale.

Si levò in piedi, ancora un po' offuscata dal sonno. Traballò fuori, in corridoio, insospettita dal fatto che sembrasse essere l’unica ad essersene resa conto. Era tentata di andare a svegliare Robin, di chiamare a gran voce il capitano, ma la verità era che non era certa di voler allarmare l’intera ciurma per una sensazione.

O così almeno pensava. Quando aprì il portellone che dava sul ponte della nave stentò a credere ai propri occhi: sullo sfondo di una notte non ancora del tutto smaltita, il bilico fra le tenebre e i bagliori del sole nascente, si stagliava la sagoma di un'isola. A svettare sopra di essa quella che aveva tutta l'aria di essere un vulcano.

«Non può essere…» le uscì in un sussurro.

Riconobbe Especia solo grazie ai racconti fatti da Ishmael la sera precedente.

Adocchiò il Log Pose: uno degli aghi che, stabile e ostinato, indicava la direzione. La meta a un passo dall'essere raggiunta. Ma non poteva essere corretto, i suoi calcoli non potevano essersi allontanati tanto clamorosamente dalla realtà. Era un errore da principiante che non era disposta ad ammettere.

A meno che... non fossero i carteggi ad essere imprecisi. La triangolazione delle mappe che aveva con sé di quella zona, a dover essere riviste. Ridisegnate.

Si stava ancora interrogando sulla probabilità che quella fosse solo un'allucinazione, o a razionalizzare l'errore, quando un boato sembrò esplodere dalle profondità della terra, come il rumore di una frattura. Vide gli sbuffi di fumo del vulcano fremere impazienti fra celati zampilli di lava e l’istante successivo persino il mare rispondere a quegli stimoli con onde che andavano a inseguirsi una dopo l’altra, per infrangersi poi sulla Sunny.

La definitiva scossa di rinculo fu così potente che per poco non la scaraventò a terra. Si aggrappò allo stipite della porta, faticando a restare in piedi.

«Nami!» la voce di Zoro la raggiunse dal fondo del ponte e solo allora si accorse di non essere sola. Lo cercò con lo sguardo, ma non era lo spadaccino ad essere entrato nel suo campo visivo. Era Ishmael colui che le stava correndo incontro. Con una determinazione e una sproporzionata ferocia nello sguardo. Sfuggito al controllo di uno Zoro che non aveva affatto previsto quella svolta, l'uomo le si abbatté addosso con una forza che non sembrava appartenergli, con quei muscoli appena aggrappati alle ossa che lo tenevano in piedi a stento; ancora prima che se ne rendesse conto si sentì sballottare dall'ennesima scossa, trascinare lontano dalla porta e poi precipitare nel vuoto, giù dal ponte della nave, le braccia dell'uomo ancora saldamente aggrappate a lei.

A seguire ci fu solo il gelo del mare e un oscuro oblio di schiuma e vortici d'acqua ad avvolgerla.

Due occhi gialli, enormi e sgomenti furono l'ultima cosa che vide, prima di lasciarsi andare all'oscurità.

 

Si era svolto tutto così rapidamente che Zoro non ebbe nemmeno il tempo di attuare una strategia di difesa. La mano all'elsa della sua spada, ma nessuna possibilità di capire come o su chi usarla.

Ishmael che sfuggiva al suo controllo, la scossa di terremoto e Nami sulla porta della cambusa.

Tre elementi del tutto casuali che avevano portato a quella che gli sembrò una combinazione ingestibile.

E poi Nami era sparita fuori bordo con quel naufrago maledetto, mentre un'onda più alta della Sunny stessa si avvicinava come una muraglia alle loro spalle e le luci all'interno della nave si accendevano, una dopo l'altra. La ciurma definitivamente conscia del pericolo.

Gli rimase così poco tempo per pensare, che prese la decisione più istintiva, pericolosa e stupida: saldò le sue spade alla fusciacca e con uno slancio si tuffò in mare, sparendo fra i flutti, esattamente nello stesso punto in cui erano spariti navigatrice e naufrago.

 

*

 

«Che diavolo significa che Nami è scomparsa?!» Sanji si era affacciato al parapetto della nave, il mare tornato tranquillo.

Franky e Jimbe erano riusciti a mantenere salda la Sunny, a farle cavalcare le onde e portato in salvo la sua scocca e tutti i membri della ciurma.

Tutti tranne gli unici che non erano riusciti a trovare: Nami e Zoro.

Nemmeno di Ishmael c'era più traccia.

«Possibile che nessuno si sia accorto che non era qui con noi?» gridò di nuovo, volgendosi come una furia quando Usop e gli altri erano tornati dall'ennesima, meticolosa ispezione della nave.

«Nami non ha toccato il suo giaciglio, c'erano ancora tutte le sue cose sparse sulla scrivania, e nel suo studio la luce era ancora accesa» intervenne Robin, le mani a raccogliere freneticamente i suoi capelli, ancora fradici dopo la doccia di acqua di mare.

«E di quell'incapace del marimo?» esclamò di nuovo Sanji. La sua voce tradiva certo rabbia, ma anche una sorta di segreta preoccupazione anche per le sorti dello spadaccino.

Possibile che entrambi fossero evaporati nel niente? Caduti in mare senza spiegazione? Nemmeno l'ispezione subacquea di Franky aveva dato alcun frutto.

«Ishmael non era con noi quando siamo stati svegliati dal maremoto» disse Usop, pallido come un cencio.

«Zoro non si fidava di quel tipo» piagnucolò Chopper osservando l'isola di Especia. Ormai erano arrivati tanto vicino da potergli orbitare attorno. Jimbe stava cercando un attracco sicuro «Avremmo dovuto ascoltarlo...»

Sembrava ora il più incline a condannare l'estraneo che solo poche ora prima aveva difeso a spada tratta: probabilmente si sentiva in colpa.

«E che differenza avrebbe fatto?» si intromise Franky, che cercava di tenere per sé il beneficio del dubbio «lo avreste rispedito in mare?»

«No, ma forse avremmo dovuto prestare più attenzione alla sua presenza sulla nave» gli rispose Chopper che rivolse il suo sguardo in cerca di approvazione al capitano che se ne restava in disparte, lo sguardo perso in direzione dell'orizzonte, del mare sconfinato, dell'alba nascente.

«Zoro è forte, Nami non si perde mai» la voce di Rufy si espresse con sicurezza, ma senza quella leggera spavalderia che lo contraddistingueva «stanno bene»

Da dove arrivasse quella certezza nessuno riusciva a capirlo, ma erano certo parole che nessuno di loro avrebbe mai messo in dubbio.

Lo guardarono voltarsi nella loro direzione, le braccia intrecciate al petto. Sembrava più indispettito che preoccupato. Chi lo conosceva bene avrebbe potuto intuire facilmente il perché: una persona a cui aveva dato la sua fiducia lo aveva tradito. Ingannato. Colpevole... fino a prova contraria, certo. Ma non sembrava affatto disposto a concedere altro che quello a chi si era probabilmente reso responsabile della sparizione della sua navigatrice e del suo spadaccino. In buona fede o meno.

Sembrò sul punto di aggiungere altro ma qualcosa catturò improvvisamente la sua attenzione.

Persino la sua espressione cambiò, quando sembrò adocchiare qualcosa a prua della nave.

«Che cavolo sono quelli?» esclamò, saltando giù dal parapetto su cui si era arrampicato, per attraversare in corsa l'intero ponte della nave e sporgersi dalla parte diametralmente opposta.

Il resto della ciurma non si fece pregare per seguirlo, incuriositi dalla medesima anomalia.

I faraglioni che si addossavano all'isola erano ricoperti da tavole di legno, ognuna di esse svettava più o meno insistente con un messaggio ben preciso: Non vogliamo pirati.

A suggellare quella richiesta, proprio sotto l'incurvatura di uno degli scogli, tre cappi di corda ormai consunta e marcescente, sorreggevano per il collo quelli che sembravano ormai i cadaveri putrefatti e parzialmente scheletrici di quelli che dovevano essere stati uomini, non molti mesi prima. Agghindati a spregio come classici filibustieri, persino lo scheletro di una scimmia a penzolare accanto all'ultimo, impiccata non meno impietosamente di come era toccato ai tre compari.

«Che spettacolo disgustoso» singhiozzò Chopper nascondendosi dietro a Robin.

La nave passò loro accanto, così vicino che poterono quasi sentire l'olezzo delle loro carni in putrefazione, osservare nell'oscurità delle loro orbite ormai vuote. Quando si posò un gabbiano sulla testa ormai calva di uno dei tre e prese a becchettarlo, come a farci banchetto, Usop dovette scappare per evitare di rimettere di fronte a tutti.

«Chi diavolo può aver pensato che questa fosse una buona idea?» esalò Sanji che per esorcizzare quella vista non fece altro che accendersi una sigaretta, distogliendo rispettosamente lo sguardo.

«Qualcuno che voleva far passare un messaggio ben preciso» Jimbe gli si era avvicinato, osservando ora quell'isola come qualcosa di ben poco accogliente, nonostante le premesse fatte solo la sera precedente da Ishmael. Il vulcano ancora fumante che ora svettava come una minaccia più che come un eccitante diversivo alla navigazione. E le pareti insormontabili di scogliere che facevano da muraglia respingente a chiunque volesse avvicinarsi.

«Che i pirati non suscitassero simpatia, questo lo sapevamo dal giorno zero in cui ci siamo imbarcati» esalò Franky «ma che si arrivasse a tanto per far recepire un messaggio... mi pare una soluzione di pessimo gusto.»

«Li abbiamo superati?» domandò Chopper, la testa ancora affondata su una delle gambe di Robin.

«Ce li stiamo lasciando alle spalle» lo rassicurò la donna, dandogli un docile buffetto in testa.

«Erano raccapriccianti» sbuffò a riprender fiato, congestionato dal ribrezzo «Brook non è mai stato così spaventoso, per dire»

«Grazie per il complimento» rispose lo scheletro che, nonostante l'abitudine di specchiarsi ogni giorno e ritrovare un volto scheletrico, non sembrò comunque particolarmente felice di assistere a quel tipo di spettacolo.

Sembrava che la morte fosse l'insolita e costante protagonista in quei giorni. Un presagio che non suggeriva niente di buono.

«Se queste sono le premesse dovremmo cercare un posto sicuro dove attraccare la Sunny, lontano da occhi indiscreti» suggerì Jimbe, con lo sguardo a cercare di nuovo un silenzioso Rufy.

«Credo anche io sarebbe meglio evitare di farci riconoscere» concordò Sanji «la nostra priorità è quella di ritrovare Nami-san» non dovette specificare che il discorso era esteso anche allo spadaccino che mai e poi mai avrebbe nominato in modo esplicito.

Rufy salì di nuovo sulla balaustra.

«Attracchiamo e andiamo a riprenderceli» decretò con voce ferma e decisa.

Puntò lo sguardo sulle tre sagome che andavano a nascondersi lentamente dietro la muraglia delle scogliere, il pensiero rivolto ai compagni perduti.

 

*

 

Zoro si svegliò annaspando.

Le labbra intorpidite dal sale e la gola riarsa. Riemerse dalla sabbia, trascinandosi dietro un ciuffo d'alghe che gli si era aggrappato ai capelli. Il movimento fu tanto brusco che gli provocò un conato; dovette voltarsi di lato per vomitare quella che aveva tutta l'aria di essere solo acqua di mare e schiuma. Restò placidamente a osservare il suo disgustoso operato, prima di riprendersi e rimettersi a sedere pesantemente sulla spiaggia, ora inondata dal sole.

L'unico occhio buono, accecato dal candore di quella sabbia color avorio.

Ci mise qualche istante a ricomporre la serie di ricordi che lo avevano condotto lì. Gli sfuggiva qualche dettaglio, ma sapeva di essere finito in mare per recuperare qualcuno ed era stato trascinato via dalla corrente.

Sott'acqua non era stato facile individuare chicchessia. Le onde avevano smosso un fondale che rendeva difficile vedere sotto la superficie. Ma ad un certo punto era stato sicuro di aver afferrato qualcuno, di aver stretto la presa, di aver cercato disperatamente di raggiungere la superficie.

Ma i convulsi sballottamenti delle acque e le correnti provocate dalle onde che tornavano a inabissarsi, creando vortici scomposti e impossibili da attraversare, gli avevano fatto perdere il raziocinio.

Gli avevano insegnato fin da bambino che doveva nuotare in direzione delle bolle, nel caso avesse perso orientamento sott'acqua. Che avrebbe dovuto spingere coi reni, per risalire in superficie, trattenere il fiato e lasciarsi trasportare verso l'alto. L'unica direttiva che gli riusciva semplice eseguire. L'istinto che lo portava alla sopravvivenza.

Era certo di non aver lasciato la presa, quando i polmoni avevano raggiunto il massimo della sopportazione. Era certo di averci provato fino all'ultimo quando un agglomerato di scogli li aveva accolti nel loro spigoloso abbraccio e sospinti avanti e indietro per diversi metri, lacerando carni e ossa, strappando silenziosa grida di dolore.

Solo allora aveva incanalato troppa acqua, nel disperato tentativo di respirare. Buffo come avesse pensato che sarebbe stato molto più semplice saper respirare sott'acqua come facevano gli uomini pesce. Buffo e singolare come il suo ultimo pensiero fosse stato rivolto proprio a Jimbe, mentre perdeva definitivamente i sensi e la sua mano lasciava quella di Nami.

 

Fu istintivo assicurarsi di avere ancora con sé le katane.

Lo sguardo cadde sulla fusciacca a cui era ancora annodata la sua Wado Ichimonji, e ne ebbe immediato sollievo. Spinse lo sguardò poco più in là, ritrovando anche le altre due che avevano tentato una fuga, prima di capire che forse non ne valeva davvero la pena. Che lo spadaccino era ancora destinato a portarle lontano.

Cercò di rimettersi in piedi per recuperarle. Una sferzata di dolore lo prese alla sprovvista, facendogli piegare di nuovo la schiena in avanti. C'era sangue rappreso un po' ovunque, tagli sulle braccia, sul viso, ma non si diede la pena di capire quali ossa fossero ancora sane e quali malandate. Era in piedi sulle sue gambe ed era più che sufficiente.

Gli pulsava la testa, ma quello era sicuramente dovuto alla momentanea mancanza d'ossigeno e tutta l'acqua di mare che aveva ingerito.

Si trascinò lungo la spiaggia, recuperando le spade, mentre con lo sguardo scandagliava i dintorni per orientarsi, per capire dove fosse finito. Per capire se fosse solo.

Chilometri di spiaggia bianca si estendevano fin dove riusciva a spingersi lo sguardo. Lontano, verso l'orizzonte, il mare e il cielo erano blu cobalto. A delimitare la spiaggia, da una parte una maestosa scogliera e dall'altra, alle sue spalle, una fitta boscaglia che nascondeva il resto dell'isola. Sopra tutto svettava la punta di quello che sembrava un vulcano.

E solo a pochi metri di distanza, una sagoma distesa a terra, in parte coperta dalla sabbia che era stata smossa dal vento.

Cominciò a camminare lungo la spiaggia, lentamente all'inizio e poi sempre più rapidamente. I vestiti ancora parzialmente inzuppati che non facilitavano i movimenti, la sabbia che trascinava a fondo i suoi stivali pesanti.

«Nami!» chiamò senza doversi interrogare troppo. Non poteva essere altri che lei, non avrebbe accettato nessun altro che non fosse lei.

Riconobbe i suoi vestiti e poi il colore dei suoi capelli ancora fradici che, come i tentacoli di una piovra, le ricadevano sul viso, nascondendolo.

Incespicò sui piedi, cadendo poi sulle ginocchia, proprio accanto a lei.

«Nami» la richiamò di nuovo, afferrandola per le spalle, nel tentativo di risvegliarla. Le scostò i capelli dal viso, come non fosse del tutto persuaso di averla trovata. Era pallida, le labbra erano cianotiche e aveva un orribile taglio sulla fronte che andava certo sistemato in qualche modo.

«Nami, svegliati» disse perentorio, dandole un buffetto sul viso che ritrovò gelido come il ghiaccio, sotto le sue dita.

«Non fare scherzi, svegliati!» rincarò la dose, scuotendola ancora, adesso più bruscamente. Di nuovo non ottenne alcuna reazione.

Una sensazione orribile si impossessò di lui, nel momento in cui realizzò di aver già visto quel pallore. Di aver già ritrovato nel volto di qualcun altro, quel definitivo, placido abbandono.

 

Per un istante si ritrovò nei suoi ricordi di ragazzino.

Ad osservare un fazzoletto che scivolava dal volto esanime dell'unica vera amica che avesse mai avuto. Non era previsto succedesse, non era previsto lui la vedesse. Ma per la prima volta in vita sua ebbe chiaro cosa significasse quella tanto odiosa, definitiva parola. Cosa significasse osservarne il volto cereo e anonimo. La maschera mortuaria di un corpo che ormai non era che l'involucro svuotato della sua essenza.

 

Avvicinò di nuovo tremante le dita al viso di Nami, le lasciò scivolare sul collo, vicino alla giugulare, così come gli aveva insegnato Chopper, un giorno in cui aveva deciso di spiegar loro alcune tecniche di primo soccorso, dopo l'ennesima caduta in mare del loro sconsiderato capitano. Sotto al collo, è il modo migliore per accertarsi se ci sia ancora battito. Gli sembrò di sentire la sua vocina, suggerirgli.

