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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo *** Capitolo 2: *** La nemesi naturale [parte prima] *** Capitolo 3: *** La nemesi naturale [parte seconda] *** Capitolo 4: *** Unica *** Capitolo 5: *** Un dolore vissuto con amore *** Capitolo 6: *** Il Quidditch, che passione! *** Capitolo 7: *** Quello che tu vuoi darmi *** Capitolo 8: *** Unicorni, scimpanzé e piovre giganti *** Capitolo 9: *** Tra il prima e il poi [Parte Prima] *** Capitolo 10: *** Tra il prima e il poi [Parte Seconda] *** Capitolo 11: *** Strappi *** Capitolo 12: *** Oltre il vero *** Capitolo 13: *** Il massacro di San Valentino ***
Vi starete chiedendo cosa diavolo stia facendo,
vero?
Beh, avete ragione: io stessa non mi sento in condizione di portare avanti due
storie contemporaneamente, sebbene questa sia esattamente la situazione.
La questione è che volevo assolutamente pubblicare
l’inizio di questa storia prima dell’uscita del sesto libro di Harry Potter,
perché sono il tipo che riscriverebbe tutto quanto se solo venissero fuori
nuovi particolari e con tutta la fatica che ho fatto per ideare un filone che
mi suonasse convincente per il pairing Draco/Hermione… beh, mi suonerebbe
terribilmente mortificante rifarlo tutto da capo.
Ok, detto questo non penso che ci sia molto altro da dire, no?
A parte ribadire i diritti d’autore di J.K. Rowling
e precisare che – come sicuramente tutti voi avrete capito – questo è il mio
tributo per la mia coppia preferita in assoluto, perciò è meglio disilludere
immediatamente gli appassionati di Harry/Hermione e Ron/Hermione, perché questa
è una Draco/Hermione. Ah! E poi volevo dire che dedico questa storia a Laura: ti voglio tanto tanto bene, marò! (E tu sai che vuol dire^^)
E con questo, buona lettura.
By Silverwings
The Draco and Hermione’s Opera
1° capitolo.
Prologo
*** *** ***
We
were strangers
Starting out on a journey
Never dreaming
What we'd have to go through
Now here we are
And I'm suddenly standing
At the beginning with you
Eravamo sconosciuti
che cominciavano un viaggio
che non sognavano mai
che cosa avrebbero vissuto
Ora noi siamo qui
E io sto improvvisamente
all'inizio con te
(At the beginning - Richard Marx and Donna Lewis)
*** *** ***
9
Novembre. Pomeriggio. Ore 17.07
Hogwarts.
Campo di Quidditch.
« Draco! Draco, il professor Piton ti sta cercando! »
Una voce corpulenta e pastosa che gli giungeva da
lontano. Un richiamo fastidioso e monotono che lo assillava continuamente. Una
figura grottesca e ingombrante che si avvicinava a grandi passi, facendo
tremare il terreno su cui era disteso. Socchiuse gli occhi, cercando di sgombrare
la mente.
Se lo faceva, poteva fingere che non stesse
arrivando, che non lo stesse cercando.
« Draco! »
Una faccia tonda e pasciuta lo sovrastò. I raggi
rassicuranti del sole smisero di accarezzargli il pallido viso e una smorfia di
stizza increspò la sua espressione. Ma non volle ancora aprire gli occhi:
voleva che l’illusione continuasse, che l’effimera quiete che sembrava regnare
nella sua vita in quell’istante durasse ancora per un po’. O almeno avrebbe
voluto, ma la voce ripeté il suo richiamo e il mento paffuto di colui che aveva
parlato vibrò per un paio di istanti. Tra le ciglia semichiuse ne notò il
profilo tremolante.
« Draco, il professor Piton ti… »
« Ho capito, Goyle! » Lo interruppe spalancando le palpebre e
fissandolo con un’espressione scocciata. « Non sono sordo. »
« Oh… » Rise stupidamente l’altro. « … certo! »
Che seccatura…
Si sollevò dal prato del campo di Quidditch e si
diede un paio di pacche sui pantaloni per togliersi i fili d’erba che vi erano
rimasti attaccati. Si risistemò il mantello sulle spalle e si passò una mano
tra gli slavati capelli biondi. Erano cresciuti un po’ troppo nell’ultimo
periodo: gli ricadevano sugli occhi e ci mancava davvero poco perché glieli
coprissero.
Fissò per un attimo il ragazzo che aveva di
fianco, contrariato, e si chiese che fine avesse fatto Tiger: abitualmente la
loro vita si consumava in simbiosi. Era estremamente inusuale scorgere l’uno
senza l’altro. Poi ricordò che il ragazzo aveva fatto indigestione di dolci ed
era ancora costretto a letto da lancinanti dolori di stomaco, per non dire da
improvvisi attacchi di diarrea. Se Goyle non aveva fatto la stessa fine lo
doveva solo alla professoressa McGranitt. Questa non aveva gradito il boccale
di burro birra che le aveva rovesciato addosso per sbaglio, nel corridoio, e a
quanto ne sapeva, proprio per questo disdicevole incidente, la strega l’aveva
affidato alla severa tutela di Gazza, che gli aveva proibito di mangiare dolci.
Una vera fortuna per il suo intestino.
« Piton ha detto che deve parlarti. » Dichiarò il compagno con
gli occhietti piccoli e sciocchi che gli sorridevano con semplicità.
« Ah sì? » Replicò sarcasticamente. « Pensavo volesse
offrirmi una tazza di te… »
Il compagno rise ancora, stupidamente, e lui
subito si spazientì: perché doveva sempre avere a che fare con idioti e
imbecilli! Affrettò il passo, nel tentativo di seminarlo con facilità. Tuttavia
anche Goyle accelerò. Ma fu uno sforzo immane per il suo ingombrante e flaccido
fisico, e dopo pochissimi attimi lo udì distintamente ansare. Probabilmente o
avrebbe rinunciato a stargli dietro, o il suo cuore gli avrebbe tirato un
brutto scherzo fermandosi di colpo.
Per parte sua Draco fece finta di niente: se aveva
accelerato l’aveva fatto esattamente per disfarsi della sua fastidiosa
presenza.Senza contare che un
bell’infarto avrebbe messo Goyle fuori gioco per diversi giorni. Cosa per
niente spiacevole.
Tuttavia, a dispetto di quanto piacevole potesse
apparirgli quel pensiero e di quanto strenuamente si fosse impegnato per
lasciare indietro l’ingombrante guardia del corpo, quando entrò nel perimetro
del cortile interno di Hogwarts Goyle era ancora al suo seguito. Solo qualche
metro più indietro rispetto a prima e con il viso gonfio e rosso dallo sforzo.
Si arrese sospirando. E per chi l’avesse visto, in
quel momento sembrava la noia fatta persona.
Completamente immerso nei propri pensieri non si
accorse che un gruppo di ragazzi si avvicinava dalla direzione verso cui si
stava incamminando e inavvertitamente si scontrò con uno di essi. Alzò il viso
per vedere chi fosse. Notò con profondo disgusto che davanti a sé stava
quell’emerita nullità di Neville Paciock. Grifondoro dal primo all’ultimo
grammo. Fornito di abbastanza grammi da infiammarlo in un istante.
Non che il fatto che fosse Grifondoro fosse il
motivo principale della sua stizza. Di certo, comunque, era uno dei maggiori.
« Guarda dove vai, idiota! » Sbottò secco, scoccandogli uno
sguardo indignato e screziato di disprezzo.
« M-mi dispiace… » Si scusò Neville piano, arretrando di un
paio di passi.
« Non devi scusarti, Neville! » Si intromise Seamus Finnegan,
fiancheggiando il compagno e fissando il Serpeverde con un’aria di sfida
« E’ stato lui a venirti addosso: è lui che si dovrebbe scusare con
te! »
« Io dovrei… cosa? » Sibilò freddamente Draco,
scoccandogli uno sguardo di superiorità.
« Hai capito benissimo, Malfoy. » Replicò Dean Thomas, sbucato
dal nulla per sostenere stoicamente i due amici. « Chiedi scusa a
Neville! »
« Sogna, Thomas. » Grugnì con arroganza Draco, mentre Goyle
gli si accostava con i piccoli occhietti maligni ridotti a due sottili fessure.
« N-non importa ragazzi… » Balbettò Neville tirando
febbrilmente una delle maniche della divisa di Seamus. « Lasciate stare… »
« Stai scherzando?! » Ringhiò Seamus tra i denti. « Non
può sempre passarla liscia: deve chiederti scusa! »
« Vi conviene dare ascolto a Paciock. » Suggerì Draco con voce
molle e malevola. « Anche se ha i genitori suonati certe volte dice cose
quasi sensate. »
Vide pericolosamente vacillare il corpo massiccio
di Neville.
Temette, quasi, che da un momento all’altro si
sarebbe schiantato al suolo. Il che naturalmente non costituiva un problema per
lui: se voleva spaccarsi quel muso lentigginoso che si ritrovava poteva farlo
con tranquillità. Non l’avrebbe certo fermato. Ma preferiva che lo facesse a
qualche metro di distanza da lui: questioni di sicurezza.
Ad ogni modo Neville non crollò. Si limitò
semplicemente a fissarlo con gli occhi turbati e umiliati. Allibito, forse. La
bocca sottile si incrinò in una smorfia sfacciata.
Il bello è che dicono che l’ipersensibilità
è femmina.
« Cosa sta succedendo qui? »
Si girarono alla loro destra, richiamati dalla
voce autorevole che aveva parlato. Scoprirono Severus Piton che li sovrastava
minacciosamente, con lo sguardo fosco che li fissava biecamente.
Tirò un sospiro di sollievo nel vederlo. Se fosse
sopraggiunto un altro professore probabilmente le cose non sarebbero andate
tanto bene per lui.
« Malfoy
ha insultato i genitori di Neville! » Lo accusò Dean digrignando i denti e
puntandogli il dito contro il petto.
Fu sicuro di vedere un lampo di disapprovazione
saettare nella sua direzione dagli occhi di Piton e ne fu per un attimo
sorpreso: quell’uomo era sempre stato dalla sua parte. E di cazzate lui ne
aveva fatte. Anche più di quante uno studente della sua età potesse mediamente
permettersi. Il più delle volte, addirittura, era stato proprio l’appoggio di
Piton a coprirlo. Per questo quel suo biasimevole disappunto non riusciva
proprio a spiegarselo.
« Sono certo che il Signor Malfoy non aveva queste
intenzioni. » Dichiarò ad un tratto l’uomo appena sopraggiunto, sminuendo
volutamente la cosa.
Evidentemente, che fosse o non fosse dalla sua
parte, Piton non sarebbe comunque mai stato dalla parte di un Grifondoro.
« Aveva eccome queste intenzioni! » Tuonò Seamus sbarrando gli
occhi scandalizzato.
« Abbassi quel tono, Signor Finnigan! » Lo zittì inflessibile
Piton. « Se persisterà ad utilizzarlo in mia presenza sarò costretto a
togliere punti alla sua casa. »
« Non ha intenzione di punirlo? » Ringhiò Dean fuori di sé.
« 10 punti in meno a Grifondoro… » Sentenziò il professore
senza cambiare espressione.
« E’ assurdo! » Sbottò Seamus picchiando un piede in terra.
« 20 punti in meno… » Proseguì perentorio Piton.
« Lei non può farlo! » Urlò senza ritegno Dean, attirando
sulla scena l’attenzione di molti studenti che passavano occasionalmente in
quel corridoio.
« 30 punti in meno, Signor Thomas… » Soggiunse tranquillamente
il professore. « Avete altre obiezioni da rivolgermi? »
« Sì! » Vociò Seamus, incapace di trattenersi oltre.
« Lei è un… »
Ma nessuno seppe mai cosa fosse Piton, perché
fortunatamente Neville gli tappò la bocca in tempo, parlando al suo
posto:
« No, non abbiamo altre obiezioni. »
« Saggia decisione, Signor Paciock. » Disse il professore
scrutando Seamus con occhi taglienti.
Neville accennò un debole gesto di assenso col
capo e senza aspettare che i due amici potessero complicare ulteriormente le
cose li afferrò per le spalle e li trascinò via. Piton li osservò allontanarsi
con uno sguardo indecifrabile, e solo dopo che furono scomparsi dalla sua vista
e che con un occhiata spaventosa ebbe fatto desistere i curiosi ad attardarsi
per quella via, si volse verso Draco.
« Credo che io e lei abbiamo molte cose da dirci. » Affermò
scrutandolo torvamente. « Sarebbe così gentile da seguirmi nel mio
studio? » Indugiò un attimo su Goyle, che gongolava lì vicino, e aggiunse:
« Solo, se non le dispiace. »
« …
Certo. » Rispose Draco inespressivo.
E detto questo lasciò indietro il compagno e andò
dietro al professore.
Giunsero nello studio di Piton dopo pochi minuti.
Era uno stanzino piccolo e maleodorante, ma a lui
era sempre parso confortevole, in qualche modo. Gli piaceva, in poche parole.
Come gli era sempre piaciuto Piton: la sua figura era talmente lugubre e
grottesca da incupire l’atmosfera circostante e questo era decisamente in linea
con lo stile che contraddistingueva anche lui, almeno per quanto riguardava
l’intensità dell’effetto che provocava negli altri la sua presenza. Eppure
quella volta il sinistro silenzio che era sceso non appena vi avevano messo
piede aveva reso quello studio un luogo che gli incuteva soggezione.
Si sentiva a disagio ed era una sensazione che non
gli piaceva affatto.
« Siedi pure, Draco. » Lo sollecitò il professore dopo aver
preso posto dietro la sua scrivania di legno di pino.
L’aveva chiamato per nome: brutto segno.
Prese posto sulla sedia indicatagli dalla mano del
professore e attese che questi parlasse. Ma sembrava che Piton non ne avesse
alcuna intenzione. Si limitava ad armeggiare con un ampolla piena di uno strano
liquido giallognolo, fissandolo con uno sguardo indecifrabile. Gli occhi scuri
puntati sui suoi.
« E’ vero che hai insultato i genitori di Paciock? » Chiese
infine a bruciapelo, deponendo la boccetta.
« Sì. » Rispose evasivo, inarcando un sopracciglio con
diffidenza. Voleva fargli la paternale?
« Non voglio farti la paternale, Draco. » Lo tranquillizzò
subito l’uomo, decifrando la sua espressione con successo. Tirò un lungo
sospiro e continuò: « Non so come tu faccia a sapere dei suoi genitori,
anche se immagino, ma le cose non cambiano: qui, a scuola, nessuno né è al
corrente tranne le persone che Neville ha deciso di informare. Gli altri devono
rimanerne all’oscuro, altrimenti Silente prenderà seri provvedimenti. Gli sta
molto a cuore questa faccenda. Quindi, Draco, il mio consiglio è uno solo: non
tirare più in ballo questo argomento. »
« L’avevo capito anche da me. » Replicò scocciato il ragazzo.
Forse avrebbe preferito una bella paternale sul senso di responsabilità! E poi
non era mica colpa sua se Paciock aveva la sensibilità di una suora di
clausura. « Non ci ho pensato, tutto qui. Ad ogni non mi sembra una
tragedia. »
« No… » Ribatté caustico Piton, scrutando con fastidio
l’espressione sfacciata di Draco. « … immagino che non lo sia. »
« Erano solo queste le cose che aveva da dirmi? » Soggiunse
seccato il ragazzo per colmare il silenzio venutosi a creare e per riportare la
conversazione su toni meno accesi.
« No. » Affermò Piton sostenuto, ritornando a dargli del
“lei”.« Il motivo originario per
cui l’ho fatta chiamare è che i suoi primi voti di pozioni sono paragonabili ad
una T nella scala delle valutazioni per i M.A.G.O. »
Forse si era sbagliato: i toni della conversazione
si stavano decisamente infiammando.
« Ora… » Proseguì il professore con durezza. « Il settimo
è un anno difficile. Se non riesce a mettersi in pari e a recuperare le
insufficienze potrebbe venir bocciato in pozioni. »
B-bocciato?!
Possibile che avesse voti tanto irrecuperabili?
Forse sì. Non aveva dato molto peso alla sua
carriera scolastica quell’anno. Inoltre Piton non era il tipo da allarmarlo per
niente. Se diceva che rischiava la bocciatura così certamente era e, per dirla
tutta, l’idea lo annientava.
« Ma… » Aggiunse subito Piton mentre un lampo di orgoglio gli
attraversava lo sguardo truce. « … come ho già ripetuto più volte la
ritengo un ragazzo intelligente e sono sicuro che si rimetterà in carreggiata
stupendomi con le sue doti. »
« Mi impegnerò a dovere. » Promise Draco con un moto di
gratitudine verso tanto indulgenza. « Può starne certo! »
« Ne sono già più che convinto. »
Replicò fermamente il professore. « Ma per tutelare un tale investimento
ho deciso di assegnarle un aiuto per lo studio. »
Esitò un attimo,
stranito e istintivamente contrariato, prima di replicare:
« … perché? » Non gli piaceva quella proposta che suonava
tanto come una decisione irreversibile. Significava dipendere completamente dai
ritmi di un’altra persona. Una persona che poteva pericolosamente essere Pensy
Parkinson: non se la cavava male in Pozioni. Rabbrividì a quel pensiero. Era
già abbastanza faticoso scollarsela di dosso senza che qualcuno le assegnasse
una ragione per farlo. Si affrettò a precisare: « Posso riuscire a
ottenere da solo risultati decenti nei prossimi compiti. »
« Dice? » Domandò Piton con crudo
scetticismo. Estrasse da uno dei cassetti della propria scrivania un pacco di
fogli rilegati, che si lasciò rumorosamente cadere davanti. Cominciò a
sfogliarli. « Significa che intende riuscirci pur sapendo che i prossimi
argomenti si basano esclusivamente sulle ultime pozioni fatte l’anno
scorso? »
Cercò immediatamente di
fare mente locale su quali fossero: se fosse riuscito a ricordarsi un solo nome
di quelle pozioni sarebbe già stato un gran bel passo in avanti.
« Ehm…
sì. » Affermò comunque Draco cercando di darsi un tono e di apparire il
più convincente possibile. « Non vedo perché non dovrei. »
« Se vuole glielo spiego io perché non dovrebbe. » Lo raggelò
Piton caustico, continuando a sfogliare meccanicamente i fogli che aveva tra le
mani. « Pozione restringente le dice niente? » Perse una tonalità di
colore dal viso. « E infuso contro le pustole da Pus di Bubotubero? »
Un’altra tonalità se ne partì per la tangente. « E del Veritaserum, Signor
Malfoy? » Continuò Piton imperterrito. « Del Veritaserum se ne
rammenta? » Il viso divenne infine latteo. Ma un latteo rancido, perché
evidenti venature verdastre si notavano proprio sotto gli occhi.
Si ricordava di tutte quelle pozioni, ora che
gliele nominava, ma semplicemente perchè non le aveva mai fatte! Si era
saltato i compiti ed era riuscito a strappare la concessione a Piton di non
farglieli recuperare con non ricordava quale stratagemma.
« Deve sapere che, essendo quegli argomenti estremamente
importanti, ho deciso di riproporli anche quest’anno. Anche considerato che
solo in due o tre persone in tutta la scuola erano riusciti a svolgerle
correttamente… e purtroppo temo che questa volta non potrò chiudere un occhio.
Neanche per lei. »
Merda.
Era nello sterco di Troll fino al collo.
« Pensa ancora di riuscire a prendere la sufficienza da
solo? » Domandò asciutto Piton, inarcando entrambe le sopracciglia.
Non disse niente: era un po’ troppo umiliante come
domanda. E la risposta sarebbe stata troppo compromettente. Ad ogni modo decise
di degnarlo di un leggero movimento negativo del capo. E Piton era una persona
con un certo amor proprio, cosa che gli permise di accettare quel gesto come
simbolo di massima reverenza nei suoi confronti.
« Bene. » Esclamò quindi il
professore. « In tal caso immagino che adesso dovrà semplicemente
concordare un orario di ritrovo con la Signorina Granger. »”
Quel cognome gli
rimbombò nella sua testa almeno una decina di volte prima di riuscire a
realizzarlo.
« G-Granger? » Balbettò ancora
stordito. « Hermione Granger? »
« Esattamente. » Rispose Piton
ormai svogliatamente.
« Ma… ma… perché proprio Hermione Granger? » Domandò
Draco scandalizzato. Non era possibile! Non era semplicemente possibile! « Perché proprio… lei?
Io… io mi oppongo! Voglio un Serpeverde! »
« Comprendo il motivo della sua indignazione, Signor Malfoy. »
Replicò epigrafico il professore. « Ma deve capire che non è colpa mia se
anche i pochi Serpeverde che hanno la sufficienza in Pozioni sono persone che
non ritengo sufficientemente dotate da sostenere una responsabilità di tal
fatta. »
« Allora un Corvonero! » Si ostinò il ragazzo, fermamente
deciso a far valere le sue proteste. « O un Tassorosso! Oppure… »
« Signor
Malfoy! » Lo interruppe il professore perentoriamente. « Non piace
neanche a me l’idea di metterla nelle mani di una Grifondoro… »
L'evidente disprezzo con cui marcò l’ultima parola rese perfettamente l’idea di
quanto gli dispiacesse. « … tuttavia Hermione Granger è uno studente
brillante e, purtroppo per lei, l’unico disponibile. »
« Ma… »
« Basta! » Lo zittì Piton con il
tono di uno che considera chiusa la questione. « Non ho più tempo di
ascoltare le sue contestazioni: sono pieno di lavoro! Quindi la pregherei di
uscire dal mio ufficio. Buona Giornata, Signor Malfoy! »
E senza neanche rendersene conto Draco si ritrovò
fuori dalla porta, impietrito.
Riuscì a muoversi solo dopo diversi minuti e in
uno stato di profondo shock risalì lentamente la scalinata che aveva davanti.
Non poteva ancora crederci! Lui, Draco Malfoy, avrebbe dovuto prendere lezioni
da Hermione Granger! Non l’aveva neanche presa in considerazione come
possibilità: era assurdo! Inammissibile!
C’era da chiedersi come entrambi avevano potuto
lasciare che accadesse. Invece lui fu costretto a chiedersi dove avrebbe potuto
trovarla: la parola di Piton era sempre e solo una sola e lui, suo malgrado,
non poteva permettersi di perdere la sufficienza in pozioni. Scartò a priori
l’ipotesi che fosse in Sala Grande e si rifiutò di pensare che fosse in quella
topaia che i Grifondoro chiamavano “Sala Comune”. Liquidò anche l’idea che
fosse andata da quell’imbecille di un Mezzogigante, il guardiacaccia. Senza
ombra di dubbio c’era un solo luogo dove poteva trovarsi: la Biblioteca. Ci
poteva scommettere tutti i galeoni di suo padre!
Salì i molti gradini di pietra che lo separavano
dalla sala in questione. Aprì la porta e vi entrò. C’erano molti reparti e
molti studenti del settimo anno, ma lui andò a colpo sicuro: quella ragazza era
così abitudinaria che si sedeva alla solita panca muffita tutti i giorni.
Infatti, eccola lì! Sommersa da una montagna
invalicabile di libri e manuali delle più assurde materie. China su un foglio
di pergamena che stava riempiendo di una fitta miriade di parole
incomprensibili. Con i voluminosi capelli crespi illuminati dalle ultime luci
del giorno. Lo sguardo assorto. La fronte corrugata dalla concentrazione.
Era senza ombra di dubbio Hermione Granger.
« Mettiamo subito in chiaro che io non prenderò mai ordini
da te. » Esordì bruscamente mentre le si avvicinava.
Hermione alzò gli occhi dalla pergamena solamente
per rivolgergli uno sguardo disinteressato, dopodiché riprese a scrivere e.
come se lui non avesse detto nulla, domandò:
« Quando hai intenzione di iniziare a
studiare pozioni con me? »
« Quando ne avrò voglia! » Le
rinfacciò acido. La sua noncuranza gli faceva saltare i nervi come solo poche
altre cose ancora: era come se si prendesse gioco di lui!
E odiava che
qualcuno si prendesse gioco di lui.
« E quando ne avrai voglia? »
Fece calma la ragazza, intingendo nel calamaio la punta della propria piuma.
« Non lo so. » Rispose spiccio
Draco. « Comunque smetti di fare quello che stai facendo: mi da
fastidio. »
« Smetterò quando avrò finito. »
Replicò brevemente Hermione.
Come diavolo si
permette?
Quella non era giornata.
E lei era così insopportabile! Si stravaccò pesantemente sulla panca opposta a
quella di lei. Scansò scocciato i libri che gli impedivano di guardarla negli
occhi e picchiando una mano sul tavolo affermò:
« Non ho intenzione di stare qui ad
aspettare i tuoi comodi, Mezzosangue! »
Hermione decise di non
rispondere, soprassedendo sull’epiteto rivoltole. Si limitò a sospirare malcelando
la noia, ignorando la sua persuasiva asserzione.
Non poteva sopportarlo!
Il suo era un atteggiamento imperdonabile!
« Cos’è? Hai perso la lingua,
Granger? » Inveì soffiando tra i denti con fastidio. « O forse non
hai sentito? In questo caso te lo ripeto: smetti immediatamente di fare quello
che stai facendo. »
« Modera i termini, Malfoy. »
Ribatté leggermente più acida lei, istigata dal tono prepotente con cui il
ragazzo aveva parlato.
« Altrimenti? » La provocò Draco
con un’aria strafottente.
« Senti… » Sospirò Hermione
stancamente. « … puoi dire quello che vuoi. Tanto per me non fa nessuna
differenza: non ho intenzione di interrompermi per dar retta a un idiota come
te. »
« Non darmi dell’idiota! » Ruggì
Draco con astio.
« E tu evita di indurmi a
farlo. » Gli rinfacciò di rimando la ragazza, senza però perdere il
controllo e lasciare che la voce si sollevasse anche solo di una nota.
La fissò indignato per qualche attimo, con la
bocca semi-aperta e gli occhi ridotti a sottili fessure. Avrebbe ucciso quella
ragazzina con le proprie mani, un giorno! Le avrebbe fatto rimangiare tutta
quell’arroganza! Doveva convincersene per reprimere il desiderio di estrarre la
bacchetta e ridurla a brandelli!
Per contro Hermione lo spiazzò, chiedendogli a
brucia pelo di tutt’altro argomento:
« Hai insultato i genitori di Neville? »
« Non avevi detto che non mi avresti dato retta?! » La
apostrofò aspramente Draco, incrociando le braccia sul petto e inarcando un
sopracciglia seccato.
« Infatti non ti sto dando retta. » Puntualizzò Hermione
prontamente. « Ti sto solo facendo una domanda. »
« A
cui non intendo rispondere! » Grugnì astiosamente il ragazzo, rivolgendole
uno sguardo infuocato. Adesso si metteva pure a fare la pignola!
« Va bene. » Concordò tranquillamente lei, ritornando a
scrivere. « Fa’ come vuoi! »
Calò uno scomodo silenzio.
Era fastidioso. Molto fastidioso. Tremendamente
fastidioso. Tanto che Draco fu disposto a smuoversi dalla sua posizione nel
giro di pochissimi attimi pur di spezzarlo, e domandò stizzito:
« E’
andato a dirlo in giro a Paciock? » Se fosse stato così, infondo, voleva
dire che non ci era rimasto poi così male per quello che aveva detto.
« No, me lo ha detto Dean un paio di
minuti prima che tu arrivassi. » Fece Hermione senza infierire sulla
disdicevole mancanza di fermezza da lui dimostrata, cercando invece nuovamente
i suoi occhi e constatando imperturbabilmente: « Allora lo hai
fatto. »
« Non sono affari tuoi. » Serrò la mascella Draco, infastidito
e sdegnato.
« E
invece erano tuoi? » Ribatté tagliente Hermione.
« Sì può sapere che diavolo vuoi?! »
« Niente. » Rispose piattamente lei. « Volevo solo sapere
se era vero che avevi detto una cosa così stupida e offensiva, perché malgrado
tutto non ti facevo capace di tanto. » L’espressione si fece più arcigna.
« Sebbene tu non ti sia mai adoperato per far credere il contrario. »
Draco la incenerì con uno sguardo furente. Come si
permetteva di incolparlo in quella maniera? Se anche era vero quello che aveva
detto, lei comunque non doveva permettersi di rinfacciarglielo con quel tono
accusatorio. Aveva insultato i genitori di Paciock, dannazione! Non aveva
ammazzato nessuno!
« Dovresti cominciare a crescere, Malfoy. » Concluse dura
Hermione, ignorando completamente l’occhiata incandescente che le aveva
lanciato il ragazzo e che seguitò a rivolgerle dopo quell’ultima sua uscita.
Dovrei cominciare a fare cosa?! Ma brutta
arrogante, spocchiosa e sputa-sentenze!
« E
magari anche imparare a stare zitto ogni tanto. »
Che cosa?!
« Specie su cose che uno come te non potrebbe mai capire. »
Adesso basta!
« In fin dei conti non ti smentisci mai. »
« Questo è troppo! » Strillò Draco alzandosi dalla panca di
scatto e lanciandole uno sguardo omicida. « Non intendo sopportare te e le
tue stupide parole un minuto di più! »
Detto questo girò i tacchi e se ne andò.
Trattenne a stento tutte le isteriche imprecazione
che avrebbe voluto pronunciare e riversò la sua rabbia nei suoi passi. Li calcò
sul pavimento con una foga tale che poco ci mancò perché non vi lasciasse
un'impronta.
Dannazione quant’era odiosa!
Adesso si permetteva anche dirgli che doveva
fare?! Ma stavano scherzando?! E gli diceva pure che doveva tacere! Ma neanche
per idea! Neanche per sogno! E quella sua ultima uscita che gli aveva
dispensato, allora? Assolutamente inaccettabile! Avrebbe fatto meglio a
starsene zitto per quella faccenda di Paciock. Non tanto perché gliene fregasse
qualcosa di quella sottospecie di botte balbettante, quanto più perché sapeva
che avrebbe avuto delle rogne esattamente per quella ragione. E, dannazione, le
stava avendo!
Ma non le avrebbe tollerate pure da quella
presuntuosa e sfacciata ragazzina Mezzosangue!
No, decisamente. Erano solamente fatti suoi!
E sarebbe stato bene che lei se ne fosse ricordata
da lì in avanti!
*** *** ***
Sabato
9 Novembre. Ore 9.46.
Hogwarts.
Dormitorio femminile dei Grifondoro. Camera di Hermione
Si svegliò tardi quella mattina.
Era domenica, avrebbe potuto permetterselo, ma
aveva sempre avuto la sgradevole impressione che dormire le togliesse tempo per
vivere. Senza contare che, se non proprio per vivere, sicuramente gliene
toglieva per studiare. Il che era una prospettiva decisamente controproducente.
Ancora intontita scostò le rosse tendine del letto
e vi scese. Dal comodino di quercia agguantò distrattamente una grande spazzola
e se la passò tra i cespugliosi capelli castani. Fu atrocemente doloroso, ma
infondo ci era abituata, e – suopadre
glielo diceva sempre – l’abitudine rende sopportabili anche le cose dolorose.
A dire il vero, negli ultimi mesi aveva stentato a
crederci.
A quel punto, però, le era necessario per andare
avanti.
Scacciò quei pensieri dalla testa: aveva ben altri
problemi a cui pensare, in quel momento. Primo tra tutti scegliere un abito
decente da mettere. Nei giorni della settimana il dover indossare la divisa le
risparmiava l’ardua e disdicevole decisione. Di domenica, invece, non poteva
proprio sottrarsi a quel supplizio. Il rituale prevedeva che la sua prima mossa
fosse aprire l’armadio, e già solo quello richiedeva una notevole presenza di
spirito e fermezza morale: non riusciva nemmeno a raccapezzarsi nell’enorme
matassa di vestiti che sua madre le aveva comprato.
La seconda mossa, invece, costituiva la scelta
vera e propria del capo di abbigliamento, e, neanche a dirlo, i suoi gusti in
quel campo erano decisamente pessimi. A riprova di ciò la camicia lillà e i
pantaloni di lino verde bottiglia che si ritrovò addosso. Era davvero
terrificante! Il paio di scarpe blu notte che si vide ai piedi, poi, davano un
tocco ancora più spaventoso a quel concentrato di accostamenti sbagliati.
