Bad days too

di Sunnyfox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1.

 

Non era mai stato strano, per Nami, dover correre la mattina per prendere il bus.

Lo era meno quando lo faceva per rincorrere un ragazzo. Lei, che si era ripromessa non sarebbe mai corsa dietro a nessun ragazzo in assoluto. Per principio, per partito preso.

«Rufy, aspettami!»

Il Capitano sembrava rappresentare sempre l'unica eccezione.

«Muoviti! So che puoi fare più di così!»

I suoi polmoni non erano dello stesso parere.

Il Capitano - così lo chiamava il suo sgangherato gruppo di amici del liceo - sembrava attingere sempre da una fonte inesauribile di energie. Se spesso da un lato si dicevano stremati dai suoi eccessi di entusiasmo, dall'altro, chiunque gli orbitasse attorno non poteva fare a meno di sentirsi ispirato dai suoi atteggiamenti. E spronato a tirare fuori il meglio, nel bene... e nel male.

Nami spinse forte sui polpacci, dando un ultimo slancio ai suoi sforzi.

L'autobus si fermò, placido, alla fermata prevista e Rufy si precipitò a bordo, tendendo una mano a Nami, per aiutarla a fare lo stesso. L'istante successivo al loro rocambolesco arrivo, le porte si chiusero alle loro spalle e il mezzo riprese la sua corsa.

«Il Capitano Rufy e la sua navigatrice, si aggiudicano l'ennesima trionfale vittoria!» esordì il ragazzo, alzando una mano per farsi battere la cinquina della conquista «Autobus zero! Ciurma, uno!»

Nami si limitò a tirargli un pugno sulla spalla a mo' di vendetta, lasciandolo così, con la mano a mezz'aria e un'espressione vagamente confusa.

«Non farlo mai più», lo rimproverò, andando a prendere posto in uno dei sedili liberi sul fondo. Accasciandosi come se le energie avessero completamente abbandonato il suo corpo.

«Oh andiamo!» protestò lui, «dopotutto siamo riusciti a prenderlo questo benedetto autobus» le si sedette accanto, apparentemente per nulla provato dall'impresa.

«Ne sarebbe passato un altro, in una manciata di minuti...» ansimò lei, socchiudendo gli occhi, per raccogliere pensieri ed energie smarriti per strada.

«Sì, ma saremmo arrivati in ritardo per la sua gara. Si sarebbe indispettito.»

«Non si sarebbe azzardato a dirci un bel nulla. Lui è sempre in ritardo, per qualsiasi altra cosa»

Sentì su di sé lo sguardo di Rufy e mantenne gli occhi chiusi per non incontrare il suo giudizio.

«Dai Nami, lo sai quanto ci tiene ad averci lì...»

La frase che attendeva era arrivata precisa come un orologio svizzero. E per un attimo ebbe almeno il buonsenso di sentirsi un po' in colpa.

«Ogni tanto sarebbe bello sentirglielo dire però», non riuscì a fare a meno di aggiungere, riaprendo gli occhi e cercando di assumere una posa un po' meno scomposta. Guardò fuori dal finestrino, il paesaggio scorreva veloce, le fronde dei ciliegi esplodevano di fiori: stava arrivando, finalmente, la primavera.

«Lo conosci Zoro. Non è proprio il tipo da mettere in piazza le sue emozioni. Ormai dovresti saperlo»

Nami sbuffò infastidita, prima di scendere a patti con il fatto che la conversazione si sarebbe costantemente arenata lì.

Zoro è quello che è, come fai a rimproverargli qualcosa? Rufy tendeva sempre a giustificarlo. A giustificare chiunque, a dire il vero. A vedere sempre il buono in qualsiasi comportamento.

Forse era proprio per questo che gli voleva bene.

Non aveva mai giudicato nemmeno lei. Per nessuna delle sue scelte, per nessuna delle sue manie o dei suoi errori.

Si voltò a guardarlo con espressione contrita che però si sciolse lentamente. Fece un vago cenno con la mano, come a liquidare il discorso.

«Spero che anche gli altri siano già arrivati. Altrimenti poi ci toccherà persino lamentarci di loro»

Rufy le elargì un sorrisone tutto denti, prima di strizzarle una guancia fra due dita.

«Maledetto!»

-

Il palazzetto era gremito di gente. Inaspettato quando piacevole constatare quanto, una gara scolastica regionale, fosse riuscita a suscitare tanto interesse.

Gli spalti erano affollati di studenti dei licei delle varie prefetture che avevano deciso di dedicare un sabato delle loro esistenze a un intrattenimento del tutto in contrasto con la reale idea di divertimento. Le famiglie degli studenti coinvolti nelle gare avevano i posti in prima fila e li potevi distinguere dalla compostezza dei genitori e la svogliatezza di fratelli o sorelle di atleti che avrebbero preferito essere altrove.

Sanji era riuscito a ottenere dei posti di tutto rispetto. Nami si era persino sorpresa del fatto che fosse stato il primo ad arrivare sul posto. Non era ignota la rivalità che da sempre aveva contraddistinto il suo rapporto con Zoro. Apparentemente non si erano mai piaciuti. Dal primo giorno di liceo. Le discussioni e i bisticci erano all'ordine del giorno ma qualcosa diceva a tutti che, dopo due anni, ormai giocassero ad ostentare quella competizione, come un copione ormai rodato. In più di un'occasione avevano dimostrato quando tenessero uno all'altro, in modo goffo e del tutto privo di delicatezza, certo, ma mai scontato. Un paio di adolescenti ambiziosi e troppo simili per abbassarsi a raccontarsi quanto in realtà si stimassero reciprocamente. Un modo un po' contorto di mantenere viva l'amicizia.

«Manca qualcuno, Nami-san?» si era sporto per accertarsi di aver occupato spazio per tutti.

«Solo Chopper. Ma forse è rimasto giù con alcuni dei suoi compagni di classe.»

Chopper era il più piccolo del gruppo; arrivato a scuola l'anno successivo al loro si era comunque guadagnato il ruolo di mascotte.

«Lo occupo io il suo posto. Tanto su un sedile solo non ci sto» si intromise Franky, scivolando accanto a Rufy e Usop (che si era sbracciato poco prima per raggiungerli). Il mastodontico compagno aveva superato da tempo il metro e novanta. A scuola se lo contendevano un po' tutti nei club sportivi. Ma Franky era sempre stato più interessato ai computer e alla robotica che non a tutte quelle sane abitudini atletiche e, in quell'ultimo periodo, a Robin che dopo un intero anno di lusinghe aveva ceduto a diventare la sua ragazza.

Porse una mano proprio a quest'ultima e la aiutò a sistemarsi accanto a lui, mentre salutava tutti quanti con un cenno della mano. Erano da sempre stati abituati a vederli insieme e scambiarsi carinerie reciproche che quando il loro rapporto era formalmente cambiato nessuno aveva davvero notato la differenza. Si tenevano per mano più spesso però. E Franky non si tratteneva dal tenersela vicina.

«Ottimo, allora ci siamo tutti» annuì Sanji, soddisfatto.

«Tutte queste premure per una gara di Zoro non te le avrei mai attribuite, Sanji-kun.» lo stuzzicò Nami, lanciandogli uno sguardo eloquente.

«Non farti venire in mentre strane idee, Nami cara» le elargì un sorriso malandrino, la risposta che si era evidentemente preparato in anticipo, «sono qui per vederlo perdere. Sarà dolcissimo il momento in cui potrò sfotterlo fino alla morte.»

Nami alzò gli occhi al cielo, ben consapevole che nessuno, nemmeno uno come Sanji avrebbe potuto gioire della sconfitta di Zoro, ma non rispose, lasciandogli credere (inconsciamente o meno) che avesse preso per buona la sua giustificazione.

Solo quando all'improvviso Rufy cacciò un urlo animalesco, si rese conto che la squadra di Kendo del loro liceo aveva fatto il suo trionfale ingresso.

«Eccoli che arrivano!» esclamò, agitando le braccia per catturare l'attenzione di Zoro che seguiva il capitano della squadra e andavano a posizionarsi accanto agli altri kendoka.

Nami lo vide alzare lo sguardo verso di loro, come se fosse davvero riuscito a sentire il richiamo dell'amico, in mezzo a tutto il fracasso esploso all'ingresso delle squadre.

Rufy si agitava così tanto che dopotutto sarebbe stato impossibile non notarlo.

Zoro non fece altro che alzare lo Shinai in segno di saluto. Una conferma che li aveva scorti e aveva, a modo suo, apprezzato la loro presenza. Se non fosse stato così distante, Nami avrebbe detto di averlo persino visto sorridere.

«Rufy, piantala o cadrai di sotto!» si vide costretta a rimproverarlo l'istante successivo, nonostante non riuscisse a reprimere un sorriso a tutto quell'entusiasmo.

«Lo tengo io...» si abbarbicò a lui Usopp, unendosi ai cori di incitamento.

Ancora qualche minuto e la gara sarebbe cominciata.

 

La selezione era stata più dura del previsto e, sulle battute finali, a Zoro era toccato un avversario piuttosto temibile.

Colpi e parate si schiantavano nel silenzio generale, sostenuti solo da alcuni blandi incitamenti.

Nami non aveva la più pallida idea di ciò che stava succedendo. La sua cultura nella sublime arte della spada si limitava a quei filmacci che passavano in seconda serata, mentre cercava disperatamente di addormentarsi, troppo eccitata dalle serate al ristorante per cui lavorava part time.

Non si era mai interessata al kendo. Almeno non prima di conoscere Zoro e tutti gli altri. Il ragazzo non era granché incline a condividere le sue conoscenze a riguardo, ma le insistenti domande di Rufy e compagnia lo avevano costretto, in qualche modo, ad elargir loro un'infarinatura della faccenda. Suscitando in alcuni il più sincero degli entusiasmi e in altri – tipo Sanji – uno sbadiglio di scherno e la ferma convinzione che esistesse altro di molto più interessante nella vita che non il mero sport: tipo le ragazze.

Sapevano tutti di essere lì solo per dimostrargli solidarietà, più che per reale interesse nella competizione.

«Sembra davvero bravo», commentò in un sussurro Usop, posando le braccia al parapetto. Incerto se alzare la voce per un incoraggiamento, concentrato sul fatto che quello che si stava svolgendo poco sotto di loro fosse più una sorta di danza rituale che una gara. Un evento permeato di una certa, stramba spiritualità.

«Sì, ma sembra anche tanto stanco», Chopper li aveva raggiunti in un secondo momento e si era piazzato nella fila dietro. Fra tutti era quello che aveva seguito più degli altri i progressi del ragazzo o che semplicemente prestava maggiore attenzione ai dettagli.

«Sarà... », esalò Rufy, accasciato sulla poltroncina «ma quest'ultimo giro sembra infinito»

«E' perché non capisci le regole, testone», lo rimproverò bonariamente Franky, mentre Zoro chiedeva un time-out per qualcosa che non andava con il suo casco.

«L'importante è che Zoro si diverta», concluse con un sorriso soddisfatto.

Lo videro rientrare più carico di prima e fu così che cominciò una movimentata fase finale.

Colpi, rincorse, affondi, tutte condite dagli ululati del pubblico.

«Che sta succedendo, che sta succedendo?» si rianimò Rufy, alzandosi in piedi.
«Non ci vedo niente, cretino!» lo redarguì Chopper, saltando letteralmente sul posto mentre lo stadio esplodeva in guaiti e cori di incitamento.

La danza era diventata una frenetica rincorsa alla vittoria. Fra le grida di incoraggiamento, si potevano udire quelle dei due avversari che tentavano il tutto e per tutto per portare a casa la qualificazione.

Notarono infine l'avversario di Zoro ridestarsi improvvisamente da una sottospecie di torpore, affondare un paio di colpi precisi, letali e mandarlo letteralmente al suolo, mentre gli spalti avversari gridavano la propria gioia.

«NO!»

«Che significa?»

«Ha perso?»

«Quell'idiota...» la voce scioccata di Sanji che si era levato in piedi, non meno degli altri, straordinariamente deluso.

Nami seguì con lo sguardo l'ultimo scambio di battute e i saluti finali, mentre il giudice decretava la vittoria di tale Mihawk, la conclusione dell'ultimo duello, della fase selettiva e trionfo della squadra avversaria.

Seguì meccanicamente gli spostamenti di Zoro che finiva fra gli abbracci consolatori dei compagni. La postura prostrata, il casco a nascondere la sconfitta. Cercò di intuirne l'emozione, di carpirne la delusione. Senza riuscire a non provarne lei stessa, a sentirsene oppressa dal sentimento collettivo.

«Non ci posso credere, si era allenato tanto» la vocina acquosa di Chopper alle loro spalle tradiva un'emozione ben più greve di una sottile amarezza.

«A me pare sia stato comunque un bell'incontro» aggiunse Robin, scompigliando i capelli a Chopper, cercando di tirarlo su di morale. Sempre pacata, sempre saggia, «il tipo con cui ha avuto la sfortuna di scontrarsi era uno dei favoriti della competizione. Il suo nome non mi è affatto nuovo. Zoro non ha davvero nulla di cui rimproverarsi»

Nami cercò con lo sguardo Rufy per capire che cosa ne pensasse a riguardo, ma il ragazzo non aveva fatto altro che fissare l'amico sconfitto senza proferir parola, prima di decidersi a scivolare fuori dalla fila, per dileguarsi prima della consegna dei premi.

Era in situazioni come queste che Nami non riusciva proprio a leggergli dentro. Tanto era cristallino nei sui eccessi di vivacità, quando oscuro se la situazione si faceva complicata. Era stato lui a insistere per presenziare alla gara, sebbene Zoro avesse più volte ribadito che non sarebbe stato necessario, che si trattava solo di stupide gare di preselezione. Forse Rufy si stava rimproverando proprio questo, di aver insistito tanto, di aver investito Zoro di troppe aspettative? Non era una novità che Zoro tenesse al giudizio di Rufy più di quello di chiunque altro. E questo Rufy lo sapeva fin troppo bene. Forse convinto che il suo fervore funzionasse sempre come sprone e amuleto magico ai successi dei suoi amici.

Era certa che, in ogni caso, la reazione di Rufy non si sarebbe fatta attendere, e non sarebbe stata deludente.

 

-

Attesero a lungo Zoro all'uscita del palazzetto.

Lo sciame di ospiti che avevano occupato gli spalti per tutto il pomeriggio si era ormai quasi del tutto esaurito. Avevano salutato persino il professor Brook che, sebbene deluso per gli esiti della competizione, a suo dire: non si sarebbe perso la gara per niente al mondo.

«Se quell'idiota se n'è andato senza salutarci...» stronfiò Sanji che si era acceso l'ennesima sigaretta nell'attesa. Aveva deciso di smettere con l'anno nuovo, quando l'ultima ragazza che aveva frequentato lo aveva lasciato con la scusa di mal sopportare l'odore di fumo che si portava costantemente appresso, ma i suoi propositi dovevano essersi esauriti non appena superata l'ennesima delusione d'amore.

«Zoro non lo farebbe mai», lo difese Chopper, lanciando però occhiate ansiose all'ingresso principale della struttura, ben consapevole del fatto che ci fossero almeno un paio di uscite secondarie per gli atleti.

«Allora starà smaltendo la delusione con una doccia lunga un'era geologica, quella testa d'alga», incalzò Sanji, senza concedergli affatto sconti. Il modo in cui teneva la sigaretta però tradiva il suo vago nervosismo.

«Magari si è solo perso per gli spogliatoi ed ora vaga senza meta nei corridoi, invocando aiuto» cercò di alleggerire i toni Franky.

Usop sembrò mostrare segni di cedimento quando passò loro di fronte una squadra di quegli stessi atleti che avevano partecipato al torneo.

«Magari dovremmo chiamarlo al telefono...» esalò, prima che la porta si aprisse per l'ennesima volta, rivelando finalmente l'agognato arrivo di Zoro.

Si era cambiato, aveva ancora i capelli umidi e il viso accaldato dai vapori della doccia e portava con sé l'ingombrante borsone con l'attrezzatura sportiva.

Li aveva sicuramente scorti, ma Nami si rese conto che rallentava ad ogni passo nella loro direzione, come volesse tardare ulteriormente l'ora del confronto.

Rufy era rimasto in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo fisso sul portone d'ingresso. Non si era mosso nemmeno quando aveva visto comparire l'amico e Nami si chiese se avrebbe finalmente reagito, prima o dopo una qualsiasi mossa di Zoro.

E fu proprio allora che Rufy la sorprese per l'ennesima volta. Che sorprese tutti, per l'ennesima volta. Che a voler ben guardare, forse era l'unica reazione che avrebbero dovuto aspettarsi.

Lo guardarono prendere la rincorsa e fiondarsi, letteralmente, sull'amico, stritolandolo in un abbraccio che Zoro non potè far altro che accogliere con gratitudine.

«Sei stato grande!» gridò senza risparmiar fiato, mentre la tensione generale si affievoliva a quell'attacco diretto.

Nami vide le labbra di Zoro muoversi appena, sussurrare qualcosa al suo 'Capitano'. Rufy gli diede una botta in testa, seguita da una risata.

«Va bene!» lo sentirono esplodere nuovamente, prima di lasciarlo andare e spingerlo, letteralmente, nella loro direzione.

Zoro si parò loro di fronte, senza guardarli direttamente in viso, scrollò appena le spalle e disse: «Vi chiedo scusa»

Se per il ritardo o la sconfitto quello fu di poca importanza.

Sanji lanciò la sigaretta nel posacenere lì accanto e quello fu il gesto che diede il via a tutti quanti.

Zoro fu letteralmente circondato e preso d'assalto da affetto collettivo, fra complimenti e rimproveri per quella sua stupida giustificazione.

Se pensava di potersela cavare con una conclusione da martire, si sbagliava di grosso.

«Dovresti sorridere, perché adesso tocca andare a festeggiare!» esultò Rufy.

«Festeggiare cosa?» lo sguardo scioccato di Zoro, la cosa più divertente della serata.

«Ma che domande fai?! Una sconfitta si scaccia con una festa!»

«E bistecche!» gli fece eco Usop non meno incline ai festeggiamenti.

«E bistecche!»

«Ma io avevo voglia di takoyaki...» protestò Chopper, mentre l'ammasso di corpi veniva sciolto come era evaporata la tensione accumulata.

«E allora andiamo al locale di Arlong!» riprese Rufy.

«Scordatevelo, stasera non lavoro e non ho intenzione di andarci. E non ho intenzione di farvi credito» lo redarguì Nami con un'occhiataccia.

Il dibattito sul cibo si spostò altrove, lasciando a Zoro il tempo di riprendersi.

«Sei stato bravo», gli si avvicinò Robin, posandogli una mano sulla spalla, «Mihawk sarebbe stato un osso duro per chiunque.»

Nami che si era distratta dalla discussione mangereccia, aveva captato la conversazione. Invidiava a Robin quella sua capacità di dire sempre la cosa giusta.

«Grazie», le concesse allora il ragazzo, la postura meno ingobbita, lo sguardo meno oscuro. Ma il suo sorriso, notò Nami, celava un'amarezza che raramente aveva scorto sul suo viso, dacché lo conosceva.
 

Nota: storia liberamente ispirata alla serie di spot commerciali Hungry Days con i personaggi di One Piece. Ho optato per un AU perché non mi sento all'altezza di scrivere in canon, per il momento (e comunque ci sono già storie meravigliose là fuori), vediamo come va. Grazie a chi avrà voglia di leggere e lasciare un commento. Alla prossima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2.

 

 

Zoro non era riuscito a chiudere occhio.

Fuori aveva cominciato a piovere, ma di solito il rumore dell'acqua che si abbatteva sul lucernario di casa lo calmava, aiutava i suoi momenti di meditazione. Quando poi era stanco, dopo una sessione di allentamento particolarmente sfiancante, solo toccare il materasso era in grado di precipitarlo in uno stato di pura narcolessia.

Ma quella notte era tutto diverso, e non c'entrava nulla la scorpacciata di carne che si era concesso assieme ai suoi amici, solo poche ore prima. Come per Rufy, anche per lui il cibo non era mai stato fonte di problemi.

Era la sconfitta.

Si era costretto a soffocare il sentimento per tutta la serata, cercando di concedersi una tregua, almeno per poche ore. Di lenire le ferite all'orgoglio, la cocente umiliazione, con una buona compagnia e qualche risata. Ma ora che se ne stava solo con i suoi pensieri, le immagini della gara trascorsa affollavano la sua mente come in una sequenza in loop. Se solo avesse optato per soluzioni diverse, per mosse meno azzardate, più calcolate. Se solo poco prima che Mihawk si accingesse a scoccare i colpi finali si fosse deciso a retrocedere in difesa, anziché insistere con quegli stupidi attacchi... se solo.

Si portò le mani sul viso in un gesto esasperato, come fosse possibile scacciare repentinamente quello stupido, fallimentare episodio della sua vita o cancellare il ricordo dell'espressione soddisfatta del suo avversario che, a mezza bocca, gli sussurrava che ancora non era pronto.

Si era allenato tanto, ma non abbastanza. Aveva, ancora una volta, peccato di presunzione. Lui e quel suo stupido orgoglio da quattro soldi, lui e quella sua ambizione sfrenata. Eppure il suo Sensei lo aveva sempre spronato all'umiltà, alla pazienza, a frenare quell'impazienza, tipica della sua difficile età.

Koshiro aveva intuito che le cose non erano andate per il verso giusto e non gli aveva chiesto niente, quando lo aveva visto rientrare quella sera. Si era limitato a preparargli del tè caldo e concedergli il silenzio. Non avrebbe potuto chiedere di meglio nemmeno ai suoi veri genitori, se solo fossero stati ancora vivi. Chissà cosa avrebbero pensato di lui, soprattutto suo padre, che del kendo aveva fatto una professione molto prima che lui nascesse. Glielo ricordavano ogni giorno le vecchie foto sfoggiate nella vetrinetta di casa. Le medaglie delle vittorie ai tornei regionali e nazionali che Koshiro conservava gelosamente, accanto alle proprie. Zoro si era ripromesso di mantenere fede alla tradizione, e credeva di aver lavorato sodo per soddisfare le aspettative. Invece.

Quando un tuono squarciò la monotonia della pioggia per poco non scambiò la vibrazione del suo telefono per una scossa particolarmente violenta di temporale.

Guardò incuriosito la sveglia e i numeri luminosi riportavano quasi le tre del mattino. Una notte sprecata.

Si costrinse ad allungarsi per recuperare il telefono, una scusa come un'altra per dissuadere pensieri complicati.

Era convinto si trattasse solo di una stupida notifica, ma il nome che lesse al messaggio appena arrivato era quello di Nami.

Si sorprese tanto da levarsi quasi a sedere sul letto, gli occhi che stentavano ad abituarsi alla luce dello schermo e la titubanza nello scoprire cosa avesse spinto la ragazza a scrivergli a quell'ora del mattino.

Non era quel tipo di amicizia la loro. A dire il vero quella di Zoro non era il tipo di amicizia da messaggistica in generale. Era il più odiato del gruppo per via di quella sua straordinaria capacità di dimenticare il telefono ovunque o, nel miracoloso caso in cui lo avesse avuto con sé, di rispondere in chat a monosillabi, a qualsiasi domanda o di non rispondere affatto.

Indeciso se ignorarla, spegnere e rimandare tutto al giorno successivo, si trovò a scrollare lo schermo, in una sorta di sonnolenta trance.

Aperta la chat con Nami, appena dopo una conversazione di qualche mese prima, sulla restituzione di una somma di denaro che Zoro le doveva per un regalo collettivo, c'era un semplice, ambiguo messaggio, di una sola parola: Dormi?

Zoro rimase a valutarlo a lungo. Si ritrovò in bilico sul posare di nuovo il cellulare e ignorare la domanda, quando le sue dita scivolarono sulla tastiera a digitare un secco: no.

Forse un po' curioso di sapere perché nemmeno lei riuscisse a dormire e per quale arcano motivo si fosse scomodata a scrivere proprio a lui.

Che fosse così palese che avrebbe passato la notte insonne, per via dell'umiliazione? E che questo l'avesse portata ad andare a colpo sicuro?

Mentre si interrogava stupidamente su tutte queste cose, sullo schermo apparve l'ennesimo messaggio.

'Ottimo, allora lascia che ti ricordi che ancora mi devi quei 3000 yen per il regalo di Chopper'

Zoro strabuzzò gli occhi.

Era dunque l'improvviso ricordo di una situazione debitoria a spingerla a quel gesto insensato?

Di nuovo le sue dita si mossero più rapide della sua capacità di valutazione.

'E tu mi scrivi a quest'ora del mattino per questa stronzata?'

Uno dei messaggi più lunghi che avesse mai scritto. Persino il suo telefono doveva essere scioccato.

Nami gli stava, di nuovo, prontamente rispondendo.

'Non esiste alcun universo in cui 3000 yen siano una stronzata.'

L'istinto di lanciare il telefono in fondo alla stanza e lasciare incompiuta la conversazione fu piuttosto violento.

'Tu hai dei problemi'

'Di certo non gravi come quelli di memoria che hai tu'

Zoro scosse la testa.

'Te li restituisco domani. Chiudiamola qui.'

'Un corno, pensi di cavartela così a buon mercato? Devo calcolare ancora gli interessi'

«Ma quali interessi, d'Egitto?!» si ritrovò ad esclamare ad alta voce, ma non abbastanza da coprire l'ennesimo tuono di un temporale che sembra voler scatenare a sua furia tutta insieme.

'Vai a dormire, Nami' scrisse, prima di riporre il telefono sul comodino, senza esitazioni, deciso a ignorarla nei secoli dei secoli.

Il telefono sembrò placarsi davvero, lo schermo non si illuminò più. Zoro continuò a lanciare occhiate finché non si convinse che forse aveva vinto quell'insensata conversazione. Cercò di coricarsi meglio sotto le lenzuola del futon, prima di rendersi conto che quell'assurdo siparietto era riuscito a distrarlo dalla delusione per gli esiti della gara di kendo.

Che diavolo aveva appena cercato di fare quella mocciosa?

Si volse di nuovo, infastidito da se stesso. Recuperò il telefono riaprendo la conversazione interrotta, solo per rendersi conto che Nami era ancora online.

Con uno sbuffo che sapeva già di pentimento, decise di chiudere almeno degnamente quello scambio di battute.

'Buonanotte', digitò in un impeto di solidarietà e perché no, di gentilezza? Non gli diceva sempre Chopper che doveva imparare ad essere meno scorbutico? Soprattutto con Nami? E anche con Sanji, certo, ma Sanji contava poi veramente? No. Decisamente no.

'Sarà una buonanotte solo quando avrai estinto il tuo debito.' fu la pronta risposta. Servita su un piatto d'argento, niente meno.

Zoro non riuscì a soffocare una risata, stizzita e divertita assieme.

'Sanguisuga' le regalò su due piedi.

'Cattivo pagatore'

'Che razza di insulto sarebbe?'

'Quello che ti metterà nei guai quando sarai un adulto... vorrei dire responsabile ma con te sarebbe davvero un azzardo anche solo pensarlo'

'Anche questo mi pare un insulto'

'Sono colpita, cominci a riconoscerli. Ancora un po' e sarai diventato un vero uomo'

 

Erano ormai le quattro passate, quando il temporale cominciò a spostarsi verso sud, portandosi via anche le nubi cariche di pioggia.

Zoro si era addormentato con il telefono poggiato sul petto e un vago sorrisetto dipinto in volto.

 

-

 

La mattina era cominciata con la solita corsa verso il mare.

Si era svegliato con uno sfuggente senso di nausea, ma aveva cercato di scacciarlo con i buoni propositi.

C'era una cosa che aveva scordato della sera precedente, soffocata da tonnellate di sensi di colpa e orgoglio ferito: la promessa che aveva fatto a Rufy, poco dopo la sua sconfitta. Ovvero che non si sarebbe mai più fatto battere a quel modo. Non aveva calcolato che, per mantenere fede proprio a quella promessa, avrebbe dovuto rivedere tutti i suoi metodi, la sua disciplina, il suo modo di allenarsi.

Innanzitutto doveva schiarirsi le idee e, per farlo, niente di meglio di una corsa, in quella soleggiata e pigra domenica mattina. Il profumo di salsedine, il garrito stridulo dei gabbiani, il vento fresco del mattino, una ricetta perfetta. Aveva scacciato ben più di un malumore inseguendo il moto perpetuo di onde e sciabordii; non conosceva altra via se non quella di affondare i piedi nella sabbia e lasciarsi trasportare lontano, fin dove lo assecondava il respiro.

Di rientro dall'allenamento trovò Koshiro seduto in cucina, ad attenderlo con la tavola imbandita per la colazione.

Zoro si asciugò il sudore dalla fronte, affatto preparato a quell'accoglienza.

«Sembra tu abbia cucinato per un reggimento», si ritrovò a commentare: il suo modo tutto contorto di ringraziarlo.

«Non sapevo cosa avessi voglia di mangiare e ho deciso di fare un po' di tutto.»

Koshiro era stato uno dei migliori amici dei suoi genitori, il suo primo maestro di kendo, quando ancora praticava la professione per il dojo della città e la prima persona che aveva potuto considerare famiglia quando, alla morte improvvisa di suo padre, aveva deciso di avviare le pratiche per potergli fare da tutore.

Zoro, i suoi genitori, non li aveva mai davvero conosciuti. Sua madre era morta a pochi giorni dalla sua nascita, mentre di suo padre aveva pochi, vaghi ricordi di bambino; ma a cinque anni puoi davvero ricordare una persona se non tramite le sensazioni che questa riesce a donarti? Ricordava che la sua statura gli sembrava mastodontica e in grado di oscurare il cielo, ricordava la forza delle sue enormi braccia, il modo in cui rideva, di petto, la monotonia della sua voce profonda, ma nulla più.

Koshiro era suo padre. Koshiro lo aveva preso per mano, cresciuto e condotto a quel momento. Aveva allenato la sua indipendenza, oltre che il suo fisico e gli aveva donato il prezioso dono dell’altruismo e dell'amicizia, offrendogli affetto e la compagnia di una sorella. Non di sangue, ma di spirito.

Kuina era stata la sua prima vera amica, avversaria, complice, ma se n'era andata anch'ella troppo presto, lasciando Zoro stranito nella sua infanzia permeata da troppe perdite, e un padre adottivo che aveva potuto superare il trauma solo chiudendo per lungo tempo il dojo, ritirandosi nella meditazione e nel lutto, senza però mai lasciargliela quella mano. Per cui ogni premura che gli riservava era sempre fonte di sorpresa e gratitudine. Per il modo in cui, ancora, nonostante tutto, non si fosse stufato di lui.

Zoro prese posto, impugnando l'azzardata decisione di rimandare una benefica doccia. Consapevole del fatto che, perdendo tempo, avrebbe lasciato freddare tutto quel ben di Dio.

Fece un cenno di ringraziamento e si fece passare una ciotola colma di riso.

«Avevi ragione», disse solo, prendendo Koshiro alla sprovvista.

Gli lanciò uno sguardo eloquente sperando che, in qualche modo, capisse a cosa si stesse riferendo. Come a riprendere una conversazione che si era svolta ormai mesi prima.

Fortunatamente Koshiro non aveva granché bisogno di rinfrescare la memoria e si sentì sollevato di leggergli addosso una sorta di paterna consapevolezza.

«Devo cambiare il mio approccio»

Koshiro sorrise e questo lo spronò a continuare.

«Sono stato impulsivo. Avventato. Presuntuoso», continuò, ficcandosi in bocca una grossa porzione di riso, come a soffocare l'imbarazzo di quella ammissione.

«E ho bisogno del tuo aiuto», concluse, abbassando le bacchette.

Erano anni che Zoro aveva abbandonato gli insegnamenti di Koshiro. Il dojo aveva ripreso le attività un intero anno dopo la morte di Kuina e Zoro aveva iniziato a frequentare i corsi a scuola, allontanandosi dall’attività di famiglia. Koshiro aveva dato una brusca frenata al suo lavoro per anni e adesso insegnava principalmente ai ragazzini del quartiere. Aveva però sempre seguito gli sviluppi della carriera di Zoro e spesso si erano scontrati su alcuni approcci alla disciplina. Koshiro aveva deciso di non intromettersi più e Zoro era andato per la sua strada, troppo orgoglioso per chiedere consigli.

«Lo so», lo interruppe con un cenno della mano, «in passato siamo entrati in contrasto ma forse è proprio per questo che mi sono… perso...», si interruppe per riprendere fiato, «ti chiedo solamente di aiutarmi a prendere la giusta direzione.»

«Parole forti per qualcuno che non ha alcun senso dell'orientamento, figliolo», lo prese in giro.

Zoro sbuffò qualcosa, passandosi una mano sulla zazzera color verde.

«Ti ascolterò davvero questa volta» gli disse, rialzando su di lui uno sguardo straordinariamente umile.

Koshiro si prese tutto il tempo per riflettere e poi, nel silenzio, versò una tazza di tè che gli servì prontamente.

Mentre Zoro seguiva le spirali di fumo che si elevavano, profumate, dalla tazza di ceramica color del mare, lo sentì dire: «Ci alleneremo insieme».

 

-

 

«Se davvero riuscito a convincerlo?» Rufy saltellava a tratti per tenere il passo spedito di Zoro, sulla strada verso la scuola, in un nuvoloso lunedì mattina.

Il ragazzo annuì convinto, passandosi lo zaino sull'altra spalla.

«Mi stai facendo venire il mal di mare...» lo rimproverò, rallentando, «ma sì. Probabilmente un paio di volte a settimana.»
«Solo due volte a settimana?»

Zoro sgranò gli occhi, soddisfatto della solidarietà dell'amico: «Vero? Ho cercato di fargli capire che è troppo poco ma non ha voluto sentir ragioni.»

«Probabilmente ha paura che ti stanchi. E che per recuperare ti metteresti a dormire, sottraendo ore preziose allo studio»

«Sembri Robin a parlare in questo modo, sei inquietante»

Rufy rilasciò una risata.

«Ovvio, l’ho imparato da Robin, mi passa saggezza per osmosi.»

«Ma se nemmeno sai che significa osmosi!» lo colpì di striscio con lo zaino.

«Questa è osmosi!» lo schivò Rufy con un atletico salto in avanti, «perché questa mossa l'hai assorbita da Nami.»

Zoro scosse la testa, placandosi immediatamente. Il solo sentir nominare Nami gli riportò alla mente quella strana conversazione di un paio di notti prima. Al come fosse straordinariamente riuscita a distrarlo da pensieri potenzialmente disfattisti, a come fosse stato facile addormentarsi successivamente.

Non si erano più scritti, dopo.

Avrebbe chiesto delucidazioni e consigli a Rufy a riguardo se solo non fosse stato, bè... Rufy. Per quanto dovesse a lui lealtà e incondizionata amicizia non poteva certo dirsi la persona più sveglia sulla faccia della Terra.

Si chiese se fosse comunque il caso di scomodare qualsiasi altro dei propri amici per avere suggerimenti sulla questione. Eliminando alcune potenziali bombe a orologeria, Zoro decise che forse non valeva davvero la pena interrogarsi su ciò che era successo. Che sicuramente era una questione di poco conto, che il suo stato mentale degli ultimi giorni era stato più fragile del previsto e lo aveva spinto a ragionamenti tutt'altro che sensati.

Decise di liquidare l'argomento e relegarlo in un angolo della sua mente. Probabilmente un giorno se ne sarebbe completamente dimenticato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3.

 

 

Nami aveva raggiunto il locale di Arlong in largo anticipo ed era stata immediatamente messa ai lavori forzati.

Per questo le era stato concesso il grande privilegio di cenare prima - situazione in assoluto conflitto con le regole - lontano da occhi indiscreti, sul retro del ristorante. Un panino dalle fattezze tutt'altro che invitanti fra le mani e il libro aperto alle pagine degli esercizi di inglese.

Non le restava mai molto tempo per studiare. Le sue giornate erano sempre piuttosto frenetiche. Quell'anno non era nemmeno riuscita a iscriversi al club di scrittura a cui tanto teneva, proprio per via dei ritmi di cui era ormai praticamente prigioniera.

La famiglia di Nami aveva attraversato un periodo piuttosto oscuro negli ultimi anni. La madre aveva subito un incidente che l'aveva presto lasciata senza lavoro e per lungo tempo aveva affondato le loro finanze. Quello che restava della famiglia, ovvero Nami e sua sorella, si erano dovute rimboccare le maniche per dare una mano, prima che la situazione diventasse ingestibile.

Arlong, il proprietario del ristorante per cui lavorava, le era stato presentato da un amico di famiglia. Sebbene questi non fosse affatto persuaso con l'arruolare una novellina che ancora frequentava il liceo, Nami lavorava lì da più di un anno, ormai. Non era mai stato facile. All'inizio quasi insopportabile. Sembrava che Arlong e il suo staff si divertissero particolarmente a metterla in difficoltà; ma dopo essersi accanito per ogni piccolo errore, dopo aver testato per settimane la sua tenacia, si era reso conto che forse la ragazza era in gamba e riusciva a tener testa agli sgarri, e infine valutato che il gioco non valeva la candela.

Non era diventato più magnanimo col tempo, né tantomeno gentile nei suoi confronti ma di tanto in tanto, quando era in di buon umore, le concedeva una pausa un po' più lunga degli altri, proprio per permetterle di rimettersi in pari con i compiti della settimana.

Anche se Nami detestava gli esercizi di grammatica inglese. Era più ferrata con la matematica, i calcoli. La matematica era una materia solida, sicura, con delle regole. Ogni calcolo portava a un risultato verificabile. La grammatica... non proprio.

Alzò lo sguardo solo quando lo stridio dei freni di una bicicletta, interruppe la sua concentrazione.

Il ragazzo che aveva di fronte si scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte «Speravo di trovarti in pausa».

«Sanji...» lo accolse con finto dissenso, ma richiuse il libro di inglese con una certa soddisfazione.

Nemmeno dovette sforzarsi troppo per intuire che il ragazzo non aveva fatto tutta quella strada solo per vedere il suo bel faccino: nel cestello della bici portava un sacchetto che non mancò di porgerle con una certa teatralità.

«Per voi, madamigella Nami»

«Non avresti dovuto» allungò le mani per raccogliere quel generoso gesto; nemmeno ci provò a rifiutare.

«Fare cosa, scusa?» lo guardò scendere dal suo portentoso mezzo e parcheggiare la bicicletta contro al muro del locale.

Nami si limitò a scuotere la testa, mentre scioglieva i nodi del fazzoletto del bento. Come da programma, Sanji le aveva preparato una cena di tutto rispetto.

«Ci sono anche i mochi...» si illuminò di commozione, rivelandone il contenuto.

Il ragazzo le elargì un sorrisetto appena accennato e le si sedette accanto, indeciso se gustarsi in tutta calma una sigaretta o attendere pazientemente che Nami consumasse il suo pasto.

«E ora che me ne faccio di questo?» gli indicò il sandwich, tristemente abbandonato sul libro di grammatica.

«Dammi qui...» propose Sanji, afferrandolo con poco riguardo, prima di studiarlo da ogni lato e dargli un vorace morso, per poi fare una smorfia meditabonda «sapevo che quell'Arlong ti avrebbe dato gli scarti della sera prima».

Non gettò via il panino però, lo avvolse nel suo incarto e se lo infilò in tasca.

«Non è una novità» sospirò Nami, «sarà per quello che mi fa cenare prima della fine del turno» scrollò le spalle, recuperando le posate per godersi in santa pace quell'insperata cena.

Sanji le lanciò uno sguardo in tralice, allungando le braccia, a sostenersi la testa con le mani.

«Sei sicura che non ci sia di meglio, altrove? Potrei provare a chiedere a…» azzardò, senza concludere la frase, come se non le avesse davvero mai fatto una domanda simile. Come se non gliela avesse mai fatta chiunque.

Nami prese un grosso boccone di riso, calibrando bene la sua risposta. Sapeva che il capo di Sanji si occupava più di formare cuochi che non camerieri part time. Ed aveva già il suo bel daffare con le nuove reclute per poter valutare altri tipi di ruoli nel suo ristorante.

«Non c'è nessun altro che paghi altrettanto bene uno studente delle superiori per servire ai tavoli», gli disse con un micro sorriso, «posso sopportare un panino rancido, se il compenso resta così alto. E comunque, questo curry è uno dei più buoni che abbia mai mangiato!» concluse a gloria, forse decisa a spostare quella patetica conversazione altrove «Sei sicuro di averlo fatto tu?»

«Ehi! Per chi mi hai preso?»

«Sicuro-sicuro non ci sia lo zampino di Zeff?»

«Sto cominciando a offendermi, Nami-san!»

Nami scoppiò a ridere, dando a Sanji un'affettuosa spallata.

«Grazie», mormorò, rimestando la salsa profumata, rendendosi conto di quanto fosse assurdo imbarazzarsi ancora per gesti simili. Non era la prima volta che Sanji si presentava con certe sorprese, non sarebbe stata di certo l'ultima.

«Non c'è di che, Nami» le rispose affettuosamente. Tutti sapevano che Sanji aveva un vero debole per lei. Così come per tutte le ragazze a dire il vero, ma per Nami, su tutte, forse anche più di Robin, aveva sempre delle attenzioni speciali. Si sentiva affine alla sua storia, a come entrambi avessero dovuto rimboccarsi le maniche per risalire da una situazione familiare a dir poco disastrosa, Nami per problemi economici, lui per essersi ribellato a una famiglia che voleva costringerlo a una vita che non gli apparteneva. Aveva dovuto reinventarsi. E Zeff, con il suo ristorante gli aveva creato un'opportunità di rivalsa e indipendenza. Per questo a Sanji non andava davvero giù il modo in cui quella massa di ristoratori da quattro soldi si prendessero certe libertà con lei. Di come si approfittassero dei suoi sacrifici.

«Franky voleva sapere se per domani pomeriggio confermiamo il cinema, prima del falò in spiaggia», le riferì, cercando di cambiare argomento, di alleggerire i toni con qualcosa di più scanzonato.

«Solo se il film non lo sceglie lui. Non ne posso più di quei blockbuster pieni di inseguimenti e sparatorie...» stronfiò Nami, andando ad attaccare con una certa soddisfazione un mochi.

«Su questo non posso garantire. L'alternativa è che scelga Robin e con lei non sai mai cosa aspettarti.»

«Un horror splatter di serie b.»

«Un mattone francese sui sentimenti.»

«Un film intimista russo.»

Esplosero entrambi a ridere.

«Forse preferisco gli inseguimenti.»

Sanji le sorrise.

«Potresti scegliere tu. Francamente a me non interessa cosa andiamo a vedere, basta stare insieme.»

«Potremmo far scegliere a Zoro. In fondo ha perso una gara piuttosto importante... magari lo aiuterà a tirarsi su.»

Sanji fece schioccare la lingua in disappunto, in un teatrino ormai rodato.

«Zoro non viene.»

Nami inarcò un sopracciglio.

«In che senso... non viene?»

Sanji si strinse nelle spalle, «A quanto pare ha un impegno. O più di uno. Insomma, ha degli impegni.»

«Ma lo programmavamo da giorni!»

«Se ti serve man forte sulla questione, sai che avrai sempre il mio appoggio...» il ragazzo non sembrava però particolarmente intenzionato a infervorarsi. Forse aveva solo avuto più tempo per assimilare la notizia.

«Io non riesco a capirlo...»

«Chi riesce a capirlo, dopotutto?»

Nami finì il suo bento con un vago senso di nausea. Non doveva arrabbiarsi mentre stava mangiando i manicaretti di Sanji, la percepiva quasi come una mancanza di rispetto, ma Zoro era davvero incorreggibile e, come da manuale, ogni sua decisione, ogni situazione che lo vedeva coinvolto, ultimamente non faceva altro che darle sui nervi. Sembrava farlo apposta. Sembrava esattamente che corde pizzicare per farla imbestialire.

Avevano programmato una serata insieme da tempo, si erano accordati con Bibi, che doveva collegarsi con loro dall'altra parte del paese per rivederli tutti quanti, dopo il suo trasferimento. Che diavolo doveva fare di così importante da dimenticarlo? Da dimenticare che era passato un anno da quando una delle loro migliori amiche era stata costretta a lasciare la scuola, la città, per seguire il padre che era stato trasferito per lavoro? Aveva scordato quanto avessero sofferto, tutti quanti? Aveva scordato quanta gioia davano a Bibi i momenti in cui le tenevano virtualmente compagnia per una serata a distanza?

Sanji sembrò annusare la sua irritazione ma non disse nulla di particolarmente incoraggiante. Probabilmente era contrariato quanto lei.

«Forse potremmo chiedere a Rufy di convincerlo.»

Nami scosse vivacemente la testa e sbuffò una risata amara, richiudendo il bento e assicurandosi con movimenti fin troppo minuziosi che il fiocco del foulard fosse ordinato.

Era certa che Rufy si sarebbe rivelato inutile anche in questa situazione e gli avrebbe trovato l'ennesima giustificazione.

«Si arrangi», disse rimettendosi in piedi, porgendo il pacchetto a Sanji, «ci divertiremo anche senza di lui.»

Sanji le lanciò uno sguardo sospetto, rialzandosi, consapevole che la pausa della ragazza doveva essere giunta al termine.

«Giusto, si arrangi, quel cretino», le diede man forte, andando a recuperare la bicicletta. Ma sebbene Nami sapesse quanto dare contro a Zoro, di regola, desse una scossa di adrenalina positiva a Sanji, a questo giro non sembrò particolarmente convinto della questione.

Lo salutò con un cenno della mano, ringraziandolo di nuovo per la cena, prima di sentire la voce di Arlong che la richiamava a gran voce dalla cucina: la mezz'ora d'aria era terminata.

 

-

 

Era uscita dal ristorante che ormai era buio pesto. Le strade quasi del tutto deserte e solo qualche Conbini aperto a ricordarle che, dopotutto, c'era ancora qualcuno di vivo in giro.

Era stanca morta, ma grazie a Sanji aveva lo stomaco pieno e il pensiero che presto sarebbe sprofondata in un sonno ristoratore le dava pace. Per poco però, perché a tratti le tornava alla mente che Zoro non sarebbe stato con loro il giorno successivo e l'irritazione spazzava via le tracce di buon umore accumulato in una serata già pessima.

In più si sentiva anche tanto stupida. Stupida perché solo qualche sera prima si era persino presa la briga di assicurarsi che stesse bene, dopo la cocente sconfitta al torneo di qualificazione.

Zoro era spesso una persona imperscrutabile. Non era solito manifestare apertamente i suoi sentimenti, negativi o positivi che fossero. Dovevi intuirli, coglierne i segnali. Le rare volte che si lasciava davvero andare ne restavi travolto, sopraffatto e capivi che dentro a quel ragazzo c'era un mondo che mostrava solo a chi gli restava accanto tanto a lungo da poterne godere.

Per quello era certa che la sconfitta lo avesse segnato profondamente. Per quello non era riuscita a lasciar correre, a dover accertarsi di persona che non fosse lì a rimuginare sulle sue sventure, nel bel mezzo della notte. Quando le aveva risposto ne era rimasta sorpresa. Non per il fatto che fosse sveglio a rimuginare ma perché si fosse preso la briga di darle corda. Zoro che di solito nemmeno ricordava o si prendeva il disturbo di avvisare suo padre quando gli capitava di far tardi.

Il loro scambio di battute notturno le aveva dato una sensazione strana. Era certa si trattasse per lo più di sollievo ma in parte era certa avesse a che fare con le endorfine... come avesse raggiunto un risultato insperato, strabiliante.

Scacciò il pensiero perché consapevole di dover dar priorità alla sua rabbia ora. Non poteva certo far sconti a Zoro solo perché qualche sera prima era riuscito a strapparle qualche stupida risata.

Persa nei suoi pensieri nemmeno si era resa conto di aver fatto una lieve deviazione per la sua destinazione finale. Aveva virato a destra invece di prendere la sinistra e si era trovata a percorrere la strada che portava al vecchio dojo di Koshiro e all'abitazione di Zoro.

Si era presa del tempo per decidere se quella fosse effettivamente una buona idea, ma d'altro canto cosa aveva da perdere? Non si era ripromessa di dire sempre quello che pensava? Di rimettere in pista i suoi amici quando sembravano perdere la bussola? Lei, soprannominata la navigatrice del gruppo per un motivo ben preciso? E Zoro, fra tutti, non era quello che letteralmente era più incline a perdersi?

Scrutò per qualche istante le luci ancora accese dietro le finestre del piano terra e si decise a suonare. Nemmeno pensò al fatto che forse avrebbe messo Koshiro in allarme. Chi diavolo si mette a suonare ai citofoni alle undici di sera?

La fortuna però sembrò dalla sua parte. Vide solo un breve movimento della tenda del soggiorno e poi una sagoma prendere la strada verso la porta.

Fu proprio Zoro ad aprirle e sfoggiare un'espressione estremamente sorpresa, quando si rese conto di chi si trovasse di fronte.

«Nami... ? Che succede?» esordì, scrutando subito dopo la via deserta, come si aspettasse che da un momento all'altro potesse comparire un mostro o qualcosa di simile.

Sebbene una parte di lei fosse ben consapevole che la domanda di Zoro fosse solo indice di premura e preoccupazione per la singolarità dell'orario, decise di interpretarla come una mancanza di rispetto. Era sempre più facile, così, no?

«Tu... succedi» lo additò con aria tutt'altro che conciliante.

Zoro le lanciò uno sguardo perplesso, evidentemente preso alla sprovvista.

«Non fare il finto tonto. Dimmi perché diavolo domani sera non saresti dei nostri.»

«E tu sei venuta fin qui, a quest'ora, per chiedermi una cosa simile?»

«Sono venuta qui a quest'ora per chiederti una cosa simile, perché per me è importante. Evidentemente per te non è lo stesso.»

Zoro fece una smorfia, vagamente confuso.

«Ho solo un impegno, non posso disdirlo...»

«Un impegno più importante di una sera assieme ai tuoi amici? Bibi ci resterà malissimo.»
«La chiamerò...»

«Non ci credi nemmeno tu mentre lo dici.»

Zoro allargò le braccia.

«Ma che altro dovrei fare allora?»
«Disdire il tuo impegno e venire con noi.»

«Non posso.»

Nami strinse le labbra, mal trattenendo un insulto.

«Potevi dircelo prima. Avremmo scelto un altro giorno», cercò di farlo ragionare. L'ultima carta, poi avrebbe decisamente gettato la spugna.

«Non lo sapevo ancora... non era preventivato.»

Dunque aveva deciso di dare la priorità al suo stupido impegno, preso successivamente. Non seppe dire se essere più innervosita da questo o dal fatto che sembrasse non capirne la gravità.

«E si può sapere cosa dovresti fare di così importante da dimenticarti di noi?»

Zoro schiuse le labbra per iniziare un discorso ma le richiuse, come a ripensarci o a cercare le parole giuste. Questo fu sufficiente, per Nami.

«Non importa, non me ne frega niente.»

«E allora perché diavolo me lo hai ch-»

Lo interruppe con un solo gesto della mano.

«Divertiti domani...» disse solo, dandogli le spalle, troppo innervosita anche solo per pensare a un insulto pungente. Era delusa. Sì... forse più per la sua indifferenza che per qualsiasi altra cosa.

«Nami!» si sentì richiamare, ma non si voltò nemmeno per un istante. Cominciò ad affrettare il passo, sentendo su di sé lo sguardo di Zoro che non la mollò finché non fu sparita dietro l'angolo della via.

Quanto si sentiva stupida. Stupidissima.

 

Rientrò in casa, gettando lo zaino in un angolo del corridoio.

«Nami?» sua madre si era appena girata, dal divano del soggiorno, per scorgerne appena la sagoma che correva su per le scale e il rumore fragoroso della porta della sua camera che sbatteva.

Bellmere si volse verso Nojiko, la sorella, che stava addentando una barretta ai cereali.

«Adolescenti», si limitò a commentare, stringendosi nelle spalle.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4.

 

Zoro si era lanciato sul divano a braccia aperte e osservava il soffitto.

Il poliziesco che stava pigramente guardando prima dell'arrivo di Nami, restava a fare da sottofondo ai suoi pensieri. Quella dannata ragazza era riuscita di nuovo a destabilizzarlo. Non era certo la prima volta che se la prendeva con lui, che lo rimproverava. Era però la prima volta che non chiudevano pacificamente una discussione.

Si sentiva in colpa. Non che non ci si fosse sentito nel momento in cui aveva dato forfait al suo impegno con gli amici, ma che Nami lo avesse sottolineato così platealmente lo aveva infastidito. Coda di paglia.

Volse lo sguardo osservando i trofei nella vetrinetta. Le foto delle competizioni giovanili di Koshiro si alternavano a quelle di famiglia: Koshiro da giovane, in compagnia di suo padre, Arashi. Una foto di quest’ultimo che teneva fra le braccia quello che doveva essere Zoro da neonato. Zoro e Kuina che mangiavano una granita sotto il porticato del dojo, un agosto di molti anni prima. Kuina da sola che osservava l'obiettivo, sorridente, dietro il vetro di una cornice che ne avrebbe preservato la giovinezza per sempre.

Sentì una fitta di rimorso che niente aveva a che fare, stavolta, con la visita di Nami e si mise a sedere.

Aveva dimenticato la ricorrenza della morte di Kuina.

Era stato questo a scatenare quella reazione a catena di eventi.

Erano passati anni e i ricordi cominciavano a diventare sempre più sfumati. Rammentava alcuni degli avvenimenti più incisivi, certo. Ricordava esattamente il dolore provato alla notizia, un giorno di diversi anni prima. Ricordava che il mondo aveva perso, per lungo tempo, i suoi colori e la sua solitudine aveva di nuovo preso il sopravvento. Ricordava nitidamente l’affetto che provava nei suoi confronti, il modo in cui tutto sembrava incastrarsi alla perfezione quando erano insieme, ricordava persino alcuni dei suoi modi di dire, alcune delle frasi che avevano determinato la loro amicizia... ma la sua voce, la sua risata… doveva fare uno sforzo immane per riportarli alla mente. L'essenza stessa di Kuina, quello che era stata, quello che la rendeva ancora presente e non un assemblaggio di ricordi ,sembrava scivolare via, lentamente ed inesorabilmente dalla trama della sua mente. E Zoro si rifiutava categoricamente di riguardare i vecchi video di Koshiro. L’unica volta che si era azzardato a rivedere una loro vecchia gara, aveva avuto il mal di stomaco per un intero pomeriggio.

Gli mancava la sua amica. Gli mancavano le confidenze, la complicità, persino i suoi rimproveri. Ma sentiva comunque che gli stava sfuggendo di mano. Il solo fatto di aver dimenticato una ricorrenza tanto importante lo aveva precipitato in uno stato di completo smarrimento. Era stato Koshiro a ricordarglielo e aveva deciso a cosa dare la priorità. Di ridimensionare la sua ossessione per la sconfitta al torneo e la sua rinuncia alla serata con i suoi amici per dedicarsi al raccoglimento e a onorare un ricordo, a ravvivarlo.

L’indomani sarebbero stati esattamente otto anni dal tragico incidente che l’aveva portata via per sempre.

 

-

 

Robin raccolse il telefono che squillava da un po'.

«Puoi parlare?» la voce ansiosa di Nami dall’altro capo. La ragazza abbassò la testa. Franky riposava raggomitolato sul divano con la testa poggiata sulle sue gambe. Sembrava essersi assopito, ignaro.

«Mh mh…» le rispose, senza alzare la voce. In sottofondo stava andando la puntata di un anime d’azione che non stavano davvero guardando, da qualche minuto buono ormai.

«Forse ho fatto una stronzata.»

Robin inarcò un sopracciglio. La voce di Nami era mesta, ma tratteneva una sfumatura che non riusciva a cogliere.

«A lavoro?» azzardò. Che fosse la volta buona e avesse mandato al diavolo quel dittatore di Arlong?

«No, dopo lavoro»

Robin era certa che le pause drammatiche non fossero da Nami, ma le lasciò il tempo di elaborare, «Sono andata da Zoro…»

La cosa la sorprese più della telefonata a tarda sera. Guardò il profilo di Franky e gli passò lentamente una mano fra i capelli.

«E… ?» la interrogò con delicatezza. In realtà aspettava una confidenza simile da settimane, ma cercò di non metterle fretta.

«E ci ho litigato».

No, d'accordo, non era esattamente quello il tipo di confidenza che si aspettava e non era una gran novità; quei due bisticciavano quasi quotidianamente. Assestò la schiena sul divano, contrita: «Che ha fatto, stavolta?»
«Domani non sarà dei nostri, ha un impegno. Tutte stupide scuse, eravamo noi il suo impegno. Era Bibi il suo impegno!»

«Di che impegno si tratta?» Robin sembrava più paziente a riguardo. Zoro non era tipo da lasciarsi alle spalle gli amici, senza motivazioni davvero importanti.

«Non ne ho la più pallida idea!» ruggì Nami, costringendo Robin a scostare appena il telefono dall'orecchio «Ma non è questo il punto. Il punto è che sembra non gliene freghi nulla.»

«Lo hai aggredito alla stessa maniera in cui stai alzando la voce con me?»
«Come? Io non sto alzando la voce!»

Robin fece roteare gli occhi, consapevole: «Mh mh…»

Nami ebbe almeno la decenza di zittirsi per un istante, a riflettere sulle sue azioni: «Okay, forse un po'...»

«Non credo tu gli abbia dato il tempo di spiegarsi.»

«Perché, a voi ha detto qualcosa?» una nota titubante di speranza, nella voce.

«In realtà no. Nemmeno sapevo non sarebbe venuto. Ma suppongo che almeno con Rufy abbia parlato, e questo penso sia sufficiente.»

«Perché lo giustificate sempre?»

E perché tu non lo fai mai? Avrebbe voluto chiederle, ma si trattenne. In fondo in fondo, Robin conosceva già la risposta. A Nami importava di Zoro molto più quanto fosse disposta ad ammettere. Lo dimostrava nello stesso modo un po’ contorto con cui persino Sanji dimostrava affetto verso il ragazzo. Anche se nel caso di Nami era sicura ci fosse dell'accanimento.

«Forse è meglio se smetto di pensarci.» La sentì dire, arresa. Cercava solidarietà e come al solito si era ritrovata solo razionalità e coerenza.

«Sono sicura che avrà modo di scusarsi. Dagli il beneficio del dubbio…»

«Aaaah, mi chiedo perché mi ostino a sfogarmi con te, sei snervante!» nell’accusa un accenno di risata, «ci vediamo domani, Robin».

«A domani. Buona notte…»

La sentì riattaccare e posò il telefono da qualche parte, sul divano. In tv stava passando la sigla di chiusura dell’anime. Forse era il caso di concludere la serata.

Quando abbassò di nuovo lo sguardo, Franky la stava guardando.

«Di nuovo Nami?» le chiese, la voce assonnata, gli occhi che stentavano a mettere a fuoco.

Robin si limitò ad annuire.

«Dovrebbe smetterla di farsi tutte queste paranoie e lanciarsi, una volta per tutte. A me è andata benissimo» le disse, stronfiando qualcosa.

«Non sono tutti come te»

«Non c’è nessuno come me…»

«Su questo non ci sono dubbi»

Franky sfoggiò un gran sorriso.

«Ehi, ragazza, hai voglia di darmi un bacio?»

Robin gli rispose con la medesima espressione.

«Forse…» disse, prima di abbassarsi su di lui.

 

-

 

Erano le quattro del pomeriggio del giorno successivo quando Koshiro abbassò lo shinai. All’apparenza sembrava non aver fatto alcuna fatica durante l’allenamento, Zoro, invece, era stato meno presente del solito.

«Per oggi finiamo qui…» gli disse. Un’affermazione che sembrava più una sentenza.

«Di già? Ma abbiamo praticamente appena cominciato!» protestò Zoro, asciugandosi il sudore della fronte con un braccio.

«Sei troppo distratto.»

«Cos- ? Non è vero...» rispose, senza troppa convinzione, «posso fare di meglio.»

«No, va bene così. Faremo un addestramento extra nel fine settimana», gli concesse, con un mezzo sorriso. Andò a posare lo shinai come a mettere fine alla discussione.

Zoro non poté fare a meno di arrendersi dopo aver atteso qualche istante, invano, che ci ripensasse. Andò a recuperare un asciugamano e si tamponò il viso, prendendosi tutto il tempo per elaborare le parole di Koshiro. Doveva essere proprio un imbecille per compromettere un intero allenamento, rendendo palesi le sue preoccupazioni.

«Per che ora devo farmi trovare pronto per la visita al tempio?» domandò, sperando di scacciarsi di dosso la brutta sensazione di sconfitta.

