Il richiamo della notte

di Marybelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione/ Significato Ignoto ***
Capitolo 2: *** Osservazione ***
Capitolo 3: *** Sekure ***



Capitolo 1
*** Prefazione/ Significato Ignoto ***


Prefazione

Il buio intorno. Non potevo chiudere gli occhi. Solo tenerli sbarrati. La paura mi attanagliava stringendomi le budella. Un'ameba colorata mi guizzò accanto sfiorandomi una caviglia e al semplice contatto col malleolo, svanì. Vidi, vicino a me, apparire altre masse di materia colorata e informe, e svanire, come la prima sorella aveva fatto.
Cominciai a sentirmi debole. La testa girava e nonostante tentassi con tutte le mie forze di spostarmi, i piedi erano incollati al pavimento. Sentivo l'energia fluire dalle punte delle dita, dai gomiti, dalle spalle, da ogni singola vertebra della schiena. Come un fiume in piena che non si può fermare se non quando raggunge il mare, la mia energia vitale fluiva senza sosta.
Mi cedettero le ginocchia e mi ritrovai prona. Sotto di me il vuoto. Galleggiavo nell'aria ma non precipitavo. Come era possibile?
Le macchie colorate si avvicinavano sempre di più. Al contatto con la mia pelle calda non scomparivano. Si traformarono in nere sanguisughe ustionandomi la pelle e ricoprendo ogni centimetro del mio corpo. Girai la testa verso una direzione ignota.
Una luce polverosa e dolce illuminva una figura. Un uomo alto, muscoloso, biondo. Quella figura mi tendeva la mano.
- Papà... - sussrrai.


Significati Ignoti


Sbarrai gli occhi e vidi il soffitto di legno della mia camera. L'unico rumore: il mio respiro pesante. Mi passai il lenzuolo sulla fronte madida. Richiusi gli occhi sperando di ricominciare a dormire. Chidere gli occhi, vedere solo il buio e ricominciare a sognare da zero. Magari sognare un bosco verde o un campo di grano.
Sembrava impossibile che potesse esistere la natura. Tutte le volte che per quella notte tentai di riprendere sonno, vedevo le tenebre avvolgermi, sentivo il peso delle sanguisughe sulla mia schiena e sui polpacci, mio pdare che mi tendeva la mano ma non si avvicinava.
Un'incubo dal significato ignoto.
Poggiai i piedi sul pavimento freddo. Il contatto con la pietra nuda mi fece riprendere le forze che mi sembrava di aver abbandonato nell'incubo. Mi alzai lentamente cercando di non perdere l'equilibrio. A tentoni raggiunsi la porta che scricciolando si aprì. Sotto le dita affusolate sentivo la forma modellata del pomello in legno. "Fratello legno, riposa felice in questa notte di brutti sogni" pensai.
Se per la maggior parte degli abitanti della terra conosciuta era una stranezza parlare con gli oggetti, per me era normale. Parlavo con gli oggetti della natura e questi mirispondevano, ma non parlando. No... bisbigliavano al mio orecchio frasi nella loro lingua che solo e soltanto io potevo sentire e intendere.
Uscendo nel corridoio vidi una luce provenire dalla cucina. Non mi preoccupari di fare rumore o meno. La camica da notte di lino frusciava lungo le gambe e il pizzo sul fondo mi faceva il solletico ai piedi. Entrata nella stanza vidi mio padre seduto sulla sua sedia, intento nella lettura di un libricino delle dimensioni di un raviolo. Si era accorto della mia intrusione e appoggiò la lente d'ingrandimento senza però alzare il viso dal libro.
- Non riesco a dormire.- dissi strofinandomi gli occhi - Anche tu?-
Finalmente mi guardò. Avrei preferito non l'avesse mai fatto. I suoi occhi mi gelarono il sangue nelle vene. Color del ghiaccio con le pupille più nere dell'ardesia mi fissavano seri.
- Vieni qui... -
Allontanò la sedia dal tavolo facendomi segno di sedermi sulle sue gambe. Mi avvicinai lentamente. Ad gni passo sentivo le assi di legno scricchiolavano sotto i miei piedi. Mi appoggiai al tavolo per poter saltare più agilmente sulle gambe di papà.
Appoggiai la testa al suo petto muscoloso. Il suo cuore batteva più lento del mio così presi un paio di respiri profondi e mi sincronizzai al suo respiro rilassandomi.
Chiusi gli occhi per rivedere un'ultima volta quell'immagine spaventosa.
-Ti vedo in lontananza, non ti avvicini per salvarmi. Le macchie colorate mi stanno uccidendo e tu non ti muovi. Sembra che tu stia dicendo loro di attaccarmi. -
Sbarrai gli occhi. Sentii un brivido freddo scendermi lungo la schiena seguido a ruota dalla mano calda e grande di mio padre che risalì accarezzandomi i capelli e sbrogliandomi i nodi.
- Vuoi che ti racconti una storia? - mi domandò.
Annuì lentamente sperando che almeno una delle avventure che di solito mi raccontava papà mi avrebbe tiara su di morale e fatto dimenticare quella scena.