Sospirò stancamente: ogni domenica, la stessa
storia.
Qualcuno bussò alla porta. Che fossero Lavanda e
Calì che avevano già finito di fare colazione? I loro letti erano vuoti, già
rifatti. Di solito non tornavano mai in camera prima di sera, ma potevano anche
aver dimenticato qualcosa. La voce che udì, tuttavia, smentì le sue supposizioni:
La porta d’ingresso si socchiuse e una testolina
rossa fece capolino nella stanza, salutandola allegramente.
« Buongiorno! »
« Buongiorno. » Ricambiò Hermione, rivolgendole un mezzo
sorriso. La domenica non era mai un buon giorno per lei. La
presenza di Ginny, del resto, sapeva renderlo quanto meno accettabile.
« Come mai da queste parti? » Le chiese una volta che questa ebbe
chiuso la porta dietro di sé.
« Beh, ho incontrato Calì e Lavanda,
poco fa, e mi hanno detto che quando sono scese per fare colazione stavi ancora
dormendo. » Spiegò Ginny gravitando con lo sguardo per la stanza. C’era un
disordine indecente, ma la ragazza sembrò non badarci: la Tana, effettivamente,
sapeva essere molto peggio. « Hanno detto che non volevano svegliarti
perché non sapevano se ti saresti arrabbiata. Però mi sono ricordata che una
volta mi hai detto che non ti piace dormire troppo, così sono venuta a svegliarti. »
A quell’affermazione gli occhi blu cobalto della rossa si fermarono sui suoi,
incerti e un po’ apprensivi. « Ho fatto male? »
« No. » La tranquillizzò Hermione allargando le labbra in un
vero sorriso. « Hai fatto benissimo. »
Il viso di Ginny si illuminò e subito le propose:
« Ti va di andare a fare colazione? »
« Stavo per chiedertelo io. » Ammise lei. « Ho una fame
che non hai idea! »
« Perfetto, allora andiamo! » Concluse la rossa ritornando
verso la porta d’ingresso.
La aprì e vi uscì. Hermione prese la bacchetta dal
cassetto più alto del comodino e poi la seguì. Una bella e sana colazione era
quello che le ci voleva!
« Allora, come va con Dean? » Chiese a Ginny sulle scale che
conducevano in Sala Grande.
« Meravigliosamente! » Esclamò la rossa con uno sguardo
sognante. « Ha detto che la prossima gita a Hogsmean mi accompagnerà in
giro per negozi acomprarmi qualsiasi
vestito io scelga. Sai, per la festa del diploma... »
« Non è un po' presto per preoccuparsene? » Domandò perplessa Hermione.
« Il diploma è tra sei mesi. »
« Assolutamente! » Saltò su la rossa, infervorata. « E’
meglio farle prima questo genere di cose. » Assunse un’espressione grave,
e continuò: « Ho sentito che Jennifer Thomson, l’anno scorso, si è ridotta
a Marzo a comprare il suo abito e non ha trovato niente che le
andasse. »
« Niente che le andasse, o niente che le andasse bene? »
Chiese Hermione con un’evidente nota di ilarità. « C’è una bella
differenza, Ginny. »
« Non c’è alcuna differenza. » La contraddisse asciutta
l’amica.
« Avrebbe potuto accontentarsi dei vestiti che c’erano. » Si
ostinò lei. Certe volte le ragazze della sua età erano così volitive! Insomma,
un vestito è solo un vestito, no? Con gli sbuffi o l’imbottitura, non era poi
così importante. E se anche stava male, con la propria carnagione non c’era
bisogno di cambiare vestito, o, ancor peggio, farsi un incantesimo per cambiare
carnagione – cosa che sembrava essere molto di moda da un paio d’anni.
Insomma, lei la vedeva così.
Ginny tuttavia sembrava non essere per niente
d’accordo, poiché severamente la riprese:
« Per andare al ballo del diploma non puoi accontentarti di un vestito qualunque. Deve starti bene. »
« Io proprio non ti capisco. » Confessò Hermione scuotendo il
capo.
Aveva rinunciato da tempo a capire ragazze come
Lavanda e Calì: troppo complicato. Sebbene avessero la sua stessa età e
convivesse con loro da sei anni, sapeva ciò che avrebbe ottenuto non sarebbe
valso neanche un decimo dello sforzo. Con Ginny invece aveva creduto che
sarebbe stato diverso. Infondo era l’unica figlia femmina tra sei figli maschi
e, per questo e per molto altro, in parte diverso lo era davvero. Ciononostante
l'impresa restava comunque ardua.
« E’ perché non hai ancora un ragazzo. » Commentò con
convinzione Ginny. « Quando ce l’avrai mi capirai. »
« Mi sa che non ti capirò tanto
presto, allora… » Constatò con un tono divertito. Un ragazzo, questa si
che era bella!
« Oh, Hermione, perché dici questo? »
Le domandò apprensiva l’amica, mal interpretando il suo tono di voce.
« Tu… tu sei molto carina, Hermione. Davvero! Molto, molto carina. »
Soppresse una mezza risata divertita. Lo fece
perché Ginny avrebbe potuto scambiarla per un gesto di derisione. E così non
era. Affatto. Era così cara! Così dolce nel suo benevolo tentativo di
consolarla. Così premurosa nel mentirle. Era veramente un’amica preziosa.
Forse… l’unica amica preziosa.
Ciononostante non aveva ancora compreso le sue
priorità. A dirla tutta, anzi, temeva che non sarebbe mai riuscita a
comprenderle. Da quel punto di vista si poteva quasi dire che parlavano due
lingue differenti.
« Cambiamo argomento, Ginny, è meglio. » Disse Hermione con
gentilezza. Non c'era rischio di litigio, non con Ginny, ma non le piaceva
l'idea di proseguire un discorso in cui non c'era dialogo.
« Ma perché? » Obiettò apprensivamente la rossa.
« Infondo avere un ragazzo alla tua età sarebbe normale. Perché non vuoi
neanche parlarne? »
« Perché ho ben altro a cui pensare. » Spiegò senza troppi
giri di parole, mentre entravano nella Sala Grande, ormai semi vuota.
« Ma… »
« Ginny! » La interruppe Hermione con un pizzico di
insofferenza nella voce, sedendosi a notevole distanza da qualsiasi altro
studente. « Si tratta solo di trovarsi un ragazzo con cui sbaciucchiarsi
per i corridoi. Mi sembra di poterne fare a meno ancora per un po’! »
L’amica, mentre la emulava, sedendosi di fronte a
lei, corrugò la fronte, offesa, e puntualizzò:
« Io e Dean non ci limitiamo a sbaciucchiarci per i
corridoi! »
Hermione colse la palla al balzo: era un'ottima
occasione per sviare l'attenzione dell'amica dalla sua vita sentimentale.
Inarcò un sopracciglio, cercando di imprimergli un'evidente nota di
scetticismo, e con malizia le domandò:
« Intendi dire che non lo fate solo nei corridoi? »
Ginny divampò furiosamente e biascicò:
« N-no… »
« Allora forse intendevi che vi siete spinti oltre certi infantili
preliminari? » Continuò beffarda Hermione. Per essere sicuri del risultato
bisognava per forza rincarare la dose.
« Neanche! » Sbottò sempre più imbarazzata Ginny, sbarrando
gli occhi di fronte alle allusioni dell’amica e, nel frattempo, addentando
morbosamente un pezzo di pane.
« E allora cosa intendevi? » Insisté
la bruna spiccia, mentre si versava nella scodella un po’ di latte.
« Oh, insomma, Hermione! »
Strillò acutamente Ginny, sull’orlo di una crisi isterica. « Quando ti ci
metti sei anche peggio di Ron! »
Il suo cuore mancò di un battito.
Quel nome…
Il suo nome.
« … Ti prego… scusami… » Gemette
Ginny, le cui guance erano divenute di un colore livido e esangue e la cui voce
rotta la riportò bruscamente alla realtà. « … Io, non avrei dovuto…
scusami… »
Le parlava, e intanto si mordeva nervosamente il
labbro inferiore e si passava una mano tra i lisci capelli purpurei. Continuava
a scuotere il capo. Continuava a scusarsi sommessamente. Continuava a guardarla
con sempre crescente preoccupazione.
« Non preoccuparti, Ginny. » La
tranquillizzò dolcemente. « E’ tutto a posto. »
Riusciva a farlo molto in fretta da qualche
settimana a quella parte. Riprendere il pieno controllo di sé, e magari dire
quelle frasi che più che tranquillizzare gli altri tranquillizzavano se stessa.
Le bastavano pochi attimi e poi tornava come prima di aver ricordato. Prima di
aver pensato a loro. Pochi attimi e l’espressione smarrita, desolata,
quasi persa nel vuoto che si impadroniva del suo volto svaniva immediatamente.
Tre mesi prima le ci voleva molto di più. Forse anche un giorno intero. Ma lei
era il tipo di persona che si abitua in fretta alle circostante. Il tipo di
persona che vi si adegua.
O quanto meno che ci provava… anche se i risultati
ottenuti in fin dei conti non erano poi così soddisfacenti.
« No, io… sul serio, scusami. » Persisté l’amica, seguitando a
fissarla mortificata.
« Ti ho già detto che è tutto a
posto. » Ribadì Hermione, abbozzando un sorriso forzato. Quelli le
riuscivano ancora male, in effetti. Ad ogni modo dubitava che oltre il velo
sottile di pianto che le copriva gli occhi Ginny potesse accorgersi del fatto
che fosse una simulazione. « Non è possibile pretendere che non se ne
parli. » Continuò sempre con l’intento di calmarla. « Tra poco, anzi,
quando ci sarà l’inevitabile fuga di notizie, tutti non faranno che
parlarne. »
« Eppure è così ingiusto che tu debba
sopportare tutto questo. » Affermò Ginny sconfortata, ancora con
un’espressione colpevole dipinta sul viso. « Silente dovrebbe fare di
più! »
« Silente ha già fatto molto. » La contraddisse con decisione.
« Più di quanto avrebbe dovuto. Gli sono già molto grata e non voglio che
faccia altro. E poi non potrebbe fare niente, neanche se uno di noi
volesse. »
« Lo so… » Squittì acutamente l’amica. « Ma tu soffri già
così tanto per questa situazione. »
« Io sto bene, Ginny. »
Lo disse con convinzione. Ed era vero. Ci credeva:
lei stava bene. Infondo starci male non sarebbe stato giusto né per se stessa,
né per gli altri; a cominciare da Ginny, Seamus, Dean e Neville. Loro erano gli
unici studenti che sapevano come stavano le cose realmente ed erano stati molto
premurosi nei suoi riguardi. Si erano impegnati a farla sentire a suo agio,
evitando di parlare dell’argomento. Anche se forse avrebbero voluto, non le
avevano mai domandato nulla. Per questo, se anche alle volte poteva capitare
che qualcuno di loro dicesse qualcosa che non avrebbe voluto sentire, nonpoteva starci ancora male.
Non sarebbe stato per niente corretto.
« Dico sul serio. » Ribadì
notando che gli strozzati singhiozzi dell’amica non accennavano a diminuire e,
anzi, si facevano sempre più frequenti. « Ormai sono passati dei mesi e
sto decisamente meglio. Veramente, sto bene. » Non funzionava. Ginny stava
per mettersi a piangere. Quando accadeva non sapeva mai come farla smettere.
Doveva assolutamente riuscire a calmarla e, soprattutto, doveva riuscirci prima
che accadesse l'irreparabile. « Guarda, neanche ci penso più tanto spesso.
Anzi: non ci penso proprio più. L’ho completamente superata! »
« Se ti riferisci alla tua insania mentale io avrei i miei
dubbi. »
Chiunque avesse parlato doveva essere o la persona
più maleducata al mondo, o quella più sfacciata. Quando sollevò lo sguardo
oltre la spalla di Ginny si rese conto che era sia l'una che l'altra. Infatti Draco
Malfoy le sovrastava con in viso un'espressione svogliata e irritata allo
stesso tempo.
Ginny, che si era girata su se stessa, lo fissò
indispettita, ma anche sorpresa. Probabilmente per il fatto che era solo.
Neanche uno dei suoi scagnozzi gli era al seguito. Né Pensy Parkinson gli
pascolava accanto.
Era davvero molto insolito.
Hermione, invece, nel vederlo si irritò soltanto.
Tutto d’un tratto le venne in mente la sua scenata del giorno prima. L’aveva
zittita in malo modo e se n’era andato. Si era innervosita con quella
sottospecie di essere umano al punto che si era dimenticata di puntare la
sveglia. Per questo maledetto motivo si era svegliata tardi.
Le montò una stizza indescrivibile:
« Che diavolo vuoi? »
« Puoi anche evitarti quel tono,
Granger. » Ribatté sfrontatamente il Serpeverde. « Ti assicuro che
non sono in visita di piacere. »
« Taglia corto e arriva al punto,
allora. » Lo esortò spiccia. « Prima dici quello che devi dire e
prima te ne vai. »
« Pensavo esattamente la stessa
cosa. » Confermò Draco scocciato, riprendendo subito dopo: « L’idea
di dover studiare con te mi disgusta… »
« Anche a me. » Puntualizzò
prontamente Hermione. Non voleva che ci fossero equivoci. Avrebbe preferito
passare i pomeriggi e le serate con Gazza, Piton e persino quel vecchio rospo
della Umbridge, piuttosto che con lui.
« Ma la sufficienza in pozioni mi serve. » Proseguì il
ragazzo, ignorando il commento non richiesto di Hermione. « Quindi sono
qui per dirti che Lunedì, Mercoledì e Venerdì ci troveremo per mettermi in pari
con Pozioni. »
« Lunedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica. » Lo
contraddisse subito lei.
« Non se ne parla! » Ribatté Draco alterandosi.
« E
invece se ne parla eccome. » Ribadì imperturbabile lei. « Ho visto i
tuoi voti: fanno schifo. Ringrazia che non ti chieda di studiare anche di
Martedì e di Giovedì, quando la tua squadra ha gli allenamenti di
Quidditch. »
« Ringrazia? » Soffiò tra
i denti il Serpeverde, scoccandole un’occhiata infuocata. « Abbassa la
cresta, Mezzosangue! »
« Come osi, Malfoy?! » Intervenne
Ginny furibonda, spronata dall'arroganza inaccettabile del Serpeverde.
« Silenzio! » Dettò Draco fissandola sprezzante.
« Nessuno ha chiesto il tuo parere, stracciona! »
« Nessuno ha chiesto neanche il tuo di parere,
Malfoy. » Precisò impassibile Hermione. L'idea che lui l'avesse insultata
non la toccava minimamente: aveva imparato a incassare qualsiasi sua offesa con
noncuranza. Ma che quell’idiota si permettesse di ostentare la sua prepotenza
anche su Ginny, beh, era davvero intollerabile! « Qui siamo io e la
miaintelligenza quelle che dovrebbero lamentarsi del tempo che tu
e la tua ignoranza ci fate perdere, perciò cerca di avere un po’ più di
rispetto sia nei miei riguardi che in quelli dei miei amici. »
« Un giorno ti farò ingoiare tutta
questa insolenza, Granger. » Sibilò Draco, serrando la mascella.
« R-i-s-p-e-t-t-o. »
Sillabò Hermione caustica.
Vide Draco trattenersi a stento dall'esplodere. Le
mani tremanti strette a pugno lungo i fianchi. Gli occhi ridotti a due sottili
fessure. Le labbra serrate in una smorfia. Era uno spettacolo che rischiava di
divertirla e questo significava che quella conversazione si stava tirando
troppo per le lunghe. Decise di porvi immediatamente fine:
« Allora ti aspetto questo pomeriggio alle 17.30 davanti alla Sala
Comune di Grifondoro. Buona Giornata, Malfoy. »
« Un momento! » Sbottò Draco
impetuosamente. « Non voglio cominciare oggi! E poi… » Lo sguardo si
inasprì, caricandosi di sdegno. « E poi sappi che io non ho nessuna
intenzione di entrarci nella vostra squallida Sala Comune. Non con te,
comunque. »
« E
con chi vorresti andarci? » Asserì stancamente Hermione. Come se lei volesse
portarlo con sé e farsi vedere con lui. O, addirittura, come se lei ci
tenesse. Ne aveva proprio tanta di immaginazione, quello lì. Non c’era che
dire! « Cerca di non fare il difficile, Malfoy, e accontentati. »
« Puoi anche scordartelo! » Le rinfacciò il ragazzo furibondo.
Eh
no! Adesso, però, basta!
Si era proprio stancata
di tutti quei suoi assurdi capricci. Per chi l’aveva presa? Per la sua balia,
forse? Se era così si sbagliava. E di grosso. Il suo sguardo dardeggiò a quello
del Serpeverde, lo fissò con gelida intransigenza per qualche istante, e infine
tuonò:
« Io non mi muoverò dalla mia Sala
Comune, stasera. Se non ti va di metterci piede… beh, tanto meglio per me!
Arrangiati, Malfoy! Non sarò certo io a supplicarti di venire. Sappi,
però… » Lo avvertì risoluta. « … che se decidessi di presentarti non
sarò comunque disposta a tollerare alcuna replica in merito alle mie decisioni,
e se mai dovesse capitarti di non riuscire a trattenere la lingua, sebbene io
ora ti stia avvisando che sarà bene che tu lo faccia… beh, non ti pregherò
certo di dimostrarti accondiscendente: non vuoi darmi ascolto? Perfetto: non
farlo, io, come già ti ho detto, non faccio che guadagnarci. Questo è
quanto. » Concluse con una praticità devastante. « Tu, perciò,
comportati di conseguenza. »
Il Serpeverde ci rimase di sasso. Assolutamente di
sasso. Aveva una faccia piuttosto buffa, a dire il vero. Da pesce lesso. Gli
occhi sbarrati e la bocca spalancata. Esterrefatto come poche altre volte in
vita sua. Di lì a poco, comunque, si sarebbe ripreso e avrebbe questionato
ancora. Era facile da intuire: era Draco Malfoy. Sembrava che non si stancasse
mai di irritarsi. Lei, invece, si era proprio stancata:
« Comunque, ora che non abbiamo nulla
di dirci, puoi anche andartene. Anche perché io e Ginny dobbiamo ancora fare
colazione e la tua presenza ci disturba. »
L’espressione del ragazzo mutò all’istante.
Divenne dura come la roccia, truce: il sarcasmo doveva aver risvegliato il suo
spirito combattivo. Ad ogni modo, come si era figurata nella prospettiva più
rosea, Draco si limitò a trattenere per la seconda volta il fiume di insulti
che avrebbe voluto vomitarle in faccia, e andarsene velocemente. Non mancò
comunque di lanciarle la solita occhiata omicida.
A quel punto cominciava a pensare che ci fosse una
sorta di rituale prestabilito per le loro discussioni.
« E' davvero un ragazzo odioso! »
Scattò Ginny quando il Serpeverde se ne fu andato. « Io non riesco proprio
a reggerlo! » Era proprio furibonda. « Dean mi ha detto che ha anche
insultato i genitori di Neville! » Il delizioso viso tondeggiante cominciò
a diventarle rossastro dalla rabbia: mancava poco che si confondesse con i
lunghi capelli scarlatti. « Ci tratta come se non valessimo proprio
niente! Io… io… lo detesto! »
« Lascia stare, Ginny. Non vale la pena prendersela per un tipo del
genere. » Provò a calmarla Hermione, sbagliando decisamente tecnica.
« No che non lascio stare! »
Saltò su la rossa, guardandola biecamente. « Anzi, mi vuoi spiegare perché
cavolo dovresti dargli lezioni private? »
« Me l'ha chiesto Piton. » Rispose Hermione succinta. Le aveva
chiesto di seguirlo nel suo ufficio e gliel’aveva proposto. Forse, più che
proposto, gliel’aveva ordinato, ma tutto sommato non era stato troppo
dispotico. Non era stato neanche educato, si intende, però ammetteva che aveva
riscontrato una qualche civiltà in lui. Un notevole passo avanti, a suo parere.
« Avresti potuto rifiutare! »
Cinguettò Ginny, indispettendosi. « Perché hai accettato? »
« E’ così importante? » Domandò sospirando Hermione.
« Sì, lo è. » Confermò la rossa
con decisione, ripetendo una seconda volta il suo quesito: « Perché hai
accettato? »
« Per assicurarmi il massimo dei voti in Pozioni. » Ammise
semplicemente, senza tradire la minima vergogna nella voce pacata. La sua
carriera scolastica veniva prima di tutto. Prima di avere un ragazzo. Prima di
Piton. Prima di Malfoy. E, certamente, prima delle sue antipatie
adolescenziali.
In effetti, la sua carriera scolastica era senza
dubbio la sua priorità numero uno.
Ginny si zittì all’istante. Rimase immobile, a
fissarla stralunata per diversi attimi. Era la seconda persona che aveva quella
reazione di fronte alle sue parole. Sempre che Draco Malfoy potesse essere
considerato una persona, e non era del tutto certa che fosse un bene. D’un
tratto, però, spiazzandola completamente, Ginny scoppiò fragorosamente a
ridere.
Che le prende adesso?
« Perché ridi? » Domandò, corrugando la fronte confusa.
Da principio le risa erano tanto sguaiate e
incontenibili che Ginny non seppe frenarle per darle una risposta, e che alcuni
studenti vennero da esse indotti a girarsi per cercarne l’origine.
« Controllati, Ginny. Ci stanno
guardando tutti. » Bisbigliò Hermione a disagio. Vedendo però che la rossa
non accennava a quietarsi, la mora si trovò costretta a domandarle nuovamente:
« Si può sapere cosa c’è da ridere? »
« E’… è per quello che hai detto. » Riuscì a rispondere
l’amica, asciugandosi le lacrime che le avevano riempito gli occhi per il
troppo ridere.
« Oh. » Esclamò lei inarcando un sopracciglio dapprima
contrariata e, poi, un tantino stizzita. Che cosa c’era da ridere in quello che
aveva detto? Niente, assolutamente niente. O forse non era proprio cosa
aveva detto. Forse era in generale tutto quello che diceva. Magari era come lo
diceva. Chissà, poteva anche darsi che il suo tono di voce fosse divenuto
improvvisamente tremendamente buffo. Si offese di fronte a questa possibilità:
se c’era qualcosa a cui teneva, quella era la sua serietà.
Il suo umore incrinato dovette trasparire dalla
sua espressione, dato che Ginny, guardatala negli occhi per qualche istante, si
affrettò a dire:
« Non volevo offenderti, Hermione. E’ solo che, beh… » Non
riuscì a reprimere un’altra sciocca risatina, mentre scuoteva il capo in segno
di benevola rassegnazione. « Chiunque altro di noi avrebbe preferito le
torture peggiori piuttosto che uscirsene con la folle idea di stare a così
stretto contatto con Malfoy. »
« Non credo di aver capito
bene. » Intervenne la mora fissandola con occhi inquisitori e
impenetrabili. « Stai dicendo che sono folle? »
« No! » Negò animosamente Ginny,
sbiancando in volto e perdendo completamente la voglia di ridere di fronte agli
occhi austeri dell’amica. « Non volevo dire questo. No, davvero, non
volevo proprio indurti a questa considerazione. E’ solo che stavo pensando che
quello che hai detto avrei potuto aspettarmelo solo da te. Sì, ma… ma non in
senso negativo! » Si affrettò ad aggiungere, mordicchiandosi il labbro
inferiore per il nervosismo.
Quel gesto un po’ goffo e maldestro bastò a farle
sbollire la rabbia. La tenerezza che vi era racchiusa sarebbe bastata a farle
sbollire la rabbia di giorni, a dire il vero. La bocca di Hermione, prima
freddamente serrata, si rilassò in un sorriso. Tuttavia la rossa non se ne
accorse e lei, del resto, non ebbe l’accortezza di fermare le sue scuse.
« Per noi sarebbe una cosa folli, ma
perché noi siamo… beh… perché tu sei un po’… beh, diversa… da noi e
perché… si, ecco… ooh! Fammi trovare le parole giuste, non vorrei che
fraintendessi: tu sei una persona eccezionale e… Oh insomma! Quello che volevo
dire era che quello che hai detto è proprio da te, Hermione. »
Il sorriso che si era impadronito della sue labbra
si tinse di un’impercettibile velo di malinconia.
Quella frase… la riportava indietro.
Molto indietro.
Le richiamava alla mente tanti ricordi. Le faceva
rivivere sei anni della sua vita. I sei anni più belli della sua vita. E
se chiudeva gli occhi le appariva tutto ancora nitido. Reale. Ogni gesto, ogni
emozione, ogni sentimento. Tutto sembrava prendere una consistenza che i
ricordi non possono avere. Ma era solo un’illusione, perché quelli erano
davvero solo ricordi. Non avevano niente a che fare con il presente.
Appartenevano al passato. Proprio come quella frase:
« E’ proprio da te. »
Ron glielo diceva sempre.
E anche Harry.
Allora, come vi sembra?
Non è male, no? A me piace molto, ma sono prontissima ad essere smentita! Spero
che mi lascerete un commentino: per gli ultimi capitoli di You are my angel ne
ho ricevuti molti meno del solito (sono peggiorata?). Ad ogni modo nel prossimo
capitolo si scopriranno molto cose che immagino vi stiano a cuore. Per esempio
suppongo che in molte delle vostre testoline girino domande tipo:
Ma che fine hanno fatto Harry e Ron? E perché
Draco non fa alcuna battuta in merito? E come mai Hermione li ricorda con tanta
nostalgia? E quando diavolo si metteranno insieme Draco e Hermione? (è quella
che cruccia di più, vero?)
Ma soprattutto, per chi conosce il mio marcato
sadismo:
Si metteranno mai insieme Draco e Hermione?
Nel caso in cui voleste scoprirlo vi invito ad
essere molto più pazienti di quanto non lo siate stati in vita vostra.
Capitolo 2 *** La nemesi naturale [parte prima] ***
Ed ecco qui il secondo capitolo
Ed ecco qui il secondo capitolo.
Ho imparato che è bene ribadire i diritti d’autore di
J.K.Rowling su tutti i personaggi (o gran parte, comunque) di questa
fanfiction, sappiate quindi che non mi deve essere tributato alcun merito per
la loro personalità strabiliante: è tutta opera sua, che, in quanto a fantasia,
non ha proprio niente da invidiare a nessuno.
Ok, piccola premessa: tutte le domande che vi sono sorte
leggendo il precedente capitolo in questo non troveranno necessariamente risposta.
Siamo ancora all’inizio della storia: prima che Draco e
Hermione possano anche solo considerarsi amici ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Mi dispiace se con queste parole ho deluso le aspettative
di quelli che speravano che le cose sarebbero andate diversamente, del resto
dare un via lento al loro rapporto mi sembra una delle uniche strade possibili
per renderlo credibile.
Ribadito questo, vi lascio alla
lettura.
The Draco and Hermione’s Opera
2° capitolo.
La nemesi naturale [parte prima]
*** *** ***
You can be an asshole of the grandest kind
You can withhold like it's going out of style
You can be the moodiest baby
And I've never met anyone as negative
As you are sometimes
Tu puoi essere un idiota della peggior specie
Tu puoi fingere che non sia nel tuo stile
Tu puoi essere la persona più insopportabile
E io non ho mai conosciuto qualcuno di così odioso
Come sei tu a volte
(Everything - Alanis Morissette)
*** *** ***
Domenica
10 Novembre. Ore 17.28
Hogwarts.
Entrata Torre Grifondoro.
Draco sbuffò seccato per la decima volta. Erano
almeno quindici minuti che stava aspettando invano che quella psicolabile si
facesse viva. Quindici minuti che imprecava mentalmente contro di lei. Quindici
minuti che sopportava su di sé gli sguardi curiosi e mordaci dei Grifondoro.
Certo, perché quella cretina aveva avuto la brillante idea di dargli
appuntamento davanti alla sua fetida Sala Comune!
Sentì un moto di vomito
salirgli in gola: Appuntamento… che termine
raccapricciante in un simile contesto.
Giuro che se non arriva entro un minuto a
partire da ora io me ne vado!
« Ma quello è Malfoy! » Esclamò una voce attonita alle sue
spalle.
Emise un undicesimo sbuffo, forse anche più
seccato di quelli precedenti. Conosceva il possessore di quella voce. In quell’ultimo
periodo assomigliava un po’ troppo a Potter perché potesse passare inosservato
agli occhi di chiunque. Faceva beneficenza ai pidocchi dei primi anni come
aveva fatto lui. Giocava in quella che era stata la sua degenere squadra.
Riciclava le sue scadenti amicizie. Ribatteva a tono con il suo stesso
disgustoso patriottismo. Stava persino con la ragazza che prima sbavava dietro
a quella patetica imitazione di mago.
Avrebbero dovuto cominciare a chiamarlo San
Thomas! Sebbene, ovviamente, non sarebbe mai suonato bene come San Potter.
« Complimenti, Thomas: anche se ti manca il cervello hai un ottima
vista. » Lo apostrofò con sarcasmo, girandosi verso di lui.
Notò solo a quel punto la gracile figura che gli era
avvinghiata morbosamente al braccio destro. Sembrava una ventosa. Gli ci volle
poco per riconoscerla come Ginny Weasley. Era famosa anche lei, a scuola, ma
solo perché era la sua ragazza e la sorella minore del caro vecchio Lenticchia,
il cagnolino da compagnia di Potter. Il portiere più incapace che si fosse mai
visto nella storia del Quidditch, per intenderci. Una sorta di concentrato di
incompetenza e sciatteria.
In una parola: una della più grandi nullità di
tutti i tempi.
Si soffermò sull’espressione di quella piattola.
Lo scrutava altezzosamente, con una strana aria di sufficienza. Era davvero
ributtante. Non c’era niente di peggio di una nevrotica proletaria che si
atteggiava a primadonna.
« Che diavolo ci fai qui? » Domandò seccamente Dean, distogliendolo
dai suoi pensieri.
Dal tono poteva dedurne che non aveva ancora
digerito la faccenda del giorno prima. Poco male: era un problema
esclusivamente suo! Se non avessero continuato a rinfacciarglielo o
spiattellarglielo davanti alla faccia se ne sarebbe tranquillamente
dimenticato. Ai suoi occhi quell’argomento appariva davvero privo di rilevanza.
« Non sono affari che ti riguardano,
Thomas. » Rispose Draco laconico. « Quindi gira a largo. »
« Vorremmo farlo. » Intervenne acida Ginny. « Ma, vedi,
quella davanti a cui sei è la nostra Sala Comune.”
« Grazie a dio. » Commentò Draco tagliente.
« Nessuno ti obbliga a stare qui. » Ribatté duro Dean.
« Anzi, non sei proprio il benvenuto. Faresti bene ad andartene. »
« Credimi, Thomas… » Gli assicurò Draco con l’abituale tono
mellifluo. « Se potessi lo farei. Purtroppo, però, non mi è
possibile. » Rivolse uno sguardo nauseato a Ginny. « E lei
dovrebbe sapere perché… »
« Oh già… » Replicò la rossa, aggrottando le sopracciglia con
fare sprezzante. « Sei stato invitato… »
« Cerchiamo di usare dei termini
appropriati. » Scattò prontamente il Serpeverde, punto sul vivo. « Io
non sono stato invitato! »
Dean lo ignorò e si rivolse alla propria ragazza,
inarcando un sopracciglio piuttosto contrariato:
« E
chi ha avuto questa brillante idea? »
« Io. »
Hermione era improvvisamente comparsa in mezzo a
loro e a quel punto li scrutava con attenzione, chi più allegramente, chi meno.
La solita mezza dozzina di libri sotto braccio. Gli abiti indecenti della
mattina. I cespugliosi capelli svolazzanti. E stampata sul viso l’abituale
espressione rilassata e disinvolta. Troppo rilassata e troppo
disinvolta per quella specifica occasione.
Almeno, troppo per i suoi gusti.
« Sei in ritardo, Granger. » Sbottò, fissandola con astio.
« Ti sbagli. » Replicò tranquillamente lei, controllando il
suo orologio da polso. « Sono perfettamente in orario. »
« Ma io sono qui da quindici minuti. » Obiettò, aggrottando la
fronte.
« E’ un problema tuo. » Disse Hermione con disinteresse.
« Se arrivi prima dell’ora prefissata non posso farci niente. »
Draco si astenne dall’eccepire.