«Fra un’ora andrà bene.» Gli rispose Koshiro voltandosi nella sua direzione. «La tua distrazione ha qualcosa a che fare con l’anniversario di oggi?» sì sentì domandare e ne fu sorpreso.

Intendeva forse insinuare che non aveva messo impegno nell’allenamento per colpa della tragica ricorrenza?

«Ah… no. No, davvero…» gli rispose, accertandosi di risultare convincente. Raccolse una bottiglietta per bere.

«Allora con la ragazza che è venuta a trovarti ieri sera?»

Zoro per poco non si strozzò con l’acqua. Come diavolo faceva a saperlo? Non era andato a letto da un pezzo quando Nami era passata?

«No.» Rispose stringato. Ma a questo giro non riuscì a sembrare convinto come con la risposta precedente e Koshiro se ne accorse.

«Non voglio essere invadente ma… lo sai che se hai bisogno di parlare, di qualsiasi cosa, bé, io sono qui per ascoltare.»

Zoro sentì una fitta allo stomaco e posò la bottiglietta. Dio solo sapeva quanto avesse bisogno di parlare. Di quello, della gara, di Kuina… non era certo di essere in grado di esprimere a voce tutto ciò che lo stava davvero agitando in quell’ultimo periodo, ma le parole del suo tutore erano arrivate rapide e precise, come una stilettata.

Si prese qualche istante per decidere se fosse davvero pronto a farlo. Aveva chiacchierato con Rufy di certe questioni, da pari, ma non servivano mai troppe parole fra loro, per capire una situazione, invece con Koshiro poteva essere diverso. Poteva stringere quella mano che gli aveva sempre teso. Poteva aiutarlo a capire il frastuono dei suoi pensieri e, forse, rimetterli in ordine.

«Avevo dimenticato l’anniversario…» mormorò come se quelle parole pesassero su di lui come una condanna, un atto vergognoso.

Sentì su di sé lo sguardo di Koshiro, ma non riuscì a guardarlo in viso, non subito.

«Ed è… strano, perché penso sempre a lei», aggiunse, «ma tante cose mi stanno sfuggendo di mano.»

Trovò il coraggio di guardarlo, finalmente, e si sorprese di trovare un mesto sorriso sul viso dell'uomo.

«Ed è per questo che ti senti in colpa, Zoro?»

Il ragazzo non poté far altro che annuire: «Per questo, per il fatto che non sono riuscito a rispettare la promessa che le avevo fatto, e quella fatta ai miei amici che questa sera sarei stato con loro per rivedere una... vecchia amica.»

Koshiro abbandonò la sua postazione e si fece lentamente verso di lui.

«Mi sembrano un po' troppi sensi di colpa per un singolo giorno, non credi?»

«Lo so. Quindi se non sono stato presente prima, ecco... imparerò a passarci sopra.»

«O ad affrontare le cose in modo diverso, Zoro.»

Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e rialzò su di lui uno sguardo sorpreso, confuso.

«Va' coi tuoi amici stasera...»

«Ma... ?»

«Non è un anniversario a definire il tuo rapporto con la nostra Kuina o quello che provi per lei. Non è una sconfitta a definire la realizzazione di una promessa. Non è rinunciando ai tuoi amici che valorizzerai una giornata.»

Zoro cercò di assimilare le sue parole.

«Kuina sarebbe lieta di vederti felice. Di vedere come sei cresciuto, come hai cambiato il rapporto con il kendo e con le persone. Celebrare la vita che ti sei costruito vale ben più di una visita al tempio.» Lo sentì sospirare, prima di riprendere.

«Sai... persino io ho paura di svegliarmi un giorno e non ricordare più il suono della sua risata. O il tono che usava per chiamarmi papà, ma temo che sarà inevitabile. Ma questo non significherà averle voluto meno bene o che il nostro cuore avrà deciso di accantonarla. La vita è fatta di ricordi, vecchi e nuovi. Vivere costantemente nel passato è da vecchi malinconici che non hanno più prospettive future. Ma tu sei giovane. Devi ancora creare momenti straordinari e altrettanto importanti.»

La voce di Koshiro era quieta, il suo sguardo non tradiva alcun biasimo e Zoro sentì lentamente qualcosa sciogliersi all'altezza del suo petto.

«Non voglio dimenticarmi di lei.»

«E non lo farai», lo prese per le spalle, dandogli una scossa incoraggiante «La ritroverai nelle cose più assurde, più belle, spensierate, non certo in un anniversario che di bello non ha avuto proprio un bel niente.»

Zoro si sentì come sollevato da un peso, come se avesse sempre cercato quelle risposte ma non fosse mai stato in grado di trovare dell'accettazione in esse.

Non avrebbe mai dimenticato Kuina, e non sarebbe stato costretto ad accantonare tutti gli altri aspetti della sua vita. Avrebbe dovuto appuntarselo da qualche parte, in quella testa bacata, per il futuro.

Non era mai stata una persona particolarmente socievole, mai riuscito a farsi dei veri amici in passato. Persino Kuina a volte lo rimproverava per questo, per il suo caratteraccio, per i continui sbalzi d'umore, per la sua testardaggine. Era convinto non gli importasse, che non dovesse poi piacere per forza a chi gli stava attorno a patto piacesse a lei e Koshiro, convinto che da solo avrebbe potuto focalizzarsi di più sui suoi obiettivi. Ma poi aveva conosciuto Rufy e tutti gli altri e la sua vita, la sua percezione sul mondo, la sua diffidenza era cambiata.

«Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni al tempio?» domandò allora, ancora titubante sulla faccenda.

«Sicuro. Ci andremo insieme domani. O dopodomani se ti fa piacere.»

Zoro annuì, grato e persino un po' impaziente. Di certo non avrebbe fatto in tempo a raggiungere gli altri per il cinema, ma per il falò sulla spiaggia sicuramente sì.

«Sarà felice quella tua amica...» azzardò Koshiro.

Il pensiero corse rapido a Nami. Perché stava parlando di lei, giusto?

«Non ne sono così convinto. Era piuttosto arrabbiata.»

«Deve essere un bel tipino», aggiunse Koshiro con un sorriso.

«Non immagini quanto» sospirò Zoro, deciso a non pensare al dopo.

 

-

 

La spiaggia era praticamente deserta a parte un ristretto gruppo di ragazzi e un paio di solitari personaggi a spasso con i cani.

Avevano allestito un piccolo falò vicino a un'insenatura, per non destare troppa attenzione e mettere in allerta i passanti.

Rufy stava chiacchierando animatamente con un tablet, mentre attorno a lui si assiepavano i compagni, cercando di guadagnarsi stralci di inquadratura.

«... e alla fine esplode tutto! C'erano macerie ovunque, macchine volanti, gente volante...»

«Praticamente un film su cose che volano», commentò la voce sommessa di Bibi dietro lo schermo a chilometri di distanza da quella spiaggia. Dietro di lei le immagini di un piccolo café e musica soft in sottofondo. Doveva essere uscita a bere qualcosa per poter chiacchierare coi suoi amici e fingere una serata in compagnia.

«No...» la corresse Rufy, confuso «è un film sulle esplosioni. Credo.»

Usop gli portò via il tablet: «Non ascoltarlo, si è addormentato dopo dieci minuti dall'inizio. Come stai?!»

Bibi soffocò una risatina alle proteste di Rufy e il piccolo alterco che ne seguì, a giudicare da come l'inquadratura le stesse ballando di fronte, «Sto benone, ora anche di più, è bello rivedervi tutti...» cercò lo sguardo di ognuno di loro dietro lo schermo, «Rufy, Usop, ciao Chopper! Franky e Robin... Nami, Sanji... e... Zoro non c'è?» domandò all'improvviso, rendendosi conto forse solo in quel momento che mancava qualcuno all'appello.

Nami che aveva appena recuperato l'infernale macchinario, sottraendolo ai due stupidi adolescenti, provò una fitta di fastidio e fece roteare gli occhi a sottolineare il sentimento.

«Vorremmo poterti dire che si è perso ma...»

«... invece ho trovato la strada.»

La voce di Zoro si elevò alle loro spalle e la sua immagine si rifletté sullo schermo. Il gruppo, Nami compresa, non poté fare a meno di emanare un’esclamazione di sorpresa.

«Che c'è? Alla spiaggia ci so arrivare, e poi c'era un sacco di fumo, l'ho seguito» replicò indignato per poi ammorbidirsi «Ciao Bibi».

Nami reagì passandogli il tablet con una certa violenza, senza nemmeno sapere come prendere davvero quell'improvvisata. Non aveva un impegno inderogabile? Perché non li aveva avvisati che sarebbe venuto, alla fine?

Si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloncini dalla sabbia e andò a recuperare qualcosa da bere.

Sapeva di aver avuto una delle sue solite reazioni esagerate, istintive. Non avrebbe dovuto, ma ormai era tardi per pentirsene davvero. Si sarebbe calmata e sarebbe tornata a chiacchierare con Bibi, senza farsi influenzare da quella circostanza. La loro amica non meritava facce scure e malumori. Inspirò a fondo, cercò di ignorare la testa verde di Zoro e tornò dagli altri, decisa a trascurarlo per il resto della serata.

 

Dopo quasi un paio d'ore di chiacchiere la festicciola ormai volgeva al termine. Salutata Bibi, il gruppo si era sistemato attorno al falò ormai morente mentre Franky, Usop e Rufy intonavano canzoncine stonate, improvvisando delle percussioni. Chopper sonnecchiava accanto a Robin e Sanji, che stava finendo di arrostire dei Marshmallow, le raccontava delle ultime modifiche apportate alla cucina di Zeff. Era così eccitato dall'intera conversazione che non si era nemmeno accorto che Zoro stava rimestando nella borsa frigo e Nami si era allontanata.

La ragazza aveva fatto il pieno di energie e stava cercando di godersi la quiete di una delle poche sere libere dacché aveva iniziato a lavorare da Arlong. Non avrebbe mai immaginato di poterlo fare seduta in riva all'oceano, i piedi nudi che affondavano nella sabbia gelida e un'oscura immensità d'acqua che le rimandava i suoni ovattati delle onde.

Spesso si era ritrovata a fantasticare su tutto ciò che stava al di là di quelle onde, di quella linea d'orizzonte. Di quanto a volte le sarebbe piaciuto incamminarsi verso l'oceano, lasciarsi inghiottire dalle acque e vedere fin dove il fiato le avrebbe permesso di spingersi. Un giorno lo avrebbe fatto. Avrebbe preso il largo, sarebbe riuscita a fuggire, a mettere insieme abbastanza soldi per potersi guadagnare l'indipendenza e la possibilità di andare ad accertarsi di persona quanto fosse enorme, quel mondo. Era certa che una volta lontana da lì, tutto sarebbe diventato minuscolo, insignificante. I problemi svaniti. La sua famiglia di nuovo felice.

Sentì dei passi smuovere la sabbia poco distante e si trovò sotto al naso una lattina di birra.

Quando alzò lo sguardo non fu sorpresa di trovare Zoro.

Il flusso dei suoi pensieri ebbe una brusca interruzione, come il salto della puntina di un giradischi.

«E questa cos'è?» si ritrovò a chiedere, più acida di quanto avesse preventivato.

«Birra.»

«Lo vedo che è birra», gli lanciò uno sguardo torvo, prima di tornare a fissare ostinatamente l'oceano.

«La vuoi o no?» lo vide agitare la lattina che gli schizzò in faccia qualche goccia di condensa.

«No. Piantala», la scostò con un cenno della mano, «mi stai bagnando tutta!»

«Allora la bevo io» disse, e a seguire ci fu il rumore della linguetta alzata e il suono frizzante della birra che veniva liberata, «Usop mi ha detto che le hai portate tu.»

Nami si strinse nelle spalle: non avrebbe dovuto dargli corda.

«E allora?»

«E allora che senso ha portare della birra se non si ha intenzione di berla?» lo vide sedersi poco distante, sulla sabbia. Chi gli aveva dato il permesso di interrompere il suo momento di idillio? Ora persino il gracidio di Rufy e degli altri era tornato ad affollarle il cervello.

«Sono fattacci miei se non ho intenzione di berla.»

«In effetti... sei ancora minorenne.»

Nami non poté fare a meno di voltarsi nella sua direzione, indignata.

«Anche tu lo sei!»

Zoro, per tutta risposta, si prese un gran bel sorso che per un istante le ricordò quanto avesse sete lei stessa. Lo stava facendo apposta o cosa?

«Allora magari hai paura di non reggere l'alcool», colpita e affondata.

«Col cazzo», gli rispose, senza rendersi conto di non essere riuscita a mantener fede al suo proposito di non cedere alle provocazioni. Proposito che aveva infranto alle prime battute della conversazione.

Fece per alzarsi e andare lei stessa a recuperare una lattina di birra fresca, ma Zoro gliene porse prontamente una seconda, ancora sigillata.

Il bastardo aveva previsto tutto.

«Ti batto seduta stante», gli disse, strappandogli la lattina di mano, senza nemmeno un ringraziamento. L'aprì quasi con violenza, servendosi come stesse bevendo acqua fresca. Arrivò quasi a finirla, prima di interrompersi e asciugarsi teatralmente le labbra con il polso.

«Principiante», lo additò, senza poter fare a meno di notare come Zoro la stesse guardando: fra il sorpreso e l'ammirato.

Ma quando fu sul punto di dire qualcosa, Nami si sentì percorrere da un brivido e cacciò fuori un rumoroso rutto che di signorile aveva ben poco.

Fu allora che si guardarono come se si vedessero davvero per la prima volta e dopo un istante di attonito silenzio, scoppiarono improvvisamente a ridere in sincrono.

La stupida tensione svanita.

Nami non aveva certo scordato il perché avessero discusso ma le sembrò non fosse più davvero così importante. O aveva semplicemente permesso al buon senso di prendere il sopravvento sulla rabbia.

«Sei riuscito ad annullare il tuo impegno, dopotutto» disse. Perché no, comunque non era intenzionata a lasciargliela vinta.

Lo adocchiò con la coda dell'occhio e lo vide fissare la lattina come se potesse trovarci scritta una risposta adeguata alla domanda.

«È solo rimandato...» le rispose meditabondo.

Nami ci rimase un po' male, era certa che questa volta gli avrebbe dato una spiegazione plausibile. Ma... come diceva sempre Rufy? Zoro era quel che era. Inutile cercare di forzarlo a una confessione che non sentiva di dover fare.

Quando ormai si era praticamente arresa a qualsiasi aggiunta o correzione, Zoro disse: «Perché anche per me era importante esserci stasera» e lo disse con una tale tranquillità che Nami non poté che credergli. Sentendosi persino molto stupida per come avesse anche solo potuto dubitare della cosa. Le parole di Robin le tornarono alla mente, ancora una volta. Non gli aveva nemmeno dato il tempo di spiegarsi, lo aveva semplicemente assalito in preda a un coacervo di congetture affrettate.

«È che ci ero rimasta male...» sentì il bisogno di giustificarsi. Chissà che diavolo di opinione si era fatto delle sue sparate.

«Me ne sono accorto»

«Non voglio passare per una pazza che si presenta a casa della gente per insultarla.»

«Perché, non è quello che hai fatto?»

Nami lo guardò indignata, ma Zoro stava sghignazzando.

«Idiota. Meno male non c'era nessun altro in casa.»

«In realtà Koshiro era in casa.»

«Menti!»

«No», rise Zoro, «per niente»

«Ma non mi ha sentita, vero?» sussurrò con aria cospiratrice, il rossore dell'alcool che lentamente le imporporava le guance.

«Oh sì, invece.»

«No!»

Zoro annuì, prendendosi un altro sorso di birra.

«Che figura di merda. Chissà che diavolo pensa di me.»

«Ti interessa più di quello che pensa mio padre

«Ovviamente! Lui è una persona per bene. Tu...» mosse la mano come a mimare un così così.

«Perché diamine mi sono scomodato a portarti la birra, dico io...»

Nami sorrise.

«Perché non volevi che ti tenessi il muso. Perché senza di me proprio non puoi stare.» azzardò e non riuscì a dire se fosse stata lei o l'alcool a farglielo dire.

«Vaffanculo...» le rispose poco convinto e Nami scoppiò a ridere, finendo la lattina con due ultimi sorsi e piazzandogliela sotto al naso.

«Ho vinto», disse solo, avvicinando il viso al suo per scorgere al meglio, nella semi oscurità, la sua espressione, «novellino.»

Si levò in piedi senza riuscire davvero a decifrare cosa avesse provocato in lui quel velato affronto. Gli diede un buffetto in testa, decidendo che forse, in quel momento non le importava poi davvero. Si sentiva molto più leggera. E non era certa fosse solo merito dell'alcool.

«Ricordati che ancora mi devi 3000 yen», aggiunse solo.

Mentre si allontanava verso gli altri, sentì la voce di Zoro dirigerle contro diverse maledizioni.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
Capitolo 5.
 
Avevano aperto le finestre dell'aula di arte e il vento frizzante all'esterno non faceva che portare i profumi di una primavera alle porte.
Nami era rimasta a fissare i boccioli dell'albero di ciliegio in giardino per dieci minuti buoni, prima che una sua compagna di classe la scuotesse dal torpore riflessivo.
«Ehi, mi senti? Terra chiama Nami, Terra chiama...»
La ragazza si volse, presa alla sprovvista.
«Scusa?»
Laura, una ridanciana ragazza tutta spalle e altezza sopra la media, rise alla sua confusione.
«Ti ho chiesto se vieni a pranzo con noi…» fece un vago cenno alla gemella che le aspettava con un piede già fuori dall'aula. La lezione terminata da cinque minuti buoni.
Nami le fissò stranita, non si era nemmeno accorta di essere stata congedata dal professore.
«Sì, certo che vengo con voi» confermò, raccogliendo alla rinfusa le sue cose.
«Oggi hai proprio la testa fra le nuvole» fu il laconico commento di Laura che afferrò per lei la borsa abbandonata a terra.
La compagna non avrebbe potuto descrivere meglio il suo stato d'animo, sulle nuvole ci si sentiva davvero.
Avevano fatto davvero tardi, la notte scorsa, senza contare l’alcool che aveva ingerito e l’aveva un po' provata. Non avrebbe dovuto finire l’intera lattina… e poi quella successiva. Ma non era mai riuscita a sedare la competizione con Zoro e non gli avrebbe comunque concesso sconti solo perché era riuscita a limare il risentimento nei suoi confronti. Il vero motivo delle sue riflessioni però trovavano origine anche da altro: niente riusciva a toglierle dalla testa di come fosse migliorata la sua serata, dopo la conversazione sulla spiaggia con quell’idiota. Per quanto sciocca e priva di reale significato, era riuscita a rimetterla di buon umore. Non faceva che domandarsi come il rapporto con Zoro potesse influenzare il suo umore a tal punto e come mai ci avesse messo buona parte della sua notte insonne per smaltirne le analisi.
Forse più tardi avrebbe preso da parte Robin e le avrebbe chiesto chiarimenti. Robin sapeva sempre tutto o almeno, di solito riusciva a rimetterla in pista, a spiegarle le cose da un'altra prospettiva. Non che si aspettasse chissà quale rivelazione, ma di certo avrebbe sciolto dei nodi che la tormentavano in modo abbastanza fastidioso da qualche mese a quella parte.
«Allora vi muovete o cosa? Ci perderemo gli allenamenti di quelli di atletica se non usciamo subito da qui...» Chiffon, sulla porta, le guardava indispettita.
Nami non sapeva come spiegare che di quelli del club di atletica non le importava un bel niente, ma spinse Laura verso la sorella e l'uscita, fingendo di essere più che pronta ad ammirare ammassi di muscoli sudati, sulla pista.
 
-
 
Rufy aveva appena ingurgitato una quantità spropositata di onigiri e se Zoro non avesse messo in salvo le proprie scorte, molto probabilmente il ragazzo avrebbe mangiato anche quelle.
«Ma non ti sfamano abbastanza a casa?» Zoro scoraggiò i suoi tentativi di furto con un calcio ben assestato. Rufy indietreggiò sconfitto, facendo leva sulle braccia per sedersi sul parapetto della scalinata che dava sul retro della scuola. Un angolo in ombra e poco curato, pieno di sterpaglie, piuttosto defilato rispetto al caos del cortile. Sul muro, alle loro spalle, campeggiava una scritta vandalica a pennarello rosso e nero: Bagy regna. Eri lì da molto prima che iniziassero il liceo. Ormai faceva parte della decorazione scolastica. A nessuno interessava rendere appetibile quell’angolo dell’edificio e a Zoro andava benissimo così. Se non si addormentava sul tetto della scuola era lì che andava a rifugiarsi.
«Non è colpa mia. Devo crescere.»
«Vallo a dire a chi ci crede»
Rufy ridacchiò, sbilanciandosi all'indietro, più per osservare quello che accadeva nel cortile, dove gli altri studenti stavano sciamando in giro per godersi la pausa pranzo.
«Potevamo mangiare con gli altri...» commentò con aria annoiata l'istante successivo.
«Non ti ho obbligato io a venire qui»
«Perché speravo che cambiassi idea»
«Non l'ho cambiata. E tu sei libero di andare...»
Non era stato lui a chiedere a Rufy di seguirlo. C'erano giorni in cui Zoro aveva davvero bisogno di restare solo, decomprimere, meditare. E si dava il caso che quello fosse proprio uno di quei giorni.
Di regola non impediva mai a nessuno di fargli compagnia a patto che non facessero casino o non lo mettessero in difficoltà con stupide chiacchiere.
Non aveva dormito granché. Il giorno precedente era stato ricco di avvenimenti, quel pomeriggio avrebbe accompagnato finalmente Koshiro al tempio e nei suoi pensieri c'erano le mille parole che avrebbe rivolto a Kuina. Oltretutto non riusciva a togliersi dalla testa di come si fosse eccessivamente preoccupato di chiarirsi con Nami dopo il litigio della sera precedente e di come avesse accusato il colpo sul suo giudizio negativo. Era convinto che la ragazza fosse in grado di capirlo, di sbrogliare la sua psicologia contorta così come ci riusciva Rufy, con poche parole: che si fosse sbagliato?
Ancora una volta si stava facendo distrarre da un sacco di stupidaggini. Era stato proprio fra una lezione di storia e una di scienze che Zoro aveva deciso di sedare quel turbinio di pensieri, focalizzandosi su una decisione improvvisa, anche se non la più saggia che gli fosse mai potuta venire in mente.
«No, resto con te...» decise Rufy, balzando giù dal parapetto per sederglisi accanto, un folletto incapace di restarsene fermo «è comunque meglio qui che la lezione di matematica della prossima ora.»
Zoro si limitò a scrollare le spalle, finendo il suo pranzo.
«Puoi sempre non andarci»
«Volesse il cielo...»
«No, dico sul serio...» gli lanciò uno sguardo eloquente, «io non ci vado»
Rufy lo osservò con sorpresa e un misto di curiosità.
«Hai intenzione di saltare la lezione?»
Zoro annuì convinto, deciso a portare a termine i suoi propositi dell'ora di scienze, mentre la confusione di Rufy si trasformava in un sorriso tutto denti.
«Dove ce ne andiamo?» gli chiese, senza nemmeno darsi la pena di mostrare il minimo riserbo per la sconsiderata decisione.
«Alla scuola che ha passato il torneo di kendo.»
Il ragazzo dai grandi occhi neri si limitò a guardarlo confuso.
Zoro inspirò a fondo: a volte non bastavano i silenzi per spiegare le cose al suo migliore amico.
«Ho intenzione di andare ad assistere agli allenamenti della squadra di kendo di Mihawk. Il tizio che mi ha... insomma...»
«Stracciato al torneo?»
Zoro gli diede un pugno sulla spalla.
«Diciamo: che ha avuto la fortuna di prendermi alla sprovvista...»
«Che ti ha stracciato»
«Piantala di dire quella parola!»
Rufy stavolta fu più veloce a deviare il colpo e si levò in piedi.
«Vuoi andare a vedere come si allena per capire come batterlo la prossima volta?»
«Qualcosa del genere...»
Lo vide sorridere e capì che la decisione era stata approvata: sapeva di poter contare su di lui. Non era certo la prima volta che saltavano le lezioni, ma era la prima volta che sgattaiolavano fuori dalla scuola e per di più per fare qualcosa di produttivo.
«Allora andiamo!»
Zoro si mise in piedi, spolverandosi appena i pantaloni della divisa e gettò il sacchetto vuoto del pranzo nel cestino lì accanto.
«Magari passiamo da dietro, eh...» disse fermando il capitano che già sembrava volersi dirigere all’ingresso principale per uscire in pompa magna.
La sorveglianza a quell'ora era piuttosto scarsa e, se non ricordava male, il cancello del giardino a sud era ancora divelto e tenuto insieme alla bell’è meglio, a causa della caduta di un albero la scorsa estate. Peccato non ricordasse affatto dove fosse quel cancello a sud, né tantomeno come arrivarci.
Si trovarono a girare in tondo molto più di quanto avesse previsto e per poco non si scontrarono con uno degli insegnanti di ginnastica che canticchiava una canzone sconcia.
«Il piano di fuga peggio riuscito della storia» commentò Rufy, grattandosi la testa.
«Dammi un secondo. Deve essere da queste parti...» esalò Zoro fra l'esasperato e il disperato mentre la campana della torre suonava la fine della pausa.
Un passo oltre l'angolo del palazzo e… Sanji per poco non si schiantò loro contro, sbucando da chissà dove.
«Ehi, piano voi due» latrò una risata per la sorpresa «ma dove cavolo state andando? La scuola è dall'altra parte» disse, rendendosi conto solo in quel momento dell'espressione assolutamente colpevole di Rufy. Dissimulare non era esattamente il punto forte del capitano.
«Stiamo cercando di uscire, ma non troviamo il cancello sul retro» e nemmeno tacere o quantomeno mentire, evidentemente.
«Quello divelto?» commentò Sanji.
«Lo troviamo invece...» si intromise Zoro, lanciandogli uno sguardo ostile.
«Volete uscire dalla scuola?»
«No» negò Zoro.
«Sì» disse Rufy, beccandosi un'occhiataccia.
«E... per andare dove?» si interessò Sanji, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Non sono affari tuo-»
«Zoro vuole andare a spiare gli allenamenti del tizio che lo ha stracciato!» si intromise di nuovo Rufy, beccandosi l'ennesimo calcio nel sedere.
«Piantala di menarmi!» si inalberò questi, cominciando a tirargli pugni a raffica sulla spalla.
Sanji osservò l'assurdo siparietto, apparentemente poco impressionato, come uno spettacolo rodato da tempo immemore.
«So dov'è quel cancello, ma voglio venire con voi.»
«Certo!» esclamò Rufy, tenendo la testa di Zoro incastrata nella morsa delle sue braccia.
«Assolutamente... n-no», smozzicò il malcapitato, cercando disperatamente di liberarsi.
Sanji gli si avvicinò, abbassandosi appena al suo livello per poterlo guardare negli occhi.
«Scommetto che nemmeno sai come arrivarci alla scuola di quel tizio. E se non riesci nemmeno a trovare un cancello... non voglio immaginare dove vi ritroveremo domani. Magari in cima a un monte.»
Rufy liberò Zoro poco prima che diventasse cianotico: «non ha proprio tutti i torti.»
«Fate come cazzo volete...» disse Zoro schiarendosi la voce e sistemandosi la camicia sgualcita, «basta che ci muoviamo».
Sanji non se lo fece ripetere due volte, compiaciuto di aver vinto il primo round.
 
-
 
Nami aveva raggiunto l’aula di Robin poco prima che finisse la pausa pranzo e straordinariamente Franky non era in sua compagnia. C’era però Chopper che le stava mostrando una rivista.
Avevano alzato la testa simultaneamente quando l’avevano vista comparire sulla soglia e invitata a unirsi a loro.
«Dio, grazie…» sospirò sedendosi con tutto il peso su una sedia lì accanto, «se avessi sentito un altro commento sconcio su quelli del club di atletica avrei dato di matto.»
Robin soffocò una risatina mentre Chopper sembrò non aver capito la questione.
«Lascia perdere. Che fate?» si interessò allungando la testa sul banco per poterci poggiare le braccia e riposare le stanche membra.
«Stavo facendo vedere a Robin il nuovo articolo di nonna…»
Kureha, la nonna di Chopper, era stata un medico piuttosto rinomato in ambito accademico e anche se in pensione, pubblicava ancora articoli su una rivista locale. Chopper era deciso a seguire le sue orme e ne ammirava con entusiasmo la carriera.
«Vuoi leggerlo?»
Nami sorrise stancamente: «Un altro giorno, magari. Credo di non avere la facoltà di comprendere le frasi più semplici, oggi.»
Chopper richiuse la rivista, rivolgendole uno sguardo severo.
«Non avresti dovuto bere tanto ieri sera»
«Lo so, lo so…» lo liquidò con garbo, dandogli un buffetto sulla mano. Non riusciva mai a risentirsene davvero se le osservazioni arrivavano da Chopper.
«Bé, se non altro sembra tu abbia fatto pace con Zoro» Disse Robin.
«Perché, avevano litigato?!» esclamò scioccato Chopper che mai riusciva a comprendere i bisticci insulsi che correvano nel loro gruppo.
«Non avevamo davvero litigato…» sospirò, fingendo una parvenza di noncuranza «avevamo bisticciato su una cretinata. Tutto risolto.»
«Ti ha detto a quale impegno ha rinunciato per venire?»
Nami alzò su Robin uno sguardo scontento: «No e non gliel’ho più chiesto.»
Chopper continuava a seguirle confuso. Era evidente che non ci stava capendo granché.
«E perché no? È chiaro che la cosa ancora ti infastidisce…»
«Ti prego, non ricominciare», sbuffò abbattendo la fronte sul banco «mi sembra già un traguardo averci parlato senza insultarlo»
«Non capisco perché litighiate sempre voi due... è così facile andare d'accordo con Zoro», si intromise Chopper, sistemando la rivista nella sua cartella.
Le due ragazze lo fissarono stranite e lui parve accorgersene.
«Cosa? È vero! Con me è sempre gentile...» si rese conto della perplessità nei loro sguardi, quindi sembrò tenerci a specificare «e se mi rimprovera non lo fa mai senza una ragione: Zoro è una persona sincera»
Nami scoccò un'occhiata a Robin che fece spallucce.
«Vi ho detto che abbiamo risolto», li tranquillizzò Nami, prima che la conversazione diventasse un processo nei suoi confronti «anzi la serata è stata piacevole, dopo.»
Era andata a cercare Robin proprio per sbrogliare quella matassa, no?
«Insomma, non piace nemmeno a me litigarci di continuo, succede e basta. E ci rimango male ogni volta» decise di essere sincera.
«Allora forse dovresti dirglielo...» si intromise Robin.
«Non è così facile, non farla così facile...»
«E in che modo dovrebbe essere difficile?»
Chopper la stava fissando e Nami si sentì arrossire, senza poter fare nulla a riguardo.
«Non lo so...» per lo stesso motivo per cui non gli lasciava mai finire una discussione, per paura di sentirsi dire cose che non voleva sentire... proprio perché sì, Zoro era sincero e piuttosto brusco, a volte definitivo coi giudizi.
«Perché tieni molto alla sua opinione, io credo. Perché lo tieni in alta considerazione anche se non ti va di ammetterlo.»
Robin stava tirando il primo filo della matassa.
«Perché Zoro ti piace!» esclamò Chopper, improvvisamente, le gote arrossate dall'eccitazione.
Nami si levò dritta, come colpita da uno schiaffo.
«Ma che cosa dici?!»
Vide il suo sorriso vacillare.
«Perché? N-non ti piace Zoro?» e in quell'affermazione sentì tutta l'ingenuità del suo commento, l'assenza di malizia, a discapito di quello che pensava di aver percepito.
«C-certo che mi piace, come piace a tutti. Non sarebbe mio amico, altrimenti...» si affrettò a dire, «per quello vorrei capirlo di più...»
Robin da un lato stava sorridendo. Nami cominciò a pensare di doversi dare una calmata, ma il suo cuore ora batteva a un ritmo decisamente accelerato.
 
-
 
Non era stato così difficile per il trio in fuga, intrufolarsi nella palestra della scuola. A quanto pareva la vittoria delle selezioni avevano portato un gran pubblico alla squadra di kendo del liceo rivale e confondersi con la folla non era stato poi così drammatico. Una volta tolta la giacca le divise scolastiche si somigliavano un po' tutte.
Per lo più erano presenti branchi di ragazzini e ragazzine che facevano il tifo per quella che sembrava la stella nascente della stagione.
Zoro aveva osservato a lungo le mosse di Mihawk, nascosto dietro agli spalti, mentre Rufy sonnecchiava su una delle panche, e si era reso conto immediatamente della sua superiorità, sia fisica che tecnica.
Era stato davvero uno sciocco a pensare di poterlo battere. Non era tanto la forza a renderlo unico, ma l'agilità e la fluidità dei movimenti, il modo in cui sembrava anticipare ogni mossa dell’avversario e agire di conseguenza: ecco dove era stato il suo errore. Zoro era troppo diretto, cristallino nelle intenzioni.
«Dobbiamo restare qui ancora per molto o... ?» lo interrogò Sanji, che evidentemente non vedeva l'ora di poter uscire all'aria aperta per fumare o anche solo per distrarsi.
«Guarda che non ti ho chiesto io di venire, puoi fare quello che ti pare.»
«Ottimo» lo guardò alzarsi, rendendosi conto che forse era davvero arrivato il momento di andare, ma di certo non avrebbe dato merito al ragazzo. Si limitò a seguirlo brevemente con lo sguardo, prima di dare una scossa a Rufy: «Ce ne andiamo.» gli disse, vedendolo ridestarsi e stropicciarsi i capelli.
Si diressero a passo svelto verso l'uscita, cercando di farsi notare il meno possibile. Ma una volta all'aria aperta, e sicuri di averla scampata, si sentirono richiamare da una voce femminile.
«Scusate... siete di questa scuola?»
Rufy sgranò gli occhi, osservando Zoro. Evidentemente nessuno dei due aveva preparato una scusa plausibile a quell'intromissione.
«Siamo solo in visita...» improvvisò, voltandosi lentamente, cercando di dimostrare non-calanche.
«Mi pareva! Lo sono anche io.»
La ragazza che li stava osservando si levò gli occhiali per pulirli con un fazzoletto e per poco a Zoro non venne un colpo: un caschetto di capelli neri e un paio di grandi occhi scuri. Il viso, la postura, persino il sorriso gli ricordarono improvvisamente quelli di Kuina. Come era possibile che qualcuno le somigliasse tanto? Si chiese se non fosse solo l'influenza psicologica degli ultimi giorni.
«Ohi, Zoro, ma non assomiglia tantissimo a... ?» Rufy sembrò palesare le sue perplessità.
«No. Non le somiglia per niente»
La ragazza si era lasciata scivolare via il sorriso per guardarli stranita, ma non sembrò voler però tergiversare troppo su quel dettaglio.
«Siete venuti a sbirciare gli allenamenti?» chiese «Devo ammettere che pensavo di aver fatto una mossa azzardata, ma sapere di non essere l'unica mi rincuora e se non sbaglio hai partecipato anche tu allo scorso torneo... giusto?»
Zoro si rese conto che si stava riferendo a lui, ma non era del tutto certo di volerle rispondere.
E nemmeno ne ebbe bisogno perché qualcuno ci pensò al posto suo.
Sanji era sbucato da chissà dove. Il suo fiuto per le ragazze era più forte di quanto ci si potesse immaginare.
«Non perdere tempo con questo buzzurro. Non ti risponderà mai a dovere...» disse, avvicinandola, «molto piacere, il mio nome è Sanji, e il tuo?»
La ragazza lo osservò perplessa ma poi sorrise di nuovo: «Che stupida, non mi sono nemmeno presentata: il mio nome è Tashigi, e faccio parte della squadra di kendo di uno dei licei che è stato eliminato alle finali. Sono più che altro un'osservatrice...»
«Oh, una donna kendoka! Credo che sia una delle cose più se-»
«Non mi ricordo di te» lo interruppe sgarbatamente Zoro.
La ragazza annuì consapevole.
«Non abbiamo partecipato lo stesso giorno. Ma sono venuta comunque a vedere le gare... sei stato bravo, nonostante Mihawk...»
«Non ho bisogno di incoraggiamenti...» le rispose brusco. Ma chi si credeva di essere quella ragazza che aveva scippato il viso alla sua Kuina?
«Zoro!» lo rimproverò Sanji, già sul piede di guerra, ma la ragazza si frappose a loro.
«Non volevo sembrare sgarbata!» mise le mani avanti, «solo complimentarmi per la tua tecnica. Insomma, sembra tu abbia una grossa esperienza alle spalle, mi chiedevo dove fosse iniziata la tua formazione.»
Lo stava forse biasimando o peggio, prendendo in giro?
«Al dojo del sensei Shimotsuki», decise di risponderle, per capire dove volesse andare a parare.
La vide illuminarsi tutta, come avesse avuto un’enorme rivelazione.
«Lo stesso Shimotsuki Koshiro che vinse i mondiali? Ricordo perfettamente lui e Roronoa Arashi! Ho seguito vecchi tornei in tv! Delle vere leggende per la nostra città.»
Al solo sentire il nome del padre, Zoro avvertì un brivido percorrergli la schiena; a volte dimenticava quanto clamore avesse fatto ai suoi tempi. E si sorprendeva ancora se qualcuno ne ricordava i gloriosi trascorsi.
«Non sapevo che Shimotsuki-sama insegnasse ancora...»
«Non lo fa. O meglio... tiene dei corsi per bambini. Niente di più.»
«Ma non avevi detto che avevi ripreso ad allenarti con lui, Zoro?» si intromise Rufy, sempre nel momento meno opportuno.
«Dici sul serio? Fa lezioni private?» quella Tashigi sembrava capire un po’ quello che più le pareva.
«Non le fa. E poi perché ti importa?» allargò le braccia, già esasperato da quella conversazione.
«Bè, perché sarebbe un enorme privilegio poter frequentare il suo dojo. Insomma, non credo essere l'unica a crederlo. O ad aver sperato che riaprisse le porte ad allievi un po' più maturi.»
«Ricaccia indietro le speranze, a Shimotsuki-sama non interessa più...»
«Ma lui ha appena detto...» disse, indicando Rufy.
«Dimentica quello che ha detto»
La vide rabbuiarsi per un istante, sembrava avesse improvvisamente capito che i suoi modi bruschi non le andavano più a genio.
«Questo lo vedremo», lo rassicurò, definitiva.
Zoro non riuscì a comprendere cosa intendesse dire.
«È stato un piacere conoscerti... Zoro?» cercò di ricordare il nome con cui lo aveva chiamato il ragazzo dai capelli bruni.
Zoro si limitò a fissarla senza rispondere.
«È stato un piacere anche per noi, Tashigi-san» prese la parola Sanji, che non mancò di scansare lo spadaccino di malagrazia, «non farci caso, ha solo aria nel cervello»
La guardarono allontanarsi dopo un breve saluto e niente tolse a Zoro quella spiacevole sensazione di déjà-vu e di una terribile stortura in via di sviluppo.
 
-
 
«Non ci posso credere che avete saltato le ultime ore di lezione, ma cosa vi dice il cervello?» il rimprovero di Nami, sulla via di casa.
Aveva individuato i tre amici appostati sul cancello della scuola, come a simulare un'uscita rapida e indolore alla fine delle lezioni e aveva capito immediatamente la situazione.
«Perdonaci Nami-san. Avevamo solo bisogno di evadere» si giustificò Sanji, senza incolpare nessuno nello specifico.
«Si stanno avvicinando gli esami di fine anno. Non dovreste sottovalutarlo...»
«Gli esami di fine anno sono una gran palla...» Rufy.
Nami scosse la testa, arresa. Era già consapevole del fatto che avrebbero dovuto fissare incontri di studio prima dei tanto temuti esami e che si sarebbe presa carico delle loro lacune.
«E dove siete andati, di grazia?» li interrogò. Zoro camminava dietro a loro, apparentemente poco incline alla conversazione. A dire il vero a Nami aveva dato l'impressione di essere fin troppo serio, più riflessivo del solito.
«A vedere gli allenamenti di quel Mis- Mik- insomma... di quel tizio che ha stracciato Zoro.»
Nami scoccò un'occhiata alle sue spalle, aspettandosi una replica stizzita che invece non arrivò.
«Quindi è stata una spedizione conoscitiva.»
«Se vuoi chiamarla così... io ho dormito tutto il tempo. Però dopo Zoro ha conosciuto una ragazza.»
Nami rallentò il passo, non del tutto sicura di capire quale fosse il senso della frase del Capitano.
«Una dolce dea dagli occhi bruni...» sospirò Sanji, portandosi le mani ai lati del viso a simulare romantico struggimento «che non meritava affatto le rispostacce di quel cretino.»
«La piantate di fare stupido pettegolezzo?» si intromise finalmente il diretto interessato, decretando di averne avuto abbastanza. «La prossima volta ci penserò due volte, prima di portarvi con me» Li superò a passo svelto e cominciò a correre in direzione di casa.
«Ho fretta, ci vediamo domani», si congedò, dileguandosi senza dare ulteriori spiegazioni.
«Che razza di animale...» fu il laconico commento di Sanji.
Nami fece una smorfia, ma decise di non indagare ulteriormente sulla faccenda. Non fino a quando non avesse chiarito perché la cosa le avesse dato, di nuovo, tanto fastidio.
 
-
 
Zoro si levò le scarpe all'ingresso, abbandonando lo zaino in corridoio.
«Sono a casa!» ci tenne a far sapere. Un cambio veloce e sarebbe stato pronto ad accompagnare Koshiro al tempio, finalmente. Magari gli sarebbe servito a scacciare l'immagine di quella ragazza alla palestra, il fastidio alle sue insistente, a ridimensionare il fastidio che, da sempre, gli davano i ficcanaso.
«Zoro?», la voce di Koshiro in salotto, «puoi venire qui un momento?»
Il ragazzo si slacciò i primi bottoni della camicia, levandosi definitivamente la cravatta.
La stava ancora arrotolando sulla mano quando, sbucando dalla porta del salotto, senti il profumo del tè alla menta di Koshiro e si rese conto che non era solo.
«Tu?» disse fra l’accusatorio e lo sbigottito, riconoscendo immediatamente la sosia di Kuina. La sensazione che la vecchia amica fosse tornata in carne ed ossa era adesso centuplicata, ad osservarla così seduta, rilassata di fronte all'uomo che li aveva cresciuti.
Provò di nuovo quella sensazione sgradevole, di qualcosa di profondamente sbagliato.
«Oh, ciao» Tashigi alzò una mano, rivolgendogli un saluto e un sorriso amichevole che gli sembrò del tutto fuori luogo.
Possibile che Koshiro non si fosse accorto della somiglianza di quella ragazza con la loro Kuina? Dell’assoluta stonatura?
«Tashigi si allenerà con noi, dalla prossima settimana», fu l’annunciò improvviso che Zoro non riuscì a registrare immediatamente.
Realizzò però il significato delle ultime parole che Tashigi gli aveva rivolto fuori dalla palestra: gli aveva lanciato una sfida e l’aveva vinta.
 
-
 
 
 
Note:
finalmente ho cominciato a escogitare dei modi per mettere in difficoltà le esistenze fin troppo tranquille dei nostri… vediamo come riesco a gestire i conflitti. Di solito mi sfuggono di mano, e son botte da orbi, argh! Ma non è questo il giorno. Grazie a chiunque stia seguendo questa mia storia, mi sto divertendo molto a scriverla, come spero vi stiate divertendo a leggerla. Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6.

 

Un altro temporale.

Nami spense la sveglia, godendosi gli ultimi istanti sotto al calore delle coperte. Le gocce di pioggia si abbattevano violente sulla finestra, lasciando filtrare la luce ovattata del mattino.

Si prospettava una giornata piena e l'idea che quel venerdì avrebbero terminato prima le lezioni non le dava comunque la spinta ad affrontare la giornata. Aveva chiesto ad Arlong di poter fare alcuni straordinari. Ad aver saputo che la giornata si sarebbe presentata così grigia avrebbe glissato volentieri.

Si mise seduta sbuffando. Altrettanto di malumore si diresse in bagno per lavarsi, vestirsi e rendersi presentabile.

Quando si affacciò alla porta della cucina, Nojiko aveva già sistemato sul tavolo dei toast e della frutta per la colazione.

«Buongiorno, principessa...» la schernì alludendo ai ciuffi che, spavaldi, sfuggivano alla coda che aveva raccolto alla bell'è meglio.

«Non fiatare», la ammonì, sedendosi pesantemente, sbirciando cosa le sembrasse più appetibile.

«Tieni: cereali, banana, lamponi, e gocce di cioccolata...»

«Forse un po' di bene te ne voglio. Solo un po'»

Nojiko sorrise, poggiandosi al bancone della cucina, sorseggiando il suo caffè.

Frequentava il primo anno di università, ne aveva scelta una vicino casa per poter restare a vivere assieme a loro. Nami odiava il fatto che avesse dovuto rinunciare a facoltà ben più in linea con le sue ambizioni. Nojiko era un'artista, una testa matta, e per cause di forza maggiore aveva finito col scegliere di studiare qualcosa che aveva a che fare con la contabilità: una possibilità in più per avere un lavoro sicuro e pagato regolarmente in futuro.

«Lavori fino a tardi anche stasera?» le domandò a bruciapelo. Sempre quell'espressione un po' corrucciata. Se a Nami non andava a genio che sua sorella avesse accantonato uno dei suoi sogni, a Nojiko non andava giù per niente che lavorasse per Arlong. Aveva espresso la sua perplessità fin dall'inizio, e non a torto, ma Nami si era sempre categoricamente rifiutata di mollare il colpo e, quasi da subito, a tacere tutto ciò che accadeva al ristorante, nel bene e nel male.

Era diventata molto brava a mentire a riguardo e nascondere i suoi momenti di frustrazione.

«Sì, ho deciso di fare qualche straordinario. Ho visto un kit da disegno piuttosto costoso, ma vorrei comprarlo, se riusciamo a star dentro le spese» le disse, innaffiando di latte i suoi cereali.

«Se ti servono dei soldi, io ne ho un po' da parte. Ora che mamma ha trovato lavoro alla clinica possiamo tirare un po' il respiro, sai?» sempre quel tono accondiscendente.

«Non è un problema, oggi a scuola finiamo prima»

«Francamente preferirei saperti in giro con i tuoi amici piuttosto che da Arlong. Nami, la mamma ed io ne abbiamo parlato e... pensavamo che per quest'anno potresti prenderti una pausa dal ristorante. Ti assicuro che possiamo farcela.»

Nami posò il cartone del latte, alzando su di lei uno sguardo corrucciato.

«Non mi dispiace lavorare. Te l'ho già detto» come faceva a non capire? A non arrivarci? Il solo pensiero di poter riprecipitare nella situazione disastrosa in cui erano finite solo due anni prima la terrorizzava. Aveva visto sua madre piangere di nascosto perché non riusciva a pagare le bollette, patire la fame per cedere il poco che riusciva a comprare alle sue figlie, abbassarsi a chiedere prestiti ad amici e conoscenti pur di non perdere la casa. Potevano anche essersi risollevate ma l'idea di poterci ricascare era lo sprone a continuare su quella strada. Si era ripromessa che non sarebbe successo mai più. E per mantenere fede a quella promessa doveva fare la sua parte. Non poteva essere un peso morto.

«D'accordo ma potresti cercare altrove. So che si è liberato un posto alla libreria vicino alla stazione, la commessa ha partorito e non tornerà per un po', sarebbe più edificante, occuperebbe meno tempo e potresti...»

«Arlong paga bene» disse, a chiudere definitivamente la conversazione «non capisco perché, se sta bene a me non debba andare bene a voi.»

«Arlong è uno stronzo»

«Vero, ma so badare agli stronzi.» disse rimettendosi in piedi. La colazione aveva perso qualsiasi attrattiva.

«Nami...»

«Grazie, ma devo andare, non aspettatemi per cena.»

Sapeva che la conversazione si sarebbe ripresentata, doveva farsi bastare di aver vinto un round, anche per quella volta.

 

-

 

La stupida discussione con Nojiko aveva peggiorato il suo umore. L'ultima ora non le era mai sembrata tanto lunga e la tormentava l'idea di essersi forse davvero intestardita a voler continuare a lavorare in un ristorante dove l’unica cosa positiva era il compenso. O i rari momenti in cui i suoi amici andavano a farle visita, facendole improvvisate al locale, rendendo meno lugubri le sue serate. Non fosse stato per questo nemmeno avrebbe voluto che buttassero i soldi in un posto che non meritava davvero la sua fama. O che servissero ad alimentare le casse di quel malvivente di Arlong. Non era sicura che non avesse avviato l’attività in modo tutt’altro che trasparente e non era certo sicura che non continuasse su quella strada. Come poteva guadagnare tanto e pagare così bene i dipendenti? Non era che un fast food di pesce non migliore di tanti altri, dopotutto. La risposta finiva però per essere sempre la stessa: non le importava poi granché sul come il locale potesse mantenere quel tenore, il fatto era che pagava bene. E che nel corso di quell’ultimo anno era riuscita a mettere via un gran bel gruzzolo. Il sacrificio sembrava sempre valere la candela, più dei soprusi o le umiliazioni. Era come una droga da cui non si riesce a smettere, il vil denaro. Finché riesci a vincere, puoi sopportare l’idea di quanto possa fare male.

Alla fine delle lezioni stava ancora rimuginando sulla situazione, senza quasi accorgersi che, uscendo da scuola, aveva ricominciato a piovere... e aveva abbandonato l’ombrello a casa, poiché poco prima di uscire le precipitazioni erano terminate e, presa dai fumi della discussione, non aveva pensato all’eventualità che avrebbero potuto ricominciare. Un comportamento non da lei, decisamente non da lei, che del meteo riusciva ad azzeccare le più controverse previsioni.

Sbuffò un’imprecazione contro il cielo, ben conscia che durante il tragitto da scuola al locale di Arlong sarebbe stata fradicia come un pulcino e non avrebbe avuto certo tempo di asciugarsi adeguatamente, prima di indossare la divisa da lavoro.

«Che stai guardando?» una voce alle sue spalle, sul portone della scuola, mentre lo sciame di studenti si accavallavano per fuggire a casa.

Zoro le si era fatto accanto e aveva alzato lo sguardo verso il cielo, come si aspettasse di vedere qualcosa di straordinario che aveva catalizzato l’attenzione della ragazza. Ma evidentemente c’erano solo nuvole e pioggia.

«Le mie palle che girano», gli rispose con audacia, sperando capisse, ma alle volte Zoro era più tonto di Rufy o semplicemente non dava importanza a cose che per tutti gli altri erano cristalline.

Infatti posò su di lei uno sguardo confuso.

Nami sospirò arresa: «Piove. E non ho l’ombrello» gli palesò con aria quasi teatrale, come si spiegano le cose a un bambino.

Zoro sollevò il suo: «Ho preso l’ultimo di cortesia all’ingresso…» glielo porse come a volerglielo cedere. Un atto di cavalleria del tutto inaspettato.

«E tu come torni a casa?»

«Correndo», si strinse nelle spalle.

Nami scosse la testa.

«Posso correre anche io, se per questo»

«Ma non dovevi andare da Arlong?»

«Posso correre da Arlong»

Il ragazzo le lanciò uno sguardo valutativo, prima di guardare l’ombrello e poi lei, e viceversa.

«Potremmo dividercelo» se ne uscì all’improvviso «Non è distante dal dojo.»

Nami si irrigidì appena. L’idea di fare un intero percorso praticamente abbarbicata a Zoro, l’aveva improvvisamente messa a disagio. Senza ragione poi. Lo stesso Zoro con cui aveva praticamente diviso una nottata su un divano, solo l’anno prima a casa di Rufy. Lo stesso Zoro a cui fregava l’ultimo sorso di qualsiasi bevanda sul fondo del bicchiere. Lo stesso Zoro che l’aveva portata in spalla, un intero pomeriggio al mare con gli altri. Che diavolo era cambiato da un anno con l’altro? Che diavolo era cambiato, nello specifico, in quelle ultime settimane, a dire il vero. Si sentiva così stanca.

«Non hai proprio niente da fare tu, eh» fu l’unica cosa che le uscì in modo goffo, e stupido. Stupido perché sapeva perfettamente cosa faceva andare in bestia Zoro e quelle frecciatine erano nel gruppo di cose da non dire.

Ma quando vide l’ombrello schiudersi al suo fianco e Zoro farsi vicino, capì che, nonostante tutto, questa volta il colpo non era andato a segno. Un’anomalia non prevista che Nami accolse con tacito assenso.

Si incamminarono in silenzio verso l’uscita, la pioggia che batteva regolare, in uno scricchiolio piacevole, sulle loro teste. Non seppe dire se essere più in imbarazzo per la vicinanza o quell’ostinato mutismo. Si teneva sulla sua parte d’ombrello, cercando disperatamente di non finirgli troppo vicino, di non sfiorarlo, di non lasciargli percepire il calore che si stava sprigionando dal suo corpo, nemmeno si fosse trasformata improvvisamente una stufa.

Era certa che il motivo di tutto quel disagio fosse quella stupida frase che Chopper aveva pronunciato solo qualche giorno prima: «Perché Zoro ti piace!»

E sapeva che non era intesa in senso romantico, era perfettamente consapevole che niente di tutto ciò che si poteva percepire all’esterno, di loro due, era quello, eppure…

Eppure doveva dare un nome a ciò che la metteva a disagio con Zoro. Doveva trovarne l’origine e quell’input era arrivato come un fulmine a ciel sereno. Un pensiero idiota, che era nato, e stava maturando lentamente ad occupare gli spazi vuoti di ogni sua più intima paranoia.

Era certa che ci fosse molto altro da indagare, ma quel dannato tarlo aveva cominciato a rosicchiare e non le dava tregua.

Zoro era uno dei suoi migliori amici: difficile da capire, orgoglioso, testone, spigoloso ma generoso, attento, leale. Qualità e difetti che gli aveva sempre attribuito e che mai le avrebbero suggerito il sospetto che potesse guardarli da un’altra prospettiva. Eppure era l’unico del gruppo a scatenarle addosso sentimenti violenti, nel bene e nel male e questo la mandava in confusione.

Robin le aveva suggerito di parlarne con lui, ma come poteva anche solo cominciare un discorso se solo stargli così vicino la metteva in completa agitazione?

Si sentiva tremendamente irritata dalla piega degli eventi ma soprattutto da se stessa, un essere irriconoscibile che stava prendendo il sopravvento. E questo non poteva andare bene, per niente.

Stava ancora pensando a cosa dire quando si rese conto di non dover più tenere il gomito esterno rannicchiato contro il busto, per evitare si bagnasse, l'ombrello sembrava coprirla quasi completamente. O si era rimpicciolita lei o si era ingrandito l'ombrello.

Oppure.

Alzò lo sguardo solo per rendersi conto che Zoro era praticamente esposto all'acquazzone solo per poterle cedere gran parte del riparo. E le fu chiaro, immediatamente, che non si trattasse di una distrazione, né una coincidenza. Zoro le stava semplicemente riservando una premura. Affatto richiesta, certo, ma pur sempre una premura.

L'imbarazzo lasciò il posto a una sensazione del tutto nuova, quasi piacevole in quella giostra di emozioni altalenanti.

«Ti stai bagnando un sacco...» interruppe il silenzio, afferrando l'asta dell'ombrello per sospingerla leggermente dalla sua parte.

Zoro non sembrò scomporsi troppo, le rivolse uno sguardo rapido, scrollando le spalle.

«Dovevo comunque portare a lavare la divisa»

Nami aveva pronta una replica sferzante ma riuscì straordinariamente a trattenersi. Non voleva che la conversazione morisse di nuovo su un bisticcio.

«Probabilmente me ne pentirò...» borbottò, la voce a confondersi con il suono della pioggia. Zoro non sembrò averla udita.

«Perché non dici semplicemente che non vuoi che io mi bagni e resti fradicia per il resto della serata?» aggiunse a voce decisamente più alta. Il cuore aveva preso a battere molto più rapidamente del previsto. Il sasso era stato lanciato e presto avrebbe causato le prime onde.

Il ragazzo non rispose immediatamente, come stesse valutando il riverbero a lunga gittata di quell'affermazione.

«Perché mi diresti di farmi i fatti miei e che non hai bisogno di queste cazzate»

Nami si riconobbe immediatamente nella descrizione e un po' se ne sorprese.

«Non lo avrei detto, stavolta»

«Ah no?» la nota di sarcasmo, alla quale Nami avrebbe volentieri risposto, aggrappandosi a quella stupida sensazione di riscatto, in un botta e risposta che le dava sempre una scossa di adrenalina non richiesta.

«No. Sono in grado di conversare cordialmente...» fermati Nami, fermati «... persino con uno come te»

Eccola ricadere nella stupida trappola.

Ma Zoro scoppiò a ridere.

«Ah, sei tornata. Stavo cominciando a preoccuparmi»

Nami roteò gli occhi, ma si rese conto che il nodo allo stomaco si stava sciogliendo di nuovo. L'imbarazzo le stava scivolando di dosso, come tutte le volte che spegneva il cervello dalle paranoie e cominciava a parlare con colui che sapeva essere croce e delizia dei suoi tormenti.

«Bè, in ogni caso, grazie», disse a sorpresa, «te lo dirò solo una volta, perciò se vorrai potrai appuntartelo sul diario...» mimò di farlo lei stessa, scimmiottandolo, «spero solo non ti venga il raffreddore...» si preoccupò di aggiungere.

«Nah. Non mi ammalo da quando andavo all'asilo»

«Che superuomo. Da studiare sui libri di scienza...»

«Almeno ci finirò per qualcosa, su un libro»

Nami alzò lo sguardo, percependo una nota stonata in quella battuta. Ma la sua espressione non tradiva niente del genere. Forse non era l'unica a saper simulare bene.

«Pensi ancora al torneo... ?» si decise a chiedere dopo un lungo istante. Indecisa se valutare davvero i pro e i contro dello scatenare di nuovo l'argomento e in maniera così diretta.

«Devo, se conto di riprovarci il prossimo trimestre»

«Non intendevo in quel senso», Nami si chiese se facesse bene a insistere.

«Stai cercando di capire se mi metterò a frignare?»

La ragazza non raccolse la sfida, non questa volta.

«No, sto solo cercando di parlare con un amico...»

Il sorrisetto caustico sul volto di Zoro si indebolì e quando abbassò lo sguardo, Nami gli lesse addosso tutta la frustrazione e l'amarezza che ancora gli scatenava dentro quella sconfitta. Ci aveva preso, ma non ne fu affatto felice.

«Che vuoi che ti dica?» allargò il braccio che pendeva, ormai fradicio, dall'altro lato dell'ombrello, «ero convinto che Koshiro mi avrebbe dato una mano, ma a quanto pare non mi ritiene all'altezza dei suoi allenamenti.»

«Che vuoi dire?» si sorprese Nami.

Koshiro teneva immensamente a Zoro e mai lo avrebbe fatto sentire in difetto, ed era certa che credesse nelle sue capacità più di quanto avrebbe potuto fare il suo vero padre.

«Niente di importante...» sembrò pentirsi di quell'attimo di confidenza, deciso ad accelerare il passo.

Nami però gli afferrò il braccio per fermarlo.

«Invece sì che è importante...» gli disse, cercando di nuovo il suo sguardo, «per me lo è.»

Il tempo sembrò rallentare all'improvviso.

Zoro la stava guardando e probabilmente si stava chiedendo se fosse sincera, se fosse pronta a prendersi carico delle sue confessioni.

«Bè…» emanò in un soffio, «dopo l’esclusione dal torneo, Koshiro aveva acconsentito a darmi lezioni private. In passato abbiamo avuto, diciamo degli scontri sull’approccio al kendo…»

Nami gli lasciò andare lentamente il braccio, dandogli tutta la sua attenzione.

«… ma credevo avessimo superato quell’ostacolo» lo guardò stringersi nelle spalle «solo che devo aver fatto qualcosa di sbagliato, forse sono stato troppo distratto, perché qualche giorno fa-»

«Zoro?» una voce alle loro spalle interruppe il flusso affatto scontato di parole del ragazzo.

Si volsero entrambi da sotto l’ombrello e Nami poté scorgere la silhouette di una ragazza. Doveva avere più o meno la loro età e le sembrò di cogliere la somiglianza con qualcuno che aveva già visto da qualche parte.

«Ah, sei tu…» la apostrofò Zoro senza particolare riguardo.

«Il maestro Shimotsuki mi ha detto che probabilmente eri uscito senza ombrello stamattina, così mi ha chiesto di venirti incontro…» mostrò un altro ombrello che reggeva al gomito, «ma forse si è preoccupato eccessivamente.»