Tenne le dita premute a lungo, cercando le pulsazioni delle sue vene, concentrandosi per avvertirle, per quanto la situazione glielo concedesse. E poi, a sedare le sue preoccupazioni, avvertì una pulsazione, debole quando il frullio delle ali di una farfalla. Sperò ardentemente di non aver solo preso un abbaglio.

Ora il respiro.

Zoro avvicinò il volo a quello della ragazza, cercando di avvertire il suo alito caldo. Percepì solo un leggero sibilo, molto più debole del battito del suo cuore.

«Perché è così pallida?» chiese a nessuno in particolare, forse a cercare suggerimento alla vocina di Chopper nella sua testa.

La trascinò su a sedere, e di nuovo la schiaffeggiò brevemente, prima di prendere fra le dita il suo naso e stringere.

Ma che diavolo stai facendo?!

«Non lo so, sto andando per tentativi!» esclamò in direzione della sua coscienza.

Ma in qualche modo doveva aver scatenato un processo insolito perché non fece in tempo a lasciarla andare che sentì Nami riprendere bruscamente fiato, annaspando dalla bocca: un'esplosione nel silenzio statico di quella spiaggia silenziosa. La ascoltò tossire a più riprese, mentre dalle sue labbra uscivano rivoli di schiuma. I suoi occhi si riaprirono solo per un istante e puntarono dritti nei suoi, liquidi e confusi, ma sembrò non riconoscerlo. Il colore del viso però sembrò mutare sensibilmente, il colore delle labbra anche.

Zoro non riuscì a descrivere il sollievo che gli distese le membra, anche se solo per un breve, misero istante. Quello successivo Nami perse di nuovo i sensi, tornando ad accasciarsi fra le sue braccia.

«Merda...» esalò, guardandosi attorno, come in cerca d'aiuto. Ma esattamente così come aveva constatato prima di trovare Nami, dovette riconoscere di essere solo.

«D'accordo, come al solito, non hai voglia di rendermela facile» disse, bonariamente arreso, afferrandola saldamente sotto le ginocchia e le spalle, barcollando appena, per sollevarla fra le sue braccia. Era molto più leggera di quanto ricordasse.

Puntò lo sguardo verso l'intricata foresta di alberi tropicali alle sue spalle e decise che se pur doveva cominciare da qualche parte, avrebbe dovuto farlo da lì.

 

*

 

Nam riaprì gli occhi perché aveva sentito qualcosa zampettarle sul viso.

Si mise bruscamente a sedere, scacciando un insetto che ora si dimenava a terra, ribaltato dalla parte sbagliata.

Si sentiva confusa, estremamente annebbiata. Faticava a mettere a fuoco i dintorni ma si rese conto di essere seduta su un giaciglio asciutto, al riparo dal sole cocente di mezzogiorno.

Quando cercò di analizzare l'origine del suo dolore, le dita andarono a scontrarsi con un taglio sulla fronte che la fece scattare di nuovo, tanto bruciava al suo tocco.

Sentiva freddo, nonostante fosse ben cosciente di non trovarsi in un posto freddo.

I vestiti si erano asciugati, i capelli anche, ma era più facile dire quali fossero i muscoli in salute che contare quelli che le facevano male.

Si chiese chi le avesse riservato quel trattamento, ma sopratutto si chiese dove diavolo si trovasse. Tentò un movimento che non la portò da nessuna parte. Si sentiva ancora troppo debole per tentare di rimettersi in piedi. E questo sarebbe stato un bel guaio, anche solo per capire come orientarsi. Dalla sua posizione tutto ciò che riusciva a vedere era una spiaggia, oltre la boscaglia.

Cominciò a tremare, non seppe dire se di freddo, ancora, o di paura. Non sapere cosa fosse successo era ben più spaventoso di quello di aver constatato di essere sola.

Poi, un fruscio alle sue spalle. Si irrigidì e ritrasse accanto al tronco di uno degli alberi accanto a cui era stata sistemata. Gli si appiattì addosso comunque, quando le fu chiaro che la sagoma che stava avanzando era quella di un essere umano e non di un grosso animale.

Emerse dalla boscaglia un uomo dalla stazza imponente, il passo pesante. Il fatto che fosse armato non la rassicurò per niente.

«Ti sei svegliata» le si rivolse, fermandosi appena prima di raggiungerla. Sembrava sollevato, ma il volto era provato dalla stanchezza.

Non riuscì a rispondergli, al contrario se ne restò ferma immobile, come fosse possibile non essere importunata ulteriormente se non si fosse mossa, come potesse mimetizzarsi con il resto del paesaggio.

Lo guardò avvicinarsi, chinarsi di fronte a lei, in mano sorreggeva quello che sembrava un frutto, tagliato a metà.

«C'è dell'acqua zuccherata qui dentro, l'ho assaggiato e non sono morto, direi che puoi berlo anche tu» le disse. Nonostante il tono gentile, Nami sentiva il cuore esplodere nel petto dalla paura. Le membra irrigidite dal terrore.

Si ritrasse ancora, fissando l'uomo e quel frutto che le stava offrendo con evidente diffidenza e sconcerto.

«Stai bene?» le chiese allora, il sollievo che lentamente lasciava spazio alla preoccupazione.

Lo fissò ancora per un istante, prima di muovere le labbra per formulare una frase di senso compiuto.

«N-non farmi del male...» sussurrò, la voce che uscì in un sibilo arrochito. La gola le faceva un male del diavolo.

«Sei impazzita? Ti sembra che voglia farti del male?» fissò il frutto come fosse quello l'oggetto della discordia «ti ho detto che non sono morto. Sembra buono. E devi bere qualcosa... sei... disidratata» cercò di formulare la parola come la reminiscenza di insegnamenti passati.

Deglutì a fatica, sentendo il bisogno di accettare quel gesto, l'acqua che si muoveva invitante, dentro quel guscio rigido.

«Forza Nami, mi si sta addormentando il braccio» aggiunse e solo allora, quel nome, sembrò darle un brivido positivo.

Lo guardò dritto in viso, cercando un indizio, anche solo una sensazione. Ma tutto ciò che ottenne fu l'ennesima fitta di mal di testa.

«Tu... mi conosci?» formulò dopo un lungo istante.

E fu solo in quel momento che l'uomo sembrò realizzare che non aveva la minima idea di chi fosse.

«Merda» disse.

 

Continua...

 

Note:

Un piccolo aggiornamento, così ne approfitto anche per fare a tutti gli auguri di buone feste.

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Capitolo 4
*** 4. Especia ***


Capitolo 4

 

Especia

 

''Dove devo andare, amici? Dove devo andare?

Lungo quella bella rotta, ecco dove devi andare.''

 

L'insenatura che avevano trovato per la Sunny sembrava sicura.

Non vi era traccia di presenza umana, in quella parte dell'isola. Avevano ammainato le vele in attesa di riprendere la navigazione più avanti.

La ciurma era ben consapevole che il problema più grosso, adesso, era quello di impedire al loro capitano di declamare il suo sogno e vanificare la loro premura di nascondere che fossero dei pirati. Non che dessero per scontato che sull'isola non fossero giunti i manifesti con le loro taglie aggiornate. Qualcuno ipotizzò dei travestimenti, ma Rufy sembrava già sufficientemente infastidito dal fatto di dover celare la loro bella nave.

Quella era una scommessa che sapevano di aver perso in partenza. Non era mai successo, nella loro storia come ciurma, che fossero finiti su un'isola qualsiasi e si fosse concluso tutto senza incidenti.

Ma la priorità in questo caso era ritrovare i due compagni dispersi, cosa mai avrebbe potuto andare storto?

«Dovremmo dividerci» dichiarò Rufy, che si era preparato ad affrontare la sua personale missione, armato di uno zaino che conteneva ogni ben di Dio possibile. Sanji si era preoccupato di cucinare tutto ciò che poteva servire all'equipaggio, in vista dei prossimi giorni a venire. Che si augurò fossero solo ore, ma consapevole fosse piuttosto improbabile.

Fra le mani il Capitano stringeva una delle cartine di Especia che Nami aveva abbandonato sulla scrivania. Non che ci capisse granché ma averla con sé gli sembrava di buon auspicio.

«Io resto qui» Franky aveva posato le grosse braccia sul parapetto della nave, osservando i preparativi che fervevano fra i compagni «qualcuno deve pur badare alla Sunny»

«Resto pure io» si intromise Brook «non vorrei mi prendessero per una delle loro salme appese, e mi rinchiudessero in una gabbia, come monito.»

L'affermazione strappò una risata a Jimbe che aveva già deciso di far compagnia a Rufy.

«Penso che io invece andrò con loro» pigolò Chopper, lo zaino stracolmo di materiale medico «Nami e Zoro potrebbero aver bisogno di cure»

«O di cibo» gli si affiancò Sanji, che non aveva dovuto pensarci due volte.

Usop si era armato nemmeno dovesse intraprendere una spedizione in una giungla ostile. Ma questa volta nessuno si sentì di biasimarlo, il ricordo dei tre uomini appesi ai faraglioni erano ancora un'immagine ben marchiata a fuoco nella memoria. Nessuno aveva informazioni certe riguardo l'ospitalità di quell'isola.

«Magari alcuni di noi dovrebbero esplorare i dintorni» disse «In fin dei conti potrebbero essere più vicini di quanto pensiamo»

«Allora è deciso! Si va!» Rufy aveva superato gli scogli oltre l'insenatura senza attendere nessuno, senza aspettare che si formassero i gruppi. Jimbe e Sanji l'avevano semplicemente seguito «Avete tutti i lumacofoni: usiamoli per tenerci in contatto!»

Non salutò nessuno della ciurma, prima di decidere di prendere una direzione ben precisa.

«Immagino che noi tre potremmo cominciare a vedere che c'è qui vicino» fece spallucce Robin, osservando Chopper con un mezzo sorriso. Usop alzò le braccia in segno di saluto al trio che si era già allontanato di parecchio.

«Non preoccupatevi per noi!» gridò loro dietro, nessuno capì se con sarcasmo o ostentato coraggio.

Il grido al richiamo di: «Namiiiiii! Zoroooooo!» fu l'ultima cosa che sentirono del loro capitano, prima che sparisse lontano.

 

*

 

Zoro aveva lasciato a Nami il tempo di abituarsi alla sua presenza. Non aveva insistito affinché si servisse del frutto che tanto faticosamente era riuscito a trovare, si era seduto in disparte a guardarla esitare a più riprese, lanciandogli sguardi tutt'altro che incoraggianti.

Aveva tentato di spiegarle chi fosse e come si conoscessero, senza riuscirci in modo efficace. Quando aveva disgraziatamente menzionato il fatto che fossero pirati, la ragazza aveva cominciato a dare di matto, nemmeno le avesse detto che le era spuntata una seconda testa cannibale sulla spalla.

Perciò aveva lasciato perdere. Si era rintanato in un ostinato silenzio, sperando si calmasse abbastanza da evitargli le sue grida indignate. Sicuro che, in ogni caso, non sarebbe riuscita a scappare da nessuna parte.

Era probabile che quell'orribile taglio sulla testa fosse la causa della sua amnesia. Certo non era un medico, l'unica cosa che poteva sperare era che fosse una condizione del tutto temporanea. O che quantomeno decidesse di collaborare, finché non avessero trovato gli altri. Sì, perché era più che sicuro che Rufy e la ciurma dovevano aver realizzato da un pezzo che non erano più sulla nave. E certo che si fossero messi sulle loro tracce. Sperò che fossero abbastanza vicini all'isola da intuire che si trovassero nei dintorni. Sfortunatamente non portava con sé un lumacofono, né tantomeno una vivre card che gli avrebbe permesso di rintracciare Rufy.

In tutto quel trambusto non aveva avuto molto tempo per pensare di nuovo a Ishmael e le sue sconsiderate dichiarazioni, alle sue disastrose azioni. A quella sensazione terribile che lo aveva quasi soffocato, in sua presenza. Non aveva nemmeno avuto modo di analizzare le sue parole, prima che si consumasse la tragedia sul ponte. Era tutto finito in secondo piano, ora che erano rimasti solo lui e Nami. Certo, se lo fosse trovato di fronte non gli avrebbe dato molto tempo a disposizione per spiegarsi, lo avrebbe affettato prima, tanto era il risentimento per averli trascinati in quella stupida situazione, per aver tentato di far fuori la loro navigatrice. Per quale motivo, poi? Quella era l'unica cosa a cui non riusciva a dare un senso. Nami, un bersaglio senza spiegazione.

Sbirciò la ragazza solo quando la vide posare a terra il frutto di cui finalmente si era servita, mettendo da parte, apparentemente, la diffidenza. Aveva bevuto il liquido zuccherato al suo interno fino all'ultima goccia, ma non sembrava ancora soddisfatta. Chi lo sarebbe stato, dopotutto?

Zoro ne recuperò un altro, fra quelli che aveva raccolto in giro, ed estrasse la spada per poterlo tagliare.

Non gli sfuggì il sobbalzo della ragazza, al suono metallico e sferzante che produsse una delle sue katane, ma cercò di non farci caso, né di provocarla ulteriormente in tal senso.

«Ne vuoi ancora?» le chiese, posando le due metà una di fianco all'altra, sospingendole appena nella sua direzione.

Lo sguardo che Nami gli rivolse non era affatto conciliante.

«Sto ancora cercando di capire quanto ci metterò a crepare con quello che mi hai appena dato... pirata» gli rispose con ostentata, fastidiosa ritrosia. Possibile che fosse tanto stupida da perpetrarla? Nami sapeva essere molto meglio di così.

«Ti ho già detto che anche tu fai parte della categoria»

«Impossibile»

«Come credi» disse, recuperando per sé una metà del frutto, bevendone avidamente. Non valeva la pena sprecarlo «ma continuare a negarlo non lo renderà meno reale», concluse asciugandosi le labbra con la manica del vestito. Decise di non darle tempo di rispondere, prese di nuovo fra le mani ciò che restava della bevanda improvvisata e gliela posò di fronte. Morire di sete a quel punto sarebbe stata solo una sua decisione.

«Puoi scegliere di credermi o meno, ma prima o poi dovrai fidarti, perché da qui ce ne dobbiamo andare... comprendi?»

«Tu puoi andartene quando vuoi» gli rispose rabbiosa «Io rimango qui»

Zoro sospirò frustrato, passandosi una mano sul viso.

«Memoria o meno resti sempre una cazzo di spina nel fianco»

«Come... prego?»

«Niente», esalò, rimettendosi in piedi «Fra poco farà buio. Le temperature scenderanno e non abbiamo niente da mangiare. Io posso anche andarmene per cercare gli altri e lasciarti qui da sola, ma non sono sicuro che le tue gambe rachitiche reggeranno abbastanza per sgambettare via da qualsiasi cosa sbucherà da là fuori, nel frattempo» indicò il fitto della foresta, i suoi rumori segreti, a rimarcare platealmente il concetto.

«Le mie gambe non sono rachitiche!» protestò Nami, allungando però il collo per osservare la foresta. La vide impallidire, quindi probabilmente aveva centrato la strategia. Una sensazione piuttosto nuova, quella di aver la meglio su una come lei.

«Stai solo cercando di farmi paura...» aggiunse imbronciata, una malcelata rabbia di sottofondo.
«Direi di sì» la provocò «Funziona?»

Nami non rispose ma si allungò sulla noce per poterne bere il contenuto, per sete certo, ma anche per trovare un temporaneo diversivo alla conversazione. I suoi occhi lo fissavano con aria di sfida. A rimarcare il fatto che forse avrebbe accettato il suo aiuto, ma non era certo disposta ad abbassare la guardia o trattarlo con gentilezza. Zoro decretò che probabilmente quell'atteggiamento poteva bastargli.

«Verrò con te a patto che mi lascerai libera, una volta che avremo raggiunto un centro abitato»

«Questa non è una decisione che spetta a me.»

«E a chi altri dovrebbe spettare?» si guardò attorno, a sottolineare che non vi era altra presenza umana all'infuori di loro.

«Al nostro capitano»

«Al tuo... capitano, vorrai dire»

Zoro represse un moto di stizza. Quella conversazione si sarebbe inabissata costantemente su quel punto, finché Nami non avesse preso per vere le sue parole. Ma dato che l'ultima cosa che voleva fare era imbarcarsi in una discussione infinita, decise di soprassedere, di dare priorità ad altro.

«Sei ancora capace di orientarti a dovere?» le chiese a bruciapelo. Una richiesta che aveva un obiettivo ben specifico, ma che non aveva niente a che fare con la scarsa fiducia nelle proprie capacità d'orientamento, si trattava ovviamente più di una questione... pratica. Più rapidamente si sarebbero orientati, prima avrebbero potuto trovare riparo e una soluzione a quella situazione surreale. E Nami era rapida a ritrovare la strade, questo doveva concederglielo.

La ragazza si guardò attorno, posando anche il secondo guscio vuoto. Si umettò le labbra, cercando di tenersi su a sedere il più stabilmente possibile.

«Non so nemmeno dove ci troviamo» disse. Un'implicita richiesta per darle una mano a capire.