Non che non volesse, tutt’altro: si sarebbe
volentieri giocato il tutto per tutto se solo avesse avuto la possibilità di
ricavarci qualcosa. Ma, purtroppo, Hermione aveva dalla sua parte una mano
sfacciatamente vincente: la sua precaria sufficienza in Pozioni e, soprattutto,
l’ormai radicata consapevolezza che gli era indispensabile ottenerla. Aveva
sfoderato quell’asso nella manica giusto la mattina, dimostrando di saperlo
usare a dovere. Era una giocatrice temibile, quella Granger. Sino a che avesse
avuto quel vantaggio, quindi, avrebbe rinunciato a cercare lo scontro con lei.
Ne andava della sua reputazione di eterno
vincente.
« Perché dovevate incontrarvi? » Aveva domandato nel frattempo
Dean, studiando il Serpeverde con crescente diffidenza oltre che con acceso
rancore.
« Hermione deve dargli ripetizioni di Pozioni. » Spiegò Ginny
stranamente compiaciuta della cosa.
« Infatti… » Tagliò corto la bruna, precedendo Dean che aveva
appena socchiuso la bocca con l’intenzione di indagare ulteriormente. « …e
siamo piuttosto in ritardo sulla tabella di marcia, perciò, scusate, ma io e
Malfoy siamo costretti a metterci subito al lavoro. » Volse il capo verso
Draco. « Forza, muoviti. »
« Non darmi ordini! » Protestò di
riflesso. Non avrebbe cercato lo scontro. D’accordo. Lei, però, non doveva
provocarlo! Altrimenti doveva aspettarsi di sentirsi rispondere per le rime.
« Va bene. » Asserì
imperturbabile Hermione. « Allora resta lì. »
« Certo. » Confermò convinto lui.
Anche lei però sembrava piuttosto convinta a non
farsi toccare dalla sua decisione. Diede infatti un ultimo, sbrigativo ma
comunque affettuoso saluto a Ginny e a Dean, e poi se ne andò. Tranquillamente.
Non si girò indietro neanche una volta per vedere se la stava seguendo:
continuò a passo spedito sino al termine del corridoio e infine svoltò a
destra, scomparendo dalla sua vista.
Imprecò mentalmente contro la sorte! Dannazione,
cosa gli toccava fare per una stupida sufficienza! La raggiunse a grandi
falcate e le si accostò.
« Non sono venuto perché me lo hai
detto tu. » Puntualizzò acre.
« No, certo… » Lo assecondò
piattamente Hermione.
« E non parlarmi con quel tono! »
La fulminò gelido. Era un tono che gli mandava i nervi a fior di pelle!
Hermione al posto di ribattere sospirò, alzando
gli occhi al cielo. Anche quell’atteggiamento gli mandava i nervi a fior di
pelle! Non fece però in tempo a farglielo presente. La Grifondoro aveva infatti
allungato il passo, lasciandolo indietro. La raggiunse di nuovo, deciso a
imporle di rallentare, ma ancora non vi riuscì: si trovò di nuovo distanziato
di qualche metro. La ragazza aveva accelerato ulteriormente.
E no, questo è veramente troppo!
« Fermati! » Ansò cercando di imprimere alla propria voce un
tono di comando.
« No. » Disse subito Hermione, senza neanche rallentare.
« Non voglio fare troppo tardi. »
« Tardi per cosa? » Chiese Draco, spiazzato.
Nessuna risposta seguì la sua domanda e bastò
quello ad allarmarlo. Spiccò una piccola corsa e la fiancheggiò. Era faticoso e
difficile starle dietro, ma non demorse: voleva una risposta, per questo fu
serrato nel torchiarla.
« Per che cosa non vuoi fare tardi?
C’è qualcosa che devo sapere? Se è così voglio saperla subito! Mi hai
capito? » Un ragazzo gli passò di fianco, guardandolo storto. Era Colin
Canon, un Grifondoro. Stava andando dalla parte opposta alla loro. Quel
pensiero fece scattare qualcosa nella sua testa. « Ehi! Frena! Dove stiamo
andando? Non dovevamo studiare in quella tua orrida Sala Comune? Che diamine ti
è preso, Granger? Dannazione, pretendo una risposta! Hai capito quello che ho
detto?! Stupida ragazzina arrogante! Fermati!! »
Draco fu davvero ammirevole nella sua
perseveranza.
Per tutto
il tragitto che percorse si esibì in una fitta e serrata discussione. Purtroppo
la tenne più con se stesso che con Hermione, la quale fu anche più tenace di
lui nel tacere compostamente. Ogni tanto la sua espressione si increspava di
insofferenza, era pur vero, tuttavia difese strenuamente la sua posizione,
senza mai rivolgergli neanche un’occhiata.
Solo quando si fermarono lei gli concesse la sua
attenzione, gettandogli uno breve sguardo per fargli intendere che quella era
la loro ultima destinazione. Solo quando si fermarono, del resto, Draco si rese
conto che erano usciti dalle mura di Hogwarts. Per la precisione erano di
fronte ad una casupola piccola e dimessa, che aveva un aspetto quasi selvaggio.
Gli era stranamente famigliare…
Disgustosamente famigliare…
« No. Non puoi averlo fatto… » Inorridì Draco, tra lo
stupefatto e il furibondo.
« E
invece sì. » Lo contraddisse lei pacata. « Alla fine mi è sembrato il
luogo più adatto per studiare. Perché in Sala Comune non avremmo mai potuto
stare in pace. Ho già chiesto il permesso a Silente, che ha accettato e credo
abbia anche già informato Hagrid. » E detto ciò non gli diede neanche il
tempo di indignarsi nella maniera dovuta poiché si avviò a passo sicuro verso
il portone della catapecchia e vi bussò tre volte, dicendo: « Hagrid!
Hagrid sono Hermione. »
Si sentirono diversi rumori provenire dall’interno
della casupola. Ve ne fu uno acuto, che durò poco più di un attimo e che non
riuscì a definire con esattezza. Un altro invece apparve prolungato e
grottesco, ma non c’erano dubbi sul fatto che fosse un latrato di Thor, il
grosso cane del Mezzogigante. Sopra ognuno di questi suoni, comunque, si impose
l’inconfondibile voce di Hagrid, il quale brontolava incomprensibilmente e,
evidentemente, si avvicinava a grandi passi all’ingresso dell’abitazione.
Un secondo dopo aver udito l’ultimo passo, la
porta si aprì e sulla soglia comparve proprio il guardiacaccia.
« Hermione! Che piacere! Silente mi ci
aveva detto che saresti arrivata! » La salutò affettuosamente, mentre un
enorme sorriso storpiava il suo rude faccione peloso.
« Anche per me è un vero piacere,
Hagrid. » Rispose subito lei, con lo stesso trasporto.
Il guardiacaccia non
sembrò accorgersi di Draco poiché il suo umore non si incrinò e, anzi, migliorò
notevolmente. In effetti il Serpeverde era esattamente sulla stessa linea retta
di Hermione e veniva completamente nascosto dalla sua seppur minuta figura. Era
perciò normale che Hagrid non lo notasse. Lui, per contro, avrebbe voluto che
lei fosse di una stazza tale da occludere anche il suo di campo visivo:
la vista di quel Mezzogigante lo disgustava!
« E’ da diversi giorni che avevo
voglia di venire a trovarti… però, beh… non ne ho mai trovato il tempo … »
Continuò a parlare la ragazza, assumendo un tono profondamente dispiaciuto.
« E’ perché sei molto occupata. E’
l’anno dei M.A.G.O! » La giustificò il guardiacaccia con convinzione e
serietà. « Ma, dimmi… » Aggiunse incerto. « Silente mi ci ha
detto che venivi, e per studiare… Come mai? Non è che a me mi ci dispiace,
anzi: devo fare un’incursione nella Foresta e non posso portare Thor, perché ha
il raffreddore, e sono contento che ci sia qualcuno a tenergli compagnia mentre
sono fuori. Sai, non vorrei che si sentisse solo… » La sua fronte si
aggrottò per l’apprensione. « Perché quando si sente solo poi pensa a cose
strane, e magari diventa triste. »
Rimase un attimo basito.
Pensare? Triste? Un
cane? Ma che cavolo stava dicendo?! Come si faceva a dire certe cose?! Quel
Mezzogigante era uno spostato! E quella ragazza era ancora più spostata di lui!
Lo fissava con comprensione, annuendo con sincera commozione. Che diavolo le
prendeva?! Come faceva a esistere gente così… così… assurda!
L’improvviso mutamento
di tono addotto da Hagrid lo riportò alla realtà.
« Però, Hermione… non sei mai venuta
qui per studiare: sei sempre stata nel castello. Quindi mi chiedevo… »
Esitò un attimo prima di proseguire. « … hai forse litigato con i tuoi
amici? »
« No, non preoccuparti. » Lo
rassicurò Hermione sorridendo. « Non ho litigato con i miei amici. Solo
che… » Si scostò di lato, rendendo il Serpeverde finalmente visibile.
« Non mi sembrava il caso di stare in Sala Comune con lui. »
Hagrid si irrigidì e
zittì all’istante. Un’espressione di cupo stupore calò sul suo volto. Lui, da
parte sua, si limitò a sollevare un sopracciglio, seccato. Passarono diversi
attimi prima che il Mezzogigante riuscisse a ridestarsi dallo stato di mutismo
in cui era caduto. Lo stupore però non scomparve. Quando si rivolse a Hermione,
infatti, era ancora particolarmente turbato dall’inaspettata apparizione.
« Perché è qui anche lui? »
Cominciava a stufarlo il tono con cui gli si riferivano.
« Niente più di quello per cui sono
qui io. » Rispose la ragazza risoluta. « Piton mi ha chiesto di
dargli qualche ripetizione. Per qualche tempo studieremo insieme. »
Il guardiacaccia non si
fece persuadere. Evidentemente i conti non gli tornavano. Come dargli torto,
del resto: se si guardava intorno e vedeva dov’era e con chi aveva a che fare
neanche a lui tornavano i conti. E gli tornarono ancora meno quando si accorse
che i grandi occhi da scarafaggio di Hagrid gli si era posati addosso e avevano
seguitato a fissarlo insistentemente, con sospetto. Da quando in qua si
permetteva di fissarlo in quel modo! Era lo stesso sguardo che gli aveva
rivolto Thomas poco prima e, a quel punto che ci pensava, gli era salita anche
allora una gran voglia di strappargli dalle orbite quegli occhi insopportabili.
« Siamo sicuri che Silente sa che è
con te? » La interrogò infine il Mezzogigante, diffidente.
« Certo. » Confermò Hermione,
avvalorando la sua affermazione con un deciso cenno del capo. « E credo sapesse
anche che dovevi andare nella Foresta Proibita. Te l’ha chiesto lui di andarci,
no? »
« Beh, sì… » Ammise Hagrid
tentennante. « Però… » Si fermò prima di proseguire: lanciò
un’occhiataccia a Draco e si chinò sulla ragazza, come se volesse farsi sentire
solo da lei. Il suo piano però risultò quanto mai vano siccome il sussurro in
cui credette di parlare giunse nitidamente alle sue orecchie: « Sei sicura
di poterti fidare di lui? »
Oh ma andiamo!
Questa era bella! Davvero
bella! Un Mezzogigante che chiedeva a una ragazza come Hermione Granger se si
poteva fidare di lui, Draco Malfoy! Con quel tono poi! Come se fosse uno
stupratore notturno. O uno psicopatico fuggito da Azkaban. O un licantropo che
nelle notti di luna piena si svegliava per fare a brandelli la gente. Era solo
un ragazzo di diciassette anni!
E poi, diamine, anche se
si trattava dell’unica persona capace di irritarlo con un solo gesto, questo
non significava che avrebbe voluto ucciderla!
Beh, Draco, ammetti che
un paio di volte ci hai anche pensato…
E va bene, sì, lo
ammetteva: ci aveva pensato. E magari neanche solo un paio di volte. Magari
ci aveva fatto anche dei progetti più complessi, tipo crocifiggerla a testa in
giù, corroderla nell’acido, oppure – che ne so – buttarla giù dalla torre più
alta di Hogwarts e vederla sfracellarsi al suolo, possibilmente accertandosi
che i suoi amici fossero lì ad assistere. Ma questo non significava niente!
Tutti gli adolescenti avevano di quei pensieri. Era normale! E rimaneva tale
fino a che restavano solo pensieri. Perché c’era una netta differenza
tra le persone che considerano di fare certe cose e quelle che arrivano al
punto di farle. E la differenza stava nel fatto che quelli si chiamavano
assassini. Che quelli erano assassini. Assassini come Bellatrix e
Rodulphus Lestrage. Assassini come i padri di Tiger e di Goyle. Assassini come suo
padre. Ma non come lui. No: lui non lo era. Magari era tutto ciò che di più
turpe e diabolico potesse esserci al mondo, ma non era un assassino.
Non ancora, almeno.
« Puoi stare tranquillo, Hagrid: sono
sicura di potermi fidare di lui. » In aggiunta alle sue parole Hermione
rivolse al guardiacaccia un sorriso rassicurante. « Vai pure a fare la tua
incursione: qui ce la caveremo benissimo. »
« Spero che tu abbia ragione. »
Si augurò Hagrid in tono grave, evitando di soffermarsi sul sorriso gioviale di
lei. Soffermarvisi, probabilmente, avrebbe significato incrinare la sua
sicurezza nel replicare. « Ma tu mi devi promettere che ci starai
attenta, con quello lì. Ha una faccia che non mi ci piace per niente… »
Non hai idea di quanto
poco mi piaccia la tua di faccia, pezzo di analfabeta pulcioso!
« Prometto che starò attenta. »
Garantì Hermione, rispondendo con una prontezza che gli impedì di dar voce ai
suoi pensieri.
« Va bene… » Biascicò il
guardiacaccia senza rinunciare alla sua circospezione. Non era ancora convinto
che andasse bene. Del resto non sembrava neanche disposto a intavolare una
discussione con la ragazza, siccome rinunciò a obbiettare verbalmente. Per
contro scoccò un’occhiata minacciosa a Draco, intimandogli: « Se quando
torno scopro che le hai fatto qualcosa ti appendo ad un albero a testa in
giù! »
Questa volta, oltre a
provare un’incontrollabile desiderio di ribattere alle provocazioni di Hagrid,
Draco sentì anche uno scalpitante desiderio di deturpargli quell’orrenda faccia
deforme. Mise impulsivamente mano alla bacchetta. Hermione fu però attenta a
scorgere il suo gesto e lesta a dedurre da esso le sue intenzioni. E fu anche
lesta a impedirgli di portarle a compimento. Si frappose infatti fisicamente
tra lui e il Mezzogigante, mentre una seconda volta garantiva a quest’ultimo la
mansuetudine dell’improbabile compagno di studio.
Staccò le dita dalla sua
arma: per questa volta quel guardiacaccia da due soldi l’aveva scampata.
« Allora io vado… » Concluse
Hagrid.
« Sì, vai. » Lo incoraggiò
Hermione dandogli un’amorevole sbuffo sul braccio sinistro.
Spronato definitivamente
da quel gesto il guardiacaccia si smosse finalmente dalla sua statica
posizione. Prese una sacca nera appoggiata ai piedi della porta, se la mise a
tracolla e poi se ne andò. Dopo che ebbe fatto qualche passo in direzione della
foresta si girò verso di loro e rivolse un’ultima feroce occhiata a Draco, poi
scomparve dietro gli alberi.
Rimasero per un attimo
in silenzio. Hermione con lo sguardo ancora rivolto al luogo da cui era sparito
Hagrid. Draco con gli occhi sfuggevolmente rivolti alla ragazza. Avrebbe voluto
decifrare la sua espressione vagamente assorta, ma sapeva che non ci sarebbe
mai riuscito con quelle brevi occhiate evanescenti. Del resto, di puntargli gli
occhi in faccia come se ci fosse qualcosa di interessante da vedere non aveva
la benché minima intenzione. E dunque, che fare?
La voce di lei giunse
provvidenziale a risparmiargli di crucciarsi nel dubbio:
« Ora, preferisci entrare e quindi
indurmi a sopportare la tua presenza o liberarmene prima ancora di aver
iniziato a sopportarla? »
Il tono con cui aveva
parlato era giunto alle sue orecchie paziente e controllato. Troppo
paziente e troppo controllato. Sembrava stesse trattando con un bambino
di cinque anni. Si indignò per quell’imperdonabile oltraggio. Fece dunque per
aprire la bocca e rispondere avventatamente che non era intenzionato a fare
nulla di quello che lei si aspettasse. Ma proprio un secondo prima di dar aria
ai polmoni, si astenne: il desiderio di vanificare i suoi sforzi di mediatrice
era violento, ma lo era anche quello di rimediare a quella maledetta insufficienza.
Era forse il caso di rimettersi, per una volta, al volere di quella bisbetica?
Ricordò le promesse che si era fatto pochi minuti prima. Sì, forse era il caso.
Ma ammetterlo in quella maniera era umiliante. Allora decise che non si sarebbe
rimesso al suo volere, che l’avrebbe solo distrattamente considerato,
per uno meraviglioso slancio di altruismo.
Sì, così poteva andare
bene.
A grandi passi arrivò
sino all’uscio dell’abitazione. Non degnò Hermione neanche di uno sguardo e vi entrò
altezzosamente. Lei, per contro, fece lo stesso, ma con meno alterigia, e si
richiuse la porta alle spalle.
« Allora… » Eruppe una volta che
si fu seduta ed ebbe appoggiato delicatamente sul tavolo i libri che portava
sotto braccio. « … il prossimo compito di Pozioni sarà il Veritaserum. E’
una pozione molto complicata: l’anno scorso in pochissimi abbiamo preso un voto
decente, ma comunque non hai di che preoccuparti: il test è solo questo
sabato. »
Il Serpeverde, che non
si era ancora deciso a sedersi, nauseato dall’odore e dalla sporcizia di quel
luogo, a quelle parole ebbe un sussulto:
« Solo sabato? Soli sei giorni
per studiare? Ma è troppo poco! Non potrò mai prepararmi in tempo! »
« Sei giorni vanno bene. » Lo
contraddisse Hermione con calma. « Basterà seguire scrupolosamente il
percorso di recupero che ho preparato. »
« Come sarebbe a dire? » Domandò
Draco senza celare una punta di preoccupazione. « Che significa che sarà
opportuno seguire il percorso di recupero che hai preparato? »
« Ti avevo detto che eravamo in
ritardo sulla tabella di marcia, no? » Replicò lei succinta.
« Pensavo che stessi
scherzando! » Esclamò sconvolto, sbarrando gli occhi e fissandola con
sgomento.
« Questo vuol solo dire che pensare
non ti si addice. » Osservò laconica Hermione.
Draco sentì un moto di
rabbia agitarsi nello stomaco. Non fece però in tempo a sfogarlo perché
Hermione stessa gli schiaffò davanti alla faccia un enorme volume rilegato in
cuoio, che gli precluse la vista e l’attenzione su tutto il resto. Solo una
volta ripresosi dallo stupore riuscì a leggere il titolo stampato a grosse
lettere argentate sulla copertina: “L’unico manuale per maghi autodidatti”.
« Oltre a seguire il mio programma,
per far sì che tu ottenga i risultati sperati devi anche imparare a memoria
questo libro nel giro di un mese. » Disse in tono spiccio la Grifondoro,
riferendosi all’oggetto che impugnava.
« T-tutto? » Biascicò
scandalizzato Draco. Era forse pazza? Come diavolo avrebbe fatto a imparare a
memoria un mattone di almeno 800 pagine in un mese?! No, anzi, come diavolo
avrebbe mai potuto imparare un mattone di almeno 800 pagine?
Tanto più che odiava
profondamente leggere.
« Se ti avessi ritenuto capace di
memorizzare tutte le 1176 pagine di questo manuale avrei rifiutato di aiutarti
per l’eccessivo senso di inferiorità che avrei nutrito nei tuoi
confronti. » Puntualizzò pungente Hermione, allontanando il libro dal viso
del ragazzo. « Devi impararne solo 48. »
« Beh ma… » Cercò di controllare
il tono di voce. « … ma sono comunque troppe in così poco tempo! Non ce la
farò mai! »
« E invece ce la farai. » Tagliò
corto lei. « E ora seduto: dobbiamo cominciare col mio programma. »
Era talmente sconvolto
che non riuscì a opporre resistenza e si sedette convulsamente di fronte alla
ragazza. Esitò a chiedere in cosa consistesse la fantomatica attuazione del
programma di Hermione, ma lei gliene mise a parte comunque, e lui deglutì posto
di fronte alla sua spiegazione:
« E’ un programma diviso in tre fasi,
che ovviamente corrispondono alle tre pozioni che costituiranno l’argomento dei
compiti. Quella che interessa a noi, perciò, per il momento è solo quella sul
Veritaserum. Come ti ho già detto è una pozione difficile e necessita prima uno
studio approfondito dei singoli ingredienti, in modo che, conoscendone le
caratteristiche, per te sia più semplice ricordarne l’ordine e la dose quando
dovrai utilizzarli. Perciò in questi primi cinque giorni noi ci concentreremo
sullo studio. Qui insieme, intendo, e tu, per conto tuo, con “L’unico manuale
per maghi autodidatti”. » Fece una piccola pausa, poi aggiunse con
naturalezza. « Venerdì faremo una prova pratica della pozione. Abbiamo
tempo di farne solo una, e poco prima del test, ma naturalmente andrà tutto per
il meglio se seguirai le mie direttive. »
« M-ma è assurdo. » Balbettò
Draco, sconvolto dalle parole che aveva sentito. « Considerando le ore di
scuola, il Quidditch e lo studio delle altre materie praticamente non dovrei
dormire per portare avanti un simile programma! »
« Non dire idiozie. » Lo freddò
prontamente la Grifondoro. « Dovresti solo rinunciare al tuo tempo libero
per un po’ di tempo, fino a che non ti sarai abituato a questo stile di vita e
potrai giostrare con maggior destrezza i tuoi impegni. »
« Non dirne tu di idiozie,
Granger! » Ringhiò il ragazzo, sobillato dal tono con cui gli si era
rivolta. « Nessun essere umano potrebbe mai abituarsi a questo genere di
ritmi! »
« Guarda che questo genere di ritmi sono
frutto della tua sconsideratezza. » Gli fece aspramente presente Hermione.
« E comunque conosco almeno cinque esseri umani che ci sono
riusciti. »
« Se uno di questi è Paciock… »
Replicò Draco mordacemente. « … allora ti conviene dire che sono quattro,
gli esseri umani, perché i risultati scadenti a cui è sempre incorso
quell’incompetente non possono certo considerarsi un vanto per i tuoi
metodi. »
Hermione lo fulminò con
uno sguardo.
« Sbaglio o avevo detto di portare
rispetto per i miei amici? »
Non replicò: era meglio
chiuderla lì la questione. Lei dovette pensarla allo stesso modo, siccome non
aggiunse altro sull’argomento e invece riprese quello precedente, come se nulla
fosse.
« Allora, vediamo un po’… »Mormorò mentre sfogliava attentamente le
pagine ingiallite di un squadernino rattoppato su cui sembravano esserci molte
altre annotazioni. « Gli appunti dovrebbe essere da queste parti… no,
niente: non ci sono. Allora dove posso averli scritti? Forse… beh, si, in
effetti potrebbero essere benissimo anche lì… anzi, ora che ci penso, credo
proprio che siano lì … » La ricerca si fece più serrata. Durò anche
qualche minuto, perché sembrò divenire necessario leggere gli illeggibili
sottotitoli che infestavano quelle pagine. Infine, però, il viso le si illuminò
trionfante: « Eccoli! »
« Alla buon ora. » Commentò
gelidamente Draco.
« Da quale ingrediente preferisci
iniziare? » Gli domandò placidamente Hermione, ignorando il suo
intervento.
« Che ne so… » Rispose tagliente.
« Sei tu quella che sa sempre cosa è meglio fare, no? »
« Effettivamente credo che sarebbe
meglio cominciare dagli occhi di rana in salamoia. » Ammise la ragazza
senza cogliere la malizia delle sue parole. O comunque cogliendola ma fingendo
di non esservi riuscita.
« E allora cominciamo da quello,
muoviamoci. » Dichiarò il Serpverde impazientemente, incrociando le
braccia sul petto in segno di stizza. Non ne poteva già più!
« Va bene. » Concordò Hermione
sfregandosi le mani l’un con l’altra, mentre un’inquietante luccichio saettava
nei suoi occhi. « Cominciamo. »
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***
*** ***
Domenica
10 Novembre. Due ore dopo
Capanna di Hagrid.
« Basta! » Esclamò Draco
disperato, mettendosi le mani nei capelli. « Basta non ne posso più! Basta! »
« Oh, quante storie. » Minimizzò
Hermione, che per contro era – o quanto meno cercava di apparire –
assolutamente rilassata. « Parli come se avessimo studiato
ininterrottamente per giorni. »
« Non parlare al plurale! »
Sibilò il ragazzo scoccandole un’occhiata velenosa. « Noi non
abbiamo fatto nulla! Tu non hai fatto niente!Io ho
fatto tutto! »
« Sì, Malfoy, hai fatto tutto
tu. » Lo assecondò lei, scettica, mentre riponeva dietro l’orecchio una
dispettosa ciocca ribelle. « Per passare alle code di salamandra
essiccate… »
« Per passare a… cosa? »
Stridé Draco mentre un tremito di rabbia isterica lo scuoteva da capo a piedi.
« Io non passo proprio a niente! Non ne posso più! Quante volte devo
ripetertelo ancora perché ti entri in testa? Non intendo fare più niente che abbia
a che fare con pozioni! Niente che abbia a che fare con lo studio! Niente che
abbia a che fare con questa dannata scuola! » Scrollò il capo, pestando
con fervore un pugno sul tavolo. « Niente che abbia a che fare con te!
Razza di despota! Di tiranna! Di… di… »
« Infatti. » Riprese scocciata
Hermione, interrompendo il fiume d’insulti che le venivano così amabilmente e
naturalmente rivolti. Era tutta la sera che non faceva che apostrofarla con
epiteti assurdi. Non che non lo facesse da tutti e sei i lunghi anni che
avevano difficoltosamente convissuto in quella scuola, ma a tutto c’era sempre
stato un limite. Per dirne una: che la chiamasse Mezzosangue aveva ormai poca
importanza, ma che le desse della despota… beh, questo stava cominciando ad
infastidirla! « Stavo semplicemente dicendo che torneremo a parlare degli
altri ingredienti domani, sebbene io speri che questa sera ti degnerai di darci
un’occhiata. »
« L’unica cosa che mi degnerò di fare
questa sera è di buttarmi sul letto e dormire! » Esclamò all’apice
dell’esasperazione il Serpeverde, chiudendo bruscamente un volume di botanica.
« Male. » Sentenziò severamente
lei. « Molto male: l’unico modo per riuscire a memorizzare le cose è
allenare la mente a ricordarle. »
« E chi se ne frega! » Tuonò
Draco con un cipiglio folle. « Io voglio solo farla riposare la mia mente!
E se questo significa che non memorizzerò un cavolo, chi se ne frega! »
« La tua leggerezza ti impedirà di
perpetuare le tue ambizioni. » Considerò Hermione asciutta.
« Il tuo dispotismo invece ti porterà
ad una morte violenta prima di aver potuto anche solo immaginare delle
ambizioni! » Scattò Draco lanciandole uno sguardo di fuoco.
« Si da il caso, Malfoy… » Gli
fece seccamente presente la ragazza. « … che è solo grazie al mio dispotismo,
se siamo riusciti ad ottenere dei risultati, oggi. »
« Sbagliato! » Gridò il
Serpeverde alzandosi di scatto e gesticolando fanaticamente con le braccia.
« L’unica cosa che devo al tuo dispotismo è il fatto che mi siano saltati
i nervi! »
Lo vide voltarsi,
furioso, e dirigersi a grandi passi verso la porta d’ingresso. Probabilmente se
ne stava andando…
« Malfoy. »
« Che vuoi? » Sbraitò il ragazzo
girandosi verso di lei.
« Il libro. » Disse pacatamente
Hermione, allungandogli “L’unico manuale per maghi autodidatti”. « Non
vorrei che te ne dimenticassi. »
Draco tremò. I suoi
occhi si iniettarono di sangue: un lampo d’incontenibile odio li attraversò. Lo
vide per un attimo incerto: ucciderla o andarsene insultandola pesantemente?
Credeva fossero queste le opzioni tra le quali scegliere. Al contrario egli
tornò indietro, afferrò brutalmente il libro e solo dopo se ne andò in
silenzio, sbattendo la porta dell’abitazione con una forza tale che i cardini
di ferro cigolarono.
Se
n’è andato…
Non si sorprese per la
meravigliosa sensazione di leggerezza e gioia che provò nel rendersene conto.
Se n’era andato! Che meraviglia! Niente più urla strazianti, niente più insulti
assurdi, niente più occhiate assassine. Basta, tutto finito! Inspirò
profondamente, sempre più soddisfatta della scoperta, e rimase qualche minuto
immobile, immersa nell’incantevole silenzio che solo a quel punto si era
impossessato di quella stanza.
Un silenzio di cui
avrebbe potuto innamorarsi se solo Hagrid non l’avesse nuovamente infranto,
entrando irruentemente nell’abitazione e facendo nuovamente cigolare i cardini
di ferro battuto dell’ingresso.
« Sono tornato! » Annunciò
perentoriamente. Il cipiglio minaccioso con cui parlò le fece supporre che
credeva di trovare anche Draco ad attenderlo. E infatti, dopo aver misurato la
stanza con sguardo sospetto, il Mezzogigante aggrottò la fronte e domandò
confuso: « Dov’è Malfoy? »
« Se n’è andato proprio poco
fa. » Rispose tranquillamente, con un’alzata di spalle.
« Bene! » Esclamò Hagrid con
decisione, chiudendo la porta alle sue spalle. « Meno hai a che fare con quel tipo, meglio è. »
« Non vorrei deluderti, Hagrid,
ma con quel tipo dovrò averci a che fare piuttosto spesso dato che
ho accettato di dargli ripetizioni di Pozioni. » Replicò Hermione con un
sorriso tra il consapevole e il rassegnato.
« Ecco… » Borbottò cupamente
Hagrid, sedendosi davanti a lei. « E’ proprio questo che non capisco:
perché tu abbia accettato di aiutarlo. Avresti dovuto lasciarlo bollire nel suo
brodo! »
« Se ti può consolare comincio a
credere che avrei dovuto farlo davvero. » Commentò la ragazza in un
sospiro.
In effetti, nonostante
sul momento non avesse riscontrato alcun segno di eccessiva insofferenza, a
quel punto si rendeva ben conto di quello che erano realmente state quelle due
ore di studio con Malfoy. Sfiancati? Allucinanti? Pazzesche? Spaventose? Le
venivano in mente una serie infinita di aggettivi e non aveva la forza
materiale di sceglierne uno appropriato. Era praticamente sfibrata, totalmente
spossata, globalmente sfinita.
E pensare che di
resistenza lei ne aveva sempre avuta da vendere…
« Puoi sempre farlo ora. »
Intervenne ad un tratto Hagrid, diventato improvvisamente entusiasta.
« Vai da Piton e digli che non vuoi più aiutare la sua pupilla. »
« Assolutamente no! » Rispose
prontamente Hermione, scotendo il capo con in viso un’espressione vagamente
indignata e cominciando a borbottare sommessamente, incrociando le sopracciglia
in segno di offesa. « Non mi piace prendere un impegno e poi non riuscire
a portarlo a termine. » Storse le labbra in una smorfia. « Mi fa
sentire incapace. »
Ovvero, una delle
sensazioni più insopportabili in assoluto!
Era come sentirsi
addosso un prurito fastidioso che per quanto lo si gratti non se ne va mai via.
Come avere sul palato il sapore impossibile del calcificante per denti che per
quanti gelati si mangi persiste per giorni. Come ricordarsi dell’unico voto al
di sotto della O che aveva preso l’anno prima che, per quante E avesse potuto
prendere, sarebbe sempre stato uno macchia incancellabile nel suo curriculum
vitae!
Dannazione, quella
maledetta A! Quanto aveva imprecato per quel voto osceno! Quante parole
sconosciute aveva inventato per dar voce alla sua rabbia! E tutto perché? Beh,
ovviamente perché “Mister Tatto” aveva
deciso di farle saltare i nervi proprio il giorno prima del compito di Pozioni!