La ragazza si volse nella sua direzione e le sorrise così Nami si rese contro che dietro la spessa montatura degli occhiali c’erano un paio di grandi occhi… bruni.

Come aveva detto Sanji il giorno della loro fuga da scuola? Una dolce dea dagli occhi bruni…

Per poco non le mancò il fiato. Doveva essere la ragazza di cui le avevano parlato. Possibile fosse già così tanto in confidenza con Zoro da conoscere persino Koshiro? Che anzi, Koshiro le affidasse un compito, una premura da riservare al figlio?

Nemmeno lei, che conosceva il ragazzo da ormai più di due anni, aveva mai davvero avuto a che fare con l’uomo.

E poi, proprio nel bel mezzo delle congetture, Zoro le passò l’ombrello.

«Così non ti bagni mentre vai a lavoro…» le disse a mezza voce, come una confidenza.

Confusa dal gesto e dalla rapidità con cui si svolsero le cose, fu improvvisamente sola, mentre guardava Zoro allontanarsi per recuperare l’ombrello che le porgeva la sconosciuta.

«Ci vediamo domani?» la congedò, rivolgendole quello che sembrava uno sguardo di scuse, ma che Nami non accolse positivamente come avrebbe dovuto. Il fastidio dell’attimo interrotto, della comparsa di quella che le parve improvvisamente come un ostacolo, andarono ad appesantire il sentimento con cui era cominciata quella pessima giornata.

«Certo…» gli rispose freddamente. A vederli così, uno vicino all’altra, le sembrarono improvvisamente una coppia. Una possibilità che non aveva mai davvero associato a Zoro. A parte quella strampalata parentesi che sembrava aver avuto l’anno prima con quella tipa dai capelli rosa che si era presa una cotta per lui. E non aveva fatto altro che tormentarlo per settimane prima che si facesse convincere dai suoi amici ad uscirci. In quell’occasione però erano tutti certi, lei per prima, che la cosa sarebbe franata nel giro di poche battute. E infatti…

Ma quella ragazza bruna sembrava diversa, quella ragazza aveva acceso i suoi campanelli d’allarme.

Fece appena un cenno di saluto prima di prendere la direzione opposta alla loro, preoccupandosi di allontanarsi il più velocemente possibile, come sperasse di allontanare anche la brutta sensazione.


-
 

Il locale di Arlong era piuttosto affollato quella sera.

Probabilmente gli acquazzoni in corso, a più riprese, avevano convinto le persone a ripararsi dalle intemperie e gustarsi un piatto caldo, sulla via di casa.

Nami non aveva avuto un solo attimo di respiro dacché era arrivata. Arlong e i suoi non avevano fatto altro che darle direttive a raffica, nemmeno fosse l’unica dipendente del ristorante.

L’atmosfera, già piuttosto calda, andava a sommarsi alla stanchezza pregressa, e il malumore generico non faceva che peggiorare la situazione. Nami non vedeva l’ora che quella stramaledetta giornata finisse.

«Qualcuno vada a prendere le ordinazioni al quattro! E’ mezz’ora che aspettano!» ringhiò Kuroobi, un omone nerboruto, tutto muscoli e rabbia repressa «Nami, muovi il culo!»

Ci mancò tanto così che lo mandasse a cagare per direttissima. Invece indossò il suo miglior sorriso, uscì dalla cucina e poi a passo svelto verso il tavolo quattro.

«Buonasera, scusate il ritardo, cosa posso portarvi?» domandò senza nemmeno guardare i tre tizi, già focalizzata sulle ordinazioni.

«Un po’ di zucchero, tanto per cominciare…» le risposero e a quel punto non poté fare a meno di notarli. Sembravano tre lupi in cerca di preda. Aveva già conosciuto soggetti del genere, ma quella non era la serata giusta per affrontarli. E la battuta era una delle più scontate del repertorio.

Si morse la lingua e attese che rettificassero l’ordine senza doverlo puntualizzare con una battuta a denti stretti.

«A che ora stacchi?» aggiunse un altro. A quanto pareva sarebbe stata più lunga ed estenuante del previsto.

«Se avete bisogno di altro tempo per decidere, ripasso più tardi» decise di chiuderla senza incidenti. Ancora una volta lottando strenuamente con se stessa per non esplodere.

«Ragazzi, ragazzi, fatela finita. La state mettendo in imbarazzo… abbiamo già deciso, non dar loro retta.» si intromise il terzo, sorridendole affabile.

Nami ringraziò mentalmente per la tregua, prima di tornare nelle retrovie con gli ordini.

«Tre menù speciali» sbuffò portandosi una mano alla fronte. Si sentiva esplodere la testa e ancora nemmeno aveva cenato.

«Ehi, perché non prendi una pausa? Ti copro io per qualche minuto…» Hachi le si era avvicinato e le aveva sfilato letteralmente il palmare di mano. Nami lo guardò con gratitudine, soffocando l’urgenza di abbracciarlo. Se c’era un piccolo raggio di sole in quel posto tossico era proprio Hacchan. Era stato l’unico vero collega/amico che fosse riuscita a farsi lì dentro. L’unico a spalleggiarla a discapito delle ripercussioni. Lui e Cami, a dire il vero, ma la ragazza non era riuscita a reggere il ritmo e si era licenziata ormai da tempo. Ancora si sentivano, di tanto in tanto.

Lo congedò con un inchino e si affrettò all’uscita sul retro per prendere una boccata d’aria.

La pioggia continuava insistente da ore ormai, inumidendo tutto quanto, allagando parte della strada, ma rimase comunque ferma sotto la tettoia ad osservare quella sottospecie di apocalisse, poggiata con la schiena al muro. Avesse potuto lavare via la stanchezza con tutta quell’acqua ci si sarebbe buttata sotto a capofitto. La stanchezza sì ma anche quell’improvvisa ondata di tristezza.

Non si era mai considerata una persona triste, ma era umana anche lei, dopotutto. E quando le capitavano giornate così di solito cercava di isolarsi dal mondo, o rannicchiarsi fra le braccia di sua madre in silenzio, aspettando che il momento passasse. Ma a tenerle compagnia quella sera non c’era nient’altro che il suono costante della pioggia, la frustrazione di avere a che fare con dei clienti cafoni, e poi il rimprovero di Nojiko che la stuzzicava da quella mattina con la promessa di una tregua. E infine c'era stato Zoro con il quale aveva creduto, per un istante, di aver avuto un intimo momento di connessione, ma che si era disintegrato all’arrivo di quella ragazza che nemmeno si era degnato di presentarle.

Sentì qualcosa di orribile risalirle su per la gola e riconobbe, con sgomento, di avere una gran voglia di piangere.

«Nami!» ringhiò una voce all'interno. Nemmeno il tempo di entrare in sintonia con le sue emozioni che furono stroncate sul nascere. Ricacciò indietro le lacrime e rientrò alla velocità della luce, trovando Arlong sulla porta della cucina.

«Dove diavolo credevi di andare?! Al tavolo quattro hanno detto che hai completamente sbagliato l'ordinazione!» le tuonò contro, senza nemmeno darsi la pena di chiederle quale fosse stato il malinteso.

«Hanno chiesto tre menù speciali, come avrei potuto sbagliare?» le sembrò naturale ribattere senza preoccuparsi di aver appena dato contro al capo in persona. In altre occasioni non avrebbe fiatato, ma il riverbero delle emozioni che le si stavano scatenando dentro, adesso era più luminoso che mai.

«E io che cazzo ne so? Torna là fuori, chiedi scusa e porta le ordinazioni giuste»

«Non le ho sbagliate...» smozzicò a mezza voce, recuperando il palmare da Hachi che la guardava desolato.

Il frastuono della sala tornò a ripiombarle addosso, mentre si dirigeva a passo spedito verso il tavolo dei tre tampinatori.

«Mi hanno detto che c'è stato un problema con i vostri ordini, come posso risolvere?» esordì, ancora una volta senza guardarli.

«A dire il vero abbiamo cambiato idea solo per poter rivedere il tuo bel faccino...»

Fu in quel momento che Nami piantò gli occhi addosso al suo sfacciato interlocutore, con una furia che riusciva a trattenere a stento.

«Dunque l'ordine resta lo stesso?» cercò di smozzicare a fatica: l'espressione assolutamente gongolante del tizio dai capelli biondo cenere le dava il voltastomaco.

«Non lo so... tornerai tu o ci manderanno di nuovo quel cameriere pallido e flaccido?»

Stavano forse parlando del suo amico Hachi? Il caos dentro di lei si fece più intenso, fino a diventare quasi assordante.

«Non lo so, e voi avete intenzione di mangiare o siete qui solo per prendere per il culo la gente che lavora?» sbottò, abbassando il palmare, decisa a non riservare più una sola premura per gente priva di scrupoli e rispetto.

«Scusa, cosa hai appena detto?»

Nami avvertì l'orgoglio del tipo gonfiarsi come un palloncino.

«Ho detto che se non siete qui per mangiare, forse ve ne dovreste andare. E liberare il posto per qualcuno che ha intenzione di farlo.»

«Ma come cazzo ti permetti?» si levò in piedi, cercando forse di intimidirla con il doppio della sua altezza, ma Nami non si spostò di un centimetro.

«Che sta succedendo qui?» la voce di Arlong alle sue spalle. Per una volta tanto accolse il suo arrivo con gratitudine. La questione si sarebbe risolta molto più rapidamente così.

«La vostra cameriera si rifiuta di prendere i nostri ordini» la accusò, con il benestare degli altri due che annuirono contriti.

«Non è vero!» esclamò Nami «Mi stavano solo facendo perdere tempo! Commenti inopportuni e mancanza di rispetto.»

Arlong le lanciò uno sguardo in tralice, prima di tornare sul trio. Era così convinta che Arlong li avrebbe allontanati senza colpo ferire che quando le disse di tornare in cucina e che ci avrebbe pensato lui a prendere gli ordini, le mancarono quasi le forze.

Era davvero intenzionato a far cadere così la faccenda? O solo pronto ad evitare una scenata nel suo locale? Per gente del genere valeva ben la pena dimostrare chi comandasse.

«Non hanno alcuna intenzione di mangiare. Dovrebbero andarsene...» si intromise di nuovo, cercando di far valere le sue ragioni.

Arlong dimenticò gli ordini e le si parò di fronte come una furia.

«Questo è il mio locale. Decido io... cosa fare o non fare, ragazzina!»

«Non hanno fatto altro che importunare me e insultare Hacchan...» possibile che non volesse nemmeno starla a sentire?

«Se non sei in grado di sopportare un paio di battute, forse dovresti essere tu ad andartene» la apostrofò con voce roca e feroce.

L’eco della sua coscienza si fece silenzioso tutto a un tratto. Lo sentì gorgogliare appena, mentre il locale tutto intorno sembrava essere completamente sparito.

Si trovò in uno spazio vuoto dove erano solo lei e Arlong. Uno di fronte all'altra. Un uomo sulla quarantina che dall'esistenza non aveva avuto altro che quel postaccio e poi c'era lei, che stava buttando via gli anni migliori della sua vita, per stare alle dipendenze di una persona che dopo tutto quel tempo non era in grado di farle alcuno sconto, di mostrarle un minimo di empatia o riconoscenza.

«Sai che c'è?» sentì la propria voce pronunciare, come avesse volontà propria, mentre le sue mani andavano a slacciarsi di dosso il grembiule di servizio, «ti prendo in parola.»

Per un istante fu certa di leggergli addosso del sincero sconcerto. Non era il primo scontro che avevano, ma era la prima volta che Nami decideva di non abbassare la testa.

«Ma non me ne vado perché non so gestire un trio di pervertiti...» il caos riprese, il locale tornò a circondarli e le voci della gente a riempire il silenzio. La sua rabbia esplose con una furia devastante. «Me ne vado perché mi sono rotta i coglioni di te e del tuo ristorante del cazzo!» esclamò a gran voce, scagliando a terra il grembiule.

«Nami!» lo sentì ruggire, ma di quello che disse dopo capì poco e niente, perché troppo presa a sparire sul retro per recuperare alla rinfusa tutta la sua roba. Decisa a non rimettere mai più piede lì dentro.

-

 

Aveva quasi smesso di piovere e Nami si rese conto di essere rimasta al riparo seduta sotto alla tettoia di un negozio con le serrande abbassate così a lungo da aver praticamente perso sensibilità alle dita di mani e piedi.

Aveva dimenticato da Arlong l'ombrello che Zoro le aveva ceduto. Ne avrebbe comprato un altro da restituire alla scuola. Ma in ogni caso, nonostante la furia del momento, il buon senso le aveva comunque suggerito di non correre a casa, sotto al diluvio, ma di aspettare che almeno spiovesse al riparo da qualche parte, abbastanza lontano dal ristorante di quello stronzo.

Aveva ignorato le telefonate di Hacchan o forse non le aveva semplicemente registrate. La scossa di adrenalina che l'aveva riaccesa quando aveva mandato definitivamente a quel paese il suo capo si era esaurita abbastanza in fretta, lasciandole addosso una sensazione di vuoto. Non era certa di saper valutare le sue emozioni in quel momento. Nè di capire quale avrebbe potuto essere la sua prossima mossa. O di come avrebbe potuto spiegare la cosa alla sua famiglia, ai suoi amici. Non era quello che si erano sempre aspettati da lei? In fondo in fondo si chiese se non fosse sempre stato il suo desiderio segreto quello di congedarsi col botto.

Teneva ancora al riparo la testa fra le gambe, lo sguardo basso al marciapiede, quando sentì un rumore di passi e un'ombra poco più grande di lei farlesi incontro.

«Ecco dove te ne stavi nascosta...»

Nami fece scattare in alto la testa.

Rufy le stava chinato di fronte, il cappuccio rosso dell'impermeabile calato in testa e un sorriso sulle labbra.

«Che cosa ci fai qui?» le uscì in un soffio. Al solo riconoscere un volto amico, la bolla di emozioni che si era sgonfiata dopo la sfuriata sembrava sul punto di crescere di nuovo.

«Secondo te?» le rispose serafico, tendendole una mano. Nami l'afferrò con il cuore improvvisamente colmo di gratitudine.

«Rufy! L'hai trovata?» un richiamo e Sanji comparve alle loro spalle, «Nami-san, grazie al cielo!» esclamò accalorato.

«Ragazzi è qui!» richiamò poi a gran voce.

In quanti si erano preoccupati per lei? In quanti scomodati per lei? Era certa ci fosse lo zampino di Hachi.

«Ci sono!» la voce di Usop in lontananza.

«Usop solo tu?! Ti avevamo detto di tenere d'occhio quel coglione!»

«L'ho fatto ma mi è sparito dal sotto al naso!»

«E si che ce l'hai grosso, cretino!»

«Cretino ci sarai tu!»

«Ma la volete piantare di urlare?» la voce di Zoro si unì al coro, sbucando dall'angolo opposto della strada «è tardi.»

Nami puntò lo sguardo su ognuno di loro, mentre la avvicinavano, le espressioni evidentemente sollevate. La mano era ancora stretta a quella di Rufy quando si sentì pervadere da un calore smisurato, travolta dalla forza del loro affetto.

Il vuoto che l'aveva pervasa si stava lentamente riempiendo, le emozioni che la avevano confusa per tutto il giorno avevano ripreso a gonfiarlesi dentro incontrollate e la voglia di piangere era diventata ormai irresistibile.

Con un singhiozzo che sapeva più di liberazione, abbracciò stretto il suo capitano e si lasciò andare.

 

-

Nota:

un capitolo tutto dedicato a Nami era doveroso, principalmente perché l'adoro e poi perché volevo fare un micro (ma proprio micro) omaggio ad una delle scene più belle del manga, sul finire del capitolo. Qui Nami se la cava da sola ma ha comunque bisogno dei suoi amici, e da' finalmente sfogo a tutta la sua frustrazione. E chissà che non le chiarisca un paio di cose, pure. Grazie come sempre a chi legge e segue la storia, a presto.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7.

 

Quando Bellmer aveva visto rientrare a casa Nami, con il suo seguito di cavalieri, aveva immediatamente capito che era successo qualcosa. Come fosse facile nascondere gli occhi gonfi e arrossati della figlia e il modo in cui il biondino del gruppo le teneva la mano.

Non si era però preoccupata più di tanto. Riconosceva in quei ragazzi un riparo e qualsiasi cosa fosse successa era certa fosse già in fase di recupero.

 

Nemmeno a Zoro erano sfuggiti i piccoli dettagli della ripresa di Nami e più tardi aveva ascoltato con discrezione, come tutti gli altri, la confessione della ragazza. Il come avesse accumulato troppa tensione, come l'avesse scaricata sul suo ormai ex capo e fosse finita a smaltire l'adrenalina sotto a un portico, fradicia di pioggia.

Il festeggiamento a quell'evento clamoroso e sofferto sembrò quasi d'obbligo. Zoro aveva ceduto all'invito a bere una tazza di cioccolata calda, l'ultima della stagione probabilmente, nonostante si sentisse un po' in colpa a prolungare la visita. Era sgattaiolato fuori casa senza preavviso e probabilmente Koshiro si stava chiedendo che fine avesse fatto. Ma alla telefonata di Rufy non aveva avuto un solo attimo di esitazione: Nami aveva bisogno di loro. In nessun universo avrebbe ignorato la chiamata.

Non gli spiaceva comunque restare. Era sempre sorpreso del calore che emanava la casa di Bellmer, Nojiko e Nami. Nonostante fosse un'abitazione piccola e piuttosto modesta, trasudava amore. In nessun altro modo avrebbe saputo definire quell’atmosfera. Dalla scelta dei colori, caldi e vivaci, al vago profumo di mandarino che si avvertiva in ogni singola stanza, a ricordare le origini di Bellmer.

Ci si era sempre trovato a suo agio, dalla prima volta che Nami li aveva trascinati lì per dar loro ripetizioni di fine anno. Erano sempre stati accolti con calore, con rispetto e non era mai mancato cibo alla loro tavola, nonostante fossero tutti a conoscenza delle loro difficoltà economiche. La generosità e l’affetto classificavano quella casa, quella famiglia, come porto sicuro.

Per quello andarsene, poi, era sempre così faticoso.

«Grazie», disse Nami a fine serata, guardandoli uno per uno, ferma sulla porta di casa, prima del definitivo congedo.

Nessuno ebbe bisogno di dire nulla o rispondere a quel ringraziamento affatto dovuto.

Zoro non poté fare a meno di notare che da quando aveva finito di raccontare la sua orribile serata, Nami non aveva mai smesso di sorridere, e dietro quegli occhi arrossati, gonfi e stanchi aveva scorto un bagliore che non vedeva da molto tempo. Anche adesso quell’espressione continuava a persistere. Si augurò di vedergliela dipinta addosso il più a lungo possibile.

«Ehi…» si sentì richiamare in ultimo, prima che potesse chiudere il mini corteo in uscita dal vialetto di casa.

Si fermò, voltando appena la testa, le mani sprofondate nelle tasche della giacca, in attesa.

«Ho dimenticato l’ombrello della scuola... da Arlong…» sul suo viso, un’espressione di scuse, che però non intaccò la distensione del suo sorriso.

«Se lo tenga» le rispose, rilanciandole un ghigno complice, «era anche arrugginito»

«Quindi non dovrei ricomprarlo?»

«Non ci pensare nemmeno… da quando sei diventata una brava ragazza?»

Lei gli concesse il dito medio come a chiusura definitiva dell’argomento e della serata.

 

-

 

Il giorno successivo Nami non si era presentata a scuola.

«Tu non ti muovi di casa, oggi» l'aveva ammonita sua madre quella stessa mattina, analizzando con disappunto la temperatura segnalata dal termometro.

Si era buscata un gran brutto raffreddore. Non così sorprendente visto il tempo che aveva trascorso al freddo, inumidita dalla pioggia.

Aveva sospirato per l'intera mattinata, vinta da un insopportabile mal di testa, sdraiata sul divano di casa a fare zapping alla televisione. Non ricordava nemmeno da quanto tempo non si trovasse in casa da sola a oziare, sopraffatta da acutissima noia.

L'unico pensiero a preoccuparla era quello delle lezioni saltate. Non più quello dell'ansia di dover comunicare ad Arlong che non era sicura sarebbe riuscita a presentarsi a lavoro quel sabato - la giornata in assoluto più disturbante della settimana - perché... bé, non ce l'aveva più un lavoro.

Si scoprì meno angosciata del previsto all'idea. In realtà aveva avuto tempo per ripercorrere mentalmente tutto quello che era successo e si era concessa di darsi virtualmente una serie di gran pacche sulle spalle, di complimentarsi con se stessa per la decisione, preventivata o meno.

Si sentiva avvampare al ricordo di come si fosse congedata, ma d'altro canto non riusciva a pentirsi di nulla.

Quella notte aveva fatto la più sonora dormita da qualche anno a quella parte.

 

Dopo aver scaldato del riso che sua madre si era preoccupata di lasciarle pronto, e averne spiluccato controvoglia qualche chicco, era tornata ad avvilupparsi alla coperta, constatando che la febbre era scesa. Avrebbe potuto tornare fra i vivi il lunedì successivo, godendosi il meritato riposo.

Da quanto non se lo concedeva davvero il riposo? Non lo aveva fatto nemmeno durante le vacanze invernali… la prospettiva di poterlo fare in quelle primaverili e mettere in atto programmi che aveva da mesi, le diede un brivido di felicità inaspettato.

Fu tra una televendita di coltelli e un talk show pieno di ospiti a lei sconosciuti, che Usop le mandò un messaggio, chiedendole se potesse passare a trovarla. Il pensiero di un amico a tenerle compagnia fece impennare l’umore dell’intera giornata.

Si trascinò a passo lento verso la porta d’ingresso quando suonò alla porta, stringendosi addosso la coperta, nemmeno fosse un involtino. Sbirciò dal videocitofono solo per ritrovarsi di fronte il suo naso.

«Hello, Nami! Soccorso compiti del fine settimana» disse Usop, sventolandole di fronte quello che sembrava un quaderno.

«Pensavo fossi qui per tenermi compagnia, non per torturarmi», si preoccupò di tenerlo alla larga, facendolo entrare «non dovrei essere più molto infetta, ma non si sa mai.»

«Ah, non preoccuparti, sto prendendo un sacco di vitamine ultimamente, e il tuo non è un virus…»

Nami si limitò a stringersi nelle spalle e fargli cenno di accomodarsi ovunque si trovasse più a suo agio.

Usop si sedette comodamente sul lato del divano, posando sul tavolino da caffè lo zaino di scuola.

«Gli altri ti portano i loro saluti» le disse. Sembrava implicito il fatto che, se avessero potuto, le avrebbero invaso di nuovo casa, forse si erano fatti degli scrupoli perché non si sentiva bene.

«Abbiamo tirato a sorte, se te lo stessi chiedendo» aggiunse.

«In effetti me lo stavo chiedendo», raccolse i piedi sul divano, stringendosi di nuovo addosso la coperta a lasciar fuori solo il viso.

«Un'idea di Chopper, a dire il vero. Era sicuro avessi bisogno di riposo e tranquillità.»

Nami sorrise. Quel ragazzino aveva già l'inclinazione giusta per diventare un dottore.

«Riposo di sicuro, ma tranquillità... prima che arrivassi tu mi stavo ammazzando di televendite. Hai idea di quanti tipi di coltelli esistano? E quanti riescano a tagliare le lattine come burro? Mi era addirittura venuta voglia di ordinarne un set, solo per capire se è vero.»

Usop sbirciò la tv, chiedendosi se ci fosse ancora qualche residuo di quelle televendite.

«Sono quasi certo che mia madre ne abbia ordinato un set qualche anno fa» rivelò meditabondo.

«Dici sul serio? E funzionano?»

«Questo dovresti chiederlo a mio padre. Sono sicuro gli mancasse un dito, il giorno in cui se n'è andato di casa.»

Nami sgranò gli occhi, indecisa su come prendere quell'uscita, prima che Usop si mettesse a ridere.

«Cretino!» lo apostrofò tirandogli un calcio da sotto la coperta.

«Ahia! Ma non eri convalescente?»

«Potrei farti il culo anche da moribonda.»

Lo guardò levarsi in piedi e raccogliere il telecomando.

«Facciamo che metto da parte il tuo pessimo carattere e ci guardiamo un film, cosa dici?»

«Ma non eri venuto qui per portarmi i compiti?»

«Ma quella era solo una scusa per venire a trovarti. Che crolli la maschera! Godiamoci il fine settimana.»

A Nami sembrò una buona idea, ma non era certa che lasciargli il telecomando avrebbe portato giovamento alla triste programmazione che offrivano sulla televisione nazionale.

«Che stai facendo?» gli chiese, guardandolo armeggiare con la tv e con le applicazioni di canali a pagamento che lei evidentemente non possedeva. Era da quando Bellmer aveva perso il lavoro che avevano tagliato le spese inutili e lasciato cadere ogni piattaforma in streaming che offrivano un eccesso di film e serie tv.

«Ti condivido il mio account e ci guardiamo un film. Poi te lo lascio, assieme a una lista di telefilm che devi assolutamente vedere»

«Usop...» cominciò a protestare.

«... così finalmente potrò parlarne con qualcuno. Quei caproni dei nostri amici non hanno la cultura o la perseveranza necessaria per portare a termine compiti tanto ardui...»

La sentenza del ragazzo le sembrò così definitiva che nemmeno ebbe la forza di ribattere.

Era vero che con Usop condivideva un sacco di passioni. Da quella del disegno a quella per le serie tv di ogni tipo. Per non parlare delle letture. In quello batteva persino Robin, che si dedicava troppo spesso a saggi o romanzi impegnati, quando a lei, di tanto in tanto, andava di leggere letteratura più leggera, persino frivola a volte, e in questo Usop era un compagno veramente eccezionale.

A dire il vero era proprio così che si erano conosciuti: durante una spedizione alla biblioteca scolastica e una strenua lotta sull'ultima copia disponibile di un romanzo di Gaiman. Che Usop conoscesse già Rufy, fu poi solo lo stimolo successivo per proseguire quella frequentazione.

«D'accordo allora. Che ci guardiamo?»

Ma Usop aveva già avviato un film, indovinando esattamente il sentimento della giornata.

Dimenticando i propositi di stargli lontano, guadagnò un paio di posti, raggiungendolo al centro del divano. Allargò un poco la sua coperta, coprendogli i piedi scalzi.

«Ho delle patatine, da qualche parte in cucina, se ti interessa...»

«Naaa, ho fatto merenda prima di venire qui» lo guardò rilassarsi e mettersi comodo.

Il film scorreva lento da un buon quarto d'ora e Nami non si era mai sentita tanto serena.

«Usop...» invase il silenzio qualche minuto più tardi, «che cosa ne pensi delle librerie?» gli domandò a bruciapelo.

«In generale o... c'è dietro qualche significato nascosto che dovrei capire?»

«Giusto, allora riformulo: cosa ne pensi di me, dentro a una libreria?»

Con la coda dell'occhio si rese conto che la stava guardando, confuso.

«Penso che... dentro a una libreria... ti ci vedo a tuo agio?»

Nami sorrise.

«È quello che pensavo anche io»

«Hai preso qualche farmaco con delle controindicazioni strane o... ?»

«Nojiko mi ha detto che cercano personale alla libreria vicino alla stazione», rispose trattenendo una risata. Poi si stiracchiò appena.

«Ti sei appena licenziata da Arlong e già pensi di tornare a lavorare?» le domandò un po' contrariato. Non che gli desse davvero tutti i torti, al solo pensiero di ricominciare altrove, adesso che stava cominciando ad assaporare un po' di meritata libertà, si sentiva un po' in ansia.

«In realtà si tratterebbe di lavorare solo un paio di volte la settimana. È solo una sostituzione maternità. Mi chiedevo se ti andasse di accompagnarmi a vedere com'è quel posto, a valutarlo... quando sarò guarita.»

Era certa che se si fosse basata solo sulle sue impressioni avrebbe accettato qualsiasi cosa, pur di non restare senza un'entrata fissa al mese. Ma se ci fosse stato qualcun altro a darle man forte, con un'opinione esterna e sincera, allora forse sarebbe riuscita a valutare davvero una proposta. E nel caso a scappare a gambe levate se il datore di lavoro si fosse rivelato uno stronzo come lo era stato Arlong e la sua cricca. Non voleva ricascare nell'ennesima trappola, non ora che era riuscita a liberarsene.

«Su questo puoi davvero contare su di me!» riuscì a sentirlo sorridere, solo dal tono della sua voce, mentre con lo sguardo lei seguiva la scena che si stava svolgendo, dinamica, sullo schermo del suo televisore. Gli diede una spinta con la spalla, a mo' di ringraziamento.

Poteva sempre contare su uno come Usop. Per assurdo, la persona del loro gruppo di amici con cui a volte si sentiva più affine in assoluto. Forse erano molto più simili caratterialmente di quanto pensasse. Non c'era mai stato un solo velo di imbarazzo o fraintendimento fra loro. Più complicità che litigi.

Per quello sentì improvvisamente l'urgenza di rivolgergli l'ennesima confidenza della giornata. Realizzando in quell'istante di voler affidare proprio a lui, il gravoso fardello di quell'ultimo periodo.

«Usop...» lo richiamò nuovamente, quando la scena d'azione del film sembrò essersi esaurita, «quando hai capito che quello che provavi per Kaya non era solo amicizia?»

Lo sentì irrigidirsi al suo fianco e voltandosi, si rese conto dell'imbarazzo sul suo viso.

«E questo che cosa c'entra adesso?!» le domandò, con una nota vagamente isterica, come se non avesse mai dichiarato al mondo, all'universo intero, di quanto fosse innamorato della sua cara amica d'infanzia Kaya. Amica che restava tale da ere geologiche e alla quale ancora non era riuscito a dichiararsi. Per paura di un rifiuto, o per paura di rovinare qualcosa di immacolato e bellissimo, a suo dire.

«Dai, sono malata» cercò di spronarlo a rispondere con la scusa più patetica della storia.

«Continuo a pensare che ti abbia dato alla testa qualche farmaco...» le diede un buffetto in fronte, forse solo per constatare se non fosse risalita la febbre. Per tutta risposta, lei gli rivolse il suo miglior sguardo implorante.

«Oddio, Nami, non saprei!» si arrese «Sono cose che senti, non tanto che... puoi spiegare.»

«Bè, provaci. Sei tanto bravo con le parole.»

Lo sentì sospirare, prendere una virtuale rincorsa: «Bè, la conosco da così tanto tempo che non ho davvero idea di come sia cominciata. Lentamente ho realizzato che vederla mi faceva stare bene. Che ogni suo sorriso mi faceva contorcere le viscere, che le sue attenzioni mi scaldavano il cuore. Realizzi che non fai che contare le ore che ti separano dal prossimo incontro, che sobbalzi ogni volta che ti chiama, che soffri se non lo fa. Che pensi a lei molto più spesso di quanto tu non faccia con i tuoi più cari amici, che ti chiedi altrettanto spesso cosa stia facendo quanto non siete insieme, che il solo pensiero che un giorno possa scegliere qualcuno che non sia tu, ti stringa il cuore così tanto da fare male...»

Nami non smise un solo istante di guardarlo, quasi affascinata dal suo trasporto, dalle sue parole.

«Questa è la cosa più smielata che io abbia mai sentito in tutta la mia vita» stroncò il momento, mimando un mezzo conato di vomito.

«Sei stata tu a chiedermi di provarci!» la apostrofò, tirandole la coperta, per dispetto.

«No! Sono malata, sono malata!» protestò, cercando di riguadagnarsela.

«Ci stai marciando un po' troppo su questa storia»

«Scusami» gli si fece di nuovo incontro, posandogli la testa sulla spalla, cercando di farsi perdonare per la scortesia, «non mi aspettavo una sviolinata del genere. O forse sì, ma non ero preparata.»

«Perché è evidente che non sei innamorata di Kaya, altrimenti lo capiresti» la prese in giro, l'offesa sembrava essere rientrata.

«Evidente. Altrimenti avrei già seguito il battito di ali del mio cuore»

Il pugno in testa che seguì la sua affermazione se l'era meritato.

«Adesso mi vuoi dire perché mi hai fatto una domanda del genere? Perché lo volevi sapere?» le chiese dopo qualche istante, cercando di capire se si fosse esaurito definitivamente il momento ilare del pomeriggio.

Nami strinse le labbra, lasciandosi distrattamente trascinare dai residui del film che aveva smesso di seguire da un pezzo. Al pensiero di rispondergli, lo stomaco le si strinse leggermente in una morsa fastidiosa. Di certo non era un battito di ali, né struggimento emotivo ottocentesco ma di qualcosa si trattava, ormai se ne sentiva addosso la matematica certezza.

Aveva avuto modo di entrare in contatto con svariate parti di se stessa, la sera prima. Pensieri che si erano trascinati per gran parte della serata, che si erano riproposti la mattina successiva e, a fasi alterne, per il resto della giornata. Il tarlo che rosicchiava da giorni la sua coscienza si era portato via l'involucro che teneva nascosta la parte più reale dei suoi sentimenti.

«Perché credo di provare anche io cose simili per qualcuno...» esordì in un soffio, più sincera di quanto non lo fosse mai stata, «salamelecchi a parte» le sembrò doveroso aggiungere.

«Qualcuno che conosco... ?» fu la sola domanda che le rivolse Usop, senza tono di giudizio alcuno.

Nami annuì una sola volta e poi gli rivelò il suo nome.

 

-

 

Zoro aveva voglia di fracassare lo shinai che teneva fra le mani.

Koshiro sembrava non rendersi conto di quanto lo facessero andare in bestia i continui rimproveri su come stava portando avanti l'allenamento.

L'unica ad essere a prova di errori sembrava essere Tashigi.

Tashigi che si era presentata a sorpresa anche quel sabato pomeriggio, Tashigi che aveva accettato di improvvisare una gara del tutto fuori programma, Tashigi che si atteggiava a studentessa modello, limitandosi a gironzolargli attorno, prendendo direttive precise dal maestro, a svolgere il compitino da manuale. Non un barlume di fantasia, non uno stimolante imprevisto.

Era evidente che la ragazza non era al suo livello, e per Zoro era chiaro che allenarsi con lei sarebbe stata un'enorme perdita di tempo. Eppure Koshiro sembrava seguire tronfio quella competizione senza senso, continuando a correggere le sue mosse, i suoi errori, le sue virate al di fuori degli schemi che gli aveva imposto.

Cominciava a diventare frustrante, opprimente e la cosa doveva aver cominciato ad emergere perché dopo nemmeno un'ora di allenamento, Koshiro aveva concesso loro una pausa, andando a recuperare per loro qualcosa da bere, per idratarsi.

«Hai intenzione di spezzarla?» gli si rivolse la ragazza, alludendo alla spada di bambù che stava stringendo fra le mani.

Quanto avrebbe voluto risponderle di farsi i cazzi suoi. Ma il suo livello di autocontrollo, grazie al cielo, ancora non era andato a farsi benedire.

Andò a sedersi sul tatami, recuperando una salvietta pulita dalla cesta a disposizione.

La sensazione che a Koshiro non interessasse davvero dargli una mano, in previsione delle prossime competizioni, andava ad acuirsi ogni giorno di più.

Era proprio questo che aveva cercato di spiegare a Nami il giorno prima. Anche solo l'accenno che ne aveva fatto era riuscito a far emergere del tutto la frustrazione che provava a riguardo, a palesargliela su un piatto d'argento. Odiava aver acceso la scintilla del dubbio, ma la verità era che non capiva perché Koshiro avesse accettato di prendere un altro allievo, decisamente al di fuori della sua portata, come compagna di allenamenti. Si era convinto a più riprese che Koshiro pensasse che non era pronto per alcuna gara, alcuna competizione. Che il suo livello fosse talmente basso da non avere alcuna intenzione di sprecare le proprie energie per allenarlo, decidendo di delegarle alla a una ragazza appena conosciuta che, se pure somigliava alla sua Kuina, non possedeva nemmeno una scintilla del suo spirito o del suo talento.

Si sentiva svilito... e amareggiato.

Scoraggiato.

«Stai sprecando un sacco di energia inutile, per quello sei tanto stanco», gli si rivolse ancora una volta. Possibile che non si rendesse conto di quando fosse il momento di tacere?

«Perché invece tu stai un fiore...»

«Bè, starti dietro non è facile, lo ammetto. Ma la maggior parte dei tuoi attacchi sono... inutilmente rabbiosi.»

Le scoccò un'occhiata che rispecchiava esattamente il sentimento che gli aveva appena attribuito.

«Sei tu che sei troppo moscia» le rispose per le rime, più per fastidio che altro.

La vide fare una leggera smorfia e andare a sedersi poco distante.

«Seguo solo le direttive. Sono sicura che il maestro sappia esattamente cosa sta facendo.»

«Non sia mai deludere il maestro

Sentì su di sé il suo sguardo.

«Non sei proprio uno che le manda a dire, eh?» sussurrò contrariata.

Zoro si tamponò il viso, cercando di non dare peso alle sue parole. Era consapevole della schiettezza delle sue espressioni, si era sempre raccontato che non gli importava. Ma forse stava esagerando.

«Ho capito che non ti piaccio…» continuò lei imperterrita e per un istante capì che sì, forse avrebbe dovuto darsi una calmata «ma vorrei chiarire… che non era mia intenzione intromettermi nei tuoi allenamenti.»

«E allora avresti anche potuto rifiutare», i suoi propositi crollarono in un battito di ciglia. L’irritazione di quella assurda situazione prendeva sempre il sopravvento.

«Tu lo avresti fatto?»

Zoro si volse a guardarla, confuso.

«Non capita tutti i giorni di imbattersi in un maestro di spada tanto qualificato. Il fatto che abbia accettato tanto facilmente mi ha sorpresa… non ho dovuto pensarci un solo istante. Non hai idea di quale sia la tua fortuna ad averlo a portata di mano»

«Tu non sai proprio un bel niente, invece» le rilanciò, mostrando definitivamente l'astio che provava nei suoi confronti.

Tashigi non sembrò accettare la provocazione, al contrario lo osservò con curiosità.

«Allora forse dovresti spiegarmelo»

«E chi ti dice che io voglia farlo? Non sono qui per le chiacchiere.»

«Non sei qui per le chiacchiere, non sei qui per allenarti con una donna...»

Zoro sgranò gli occhi.

«Non ho fatto nemmeno mezzo accenno al fatto che sei una donna!»

«Ma è anche questo il problema, no? Non sono evidentemente al tuo livello. Sei rabbioso ma ti trattieni e non fai che sbagliare... dunque che conclusioni dovrei trarre?»

Zoro si rimise in piedi.

«Non mi conosci per niente e non fai che dare aria alla bocca.»

«E allora permettimi di conoscerti»

«Perché?» allargò le braccia esasperato. Non era lì per stringere nuove amicizie, né tantomeno dar corda alle paranoie di una ragazza che evidentemente non aveva la minima intenzione di perdere un'argomentazione.

«Perché il maestro Shimotsuki mi ha detto che avrei potuto imparare molto da te. E che avermi qui avrebbe fatto bene anche a te»

Zoro si zittì all'istante. Gli avrebbe fatto bene, in che senso?

«Stai dicendo un sacco di stronzate».

«È vero che parlo tanto e ne dico tante di cose», ribatté, «ma stronzate mai. Il giorno in cui sono venuta qui ho fatto una lunga chiacchierata con il maestro. So che erano anni che non insegnava il kendo a persone che già ne conoscessero la struttura. Che accettare me sarebbe stata una grossa responsabilità... ha deciso di prendermi come sua allieva a patto che... a patto che mi allenassi con te. Questa è stata una delle clausole del nostro accordo. Ha confuso anche me all'inizio, ma non sono riuscita a rifiutare. Ho visto come combatti e mi sei piaciuto subito. Ho pensato che sarebbe stata un'ottima occasione, in ogni caso. E mi dispiace se pensi che io sia solo un intralcio, perché questo l'ho capito. Ma Shimotsuki-sama mi è sembrato così determinato e stimolato a mettere in piedi un allenamento ad hoc per entrambi che... mi è sembrata una scelta sensata.»

Stimolato? Lo stesso Koshiro che per anni si era rifiutato di insegnargli qualcosa perché il pensiero di allenarlo faceva riaffiorare ricordi troppo dolorosi? E che quando si era detto pronto a riprendere, Zoro aveva trattato i suoi metodi con eccessiva sufficienza?

Si sentì improvvisamente confuso, come se tutte le conclusioni tratte dai sui criteri di insegnamento le avesse sempre interpretate in modo sbagliato. La cosa divertente era che Zoro si era persino detto di essere pronto ad accettare qualsiasi insegnamento di Koshiro, questa volta. I suoi propositi invece erano crollati non appena aveva visto nascere un ostacolo. Bella dimostrazione di coerenza.

Già straordinario di per sé che Koshiro avesse davvero accettato di allenarlo in previsione delle prossime gare, il fatto che avesse aperto i suoi insegnamenti a una seconda persona, invece di considerarlo una specie di miracolo lo aveva preso come un affronto personale. A torto.

Improvvisamente gli sembrò che la nebbia che lo aveva avvolto fino a quel momento cominciasse a diradarsi.

Gli sembrò che, in quell'ultimo periodo, tutto ciò che era successo ruotasse attorno a Kuina e alla sua infanzia perduta. Dall'umiliazione per la sconfitta, la volontà di rivalsa. Dove era finito il suo entusiasmo per la disciplina? Dove la sua umiltà? La sua voglia di imparare, quella di affidarsi a Koshiro e perché no? A chiunque si fosse trovato di fronte, in grado di insegnargli qualcosa, nel bene e nel male? Non era forse vero che non bisognava mai sottovalutare un avversario? Nemmeno quello all'apparenza molto più debole di te?

Si sentì così stupido.

Lanciò uno sguardo a Tashigi. Certo non poteva imporsi che le andasse a genio ma forse avrebbe potuto decidere, con coscienza, di tollerarla. Di tentare la strada alla quale il suo maestro stava cercando di indirizzarlo.

«Hai detto che i miei attacchi sono inutilmente rabbiosi?» le chiese, cercando di tornare al nocciolo del discorso.

La ragazza sembrò illuminarsi.

«Se non mi rispondi dicendomi di farmi i cavoli miei... ti rispondo.»

Zoro si pizzicò fra le sopracciglia, in una posa vagamente stizzita.

«Non rendermela più difficile di quanto già non sia...» le disse.

 

Quando Koshiro tornò con l'acqua li trovò che stavano provando alcune mosse, discutendo animatamente, entusiasticamente sull'approccio.

Sorrise, pensando che forse non aveva del tutto sbagliato ad accettare quella nuova sfida.

 

-

 

«Non era necessario che mi accompagnassi...» Tashigi percorreva in silenzio la via di casa, Zoro ostinatamente al suo fianco.

L'allenamento si era protratto più a lungo del previsto ed era già piuttosto buio. Nonostante le giornate si fossero allungate, il crepuscolo giungeva ancora abbastanza presto.

«Koshiro ha insistito. E comunque devo passare a prendere qualcosa per cena...» le rispose, senza scomporsi. Non lo allettava granché l'idea di andarsene in giro a quell'ora, ma l'idea di lasciarla sola non gli piaceva comunque. La sola preoccupazione era quella di ritrovare la via di casa, una volta uscito tanto dalla sua zona di conforto. Un'altra di quelle che cose in cui avrebbe dovuto allenarsi.

La ragazza sorrise alla sua affermazione, ma sembrò accettare il fatto che con lui sarebbe stato praticamente impossibile ottenere una risposta meno brusca.

«Non vedo l'ora sia il prossimo sabato...» aggiunse, «mi è piaciuto un sacco l'allenamento di oggi.»

Zoro le lanciò un'occhiata rapida. Per una volta tanto non trovò davvero nulla con cui controbattere. Appianati i dubbi e i rancori ingiustificati, si era goduto l'allenamento. Aveva intuito il gioco di Koshiro: Tashigi era sì ad un livello inferiore, ma la sua tecnica accademica e l'esecuzione di direttive ben precise e ragionate facevano da bilanciere alla sua di natura, che al contrario giocava sulla forza e sull'irruenza. Doveva imparare ad ascoltare e prendere decisioni meno istintive. Sarebbe stato difficile, ma altrettanto educativo.

«Mi chiedevo se non ti andasse di vederci comunque questo mercoledì, dopo la scuola...» aggiunse Tashigi all'improvviso.

Zoro, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, si fermò all'istante, l'espressione che cercava di decifrare la natura di quella domanda.

Tashigi si volse nella sua direzione, fermandosi a sua volta, realizzando lentamente il potenziale fraintendimento della sua frase.

«No, aspetta!» alzò le mani, agitandole di fronte a sé come a voler cancellare l'affermazione e riproporla in modo più appropriato, «intendevo dire che... ho un sacco di video di vecchie gare di kendo a casa. Perlopiù competizioni d'annata ma ho anche diverso materiale su Mihawk e le nuove leve del kendo nazionale.»

Mihawk? Aveva sentito bene?

«E che cosa te ne fai di tutti questi video?» le domandò un po' perplesso.

«Bè... li guardo. Insomma, ho iniziato anni fa con il cercare del materiale in rete e poi è diventato una specie... di piccola fissazione. Ho salvato e visionato centinaia di video, delle gare più significative e entusiasmanti, catalogati per anno e atleta. Te... te lo avevo detto che mi consideravo più che altro un'osservatrice.»

Sì, ricordava vagamente che Tashigi gli aveva detto una cosa simile il giorno in cui si erano conosciuti.

«Insomma, sei una specie di nerd.»

«Preferisco definirmi una studiosa» Zoro trattenne un sorriso per la puntualizzazione «pensavo... che avresti potuto trovarlo interessante. Un po' di teoria sul kendo, oltre che... la pratica.»

L'idea cominciava ad acquistare un senso. Non era stato proprio lui a sgattaiolare fuori dalla sua scuola per poter sbirciare gli allenamenti di Mihawk, per cercare di carpirne la tecnica e potenzialmente qualche segreto?

«Dei video delle gare di Mihawk hai detto, mh?» domandò di nuovo, per capire se erano sulla stessa lunghezza d'onda.

«Esattamente» la vide sorridere finalmente, cogliendo il bagliore di speranza.

«D'accordo»

«Dici sul serio?»

«Sì... ? O era solo un test per capire se ti avrei risposto di no a prescindere?»

«No!» esclamò con veemenza «Mi sembra magnifico! Davvero magnifico»

Zoro inarcò un sopracciglio; l'entusiasmo all'evento gli sembrava un po' eccessivo ma non aggiunse altro.

«Da qui posso anche andare da sola», gli indicò una via poco distante, «abito solo a un paio di isolati da qui.»

La lasciò scivolare nella strada appena illuminata ottenendo la promessa di ricevere presto un messaggio con la posizione di casa sua.

Zoro si massaggiò una spalla, ancora provata dopo le intense ore di allenamento e la guardò sparire, inghiottita nella penombra. Non era più così convinto che quella ragazza non gli piacesse per nulla. Aveva una natura fastidiosa, ma piuttosto facile da trattare e la sua sincerità era una qualità che lo aiutava a gestire meglio persino le sue reazioni.

Gli sembrò di aver guadagnato un altro scalino nella consapevolezza di se stesso e degli altri. Rianimato da nuove sfide che non necessariamente dovevano essere le stesse che si era sempre imposto.

Se era vero che l'esistenza era fatta di cicli, si chiese cosa avrebbe portato quella nuova primavera.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8.

 

La campanella decretò la fine delle lezioni.

Era un mercoledì pomeriggio e la settimana sembrava finalmente essere scivolata nella calda primavera. Molti studenti avevano definitivamente abbandonato le giacche invernali e indossato camice leggere per contrastare il caldo.

Nami aveva inforcato un paio di occhiali da sole, ancora prima di uscire dall'aula. Un piccolo regalo che si era concessa, solo il giorno prima, con i soldi dell'ultimo stipendio di quel tiranno di Arlong.

Era la prima volta che comprava qualcosa di così frivolo, dopo la crisi economica, ma se li era meritati.

«Non ti sembra un po' presto per metterli?» le domandò Usop, raccogliendo il suo zaino.

«Non mi pento di nulla» disse lei, sistemandoseli sul naso con spavalderia.

«Ehi, Nami! Begli occhiali!» il commento del professor Brook dietro la cattedra mentre gli passavano di fronte. Quell'uomo aveva addosso ammennicoli bel più appariscenti, perciò le sembrò un buon complimento.

Nami scoccò a Usop uno sguardo tronfio e uscì per i corridoi, godendosi la sua passerella.

Era da quando era rientrata a scuola, dopo le sue dimissioni, che le sembrava di camminare sulle nuvole. Si sentiva leggera, rinata, ed era sicura che non fosse solo grazie al fatto di essersi liberata di un lavoro opprimente o di essere guarita da un brutto raffreddore. La primavera doveva centrare qualcosa. La lenta, sorprendente scoperta dei suoi sentimenti, anche.

Da quando aveva parlato con Usop, il sabato precedente, era riuscita a vedere tutto molto più chiaramente. E contro ogni più rosea previsione era riuscita ad accettare la sensazione e farla sua, senza dover necessariamente pensare al dopo. O a quello che avrebbe dovuto fare per... assecondarla.

Aveva sempre pensato che correre dietro ai ragazzi non fosse una cosa per lei. Non nel modo in cui Sanji si affannava dietro alle ragazze, almeno. Si sentiva stanca anche solo al pensiero di tutti gli sforzi che lui faceva per trovare sempre qualcosa da dire, il modo di presentarsi, intrattenerle, lusingarle. Una fortuna quindi che le sue attenzioni fossero cadute proprio in mezzo alla sua cerchia di amici? Di una persona con cui non avrebbe dovuto fingere di essere nient'altro che se stessa? Non ne era del tutto sicura, ma sperava di poter rimandare la questione a data da destinarsi. Era già sufficiente averlo accettato, in qualche modo.

L'unica controindicazione era che adesso, ogni volta che Zoro finiva nel suo campo visivo, provava una sorta di sgradevole... ma anche piacevole stretta al cuore. Brutta cosa la consapevolezza.

E fu proprio quello che avvenne quando se lo ritrovò davanti, nel cortile. Per poco non lo riconobbe, con l'espressione così concentrata e la testa... praticamente dentro al suo cellulare.

Inspirò a fondo, ben protetta dalle lenti dei suoi nuovi occhiali e gli andò incontro, senza che Usop dovesse nemmeno cacciare fuori qualcuna delle sue stupide battutine a riguardo. Un'altra delle controindicazioni ad avergli parlato dei suoi sentimenti. Sembrava una fangirl impazzita.

«Guarda, guarda se non è Zoro che ha deciso di entrare finalmente nel terzo millennio» gli disse, finendogli di fronte con una certa, calcolata spavalderia.

Il ragazzo alzò su di lei uno sguardo ancora concentrato e nonostante le lenti scure a nasconderle gli occhi, si sentì stupidamente avvampare.

«Che hai in faccia?» le domandò con la sua innata gentilezza.

«Questi?» mosse appena gli occhiali da sole, prendendoli dalle astine «la mia liquidazione»

Si aspettava che le dicesse qualcosa di arguto, ma aveva decisamente sopravvalutato Zoro.

«Ti sei fatta fregare alla grande, allora» ovviamente aveva frainteso.

«Intendevo dire... ah, lascia perdere. Che stai facendo?» decise di glissare. Tanto, ricevere un complimento da Zoro era più difficile che trovare la formula per il teletrasporto.

«Sto cercando di capire come scaricare un navigatore per il telefono»

Nami scoccò un'occhiata incredula a Usop che si strinse nelle spalle.

«Se vuoi posso darti... una mano?» si offrì, affiancandolo.

Lui per tutta risposta le sganciò in mano il telefono, senza pensarci nemmeno mezzo secondo. Era evidente che da solo non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.

«Hai definitivamente perso l'orientamento per la strada di casa?» gli disse, sorridendo appena.

«Divertente. È che devo trovare una via e non ho intenzione di passare l'intero pomeriggio a chiedere informazioni»

Nami cominciò ad armeggiare con le applicazioni, rendendosi conto per la prima volta, che il cellulare di Zoro era davvero spoglio. Non era sorpresa dal fatto che lo usasse raramente e solo per questioni di vita o di morte.

Si chiese se almeno conservasse qualcuna delle loro chat o delle loro fotografie lì dentro.

«Quindi immagino tu oggi sia impegnato. Usop ed io andiamo in un posto, magari volevi venire con noi?» buttò casualmente. Non era davvero in preventivo chiamare a raccolta tutti i suoi amici, per andare a visionare una libreria, ma Zoro era lì, e non le sembrò una cattiva idea chiedergli di unirsi a loro.

«Già, mi dispiace...» lo sentì rispondere molto vicino a lei, piegato su di lei per poter guardare lo schermo del cellulare. Nonostante non ci capisse un'acca, piuttosto interessato a seguire le sue manovre tecnologiche. «Dove andate, comunque?»

Nami si lasciò sfuggire un sorrisetto al suo interessamento.

«In libreria. Porto un curriculum per un altro lavoro.»

«Oh... di già?» si volse appena nella sua direzione ritrovandoselo tremendamente vicino. Il cuore ebbe un sobbalzo non richiesto.

«Sì, bé... come dicevo ad Usop vado a testare il terreno, a capire che tipo di persone sono... non ho intenzione di, insomma, ricascarci.»

«Anche perché non ho mai bruciato una libreria, ma questa potrebbe essere la volta buona» quella di Zoro sembrava una minaccia bella e buona. Lo prese per un buon segno. Un modo come un altro per rimarcare quanto ci tenesse.

Nami alzò gli occhiali sulla testa, prima di scoppiare a ridere.

«Il ristorante di Arlong, no, ma una libreria, sì?»

«I libri si ristampano, ma i panini al pesce di Arlong...»

«Cosa mi tocca sentire!» cercò solidarietà in Usop che però li stava osservando in disparte, come non avesse la benché minima intenzione di intervenire.

Cercò di ignorarlo e fece per restituire il cellulare a Zoro.

«Fatto», gli sembrò smarrito, «sai usare il navigatore, vero?»

Lo vide scuotere la testa e si arrese all'idea di dover cominciare dall'abc.

«Allora. Tocchi questa icona... e inserisci qui l'indirizzo del luogo che ti serve raggiungere. Non devi mettere altro perché individua da solo la tua posizione. Te lo ricordi l'indirizzo?»

Zoro glielo dettò e Nami lo aggiunse, predisponendo tutto per evitare dovesse farlo da solo in futuro.

Si rese conto che quella che Zoro stava cercando era un'abitazione, non un negozio o un luogo generico.

«D'accordo. Ora puoi scegliere con quale mezzo raggiungerlo. Immagino tu ci voglia andare a piedi e quindi... omino.»

«Stai facendo troppe cose, tutte insieme, mi va in confusione il cervello» disse posandole un gomito sulla spalla. Adesso così tanto vicino che poteva sentire il calore del suo corpo. Cercò inutilmente di ignorare il formicolio che aveva preso a serpeggiarle addosso e decise di continuare.

«Lascia perdere, sistemo tutto io e non devi fare altro che seguire la strada che ti indica la freccia. Pensi di essere in grado di farlo?»

Zoro recuperò il suo cellulare, osservando la cartina: «Penso di sì. È una freccia.»

Le fu improvvisamente chiaro che gli sarebbe servito un accompagnatore.

«Sicuro, sicuro di farcela da solo?»

«Ma per chi mi hai preso?»

Nami sospirò scostandosi definitivamente. Le venne improvvisamente a mancare la sensazione del suo corpo accanto e se ne sentì ingiustamente privata. Ma anche sollevata, in parte.

«Bè, se sei in difficoltà chiamaci. Verremo in tuo soccorso. In ogni caso fammi sapere se sei arrivato sano e salvo.»

«Certo, mammina», la prese in giro, rilanciando uno sguardo ostile allo schermo del cellulare. Un nemico di cui diffidare, ma dal quale non poteva sottrarsi. Un po' come il suo rapporto con Sanji. In effetti l'espressione le sembrava la stessa che riservava al ragazzo.

Fece per raggiungere Usop, pronta al congedo.

«E tu fammi sapere come è andata alla libreria», fu l'ultima cosa che Zoro le rivolse, «Usop, ti do il permesso di usare il lanciafiamme, in caso.»

«Non ci pensare proprio!» ribatté quest'ultimo, aspettando Nami.

Quando lei lo prese sottobraccio si sentì trascinare lontano con una certa urgenza.

«Oddio. Ma che diavolo è appena successo?»

Nami sgranò gli occhi.

«C-che intendi dire?»

«Eravate così carini!»

Nami si sentì avvampare di nuovo e diede una gomitata nel costato al ragazzo. Sì, decisamente una pessima idea quella di confidarsi con quello scemo. Una parte di lei, però, gonfiò la coda come uno stupido pavone.

 

-

 

Come da previsione, Zoro si era... perso.

Aveva girato in tondo a vuoto per una mezz'ora buona, ma quel navigatore sembrava prenderlo in giro. Nami doveva averlo preso in giro. Probabilmente adesso se la stava ridendo con Usop per averlo ingannato in quel modo.

Si era arreso infine al fatto che avrebbe dovuto chiedere aiuto e la soluzione più logica fu quella di chiamare Tashigi e decretare la sua resa.

La ragazza era corsa a recuperarlo e nel constatare quanto fosse in realtà vicino alla metà, preferì non dirle che quell'aggeggio del demonio lo aveva messo fuori pista. O che lui non era in grado di leggerlo. Non si pentì però di aver accusato Nami: in modo del tutto perverso, la trovò una buona scusa per contattarla più tardi e dirgliene quattro.

La casa di Tashigi era più grande di quanto immaginasse. Non si aspettava una specie di reggia, ma si rese conto di non sapere un bel niente della ragazza, a parte che frequentava l'ultimo anno di un liceo ben più prestigioso del suo. Questo forse avrebbe dovuto suggerirgli qualcosa.

Salutò la donna che li accolse all'ingresso, che gli venne presentata come sua madre: era così formale da metterlo vagamente in soggezione. Espletati i convenevoli si diressero senza colpo ferire a quella che doveva essere la sua camera da letto. Varcata la soglia non ebbe alcun dubbio a riguardo: la stanza era tappezzata di poster a tema sportivo, gagliardetti, medaglie e foto di competizioni; sulla parete campeggiavano almeno tre katane dall'aria costosa.

«Wow...» fu il suo commento più sincero. Quasi intimorito di spingersi più avanti di così, si sentiva al cospetto di qualcosa di strampalato e maniacale, ma al quale, al contempo, si doveva in qualche modo portare rispetto.

«Non scherzavi quando dicevi di avere una... piccola fissazione

Tashigi sembrò vagamente in imbarazzo.

«Lo so. Esagerato, vero? Il mio problema è che divento compulsiva con quello che mi piace. So che dovrei buttare un sacco di cose, ma non ne ho davvero mai... il tempo.»

Zoro si limitò a posare a terra lo zaino e guardarsi attorno, con curiosità.

Alcuni dei volti delle foto non gli dicevano proprio un bel niente, altre erano così famose che non poté far altro che osservarle con ammirazione.

«Hai un sacco di autografi di campioni mondiali...»

«Seguo un sacco di competizioni»

«Devi avere un sacco di agganci»

«In realtà solo uno» gli rivelò «Smoker è un amico di famiglia che lavora alla polizia e mi passa un sacco di inviti per le gare più importanti»

Zoro annuì consapevole. Da bambino gli capitava spesso di seguire Koshiro in trasferta. Lui e Kuina assistevano alle competizioni del maestro in primissima fila. Sapeva di essere stato una specie di privilegiato, in fondo. Gli piaceva l'atmosfera da mero spettatore. Si dava mentalmente dell'idiota per non aver dato seguito a quella tradizione, anche a titolo personale. Avrebbe potuto concedersi una gara, di tanto in tanto e Koshiro lo avrebbe accompagnato volentieri, ne era certo.

«Una bella fortuna», le disse e Tashigi sembrò cogliere la palla al balzo.

«Potrei chiedere un biglietto in più, la prossima volta. Se ti andasse di venire con me.»

Zoro si volse a guardarla. Era sempre sorpreso dal modo in cui non si faceva scrupoli a parlare con lui, dopotutto non si conoscevano ancora così bene.

«D'accordo...» disse solamente, sorprendendo persino se stesso per aver accettato con altrettanta facilità.

«Queste katane sono autentiche?» spostò l'attenzione solo per non analizzare troppo la situazione. Il fodero delle spade sembrava realizzato in legno, l'impugnatura di pelle e seta. Di regola sapeva individuare la differenza fra una katana reale e una di quelle da esposizione, perché ne possedeva una anche lui. Un'eredità di Kuina a dire il vero. La teneva come una specie di reliquia sopra una mensola.

«Oh, sì. Regali di compleanno. Sono piuttosto antiche» gli rivelò.