«Siamo su un'isola» le rispose «C'è il mare. C'è una spiaggia-»

«Questo lo vedo da me!» lo interruppe bruscamente «Sei idiota, per caso?»

«Intanto modera i termini, ragazzina. Ne so esattamente quanto te!» le ruggì contro.

«E potevi dirlo subito, invece di sparare ovvietà!» Poteva anche aver perso la memoria, ma il temperamento e l'insolenza no, quelle erano rimaste del tutto intatte.

Zoro si passò di nuovo le mani sul viso, sarebbe stata molto più difficile di quanto si aspettasse.

«Da qui non lo posso capire se so orientarmi o meno» la sentì aggiungere, il tono meno brusco, vagamente conciliante «Dovresti, che ne so... aiutarmi a trovare indizi»

Zoro captò un barlume di speranza in quelle parole e, dopo essersi scrollato di dosso il fastidio, le lanciò uno sguardo deciso.

«Questo posso farlo» disse, avvicinandola. Senza darle il tempo di controbattere o capire alcunché la sollevò di peso, caricandosela su una spalla, nemmeno fosse una bisaccia.

«Che cavolo stai facendo?!» la sentì dimenarsi appena, ancora drammaticamente troppo debole per essere una vera minaccia per l'equilibrio.

«Faccio un controllo qualità. Che cavolo ti sembra che stia facendo?» decise di trascinarla fuori dalla boscaglia. Avrebbe certo potuto essere più delicato ma di sicuro non era incline ad elargirle gentilezze più del necessario, dopo esser stato preso a pesci in faccia fino a quel momento.

«Potevi descrivermele le cose che ci sono qui attorno, non c'era bisogno di-»

«Preferisco che tu le veda. Sono sicuro che ti sarà più facile, in questo modo»

Il suo tono e la sua sicurezza nelle capacità della ragazza dovettero risultare piuttosto convincenti, perché Nami non sollevò una seconda protesta. Al contrario la sentì aggrapparsi a lui con meno ribrezzo e cominciare a guardarsi attorno, finalmente libera di osservare con i suoi occhi il paesaggio oltre l'intricata boscaglia in cui aveva sbirciato per l'intera mattinata.

«Come fai a sapere che questa è un'isola?» gli chiese, socchiudendo gli occhi per il fastidio che le procurava la luce del sole.

«Perché l'ho vista poco prima che finissimo fuoribordo. Stavamo andando in direzione di un'isola chiamata Especia... o così ce l'ha raccontata quell'Ishmael»

«Especia...» sussurrò Nami, come a tastare il suono di quella parola, a riconoscerla sulla punta della lingua, almeno come sensazione. Solo quando si risolse a sbuffare, Zoro capì che recitare quel nome come una sorta di formula magica non aveva sortito l'effetto desiderato.

La guardò sollevare la testa e notare, finalmente, il vulcano.

«Sarebbe buono poter raggiungere un punto in alto. Da lì risulterebbe più facile capire la fisionomia dell'isola»

A Zoro sembrò legittimo e annuì alla direttiva. Finalmente qualcosa su cui lavorare.

«Tipo lassù?» indicò una delle scogliere. Si notava una strada sterrata in lontananza, che pareva inerpicarsi fin all'apice delle rocce.

«Sì, esattamente tipo lassù. Dovrebbe essere sufficiente»

«Meno male questo ancora te lo ricordi» le disse.

«Sì... questo ancora me lo ricordo» gli rispose, una nota di consapevolezza nella voce «Ma magari invece di portarmi in giro come un sacco di patate potresti caricarmi sulle spalle in modo normale?»

«E ti pareva che non le andava bene» sospirò.

No, non sarebbe stata una collaborazione semplice.

 

*

 

Rufy non ci aveva messo molto ad affidare la cartina a Jimbe. Non era in grado di interpretarla più di come sarebbe stato in grado di leggere un Poignee Griffe. Era un pezzo che camminavano e ben presto la spiaggia su cui avevano abbandonato la Sunny cominciò a trasformarsi in una lunga distesa di campi coltivati.

Distese, fino a perdita d'occhio, di fiori colorati e profumi inebrianti.

«Queste devono essere le spezie di cui parlava Ishmael» Sanji aveva avvicinato una delle piantine e afferrato un fiore tra le dita, per poterne captare l'essenza «è delizioso»

«Si possono mangiare?» Rufy aveva temporaneamente abbandonato la sua andatura rapida e decisa, attratto da quei colori.

«Bè, direi di sì, anche se alcuni di questi fiori necessitano di un trattamento che-»

Sanji non riuscì a terminare la frase che Rufy si era già lanciato su alcuni fiori, infilandoseli in bocca a ciuffi, così com'erano.

«Ma fanno schifo!» esplose indignato «Sono amari!» prese a sputazzare a terra almeno la metà di ciò che aveva ingurgitato.

«Perché alcune spezie vanno usate con altri preparati! Se avessi avuto un po' di pazienza, te lo avrei spiegato!»

«Non mi piacciono le cose che non si possono mangiare subito» si ripulì la lingua, cercando di afferrare di malagrazia la borraccia piena di succo di mandarino. Probabilmente il sapore lo fece rinsavire perché cercò nuovamente Jimbe con lo sguardo.

«Novità sul percorso?»

«Se questa cartina è attendibile, a meno di un'ora da qui dovremmo incappare in uno dei villaggi di Especia» rispose l'enorme uomo pesce «Solo che mi sembra una mappa un po' arrangiata. Pare disegnata da un bambino»

«Per me è molto bella» constatò Rufy, sbirciando il disegno, convinto che l'avesse fatto Nami.

«Invece a me sembra che ci siano un po' troppe cose che non tornano in questo posto» Jimbe arrotolò la cartina nella mano e osservò un punto in lontananza «Nami aveva detto che l'isola distava un paio di giorni e ce la siamo ritrovata di fronte solo poche ore dopo aver raccolto Ishmael...»

«Non nominare quel disgraziato o distruggo tutto!» si intromise Rufy, afferrando nuovamente uno dei fiori del campo, infilandoselo in bocca, vittima di un attacco di fame nervosa. Doveva aver dimenticato il sapore di prima, perché così come gli era successo in precedenza, produsse una smorfia terribile prima di sputare tutto di nuovo.

«... e poi scopriamo che questi tizi, nonostante le spezie e la possibilità di un fiorente commercio, minacciano navigatori e pirati con grotteschi benvenuti» Jimbe concluse il discorso interrotto dal Capitano.

«Già...» concordò Sanji «E Nami-san non sbaglia mai una rotta. Mai una previsione»

«Potrebbe essere che gli abitanti di quest'isola sabotino ogni tentativo di approdo, con quello che possono, sopratutto contraffacendo cartine che vengono poi spacciate per veritiere. Magari Nami stava ancora cercando di venirne a capo»

«... ma non ne ha avuto il tempo» concluse Sanji, rigirandosi fra le dita un fiorellino color giallo acceso «mi chiedo dove sia in questo momento. La mia cara, dolce Nami.»

«Sono sicuro che Zoro si stia prendendo cura di lei!» aggiunse Rufy, dando una pacca sulla spalla al povero Sanji che non prese affatto bene quella previsione.

«Se le capita qualcosa, se le viene torto anche solo un capello, quella testa d'alga dovrà vedersela con il sottoscritto!» esclamò rabbioso.

Jimbe lanciò loro uno sguardo placido. Era sempre piacevolmente sorpreso, ogni volta che si trovava a constatare quanta fiducia nutrissero l'uno nei confronti degli altri. Di come le parole di Rufy, il suo entusiasmo e le sue convinzioni si ripercuotessero sempre in modo tanto efficace su tutto l'equipaggio. Non poteva certo dire di non sentirsene contagiato lui stesso. Non c'era alcuna prova tangibile sul fatto che Zoro e Nami fossero in buona salute. O ancora vivi, per quello che potevano saperne. Eppure Rufy sembrava così convinto della cosa che le sue parole erano state prese per vere senza battere ciglio e nemmeno lui riusciva a dubitarne abbastanza per metterle in discussione.

Se era vero che i primi a far parte della sua ciurma erano stati proprio navigatrice e spadaccino, dovevano essere le persone che Rufy conosceva meglio. Conosceva le loro capacità di sopravvivenza. E nutriva per loro la più cieca fiducia, anche a costo di pronosticare l'impossibile.

«Allora direi di proseguire da quella parte» pronunciò dunque, deciso a seguire il percorso e arrivarne a capo il prima possibile.

Indicò un punto lontano e fece strada, riprendendo il cammino.

Si lasciarono definitivamente alle spalle il campo di spezie e le scogliere che costeggiavano parte dell'isola.

 

*

 

Franky aveva deciso di impiegare il tempo facendo qualche piccolo intervento di manutenzione alla Sunny. Il sole era allo zenit e faceva già un gran caldo. Recuperò una delle sue bottiglie di Cola solo per rendersi conto che Brook sedeva composto e fin troppo silenzioso, poco distante.

«Non dirmi che hai caldo anche tu, mucchietto d'ossa!» lo riavvicinò solo per offrirgli la bottiglia fresca di cola.

«Oh no, grazie... sono a posto. Sono solo un po' scombussolato, direi» il tono era tranquillo ma a Franky non ci volle molto a capire che l'umore del compagno non doveva essere... suuuuuper.

Probabilmente, oltre che alla sparizione dei compagni, aveva a che fare con tutti quei presagi di morte che certo non avevano rallegrato nessuno dell'equipaggio.

«Magari mettere insieme due note potrebbe aiutare a sollevare l'umore?» propose, senza starci troppo a pensare. Ogni volta che Brook metteva mano al suo violino o alla sua chitarra, l'atmosfera cambiava «e poi chissà. Se Nami e Zoro si trovano nelle vicinanze, magari potrebbero riconoscere il suono dei tuoi strumenti e trovare la Sunny»

«A questo non avevo pensato!» esclamò Brook, improvvisamente entusiasta di provarci. Ma si rabbuiò di nuovo o questo parve di capire a Franky dalla postura, perché l'espressione di Brook era seriamente poco leggibile «Ma potrebbero sentirci anche le persone che abitano sull'isola»

«Non mi sembra sia molto popolato qui attorno e in ogni caso siamo qui apposta per difendere la Sunny, no?»

Brook annuì un po' perplesso, ma andò comunque a recuperare il suo violino.

«Qualcosa di moderno o qualcosa di popolare?»

«Non lo so» rispose Franky che si era già seduto. Agitò la Cola con una mano «sorprendimi!»

Brook si schiarì la voce e cominciò a suonare un pezzo.

Le note scivolarono lungo il ponte, oltre la nave, a riecheggiare per l'insenatura.

 

«Questo non è il violino di Brook?» Chopper si era fermato, per potersi voltare in direzione del punto in cui avevano abbandonato la Sunny, non molto tempo prima.

«Ma gli sembra il caso di mettere insieme un concerto, in un momento come questo?» intervenne Usop che non aveva fatto altro che puntare quella sua fionda ovunque, a più riprese, ad ogni rumore improvviso e sospetto.

«Non credo sia un concerto qualunque» aggiunse Robin, intrecciando le braccia al petto «conosco questa canzone: Dove devo andare, amici? Dove devo andare? Lungo quella bella rotta, ecco dove devi andare. Sono un giovane marinaio, dove devo andare? Ascolta questa canzone, saprai quando tornare»

Chopper sembrò illuminarsi tutto: «Pensi che sia un tentativo per richiamare Nami e Zoro? Come lo sentiamo noi, potrebbero anche loro»

Robin non rispose ma gli sorrise a mo' di conferma, poi fece cenno agli altri di proseguire.

 

*

 

Nami poteva anche aver perso parte della sua memoria, ma quella brutta ferita alla testa non era riuscita a cancellare la sua innata capacità nell'inquadrare un paesaggio.

Dall'alto delle scogliere (su cui quell'assurdo pirata - che sembrava più un samurai - l'aveva portata, caricandosela in spalla come niente fosse) era riuscita a individuare zone ben precise per potersi muovere con meno incertezza. Si era appuntata mentalmente i punti di riferimento più evidenti e aveva deciso dove spostarsi per impedire che restassero imprigionati in una foresta... o peggio.

Il paesaggio non sembrava così ostile dopotutto, c'era una sola parte dell'isola poco visibile da quella prospettiva, e alcuni punti nascosti in insenature che si affacciavano sul mare che probabilmente non avrebbero comunque dovuto raggiungere.

Avevano ripreso la discesa con tranquillità, mentre il sole ormai cominciava ad inabissarsi verso le ombre serali.

Fintanto che il pirata che si era accollato il suo trasporto se ne restava in silenzio, si era data del tempo per riflettere su quello che era successo.

La cosa più assurda era come fosse riuscita, in poco tempo, a trovare quasi confortevole la sua presenza. Sebbene il primo impatto fosse sembrato un po' brusco e spaventevole: non le era certo risultato immediatamente rassicurante, con quella presenza imponente, le sue cicatrici e le tre spade legate alla cintola. Ma il suo tono era abbastanza gentile (quando non si alterava per le sue risposte) e sembrava preoccuparsi sinceramente per lei. Nessun rapitore o malintenzionato si sarebbe certo sobbarcato l'impegno di trascinarsela in giro perché ancora troppo debole e malandata per camminare. Certo, poteva anche esserci la non trascurabile questione che il pirata sembrava non avere la benché minima idea di dove si trovasse e avesse solo bisogno di lei. Aveva dovuto reindirizzarlo a più riprese, per impedirgli di sbagliare una strada che non aveva proprio niente di fraintendibile. Un atteggiamento che aveva rischiato di farla scattare continuamente. Poi si era resa conto che probabilmente non lo faceva apposta e un po' idiota doveva esserlo per davvero.

Ma la verità era che sembrava sincero. E comunque sapeva cose di lei che non ricordava, come quella sua capacità d'orientamento che era riuscita a restituirle un po' di fiducia in se stessa.

Non riusciva ad accettare del tutto il suo racconto sui pirati, e non riusciva a comprendere perché la sola parola le incutesse tanto timore, ma la verità era che non aveva proprio nessuna prova per sostenere il contrario. E il dubbio che fosse tutto vero era rientrato senza lasciarle scampo.

 

Una volta tornati verso la spiaggia, Nami lo aveva nuovamente indirizzato lungo la costa: evitare di attraversare la foresta, circumnavigandola, le parve la soluzione più saggia.

«Dovremmo fermarci» gli disse a un certo punto. Non sembrava stanco, ma cominciava ad esserlo lei. Le braccia erano indolenzite dallo sforzo di tenerle aggrappate a lui e la testa aveva ripreso a pulsarle in modo affatto incoraggiante. Era certa di aver bisogno di cure, ma lui non sembrava particolarmente ferrato sull'argomento. Inoltre lo stomaco stava cominciando a brontolare avidamente, alla ricerca di cibo.

«Ho sentito rumore d'acqua, come di un ruscello» le rispose «credi che potremmo raggiungere almeno quel posto?»

Nami si mise all'ascolto, cercando di ignorare il suono ovattato dei passi dell'uomo e dello sciabordio delle onde sulla battigia. Dovette constatare che aveva ragione: c'era un rumore soffuso e continuo che sembrava proprio quello di acqua corrente. Il pirata aveva un udito molto fine.

«Sembra provenga da quella parte» alzò una mano, puntando il dito dritto di fronte a lui, accanto al suo viso «segui la direzione del mio braccio, credi di riuscirci?»

«Certo che ci riesco» lo sentì borbottare, ma la voce era sempre più roca, probabilmente non era così in forma come voleva farle credere.

Sbagliò comunque un paio di svolte ma alla fine raggiunsero quello che effettivamente era un ruscello, che si spingeva fino al mare. Addentrandosi appena nella radura, trovarono una pozza d'acqua pulita che veniva riempita da una piccola cascata che, a sua volta, precipitava da un complesso di rocce.

«Se non altro non dovrò andare di nuovo alla ricerca di disgustosi frutti dolciastri» disse lui, aiutandola a sistemarsi a terra. Le sue braccia e la schiena ringraziarono sentitamente «ma forse dovremmo procurarci qualcosa da mangiare. Pesce.» aggiunse senza darle diritto di replica.

«Te la senti di restare sola per qualche minuto?»

«Me la sento» esalò lei, senza protestare. Cibo, acqua, riposo. Le sembrarono l'ipotesi del paradiso.

Zoro annuì una sola volta e mise mano a una delle sue spade, tentennando appena. Estrasse la Kitetsu, posandola a un albero a poca distanza da Nami.

«Non toccarla» la ammonì «a meno che non sia davvero, davvero necessario. È una spada maledetta.»

L'affermazione o la provocazione le fece partire un vago brivido lungo la schiena. Il pirata non sembrava il tipo di persona propensa a credere a quel tipo di cose. E si sorprese di non esserlo nemmeno lei. Il gesto però la colpì più della sue parole, perché provava, ancora una volta, quanto quell'uomo sembrasse fidarsi di lei.

«Vedrò di non cedere all'enorme tentazione di farlo» gli rispose, beccandosi in risposta uno sguardo scrutatore.

«Torno subito» aggiunse, dandole finalmente le spalle, diretto al mare. Come avrebbe pescato senza canna o esca era un mistero, ma le sembrò evidente che il pirata/samurai doveva essere pieno di risorse.