E Piton ci era andato a nozze, naturalmente! Aveva avuto O come G.U.F.O.! Una
miserissima O! Ed era tutta colpa di Ron! Quello stupido di Ron!
Sì…
Ron…
Quello
stupido…
« Hermione. » La richiamò Hagrid
passandole una delle grossi mani davanti alla faccia. « Tutto bene? Hai un
faccia strana. »
Sollevò lo sguardo sino
a che non incontrò quello del guardiacaccia. Lo scoprì colmo di preoccupazione
per il suo turbamento. Una preoccupazione densa di innocenza, di ingenuità. Una
preoccupazione disinteressata che sembrava avvolgerla in un manto sottile di delicata
pacatezza. Perché lui era… una persona splendida. La più buona, probabilmente,
che avesse mai conosciuto: si preoccupava costantemente per lei, con una
dedizione incredibile, pressappoco amorevole… quasi paterna.
E pensando a questo,
mentre vedeva riflessa la sua immagine in quegli occhi corvini che la
guardavano insistentemente, pensò ancora una volta che non poteva davvero
sentirsi ancora triste. Che non poteva davvero sentirsi ancora… sola. Ma non
per correttezza. No, perché pensarlo per correttezza sarebbe stato davvero
ingiusto nei confronti di una persona tanto meravigliosa. No, sarebbe stata
bene per gratitudine. Per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei
da quando era scesa per la prima volta da quel treno fatato che ogni anno, il
primo di Settembre, partiva da King Cross, al binario 9 e ¾ . Per aver sempre
aperto la porta di quella sua minuscola casupola e averla sempre fatta entrare.
Per averla sempre ascoltata e aver sempre avuto fiducia nelle sue capacità. Per
averci sempre creduto, forse, più di chiunque altro.
Per non essersene mai…
andato.
E per essere sempre
stato parte di quel mondo incantato che era Hogwarts. Quel mondo magico e
meraviglioso che…
Anche se prima lo era di
più.
… sarebbe sempre stato
speciale.
« Si, Hagrid. Non
preoccuparti. Va tutto benissimo. »
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***
*** ***
Mercoledì
13 Novembre. Ore 7.14
Hogwarts. Sala Grande.
Agguantò con foga la
caraffa colma di latte e ne versò un po’ nella propria scodella. Poi prese il
barattolo di marmellata all’arancia che troneggiava alla sua destra, vi immerse
il coltello e cominciò impazientemente a spalmarne il contenuto su una delle
sette fette di pan carré incolonnate l’una sull’altra sopra un piattino su cui
a stento stavano in equilibrio.
Mentre stava ricoprendo
di marmellata la terza fetta con la coda dell’occhio vide una porzione di
crostata nel piatto del ragazzo seduto di fronte a lui. La scrutò torvamente
per qualche secondo, cercando di capire di cosa fosse. La scorza e il colore
opaco gli parvero inconfondibili: era all’arancia. Lasciando all’istante sia il
coltello sia la fetta di pane, che cadde rovinosamente sulla tovaglia bianca,
scattò in avanti e afferrò la fetta di crostata, ficcandosela direttamente in
bocca.
La reazione di Theodore,
l’originario proprietario della torta, non si fece attendere:
« Dannazione Draco! Era la mia
torta! »
Il compagno di casa non
gli prestò attenzione. In compenso, dopo qualche attimo, fece una smorfia
disgustata e sputò di colpo ciò tutto che aveva in bocca, rigettandolo in parte
sul tavolo, in parte sul pavimento, in parte sulla faccia stessa del ragazzo
che gli stava dinnanzi. E prima che questi potesse dire alcunché, fu Draco a
sbottare sdegnato:
« Ma questa non è crostata
all’arancia! »
« No, infatti. » Replicò
seccamente Theodore, pulendosi il viso con un tovagliolo.« E non capisco come
tu abbia potuto pensare che io avessi nel piatto una simile schifezza! Qui
dentro sei l’unico che riesce a mangiare quella roba. »
Draco gli lanciò uno
sguardo truce, grugnendo in senso di profondo risentimento per il modo in cui
aveva definito la sua adorata crostata all’arancia. Il suo comportamento
acidulo era inoltre un losco tentativo di indurre il Serpeverde a desistere dal
fargli osservazioni che da due giorni a quella parte gli erano state fatte con
una frequenza a dir poco irritante. Osservazioni sul suo umore e sul suo
aspetto. Il primo assolutamente nero, il secondo terribilmente sciupato. E
certo lui non negava avessero ragione, ma parlarne non avrebbe fatto che
nuocergli. Pensava già abbastanza alla ragione del suo stato senza che qualcuno
si sforzasse di estorcergli informazioni al riguardo. Senza contare il fatto
che non c’era neanche una di quelle attenzioni che non gli fosse rivolta a
unico scopo convenzionale.
E in quei giorni quel
genere di cortesia voleva risparmiarsela.
Il ragazzo seduto di
fronte a lui, però, non si fece intimidire tanto facilmente…
« Quando la smetterai di parlare per
grugniti e fare quella faccia da cazzo ogni volta che ti si rivolge la parola?»
Gli disse anzi, cupamente. « E’ da almeno un paio di giorni che sei
diventato più intrattabile del solito. » Accartocciò il tovagliolo nella
propria mano, con fare scocciato. « Anche se è insopportabile per te farti
aiutare dalla Granger non dovr… »
« Lei non mi sta aiutando! »
Lo interruppe all’istante Draco, ingoiando a forza il boccone che stava
masticando. « Lei mi sta torturando! E’ completamente diverso! »
« Oh avanti… » Cercò di
sdrammatizzare Theodore, sforzandosi di riderci su, con l’intenzione di
quietarlo. « Non può essere così male… »
« Non può – essere – così – male?”
Scandì le parole una ad una, mentre la mascella si contraeva duramente e
un’aura minacciosa si addensava intorno a lui. Il suo volto pareva contratto in
un’espressione di sfrenata ira repressa. « Ti spiacerebbe ripetere? »
« N-non ho detto niente… » Balbettò
Theodore terrorizzato, scuotendo meccanicamente il capo e spostandosi
fugacemente di un posto sulla sinistra.
« Buon per te… » Sibilò Draco,
glaciale.
Non poteva essere così
male? Non poteva essere così male?! Che imbecille! Come aveva potuto
dire una cosa simile? Come aveva anche solo potuto pensarla? Gli avrebbe
concesso la grazia di essere semplicemente un idiota e non un imbecille se solo
non avesse detto quell’assurdità e si fosse limitato ad infastidirlo con la sua
presenza!
C’era anche da dire che
nessuno avrebbe mai potuto immaginare che mostro potesse celarsi dentro quella
mocciosa alta un metro e un tappo, con i capelli a cespuglio e le spalle
ingobbite. Lui stesso, infatti, aveva stentato ad ammetterlo a se stesso
persino quando i primi presentimenti infausti si erano insinuati nella sua
testa, mettendolo in guardia. Ma si era comunque dovuto ricredere. Oh sì…
eccome se si era dovuto ricredere! Perché quella era davvero un mostro.
Un’arpia senza religione con la raccapricciante mania di sfogare i suoi istinti
da aguzzina sugli altri!
« Hermione!
Hermione, vieni a sederti qui! »
Un brivido gelido gli
percorse la schiena.
Istantaneamente si
rintanò sotto il tavolo: quel nome… quel nome raccapricciante… era il suo.
Sentì una scia di
risolini espandersi per la sala, ma non vi prestò attenzione, convincendosi che
li avrebbe bruciati tutti quanti, uno per uno, prima o poi, ma che in quel
momento doveva preoccuparsi solamente di restare nascosto sino a che lei fosse
rimasta in sala.
Si rendeva ben conto che
quel suo ridicolo atteggiamento minava le basi dell’egregia reputazione che lo
contraddistingueva dal resto di quella insulsa plebe, ponendolo quasi al loro
livello. Ma, del resto, la sua sopravvivenza veniva prima di tutto. E per
sopravvivere doveva stare il più lontano possibile da Hermione Granger.
A ricostruirsi la sua
beneamata reputazione ci avrebbe pensato solo dopo che quel lungo periodo di
torture si sarebbe concluso. Solo dopo che avrebbe potuto dire con orgoglio che
quella che era ormai diventata la sua nemesi naturale non infestava più le sue
preziose giornate.
Si convinse che doveva
essere questo lo spirito con cui avrebbe dovuto affrontare quella lunga agonia.
Ma due giorni dopo, al termine degli allenamenti al campo di Quidditch,
qualcuno si premurò di ricordargli che oltre alla sua sopravvivenza avrebbe
dovuto preoccuparsi anche di altre cose…
« Draco, scusa,
posso parlarti un attimo? »
Voltatosi lentamente
verso chi l’aveva chiamato, seguitò a fissarlo con lugubre disprezzo, cercando
di trasmettergli con lo sguardo l’assoluto rigetto fisiologico che gli
procuravano la sua proposta e, più generalmente, la sua presenza.
La questione era che,
dal suo modesto punto di vista, Adrian Pucey era una delle persone più
sgradevoli che avesse mai conosciuto. Nutriva un disgusto autentico per lui, un
disgusto che era generato da tre ragioni fondamentali.
Prima ragione: era il
capitano della squadra di Quidditch della casa di Serpeverde, carica che, con
ogni diritto, avrebbe dovuto avere lui. In primo luogo perché era decine e
decine di volte più bravo di quell’incapace. In secondo luogo perché quel
ragazzino insopportabile non aveva per niente la stoffa del leader: era
disgustosamente gentile, disgustosamente comprensivo, disgustosamente educato.
Non aveva un minimo di amor proprio, né tanto meno di orgoglio o fierezza.
Senza contare che c’era in lui qualcosa di troppo buono perché non gli stesse
sui nervi a pelle.
Quando l’aveva visto per
la prima volta, con quel suo mezzo sorriso sonnolento, si era chiesto per quale
oscura ragione quell’idiota di un mezzo cappello muffito l’avesse mandato a
Serpeverde.
Seconda ragione: era un
fallito figlio di falliti. Una volta aveva conosciuto sua madre: una grassa
donnaccia, mielosa e appiccicosa, con una voce profonda e traballante, la cui
ciccia, a ogni movimento, tremolava disgustosamente. Specie quella del doppio
mento. Un vero supplizio per gli occhi. Il padre, comunque, se possibile, era
anche peggio: piccolo, basso, magro, con degli occhi da insetto e la fronte
alta, totalmente succube di quel titano di sua moglie, che parlava balbettando
e vestiva da elfo domestico.
Un uomo insignificante,
in poche parole.
Terza ragione: sebbene
la sua incapacità come capitano fosse ormai completamente assodata, Adrian si
atteggiava a grande guida fisica e spirituale, impartendo ordini assurdi e
snocciolando consigli pietosi. Pietosi almeno quanto quello per cui desiderava
parlargli.
L’unico motivo per cui
acconsentì a seguirlo fu semplicemente perché, purtroppo, le persone che
avevano potere decisionale in quella scuola si erano rivelate talmente inette
da avergli affidato l’autorità di buttarlo fuori dalla squadra quando più gli
pareva. E di essere buttato fuori non aveva nessuna intenzione. Che fosse la
squadra, la scuola, o persino casa sua non era poi importante. L’importante era
che nessuno lo buttasse fuori.
Men che meno un simile
imbecille!
« Si può sapere cosa ti prende in
questi giorni, Draco? » Esordì Adrian, una volta che furono soli.
Lo scrutò con fastidio
per qualche attimo.
« Niente. » Replicò bruscamente.
« Niente, eh? » Ripeté scettico
il capitano, inarcando un sopracciglio.
« Già, niente. » Grugnì arcigno.
Ma perché doveva parlare proprio con lui? Perché?
« Eppure qualcosa ti deve essere
successo per forza, perché tutto di colpo sembri un totale incapace sulla
scopa. » Constatò seccamente Adrian, guardandolo dritto negli occhi.
« Incapace?! » Ruggì Draco,
serrando la mascella e stringendo i denti al massimo, quasi frantumandoseli. Il
tutto per non saltargli addosso e staccargli il naso a morsi! « Io, Incapace?! »
« Non ho detto che lo sei, Draco. Ho detto
che lo sembri. » Puntualizzò asciutto Adrian, guardandolo con
un’espressione insopportabilmente dotta. « Non voglio offenderti. Voglio
solo capire se devo cominciare a cercare un nuovo cercatore che giochi la
prossima partita al posto tuo. »
« Ma non provarci neanche! »
Tuonò Draco allibito, lanciandogli uno sguardo sdegnato. « Anche se ho
altre cose per la testa questo non significa che tu possa sostituirmi a tuo
piacere! »
« Quali cose? »
Gli puntò gli occhi in
faccia, contrariato: che cavolo voleva dire?
« Quali cose hai per la testa? »
Ripeté Adrian, spiegandosi meglio. Ma, per la sua incolumità, avrebbe fatto
meglio a non spiegarsi affatto.
Quali cose ho per la
testa?!
Ah, perfetto, oltre che
incompetente quell’imbecille era anche un ficcanaso! Questa sì che era una
fortuna! Scosse il capo con insofferenza, picchiettando impazientemente il
piede per terra e sbattendosi violentemente una mano sulla faccia: ci mancava
solo quello nella sua vita!
« Allora… » Insisté Adrian
imperterrito e facendo un passo in avanti. « Quali cose? »
« Affari miei! » Scattò acido,
con lo sguardo pieno di disprezzo che fissava insistentemente il compagno di
casa, mentre con un rapido passo all’indietro si preoccupava di ampliare la
distanza tra loro.
« Veramente sono anche affari della
squadra se ti fanno giocare male. » Controbatté di rimando Adrian,
fronteggiandolo con lo sguardo severo. « Chi mi dice che non sarai allo
stesso punto di adesso, tra tre settimane, contro Corvonero? »
« Te lo dico io! » Dettò
freddamente. « E questo deve bastarti! E ora, se non ti dispiace,
io me ne vado! »
Anche perché l’indomani
lo aspettava una giornata massacrante!
E definirla
“massacrante” era niente più di un indebito eufemismo: lo aspettavano quattro
ore ininterrotte di ripetizioni con Hermione. Un programma troppo
fatale per potersi permettere di rimanere a discutere su qualunque cosa con
chiunque. Su quelle stupidaggini e con quel fallito, poi!
Perciò, lasciando Adrian
a crucciarsi nel dubbio che non fossero venuti a capo di nulla e che una simile
situazione di stallo non potesse che nuocere alla squadra, alzò i tacchi e se
ne andò.
Il suo obbiettivo era
allontanarsi dal compagno di casa il più possibile e nel minore tempo
possibile. Stabilire un record, se non era troppo. E rifugiarsi tra le
confortevoli braccia del suo dolce letto a baldacchino. Con quel suo materasso
soffice… Quelle sue coperte setose… Quel suo cuscino morbido… Il solo pensiero
bastò a inebriargli la mente.
Tornò tuttavia
completamente sobrio nel scorgere chi si era appostato all’uscita del campo.
Per lo stupore, più che altro. Perché in effetti tutto si sarebbe aspettato
piuttosto che veder in quel luogo Blaise Zabini. L’unico studente di tutta
Hogwarts che nutrisse una vera e propria avversione per tutto ciò che
concerneva il Quidditch.
Dall’espressione che il
compagno di casa fece nel vederlo comparire, inoltre, ebbe la demoralizzante
impressione che fosse lì per lui. Cosa che confutò proprio quando Blaise lo
salutò gioiosamente:
« Ehilà, Draco! Giusto te
cercavo! »
Oh no, non anche lui!
Decise: se anche Blaise
si era presentato con la folle intenzione di enunciargli la propria visione
della sua situazione fisica e mentale… beh, allora si arrendeva in partenza.
Non aveva la forza materiale per opporsi. In particolar modo, non a Blaise. Il
ragazzo più scaltro e intelligente che avesse mai conosciuto.
« Che vuoi? » Domandò con un
tono strascicato, tra il supplichevole e lo stravolto.
« Ah. » Dedusse Blaise in un
mezzo sogghigno, mentre si avvicinava. « Ce la passiamo piuttosto
male. »
Draco tacque, ma gli si
rivolse con un’espressione piuttosto eloquente e Blaise la intese. Questo non
gli impedì di ridacchiare malignamente. Anzi, forse fu proprio questo ad
incitarlo a ridacchiare perfidamente. Sarebbe stato tipico di Blaise.
Gli scoccò uno sguardo
stanco, ma evidentemente scocciato, e considerò aspramente:
« Sembri divertito dalla cosa… »
« Un po’. » Ammise Blaise con
disinvoltura. « E’ bello vederti in difficoltà. »
« Ad ogni modo non sono qui per
questo. » Soggiunse tranquillamente l’altro, avvicinandosi un poco di più
a lui.
Draco gli rivolse una
smorfia insofferente e domandò cauto:
« E allora per cosa? »
« Potrebbe darsi… » Rispose vago
il compagno di casa. « … che sia per darti una bella notizia. »
« Una bella notizia? » Ripeté
ironicamente, aggrottando la fronte con evidente sfiducia.
Che bella notizia poteva
esserci?
L’unica abbastanza
piacevole che gli veniva in mente era che Blaise avrebbe preso il posto di
Hermione Granger nel dargli ripetizioni di Pozioni. Ma quello era impossibile.
Quel ragazzo non avrebbe mai fatto una cosa tanto caritatevole. Né per lui. Né
per nessun altro. E poi Blaise poteva anche essere un genio. Un genio a
infinocchiare i deficienti di quella stupida scuola. Un genio a cavarsela in
ogni situazione e uscirne sempre pulito. Un genio a portare avanti la sua vita
in un paradiso di calma che si era costruito senza sforzo. Ma aveva comunque
un’unica significativissima pecca: era un assoluto incompetente in pozioni.
Considerato questo, non
vedeva come potesse portargli buone notizie.
« Non mi credi, Draco? »
Continuò Blaise desumendo dalla sua espressione quelli che dovevano essere i
suoi pensieri. « E invece si tratta proprio di una bella notizia. »
Gli rivolse un ampio sorriso, in cui, però, intravide un’inquietante
screziatura diabolica. « Altrimenti non vorrei condividerla con il mio
compagno di casa preferito. »
Non poté fare a meno di
impallidire.
Un’affermazione del
genere – accompagnata da quell’espressione, tra l’altro – poteva significare di
tutto. Magari che nel giro di qualche settimana l’avrebbe ucciso. Naturalmente
poteva anche voler dire tutt’altro. C’erano infinite possibilità. Del resto si
trattava di Blaise: qualsiasi altra cosa avrebbe voluto dire non sarebbe stata
comunque meno preoccupante.
Ignorando la voce
mentale che gli diceva di fuggire il più lontano possibile anche da
Blaise, decise per lo meno di rendere quell’agonia il più breve possibile.
« Avanti. » Cercò di tagliar
corto. « Dimmi quello che mi devi dire e finiamola qui. » Via il
dente via il dolore, no? Si diceva così, di solito.
« Non posso dirtelo in questo modo:
sarebbe troppo semplice. » Contestò beffardo Blaise. « Potrei darti
degli indizi, però. »
Ecco, quello avrebbe
dovuto aspettarselo da Blaise. Infondo a lui quel genere di ridicole cacce al
tesoro a indizi erano sempre piaciute particolarmente. Soprattutto per il fatto
che era l’indiscusso conduttore del gioco.
« … fa un po’ come ti pare… »
Assentì esausto, traendo un lungo e profondo respiro.
Probabilmente, quello
era l’unico modo che Blaise conosceva per tagliar corto. O comunque era l’unico
che voleva dimostrare di conoscere in quel momento. Il che, comunque, per lui
non faceva molta differenza.
« Bene! » Esclamò festosamente
il Serpeverde. « Allora eccoti il primo indizio: si tratta di Potter e
Weasley. »
Ah! Perfetto!
Ora si che l’aveva
convinto che fosse una bella notizia! Se c’entravano loro due poteva anche
stare tranquillo!
Ma era fuori di testa?!
Quei due erano le persone che detestava di più al mondo! Loro, il loro
carattere da sciovinisti incalliti e la loro nauseabonda amicizia! Che
ovviamente consumavano in simbiosi con la loro immancabile compagna di
disavventure. L’ultimo elemento di quel terzetto repellente. L’insignificante
tirapiedi che seguiva ossequiosamente le due nullità, accollandosi
remissivamente la responsabilità di mettere a posto i loro casini. La loro fan
più accanita.
In poche parole, colei
che era riuscita a fare della sua devozione per loro uno stile di vita:
Hermione Granger.
Sentì un conato di
vomito salirgli in gola.
Riflettere
sull’esistenza di quelle tre inutili vite gli faceva sempre quell’effetto.
Inoltre, lo sfregiato senza macchia e senza paura e il suo cagnolino
lentigginoso avrebbero ripreso a rompergli le scatole di lì a qualche giorno.
Quando sarebbero tornati da non voleva sapere dove per non voleva sapere cosa.
Come aveva detto quel vecchio rugoso di Silente. E prima di allora,
onestamente, non voleva sapere proprio niente di loro. Perciò che Blaise
volesse trattenerlo o meno per il suo show di indovinelli, lui quella notizia
non voleva sentirla!
« Ho cambiato idea: non mi interessa.
Non voglio saperne niente. Preferisco che tu non mi dica nulla. »
« Ne sei convinto? » Insisté Blaise
imperturbabile, fissandolo leggermente più freddamente. Assumeva un’espressione
più dura quando qualcuno non stavano ai suoi ridicoli giochi. « Eppure io
ti assicuro che questa non vorresti davvero perdertela. »
« E piantala! » Sbottò Draco
seccato. Si era talmente innervosito al ricordo del ritorno di quei due che
neanche l’idea di una possibile vendetta di Blaise gli faceva paura.
« Cosa vuoi che me ne freghi di Potter e Weasley?! »
Ma a questa secca
obiezione Blaise non rispose indurendosi. Al contrario, le labbra sottili del
ragazzo si storsero in una mezza smorfia divertita. E gli scuri occhi a
mandorla fiammeggiarono malevoli. Si stupì a provare un certo senso di
repulsione nel guardare quella sua strana espressione. Ma l’obbiezione che Blaise
gli rivolse gli fece dimenticare immediatamente quella sensazione:
« Non te ne frega neanche di sapere se
tornerannoa Hogwarts? »
Registrò nella mente
quella frase e la risentì lentamente, decifrandone attentamente ogni parola.
Si girò verso di lui,
squadrandolo con sospetto e, del resto, anche un poco di aspettativa: per
quella volta delle cose che riguardavano Potter e Weasley gliene sarebbe potuto
fregare qualcosa.
Siete rimasti delusi,
non è vero?
Beh, mi dispiace moltissimo,
naturalmente, ma è meglio che vi disilludiate subito, così non sarete costretti
a leggere i molti altri capitoli di
questa fanfiction in cui non ci sarà
un’evidente nota sentimentale. Lo ripeto continuamente, in modo che non sfugga
a nessuno.
Ora, dubbio esistenziale
n° 1356: la marmellata della crostata che Draco ha supposto fosse all’arancia
in realtà a che cos’era? Mio fratello ha accortamente dato la risposta giusta:
all’albicocca. Il colore è identico e le confetture hanno i pezzi… morale della
favola: mio fratello è un genio, mentre io, che quando mi è stata posta questa
domanda da brava ebete ho risposto che non era importante, sono tutto il
contrario. Seconda morale della favola: ogni cosa ha importanza.
Dopo avervi trasmesso la
mia scoperta e avervi infuso la conoscenza, propongo i miei ringraziamenti a
tutti coloro che hanno letto e commentato (o anche solo letto) il prologo di
“The Draco anche Hermione’s Opera”.
Super
gaia. Ho aggiornato abbastanza presto? Tra l’altro,
penso che lo farò ogni lunedì e, credimi, da parte mia è davvero uno sforzo insperato… ho fatto anche aspettare mesi
e mesi prima di aggiornare alcuni capitoli di altre storie. Sono contenta che
ti piaccia il mio stile e la mia fanfiction, anche perché, in fin dei conti, ci
ho investito parecchio. Sia a livello di tempo, che di aspettative. Diciamo
pure che è una delle storie a cui tengo di più
Isabell.
Hai un bellissimo nick, sai? Quando scrivo qualche storia fantasy c’è
sempre una Isabel. Di solito è un gran bel personaggio. Una gran donna, in
poche parole. Per quanto riguarda la tua convinzione che Draco ed Hermione si
metteranno presto insieme ti invito a
confidare nel tuo ottimismo. Io, al contrario, sono ancora molto scettica
riguardo la mia bontà, e molto più sicura del mio sadismo... spero di riuscire
a reprimerlo almeno per la fine della fanfiction e regalarti una bella
conclusione zuccherosa. Ci riuscirò davvero? Mah, chissà!
La
Demenza. Anche tu un nick bellissimo, ma per altri e molto
più ovvi motivi. Comunque, tralasciando il nick, non c’è bisogno che io mi
dilunghi in spiegazioni riguardo cosa penso del tuo commento: la nostra
capacità telepatica ormai ha raggiunto il 100%. E per ovviare a possibili
intoppi di comunicazione abbiamo sperimentato che macchina intelligente e
favolosa sia il telefono, vero? Ok, ultima cosa: per chiunque stia leggendo
queste righe dedicate a – rullo di tamburi – Bianca, l’essere stupidissimo e
monocellulare in cui è identificata l’ente chiamato “mia migliore amica”,
sappia che è al fatto che l’ho conosciuta che ho potuto scrivere questa
fanfiction. Il merito perciò è anche suo.
Giugizzu.
Caspita ma qui tutti avete nick favolosi! Sai, ho cominciato da poco
una storia legata al mondo dei ninja, spronata dalla lettura di Naturo e
Basilisk, e mi sono scaricata una specie di dizionario giapponese per comporre
le tecniche dei miei personaggi. Giugizzu, oltre a ricordarmi Matrix e
quant’altro, mi fa venire in mente anche Jutsuu, che è praticamente la parola
che uso di più! Ok, sto dicendo stupidaggini… scusa: quando mi metto a parlare
di cose che riguardano quello che scrivo non ragiono più! Tornando alla tua
recensione… supponi che Harry e Ron siano stati reclutati per un addestramento,
o comunque siano diventati Auror, giusto? Caspita! Vorrei tanto dirti se hai
ragione a torto! Eppure temo dovrai essere paziente, per scoprirlo…
Kitty84.
Hai ragione: è una vita che non ci si sente e che non ti trovavi a
leggere qualcosa di nuovo scritto da me. Per l’aggiornamento mancato di Natale,
chiedo venia, per l’aggiornamento settimanale di questa fanfiction, chiedo ancora una volta credito. Confido nei
lettori che, come te, hanno deciso di darmene a tempo indeterminato. Cosa farei
senza di voi?
FraFra.
Io e te andremo molto, molto d’accordo:
Draco ed Hermione si desidereranno fino allo sfinimento, tanto che ci metteremo
tutti le mani nei capelli ad un certo punto, pensando a quanto io abbia preso
alla lettera la tua speranza e il tuo implicito consiglio. No, scherzo, mi
assumo ogni responsabilità per possibili asfissie future: è tutta opera mia. E
comunque attenzione, ecco la mia minaccia: “The Draco and Hermione’s Opera”
sarà peggio di Beautifull! (E sotto
certi – molti – aspetti, spero, anche meglio. ^_^)
Hermione.
Semplice ed esplicativo. Indovina un po’, mi piace anche il tuo nick.
Sarà che è di una delle mie eroine! Ti sei lanciata in complimenti devastanti e
hai fatto supposizioni intelligenti, inoltre hai menzionato il carattere dei
personaggi, cosa a cui io tengo molto, e anche lì ti sei dilungata in grandi
lodi (almeno, credo lo fossero). Felicissima di esserti piaciuta come autrice e
di averti emozionato con il primo capitolo di questa fanfiction, sebbene tu ti
sia definita una persona selettiva. Spero di essere all’altezza della tua
considerazione anche in seguito.
Ithil.
Questo lo posso dire, siccome ci sono anche tutti gli elementi per
capirlo: Ron non è morto. Mi dispiace
per chi sperava lo fosse, perché immagino la sua delusione (stessa delusione
della sottoscritta quando J.K.Rowling ha deciso che Hermione non doveva essere
il personaggio principale della storia, e Draco il suo partner fisso). Ad ogni
modo, mi fa molto piacere che siamo d’accordo sul carattere di Draco: lui e il
romanticismo sono due cose differenti, e, per quel che mi riguarda, continueranno ad essere tali.
Sabry.
Neville… che puccioso! Sono contenta che ti piaccia! Piace anche a me,
e avrà vendetta! Purtroppo non posso dirti cosa accadrà, ma Neville sarà un
personaggio attivo in questa fanfiction, con mia somma gioia, per altro. COO…
mh, interessante, cosa vuol dire? Perdonami l’abissale ignoranza e illuminami,
ti prego!
Nightmare.
Te lo chiedo spesso, ti assillo letteralmente con questa domanda, ma,
del resto, mi è impossibile non portela: cosa farei senza di te? Sapere che esisti,
che ci sei, è profondamente confortante per me. Ogni volta che metto on-line un
capitolo penso al fatto che, sicuramente, tu commenterai… e la cosa mi
tranquillizza come neanche immagini. Io non sono così affidabile: quante volte
non ho lasciato neanche un commento per i tuoi capitoli, benché volessi,
naturalmente? O ho lasciato in sospeso quelli che avrei dovuto farti in msn,
benché, anche lì, ci tenessi? Direi… infinite. Infinite volte. Eppure tu hai
sempre persistito nella tua gentilezza, ribadendo anche e ripetutamente che non
si tratta di gentilezza, perché viene
da te recensire quanto scrivo, è un tuo… desiderio? Posso dire desiderio? Non è
equivoco, vero?^_^ Ecco, per tutto questo io ti ringrazio ancora una volta.
Tornando a noi, e per noi intendo il significato più stretto del termine,
perché quello più ampio ha un’altra sede di discussione – mh, bell’espressione:
penso che la userò! – ti ho già spiegato perché ho cambiato titolo: questo è
molto più altisonante e pretenzioso, più… “Draco e Hermione”, capisci? Il
legame che voglio abbiano in questa fanfiction si riflette nel titolo che ho
definitivamente scelto di usare. La storia della sua scoperta è ancora nitida
nella mia testa: è stata una folgorazione durante una lezione di inglese: la
mia insegnante stava parlando di John Gay e di The Busker’s Opera. Niente mi è sembrato più azzeccato e perfetto
per la mia storia: me lo sono segnato sul mio quaderno degli appunti – che è un
curiosissimo concentrato di appunti su un po’ tutte le materie e, per la
maggior parte, di schizzi, dialoghi e trame delle più disparate storie – e a
casa ho corretto su Word. E’ stato qualcosa di estremamente soddisfacente. Ed è
stato altrettanto soddisfacente leggere che tu pensi che questa storia sarà
anche più bella di You are my angel… io lo spero così
tanto! Mi hai dato ancora una volta nuovo
coraggio per affrontare… diciamo tutto.
E mi riservo di spiegarti cosa voglia dire tutto
in separata sede – altra frase piuttosto intrigate: userò anche questa. Per
quanto riguarda il fatto che recensirai sempre e che mi vuoi bene… beh, non
posso che ringraziare di nuovo, ti pare?
Kia91.
Oh si! Ti capisco: anche io ho davvero bisogno capirci qualcosa in più.
In realtà sono anche io molto preoccupata di non riuscire a sbrogliare tutto
quello che ho in testa, ma una cosa è certa: vorrei che voi non vi preoccupaste
troppo di quello che sembra il mistero principale di questa
fanfiction, ovvero dove siano finiti Harry e Ron. In realtà il mistero
principale è la capacità che hanno Hermione e Draco di darsi qualcosa a
vicenda. Su quello state pure in apprensione finché volete: è anche il mio massimo cruccio!
Silvix.
Che piacere trovarti anche qui! Allora ti sembra fantastica questa
fanfiction? Bene, bene: sono proprio contenta. Ovviamente il mio intento è che
risulti esattamente tale. Felice di sapere che per te è così! Felicissima,
anzi. Che dici? Mi seguirai con calma e pazienza anche per questa lunghissima
fanfiction? Ti preannuncio che nel mio immaginario sono almeno una trentina di
capitoli. Che fai? Molli e resisti?