C'era chi si faceva regalare un profumo ai compleanni e chi le katane. Quella Tashigi era davvero un personaggio singolare.

«Allora, questi video?» si decise a chiedere. Dopotutto non era lì per fare conversazione, sebbene affascinato da quella sottospecie di museo in miniatura.

«Giusto. Ho recuperato tutti quelli che avevo a disposizione di quel Mihawk. La qualità è un po' quella che è, sono tutti filmati amatoriali.»

Zoro non si scompose più di tanto, non era certo la forma a interessargli.

«E poi...» aggiunse, alzando il contenitore di un vecchio DVD, «ho pensato che magari avresti potuto trovare interessante questo

Zoro allungò una mano, per recuperare il disco. Sull'etichetta, rosa confetto, campeggiava un solo nome: Roronoa Arashi.

Improvvisamente avvertì quella sensazione di estraneità. Non era certo di comprendere ancora del tutto le sensazioni che gli davano sapere che suo padre era stato una specie di campione a suo tempo. Un mito, in qualche modo irraggiungibile.

«Ne ho viste molte di vittorie sue...» le rispose, facendo per restituirle l'oggetto, «non ho bisogno di rinfrescarmi la memoria.»

«Oh, ma queste non sono le ultime gare a cui ha partecipato», gli rivelò, «ho scovato dei filmati dei suoi anni delle sue competizioni universitarie. Mi sono resa conto di essere stata proprio sciocca. Ti assomiglia così tanto che non avrei dovuto nemmeno avere un dubbio sul fatto che fossi suo figlio.»

Zoro sgranò gli occhi sorpreso. I suoi anni da universitario? Conosceva suo padre sotto quell'aspetto solo dalle foto che Koshiro aveva esposto in casa. O dai racconti che ne faceva. Ma mai dal punto di vista agonistico. Suo padre era sempre stato solo un campione. Un professionista. Mai una goffa matricola.

«Non sono sicuro di-» cominciò da un lato estremamente incuriosito, dall'altro affatto certo di essere pronto a guardarle, seduta stante, senza un'adeguata preparazione.

«Puoi tenerlo, se vuoi», gli disse «se hai un lettore DVD a casa, intendo. Te lo presto volentieri. Sia mai che anche al maestro Shimotsuki non interessino.»

«Ma ne sei sicura?» in fondo facevano parte della collezione che aveva racimolato con fatica e dedizione, nel corso degli anni.

«Non credo troverò mai qualcun altro abbastanza interessato da prestargli queste cose. Perciò sì, lo faccio volentieri» gli sorrise sinceramente, genuinamente e Zoro se ne sentì lusingato e un po' sopraffatto. Una premura che non si era atteso, men che meno da una come Tashigi.

«Allora... grazie. Immagino» una concessione più unica che rara.

«Non c'è di che. Ora: Mihawk, avevamo detto.»

Attese con calma che Tashigi predisponesse i video per la consultazione, preoccupandosi di sistemare con cura maniacale quel DVD nel suo zaino.

 

-

 

La libreria era esattamente come Nami se l'era immaginata. L'aveva sempre e solo intravista, di passaggio dalla stazione, con quella sua insegna un po' vintage a valorizzarne il nome 'LOGPOSE, libri e collezionismo' ma non ci era mai davvero entrata. Era un'abitudinaria e di solito si riforniva sempre negli stessi negozi, di regola quelli che le venivano più comodi, anche in termini di distanza. Come quella libreria piccolissima, accanto alla scuola. O quella gigantesca, in centro, dove faceva sempre una tappa, anche solo esplorativa, perdendosi fra i mille scaffali di narrativa o geografia.

Constatare che la libreria di cui le aveva parlato Nojiko fosse una piccola bomboniera la mise immediatamente a suo agio.

Ad accogliere lei ed Usop all'ingresso uno scampanellio gradevole e cristallino. Il profumo fu la prima cosa che la colpi: vagamente agrumato e antico. Le ricordava un po' mamma, un po' casa. Poi la disposizione degli scaffali al centro della stanza e dei libri in generale, era così bizzarra che di primo impatto le sembrò disordinata, ma avvicinandosi alle pile di volumi accatastati anche su tavoli, sedie e cassette di legno, si rese conto che erano divisi per generi e l'ordine era tutt'altro che casuale.

Su un lato del locale, accanto alle finestre che davano sull'esterno, c'era una piccola scala a chiocciola che si inerpicava fino al piano superiore. La balconata che si intravedeva nel soppalco rivelava altrettanti scaffali con libri ingialliti dal tempo. Probabilmente la sezione dell'usato.

Ma la cosa più singolare erano le numerose girandole poste qui e lì a decorare la stanza. I refoli di vento primaverile che filtrava dalle finestre socchiuse, le facevano volteggiare allegre.

Lanciò ad Usop uno sguardo emozionato e non si sorprese di ritrovare anche in lui il medesimo sentimento.

«Ma perché non ci siamo mai venuti qui?» sussurrò il ragazzo, come fossero in visita a un vero e proprio santuario dei libri.

«Perché pensavamo fosse una cosa per fricchettoni», gli ricordò. Probabilmente la considerazione più superficiale che avessero mai fatto.

«Buonasera...» una voce sul fondo del locale sembrò richiamarli all'ordine.

Comparve all'improvviso un uomo, sulla quarantina. Indossava una giacca di tweed marrone che faceva molto professore universitario. A cancellare quell'immagine formale però, facevano capolino un paio di molto poco consoni pantaloni corti, a mostrar le gambe pallide. Sul viso un'espressione curiosa e il più straordinario paio di baffi a manubrio che Nami avesse mai visto.

«Buonasera», risposero in coro. Nami immaginò che quello potesse essere il proprietario o comunque qualcuno che lavorava lì. A dar forza alla sua convinzione il fatto che gli era sembrato arrivasse dalla porticina che dava sul retro del locale, proprio in prossimità del bancone d'accoglienza.

«Posso fare qualcosa per voi?» domandò, con un mezzo sorriso o così le sembrò, difficile intuire il movimento delle labbra sotto a quei baffi.

«In effetti sì», si pronunciò frugando all'interno della sua borsa, tirandone fuori il curriculum che aveva diligentemente sistemato dentro a una cartellina trasparente.

Non era previsto che giocasse immediatamente le sue carte, era certa che volesse saperne di più. Aveva stupidamente concordato con Usop che si sarebbe trattata di una visita esplorativa, che si sarebbe presa del tempo per decidere, ma l'istinto aveva avuto il sopravvento e le era venuto quasi naturale pensare di candidarsi immediatamente per il posto.

«Ho saputo che state cercando personale... ecco io, pensavo magari di-»

«Sei la figlia di Bellmer?» le domandò senza darle nemmeno il tempo di terminare la frase.

«Uhm, sì.»

«Ricordami il tuo nome?»

«Nami.»

L'uomo si fece avanti per porgerle la mano.

«Il mio nome è Genzo. Chiamami solo Genzo. Ti stavo aspettando, sai?»

Gli strinse la mano un po' sorpresa, traendone immediatamente una sensazione piacevole. Una stretta decisa ma calda e accogliente.

«Non avevo detto a nessuno che sarei venuta...» si preoccupo' di fargli sapere.

«Ah, lo so bene. In realtà la mia era più una speranza»

Strinse la mano anche a Usop, concludendo le dovute presentazioni.

«Sono un po' nei guai adesso che Scarlett ha partorito. Conosco tua madre e le ho chiesto se conoscesse qualcuno di fiducia per qualche mese. Mi ha detto di avere un'idea...»

E l'idea era evidentemente lei. Non volle chiedersi come sua madre sapesse che prima o dopo avrebbe mollato il lavoro da Arlong. Forse era vero che possedeva un intuito un po' fuori dalla norma.

«Scarlett è sua moglie?»

Genzo scosse la testa, scoppiando in una risata.

«No, no. Io non sono sposato, non ancora almeno» e nel dirlo gli parve di intuire una sorta di sottile imbarazzo alla questione, ma non seppe dire se per il fraintendimento o altro.

«Dunque lo vuole lo stesso il mio curriculum o... ?»

«Certo. Vediamolo. Vuoi un colloquio di lavoro formale o preferisci raccontarmi un po' quali sono le tue letture preferite?»

La sorpresa di quell'affermazione le strappò un sorriso sincero.

 

Uscì una mezz'ora più tardi, con l'animo alleggerito. Come avesse le ali sotto ai piedi.

«Perché non posso cominciare già domani?» esclamò in un eccesso di entusiasmo.

Il colloquio - o forse sarebbe stato meglio dire l'affabile chiacchierata - era stato il più divertente e stimolante a cui avesse mai preso parte.

Genzo si era rivelato un uomo colto, gentile e comprensivo. Qualcosa che andava ben al di là di ogni sua più rosea aspettativa. Dopotutto non poteva aspettarsi niente di meno da un amico di sua madre. Le aveva chiesto disponibilità due sabati al mese e un paio di sere, dopo la scuola. Rispetto ai ritmi del ristorante di Arlong le parve più un impegno da hobbista che un vero e proprio lavoro.

Aveva accettato senza doverci pensare troppo. In barba a tutti i suoi propositi di ragionaci sopra.

Era stata semplicemente sopraffatta dalle emozioni e per una volta tanto aveva deciso di lasciarsi trascinare senza darsi la pena di infilarsi in ragionamenti contorti.

Avrebbe iniziato la settimana successiva, il tempo di preparare i documenti per essere messa in regola. Lei, che in regola non lo era davvero mai stata, nemmeno da Arlong.

Dal modo in cui Usop la stava guardando intuì che la scelta era stata in ogni caso approvata.

«Genzo mi pare una brava persona» le disse ad avvalorare la sua tesi.

«Vero? Mi chiedo come abbia conosciuto mamma.»

«Non lo so, ma se questo lavoro ci farà ottenere sconti sui libri, dovrò farle un monumento»

Nami estrasse il cellulare dalla tasca interna della sua borsa.

«Pensi che dovrei già dirlo agli altri? O forse sarebbe meglio aspettare di aver iniziato?»

Usop si strinse nelle spalle, vagamente spiazzato dalla sua eccitazione. Non era abituato a vederla così, gli sembrò uno spettacolo bizzarro ma divertente.

«Potremo andare a bere un frappè per festeggiare, domani.»

«Frappè? Ottima idea» fece per recuperare la chat collettiva, quando si rese conto che Zoro le aveva scritto. La cosa, se possibile, alimentò il suo già esplosivo entusiasmo.

'Arrivato. Ora devo capire come tornare.'

Quello scemo non doveva essere stato in grado di impostare la mappa al contrario. Non se ne sorprese davvero.

«Li avviso più tardi...» decretò, riponendo il cellulare, «Usop, ti scoccia se ti abbandono qui? Devo andare a recuperare una persona.»

Il ragazzo si fermò all'istante, in prossimità del semaforo.

«Chi?» domandò stupidamente, mentre Nami si allontanava, inforcando i suoi occhiali da sole.

«Nami, chi?!»

La ragazza non gli rispose, ma capì che Usop lo aveva finalmente intuito.

«In bocca al lupo!» le rivolse in un grido d'incoraggiamento. Lo sforzo della corsa le impedì di capire perché le battesse così rapidamente il cuore.

 

-

 

«Sei sicuro di farcela, da qui in poi?» Tashigi si era proposta di accompagnare Zoro per un pezzo di strada. Doveva aver intuito le sue difficoltà e insistito ad indirizzarlo quantomeno sulla via giusta, «dal negozio di elettronica in poi, sempre dritto.»

«Ho capito» rispose, ma dovette sembrargli poco convinto perché la ragazza non sembrò volersi schiodare da lì.

«Posso passare dal dojo, se vuoi. Faccio volentieri un saluto al maestro Shimotsuki.»

«Sì, certo, così poi mi tocca accompagnarti di nuovo ed entrare in un loop infinito.»

«Allora dimmelo un po' più convinto che hai capito, così mi sento più tranquilla.»

«Ho capito, ho capito» si sentiva così stupido a volte. Si chiese se la sua non fosse una vera e propria malattia. Eppure sapeva di avere dei punti fermi, di non essere davvero così irrecuperabile. Riusciva a tornare a casa da scuola. Sapeva arrivare in modi un po' fantasiosi all'abitazione di Rufy a quella di Nami, raggiungere la spiaggia, il negozio di alimentari del quartiere e altri negozi a lui congeniali, la stazione persino. Fuori da quello gli sembrava che le strade si somigliassero un po' tutte. Forse non prestava davvero attenzione. La mente vagava per ben altri lidi quando si concedeva una passeggiata e spesso andava a ispirazione. Sbagliando. Sempre e comunque.

Stava cercando di fare mente locale quando si sentì dare un colpetto al braccio.

«Sembra che qualcuno ti sia venuto incontro» la sentì dire. Voltandosi non poté non riconoscere l'inconfondibile chioma rossa di Nami. Veniva verso di loro, a passo incerto e la vide fermarsi a metà strada, evidentemente indecisa se avvicinarli.

Doveva certo essere una coincidenza perché non ricordava affatto di averle chiesto aiuto. Poi, però ricordò il suo messaggio e gli si accese un barlume di consapevolezza.

«Ah, merda...» smozzicò a mezza voce. Non era davvero stata sua intenzione costringerla a scomodarsi per accorrere in suo soccorso. Ma evidentemente la natura del messaggio si era rivelata parecchio fraintendibile.

«Guarda che ti sta aspettando» Tashigi al suo fianco gli diede una spinta per convincerlo a muoversi. E fu solo allora che lo fece, con la ragazza al seguito.

«Credevo ti fossi perso di nuovo» esordì brutalmente Nami, una volta che se li trovò di fronte.

«Allora lo fa spesso!» si sbilanciò Tashigi, guardando entrambi con curiosità.

«Continuamente», concordò Nami con pigrizia quasi snervante, senza smettere di guardarlo in modo strano.

«Ma la volete piantare voi due? Non ci sono mai passato da queste parti.» cercò di giustificarsi, senza capire perché improvvisamente si sentisse tanto a disagio.

«Io sono Tashigi, comunque, piacere di conoscerti»

Zoro la guardò tendere una mano a Nami e per come la guardò quest'ultima, per un istante ebbe l'impressione che gliela volesse strappare a morsi.

«Oh, allora ce l'hai un nome», rispose. Non aveva usato i denti, ma la lingua biforcuta sì, «Io sono Nami»

Sentì quasi la tensione scivolare via quando le strinse la mano senza incidenti.

«Posso tornare a casa senza sensi di colpa, adesso» ci diede un taglio Tashigi, allontanandosi di un passo, forse intuendo la tensione «ci vediamo questo sabato!»

E con questo avvertimento che sembrò quasi una minaccia, la ragazza si diede alla macchia.

Nami gli volse improvvisamente le spalle senza darsi nemmeno la pena di aspettarlo; diretta a passo spedito verso il negozio di elettronica, così come gli aveva indicato Tashigi solo qualche istante prima.

Per qualche minuto Zoro cercò di tenere il passo, in un lasso di tempo permeato da un silenzio che gli sembrò glaciale. Si chiese se Nami non fosse infastidita del fatto di essersi scomodata per passare a prenderlo. E poi ricordò che era andata a quella stupida libreria con Usop e che forse non era andata bene come sperava. Si chiese a cosa dare la priorità. Alle scuse o alle domande.

«Io quel tuo stupido navigatore proprio non riesco a capirlo», aveva evidentemente deciso di girarci attorno. Una mossa da vero duro.

Nami non sembrò intenzionata a rispondere, teneva le braccia conserte e camminava vagamente irrigidita.

Sospirò senza davvero riuscire a comprendere come approcciarsi questa volta. Sapeva che quando Nami era nervosa per qualcosa era sempre meglio lasciarla sbollire in santa pace, ma proprio non riusciva a capire, stavolta, cosa le avesse dato tanto fastidio. Tanto più che si era scomodata per lui, di sua spontanea volontà.

«È andata così male al colloquio?» si decise a chiedere, provando una strada alternativa.

Vide la tensione alle sue spalle sciogliersi impercettibilmente.

«Devo preparare un lanciafiamme?» aggiunse, rendendosi conto di aver forse trovato uno spiraglio.

«Non te lo perdonerei mai...» gli rispose titubante, slacciando le braccia, rallentando il passo per permettergli di raggiungerla.

«Comincio la prossima settimana», gli disse, una volta che le fu di fianco, trattenendo a stento un sorriso «lo sa solo Usop per il momento, quindi vedi di tenere la bocca chiusa, voglio essere io a dirlo agli altri»

Questa volta non gli ci volle molto per capire quanto ci tenesse. E quanto morisse dalla voglia di dirgli di più..

«Congratulazioni allora...»

Nami annuì una sola volta, a prendere atto delle sue parole.

«La vedi spesso quella Tashigi o sbaglio?» aggiunse a sorpresa. Fra tutte le cose che si era aspettato di sentirle chiedere quella non sarebbe stata certo fra le più papabili.

«Non più di una volta a settimana, di solito...» si ritrovò a risponderle. Ingenuamente forse. Nami non era al corrente delle novità: del nuovo programma di allenamento al dojo, della decisione di Koshiro. Ma per qualche motivo non sembrò ricordarlo. Convinto in qualche modo di averlo comunicato per vie traverse

«Sembra carina»

Zoro fece una smorfia, la considerazione gli sembrò incomprensibile e decisamente fuori luogo.

«Non è per quello che la frequento. E comunque assomiglia troppo a Kuina»

Gli era scappato certo, ma era inutile nasconderlo, persino Rufy se ne era accorto. Frequentandola si era reso conto che, per certi versi, gliela ricordava in modo sfacciato. Persino nel modo in cui arricciava fastidiosamente il naso, come un piccolo roditore. Lo aveva sempre trovato fastidioso ai tempi. Non da tutti ritrovare una persona che ti ricordasse una sorella perduta e te ne procurasse lo stesso identico fastidio. Non aveva mai considerato bella Kuina. Con una personalità di spicco e un certo fascino, forse, ma bella no.

Non che fosse un massimo esperto a riguardo. Ma se pensava a una bella ragazza gli veniva in mente un tipo come... Nami. E anche quella gli pareva una strampalata stortura.

Lei si era zittita nuovamente e si era fermata all'angolo più vicino al negozio di alimentari che persino Zoro conosceva.

«Hai ragione. Ecco chi mi ricordava...» disse a mezza voce e sorrise, ma per qualche motivo non gli sembrò affatto sincera. Ci lesse qualcosa di estremamente amaro, nella piega che avevano assunto le sue labbra. Forse non era stata un'idea grandiosa portare a galla il ricordo della sorella che non c'era più.

«Sei sicura che vada tutto bene?»

«No», gli rispose fin troppo schietta, «ma immagino che me la farò passare»

Zoro non capì affatto quell'affermazione, ma non riuscì a dire un bel niente per fermarla, quando si allontanò, senza nemmeno salutarlo.

 

-

 

Nami si chiese come si potesse essere estremamente felici ed euforiche e assolutamente disperate al contempo. Ma non c'era altro modo in cui poteva descrivere il suo stato d'animo in quel momento.

Era tornata a casa di corsa, sudata, affannata e scompigliata e quando aveva visto Bellmer comparire sulla porta del soggiorno, era piombata dritta dritta fra le sue braccia.

«Che succede, tesoro?»

«Sono stata alla libreria di Genzo...» affondò il viso nel suo petto, inspirando a fondo il suo profumo. Aveva addosso la sua leggera essenza al mandarino. Riusciva sempre a tranquillizzarla quell'odore.

«Non è andata bene?»

«È andata benissimo, quel posto è meraviglioso, ci lavorerò presto»

«E allora me lo vuoi dire che succede?» il suo tono era fermo ma lasciava trasparire tutta la sua preoccupazione.

Non era sicura di volerglielo dire. Non era sicura che avrebbe capito.

Non era nemmeno riuscita a godersi la consapevolezza di provare dei sentimenti diversi per uno dei suoi migliori amici, nemmeno riuscita a cullarsi nella sensazione, che la realtà le era piombata addosso, lacerando quello stato di benessere, prima ancora che potesse approfondirlo.

Zoro usciva con una ragazza. Una ragazza che per di più assomigliava a una delle persone più importanti della sua vita. Non c'era competizione, non c'era speranza.

Solo rielaborarlo nella sua testa, fece gonfiare di nuovo quella sensazione di malessere che le si era agganciata al petto da quando li aveva rivisti insieme.

La cosa più drammatica era stata sentirsi poi accantonata come amica. Non si era nemmeno preoccupato di presentargliela, nemmeno preoccupato di confidarle come si erano conosciuti. Lo aveva scoperto per caso e la cosa era stata così imprevista che si era sentita una sciocca.

Sciocca perché era persino corsa da lui con la speranza di raccontargli in anteprima il successo della sua visita alla libreria. Convinta che l'avrebbe ascoltata, assecondata e gioito della sua conquista. Sapeva che lo avrebbe fatto, perché Zoro era fatto così, Zoro le voleva bene. Ma non riusciva a concentrarsi su quell'aspetto se pensava che invece di essere con lei, aveva passato il pomeriggio con un'altra ragazza.

Come poteva essere degenerato tutto nell'arco di uno stupido fine settimana? Solo quella prima probabilmente lo avrebbe liquidato con un calcio negli stinchi e una linguaccia.

Perché era diventato tutto così doloroso, tutto insieme, tutto d'un tratto?

«Perché le cose devono sempre complicarsi?»

«Complicarsi come?»

«Complicarsi. Complicarsi e basta.»

«Nami, credo tu sia in una delle fasi dell'esistenza più complicate in assoluto» le rispose con affetto, stringendola appena nel suo abbraccio.

«Non dirlo»

«Lo dico. A volte tutto ti sembrerà troppo. Troppo difficile, troppo doloroso, troppo meraviglioso, ma fidati, ci sono passata anche io e sono sopravvissuta per raccontarlo. Ci ripenserai con affetto a questo periodo, te lo assicuro»

Nami serrò le labbra.

«Adesso fa solo schifo»

Sua madre le rispose con una risata comprensiva.

Avrebbe voluto raccontarle tutto, spiattellarle quello che le passava per la testa, ma Bellmer aveva ragione, in quel momento le sembrava troppo. Decisamente troppo. Il suo stato emotivo dell'ultimo periodo era stata una vera e propria giostra, si chiese quando avrebbe raggiunto l'equilibrio giusto per rimettere le cose in prospettiva.

Si lasciò cullare nel suo abbraccio, cercando di ritrovare quella serenità che riusciva a trasmetterle sin da quando era bambina. Un passo alla volta.

 

 

Nota:

Un po' di paranoie ci vogliono, l'età è quella che è, in fondo.

Scrivo una nota per fare un breve spazio di auto promozione: ho scritto una piccola One Shot, un po' diversa, un bel po' diversa da questa. Avevo voglia di esplorare una narrazione alternativa ed entrare a gamba tesa nel reale mondo di One Piece, con qualcosa di molto poco impegnativo (chiamiamolo esperimento per il futuro). E parlare di uno dei miei personaggi secondari preferiti: Bartolomeo. Come si fa a non amare Bartolomeo? Vabbè, per chi volesse darci un occhio, la trovate qui: Il Mignolo.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9.

 

«Si può sapere che cazzo hai combinato, di nuovo?»

Sanji si avvicinò a Zoro che stava dondolando sulla sedia dell'ultimo banco, poco prima dell'intervallo, colpendo la gamba affinché perdesse l'equilibrio. Per poco non si ribaltò e ricadde in avanti con tutto il suo peso.

Si era accorto che il biondino lo aveva guardato con astio per tutta la mattinata - non una novità in effetti - ma sebbene spesso gli rivolgesse sguardi intimidatori, farlo per tre ore di fila sembrò esagerato anche per uno come lui.

«Ma sei scemo?» gli ringhiò contro, indeciso se levarsi in piedi e fargli il culo seduta stante o aspettare chiarimenti.

«Il bue che da' del cornuto all'asino!»

Zoro gli lanciò una gomma che gli finì dritta in fronte. Si sarebbe messo a ridere della sua espressione confusa se l'istante successivo non avesse provato a prenderlo a calci.

Lo rincorse fuori dall'aula e poi in cortile, sotto gli sguardi affatto sorpresi degli altri studenti. Le zuffe dei due ragazzi non erano una novità, semmai una regola. Tragico il fatto che le classi fossero state mescolate a inizio anno e proprio loro due fossero finiti nella stessa sezione. Ora che non c'erano Robin o Nami a separarli, potevano andare avanti per ore.

Crollarono sul prato, sul retro della scuola, dopo un inseguimento e una mezza scazzottata che come al solito si era risolta in niente.

«Mi hai preso sopra l'occhio, adesso si gonfierà» si lamentò Sanji, massaggiandosi la parte offesa, «il patto era niente pugni in faccia»

«È stata la tua faccia a finire sopra al mio pugno...» lamentò Zoro, cercando di recuperare fiato «E comunque non può che migliorare quelle cazzo di sopracciglia rifatte che hai.»

«Non ho le sopracciglia rifatte, sono naturali!»

Era inutile giocare sulla vanità di quel deficiente.

«Lascia che mi riprenda e te ne darò così tante da farti pentire di esserti presentato a scuola, oggi»

Zoro volse il capo nella sua direzione, adesso scocciato da quell'atteggiamento incomprensibile. Si mise a sedere, massaggiandosi il collo.

«Ma si può sapere che cazzo ti prende?»

«No, a te che cazzo prende?» si mise seduto anche Sanji, a specchio «Che cosa hai fatto a Nami, stavolta?»

A Nami? Zoro si sentì confuso.

«Non ci parlo da giorni con Nami, come faccio ad averle fatto qualcosa?»

«Appunto!» gli rispose, accennando di ricominciare a prenderlo a pugni, «ci sta evitando tutti, quando sei con noi. È evidente che il problema sei tu.»

In effetti anche Zoro si era accorto che la ragazza tendeva a fuggire, quando erano tutti insieme, ma era sicuro che fosse più una casualità che una decisione ponderata. O forse ci sperava.

«Questa volta non ho fatto niente. Se ha un problema con me potrebbe dirlo e basta...»

«Tu sei proprio un cretino...» sospirò Sanji, arreso. Era chiaro che intuisse più cose di quanto non facesse lui.

«E allora illuminami tu, guru» lo schernì. Gli dava sui nervi quel suo atteggiamento saccente, ma sotto sotto gli toccava ammettere, a malincuore, che quando Sanji odorava qualcosa nell'aria, nella maggior parte dei casi aveva ragione.

«Mi piacerebbe lasciarti macerare nel dubbio, ma se questo significa dover rinunciare a Nami allora forse mi tocca aiutarti a schiarirti le idee»

«Su cosa?»

«Non lo so su cosa, ma se magari mi dai degli indizi, riusciamo a capire perché sta cercando di evitarti»

«Non mi sta evitando»

«Lo sta facendo. Perché con me ci parla tranquillamente...»

«E allora che vuoi? Se con te ci parla... chiedilo a lei»

«Pensi che non lo abbia già fatto? Ma non si scuce, quindi deduco sia una cosa seria»

Zoro si accigliò, senza capire. Avrebbe potuto scervellarsi per ore, senza riuscire a comprendere perché diavolo dovesse avercela con lui.

Sanji sospirò esasperato: «D'accordo. Quando avete parlato l'ultima volta?»

Non gli servì ragionare molto sulla risposta.

«Mercoledì scorso»

«Perfetto. E cosa vi siete detti?»

«Niente di particolare», non gli sembrò di rammentare scambi significativi. «Ah, sì. Che aveva ottenuto il lavoro alla libreria.»

«E... ?»

«E niente. Mi sono congratulato con lei.»

«Sicuro?»

«Certo che sono sicuro!», ribatté indignato. A volte poteva anche sembrare eccessivamente distaccato, ma non aveva mai ignorato i successi dei suoi amici.

«Con adeguato entusiasmo?»

«Con il mio solito entusiasmo!»

Sanji sembrò accettare quella risposta. Sapevano tutti che la massima espressione d'entusiasmo di Zoro era un mezzo sorriso e una pacca sulla spalla, nei giorni buoni.

«E poi?»

«E poi, cosa?»

«E poi che altro vi siete detti?»

«Ma cos'è, un interrogatorio?» stava cominciando ad alterarsi.

«Sto cercando di capire, ma sei duro di comprendonio, testa di cazzo!»

La conversazione proseguì con una mezza rissa, che venne sedata dopo un paio di minuti.

«Dicevamo...» fece Sanji, recuperando il contegno. Si accese una sigaretta per decomprimere. Cosa assolutamente vietata fra i muri della scuola, ma si erano ritagliati un posto piuttosto defilato e probabilmente aveva deciso di meritarsela.

«Di che altro avete parlato a parte il lavoro alla libreria?»

Zoro sbuffò, cercando di sistemarsi la camicia stropicciata.

«Ma che ne so. Non abbiamo parlato molto. Era già arrabbiata. Quando Tashigi si è presentata sembrava volesse strapparle la mano dal polso.»

Sanji, che aveva trattenuto il fumo in bocca, al solo sentire quella frase lo sputò fuori tutto insieme.

«Tashigi?»

«Sì. C'era anche lei quando ho incontrato Nami.»

«La dea dagli occhi bruni?»

«Sì, la faccia da topo»

«Tu hai la faccia da topo, razza di facocero!»

Era un topo o era un facocero? Forse Sanji non aveva ben presente il regno animale.

Un altro calcio, un altro pugno. E finì lì.

«Potevi dirlo prima che c'era anche Tashigi. In realtà: perché c'era anche Tashigi?»

«Perché arrivavo da casa sua»

Sanji a questo girò quasi si strozzò con il fumo e per poco non risucchiò letteralmente la sigaretta fra le labbra.

«Che ci facevi a casa sua? Come ha fatto a scegliere un buzzurro come te?»

Scegliere? La proposta verbale gli sembrò decisamente inappropriata.

«Voleva mostrarmi la sua collezione...» gli rispose.

Sanji spense brutalmente la sigaretta sul muro, lasciando un alone scuro.

«La collezione? Ma che cazzo stai dicendo?»

«Sto dicendo quello che è successo!»

«Quindi ci sei andato a letto?!»

Zoro si ritrasse come fosse stato colpito da uno schiaffo, ma da dove gli era arrivata quella deduzione del tutto fuori luogo? A Sanji era andato il sangue al cervello alla parola collezione, forse era una sorta di parola proibita nel magico mondo di Sanji.

«Ti sei rincoglionito o cosa?!»

«Quindi non ci sei andato a letto?»

«Perché avrei dovuto andarci a letto?! La conosco appena!»

Fu il turno di Sanji di non capire, stavolta.

«Mi ci vuole un attimo per elaborare» si passò le mani sul viso, sfregandoselo tenacemente, esacerbato dalla conversazione «immagino che tu, quindi, non stia uscendo con Tashigi, giusto?»

«No che non ci sto uscendo. È solo una nuova allieva del dojo...»

Sanji sembrò placarsi, rilasciando un gran sospiro.

Si chiese cosa lo avesse fatto arrivare a una simile conclusione. Una cosa talmente assurda da risultare persino ridicola, nella sua testa. Ci ragionò solo un istante e arrivò a formulare il pensiero che forse aveva scelto delle argomentazioni piuttosto ambigue. Ma non era colpa sua se Sanji era così malizioso.

«Adesso raccontami tutto, per cortesia, così vediamo di capire cosa sta andando storto.»

Zoro gli spiegò, controvoglia, le novità sugli allenamenti, di come quella ragazza si fosse impuntata di diventare un'allieva di Koshiro, dell'entusiasmo del suo maestro, del giovamento delle lezioni a due. Gli raccontò della collezione nerd di Tashigi, dei video delle competizioni sportive di Mihawk, fino ad arrivare alla questione del gps e dell'incontro con Nami. E si rese conto che, di tutte queste cose, non ne aveva davvero parlato ancora con nessuno. Si era clamorosamente sbagliato.

«Ti rendi conto che come ho frainteso io la situazione, potrebbe averla fraintesa anche Nami?» si interrogò Sanji, adesso più tranquillo. Sembrava aver già analizzato gli elementi e tratto le sue conclusioni.

«Non vedo come...»

«Non farti domande. Probabilmente ha pensato che fosse la tua ragazza. Probabilmente si è offesa perché non gliene hai parlato. E hai dato per scontato... la cosa, o qualcosa di simile»

Zoro si sentì quasi offeso da quella constatazione. Tashigi la sua ragazza? Ma se nemmeno aveva ancora deciso se gli piacesse come persona?

«E perché mai si dovrebbe offendere per una cosa simile?»

«Perché siete amici? E gli amici si raccontano le cose? Guarda che Nami è una persona sensibile»

«Come uno schiacciasassi» commentò beccandosi solo un'occhiataccia, questa volta.

«Lo sai che lo è... c'eri anche tu quando ha mandato al diavolo Arlong»

Zoro sapeva che era vero e sì, c'era stato. C'era stato eccome. E ne aveva in qualche modo assorbito la sua stessa sofferenza, come tutti gli altri.

«Poteva chiedermelo. O poteva insultarmi come fa di solito per non avergliene parlato...»

E poi parlarle di cosa? Se aveva frainteso non era colpa sua. L'unica colpa che era disposto a assumersi era quella di non averle parlato del dojo, ma non poteva sempre essere responsabile per le conclusioni affrettate o il modo in cui venivano percepite le sue azioni.

Sanji decise di accendersi un'altra sigaretta, improvvisamente meditabondo. Probabilmente stava elaborando altri elementi di quella faccenda e ne aveva realizzato il peso.

«Non ci arrivi proprio, eh» commentò soffiando del fumo in aria, seguendone le spirali con lo sguardo.

Zoro decise, per una volta tanto, di non palesare la sua incapacità di comprendere.

«Dovresti andare da lei e dirle quello che hai detto a me» gli propose una soluzione.

«Certo, come no. Così, dal niente»

«Sì» Sanji si volse verso di lui con fare quasi rabbioso, «dal niente. Chiariscila subito. Dille che non esci con Tashigi, dille del dojo, dille un po' quel cazzo che vuoi, ma diglielo in fretta.»

Avrebbe voluto ribattere allo stesso modo ma, questa volta Sanji sembrava così incomprensibilmente innervosito che gli parve controproducente alimentare il malumore.

Lo guardò levarsi in piedi e fare due tiri alla sigaretta per dimezzarla.

«E prova ad aprire gli occhi ogni tanto» aggiunse, prima di spegnerla sotto al tacco della scarpa e gettarla in un cestino lì accanto «sia mai che tu veda qualcosa di bello, appena ti si snebbia quel cervello pieno merda che hai»

Zoro si mise in piedi a sua volta, confuso e alterato. L'unica cosa che aveva capito era che per una volta tanto, non se la sentiva di ignorare i suoi stupidi suggerimenti.

 

-

 

Ci vollero almeno altri due giorni, prima che Nami incrociasse di nuovo Zoro a scuola.

Aveva deciso di prendersi una pausa, con l'intima speranza di sbollire la delusione degli ultimi giorni. Non era stata davvero sua intenzione smettere di parlargli, o ignorarlo in questo modo ma quando il giorno successivo al loro incontro lo aveva intravisto a scuola, le era tornata quella disperata voglia di piangere. E aveva deciso che forse, evitarlo per un po', l'avrebbe aiutata a recuperare un certo contegno.

Iniziare il nuovo lavoro l'aveva aiutata a tenere occupata la mente, ma non era stato sufficiente.

Era passata un'intera settimana. E quando se lo ritrovò di fronte, quel giorno, vicino all'aula audiovisivi, sentì l'urgenza di scappare a gambe levate.

Era singolare trovarlo in giro per la scuola dopo la fine delle lezioni; quando non seguiva le attività sportive scappava di filato a casa, oppure aspettava gli altri, sonnecchiando da qualche parte: in qualche aula vuota, all'ombra di un albero in giardino o a godersi il sole sul tetto della scuola.

Il ragazzo stava consultando gli orari delle prenotazioni dell'aula e non si era ancora accorto di lei. Forse sarebbe riuscita a sgattaiolare via, prima che la notasse. Le sarebbe stato sufficiente fare retro front, tornarsene da dove era arrivata e sparire dietro l'angolo.

Fu proprio quando fece un paio di passi in retromarcia che Zoro si rese conto di non essere solo.

Gli sembrò di vederlo muovere la testa al rallentatore, prima di leggergli addosso la consapevolezza di conoscerla.

«Merda...» smozzicò a fatica, il malumore che cominciava a rosicchiarle le viscere. Scappare in modo rapido e teatrale o fingere indifferenza e superarlo senza degnarlo di uno sguardo?

«Ciao Nami» disse lui e le fu chiaro che entrambe le opzioni sarebbero state ora troppo imbarazzanti. Come si era permesso di salutarla con tanta naturalezza?

Si rese conto di averlo fatto attendere troppo con una risposta verbale, perciò alzò una mano in segno di saluto, per niente sicura di come, in caso contrario, le sarebbe uscita la voce.

Lo guardò mollare il cartellino con le prenotazioni dell'aula e camminare nella sua direzione.

Aveva per caso voglia di fare conversazione? Perché no, lei non lo desiderava per niente.

«Sono di fretta» le uscì, in maniera un po' distorta, dribblandolo sulla destra.

«Aspetta!» lo sentì replicare con una certa urgenza.

«Di fretta!» alzò una mano, senza voltarsi.

«Nami!»

Perché continuava a insistere? Perché non la lasciava in pace? Almeno un altro po'. Ancora per poco. Sarebbe riuscita a superarla. Sarebbe riuscita di nuovo a parlare con lui normalmente, doveva solo darle tempo.

«Tashigi non è la mia ragazza!» risuonò improvvisamente per il corridoio.

Un'affermazione che ebbe la deflagrazione di un tuono. E la sua diffusione la colpì in pieno, stordendola.

Gli diede le spalle ancora un istante, giusto il tempo per assorbire quella strampalata affermazione. Era... forse impazzito?

E lei stava forse per morire? Perché non era sensato provare quel formicolio assurdo su tutto il corpo. Come se il sangue avesse deciso di fermarsi e ripartire tutto insieme.

«Ma che cavolo ti viene in mente di dire, tutto ad un tratto?» le venne spontaneo ribattere, allargando le braccia, tornando a fronteggiarlo. La voce le era tornata all'improvviso. La voglia di insultarlo che faceva a cazzotti con l'incredulità.

«Quello che ho detto: non esco con Tashigi» gli sembrò un po' incerto su come proseguire, come se avesse detto una cosa che non usciva proprio da un suo scrupolo di coscienza.

«E chi se ne frega, vogliamo mettercelo?»

Lui le lanciò uno sguardo perplesso e poi i suoi occhi divennero quasi feroci.

«Pensavo avessi frainteso e volevo mettere le cose in chiaro!»

«Perché dovrebbe fregarmene qualcosa di quello che fai o non fai con quella ragazza?»

«Perché me lo ha detto sopracciglia rifatte!»

Stava parlando di Sanji?

«Da quando in qua segui i consigli di Sanji? Cos'è, la fine del mondo?»

Nemmeno si era resa conto di essere tornata sui suoi passi e di quanto ora fossero vicini. Se qualcuno li avesse visti dall'esterno avrebbe assistito a quella che sembrava la posa di due mastini, pronti all'attacco.

«Infatti non lo so! È evidente che si è messo in testa un sacco di stronzate!»

«Magari invece sei tu ad essere ottuso!»

«E tu sei un'isterica!»

L'animosità della discussione si smorzò per permettere a entrambi di riprendere fiato.

Nami si era resa conto che la tensione e la disperazione dei giorni precedenti si era improvvisamente placata. Aver scatenato su Zoro un minuto buono di rabbia repressa aveva alimentato la sua dopamina.

Si scostò appena, cercando di guadagnare un contegno. Sfilò l'elastico che aveva al polso e lo usò per raccogliere i capelli in una coda alta. Dopo il gelo, adesso sentiva solo un gran caldo.

Lo guardò di sottecchi, pretendendo di essere ancora arrabbiata con lui. E forse ancora un po' lo era, infastidita dalla situazione. Ma era davvero stata solo colpa di Zoro? Se aveva... frainteso?
Lei aveva frainteso.

Realizzarlo le diede un altro scossone alla coscienza.

«Quindi quella ragazza è solo una tua amica» decise di dar tregua alla discussione. Forse le serviva un chiarimento, non poteva non cogliere la palla al balzo.

«Nemmeno» lo sentì rispondere, «è solo una compagna di... allenamenti»

Nami decise di lasciargli il tempo di continuare.

«Ora non arrabbiarti di nuovo perché non te l'ho detto prima» ci tenne a precisare, burbero «Koshiro ha deciso di prendere una nuova allieva. Ed è Tashigi.»

Una nuova allieva. Era sicura di aver capito che Koshiro aveva smesso di allenare ragazzi oltre le scuole elementari. Non ci sarebbe arrivata nemmeno in un milione di anni.

«Non puoi chiedermi di non arrabbiarmi, se non mi dici le cose...» sospirò, consapevole di averlo già perdonato.

«Ero convinto di averlo fatto»

«Dai troppe cose per scontate»

«Non lo faccio apposta»

Nel suo cuore, Nami sapeva che era esattamente così. In questo era così simile a Rufy, quei due si somigliavano troppo da questo punto di vista. Entrambi a volte troppo svagati. Distratti.

«Non dire a quel cuoco da strapazzo che aveva ragione...» aggiunse Zoro.

La fece sorridere il fatto che i due avessero parlato... di lei. E che Sanji avesse immediatamente capito quale fosse il problema, che avesse persino deciso di condividerlo proprio con il suo miglior nemico e avesse cercato di aiutare a risolverlo. Si chiese se Sanji non fosse già consapevole del fatto che Zoro le piaceva. Se non avesse capito la reale natura della sua... irritazione, la vena di gelosia.

Si chiese anche se Zoro... no, decisamente Zoro non ci aveva capito un bel niente.

«Non lo farò, tanto ci dovrai convivere comunque» lo schernì.

Zoro scosse la testa, ma ora nascondeva un sorriso.

Nami si sentì svuotata. Non era davvero possibile continuare a rimanere vittima di quell'altalena di emozioni. Aveva ragione sua madre a dire che stava attraversando una fase davvero complicata. Sfiancante, a dir poco.

«Adesso ti lascio andare, se vuoi... avevi fretta, no?» disse Zoro. Lo guardò passarsi la mano fra i capelli, esausto a modo suo.

«In realtà era una scusa perché non volevo parlarti»

La sua schiettezza lo fece sorridere di nuovo.

«Ah, grandioso, quindi è così che funziona ora?»

«Lo spero» ammise «mi sono stancata di girarci continuamente attorno. Cercherò di essere più diretta»

Zoro sembrò ragionarci su.

«In effetti mi faciliterebbe la vita»

«Ottimo, ti prendo in parola»

«Non è l'ennesima scusa per insultarmi a caso, giusto?»

«Non ho bisogno di scuse per insultarti, ma per chi mi hai preso?»

«Bene»

«Bene...»

La conversazione sembrò esaurirsi così, e Nami si rese conto che non le andava bene per niente.

«Che... stavi facendo prima?» indirizzò il capo verso l'aula audiovisivi, alludendo a quello.

«Volevo prenotarla, non so bene come funziona...»

«Cosa devi guardare?»

«Un DVD. Non ho un lettore a casa»

Nami si diresse verso la carta delle prenotazioni, esaminandola.

«Non mi sembra che qualcuno l'abbia prenotata ora» ed in effetti l'aula sembrava vuota «Immagino tu possa farlo»

«Okay...» rispose, ma non le sembrò affatto convinto.

«Qual è il problema? Hai affittato un film zozzo?»

Zoro alzò lo sguardo verso il soffitto.

«Ho l'aria di qualcuno che guarda film zozzi?»

Nami sorrise. No, Zoro non ce l'aveva davvero quell'aria.

«Allora...» cercò di convincerlo a farsi avanti, ma di nuovo gli sembrò titubante.

«Forse un altro giorno» decretò infine, scrollando le spalle.

«Hai voglia di facilitare anche a me le cose?» era chiaro che le sarebbe piaciuto capire che diavolo stesse succedendo.

Zoro fece schioccare la labbra ed estrasse dalla tasca dei pantaloni quello che sembrava un vecchio CD. E glielo mise sotto al naso, senza dire niente. Nami ebbe il tempo di leggere il nome del padre di Zoro prima di rialzare su di lui uno sguardo indagatore.

«Sono le gare giovanili di mio padre. Non le ho mai viste» il tono era improvvisamente sommesso, gli sembrò improvvisamente più piccolo della sua età, come se l'aver tirato in ballo il padre che non aveva mai davvero conosciuto lo avesse fatto regredire agli anni della fanciullezza.

«È stupido. Vorrei vederlo. Ma... non lo so»

Nami comprese in pochi istanti la difficoltà della questione. L'improvvisa opportunità di conoscere una persona che non aveva davvero mai avuto modo di vedere nei suoi momenti meno gloriosi. Sapeva quanto rispetto Zoro portasse per suo padre, quanto ne portasse del suo ricordo, ma sapeva anche che lo considerava più un essere superiore, permeato di una certa mitologia che non un uomo normale, in grado di fallire. Una figura da ammirare non alla quale voler... bene.

«Possiamo vederlo assieme, se vuoi» le venne spontaneo proporsi. Non era sicura avrebbe accettato, forse stava solo cercando il coraggio di farlo da solo, forse questo l'avrebbe aiutato a prendere una decisione.

Sentì su di sé il suo sguardo valutativo, già pronta ad incassare un rifiuto.

«Lo faresti?» le chiese invece e Nami non poté far altro che annuire.

Si sentì ancor più sconvolta quando si sentì prendere per mano, per essere trascinata nell'aula audiovisivi.

 

-

 

Sanji aveva appena concluso il suo turno di pulizia dell'aula. Un compito che svolgeva sempre in modo metodico, che quel pomeriggio si era reso ancor più piacevole, perché in compagnia di una compagna di classe con la quale non aveva mai davvero avuto modo di parlare. Gli era sembrata simpatica, piuttosto spontanea, magari le avrebbe chiesto di uscire, prima dell'inizio delle vacanze di primavera.

Animato da quella stimolante prospettiva si era offerto di andare a riporre lui stesso secchio e stracci nello stanzino con gli attrezzi. Ma nel passaggio obbligato di fronte all'aula audiovisivi notò un certo, singolare fermento, di un paio di matricole, che stavano sbirciando attraverso la piccola finestrella a vetri sulla porta chiusa.

«Ohi... che state facendo?» disse solo. A volte si divertiva a far la voce grossa con gli sparuti quindicenni del primo anno.

I due ragazzini si volsero straniti nella sua direzione, prima di dileguarsi, ridacchiando come due scemi.

Sanji scosse la testa, piuttosto perplesso dall'intera situazione, ma la curiosità di scoprire cosa stessero osservando con tanto interesse ebbe il sopravvento.

Si diresse a passo lento verso l'aula; si sentiva appena il suono ovattato di qualcosa che evidentemente stavano visionando. Magari un film particolarmente interessante.

Quando allungò lo sguardo verso la finestrella non capì immediatamente cosa stava osservando. La stanza era immersa nella penombra, sul mega schermo era proiettata una competizione sportiva di qualche tipo e di fronte ad esso le sagome di due persone, sedute molto vicine.

Li riconobbe dopo qualche istante di messa a fuoco.

C'era Nami e c'era Zoro.

E si stavano baciando.

 

 

Nota:

galeotto fu l'audiovisivo?

Approfondirò tutto, lo prometto, per ora lo lascio qui, così, a sorpresa.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10.
 
Giovedì mattina, ore 9.30
 
Franky stava parlando da un'ora buona di un film che aveva visto la sera prima. Esplosioni, ovviamente. Macchine che correvano ovunque. Sgommate ed ancora esplosioni. Non a caso uno dei suoi film preferiti era Fury Road, che di esplosioni e macchine strampalate ne aveva in abbondanza. Faceva un gran fracasso e Usop assecondava quel sentimento, senza risparmiarsi.
Piacevano anche a lui le esplosioni. Certo non ci avrebbe ricamato su un simposio così come stava facendo Franky, ma sicuro ne apprezzava gli aspetti... tecnici. Preferiva i robottoni ma si sarebbe tenuto l'argomento per il futuro.
L'unica a non sembrare particolarmente presa dalla conversazione, nemmeno per rimproverarli per l'entusiastico chiasso, sembrava Nami. Eppure non si erano risparmiati un'invasione di campo a danno del suo banco di scuola.
Li guardava con espressione distratta, la mano a sorreggersi mollemente il viso, come se niente potesse veramente scalfirla, persa nei suoi pensieri.
A Usop non sembrò strano, dato che da una settimana a quella parte non gli era sembrata particolarmente socievole - era stato approssimativamente informato della questione Tashigi, nei giorni scorsi, e poteva comprenderne il malumore - ma c'era qualcosa di molto diverso oggi, nel modo in cui sospirava o sorrideva incautamente, nei momenti meno opportuni.
Quando Franky ebbe esaurito le argomentazioni sul perché un tipo di motore fosse molto più performante di un altro, si alzò per fare due passi e andare a fare un saluto a Robin, nell'aula accanto. E li lasciò soli.
Usop si limitò a guardare fisso Nami, seduto al contrario sulla sedia, le braccia intrecciate sullo schienale. Le ci volle un minuto buono per accorgersi che Franky si era allontanato.
«Che... ?» sembrò destarsi da un sogno ad occhi aperti, cercando di guadagnare una postura meno svagata, più consapevole.
«Non me la racconti giusta», le disse, scrutandola in maniera tutt'altro che casuale.
«In che... senso?» la guardò arrossire e capì di avere ragione.
Perciò le lanciò uno sguardo incoraggiante. Gliene voleva parlare oppure no? Era successo qualcosa oppure no?
Nami sembrava improvvisamente vittima di un grande conflitto interiore, fissò Usop e poi la gomma sul tavolo, poi la finestra e infine di nuovo lui.
Usop prese a friggere d'impazienza e curiosità.
Nami gli fece cenno di avvicinarsi e si levò in piedi giusto per arrivare a sussurrargli qualcosa all'orecchio.
«COSA?!» sbottò convulso, facendo voltare l'intera classe, proprio sul suono della campanella.
 
 
Giovedì mattina, ore 10.30
 
Sanji aveva raccolto una buona dose di autocontrollo per evitare di parlare con Zoro, quella mattina. Si era imposto di essere razionale, indulgente, comprensivo.
Lo insospettiva il fatto che quella testa d'alga si fosse presentato in aula con la solita aria assonnata, vagamente scocciato da quella faccenda della scuola, delle lezioni. Nessun cambiamento significativo registrato.
Eppure era sicuro di averci visto bene il giorno prima! Era schizzato il più lontano possibile dall'aula audiovisivi per evitare di essere scoperto. Ed era rimasto nello sgabuzzino degli attrezzi abbastanza a lungo da far comunella con i ragni appesi al soffitto. Giusto il tempo di elaborare ciò a cui aveva assistito. E accettarlo pure, perché volente o nolente era stato un piccolo shock. Non che non fosse già consapevole (e tragicamente arreso) che le cose fra i due prima o dopo sarebbero esplose, nel bene o nel male, ma che sarebbero decollate in modo tanto rapido proprio non lo aveva previsto.
Che Zoro avesse capito molto più di quanto avesse dato a vedere, dal suo discorso del giorno prima? No, impossibile. Era pur sempre un cervello di gallina.
Constatare poi che quella mattina si comportava come al solito, come nulla fosse, lo aveva mandato letteralmente in bestia. Come era possibile mantenere un simile autocontrollo dopo aver baciato Nami? La sua Nami! La stessa Nami che avrebbe protetto a costo della vita, cavalier servente nei secoli dei secoli. Nessuno poteva permettersi di toccare, di (che le divinità tutte avessero pietà della sua anima!) baciare e lordare con quelle manacce rozze la sua Nami e per di più andarsene in giro come non avesse commesso l'impresa più divina di sempre!
D'accordo, forse stava un tantino esagerando, ma il concetto era piuttosto chiaro ormai: Zoro meritava di morire! Male.
L'impresa del giorno era quella di non farlo alla luce del giorno. O quantomeno di non farlo davvero, ma solo mentalmente, in modi atroci e perversi.
Non era però riuscito a staccargli gli occhi di dosso per tutta la durata delle prime lezioni, con una furia omicida affatto paragonabile a quella che gli aveva riservato il giorno prima.
Poco prima della fine della terza ora gli lanciò in testa un bigliettino che Zoro accolse con perplessità, indicandosi.
Per me? Sembrò dire con lo sguardo.
Sì, per te. Annuì Sanji in modo altrettanto silenzioso.
Che cazzo vuoi? Gli rispose Zoro con gesti espliciti.
Leggilo, pezzo di merda! Terminò Sanji, cordialmente.
Lo vide aprire il foglietto e assistere soddisfatto al cambio d'espressione di quello stronzo insensibile. Se non altro era riuscito a scatenargli addosso una reazione.
Sul minuscolo pezzo di carta una sola frase: ‘So cosa hai fatto.’

 
Giovedì mattina, ore 11.30
 
Robin era appena uscita dalla biblioteca scolastica, fra le braccia reggeva tre volumi dall'aria piuttosto impegnativa. Per poco non finì addosso a Nami che sembrava non aver nemmeno capito cosa ci facesse lì o cosa stesse cercando, nello specifico. Franky le aveva detto che gli era sembrata un po' assente in aula quella mattina, e si chiese se fosse successo qualcosa. Strano, perché solo il giorno prima le era sembrata mediamente felice; non aveva fatto altro che lodare il suo nuovo lavoro. Gliene aveva parlato entusiasticamente per una buona mezz'ora. Tanto che si era convinta di passare a trovarla, non appena le fosse stato possibile, incuriosita dalla varietà di libri che mirava a consultare.
«Tutto bene?» le disse, sventolandole di fronte una mano.
La ragazza ebbe un sobbalzo, evidentemente nemmeno si era accorta di averla accanto. Con lo sguardo stava sbirciando alle sue spalle, come stesse cercando qualcuno.
Sì, decisamente un comportamento anomalo.
«Ciao Robin» la accolse irrigidita, cercando di recuperare contegno e lucidità.
La osservò indagatrice.
«Sembra tu abbia visto un fantasma»
«Non esistono i fantasmi...» ribatté, senza senso.
«Questo lo dici tu» le rispose lugubremente, prendendola sottobraccio «Ti offro qualcosa da bere, magari ti riprendi»
«Non mi devo riprendere»
«Eccome...» le rispose accondiscendente «sembri un po' troppo svagata per i miei gusti»
«Non anche tu, ti prego» le sembrò disperata di dimostrarle il contrario «è davvero tanto evidente?»
«Bè...» non le servì palesarlo.
La accompagnò alla macchinetta più vicina, infilando della moneta.
«Cominciamo con del caffè freddo» le piazzò in mano i libri per poterle recuperare la bevanda. Gliela aprì persino, non del tutto sicura sarebbe stata in grado di farlo da sola.
«Adesso...» disse, facendo a cambio fra libri e lattina, «che cosa ti è successo di così sconvolgente?»
Nami, che stava per prendere un sorso della sua bevanda, si bloccò a metà dell'operazione, sospirando in modo teatrale. Si accertò che attorno non ci fosse nessuno dotato di orecchie indiscrete.
«Prima che tu dica qualsiasi cosa: è stato lui»
«Lui?»
«Zoro»
«Zoro?»
«A baciarmi»
«A ba-» Robin si interruppe appena in tempo per rielaborare la frase. A baciarla, come? Quando? E soprattutto in che modo era successo? Nami era passata dal non parlargli affatto a questo. Cosa era accaduto nel mezzo?
Si rese conto di essere un po' sconvolta dalle dinamiche, ma non sorpresa, dopotutto. Sconvolta perché... Zoro? A prendere l'iniziativa? Era forse impazzito? O era stato sostituito da un mostro alieno?
«Okay... credo che ci voglia qualcosa di più di una bibita al caffè. Hai da fare in pausa pranzo?»
Nami sospirò grata. Il cielo solo sapeva se non le leggesse addosso lo spasmodico bisogno di parlarne con qualcuno.

 
Giovedì pomeriggio, 13.30
 
La bella giornata aveva suggerito a Rufy dove scovare Zoro, che si era dato alla macchia durante l'ora di pausa.
Era salito fino all'ultimo piano della scuola ed era sbucato sul tetto, solo per trovarlo lì, come si era atteso, a sonnecchiare e godersi pigramente il caldo sole primaverile. Accanto a lui c'era Chopper, apparentemente in coma che si faceva schermo sugli occhi con un berretto rosa confetto. Braccia e gambe spalancate come ad accogliere il sole in tutta la sua gloria.
La scena gli parve così invitante che decise di unirsi a loro.
Si avvicinò all'atipico duo e si sdraiò loro accanto. Non era particolarmente stanco, ma non avrebbe disdegnato un sonnellino, in previsione delle affatto allettanti lezioni del pomeriggio.
Il respiro di Zoro cambiò all'improvviso e Rufy capì che non stava affatto dormendo.
«Ti cercava Nami», gli disse chiudendo gli occhi, le braccia intrecciate dietro la testa. L'aveva incrociata poco prima, in compagnia di Robin. Gli aveva chiesto se avesse visto Zoro, da qualche parte. In realtà non aveva saputo risponderle. Non gli era nemmeno venuto in mente di dirle che forse lo avrebbe potuto trovare lì, sul tetto. Come al solito non ci aveva pensato.
«Che voleva?»
«Che ne so?»
Sentì il suo stomaco rumoreggiare di nuovo. Sapeva di dover svaligiare la mensa della scuola, invece di limitarsi ai pochi avanzi che gli aveva fatto trovare Ace in cucina. Quel fetente.
«Ieri mi ha baciato» disse Zoro, dal niente, mentre un grosso corvo passava in volo, gracidando con tenacia.
«Dai?»
«Sì»
«Sulla bocca?»
«Sì»
«Con la lingua?»
«Un po'»
«Dai»
Il corvo gracidò di nuovo, lo stomaco di Rufy gli rispose più feroce. Si ritrovò in faccia il cappello di Chopper.
Il ragazzino si era alzato in piedi di scatto, fissandoli sconvolto.
 
 
Mercoledì pomeriggio, ore 16.00, il giorno prima
 
Era strano, per Zoro, guardare le immagini che si susseguivano sullo schermo e fingere che non lo coinvolgessero più di tanto.
Suo padre non era come se lo era immaginato. Certo, lo riconosceva fisicamente, dalle vecchie foto.
Gli somigliava davvero così tanto come aveva detto Tashigi? Non ne era sicuro.
Un paio di gare fallimentari e si era reso conto della natura affatto invincibile del vecchio genitore. Un essere umano, non più talentuoso di tanti altri, non all'età di diciannove anni almeno. Koshiro gli aveva detto che soleva allenarsi molto, che il talento, se non allenato, non valeva poi molto. Suo padre di talento non ne aveva certo in eccesso. Quello che si era guadagnato, da quello che poteva vedere, era solo grazie alla sua tenacia, agli strenui allenamenti, alla evidente superiorità fisica.
Dei suoi anni da universitario si potevano già intuire i tratti che lui stesso rammentava: la straordinaria statura, la struttura muscolare.
Come a oscurare il cielo.
Si chiese come gli sarebbe apparso, fosse stato ancora vivo, ora che era cresciuto. Adesso che pure lui aveva raggiunto l'altezza che tanto gli aveva invidiato da bambino, che ne stava ereditando la fisicità. Forse il cipiglio corrucciato che aveva intravisto in un frame sullo schermo, ero lo stesso che riconosceva, guardandosi allo specchio. Aveva la risata di suo padre? Fragorosa, profonda? Nemmeno di questo era sicuro.
Si chiese se Nami, che gli sedeva accanto in silenzio, notasse delle somiglianze. Avrebbe davvero voluto chiederglielo, ma l'incantesimo di quell'attimo gli impediva di pronunciare alcunché, trascinato in un mondo di almeno vent'anni prima, dove lui non era nemmeno un pensiero, nella testa di suo padre.
 