Solo quando fu completamente sola si concesse un istante per rilassarsi. La presenza della spada al suo fianco, nonostante la ritrosia anche solo a guardarla, la mise nelle condizioni necessarie per sentirsi al sicuro.

Osservò la pozza accanto a lei e decise di provare a muoversi, quel tanto che bastava per avvicinarla. Fece forza sulle braccia - quella che le era rimasta - e tentò di muovere le gambe, trascinandosi carponi fino a raggiungerne la riva. Non riusciva a specchiarcisi del tutto poiché l'acqua era smossa dalla cascata ma abbastanza per determinare il riflesso di un viso familiare. E individuare la cicatrice appena sopra la fronte. L'idea che fosse stata in grado di riconoscersi le fece ben sperare di poter recuperare la memoria, presto o tardi.

Si allungò con un piccolo sforzo e con la mano a coppa raccolse un po' d'acqua che le servì per dissetarsi. Ne raccolse dell'altra per passarsela sul viso, trovandola fresca e piacevole sulla pelle. Solo in quel momento si rese conto di sentirsi sudicia. Sudicia e coperta ancora del sale dell'acqua di mare.

Non indossava le scarpe, perciò non le fu difficile sforzarsi un po' per allungarle e affondare i piedi nella pozza. Di nuovo la sensazione le parve paradisiaca.

Socchiuse appena gli occhi per godersi la sensazione. Le sembrarono passati solo pochi secondi quando un fruscio alle sue spalle, la costrinse a riemergere da quel temporaneo stato di grazia.

«Sei stato veloce...» disse, voltandosi di scatto.

Ma quello che si ritrovò di fronte non era certo il pirata.

Era corpulento ma piuttosto basso, indossava abiti strani e un singolare cappello a punta, ma Nami non ebbe modo di esaminare approfonditamente il suo abbigliamento poiché, quando lo vide avanzare verso di lei, il suo corpo reagì molto rapidamente. Si allungò verso l'albero e riuscì ad afferrare la katana che le aveva lasciato il pirata. Il suo corpo gridò tutto per il dolore, ma era pronta ad affrontarne altrettanto se il suo corpo le avesse dato anche la forza per sguainarla.

Il rumore che seguì però non furono le sue mosse a produrlo.

Quel suono sferzante di metallo lo aveva già sentito un'altra volta.

Qualcosa si spezzò di fronte a lei e, dall'albero che poco prima aveva sorretto la Kitetsu, crollarono dei rami che andarono a schiantarsi a terra, frapponendosi fra lei e lo sconosciuto, impedendogli, di fatto, di avanzare ulteriormente.

«Non muoverti» la voce dello spadaccino uscì dall'ombra per la seconda volta quel giorno. Ma in questa occasione Nami non poté far altro che essere estremamente contenta di vederlo, sebbene trovasse del tutto inspiegabile come avesse fatto a tagliare i rami da quella grande distanza.

Il piccolo uomo di fronte a lei alzò le braccia in segno di resa.

«Non u-uccidermi, ti prego» balbettò a fatica e solo in quel momento Nami si rese conto della sua aria assolutamente innocua. Il viso, piuttosto rubicondo, non pareva affatto ostile, solo spaventato.

«Vorrei sapere perché siete tutti convinti che io voglia farvi del male» il pirata, che teneva fra le mani la sua katana bianca, puntata dritto verso la schiena del malcapitato, reclinò la testa di lato a cogliere lo sguardo di Nami. Rivolgendole un cenno col capo si rese conto che si stava solo accertando che stesse bene.

Lei gli annuì in risposta, senza liberare la presa alla Kitetsu.

«Chi sei? E che volevi fare?» quello di Zoro più che un interrogatorio, con quel tono di voce profondo e piuttosto roco, pareva una minaccia senza possibilità di appello.

«Non volevo fare niente di male. Solo accertarmi che la ragazza non avesse bisogno di aiuto»

«Ci stavi seguendo?»

«No! Cioè forse. Cioè-» il tizio si irrigidì appena quando sentì la lama della katana di Zoro sfiorargli la schiena «volevo solo accertarmi che non foste gli ennesimi naufraghi!»

«Ennesimi... ?» esalò Nami.

«... naufraghi?» sussurrò Zoro colto di sorpresa.

«Sì, s-sembra che sia diventato una specie di sport, negli ultimi tempi» il tizio ridacchiò nervoso, mentre gocce di teso sudore gli scivolavano giù dalle tempie.

«Spiegati meglio»

«Solo il mese scorso abbiamo trovato un ragazzo. Lo abbiamo accolto, mia moglie ed io, ma il giorno dopo è sparito. Lo stesso è successo solo una settimana fa. Anche lui sparito nel niente. E poi questa mattina...»

«Hai scovato noi due»

«No, voi... solo poco fa. Stavo raccogliendo della legna per la sera, n-non abito molto distante e ho sentito le vostre voci, dalla boscaglia» lanciò a Nami uno sguardo che la implorava di credergli, come fosse lei l'ago della bilancia tra l'essere risparmiato o venir tagliuzzato dalla lama del samurai «Questa mattina è venuto a bussare alla porta di casa mia un tizio piuttosto malandato. P-possibile che sia amico vostro?»

«Conosci il suo nome?» domandò Zoro, lo sguardo terribile e curioso assieme. La mano nervosa, ma ferma sull'elsa della spada.

«Ishmael» mormorò il tizio dalla folta barba e lo strano cappello «mi ha detto di chiamarsi Ishmael»

 

Continua...

 

Note:

Sebbene la trama seguirà principalmente il filone che vede coinvolti Nami e Zoro in questa vicenda, ho deciso di complicarmi la vita, cercando di equilibrare i capitoli con quello che succede anche al resto della ciurma. Non sarà granché facile, dato che i personaggi sono molti e ogni carattere sufficientemente complesso ma vedrò di fare un po' il giochino di Oda e suddividere la storia in diversi filoni più o meno importanti. Perché sebbene sappia già, in linea generale, quello che dovrà succedere fino alla fine, tante sotto trame le sto imbastendo sul momento. Sarà moooolto divertente. Per il resto vi auguro un buon inizio anno. A presto.

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Capitolo 5
*** 5. Occhi ***


Capitolo 5

 

Occhi

''And there they lay,
And the soggy skies
Dripped all day long
In up-staring eyes
At murk sunset and at foul sunrise''

 

La donna si affacciò allo specchio rotto con aria contrita.

L'immagine riflessa era distorta e mostruosa. Un paio di occhi stanchi ma ancora vigili, che si moltiplicavano a ragnatela nel riflesso, la scrutavano dietro le iridi dorate.

Stentava a riconoscersi da giorni, ormai. Il volto scavato e stanco, le labbra ridotte a una linea sottile. Era stata bella, un tempo. O almeno così si erano sempre preoccupati di definirla.
Bella. Siete così bella, Madame Dust.

Ma non le importava più, se mai gliene fosse importato davvero qualcosa. Della bellezza, della gioventù ormai sfiorita non se ne faceva niente. Non l'avrebbe certo aiutata a recuperare ciò che aveva perduto.

Si aiutò a sistemarsi un turbante colorato sulla testa di capelli corvini, ormai spruzzati di ciocche d'argento. Di celare quella chioma con cura, in un rituale quotidiano che le impediva di lasciarsi andare.

Qualcuno bussò alla porta. Non aspettava ospiti.

Sebbene la sua abitazione, ormai ridotta a una stamberga, fosse stata meta di costante pellegrinaggio per anni, di persone che da lei non desideravano altro che un'udienza, un consiglio, un aiuto, ora non era rimasto che qualche tenace avventore che si presentava di tanto in tanto, senza preavviso alcuno.

Riusciva però sempre a capire la differenza fra una visita d'affari e qualcosa di diverso.

Aveva dovuto scacciare dei ragazzini, solo qualche settimana prima. Che le avevano imbrattato la porta di verdure marce e pesce in putrefazione. Per qualche motivo (non era tanto sciocca da non immaginarsi come si fosse meritata la nomea) era diventata meta di qualche assurda prova di coraggio fra i giovani dei villaggi limitrofi. Quelli che godevano della luce del sole di Especia, quelli che le tenebre non le capivano affatto.

Si levò in piedi, lasciandosi alle spalle il riflesso distorto del suo viso e alimentò il camino con un po' della sua polvere speciale, così che producesse più fumo.

In cuor suo sapeva cosa aspettarsi quando aprì la porta. E quando lo vide, si rese conto che quegli occhi li avrebbe riconosciuti ovunque.

«Ti ricordi di me?» chiese.

L'uomo, che la stava fissando dietro la cortina di fumo, si limitò ad annuire una sola volta e lei sorrise.

Il tempo era agli sgoccioli.

Ne mancava soltanto uno.

 

*

 

«Myra, sono a casa» il vecchio con il cappello a punta si era limitato ad aprire la porta di quella che affermava essere la sua abitazione.

Aveva guidato Nami e Zoro attraverso l'intricata foresta, fino a sbucare in un'ampia radura dove in effetti sì, sorgeva una piccola, ma deliziosa casupola che rispecchiava in pieno l'aspetto del suo proprietario.

Avevano attraversato una corte in cui scorrazzavano alcune galline e qualche animale da cortile tutt'altro che intimiditi dalla presenza di due estranei. Un anziano cane dall'aria pigra aveva alzato appena la testa, quando li aveva visti arrivare. Se aveva cercato di accennare un latrato all'intrusione lo aveva fatto sbuffando, prima di accogliere il padrone con un lieve movimento di coda e tornare a dirigere le sue attenzioni al riposo interrotto.

Nami aveva chiesto al pirata di posarla a terra. Doveva pur accertarsi di riuscire a camminare sulle proprie gambe, non era sua intenzione farsi scarrozzare in giro per sempre.

Zoro non aveva protestato, ma l'aria vigile non lo aveva abbandonato nemmeno un istante. La promessa dell'incontro con quell'Ishmael sembrava aver alimentato ogni sua azione, indirizzato il suo focus, da quando si erano messi in cammino.

Nami non ci aveva capito granché ma l'unica cosa certa era che, se si trovavano in quelle condizioni e lei aveva smarrito la memoria, era in parte colpa di questo tizio. Quindi forse un po' curiosa di conoscerlo lo era persino lei.

Si appoggiò alla parete fatta di pietra e legno, la mano del pirata a sostenerla ancora per qualche istante, ad accertarsi che le sue gambe non cedessero. Una premura che si preoccupò di appuntarsi nella memoria per il futuro. La gentilezza nascosta dietro i modi bruschi era un dettaglio che le parve improvvisamente molto importante, per riuscire ad inquadrarlo.

«Zamuel, sei tornato!» una donna sbucò improvvisamente dalla porta d'ingresso. Non molto più giovane del vecchio col cappello a punta, portava i capelli color argento legati in una crocchia scomposta, aveva la stessa aria gentile, nonostante il velo di turbamento nella sua voce e nel suo sguardo.

«Ci hai messo troppo, stavo cominciando a preoccuparmi!» protestò, prima di voltare la testa e rendersi conto che non erano soli. Sobbalzò appena, squadrando prima il colosso d'uomo che sovrastava il marito, armato di ben tre spade e poi la ragazza che gli stava accanto.

«C-che sta succedendo?»

«Niente di grave, Myra» tentò di tranquillizzarla il marito «Questi giovani stavano cercando il nostro naufrago, Ishmael. È ancora qui, vero?»

«A dire la verità...» rispose la donna, indecisa su come continuare quella conversazione «è proprio per questo che mi sono preoccupata: Ishmael se n'è andato e tu non tornavi, temevo...»

«Oddio, no, non di nuovo»

«Oddio sì, di nuovo»

Il dialogo fra i due avrebbe potuto negare l'evidenza all'infinito ma a Nami non sfuggì lo scatto del pirata che sembrava tutt'altro che incline a lasciar continuare i due su quella linea.

«Che significa che se n'è andato? Vecchio, mi avevi detto che era qui!»

Zamuel si volse, le mani alzate a mo' di scuse, o resa, a seconda di quanto l'aria del pirata gli risultasse minacciosa.

«Perché quando sono uscito a cercar legna era ancora qui! M-me ve l'ho detto che spariscono. Spariscono tutti!»

«E non potevate, che ne so, legarlo?» protestò il pirata. L'aria era quella di un uomo che avrebbe ribaltato l'intera isola, pur di trovarlo.

«Legare un naufrago in cerca di aiuto?» si intromise la donna che era emersa definitivamente sul porticato. L'aria turbata aveva lasciato spazio a una certa indignazione «Ti sembrano sciocchezze da dire, giovanotto

A quell'appellativo Nami lo vide arretrare, nemmeno fosse stato schiaffeggiato. Un soldo di cacio che il pirata avrebbe potuto sollevare con la facilità di un gigante con una foglia, era riuscita a farlo retrocedere con la forza di un secco ma severo rimprovero morale.

«Poco male, vado a cercarlo» borbottò indispettito, ormai deciso a portare a termine la sua missione dell'ultima ora.

«Tu non te ne vai proprio da nessuna parte...» Nami si decise finalmente a intervenire in prima persona. Su questo proprio non poteva tacere. Lo guardò voltarsi con un cipiglio confuso ma non gli diede la soddisfazione di rispondergli subito. Sperava capisse. Poi ricordò come, a volte, le sembrasse davvero poco sveglio.

«Io non ho la forza di proseguire oltre. Sono stanca e sudicia, e non ho alcuna intenzione di restare qui sola, sapendo che appena te ne sarai andato...» si assicurò di guardarlo dritto nell'unico occhio sano «non riuscirai mai più a ritrovare questo posto perché hai il senso dell'orientamento di un babbuino bendato»

«Che cosa hai detto?»

«Hai sentito perfettamente cosa ho detto» sospirò esausta «Ritrovare quel tizio non mi farà stare meglio e sicuro non ti aiuterà a ritrovare i tuoi compagni» non era sicura di quando potesse raccontare di fronte a due perfetti sconosciuti, perciò restò su vago ma non mancò di far capire al pirata quanto fosse idiota la sua decisione.

Si rivolse quindi alla coppia di bizzarri coniugi.

«Chiediamo solo ospitalità per questa notte» disse «non arrecheremo disturbo.»

I due si guardarono perplessi ma complici.

«A noi sta bene» parvero concordare «Ma in cambio chiediamo una spiegazione su ciò che sta succedendo» proseguì la donna, portandosi le mani ai fianchi, improvvisamente risoluta «Sono giorni che raccatiamo in giro naufraghi ma nessuno sembra in grado di rammentare che diavolo sia successo.»

Nami le rivolse uno sguardo confuso.

«Nessuno di loro?»

«Nessuno... tutti vittime di una specie di amnesia collettiva» agitò la mano nell'aria a mimar lo svolazzo di una memoria ballerina.

Si volse verso Zoro, riconoscendo in lui la medesima perplessità, la stessa tacita domanda negli occhi.

Forse quei due avrebbero potuto risolvere anche alcuni dei loro quesiti. Perché di amnesie, Nami ne sapeva ora tristemente abbastanza.

 

*

 

Rufy non aveva voluto straordinariamente toccare niente di ciò che Sanji aveva preparato per lui nello zaino. Il suo stoicismo sorprese molto persino Jimbe che, di quanto vorace fosse Rufy non aveva avuto che un accenno in quelle ultime, frenetiche settimane.

La verità era che non appena erano riusciti ad approdare al primo villaggio, segnato (male) dalle mappe, se ne era andato in giro annusando ogni tipo di odore al di fuori dell'ordinario.

La maggior parte delle botteghe erano già chiuse a quell'ora della sera, ma i profumi che caratterizzavano le loro spezie permeavano l'aria come una coltre morbida e suadente.

Fuori dagli edifici c'erano comunque delle lanterne ad illuminare le strade dove si attardavano sporadici abitanti della zona. Il chiacchiericcio di sottofondo arrivava dalle finestre socchiuse delle abitazioni, dove probabilmente la maggior parte di essi si erano ritirati per cenare.

«Possibile che sia già tutto chiuso?» si domandò il capitano, tenendo strette fra le mani le bretelle del suo zaino. L'idea sembrava quella di tener duro ancora un po', ma presto Sanji lo immaginò lanciare all'aria il suo contenuto per divorarlo con ferocia.

«È ora di cena» lo rabbonì, guardandosi attorno con curiosità. I profumi non erano sfuggiti nemmeno a lui, ma oltre alle spezie, riusciva a percepire l'odore pungente d'incenso. Non era sorpreso, dacché molte delle insegne delle botteghe circostanti, recavano nomi di dubbie attività commerciali: 'Pozioni Gregory', 'Madame Grimes tarocchi', 'Spezie & Incantesimi', solo per citarne alcuni.

«È proprio come ha detto Robin-chan: cialtroni che credono di occuparsi di arti occulte»

«Perché cialtroni?» indagò Rufy che l'attimo dopo aveva già perso interesse per la risposta, seguendo la scia di un altro profumo.

«Bè, perché l'occulto, la magia, non sono scienze... sono più...»

«CIBO!» si sentì gridare Rufy che aveva praticamente svoltato l'angolo in fondo alla via.

«Non proprio ma-»

«Credo che il nostro capitano abbia trovato una taverna» intervenne Jimbe divertito. Con un cenno del capo indicò il cartello con una segnaletica ben precisa.