JessicaMalfoy.
Presto… presto quanto? Io avevo in mente più
o meno ogni lunedì, giorno più, giorno meno, perché è l’unico di tutta la
settimana in cui non debba lavorare. Dici che potrebbe andare bene? Per me
sarebbe perfetto, così intanto mi porto avanti: per ora l’ho scritta solamente
fino al quinto capitolo e sto lottando strenuamente con il mio computer
affinché mi faccia continuare a scrivere anche gli altri. Per ora siamo pari:
io riesco ad aprire il file ma lui riesce subito a chiuderlo. E’ una situazione
di stallo, ma dalla mia parte ci sono anni di esperienza. Sono sicura che
riuscirò a spuntarla!
Eva-elamela.
Ah, guarda, le cose stanno così: Malfoy è
stronzo di natura, e la natura è irreversibile. Io non mi ci posso mettere
contro. E poi c’è anche da dire che parte del suo fascino deriva proprio dalla
sua stronzaggine, perciò sarebbe un sacrilegio estirparla dalla sua indole.
Decisamente, Malfoy deve restare Malfoy. Infondo ci sono un sacco di altri
aspetti del suo carattere e della sua vita su cui potersi sbizzarrire: perché
privarlo del suo più grande pregio e peggior difetto? Sarebbe a dir poco
disastroso persino ai fini della storia.
Et dulcis in fundo… Adbarg
the dancer. Volete
sapere chi è questo dolcissimo commentatore? Ma niente popò di meno che
mio fratello! Il mio vero fratello! Devo essere sincera: l’ho minacciato
che non gli avrei ricopiato la sua tesina per l’esame di maturità in ipertesto
se non avesse recensito ogni capitolo di The Draco and Hermione’s
Opera. Purtuttavia, Egli ha ammesso pubblicamente che non gli
dispiace leggere la mia fanfiction! E questo è meraviglioso! Ha un po’
esagerato con le “sporche menzogne”, come le chiamiamo noi a casa, tipo quando
ha scritto che sono una maestra dell’uso delle parole, ma del resto so
che mi vuole tanto, tanto bene (beccati questo, stronzo: ora lo sa tutto il
mondo che sei sorella-dipendente! Ah ah ah ah ah!) e che gli è piaciuto davvero
il primo capitolo della storia. Purtroppo ha ancora qualche difficoltà a capire
che Hermione è una gran brava ragazza, e che Draco non è del
tutto un perdente… ma a parte ciò, si è lasciato sfuggire che loro due sono
una coppia perfetta! Magnifico, no? Ah, Filippo… TI ADORO! (E siccome
l’ho gridato in tempo reale mentre lo scrivevo, sappiate che ha avuto un
attacco di cuore ed è rantolato a terra agonizzante… vado a dargli il colpo di
grazia!)
Capitolo 3 *** La nemesi naturale [parte seconda] ***
Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo capitolo di The Draco
and Hermione’s Opera
Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo
capitolo di The Draco and Hermione’s
Opera!
A questo punto vi prego di ricordare la precisazione sui
diritti d’autore che ho ribadito all’inizio del capitolo precedente, e mi costringo
a rinnovare per l’ennesima volta la lentezza esasperante che caratterizzerà
questa fanfiction e, più precisamente, il rapporto tra Draco e Hermione. So che
in questo modo divento noiosa, ma mi dispiacerebbe troppo se qualcuno di voi,
fosse anche uno solo su cento, si ritrovasse deluso per una cosa del genere: io
detesto che le mie aspettative su certe
questioni particolari vengano sistematicamente deluse!
Per quanto riguarda il contenuto di
questo capitolo, posso anticiparvi che Harry e Ron saranno i protagonisti della
prima parte e cominceranno a spiegare un po’ di cose della loro nuova vita. Ma soprattutto posso dirvi che è
una sola parola a determinare l’inizio del vero cambiamento per Draco e Hermione, e
quella parola si trova alla fine di questa pagina Web.
Vi
ho incuriositi almeno un po’?
Ah,
volevo anche dirvi che l’aggiornamento di settimana prossima salta: sono troppo
presa col lavoro e con la maturità di mio fratello. Perciò, il quarto capitolo
slitta a lunedì 12! (Mi spiace -_-)
The
Draco and Hermione’s Opera
3° capitolo.
La nemesi naturale [parte seconda]
***
*** ***
You
can be a dream of the grandest kind
You can withhold like it’s going out of style
You have the bravest heart that I’ve ever seen
And I’ve never met anyone who's as positive
as you are sometimes
Tu puoi essere un sogno della miglior specie
Tu puoi fingere che non sia nel tuo stile
Tu puoi avere il cuore più coraggioso che io abbia mai visto
E io non ho mai incontrato nessuno di così buono
come sei tu a volte
(Everything - Alanis Morissette) *** *** ***
Mercoledì
13 Novembre. Ore 7.32
Londra. Grimmald Place n°
12.
Camminava
frettolosamente su e giù per la stanza. Passi brevi, ritmati. Secchi.
Irritanti. Che schioccavano sul pavimento impolverato rimbombando per la
vecchia casa diroccata. Si bloccò un secondo, per lanciare uno sguardo nervoso
alla porta dimessa sulla sua sinistra, poi riprese la sua frenetica marcia.
« Ron, vuoi stare un po’
fermo?! » Sbottò spazientito il ragazzo seduto sul vecchio e rattoppato
divano posto lì vicino. « Mi stai facendo venire il mal di testa! »
« Non ci riesco, Harry! »
Replicò irrequieto, passandosi ansiosamente una mano tra i folti capelli
rossicci. « Sono troppo agitato! »
« Già beh… questo lo vedo anche da
me. » Commentò stizzito l’altro, notando con fastidio che non accennava
minimamente a fermarsi.
« E’ perché non capisco per quale
ragione debbano metterci così tanto! » Cercò di giustificarsi, inquisito
dall’espressione infastidita dell’amico. Che, tra l’altro, non capiva come
potesse starsene così tranquillo!
« Se è per questo non lo so neanche
io. » Dichiarò piccato Harry, lanciando un veloce sguardo verso la stessa
porta che aveva attirato la sua attenzione. « Ma non possiamo farci
niente. Perciò fammi il favore di sederti. »
Esitò sul posto vuoto
accanto all’amico.
In verità avrebbe
preferito continuare a girare a vuoto per la stanza. Gli dava l’idea che
l’avrebbe aiutato a rilassarsi. Del resto preferiva non discutere con Harry. Era
una di quelle cose che nell’ultimo periodo era meglio evitare. Per un’infinità
di motivi. Non ultimo dei quali il fatto che Harry non gli avrebbe risparmiato
niente: se ci fosse stato da combattere, in qualsiasi modo questo potesse
essere inteso, Harry sarebbe partito con un affondo. Avrebbe giocato per
vincere, insomma.
E, di certo, contro di
lui avrebbe vinto.
« Allora, ti siedi o no? »
Insisté il moro inarcando un sopracciglio con disappunto.
Si affrettò ad obbedire
e si sedette.
Questo, tuttavia,
proprio come aveva temuto, non lo aiutò a rilassarsi. Cominciò a torcersi
rumorosamente le dita delle mani. Si mise d’un fianco, poi dall’altro. Si
grattò la testa un paio di volte. Poi ritornò nuovamente a sistemarsi sul
divano. Accavallò una gamba, la rimise a posto. Accavallò l’altra, e rimise a
posto anche quella. Si mise le mani in tasca. Se le tolse. Se le mise sulle
ginocchia. Se le rimise in tasca. Se le ritolse. Stette anche per allungarle
per prendere uno dei verdastri cuscini posti presso i braccioli, per metterselo
dietro la nuca, ma un urlo proveniente dalla sua sinistra gli fece fare un
salto di qualche metro impedendogli qualsiasi altro movimento.
« Ma vuoi stare fermo?! »
Era Harry, naturalmente.
Ed era furioso.
« S-scusa, Harry… » Balbettò timidamente,
ritraendo lentamente la mano. « Adesso sto fermo… »
« Sì, d’accordo! » Stridé
l’amico con fervente ironia. « Però sta fermo davvero questa volta! »
« Sì, sto fermo… » Garantì Ron col
viso rosso per la vergogna.
Tanto inequivocabile che
emettere il minimo rumore a quel punto cominciò a sembrargli pericoloso. E,
restando in tema, aveva paura che Harry potesse schiantarlo se si fosse anche
solo permesso di respirare troppo rumorosamente. Cosa che costituì uno
sforzo immane per lui. Lo sarebbe costituito anche in condizioni normali,
figuriamoci in quelle! Era praticamente divorato dall’ansia: un respiro
regolare era l’ultima cosa che poteva aspettarsi dai suoi nervi. Ma tenne duro.
E per diversi attimi, anche.
Fino a quando, almeno,
Harry non ebbe la strepitosa idea di spezzare quel già precario silenzio di
propria iniziativa, facendogli venire la pelle d’oca:
« Senti, Ron… »
« Scusa! » Intervenne rapido,
prima che l’amico potesse dire altro, con in viso un’espressione profondamente
mortificata. Lo sapeva! Alla fine dei conti, i suoi nervi l’avevano fregato!
« Non me ne sono accorto! Lo giuro! Non volevo fare ancora casino! Lo
giuro! »
Harry lo guardò
interdetto per qualche attimo. Le sopracciglia inarcate. Gli occhi confusi.
Scosse il capo dopo qualche attimo, e si preoccupò di tranquillizzarlo, seppur
mantenendo un’espressione leggermente contrariata:
« Non hai fatto casino, Ron. Si vede solo che sei agitato… e volevo
dirti che secondo me non ce n’è bisogno. »
Rimase un attimo zitto,
guardandolo come tra il frastornato e l’intontito. Si era spaventato a morte
per niente. Bella roba. Stava proprio andando fuori di matto. E Harry gli stava
ancora dietro. E tentava di consolarlo, persino. Chinò il capo, affranto.
« Scusami… »
Pensò fosse doveroso
scusarsi.
Ma lo fece a torto:
Harry, che sembrava essersi calmato, a quel punto tornò dell’idea che innervosirsi
con lui fosse la cosa più giusta da fare.
« Non è che adesso devi scusarti per
tutto, Ron! » Sbottò infatti irritato. « Volevo solo provare a farti
stare un po’ più tranquillo! Tutto qui! »
« Sì, certo… » Ebbe nuovamente
l’istinto di aggiungere alla sua accorata risposta un avvilito e corposo
“scusa”, ma se lo ingoiò quando vide lo sguardo di Harry, pronto a incenerirlo
qualora l’avesse fatto.
Perché non gli piaceva
che gli altri fossero troppo servizievoli. Specie le persone che gli erano più
vicine. Come lui. Ma la verità era che di fronte all’Harry di quel periodo era
molto difficile non sentirsi automaticamente vincolati a dimostrare una certa
remissività. Non era sempre stato così, certo. Nel senso che non si era sempre
sentito così inferiore da provare l’incontrollabile desiderio di
scusarsi ogni volta che Harry apriva bocca. C’erano cose che gli aveva sempre
invidiato, questo era vero. Cose di lui che avrebbe voluto per sé. Perché
Harry, sì… era speciale. L’aveva sempre saputo. E, per dirla tutta, gli era
sempre piaciuto anche per questo. Ma l’aura di preminenza che lo attorniava da
qualche tempo a quella parte era molto diversa dal suo solito essere
speciale. Ed era inespugnabile. Per tutti. Anche per lui.
Anzi… soprattutto
per lui.
Se ci pensava era così
buffo. Buffo, che il suo migliore amico potesse apparirgli così lontano.
Irraggiungibile, addirittura. Era una cosa che non avrebbe mai detto solo
qualche mese prima. Una cosa che non avrebbe mai voluto dire.
« Ron, ma mi stai ascoltando? »
Gli domandò scocciato Harry, scrollandolo energicamente per una spalla e,
quindi, riportandolo bruscamente alla realtà.
« Eh? » Cadde dalle nuvole lui,
guardandolo come inebetito. « Hai detto qualcosa? »
« Beh sì. » Si stizzì il moro,
inarcando un sopracciglio con fastidio. « A dire il vero ne ho dette un
sacco di cose. » Le labbra si storsero in una lieve smorfia. « Ma
immagino che tu non ne abbia sentita neanche mezza. »
E prima che Ron potesse
negare vigorosamente, nel vano tentativo di convincerlo del contrario, un
rumore sulla sinistra attrasse fulmineamente loro attenzione.
Un rumore particolare:
il cigolio inconfondibile di quella porta.
Scattarono entrambi in
piedi. E questa volta riuscì a distinguere nitidamente l’opera dei propri nervi
sulla sua respirazione. Sembrava quella di un asmatico. E non conosceva alcuna
maniera per farla tornare normale. Pregò mentalmente che Harry non se ne
accorgesse.
Ma la verità era che
Harry non si sarebbe accorto di lui neanche se si fosse messo a ballare il
tango con un mobile stregato. Di questo però se ne rese conto solo quando vide
sbucare dall’antro scoperto Lupin, Moody e qualche altra vecchia conoscenza. A
quel punto, infatti, anche lui non riuscì a capire più niente. Perché erano
giunti ad un verdetto.
E se era così agitato,
era proprio per quel verdetto.
« Allora? » Domandò rapido il
ragazzo di fianco a lui. I muscoli del viso e delle spalle leggermente ma
nitidamente contratti dalla tensione. « Avete deciso? »
« Sì. » Annuì Remus, dopo
qualche attimo di silenzio.
Ci
siamo.
Provò improvvisamente
uno smodato desiderio di fuggire in Alaska. Ma non fece neanche in tempo a
ideare l’itinerario di viaggio…
« D’ora in avanti siete ufficialmente
membri dell’Ordine della Fenicie. »
Notò l’espressione e le
spalle di Harry rilassarsi placidamente. Una sorta di sorriso disegnarsi sulle
sue labbra. Lo sguardo farsi tranquillo, e diventare sicuro. Per dirlo in una
parola: soddisfatto.
Infondo, si chiese,
perché non avrebbe dovuto esserlo? Anche lui avrebbe dovuto esserlo.
Invece non lo era poi così tanto.
Perché, forse,
non era quello il verdetto che avrebbe voluto sentire.
Lupin si schiarì la gola
e fece un passo in avanti:
« Però, Harry, avremmo deciso anche
un’altra cosa. »
Vide l’amico scrutare
l’uomo con aria circospetta.
« Cioè? »
« Cioè che prima di portarvi con noi
in missione faremo passare un po’ di tempo. »
« Come?! » Esclamò Harry
allibito.
« Abbiamo le nostre ragioni,
ragazzo. » Sostenne burbero Moody.
« E quali sarebbero? » Domandò
impetuosamente Harry. Le spalle nuovamente tese. L’espressione nuovamente
contratta. Gli occhi duri come il ferro, che sfidavano con irriverenza l’uomo
di fronte a lui.
« Perché non ti siedi. » Propose
Lupin cercando evidentemente di eludere l’argomento. « Così possiamo
parlarne con più calma. »
« Non voglio sedermi! »
Insistette Harry con una voce impercettibilmente più acuta. « Voglio
sapere perché non posso venire in missione con voi! »
« Abbassa la voce, ragazzo. »
Sentenziò seccamente Moody, impedendo a Lupin di prendere nuovamente la parola.
Anche se, per quel che gli riguardava, sarebbe stato meglio se l’avesse
lasciato continuare. Aveva un tipo di approccio migliore… E Harry stava già arrivando
al limite della sopportazione. « E’ una decisione che abbiamo preso tutti
insieme. »
« E io voglio sapere perché! »
Ribadì alterato il ragazzo.
« Perché non avete abbastanza
esperienza. »
Ahia…
Lupin si portò una mano
sugli occhi e scosse lentamente il capo. Gli altri trattennero il respiro.
Harry, invece, rimase semplicemente impietrito.
« N-non abbiamo abbastanza
esperienza?! » Replicò incredulo dopo un brevissimo attimo di totale
smarrimento. Stridè in una mezza risata strozzata: « S-state scherzando,
vero? » Sperò anche lui che fosse così, altrimenti non sapeva cosa sarebbe
potuto accadere. Ma non stavano scherzando. E quella fu la goccia che fece
traboccare il vaso. « Voi non potete dire sul serio! Questo non può
essere possibile! »
« Harry, calmati… » Gli mormorò,
afferrandolo per un braccio.
Il ragazzo si divincolò
facilmente dalla presa. Uno strattone violento. Uno sguardo di fuoco. Un sibilo
gelido:
« Tu sta’ zitto. »
E lui tacque.
« Harry… » Soggiunse incerto Lupin,
facendosi coraggio. « Cerca di capire: siete appena usciti dall’accademia.
Vi hanno addirittura fatto fare selezioni che abitualmente avreste potuto fare
solamente al termine della scuola. E ora vi prendiamo nell’Ordine. Almeno per
le missioni sul campo preferiremmo che aspettaste. »
« Io di missioni sul campo ne faccio
da quando avevo 11 anni. » Gli fece astiosamente presente Harry,
scoccandogli un’occhiata rovente. « E se non ve ne siete accorti, sono
sempre sopravvissuto! »
« Ce ne siamo accorti, Harry. »
Assicurò Lupin con intensità. « Solo che… »
« Solo che, cosa? » Lo
interruppe furioso il ragazzo.
« Adesso calmati, Harry. »
Una richiesta che gli
era già stata posta diverse volte, ma a cui questa volta non poté sottrarsi.
Perché l’unico uomo che
riusciva ancora a tenergli testa era Albus Silente. Ed era stato Albus Silente
che aveva parlato per ultimo.
Era sbucato alle spalle
di Lupin, improvvisamente. Ma non doveva essere lì da poco. Probabilmente,
anzi, aveva preso parte alla riunione che si era tenuta per decidere per la
loro ammissione nell’Ordine. I suoi genitori avevano preferito non esserci:
avevano già espresso la loro opinione su quella faccenda. Silente, invece,
evidentemente era stato di tutt’altro avviso. Infatti né Lupin, né Moody, né
nessun altro sembrava sorpreso dal suo arrivo. Solo lui e Harry ci erano
rimasti di sasso.
Anche perché, infondo,
non lo vedevano da almeno tre mesi.
« Ti prego di avere fiducia in noi,
Harry. » Aggiunse poi placidamente il preside, facendosi lentamente
ma inesorabilmente avanti. « Sei un membro dell’Ordine, adesso. Devi
fidarti dei tuoi compagni e delle loro decisioni. »
Lo disse gentilmente,
con quella sua voce flebile. Stemperata. Un poco rauca forse. Che però lasciava
andare con forza. Quella voce che imponeva obbedienza. A chiunque. Anche a
Harry. E infatti a Harry non riuscì altro che obbedirle, e calmarsi. E decise
anche che non aveva più nulla da dire, così se ne andò. Sconfitto.
Supponeva che
probabilmente, ancora per un po’ di tempo, sarebbe stato quello l’esito degli
scontri tra il suo migliore amico e Albus Silente. Il che, lo ammetteva, gli
procurava un certo sollievo.
Anche Lupin e Moody se
ne andarono, dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa e aver salutato cortesemente
Silente. Non salutarono anche lui. Si erano come dimenticati della sua presenza
mentre stavano discutendo e se ne stavano dimenticando anche a quel punto, che
era davanti ai loro occhi. Perché era come invisibile per loro.
Silente invece gli si
avvicinò. Ma non gli parve strano: Silente si avvicinava sempre alle persone
che sembravano invisibili.
« Signor Weasley! Buongiorno! »
Lo salutò cordialmente.
« Salve Professor Silente… »
Ricambiò il saluto, chinando un tantino il capo. Era un riflesso
incondizionato. Che però non aveva niente a che fare con la soggezione.
« Ah, Signor Weasley, temo che lei
non possa più chiamarmi in quella maniera. » Esclamò sorridendo
affabilmente il preside. « Non è più un mio studente. »
Ricambiò l’ampio sorriso
che gli veniva rivolto con un sorriso stentato.
« Ha ragione, mi scusi. » Non
era più un suo studente.
Non lo sarebbe mai
più stato.
« Allora, Signor Weasley… » Gli
si rivolse con genuino interesse Silente. « Come sta? »
« Bene, grazie. » Rispose
timidamente. « E lei? »
« Oh, benissimo. » Replicò il
preside, mentre una scintilla briosa gli ravvivava lo sguardo ridente.
« Ho un po’ di dolori alla schiena, nell’ultimo periodo, ma in fin dei
conti non mi posso lamentare. Anche perché… » Aggiunse in confidenza,
gongolando un poco. « … la Professoressa Sprite mi ha garantito un farmaco
speciale per rimettermi completamente in sesto! »
« Sono contento per lei. »
Asserì sinceramente. Silente meritava tutto il bene del mondo. Lo meritava
davvero. Come, forse, nessun altro.
Ad ogni modo, a quel
punto il preside cominciò a dilettarlo con l’enumerazione dettagliata degli
elementi che componevano quel “farmaco speciale”. E mentre li enumerava, gli
occhi gli brillavano. Perché parlava anche della scuola. Della sua
scuola. Di Hogwarts. E dei suoi studenti. Di come molte delle erbe che
servivano le avessero curate loro durante le ore di Erbologia. E lui lo
ascoltava attentamente, senza perdersi una parola. Incantato. Pendeva dalle sue
labbra, quasi. Perché era veramente qualcosa di unico sentir parlare di
Hogwarts da Albus Silente.
Tutto quello però gli
fece anche venire in mente una cosa importante. Una cosa che voleva chiedergli.
Che voleva sapere. Su cui si informava periodicamente. Con solerzia. In effetti
l’aveva già domandato a Ginny, qualche settimana prima, ma era passato un po’
di tempo e voleva sentirselo dire di nuovo. Aveva bisogno di sentirselo
dire di nuovo.
« Ehm, Professor Silente… »
Esordì incerto. Sentì una vampata di calore espandersi rapidamente per tutto il
corpo.
« Si? » Lo sollecitò con
curiosità il preside.
« … ma secondo lei… » Trasse un
lungo sospiro. Il cuore pompante. Le mani umide. Sudate. « Secondo lei a
scuola sanno già che io e Harry non frequenteremo… insomma… l’ultimo
anno? »
Silente non rispose
subito.
Lo guardò, prima, con
intensità e gli rivolse un piccolo sorriso. Un sorriso po’ diverso dagli altri,
a dire il vero. Che aveva qualcosa di strano. Di tremendamente strano. Un sorriso
che non seppe, né volle decifrare. Che lo rendeva nervoso.
Poi però gli rispose con
gentilezza, come al solito, dicendogli proprio le parole che voleva sentire:
« No, credo proprio di no, Signor
Weasley. »
Annuì leggermente,
scacciando dalla mente l’immagine scomoda di quel sorriso e concentrandosi
solamente su quanto gli era stato detto. Perché quella era una delle cose che
più lo tormentavano: che si spargesse per la scuola la voce che loro non
sarebbero più tornati. Ma quando si sentiva dire che era ancora tutto a posto
si tranquillizzava. Perché dopotutto lui avrebbe persino voluto che non lo
sapesse mai nessuno. Anche se era proprio impossibile come cosa, avrebbe voluto
che nessuno pensasse o dicesse niente. Avrebbe voluto, quasi, che nessuno si
ricordasse della loro esistenza.
Sì, sarebbe andato bene.
Così nessuno avrebbe potuto chiedere di loro.
Perché non avrebbero
chiesto a Ginny. Non a Dean. Non a Neville. Non a Seamus. Né tanto meno ad
Hagrid.
« Oh, mi scusi Signor Weasley, ma adesso
devo proprio andare. »
« Ah… d’accordo. »
No… non avrebbero
chiesto a nessuno di loro.
« Comunque per me è stato un vero
piacere incontrarla, Signor Weasley. »
« Sì… anche per me. »
Non a loro…
« Allora arrivederci! E in bocca
al lupo per il suo nuovo lavoro! »
« Sì… grazie. »
… ma a lei.
A lei… anche se stava
già soffrendo abbastanza.
Avrebbero chiesto a lei,
ricordandole perché stava soffrendo. E per chi. E l’unica cosa
che poteva fare era sperare che nessuno si accorgesse di niente. Ma la verità
era che era solo questione di tempo.
Magari era stato proprio
quello il significato di quel piccolo sorriso rivoltogli da Silente. Che era
solo questione di tempo. Che prima o poi qualcuno gli avrebbe detto che a
Hogwarts tutti sapevano quello che lui non avrebbe mai voluto far sapere. E che
lei, perciò, sarebbe stata nell’occhio di un ciclone che non avrebbe saputo
gestire.
E a quel punto non
avrebbe più potuto far intervenire Silente. Non avrebbe più potuto chiedergli
di non dire niente. O di inventare una scusa. Perché non avrebbe funzionato
come all’inizio dell’anno.
Non ci sarebbe stato più
nessuno che avrebbe potuto aiutarla.
E, magari, nessuno si
sarebbe accorto di niente…
Magari, nessuno si
sarebbe preoccupato…
Per lei…
Che gli mancava…
Che gli mancava
veramente…
Che gli aveva sempre
parlato di tutto. Che aveva sempre trovato il modo di litigare. Anche per le
cose più insignificanti. Che l’aveva sempre fatto sentire stupido, ignorante,
gretto, insensibile… ma non invisibile. Mai invisibile. Che era sempre
stata oppressiva e pedante. Che l’aveva sempre rimproverato per un sacco di
cose. Che l’aveva sempre chiamato con insistenza. Che l’aveva sempre sgridato
per tutto. Che aveva pianto per le cose più sciocche. E gli aveva sempre tenuto
un posto vicino a lei. Con un sorriso.
Un sorriso tutto
speciale.
Solo per lui.
E lui…?
Lui … cosa aveva fatto?
Lui cosa… si era
permesso di fare?
Se n’era andato.
Semplicemente. L’aveva lasciata indietro. Semplicemente.
Semplicemente… si era
permesso… di lasciarla indietro…
Sentì
gli occhi gonfiarsi.
Maledizione…
***
*** ***
Venerdì
15 Novembre. Ore 14.14
Hogwarts. Sala Grande.
« L’avete sentito anche voi?! »
Strepitò in un grido debitamente soffocato una voce eccitata. « Ma allora è
vero! »
« Certo che è vero! » Bisbigliò
prontamente un’altra voce.
« E’ una cosa veramente
incredibile. » Si unì al brusio un altro sussurro. « Chi l’avrebbe
mai detto… »
« Io lo sapevo. » Intervenne
qualcuno saccente.
« Lo sapevi?! » Fecero in
coro tre o quattro voci, sbalordite.
« Beh… » Esitò un po’ meno
spavaldo chi aveva appena parlato. « … lo immaginavo. »
« E perché? » La incalzarono
curiose le altre voci.
« Ma, su, voi non ve ne siete
accorte?! »
« No! » Negarono interessatissime,
cercando – ormai invano – di mantenere un tono controllato.
« Harry Potter faceva di tutto per
farsi notare. » Spiegò petulantemente chi pareva saperne più di tutti lì
dentro. « Così gli avrebbero permesso di diventare Auror prima del tempo.
E con la popolarità di cui gode non dev’essere stato difficile ottenere il
consenso del Ministro della Magia. »
Mmh… ma non hanno
nient’altro da fare, queste qui?!
« Cosa?! » Squittì acutamente
tutto il resto della comitiva.
« Anche io ho sentito qualcosa del
genere! » Proruppe una nuova voce. « Mi hanno anche detto che li
hanno fatti diventare Auror… » Abbassò un poco il proprio tono. « … senza
una regolare selezione. »
« Ma questo non è giusto! » Si
indignò qualcuno, evidentemente punto sul proprio senso dell’equità e della
giustizia. « Non possono sempre favorirlo solo perché si chiama Harry Potter. »
Beh, più che ingiusto
quello non era proprio vero. La selezione l’avevano fatta eccome!
Diamine, li aveva accompagnati lei!
« E Ron Weasley? » Domandò ad un tratto una
timida vocina. « A me non sembrava che tentasse di farsi notare. »
« Quello è perchè i Weasley non riescono
afarsi notare. » Commentò sfacciatamente la stessa voce che
aveva snocciolato la ovvia spiegazione della situazione. « A meno
che non si parli dei loro problemi. »
Noi
Weasley cosa faremmo?!
Cercò
di mantenersi calma. Cercò di non starle a sentire.
« E Hermione Granger? »
Si levò uno sciame di
acutissimi gridolini.
Infondo era lei il vero
argomento di discussione. La vera protagonista del gossip scolastico. Un gossip
che, per altro, era stato appena sussurrato solamente la sera prima, dalle
schiere dei Serpeverde, ma che si era diffuso facilmente, come un morbo
epidemico, e aveva già infettato tutta Hogwarts. Quella mattina, infatti, tutti
avevano dimostrato di conoscere almeno quindici versioni diverse della storia.
Ed erano tutte versione piuttosto colorite e discordanti. C’era solo un punto
in comune tra tutte le varianti: la commiserazione forzata o accorata di
un’Hermione caduta in disgrazia.
Di un’Hermione lasciata
sola.
Ed era questo che non
sopportava: potevano accanirsi con Harry e Ron fino allo sfinimento. Tanto
meglio! Era quello che voleva! Era la giusta punizione per quello che avevano fatto!
Non erano certo degni di venir difesi! Ma con questo Hermione non aveva niente
a che fare! E non sopportava quel chiacchiericcio insulso come non sopportava
che le persone avessero la sfacciataggine di chiedere spiegazioni proprio a
lei! Come a colazione, per esempio, quando almeno una decina di persone le si
erano affiancate con questo scopo. Quella gente non aveva neanche un minimo di
sensibilità!
« Oh! Hermione, poverina! »
Gemette una voce strozzata. « Io ho sentito che ha rivelato a Harry di
essere innamorata di lui e che gli ha detto che aspetterà fino a che lui non
avrà sconfitto Colui-che-non-deve-essere-dominato! Che coraggio! »
« No! Ma cosa dici?! » Smentì
subito qualcuno. « Guarda che lei è innamorata di Ron Weasley! Lo sanno
tutte! »
Di
fantasia, invece, a quanto pareva ne avevano a sufficienza.
« E allora l’avrà confessato a lui il
suo amore, no? » Concluse pratica un’altra voce.
« Ma no! » Contestò fervidamente
chi aveva sostenuto per prima una teoria sulla Grifondoro. « Lei ama
Harry! »
« E’ vero! » La sostenne una
compagna. « L’hanno detto anche a me! Ma ho sentito che Harry l’ha
rifiutata! »
Santo
cielo…
« No! Ma dai?! » Esplosero
dirompenti tutti i presenti.
« Ma sì! Vi dico di sì! » Ribadì
con convinzione chi era intervenuta. « Le ha detto che non poteva amarla
perché era la sua migliore amica. Anzi… » Cambiò improvvisamente
idea. « le ha detto che nonpoteva amarla perché non voleva
che Ronald Weasley, che era innamorato di lei, ne soffrisse. Perché per lui la
loro amicizia era la cosa più importante del mondo. »
« Oh, che dolce! » Sospirò
qualcuno in adorazione.
No, non era dolce… era
vomitevole! Ma come potevano dire certe cose?!
« Voi non avete capito proprio
niente. Né di Hermione Granger. Né di quello che è successo. »
Trasse un lungo profondo
respiro: conosceva quell’insopportabile voce da serpente. Ci mancava solo che
quella lì! Cercò di non prestarle attenzione: se non l’avesse fatto non sarebbe
riuscita a trattenere l’istinto di prenderla a sberle.
« Lo volete sapere o no come sono
andate veramente le cose per quel trio di falliti? » Chiese dunque Pansy
Parkinson, senza preoccuparsi di abbassare la voce e ottenendo un vivido
consenso dalla folla.
Calma Ginny. Devi stare
calma.
« La verità è che della Mezzosangue e di
Lenticchia allo Sfregiato non glien’è mai fregato niente. »
Un fremito di rabbia la
scosse da capo a piedi. Va bene che Harry e Ron meritavano di essere insultati,
ma non in quel modo! E non da lei! No! doveva stare calma. Doveva essere
superiore. Doveva fingere che nessuno stesse dicendo nulla.
« La verità è che lo Sfregiato ha
sempre avuto in mente solo di fare l’eroe e non appena ha potuto ha cercato di
liberarsi dei pesi morti che si portava dietro qui dentro. »
Superiore. Io sono
superiore a tutto questo.