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Capitolo 2
*** Osservazione ***


Osservazione


Erano passati venti giorni dall'ultima volta che un sole del genere aveva illuminato la città. Jason camminava silenziosamente, zaino sulle spalle e sguardo fisso sulla palla infuocata davanti ai suoi occhi. La gente non lo notava neanche, mingherlino com'era.
Sentì una voce che lo chiamava. Non si voltò a vedere a chi appartenesse la voce acuta e fastidiosa. Maethra cercava di corrergli incontro schivando le persone che volevano raggiungere la metropolitana in fretta per tornare a casa o iniziare turni di lavoro serali e notturni.
- Jason! Jason fermati! -
Il ragazzo si sentì tirare dalla cartella. Si voltò svogliatamente e finse di sorridere.
- Maethra... Non ti avevo sentita arrivare. - Le diede un lieve bacio sulle labbra.
Aveva passato ore ad osservarla e a scrutare ogni suo gesto, ma ora era diventata una ragazza prevedibile. Quando pioveva usava l'ombrello e temeva per i suoi capelli. Quando c'era il sole usava la crema solare per evitare che la sua pelle si seccasse. Era solita arricciarsi una ciocca di capelli chiari attorno al dito quando voleva fare la smorfiosa e quando era concentrata mordicchiava qualunque cosa storcendo il naso verso sinistra e guardava in alto con quegli occhi grigi, che spesso Jason aveva considerato profondi.
Ora era un libro aperto. Non aveva segreti.
- Ti ho chiamato dall'inizio della via - disse prendendolo per mano e trascinandolo verso il marciapiede di fronte alla scuola.
- Ero sovrappensiero. Ha piovuto per venti giorni e ora finalmente... -
Con aria sognante i ragazzo si passò una mano nei capelli a spazzola osservando il cielo che oramai si tingeva di rosa. Poi gli venne in mente il motivo per il quale si trovavano li. O meglio. Gli venne in mente di chiedere il motivo della loro presenza in quel posto.
- A proposito. Come mai mi hai chiesto di venire in questo posto a quest'ora. Non potevamo vederci domani alla solita ora? -
La ragazza scosse la testa. La folta chioma bionda si mosse con tutta la testa. Gli mise un dito sulla bocca e stringendogli la mano lo portò nel vicolo dietro alla scuola.
La piccola strada senza uscita era marciscente, cassettoni dell'immondizia disseminati ai lati e in fondo un alto muro di mattoni. Non ne esistevano più molti di questi muri nella grande città. Maethra estrasse un foglio di carta. Era vecchio e consunto. Lesse sottovoce il testo e seguì un disegno toccando con il dito mignolo alcuni mattoni sul muro.
Non successe nulla.
- Allora? - domandò spazientito il ragazzo.
- Non capisco. L'altro giorno aveva funzionato. Si era aperto il varco. Ero arrivata in un posto... -
Jason non la lasciò finire di parlare. Si girò e si avviò verso l'uscita del vicolo.
- La prossima volta vedi di essere sicura prima di disturbarmi per vedere un muro in un vicolo ricoperto di muschi e con topi che sgattaiolano dappertutto. -
Non l'avrebbe voluta ferire ma non poteva fare a meno di pensare che Maethra si stava inventando di tutto pur di restare insieme a lui. Come se toccare un paio di mattoni potesse fare la differenza.
I passi della ragazza dietro di lui si fecero più lontani. Si fermò di colpo e si girò.
- Scusami... Speravo che avrebbe funzionato. - Maethra guardava per terra e non osava osservare il viso del suo compagno.
- Sei tu che devi scusare me. Ho esagerato. Magari domani funzionerà. -
Le accarezzò il viso e le schioccò un bacio sulla guancia. “A domani.”