Sanji scosse la testa senza riuscire a nascondere un sorriso: «Se c'è una cosa che non succederà mai in sua compagnia, è morir di fame»

A meno che non scelga di farlo. Gli rispose la sua coscienza, rammentando uno specifico episodio di diversi mesi addietro. La ritrosia del capitano nel consumare i manicaretti per il viaggio gli sembrarono attingere a piene mani dalla stessa apprensione che aveva provato per lui, quando aveva temporaneamente lasciato la ciurma. Forse, in questo caso, si preoccupava più di poter sfamare, a tempo debito, spadaccino e navigatrice. Volontariamente o meno, l'unica cosa a spingere Rufy a rinunciare al cibo, sembrava la preoccupazione per la sua ciurma. In un modo o nell'altro.

 

Il locale in cui entrarono non sembrava particolarmente ampio. I pochi avventori se ne stavano per lo più silenziosi e solitari, agli angoli della stanza. Le pareti erano tappezzate di poster ingialliti di vecchi spettacoli teatrali. E sulle varie mensole alcuni ammennicoli dalle forme strane e bottiglie di liquori.

«Venite pure avanti signori, abbiamo tavoli!» venne loro incontro un uomo dall'aria affabile. La mascella importante, una bandana sul capo a trattenere capelli biondi.

Rufy non si fece ripetere l'invito una seconda volta: abbandonò lo zaino che atterrò sul pavimento con un tonfo sordo e prese posto al primo tavolo libero accanto al bancone.

«Siamo affamati!» esclamò senza aggiungere altro. L'uomo li avvicinò per poter sistemare tovagliette e posate.

«Ed io sono qui per servirvi. Non vi ho mai visti da queste parti, siete arrivati da poco?» chiese con aria tranquilla ma a Sanji non sfuggì lo sguardo indagatore. Rammentò rapidamente i tre tizi impiccati ai faraglioni e proprio mentre Rufy apriva la bocca per parlare trascinò a sé la sedia, producendo un rumore fastidioso.

«Proprio questo pomeriggio, ma siamo solo di passaggio», intervenne sedendosi e guardandosi attorno per prender tempo «per essere ora di cena, non mi sembra ci sia molta gente» deviò abilmente il discorso, per non dover imbastire una scusa di qualsiasi tipo.

«Anche le botteghe là fuori hanno chiuso davvero presto» intervenne Jimbe, per dar man forte a Sanji.

L'uomo si strinse nelle spalle.

«Cosa volete. La situazione da queste parti si è fatta... complicata da qualche anno a questa parte»

«Complicata?»

«Sì, diciamo che Especia non è esattamente più l'isola che era una volta» mormorò, adocchiando i pochi avventori, con l'aria di chi non ha molta voglia di farsi sentire «per questo sono sempre sorpreso quando vedo arrivare persone nuove»

«Non è stato nemmeno semplice trovarvi, siamo capitati qui praticamente per caso»

L'uomo si rabbuiò un istante.

«Già, me l'immagino» sembrò sul punto di aggiungere altro all'argomento ma Rufy lo interruppe bruscamente.

«Non è che prima di noi vi è capitato di incrociare, per caso, un tizio grosso con tre spade e una ragazza con lunghi capelli rossi, dall'aria minacciosa?»

Il locandiere inarcò un sopracciglio, adesso attento.

«Non mi pare, no. Gli stranieri che passano da queste parti non sono difficili da individuare e non mi sembra di aver visto due persone che corrispondano alla descrizione. Amici vostri?»

«Sì, fanno parte della mia-» Sanji tappò la bocca a Rufy con un pezzo di pane che l'uomo aveva portato assieme alle posate.

«Ce li siamo persi per strada» intervenne Sanji «Quell'imbecille del nostro amico si perde di continuo. Ha voluto partire solo all'esplorazione dell'isola e la dolce ragazza che ci accompagnava è andata a cercarlo. Speravamo fossero arrivati da queste parti...» imbastì la prima storiella che gli venne in mente.

«Strano» disse il tizio «questo è l'unica vera cittadina di Especia. Difficile mancarla.»

«Perché non conosci il nostro amico...»

«Dov'è che avete attraccato la vostra nave, avete detto?»

«Non lo abbiamo... detto» sussurrò Sanji, lanciando un'occhiata allarmata a Jimbe.

«Bè... comunque sia, voi siete qui per mangiare, giusto?» disse perdendo immediatamente quell'aria indagatrice.

«Sì!» esclamò Rufy «Carne!» aggiunse.

L'uomo batté le mani una sull'altra, pronto a rimettersi al lavoro.

«E carne sia.»

Sanji lo seguì con lo sguardo fin quando non sparì in cucina.

«Non credo dovremmo restare qui» mormorò, sentendo su si sé gli sguardi dei pochi avventori della locanda.

«Non possiamo nemmeno andarcene, desteremmo troppi sospetti arrivati a questo punto.» rispose Jimbe.

«Ma di che state parlando?» sussurrò Rufy, infilandosi in bocca un altro pezzo di pane.

«Di niente» sospirò Sanji «ceniamo e cerchiamo di non dare nell'occhio. Se Nami-san non è passata da qui, inutile restare»

Lo sguardo dell'uomo non gli era piaciuto per niente, e in ogni caso l'atmosfera sembrava improvvisamente mutata. Avrebbero dovuto prepararsi una storia molto più convincente di così per risultare credibili a isolani che tanto ci tenevano a rimarcare di non volere ospiti indesiderati.

 

*

 

«Ecco fatto» Myra aveva appena finito di applicare un'erba curativa sulla ferita che Nami sfoggiava con una certa riluttanza. Si pulì le mani su una pezza di stoffa e cercò un cerotto per coprirla «con questo dovresti poter dormire senza paura di sporcarti, e magari farti un bagno»

A quella parola Nami sentì qualcosa scaldare il suo cuore. Un bagno: era da ore che non desiderava altro che quello.

«Cosa che il tuo amico invece non sembra intenzionato a fare. Ohi!» la donna richiamò Zoro che pareva essersi sopito, seduto a terra, poco distante. Se aveva ascoltato in silenzio la spiegazione che l'aveva obbligata a tenere in solitaria, non era dato saperlo. Certo non si era mosso di un millimetro.

Ma al richiamo della donna aprì un occhio con calma e rassegnazione. Non con l'espressione di chi è stato costretto a destarsi da un saporito sonnellino.

La donna e suo marito avevano ascoltato il racconto di Nami, in base a ciò che il pirata le aveva approssimativamente raccontato: del naufragio e di Ishmael, dei compagni perduti, dell'essere approdati su un'isola e della sua amnesia, ma il fatto che Zoro non fosse intervenuto una sola volta, sembrava decretare in maniera piuttosto ovvia che non avesse intenzione alcuna di aggiungere dettagli di una qualche rilevanza. A Nami venne il sospetto che non si fidasse abbastanza per farlo e che ai coniugi sarebbero dovute bastare le sommarie e confuse spiegazioni di una vittima di amnesia. Aveva omesso, per scrupolo, il fatto che Zoro fosse un pirata o che lo fossero i compagni che andavano cercando. Non desiderava affatto che per qualche ragione finissero nei guai.

«Dunque, se non ho capito male, amnesia e naufragio sono le uniche cose che vi accomunano ai ragazzi che sono approdati qui prima di voi...» constatò sbrigativamente Myra. Dalla pentola, sul fuoco del caminetto acceso, intanto si stava sollevando un buon profumo di zuppa.

«Io non soffro di alcuna amnesia» la corresse il pirata, portandosi entrambe le mani dietro alla testa.

«Era ovvio che mi riferissi a questa signorina qui. Dì, ma fa sempre così?»

Nami si strinse nelle spalle. Più che per giustificarlo, perché non lo ricordava affatto. Certo non sembrava la persona più accomodante della Terra. Ma la questione, per qualche motivo, sembrò divertirla.

«Piuttosto non ci avete detto cosa vi ha raccontato Ishmael» indagò Zoro stiracchiandosi, prima di rimettersi in piedi, come non aspettasse altro che il suo turno, per fare domande.

«Non ci ha raccontato niente, a dire il vero» Zamuel volle dar man forte alla moglie «Solo di essersi ritrovato sulla spiaggia, spogliato di tutti i suoi averi. Desiderava la conferma che questa fosse Especia»

«È chiaro che vi ha mentito» rispose Zoro, intransigente «Tua moglie ha detto che amnesia e naufragio sono le uniche cose che accomunano Nami alle persone che avete ospitato. Che altro hanno in comune queste persone?»

La domanda sorprese Nami: non era una considerazione sciocca. Aveva avuto il sospetto che fosse un attento osservatore, ascoltatore, ora ne aveva avuta la conferma. Cozzava un po' con quel suo lato di carattere che pareva non arrivare alle cose più elementari. Gli sembrava una personalità piuttosto complessa per essere inquadrata superficialmente.

Il vecchio direzionò lo sguardo alla moglie. A chiedere tacita conferma di poter parlare liberamente. Un cenno del capo gli diede l'assicurazione di poterlo fare.

«Gli occhi» rispose ambiguamente, richiudendo con un coperchio la zuppa e il suo sobbollire «non si somigliavano affatto l'un con l'altro, ma avevano tutti gli stessi, identici occhi: gialli come quelli di una tigre. E-»

«L'Ishmael che conosco io aveva gli occhi verdi» lo interruppe il pirata, avanzando di un passo. Nami era certa che non stesse dubitando delle parole del vecchio, ma sembrava molto interessato a capire cosa stesse succedendo. Come tutti, del resto.

«Non so che dirti, ragazzo. Magari non era lo stesso Ishmael che cerchi tu. Però è l'unico che abbiamo conosciuto»

Il pirata non commentò alcunché ma le rivolse uno sguardo che prometteva una disquisizione futura sulle informazioni che avevano raccolto.

«Io ricordo un paio di occhi gialli, a dire il vero...» mormorò Nami, prima che un'improvvisa fitta di mal di testa non la costringesse di nuovo al silenzio.

«Non sforzarti troppo» la riavvicinò la donna, posandole una mano sulla spalla «il fatto che la memoria torni a tratti è solo un buon segno, sai?»

Non era certa che quelle parole la rassicurassero, non si sentiva più tranquilla o sicura di quanto non avesse fatto sino a quel momento. Fidarsi di persone che non ricordava, che forse non conosceva affatto la metteva in una posizione scomoda. Eppure era così stanca, affamata e dolorante che quasi si convinse a lasciarsi vincere dal sentimento, dall'arrendevolezza. Quali alternative aveva, dopotutto?

E poi quel pirata non aveva dimostrato altro che premura nei suoi riguardi. Poteva anche aver il sospetto le avesse mentito, ma del parere opposto sembravano essere i suoi occhi. I suoi atteggiamenti. Dicevano molto più di lui di quanto non lo facessero le sue parole.

«La zuppa è pronta!» annunciò Zamuel posando la pentola fumante sul supporto di legno al centro del tavolo «direi che possiamo mettere da parte le chiacchiere e rifocillarci, immagino sarete affamati»

Lo stomaco di Nami rispose in maniera piuttosto rumorosa a quello stimolo.

«Una bella cena, un bagno caldo, una sana dormita... e domani potrete riprendere con la ricerca dei vostri amici. O di Ishmael...» suggerì adocchiando Zoro che si era avvicinato alla tavola, spinto dallo stesso istinto primario.

«Non avete per caso anche dell'alcool, vero?» chiese, sorprendendo tutti.

«Abbiamo un ottimo distillato digestivo» annuì Zamuel affrettandosi ad andare a ripescarlo dalla credenza.

«Me lo farò bastare...» commentò a mezza voce il pirata, prendendo finalmente posto.

 

Solo a stomaco pieno, Nami si convinse a tentare di camminare da sola. Le gambe erano traballanti ma il solo fatto di aver messo qualcosa sotto ai denti, sembrava averle dato forza a sufficienza per arrivare alla casupola esterna con il bagno.

Myra le aveva fatto compagnia durante il tragitto e le aveva accordato un po' di privacy dopo essersi assicurata che l'acqua nella vasca fosse adeguatamente calda.

«Qui trovi del sapone e dei sali da bagno» la istruì «ti lascio un panno per asciugarti e dei vestiti puliti. I tuoi puoi metterli in un angolo, mi assicurerò di lavarteli e farteli trovare pronti per domani»

Nami provò un moto di immensa gratitudine a quel gesto e quelle parole all'apparenza innocue.

«Non so come ringraziarti...» disse, poggiandosi al bordo della vasca. Già solo il tepore dei vapori dell'acqua le sembrò tremendamente attraente.

«Ah, non preoccuparti, ragazza mia» le sorrise la donna «prenditi tutto il tempo che ti serve. Io non sarò molto distante. Se hai bisogno di me, chiama, sarò qui fuori»

Nami le restituì un sorriso e un cenno d'assenso, finché non vide Myra richiudersi la porta alle spalle e lasciarla finalmente sola.

Rilasciò piano il fiato, sollevandosi appena per potersi liberare dei vestiti sudici e irrigiditi dal sale dell'acqua di mare. Fece un doloroso sforzo per sfilarsi la maglietta da sopra la testa, facendo attenzione a non sfregarla sull'enorme cerotto che aveva in fronte. Lasciò cadere a terra quella, facendo seguire i pantaloncini e infine la biancheria intima.

Provò un brivido di freddo non previsto, prima di rendersi conto che proprio di fronte a lei c'era uno specchio dall'aria malridotta ma decisamente più utile della pozza d'acqua in cui si era specchiata solo poche ore prima.

Si accostò alla parete per aiutarsi a restare in piedi, avvicinarlo e godere finalmente di una visione più chiara del suo riflesso.

La sensazione di riconoscersi le sembrò così vivida da rassicurarla. I capelli, gli occhi, le labbra le risultavano familiari. Persino il mezzo sorriso che andò a piegarle le labbra.

«Nami» mormorò a mezza bocca, ritrovando il gusto del proprio nome così come quando lo aveva sentito pronunciare dal pirata, la prima volta.

Si sfiorò con le dita il cerotto sulla fronte, passando per il viso, gli zigomi e il mento e poi sul collo, fino ad arrivare alle spalle, graffiate e coperte di lividi. Gli stessi graffi e gli stessi lividi che aveva intravisto persino sul viso e le braccia del pirata.

No, non del pirata. Di Zoro.

Avrebbe dovuto imparare e gestire il suo nome e tentare di trovarlo familiare tanto quanto gli sembrava ormai la sua presenza.

Si rese conto infine, solo in quel momento d'analisi, del tatuaggio che campeggiava su una delle sue braccia.

Si volse per esaminarlo per bene, riflesso allo specchio. La forma era armoniosa ma sembrava esser stato messo lì per celare una cicatrice che si percepiva appena, sotto le dita.

Si chiese cosa rappresentasse, ma la sensazione di calore che si propagò al centro del suo petto le suggerì, ancora una volta, che doveva essere qualcosa di importante.

L'immagine di una girandola e il ricordo del profumo intenso dei mandarini invasero la sua memoria, come un refolo di vento che l'accarezzò in modo tanto benevolo da inumidirle gli occhi di un'emozione nascosta.

«Ma che significa... ?» esalò, trattenendo una risata incredula, asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo. Le parole della vecchia sui ricordi che probabilmente sarebbero tornati le fecero ben sperare che anche quello fosse un buon segno.

Poi, l'ennesima fitta di dolore alla testa la costrinse a serrare le palpebre e posarsi di nuovo con una mano alla parete accanto, per evitare una brusca caduta. L'unica sgradevole controindicazione.

Le ci volle qualche istante, prima che la sensazione passasse ma quando riaprì gli occhi e li trovò incastrati in quelli del suo riflesso nello specchio, trattenne il fiato per lo sconcerto: le iridi della donna che la stava osservando dall'altra parte erano gialli, dorati e brillanti, come quelli di una fiera. Arretrò di soprassalto, rischiando di cadere, il cuore in tumulto. Che stava succedendo?

Quando tornò ad osservarsi però, con titubanza e timore, aggrappandosi allo specchio come ne andasse della sua stessa vita, non trovò niente altro che il nocciola degli occhi della Nami che le sembrava di riconoscere.

Che fosse stata solo un'allucinazione? Probabilmente era così esausta che il sonno e la veglia si erano fuse con parole e fatti che si erano susseguiti in quella assurda, infinita giornata.

Una volta assicurata che gli occhi estranei, nel riflesso, non avessero intenzione di tornare, si costrinse a trascinarsi verso la vasca da bagno.

Esaminò per qualche istante i sali da bagno, annusandoli uno per uno con una certa delizia: erano tutti così squisiti che alla fine lasciò vincere l'ultimo che aveva preso fra le mani. Ne versò un po' nella vasca e attirò a sé del sapone.

Ci volle qualche istante, prima di convincere il suo corpo a collaborare, alzare una gamba e poi l'altra, spingersi oltre le pareti della vasca e lasciarsi infine ricadere con un singhiozzo arrendevole, al caldo abbraccio dell'acqua bollente.

«Mio Dio...» sussurrò, sprofondando con abbandono fino al mento, lasciando che finalmente il calore si prendesse cura delle sue membra esauste.