« Ma Lenticchia gli è rimasto
appiccicato. Per elemosinare un po’ della sua fama. Perché infondo elemosinare
è la cosa che gli riesce più naturale considerando che proviene da una famiglia
di pezzenti. »
Serrò la mascella e il
palmo della mano. La piuma che aveva tra le dita si spezzò.
« Ginny, stai calma… » Le
sussurrò Dean prontamente.
« Invece la Granger non c’è
riuscita. »
Sentì un brivido gelido
salirgli infidamente lungo la schiena.
« A restare appiccicata all’idolo dei
perdenti, intendo. Perché la cara Mezzosangue non è stata abbastanza
convincente e non le hanno neanche fatto fare la selezione. E’ stata scartata a
priori.» Sebbene non potesse vederla, le parve di scorgere il ghigno maligno di
Pansy allargarsi su quell’insopportabile faccia da schiaffi. « Infondo
essere scartati è il massimo che può aspettarsi da questo mondo. »
Vipera…
« E infatti anche i suoi cari
amichetti l’hanno scartata. »
Vipera!
« Perché lei è uno scarto! »
Sbatté violentemente una
mano sul tavolo e scattò in piedi. Fu questione di un secondo. Anzi, di una
frazione di secondo. E Pansy si ritrovò puntata contro una bacchetta. La sua
bacchetta, per la precisione.
Tutta la Sala Grande si
ammutolì.
« Prova a ripeterlo. » Ringhiò a
denti stretti. Sentiva il corpo tremare dalla rabbia. Una rabbia incontenibile.
La sua mano destra però restava saldamente serrata attorno alla bacchetta.
Serrata e ferma: se si fosse ancora permessa di insultare Hermione le avrebbe
scagliato addosso la magia più potente che conosceva. L’avrebbe fatto. Le
conseguenze non le importavano. « Prova a ripetere quello che hai detto,
se ne hai il coraggio. »
« Cosa c’è, Weasley? » La
provocò stranamente temeraria Pansy, con l’aria trionfante di chi non può
essere scalfito da nulla. « La verità fa così male? »
« Te la sei cercata, Pansy! »
Esclamò Ginny furiosa, rinsaldando con forza la presa sulla bacchetta.
E avrebbe fatto ben
altro che quello se solo, dalle sue spalle, non fosse sopraggiunta la voce
inquisitoria di Minerva McGranitt:
« Cosa sta succedendo qui? »
Non fece neanche in
tempo a capire cosa stava succedendo, che Pansy strillò acutamente:
« Professoressa! Mi aiuti! La Weasley
è impazzita di colpo e vuole colpirmi con un incantesimo! »
Le scoccò uno sguardo
sgomento: che razza di faccia tosta! Che razza di infida bugiarda! E le aveva
anche dato l’aria di una persona temeraria! Quella lurida vigliacca!
L’indignazione spaventosa che provò in quell’istante verso quella sottospecie
di arpia dalla lingua biforcuta fu tale da paralizzarla. Non fu però tale da
paralizzare la McGranitt, che, al contrario, con un cipiglio inarrestabile
avanzava verso di loro, alla ricerca di una visione precisa della situazione.
Tutti i ragazzi che si
erano addensati intorno a loro si dileguarono immediatamente, mentre lei uscì
dal suo immobilismo troppo tardi per fare qualsiasi cosa. E quel “qualsiasi
cosa” comprendeva sia rimediare al casino che stava per creare alla propria
casa, sia completare l’opera iniziata, e cioè mettere fuori gioco Pansy
Parkinson – nel peggior modo possib ile, tra l’altro – mettendo così nei casini
la propria casa per una buona ragione. Ci fu però chi parve registrare la
situazione giusto un attimo prima di lei. Sentì infatti che qualcuno le
sottraeva la bacchetta di mano e che la gettava con rapidità sotto il tavolo.
Il tutto, schermato dai corpi ben allineati di due complici con una stazza
utile.
« Signor Finnigan! Signor Paciock! » Eruppe
infastidita la professoressa, trovandosi di fronte una specie di muro umano.
« Vi spiacerebbe spostarvi? »
« Stanno solo cercando di distrarla,
professoressa! » Gracchiò Pansy con fervore, additandoli uno per uno
freneticamente.
« Questo lo vedo anche da me, Signorina
Parkinson. » Commentò acida la McGranitt. « E ora fuori dai piedi,
voi due. » Ordinò poi irremovibile. « E’ con la Signorina Weasley che
voglio parlare! »
Neville e Seamus si
scambiarono una breve occhiata d’intesa con Dean, che l’aveva affiancata e che
dallo sguardo forzatamente innocente sembrava colui che aveva fatto volare via
la sua bacchetta. Dopodiché aprirono un reverenziale varco tra di loro.
La McGranitt li superò
senza troppi complimenti. Non li guardò neanche in faccia. Anche perché non
c’era affatto bisogno che quella donna incentivasse il suo severo disappunto
con un’occhiata. Era letale il suo solo invincibile incedere a testa alta.
L’espressione era un specie di bonus che riservava per tutt’altra risma di
gente, non certo per loro. Un po’ come i suoi rarissimi sorrisi. Quelle curiose
incurvature della lastra di marmo grigio misteriosamente arricciata che aveva
al posto della bocca, riservate solamente all’intelligenza brillante di
Hermione.
« Allora, Signorina Weasley? »
La inquisì la McGranitt, dall’alto della sua invalicabile risolutezza.
« Stava per caso cercando di lanciare un incantesimo alla Signorina
Parkinson? »
« Con quale bacchetta? »
Intervenne prontamente in sua difesa Dean, con una sfacciataggine che gli
costava davvero molto. Non era il tipo da forzare la furbizia per affrontare un
professore. Se doveva, preferiva essere diretto. Ma le era anche troppo
affezionato per gettarla in un casino solo per tenere fede al suo modo di
essere.
La McGranitt non fece
neanche in tempo a dirgli di occuparsi dei propri affari che Pansy decise che
non aveva fatto abbastanza la stronza per quella mattina:
« L’hanno gettata sotto il tavolo,
professoressa! » Squittì acutamente, lanciando un’occhiata piena di
perfidia in risposta alla sguardo fulminante di Ginny. « L’ho visto io!
Con questi occhi! »
Ma non solo Ginny parve
non gradire l’intervento della Serpeverde. La stessa professoressa McGranitt,
infatti, tradì per un attimo un’espressione di autentica insofferenza.
Tuttavia, sopprimendo il tremito che avrebbe voluto scuoterla, si girò
lentamente verso di ragazza e le domandò con evidentissimo sarcasmo:
« Pensa di proporsi come mia
assistente, Signorina Parkinson? »
« Io volevo solo darle una mano,
professoressa. » Si giustificò altezzosamente Pansy, facendo finta di
indicare per caso una parte imprecisata del tavolo, in modo che
non si perdesse di vista ciò verso cui doveva dirigere la sua attenzione di
insegnante.
« Me la dia se gliela domando. »
La freddò spiccia la professoressa. « E adesso vada pure, penserò io a
parlare con la Signorina Weasley e ad appurare se è impazzita o se voleva
davvero ucciderla. »
« Vorrei assistere! » Obiettò
pedante e solerte Pansy.
« Ma non assisterà. » Ribadì
semplicemente la McGranitt, che poi ordinò nuovamente: « E ora
vada. »
E nemmeno Pansy
Parkinson aveva il potere di opporsi a Minerva McGranitt, così se ne andò.
Del resto, neanche lei
aveva quel genere di potere e, qualsiasi cosa i suoi amici si inventassero per
risparmiargliela, la sua parte di predica non avrebbe potuto che prendersela.
Con l’aggiunta di una sonora punizione, per altro.
« Non mi interessa come e perché
quella bacchetta dalla sua mano è finita sotto il tavolo, Signorina
Weasley! » Sbottò infatti irritata e irremovibile la professoressa.
« Sappia solo che se la trovo ancora una volta in questa sala con quella
bacchetta alzata non mi limiterò a togliere 30 punti alla sua casa! »
Ci fu un attimo di
silenzio generale, dopodiché Seamus, cauto e un po’ perplesso, si fece coraggio
e osservò:
« Ehm… professoressa… 30 punti
non saranno un po’ troppi? »
« Non sapevo che il posto di
assistente fosse così ambito! » Gracchiò ferocemente la McGranitt.
E Seamus affermò con
consistente convinzione che 30 punti in meno a Grifondoro erano una punizione
addirittura fin troppo caritatevole per quell’incresciosa situazione. In pieno
accordo con questa sua ultima dichiarazione, la professoressa schiodò i piedi
da terra e proseguì a passo deciso e inarrestabile verso quello che doveva
essere il suo principale itinerario, al cui termine riluceva imperioso il
tavolo degli insegnanti.
Si rilasciarono tutti in
un sospiro di sollievo: a parte gli scherzi, se l’erano proprio cavata con
poco.
« La prossima volta che vuoi fare una
stupidaggine assicurati che non ci sia nessun professore nei paraggi. »
Commentò con irritata rassegnazione Dean, chinandosi a sufficienza per
recuperare la sua bacchetta, e porgendogliela.
« E’ che non c’è l’ho fatta a trattenermi! »
Ribatté con vigore Ginny, in un tono che avrebbe voluto di scuse ma che in
realtà apparve ancora leggermente alterato, afferrando con un gesto secco ciò
che le veniva teso e sedendosi con i compagni sulle panche del tavolo di
Grifondoro. « L’hai sentita anche tu, no?! Ha detto un sacco di
cattiverie! »
« Proprio perché erano cattiverie
avresti dovuto ignorarle. » Precisò risoluto il ragazzo. « Mi
sembrava avessimo deciso così. »
« Infondo sapevamo che sarebbe
successo questo. » Intervenne in una svogliata alzata di spalle Seamus.
« Voglio dire, il fatto che il famoso Harry Potter e il suo migliore amico
abbiano lasciato la scuola per diventare Auror non è una cosa che può passare
inosservata. » Prese a grattarsi pigramente la nuca e a rivolgerle lo
sguardo ancora un po’ assonnato. « Se poi si considera che fino ad adesso
Silente li aveva coperti dicendo che erano bloccati in Romania con i tuoi
fratelli più grandi… »
« Gli è stato chiesto di non dire
niente proprio perché così tutti avrebbero potuto abituarsi a non vederli in
giro! » Sbottò acida Ginny, infastidita dall’indolenza dell’amico, che
sembrava un po’ troppo menefreghista per i suoi gusti. Si trattava dei loro
amici, diamine!
« Qualunque sia stato il motivo, il
suo intervento non ha sortito l’effetto sperato. » Si intromise pacato ma
deciso Dean. « Tutti vogliono sapere come sono andate le cose. E
soprattutto tutti vogliono sapere perché Hermione non è andata con loro. E’
naturale. »
« E’ vero, Ginny. » Biascicò sconfortato Neville. Pallido in
viso e visibilmente dispiaciuto. « Perché loro tre stavano sempre
insieme. »
« Esatto. » Convenne inesorabile
Dean. « Ed è anche naturale che i Serpeverde ci vadano a nozze con una
situazione del genere. Non potevamo certo sperare che le avrebbero risparmiato
un simile supplizio. Sapevamo già come sarebbe finita: lo stavamo solo
aspettando. » La sua espressione si fece un po’ più cupa. « E anche
Hermione lo stava solo aspettando »
Si morse il labbro
inferiore e strinse con forza i pugni intorno alla stoffa della gonna.
Aveva ragione. Eccome se
aveva ragione! Hermione aveva aspettato quel momento dall’inizio della scuola.
Perché non era stupida, non era come quello stupido di suo fratello, che si
angosciava per una sua scelta e poi si preoccupava perché qualcuno avrebbe
potuto chiedere di loro a lei! Altro che chiedere! Non era solo quello: era
tutto quello che le persone non avevano chiesto e avevano inventato. Tutto
quello che avevano pensato. E Hermione lo sapeva. Perché era così intelligente…
Così buona…
Si era preparata a
sopportare senza mai dare la colpa a nessuno. Aveva cercato di non dar mai a
vedere niente. Anche quando ne aveva parlato con loro era stato così. E
ricordava che non si era mai sentita così arrabbiata e depressa in tutta la sua
vita!
Almeno, mai fino a quel
momento.
Perché si sentiva così
impotente! Di fronte ad una situazione che nemmeno una persona forte come
Hermione avrebbe mai potuto gestire. Di fronte ad una situazione che soprattutto
una persona sensibile come Hermione non avrebbe potuto gestire… lei non poteva
fare assolutamente niente.
Se ci pensava le veniva
da piangere.
Come avevano potuto!
Come avevano potuto non coinvolgerla in una cosa così importante! Come avevano
potuto lasciarla indietro in una maniera così fredda, così egoista! Per gli
studenti di quella scuola quella era solo la fine di un’amicizia come un'altra,
ma per Hermione non era così. Per Hermione loro erano così speciali! Se solo
quella gente gretta avesse visto quanto male c’era stata … da sola… oh, se solo
l’avessero visto! Anche se erano così gretti avrebbero capito quanta sofferenza
doveva sopportare! Invece chi aveva capito più di tutti era chi era stato
contento della sua sofferenza.
Era così ingiusto. Così dannatamente
ingiusto!
« Voi avreste… » Proruppe in un
sussurro strozzato, più rivolto a sé stesso che a chiunque intorno a lei.
« Voi avreste dovuto vederla… questa mattina, a colazione… con tutte
quelle persone che parlavano. E’ rimasta zitta, senza dire niente… » La
sua voce si incrinò. « … ma era così pallida. »
Sentì la mano di Dean
che si appoggiava sulla spalla, per confortarla.
Pallida e triste.
Pallida e sola.
Sola…
Soprattutto sola.
E né lei, né Hagrid, né
Dean, né Seamus, né Neville, come nessun altro lì, ormai, avevano
assolutamente il potere di colmare quella solitudine. Che andava espandendosi…
con la vergogna, con il disagio, con il dolore… con la malinconia. Che andava
espandendosi con un ritmo che le sembrava addirittura inarrestabile.
***
*** ***
Venerdì
15 Novembre. Ore 17.47
Hogwarts. Secondo piano.
Dio, quanto gli faceva
male la testa!
Quella diavolo di notte
qualcuno gli aveva senz’altro lanciato un incantesimo per fargli venire quel
dolore spaventoso! Era come se il cranio gli si spaccasse in due! Era
allucinante! Quel pomeriggio non ce l’avrebbe assolutamente fatta a studiare.
Sufficienza o non sufficienza in pozioni!
Arrancò faticosamente
per i corridoi e per le scale del secondo piano: doveva avvisare la sua
aguzzina che per quel giorno non se ne sarebbe fatto nulla. La ragione era
presto detta: se non gliel’avesse detto quell’arpia sarebbe stata capace di
cercarlo per tutta Hogwarts e trascinarlo a studiare. Cosa che preferiva
evitare. Preferiva dirglielo, magari mandarla al diavolo se gli avesse fatto
storie, e poi andare a dormire, senza il timore che una pazza scatenata lo
interrompesse. Quella, in quel momento, era la sua massima ambizione.
Mosso da questi
pensieri, dunque, avanzò con fatica sino alla Stanza delle Necessità. Era lì
che erano andati a studiare le ultime due volte, perché quell’imbecille di un
Mezzogigante doveva spulciare la sua sudicia casupola in vista dell’inverno. E
meno male, anche! Così non aveva dovuto usare un intero barattolo di
bagnoschiuma per togliersi di dosso quell’odore disgustoso che gli si era
appiccicato ai vestiti e alla pelle. Dio, che schifo!
Sentì una fitta alla
testa e barcollò.
Fortunatamente, però,
con un ultimo sforzo, allungò l’ultimo passo che lo separava dalla Stanza in
questione, si aggrappò alla maniglia e la spinse. La porta si aprì. Di fronte a
lui, dietro ad una piccola scrivania, Hermione Granger sembrava immortalata in
un’immagine che avrebbe dovuto essergli famigliare. Sommersa da una montagna
invalicabile di libri e manuali delle più assurde materie. China su un foglio
di pergamena che stava riempiendo di una fitta miriade di parole
incomprensibili. Con i voluminosi capelli crespi illuminati dalle ultime luci
del giorno. Lo sguardo assorto. La fronte corrugata dalla concentrazione.
Eppure… c’era qualcosa
di diverso.
L’invalicabile montagna di libri e manuali delle
più assurde materie che la sommergeva, in effetti, era più smisurata del
solito. E lei era molto più china di quanto era mai stata su quel foglio di
pergamena. I voluminosi capelli sembravano molto più crespi del giorno prima.
La fronte era molto più corrugata dalla concentrazione. E lo sguardo era molto
più assorto. Era tutto, insomma, molto più di quello che avrebbe dovuto essere.
E nell’insieme gli sembrava davvero un po’ troppo strano.
Ma, infondo, oltre a incuriosirlo, gli importava?
No.
Questa fu la
rassicurante e rasserenante risposta che si diede. Un senso di benessere lo
invase. Era sostanzialmente meraviglioso sentire quanto splendidamente poco gli
interessasse di tutto all’infuori di se stesso. Con rinnovato sollievo, quindi,
annunciò:
« Granger, oggi non sto bene perciò
non se ne fa niente. Non venire a disturbarmi. »
Si sarebbe aspettato una
scenata o una puntualizzazione tagliente; al contrario la risposta della
ragazza si risolse in un grave silenzio. Le diede un po’ di tempo per
realizzare cosa aveva detto e, quanto meno, annuire. Lei però persisté
immobile, in una staticità scioccante ed estremamente irritante.
« Ho detto che non se ne fa
niente. » Ribadì a voce alta, stizzito. « Hai capito? »
Hermione restò zitta.
Questa qui lo fa
apposta!
Rinnovò questa
dichiarazione una seconda volta, più acidamente, ma ancora non sortì alcun
effetto. La terza volta, ormai oltremodo seccato, fece un passo in avanti e ci
aggiunse anche un’opzionale:
« Ehi, hai sentito quello che ho
detto? O oltre ad essere odiosa sei anche sorda? »
Questa volta l’effetto
si fece sentire.
« Ah. » Mormorò la ragazza
lentamente, sollevando il capo con un movimento febbrile del capo. Un capo che,
in quel momento, gli parve in qualche modo spettrale. « E quindi… io sarei
odiosa? »
Certo che, come effetto,
era un tantino assurdo. Avrebbe preferito scadere nella banalità per quel
giorno: qualche frecciatina, sguardi offesi, orgogli feriti e via dicendo. Come
al solito. Non avrebbe retto di più con l’emicrania che a intermittenza gli
frantumava il sistema nervoso. Cercò, perciò, di riportare la conversazione su
note ordinarie:
« Come ti pare, basta che adesso posso
andarmene. »
Ma quella conversazione
sarebbe stata tutto fuorché ordinaria.
« Certo! » Scattò Hermione,
balzando in piedi, come punta da un’ape, e fissandolo improvvisamente con
astio. « Come mi pare! La verità è che lo dite di continuo! E magari
pensate che sia successo tutto quanto per questo, vero? Perché sono odiosa,
insopportabile e noiosa, vero? »
Eh?
Si
era perso qualcosa.
« Dillo Malfoy. » Lo incitò con
rabbia Hermione, impedendogli di riflettere. « Siccome non vedi l’ora di
dirlo, come tutti i tuoi stupidi amichetti. Dillo che è perché sono odiosa che
mi hanno lasciato qui! Dillo che me lo merito! »
Arretrò
di un passo, basito.
Ma che diavolo
sta dicendo?!
Se solo non fosse stato
tanto occupato a restare lucido pur con quella terribile emicrania,
probabilmente avrebbe capito cosa stava dicendo. E probabilmente si sarebbe
anche accorto di cosa stava succedendo. E, magari, siccome sensibile proprio
non lo era, ma vantava una certa capacità di analisi e intuizione, sarebbe
potuto arrivare anche a comprende che non era solo una questione di rabbia, quella.
In ogni caso, sicuramente, anche in quel caso, non gli sarebbe comunque
importato.
Perciò, forse, era
proprio destino che, aggredito in quel modo, Draco si accanisse a sua volta
contro di lei, scandalizzato:
« Ma che diavolo ti prende, sei forse
impazzita? »
La ciliegina sulla
torta.
Hermione vibrò.
Afferrò tra le mani un
grosso libro rilegato in cuoio e glielo scagliò addosso. Il volume lo colpì in
piena fronte e poi ricadde pesantemente sul pavimento. Il suono sordo che ne
scaturì si perse nel silenzio vuoto di quella stanza.
Rimase immobile, per un
attimo incapace di parlare, con la mano sulla fronte: gli aveva tirato addosso
un libro.
Sollevando lo sguardo,
sgomento, gli parve di notare che gli occhi di Hermione erano diventati un po’
più lucidi. E la voce con cui riprese a parlare, seppur sempre alta e rabbiosa,
gli parve leggermente incrinata.
« Non sono impazzita! Non lo sono, capito?
E non sono neanche scema! E’ tutto il giorno che non fate che dire cose
assurde! Che non mi hanno più voluta con loro! Che era ora che si liberassero
di me! Perché ero solo un peso! Ma non avete capito niente! » Afferrò
un altro libro e lo scagliò di nuovo, con violenza. « Niente! »
La sagoma famigliare che
si avvicinava a velocità considerevole contro di lui lo risvegliò dallo stato
di smarrimento in cui era caduto. La schivò miracolosamente, balzando di lato.
Lanciò un breve sguardo sconvolto al pavimento, dove la seconda arma letale si
era accasciata inerme, e poi le gridò addosso:
« Ma sei fuori di testa?! Prima
mi hai fatto un male cane! »
Gli occhi di Hermione si
dilatarono.
« Va’ al diavolo, Malfoy! »
Prese un altro libro e
glielo tirò. Poi gliene tirò un altro. E un altro ancora. E di nuovo un altro.
Mentre lui si schermava il viso con le mani, sconvolto. Che diavolo stava
succedendo?
Che diavolo le
stava succedendo?!
« Siete voi quelli che fate male agli
altri! » Strillò Hermione, isterica. « Tu e tutti quelli come te!
Siete di mostri! Vi detesto! Non fate altro che usare il dolore delle persone
per far loro del male! E vi inventate tutto quanto! » Nel tentativo di
schivare un bel manuale di almeno qualche centinaio di pagine, non udì il
groppo che le si strinse in gola, soffocandole la voce. « Harry e Ron mi
hanno lasciato qui perché avevano delle ragioni! Non significa niente! Non
potrebbe mai significare niente! Loro mi volevano bene! Loro mi vogliono
bene! »
« E chi se ne frega se ti vogliono
bene! » Urlò lui sconcertato. Era per quelle sue assurde paturnie mentali
che lo stava lapidando con dei libri?! Ma porca miseria! Era lei che doveva
andarsene al diavolo, proprio come aveva deciso nel suo progetto originario! « Per
quel mi che riguarda possono anche sposarti! Anzi… » Gracchiò
stridulamente. « … perché non crepate tutti insieme per spirito di
solidarietà! Basta che mi lasci fuori dalle tue scenate isteriche! Non mi
interessa niente della tua situazione! Io voglio solo andarmene a letto e
dormire! Di te e di quei due idioti non me ne frega niente! »
Hermione si bloccò di
colpo.
Forse anche perché erano
ormai finiti i libri e quelli precedenti vigevano tutti supini e sconfitti ai
suoi piedi. Comunque si bloccò. E quello dovette sbrigliare definitivamente
quei nervi che si erano davvero ingarbugliati, durante il giorno, per renderla
in quello stato. E naturalmente, come per ogni femmina che si rispetti, questo
coincise esattamente col suo crollò fisico e mentale.
Gli occhi cominciarono a
diventare lucidi. Il suo gracile corpo rovinò su se stesso. Si nascose dietro
le braccia.
Iniziò a piangere.
E
che palle! Non anche questo!
Non
le bastava averlo riempito di botte! No, adesso doveva pure opprimerlo con quel
lamento insopportabile! Con le braccia gonfie e doloranti si portò una mano
sulla fronte, esasperato: tutto quello era davvero troppo per lui.
Sarebbe
stato splendido se non avesse avuto il mal di testa. Prima di tutto perché le
avrebbe reso pan per focaccia. In secondo luogo perchè l’avrebbe sfottuta a
morte, per tutta la vita, sia per aver pianto davanti a lui, sia perché Potter
e Weasley l’avevano abbandonata come una scarpa vecchia. Anche perché, quando
gliel’aveva detto Blaise, il giorno prima, la prima cosa che gli era venuta in
mente era stata di fargliela pagare per tutto quello che aveva dovuto
sopportare a causa sua. Ma l’emicrania aveva vanificato i suoi piani.
Questo
non significava che rinunciava ai suoi propositi: il giorno dopo avrebbe
attuato la vendetta più grandiosa che mente umana avesse mai concepito. Ma in
quel momento, senza nulla togliere alle sue aspettative più remote, era
l’aspettativa più prossima di un comodo letto ad allettarlo veramente. Insomma,
schiacciare Hermione Granger era qualcosa di estremamente piacevole. E anche
vederla arricciarsi come un verme, proprio come in quel momento. Ma se stava
male e non poteva goderselo a pieno non era mica colpa sua!
L’ennesima
fitta lo colse in un dolore lancinante alle tempie. Quella razza di cretina!
Doveva sdraiarsi da qualche parte. Anzi, doveva sdraiarsi nel suo letto. Decise,
quindi, che aveva sentito abbastanza singhiozzi e lamenti per quel giorno.
Fece dunque per
andarsene.
Ma a quel punto…
Beh, a quel punto
accadde qualcosa di strano…
Accadde che mentre stava
girando la maniglia della porta, Hermione lo chiamò. Fu un “Malfoy” quasi
incomprensibile, racchiuso in uno dei lunghi gemiti che la scuotevano. Un
richiamo che lo fece cautamente girare. Aveva paura che volesse ricominciare il
“lancio del libro”. La trovò invece sempre rannicchiata tra le proprie braccia,
con il viso coperto. Le spalle che fremevano a intermittenza. Le domandò
sgarbatamente:
« Che diavolo vuoi? »
E fu a questo punto che
accadde quella cosa…
Che aveva un suono così
strano…
E che era piccola…
Sottile…
Che non fu più di un
sussurro.
« … scusa… »
Da-dan!
Ok, i ringraziamenti li metto questo
pomeriggio, o domani… vedo cosa riesco a fare. Adesso vi saluto e fuggo via.
Ah!
Sono migliorata! Oggi solo 45 (come dice il mio computer) minuti di ritardo! Prima o poi riuscirò ad essere puntuale! Me lo sento!
Ribadisco i diritti d’autore che ho presentato all’inizio del
capitolo precedente, e di quello precedente ancora, ma non vi annoio più
rispetto alla lentezza di questa fanfiction: ormai
penso che l’abbia afferrata! Direi che a questo punto
chi è rimasto è perché l’ha accettato, suppongo. Tra l’altro, guardandola da
questo punto di vista… il numero dei recensori si è assottigliato. Mumble. Mumble. Purtroppo, anche
pensandoci e ripensandoci non penso che troverò mai il
modo di cambiare in meglio questa storia, proprio perché io non ne sono in
grado.
Facciamo
così: quando diventerò una scrittrice e un essere umano migliore, se me lo
chiederete proverò a riscrivere The Draco andHermione’s Opera! Eh?! Che ne
dite?
Piccola
e unica anticipazione del capitolo: Draco sclera.
Direi che dice tutto, no? ^_-
The Draco and Hermione’s Opera
4°
capitolo. Unica
*** ***
***
When
there's no one else
Look inside yourself Like your oldest friend
Just trust the voice within
Then you'll find the strength
That will guide your way
If you will learn to begin
To trust the voice within
Quando non c'è nessun altro
Guarda dentro di te
Come il tuo più vecchio amico
Credi semplicemente alla voce interiore
Allora troverai la forza
Che ti guiderà lungo la strada
Se imparerai a iniziare
A credere alla voce interiore
(A voice
within – Christina Aguilera)
*** *** ***
Sabato 16 Novembre.Ore 7.24 Hogwarts.Dormitorio femminiledeiGrifondoro.
Camera di Hermione.
« Sei
sicura di star bene? »
Lavanda
e Calì la guardavano
scettiche.
Probabilmente
se anche l’avesse giurato dopo aver ingurgitato litri di Veritaserumnon ci avrebbero comunque creduto. Supponeva che fosse
merito del proprio aspetto. Essendo le sue compagne di stanza delle strenue
sostenitrici del culto della bellezza e della perfezione estetica il fatto che
la sua figura fosse stata irrimediabilmente sfigurata da una notte totalmente insonne doveva averle messe davvero in allarme. Ed effettivamente aveva delle occhiaie terrificanti. Non si
era guardata allo specchio, ma ne sentiva il gonfiore. E con l’esperienza che
poteva vantare da esso sapeva facilmente dedurne la
grandezza.
Una
grandezza mirabilmente ragguardevole, doveva ammettere.
Senza contare che Lavanda e Calì, per quanto
superficiali, non sarebbero mai potute restare indifferenti di fronte a
qualsiasi genere di problema sentimentale. E, naturalmente, per
loro, il problema legato a Harry e Ron era un problema di natura puramente
sentimentale.
Facevano
parte della fazione di ragazze che appoggiava la
versione del “triangolo amoroso”.
« Sono sicura, andate pure. »
Potere
di convincimento: 0.
Abitualmente
arrivava ad essere anche sgarbata pur di liberarsi di loro, ma quella mattina
aveva un umore troppo particolare per essere più diretta di così. E “così”era
davvero troppo poco per arrivare a persuadere Lavanda
e Calì a lasciar perdere.
« Herm. » Proruppero infatti. E lo fecero con un tono vagamente propagandistico. Le parve
lo stesso che usavano quando volevano consigliarle una
marca di make-up. « Secondo noi non è buono che tu stia chiusa
qui tutto il giorno. » Le lanciarono un’occhiata quasi incoraggiante,
dopo essersi scambiate tra loro un inquietante sguardo d’intesa. « Perché non esci un po’? Ti farebbe bene. »
Le
fissò con le sopracciglia inarcate, non capendo.
« Certo che uscirò. Oggi c’è lezione, no? » Due ore di Pozioni e due
ore di Erbologia. E per tutto il pomeriggio era previsto un ripasso completo
per il test di Trasfigurazione di lunedì.
«
Ecco… » Esitò Lavanda, cauta ma abbastanza convinta per
metterla vagamente in allarme. « … per “uscire” noi non intendevamo esattamente
“andare a lezione”. »
« E a proposito di quello… » Tagliò corto Calì,
con fare più pratico. « … secondo noi sarebbe davvero molto meglio se oggi non
ci venissi proprio. »
Registrò
puntualmente le parole che le erano state rivolte. Quando
le intese, il suo umore non le impedì di scandalizzarsi:
« Mi
state dicendo che dovrei saltare la scuola?! »
Frastornata dal solo pensiero che una tale eventualità
potesse concretizzarsi nella mente di uno studente, e, soprattutto,
punta nel suo orgoglio di prefetto, Hermione si indurì. « Mi auguro che non mi
stiate davvero dicendo di fare una cosa simile! »
« Il
nostro è un consiglio. » Fece con sufficienza Calì,
la cui espressione aveva ormai perso ogni apparente inclinazione di dolcezza e
comprensione. « Tu puoi fare tranquillamente tutto ciò che ti pare. »
Questa
sua acida conclusione e le sfuggevoli occhiate di disappunto che le riservò Lavanda mentre seguiva l’amica fuori dalla stanza le
fecero comprendere che non aveva scelto le parole giuste per aiutare la sua
reputazione. Pensò che si sarebbero sparse nuove voci sul suo conto. E pensò anche che ciò che aveva pensato non sarebbe stato
molto lontano dalla verità.
Della
serie: “Hermione Granger, dopo la più cruenta delusione sentimentale di tutta
la sua vita, si getta fanaticamente nello studio e chiude i rapporti con tutti
i caritatevoli viventi che tentano di darle una mano.”
E, per inciso, quelle caritatevoli persone
sarebbero state loro due.
Ad
ogni modo non tentò di fermarle: non avrebbe comunque
saputo dire niente per migliorare la sua situazione. Perché era decisamente incapace da quel punto di vista.
Trasse
un lungo respiro rassegnato: le cose non sarebbero andate meglio tanto
facilmente. A dire il vero non era neanche sicura che fosse passato il peggio.