Nami riusciva a percepire la tensione di Zoro, il modo in cui era seduto e fissava lo schermo con concentrazione quasi maniacale. Era evidente che non fosse poi così tanto interessato alle gare. Persino lei riusciva a capire che non erano competizioni particolarmente interessanti.
Si chiese se riuscisse e rispecchiare se stesso, nelle immagini di suo padre. Era affascinata da quanto gli somigliasse da giovane. Nelle movenze, nelle espressioni, quelle che mostrava a bordo campo, una volta svestito del casco da competizione.
Se ne rendeva conto?
Avrebbe voluto dirglielo, ma parlare le sembrava di tradire la sacralità di quel momento. Non ne aveva realizzato l'importanza, non fino a quando non erano partite le prime immagini.
Ora poteva capire perché Zoro ci avesse messo tanto a decidere di guardarlo. Osservare le immagini perdute di un padre che non aveva avuto la possibilità di conoscere, di scorgerne le fragilità, le incertezze. Che non sarebbero altrimenti trasparite da una competizione da vincitore.
Chissà come avrebbe reagito lei stessa a ritrovare filmati di un padre che... bè, lei davvero non aveva mai conosciuto. Era scappato ancora prima che lei nascesse. Nemmeno Nojiko lo rammentava con lucidità. Bellmer non si era mai sottratta alle loro domande a riguardo, ma era evidente che non ne parlava volentieri. Avevano rinunciato in fretta; dopotutto perché interessarsi a un uomo che per loro non aveva più mostrato alcun interesse?
Ma il padre di Zoro se ne era andato non per sua volontà e ne capiva la curiosità. I racconti di persone che gli avevano voluto bene a volte non bastano.
Lo sentì sospirare appena, nel silenzio generale.
Le venne spontaneo passargli un braccio attorno alla vita, senza una ragione.
Forse solo per ricordargli che lei era lì. Che sapeva cosa stava provando. Forse.
Il fatto che non si fosse sottratto al contatto, per una volta tanto, le sembrò una cosa buona.
Abbracciare Zoro non era mai stato facile, sembrava non averne mai bisogno. Una roccia stabile e inflessibile. Ma forse stava proprio lì l'inganno.
Zoro non era né più né meno di un ragazzo come tanti altri. Come lo sembrava suo padre, in quel momento, intrappolato nei suoi gloriosi diciannove anni da una sbiadita registrazione. Non un essere invincibile, non un super uomo inarrivabile.
Una persona che, come tutti, aveva bisogno di ricevere delle dimostrazioni d'affetto. Delle gratificazioni.
 
Zoro abbassò lo sguardo su di lei, ad elargirle un tacito ringraziamento.
Ne aveva riconosciuto l'altruismo, al modo in cui si era offerta di tenergli compagnia. Non era facile per lui, chiedere aiuto, non lo era mai stato. E non era la prima volta che gli altri ci pensavano per lui, che capissero le cose, ancora prima che le comprendesse lui.
Non lo faceva apposta, non lo faceva con cattiveria. Semplicemente era sempre stato abituato a sbrigarsela da solo. Si chiedeva quante volte avrebbe dovuto ringraziare per aver trovato persone che tenessero a lui. Era stato convinto, per molto tempo, dopo la perdita di Kuina, di suo padre, di sua madre, che sarebbe stato destinato a restare solo per il resto della sua vita, senza una vera famiglia, senza veri amici. Ci era sceso a patti. Si era convinto di averlo accettato.
Poi erano arrivati loro, i suoi amici. Per i quali provava un affetto sconfinato che spesso non riusciva a dimostrare. Ed era grato, sempre, per il modo in cui si prendevano cura di lui, per il modo in cui si preoccupavano per lui, per come glielo esprimevano.
Si trovava sempre in difetto quando non riusciva a ricambiare. Sebbene conscio, forse, di doverlo fare.
Avrebbe dovuto abbracciarla a sua volta? Dimostrarle che aveva apprezzato davvero? Si sentiva fin troppo emotivo, persino per i suoi standard.
Ma era davvero questo il motivo per cui era grato di sentirla tanto vicina?
Nami stava ricambiando il suo sguardo e il cuore gli stava facendo uno scherzo strano, lo stomaco pure, la testa anche.
Si ritrovò a pensare quanto fosse assurdo che gli tornasse in mente in quel momento che solo il giorno prima avesse pensato che fosse... bella.
Lì, nella penombra dell'aula di audiovisivi, i contorni del suo viso sembravano tanto confusi, quanto vivido invece era il riflesso dei suoi occhi.
Sentì così, vicino e improvviso, il calore tiepido del suo respiro.
 
Nami si era appena resa conto che Zoro le stava ora a un centimetro dal viso. L'aveva osservata concentrato tanto a lungo che le sue gambe avevano perso qualsiasi sensibilità, le sue guance erano diventate di fuoco.
Non riuscì a capire chi si mosse per primo.
 
Le loro labbra s'incontrarono a metà strada.

 
Giovedì pomeriggio, ore 16.00
 
Nami aveva perso le speranze di incrociare Zoro durante le lezioni. Si chiese se avesse avuto modo di farlo, all'uscita da scuola.
Si era spinta fino alla sua aula ma non lo aveva trovato. Si chiese se non fosse una mera coincidenza. O se forse... la stesse evitando.
Si schiaffeggiò il viso per il pensiero, decisa a ridimensionare quelle sue stupide paranoie, era stanca anche solo di assecondarle. S'impose di tenerle per le briglie.
Guardò l'orologio, ben conscia che perdere tempo non era nei programmi. Lavorava alla libreria quel pomeriggio, non poteva permettersi di fare tardi già alla seconda settimana di lavoro, Genzo non lo meritava.
Si affrettò lungo il corridoio e poi verso il cortile, a seguire lo sciame studentesco in uscita.
Fu lì che lo vide.
Zoro si scostò dal cancello dove si era soffermato e le aveva fatto un cenno con la mano.
L'aveva aspettata.
«Ti accompagno?» esordì una volta che l'ebbe raggiunto.
«Oggi sono di turno in libreria» gli rispose, trattenendo appena il respiro.
«Ti accompagno», confermò.
Nami sorrise compiaciuta, avviandosi con lui fuori dalla scuola.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11.

 

 

Erano state giornate piuttosto confuse.

Era da tempo che Zoro non si sentiva con la testa così annebbiata, come se stesse vivendo una vita non sua. Si rese conto che quella sensazione andava sempre di pari passo con eventi piuttosto significativi della sua esistenza. Non essere particolarmente centrato, perdere contatto con la realtà, avere la testa ingarbugliata e costantemente altrove.

L’ultima volta gli era capitato dopo la sconfitta con Mihawk, ma gli sembrava di minimizzare la sensazione, dacché non considerava quella sconfitta particolarmente significativa, sebbene bruciante.

Forse l’ultima volta in cui il suo mondo aveva davvero perso il suo baricentro era stato quando era morta Kuina. Ma anche in quel caso gli sembrava uno squilibrio paragonare le cose.

Quindi probabilmente si trattava di una sensazione che stava nel mezzo. Fra una sconfitta sanabile e una perdita incalcolabile.

La novità risiedeva nel fatto che l’evento scatenante non era stato disastroso. O quantomeno non era stato… negativo. Piuttosto piacevole, a dire il vero, decisamente inaspettato.

Prima di Nami aveva baciato un’altra ragazza. Era successo durante una trasferta sportiva, ai tempi delle medie. Non era stata una cosa particolarmente entusiasmante e di certo non era stato lui a prendere l’iniziativa. Si era limitato a seguire il flusso di una serata piuttosto bizzarra. C’era questa ragazzina, di cui non rammentava nemmeno il nome, che si era proposta senza decoro o dignità. Aveva detto sì, solo perché non era sicuro fosse gentile rifiutare. Johnny e Yosaku, i compagni di classe e di kendo con cui aveva stretto una sottospecie di amicizia, durante gli anni delle medie, gli avevano assicurato - nella loro ingenuità infantile - che era assolutamente normale non sottrarsi a certe richieste. In tutta sincerità si era sentito in colpa con quella ragazzina a lungo, prima di stroncare qualsiasi suo sogno romantico, confessandole che non era particolarmente interessato a uscire con lei.

Era stata la stessa cosa anche con Nami? La verità era che nonostante avesse confidato a Rufy che era stata lei a cominciare la cosa, ora non ne era più così sicuro. Era successo tutto così in fretta che non aveva avuto modo di razionalizzare l’evento. E in ogni caso era certo non si trattasse della stessa cosa. Di Nami gli importava eccome. Gli importava da sempre, ma ora non sapeva come gestire questa inaspettata evoluzione.

Non ci aveva mai davvero pensato o, se lo aveva fatto, era passata così in sordina da coglierlo totalmente di sorpresa. Quindi si trovava in questa sottospecie di limbo dove, da un lato si chiedeva se provasse davvero qualcosa di speciale per lei, dall'altro se si sentisse obbligato a farlo solo perché, per un breve ma davvero intenso istante, aveva ceduto ai suoi bassi istinti.

Ne seguiva quindi con curiosità, scarsa lucidità e ossessione gli sviluppi, giorno per giorno. Si chiedeva se non sembrasse una specie di zombie privo di volontà, tanto si sentiva annebbiato. E in colpa. Nami non meritava davvero questa sua confusione. Anche se, ad alimentare la sua procrastinazione sentimentale, c'era il non trascurabile dettaglio che, da quel fatidico giorno, avevano ripreso a parlare normalmente. Trattarsi forse con più riguardo e gentilezza del solito, ma senza più davvero menzionare quel bacio. O quello che avrebbe dovuto seguirne. E quindi si sentiva giustificato a non avere un vero e proprio confronto con la sua coscienza. O con lei.

L’accompagnava a lavoro, quando era di turno la sera, passava a trovarla in aula di tanto in tanto. Era forse quello l’obbligo che aveva il terrore di dover assecondare? Però gli faceva piacere farlo e vederla lo metteva di buon umore. Era quello a fare la differenza?

 

Perso nei suoi pensieri, non si era accorto di aver lasciato indietro Chopper. Per l’ennesima volta.

Era da un paio di domeniche che il ragazzo chiedeva di seguirlo durante le sue corsette mattutine sulla spiaggia, perché si era stupidamente messo in testa di perdere peso. Di buttare giù quella pancetta che, a suo dire, lo faceva sembrare un bambino più che un gagliardo quindicenne. Zoro gli aveva risposto che non era una corsa a fare la differenza, ma la quantità di dolci che trangugiava senza discernimento tutti i giorni. Chopper lo aveva comunque implorato di fargli da personal trainer.

«Aspetta!» gli gridò dietro improvvisamente. Il flusso di paranoie interrotto. Si chiese se non dovesse ringraziarlo, se non altro mentalmente.

Si fermò a metà strada, aspettandolo.

«Già stanco?» lo rimbrottò con aria benevola. Non gli riusciva di essere gratuitamente crudele con Chopper. Nemmeno quando interrompeva così i suoi allenamenti domenicali. Già consapevole di doverli prolungare una volta congedato il piccoletto.

«No. N-non sono stanco» sembrava volersi dimostrare in grado di tenere il suo passo, ma era chiaramente in difficoltà. Il fiato corto, il viso estremamente arrossato, i capelli fradici che gli ricadevano sulla fronte come una specie di pelliccia.

«Sembri un tanuki sbronzo…» lo schernì una volta che lo ebbe raggiunto. Si preoccupò di scompigliargli i capelli e liberargli gli occhi.

«Non sono un tanuki!» sbroccò questo, assecondando però la premura, per poi ridimensionarsi immediatamente e risparmiare il fiato, «Okay, forse se potessimo fermarci per un minuto o due…»

«Non dovremmo» gli rispose Zoro, «possiamo proseguire l’allenamento camminando, però.»

Chopper inspirò a fondo, annuendo con una certa convinzione.

«D’accordo!» si preoccupò di mostrarsi pronto a non darsi per vinto.

«Andrà meglio quando avrai spezzato il fiato…» cercò di rassicurarlo, «sei proprio fuori allenamento.»

«È quello che mi dice sempre il professor Jimbe, di educazione fisica.»

«L'ex professionista di Sumo? Allora vale doppio.»

«Già…» sospirò Chopper, «vorrei solo non avere il fiatone ogni volta che faccio le scale»

«Ci arriverai, abbi fede…» gli diede un buffetto sulla schiena.

«Per quello ho chiesto a te!»

La sua incrollabile fede nei suoi riguardi era sempre piuttosto commovente. Non era convinto di meritarsela ma cercava in qualche modo di soddisfarla. Teneva a Chopper come avrebbe tenuto a un fratello minore. Al contrario del rapporto che aveva con gli altri, con Chopper gli veniva spontaneo mostrare un atteggiamento dichiaratamente protettivo e perché no, affettuoso.

Chopper si era tolto le scarpe a un certo punto della passeggiata e Zoro aveva fatto lo stesso.

Doveva ammettere che un allenamento simile forse non gli avrebbe fatto guadagnare punti muscoli, ma di certo faceva bene allo spirito. I piedi liberi, la sabbia fra le dita e l’acqua a lambire la pelle. Una sensazione confortante.

«Zoro…» la voce di Chopper sembrava tornata a livelli normali. L’emergenza fiato rientrata.

Si volse appena a guardarlo, dalla sua altezza non riusciva a cogliere appieno la sua espressione.

«Posso farti una domanda?»

Da quando in qua si faceva scrupoli?

«Se me lo chiedi così…»

«Sì, bé, è che potrebbero non essere fatti miei.»

Zoro rimase in silenzio per permettergli di continuare, la sensazione di conoscere già la natura della domanda.

«Tu e Nami state insieme, ora?»

Esattamente ciò che si era aspettato di sentire. Dopo la scioccante e affatto prevista rivelazione della settimana prima, sul tetto della scuola, Chopper non aveva fatto più domande. In realtà non c’erano state grandi spiegazioni, solo la conferma che con la sua confessione a Rufy non lo stesse prendendo in giro.

A sua discolpa nessuno aveva fatto menzione della cosa, nemmeno quell’esagitato di Sanji, che si era limitato a scoccargli occhiate sempre più minacciose nell’arco della settimana. O a sussurrargli, al passaggio, diverse frasi che suonavano più o meno come: un passo falso e ti faccio fuori. Niente di nuovo, comunque.

Quando erano tutti insieme poi, gli altri non sembravano essere al corrente di nulla o semplicemente attendevano sviluppi significativi con pazienza.

Zoro dovette rifletterci un attimo. Non era una domanda facile, non poteva dare una risposta superficiale.

«Non ne abbiamo parlato» decise di restare sul vago. Il che non era una bugia. Non ne avevano davvero parlato e in realtà la possibilità gli metteva una certa apprensione. Perché lui stesso non era certo di cosa avrebbe potuto rispondere se Nami gli avesse posto lo stesso identico quesito.

«Sì, ma… lei ti piace, no?»

Questa era una risposta facile.

«Sì, certo che mi piace» come persona, come compagna, come amica. Su quello non aveva alcun dubbio.

«D’accordo, ma io intendo: ti piace, piace, giusto? Ti piaaaaaaaaace» allungò la vocale, cercando di dimostrare in che modo Nami dovesse piacergli.

Nemmeno su questo si sentì di mentirgli o dargli una risposta confortante per placarlo.

«A dire il vero sto cercando di capirlo» disse, e in quel momento Chopper si fermò.

«Stai dicendo che vi siete baciati ma non sai se Nami ti piace in quel senso?» allargò le braccia, come se non fosse accettabile una risposta di quel genere.

Zoro avvertì di nuovo il senso di colpa attanagliarlo, in maniera tutt'altro che piacevole.

«No, sto dicendo che...» come faceva a spiegare a Chopper che non poteva essere tutto bianco o tutto nero? E che poteva esistere un certo tipo di attrattiva, senza coinvolgimento romantico? Si sorprese persino del pensiero, dato che non poteva certo dirsi il massimo esperto in quel settore. Era certo che Sanji sarebbe stato in grado di tenere un'intera lezione, a riguardo.

«Sto dicendo... che sto cercando di capire come mandare avanti questa cosa», preferibilmente senza danni.

«Se tu e Nami doveste litigare questa volta sarebbe per davvero!» esclamò tutto d’un tratto Chopper «Non potrei mai sopportare l'idea di non vedervi più assieme o che non parliate mai più o...»

«Ehi, frena! Frena, Chopper», disse accucciandoglisi di fronte, prendendolo per le spalle. Il suo trasporto era così sincero e la sua espressione così addolorata che sentì lui stesso una sottospecie di morsa allo stomaco.

«Non ho intenzione di combinare disastri. E sono sicuro che in qualsiasi modo di svilupperà questa cosa, Nami ed io continueremo e restare amici. Farò di tutto perché non succeda l'irreparabile», cercò di tranquillizzarlo e forse persino di tranquillizzare se stesso, «ci tengo molto a lei. Davvero molto»

Nel dirlo si rese conto che era così vero da fare male. E che forse era la prima volta che lo esternava così apertamente. Per quello doveva andarci coi piedi di piombo, per quello doveva essere sicuro di quello che stava facendo. Non poteva assecondare un obbligo, e non poteva, di contro, minimizzare il fatto che potesse davvero provare per lei qualcosa di diverso dall'amicizia. Doveva capire se stesso e doveva farlo in fretta.

«Davvero?»

Zoro sorrise.

«Davvero» si rimise in piedi, dandogli un buffetto sotto al mento. «Adesso riprendiamo a correre o hai intenzione di fingere di voler conversare per non finire l'allenamento?»

«Voglio correre!» si rianimò con una certa rapidità.

Non gli servì spronarlo oltre.

 

-

 

Il dubbio amletico della mattinata di Nami era se sistemare lo scaffale dell'usato in ordine alfabetico per autore... o per argomento e autore. Nel secondo caso sarebbe stato un lavoro doppio. Ma di certo le avrebbe tenuta impegnata la mente molto più a lungo.

La cosa interessante era che Genzo le aveva dato carta bianca a riguardo. Si era detto così soddisfatto del suo lavoro che aveva deciso di darle alcune responsabilità nell'allestimento. Cosa che l'aveva oltremodo lusingata ma che l'aveva costretta a interrogarsi se fosse davvero ponta per quel salto di qualità. Oppure semplicemente Genzo era pigro e preferiva delegare.

Di certo quel lavoro le avrebbe impegnato tutta la mattinata. Se non oltre.

Così i minuti passavano, fra un autore russo dal nome impronunciabile, a un pensiero imprigionato nella penombra di un'aula audiovisivi. Fra un argomento che poteva essere una via di mezzo fra cucina e giardinaggio, alla rievocazione del sapore di un bacio.

Si era sentita avvampare improvvisamente e a più riprese nei giorni precedenti, al ricordo di quello che era successo nemmeno una settimana prima. Si era persino chiesta se fosse successo davvero. Il fatto che non avessero mai più toccato l'argomento, lei e Zoro, aveva determinato quell'evento come qualcosa di sospeso nel tempo. Intoccabile. Sì, era vero che gli atteggiamenti erano impercettibilmente cambiati, che Zoro le sembrava più attento e gentile nei suoi confronti, ma questo costante camminare sui vetri stava cominciando a darle un tantino sui nervi. Possibile che nessuno dei due trovasse il coraggio di dire le cose come stavano? In che modo era evoluto il loro rapporto? Cosa erano diventati? Cosa si aspettavano di diventare? Dovevano davvero diventare... qualcosa? Di diverso da quello che erano, s'intende.

La verità era che Nami non vedeva l'ora accadesse di nuovo. Baciarlo. Ed essere baciata. Perché sì, le era piaciuto. E le era piaciuto in modo tutt'altro che svenevole. Le era piaciuto in senso fisico, impudico, le era piaciuto tanto da chiedersi come avesse fatto a metterci tanto per darsi una scrollata di dosso in quel senso.

La stupida danza del girarci attorno, dei corteggiamenti senza senso, delle etichette che le coppie erano solite darsi per determinare qualcosa di ben specifico... era qualcosa che non le s'addiceva. Certo, se Zoro avesse proposto delle alternative lo avrebbe preso in considerazione. Zoro le piaceva davvero molto. Ma non era disposta a sacrificare la loro amicizia in nome di un indefinito rapporto ibrido che non portava da nessuna parte, che anzi, sembrava aver compromesso quella loro spontaneità. Quella che le piaceva tanto, che la faceva sentire viva.

Avrebbe voluto baciarlo di nuovo e al diavolo le etichette.

Se ne stava così, seduta sul suo trespolo a fantasticare sull'alfabeto e lasciar vagare la mente sulle scelte impulsive che le avevano aperto un mondo enorme e pieno di possibilità, che non si accorse dell'ingresso di un nuovo acquirente.

Sentì per poco solo le voci sommesse di sotto e poi delle risate.

Genzo doveva aver trovato pane per i suoi denti.

Si volse appena, sbirciando dalla ringhiera dall'alto della sua posizione privilegiata, solo per rendersi conto che il nuovo acquirente non era nient'altro che sua madre e che quello che stava ridendo in modo piuttosto accondiscendente altri non era che Genzo.

Fece per richiamare la madre e farsi notare, nel momento più alto della sua carriera, quando le sembrò di intromettersi in qualcosa di piuttosto intimo.

Parlottavano così vicini che sembravano due ragazzini alla loro prima cotta. Genzo non osava quasi guardarla, Bellmer lo affrontava, spavalda ma con un sorriso che era certa di non averle mai visto.

Forse fu la nuova consapevolezza di se stessa, della complessità dei suoi sentimenti, del portale che si era spalancato nel suo subconscio al suo primo bacio, che comprese che c'era qualcosa di molto complesso in atto: a Genzo piaceva sua madre. E la cosa doveva essere reciproca.

Per poco non si lasciò sfuggire di mano il libro che stava cercando di sistemare. Lo posò con delicatezza e si ritrasse, indecisa se indagare oltre o tossire e palesare la sua presenza.

Ora diversi nodi cominciavano a venire al pettine: il fatto che sua madre avesse parlato così tante volte di lei a Genzo, del fatto che Genzo ci avesse tenuto a sottolineare spesso che no, ancora era scapolo, ma la vita riservava sempre grosse sorprese a qualsiasi età. Al fatto che Bellmer di tanto in tanto avesse ripreso a truccarsi e almeno una volta a settimana uscisse la sera... e il giorno successivo Genzo ci tenesse a dire che aveva fatto le ore piccole.

Sua madre e il suo principale uscivano insieme ed erano forse... innamorati? Da quanto tempo andava avanti? E cosa più importante: come la faceva sentire questa cosa? Confusa, stranita... un po' tradita? Non che pensasse che sua madre non meritasse di rifarsi una vita ma perché non gliene aveva parlato?

Si diede una librata in fronte, a punirsi di essere giunta a conclusioni affrettate. Non poteva esserne certa e non poteva giudicare la cosa senza prima aver dato a sua madre la possibilità di darle spiegazioni.

E poi in fondo... nemmeno lei aveva detto a qualcuno in famiglia che aveva infilato la lingua in bocca, in modo del tutto inappropriato, a quel suo amico che sua madre e sua sorella chiamavano il samurai. Per via del kendo, certo, ma pure per via di quella sua espressione sempre troppo seriosa. Quindi come poteva rimproverare a sua madre di non averle parlato di... Genzo?

Sospirò esasperata, chiedendosi come sua madre potesse anche solo pensare di baciare qualcuno con quei baffi. Il pensiero la disgustò a tal punto da decidere che avrebbe continuato a lavorare in silenzio, finché non si sarebbero ricordati di lei.

 

-

 

Zoro aveva appena finito di fare la doccia. Dopo aver mollato Chopper aveva deciso di allungare il percorso di una mezz'ora; a passo sostenuto e con il caldo del sole primaverile aveva faticato più del solito.

Si era concesso una colazione abbondante, in completa solitudine, solo per scoprire che Koshiro aveva passato l'intera mattinata rinchiuso al dojo, a giudicare dai rumori che provenivano da lì.

Aveva deciso di lasciarlo ai suoi allenamenti, finché non si era reso conto che i rumori erano cessati da un pezzo e l'uomo non riemergeva.

Si spinse fino alla palestra, deciso a dare solo una sbirciata, quando la porta scorrevole venne bruscamente aperta da qualcuno che chiaramente non era Koshiro.

Un ragazzo più grande di lui, dalla carnagione chiara, capelli scuri e un paio di impressionanti occhiaie a cerchiargli gli occhi. Quando il tizio alzò una mano per scusarsi di averlo preso alla sprovvista si rese conto che sfoggiava uno sfacciato tatuaggio sul dorso della mano. E altrettante lettere tatuate sulle dita.

«Scusa, non sapevo fossi qui dietro» disse con voce ferma e vagamente scocciata, decidendo di scansarlo e superarlo, senza ulteriori spiegazioni.

Zoro avrebbe voluto chiedergli molto poco signorilmente chi diamine fosse, ma la voce di Koshiro all'interno, riconoscendolo, lo richiamò prima ancora che potesse mettere in atto i suoi propositi.

Entrò nel dojo che puzzava vagamente di fatica e sudore. Sembrava che i due si fossero allenati assieme.

«Non sapevo avessi compagnia...» disse, cercando spiegazioni, senza dovergliele estorcere esplicitamente.

Koshiro si limitò a sorridere e sistemare gli shinai al loro posto, sulle pareti.

«Contavo di parlartene più tardi. Hai fatto colazione?» si preoccupò. Come al solito prima la sua salute.

«Sì... certo» gli rispose, vagamente perplesso e con una sgradevole sensazione di déjà-vu. Dove aveva già vissuto una situazione simile? Ah sì, quando quella nerd di Tashigi si era presentata al dojo, implorando il suo maestro ad allenare anche lei.

«Non dirmi che anche quello è venuto qui per estorcerti lezioni» gli venne spontaneo chiedergli, prima ancora di pensare.

Koshiro si prese tutto il tempo di sistemare le ultime cose in palestra, decidendosi poi a raggiungerlo accanto all'ingresso.

«No. Nessun tentativo di estorsione», sembrò deridere il termine alquanto azzardato, «sono stato io ad invitarlo per un allenamento e un colloquio»

«Un colloquio per cosa?» chiese, piuttosto perplesso della piega della situazione.

«Ho pensato che fosse arrivato il momento di avere un nuovo allenatore al dojo, da solo non riesco più a gestire tutto. E per di più, ho pensato di farti cambiare partner di allenamenti, Zoro»

Aveva capito male o cosa?

«Chi? Quel vampiro tatuato?»

Koshiro rise apertamente al suo livore.

«No, sul serio. E Tashigi che fine fa?»

«Tashigi continuerà ad allenarsi con noi. Ma non sarà più il tuo riferimento per le prossime settimane»

Zoro si sentì vagamente sconcertato. Che diavolo era preso di nuovo a Koshiro? Cos'era quest'improvvisa e repentina apertura al mondo esterno? Quale cavolo era il suo piano, adesso? Certo, si era imposto di fidarsi di lui e dei suoi metodi, ma gli risultava difficile se non gli diceva le cose, se non gli parlava mai delle sue intenzioni.

«E sentiamo, che cosa avrebbe questo tizio che Tashigi non ha?»

Koshiro sorrise di nuovo, recuperando il suo serafico contegno.

«Il caos» disse.

Gli picchiettò una mano sulla spalla, prima di superarlo a sua volta.

«Comincia la prossima settimana. Hai tempo per abituarti all'idea»

Zoro si sentì fremere con qualcosa di molto simile all'irritazione ma si impose, ancora una volta, di soffocarla. Non voleva ricadere nello stesso errore in cui era caduto la prima volta con Tashigi. Doveva fidarsi.

«Posso almeno sapere chi è? Da dove viene, come si chiama?»

«Oh sì. Il suo nome è Trafalgar Law. Un ottimo kendoka. Frequenta l'università cittadina. Ti divertirai un sacco, ne sono sicuro»

Trafalgar Law, aveva detto? Dove aveva già sentito quel nome?

 

-

 

Il lunedì successivo Zoro non aveva fatto altro che assumere un atteggiamento indisponente. Persino Sanji se ne era tenuto alla larga per tutta la durata delle lezioni.

In pausa pranzo Rufy si era sorbito i suoi sproloqui su questo universitario dall'aria spocchiosa che non vedeva l'ora di prendere virtualmente a calci, durante i prossimi allenamenti. Al contrario di Zoro la cosa aveva animato Rufy positivamente. Probabilmente non riusciva a capire cosa ci fosse di così fastidioso nel trovare un nuovo, imprevedibile avversario. Zoro non era propriamente contrario a quell'atteggiamento e dopo una buona ora di dibattito era arrivato alla conclusione che forse l'irritazione per l'arrivo di un nuovo intruso al dojo, andava di pari passo con l'eccitazione in previsione di una nuova sfida. Dannato Rufy e quel suo entusiasmo.

 

Nami aveva avuto la riprova della concitazione di Zoro quello stesso pomeriggio. Era passato a trovarla alla fine delle lezioni, come da consuetudine, da qualche giorno a quella parte.

Si era offerto di accompagnarla quando gli aveva detto che avrebbe dovuto portare delle fotocopie nell'aula di musica, su commissione della professoressa, per la lezione del giorno successivo. E si era sorbita altrettanti sproloqui. Zoro non era mai stato tanto loquace.

Sorrise persino dei fantasiosi epiteti che sembrava aver trovato per quel Law. La cosa positiva era che questa volta si era preoccupato di raccontarglielo e non aveva dovuto scoprire dell'ennesimo novità al dojo per vie traverse. In quel caso magari avrebbe frainteso persino il suo rapporto con il nuovo arrivato. La cosa le strappò una risata non prevista.

«Che hai da ridere?» le domandò aprendole la porta dell'aula, facendola passare in un gesto di galanteria non richiesto, ma che Nami non si preoccupò di rifiutare.

«Niente. Sembra che tu abbia trovato un’altra nemesi»

«Chi? Quello yakuza mancato? Non diciamo cazzate»

Nami avvicinò la cattedra e sistemò le copie degli spartiti accanto al leggio.

«Vampiro, ronin fuoricorso, settimana enigmistica, yakuza...» elencò divertita «gli altri modi in cui lo hai chiamato me li sono scordati. Però è la prima volta che sento tanta dedizione nel trovare nomignoli a qualcuno di cui non ti importa nulla. Sanji potrebbe essere geloso»

Zoro fece schioccare la lingua innervosito ma Nami sapeva di aver colto nel segno.

«Ti prendo in giro, dai» ci tenne a precisare, non era proprio dell'umore adatto per discutere.

«Okay, forse non dovevo parlare così tanto di questo tizio» Zoro si limitò ad appellarlo in modo piuttosto neutro.

«Ah, non devi trattenerti, ti ascolto volentieri» gli disse, appoggiandosi alla scrivania, incrociando le braccia al petto, come a invogliarlo a continuare. Fuori dall'aula il vociare della squadra di calcio, al campo lì vicino.

«No, ho finito» concluse intransigente, restando fermo sul posto.

Nami si maledisse un po' per aver interrotto il momento con una puntualizzazione idiota.

«Okay, allora adesso tocca a me...» disse, cercando disperatamente un qualsiasi argomento di conversazione. Non voleva far morire la cosa come stava succedendo un po' troppo spesso negli ultimi giorni. Esauriti i momenti di chiacchiere generiche finivano per crearsi imbarazzanti silenzi. Era sempre stata abituata a restare in silenzio con Zoro, ma quelli che avevano sperimentato di recente non nascevano dall'agio, ma dal puro semplice impaccio di cose non dette.

«Credo che mia madre stia frequentando qualcuno»

Zoro alzò uno sguardo su di lei, un po' sorpreso dalla confidenza, ma forse non dalla rivelazione.

«Tua madre è ancora giovane» sembrò dare il suo benestare alla faccenda, avvicinandola alla cattedra.

«Sì, lo è» sospirò consapevole.

«Non ti piace l'idea che si rifaccia una vita?» le domandò più schiettamente.

Nami si strinse nelle spalle. Zoro una volta le aveva confidato che gli sembrava strano che Koshiro non avesse mai pensato a rifarsi una famiglia. L'idea sembrava terrorizzarlo, da una parte. Ma le aveva detto che si era sentito un egoista a credere che avere solo lui, come famiglia, potesse davvero bastargli. La possibilità però non si era mai concretizzata e Zoro non aveva più toccato l'argomento. Perciò Nami non si sorprese che... capisse.

«In realtà ero sicura sarebbe capitato, prima o poi» gli lanciò uno sguardo arreso, «solo non mi aspettavo fosse proprio con il mio capo»

Zoro sgranò gli occhi.

«Arlong?!» esclamò con aria da scemo e per un attimo Nami si ritrasse spaventata.

«No, cretino, Genzo!» gli disse, dandogli una sberla in fronte. Come poteva essere rimasto tanto indietro? E sì che l'aveva persino accompagnata alla libreria una volta. Certo, a Genzo non lo aveva presentato. In che modo avrebbe dovuto farlo? Ti presento un amico? Il mio ragazzo? Il mio... coso? Quante stupidaggini.

«Oh, sì, giusto. È che ancora sogno quei panini»

«Se non la finisci di lodare i panini di Arlong ti porto da lui e gli chiedo di farti suo schiavo. Gli piacerebbe»

Zoro le rispose con un'espressione schifata, poggiandosi alla cattedra.

«Non sapevo avesse tendenze sadiche»

«Oh, non credo si possano elencare in un intero manuale le tendenze di quel pazzoide, credimi»

«Perché, ha mai azzardato qualcosa... ?» le domandò, osservandola. Nami si rese conto che le stava chiedendo, in modo tutt'altro che velato, se avesse osato tentare qualcosa di poco carino... con lei.

«No», preferì stroncare sul nascere qualsiasi dubbio, «con me faceva solo lo stronzo. Ma grazie per averlo chiesto»

«Non lo avrei risparmiato per degli stupidi panini, questa volta»

Nami sorrise.

«Oh, mio cavaliere...»

«Piantala»

Nami osservò la mano che lui aveva posato sulla cattedra. Una mano grande che non aveva mai davvero considerato come parte del corpo particolarmente attraente, ma che ora sembrava essere messa lì per essere ammirata. E per un attimo sentì il desiderio di stringerla. Poteva farlo certo, ma poi che cosa sarebbe successo? Che cosa gli avrebbe detto per giustificare quel gesto? Sai, Zoro, era lì e l'ho trovata così sexy che mi è venuta voglia di toccarla.

«Che stai guardando?» le chiese all'improvviso, distogliendola dai pensieri indecenti sulla sua... mano.

«Niente. Pensavo.»

«A cosa?» Zoro sollevò la mano come si fosse reso conto che, quella parte specifica, fosse in realtà l'obiettivo delle sue perversioni.

«Al fatto che vorrei baciarti di nuovo» le uscì, seguendo un flusso tutt'altro che logico. O coerente. O composto.

Era già pronta a ritrattare o buttarla sul ridere, quando incrociò di nuovo il suo sguardo. E la tentazione di smentire i suoi propositi morì esattamente in quell'istante.

Sentì proprio quella mano perversa, afferrarle il viso e attirarla a sé. Quello successivo di nuovo la sensazione delle sue labbra sulle proprie. E tutto il resto trovò l'incastro perfetto, così come era successo l'ultima e unica volta. Accolse quel bacio come una vittoria, un lenitivo che finalmente le diede sollievo.

Si sollevò sulla punta dei piedi per raggiungerlo, le braccia che gli finivano sulle spalle, le mani ad afferrargli i capelli, finalmente.

Finalmente.

 

Zoro dovette rivedere alcune delle sue considerazioni del fine settimana. O a ridimensionare le paranoie.

Nel momento esatto in cui Nami aveva dichiarato di volerlo baciare, si era reso conto che era esattamente ciò che desiderava anche lui. Che lo aveva desiderato molto negli ultimi giorni ma aveva cercato di non pensarci, per rispetto, o vai a capire per quale altro motivo idiota.

Nami lo aveva costretto a piegarsi in modo innaturale pur di raggiungerlo e lui non era riuscito a pensare a una protesta. Gli stava ancora tirando i capelli e, invece di insultarla, continuava a baciarla.

Significava che quello che Nami gli stava facendo gli piaceva? O era solo Nami a piacergli? La risposta probabilmente era sì a entrambe le domande. E gli piaceva tanto da essere disposto ad essere scoperto, in una sperduta aula di musica dell'ala ovest della scuola, aggrovigliati come radici di mangrovia.

Era necessario indagare che nome dare alla natura dello sviluppo del loro rapporto? Probabilmente no. E se anche fosse, al momento non era sicuro avrebbe avuto la lucidità necessaria per pensare ai termini esatti.

Perché quello non era esattamente la replica di quel timido, timoroso bacio nell'aula di audiovisivi. Forse era l'atmosfera dell'aula di musica e le note imprigionate in quelle pareti, ma gli sembrava di sentire casse rullanti al posto del cuore e poi un po' più giù, dove non era gradito specificare.

 

Quando si vide costretta a riprendere fiato, Nami sentì immediatamente la mancanza delle sue labbra. Teneva ancora gli occhi chiusi e avvertiva vicinissimo il suo respiro caldo, la fronte poggiata alla sua, come non sapessero più come sorreggerla, altrimenti.

Socchiuse gli occhi quando ritrovò il coraggio per farlo. La paura di disintegrare un attimo tanto speciale. Osservò le sue labbra, umide e arrossate, si chiese se anche le proprie avessero quell'aspetto. Le sfiorò con un dito, curiosa di saggiarne la consistenza in modo tattile. Zoro aveva le labbra sottili, le piacevano.

Quando il battito accelerato del suo cuore sembrò placarsi gli posò un altro paio di baci leggeri sulle labbra e poi all'angolo della bocca, come non ne avesse davvero avuto abbastanza, ma consapevole che non avrebbero potuto continuare ancora a lungo.

Fosse stato e possibile lo avrebbe baciato fino a consumargliele quelle labbra. Si chiese quanto le fosse concesso prendersi di lui, prima di risultare egoista.

«Possiamo non aspettare un'altra settimana prima di rifarlo?» le uscì in una nota un po' scordata. La voce che era andata a farsi benedire così come il suo equilibrio.

Lo guardò annuire, sentendosi liberata di un peso. Si erano ripromessi di dirsi tutto, o quasi, perché diavolo ci ricascavano sempre in quella danza sui cocci?

Si era persino resa conto di aver artigliato con una mano la camicia e avergliela sgualcita. Fece una smorfia e cercò di lisciarla all'altezza del petto, senza rendersi conto di far peggio che meglio.

«Se non la smetti di toccarmi così va a finire male» lo sentì pronunciare e per poco non le andò di traverso la saliva. Esplose in una risata liberatoria.

«Ci siamo ritrovati in situazioni più imbarazzanti, in passato» si preoccupò di dirgli, non senza quel vago senso di imbarazzo che ancora permeava la scena. La mano la lasciò scivolare via, per evitare di alimentare la faccenda.

«Vero, ma in passato non c’era mai stata la tua lingua ad esplorarmi i denti»

Nami si sentì avvampare.

«Zoro l'odontoiatra!» gli tirò un pugno in pancia, facendolo arretrare. Sebbene non fosse stato un campione di delicatezza non poté che ringraziarlo per aver di nuovo alleggerito l'atmosfera.

«Credevo ti fossi addolcita» protestò, massaggiandosi la parte colpita.

«Per questo?» alluse indicando le proprie labbra, «ci vuole altro per addolcirmi. Tipo offrirmi un gelato.»

«Tipo ora?»

«Tipo quando usciremo da scuola, sì»

«Okay...» la squadrò pensieroso, «tipo un... appuntamento?»

«Un cosa... ?» sbloccò una risata.

«Lascia perdere. Va bene»

«Vuoi che ti chieda un appuntamento?» insistette lei perché improvvisamente la storia stava diventando interessante, ed estremamente divertente.

«Non lo so, forse dovrei farlo io.»

«Dovresti, certo...» gli rispose, sarcasticamente «e dovresti prima chiedere a mia madre il permesso di poterlo fare. Anzi... in realtà, visto che ci siamo già baciati, non credi sia il caso di capire quando fissare la data del matrimonio? A me piace l'estate, ma possiamo arrivare a un compromesso...»

«Piantala»

Si rese conto che le piaceva vederlo in imbarazzo. Ed era certa che quella premura non fosse nemmeno farina del suo sacco. Chissà chi gli aveva fatto credere di dover fare le cose per bene, con lei.

«È così facile prenderti in giro, non è nemmeno divertente» sorrise, dandogli tregua. Allungò di nuovo le mani, attirandolo a sé per quella camicia, che era già sgualcita, perciò tanto valeva.

«Non ho bisogno di un appuntamento. Se a te piace passare del tempo con me, a me piace fare altrettanto... insomma, c'è bisogno di formalizzarlo?»

Zoro si strinse nelle spalle.

«Vorresti sentirmi dire che sono la tua ragazza?» gli sussurrò, pentendosene immediatamente. Le sembrava veramente stupido detto a quella maniera. Le sembrava di sminuirlo.

«Non vorrei che dicessi proprio un bel niente...» rispose lui, guardandola dritta negli occhi, «non sei... mia, in un bel niente. Ma… non lo so. Io... credo solo cominci a piacermi quello che siamo insieme»

Ora sì che lo sfarfallio allo stomaco aveva davvero trovato ragion d'essere.

«Piace anche a me...» gli rispose in un soffio.

Non dovette specificare, questa volta, di volere un altro dei suoi lunghi baci.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 

Capitolo 12.

 

Le vacanze primaverili erano giunte rapide e quasi inaspettate.

E con loro la fine di un anno scolastico che di scontato non aveva avuto proprio un bel niente.

Al pensiero che ad aprile sarebbe iniziata la loro ultima avventura da liceali, Nami non voleva dar eccessivo peso. La sua nuova filosofia di vita era quella di prendere le cose come stavano, e lasciarle scorrere, senza preoccuparsi eccessivamente del futuro. Era iniziato tutto con Arlong e la decisione di dargli il benservito, senza sapere che cosa avrebbe fatto dopo, ed era proseguita con l'accettazione dei propri sentimenti per Zoro e tutto ciò che ne era seguito. Avrebbe accolto il resto con lo stesso trasporto.

Si erano salutati tutti sui cancelli di scuola, fra abbracci, vaga commozione e la promessa di vedersi durante la pausa primaverile.

Una volta terminati i convenevoli aveva trascinato via Zoro, con una scusa, per potergli dare il suo personalissimo arrivederci, nel chiaroscuro di un vicolo e portarsi via il ricordo per l'intero fine settimana.
 

Quel primo sabato di vacanza era andata a lavoro e Genzo le aveva chiesto di sistemare le vetrine, mentre lui si sarebbe occupato della clientela e dei nuovi ordini in arrivo. Era in bilico su una scala e stava sistemando un paio di girandole color dei fiori di ciliegio, quando per poco non cadde in maniera rocambolesca. Di fronte a lei, la faccia deforme, spiaccicata contro il vetro, di quello che solo molto dopo riconobbe come quel disgraziato di Rufy.

«Cretino!» gridò una volta ricomposta, aggrappata alla scala traballante come ne andasse della sua stessa vita. Il ragazzo scoppiò a ridere, tenendo le mani sulla pancia in una grottesca maschera del divertimento.

Gli fece solo un cenno, prima di invitarlo a entrare nel negozio. Nami finì di appendere le ultime decorazioni e lo raggiunse, portandosi via la scaletta pieghevole.

«Che cosa ci fai qui?» gli chiese, mentre Genzo veniva verso di loro con aria curiosa.

«Mi annoiavo, sono passato a salutarti e vedere se avevi finito»

«E a farmi prendere un colpo. Sto lavorando, scemo» gli diede un buffetto in fronte, voltandosi poi verso il suo datore di lavoro.

«Un amico di Nami?» lo appellò questi con un sorriso cordiale.

«Precisamente!» confermò il ragazzo, portandosi entrambe le mani ai fianchi, in una posa spavalda «e tu hai dei baffi veramente...» Nami per un attimo temette il peggio «... pazzeschi!»

Genzo rimase interdetto per qualche secondo, scoppiando poi a ridere.

«E tu hai buon gusto, ragazzo mio.»

«Rufy, mi chiamo Rufy» precisò con una punta di orgoglio. Poiché ragazzo mio non era esattamente il modo in cui gradiva farsi chiamare, in genere. Era orgoglioso del suo nome.

«Ed io sono Genzo, il proprietario di questo posto»

«Ooooh, ma allora sei il nuovo capo di Nami! Ehi, Nami! Non scherzavi quando dicevi che sembrava uno dei pesci gatto che cucinava Arlon-»

Nami dovette tappargli la bocca, perché i commenti che aveva fatto, in separata sede su Genzo, preferiva rimanessero fra loro.

«Gradirei continuare a lavorare in questo posto» gli sibilò a un orecchio, guardandolo annuire, placato da quell'attacco. Lo lasciò andare solo quando fu certa che non avrebbe aperto più bocca. Non sull'argomento almeno.

Genzo li osservava curioso e Nami si chiese se conoscesse i suoi trascorsi lavorativi. Frequentava sua madre, dopotutto (o così ormai si era convinta facesse), e qualcosa sicuro si erano detti. Ma lui sembrò accettare quell'interruzione senza soffermarcisi.

«Se hai finito con la vetrina, ti congedo. Dubito che per oggi arriveranno troppi clienti, ormai. E fra poco chiudiamo»

«Sei sicuro? Rufy può aspettare.»

«No, non posso. Mi sto annoiando a morte»

Nami alzò gli occhi al soffitto, tirandogli una manata sulla nuca, ma li riabbassò immediatamente, alla rinnovata risata di Genzo.

«Non sia mai che io faccia morir di noia un tuo amico. Andate. Divertitevi, sono pur sempre vacanze.»

Nami ringraziò Genzo per averle abbonato un paio d'ore di lavoro e si trascinò via Rufy, prima che commettesse qualche altra sbruffonata delle sue.

«Sei veramente un imbecille. Non potevi andare a rompere le scatole a Usop?» il primo nome che le venne in mente.

«Usop oggi è uscito con la sua amica Kaya»

«Bè, potevi andare da chiunque altro»

«Ma io volevo venire da te...»

La sua ammissione fu così innocente che Nami non riuscì ad obiettare alcunché.

«Visto che ora siamo qui... che hai voglia di fare?»

«Pensavo di andare a trovare Zoro»

«Scusa... ?» le venne da ridere. Era la giornata mondiale del Rufy molesto? «Zoro oggi è impegnato con gli allenamenti» era certa che persino lui ne fosse al corrente.

«Sì, ma è anche il primo giorno in cui si allena con quello strano tizio che ha cominciato a lavorare al dojo.»

Nami sgranò gli occhi, sorpresa di essersene in qualche modo dimenticata.

«Non sei curiosa di vedere chi è?»

Lo era? Molto probabilmente sì, ma d'altro canto l'idea di andare a interferire con una realtà che Zoro condivideva con loro raramente la metteva un po' in difficoltà.

«Forse dovrebbe essere lui a parlarcene, non so se-»

«Ah, stronzate» la interruppe bruscamente Rufy «Lo sai che Zoro non ci racconta quasi mai un bel niente di queste cose, è già tanto che ci abbia parlato di questo tizio o che mi abbia detto che vi siete baciati»

Nami si sentì avvampare, non era certo quella la deviazione che si aspettava dalla conversazione. Era sorpresa che Zoro ne avesse parlato con Rufy. Si chiese in che termini lo avesse fatto, si chiese come fosse avvenuta quella conversazione. O forse no, forse, data la natura dei due soggetti, preferiva non scoprirlo mai.

«Bè, non è esattamente la stessa... cosa...» farfugliò in risposta, infastidita dal sentirsi così in imbarazzo.

«Sì che lo è. Le cose che per lui contano davvero se le tiene ben strette»

Nami si volse a guardarlo, ma per Rufy sembrò la constatazione più naturale dell'universo. Forse nemmeno si era reso conto di aver detto una grande verità, su uno dei suoi migliori amici.

«Perciò, dato che ci ha già raccontato di questo marinaio zombie, non può arrabbiarsi se andiamo a sbirciare un pochino».

Nami sorrise.

«E andiamo a vedere questo teppista senza vitamina D, allora» gli concesse. Ormai quel Law era segnato. Avrebbe ricevuto più epiteti di Sanji.

 

Fu Koshiro ad accoglierli, sulla soglia di casa. Quel sorriso benevolo, caloroso, tutt'altro che di cortesia, ma sincero.

«I ragazzi non hanno ancora terminato i loro allenamenti» disse «Ma potete assistere se vi fa piacere. Oggi sono in cortile, il tempo è clemente in questi giorni»

Nami scoccò a Rufy un'occhiata incerta. Era la prima volta che varcava la soglia di quella casa in un momento tanto solenne.

In realtà era molto raro anche solo varcare... la soglia di quell'abitazione. Il tempio inespugnabile ed estremamente riservato della vita di Zoro.

«Potremmo anche aspettare che finisca...» decise di esporsi, cercando consenso nel ragazzo che le stava di fianco, fin troppo scalpitante perché prendesse davvero in considerazione la sua proposta.

«Io voglio vedere Zoro che si allena» disse infatti.

«Fate come foste a casa vostra, metto su del tè, nel frattempo...»

Koshiro si allontanò come non fosse davvero affar suo, mentre Rufy prendeva la strada verso il cortile.

«Rufy! Aspetta un attimo!» esalò, lasciandoselo sfuggire in un istante. La sbirciatina che avevano intenzione di dare si era trasformata in un'invasione di campo in grande stile.

«Stupido cretino...» sibilò quindi, ora indecisa se prendere la sua stessa strada o seguire Koshiro. Nessuna delle due opzioni allettanti. Se da un lato aveva paura di infastidire Zoro, dall'altra il pensiero di restare sola con Koshiro un po' la intimoriva. Non ci aveva mai parlato per davvero e ora che le cose con Zoro si erano evolute gli sembrava quasi di doverselo ingraziare più del necessario.

Sospirò indecisa, restando ferma in mezzo a quel corridoio come se fosse diventata parte dell'arredamento. Le spalle alla finestra e gli occhi rivolti a una delle vetrinette colme di trofei.

Si avvicinò in silenzio a una di queste, riconoscendo questa o quell'altra foto. Le aveva già viste in precedenza, ma non ci si era mai soffermata davvero. Ora riusciva a riconoscere il padre di Zoro. Dopo averlo visto in quelle diapositive gli sembrava quasi di conoscerlo. E riconobbe sua madre, che aveva sempre e solo intravisto di sfuggita. E poi... e poi vide Kuina. Quella stessa Kuina di cui Zoro aveva sempre parlato mal volentieri. Ma che sapeva essere una delle persone più importanti della sua vita.

Diamine, Tashigi le assomigliava davvero moltissimo.

«Sbalorditivo, vero?» sobbalzò, presa alla sprovvista dalla voce alle sue spalle. Se solo non si fosse riscossa immediatamente, si sarebbe convinta che Kuina fosse uscita dalla fotografia solo per poterle parlare.

Tashigi le si era affiancata e si sistemò gli occhiali sul naso, fissando la stessa identica foto su cui Nami aveva concentrato la sua attenzione. Nami aveva dimenticato che anche lei, adesso, era allieva di quel dojo. Chissà come non si aspettava di trovarla lì, quando il suo posto era stato preso dal nuovo allenatore.

«Il maestro Shimotsuki mi aveva detto che gli ricordavo sua figlia» proseguì con aria concentrata sulla foto «ma non avrei mai creduto di somigliarle così tanto. Da bambina però ero decisamente più in carne e portavo due occhiali a fondo di bottiglia molto peggio di quelli che indosso ora»

Nami si ritrasse appena, sorpresa da quello scambio di confidenze.

La ragazza invece si volse nella sua direzione, con un vago sorriso dipinto sulle labbra, affatto ostile.

«Nami, giusto?» cercò di rammentare il suo nome.

«Giusto...» ribatté lei con un cenno del capo.

«Non sapevo venissi anche tu, oggi. In realtà mi sembra che il dojo non sia mai stata tanto frequentato da quando vengo qui.»

Nami si chiese che cosa intendesse dire. Di certo questa era la prima improvvisata che facevano a Zoro. Forse parlava del nuovo acquisto del dojo? Di quel Trafalgar? O forse... ?

«Prima lezione?»

Appunto.

«Oh, no! Io non sono qui per allenarmi!» ci tenne a precisare. Se era questa l'impressione che si era fatta, sbagliava di grosso. Sembrava una persona interessata al kendo, per caso? Di certo era interessata a Zoro, ma questo non era sicura trasparisse davvero, oppure no? «Rufy ed io siamo arrivati in anticipo. Aspettiamo che Zoro finisca gli allenamenti»

Tashigi sembrò accettare la risposta.

«Oh, okay. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto avere compagnia femminile. Oggi mi sembra stia girando un po' troppo testosterone.»

Nami doveva aver fatto un'espressione piuttosto perplessa perché Tashigi sorrise complice.

«Dovresti assistere agli allenamenti» disse solo, invitandola a seguirla.

Non era sicura di come si sentisse al cospetto della ragazza. La sua sola presenza le aveva provocato così tanto fastidio, in precedenza, che ora quasi si sentiva in colpa, sebbene non le avesse mai davvero fatto qualche sgarro o dimostrato perpetrato astio nei suoi confronti.

Le sembrava assurdo averla percepita come una minaccia. Più che altro azzardato.

Camminarono scalze lungo il corridoio, fino a raggiungere la parte opposta della casa. L'ampia vetrata a scorrimento del salotto principale era spalancata e, oltre a quella, nel cortile, c'erano Zoro e il suo avversario. Nami si avvicinò titubante all'esterno, Rufy già seduto in un angolo, sotto al porticato, con aria assorta e vagamente ridicola, tanto sembrava concentrato sul capire cosa stesse succedendo.

Se ne rimase in disparte, accanto a Tashigi, facendo scorrere lo sguardo su quel duello che sembrava essere finito in fase di stallo.

Zoro indossava la divisa tradizionale: gli ampi hakama color blu marino, il kimono nero, l'armatura, ma non la maschera che gli aveva visto indossare durante l'ultima competizione. Teneva due shinai, stretti in entrambe le mani, e si chiese se fosse un nuovo tipo di tecnica, perché non gli era mai sembrato di vederlo gareggiare con due spade.

Il suo avversario, vestito alla stessa maniera, lo osservava guardingo, l'unico shinai fisso di fronte a sé, come se stesse valutando la mossa successiva.

Attorno a loro, un tappeto di petali di ciliegio ed altrettanti a vorticare in circolo sulle loro teste, trasportati dal vento.

L'immagine aveva un non so che di poetico e solenne e a Nami fece l'effetto di assistere a qualcosa che stava al di fuori del tempo. E si fece strada, in lei, la consapevolezza che forse, una parte di Zoro sarebbe rimasta un grande mistero, per sempre.

La staticità del momento fu interrotta in un lampo, quando il ragazzo tatuato scattò in avanti all'improvviso, facendo ruotare lo shinai. Era sicura sarebbe stato Zoro il primo a muoversi, ma quando lo vide indietreggiare e cercare di parare il colpo con entrambe le armi, capì che aveva preso alla sprovvista persino lui.

Seguirono una serie di colpi e affondi rapidi, a tratti violenti. Gli schiocchi del bambù degli shinai che cozzavano uno sull'altro, rimbombando in echi distorti per il cortile. Il suono degli ansiti che seguivano i colpi affondati e quelli ricevuti. In un attimo se ne sentì inebriata. Coinvolta.

Nemmeno si era resa conto di aver serrato le mani a pugno e mal trattenuto un gemito frustrato quando Zoro era di nuovo stato costretto a indietreggiare, disarmato di uno dei suoi shinai, in evidente difficoltà.

Quel Law sembrava sapere il fatto suo, ma l'impressione che ne ebbe fu quella di una persona senza scrupoli o sportività. Pronto a scorrettezze pur di portare a casa un risultato.

Dalla gola di Zoro scaturì d'improvviso un ringhio frustrato che lo portò ad attaccare questa volta, in modo violento e disconnesso e fu solo allora che Trafalgar concluse l'azione colpendolo dritto allo sterno.

«Hai capito di cosa stavo parlando?» sussurrò Tashigi al suo fianco, riportandola alla realtà.

Sì, Nami aveva capito esattamente di cosa Tashigi stesse parlando.

C'era rabbia, frustrazione e competizione brutale. Non aveva mai davvero visto Zoro così.

Osservò con curiosità Trafalgar aiutarlo a raccogliere uno dei i suoi shinai, senza restituirglielo.

«Ci vediamo sabato prossimo» disse, lasciandolo così, apparentemente insoddisfatto.

«Non abbiamo finito» rispose Zoro la voce spezzata dalla fatica.

«Sì che abbiamo finito»
«Sei stato scorretto!» gli ringhiò contro, tanto che Nami riuscì quasi a percepire la sua frustrazione.

«Non erano scorrettezze. Ho solo usato dei trucchi» lo trattò con aria di sufficienza «non andrai troppo lontano se non sai gestirli»

Si chiese cosa trattenesse Zoro dal tirargli un pugno in faccia. Ma fortunatamente il ragazzo sembrò incassare il colpo, asciugarsi il sudore dalla fronte e limitarsi a scoccargli un'occhiataccia poco conciliante.

«Lontano quanto sei arrivato tu?» si preoccupò di dirgli però «non partecipi a un torneo da anni» affondò il colpo.

Trafalgar serrò le labbra, mal trattenendo l'offesa. Un lampo di odio ad animargli lo sguardo.

«Sabato prossimo» disse solo, abbandonando gli shinai accanto a una colonna del porticato. Non degnò nessuno di uno sguardo, mentre rientrava in casa. Non aggiunse una sola parola.

«Simpatico» si limitò a dire Rufy, spezzando l'improvviso silenzio calato sulla scena.

Zoro sembrò accorgersi solo in quel momento della loro presenza. Abbandonò lo sguardo oscuro, sostituendolo con uno di pura sorpresa.

«Ma quando siete entrati?»

«Eh, buonanotte!» esclamò Rufy, balzando in piedi per poterlo raggiungere.

Il fatto che Zoro non sembrasse infastidito, consolò Nami che nonostante tutto si sentiva ancora un'intrusa.

«Allora è come pensavamo...» Tashigi prese improvvisamente la parola, avanzando verso il trio, sistemandosi di nuovo quei suoi occhiali sul naso.

Zoro si limitò ad annuire e Nami faticò a capire l'argomento della conversazione.

«Di che state parlando voi due?» provvidenziale, questa volta, lo scarso filtro pensiero/parola di Rufy. Non era sicura sarebbe riuscita a chiedere lei stessa.

Zoro si limitò a rilasciare pesantemente il respiro, cercando di riprendere fiato. Andò a recuperare un asciugamano, slacciandosi la cintura del kimono. Scoccò solo un'occhiata a Tashigi, a darle la priorità di parola.

«Zoro ed io abbiamo indagato un po' su quel Law» disse «era una specie di stella nascente del kendo, durante gli anni del liceo. Promettente come lo è Mihawk adesso. Per quello il suo nome ci era in qualche modo familiare»

Nami scoccò un'occhiata a Zoro. Era distante da loro, ma attento alla conversazione.

«Prima che riuscisse a conquistarsi un titolo di tutto rispetto però successe un incidente. La natura dell'incidente è rimasta ignota a lungo, ma gli fece guadagnare un'espulsione dal torneo e una sospensione dalla disciplina a tempo indeterminato»

«Ignota?» si intromise Nami, adesso incuriosita dalla faccenda.

«Sì bé, non è stato facile reperire informazioni. Zoro non voleva andare oltre, ma la faccenda a me aveva incuriosito abbastanza» rivelò Tashigi mal celando un vago imbarazzo «Perciò ho chiesto in giro, in realtà ho chiesto a un amico che lavora in polizia, che ha a portata di mano gli archivi. Bé insomma, è saltato fuori che l'incidente in questione sia stata una gran rissa, e che un ragazzo ci abbia quasi lasciato le penne. Un altro sia finito in riformatorio e Law abbia perso qualsiasi privilegio sulla disciplina. Dicono che nonostante siano passati anni, non si sia più avvicinato a un club di kendo.»

«Però adesso è qui» intervenne Nami «Cioè, Koshiro lo ha voluto come allenatore»

Come allenatore di Zoro, nientemeno.

«Già...» Tashigi scoccò un'occhiata a Zoro: sembrava chiedergli il permesso di continuare. Il silenzio del ragazzo le diede di nuovo il benestare «questa è una di quelle cose che non abbiamo ancora capito. Ma se il maestro Shimotsuki si fida di lui, probabilmente sa qualcosa che ci sfugge. O quantomeno ha voluto dargli un'opportunità.»

«Quindi ha ragione Zoro a chiamarlo teppista!» si intromise Rufy con un sorrisone dipinto in viso.

«Non sappiamo come sono andate le cose...» lo frenò Zoro, «e non sono nemmeno sicuro che mi interessi».

Nami lo guardò tornare da loro, entrambe le mani a stringere un asciugamano che si era sistemato attorno al collo.

«Ma la sua tecnica è disonesta»

Tashigi annuì concorde.

«Disonesta o meno a me è sembrato un gran bel match», esalò Rufy, dando una manata sulla schiena di Zoro, «tu li sai tenere a bada i disonesti»

Zoro si limitò a guardarlo, fra il grato e il compassionevole. Come se la fiducia di Rufy nei suoi confronti fosse motivo di lusinga ma al contempo fosse consapevole di quanto poco il ragazzo conoscesse di quel suo mondo.