 

*

 

«Siete sicuri di non volere niente altro?» il tizio del locale in cui erano approdati Rufy e gli altri, aveva servito così tanta carne che Sanji fu certo avesse dovuto metter mani alle scorte dell'intera settimana. Certo era che, di speziate a quella maniera, non ne aveva assaggiate mai e sebbene riluttante, dato il contesto, doveva ammettere di essere piuttosto curioso sul modo di cucinarla e trattarla. Si astenne dal chiedere solo per non alimentare inutili conversazioni.

«Io direi che qui abbiamo finito» rispose al posto del Capitano che dondolava, sazio e soddisfatto, sulla propria sedia.

«Spero sia stato tutto di vostro gradimento» si assicurò l'uomo, cominciando a sparecchiare «È molto tardi, abbiamo delle camere proprio sopra la nostra taverna. Sono piccole e modeste, ma la biancheria è pulita e i materassi sono molto comodi» offrì infine con aria casuale.

«Non credo che ci fermeremo...» gli rispose Sanji con un sorriso che doveva risultare convincente ma che forse gli uscì meno credibile del solito. Certo, si fosse trovato al cospetto di una donna sarebbe stato tutto molto diverso. Ma quell'uomo aveva una mascella troppo prominente anche solo per immaginarselo, come una donna, e fingere con più convinzione.

«Perché no?» Rufy aveva straordinariamente trovato la forza di intervenire, nonostante il gorgoglio del suo stomaco colmo all'agonia.

«Perché dobbiamo tornare a cercare i nostri amici e salpare» suggerì, sperando che capisse la sua ritrosia nel prolungare la loro permanenza, nonostante ormai fossero rimasti gli ultimi avventori della serata e il locale fosse deserto e ben poco ostile.

«Tutta questa fretta» si intromise di nuovo il grosso cameriere che probabilmente altri non era che il proprietario dell'intera struttura. Non sembravano esserci che lui e un paio di cuochi nel retro bottega «con questo buio le ricerche saranno piuttosto difficili. E sono sicuro che i vostri amici avranno trovato un posto dove condividere una stanza. Le locande qui attorno non mancano di certo»

«In nessun universo quei due dormiranno mai assieme» gli uscì spontaneo dire, infastidito dall'illazione che tale probabilmente non era.

Jimbe gli scoccò un'occhiata perplessa, sospirando qualcosa.

«Forse il signore ha ragione. L'ora è tarda e siamo stanchi. Non approfittarne sarebbe sciocco.»

Sanji lo guardò sorpreso. Era certo che avrebbe concordato con lui sul fatto di svignarsela il più rapidamente possibile. Lo sguardo che lesse negli occhi del gigantesco uomo pesce però sembrava suggerirgli altro. E nel dubbio, decise di assecondarlo.

«Bè, d'accordo immagino. Approfitteremo della sua... generosa offerta»

«Evviva!» esalò Rufy, con la voce strascicata di chi sembra più nel mondo dei sogni che in quello reale.

Sanji frugò nelle sue tasche, cercando i berry che aveva portato con sé per scrupolo e pagò il conto della cena.

«Per le camere, quanto dobbiamo?» chiese, cercando di fare un calcolo mentale sulle spese che potevano permettersi. Era Nami a gestire l'economia della nave e della cassaforte. Ma ora che se n'era andata avevano tutti dovuto attingere dai risparmi che avevano nascosto in giro per la nave, per le piccole spese extra che di solito la loro parsimoniosa navigatrice gli negava. Si era sempre sentito un po' in colpa nel farlo, nonostante non facesse altro che mettere da parte, invece che restituire, le spese settimanali che non smaltiva. Certo più avveduto del capitano o di quello scialacquatore dello spadaccino. Provò una fitta di fastidio all'idea che oltre ad avvertire un profondo senso di angoscia per la sparizione di Nami, ne provasse altrettanta per quell'idiota di Zoro. Probabilmente stava invecchiando e diventando più sentimentale. Non c'era davvero altra spiegazione.

«Ah, niente» la voce del proprietario della taverna a destarlo dalle sue riflessioni «Aggiungiamo il servizio pagato nel conto della vostra cena»

Un'affermazione che invece di placare i sospetti di Sanji, non fece che accrescerli. L'idea che offrisse loro alloggio, quando già scarseggiava clientela occasionale, gli sembrò controproducente, oltre che piuttosto strano.

«Molto generoso da parte sua, signor...» rispose, serrando le labbra, di nuovo quel sorriso che faticava a uscirgli spontaneo.

«Guss. Chiamatemi solo Guss» replicò affabile «Datemi qualche momento e vado a preparare la stanza. Godetevi questo digestivo, nel frattempo» dichiarò, estraendo tre bicchierini da chissà dove per riempirli con un liquido ambrato, dall'odore pungente «anche questo offerto dalla casa»

Sanji lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava con i piatti vuoti, prima di posare il gomito sul tavolo e avvicinarsi a Jimbe.

«Mi spieghi perché gli hai risposto che saremmo rimasti?»

L'uomo pesce inspirò a fondo, liberando le braccia dal possente intreccio con cui era rimasto in posa, fino a quel momento: «Perché siamo molto stanchi. Sono quasi due giorni che non riposiamo e affrontare una notte all'addiaccio non ci aiuterà certo ad affrontare qualsiasi cosa questa città abbia in serbo per noi» gli rispose «inoltre quest'uomo non sembra così pericoloso. E in ogni caso, se cercherà di fregarci, hai davvero dubbi sul fatto di potercela cavare?»

Sanji si rese conto che forse potevano davvero concedersi qualche ora di riposto. Magari monitorare la situazione, per scrupolo. Non erano nuovi a certi tipi di situazioni; già il fatto che avessero dei sospetti, doveva dar loro almeno un vantaggio.

«E sia...» si arrese definitivamente.

Quando vide Jimbe raccogliere il bicchiere con il liquore ambrato decise di fare altrettanto. E dopo aver fatto cozzare il proprio con quello del compagno, in una sorta di brindisi e tacito accordo, lo trangugiò in un sol colpo.

«Delizioso» commentò stancamente e solo allora Rufy si destò da un sogno fatto di ciambelle, reclamandone altre.

 

*

 

Zoro aveva raccolto le sue katane ed era uscito dalla casa dei loro gentili ospiti, che l'alba sorgeva timidamente all'orizzonte.

Aveva riposato per qualche ora e il suo corpo doveva aver reagito positivamente dopo gli sforzi della giornata, perché dopo una cena, un (riluttante all'inizio ma benefico dopo) bagno e una dormita, si sentiva piuttosto in forma.

Aveva sbirciato solo un istante il giaciglio su cui Nami stava riposando, nella stanzetta in cui li avevano sistemati e dopo aver constatato che stava dormendo ancora saporitamente, aveva deciso di non disturbarla e cominciare la giornata con un paio di allenamenti, per tenere impegnata la testa e il cuore.

Non lo aveva dato realmente a vedere ma quella situazione lo aveva destabilizzato. Non gli quadravano le informazioni apprese dall'anziana coppia, men che meno aveva gradito la fuga di quel maledetto Ishmael e, più di tutto, non gli andava a genio l'amnesia di Nami. Anche se, non andargli a genio non era esattamente il termine che meglio descriveva la situazione. Era arrabbiato, quello soprattutto. E preoccupato, certo. Ma più di ogni altra cosa si sentiva, per la prima volta, assolutamente impotente. Incapace di trattenere per le briglie una situazione assolutamente fuori controllo.

Combattere con un nemico invisibile e sfuggente era qualcosa che andava ben oltre le sue capacità e la sua volontà. Detestava i misteri quanto detestava la frustrazione di non riuscire a venirne a capo.

Avrebbe certo affrontato di petto la situazione, perlustrando l'isola da cima a fondo, pur di ritrovare i compagni e il naufrago che aveva causato quella situazione, ma la verità era che non poteva farlo, non con Nami in quelle condizioni.

Aveva già valutato la possibilità di affidarla alle cure dei due anziani, che si erano rivelati attenti e sinceramente premurosi, per proseguire solo nella ricerca, ma aveva scartato l'idea quando aveva realizzato che non poteva rischiare di perdere un altro membro della sua ciurma.

Aveva già affrontato sulla spiaggia il terrore che l'aveva pervaso quando aveva temuto di averla persa. Non desiderava ripetere l'esperienza. E poi era sicuro che una volta recuperata la memoria (perché sì, era certo sarebbe successo), Nami gli avrebbe scatenato addosso l'intero inferno per punirlo di non averla coinvolta.

Giustificandosi in questo modo si sentì in pieno diritto di lasciarla riposare e dare persino a se stesso una tregua.

Si svestì della casacca che il vecchio si era preoccupato di fornirgli per la notte, restando solo con il paio di pantaloni neri un po' troppo corti per le sue lunghe gambe, legati stretti in vita da una fusciacca color cenere.

Recuperò la Wado, estraendola dal fodero con la stessa cura e delicatezza che avrebbe riservato a una persona cara. Afferrò l'elsa con entrambe le mani, sollevando la lama verso il cielo, lasciando che catturasse le prime luci del mattino, permetterle di scintillare nella placida, rosea atmosfera mattutina.

I piedi scalzi affondarono nell'erba alta, accarezzati l'umidità della rugiada. Socchiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sui suoni della natura, tutt'intorno a lui.

Compì dei movimenti lenti, morbidi, simulando affondi e attacchi al rallentatore. Il solo suono della lama a sferzare l'aria ad accompagnare il suono dei primi cinguettii appena desti.

La calma, fuori e dentro di sé.

Solo dopo qualche minuto di raccoglimento un scalpiccio scomposto e la melodia di un canto sommesso, catturò la sua concentrazione. Suoni che niente avevano a che fare con il contesto in cui si stava muovendo. Il buffo latrato dell'anziano cane della coppia lo mise definitivamente in allarme.

Abbassò preventivamente la lama e riaprì gli occhi, raccolse la sua posizione, improvvisamente concentrato e attento.

Scandagliò i dintorni, cercando la fonte della sua distrazione e fu allora che vide quello che sembrava il fantasma di Nami. Si era già allontanata di parecchio dall'abitazione, lasciando aperta la porta d'ingresso. Si muoveva con incertezza sulle gambe che ancora non erano in grado di sorreggerla a dovere. A renderla quasi eterea, estranea allo scenario, era la candida camicia da notte che Myra le aveva prestato, quasi trasparente in controluce con il sole nascente, a lasciar intravedere le gambe snelle e le sue generose forme. I lunghi capelli, sciolti sulle spalle che ondeggiavano drammaticamente ad ogni passo malfermo.

«Ma che diavolo... ?» esalò, rendendosi conto della vaga nuvoletta di condensa che gli uscì dalle labbra. Si affrettò a rinfoderare la spada e affondarla nella fusciacca, cominciando a rincorrere la ragazza per raggiungerla. Restio a richiamarla a gran voce, piuttosto certo di svegliare i due anziani coniugi all'interno dell'abitazione.

Non gli fu difficile avvicinarla, e infine raggiungerla. Le afferrò un braccio mentre le note di una canzone che aveva già sentito, si smorzavano sulle labbra pallide della ragazza.

«Quindici uomini. Quindici uomini... sulla cassa del...» la strattonò per costringerla a voltarsi e un paio di grandi occhi dalle iridi dorate si fissarono nei suoi, sgranandosi confusi «... morto!»

«Nami?» la richiamò allora, incredulo di ciò che stava osservando. Se prima pensava fosse solo sonnambula, ora la questione sembrava di tutt'altra natura. Ma prima che potesse afferrarne il senso la ragazza prese a dimenarsi come se avesse visto davvero un morto o un fantasma. Cacciò un grido tanto acuto che Zoro dovette mettere da parte lo sconcerto per tapparle la bocca, nel disperato tentativo di placarla.

«Ma che diavolo ti prende?» chiese, ben consapevole che non sarebbe certo stata la sua sciocca domanda a farla rinsavire. La sentì dimenarsi, nonostante l'avesse stretta in una morsa con una delle sue braccia e si costrinse a non lasciarla andare, nonostante avesse affondato i denti nella sua mano, mordendolo a sangue, nel tentativo di liberarsi.

La sentì perdere l'equilibrio e quasi sfuggirgli dalle braccia. La seguì a terra, crollando sulle sue stesse ginocchia, lasciando che si dimenasse ancora qualche istante, prima di sentirla abbandonarsi lentamente alla resa.

Le lasciò andare la bocca, ignorando il sordo dolore del suo morso e solo quando sentì il suo respiro tornare regolare, a liberarla definitivamente.

«Nami...» la richiamò di nuovo, conscio che forse non gli avrebbe risposto. Ma doveva sapere. Doveva di nuovo guardare i suoi occhi, accertarsi che fosse reale, ciò che aveva appena visto.

La costrinse a rimettersi dritta, trattenendola per le spalle, a raccogliere il suo mento per costringerla a sollevare il capo nella sua direzione.

Quando Nami inchiodò di nuovo gli occhi ai suoi, erano tornati del colore nocciola che le aveva sempre associato. Ci lesse tanto lo sconcerto, quanto la paura di ciò che era appena successo.

«Che mi sta succedendo?» la sentì sussurrare appena. La vide finalmente battere le palpebre consapevole di essere tornata in sé, di essere arrivata fin lì contro la sua volontà.

Zoro non poté fare a meno di associare quell'evento a ciò a cui aveva assistito, solo la sera prima, a bordo della Sunny: Ishmael affacciato al parapetto. Il sonnambulismo, il presagio di morte. E poi quella dannata canzone. E infine gli occhi gialli, presenti nel racconto del vecchio, associati a tutti i naufraghi che si erano ritrovati a ospitare. L'amnesia collettiva. Quella di Nami. Le coincidenze, per quanto straordinarie non potevano davvero essere tanto numerose. Doveva esserci un assurdo collegamento.

Si sentì improvvisamente inquieto, mentre il sotto strato di frustrazione e rabbia bolliva in profondità, tenace e potenzialmente esplosivo.

Nemmeno si era reso conto di averle posato la mano sul viso, nel tentativo di rassicurarla.

Lei assecondò quel gesto, serrando la presa alla sua mano, come ad aggrapparsi a qualcosa di concreto. Gli occhi che gli chiedevano di non lasciarla andare, di non permetterle di precipitare di nuovo nell'oblio.

Zoro la lasciò fare.

Perché aveva appena realizzato una cosa importante: Nami aveva finalmente deciso di fidarsi di lui.

 

Continua...

 

Note:

Capitolo un po' più prolisso del previsto, ma che non potevo interrompere prima di arrivare proprio a quella conclusione lì. Spero non sia risultato inutile il piccolo angolino fanservice di Zoro che fa cose nel pallido mattino rugiadoso. Sul resto, mi sono resa conto che volevo anche il punto di vista di Sanji, desideravo dargli una voce, sperimentare e tentare di giostrare pure lui e quindi... vabbè. Non mi sono dimenticata del resto della ciurma, comunque. Avranno il loro spazio. Spero la trasma non risulti troppo confusionaria, ma prometto che presto i nodi verranno al pettine e qualcosa verrà svelato. Per il momento grazie a tutti, come sempre, per avermi seguita fin qui. A presto.

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Capitolo 6
*** 6. Predizioni ***


Capitolo 6

 

Predizioni

 

''Il cuoco sta impastando il pane...

Yo-o-o-o-ho, stendi l’uomo!

e quando lo mangerai cadrai morto!''

 

 

Sanji era sicuro di non aver mai dormito meglio in tutta la sua vita. O così gli raccontava la sensazione di assoluta rilassatezza che l'aveva accolto non appena aveva aperto gli occhi quella mattina. Sensazione che si disintegrò altrettanto rapidamente, quando si rese conto che l'enorme, ingombrante figura di Jimbe oscurava, in parte, la luce fioca che arrivava dall'unica finestra che dava sull'esterno della loro stanza.

Si sedette rapidamente sul letto, la testa appesantita da una spossatezza innaturale.

Innaturale: ecco la parola che andava cercando.

«Ti sei svegliato» commentò laconico il grosso uomo pesce, restio a lasciare la postazione di vedetta.

«Perdonami Jimbe, avevamo deciso di fare a turno...» biasciò roco, vagamente indispettito da se stesso «potevi svegliarmi.»

«Lo avrei fatto» sospirò questi, dando un'occhiata veloce al capitano che ancora ronfava beato a un lato della piccola stanza che Guss aveva riservato loro «se solo non avessi perso anche io i sensi, poco dopo di voi.»

«C-che cosa?» Sanji si rianimò, cercando di levarsi in piedi. Di nuovo quella fiacca sensazione. Come se il suo corpo faticasse a reagire ai comandi della mente. Si sentiva drogato.

«Resta pure dove sei. Non credo ci sia molto che possiamo fare ormai»

«Che vorresti dire? Che cosa è successo?»

Solo in quel momento si rese conto di un brusio sommesso, che arrivava ovattato proprio dal piano inferiore, dove c'era la taverna.

Riuscì a raggiungere Jimbe che si scostò appena per permettergli di guardare fuori. Oltre la finestra, al piano di sotto, dove la sera prima c'era ad accoglierli una strada deserta e silenziosa, si era assiepata una piccola folla: si davano il cambio per entrare o uscire dal locale.

«Tutta questa gente, qui, per fare colazione?» si interrogò, massaggiandosi indolente la testa.

«Ne dubito. Soprattutto se ipotizziamo che il locandiere ci abbia servito del cibo condito a sonnifero per una qualche ragione.»