Forse era solo l’inizio. Magari col passare del tempo sarebbe stato sempre più
difficile. Non era certo una prospettiva da escludere a priori. Ma anche in
quel caso lei doveva comunque imparare ad essere
paziente.
Sarebbe
stato decisamente ora.
La
porta scricchiolò di nuovo.
Timorosamente
si girò verso di essa: aveva paura che fossero ancora
le sue temibili compagne di stanza. Ma non fu la voce
insistente di Calì o quella squillante di Lavanda a
giungerle prepotentemente, in un altro bieco tentativo di farla simpatizzare
con i loro metodi antidepressivi, bensì quella lieve di Ginny. Le giunse in un
sussurro appena udibile:
«
Hermione… posso? »
Le
scappò un piccolo sorriso. Perché c’era una dolcezza,
in quella voce, che non aveva proprio niente di propagandistico.
«
Certo, entra. » La invitò gentilmente, facendole un piccolo cenno con la mano.
La
rossa fece qualche passo in avanti e si richiuse la porta alle spalle. Il suo
piccolo schiocco fu l’unico suono che accompagnò la comparsa di Ginny. Persino
il movimento che fece nel girarsi verso di lei fu così
tenue che non ne venne alcun rumore. E anche la sua
espressione, per quanto incerta, aveva in sé una delicatezza indicibile.
Le
forzò un sorriso.
Non
le uscì bene. Però sapeva che neanche i sorrisi che
lei aveva rivolto a Ginny e tutti i suoi amici in quei mesi erano stati molto
meglio.
Infondo, solo le eroine riescono a fingere un bel sorriso.
Con i
loro bei denti bianchi e dritti. Con le loro belle labbra morbide. Con la loro
tempra morale indistruttibile. Ma i suoi denti erano
un po’ più grossi del normale e non erano proprio drittissimi. E le sue labbra sicuramente non erano come avrebbero dovuto
essere. In quanto alla tempra morale, inoltre, non c’era
neanche da parlarne. In poche parole le mancavano i requisiti principali
per essere un’eroina. E lo stesso valeva anche per
Ginny. Con la sola differenza che Ginny non ci provava
neanche, ad esserlo, mentre lei ci aveva provato per tutti quei tre lunghissimi
mesi.
Aveva
fatto quella che “stava bene”.
E non solo. Aveva anche imposto agli altri di rispettare la sua
decisione. La sua era stata una pretesa. Alla stregua di una
qualsiasi pretesa di un egoista qualunque. E
loro l’avevano assecondata. Avevano accettato di non fare quello che lei non
voleva che facessero, senza mai sapere cosa avrebbero potuto fare per farla stare meglio. Si erano sforzati di recitare la loro
parte nella maniera migliore. Avevano assecondato il regista in ogni suo
capriccio.
Con
la preoccupazione, con il disagio, con la tristezza, Ginny, Dean,
Neville, Seamus e Hagrid
avevano dovuto fare i conti ogni giorno. E la sensazione di impotenza
che avevano provato non era mai diventata meno opprimente.
Avrebbero
potuto evitarselo, certo. Avrebbero potuto andarsene.
Sarebbe stato semplice.
Invece avevano scelto di restare.
E, sostanzialmente, l’avevano fatto per lei.
« Ah.
» Esclamò ad un tratto Ginny, sinceramente incuriosita dal calderone che
Hermione aveva davanti. A dispetto della curiosità, comunque,
la sua voce non aveva niente del suo solito entusiasmo. « Stai facendo un compito? »
« Sì.
» Rispose pacatamente. Il suo era un compito.
«
Non… » Eccepì cautamente la rossa. « … non è un po’ presto per farlo? »
« E’
un compito un po’ particolare. » Ammise, piano.
« E sei… sei rimasta tutta la notte in piedi? Per finirlo? » Chiese timorosamente Ginny, indugiando insistentemente sul
suo viso. Le giustificò l’insistenza poiché
presumibilmente le sue occhiaie si erano ulteriormente scurite e gonfiate. Mentre i capillari degli occhi con ogni probabilità erano esplosi.
« E’
una pozione un po’ lunga da preparare. » Rispose, rivolgendole un debole
sorriso.
Ginny
trasse un lungo respiro e si accovacciò accanto a lei. La sua espressione era
esitante, preoccupata, stanca, ma la morbidezza delle sue parole rese la sua voce pacata quanto l’espressione che avrebbe
voluto rivolgerle:
«
Come stai? »
Restò
immobile per qualche attimo, scrutando a lungo negli occhi blu cobalto
dell’amica.
Stava
bene?
Se lo chiese a se stessa, prima di tutto, e la risposta che si diede fu
quella che diede a Ginny, senza cambiarla di una sola sillaba:
«
Meglio. »
Stava
meglio.
Del giorno prima. Della settimana prima. Di tre mesi prima. Stava meglio.
Non era come dire che stava bene, ma non era neanche
come dire che stava male. Era dire semplicemente come si sentiva. Ovvero l’unica cosa che poteva permettersi di dire senza mentire ad
uno dei suoi migliori amici. Voleva provare ad essere
sincera. Era l’unica maniera di essere
“pazienti” che avesse un senso. L’unico modo di vivere quella situazione che sarebbe stato giusto per tutti. Che
avrebbe avuto un significato per tutti. E soprattutto che ne avrebbe avuto uno anche per lei.
Perché quanto vide Ginny rimanere a fissarla, stranita,
quasi sorpresa, fu lei quella contenta. Contenta di sapere che dopo tre mesi passati a
darle fastidi e preoccupazioni, almeno era anche capace di sorprenderla in una
maniera che non poteva definirsi brutta. Contenta di sapere che in qualche modo
avrebbe ancora potuto rimediare.
E quello era un inizio.
Era
poco, certo. Perché per ancora molto tempo i suoi amici
avrebbero continuato a tormentarsi per lei. Ma
c’era tempo per mettere a posto tutto quanto.
E
quello, per quanto poco, era comunque un
inizio.
«
Stai parlando sul serio? » Le domandò ansiosamente Ginny, guardandola
titubante. « Stai meglio davvero? Non lo stai dicendo per tranquillizzarmi? »
« No.
» Asserì sorridendo. « Sto dicendo sul serio. »
« Eppure ieri… » Esitò l’amica, mordicchiandosi il labbro
inferiore. « … ieri sono successe un sacco di cose. E tu stavi così… così male. »
Ieri…
Si,
erano successe un sacco di cose. Ma il più di queste Ginny neanche se le immaginava.
«
Ieri… » Proruppe in un lieve ma deciso sussurro. « … sono io che ho esagerato.
»
Riuscì
a definire nitidamente l’attimo in cui Ginny vacillò, basita. Si riprese
stoicamente e contestò mortificata, inarcando le sopracciglia con ardente
disappunto:
« Ma questo non è vero, Hermione! Assolutamente! »
« E invece sì. » Ribadì con calma.
Era vero, che lei lo accettasse o meno. Perciò avrebbe provato a rimediare. E anche se era certa che
ci sarebbe riuscita solamente con Ginny, Dean,
Neville, Seamus e Hagrid… comunque ci avrebbe provato anche con tutte le altre persone
che aveva coinvolto.
E, perciò, anche con lui.
« Oh
che sciocchezza! Sei tu quella che è rimasta ferita in tutta questa storia! » Si incaponì l’amica con testardaggine, mentre per il
nervosismo le si inumidivano gli occhi.
«
Forse. » Le concesse Hermione, con un tono di voce più
morbido. « Ma, comunque, non è neanche giusto
che io, per questo, ferisca gli altri. »
Tirare
addosso a Malfoy quei libri… era stata una cosa sbagliata.
Era
stato un errore. Chi lui fosse, cosa lei avesse provato…
questo, in ogni caso, non le permetteva di fare quello che voleva. Perché una ferita non ne giustifica un’altra. E il dolore non deve ingannare. E’ solo dolore. Non voleva
essere una persona che lo usava come scusa. Voleva essere una persona che
sapeva rispettarlo. Quello degli altri. E il suo.
Perciò quello che aveva fatto era solo sbagliato.
«
Stai dicendo cose troppo strane… » Mormorò Ginny, perplessa e confusa. «
Smettiamo di parlarne. Si, basta, andiamo a fare colazione! » Si alzò in piedi,
cercando di trasmetterle un poco di energia. «
Scommetto che hai fame! »
« A
dire il vero non molta. » Mentì, portandosi una mano allo stomaco nel disperato
tentativo di reprimere il concerto di gorgoglii che vi sinfoneggiava
all’interno.
« Eh
no, non esiste! » Controbatté l’amica aggrottando la fronte. « Non puoi non
avere fame! Su, vieni. Andiamo di sotto, faremo in un
attimo. »
«
D’accordo, farò colazione. » Accondiscese Hermione, cedendo
un poco di fronte alla rivolta della propria pancia di fronte al suo rifiuto.
« Ma più tardi: prima vorrei finire qui. »
« Mh! E va bene! Fa’ come vuoi! Però intanto adesso ti porto qualcosa da mangiare! » Esclamò
Ginny gesticolando ampiamente con le mani e scotendo il capo, rassegnata.
Fu un
gesticolare molto più composto e una rassegnazione molto più
avvilita di quando si arrabbiava di solito con le altre persone. Ma le parve un
buon segno comunque. Perché
non aveva mai gesticolato con lei, da qualche mese a quella parte, e non aveva
mai neanche scosso il capo con rassegnazione.
Decisamente, quello era un buon inizio.
«
D’accordo, allora ti aspetto qui. » Annuì lei, salutandola con un piccolo ma estremamente affettuoso movimento della mano.
E
così Ginny andò alla porta, la aprì e la richiuse
dietro di sé.
Sentì
i suoi passi scendere velocemente le scale. Probabilmente sarebbe tornata
subito con qualche fetta di pane e qualche brioche.
Avrebbe abbondato. Ne era certa. E
sorrise al pensiero: la sua generosità era rasserenante. Come anche la sua
gentilezza in ogni gesto. E l’impeto con cui la difendeva in
ogni situazione. E il trasporto stesso con cui viveva.
Tutto
era rasserenante di Ginny. E anche molte altre cose di un sacco di altre persone. Persone che c’erano
ancora. Persone che, probabilmente, non se ne
sarebbero andate. Perché non tutti se ne vanno.
Perché qualcuno resta.
Anche se…
Anche se chi se ne va è insostituibile.
Il
calderone che aveva davanti emise un piccolo borbottio.
Trasse
un lungo e profondo respiro – l’ennesimo di quella mattina – e si tirò su le
maniche della camicia che erano riscese sulle mani: doveva muoversi a finire
l’infuso. E infondo non mancava molto. Non appena il
rosso tenue di quel liquido inquietante e scoppiettante sarebbe diventato più
intenso… sarebbe stato pronto.
*** *** ***
Sabato 16 Novembre. Ore 8.19
Hogwarts. Sotterranei. Aula di Pozioni.
Semplicemente,
non lo accettava.
Non
accettava che proprio il giorno in cui avrebbe potuto prendersi un’apocalittica
rivalsa sulla sua nemica naturale gli fosse venuto il più feroce mal di testa
della storia del mondo magico. Non accettava che
quella maniaca depressiva lo avesse riempito di macchie violacee perché i suoi
nervi non sapevano sopportare la pressione dell’essere costantemente al centro dell’attenzione. E non
accettava di aver passato un’intera notte insonne a causa del dolore atroce
proveniente precisamente da quei regalini colorati che quella
sottospecie di strega gli aveva caritatevolmente marchiato sulla pelle.
Ma soprattutto, sopra ogni altra cosa, non accettava che lei
gli avesse chiesto scusa.
Questo…
proprio non lo accettava.
Scese
velocemente i freddi gradini che conducevano ai sotterranei. Li calpestò senza
foga. Uno dopo l’altro. Con movimenti lenti e cadenzati. Con eleganza. Il viso
disteso. L’espressione del viso incolore. La mascella proprio si una linea straordinariamente morbida. Per chiunque l’avesse visto, in effetti, sarebbe sembrato il Draco Malfoy
dei suoi anni d’oro. Quello impeccabile e altezzoso. Quello
talmente sicuro di sé da apparire impassibile a qualsiasi reazione esterna.
Per
contro i suoi nervi erano tesi nel medesimo verso e
prontissimi a spezzarsi.
« Ehm… Malfoy? »
Crack.
Fu
agghiacciante la velocità con la quale riconobbe quella voce. Ma ancora più agghiacciante fu quella con cui tutta la sua
figura reagì a quel richiamo. Scattò di lato. I muscoli si contrassero in una
sola volta. L’espressione divenne di pietra e i suoi occhi scolpiti nel
ghiaccio scoccarono uno sguardo che avrebbe potuto
penetrare la carne con la facilità di un bisturi. Fu molto simile ad un colpo
di frusta. E Hermione Granger vibrò come percossa da
quel colpo, ma non indietreggiò.
Un’impertinenza
imperdonabile.
La
sua seconda impertinenza imperdonabile.
« Se
ti avvicini di un altro passo giuro che ti frantumo le
ossa. » Sibilò caustico. Le labbra vibrarono impercettibilmente. Negli occhi si
dilatò una astio violento.
Ce l’aveva con lei come non ce l’aveva mai avuta. E per la prima volta lo disturbava per essere quella che
era. Per essere se stessa. Non il tappetino di Potter. O
la regina dei Grifondoro. O
la cocca dei Professori. No: per essere solo e semplicemente lei.
« Io…
» Ingoiò Hermione, annaspando all’indietro, in difficoltà. Nella
mano destra qualcosa che stringeva con forza.
« Zitta. » La freddò serrando la mascella, feroce.
Perché lei?
Chiedere
scusa a chi si ferisce è una cosa a cui i bambini vengono
abituati. Ma lui non aveva neanche mai pensato di
poterselo sentir dire. Mai. Le ferite non avevano mai avuto bisogno di essere
cicatrizzate da delle scuse. Avevano fatto male e poi
erano sempre sparite da sole. Era sempre stato così. Era sempre andato bene.
E invece a quel punto…
Perché una cosa così piccola, così sciocca, riusciva a scavare
così in profondità?
Perché riusciva a sconvolgere tutto il suo universo in quella
maniera?
E perché a sussurrargliela non era stato chiunque altro sulla faccia
della terra, con un motivo più valido, che avrebbe potuto capire… giustificare?
Perché lei?
La
vide farsi coraggio, per una volta piccola, veramente
piccola di fronte a lui, ma strenuamente resistente. Come suo
solito, del resto: fastidiosa come una minuscola spina in un fianco che non si
riesce mai a togliere. La vide guardarlo negli occhi, timorosa ma
decisa. Inesorabile.
La
sentì ripetere lentamente:
« Mi
dispiace. »
Perchédoveva essere lei?
Perché lo stava facendo di nuovo?
Perché?!
« Vai
a quel paese! Sei insopportabile! Ti detesto! » Veleno. Voleva sputare veleno. Per risvegliare in lei la rabbia e l’odio. Per impedirle di scuoterlo così violentemente dicendo qualcosa cosa
che neanche riusciva a spiegare. « Si può sapere che diavolo vuoi da me? Si può sapere perché continui ad assillarmi?! »
Lei
non c’entrava niente con lui. Non c’entrava assolutamente niente. Era qualcuno
di così lontano. Di così diverso. Non c’era niente che potesse anche solo
lontanamente piacergli di lei.
Niente.
Eppure…
« Perché volevo darti questo… » La vide porgergli quello
che teneva in mano. Una boccetta piena di un liquido rossastro. « E’ un anti-dolorifico.
» Un pausa infinitesimale. « Va bene anche per il mal
di testa. »
Eppure lei era stata la prima.
…
l’unica.
Che gli avesse chiesto scusa.
Che si fosse preoccupata di non badare al suo nome. Che avesse
guardato solo il suo volto. Che avesse ammesso di aver
sbagliato… e avesse cercato di rimediare. La prima, che avesse fatto
anche un po’ di più di quello che per la gente comune sarebbe bastato.
E non solo.
La
vide avanzare, tendendogli la boccetta.
La
prima ad avvicinarsi senza che qualcuno l’avesse costretta.
« Non
osare fare un altro passo! » Le intimò sbottando in un grido isterico, mentre
un gelo indescrivibile si irradiava negli occhi grigi.
Hermione
ritornò rapidamente sui suoi passi, turbata. Chinò il capo sulla boccetta, se
la rigirò tra le dita, indecisa. Poi si abbassò e la depose a terra. Quando si rimise in piedi e sollevò nuovamente lo sguardo,
per cercare i suoi occhi… la sua espressione ritraeva un rammarico così
profondo che gli salì un groppo in gola.
La
rabbia crebbe esponenzialmente.
« La
lascio qui. » Mormorò Hermione con una voce quasi soffocata.
E
detto questo se ne andò in classe.
Restò
immobile a fissare la pozione deposta a terra.
Cominciarono
ad arrivare altri ragazzi. Alcuni Grifondoro. Alcuni
Serpeverde. La boccetta ancora in mezzo alle scale. Il tappo
di sughero infilato nella canna. Il liquido rosso che
ancora si agitava. Qualche bollicina che scoppiettava.
Il vetro un poco opaco nel punto in cui le dita di lei
l’avevano tenuta in mano per tanto tempo. Con eccessiva apprensione.
La
raccolse.
« Cosa aspetta ad entrare in classe, Signor Malfoy? »
Naturalmente
Piton.
Con
la sua puntualità disarmante. I suoi lineamenti coriacei. Il suo sguardo bieco.
La sua voce aspra e inalterabile. Una maschera di freddezza e
rigore, inacidita dall’insoddisfazione. Indurita dalla rabbia.
«
Nulla. »
Superò
il professore e oltrepassò l’ingresso che conduceva ai sotterranei. Si sedette
il più lontano possibile da Hermione e attese. Il suo sguardo seguì con
attenzione i movimenti della mano di Piton. Ampi
cerchi. Righe dritte. Linee corte. Il gesso disegnava lettere e componeva
parole. Un quadro perfetto e bianco impresso sulla lavagna
nera: “Veritaserum. 2 ore.”
Iniziò
senza aspettare il via di Piton.
Lui
detestava quella ragazza.
Che fosse per pregiudizio o per orgoglio, a lui Hermione Granger
stava sui nervi. Con quella sua aria da oracolo, con quella
sua arrogante coscienza di sapere tutto. Con quel suo stacanovismo
insopportabile. Con quella sua sciocca convinzione che l’impegno fosse indispensabile, e fosse tutto. Non c’era niente che
gli piacesse di Hermione Granger. E avrebbe gioito per
molti dei suoi mali.
Avrebbe
davvero gioito.
Avrebbe
gioito se avesse preso una T in Trasfigurazione. Se
l’avessero cacciata dalla scuola, se l’avessero umiliata pubblicamente.
Avrebbe gioito persino se avesse perso fiducia in se stessa, e forse,
addirittura, sarebbe stato capace di essere felice se
avesse perso qualcuno di importante.
Perché la detestava.
Non
c’erano proprio vie di mezzo: era solo così.
Però…
«
Cominciate. » Piton diede il suo via.
Però tutto quello che lei diceva aveva una logica
stramaledettamente perfetta.
Forse
non c’entrava niente, ma era vero. E sapeva anche
perché era così: perché lei sapeva tante cose. E perché
sapeva dirle in maniera perfetta, con parole giuste per chiunque. E le sapeva spiegare. Oltre a renderle di una facilità
estrema, ovviamente. Che lo fossero o meno, non aveva
importanza: lei, quando parlava, le rendeva tutte tali. Perché
era maledettamente brava a parlare. E a
persuadere, con le parole. E a convincere, con le
parole. E anche a far valere le sue idee, con le
parole.
Le
parole, per lei, erano come pezzi di un puzzle da incastrare perfettamente le une
con le altre secondo un soggetto già estremamente
chiaro in partenza.
E per
quanto potesse negarlo a se stesso, quello non era
neanche il suo punto forte. Lo era studiare, al massimo. E
lo era insegnare, sicuramente.
Non
aveva mai fatto una prova pratica per il Veritaserum,
ma era tranquillo: sapeva tantissime cose.
Per
la precisione, anzi, sapeva tutto quello che lei gli aveva detto di ricordare.
E naturalmente… quello bastava.
Aggiungere un po’ di questo, un po’ di quello, in quel
momento, per quei minuti, mescolare in senso orario, amalgamare con cura. Sembrava la ricetta per una
torta, se ci pensava. Invece erano passaggi
meravigliosamente calibrati di una pozione tra le più difficili del programma
di tutti e sette gli anni di scuola.
Perché sapeva anche farsi ascoltare, quella lì.
A
suon di frustate, certo, ma sapeva farsi ascoltare.
Chi
altri aveva ascoltato così, come ascoltava lei? In
tutta la sua vita chi aveva ascoltato per poi aver saputo ripetere con parole
sue la stessa cosa, sapendo di averla capita, oltre
che imparata? Se c’era stato qualcuno, lui, comunque,
non se lo ricordava. Come non ricordava nessuno così dannatamente intelligente.
E così orribilmente leale. Talmente leale da non
permettersi mai di ricattarlo. E se era vero che Hermione
aveva saputo giocare bene le sue carte, era anche vero che era talmente onesta
che non avrebbe mai saputo veramente vincere una partita contro di lui.
Non in condizioni normali, almeno. E non aveva mai
riso per il fatto che lui avesse bisogno di ripetizioni. Non si era mai
dimostrata soddisfatta dai suoi insuccessi.
Se l’era addirittura presa a cuore.
Quella
situazione. Quel suo compito. Aveva persino riscritto i suoi appunti apposta
per lui. Era stato un gesto a cui non aveva minimamente dato peso. Semplicemente,
non ci aveva badato. Ma a quel punto ci badava: badava
a quella sottigliezza che lo travolgeva al pari di una valanga. Perché lei si era presa a cuore il fatto che luiriuscisse.
E non si era mai lamentata della sua scelta. Non si
era mai lamentata con lui dicendo che doveva solo
ringraziare perché lo aiutava. Non gli aveva mai chiesto di non insultarla: si
era presa le sue responsabilità. Se
l’era prese… con orgoglio.
E poi…
«
… scusa… »
Che senso aveva?
Lei
che, nell’alzarsi dalla sedia, alla fine del test, sollevava furtivamente lo
sguardo per controllare la ferita sulla su fronte, per lo più coperta dai folti
capelli biondi. Lei che faceva tardi ad una lezionedi
Erbologia, per controllare i lividi sulle sue
braccia. Lei che lo seguiva premurosamente per i
corridoi, sino alla classe di Trasfigurazione, per accertarsi che andasse
tutto bene. Lei che – lo notava solo in quel momento – si procurava
delle occhiaie sensazionali per fare in una sola notte la pozione che gli aveva
dato un paio d’ore prima.
Lei
che… chiedeva scusa.
Che senso aveva?
Dopo
sei anni odio, dopo sei anni di insulti, che senso
aveva che lei desse più importanza a una piccola ferita piuttosto che al suo
orgoglio, o all’opportunità di sopravanzarlo, o a quella di ferirlo con maggior
forza?
Lui
l’avrebbe fatto.
Per
lei, addirittura, più che per chiunque altro, lui l’avrebbe fatto. Avrebbe sfruttato quell’occasione magnifica, avrebbe inferto
più dolore possibile. Avrebbe colpito senza rimorso.
Per
questo non riusciva a farsi una ragione di quello che stava succedendo. E provava rabbia. Rancore.
Perché
non riusciva a capire come fosse possibile che la prima cosa che in tutta
la sua vita gli era
sembrata addirittura bella… gliel’avesse detta Hermione Granger.
In
mezzo a fiumi di parole sferzanti, maliziose e offensive. In mezzo a stralci di
complimenti, di adulazioni e di riguardi. In mezzo a
mormorii scomposti e distorti di disapprovazione, vergogna, e malevolenza…
quella era stata l’unica diversa. L’unica chiara, nitida. Senza sbavature o
fraintendimenti. Quella era stata l’unica parola improvvisa e inaspettata, che
era suonata in modo differente alle sue orecchie abituate alla monotonia di un
ronzio continuo e opprimente.
Ed era stata lei l’unica persona capace di dirgliela.
Osservò
l’espressione incolore della McGranitt congedare i
suoi studenti e invitarli a esercitarsi nella
trasfigurazione. Si alzò meccanicamente dalla propria sedia, pallido in viso.
Una
mattinata intera trascorsa in una manciata di secondi.
Si
mise quasi a correre verso la Sala Comune dei Serpeverde.
Qualcuno
lo salutò:
«
Ehi, ciao Draco! »
« Non
mi parlare. » Disse con voce strozzata e si dileguò dietro la porta di quercia
della sua stanza.
Non
voleva più restare ad ascoltare.
Nessuno.
Voleva
chiudere tutto, anche la mente. Voleva coprire tutto con un grande
coperchio e dimenticare. Dimenticare quella parola. Dimenticare chi gliel’aveva
detta. Dimenticare i suoi pensieri. Dimenticare quella
mattina. E soprattutto dimenticare quella voce dentro
di lui che, inesorabilmente, sussurrava:
… l’unica.
Da-dan!
Come
vi sembra? Io direi che in questo capitolo c’è tutto
il materiale per presupporre un cambiamento decisivo in meglio. Voglio dire, un
cambiamento decisivo in peggio c’è già stato e qui se ne vedono i risultati:
Draco praticamente la odia. Del resto è un odio
particolare: è un odio da cui può nascere qualcosa.
Completamente diverso dall’odio che nutriva precedentemente.
E a
questo proposito vorrei puntare l’attenzione sull’unica espressione in
grassetto che fino ad ora mi sono permessa di inserire
nella mia fanfiction: penso che quella, più di tutte
le altre, possa accendere la speranza per un futuro migliore.
Ok, detto questo, essendo che non ho rispettato la promessa di riportare
i ringraziamenti specifici per i commenti del secondo capitolo
mi sono sentita in dovere di condensarli qui di seguito insieme a quelli per i
commenti del terzo.
Non
vogliatemene: sono veramente dispiaciuta per non aver mai tempo e,
sapendo che è anche un po’ per colpa mia, mi sento veramente scoraggiata ogni
volta che arriva l’una di notte e improvvisamente mi vengono in mente le mille
cose che non ho fatto e avrei dovuto fare.
Infondo,
qualsiasi cosa faccia… resterò sempre una persona
irrecuperabile!T_T
Chiedo
perdono! Chiedo perdono! Chiedo perdono al mondo interooo!
(Indiscutibilmenteby me,
prestata da Ritsu Soma, Fruits
Basket, Volume 8)
Meiko89.
Ehm… io veramente
non frequento il Beccaria. Probabilmente, presa
dall’entusiasmo, ho scritto a sproposito e mi sono espressa in un modo
fraintendibile. E poi penso anche di aver sbagliato a non specificare che il
mio sogno non prevede il Liceo, bensì l’istituto penale minorile. Ad ogni modo,
tralasciando questo equivoco, sono contenta che tu, a dispetto delle tue solite
abitudini, abbia deciso di recensire la mia fanfiction.
Ne sono davvero onorata. Spero che continuerai a farlo!
FraFra. Ho risposto alla tua unica curiosità? Ora sai dove sono Harry e Ron,
però se io fossi in voi lettori mi metterei le mani tra i capelli pensando che,
in fin dei conti, sapere dove questi due cretini siano non svela
assolutamente perché Hermione si sente così mortificata e avvilita. Comunque mi piacerebbe che non sembrasse che tra Draco e
Hermione ci sia un rapporto di sottomissione. Probabilmente appare così perché
è lei a gestire le lezioni… ma vi prego di tener conto
che dal mio punto di vista Hermione è assolutamente incapace di essere la vera
padrona delle situazioni. Senza contare che lezione e rapporto
hanno un significato nettamente differente.
Sabry. La scala di importanza dei personaggi di
questa fanfiction deve rimanere ancora
ragionevolmente occultata nella mia testa malata, purtuttavia
posso anticipare senza timore che Theodore e Blaise saranno personaggi con una
certa rilevanza. Perciò tranquilla! Devo anche dirti che anche io non nutro particolare affetto per Ginny e
Dean, ma non mi piaceva l’idea di lasciare veramente
sola Hermione nel suo settimo anno di scuola, principalmente per il fatto che
secondo me non sarebbe stata assolutamente capace di sopportarlo. E poi, infondo, non è che abbiano quel gran ruolo, ti
sembra? Grazie mille per la delucidazione su OOC: mi fa enormemente piacere che
tu pensi che io abbia tenuto fede al carattere dei
personaggi. E’ una cosa a cui tengo molto. Per quanto riguarda la recensione al
terzo capitolo concordo in pieno col fatto che Harry è
sufficientemente insopportabile: mi sono impegnata per presentarlo in modo che
lo sembrasse!
Giugizzu. Draco non è semplicemente antipatico: Draco è un autentico stronzo! Del resto, come hai detto tu, è così che ci piace.
Purtroppo come hai potuto constatare non ho potuto
aggiornare questo lunedì. Mi dispiace veramente moltissimo… del resto la vita
di una ragazza di diciassette anni con un lavoro e un fratello che ha appena
finito la maturità è chiaramente problematica. Spero comunque
che aspetterai sempre pazientemente. Comunque
lo so: avevi ragione! Su Harry e Ron, intendo. Avrei voluto dirtelo prima ma dovevo trattenermi. Era una
questione fondamentale non potevo assolutamente farmi sfuggire nulla!
Neanche su quanto e soprattutto come Draco si addolcirà posso
dire nulla: ho la bocca ermeticamente chiusa! Per le scene osè
invece temo avrai una delusione: essendo assolutamente estranea a questo genere
di esperienze mi trovo nella posizione di una persona
che non desidera scriverne né avrebbe mai la capacità di farlo. In un certo
senso sono abbastanza ignorante da quel punto di vista… ma
comunque ho ancora diciassette anni! C’è tempo per apprendere tutto nella
vita, no! ^_^
JessicaMalfoy. Bene: abbiamo definitivamente appurato che il lunedì è un
buon giorno per aggiornare. Il verdetto perciò è definitivo. La seduta è tolta.
Per il Veritaserum temo avrai una – l’ennesima –
delusione, però: ho scelto una pozione a caso che potesse risultare
credibile per un compito di Pozioni; non ha nessun altro fondamento particolare
la mia decisione. E sinceramente l’idea di far dire a
Draco qualcosa mediante una pozione mi sembra tanto azzardato quanto
inutile: il cambiamento, secondo me, deve essere volontario e deve partire
dall’interno. Un interno che non sia l’intestino, ecco.
Dana.
Ehm, dolce Harry…
simpatico Ron. Caspita… A meno che non fosse
ironia, la tua, immagino che io e te abbiamo idee piuttosto discordanti sulla
faccenda. Non che io non creda che Harry sappia essere
dolce e Ron sappia essere simpatico. Assolutamente, questo no! Solo che credo anche che dopo il quinto libro siano altri gli
aggettivi adatti a loro. E dopo aver letto
questo capitolo, se mai lo leggerai, immagino che realizzerai anche tu il mio
punto di vista. Ad ogni modo potrei anche aver preso un abbaglio: magari, in
realtà, hai proprio ragione tu e io ho torto marcio.
Possibilissimo. Comunque,il punto focale del tuo
commento, identificabile con l’atroce dubbioche Hermione e Draco possano
attrarsi a vicenda, necessità di una risposta. E la
risposta è: si, possono. Personalmente credo sia
veramente difficile, quasi impossibile. Quasi, però. Come era quasi impossibile che io riuscissi a capire certe
cose di questo mondo e riuscissi a vivere più serenamente… del resto è
successo. Non si può parlare di cose impossibili quando
ad agire sono le persone. E non si può neanche dire
che non possa esistere la felicità quando a cercarla è una persona triste.
Perciò, se si riescono a vedere Draco e Hermione come persone tristi – e già, comunque, per questo bisogna creare l’occasione – e se si
riesce a fare in modo che, col tempo, ai loro occhi, un’amicizia, la loro amicizia,
possa essere la strada per raggiungere la felicità… beh, allora è possibile che
le loro strade si incrocino. In questo modo potrebbero anche incontrarsi. E se avviene un incontro… può accadere di tutto, no?
Hermione.