«Ragazzi, il tè è pronto»

Koshiro, comparso sulla soglia della porta a vetri, aveva inconsciamente messo un punto alla conversazione.

 

 

Nami e Rufy si erano attardati a casa di Zoro fin dopo il crepuscolo. Koshiro aveva offerto loro di fermarsi a cena, ma avevano declinato l'invito anche solo per averlo saputo all'ultimo minuto.

Zoro si era offerto di fare un pezzo di strada con loro, per poi lasciare Rufy e proseguire con lei, per accompagnarla fino a casa.

Non avevano parlato molto, ma Nami finalmente aveva percepito quello come un silenzio riflessivo e non imbarazzante come quello dei giorni che avevano preceduto il loro chiarimento.

Senza sapere come però si sentiva un po' intimorita. Quel pomeriggio era stato strano. Vivere Zoro, completamente immerso nel suo mondo fatto di allenamenti, spade e frustrazioni sportive aveva aperto una porticina dalla quale non aveva mai davvero sbirciato.

«Non hai detto molto su quello che pensi di tutta questa situazione, quando ne abbiamo parlato con Tashigi» ruppe lei il silenzio, indecisa se riportare a galla la conversazione. Ancora piuttosto incerta sull'intromettersi. La verità era che improvvisamente le era venuta voglia di saperne di più.

«Perché non so cosa pensare...» le rispose, fermandosi poco prima del cancello di casa di Nami.

Sembrò ragionarci un po' su, osservando una delle finestre accese dell'abitazione.

«Koshiro ha cambiato atteggiamento in questi ultimi mesi, sul kendo, sulle persone...» Nami percepì una nota smarrita nella sua voce e cercò di incoraggiarlo.

«Quel Law sarà anche stato un tipo problematico ma non credo che Koshiro gli avrebbe affidato te, se non avesse i suoi buoni motivi per farlo»

«Sì, lo credo anche io, ma non era quello che intendevo. Ultimamente sta prendendo decisioni che non riesco a inquadrare. E non riesco a capire se lo stia facendo solo per me. O lo faccia davvero anche per se stesso.»

«Magari per entrambe le cose.»

Zoro sembrò rifletterci di nuovo.

«Forse non ero pronto a veder cambiare tutto così rapidamente.»

Il commento la sorprese. Non era pronto a veder cambiare le cose in una situazione familiare che per anni si era trincerata dietro a un lutto? A una chiusura verso l'esterno?

Forse Zoro si era accomodato così tanto su quella situazione che affrontare la svolta, adesso, gli sembrava più difficile del previsto.

«Lo sai che ho scordato l'anniversario della morte di Kuina quest'anno?»

Nami fece scattare su di lui uno sguardo sorpreso. Fra tutte le cose che si aspettava di sentirgli dire, questa era forse la meno scontata. Di Kuina non parlava mai.

«Non lo sapevo...»

«Già...» commentò lui, distogliendo lo sguardo. Le ombre notturne ormai avevano preso il sopravvento e c'era solo la luce dei lampioni ad illuminare la strada.

«Avevo rinunciato al falò in spiaggia per andare al tempio con Koshiro e sperare di rimediare in questo modo.»

Nami sentì una fitta al petto a quel commento. Lo aveva accusato così ingiustamente, gli aveva urlato contro, in quell'occasione. E lui non le aveva detto nulla. Chissà che diavolo gli stava gravando sulla coscienza e lei aveva solo infierito.

«Zoro, io...» cominciò ma lui scosse la testa, come a zittirla. Non sembrava aver bisogno di scuse.

«Ma Koshiro mi ha convinto a venire da voi. È da quel giorno che ha cambiato atteggiamento. E ho solo paura di averlo forzato ad aprirsi per non far sentire me in colpa. E che improvvisamente mi abbia investito di non so quali aspettative...»

Era la prima volta che Zoro si confrontava con lei con tanta sincerità, tanta loquacità. Le sue parole le arrivarono dritte allo stomaco. Doveva essergli costato fatica farlo, anche se, in parte, si sentì lusingata di essere testimone delle sue confessioni. Le tornarono in mente le parole di Rufy, sul fatto che, le cose a cui teneva, Zoro se le teneva strette.

«Non credo che Koshiro si aspetti qualcosa di più di quello che già stai facendo. Forse era solo arrivato il momento di... cambiare»

«Io odio i cambiamenti» la interruppe, con una nota amara. «Tutte le volte che è cambiato qualcosa nella mia vita è andato tutto a rotoli.»

Si riferiva forse alle perdite a grappolo che avevano caratterizzato la sua infanzia? Del fatto che avessero cementificato delle tappe fondamentali della sua esistenza.

Un pensiero le attraversò la mente a quelle parole e si ritrovò improvvisamente a proiettarle su se stessa e sull'evoluzione che aveva avuto anche il loro rapporto. Si stava per caso riferendo anche a loro due, quando parlava di cambiamenti?

«Non è detto che debba sempre andare così, Zoro...» esalò combattuta se manifestare le sue rimostranze a riguardo. «Quando hai conosciuto noi non è andata così male...»

Non era stato un cambiamento anche quello? Conoscere nuove persone, uscire da un guscio di solitudine e introversione?

Lui le lanciò uno sguardo strano e per la prima volta si sentì persa.

«Magari hai ragione» le disse, ma sembrò volersi tenere il beneficio del dubbio.

Sentirono una finestra richiudersi alle loro spalle e il momento fu andato.

«Dovrei tornare a casa ora, Koshiro mi starà aspettando»

Nami avrebbe voluto dirgli di aspettare, di sviscerare la conversazione. Di parlare con lei, finché non fosse stato tutto chiaro, limpido, pulito. Zoro aveva aperto una porta, parlando per la prima volta senza esitazione, con sincerità, Nami avrebbe voluto sfondarla e prendersi tutto, subito.

Ma si limitò ad annuire. Arresa.

Non sentì sollievo quando lo vide chinarsi su di lei, per un rapido bacio a fior di labbra. Le sembrò più un congedo formale che una reale forma di tenerezza. O forse si stava sbagliando? Si era lasciata condizionare?

Lo lasciò andare senza chiedergli altro, interdetta dalle sue stesse percezioni.

Il primo giorno delle vacanze di primavera sembrava aver gettato una strana, informe ombra sul futuro e nonostante i buoni propositi di qualche ora prima, adesso Nami si sentiva pervasa dal dubbio.

 

 

 

Note:

Piccola, doverosa nota per chi si sentisse confuso sulle tempistiche: ho deciso di scandire il tempo di questa storia così come si svolge nel canonico anno scolastico giapponese. Le lezioni terminano a fine marzo e riprendono a metà aprile, in concomitanza con l'inizio di un nuovo anno scolastico. I nostri hanno concluso il secondo anno di liceo, entreranno nel terzo ed ultimo anno, tranne Chopper.

Inoltre, Trafalgar Law in questa storia frequenta già l'università, mentre Mihawk, che dovrebbe essere un matusalemme, qui è un liceale? Ehm sì, piccola licenza poetica. Immaginatevi fisicamente Mihawk come lo era da sbarbato, ai tempi della condanna a morte di Gold Roger. Altrimenti avrei dovuto dare a Zoro un avversario casuale e la sfida sarebbe stata meno credibile.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13.

 

Se da un lato Zoro era convinto di aver fatto la scelta giusta nel voler condividere con Nami le sue incertezze, dall'altro si chiese non si fosse esposto troppo.

Non era così stupido - non ancora almeno - da non essersi accorto dello smarrimento nello sguardo della ragazza. E tutto ciò che voleva evitare era che soffrisse. Per colpa sua, poi.

La verità era che si era imbarcato in qualcosa che al momento pareva più grande di lui, che sembrava risucchiargli il focus. Che lo confondeva, lo distraeva, lo rendeva più fragile di quanto non lo fosse mai stato. Voleva dare a quello la colpa di non saper gestire i nuovi allenamenti, ma inconsciamente, forse, avrebbe voluto prima esserne certo, invece di esprimerlo in modo tanto limpido e frettoloso.
La situazione con Koshiro era quella che era, quella con Nami anche. Ma se cercava di far collimare le cose, con gli allenamenti e tutto il resto, entrava in corto circuito.

Era vero che odiava i cambiamenti ma, se inarrestabili, doveva imparare a governarli ed era certo di non essere ancora in grado di farlo.

La paura di compromettere rapporti che secondo la sua percezione erano in bilico su un filo invisibile, era grande tanto quella di affrontarli e renderli stabili.

Koshiro era il suo maestro, il suo confidente, suo padre; aveva imparato a gestirlo nel dolore e nella solitudine, ed ora non sapeva davvero che pesci prendere, osservando con curiosità e malessere, questo suo rinnovato interesse per la vita.

Nami era sempre stata un'amica fedele, decisa e vivace e ora... ora qualcosa di più. Una persona per cui avvertiva un sentimento diverso da qualsiasi altra cosa avesse mai provato per qualcuno, e non sapeva come doveva comportarsi, non sapeva come accogliere con naturalezza quello che Nami gli stava offrendo.

Cosa si aspettavano da lui?

Questa era la domanda martellante che gli occupava la mente. Aveva davvero il diritto di seguire il flusso senza pensarci davvero o doveva capire come non deludere le aspettative di persone che per lui si erano esposte? Che per lui aveva cercato di aprirsi?

 

Aveva appoggiato a terra i pesi con cui si stava allenando quella mattina e con la testa colma di pensieri, era rimasto fermo a fissare le finestre fuori dalla palestra. I petali di ciliegio che vorticavano in una danza scomposta, in giardino.

Il caos.

Koshiro aveva detto di avergli portato Trafalgar Law perché rappresentava il caos.

Era questo ciò di cui Koshiro pensava avesse bisogno?

Se era così, allora non aveva capito un bel niente di lui in diciassette anni che lo conosceva. Il caos era ingestibile. Mentre per lui il controllo era essenziale.

Decise di prendersi una pausa, di uscire, di perdersi. L'unica eccezione che si azzardava a concedersi. Anche perché in quel caso era stata madre natura a prendersi gioco di lui. Era l'unica cosa che non poteva controllare ed era stato costretto ad accettarlo. Lui e quel matto di Rufy a dire il vero, le eccezioni cominciavano ad essere troppe.

Si cambiò rapidamente, deciso a dirigersi verso la spiaggia. L'unico luogo che, in qualche assurdo modo, riusciva sempre a dargli una parvenza di serenità. Aveva imparato a meditare al suono incostante delle onde.

Una volta Koshiro gli aveva confessato che sua madre non faceva altro che fare lunghe passeggiate sulla spiaggia, quando era incinta di lui. Non voleva che nessuno la seguisse, nemmeno suo marito. Quando tornava a casa sapeva sempre di vento e salsedine, i capelli vaporosi e fieri e lo sguardo acceso, felice.

Forse si era portato dietro questa eredità dalla madre che non aveva mai conosciuto. La connessione alle grandi distese d'acqua. E la tendenza a perdersi senza darsene tormento.

Sentì il profumo dell'oceano ancora prima di vederne il baluginio dietro le mura delle ultime abitazioni. La voce turbolenta delle sue onde, man mano che si avvicinava. Il cielo era terso, ma portava con sé il vento che spazzava le nuvole.

C'era alta marea. I flutti avevano quasi raggiunto il punto in cui d'estate sistemavano gli ombrelloni.

Stava passeggiando solo da qualche minuto quando gli arrivarono delle voci concitate, appena udibili fra lo sciabordio delle onde e il grido selvaggio dei gabbiani.

Intravide un gruppo di ragazzi poco distanti, nascosti dietro a uno dei bar in spiaggia, uno di quelli ancora chiusi. Il legnoso spettro sgangherato di una stagione che ancora doveva risvegliarsi dal letargo.

La discussione sembrava piuttosto accesa ma si sorprese di ritrovare un intero gruppo schierato di fronte a quella che gli apparve come l'unica vittima.

Si chiese se non fosse il caso di cambiare strada o osservare l'evolversi della situazione.

Uno dei tizi più grossi spintonò il ragazzo che stava da solo e Zoro agì d'istinto, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che non fossero affari suoi.

«Ehi!» disse solo, un richiamo forte e severo.

I ragazzi si voltarono nella sua direzione e fu solo allora che riconobbe proprio Trafalgar Law, incastrato in quella che sembrava l'inizio di una rissa in grande stile.

Il tizio che lo aveva spintonato si era fatto da parte e lo stava osservando. Portava un gran paio di occhiali e l'aria truce e un po' rozza, era gigantesco. Di certo aveva più anni di quanti non ne avessero gli altri.

«Che vuoi, ragazzino?» lo apostrofò, una vaga minaccia nell'aria. Ma la sua voce era così sottile, in confronto al suo corpo mastodontico che a Zoro per poco non sfuggì una risata.

Scorse Law lanciargli uno sguardo allarmato ma cercò di non farci caso, non troppo almeno. L'atmosfera non era affatto rilassata, non avrebbe dovuto sottovalutarla.

«Niente, solo non sono cose che uno vorrebbe vedere mentre passeggia per una spiaggia pubblica», si limitò a commentare.

«Zoro...» la voce di Law era un soffio ma riuscì a percepirla ugualmente. Sapeva di monito, di rimprovero.

«E che diavolo hai in mente di fare a riguardo?» esclamò stridulo il tizio gigantesco, ma Zoro stavolta non riuscì a frenare quella risata incastrata in gola da prima. Il bestione, indignato, avanzò di mezzo passo, pronto all'attacco, prima che qualcuno alle sue spalle non lo afferrasse per un braccio, impedendogli di proseguire.

«Lascia stare, Pica» disse una voce melliflua alle sue spalle. Ne emerse un tizio piuttosto singolare. Alto, slanciato, biondo. Indossava un paio di occhiali dalla montatura obliqua e una felpa di ciniglia color rosa confetto. In qualche modo a Zoro ricordò un fenicottero.

«Questa spiaggia sta diventando troppo affollata...» proseguì, lasciando che il gruppo si rendesse conto del tizio con il cane che era appena comparso poco distante e di altre due persone che stavano scendendo giù per il sentiero cementato. Non erano più soli.

«Possiamo tranquillamente rimandare la nostra conversazione a un altro momento», scansò il tizio enorme, per andare incontro a Trafalgar che non si era mosso di un passo, «abbiamo così tanto di cui discutere», gli posò una mano sulla spalla, in quello che voleva sembrare un gesto fraterno ma che risultava una vera e propria minaccia.

Law si scansò, arretrando solo in quell'istante. Non rispose, ma si vedeva chiaramente dallo sguardo quanto quel contatto, quelle parole lo avessero disgustato.

«Andiamo» riprese il fenicottero, portandosi dietro la sua scia di scagnozzi. Gli passarono accanto, squadrandolo minacciosamente. Solo il tizio in rosa gli rivolse un sorriso, tanto ampio quanto ricco di promesse inespresse. Dopo qualche istante se ne furono andati.

Zoro se ne restò immobile a osservare Law che sembrava contenere a fatica una silenziosa rabbia.

«Che hai da guardare, ragazzino?» gli chiese all'improvviso, sentendosi evidentemente osservato. Si volse nella sua direzione, cercando di recuperare una postura insolente.

«Chi erano quei tipi?» gli chiese Zoro, più curioso che preoccupato.

«Non che siano affari tuoi» sibilò «Non c'era bisogno del tuo intervento»

A parlare sembrava più l'umiliazione che la rabbia.

«Probabilmente no. Ma non sapevo fossi tu» non aveva bisogno di giustificarsi ma non voleva che Law credesse che fosse intervenuto solo perché lo aveva riconosciuto. Non gliene importava un bel niente di chi fosse la persona presa di mira da quel gruppo di teppisti. Solo che qualcuno stava per prenderle e che cinque contro uno gli sembrava una grande esagerazione.

Law sembrò recuperare un po' del suo contegno.

«In ogni caso non mi metterei in mezzo a una discussione con Donquijote Doflamingo e i suoi. Questo te lo dico come monito per il futuro.»

«So badare a me stesso» gli rispose. Carino come si mettesse a rimproverarlo quando ci si era trovato proprio lui, in una discussione con quel gruppo.

«Sei peggio di come il maestro Shimotsuki ti ha descritto...»

Zoro inarcò un sopracciglio. Improvvisamente la conversazione sembrava essere scivolata sul personale.

«E come mi avrebbe descritto?» gli chiese.

Law si decide ad avanzare, finendogli praticamente di fronte. Nonostante tentasse di dissimulare, lo sguardo era ancora vigile, turbato.

«Segreto professionale» gli sorrise obliquamente.

«Quante cazzate...» Zoro sbuffò qualcosa, facendo per andarsene. Era già stufo di dover tener testa a una conversazione che si andava a schiantare contro a un muro. Nemmeno si rendeva conto di quanto l'atteggiamento di quel Law somigliasse al suo.

«Ehi...» si sentì richiamare, prima che avesse occasione di congedarsi «potresti tenere per te quello che hai visto oggi?» gli chiese, per la prima volta senza asprezza nei toni. Una richiesta amara, piuttosto.

«Ma per chi mi hai preso?» gli rispose con un'alzata di spalle.

Law sembrò capire che, con lui, il mistero di quella sceneggiata era al sicuro e sembrò rilassarsi.

«Ci vediamo sabato» disse.

Zoro gli fece un cenno con la mano, senza preoccuparsi di confermarlo.

 

Non aveva idea che quella storia non era affatto conclusa.

 

Era stata un'idea di Franky, quella di eseguire la tradizione dell'Hanami, quell'anno.

La primavera era esplosa in maniera definitiva e, complici i giorni di vacanza, aveva proposto un pomeriggio al parco cittadino.

Il gruppo aveva risposto con entusiasmo anche solo all'idea di ritrovarsi di nuovo tutti insieme, evitando così di passare le vacanze divisi. Sembrava che tutti si fossero presi più impegni di quanti potessero gestirne: Sanji era piuttosto impegnato al ristorante, Nami con gli straordinari alla libreria, Zoro con gli allenamenti e incastrare le giornate era sempre complicato. Perciò, trovata una data che fosse comoda a tutti, si erano radunati all'ombra degli alberi di ciliegio a consumare gli avanzi del ristorante di Sanji.

«Molto meglio questi che i panini raffermi di Arlong che ci ha portato Nami l'anno scorso» il commento di Rufy fece calare il gelo fra i presenti, mentre il pugno vendicativo della ragazza si abbatteva sulla testa del malcapitato chiacchierone.

«Dovresti lasciarlo senza pranzo, a questo qui!» fu il commento infastidito di Nami, che aveva allungato una mano per fregare, letteralmente, un sandwich dal piatto di Rufy.

Il Capitano si avventò sulla ragazza per riprenderselo e la cosa sarebbe andata avanti ad oltranza se Sanji non gli avesse letteralmente infilato un tortino di riso in bocca.

«Ce n'è abbastanza per tutti» cercò di sedare gli animi, alzandosi per cercare un pacchetto di sigarette, infilato nella giacca che aveva appeso a un basso ramo di un albero di ciliegio.

In realtà era una scusa come un'altra per avvicinare Zoro che se ne stava in disparte a sonnecchiare.

O con la scusa di farlo.

«Ehi, tu non mangi, testa di muffa?» gli disse a mezza bocca, calciandogli una scarpa.

«Lo farò dopo...» gli rispose, senza riaprire gli occhi.

«Se resterà qualcosa, dopo» esalò Sanji, lanciando un'occhiata al banchetto che si consumava rapidamente sotto le fauci fameliche del loro gruppo di amici.

«Vado a fumare, vieni con me?» gli disse a sorpresa.

Zoro riaprì un occhio, perché quella richiesta gli sembrava la più assurda che Sanji gli avesse mai fatto.

«No... ?» gli rispose, come se non ci fosse affatto bisogno di ribadirlo.

«Vieni con me», insistette Sanji.

In altre circostanze Zoro avrebbe rifiutato seccamente o messo in piedi il solito teatrino, ma la voce di Sanji sembrava in allerta.

Quando Zoro si levò in piedi capì, forse, perché gli sembrava così in apprensione. A pochi metri da loro, fra la folla, all'ombra di alcuni ciliegi, si era sistemato un gruppo di persone che li stavano osservando. Non faticò a riconoscere il gruppo che aveva provocato Law, solo qualche mattina fa sulla spiaggia.

«Ehi, dove andate voi due?» la voce di Rufy li raggiunse prima che riuscissero ad allontanarsi verso l'area fumatori.

«Testa d'alga mi ha chiesto un consiglio sui suoi problemi erettili!» improvvisò Sanji, beccandosi un pugno.

«Ciminiera del cazzo!»

Sanji gli sferrò un calcio negli stinchi, e via discorrendo, finché non si allontanarono definitivamente dal gruppo. Senza però perderli d'occhio.

Rufy si volse verso Nami con aria dispiaciuta.

«Zoro ha dei problemi erettili?» le chiese.

«E io che diavolo ne so?!»

Il Capitano raggiunse quota due bernoccoli nel giro di cinque minuti.

 

«È da almeno mezz'ora che quei tizi ci tengono sotto osservazione», Sanji confermò i sospetti sul perché lo avesse trascinato lontano da lì. L'area fumatori era pressoché deserta. Gli permetteva, se non altro, di chiacchierare tranquillamente.

«Sì, li ho visti»

«Li conosci?»

Zoro seguì con lo sguardo la scia di fumo che Sanji aveva appena soffiato via, arrivando a squadrare di nuovo il gruppetto sistemato di fronte ai loro amici. Sembravano divertirsi ma lo sguardo di quel fenicottero, sembrava vigile, predatorio.

«Non proprio» dovette ammettere «ci ho avuto a che fare solo una volta e non sembravano dei tipi pacifici»

«Eccola, lo sapevo!» allargò le braccia Sanji, esasperato «Li hai provocati, per caso?»

«Ma che cazzo dici?» si giustificò Zoro «ho solo assistito a un loro litigio»

«E ti sei messo in mezzo»

«No»

«Sì»

«No»

«Sì!»

«Non proprio!»

«Lo sapevo!»

Zoro si trattenne dal dargli del coglione, per l'ennesima volta. A prescindere dal fatto che non aveva voglia di condividere un bel niente, c'era in ballo anche la promessa fatta a Law.

«Se rompono le palle, lascerò che se la prendano solo con me, stai sereno»

«Sereno un corno»

«E comunque dovrebbero essere proprio dei coglioni per tentare qualcosa con tutta questa gente» cercò di essere razionale, anche se gli sguardi che ora stavano rivolgendo a Rufy e compagnia gli sembravano più preoccupanti che mai. Come se li avessero scelti. Gli sembrò perfino che uno di loro stesse fissando Nami e la cosa ebbe il potere di irritarlo.

«Teniamoli d'occhio. Finito il pranzo ce ne andiamo. E vediamo di chiuderla qui» decise Sanji, spegnendo la sigaretta. Si scambiarono uno sguardo d'intesa, prima di tornare al gruppo.

«Nami-san, hai già assaggiato i dolcetti alle fragole che ho fatto appositamente per te e Robin?!» esclamò, cercando di dare una parvenza di normalità a quel rientro.

Zoro decise di unirsi agli altri, fingendo interesse per delle polpette di riso.

«Ne vuoi uno?» si sentì chiedere da una voce accanto, mentre Usop catalizzava l'attenzione del gruppo, raccontando una storia pazzesca su un tizio che collezionava rane.

Nami gli si era avvicinata, porgendogli uno dei dolcetti di Sanji.

«Sono a posto...» le sorrise appena, spiluccando la sua polpetta, senza distogliere l'attenzione da quel fenicottero che stava ridendo ad una battuta, poco distante.

«È tutto okay?»

Fu costretto a voltarsi verso di lei, per non farle capire che non lo era affatto.

«Certo»

«Se lo dici tu...» si volse contrita, fingendo di prestare attenzione al racconto di Usop. Come aveva anche solo potuto pensare di darla a bere a una come lei?

D'accordo, aveva fatto una promessa a Law di non dire niente, ma non gli aveva promesso di non mettersi in mezzo se questo andava a minare la sua tranquillità o quella del suo gruppo.

Decise di fare un esperimento.

«Torno subito» disse solo, rimettendosi in piedi.

«Aspetta, non vuoi sentire come va a finire la storia?!» protestò Usop, al culmine del suo mirabolante racconto.

«Assolutamente sì. Franky, registramelo»

Si alzarono cori di protesta.

«Se la natura chiama, chiama!» si giustificò innervosito. Non si era però perso lo sguardo d'ammonimento che gli aveva lanciato Sanji. Se il suo esperimento non si fosse concretizzato, sperò che Sanji facesse del suo meglio per tenere sott'occhio la situazione.

Fece qualche passo in direzione dei bagni o di quella che gli era sembrata... la direzione dei bagni. Il cartello con il simbolo delle toilette parlava chiaro. O forse no. Forse doveva svoltare a destra e invece era andato a sinistra.

Non si sorprese di trovarsi sperso in un posto dove di bagni non ce n'era neanche l'ombra. E di persone nemmeno.

Si fermò per un istante e attese. Avrebbe aspettato qualche minuto; se non fosse successo nulla, al suo ritorno, avrebbe chiesto ai ragazzi di andarsene e portarsi a casa quella vittoria bianca.

Non si accorse che il suo cellulare stava suonando, ma si accorse dei passi di diverse scarpe, alle sue spalle.

«Hai deciso di giocare a nascondino?» la voce melliflua, inconfondibile del tizio fenicottero.

«Sembra più di giocare a ce l'hai» gli rispose Zoro, voltandosi. Era convinto che sarebbe stato seguito, ma non si aspettava di ritrovarsi tutta la squadra al completo. Un branco di vigliacchi.

«Che cosa vuoi?» intrecciò le braccia, a fargli capire che non era sua intenzione battersi o azzardare alcunché.

«Volevo solo fare due chiacchiere con te»

«E per farlo ti sei dovuto portare dietro le guardie del corpo?»

«Lasciali perdere, loro non contano»

Uno di loro sembrò voler alzare una protesta ma fenicottero alzò una mano e fu subito sedata.

Sembrava di assistere alla scena di un film di bassa lega.

«Dimmi quello che hai da dire e facciamola finita» decise di agevolare il momento in cui tutto sarebbe degenerato, perché sì, sapeva che, in qualche modo sarebbe successo. I suoi sensi erano vigili.

«Niente di che. Solo assicurarmi che terrai la bocca chiusa su quello che hai visto qualche giorno fa. Non gioverebbe né a me, né a te, se qualcuno venisse a sapere che abbiamo avuto una piccola discussione sulla spiaggia»

«Se è solo questo puoi star tranquillo, non me ne frega niente di quello che fate...» fenicottero sembrò quasi soddisfatto della risposta «ma non mi piace che vi mettiate a pedinare me o i miei amici»

Doflamingo o come diavolo si chiamava reclinò la testa di lato, lasciando cadere il sorriso.

«Non pediniamo nessuno... Zoro»

Come diavolo faceva a sapere il suo nome? Forse era stato proprio Law a tradirlo, a lasciarselo sfuggire, quando aveva cercato di sedare le sue risposte taglienti, sulla spiaggia.

«Sto solo cercando di assicurarmi che terrai la bocca chiusa e amici come prima»

«Non siamo amici» gli venne spontaneo ribadire «e facevi più bella figura a non farti rivedere, così sembra solo che tu abbia voglia di crearli i casini»

Nella mente di Zoro sembrò ricomporsi un puzzle, fu come se le informazioni che Tashigi era riuscita a racimolare su Law trovassero improvvisamente concretezza. Possibile che le persone che avevano causato la sua espulsione al torneo, la sua sospensione dal kendo, fossero proprio loro? Non era voluto entrare nei dettagli ma tutto sembrava incastrarsi alla perfezione. Che fosse quel Doflamingo il tizio che era finito in riformatorio? Che fosse per quello che farsi beccare a iniziare l'ennesima rissa, gli avrebbe procurato un viaggio per direttissima, di nuovo in quel posto, o peggio? Gli sembrava insensatamente recidivo.

Non fece in tempo a sentire la risposta del fenicottero, perché fu un'altra la voce che intervenne, imprevista e acuta come un fulmine a ciel sereno.

«Ohi, Zoro!» Rufy «Ecco dove ti eri cacciato! Sanji ha provato a chiamarti ed io-»

Si interruppe solo quando sembrò mettere a fuoco il quadro della situazione. Non poteva sfuggire, nemmeno a uno come lui, che l'aria era ben più pesante di quella che si respira dopo un'amichevole chiacchierata.

«Che cavolo sta succedendo?» disse solo, perdendo la sua solita baldanza, calcolando mentalmente, uno per uno, i ragazzi che stavano praticamente addosso a Zoro «Ti stanno dando fastidio?»

Dietro di lui si materializzò improvvisamente Sanji, sembrava sul piede di guerra, tanto quanto lo era Rufy.

«Dicevi, sul creare casini?» sussurrò Doflamingo, quel sorriso ferino a riscaldargli di nuovo i lineamenti.

Lo sguardo di Rufy sembrò chiedere tacitamente a Zoro una spiegazione e il permesso di intervenire.

Ma il pugno dell'energumeno dalla vocetta infantile arrivò prima di qualsiasi avvertimento.

Zoro osservò il suo Capitano crollare al suolo.

Rialzò lo sguardo sul bestione castrato, la rabbia che aveva preso a ribollirgli nello stomaco.

E fu allora che iniziò il caos.

 

 

Nota:

Capitolo incentrato più che altro su Zoro. No, non sto perdendo il focus del racconto ma ci ho voluto mettere un po' di pepe. E comunque non sarebbe One Piece senza una bella rissa, no? Ogni commento è sempre ben accetto. Alla prossima.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14.

 

Il primo gancio gli arrivò dritto allo stomaco, con la potenza di una palla di cannone.

Si era focalizzato così tanto sul bestione dalla voce d'usignolo che quando un altro degli scagnozzi di Doflamingo gli era balenato di fianco e aveva sferrato il suo attacco, quasi non se ne era accorto.

Ed ora era senza fiato.

Scorse appena i movimenti convulsi dello scontro fra Rufy e il fenicottero, e Sanji che si difendeva egregiamente conto un terzo, che decise di non preoccuparsi eccessivamente per loro. Avrebbero saputo badare a loro stessi.

Rotolò su un fianco allora, rifuggendo l'ennesimo attacco. Si trovò ad afferrare un lungo ramo di ciliegio caduto al suolo e lo usò come scudo per l'arrivo di un fenomenale calcio alla sua sinistra.

Due contro uno era irritante, era sleale.

Ma non c'era tempo per soffermarsi sulla legalità di quegli attacchi disarticolati, era questione di portare a casa il risultato.

Usò il bastone come fosse uno dei suoi shinai e frustò la gamba del tizio che lo aveva colpito allo stomaco, facendolo capitolare al suolo. Si rimise in piedi e colpì il secondo a un fianco, strappandogli un grido di dolore. Ma quando si volse per andare in aiuto a Rufy lo raggiunse una sberla al viso e la scudisciata stavolta fu così sferzante da fargli girare la testa. Sentì un bruciore intenso appena sopra l'occhio e solo dopo si rese conto che il calore che avvertiva al sopracciglio era vischioso sangue che sgorgava da una piccola ferita.

«Brutto pezzo di-» sibilò riprendendo con l'attacco, mentre Rufy, da qualche parte, gli gridava di fare attenzione. Si piegò in tempo per deviare un pugno, colpì il ragazzotto dai capelli biondi e la faccia fesso con il bastone a una rotula. Si volse di nuovo, trovandosi improvvisamente schiena contro schiena a Rufy.

«Mi hanno spaccato lo zigomo» fu il laconico commento del ragazzo.

«A me un sopracciglio»

E li raggiunse anche Sanji.

«Vi sembra il momento di fare conversazione?» esclamò rabbioso e poi a mezza voce, come a vergognarsene «... a me un labbro, brutti bastardi»

Fu rapido l'attimo di vittoriosa tregua, perché in un istante arrivò un attacco circolare dai cinque di Doflamingo.

Zoro si vide arrivare incontro quel gigantesco Pica, un caterpillar di muscoli e grasso corporeo. Si apprestò ad accoglierlo con un calcio nello stomaco, quando una voce tonante alle loro spalle raffreddò l'atmosfera.

«Che cosa sta succedendo qui?!»

Zoro ebbe appena il tempo di intravedere quella che gli sembrava una divisa da poliziotto, prima che un colpo feroce lo prendesse in pieno viso.

Dopo, fu solo buio.

 

-

 

Nami e gli altri avevano raggiunto la centrale di Polizia in cui avevano trascinato Rufy, Zoro, Sanji e il quintetto che li aveva provocati.

Quando non avevano visto tornare Rufy e avevano cercato di contattare lui e gli altri, senza ricevere risposta, erano entrati in allarme. La prima cosa che era sembrato utile fare era stato cercare uno dei guardiani del parco. Ed era infine intervenuta la polizia.

Aveva assistito con sgomento alla cattura in massa dei ragazzi che sembravano aver messo in piedi una rissa in grande stile e le era sembrato le si fermasse il cuore, quando si era resa conto che Zoro era a terra, privo di sensi.

Avevano chiesto con veemenza di poter seguire i loro amici, di poter testimoniare qualsiasi cosa fosse utile, e collaborare con qualsiasi mezzo a loro disposizione, ma non c'era stato verso: la polizia aveva raccolto sul luogo dell'incidente le loro scarne testimonianze e infine detto loro dove avrebbero potuto trovare i tre malcapitati, in seguito.

Si erano mossi in massa.

«Possiamo almeno avere notizie?» Nami stava cercando di contrattare con uno degli ufficiali al gabbiotto d'accoglienza.

«Mi dispiace» la donna poliziotto sembrava irremovibile.

«Almeno sapere se il ragazzo che è svenuto sta bene! La prego!» riprese accalorata, un po' per scena, per intenerirla, un po' perché angosciata ci si sentiva davvero.

Non le erano chiare le dinamiche in cui tutto si era svolto. Ma non era stata davvero tanto cieca da non accorgersi delle varie storture avvenute quello stesso pomeriggio. A partire dall'improbabile alleanza di Sanji e Zoro, al fatto che non avessero fatto altro che tenere d'occhio quello strano gruppo che rideva e scherzava di fronte a loro.

Si chiese se ci fosse altro sotto e se non si sarebbe potuto evitare quello che era successo in seguito, ma questo lo avrebbe scoperto solo nel momento in cui li avrebbero rivisti. Se da un lato era angosciata, preoccupata, persino terrorizzata dall'idea di quello che era capitato a Zoro nello specifico, dall'altro era furibonda, perché li avevano tenuti all'oscuro di tutto. Se non Rufy, quei due idioti di Sanji e Zoro.

Si augurò di poterli rimproverare e malmenare lei stessa, una volta che tutto si sarebbe risolto per il meglio, perché è così che sarebbe andata, giusto?

La donna nel gabbiotto si umettò le labbra, guardandosi in giro con aria circospetta.

«Mi dicono che si è svegliato» disse loro, provocando un coro di sospiri mal trattenuti, sollevati.

La donna sembrò soddisfatta della reazione, prima di tornare a sfoggiare la sua aria altera.

«E adesso via di qui, ragazzini!»

Nami e gli altri si allontanarono mesti, restando poco fuori dalla centrale di polizia.

«Credete che dovremmo chiamare qualcuno?» domandò Chopper sull'orlo delle lacrime.

«Credo che se ne occuperanno loro...» Robin fece un cenno all'edificio «sono procedure interne, tocca aspettare.»

«Quegli idioti, avrebbero dovuto chiamarci» si intromise Franky con aria agguerrita, «li avremmo fatti fuori nella metà del tempo e ne saremmo usciti vincitori»

«Non mettertici anche tu...» lo rimproverò Robin, dandogli un buffetto sul braccio.

Nami arretrò di qualche metro, come potesse individuare, dall'esterno, la finestra della stanza in cui erano trattenuti i ragazzi.

Inspirò a fondo e restò immobile ad ascoltare gli altri discorrere, decisa ad aspettare fino alla fine.

 

-

 

Zoro si sentiva stordito, ma non si era sorpreso di essersi svegliato in quella che comprese essere la stanzetta di un'infermeria. Il medico che si era assicurato di visitarlo gli aveva intimato di restare sdraiato, ma lui non aveva voluto sentir ragioni: voleva raggiungere i suoi amici, ovunque fossero.

Per quello il poliziotto incaricato di sorvegliarlo non si era fatto molti scrupoli a prelevarlo e accompagnarlo lungo i corridoi ed infine in un locale che sembrava più una grigia sala d'aspetto. Seduti su alcune seggiole color arancio spento, c'erano i suoi amici.

«Zoro!» esclamò Rufy, l'evidente sollievo ad illuminargli lo sguardo. Persino Sanji sembrò felice di vederlo.

«Non volevano dirci niente, pensavamo ti avessero portato chissà dove»

«Silenzio» disse il poliziotto che lo aveva accompagnato, indicandogli dove sedersi.

Zoro fu grato di poterlo fare. Nonostante avesse dichiarato di sentirsi bene, la testa gli faceva un male del diavolo. La testa, la faccia; non si era visto allo specchio ma a giudicare dal dolore diffuso non doveva essere un gran bello spettacolo.

Si guardò brevemente attorno. Oltre alla luce artificiale, ad illuminare lo stanzone c'erano un paio di finestre con le sbarre. Appesi alle pareti, dei poster sulla sicurezza stradale e alcune foto di probabili ricercati. Si rese conto che non erano gli unici intrappolati lì dentro. A tener loro compagnia, guardie a parte, c'era un altro gruppo di ragazzotti dall'aria poco raccomandabile. Di Doflamingo e i suoi, però, nemmeno l'ombra.

«Sto bene...» sussurrò appena, per rassicurare i compagni.

«La tua faccia sembra un Picasso» fu il laconico commento di Sanji, che sfoggiava a sua volta un bruttissimo taglio al labbro e un ematoma appena sotto la mascella.

«Sei fortunato che in questo momento non ho le forze per litigare...» replicò Zoro, beccandosi in risposta un mezzo sorriso, a sottolineare che stava bene così, che comunque era lieto di saperlo in salute.

Una delle guardie uscì dalla stanza, mentre l'altra stava compilando qualcosa su un computer portatile. In quell'istante, uno dei tizi seduti di fronte a loro si alzò con circospezione e li raggiunse.

Li fissò a lungo, uno per uno, prima di sporgersi per non dover parlare a voce alta.

«Gira voce che siete finiti qui per colpa di Doflamingo e suoi, è vero?» il tizio aveva una gran bella faccia tosta, nonché la più stramba capigliatura a punta che Zoro avesse mai visto. Una cresta di capelli verdi, piercing al naso, tatuaggio sul viso e un paio di canini che avrebbero fatto concorrenza a un vampiro.

«Chi è Do-Mingo?» domandò Rufy che si era infilato nella rissa, senza nemmeno sapere chi fossero gli individui che avevano minacciato Zoro.

«Capelli biondi, camminata da scemo. Gli piace il rosa» suggerì il tipo, squadrandolo con aria interessata.

«Oh. Sì! Se quel tizio è Mingo allora sì. Immagino che siano loro i teppisti a cui abbiamo fatto il culo» sorrise a trentadue denti.

«Sul serio?» il tipo dai capelli verdi sgrano gli occhi, apparentemente incredulo «a me sembra che le abbiate prese» indicò i visi del trio, usciti affatto illesi dallo scontro.

Rufy intrecciò le braccia al petto, ridacchiando.

«Bè sì, ma ci siamo difesi bene, vero Sanji? Zoro?»

Il cuoco si stiracchiò sul sedile, scrollando le spalle.

«Se così la vuoi mettere...» commentò serafico, sembrava però soddisfatto della risposta del Capitano.

«Solo per questo dovrei farvi complimenti» intervenne di nuovo il tizio «Mi sembra ne siate usciti meglio di tanti altri» poi sorrise, amichevole, porgendo loro una mano «Molto piacere, il mio nome è Bartolomeo»

Rufy gli strinse la mano senza nemmeno sapere per davvero per cosa si complimentasse.

«Io sono Rufy, molto piacere, signor Galletto»

Zoro lasciò correre i convenevoli, sporgendosi appena dalla sua seggiola per poter guardare Bartolomeo dritto in faccia.

«Sono così famosi, quel Doflamingo e i suoi?» gli chiese. Era da quando aveva compreso la connessione a Law che gli era venuta voglia di saperne di più.

«Scherzi?» gli rispose questi «Doflamingo fa dentro e fuori dai riformatori da quando è ragazzino»

«Perché?»

«Bè, perché... ma davvero non lo sapete? Siete dei pazzi ad esservi battuti con lui senza sapere a cosa andavate incontro, io ve lo dico» sembrava quasi che realizzarlo facesse crescere il suo sguardo carico d'ammirazione «Faceva parte di una banda piuttosto rinomata, quando ancora frequentavano il liceo. Niente di davvero eclatante: qualche furtarello, atti vandalici, episodi di spaccio, qualche zuffa, ma si erano fatti un nome. La città è piccola, la gente mormora, così si dice, no? Se l'erano sempre cavata con poco, finché, un paio di anni fa... ha quasi fatto fuori il suo stesso fratello.»

«Ma che dici?» Rufy sembrava sinceramente sorpreso dall'ultima rivelazione.

«Per davvero» annuì Bartolomeo, «in realtà dicono sia stato solo un tragico incidente, ma la verità è che, incidente o meno, tutto sia cominciato con una spedizione punitiva. La cosa sia degenerata e pare che il suo caro fratellino si sia messo in mezzo, rimettendoci quasi le penne»

«Pazzesco...» Rufy prese a dondolarsi sulla sedia.

«E come è andata a finire?» si intromise Sanji.

«Che Doflamigo è finito in riformatorio. Paparino ha pagato fior fiori di avvocati per evitare il peggio, facendogli guadagnare giusto qualche mese in un istituto e un anno di servizi socialmente utili, e suo fratello sia rimasto in coma per settimane, prima di risvegliarsi tutto sghembo... non so bene come sia finita, ma di certo ora Doflamingo è sotto osservazione dalle autorità locali. Però mi pare che il vizio non lo abbia affatto perso.»

«Assurdo», commentò Rufy, rivolgendosi poi a Zoro «Non ti sembra una storia simile a quella che ci ha raccontato la tua amica qualche giorno fa? Sul tuo allenatore... Liu. Laz. Traf.»

Trafalgar Law. Zoro aveva appena avuto la conferma sulla storia. E le sue intuizioni a riguardo. I dettagli sul come o il perché Doflamingo avesse deciso di andare a cercare Trafalgar erano ancora oscuri, ma sembrava proprio che non ci fossero più dubbi a riguardo.

«Già...» disse solo, senza aggiungere altro. Non era sicuro che spiegare a Rufy tutte le connessioni potesse davvero servire a qualcosa in quel momento. Lo avrebbe fatto però. Aveva imparato la lezione.

«In ogni caso massimo rispetto, ragazzi. Sono sicuro sia stato uno scontro epico. Che ne siate usciti praticamente illesi è assurdo. Davvero assurdo.»

Zoro non condivideva affatto l'esaltazione di Bartolomeo ma non poteva sottrarsi a quella fitta di soddisfazione nell'essere riusciti a tener testa dei criminali di quella risma. Non che gli avesse fatto piacere prenderle, ma si era reso conto che lo scontro era stato in qualche modo...

«È stato molto divertente, in realtà!» Rufy concluse a voce il suo pensiero, scoppiando a ridere.

«Sei proprio scemo...» lo rimproverò Sanji, «avrei preferito tenermi il labbro sano»

Era stato divertente? Forse. Stimolante? Forse di più. Si era reso conto di aver dovuto fare i conti con qualcosa che non aveva niente a che vedere con le regole che doveva seguire nei suoi incontri di Kendo. Era stato tutta improvvisazione. E caos.

E si rese conto che distruggere gli schemi era stato... liberatorio.

«E tu perché sei qui dentro, Crestina?» chiese il Capitano.

«Ah... ho rubato un motorino» rispose questi con tranquillità.

Rufy scoppiò di nuovo a ridere, trovando la cosa estremamente esilarante. E stava ancora ridendo quando la guardia che aveva accompagnato Zoro entrò nella stanza.

«Vi avevo detto di fare silenzio!» tuonò, guardandoli in cagnesco «voi tre... in piedi. Con me.»

Fece loro perentorio cenno di seguirlo.

Bartolomeo sembrò dispiaciuto di lasciarli andare, li salutò con la mano e gli occhi che brillavano di un rispetto del tutto fuori luogo.

 

Furono trascinati in un'altra stanza. Di questo passo avrebbero finito per visitare l'intera centrale di polizia.

Vennero fatti sedere su tre sedie, appositamente sistemate lì per loro, proprio di fronte a una larga scrivania. Sul tavolo campeggiavano alcuni plichi di documentazione varia. Un grosso, vetusto computer, uscito direttamente dagli anni novanta, una cornice con la foto di un paio di grossi cani.

Sulle pareti, accanto agli archivi, un calendario con delle motociclette e un paio di attestati accademici.

Sembrava l'ufficio di qualche pezzo grosso. Nell'aria aleggiava un vago odore di fumo.

«Perché siamo qui?» sussurrò Rufy, guardandosi attorno, già palesemente annoiato e infastidito dalla situazione, dalla burocrazia poliziesca.

«Immagino vorranno interrogarci o che ne so, raccogliere le nostre testimonianze», rispose Sanji, cercando nervosamente qualcosa nella tasche, in un gesto automatico. Dovevano avergli portato via le sigarette, quando li avevano fatti entrare. Zoro si era reso conto di non avere con sé né il portafoglio, né il suo vecchio cellulare.

Chissà se Koshiro sapeva che era lì. Chissà se chiunque altro... sapeva che erano apparentemente finiti nei guai.

La porta si aprì all'improvviso alle loro spalle, portando con sé un acre odore di sigaro estinto.

«Eccovi qui...» la voce profonda, roca di un grosso ufficiale di polizia. Li affiancò, guardandoli appena, prima di circumnavigare la scrivania e sedersi sulla poltrona in pelle, consunta dai molti anni di servizio. Sebbene non sembrasse dimostrare molto più di trent'anni, l'uomo sfoggiava una capigliatura argentea. Zoro si chiese se non si trattasse di una tinta particolarmente audace, ma a giudicare dal pallore del viso, della vaga trasparenza delle sopracciglia e gli occhi molto chiari, si chiese se non fosse il suo colore naturale. Simile a quello di un albino.

L'uomo li scrutò a lungo, uno per uno e per un istante a Zoro diede l'impressione di essersi soffermato su di lui più di quanto non avesse fatto con gli altri.

Lo osservarono aprire uno dei faldoni sistemati sulla scrivania e sospirare grevemente.

«Moneky D. Rufy, Vinsmoke Sanji e Roronoa Zoro, giusto?» domandò chiedendo conferma delle loro identità.

I tre annuirono all'unisono. Quasi si sentissero a disagio di fronte a quel corpulento, granitico poliziotto.

«Io sono l'ufficiale Smoker, incaricato di redigere un verbale su come si sono svolti i fatti...» sbuffò infastidito dal contegno che sembrava dover dare di sé. A Zoro quel nome sembrò familiare. «D'accordo. Lasciamo da parte tutte queste stronzate burocratiche. Facciamo che mi raccontate cosa cazzo è successo in quel parco e la risolviamo veloce. Ho già le testimonianze dei vostri amici e la confessione dei vostri simpatici avversari. State attenti a quello che dite, a non raccontarmi cazzate, perché non ci metto niente a sbattervi in gattabuia»

«Wow...» sibilò Rufy, beccandosi un calcio negli stinchi da Sanji.

«Wow, cosa, ragazzino?»

«Wow tutto. Non mi era mai capitato di essere interrogato!»

«Questo ti fa solo gioco, perché se avessi dei precedenti ora non saremmo nemmeno qui a discuterne»

«Non ho prece... denti» rispose titubante, forse cercando di capire che intendesse dire.

L'uomo scoccò un'occhiata a Sanji, invogliandolo tacitamente a prendere la parola.

«Eravamo al parco per celebrare l'hanami» disse il ragazzo «non stavamo facendo nulla di male. Ci siamo accorti che questo gruppo aveva cominciato a tenerci d'occhio.»

«Li conoscevate?»

«Bè...» Sanji non potè fare a meno di lanciare uno sguardo eloquente a Zoro.

Il poliziotto fece saettare su di lui uno sguardo penetrante.

«Hai qualcosa da dire, ragazzo?»

Zoro sembrò titubante su cosa rivelare e cosa no. La promessa fatta a Law valeva anche per un interrogatorio della polizia?

«Probabilmente tenevano d'occhio me» poteva decidere cosa dire, se non altro «Ho avuto la sfortuna di incontrarli qualche giorno fa, alla spiaggia. Stavano minacciando una persona... ed io sono... intervenuto»

Non era necessario fare nomi, giusto?

«Davvero?!» esclamò Rufy, del tutto sorpreso dalla svolta del racconto. Sanji sembrava immaginarlo ma non conoscendo i dettagli, lo osservava curioso.

«Intervenuto come?» incalzò Smoker, intrecciando le braccia al petto.

«Mi sono solo avvicinato. E hanno smesso di provocare. Se ne sono andati, è finita in niente.»

«Sei sicuro?»

«Certo che sono sicuro», gli lanciò uno sguardo serio ma offeso.

«D'accordo. Quindi, ricapitolando: questi tizi vi tenevano d'occhio, perché probabilmente ti hanno riconosciuto. Da lì a alla rissa, cosa è successo?»

«Mi sono allontanato, mi hanno seguito e il tizio che pare un fenicottero mi ha chiesto di tenere la bocca chiusa su quello che avevo visto alla spiaggia. La mia risposta non deve essergli piaciuta e hanno deciso di prendermi a calci in faccia» gli concedesse la spiegazione più stringata a precisa che potesse dargli.

«E poi siamo intervenuti noi!» si intromise Rufy, con un certo orgoglio.

«Questo non è esattamente un punto a tuo favore, pivellino.» lo interruppe Smoker. Ma non stava prendendo appunti, si chiese se il tizio avesse una memoria di ferro o li stesse solo prendendo in giro.

Smoker si prese una lunga pausa, e aprì uno dei cassetti della scrivania. Ne estrasse un sigaro che si preoccupo' di tagliare in cima.

«Non vi spiace se fumo, vero?» sembrava più una comunicazione, che una richiesta.

Lo accese con delle ampie e rapide boccate, lasciando che il profumo penetrante delle foglie di tabacco impregnasse la stanza. Rufy tossì un paio di volte, Sanji sembrò felice di poterne respirare l'aroma.

«Ti piacciono i sigari?» il poliziotto sembrò accorgersene e Sanji non potè fare a meno di annuire.

«Si può fumare qui dentro?» chiese.

«Certo...» rispose Smoker, facendo per tirare fuori un altro sigaro che posò sulla scrivania. Sanji fece per allungarsi ma glielo tirò via da sotto al naso.

«Io sì, ma tu no, ragazzino, sei impazzito?» sembrava però sorridere sotto ai baffi, pur non piegando le labbra all'insù.

«Torniamo a noi» posò entrambi i gomiti sul tavolo «in questa vicenda a me par di capire che siete stati solo vittime degli eventi. La vostra testimonianza combacia con quella dei vostri amici e persino con quella dei vostri aggressori. Quindi direi che per questa volta...» sbuffò altro fumo mefitico nell'aria «... ve la cavate con un ammonimento. E ve ne potete tornare a casa.»

«Tutto qui?» commentò Rufy.

«Taci, cretino!» Sanji gli mollò uno scapaccione.

E fu solo allora che a Smoker sfuggì un rantolo dal profondo della gola, che sembrava una risata.

«Stupido ragazzino...» commentò a mezza bocca, trattenendo in bilico il sigaro fra le labbra.

«Potete andarvene» disse, richiudendo rumorosamente il fascicolo, «e mi raccomando, invece di imbarcarvi in stupide risse, cercate aiuto, in futuro.»

«E con Doflamingo e i suoi, come la mettiamo... ?» intervenne Zoro, senza mezzi termini. Aveva improvvisamente ricordato dove il nome di quel poliziotto era saltato fuori la prima volta. E aveva a che fare con Tashigi.

Smoker. Lo svolgimento di quell'interrogatorio era stato così vago e veloce che non poteva esser altro che un'intercessione da parte sua. Tashigi doveva avergli parlato di lui, doveva averlo riconosciuto e il poliziotto doveva aver agito di conseguenza.

L'uomo gli piantò addosso uno sguardo consapevole, come avesse recepito il messaggio.

«Non dovrete preoccuparvi di loro. Non nell'immediato, almeno. Mi assicurerò personalmente di tenerli a bada»

«Oh, grazie!» esalò Rufy, balzando in piedi.

Ma lo sguardo di Smoker era ancora rivolto a Zoro e sembrava dirgli che non lo stava certo facendo per loro.

«Fuori dai piedi adesso. Sono venuti a prendervi»

Il trio non i preoccupò di salutarlo, si diresse verso l'uscita, senza esitazione.

«Simpatico eh, il fumoso!» fu lo sgraziato congedo di Rufy.

«Dannati ragazzini...» le parole che percepirono alle loro spalle, furono il suo reale congedo.

 

Una volta recuperati gli effetti personali, furono condotti alla sala d'attesa, dove ad aspettarli c'era niente meno che il fratello di Rufy.

«Ace? Che cavolo ci fai qui?» chiese il ragazzo, andandogli incontro con gran entusiasmo.

«Sono il maggiorenne responsabile, incaricato di riportarvi a casa» disse, calcando sulla parola responsabile. Aveva un gran sorriso dipinto in viso, e la faccia di uno che non vedeva l'ora di capire come fossero andate le cose.

«Significa che le nostre famiglie sono state informate?» domandò Sanji allarmato. Probabilmente non aveva alcuna intenzione di giustificarsi sull'accaduto. E Zoro dovette ammettere che nemmeno lui aveva gran voglia di raccontarlo a Koshiro.

«Eccerto, che ti credevi, bimbetto?», rispose Ace, caustico. Avvicinò poi Rufy, agganciandolo per le spalle, per guardare quel gran brutto taglio che aveva sullo zigomo, troppo vicino all'occhio «Questo lo dobbiamo far vedere»

«È la mia medaglia d'onore!» cercò di liberarsi, ma senza crederci troppo.

«Gran bella medaglia d'onore, sembrate usciti dal trucca-bimbi di uno stagista strabico», commentò, prima di lasciarli andare «andiamo, forza. Sono le otto passate, ho fame e qui fuori ci sono tutti i vostri amici ad aspettarvi.»

 

Amici che gli si fecero incontro in massa, che non vedevano l'ora di sapere tutto quanto, che li rimproverarono per non averli coinvolti e a cui Zoro non ebbe la forza di rispondere, lasciando fare al Capitano che aveva già preso a narrare disarticolatamente l'accaduto.

La reazione di Nami si fece attendere in coda a tutto. Lo individuò nella sua postazione defilata, fra il tramestio generale e sembrò puntarlo, andandogli incontro con aria furente e combattiva.

Zoro si vide costretto ad arretrare, intimorito dalle conseguenze di quella carica. Nami, l'unica persona che riusciva a terrorizzarlo veramente durante i suoi scatti di collera violenta.

Ma quando fu pronto a subire la sua ira, ad assorbire qualsiasi colpo avesse in serbo per lui, si sentì avvolgere da un abbraccio improvviso e travolgente. Che lo paralizzò, più di tutto il resto.

«La prossima volta che vi azzardate a tenere tutto per voi, vi ammazzo con le mie stesse mani...» sussurrò soffocata, il viso spiaccicato contro il sul petto. A Zoro faceva male tutto, ma cercò di non darlo a vedere.

Si sentì in colpa. Il fatto che non avesse voluto condividere era solo per tenerli alla larga dai guai, ma a quanto pareva, per almeno un paio di loro, non era servito granché. E le conseguenze emotive degli altri evidentemente non erano da sottovalutare.

Forse avrebbe dovuto rivalutare, per l'ennesima volta, le sue percezioni.

«Ora stai bene?» gli chiese poi scostandosi appena, per poterlo guardare in viso. A giudicare dall'espressione dubbiosa che le vide sfoggiare, la sua faccia era ancora un disastro.

Probabilmente lo slancio di Nami era più dovuto al non trascurabile dettaglio che fosse stato trascinato via privo di sensi, alla fine dello scontro.

«Benone» le confermò «E scusami»

Scusa per non avergliene parlato, scusa per i messaggi contraddittori che le aveva mandato in quell'ultimo periodo. Gli sembrò di doverle chiedere scusa per tante cose. Gli eventi di quel pomeriggio avevano messo luce su alcuni spunti, che avrebbe avuto modo di esaminare con tranquillità più avanti. E forse aiutato a rimettere in linea le sue convinzioni.

Si preoccupò di sorriderle, tradendo però una smorfia grottesca quando si rese conto che gli facevano male davvero anche tutti i muscoli del viso.

«Sembri il mostro di Frankenstein», commentò generosamente Nami, ma si vedeva che, calata la tensione, le veniva improvvisamente da ridere.

«Metterò in lista anche questa...» disse solo, preoccupandosi di ricambiare in parte quell'abbraccio.

E stavolta il sorriso lo calibrò bene e si preoccupò di trasmetterglielo.

«Avete finito di fare i piccioncini vuoi due?» intervenne rabbiosamente Sanji «ci stiamo muovendo. Andiamo a mangiare al Baratie, siamo tutti ospiti di Zef. Se non finisce di spaccarmi la faccia prima.»

Zoro si limitò a scoccargli un'occhiata ostile, mentre Nami lo afferrò per una mano e lo trascinò dagli altri. Prese sottobraccio anche Sanji, cercando di prevenire uno scontro.

Forse persino Zoro ne aveva abbastanza di battaglie.

Almeno per quella sera.

 

 

Nota:

Le procedure al commissariato me le sono inventate di sana pianta. Non ho la minima idea di come funzioni (grazie al cielo, direi), sopratutto nel sistema giapponese. Sul resto mi spiace se magari sembra abbia un po' messo da parte la romance, ma mi piaceva comunque esplorare altri aspetti di questa slice of life. E inserire un sacco di personaggi noti, qui e lì. (Se non si fosse capito, ho un gran debole per Smoker e una particina gliela dovevo dare. E Bartolomeo. Ma Bartolomeo solo perché è una fangirl, come me).

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15.

 

Non era stato facile, per Zoro, raccontare tutto a Koshiro. Non era stato nemmeno facile tenere il nome di Trafalgar Law lontano dalla conversazione.

L'unica cosa positiva era che Koshiro non aveva fatto molte domande. Si era preoccupato di trascinarlo in ospedale per fare degli accertamenti. Più di qualsiasi altra cosa era preoccupato per la sua salute. Ma la testa di Zoro era più dura di qualsiasi calcio in faccia e, a parte il brutto taglio al sopracciglio, erano rientrati senza doversi preoccupare ulteriormente.

«Direi che per almeno un paio di settimane gli allenamenti li lasciamo da parte...» gli disse durante una conversazione in giardino.

«Perché? Sono sicuro di poterli-»

«Ti eserciterai da solo. Qualcosa di leggero. Mi pare tu abbia fatto abbastanza allenamento l'altro giorno»

Poteva dargli torto? La rissa aveva messo a dura prova persino un tipo preparato come lui. E ancora si sentiva indolenzito come avesse preso a pugni un muro per tutto il giorno.

«Non avrei mai pensato che dare qualche cazzotto potesse mettere a dura prova i miei muscoli», commentò per fargli capire che sì, forse avrebbe potuto prenderla alla leggera per qualche giorno.

Koshiro, sorprendentemente, scoppiò a ridere.

«E perché pensi che ti abbia detto di andarci piano?»

Gli passò uno dei mochi che avevano comprato per merenda il giorno prima, al ritorno dall'ospedale

«Ho avuto anche io la mia dose di zuffe da ragazzo. So perfettamente come ci si sente, dopo»

Zoro, che si era infilato per intero il dolce in bocca, quasi lo sputò fuori per la sorpresa.

«Tu? Zuffe?» esclamò, senza nemmeno sapere come avesse fatto a parlare con la bocca piena. Doveva essere un dono.

«Perché? Ti sembra così incredibile?» gli chiese, divertito dalla tua reazione «Tuo padre non era uno stinco di santo ed io gli andavo dietro come uno scemo. Ogni tanto provocavamo la gente sbagliata. Poi ci siamo resi conto che il kendo era meglio. Bè, il kendo e le ragazze.»

«La straordinaria vita segreta di Shomotsuki-sama...» gli uscì spontaneo schernirlo. C'erano cose che Koshiro ancora non gli aveva ancora mai raccontato. Ogni volta era un tassello che lo aiutava a conoscerlo meglio.