Sanji si trovò a sgranare gli occhi. Come aveva fatto a non accorgersene? Certo, le spezie nella carne erano molto particolari, ma un tale delicato bilanciamento di sapori non lo avrebbe certo portato a pensare a un'alterazione pericolosa. Dunque che altro?

«Il digestivo» realizzò infine, in un guizzo di consapevolezza, lanciando a Jimbe la soluzione dell'enigma «il sapore dell'alcool ha impedito di distinguere qualsiasi schifezza ci abbiano infilato dentro per farci dormire»

«Rufy però non l'ha bevuto, eppure dorme come un bambino»

«Ma Rufy è Rufy, mangia quando ha fame, dorme quando ha sonno. Forse, a torto, al locandiere non è sembrato una minaccia.»

Jimbe gli scoccò un'occhiata consapevole e meditabonda assieme. Tornò a fissare la strada e la lunga fila di avventori che si snodava poco fuori dalla porta d'ingresso.

«Che facciamo?»

«Potremmo darcela a gambe su per i tetti di questo palazzo ma dubito che passeremmo inosservati» suggerì Sanji, alludendo alla sua stazza che certo non era granché mimetizzabile «e non ho intravisto grosse vie d'uscita qui fuori, senza passare per le scale che portano dritti dritti alla taverna.»

«Temo che in qualche modo saremmo costretti ad affrontarli. O a farci dare una spiegazione»

«Una spiegazione?» gli chiese stranito. Già s'immaginava uno scontro epico contro un branco di cacciatori di taglie particolarmente agguerriti.

«Bè, avessero voluto catturarci credo che niente avrebbe impedito a Guss o chi per esso di legarci come salami e trasportarci da chiunque sia l'autorità di questo posto»

Jimbe non aveva tutti i torti, in effetti. E Sanji si chiese che senso avesse drogarli se poi le intenzioni non erano altro che... bè, il diavolo se riuscisse a immaginare quali fossero.

«Suppongo che l'unico modo per scoprirlo sia scendere e... prepararci a tutto. Anche se avrei preferito iniziare la giornata con un caffè...»

«Qualcuno ha detto caffè?» la voce di Rufy arrivò dalle retrovie, istigata dalla promessa di una colazione in arrivo.

Sanji si chiese se non sarebbe stato infinitamente meglio sperare che dormisse fino alla fine.

 

*

 

Di tutte le cose che Nami aveva dimenticato, di certo non c'era quanto amasse il sapore forte del caffè. Ricordava di preferirlo poco zuccherato, quasi amaro. Una linfa benefica dopo una nottata piena di incubi e di un'inaspettata escursione esterna.

Sorseggiava la bevanda che l'anziana Myra si era preoccupata di farle trovare al suo risveglio e si chiedeva che ne sarebbe stato di lei, se Zoro non si fosse accorto del suo sonnambulismo. O qualsiasi cosa le avesse causato quell'inconsapevole fuga. Aveva già tristemente saggiato cosa significasse non avere il controllo del proprio corpo - per non essere riuscita a camminare agilmente per tutto il giorno precedente - ma non si era certo aspettata che, una volta recuperata la non scontata abilità di camminare, si sarebbe ritrovata priva di coscienza. E sopratutto incapace di controllare dove quelle gambe avessero intenzione di portarla.

Nella testa non le era rimasto altro che quel motivetto sui quindici uomini e l'immagine di una donna con gli occhi color ambra. Senza dimenticare la presa salda di Zoro e le sue attenzioni, a strapparla dalle allucinazioni, a tenerla ancorata alla realtà.

Si chiese se l'intera faccenda non avesse a che fare con quello che aveva creduto di vedere nello specchio solo la sera precedente. Quegli occhi, i propri occhi, che la guardavano oltre il riflesso, così simili a quelli del suo sogno.

Doveva esserci una connessione. Il problema era capire quale fosse.

«Non hai mangiato niente, dovresti. Ti aiuterà a rimetterti in forze più rapidamente» le disse Myra spingendole accanto un canestro colmo di pane e frutta.

«Mi sento già in forze. Ed è tutto merito delle vostre premure»

Si chiese se il siparietto che si era svolto all'alba fosse davvero passato inosservato a Myra e suo marito. Zoro l'aveva aiutata a rientrare in casa, aveva silenziosamente richiuso la porta alle loro spalle e si era assicurato che non prendesse freddo, accompagnandola nella loro stanza, sperando riuscisse a riprendere sonno sotto le coperte calde e accoglienti del suo giaciglio. Ma il cane aveva abbaiato a lungo ed era sicura di aver intravisto una luce, poco prima di rientrare in casa, dalla finestra di quella che doveva essere la camera da letto dei due anziani.

La donna però non ne aveva fatto menzione. Forse non credeva che fosse qualcosa di cui preoccuparsi davvero o forse, visti i precedenti con gli altri naufraghi, il fatto che fosse tornata, risultava più una piacevole novità, che non un motivo di rimprovero.

«Sei inquieta e lo capisco, ma per quanto mi riguarda tu ed il tuo amico potete rimanere qui per tutto il tempo che vi serve» disse la donna «a mio marito fa comodo avere un po' di aiuto, dopotutto»

Nami lanciò uno sguardo oltre la finestra del piccolo soggiorno: Zoro era in compagnia del vecchio Zamuel e lo stava aiutando a trasportare delle fascine di legna. Mentre per il vecchio una sola scorta sembrava motivo di grande fatica, lo spadaccino, che ne trasportava due sotto ogni braccio, pareva non avere alcuna difficoltà. Era convinta, anzi, che se le sue braccia fossero state più lunghe si sarebbe concesso di portarne il doppio, senza lamentare il minimo sforzo.

«Io non ho alcuna fretta a dire il vero, ma non posso dire altrettanto di lui» alluse a Zoro, senza pronunciarne il nome. Ancora faticava a farlo senza che le sembrasse strano.

«So che volete ritrovare presto i vostri amici. Chissà quanto sono preoccupati»

Nami si strinse nelle spalle. Non aveva certo idea di quanto potesse essere vera quell'affermazione. Nemmeno riusciva ancora a credere che ci fossero davvero delle persone che stavano cercando di lei. Ma aveva deciso di fidarsi, di credere alle parole di quello spadaccino gentile; di quel pirata gentile. La parola non le sembrava più così ostica, dopotutto. Quella mattina gli aveva chiesto di restare con lei, di non lasciarla sola dopo averla riaccompagnata in casa. Lui lo aveva fatto e si era sentita di nuovo al sicuro. Una sensazione strana, ma sopportabile.

«Se serve a tranquillizzarti posso provare a dare una sbirciatina nel vostro futuro» intervenne di nuovo la donna a strapparla dalle sue elucubrazioni.

Nami le lanciò un'occhiata incuriosita, non era certa di saper dare un'interpretazione a quella proposta.

«Appena finisci il caffè, passami quella tazzina» propose.

Nami, che aveva già terminato da un pezzo, fece quello che le aveva chiesto, adesso molto curiosa di scoprire cosa avesse intenzione di fare.

«Non è sempre facile» prevenne Myra, osservando il fondo della tazzina con aria concentrata «per alcuni è tutto molto nitido, lineare, per certi altri la strada è tortuosa, annebbiata. E date le strane circostanze in cui vi siete ritrovati qui, dubito sarà facile interpretare, ma facciamo comunque un tentativo»

Nami la guardò a lungo, mentre scrutava il fondo di quella sua tazzina come se potesse sviscerare il significato stesso dell'esistenza umana. Si chiese se stesse davvero cercando di carpire informazioni su un futuro che aveva ancora da venire, se fosse una cosa davvero possibile. Si disse che, sebbene strampalato, un po' di aiuto o di fortuna non avrebbe certo potuto fare male.

Si stufò però rapidamente di seguire i borbottii della donna che non faceva altro che rigirarsi la ceramica fra le mani; tornò ad osservare il mondo fuori dalla finestra, avvertendo la fresca brezza che spirava dall'esterno e socchiuse gli occhi.

Improvvisamente il rumore del vento fra le fronde degli alberi le sembrò quello dello sciabordio delle onde dell'oceano, il profumo del rosmarino e delle erbe posizionate sul davanzale le ricordarono quello della salsedine e lo stridio dei gabbiani divenne potente ed evocativo. Si immaginò seduta a una scrivania, le dita sporche d'inchiostro, il profumo e la consistenza di carta di pergamena sotto le mani.

«Non saranno i vostri amici a trovarvi»

La voce della donna la fece sobbalzare di prepotenza. La forza di quel sogno ad occhi aperti, quella visione o perché no? Di quel ricordo, svanirono all'improvviso e fu irritata, delusa e scossa nel constatare di essere tornata alla brusca, cruda realtà delle cose.

«Di che stai parlando?» le venne spontaneo chiedere, più bruscamente di quanto avesse preventivato.

«Lo leggo qui. Nel fondo del tuo caffè. Ci sono persone che vi stanno cercando. Ma non sono amichevoli»

Nami scosse la testa a scacciar via gli ultimi residui di quel suo sogno, concentrandosi sulle parole della donna.

«Perché ci stanno cercando?»

«Questo non riesco a capirlo. Ma dovrete fare attenzione. Il tuo amico con le spade sembra molto forte, ma c'è qualcosa di davvero spaventoso in queste persone che poco ha a che fare con i muscoli»

«Questo non ci aiuta molto»

«Bè, te l'ho detto che alcuni percorsi sono meno leggibili di altri. Forse dovrei leggere quello del tuo amico. Mi sembra una persona molto meno complessa di quanto non lo sia tu»

Nami sbirciò fuori dalla finestra. Zoro si stava ancora affaccendando al fianco del vecchio.

«Non sembra tanto sveglio, vero?» bisbigliò, pentendosene quasi immediatamente. Si chiese perché avesse sentito l'impulso di rimarcarlo, tanto per cominciare. Di stuzzicare una reazione che non avrebbe potuto arrivargli.

«Non ho proprio detto questo» tossicchiò Myra «ma immagino che sia molto più pratico che calcolatore. E non ha perso la memoria, come è successo a te, mia cara.»

«La memoria incide sul futuro?» si voltò a guardarla di nuovo, perplessa.

«Le memoria incide su tutto. Senza memoria di ciò che siamo stati, il futuro può avere mutamenti imprevedibili. Cambia... la prospettiva»

Nami si ritrovò a ragionare su quel pensiero. Se avesse ancora i suoi ricordi forse ora non si troverebbe lì. Forse sarebbe stata molto più utile a Zoro. Forse avrebbero già ritrovato i loro amici. Il futuro, per quanto imperscrutabile, stava cambiando in quello stesso momento.

«È comunque una buona cosa che ci sia lui con te. Che custodisca almeno i ricordi che avete in comune»

«Non ci sono state molte occasioni di interrogarlo a riguardo» le confessò d'istinto «Mi ha raccontato l'essenziale. Non posso certo dire di conoscerlo più di quanto non conosca te o tuo marito.»

«Le vostre interazioni dicono esattamente il contrario» la donna aveva posato la tazzina «non puoi mentire su una cosa del genere»

Nami alzò un sopracciglio.

«Intendo dire che ho scorto certe dinamiche

«Quali dinamiche?»

Myra si ritrasse un po' sulla sedia, cercando di capire se stesse facendo la finta tonta o cosa.

«Bè» rilasciò una risatina che a Nami sembrò proprio stupida «dinamiche molto intime. Come quelle di due innamorati»

La ragazza dovette aggrapparsi al tavolo per non lasciarsi scivolare di sotto per la sorpresa.

Lo sconcerto, l'imbarazzo o qualsiasi altra reazione fu sedata dal rumore della porta che veniva aperta violentemente da un calcio.

«Ragazzo! Ti avevo detto che ti avrei preceduto io!» la protesta del vecchio alle sue spalle, mentre Zoro lanciava a terra una fascina di legna.

Nami lo guardò spolverarsi le mani ed esaminare per mezzo istante una scheggia che doveva esserglisi conficcata in una mano. Dopo aver deciso che non era poi così importante, puntò il suo sguardo su Nami.

«Allora?» esordì bruscamente «quando ripartiamo?»

Nami lanciò un'occhiata a Myra, chiedendosi se fossero quelle le dinamiche che dovevano risultarle romantiche. Ma si scoprì più curiosa di godersi lo spettacolo dell'anziana donna che andava a rispondere a Zoro per le rime.

 

 

*

 

Sanji non era davvero riuscito a fermarlo.

Prima ancora che potessero decidere un vero e proprio piano d'azione, Rufy era saltato giù dal letto e aveva spalancato la porta, per lanciarsi al piano di sotto.

Sanji si era infilato la giacca in tutta fretta e si era precipitato giù dalle scale, seguito lestamente da Jimbe.

Quando si ritrovarono entrambi di sotto, stentarono a credere alla quantità di persone che assiepavano la stanza.

Il brusio si era improvvisamente interrotto e solo il rumore delle ganasce di Rufy che si era letteralmente lanciato sul cibo pronto sul bancone, riempiva il silenzio.

«Sono loro?» si sentì qualcuno sussurrare e il brusio riprese, sempre più forte, fino a esplodere in un grido corale di... giubilo?

Sanji non riuscì a capire un bel niente di ciò che successe gli istanti successivi. Si sentì trascinato al centro della stanza. Non avvertiva pericolo perciò il suo istinto lo prevenne dallo smorzare quell'eccesso di entusiasmo a suon di calci, ma restò curiosa la modalità con cui tutti li fissavano fra l'entusiasmo, la sorpresa e l'aspettativa.

«Siete voi gli stranieri, vero?»

«Era da tempo che non arrivavano navigatori!»

«Ma sono veri?»

«Sono anche dei bei ragazzi! E quello lì... pelle blu? Cos'è?»

«Ragazzi, ragazzi!» intervenne sopra tutte la voce di Guss, che riemerse dal bancone con aria bonaria e pacificatrice «vi avevo chiesto di non spaventarli»

«Non siamo spaventati» si giustificò Sanji, in posizione da combattimento, schiena a schiena con Jimbe «ma vorrei sapere che diavolo sta succedendo»

Adocchiò Rufy che si limitava a dare gomitate a chiunque si avvicinasse troppo al suo banchetto, anche solo per esaminarlo.

«Perdonateli. Sono solo curiosi, è talmente raro incappare in stranieri che...»

«... che ti è sembrato lecito infilare droga nei nostri digestivi?» lo accusò impedendogli di avvicinarsi ulteriormente, l'espressione determinata di chi non è intenzionato a perdere facilmente.

Vide Guss sgranare gli occhi e divenire rosso in volto, indice inconfutabile della sua colpevolezza.

Balbettò qualcosa in risposta sul non aver esagerato con le dosi.

«Sembravate aver intenzione di scappare il prima possibile, e non volevo rischiare che spariste alla chetichella questa mattina... non sono stato corretto.» indietreggiò, le mani alzate a tenere a distanza gli avventori.

«No, non lo sei stato affatto. Potresti pagarla molto cara per questo»

«Io non ho mai dormito meglio in vita mia!» intervenne Rufy con la bocca piena di dolcetti casalinghi, smontando le sue intenzioni di risultare intimidatorio.

Sanji dovette reprimere un'imprecazione e passarsi una mano fra i capelli per sedare parte del suo nervosismo.

«Spiegaci perché non volevi ce ne andassimo» forse i loro avvisi di taglia erano arrivati fin lì e li stavano trattenendo, tergiversavano in attesa dell'arrivo della Marina. Ma gli sembrò improbabile anche quella spiegazione.

«Non so se ve ne siete accorti, ma questo posto è difficile da individuare sulle mappe»

Sanji ci rifletté un istante, scambiando un'occhiata con Jimbe. Ci ritrovò la stessa consapevolezza.

«Il fatto è che gli stranieri non sono ben visti da queste parti. Stranieri e pirati

Sanji scoccò un'occhiata a Rufy, pregando che non parlasse, che non si lasciasse sfuggire nulla, ma per il momento continuava a mangiare. Il ricordo dei cadaveri putrescenti appesi ai faraglioni non si era ancora attenuato.

«Questo a causa di un... incidente, avvenuto ormai tempo fa. Molto tempo fa»

Guss sospirò, l'espressione greve di chi con certe storie ci convive.

«Racconta» intervenne Jimbe, ridimensionando la postura combattiva.

Guss fece passare lo sguardo sui presenti alla locanda. A cercare una sorta di approvazione collettiva alla condivisione. Le occhiate solenni e consapevoli della folla sembrarono concedergli di continuare.

«Solo se poi sarete disposti a raccontare a noi cosa sta succedendo nel mondo, là fuori» si permise infine di dire. Mantenendo una postura rigida e solenne.

Sanji non esitò ad annuire.

«Così come è difficile per le imbarcazioni arrivare sin qui, lo è anche per le notizie... succede solo quando si muovono i nostri mercantili per trasportare le spezie, ma non c'è mai una reale continuità.»

«Perché le mappe sono tanto imprecise?» domandò Jimbe, poggiandosi al bancone accanto a Rufy.

«Perché il vecchio governatore, anni fa, decise di divulgare false mappe per rendere difficile l'individuazione di Especia. Quelle reali sono in mano alla Marina, ovviamente, per il resto alcuni dei vecchi membri del consiglio si sono assicurati di spargerle per il mondo, per questo Especia è diventata un'isola tanto misteriosa.»