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Capitolo 3
*** Sekure ***


Sekure


Il venticello freddo mi solleticava i piedi. Riaprii gli occhi cercando di capire dove fossi. Il petto di papà si alzava e si abbassava lentamente. Gli occhi chiusi e la bocca aperta.
Ci eravamo riaddormentati entrambi.
Saltai giù dalla sedia e andai in camera. Il legno scricchiolava ma non era importante.
Sapevo che mia madre era sveglia. Infatti la vidi spazzolarsi i capelli davanti al piccolo specchio in camera.
- Mamma... - sbirciai nella stanza. L'odore di coperte calde mi invase. Lo chiusi tutto dentro di me cercando di non cacciarlo più fuori.
Mi fissò con gli occhi verdi come il mare. Assolutamente gelidi.
- Buongiorno Lihiniste. - disse sorridendo.

Papà mi aveva raccontato spesso la storia dalla quale derivava il nome della mamma.

“Sekure, abitava nella desolata e desertica terra di Natribia. Esatto. La stessa Natribia dove viviamo noi adesso. Solo che all'epoca di Sekure, questa terra non era rigogliosa come la conosciamo noi adesso e sopratutto gli abitanti della valle erano tutti guerreri e combattenti valorosi, non semplici contadini e allevatori.
Anche Sekure, nonostante fosse una donna, era una guerriera.
In quel tempo governava su Natribia un principe di nome Ohrat. Era un bell'uomo non c'è che dire, ma era malvagio e si diceva che appendesse le teste dei suoi oppositori politici alla parete sopra al letto.
La ragazza provava dentro di se strane sensazioni. Sapeva che doveva essere lei a salvare la terra da Ohrat.
Una sera, sul far del tramonto, si recò dall'oracolo a chiedere una predizione sul suo futuro.
Salmer cominciò a balbettare delle formule magiche muovendo le mani. Poi cadde in trance e cominciò a recitare la profezia.
« Gli ghermirai il cuore utilizzando le tue capacità. Non di spada il suo cuore verrà ucciso. »
Sekure non capì in principio il significato di queste parole, ma si recò ugualmente al castello.
Questo sorgeva sulla cima della collina, poco distante dal mercato cittadino. Era il fulcro di tutte le attività organizzative del paese. Le notizie entravano ma nulla ne usciva. I segreti di stato erano profondi. Solo le persone più vicine a Ohrat avevano il permesso di conoscere le informazioni riservate.
La ragazza domandò udienza al principe. Le guardie le risero in faccia.
« Tu? Mocciosa che non sei altro credi di poter parlare con il sovrano? Torna a scavare la tua fossa! » la insultarono.
Da sotto il vestito, agile come una leonessa, estrasse la spada e tranciò di netto le teste dei due che le ostruivano il passaggio. “Così la prossima volta mi farete passare subito.” pensò sputando sui cadaveri.
Percorse velocemente il grande salone. Nascondendosi dietro alle colonne decorate riuscì a scampare dalle guardie.
Raggiunse la sala del trono e vi entrò, nascondendo la spada sotto al vestito. I lunghi capelli rossi le frusciavano contro il vestito e le scarpe sul pavimento di marmo creavano un rilassante ticchettio.
Ohrat alla vista della fanciulla, se ne innamorò. Ovviamente Sekure non aveva nessunissima intenzione di sposarsi con lui. Lo rifiutò più e più volte.
Il principe preso dalla disperazione si suicidò. La ragazza capì le parole di Salmer.
Il popolo la elesse regina e il regno di Natribia diventò quello che noi conosciamo.”


Ecco, il finale lo accorciava sempre perché era regolarmente troppo tardi e la nostra Sekure si sarebbe arrabbiata. Per questo non conosco la versione intera della storia.
Ora era seduta, mentre si spazzolava i capelli e aspettava che le chiedessi se veniva a preparare la colazione.
Io ho un po' di fame. - sussurrai arrossendo.
Si alzò e mi diede un lieve bacio sulla guancia. Mi scompigliò i capelli e dolcemente mi disse: - Vatti a vestire. La colazione arriva subito. Intanto sveglio papà. -

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