«Già, ti parlo di davvero tanti... tanti anni fa» si volse a guardarlo «ma sono errori che si fanno, sai? Anche quelli servono a crescere. E ti rivelerò una cosa che non dovrei dirti, come educatore e tutore ma... sono sorpreso che una cosa simile non ti sia accaduta prima.»

Zoro sgranò gli occhi.

«Perché pensi che io sia un teppista?» Koshiro stava per caso rivelando la vera opinione che covava su di lui?

«No!» esclamò divertito «Assolutamente no. Semmai il contrario.»

Gli diede una pacca sulla schiena, ridimensionando la conversazione.

«Non che tu sia il ragazzo perfetto, se pensi che non sappia delle lezioni che salti a scuola, sbagli di grosso» gli rivolse uno sguardo che faceva da monito «ma non mi hai davvero mai dato problemi, perché sembra tu sia sempre stato abituato a mantenere... il controllo»

Il controllo. Non era quella la parola attorno cui stava mulinando la sua vita, in quell'ultimo periodo?

«E invece la vita è fatta anche di cose come questa, dove il controllo lo si perde eccome. Dove a volte bisogna reinventarsi per accogliere le svolte impreviste»

Si creò uno strano silenzio fra loro e forse Zoro capì che Koshiro gli stava solo dando modo di meditare sulle sue parole. Non parlavano spesso. Non in questo modo. Ma ogni volta che accadeva era come se Koshiro gli stesse impartendo una lezione. Molto più profonda di quelle che poteva dargli al dojo.

«Quello che stai dicendo... vale anche per te?» gli chiese allora. E si stava riferendo proprio a quella sua recente tendenza ad aprire la palestra, la sua vita ad altre persone.

«Reinventarmi?» chiese, con un mezzo sorriso «Forse. Credevo non ci fosse spazio per farlo, per uno della mia età... ma sai che ti dico? La scusa dell'età è una grande stronzata»

Zoro quasi trasalì alla sua imprecazione. Anche quella era una novità.

«Ora capisco cosa intendevi dire quando hai deciso di farmi allenare da Law»

Koshiro annuì consapevole.

«Mi fa piacere... che tu lo abbia chiamato solo Law e non chessò, tatuatore strabico», commentò prima di sbuffare l'ennesima risata.

«Eddai!»

«Ma sì. Penso che uscire dagli schemi ti farà solo bene»

«Si potesse applicare questa cosa anche fuori dal kendo...» mormorò Zoro inquieto. Ancora gli tornavano in mente le parole che aveva rivolto a Nami, non meno di una settimana prima.

«Bè, io direi che puoi. Devi solo imparare a lasciarti andare.»

«Penso che dovrai pazientare molto con me, su questa cosa»

«Pensi che io abbia fretta?»

Zoro sorrise un po' mestamente. Forse Koshiro non ne aveva di fretta, ma qualcun altro magari sì.

«Comunque c'è un'altra cosa che volevo chiederti...» aggiunse, facendosi di nuovo serio.

Sembrava un pomeriggio pregno di conversazioni significative.

Zoro si fece attento, posando l'ennesimo mochi che aveva intenzione di mangiare. Tenendoselo per dopo.

«Prima dicevo che meglio delle risse c'è comunque sempre il kendo, convieni?»

«Certo» annuì, pronto a una nuova massima del maestro.

Koshiro lo guardò dritto in volto.

«E delle ragazze cosa mi dici?»

«Apposto. Penso che la nostra conversazione possa chiudersi qui!» replicò sbrigativamente, rimettendosi in piedi, senza dimenticare il suo mochi.

Non avrebbe parlato di ragazze con suo padre. Proprio no!

Koshiro abbandonò gli intenti di carpirgli informazioni molto presto, ma forse non aveva davvero bisogno di indagare sui suoi tormenti. Un'idea sembrava già essersela fatta.

 

-

 

Nami aveva appena terminato di apparecchiare per il pranzo.

Sua madre sarebbe stata di turno la sera e aveva passato la mattinata a sbrigare commissioni con la promessa di rientrare prima di mezzogiorno. Nojiko aveva deciso di cucinare qualcosa di veloce. Dalla cucina arrivava il profumo speziato del curry.

Nami sbucò dalla porta, annusando l'aria come un segugio. Adorava le giornate che prendevano una piega inaspettata, come in quell'occasione. Il semplice ritrovarsi tutte insieme, senza dover dare merito a qualche circostanza speciale. Come quando erano bambine e Bellmer tornava a casa prima da lavoro con i dolci della pasticceria. Un presente per tentare di colmare il vuoto della sua assenza, dell'aver lasciato sole a casa due ragazzine ancora troppo piccole. Ma del resto non si era mai potuta davvero permettere una baby sitter e non c'erano altri parenti a cui chiedere asilo. Era stata costretta a responsabilizzarle troppo in fretta. Nami e Nojiko accoglievano quei doni come il giorno di Natale, liete di poter spendere del tempo prezioso con la loro madre.

«Ci siamo quasi?» domandò facendo irruzione nel tempio temporaneo della sorella.

«Ci siamo e basta» le rispose lei, spegnendo il fuoco dal fornello.

Nami le si avvicinò di soppiatto, raccattando un cucchiaio per saggiare con le sue stesse papille gustative il risultato. Non che avesse dubbi a riguardo: Nojiko era formidabile ai fornelli.

«Controllo qualità!» la prese alla sprovvista, portandosi via il curry bollente con un cucchiaio. Lo ingurgitò alla velocità della luce.

«Nami, attenta-»

«Cazzo, è rovente!» esclamò spalancando le labbra per raffreddare quella sottospecie di colata lavica.

«Cretina» la rimproverò Nojiko, passandole celermente un bicchiere d'acqua con cui Nami si servì con frenesia «meglio?»

Annuì grata per quel gesto caritatevole, per lo scampato pericolo d'ustione. Si poggiò al bancone della cucina con aria esausta.

«Ne è valsa comunque la pena...» grugnì soddisfatta, prendendo un altro sorso d'acqua fresca. La trattenne in bocca un po' più a lungo per dare sollievo all'ustione.

Nojiko recuperò tre piatti fondi, lanciando una sbirciata all'orologio appeso appena sopra il frigorifero.

«Non sembra anche a te che mamma voglia dirci qualcosa da qualche giorno a questa parte?»

Nami si chiese se questa domanda avesse a che fare con il fatto che le avesse parlato di Genzo. Si erano entrambe interrogate su quando Bellmer si sarebbe decisa a parlare loro dell'uomo con cui presumibilmente usciva. La verità era che ancora non ne avevano la certezza, ma quando erano lì lì per affrontare l'argomento, succedeva sempre qualcosa che rimandava la questione.

«Forse...» si strinse nelle spalle, «ho avuto anche io questa impressione. Magari potremmo... forzare un po' la mano»

«Tipo oggi a pranzo?»

«Tipo...»

Annuirono all'unisono, la decisione presa.

Quando Bellmer rientrò, un po' accalorata dal sole primaverile, Nojiko aveva già messo il pranzo in tavola.

«Che profumino delizioso» si complimentò la donna, liberandosi solo della giacca e delle scarpe, raggiungendole in soggiorno.

«Ho chiesto a Nojiko di preparare il tuo piatto preferito»

«Che solo il caso vuole che sia lo stesso che piace a te... ?» commentò Bellmer con uno sguardo sornione.

«Solo un caso...» si strinse nelle spalle, sbirciando la sorella che si era messa distrattamente a versare del succo di mandarino a tutte.

Se dovevano parlare era meglio farlo subito o aspettare che finissero di mangiare, per evitare che il pranzo andasse loro di traverso?

Bellmer, ignara dell'agguato, aveva già cominciato a consumare il suo pasto, senza darsi pensiero di aspettarle.

«Mamma...» si decise a prendere la parola Nami, dopo una silenziosa consultazione di sguardi con la sorella «Nojiko ed io ci chiedevamo come te la passassi, in questo periodo»

Bellmer ingoiò il boccone con cui si era appena servita e passò lo sguardo sulle figlie con aria confusa.

«Intendete con il lavoro?»

Nojiko guardò Nami e viceversa.

«Anche, ma in generale» si strinse nelle spalle, «è che ci sei sembrata un po'... pensierosa ultimamente» decise di non tergiversare troppo, di non lasciare adito a fraintendimenti. Non era un accerchiamento feroce, solo una richiesta di dialogo. Si erano ripromesse di dirsi sempre tutto, o quasi. Di parlare chiaramente quando nella loro famiglia c'era qualcosa che non andava, dalle gioie più frenetiche alle più oscure disperazioni. Dal giorno in cui Bellmer aveva subito quel terribile incidente, alla disoccupazione, non avevano mai più lasciato niente al caso.

Bellmer sembrò restia a rispondere sulle prime, ma quando posò il cucchiaio, capirono che qualcosa da dire doveva effettivamente esserci.

Solo che l'atmosfera era cambiata in modo così repentino che Nami si chiese se non l'avesse infastidita, in un momento che doveva essere quantomeno... sereno. Se forzare la mano fosse stato uno sbaglio. Dopotutto poteva essere un argomento potenzialmente delicato?

«In effetti c'è qualcosa che dovrei dirvi»

Eccoci, pensò Nami. Lo sguardo di Nojiko sembrava intendere la stessa identica cosa.

«Se non ve ne foste accorte, probabilmente avrei rimandato all'infinito questa conversazione. Ma... immagino che non stia a me scegliere. E in fondo non mi è mai sembrato giusto tacervelo...»

Nami sembrò preoccupata del tono in cui stava affrontando il discorso. Che sua madre fosse così convinta avrebbero preso tanto negativamente il suo desiderio di rifarsi una vita? Certo non aveva mai fatto salti di gioia al pensiero che presto o tardi un uomo avrebbe fatto irruzione nella loro quotidianità familiare, ma Genzo era comunque una brava persona, avrebbe potuto andare peggio, avrebbe potuto inciampare nello stesso errore di tanti anni prima, l'anno in cui aveva conosciuto e amato quello che poi era diventato...

«Vostro padre mi ha contattata qualche settimana fa»

Nami avvertì un sordo tuffo al cuore. La stanza sembrò farsi più oscura e silenziosa, ad accompagnare un'affermazione che nemmeno le pareti di quella casa sembravano pronte ad accogliere.

«Che stai dicendo, mamma?» la voce di Nojiko strappò la situazione dal gelido impasse.

«Quello che ho detto: vostro padre mi ha contattata. E mi ha chiesto... di potervi vedere» la sua voce era calma, apparentemente misurata, ma a Nami non servì un'analisi approfondita per capire che quel controllo le stava costando fatica.

Da quanto tempo non si vedevano? O parlavano? Era anche lei turbata, tanto quanto Nami aveva appena scoperto di essere?

«Che non ci pensi nemmeno. Per quanto mi riguarda può andare all'inferno senza averla mai vista la mia faccia da adulta» replicò all'improvviso Nojiko impietosa, implacabile. Lei che quel padre lo aveva a malapena conosciuto, che forse ne ricordava a fatica i lineamenti nei suoi ricordi di bambina. Foto in casa non ne giravano, ma quell'unica volta che Nami aveva visto il suo viso, non lo aveva più scordato. Una foto sbiadita di un ragazzo, poco più che ventenne, che aveva sperato di creare una famiglia. Di mantenerla, forse. E che quando si era reso conto di non averne la forza o la volontà aveva preferito fuggire. Senza lasciare tracce.

Vigliacco.

Non era certa di provare lo stesso risentimento di Nojiko per un uomo che non aveva mai conosciuto. L'unico amore che aveva assorbito era stato quello di sua madre. L'unico e il solo di cui credeva di aver avuto bisogno. Ma la verità era che la sola idea di sapere che là fuori c'era qualcuno che non si era nemmeno preso la briga di volerla conoscere... le spezzava il cuore. Un rifiuto che forse si sarebbe portata appresso per tutta la vita. Sebbene, lei, di colpa, sapeva di non averne alcuna.

Si può provare nostalgia per un amore mai sperimentato?

«Perché adesso?» la sua stessa voce sembrò provenire da corde vocali non sue.

Si sentì addosso lo sguardo di Nojiko e di Bellmer ma non abbassò lo sguardo per ritrattare o formulare domande più specifiche. Doveva esserci un motivo se quell'uomo aveva deciso di comparire, dopo quasi diciotto anni di oblio.

E la risposta arrivò più brutale che mai.

«Perché pare sia molto malato...»

 

-

 

Zoro aveva optato per dei blandi esercizi in casa. Mentre fuori Koshiro e Trafalgar Law allenavano un branco di bimbetti delle elementari, lui se ne stava dentro la palestra a sollevare pesi.

Sentiva solo il vociare delle grida eccitate di pargoli incontrollabili e si chiese se un giorno avrebbe mai potuto ereditare l'attività di Koshiro, se quelle erano le premesse. Non era sicuro di avere quella stessa pazienza. In realtà era sorpreso ne avesse Law.

Era così frenetica l'attività là fuori che nemmeno si era reso conto di essere osservato.

Si volse solo quando andò a sistemare i pesi a terra, vicino al bilanciere e una sagoma aveva invaso praticamente il vano delle porta del dojo.

«Scusa l'intrusione» Law se ne stava appoggiato allo stipite, le braccia conserte, come avesse atteso con pazienza che finisse i suoi esercizi.

«Nessuna intrusione, ho finito...» gli rispose. In realtà si stava allenando da pochi minuti, ma aveva deciso di non esagerare. I muscoli erano ancora indolenziti dall'intensità dello scontro di un paio di giorni prima.

«Allora non ti scoccerà se ti chiedo un paio di minuti per fare due chiacchiere»

Zoro sbirciò fuori dalla finestra: Koshiro stava facendo correre in circolo i bambini. L'allenamento non era ancora terminato, ma evidentemente Law aveva chiesto una pausa. Gli sembrò una cosa importante.

«Parliamo» disse, recuperando una bottiglietta d'acqua. Si mise a sedere su una delle panche in legno, invitandolo a fare lo stesso. Ma Law fece solo qualche passo nella sua direzione, senza sembrare intenzionato a mettersi comodo. Come volesse sbrigare quella conversazione più come un atto formale che come un confronto cuore a cuore.

«Il maestro Shimotsuki mi ha raccontato quello che è successo a te ed i tuoi amici, qualche giorno fa»

Si stava riferendo allo scontro con Doflamingo, era evidente. Non gli servì però su un piatto d'argento il resto della conversazione, era curioso di capire cosa avesse intenzione di dirgli.

«So che non hai fatto il mio nome. E di questo ti sono... grato»

Zoro si strinse nelle spalle. Ancora aveva dei dubbi sulla parola data?

«Ma non volevo che venissi coinvolto. Eppure forse dovevo aspettarmelo. Non mi sono assicurato di metterti davvero in guardia su Doflamingo e la sua squadra»

«Lo hai fatto. Ma non credo tu possa controllare le loro azioni»

Il fatto che lo avesse ammonito non lo aveva comunque messo al sicuro dalle loro ritorsioni, perciò perché farsene carico a questo modo?

«No, questo no...» ammise.

«Ammetto che mi piacerebbe conoscere un po' meglio questa storia» disse Zoro. Forse un po' se lo meritava. Per il suo silenzio e per essere finito in mezzo a una diatriba non sua.

Law si limitò a fissarlo per un lungo istante. Ma era evidente che stava solo cercando le parole giuste per cominciare, che alla fine era venuto a cercarlo per quel motivo.

«Sì bè... immagino che ti sarai già informato per conto tuo, in qualche modo.»

«Qualcosa del genere» tralasciò il fatto che fosse stata Tashigi a fare il grosso del lavoro, non era così importante «so che non pratichi più il kendo per via di un incidente. Immagino che questo Doflamingo c'entri qualcosa»

«Già» confermò con una smorfia amara «In realtà tutto è cominciato perché mi sono immischiato in una storia che non mi riguardava. O meglio... mi riguardava in parte. Il fratello di Doflamingo era un mio compagno di squadra. Un senpai. Amava il kendo tanto quanto lo amavo io» si mise a sedere sulla panca di fronte a Zoro, allungando le gambe.

«Una cosa che a Doflamingo non è mai andata giù. Era come se la passione e la dedizione che Rosinante metteva negli allenamenti, nelle competizioni, per qualche assurdo motivo mettesse in evidenza la condotta disordinata di Doflamingo. I loro genitori sostenevano Rosinante, mentre bè... immagino capirai da solo cosa disapprovassero del loro figlio maggiore.»

Zoro cominciava a tracciare un quadro piuttosto chiaro della vita familiare del fenicottero. Ma era curioso di capire quale fosse stato l'apice della storia, perché a prescindere da tutto non c'era giustificazione nelle sue azioni.

«... e poi un giorno, durante un ritiro per la sessione finale degli allenamenti, in vista dei campionati nazionali... Doflamingo e i suoi hanno fatto irruzione in palestra. Le provocazioni sono andate oltre le parole e le cose sono degenerate in fretta. Immagino che il piano fosse solo quello di fare un po' di casino, di provocare uno scandalo tale per cui la squadra sarebbe stata espulsa dal campionato nazionale e Rosinante messo alla porta proprio il suo ultimo anno di liceo... la verità è che è finita molto peggio di così»

A Zoro sembrò che a Law costasse fatica portare a termine il racconto, ma cercò di farsi forza e passatosi una mano fra i capelli, riprese.

«Al contrario di Rosinante io non sono mai stato una persona pacifica. Sebbene sulle prime battute lui abbia fatto di tutto per sedare gli animi, io non sono riuscito a stare a guardare mentre distruggevano mezza palestra. Ho cercato di fermare uno di loro prima che spaccasse uno shinai sulla gamba di un ragazzino del primo anno. Ci ho visto rosso e sono intervenuto, prendendolo a pugni. Lì è degenerato tutto»

Si passò una mano sul viso.

«Ma è stato quando Doflamingo ha cercato di spaccarmi la testa con un'asta di metallo che aveva raccolto da chissà dove che Rosinante si è messo in mezzo. Ancora adesso non riesco a ricordare davvero le dinamiche dell'incidente. È stato... tutto così veloce. So solo che ad un certo punto mi sono trovato seduto per terra e Rosinante era accanto a me, accasciato al suolo, privo di coscienza. Mentre Doflamingo reggeva in mano quel cazzo di bastone di metallo e non sembrava nemmeno aver capito cosa avesse appena fatto. Poi sono arrivati un sacco di professori, studenti... il caos»

Zoro poteva solo intuire il resto del racconto a quel punto.

«Gli ha praticamente spaccato la schiena» concluse «non so nemmeno quanta forza possa avere un uomo per spaccare la schiena a un'altra persona. Doflamigo è stato portato via, lui e la sua banda, io sono stato scagionato dalle dinamiche della rissa, ma il dojo ha dovuto prendere provvedimenti... non ho più messo piede in palestra, da quel giorno»

«E perché Doflamingo e i suoi sono venuti a cercarti qualche giorno fa?»

«Perché? Te lo domandi anche? Per vendicarsi. Perché Doflamingo pensa che non sia stato giusto che sia stato lui l'unico a pagare davvero per quella storia. Perché pensa che io sia corresponsabile della sua discesa agli inferi e della vita di merda che ha passato suo fratello, da quel giorno in poi. E magari in parte ha pure ragione...»

«Non dire stronzate...» lo interruppe Zoro. I rimorsi di coscienza di Law poteva anche comprenderli ma l'addossarsi la colpa dell'avvenimento gli sembrava davvero eccessivo «e comunque sono sicuro che sapesse esattamente dove lo avrebbe condotto una simile iniziativa. Altrimenti non si sarebbe sprecato a venire ad accertarsi pure con me di non aprire la bocca sul nostro incontro.»

Aveva paura di finire di nuovo dietro le sbarre. E voleva tappare la bocca a chiunque con metodi poco ortodossi. Ma sapeva cosa rischiava, forse per quello non aveva mentito agli interrogatori, sarebbe stato inutile.

«Come dici tu...» rispose Law, poco incline a riceve il perdono di chicchessia.

«Che fine ha fatto il fratello di Doflamingo?»

Law alzò su di lui uno sguardo arreso e si mise in piedi.

«Diciamo che a me è andata di lusso a scegliere di non praticare più il kendo. Lui non ha potuto scegliere un bel niente», non sembrò volergli fornire altre informazioni, ma non volle insistere a riguardo: aveva comunque avuto la storia che meritava.

«Detto questo... ora che sai tutto, ti chiedo se ti stia ancora bene prendere lezioni da me. Hai detto che sono sleale e forse un po' è vero. Non ho certo intenzione di rovinare la carriera ad altre persone.»

Zoro si mise in piedi a sua volta, a decretare che la conversazione stava volgendo al termine.

«Koshiro ha detto che mi ha affidato a te per un motivo preciso. Mi fido di lui. Imparerò anche a fidarmi di te.»

Il caos. Capiva molte cose ora Zoro.

Law non rappresentava solo il caos, Law era il caos. Era frutto di tutto il rimescolio interiore che si portava appresso da anni. Aveva accettato di allenarlo e di diventare maestro di un minuscolo dojo di provincia perché il kendo gli piaceva. Ma i suoi sensi di colpa nei confronti di Rosinante gli impedivano di tornare a calpestare palestre competitive.

«E penso che dovresti rivalutare l'idea di riprendere» si permise di suggerirgli allora, perché nonostante le sue tecniche poco ortodosse, Zoro aveva capito che era davvero in gamba «Altrimenti non conta quante volte Doflamingo finisce dietro le sbarre. Vince sempre.»

Law li lanciò uno sguardo in tralice e Zoro capì di aver parlato troppo. Ma non si pentiva di averlo fatto. Non era solito lasciare in sospeso una conversazione. O non dire esattamente quello che pensava.

«Torno dai ragazzini...» replicò Law, senza dargli la soddisfazione di una risposta. Non che se l'aspettasse davvero.

«Ah», sembrò ripensarci, fermandosi poco prima di uscire «Shimotsuki-sama mi ha chiesto di sbirciare se ti stessi allenando e nel caso di farti smettere, che gli devo dire?»

Zoro sgranò appena gli occhi, sapendo di essere stato colto in flagrante, ma Koshiro non gli aveva impedito di allenarsi del tutto? O sì? Forse gli allenamenti leggeri che intendeva non prevedevano l'uso di pesi tanto consistenti.

«Che sto andando a farmi un tè... ?»

«Ottimo»

E se ne andò.

Forse avrebbe dovuto rendere reale quella mezza bugia.

 

-

 

Nami aveva camminato avanti e indietro per mezzo pomeriggio, fino alla spiaggia, e poi una volta lì ancora avanti e indietro con i piedi scalzi nella sabbia, seguendo i moti delle onde, violente, incostanti. Come il suo umore.

Era lì che, presa da uno stato febbrile indefinibile, incontenibile aveva preso il telefono e chiamato la prima persona che le fosse venuta in mente.

«Ho bisogno di vederti...» aveva masticato a fatica, il fiato corto di tutto quell'andirivieni. Contrastata dalla sabbia, dal vento, dalla gola serrata da un'emozione incomprensibile.

Si chiese quanto tempo fosse passato dal momento in cui aveva deciso di uscire di casa, di non ascoltare più la discussione fra Nojiko e Bellmer, di quanto fosse opportuno o meno assecondare le paure di una persona che si sentiva messa alle strette dalla vita, schiacciato dai sensi di colpa.

Non era riuscita a sentire niente di più, fra le grida, le lacrime mal trattenute e tutti quei sentimenti violenti che permeavano la casa come una polveriera in procinto di esplodere.

Era scappata. Con una scusa, con la volontà di avere bisogno di tempo per schiarirsi le idee, di non preoccuparsi per lei. Si rendeva conto, solo in quel momento, in balia delle perturbazioni incontrollabili della natura di non avere idea di cosa provasse per davvero.

Il cielo era plumbeo, le nuvole si muovevano rapide. Il clima mite della mattinata stava lasciando spazio a minacce temporalesche. Un po' le invidiava: presto o tardi, da qualche parte, almeno loro avrebbero trovato uno sfogo.

Ne avvertì la presenza ancora prima di sentire la sua voce. Aveva scelto la spiaggia ancora prima di sapere sapere che lo avrebbe chiamato, che quello era uno dei pochi luoghi che persino uno come lui avrebbe potuto raggiungere senza fatica.

«Nami! Allontanati da lì, si sta alzando la marea!»

Lei arretrò appena, senza voltarsi, senza guardarlo, la spuma dell'oceano le lambiva i piedi, le caviglie. Il vento le scompigliava i capelli, si divertiva a frustarle il viso.

«Non mi succede niente...» mormorò come se potesse sentirla, come se il vento potesse portargli il suo messaggio.

«Mi hai sentito?» si sentì strattonare all'indietro, proprio quando un'onda più violenta delle altre sembrò volersi prendere gioco della sua fiducia nell'oceano.

«Sta per piovere, non ci dovresti stare qui»

Zoro la stava guardando, come non gli aveva mai visto fare. Teso, forse preoccupato. Per un attimo le sarebbe piaciuto vedersi attraverso i suoi occhi. Come doveva sembrarle, se si stava preoccupando per lei?

«Non pioverà» cercò di rassicurarlo, assecondando la sua presa, abbandonando il bagnasciuga, le scarpe legate insieme per le stringhe che le ballavano sul fianco.

Si ritirarono di molti metri dall'oceano, che si stava lentamente gonfiando, minacciando la sua furia.

«Mi spieghi che succede?» le domandò, ancora quel tono inquieto.

Il perché lo avesse chiamato al momento le sfuggiva, la verità è che sebbene fosse scappata dalle donne della sua famiglia, in fondo, forse non voleva rimanere davvero sola.

Lì, in piedi di fronte a lui, adesso si sentiva straordinariamente persa, come se tutte le emozioni che aveva scatenato la notizia di Bellmer stessero confluendo una dopo l'altra tutte insieme, in un unico sfogo.

«Io ti piaccio, Zoro?» gli chiese, in una domanda apparentemente slegata da tutto ciò che la stava davvero agitando tanto.

«Mi hai chiamato qui per questo motivo?» quella di Zoro era sorpresa, forse frustrazione, forse rabbia?

«Rispondimi. Valgo la pena?»

«Questa mi sembra una-»

«Rispondimi, perché non vuoi rispondere? Perché non riesci a rispondere?!» le uscì più accalorato di quanto avesse preventivato. Quella che doveva essere una domanda che si era preparata da tempo, che voleva introdurre in una conversazione più tranquilla, seria, matura, si stava improvvisamente trasformando in un grido disperato che sembrava non avere alcuna ragion d'essere.

«Perché non ha alcun senso che tu me lo stia chiedendo ora! Non così. Che sta succedendo?» la voce di Zoro venne fagocitata dal vento che aveva preso ad agitare le palme in riva all'oceano.

«Invece ha sempre senso! Ha senso pretendere di sapere quanto si è amati!» le uscì in un grido distorto, in parte dovuto all'ululato del vento che rischiava di spazzare via anche le sue parole, in parte perché la deflagrazione sembrava il risultato di un silenzio durato diciotto lunghi anni.

«Lo sai che significa, chiederselo ogni singolo giorno, da quando sono nata?» singhiozzò, senza nemmeno rendersene conto.

Zoro la osservava ammutolito e confuso, forse appena consapevole da quale luogo della sua coscienza fosse uscita quella frase, quello sfogo.

Non sembrò doverci pensare molto per attirarla a sé, senza doverle chiedere spiegazioni.

Nami represse un sospiro violento, un gemito che non trovò sfogo nel pianto.

Il solido abbraccio di Zoro, l'unica fortezza a contrastare la ferocia degli elementi, fuori e dentro di lei.

 

Note:

Per la descrizione della rissa in palestra ho brutalmente scippato l'idea da Slam Dunk.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16.

 

Nami aveva ragione.

Il temporale non si scatenò. Le nuvole furono spazzate via dal vento senza trovare sfogo in una pioggia salvifica.

Il cielo era tornato in parte sereno, spaccato in due: da una parte il rosa di un tramonto in arrivo, dall'altra il blu profondo e il grigio oscuro delle nubi che si stavano allontanando.

Zoro non le aveva chiesto nulla, solo di seguirlo.

L'aveva portata a casa con sé, sotto lo sguardo inquisitorio, preoccupato di un Koshiro che però non si era intromesso. Aveva messo su del tè e ne aveva consegnato una tazza fumante alla ragazza che se ne era rimasta lì, seduta su una seggiola della stanza di Zoro, lo sguardo perso in profonde meditazioni.

«Pensi sia il caso di avvisare a casa?» chiese Koshiro, quando Zoro gli riportò la tazza appena ammezzata.

«Magari più tardi» gli rivolse uno sguardo che non chiedeva nient'altro che tempo, e un po' di comprensione. L'uomo annuì concorde, consapevole che ancora non fosse il caso di mandare segnali d'allarme.

Zoro rientrò in camera, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle; Nami aveva aperto la finestra e se ne restava così affacciata, ad assistere alle ultime vampate rossastre del giorno che sparivano all'orizzonte.

Si sedette in silenzio sul futon ancora disfatto dalla notte precedente, aspettando che fosse lei, nel caso, a prendere la parola.

Ne studiò il profilo senza sapere davvero cosa pensare. Sconvolta a quella maniera non l'aveva vista mai, nemmeno durante uno dei suoi sfoghi per le angherie di Arlong o quando Bellmer sembrava non riuscire a trovare un lavoro fisso, mentre le difficoltà continuavano ad accumularsi. Niente però era riuscita davvero mai a spegnerle il sorriso. Era sempre riuscita ad affrontare, superare qualsiasi cosa, Nami. Vederla in quello stato l'aveva turbato.

Sopratutto se considerava il fatto che tutte le parole che gli aveva rivolto, nel bene o nel male, non sembravano affatto essere destinate a lui.

La sentì riprendere fiato, come se lo avesse trattenuto troppo a lungo, ridestandosi dalla sua silenziosa riflessione. Quando si volse a guardarlo, Zoro si rese conto che stava sorridendo.

«Devo esserti sembrata una squilibrata là fuori...»

Per un po' non disse niente, cercando di interpretare la tonalità della sua voce, se vi fosse ancora qualche traccia di inquietudine, di tormento: non ne trovò. Sembrava solo tanto stanca.

«Non più del normale» cercò di stemperare, concedendole solo un po' di quella leggerezza che aveva sempre caratterizzato il loro ambiguo rapporto.

Nami si limitò a restituirgli un cenno d'approvazione, ringraziandolo tacitamente di averle permesso una pausa.

La guardò districare le gambe dalla sedia e voltarsi completamente nella sua direzione, le spalle contratte che cercavano disperatamente di rilassarsi. Seguì il suo sguardo vagare per le pareti della stanza, soffermarsi su dettagli che a lui sembravano piuttosto insignificanti.

«Credo che sia la prima volta che finisco in camera tua, lo sai?» gli chiese, indugiando sulla bacheca piena di volantini e fogli sparsi.

«Non è vero...» cercò di negare lui. La verità è che non ricordava affatto un dettaglio simile.

«È vero», confermò lei, facendo scivolare le rotelline della sedia, fino ad avvicinare la scrivania. Raccolse una cornice con una foto che ritraeva un fiore. Gliela mostrò senza dire niente, con aria perplessa.

«È la foto che vendono assieme alla cornice. Non ci ho trovato mai niente da metterci»

«Troverò io una foto da metterci...» decise, posando la cornice sulla scrivania ma al contrario, come se ritenesse una cosa sconveniente avere una foto che non lo rappresentava in alcun modo.

Abbassò lo sguardo e si chiese per quanto ancora intendesse andare avanti a prorogare le sue spiegazioni, se mai avesse avuto intenzioni di darne.

Sembrava solo tergiversare per rimandare il più possibile il momento.

Solo quando il silenzio e la curiosità per la sua camera parvero sopiti, Nami sembrò pronta a parlare sul serio.

«Mio padre vuole conoscermi» lanciò nel silenzio statico della stanza. L'affermazione, lanciata casualmente, ebbe la risonanza di uno schiocco.

Zoro sapeva che il padre di Nami era sparito ancora prima che nascesse. Non gliene aveva mai davvero parlato, come fosse un avvenimento sconveniente. Sminuito fino a diventare insignificante.

Ma insignificante non lo doveva essere per niente, se la causa di tutto ciò che era successo quello stesso pomeriggio, dell'agitazione che sembrava averle sconvolto l'animo, le viscere, trovava concretezza in quell'unica, semplice frase.

«Dopo quasi diciotto anni ha deciso, di punto in bianco, di conoscere la figlia che non si è nemmeno preso la briga di veder nascere» gli sembrarono parole dure. Amareggiate. Forse il tumulto interiore si era sgonfiato in quella piccola crisi che l'aveva colta proprio sulla spiaggia. Ma non era certo non si fosse spento del tutto.

«E vuoi sapere perché?» gli lanciò uno sguardo rigido, ma che sotto sotto celava la fragilità di chi era impreparato a dare una risposta a quella stessa domanda «Perché a quanto pare è malato. E probabilmente è talmente tanto egoista da aver pensato di meritare una sorta di assoluzione prima che giunga l'irreparabile»

Zoro cominciò a capire l'assoluta disperazione che seguiva quelle sue parole.

«Non per affetto. Non per amore, solo per togliersi dalla coscienza diciotto anni di assenze.»

Non riusciva a dire niente e forse Nami nemmeno si aspettava che lo facesse. La guardò passarsi una mano sul viso, cercando di scacciare via la smorfia abbruttita delle sue conclusioni.

«Mi sono chiesta spesso perché se ne fosse andato. Anche quando ero più impegnata a preoccuparmi che mamma stesse bene, che Nojiko stesse bene. Poco mi importava di come stesse lui o cosa stesse facendo della sua... miserabile vita. Però mi sono chiesta spesso perché avesse deciso di abbandonarci, perché non ci avesse scelto. Una parte di me si è sempre sentita rifiutata. Nonostante tutto l'amore che mamma e Nojiko si sono sempre preoccupate di trasmettermi. Mi sono domandata perché, nel mio caso, se ne fosse andato ancora prima di potermi conoscere. Come se non valesse la pena farlo, come se non fosse importante» abbassò lo sguardo ormai fattosi cupo, «come se io non fossi importante.»

Zoro lasciò il peso di quelle parole cadere fra le pareti della stanza. Se ne sentì oppresso lui stesso.

Ora forse capiva cosa intendeva dire con le parole gridate al vento, pochi minuti prima, sulla spiaggia: valgo la pena?

Il dolore di non aver mai conosciuto davvero un genitore pesava anche sulla sua, di coscienza. Ma la differenza fra il non averlo potuto fare per cause di forza maggiore e quello di sapere che non avevano voluto farlo, sembrava mostruosa.

«Che cos'è quest'uomo per te... ?» le domandò, prima di qualsiasi altra cosa. Le prime parole che le rivolgeva erano solo una domanda, all'apparenza semplice.

Nami serrò le labbra, l'espressione arresa.

«Probabilmente solo uno sconosciuto»

Zoro annuì, ma forse era l'unica risposta che voleva sentire.

«Chiediti allora se hai davvero bisogno dell'approvazione di uno sconosciuto per sapere che sei importante...»

«Però è sempre mio... padre. Non è così che funziona? Anche se non mi ha mai riconosciuta»

«Padre è chi ti cresce, chi è presente e si prende cura di te. E ti ricorda, ogni giorno, anche senza dirtelo, quanto tu sia importante»

Come Koshiro aveva fatto con lui, senza pretendere niente in cambio. Donandogli molto più di quanto non avesse mai chiesto.

«Non è così semplice...»

«Lo so» le disse. Non era certo sua intenzione sminuire i suoi sentimenti, le sue percezioni «ma quanto tu sia importante sono sicuro te lo dimostrino tutte le persone che ti vogliono bene e che ti conoscono.»

Nami socchiuse gli occhi, traendo un lungo sospiro.

«Alle volte avrei bisogno di sentirmelo dire»

Una richiesta inconscia.

Koshiro non gli aveva suggerito di ribaltare gli schemi? Di lasciarsi andare? Sopratutto quando sapeva di poter atterrare al sicuro. Perché sì, con Nami non poteva fare niente altro che sentirsi al sicuro.

«Tu per me lo sei» disse.

Nami riaprì gli occhi e raccolse le gambe sopra la sedia, nascondendoci in parte il viso, senza coprire il suo sguardo che ora sembrava colmo di un'emozione incontenibile.

«Grazie» la sentì sussurrare. Un soffio quasi silenzioso ma sentito.

Le sorrise senza dire altro, per farle capire che era vero, non una concessione che le faceva solo per tirarla su di morale.

«Mi dispiace di aver cercato di strapparti una dichiarazione, prima, alla spiaggia...» rimase ferma nella medesima posizione, un po' in imbarazzo. «A casa gridavano tutti, e io devo essere andata in confusione...»

Zoro scrollò le spalle; non doveva preoccuparsi, non per questo.

«Magari potevo risponderti e basta» le disse «era un po' che me ne volevi parlare, giusto?»

«Come fai a-?»

«Nell'aria. Magari a volte sembro ottuso, ma certe cose le capisco»

«L'ultima volta che abbiamo parlato sembravi... indeciso»

Zoro non poté far altro che annuire.

«Lo sono ancora...» decise di non mentirle, decise di non lasciare che l'improvvisa rigidità che aveva avvertito in Nami lo frenasse dall'esprimersi sinceramente «non proprio indeciso, forse più... disorientato. Ma non perché tu non mi piaccia» inspirò a fondo a farsi coraggio a non interrompersi sul più bello, a non dare per scontata nessuna sfumatura di quella conversazione.

«Hai smosso delle cose di me che nemmeno sapevo di possedere...» lo aveva risvegliato da un torpore sentimentale che credeva di non avere o che non si sarebbe mai concesso di sperimentare. Gli aveva risvegliato sensi che faceva davvero fatica a giostrare, a tenere a freno. A volte si era chiesto se non avesse contratto la stessa identica malattia di quell'idiota di Sanji. Perché pensava a lei molto più di quanto avesse fatto in passato. Si preoccupava per lei con più trasporto mentre il sentimento, il coinvolgimento lo avvolgeva a volte in modo tanto violento da soffocarlo. Ne era spaventato. Quanto potere poteva esercitare su di lui una sola persona?

Quelle che si era permesso di amare profondamente, incondizionatamente erano scomparse dalla sua vita in modo improvviso. E sebbene avesse aperto il suo mondo ad altri, concedendo respiro alla sua solitudine, persone per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa, quello specifico tipo di sentimento, quello che adesso riusciva ad associare solo a Nami così profondo, intenso e brutale nella sua intensità, stava ancora cercando di interpretarlo, di non averne timore.

Era pronto a concederle l'onere di poterlo distruggere con un solo gesto, una sola parola?

O di sollevarlo tanto in alto da desiderare di arrivare a farsi bruciare dal sole?

Nami era riuscita a incrinare una barriera in quel cuore un po' maltrattato e dalla crepa riusciva a intuire quanto violenta potesse essere la forza delle onde che avrebbero potuto travolgerlo.

«Sto imparando a capire. A gestire questa cosa nel migliore dei modi»

La guardò dritta negli occhi, senza indugi, sincero.

«Tu mi piaci. Mi piaci davvero. Devi solo darmi il... tempo per imparare a dimostrartelo»

Nami aveva serrato le labbra e non aveva fatto altro che osservarlo, in parte curiosa, in parte fosse spaventata di quello che avrebbe potuto dirle. Ma adesso sembrava sollevata. Sciolse le braccia che ancora avvolgevano le sue gambe, concedendosi di alzare la testa, lo sguardo.

«Lo fai continuamente...» disse, prima di scivolare giù dalla sedia e raggiungerlo. Inginocchiata di fronte a lui sul futon, gli afferrò entrambe le mani.

«Anche se a volte sono troppo irruenta e impaziente per capirlo. Sei sempre stato silenzioso, riflessivo, ma anche se te ne stai spesso in disparte sei sempre stato presente. Ovunque io avessi avuto bisogno di te. Questa è la cosa che, più di ogni altra, avrei dovuto capire.»

Zoro avvertì un piacevole calore risalirgli su per lo stomaco. Era la prima volta che qualcuno parlava di lui, con lui, in questi termini.

«E oggi hai perfino trattato con indulgenza i miei eccessi. E questo è già piuttosto straordinario, considerato quanto puoi essere stupidamente insensibile a volte» lo prese in giro.

Gli strinse le mani, intrecciando saldamente le dita alle sue.

«Prometto che tratterò con gentilezza il tuo cuore...» concluse «s-se mi permetterai di stare con te, ancora per un po'»

Le parole di Nami lo sorpresero. Aveva forse paura che desiderasse... lasciarla? In qualsiasi declinazione avessero mai considerato il loro rapporto.

«Stupida ragazzina...» stemperò con un insulto che non le rivolgeva da tempo. Forse il primo che le avesse mai rivolto, il giorno stesso in cui si erano conosciuti.

Il momento era ancora vivido nella sua memoria. Non l'aveva mai dimenticato, il giorno in cui era entrata a far parte nella sua vita.

Nami sbuffò una risata divertita, consapevole. Come se nella sua mente fosse passato lo stesso identico ricordo. Alzò il viso per offrirgli le sue labbra.

Chi l'avrebbe mai detto che sarebbero finiti così? Considerato che le prime parole che si erano rivolti erano state stizzose.

Ricambiò l'offerta azzerando le distanze.

Gli piaceva baciare Nami, si chiese come avesse mai potuto fraintendere o dubitare di una cosa del genere.

 

-

 

Nojiko era passata a prenderla un paio d'ore dopo.

Koshiro aveva insistito per invitarle entrambe a cena, ma avevano gentilmente rifiutato. A Nami parve di aver approfittato fin troppo della loro disponibilità, della loro gentilezza.

Alla domanda di Zoro: «Cosa hai intenzione di fare con tuo padre?» la risposta era stata «Sarai il primo a saperlo non appena lo avrò capito.»

Sussurrato come fosse un segreto, prima che le concedesse il congedo sul cancello di casa.

Era stata Nojiko a chiamarla per sapere dove fosse finita. Nami non le aveva chiesto di passare a prenderla, si era offerta lei di farlo.

Si sentì in colpa per averla abbandonata in un momento che per lei doveva essere stato altrettanto intenso. Sua madre era dovuta scappare a lavoro e lei era rimasta sola ad affrontarlo.

«Mi hai fatta preoccupare...» le disse durante il tragitto, guardando la strada, non lei.

«Ti chiedo scusa»

«Dovrei farlo io» le rispose a sorpresa «mamma ed io abbiamo esagerato con i toni»

«Sono abituata ai vostri toni» le concesse «ma non al ritorno di papà...»

Ed era così, perché se pur vero che ad agitare e montare il suo stato erano state le grida, la furia, il risentimento delle persone che più amava al mondo, per colpa della persona che forse più doveva trovare insignificante al mondo, la realtà era che quella notizia aveva anche rimescolato le carte in tavola.

Carte di una situazione consolidata da diciotto anni che erano state travolte da uno tsunami imprevisto.

«Nemmeno io» Nami avvertì l'amarezza e la frustrazione della sorella come una frustata.

«Sarei dovuta rimanere con te»

«Per niente. Mi pare tu abbia trovato conforto in ciò di cui avevi bisogno»

Nami arrossì appena. Non le aveva ancora parlato di Zoro, forse adesso non era più nemmeno necessario farlo.

«Mentre io avevo bisogno di stare sola, quando mamma è andata a lavoro. Per mettere insieme i pensieri, sai?»

Si fermò alla luce di un lampione, nei pressi di un piccolo negozio di alimentari.

«Io papà lo ricordo poco. Ma quel poco che ricordo non è sempre stato così sgradevole, ci credi?» la guardò, trovandola amareggiata da quell'ammissione, «forse è proprio per questo che fa ancora più male sapere che se n'è andato, senza mai più voltarsi indietro. Il buono che c'era, che poteva esserci, è stato spazzato via nel preciso momento in cui lo ha fatto.»

Nojiko finalmente ricambiò il suo sguardo.

«So che hai le stesse mie domande che ti frullano nella testa. E che ti sei sentita abbandonata, rifiutata, quando mi ci sono sentita io. Per quello non voglio che mi rispondi adesso, ma... nel caso volessi conoscerlo, o non conoscerlo io seguirò solo la tua decisione»

Nami sgranò gli occhi incredula e forse un po' indispettita da quella dichiarazione.

«Mi lasci questa responsabilità? Davvero?»

«Sì, perché io ho già deciso cosa fare. Ma ti sarò accanto, qualsiasi cosa deciderai di fare. Sei sempre stata più importante tu. Ed io al contrario di quell'uomo, non ho intenzione di lasciarti sola.»

L'irritazione le scivolò di dosso molto rapidamente. Nami avvertì per la prima volta quel pizzicore alla gola che preannunciava il pianto. Cercò di ricacciarlo indietro. Aveva resistito fino a quel momento, non aveva intenzione di crollare proprio ora. Proprio adesso che Nojiko le stava di fronte e le diceva, a modo suo, che l'amava.

Non si era mai sentita tanto avvolta, travolta d'affetto come quel giorno.

«E pensare che eravamo convinte che mamma frequentasse Genzo» disse e un po' le venne da ridere.

«Oh, lo frequenta»

«Come?»

«A-ah, è passato lui a prenderla per accompagnarla a lavoro. E quando li ho sbirciati dalla finestra, la stava abbracciando, sussurrandole paroline all'orecchio»

«Occazzo, questo dovevi dirlo subito!»

«Nami e le priorità, parte uno» scoppiò a ridere Nojiko, l'espressione tesa spazzata via. Era questo che le piaceva di sua sorella, la straordinaria capacità di ridestarsi da qualsiasi malumore, molto più rapidamente di lei.

«E tu invece quando avevi intenzione di parlarmi del samurai, mh?» le passò un braccio attorno alle spalle.

«Non adesso» le rispose, cercando di districarsi. Nojiko la lasciò andare solo per non infierire.

«Mi piace come ti guarda...» le disse a sorpresa.

Nojiko tornò a camminare, non lungo la strada, ma verso l'ingresso del negozio «Prendiamoci una pizza surgelata per cena, che dici?»

Nami si affrettò a raggiungerla solo quando fu certa che il cuore fosse tornato a battere regolarmente. Quando fu libera di pensare che sì, anche a lei piaceva come Zoro non solo la guardasse... ma la vedesse.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17.

 

«Sei proprio sicuro che non ci fosse alternativa a questa soluzione?»

Trafalgar Law osservava perplesso, sulla porta del dojo, i sei che stavano cercando di capire come si tenesse in mano uno shinai.

Zoro, le braccia intrecciate al petto, faticava a restare serio.

«È solo facciata. Pubblicità. Gli open day hanno quella funzione lì, no? Mostrare quello che potrebbe essere... non quello che in realtà... è.»

Non era certo che la frase avesse senso, ma guardare Rufy e Usop inseguirsi con lo shinai sfoderato gli sembrò in parte una commedia di serie b, in parte un insulto alla disciplina.

Le vacanze primaverili erano terminate e con il nuovo anno scolastico e la ripresa a pieno ritmo delle attività, Koshiro aveva preso una decisione: quella di promuovere un nuovo corso al dojo. Rivolto ad adolescenti e adulti.

Ne aveva parlato con Zoro e con Law, persino con Tashigi che si era detta entusiasta all'idea di poter riprendere ad allenarsi con qualcuno che non fossero due invasati pieni di muscoli.

Se questa decisione avesse permesso a Koshiro di tener fede a ciò che si era ripromesso sui cambiamenti, Zoro non poteva che accoglierla se non con gioia, almeno con moderato entusiasmo.

La verità era che promuovere un corso con soli due effettivi corsisti e un giovane allenatore, non avrebbe fatto grande pubblicità. Perciò Zoro aveva chiesto ai suoi amici di far da figuranti per mezza giornata. La promessa era quella di una completa vestizione dell'armatura, e di approfittare del buffet di benvenuto, solitamente destinato ai potenziali futuri iscritti.

Avevano tutti accettato con entusiasmo. Robin a parte, che aveva preferito dare una mano con accoglienza e volantinaggio. La sua aria seria e professionale, se non altro, avrebbe compensato lo sciagurato entusiasmo degli altri.

A Zoro sembrava tanto strano vedere i ragazzi agghindati come veri atleti. Rufy, Saji, Usop e Franky erano quelli più credibili. Al povero Chopper l'armatura ballava addosso, ma non erano riusciti a trovarne una della sua misura in tempo per l'apertura. Mentre Nami aveva preso in prestito una di quelle di Tashigi. A modo suo, a Zoro sembrò davvero bellissima.

«D'accordo ragazzi, adesso basta con le stronzate!» Law batté le mani sono un paio di volte, prima di ottenere l'attenzione di tutti «stanno arrivando i primi potenziali interessati, perciò mettetevi a coppie e mi raccomando non voglio che facciate niente di più che le due mosse che vi ho insegnato nei giorni scorsi. Non si tratta di una vera competizione, solo di fare un po' di scena, siamo tutti d'accordo?»

«Non posso usare un po' del sangue finto che mi sono portato appresso? Per fare scena...» saltò su Franky, estraendo da chissà dove una sottospecie di bustina color rosso carminio.

«No! Proprio no» lo rimproverò Law con aria estremamente scioccata, prima di rivolgersi a Zoro «Sono tuoi amici questi, dì loro qualcosa.»

Zoro si limitò a fissare Franky con aria divertita.

«Ti sta prendendo in giro. Stai tranquillo. Franky non farebbe mai una cosa del genere», ma nel dirlo sapeva perfettamente che ne sarebbe stato capace, eccome. Ben consapevole però che l'avvertimento di Law lo avrebbe fatto desistere dal fatto di provarci. Era più preoccupato dall'entusiasmo di Rufy a dirla tutta.

«Fate come dice lui. E dopo ci sarà da mangiare. Scegliete adeguatamente il vostro compagno, intanto»

«Io distruggo Usop!» esclamò Rufy, battendogli uno shinai su un fianco.

«Tu non distruggi proprio nessuno, ragazzino!» Law sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.

Zoro si ritrovò divertito di constatare quanto al ragazzo sembrasse stare a cuore quella causa. Il fatto che Koshiro lo avesse scelto, gli avesse proposto di tenere anche quella classe e chiesto il suo onorevole consulto, sembrava averlo inorgoglito. E risvegliato un entusiasmo che non provava da tempo. Zoro si chiese se quell'evento non avrebbe rappresentato una rinascita anche per Law.

«Io sto con Nami-san» la voce di Sanji a strapparlo dalle sue elucubrazioni.

«Tu fai coppia con Franky» lo contraddisse con un'occhiata glaciale.

«Perché, Nami non ti sembra adeguata?»

«Non è sensato, coglione» guardò lui, guardò Franky «non puoi fargli fare coppia con Chopper»

La differenza d'altezza e stazza fra i due era così abissale da risultare quasi ridicola.

«È una questione di equilibri» cercò di essere obiettivo, e saggio... ma lo sguardo divertito di Nami non gli sfuggì affatto.

Che vuoi? Le mimò con le labbra, ricevendo in cambio una linguaccia. Poi lei corse incontro a Chopper, con grande costernazione del buon Sanji che non poté far altro che accettare il suo destino.

«Cercherò di essere delicato con te...» gli batté una mano sulla spalla Franky, allusivo, mentre Sanji fingeva grande ribrezzo.

Quando arrivò Koshiro e le persone che Robin si era preoccupata di accogliere, la messinscena ebbe inizio.

Giunsero diversi ragazzi. Lo spettacolo indecente dell'inesperto gruppo suscitò l'ilarità generale in più di un'occasione, per non parlare delle coronarie del povero Law che non sembrava affatto propenso a trasformare quella dimostrazione in una buffonata. Cercava in tutti i modi di tenerli in riga, di impedire a Rufy di abbandonare la postazione solo per mettere mano alle prelibatezze in esposizione sui tavoli in giardino, mentre Zoro aiutava Koshiro a spiegare come funzionavano i corsi.

Quel festoso via vai aveva comunque messo di buon umore Zoro. I sorrisi e la disponibilità di Koshiro, il suo ritrovato entusiasmo riuscivano a mediare con il festoso e altrettanto disastroso caos che si stava consumando sul tatami al centro della stanza.

Le sue ritrosie sul riaprire il dojo ad eventi del genere erano lentamente state spazzate via dalla possibilità di cominciare un nuovo avvincente capitolo dello loro vita.

La decisione di aiutare Koshiro a far rinascere l'attività era stata presa ancora prima che potesse davvero valutarne i pro e i contro.

Stava ancora distribuendo dei volantini ad alcuni ragazzi del suo stesso liceo, quando si ritrovò per caso ad alzare lo sguardo per accogliere un nuovo gruppo in arrivo.

Sulla porta del dojo riconobbe un paio di volti vagamente conosciuti, ma fu quello che chiudeva il corteo a coglierlo impreparato: a svettare sopra tutti gli altri, con una postura, una sicurezza e uno sguardo inconfondibile c'era Drakul Mihawk.

Lo stesso Drakul Mihawk che lo aveva sconfitto solo pochi mesi prima. La nemesi che aveva messo in crisi le sue sicurezze riguardo la disciplina. La persona che avrebbe dovuto superare, in qualsiasi modo, per mettere a tacere la coscienza, per onorare la promessa fatta alla sua Kuina.

Era lì, in carne ed ossa, nel dojo dove era cresciuto e gli sembrò così irreale che per un attimo non riuscì ad imbastire una sola frase di benvenuto.

«Roronoa», disse questi, avvicinandosi, con la mano tesa nella sua direzione.

Il fatto che ricordasse il suo nome lo spiazzò più del fatto che fosse comparso sulla soglia della palestra.

«Dunque erano vere le voci che giravano sul tuo conto. Sei davvero stato allenato nel dojo del maestro Shimotsuki.»

Mentre gli stringeva la mano, divenne tutto molto più chiaro. Chiaro il perché Mihawk si fosse scomodato per visitare un piccolo dojo di provincia.

Il nome Shimotsuki Koshiro doveva aver attivato più di un campanello d'allarme. Così come aveva attirato tutti ragazzi dai licei del circondario e gli appassionati di Kendo, così Mihawk doveva aver riconosciuto il nome di colui che era stato una specie di eroe cittadino, in un tempo non molto remoto e spinto ad accertarsi di persona che fosse proprio lui a riaprire le attività per atleti più adulti.

«Avrei dovuto crederci anche solo per il cognome che porti»

Anche il perché ricordasse il suo nome, adesso diventava chiaro. Zoro accusò il colpo. Aveva stupidamente sperato che si ricordasse di lui per altri motivi. Niente che avesse a che fare con il suo defunto padre.

«Buongiorno...» la voce di Koshiro alle sue spalle lo risvegliò dalla stasi e gli ricordò di lasciare la mano di Mihawk e farsi da parte.

«Shimotsuki-sama» l'inchino che il ragazzo riservò al maestro non lo sorprese affatto «è un onore fare la sua conoscenza. Il mio nome è Drakul Mihawk»

«Ah, ma certo. Mihawk, una delle future promesse nazionali. Ho seguito con curiosità i tuoi progressi»

Il ragazzo gli rivolse un sorriso, che a Zoro sembrò sinceramente lusingato.

Per un istante ne fu geloso. Geloso del breve, rapido interscambio di stima reciproca. Geloso del fatto che Koshiro tenesse sotto controllo le attività del suo acerrimo nemico e che di lui non gli avesse mai davvero parlato. Nemmeno mai davvero sfiorato l'argomento. Il nome di Mihawk era a malapena saltato fuori, durante i brevi, significativi scambi di opinione sulle gare a cui Zoro aveva partecipato. Si chiese se non lo avesse fatto per una sorta di candido pudore o ci fosse sotto dell'altro.

«Immagino tu non sia venuto qui per iscriverti a uno dei miei corsi»

«Sarebbe certo un onore poterlo fare. Ma in realtà sono venuto qui con il solo intento di fare la sua conoscenza. Ho seguito con piacere molte delle sue gare di gioventù. Le sue e quelle di Roronoa-sama»

«Devi proprio essere un appassionato di preistoria» disse Koshiro, prima di scoppiare a ridere. In modo diretto, sincero «ma ti ringrazio» ricambiò l'inchino che il ragazzo gli aveva rivolto non appena incontrati.

Quando si levò dritto, mise a sorpresa una mano sulla spalla di Zoro.

«Ma credo che dovresti prestare più attenzione alle nuove leve, piuttosto che riesumare complimenti per una mummia come me. Immagino tu e Zoro già vi conosciate.»

Mihawk guardò nella sua direzione, annuendo una sola volta.

«Abbiamo avuto modo di testare le nostre rispettive... competenze.»

«Puoi dirlo forte e chiaro che lo hai battuto. Qui nessuno ha paura della parola: sconfitta.»

Zoro rabbrividì per un istante. In realtà quella parola gli metteva addosso ancora una paura del diavolo, ma si preoccupò di non mostrarlo, men che meno allo spadaccino dagli occhi di falco, così come lo conoscevano in giro.

«È stato un buon avversario» concesse Mihawk, ma per una volta tanto a Zoro non sembrò una frase di convenienza, «una bella sfida.»

Koshiro sorrise e strinse un po' la spalla di Zoro, prima di lasciarlo andare.

«Magari la prossima volta ti troverai di fronte un ottimo avversario» disse solo.

«Non mi dispiacerebbe» si volse in direzione di Zoro direttamente, fissando quei suoi occhi chiari nei suoi «Sono curioso di sapere fin dove sei riuscito ad arrivare. Ma mi sto allenando molto anche io»

Zoro non stentò a crederlo. Così come lui sentiva di essersi spinto oltre i proprio limiti nella preparazione non poteva certo pensare che Mihawk se ne fosse rimasto fermo ad aspettare, beandosi esclusivamente delle vittorie passate.

«Avrei una proposta...» intervenne di nuovo Koshiro, dopo una rapida valutazione ad entrambi «avrei voluto inaugurare questo dojo con una dimostrazione conclusiva fra Zoro e Trafalgar Law, ma credo per me potrebbe essere un piacere e un onore poter assistere a una breve amichevole sfida fra due dei kendoka più promettenti della prefettura»

Zoro sgranò gli occhi e dentro di lui qualcosa o qualcuno - probabilmente il suo orgoglio - gridò istericamente. Ma che diavolo veniva in mente a Koshiro? E figurarsi se uno come Mihawk avrebbe mai accettato di svelare tutti i suoi segreti in una stupida dimostrazione per l'inaugurazione di una palestra in cui aveva appena messo piede.

«Koshiro, io non credo che...»

«Se non intralcia i vostri piani per la giornata, Shimotsuki-sama, sarebbe un onore anche per me» intervenne Mihawk a sorpresa, lasciando Zoro letteralmente di sasso.

«A te sta bene, Zoro?» l'uomo gli rivolse uno sguardo che celava molto più della semplice soddisfazione.

Capì improvvisamente che per Koshiro, quella non era altro che un modo per permettergli di comprendere e testare, sebbene in modo blando, quanto fosse migliorato in quei mesi.

Perciò Zoro non poté far altro che accettare.

 

-

 

Nami aveva abbandonato shinai ed armatura in un angolo del dojo senza alcun rimpianto. Sebbene la corazza fosse costruita appositamente con materiali che non impedissero i movimenti, si era chiesa a più riprese come potessero davvero pensare di muoversi agilmente lì sotto.

Gli ospiti si erano tutti sistemati ai lati della palestra, i due contendenti al centro della stanza, per la dimostrazione conclusiva.

Era stata molto sorpresa nel riconoscere Mihawk. Ancora di più che avesse preso il posto di Law per quell'ultima sfida. Non aveva avuto modo di parlare con Zoro di quello che era successo in quel breve lasso di tempo, fra l'incontro e la vestizione, ma si era arresa e sistemata dalla parte del pubblico, come tutti gli altri, e adesso era curiosa di capire cosa sarebbe successo.

Non aveva affatto dimenticato come si era conclusa la loro ultima sfida, e di certo non aveva dimenticato la frustrazione e la cocente delusione sul volto di Zoro, dopo la sconfitta.

Tutto quello che ne era seguito non era stato altro che la conseguenza a quella vittoria mancata.

Pensare come erano cambiate le cose da quel giorno. Sia nei progressi di Zoro, sia nei confronti del loro contorto rapporto.

Si chiese se sarebbe stata altrettanto agitata per una stupida dimostrazione se non fossero stati insieme. Se la loro amicizia non si fosse trasformata in altro.

Ma la risposta forse poteva trovarla nello sguardo inquieto dei suoi amici, non meno nervosi di lei.

«Che succede se perde di nuovo?» sussurrò Chopper al suo fianco, la voce un alito nel silenzio che si era improvvisamene creato nel dojo.

«Non perderà, non è una vera gara», cercò di rassicurarlo, o forse di rassicurare anche se stessa.

Poi Koshiro diede il segnale e lo scontro cominciò.