Jimbe annuì. E Sanji comprese che tutti i discorsi che avevano condiviso il pomeriggio precedente ora trovavano una spiegazione. Nami non si era sbagliata sulla direzione di Especia, ma erano le mappe ad averla tratta in inganno, ecco perché erano approdati lì molto prima del tempo stabilito.

«E quale sarebbe il motivo di tanta riservatezza, di grazia? E sopratutto perché ce lo state raccontando?»

«Perché sono anni che viviamo in queste condizioni. Il commercio è castrato. E le autorità locali concedono solo licenze per rendere Especia un'isola che sembra uscita da una favola della buonanotte. Screditandola a tal punto da renderla giusto un'attrattiva turistica per chi ci capita per caso. Il vulcano, un paio di leggende metropolitane su qualche maledizione e il gioco è fatto. Persino la fama che ci portavamo appresso da secoli con la raffinatezza delle nostre spezie, è andata a perdersi. Ai navigatori certe stronzate non interessano, figuriamoci ai pirati.»

«In effetti le vostre spezie hanno un sapore tremendo» Rufy era riemerso dal suo banchetto, massaggiandosi la pancia con aria soddisfatta.

«Ma davvero?» gli rispose Guss con l'aria sarcastica di chi crede proprio il contrario «come credi che siano preparati tutti i piatti che ti sei appena divorato?»

La risposta arrivò nello sguardo sorpreso e soddisfatto del Capitano che finalmente aveva capito, forse, il discorso di Sanji del giorno precedente.

«Hai detto che tutto questo è stato causato da un incidente?» incalzò Sanji che ne aveva abbastanza di procrastinazioni, «che cosa è successo di tanto grave da portare il vostro governatore a decidere di cancellare la reputazione dell'Isola?»

Guss si umettò le labbra e sospirò.

«È una lunga storia. Forse è meglio se comincio a preparare molti caffè»

«Preferibilmente lisci...» alluse il cuoco, ricevendo l'ennesimo sguardo di scuse dal proprietario.

 

 

*

 

Nami si sentì soffocare nello stritolante abbraccio di Myra. Non era certa fosse propriamente a suo agio, ma nemmeno che la cosa le dispiacesse più di tanto. Aveva come l'impressione che gli abbracci fossero una cosa a cui era piuttosto abituata. Forse più a darne che a riceverne, comunque.

«Cercate di fare attenzione. Avete davvero tutto ciò di cui potreste avere bisogno? Altro cibo?» si assicurò di elargire le ultime raccomandazioni, prima del congedo definitivo.

«Non possiamo viaggiare più carichi di così» si intromise Zoro che aveva sulle spalle il peso di uno zaino piuttosto gonfio. Nami si volse a guardarlo, sentendosi quasi in colpa di non potergli essere di molto aiuto. Già un progresso poter riprendere il cammino sulle proprie gambe.

«Hai promesso di proteggerla, nella buona e nella cattiva sorte!»

«Veramente non ho mai detto una cosa sim-»

Myra afferrò un bastone poggiato casualmente accanto alla parete, per poterglielo puntare contro, dando concretezza al suo ammonimento. Ignorò completamente l'espressione attonita del ragazzo, deviando poi con con una rotazione acrobatica le mire di quell'arma impropria, per porgerla aggraziatamente a Nami.

«Questo ti sarà di aiuto per camminare»

Nami non riuscì a far altro che allungare le mani ed accettare quell'insolito dono. Lo strinse appena fra le dita e la sensazione le risultò familiare, una manovra a cui era abituata nella sua vita precedente, quella dove il cervello ancora funzionava a dovere.

Lo osservò a lungo, aspettandosi che quell'oggetto inanimato le suggerisse qualcosa.

«Somiglia al tuo Clima Takt...» la voce di Zoro ad illuminarle un pensiero che già stava cominciando a girarle per la testa.

Le arrivarono, fulminei, alcuni flash di perdute memorie, la voce di fondo di qualcuno che le spiegava di essere riuscito a perfezionarlo e visioni di cataclismi temporaleschi.

«Potrei averlo perso in mare?» gli chiese, implorando altri suggerimenti, il ricordo riemerso le suggeriva di averlo sempre portato con sé ed ebbe il potere di farla sentire improvvisamente nuda.

Zoro scosse la testa.

«Sono certo che sia al sicuro, da qualche parte, nella tua cabina» la rassicurò con un gesto. Le sembrò voler aggiungere altro, ma si fermò, forse conscio ci fossero altre orecchie in ascolto. Orecchie che non avevano bisogno di sentire altro. Anche per quello Nami si era intromessa nella discussione di qualche ora prima, e aveva espresso il desiderio di lasciare l'abitazione dei due anziani. Aveva bisogno di recuperare alla svelta i suoi ricordi e per farlo non poteva certo dormire sugli allori in un posto che non era altri che l'illusione di un porto sicuro. Doveva poter parlare liberamente con Zoro, ritrovare i suoi amici e capire, finalmente, chi diavolo fosse.

Si limitò quindi ad annuire, cercando di affrettare i saluti.

«Grazie» si rivolse a Myra che le elargì per l'ennesima volta un sorriso incoraggiante.

«Avete una mappa. I villaggi sono ben segnalati. Cercate di evitare la palude e la foresta e dovreste incontrare pochi intoppi.»

«Ricevuto» le rispose, trovandosi a disagio nel dirle che da una rapida sbirciata alla mappa, la palude era forse il modo più rapido per raggiungere la parte opposta dell'isola, senza doversi inerpicare di nuovo su scogliere e faticosi declivi.

«E quando ritroverete i vostri amici, tornate a trovarci. Vogliamo essere sicuri che siate riusciti a cavarvela»

Le strinse una mano con un sorriso che sapeva di pianto imminente, la stessa dolente espressione che riservò loro Zamuel, nel ringraziare Zoro per il suo aiuto.

Dopo essersi assicurata di riuscire a camminare senza sentire troppa fatica, aveva alzato una mano per l'ultimo, definitivo cenno di saluto e si era data da fare per raggiungere Zoro che non si era attardato troppo a lungo nei convenevoli.

Poteva ancora sentire su di sé lo sguardo dei due anziani coniugi e il latrato del cane, quando si addentrarono nuovamente nella boscaglia che li avrebbe condotti lontano da lì.

 

 

«Ancora non mi hai detto come fai ad essere tanto sicuro che ritroveremo la tua ciurma» fu la prima domanda che gli rivolse, quando fu certa di aver superato il limite a quell'ostinato gioco del silenzio in cui Zoro sembrava essersi trincerato per tutta la prima parte del percorso «o che siano su quest'isola, tanto per cominciare. Che abbiano davvero deciso di cercarci»

Le pareva piuttosto infastidito dal dover mantenere un passo tanto flemmatico. Era certa che, se ancora non si era offerto di rendere più agile il percorso, caricandosela sulle spalle, fosse a causa dello zaino stracolmo di viveri che si portavano appresso. Non era nemmeno certa che in caso di esplicita richiesta non si sarebbe inventato uno stratagemma per portare entrambi, comunque. Aveva come la sensazione che quello spadaccino avrebbe potuto spingersi oltre l'immaginabile pur di arrivare a un obiettivo.

«Se te lo stai chiedendo è perché ancora non ricordi chi sia il nostro capitano»

«Ma dai?» gli rispose con aria infastidita e sarcastica insieme «se non te ne fossi accorto sto cercando un aiuto qui. Non ti faccio domande per avere risposte ovvie».

«È l'unica risposta che posso darti. È un dato di fatto.»

Nami serrò le labbra per trattenere una battuta indispettita. Cercò di ascoltare il suo buonsenso, di interpretare, ancora una volta, le parole dello spadaccino, samurai, pirata o quel diavolo che fosse.

«Devi fidarti davvero molto di lui» si limitò a concedergli, cercando persino in se stessa quella solida speranza. Da un certo punto di vista assumersi le certezze del compagno di viaggio avrebbe forse potuto aiutarla a viverla meglio, quella sua strampalata situazione.

Zoro non le rispose immediatamente, scostando con l'elsa delle spade alcuni cespugli che intralciavano loro il cammino.

«Anche tu lo fai»

«Perché?» insistette «che cosa ha fatto quest'uomo per guadagnarsi così la nostra fiducia?»

«Uomo...» Zoro si limitò, sorprendentemente, ad accennare una risata.

Lo sbirciò confusa, alzando abbastanza la testa per constatare che stesse ridendo davvero.

«Perché, non è un uomo? Abbiamo sempre parlato di una donna ed io non lo avevo capito?»

«Ah no, certo che no. Ma uomo non è la definizione più calzante per uno come Rufy. Un ragazzo. Ecco cos'è.»

«Il nostro capitano... un ragazzo

Nostro.

Nami si rese conto di aver ceduto. Ma Zoro sembrò compiaciuto di sentirglielo dire e parve improvvisamente più propenso al dialogo.

«Bè... appena più giovane di noi. Dovrebbe avere poco più di diciott'anni. Anno più anno meno. Non gliel'ho davvero mai chiesto.»

«Dei del cielo. Mi stai prendendo per il culo?» che razza di rapporto potevano avere se si fidava di lui, ma di lui non ricordava nemmeno quanti anni avesse?

«E perché dovrei?»

«Come fai a fidarti di un ragazzino?» davvero non ci arrivava? «Quanti anni mai potremmo avere tu ed io? Almeno una trentina tu, ma io... ?»

«Ohi, trentina a chi?»

«Anno più, anno meno...» gli rimbalzò la definizione e Zoro affrettò il passo di riflesso.

«Me lo puoi dire almeno quanti anni ho io? O non sai nemmeno questo? C'è qualcosa che sai di me? O della tua ciurma? O che vuoi raccontarmi senza essere ambiguo?»

Aveva affrettato il passo anche lei e non si era resa conto che Zoro si era improvvisamente fermato. Per poco non gli finì addosso, con il rischio di schiantarsi contro quella schiena granitica.

Quando rialzò la testa si rese conto che si era voltato nella sua direzione e si ritrovò ad osservare il suo volto severo e statico. Non le faceva paura, quello no, ma poteva giudicare, con una certa sicurezza, quanto fosse infastidito.

«È che come al solito non stai facendo le domande giuste. Non te lo posso spiegare perché mi fido di Rufy o perché lo fai tu. O perché lo facciano tutti gli altri. E non ti posso rispondere su quanti anni tu abbia perché francamente io non me lo ricordo»

La risposta la sorprese. Forse non erano così intimi come aveva tentato di suggerire l'anziana Myra. Forse quello Zoro non era altri che il lupo solitario che le era sembrato all'inizio. E probabilmente non era la persona giusta a cui chiedere per avere snodi importanti sul recupero della sua memoria. Era delusa nell'aver riposto tante speranze in quell'accenno di conversazione. Lo era ancora di più per il fatto che solo poche ore prima Zoro aveva stuzzicato la sua memoria, con quell'indizio sul Clima Takt. O come diavolo si chiamasse quella sua... arma?

«Credevo fossimo amici...» si ritrovò a rispondere, senza averlo davvero preventivato. Più un'insoddisfatta constatazione che un'accusa.

«Lo siamo» la sua voce la costrinse di nuovo a rialzare lo sguardo. E l'espressione di Zoro era mutata di nuovo. Impercettibilmente certo, perché chissà come aveva imparato a interpretare le micro espressioni di quel suo viso poco propenso al sorriso.

«Ma non tengo un'agenda dei vostri compleanni» aggiunse bruscamente, forse un po' piccato. Lo vide distogliere lo sguardo e puntarlo in un punto a caso, nella boscaglia «non sono queste le cose importanti, io... credo»

Si rese conto che forse aveva ragione. Una considerazione un po' singolare, ma non così improbabile se si andava a scavare nel lato emotivo della faccenda.

«Allora vorrei che mi parlassi delle cose importanti» gli ritorse.

«Non sono sicuro che...»

«... tu riesca a raccontarmele?» era evidente che le chiacchierate cuore a cuore non fossero esattamente il suo pane quotidiano. Myra aveva supposto che Zoro fosse più un tipo pratico. Probabilmente lo era anche il suo modo di esprimere i sentimenti. Un ragazzone che superava il metro e ottanta, tutto muscoli, sprezzante del pericolo, tanto da essersi lanciato in mare per salvarla da un destino atroce, che non riusciva ad articolare espressamente emozioni.

«Raccontami come ci siamo conosciuti» gli chiese allora, colta da una strana illuminazione. Forse non conosceva un bel niente del suo passato. Ma del vissuto che avevano assieme, quello non poteva certo averlo dimenticato.

Lo vide grattarsi la punta del naso, prima di tornare a guardarla.

«Questo posso farlo. Ma non sarà divertente» le disse, un accenno di sarcasmo nella sua voce.

«Non mi sembra un grosso problema. Nemmeno tu lo sei»

Zoro stronfiò un grugnito di protesta.

Non si sorprese di aver sentito una certa soddisfazione nell'essere riuscita a colpir nel segno.

Certe dinamiche...

… non puoi mentire su una cosa del genere, le avevano detto.

 

*

 

Franky constatò di non aver fatto proprio la scelta più saggia, quando aveva tristemente deciso di assemblare un amplificatore per la chitarra di Brook.

Una notte passata in solitaria, con il pensiero fisso ai compagni, aveva messo in moto tutti i suoi meccanismi creativi. E in qualche modo il tempo doveva passare a bordo di quella sua nave ora tristemente silenziosa.

Non aveva ascoltato le vaghe proteste dell'ossicino musicista. Non della coscienza che gli suggeriva che Robin o chi per essa lo avrebbe preso a schiaffi a ripetizione se solo avesse accennato quella sua malsana idea a un pubblico. Fatto sta che quando aveva applicato il jack, acceso le casse e alzato il volume, il primo accordo di Brook aveva rimbombato nell'aria del mattino in modo tanto potente da far vibrare la Sunny, scuotere le cime delle fronde degli alberi, di aver fatto alzare in volo stormi di uccelli dall'aria esotica, fatto vibrare le onde del mare circostante e... risvegliato qualsiasi cosa dormisse nelle vicinanze di quell'insenatura.

«Che botta!» esclamò il carpentiere, rendendosi conto di essere stato sbalzato dall'altro lato del ponte della nave. Una risata entusiasta ad animargli lo spirito, nonostante tutto.

«I miei poveri timpani» gli rimbalzò Brook tutto accartocciato in un angolo, la chitarra ancora stretta al petto «se ancora li avessi!»

Franky si era appena rimesso in piedi, intenzionato a correr in aiuto del mucchietto d'ossa che un rombo sordo che sembrava provenir dalle profondità della terra non lo costrinse a fermarsi per ascoltare.

«Stacca le casse, Brook!» gli suggerì, illuso fosse ancora il riverbero di quello stupido esperimento musicale. Ma quando il musicista alzò il cavo della chitarra che ci aveva già pensato da solo a sganciarsi a causa del contraccolpo, si rese conto che no, questa volta non poteva prendersi il merito di quel terremoto.

Le onde del mare ripresero a schiaffeggiare la carena in modo innaturale. E la terra circostante a tremolare. Uno schianto improvviso esplose come un petardo e solo alzando la testa si rese conto che il vulcano, che svettava sopra le loro teste aveva preso a sbuffare come una pentola a pressione.

«Oh merda» esalò.

Le sue conoscenze in fatto di vulcani non erano esattamente scientifiche, ma non gli ci voleva una spiegazione a disegnini per capire che quello non era un buon segno. Che i terremoti, non fossero un buon segno. Una segnale che gli parve l'anticamera di un inferno preannunciato.

«Dobbiamo andarcene da qui il prima possibile...» mormorò «non ce la lascio la Sunny in balia di questa polveriera»

Brook si rimise in piedi per affiancarlo.

«Prendo un lumacofono e richiamo gli altri?»

Franky allungò una mano, puntando un dito verso la spiaggia. A quanto pareva non c'era bisogno di richiami. Robin, Chopper e Usop stavano correndo nella loro direzione probabilmente allertati dallo stesso identico evento...

… o dalla mandria di piccoli esserini muniti di lance e mascheroni che li stavano inseguendo, con grida da battaglia.

«Che diavolo sono quelli?» esalò sgranando gli occhi.

«Franky dannato filibustiere da strapazzo! Molla gli ormeggiiiiii!» la voce di Usop riuscì persino a superare in decibel quella delle grida battagliere degli esserini al loro inseguimento.

Quando una lancia all'apparenza minuscola ma piuttosto letale, si andò a conficcare esattamente sul parapetto della nave, fra le dita di una delle sue manone, capì che il momento degli addii era giunto.

«Forza, forza, forza!» esclamò andando a prendere posto al timone.

Quando Robin agganciò la nave con la forza di centinaia di braccia, portandosi dietro medico e cecchino, issò l'ancora, lasciò gonfiare le vele e virò appena in tempo per ripartire, lasciandosi alle spalle un gruppo ben fornito di demoni in miniatura.

 

Continua...

 

Note:

Non sono affatto soddisfatta di quest'ultimo capitolo, ma considerato che ci ho messo quasi due mesi a scriverlo, dovevo sganciarlo prima che mi facesse impazzire.

Grazie a chi è ancora con me e scusate l'attesa.

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