Nami si rese conto di non capirci ancora un accidenti di niente di kendo, ma le brevi lezioni che aveva dato loro Law e le gare di Roronoa senior che aveva visionato assieme a Zoro, le avevano dato di certo un'infarinatura migliore di quella che aveva il giorno in cui aveva visto per la prima volta Mihawk e Zoro uno contro l'altro.

Gli sembrava di assistere a una replica dello scontro di pochi mesi prima, ma con una piccola, sostanziale differenza: Zoro non attaccava più con la ferocia che gli aveva visto sfoggiare, non con la frenesia di finire rapidamente. Le attese le sembrarono più lunghe, i movimenti meno aggressivi e più mirati. Non riusciva, ora, a notare una reale differenza di preparazione fra i due, né una reale ostilità.

Solo quando lo scontro si fece un po' più rapido e le mosse divennero più audaci si rese conto di assistere all'incontro di due ragazzi che si stavano... solo divertendo.

Si levò un applauso quando Koshiro decretò un pareggio di facciata. E si sorprese a riscontrare quanto avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, quando vide entrambi levarsi i caschi e stringersi la mano. Applaudì come tutti gli altri, infine, abbracciando poi Chopper, sapendo che, come lei, non aveva fatto altro che preoccuparsi per tutta la durata della dimostrazione.

Si trattenne dal corrergli incontro ed abbracciare anche Zoro di fronte a tutti quanti. Si limitò ad osservarlo da lontano e godere discretamente dell'espressione aperta e soddisfatta che riusciva a leggergli in viso, mentre chiacchierava con Koshiro, mentre di nuovo, stringeva la mano di Mihawk. La prossima volta che si sarebbero incontrati sarebbe stato per davvero, ma questa cosa doveva avergli dato una gran bella dose di adrenalina, nonché una sferzata non richiesta di autostima, per come aveva gestito la cosa.

Non smise però un solo istante di cercarlo fra la folla e lui sembrò accorgersene a un certo punto, perché volse lo sguardo nella sua direzione e le rivolse il suo primo, vero sorriso della giornata. Che lei ricambiò con entusiasmo, finendo persino per arrossire un po', affatto preparata.

Lo guardò imbastire un congedo rapido e indolore, lasciando gli interessati a interagire fra loro a godersi la fine dell'inaugurazione e finalmente sembrò liberarsi dall'interesse generico, per poterla raggiungere.

«Sei stato-» fece per dire, ma lui la prese per mano e cominciò a trascinarla fuori dal dojo, lontano dal marasma, dagli ospiti, dai loro amici, fuori per il cortile e poi di nuovo dentro casa, fra i corridoi della loro abitazione privata. Per uscire infine nel cortiletto sul retro, lontano da tutto e da tutti.

«Credo di aver esaurito tutte le mie energie sociali» le disse, parlandolesi di fronte, con aria assolutamente esausta.

Nami lo osservò solo per un istante, prima di scoppiare a ridere.

«Ma sembravi così felice!» gli disse, senza riuscire a trattenersi. Per una volta che riusciva a sorprenderlo in quello stato di grazia, le pareva brutto non farglielo notare.

«E lo sono... ?» le rispose, non del tutto sicuro di essere pronto ad esprimersi liberamente «ma comunque con le batterie scariche»

«Vieni qui, fatti abbracciare un po'»

«No, aspetta...»

In barba alle sue proteste, Nami fece quello che aveva dichiarato, stringendolo come poteva, senza realizzare davvero che farlo mentre lui aveva ancora addosso quella sua ingombrante armatura potesse essere un problema.

«Speravo fosse un po' meno rigida...» protestò, stringendolo lo stesso, posando la testa nell'incavo del suo collo. Poteva avvertire l'odore della sua fatica, ma si sorprese di trovarlo quasi gradevole.

Quando sentì che anche lui la stava abbracciando si lasciò andare all'ennesimo sorriso.

«Non mi aspettavo di vedere Mihawk» gli disse, senza lasciarlo andare.

«Nemmeno io»

«Non mi aspettavo che rimpiazzasse Law nella dimostrazione»

«È stata un'idea di Koshiro»

Imbronciò le labbra, aspettando una spiegazione.

«Credo fosse solo un modo per dimostrarmi che non devo avere paura di lui. Che la sconfitta mi ha tormentato abbastanza, che forse dovevo...»

«Esorcizzarlo»

Zoro annuì, dando conferma alla sua conclusione.

«Come ti ha fatto sentire, scontrarti di nuovo con lui?»

Zoro se ne restò un po' in silenzio e Nami fu certa di poter avvertire il fermento dei meccanismi del suo cervello. Era certa ci fosse ancora molto lavoro da fare, ma il fatto che Zoro con lei stesse parlando, che non frenasse le sue considerazioni, esternasse i suoi pensieri, le sembrò un gran passo avanti.

«Migliorato» disse infine.

«Lo sapevo» constatò lei, scostandosi stavolta, restando in bilico sulle punte dei piedi per poterlo guardare dritto in viso, le braccia ancora allungate sulle sue spalle.

«Se diventata un'esperta di kendo?» le chiese, un sorrisetto sarcastico a piegargli le labbra.

Nami scosse la testa, senza cogliere davvero la sua provocazione.

«Sono diventata un'esperta di te» lo sorprese.

Lo guardò arrossire appena, godendosi le sfumature che andavano a inseguirsi sul suo viso fino all'ultimo. Sadicamente adorava quando succedeva. Quando era lei a farlo succedere.

Fece per allungarsi e ricevere il suo meritato bacio quando sentirono il campanello di casa suonare.

«Un ritardatario?» domandò, lasciandolo andare.

«Magari hanno sbagliato ingresso» le rispose, rientrando a passi svelti in casa e poi lungo il corridoio.

Lo seguì senza dire altro, la pace bruscamente interrotta.

«È questo il dojo Shimotsuki?» fece una voce. Nami si sporse appena, ritrovandosi ad osservare un ragazzo, non molto più grande di loro, capelli biondi e un berretto in testa. Se ne stava appoggiato a un lungo bastone e indossava una camicia con motivi a cuori, del tutto fuori contesto. Sembrò cambiare espressione da inquisitorio a entusiasta nel constatare che indossavano una divisa che non poteva certo smentirlo.

«Se non è così, sono finito a un raduno cosplay... o qualcosa del genere, immagino»

«Direi che sei nel posto giusto... ma il dojo è all'altro lato della struttura» gli indicò Zoro, mentre entrambi avvertivano dei passi provenire dal vialetto.

«Ti avevo detto al numero 2!» era la voce di Law, quella che anticipò l'arrivo del ragazzo. Ancora indossava anche lui l'armatura e sembrò sorpreso di ritrovare lì Zoro e Nami.

«Ecco dove vi eravate cacciati, c'è quel vostro amico strambo che sta facendo a gara con un ragazzino su quante tartine riesce a infilarsi in bocca, prima di vomitare» disse con aria assolutamente disgustata, raggiungendoli.

«Ehi... anche tu in cosplay?» disse il tipo dalla camicia a cuori. Nami si rese conto che dovevano conoscersi perchè Law finse di tiragli un pugno in testa.

«Sei in ritardo» gli disse solo «Lui è il mio amico Rosinante...» lo presentò e a Nami parve che a Zoro si accendesse una lampadina, tanto gli si era illuminato il volto.

«Chiamatemi pure Corazon. Molto piacere» rispose il ragazzo, allungando la mano che non si reggeva al bastone per poter fare le dovute presentazioni «Law mi ha parlato così spesso di questo posto che quasi mi sembra di conoscerlo. Mi spiace essermi perso l'inaugurazione» sorrise.

«Credo che tu sia ancora in tempo. Se Rufy non si fa fuori tutto, prima della chiusura» si intromise Nami, riscontrando l'approvazione di Zoro.

«Giusto. Se permettete allora... gli faccio strada» disse Law, facendogli solo un cenno con il capo.

«Venite anche voi?»

«Un attimo e torniamo» gli rispose Zoro beccandosi un sorrisetto allusivo che a Nami non sfuggì affatto.

Guardò i due allontanarsi insieme, non senza constatare dolorosamente quanta fatica facesse Rosinante a tenere dietro a Law. Ma ben deciso a fare da solo. Chissà che gli era successo, non doveva essere una cosa risolvibile. Sembrava più un vecchio trauma, a giudicare dal modo in cui aveva imparato a muoversi, nonostante tutto.

«Lo conoscevi?» chiese a Zoro, prendendogli la mano.

«Solo dai racconti di Law. Era un atleta anche lui»

«Che gli è successo?» gli chiese, non del tutto certa di volerlo sapere o che Zoro gliene avrebbe davvero parlato. Non era solito condividere le questioni altrui, questo era un tratto di Zoro che ammirava molto.

«Un incidente» rimase infatti sul vago «ma sono contento che sia venuto»

«Deve piacergli ancora molto il kendo» disse.

«Ci sono cose che non puoi semplicemente... ignorare, io credo»

Nami strinse di più la mano nella sua.

«Ho deciso di andare a conoscere mio padre» gli disse.

Forse quella frase le aveva scatenato addosso la confessione. Non era stata certa di volerglielo dire, fino a quel momento, non di rovinare quella giornata con le sue questioni personali.

Ma forse era vero che le cose non si possono ignorare, dimenticare o accantonare. Ci sono cose che devono essere semplicemente affrontate, per smettere di averne paura.

Un po' come era successo a Zoro con Mihawk, quello stesso pomeriggio.

Sentì Zoro ricambiare saldamente la sua stretta e poi alzò lo sguardo solo per incontrare di nuovo il suo, serio e affettuoso.

«Verrò con te» una domanda che sembrava più un'affermazione.

Nami si limitò ad abbandonare il capo contro la sua spalla, in un muto ma sentito ringraziamento.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

 

Nami non era riuscita a chiudere occhio, pensando a ciò che l'avrebbe attesa.

Aveva immaginato svariati esordi, svariati dialoghi, nella sua testa, per il primo incontro con un padre che non aveva mai avuto la possibilità di conoscere.

Nojiko doveva aver subito lo stesso trattamento perché le occhiaie violacee che riportava sotto agli occhi, quel sabato mattina, erano sintomo del suo stesso dilemma notturno.

Le aveva servito il caffè e dei pancakes che nessuno le aveva chiesto di cucinare.

«Devo chiederti a che ora ti sei alzata per preparare una colazione degna di Versailles?» la interrogò, prima di produrre uno sbadiglio che avrebbe potuto inghiottire un treno.

«Per mangiare come a Versailles avrei dovuto servirti della selvaggina spennata»

«Che schifo» sussurrò Nami, ringraziando tacitamente. Non era sicura di avere abbastanza fame per mangiare davvero qualcosa, ma per onorare il lavoro della sorella si servì addirittura due pancakes.

«Mamma è andata a ritirare la macchina dal meccanico. Ci accompagnerà verso le dieci, se per te va bene»

Bellmer aveva deciso di scortare entrambe all'abitazione del padre, ma si era preoccupata di comunicar loro, per la sua sanità mentale, che non lo avrebbe incontrato di persona. Un po' per non influenzare le figlie con i suoi atteggiamenti, un po' per evitare di farsi venire il fegato amaro o scendere a orribili livelli di compassione.

Zoro invece suonò il campanello proprio in quel momento. Ancora prima che Nami avesse la possibilità di assaggiare la colazione. Gli aveva chiesto se fosse davvero sicuro di accompagnarla, che non si doveva sentire obbligato, che avrebbe potuto contare del supporto della sorella e della madre. Ma lui le aveva risposto che se non era di troppo si sarebbe unito volentieri, che non aveva altri appuntamenti in programma, che, in ogni caso, si sarebbe interrogato tutto il giorno su come si sarebbe svolto quell'incontro, quindi tanto valeva.

La verità è che voleva semplicemente assicurarsi di essere presente, per qualsiasi contraccolpo emotivo avrebbe riportato quell'incontro. Nami lo aveva capito, non glielo avrebbe certo fatto pesare, anzi.

Si levò quindi in piedi per andare ad aprirgli. Il solo fatto che Zoro l'accolse con un sorriso fu in grado di sedare, in modo del tutto lieve ma grato, quel senso opprimente di ansia che non la abbandonava da giorni. Dalla decisione di conoscere un uomo che non le aveva dato la possibilità di farlo prima, fino a quando si erano accordati per un appuntamento.

«Ciao» gli disse.

E «Ciao» lui le rispose, indeciso se salutarla con un bacio, ma frenato dal fatto che stavolta fosse una visita piuttosto... formale.

«Avete intenzione di guardarvi negli occhi sull'uscio per tutta la mattina o prima o poi entrerete?»

Nemmeno l'intrusione di Nojiko si fece attendere. In linea generale Nami avrebbe temuto l'incontro dopo la scoperta di Nojiko sulla loro relazione, ma l'occasione era così particolare che l'imbarazzo passò tranquillamente in secondo piano.

«Arriviamo, arriviamo» disse, facendo a Zoro cenno di seguirla all'interno. La casa la conosceva, non era certo la prima volta che passava a trovarla, eppure ora le sembrava tutto così diverso.

«Spero tu non abbia già fatto colazione» Nojiko si rivolse al ragazzo mettendo in tavola il resto dei pancakes «Non sarà uno dei pasti da atleta a cui sei abituato ma... ne ho sfornati per un reggimento»

«Mi piacciono i pancakes» le disse con un mezzo sorriso, prima di sedersi al tavolo con loro.

Nami gli passò del succo di frutta e gli fece un occhiolino a rimarcare il fatto che apprezzava il fatto che avesse deciso di far loro compagnia.

«Ci accompagnerà mamma. Non sono sicura di aver capito dove abita quell'uomo»

Nojiko sembrava apparentemente incapace di pronunciare il suo vero nome.

Nami si limitava a pensare a lui come 'padre' e tanto bastava. Non voleva alzare all'infinito le aspettative.

Spinse verso Zoro i suoi due pancakes, pregandolo tacitamente di servirsene: improvvisamente non aveva più nemmeno un briciolo di fame.

«Dovresti mangiare» le sussurrò lui, scoccandole uno sguardo severo.

«Potrei vomitare tutto quanto»

«Potrebbe aiutarti anche quello, nel caso ti servisse una scappatoia, più tardi» le disse, mimando un conato.

Nami sbuffò una risatina leggera, in netto contrasto con il sentimento. Nojiko parve apprezzare altrettanto e gli passò del succo d'acero e della marmellata.

«Non ti sapevo anche simpatico» lo prese in giro.

«Anche?» le rispose, seguendola con lo sguardo mentre si fermava a raccogliere una tazza di té.

«Pensavo fossi solo bello e scorbutico»

Il ragazzo non rispose ma Nami si rese conto che la sorella era riuscita a metterlo in imbarazzo. Le indirizzò un'occhiata ammonitrice, alla quale Nojiko rispose con una linguaccia.

L'idea che Nojiko lo trovasse un bel ragazzo la inorgogliva nemmeno Zoro si trattasse di una sua creazione. Lei lo aveva sempre pensato. Certo, non aveva voluto ammetterlo fino a quanto non aveva realizzato che lui le piacesse in quel senso ma oggettivamente non lo si poteva negare. In realtà, la cosa che di lui apprezzava più di qualsiasi altra cosa, fisicamente beninteso, era che Zoro fosse alto. Alto e massiccio. Che lo fosse molto più di lei, che sembrasse solido, come una roccia. E le piacevano anche quelle sue mani grandi e un po' callose, a causa dei costanti allenamenti dove brandiva pesi e shinai.

Si rese conto di essere rimasta a fissarlo un po' troppo a lungo, fantasticando su questo aspetto, perché lui le indirizzò uno sguardo interrogativo, al quale Nami rispose con un mezzo sorriso. Che lo interpretasse come preferiva.

 

Finirono di far colazione proprio quando Bellmer rientrò a casa con tanto di chiavi della macchina che faceva roteare energicamente su un dito.

«Siete pronte?» esclamò con decisione. Un atteggiamento che cercava, a modo suo, di esorcizzare il momento fin troppo solenne «Buongiorno Zoro!» concluse con un guizzo sorpreso.

Probabilmente non si aspettava che venisse davvero.

Nami sentì lo stomaco sprofondare in una voragine oscura. Fino a quel momento era rimasto tutto sospeso ma adesso che sua madre si apprestava davvero ad accompagnarle, le sembrò così reale, concreto.

Non c'era più tempo per fantasticarci su. Era il momento di farla fuori, una volta per tutte.

Si mise in piedi, raccogliendo i piatti della colazione. Nojiko sembrò decidere che ci sarebbe stato tempo più tardi per sistemare casa e li lasciò nel lavello, come il residuo di una mattinata ben spesa, prima del dissesto della loro giornata.

«Siamo nate pronte» dichiararono in coro, nemmeno si fossero messe d'accordo.

Bellmer rilasciò una risata e attese che tutti fossero usciti di casa, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

-

 

Avevano lasciato Nami e Nojiko sul portone del palazzo in cui viveva il loro padre. A rispondere al citofono era stata una donna. Perciò, per Zoro, la presenza di quell'uomo era rimasta ancorata nell'ombra in ogni suo aspetto.

Aveva percepito la tensione nell'aria e nel modo in cui Nami aveva stretto forte la sua mano, prima di salutarlo, con la promessa che si sarebbero rivisti molto presto.

Non avrebbe voluto lasciarla ma era ovvio che non sarebbe entrato in quell'angolo assolutamente privato del loro passato. Non altrettanto scontato che si sarebbe ritrovato solo con Bellmer per il resto della mattinata. A dire il vero non ci aveva pensato davvero fino a quando la situazione non si era palesata con la proposta della donna di passare un paio di ore a una caffetteria all'angolo.

Zoro non aveva potuto certo sottrarsi all'invito.

Il locale era molto carino, una caffetteria che sembrava più una sofisticata sala da té. In realtà l'intera zona pareva residenziale. A determinare, in modo sfacciato, quanto anche il padre di Nami non dovesse passarsela poi così male, se abitava in una zona simile. Rendendo così ancora più incredibile e squallido il fatto che avesse deciso di non prendersi cura di loro, nemmeno dal punto di vista economico. Considerazioni che certo avrebbe tenuto per sé, ma che non gli facevano risultare molto più simpatica l'intera situazione.

Si sedettero a un tavolo, accanto alla vetrata che dava sull'esterno, così da tenere d'occhio ogni movimento all'altro lato della strada. Avrebbero di certo inquadrato Nami e Nojiko, quando sarebbero uscite dal loro incontro.

«Vediamo cosa ci offre questo posto tanto chic» esordì Bellmer afferrando uno dei menù, incastrati fra un vasetto decorativo e il portatovaglioli «puoi scegliere quello che vuoi, oggi offro io»

Zoro prese a sua volta un menù, rendendosi immediatamente conto che il posto non era esattamente economico.

«In realtà ho già fatto due colazioni» le rispose, un po' perché era vero, un po' per evitare di spendere un capitale.

«Alla tua età, prima di pranzo, per me c'erano almeno due colazioni e tre spuntini. Non fare il timido e scegli qualcosa. Offro io»

«Ma no, io non-»

«Io prenderò sicuramente un caffè. E mi ispira moltissimo questa torta di carote e amaretti. Tocca a te.»

Zoro sospirò, ben consapevole di non avere diritto di replica. Bellmer era una persona tanto pratica quanto ostinata; in questo aspetto gli ricordava qualcuno.

«Un succo d'arancia. E un bagel farcito» non si sbilanciò troppo, ma non aveva voglia di assumere altri zuccheri. Più stimolato dall'idea del pranzo imminente.

Pareva che le donne della famiglia di Nami non facessero altro che cercare di ingozzarlo. La cosa lo divertì.

La donna richiamò uno dei ragazzi in servizio e gli lasciò gli ordini, sistemando di nuovo i menù al loro posto.

«Allora...» esordì dopo qualche istante, intrecciando le mani sopra al tavolo.

Ci siamo, pensò Zoro, attendendosi un improvviso interrogatorio sugli sviluppi della sua relazione con sua figlia.

«Mi ha detto Nami che ti stai preparando molto duramente per il prossimo torneo interscolastico»

D'accordo, forse aveva corso troppo e no, la domanda sul kendo proprio non se l'era aspettata. Ma la accolse come un dono non richiesto.

«Ah, sì...» rispose «Tre volte a settimana a scuola e i fine settimana al dojo Shimotsuki»

«Mi sembra un piano molto impegnativo» constatò lei.

«Abbastanza. Ma non mi pesa»

«Riesci a bilanciare con lo studio?»

«Più o meno...» si strinse nelle spalle. Non era una novità che studiare non fosse esattamente la sua specialità. Non perché non fosse sveglio o altro, la verità era che studiare lo annoiava abbastanza, tolte alcune materie. Nami era esattamente il suo opposto, in questo senso.

Bellmer si sorresse il viso con una mano, lanciandogli uno sguardo valutativo.

«Questo è il vostro ultimo anno di liceo, immagino non sia facile riflettere su quello che accadrà dopo. Ci hai già pensato?»

Zoro si rese conto che quella domanda arrivava ancor più inaspettata di quanto non avesse fatto quella su kendo.

«In realtà...» non era affatto sicuro di ciò che stava per dire, ma le parole gli uscirono più rapidamente di quanto si aspettasse, di quanto il suo cervello ci mise per elaborarle per davvero «mi piacerebbe portare avanti la tradizione di famiglia. Il kendo, la palestra...»

«Ho sentito dire che l'attività del dojo Shimotsuki ha proposto nuovi corsi»

Zoro non poté far altro che sorridere.

«Già. Koshiro ha ingaggiato un nuovo insegnante. Non mi dispiacerebbe affiancarlo, in futuro.»

«So che c'è un'università molto buona in città che dà molto spazio ai club sportivi. Potrebbe essere un buon modo per portare avanti questa prospettiva»

«Sì, la conosco. Vedremo»

Bellmer annuì. Sembrava interiormente soddisfatta delle sue risposte. Non si era nemmeno posto il problema che forse un piccolo interrogatorio lo stava subendo per davvero.

Ma la verità è che forse deviare l'attenzione sul futuro, poteva trascinare via entrambi dal pensiero di ciò che stava accadendo nel palazzo a pochi metri di distanza. In una stanza dove tre persone si riunivano per la prima volta.

«Non ho avuto cuore di chiedere a Nami se abbia già un'idea. Quello che vorrei evitare è che si fossilizzi su degli studi che le impediscano di realizzare i suoi sogni» gli confessò, sbirciando oltre la vetrata.

Zoro era a conoscenza del fatto che Nojiko aveva voluto restare in città per dare una mano alla famiglia e alla fine si era accontentata di un'università con delle solide prospettive d'impiego. Ma Nami?

Nami aveva da sempre espresso il suo desiderio di evasione. Intimamente confessato ai suoi amici l'aspirazione di scappare da quella piccola città, di espandere le sue conoscenze e i suoi confini.

Guardò nella stessa direzione in cui si era perso lo sguardo di Bellmer. Era certo che Nami non avrebbe sacrificato proprio un bel niente, se fosse stata sicura di lasciare la sua famiglia in buone mani, senza questioni irrisolte. L'idea, per la prima volta, lo rattristò. Non ci aveva mai pensato, ma probabilmente quello avrebbe potuto essere il loro ultimo anno assieme. In tutti i sensi.

«Siete così giovani» sospirò Bellmer, trascinandolo fuori dalle proprie riflessioni «forse dovreste solo pensare a divertirvi il più possibile»

Nel frattempo arrivarono le loro ordinazioni e le sue parole si persero nel discorso.

«Sono molto felice che abbia trovato degli amici come voi...» riprese mentre zuccherava il suo caffè.

Zoro rialzò la testa, ancora prima di pensare a come attaccare il suo bagel.

Cosa avrebbe dovuto rispondere ad un'affermazione del genere. Grazie? Sì, lo sappiamo?

«Nami è sempre stata una ragazzina molto solitaria. Lei e Nojiko una coppia indissolubile. Si sono sempre supportate molto a vicenda» gli rivelò «Con il fatto che io abbia dovuto portare avanti due lavori alla volta per mantenerle ed ero troppo spesso fuori casa, erano fondamentali l'uno per l'altra.»

Sospirò tutto il suo disappunto che Zoro colse senza nemmeno dovercisi sforzare molto. La sua frustrazione, i suoi rimpianti, le sue preoccupazioni. Quelle di una madre che non era sicura di aver svolto un lavoro quantomeno decente.

«Poi è successo quello stupido incidente e le ragazze hanno dovuto crescere alla svelta. Nami ha cominciato a lavorare per quell'imbecille di Arlong... è stato un periodo duro. Ma nel frattempo ha conosciuto voi. Che l'avete aiutata così tanto» si strinse nelle spalle. Zoro non era sicuro di dove volesse andare a parare con quel discorso, ma rimase in silenzio ad ascoltarla, afferrando per buona creanza il bicchiere con il succo, senza osare servirsene davvero.

«E in questo ultimo periodo, per la prima volta dopo tanto tempo, finalmente sono riuscita a vederla serena» aggiunse, rialzando uno sguardo grato su di lui «è anche merito tuo, sai?» lo indicò con la forchetta da dolce, con aria sorniona.

«Io non ho fatto niente» borbottò, guardando di nuovo fuori dalla finestra.

«Il fatto che tu sia qui oggi dice proprio tutto il contrario»

Zoro si strinse nelle spalle, senza sapere cosa rispondere per davvero. Non era lì per sentirsi ringraziare, era lì per Nami. Era lì perché per prima cosa, sopra ogni altra, era amico di Nami. E lo sarebbe stato finché lei gli avrebbe concesso di esserlo. Ma ottenere l'approvazione di Bellmer gli fece comunque piacere.

«Quando suo padre mi ha contattata ero terrorizzata dal fatto che potesse incrinare la nostra famiglia. Non erano obbligate a vederlo o a conoscerlo. Spero che questa cosa possa mettere un punto definitivo a questa storia, invece di aprire altri baratri»

Zoro tornò a guardarla.

«A me siete sembrate sempre tanto compatte» le disse.

E Bellmer per la prima volta gli rivolse uno sguardo sorpreso, ma grato. Come non aspettasse altro che una misera rassicurazione. Anche se a Zoro non sembrò di aver detto niente di così sorprendente.

«Scusa» aggiunse poi, in un guizzo di lucidità «forse non sono cose che avrei dovuto dire ad alta voce. Ti prego di non parlarne con Nami»

Zoro non le rispose ma le rivolse un sorriso incoraggiante. Se c'era una cosa che aveva capito in quegli ultimi mesi, era che nessun adulto era infallibile e che, anzi, avevano esattamente le stesse paure e le stesse preoccupazioni di tutti gli altri. Lo aveva capito con Koshiro, dopo molto, troppo tempo in cui aveva frainteso e forse inconsciamente colpevolizzato i suoi atteggiamenti.

Per tutta risposta afferrò il bagel e gli diede un morso corposo. Una parte del ripieno quasi schizzò di lato, costringendolo a salvarlo in corner da una brutta caduta. Il tutto risultò così comico che Bellmer scoppiò, finalmente, a ridere.

«Guarda che non te ne prendo un altro. Costano un capitale questi cosi!»

Zoro sgranò gli occhi.

«Posso pagarlo!» esalò, cercando di non sputacchiare ovunque quello che aveva in bocca.

Bellmer rise di nuovo.

«Piantala e mangia» lo ammonì, palesando il fatto che lo stesse solo prendendo in giro «Avrai bisogno di energie, quando comincerò a farti domande sulla relazione che hai con mia figlia» aggiunse poi con un tono molto più serio. Fin troppo convincente.

E Zoro rischiò di strozzarsi veramente questa volta.

 

-

 

Nami e Nojiko erano emerse dall'appartamento del padre che era passata da un pezzo l'ora di pranzo.

Quando avevano raggiunto Zoro e la madre si erano concesse di ordinare l'intero menù pranzo, senza colpo ferire, per compensare un colloquio complesso e sfiancante. Non avevano condiviso troppo di quell'incontro ma li avevano aggiornati sul fatto che con il padre, da quel giorno in poi, avrebbero mantenuto rapporti cordiali e si sarebbero interessate della sua salute.

Nami si era resa conto degli sguardi scrutatori di sua madre, e della preoccupazione del suo sguardo, ma non era certa di voler davvero parlarle di quell'incontro o di cosa si fossero detti. O delle patetiche giustificazioni che l'uomo aveva imbastito e delle profuse scuse con cui si era cosparso il capo di cenere. Nojiko sembrava la meno propensa a perdonarlo, Nami aveva deciso che non farlo non avrebbe portato giovamenti alla sua vita più del fatto, invece, di farlo. Che non avendolo mai conosciuto, non avendo mai fatto parte, nemmeno di sfuggita, della sua vita, non aveva davvero qualcosa per cui perdonarlo. Che i loro guai familiari, probabilmente non erano nemmeno davvero colpa sua. Certo, avessero avuto un altro appoggio all'infuori di Bellmer sarebbe stato tutto più facile, ma sarebbe stato altrettanto felice? Aveva deciso, proprio nel momento in cui era uscita dalla porta di quell'appartamento, che dopotutto quelle ad avere avuto una vita semplice ma con una famiglia unita e pronta a sostenersi sempre, erano state proprio loro tre.

Compativa quell'uomo e la sua solitudine.

Però non poteva negare il fatto di essere stata a lungo curiosa di capire chi fosse, da dove venisse, cosa avessero in comune. Domande che non avevano avuto risposte in un due ore scarse di dialogo. Ma che l'avevano aiutata a capire che nemmeno quello avrebbe cambiato ciò che lei era, arrivati a quel punto.

La verità era che si sentiva più serena di quella stessa mattina e probabilmente più di quanto non lo fosse mai stata in diciotto anni di vita senza un padre.

Come avesse aggiunto un pezzo mancante al puzzle della sua esistenza. Ora che aveva trovato una collocazione, avrebbe potuto finalmente metterlo da parte e liberare la scrivania per ciò che sarebbe arrivato di nuovo, di buono.

Bellmer li aveva accompagnati tutti a casa, un viaggio in macchina dove la radio aveva colmato i silenzi di un viaggio piuttosto riflessivo.

Nami non aveva lasciato la mano di Zoro un solo istante. Non sapeva dire se per rassicurare lui sul fatto che stesse bene, o per ricordare a lei stessa che le cose concrete e davvero felici erano proprio lì, in una macchina dove riecheggiava musica buona e li stava riportando a casa.

 

Quella stessa sera, dopo cena, distesa sul letto, si era resa conto che forse le emozioni erano state un po' troppe, per una sola giornata.

E dopo aver scrutato in silenzio il suo cellulare per una buona mezz'ora aveva scritto a Zoro:

'Dormi?'

'Non proprio' era stata l'immediata, quanto sorprendente risposta.

'Mi andrebbe una passeggiata in spiaggia' aveva buttato lì, attendendosi una risposta pungente o quantomeno noiosamente da Zoro.

Quello che aveva ricevuto invece era stato:

'Ci vediamo al bar dismesso'

Nami non si era interrogata oltre. Si era vestita, preso la sua borsa, superato in silenzio Nojiko che dormiva sul divano di fronte a una serie tv ed era uscita di casa.

 

«Pensavo ci avresti messo un'infinità di tempo a trovare il bar dismesso» lo prese in giro, il momento in cui lo vide sbucare dal portico decadente.

Ma probabilmente il fatto che fosse stato lui a proporlo era perché quel posto era forse l'unico vero punto di riferimento che non avrebbe mancato. Si spiegò persino come avesse fatto a trovarli, ormai mesi fa, il giorno in cui avevano messo in piedi una serata in spiaggia per chiamare Bibi, esiliata dall'altra parte del paese.

«Hai voluto vedermi per insultarmi?» le rispose, venendole incontro con l'aria un po' assonnata.

Non era molto tardi, ma la mezzanotte incombeva. Il fatto che nessuno di loro avesse scuola, il giorno successivo aveva un certo peso su quella sconsiderata decisione.

Ma la serata era piacevole e calda, un peccato sprecarla dormendo.

«In realtà volevo solo fare due passi, e magari sederci da qualche parte a goderci l'oceano» gli andò incontro, mostrandogli la borsa da spiaggia che aveva portato con sé. Il clima ormai portava il caldo dell'estate e le serate di fine maggio erano calde e piacevoli «e magari ringraziarti per oggi. Non volevo farlo davanti a Nojiko e Bellmer, sarebbe stato... strano»

«Non ho fatto niente oggi»

Sempre quel suo modo per sminuire le cose.

«Hai saltato gli allenamenti per venire con noi. Questo non è niente

Lo vide sgranare gli occhi. Probabilmente si era augurato che lei non rammentasse quel dettaglio, ma dopo aver superato la confusione di quella mattinata del tutto insolita, Nami aveva ampiamente ricordato cosa significassero i sabati mattina per Zoro. Il fatto che le avesse detto di non avere niente di meglio da fare era una bugia bianca che non avrebbe potuto reggere a lungo.

«Recupererò domani»

Senza dire nient'altro gli si avvicinò per dargli un bacio sulla guancia a mo' di ringraziamento. E poi lo prese per mano per trascinarlo lungo la battigia, per mettere in atto i suoi propositi di una passeggiata notturna.

Zoro non le avrebbe chiesto niente, questo lei lo sapeva perfettamente. Non era il tipo di persona che si impicciava degli affari altrui o che condivideva con chicchessia i suoi, di affari. Era un aspetto che apprezzava sì, ma che si ripromise di non impedirle di condividere con lui qualsiasi cosa le venisse in mente.

«Mi hanno scritto tutti oggi pomeriggio...» gli disse «Per sapere come era andata» sorrise.

Non aveva detto niente a nessuno dei loro amici, fino all'ultimo. Sapeva che, se lo avesse fatto, avrebbero voluto essere tutti con lei. Si era limitata ad avvisarli il giorno prima a scuola. E a godersi l'abbraccio collettivo che ne era seguito.

«Ho risposto loro che sto bene» proseguì e nel farlo sapeva di rispondere anche alle tacite domande che aveva letto nello sguardo di Zoro per tutto il pomeriggio «e che posso voltare pagina»

Nel dirlo, intrecciò le dita alle sue e aumentò il passo, a decretare che davvero voleva lasciarsi alle spalle tutta la malinconia di quel pomeriggio.

«Ehi! Laggiù è dove abbiamo fatto il falò la volta scorsa, te lo ricordi?» esclamò, dirigendosi esattamente in quella direzione. Era piuttosto buio ed isolato e la luce della città faceva fatica a raggiungerli. Estrasse il cellulare per usare la torcia e poi lo passò a Zoro.

«Tieni un attimo. Preparo una cosa» disse solo, lasciando che il ragazzo la guardasse con aria perplessa, prima di posare a terra la borsa e sistemare a terra un telo da spiaggia in cotone.

Si chinò di nuovo in ginocchio e dopo aver cercato sul fondo della borsa estrasse quelle che sembravano proprio due bottiglie di birra.

«Non te l'aspettavi questa, eh?» indagò, facendole tintinnare una sull'altra.

«No, per niente. Vorrei sapere dove te le sei procurate» la seguì sul telo, sedendole accanto, abbassando gradualmente l'intensità della torcia, fino a quando i loro occhi non si abituarono nuovamente all'oscurità.

«Scorte di mamma. Che non dovrà scoprirlo mai. In genere non ricorda mai quanta birra le resta in frigorifero. Sembra sempre sorpresa, quando non ne trova. La verità è che non ricorda mai quante se ne apra in automatico, al rientro da lavoro»

«Cominciano ad essere un po' troppi, i debiti che ho nei confronti di tua madre...» commentò Zoro, senza però farsi scrupoli ad aprire entrambe le bottiglie.

«In che senso, scusa?» gli rispose, con aria divertita.

«Mi ha offerto il pranzo oggi. Ora la birra.»

«Puoi sempre ripagare me. Sono della famiglia»

«Non fare la strozzina» le scoccò uno sguardo severo che lei riuscì a cogliere bene fra le ombre notturne.

«Ma dai, stavolta non ho intenzione di chiederti soldi» disse facendo cozzare la sua birra contro la sua «magari cominciamo con un brindisi. Poi vediamo in che altro modo posso chiederti di saldare il tuo debito»

Zoro scosse la testa, ma sembrò abbastanza soddisfatto all'idea di cominciare la serata con dell'alcool. Bevvero entrambi il primo, lungo sorso con estrema soddisfazione.

La brezza notturna era piacevole. Il profumo dell'oceano e il suono delle sue onde, le mettevano sempre addosso una gran calma. Il sapore della birra sul palato e la vicinanza di Zoro a completare il quadro le sembrò improvvisamente il luogo più vicino alla sua idea di paradiso.

Una piacevole sensazione di serenità. Dopo tanto tempo a rincorrerla, fermarsi per godersela sembrava una vera benedizione.

Si sentì in piena connessione con tutto. Persino con i suoi demoni interiori. Grata di tutto ciò che aveva ricevuto in quegli ultimi mesi. Era stata una giostra piuttosto movimentata di avvenimenti, di sentimenti, ma si rese conto di averli affrontati uno per uno ed esserne uscita in qualche modo vincitrice. Non così ingenua da pensare che sarebbe finita lì, certo, non così ottusa da non sapere che le sfide sarebbero state ancora molte e che la vita non le avrebbe risparmiato delle sorprese, in positivo o in negativo, ma per quanto le prospettive si affacciassero stratificate e ignote nel suo futuro il qui e ora le sembrò l'unico vero modo per affrontarle. Per accettarle.

«Zoro...» mormorò, stringendosi a lui quasi come potesse trattenerlo, per sempre, fra le sue braccia «faresti l'amore con me?»

Lo sentì irrigidirsi appena, e d'istinto lo strinse più forte. Ma durò solo un istante. Sentì il rumore della bottiglia di birra che veniva posata da qualche parte, sulla sabbia e le sue mani aggrapparsi a lei.

Si costrinse a scostarsi appena, il cuore in tumulto, l'improvvisa sensazione che potesse allontanarla e andarsene, la paura di aver rovinato tutto, di aver danneggiato quel momento perfetto.

Ma non le servì indagare troppo sui suoi movimenti o sullo sguardo sicuro che le rivolse, quando si ancorò nel suo, per ritrovare a specchio le sue stesse sensazioni, i suoi stessi, segreti desideri.

«Sei sicura?» le chiese, più per eccessiva premura che per reale paura che non fosse l'ennesima burla.

Nami si ritrovò ad annuire una sola volta. Poi si levò in ginocchio, afferrò il suo viso fra le sue mani e lo baciò.

Quando la calma tornò a farla da padrona e il tumulto del cuore fu placato, capì che non sarebbe più tornata indietro.

 

Note:

Piccolo appunto per dire che non ho trovato necessario approfondire in modo troppo complesso l'evento padre di Nami (al quale non mi sono nemmeno scomodata di dare un nome), così come tutto resterà abbastanza celato anche a Bellmer e Zoro e i suoi amici, lo sarà anche per i lettori. Non credo avrebbe dato o tolto qualcosa a ciò che volevo raccontare qui, ovvero l'accettazione di Nami e la sua volontà di voltare pagina e di impegnarsi a vivere una vita piena e felice.

Spero tutti abbiate passato delle buone feste. A presto.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 

Aveva aperto un occhio e poi un altro, solo per rendersi conto che la luce che le sferzava la cornea non era la stessa, diretta e violenta, che si prendeva gioco di lei tutte le mattine; ma più una sollecitazione fioca e riparata dalle numerose foglie di un acero. Aveva fatto vagare lo sguardo, le palpebre ancora a mezz'asta, per comprendere che non erano sue le mensole e i poster appesi alle pareti. E non era suo nemmeno il futon in cui era tutta aggrovigliata.

Non le ci volle poi molto a realizzare, ma soprattutto ricordare, che la notte precedente a casa sua non ci era tornata affatto.

La divertì molto constatare che non era nemmeno la prima volta. Ma una delle tante, di una lunga sfilza di fughe notturne. Ma forse la prima ad essere autorizzata.

Zoro aveva bisogno di ripetizioni per alzare la media dei suoi voti, le vacanze estive ormai alle porte. Prima di immergersi nel ritiro con la squadra di kendo, in vista del torneo regionale. Avrebbero dovuto studiare molto. A lungo.

Bellmer si era assicurata ci fosse l'approvazione del signor Shimotsuki per accordarle il permesso a fermarsi per la notte. E così era rimasta. Era stata accolta con gratitudine e nutrita a squisiti dolcetti per la merenda, rifocillata per una cena leggera e infine invitata a chiudere la sessione di studi fra le pareti della stanza di Zoro.

Non si era sentita particolarmente in colpa a chiudere i libri e mettere da parte i quaderni degli esercizi un po' prima del previsto. Ma si era sentita in colpa (forse solo un pochino) per rispetto di chi se la dormiva della grossa al piano inferiore, e la pensava addormentata nella stanza degli ospiti, quando si erano tolti i vestiti e avevano sfruttato le ore notturne in ben altre... più ricreative attività.

La verità è che dopo la prima, confusa volta alla spiaggia, era sicura che le fosse sfuggito qualcosa. E si era data la pena, come tutte le cose che faceva, di darsi da fare per capire cosa. Con questa scusa aveva assalito Zoro tutte le volte che le era stato concesso farlo. E lui non si era mai tirato indietro.

Ancora non aveva capito cosa le sfuggisse, ma adesso era sicura che le piaceva. E che ogni scusa era buona per prendersi un pezzettino di Zoro e, di contro, donarne uno di se stessa a lui.

Si sentiva felice. E libera. E non c'era niente che potesse intaccare questa convinzione, al momento.

 

Si rigirò sotto le coperte, rintracciando i vestiti liberati, tutti ammassati da qualche parte sul tatami. Con disappunto però, non individuò Zoro da nessuna parte.

Sospirò, alzando le braccia sopra la testa, stiracchiandosi tutta, convinta che l'avesse abbandonata per andarsene a fare uno di quei suoi barbosi allenamenti mattutini. Con quel movimento sfiorò con le dita la maglietta che Zoro aveva indossato la sera prima e abbandonata lì. La raccolse, attirandola a sé. Se la spiaccicò sulla faccia, affatto sorpresa di rintracciare il suo inconfondibile odore. Si sentì improvvisamente tutta accalorata al ricordo di come aveva lasciato vagare le sue mani su di lei, solo poche ore prima. Del suo corpo caldo, della sua pelle umida, dell'impazienza delle sue labbra.

Senza starci troppo a pensare, si infilò la maglietta, decisamente troppo grande per lei, convinta di ritrovarci il calore che non le aveva concesso quella mattina al suo risveglio e si mise seduta, i capelli un groviglio spettinato e i muscoli che le dolevano un po' da tutte le parti. Il suo stomaco prese a protestare animatamente, per simpatia.

«E adesso che faccio... ?» sospirò, recuperando il proprio cellulare per vedere se Zoro avesse o meno avuto la premura di avvisarla. Ma non c'erano messaggi in arrivo, a parte quello che le aveva mandato Robin la sera precedente, con un gigantesco in bocca al lupo, allusivo alla nottata.

Non aveva ancora avuto modo di confidarle che con Zoro le cose si erano evolute in maniera piuttosto consistente. La verità era che le piaceva avere un segreto. Un segreto che condivideva solo con lui. Perciò si chiede se non potesse tenerlo per sé ancora un po', se potesse conservarlo finché non le sarebbe stato concesso farlo.

Si mise in piedi, recuperando biancheria pulita e decise di fare una capatina in bagno prima di scendere al piano inferiore.

Koshiro aveva detto loro che avrebbe dovuto assentarsi per tutta la domenica mattina e che gli avrebbe lasciato qualcosa per colazione.

Animata dalla promessa del cibo si affrettò a rendersi vagamente presentabile e dopo essersi rinfrescata, indossati un paio di pantaloncini, raccolti i capelli in una crocchia un po' sbilenca e mantenuto tenacemente addosso, come un trofeo, la maglietta di Zoro di una qualche manifestazione sportiva, scese le scale al piano inferiore con l'intenzione di smaltire rapidamente i fumi della notte insonne.

Ciabattò sgraziatamente fino alla cucina e si profuse in un enorme, soddisfacente sbadiglio, prima di rendersi conto che qualcuno era seduto al tavolo della cucina e la stava... fissando.

«Ehi», la accolse questi, alzando persino una mano in segno di saluto.

Nami fece un salto indietro con un rumoroso singulto per la sorpresa, quando si rese conto che stava fissando Trafalgar Law, tutto intento a spalmarsi una generosa cucchiaiata di marmellata su un toast.

«Ma porc-» balbettò, senza sapere esattamente cosa dire.

«Scusa, non volevo spaventarti» la prevenne, ma si vedeva che dietro la maschera apparentemente seria, si celava un sorriso divertito «il maestro Shimotsuki mi ha accordato il permesso di allenarmi al dojo, stamattina. Giuro che non mi sono introdotto qui come un ladro.»

Nami si prese qualche istante per placare il tumulto del proprio cuore e scosse la testa, tentando disperatamente di darsi un contengo.

«Non lo stavo pensando» si affrettò a rispondergli «credevo solo di esser rimasta sola e sono rimasta un po' sorpresa, tutto qui» concluse, tirando un po' giù l'enorme maglietta, a coprire parti di lei che non voleva mostrare. Non che fosse eccessivamente scandalosa, comunque. Era certa di aver mostrato ben più pelle di così, nei mesi estivi.

Law si limitò ad annuire e spostare la brocca con del succo d'arancia nella sua direzione, come un invito ad unirsi a lui per la colazione.

«C'è anche del caffè» le fece presente, «sembra tu ne abbia bisogno»

Nami tentò disperatamente di non cedere alla provocazione del ragazzo e andò a recuperare una tazza per servirsi da sola.

La parola caffè era l'unica cosa che le impediva di pensare a cosa dire o giustificare la sua presenza lì. Che poi, giustificarsi per quale motivo? Nessuno dei due abitava in quella casa, fino a prova contraria.

«Per la cronaca, nemmeno io mi sono intrufolata in casa come una ladra» disse solo, sedendosi di fronte al ragazzo, raccogliendo la scatola colma di biscotti.

«Non l'ho mica pensato» le rispose, azzannando il suo toast, distogliendo lo sguardo per puntarlo verso il giardino esterno, dove un piccolo stormo di uccellini si stava affollando attorno a delle briciole di pane. Presumibilmente Koshiro le aveva gettate fuori quella mattina, prima di uscir di casa.

«Quella maglietta ce l'ho anche io»

Nami, che stava zuccherando il suo caffè, lanciò con troppa veemenza la zolletta che fece schizzare tutt'attorno un po' di gocce bollenti.

«Non è mia» le venne stupidamente istintivo dire.

Law tornò a guardarla, inarcando un sopracciglio, perplesso. Era evidente che non serviva una risposta.

«Ora capisco perché Roronoa ultimamente sembra avere la testa fra le nuvole» fece un cenno con la mano e si accasciò un po' sulla sedia, osservando un po' incerto il pane che aveva fra le mani.

«Mi chiedo perché mi ostino a far colazione così, se il pane non lo tollero» sembrò deviare improvvisamente argomento, ma Nami, che inizialmente aveva colto quella frase come ennesima, sciocca provocazione, ci lesse dell'altro. Decisamente più allarmante. E non poteva permettere che la conversazione svilisse all'improvviso.

«Parli degli allenamenti?» gli chiese a bruciapelo, sporgendosi appena.

Era un cosa a cui non aveva affatto pensato.

Che lei fosse un po' più distratta del solito, che spesso si sorprendesse a vagare con la mente in lidi proibiti, nei momenti più impensabili, che fosse improvvisamente vittima di quella strana malattia d'amore di cui aveva solo sentito sentito parlare fino a quando non ci era caduta con tutte le scarpe, poteva giustificarlo, ma che anche Zoro potesse risentire degli stessi, letali sintomi, non ci aveva davvero pensato.

Forse perché Zoro sembrava sempre così inattaccabile, piuttosto imperturbabile, sembrava saper celare o nascondere alla grande i suoi sentimenti o i suoi turbamenti. E adesso, improvvisamente, scopriva che forse aveva fatto un grave errore di valutazione.

«Bè...» fece per rispondere Law, ma Nami non gli diede il tempo per concludere la frase.

«È distratto? Poco reattivo?» insistette «quanto è grave la situazione?» si portò le mani sul viso, vagamente allarmata.

Law però si limitò a lanciarle un'altra di quelle sue occhiata ambigue che non raccontavano un bel niente.

«Wow, ti stai davvero preoccupando» disse all'improvviso, sbuffando una mezza risata, mollando con forza il suo toast sul piattino, poco intenzionato a finirlo «Roronoa è la persona più concentrata che conosca, quando si allena. Non hai motivo di impensierirti, per questo»

Nami rilasciò un sospiro di sollievo ma si astenne dal mollare immediatamente il colpo.

«Hai detto che ha la testa fra le nuvole!»

«Bè, sì. In generale, quando gli parli. Quando cerchi di intavolare un discorso. Sembra sempre stia pensando ad altro... e poi sorride. Più del normale, voglio dire.»

Nami sentì una vaga stretta allo stomaco a quell'affermazione. Che fosse lei la causa di questo cambiamento, anche nella vita di tutti i giorni? Non osava davvero immaginarselo. Certo ne aveva avuto anteprime private, quando Zoro le riservava attenzioni tutte particolari nei momenti in cui erano soli. Comportamenti davvero molto poco fraintendibili. Era capace di gesti davvero impensabili, colmi di passione, sì, ma anche di estrema tenerezza nei suoi confronti. Attenzioni che la lusingavano e facevano sospirare e arrossire anche quando non era con lui.

«Ora capisco bene perché» la voce di Law la ridestò dalle sue considerazioni.

«Non dire stupidaggini» lo rimproverò, più per metterlo a tacere che per smentirlo.

«Stupidaggini o meno, guarda che non sto affatto giudicando... penso gli faccia solo bene svagarsi» sorrise «Però magari cerca di non strapazzarlo troppo. Gli atleti devono mantenere al sicuro le energie, in vista di gare importanti» continuò, rimettendosi in piedi.

«Io n-non lo strapazzo affatto» si infossò nella sedia, avvampando violentemente.

Law si limitò ad alzare le braccia, come non fossero davvero affari suoi. Le fece un cenno di saluto con la testa, prima di lasciarla sola in quella enorme cucina che sapeva di caffè, a riflettere sulle sue parole.

 

-

 

Zoro rientrò in casa dopo nemmeno un'ora di corsa mattutina. Aveva promesso a Chopper di raggiungerlo alla spiaggia, ma si era reso conto di avere poche energie da dedicargli. Considerato che il ragazzino di solito non era molto veloce, gli sembrò che il suo passo stavolta fosse molto più che adeguato alle esigenze.

«Sto migliorando!» aveva giubilato Chopper, rendendosi conto di avere molto più fiato di quando non avessero iniziato, ormai settimane prima. Il fatto di essere riuscito a tener testa a Zoro quella mattina, era stato sufficiente a ringalluzzirlo «Ma tu sembri esausto. Non starai esagerando troppo con gli allenamenti?»

Zoro, che si stava asciugando la fronte con la maglietta, aveva scosso appena la testa.

«Ho solo dormito poco. Sto studiando per alzare la media in vista del ritiro di kendo» si sorprese ad imbastire una scusa come un'altra. Di regola, piuttosto che mentire, preferiva proprio non dare spiegazioni, ma per qualche motivo elargì una bugia bianca per coprire Nami. Qualsiasi cosa volesse dire. Non che dovesse mantenere intatta la sua reputazione o cosa, ma non era sicuro di voler diffondere ai quattro venti come si era evoluta la loro relazione, in poche, molto irrazionali e decisamente piacevoli settimane. A quell'inatteso sviluppo non ci aveva davvero mai pensato (o non aveva mai osato farlo) finché non era capitato. Ma adesso che si era concretizzato, ed era entrato a gamba tesa nella loro vita, era schizzato in rapida ascesa ai primi posti dei suoi pensieri.

Dopo il kendo. Forse. A fasi alterne, fra il primo e il secondo posto, senz'ombra di dubbio. A seconda di quanto riuscisse a resistere o meno agli attacchi frontali di Nami. E di regola non le resisteva mai più di qualche secondo di esitazione.

Il sesso era davvero tanto interessante quanto si diceva in giro. O forse lo era solo perché... era Nami. E questo pensiero era sufficiente a ridimensionare il suo timore di aver cominciato un processo di trasformazione che lo avrebbe reso molto simile a quel maniaco di Sanji. Non osava pensare di diventar dipendente dal pensiero tanto quanto lo era lui. Anche se non gli aveva mai elargito confidenze di quel tipo, per avere delucidazioni a riguardo.

Sciocco non aver anche solo immaginato quanto glielo si leggesse in faccia - a lui, tanto quanto a Nami - che qualcosa di grosso, fra loro, fosse successo.

 

Rientrò in casa, abbandonando con due mosse decise le scarpe all'ingresso, ma non fece in tempo a fare un passo di più sul pianerottolo che Nami gli si precipitò incontro, come un uragano casalingo, afferrandolo per le braccia con espressione sconcertata.

«Tu ed io non dovremmo più fare sesso!» esordì con gli occhi che gli ricordarono quelli di un lemure.

«Sei impazzita?» esclamò, sentendosi avvampare a quell'affermazione tanto diretta, quanto sconcertante.

«No, per niente. Almeno finché non sarà terminato il torneo di kendo. Non dovremmo! La tua concentrazione. Le tue energie!»

Zoro recuperò un po' del suo contegno e la sospinse in casa, richiudendosi finalmente la porta alle spalle.

«Mi spieghi di che cavolo stai parlando?» le chiese, guardandosi attorno, per accertarsi che in casa fossero effettivamente ancora soli.

«Ho parlato con Law» fu la sorprendente risposta che ottenne.

«Scusa?» le domandò «Hai parlato con Law del fatto che tu ed io-»

«No! Che scemo, certo che no» lo mollò lì nel corridoio per percorrere il salotto e infine appollaiarsi sul divano. Lo scrutava da lontano.

«Tu non c'eri e ho indossato la tua stupida maglietta. Deve averlo capito»

Zoro si guardò attorno, ma di Law non c'era traccia. Allargò le braccia, raggiungendola, sperando si decidesse ad essere più chiara.

«Si sta allenando al dojo» spiegò «tuo padre gli ha lasciato le chiavi e apparentemente pure il permesso di servirsi la colazione. Quando mi sono svegliata e non ti ho trovato, sono scesa in cucina ed era lì e mi ha detto che non dovrei strapazzarti troppo perché gli atleti devono conservare le energie, in vista dei tornei importanti» sfagiolò quasi senza riprendere fiato «e sai che? Ci ho pensato su ed ha ragione! Ho cercato su internet e sai quante energie si bruciano durante un amplesso? Spropositate energie! E come posso prendermi la responsabilità di compromettere la tua carriera, se non faccio altro che saltarti addosso ogni volta che ci vediamo?»

Zoro si sentì così ubriaco di informazioni che per un bel pezzo non trovò davvero molto da dire. E questo fu male. Perché Nami si sentì in diritto di riprendere.

«E quindi dovremmo limitarci a vederci, farci due coccole, magari qualche bacio. Anche uno solo. Uno... mediamente lungo e poi dimenticare i nostri bollenti spiriti, almeno fino a quando non sarai arrivato in finale e tutto sarà finito» poi si fece meditabonda «O forse non dovremmo vederci affatto?» sgranò gli occhi «Perché poi io mi conosco. Non mi accontento. E-»

Zoro le si era seduto rapidamente accanto e le aveva messo una mano sulla bocca, per impedirle di aggiungere altro.

«Voglio sapere quanto caffè hai bevuto?» le domandò, prima di qualsiasi altra cosa.

«Folo una faffa» gli rispose, apparentemente placata, con gli occhi che gli trasmettevano sufficientemente sensi di colpa. La lasciò quindi andare.

«Forse due. Ero troppo concentrata sul ragionamento per... smettere»

Zoro rilasciò piano il fiato e si passò una mano fra i capelli, scompigliandoseli meditabondo.

«Hai preso troppo alla lettera le parole di Traf» le disse. Anche se non era molto allettato all'idea che il ragazzo, in qualche modo, ora sospettasse qualcosa. Ma era anche certo che avrebbe tenuto per sé qualsiasi informazione. E che non avrebbe esagerato troppo con le allusioni, anche nei suoi riguardi.

«Ma lui ha-»

«Di solito gli atleti non dovrebbero... insomma, farlo in prossimità di una gara importante ma io sarò in ritiro quei giorni, quindi...»

«A meno che io non decida di seguirti e farti gli agguati mentre sei con la tua squadra»

«... dubito che sarà un problema» concluse la frase, ignorando la sua proposta.

Nami si morse appena il labbro inferiore, valutando attentamente le sue parole. E la ruga di preoccupazione che le si era formata fra le sopracciglia, scomparve.

«Quindi possiamo continuare finché non parti?» bisbigliò a mezza bocca, tirandosi fin sotto le ginocchia l'enorme maglietta di Zoro, insaccandosi come un bozzolo.

«Se non mi deformi il guardaroba, nel frattempo...»

«Questo solo perché te ne vai senza dirmi niente» dimenticò la maglietta, raggiungendolo con un mezzo saltello sulle ginocchia. Cercò di avvinghiarlo in un abbraccio scomposto.

Ma lui fu più veloce e la ribaltò in modo efficace, intrappolandola appena sotto di sé.

«Pensavo avresti dormito più a lungo» le rispose, avvicinando il viso al suo fino quasi a sfiorarle il naso col proprio.

«Dormo solo se posso usarti come cuscino» brontolò stupidamente lei e il calore del suo respiro gli provocò brividi su tutta la schiena. Possibile bastasse tanto poco?

«Devo andare a fare la doccia» le rispose, prima di mollarla bruscamente sul divano e scostarsi da lei.

«Ehi!» la sentì protestare e poi il sibilo di un cuscino sfiorargli di poco la testa, prima di schiantarsi contro il muro «Sei un cafone!»

«Davvero?» disse, voltandosi, prendendo a camminare a ritroso «Ed io che volevo chiederti se ti andasse di venire con me»

Nami gli lanciò uno sguardo di fuoco e sembrò in procinto di rifiutare.

«Solo perché devo ancora farmela, una doccia!»

Superò con un salto il divano e lo raggiunse, dandogli un calcetto sullo stinco. Poi si sentì afferrare per la vita e la stanchezza della corsa, della notte passata e di tutto il resto, evaporò come acqua al sole.

 

***

 

Zoro le respirava accanto e ancora la teneva stretta.

Se stessero tremando, entrambi di freddo o d'emozione non riusciva a deciderlo.

Lo sciabordio dell'acqua dell'oceano, il profumo della salsedine, della pelle e del sudore, il peso del suo corpo, incastrato al proprio; persino il dolore, l'indolenzimento nello stomaco, fra le gambe, la sabbia sui piedi e quel sasso che le puntava dritto nella schiena, poggiata sul telo da mare. Le sembrava fosse importante tenersi stretto ogni dettaglio di quella sera.

Lo sguardo era puntato al cielo. Le luci delle stelle, solitamente fioche per via di quelle artificiali della città, le sembravano più intense. Come persino il firmamento le stesse consegnando un regalo prezioso, in una serata che non avrebbe dimenticato facilmente. Che non avrebbe forse dimenticato mai.

«È pieno di stelle» esordì in un sussurro, quando il suo respiro si fece regolare e la sensazione ovattata, straniante, confusa, fatta solo di sensi e percezioni, era svanita. Le parole che si rincorrevano nella sua mente, e che voleva esprimere a voce, dovevano prima essere messe in ordine, dovevano trovare un senso, sebbene premessero proprio lì, a fior di labbra. Doveva dirle alla svelta, prima che la consapevolezza prendesse il sopravvento sull'impulso.

Lo sentì esercitare una leggera pressione ed esalare un sospiro.

«Sì, anche io vedo le stelle...» lo sentì rispondere convinto. La traccia di un lamento, simile a quella di un anziano stanco.

Nami sgranò appena gli occhi, l'esternazione bloccata in gola, ora completamente desta e presente a se stessa. Una dichiarazione svanita, cancellata brutalmente da un fraintendimento.

Però scoppiò a ridere.

Di cuore.

Ed era l'ultima cosa che si era immaginata accadesse, alla fine.

«Che ho detto?» il borbottio di Zoro era svanito, inghiottito dal suono della sua risata.

Quello che aveva in mente di dirgli, lo avrebbe serbato nel cuore per la prossima volta o per quando le sole parole avrebbero prevalso su quell'inaspettato momento di gioia.




Note:
Non vorrei anticipare troppo ma credo che, a breve, arriveremo alle battute finali di questa storia. Perciò un intero capitolo dedicato alle conseguenze di questa evoluzione (e una sbirciatina di quello che è successo sulla spiaggia dove li avevamo lasciati) mi sembrava doveroso. Per il resto, ci risentiamo presto!

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