Hai
ragione, Pucey è stato soggetto ad atroci
discriminazioni. Del resto, voglio dire, con quel nome… Comunque,
lungi dal partecipare a questa ignobile crudeltà, ho deciso di riservargli un
ruolo nella mia fanfiction! Sono stata brava, eh?
Felicissima che ti piacciano tanto il mio stile e la
mia storia, mi spiace solo che siamo tutti così scettici su Draco e
Hermione insieme… del resto ti rimando a qualche riga sopra, e più precisamente
alla risposta che ho dato a Dana: troverai il mio punto di vista sulla
faccenda. Volevi la risposta alle scuse di Hermione… Eh EhEh! (risatina stupida) Uh UhUh! (risatina sadica)… eccotele qui in questo quarto mirabolante capitolo! Che ne pensi? E’ una “risposta” da Draco Malfoy?
Bimba88.
Oh, siamo
coetanee! Che bello! Beh, comunque
qui, pronto per te, per quando tornerai, c’è un nuovo capitolo che ti aspetta.
Spero che ti piacerà tanto quanto quelli precedenti! E
nel frattempo… passa delle splendide vacanze! ^_^
Sahm. Davvero ti ha dato l’idea di un Draco pigro e scocciato? Cioè, no, aspetta: pigro e scocciato sicuramente un po’ lo
è, ma mi sembrava che fosse anche abbastanza stronzo
e altezzoso. Mi impegnerò con tutta me stessa per
dargli un’immagine più giusta e delineata! Promesso! Sono contenta che, comunque, ti sia piaciuto molto questo “inizio” e spero che
con eguale trasporto sarai felice di constatare che anche questo terzo capitolo
esordisce con una delle canzoni con il senso più bello che abbia mai ascoltato
e, a questo punto, letto.
Super
gaia. Estremamente concisa, estremamente gentile. Ti ringrazio molto per il tuo
commento. Fa sempre piacere sentirsi dire quel genere di cose!
BellatrixLestrange. Allora vado così? Alla grande? E continuo presto? Sì! Andrò così! Alla grande! E continuerò presto! No, scusa… non voglio prenderti in
giro, anzi: la tua recensione mi ha dato la carica! Mi è piaciuto leggere “massacriamolo
allegramente”, o anche che ho “centrato in pieno” il carattere di Harry. E
anche che Hermione è un “povero tesoro”… mi ha ricordato tanto
quando io racconto il capitolo in anteprima a La Demenza e ci
inserisco tutti questi commentinipucciosissimi
e faccio un sacco di facce strane esprimendo le mie varie emozioni con scatti
di rabbia o attacchi di pianto e depressione improvvisi. Insomma, tutto questo
per dire che credo di aver appresso completamente il
tuo commento e ne sono stata davvero molto felice! ^_^
Emmawatson4ever92.
L’hai lasciata a
metà, eh… Oh, come ti capisco: anche io sto lasciando in sospeso (non in
eterno, si intende) quello che per ora è il mio
master(and only)piece – per tutti quelli che se lo
stanno chiedendo, I Live foryou
non è considerato neanche un mio piece… è semplicemente una pseudopiece.
Che peccato, però! Perché non
continui la tua fanfiction? Sicuramente hai delle
ragioni per non averlo fatto o non volerlo fare, ma se
trovassi tempo e magari ti dovesse frenare solo qualche motivo senza troppa
rilevanza allora sarebbe bello se tu la continuassi, no? Comunque,
nel caso in cui riuscissi a finire questa fanfiction
con successo e fossi capace di cimentarmi in una nuova impresa concentrata su
questo pairing sarei felice di ricevere una tua
recensione. Intanto, in ogni caso, sono contenta di averne ricevuta una adesso!
Mikki. Che meraviglia! Sono così contenta di ciò che mi hai lasciato scritto! Trovo bellissimo che tu sia rimasta
affascinata dal titolo: come ho spiegato a più di uno ci tenevo molto a
trovarne uno appropriato e la tua è stata l’ennesima e
più esplicativa conferma che ho fatto bene a scegliere The Draco and Hermione’s Opera! Sono veramente,
veramente felice di questo! Ma anche di tutti
gli altri generosissimi complimenti che mi ha elargito! Insomma, non so da che
parte cominciare per esprimerti la mia gioia! Nel senso… ti piace il mio stile,
lo trovi piacevole, scorrevole, lineare, e trovi la
storia straordinaria, la caratterizzazione dei personaggi azzeccata e…
brillante? Posso dedurre che la trovi brillante da quello che hai scritto e sto
solo volando con la fantasia? Beh, in ogni modo, tutto quello che hai scritto
renderebbe chiunque al settimo cielo, e sicuramente è
così anche per me! Sei stata davvero gentilissima a lasciare un commento così
esauriente, spero davvero che recensirai ancora tante altre volte
– ma non necessariamente con commenti extra-lunghi… va benissimo anche
qualche parola! Ne sarei comunque davvero contenta!
^_^
Nightmare… La Demenza… PERDONATEMI! Non riesco fisicamente a stare più
alzata di così: devo dormire! Però vi voglio
bene, davvero, e sono contentissima di aver ricevuto i vostri commenti. Per la
mia doverosissima ma purtroppo mancata risposta a
questi mi sottoporrò ad un durissimo digiuno! E naturalmente mi lascerò bacchettare senza riballarmi! Giuro su Sally (il mio vecchio portatile! Un
cimelio di guerra!) e su Allyson (il mio nuovo
portatile! Il nuovo padrone di casa!) che la mia colpa troverà una punizione
adeguata! E dopodichè sconterò il resto della pena a
rimuginare sui miei sbagli e a scrivere un ringraziamento degno di voi! Come
garante della mia ferrea decisione, vi affido rispettivamente anima e neuroni:
fatene ciò che volete!
Oggi sono stata proprio brava, mi congratulo con me stessa: ho
rispettato ampiamente le scadenze
Oggi
sono stata proprio brava, mi congratulo con me stessa: ho rispettato ampiamente
le scadenze! Sto proprio migliorando!
Questo
era quello che avevo scritto ieri sera alle 23.14, prima che un violento
uragano si abbattesse su casa mia e noi dovessimo spegnere qualsiasi
apparecchio elettronico per paura che potesse fondersi. E in effetti la scorsa
volta il computer fisso di casa mia ha fatto più o meno quella fine…
Sul serio: questa mattina non andava più una bega di niente! Neanche il
telefono! Nel panico, abbiamo chiamato fastweb con un cellulare e siamo
riusciti a far funzionare tutto.
E
dire che io ero già rassegnata al peggio…
Ad
ogni modo, dopo avervi messo a parte delle mie vicende serali e mattutine
(quelle notturne sono stata completamente occupate da un sonno profondo)
passiamo a ribadire i diritti d’autore di J.K.Rowling e a proporvi un piccolo
riassunto di questo ennesimo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera: dopo
un piccolo approfondimento sul carattere di Theodore e Blaise, ci viene finalmente
spiegato cosa successe il lontano giorno in cui Harry, Ron e Hermione hanno
smesso di essere il Fantomatico Trio. E nel frattempo Draco cerca di conoscere
se stesso… venendo naturalmente ostacolato dalla sua stupidità!
Per tutto il resto, vi invito alla lettura!
The Draco and Hermione’s Opera
5°
capitolo. Un dolore vissuto
con amore
*** ***
***
I was
waiting for so long
For a miracle to come
Everyone told me to be strong
Hold on and don't shed a tear
Sono stata ad
aspettare così a lungo
per l'arrivo di un miracolo
tutti mi dicevano di essere forte
aspettare e non versare una lacrima
(A new day
has come – Celine Dion)
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[endif]
*** *** ***
Sabato 16 Novembre. Ore 12.24
Hogwarts. Sotterranei. Aula di Pozioni.
«
Ehi, ciao Draco! »
Theodore
l’aveva salutato vivacemente, ma naturalmente Draco non aveva trovato niente di
meglio da dire che:
« Non
mi parlare. »
E si
era dileguato.
Se
solo non avesse saputo che lo stato catatonico di smarrimento in cui era caduto
il compagno di casa in seguito a quel fortuito incontro gli avrebbe impedito di
intendere nitidamente il suono della sua voce, allora avrebbe pronunciato con
ogni tranquillità:
Favoloso.
Perché
non c’era niente di meglio, al mondo, che essere presenti all’incipit della più
poderosa crisi esistenziale di Draco Malfoy. Niente a parte partecipare al
coinvolgimento emotivo – inevitabile - di Theodore, naturalmente.
Restò
immobile, stravaccato sul divano, con le mani nel mantello e gli occhi fissi
sul ragazzo di fronte a lui, in attesa che questi si ridestasse e decidesse di
metterlo a parte delle sue considerazioni. Cosa che, di certo, non avrebbe
mancato di fare. Renderlo partecipe di quanto accadeva, nel vano tentativo di
fargli capire l’importanza della preoccupazione per gli altri, era un compito
che quel ragazzo si era accollato deliberatamente, e che portava avanti
instancabilmente.
«
Sembrava sconvolto. » Farfugliò Theodore, quando trasalì. I suoi occhi grandi e
chiari erano spropositatamente dilatati. Il suo viso, una divertentissima
maschera di angoscia e agitazione.
Decisamente,
favoloso.
«
Probabilmente allora lo era, no? » Suggerì trattenendo a stento un ampio
sorriso soddisfatto, e alzando pigramente le spalle.
«
Parli come se ne fossi contento. » Lo rimproverò acidamente il compagno,
inarcando le sopracciglia e fissandolo con un’espressione piena di biasimo.
Come se il suo biasimo potesse indurlo a redimersi! Invero, tuttavia, non c’era
niente di Theodore che fosse sufficientemente minaccioso che potesse portare
qualcuno in quella direzione. Era decisamente troppo buono. Troppo
drammaticamente altruista e generoso. Troppo disperatamente atto al perdono.
L’esatto
contrario di lui.
«
Allora probabilmente lo sono, no? » Lo provocò nuovamente, con un occhiata
beffarda accompagnata da un sopracciglio ironicamente inarcato.
« Oh,
ma piantala! » Esclamò scocciato Theodore, che riprese immediatamente a
struggersi per l’originario motivo del suo nervosismo: « La situazione peggiora
di giorno in giorno! »
« La
situazione di chi, scusa? »
« Di
Draco, no? » Scattò il compagno, alterandosi. « Di cosa stiamo
parlando?! »
Assolutamente
favoloso.
Theodore
era in assoluto la persona più divertente che conoscesse.
Tralasciando
Draco, naturalmente.
Ma
Draco lo era per tutto quello che gli accadeva intorno. Per tutta la sua
situazione che era sempre stata ad un passo dal cambiare, perché in bilico su
un filo, e che presto sarebbe cambiata. Per tutto quello che aveva dentro e che
non era mai riuscito a capire. Per la semplicità con cui si facevano cadere i
suoi castelli di sabbia. Quei castelli che, in fin dei conti, fino a quel
momento erano stati tutta la sua vita. Una persona del genere, per quanto
noiosa, non può non divertire. Mentre Theodore era divertente proprio per
com’era. Perché era il tipo di persona ultra sempliciotta che i tipi come lui
si mangiavano a colazione. E perché era l’unica nel suo genere che lo prendeva
costantemente sul serio, sebbene si sforzasse strenuamente di non farlo in modo
da non cascarci sempre come una pera cotta.
Decisamente,
Theodore era l’eroe delle sue cacce al tesoro e giochi dell’oca. Partecipava
sempre: non riusciva a tirarsi indietro. Era più forte di lui. E giocava con
assoluta serietà, anche.
Uno
spettacolo vivente, in poche parole.
«
Pensavo avessimo finito di parlare di lui. » Si giustificò, guardandolo con
fasulla innocenza.
« Ma
neanche per sogno! » Si incaponì il compagno, squisitamente preso dagli eventi
e, inconsapevolmente, ancora una volta goffo giocatore di uno dei suoi percorsi
a ostacoli. « Io sono preoccupato! »
«
Perché tu ti preoccupi troppo per tutto. » Commentò Blaise, in un sospiro
tediato.
«
Questo non è vero. » Contestò puntandogli il dito contro, con un fare vagamente
accusatorio. « Al massimo sei tu che non ti preoccupi per niente! »
Dovette
trattenersi per non ridere.
Non
si poteva neanche dire che Theodore fosse ridicolo, infondo. Avrebbe detto
tenero, più che altro.
Come
un peluche.
«
Guarda che io mi preoccupo per un sacco di cose. » Lo informò, infondendo alla
propria voce un tono pacato e compito.
« Sì,
ma che riguardano solo te stesso! » Sbottò esasperato il compagno di stanza,
visibilmente sfibrato da quella situazione.
Gli
concesse uno sguardo paziente, e lo istruì:
«
Come fanno tutti, Theodore. »
« No!
Non è vero! » Strillò additandolo con foga e annuendo con forza, come se avesse
improvvisamente ritrovato il suo vigore. Ne riconobbe il suo curiosissimo modo
di coglierlo in flagrante. « Questa è solo una tua assurda convinzione! Non
tutti sono come te! »
« E’
vero. » Convenne con voce ridente. « Tu non lo sei. » Equivocare apposta le
geniali intuizioni di attacco di Theodore era sempre stato uno dei suoi
passatempi preferiti. C’era qualcosa di toccante nell’espressione che
abitualmente ne conseguiva:
«
N-no, non solo io! » Incespicò Theodore, infatti, quasi arrossendo per
l’inevitabile viaggio mentale che gli aveva fatto fare.
Povero,
povero Theodore! Quale grande fardello era essere tanto ingenui e
innocenti! Quale responsabilità doveva pesare su quelle gracili spalle!
Decise
che avrebbe infierito su quella faccenda non appena ne avesse avuto
l’occasione.
« Non
stavamo parlando di Draco? » Domandò poi improvvisamente, fingendo un
provvidenziale e solenne – quanto falsissimo – attacco di nostalgia per quanto
stavano precedentemente dicendo.
« Sì,
giusto. » Aggrottò le sopracciglia Theodore, preso alla sprovvista. « Di Draco.
» Si grattò la nuca con una mano. La fronte corrugata nella concentrazione e
tutto il suo essere inequivocabilmente teso verso un unico assillante pensiero:
« E della sua situazione. »
« Che
secondo te peggiora di giorno in giorno. » Lo aiutò a ricordarsi, incrociando
le braccia sul petto e annuendo.
«
Come “secondo me”? » Sbottò il ragazzo, perplesso, puntandogli gli occhi in
faccia. « Secondo te no? »
«
Mah, in effetti no. » Rispose tranquillamente, stringendosi nelle spalle. «
Secondo me migliora. »
« Si,
ma migliora per te! » Stridé sull’orlo di una crisi di nervi Theodore.Gli occhi stravolti iniettati di sangue nello
sforzo sovrumano che gli costò quell’esclamazione. « Perché ti diverte! »
Questa
volta fu davvero difficile trattenere le risa.
«
Beh, sicuramente mi diverte. » Ammise, cercando disperatamente di darsi un
tono.« Ma in questo caso non migliora solo
per me. »
Theodore
aggrottò le sopracciglia, confuso, e chiese:
« E
per chi? »
« Per
Draco, no? Di chi stiamo parlando? » Lo apostrofò, schioccando ogni
parola con profondissimo sarcasmo. Certi piaceri non li avrebbe scambiati con
niente al mondo. E, per inciso, quello era uno di quei piaceri.
« Sei
odioso quando fai così. » Soffiò Theodore tra i denti, riducendo gli occhi a
due sottili fessure e stringendo con forza le mani tese lungo i fianchi.
«
Grazie. » Disse, rivolgendogli un ampio sorriso.
«
Guarda che non è un complimento! » Sbottò con insofferenza e frustrazione il
suo esausto interlocutore. « E per tornare alla faccenda di Draco… » Aggiunse
mostrandosi teneramente risoluto. « … gradirei che mi dicessi se pensi veramente
che possa migliorare la situazione. »
« Lo
penso veramente. » Rispose, serio.
Ed
era veramente serio.
Andava
precisato perché era facilissimo fingere, per lui. E Theodore era così in buona
fede, innocentemente in buona fede, inevitabilmente in buona fede, che gli dava
sempre credito. Quella volta, tuttavia, disse una cosa che pensava.
Il compagno
di stanza parve pensarci su attentamente e poi scuotere il capo e concludere
dubbioso:
« …
secondo me non può. »
«
Beh, è perchè tu non guardi la cosa in prospettiva, Theodore. » Spiegò,
guardandosi le unghie delle dita con scarso interesse.
Era una
cosa che non si poteva acquisire con l’esperienza: essere in grado di rivolgere
il proprio sguardo nel tempo era una specie di qualità innata. La si aveva
dalla nascita, oppure ce la si poteva scordare. E per una persona come Theodore
il solo concetto di “prospettiva” era lontano. Infatti in ogni suo gesto o
parola non c’era alcuna premeditazione.
Da
quel punto di vista avrebbe anche potuto definirlo un individualista. Del resto
sapeva con assoluta certezza che non c’era niente di più lontano dalla verità.
« Che
intendi? » Domandò perplesso Theodore, inarcando le sopracciglia.
Non
fece in tempo a rispondere – e comunque non l’avrebbe fatto – che qualcuno li
salutò:
«
Theodore! Blaise! Ciao! »
Naturalmente
solo Theodore si volse per rispondere ai saluti.
Si
trattava del suo modo di essere cortese. E riusciva ad esserlo splendidamente.
In effetti, non c’era nessuno, a Serpeverde, gradevole quanto il suo tenero
peluche. Lui, invece, non salutò nessuno e, anzi, trovò l’occasione perfetta
per defilarsi: aveva detto anche troppo. Se avesse detto di più avrebbe dato
troppi indizi. Invece il gioco era appena iniziato e il percorso era ancora
molto, molto lungo.
Si
alzò perciò dal divanetto e si diresse verso l’uscita della Sala Comune.
« Ah,
ciao Eloise! » Sentì dire dolcemente da Theodore verso la Serpeverde appena
sopraggiunta e poi, verso di lui, con un tono di voce più alto e vagamente più
aspro: « Ehi Blaise fermati! Non abbiamo
ancora finito di parlare! »
«
Guarda in prospettiva, Theodore. » Gli rispose alzando il braccio e scotendolo
con indolenza, mentre scompariva dietro l’uscio. « Guarda in prospettiva e
tutto ti sarà chiaro. »
Ci
sarebbe stato da divertirsi quella volta.
Aveva
sempre saputo che, a lungo andare, Draco sarebbe riuscito a rallegrare quel lungo
e noiosissimo soggiorno a Hogwarts. Ci aveva messo sei anni per far accadere
qualcosa di estremamente interessante, questo era vero. Ma probabilmente
l’attesa sarebbe valsa lo spettacolo.
Draco
Malfoy e Hermione Granger.
Ci
sarebbe stato da divertirsi.
Veramente da divertirsi.
*** *** ***
Domenica 17 Novembre. Ore 15.20
Hogwarts. Secondo piano.
Non
era ancora riuscito a calmarsi.
La
lontananza da Hermione Granger aveva permesso alla rabbia di diminuire
notevolmente. Ma restava il fastidio per quella situazione che non sapeva
ignorare, e tanto meno riusciva a spiegare. E restavano l’irritazione e la
preoccupazione per non essere in grado di mettere fine a qualcosa di così
scomodo come quella sensazione indefinibile di precarietà e disagio che l’aveva
investito. Quella sensazione che non lo faceva sentire libero di scegliere per
conto proprio. Che gli dava l’idea di non poter muoversi in nessuna direzione.
Come se, dopo uno scossone violento, nella sua vita avesse cominciato a regnare
la staticità più assoluta. E lui non fosse assolutamente capace di farci
qualcosa.
Era
anche peggio che sentirsi arrabbiato o in dovere di esserlo.
Guardava
il giardino di Hogwarts dal porticato interno, e non sentiva niente. Guardava i
ragazzi e le ragazze parlare, muoversi, ridere, e si sentiva lontano anni luce
da loro. Guardava i loro colori e li invidiava. Guardava i propri… e vedeva
grigio.
Se,
finita la rabbia, era quello che doveva sentire. Se era quel vuoto immenso,
quella sensazione terribile di grigiore, inattività maniacale, allora preferiva
di gran lungo la rabbia. E preferiva non aver mai conosciuto quella parola così
diversa dalle altre, che gli aveva sconvolto l’esistenza.
«
Ehilà. »
Si
voltò indolentemente verso sinistra, in cerca della persona che l’aveva chiamato.
Quando la scorse un’espressione di velata insofferenza e palese stanchezza si
dipinse sul suo viso. Rivolse nuovamente lo sguardo a dove l’aveva
costantemente tenuto puntato, e rispose spiccio al saluto:
«
Blaise. »
Quel
ragazzo era esattamente l’ultima persona che voleva vedere in quel momento.
Del
resto il Serpeverde gli si era già accostato. Aveva già imposto la sua presenza
con una prepotenza placida ma inesorabile.E
lui era dannatamente conscio di quanto fosse impossibile sfuggirgli.
«
Comincia a far freddo, vero? » Domandò Blaise, anch’egli volgendo lo sguardo al
giardino. Il suo tono di voce sembrava essere l’emblema della normalità. Ma
Draco vi intuì distintamente il preludio della fine.
Una
domanda normale per introdurre il gioco, e poi…
…
un lunghissimo percorso ad ostacoli e penitenze.
Il
rituale preferito da Blaise Zabini. Un ragazzo dotato di una raffinatezza di
lineamenti e maniere da far invidia al più regale dei re. A dispetto di quanto
sporchi fossero i suoi scopi e i suoi stessi mezzi per raggiungerli, i suoi
modi di fare possedevano uno stile e una grazia a dir poco folgorante.
Supponeva che si trattasse di una delle tante qualità innate di Blaise. Una
delle miriadi qualità innate di Blaise. Tutte premurosamente atte a
porre gli altri un gradino sotto di lui.
Prerogativa
fondamentale perché il ragazzo decidesse di intraprendere con loro una qualche
conversazione.
«
Siamo a Novembre, se non te ne fossi accorto. » Grugnì scorbuticamente,
inarcando un sopracciglio con fastidio. « Sarebbe strano se non lo facesse. »
In
quel momento non gli faceva piacere intendere il divario qualitativo tra la sua
persona e quella di qualcun altro. E considerando il soggetto che aveva
davanti, meno che mai si sentiva ben disposto nei suoi confronti.
Eppure,
a dispetto di tutto, in quel mondo capovolto… persino Blaise aveva qualcosa di
diverso.
Qualcosa
di meno inquietante, per la precisione. Di meno pericoloso. Era semplicemente
irritante. Beh, forse dire “semplicemente” era un po’ restrittivo, ma non avvertiva
alcun brivido gelido percorrergli la schiena. E nessun nodo gli si era ancora
formato in gola, benché fossero passati addirittura una trentina di secondi
dalla sua comparsa.
E
quello era già qualcosa.
« Hai
ragione. » Convenne ridacchiando il compagno, questa volta scoccandogli
un’occhiata furtiva. Furtiva, non perché il ragazzo avesse sperato che lui non
intendesse lanciargliela, quanto più perché era una di quella da “toccata e
fuga”, che lo sono perché basta un istante per colpire nel segno. E, in
effetti, quell’occhiata gelidamente infida lo perforò completamente e raggiunse
il bersaglio. Qualsiasi esso fosse.
«
Immagino di sì. » Resistette laconico. Non avrebbe permesso ad unasola
occhiata di Blaise Zabini di sconfiggerlo!
« I
tuoi due subalterni mi hanno detto che questa notte sei finalmente
riuscito a dormire. »
Finalmente?
C’era
qualcosa in quella parola. Qualcosa che era molto peggio di un’occhiata. E ne
dedusse che quella doveva aver qualcosa a che fare con la chiave di lettura di
quel suo nuovo giochetto. Ce n’era sempre una. Era “lo scopo ultimo”. Era il
perché si era attardato a parlare con lui. La cosa divertente che
l’aveva spinto a farlo.
« Si,
ho dormito. » Confermò, guardandolo con sospetto e malcelata inquietudine. Se
poteva, voleva essere pronto a parare i colpi di Blaise.
Giusto
per ritardare la resa.
«
Niente più incubi? » Chiese con falsissima sorpresa il compagno, lanciandogli
uno sguardo tagliente di palpabile commiserazione. Gli occhi crudeli che
graffiavano il suo orgoglio. Volutamente.
« Non
ho mai avuto incubi. » Masticò caustico, mentre la mascella si serrava in una
morsa ferrea.
Gli
lanciò uno sguardo stizzito, sgradevolmente seccato. E Blaise gli regalò il suo
primo sorriso appagato, ma non infierì ulteriormente.
Trasse
un lungo respiro e scosse il capo, febbrilmente.
«
Oggi non è proprio giornata, Blaise. »
« Non
lo era neanche ieri. » Si lamentò con uno sbuffo annoiato il Serpeverde,
accostandosi alla finestra di schiena. « Con te sembra non esserlo mai. »
«
Anche se uno ti chiede qualcosa per favore, con te non c’è verso, vero? »
Proferì tetro, in una mezza smorfia.
« Non
me l’hai chiesto per favore. » Gli fece notare pacatamente Blaise.
«
Allora per favore… » Tentò, sapendo di compiere uno sforzo inutile. «
… potresti lasciarmi in pace? »
« Mh…
» Finse di pensarci su Blaise. « Direi di no. »
Chinò
il capo cupamente, in attesa dell’ennesima battuta sferzante. Ma questa non venne,
e cadde invece il silenzio.
Si
sentivano solo le risa dei ragazzi di fuori.
La
sua diversità lo colpì di nuovo, con violenza.
Oltre
che meno pericoloso, anche Blaise sembrava molto più colorato di lui. Non aveva
bisogno di girarsi, per vederlo. Era una cosa che si sentiva. I suoi
capelli nero corvino, in perfetta linea con gli occhi leggermente a mandorla,
scuri come la pece, avevano una lucentezza quasi abbagliante. La pelle un poco
olivastra aveva un colore che sembrava catturare l’oro dei raggi del sole. La
divisa verde e argento risaltava con grazia e splendeva con alterigia. E la
voce che si era sollevata nell’aria, quando il compagno aveva parlato, gli era
parsa colorata di un ammaliante e misterioso blu notte.
La
sua si era dispersa tutto intorno… incolore.
Lo
avvolgeva il grigiore.
Lo
opprimeva il grigiore.
Non
era né bianco, né nero.
Solo
grigio.
«
Blaise? » Lo aveva chiamato quasi inconsciamente.
« Sì?
»
« Tu
non hai mai sentito… come se la tua vita, improvvisamente, venisse… insomma… »
Il
Serpeverde concluse per lui:
« …
completamente stravolta? »
Convenne
che stravolta era decisamente la parola giusta per illustrare perfettamente
cosa intendeva. Perciò annuì, ancora una volta senza guardarlo in faccia. Solo
attendendo una risposta, addirittura fiducioso.
Una
risposta che giunse senza indugio a demolire le sue aspettative:
« No,
naturalmente. »
Naturalmente.
Sospirò
profondamente: la peggior idea che potesse venire nella vita di una persona era
aspettarsi qualcosa da Blaise. Qualcosa che non fossero offese o giochi.
« Ma
deve essere irritante, no? » Considerò ad un tratto il Serpeverde che gli era
di fianco, con una certa noncuranza, curvando un po’ la testa nella sua
direzione.
«
Cosa? » Chiese confuso, aggrottando le sopracciglia.
«
Vedere che tutto cambia. » Rispose Blaise, stringendosi nelle spalle. « Non
pensi? »
Si
astenne dal rispondere, ma si girò finalmente verso di lui, leggermente
turbato, e questo dovette essere una dimostrazione di attenzione sufficiente
per il Serpeverde.
« Insomma…
» Riprese improvvisamente Blaise, volgendosi ancora verso il giardino, con lo
sguardo che vagava senza meta, mentre quello che stava dicendo cominciava
lentamente a designarsi nella sua mente. « … guardi il giardino della tua
scuola, vedi gli altri giocare, sorridere, muoversi… e invece tu non ti senti
più in grado di farlo. » Un tu generico che aveva qualcosa di
personalissimo. « E’ come se qualcosa avesse scosso tutto e te l’avesse portato
via. »
Si
sentiva brutalmente tirato in causa. Tirato in causa e messo a nudo. Era sempre
più sorprendente comprendere le capacità intuitive e deduttive di Blaise. In
qualunque maniera fosse messo il mondo circostante, qualcosa di tremendamente
spettrale quel ragazzo l’avrebbe sempre avuto. E la sua espressione ne avrebbe
sempre risentito parecchio. Come anche il suo colorito, del resto. Si sentiva
addosso un pallore sciupato. Avvertiva un’ansia fastidiosa che gli formicolava
la pelle. E il cuore pareva irrequieto.
Draco
si rese improvvisamente conto che il “perché” di quella conversazione, che si
era per un attimo dimenticato di cercare e da cui per un attimo si era
dimenticato di difendersi, cominciava a prendere grottescamente forma.
« O
magari è molto più semplice… » Proseguì Blaise. Non notò l’impercettibile flessione
delle labbra del compagno protendere verso l’altro, ma vibrò ugualmente, come
percosso da un fremito. « Magari lo scossone è stato solo un istante. »
Deglutendo si sentì la gola secca. « Ti sfiora e poi se ne va, lasciando tutto
uguale. Solo che tu non te ne accorgi. »
Tutto
uguale…
Le
pupille di Blaise, in quel momento cangianti, vennero puntate dritte nelle sue.
Si
sentì andare a fuoco.
« O
magari non te ne vuoi accorgere. » Un colpo sordo nel petto. « Perché scopri
che il tuo mondo è sempre stato vuoto. »
E
“vuoto” voleva dire “grigio”.
Si
sentì contrarre lo stomaco. Gli parve come se le sue gambe non fossero più in
grado di sostenerlo. Scoprì le palpebre dilatate, che gli facevano male. Gli
occhi bassi.
« In
quel caso, al massimo, è divertente, vero? »
Sentendosi
interpellato sollevò leggermente lo sguardo. Finalmente notò la smorfia
divertita di Blaise. Come smarrito, si perse nel suo sguardo enigmatico e
profondo.
« Una
persona che arranca nel mare pensando di non poter più respirare, quando invece
ha la testa fuori dall’acqua… è uno spettacolo che farebbe divertire chiunque,
non trovi? »
Non
rispose, lo guardò soltanto. Annuì per riflesso… ma dentro quello sguardo non
c’era niente.
«
Ehi, Blaise, puoi venire un attimo? »
Il
Serpeverde si staccò pigramente dalla balaustra. Con una lentezza esasperante
gli pose una mano sulla spalla. Con una voce monotona dichiarò:
«
Devo andare. »
E
passò dopo passo si allontanò. Quando però fu a metà strada, si voltò verso di
lui.
« Ah,
Draco. »
Cercò
smarrito i suoi occhi.
Vi
vide un sorriso.
«
Continua a farmi divertire, ok? »
*** *** ***
Lunedì 18 Novembre. Ore 15.35
Giardini di Hogwarts.
Faceva
caldo quel pomeriggio.
Benché
fosse Novembre inoltrato faceva ancora piuttosto caldo. Naturalmente non si
poteva pretendere di andare in giro solamente in maniche di camicia, ma era
decisamente presto per i maglioni di lana di sua madre – cosa per cui era
profondamente grata. C’era da dire, inoltre, che di indossare una bella gonna
corta se ne sarebbe ancora potuto parlare. Naturalmente le calzamaglie di lana
sarebbero state d’obbligo, ma erano un compromesso accettabile per far morire
Dean d’invidia.
E
magari anche di qualcos’altro…
Un
raggio di sole filtrò tra i lunghi rami dell’albero sotto cui si trovava accidentalmente
in quel momento. Il raggio di un sole che bisognava godersi senza pensarci due
volte. Perché sarebbe stato difficile vederne uno simile persino in primavera.
Bisognava farne tesoro, come anche di quei pomeriggi di pace in cui ci si
poteva dilungare in tranquille passeggiate per i deliziosi giardini di
Hogwarts.
Sbirciò
al suo fianco: Hermione camminava con lei.
Non
aveva capito bene cosa fosse successo in quei giorni. E questo anche se l’amica
le aveva fatto qualche accenno al riguardo. In ogni caso, non aveva potuto non
accorgersi del suo cambiamento. Perchè era evidente. Come Hermione avesse
mutato atteggiamento in così poco tempo. Come ci fosse riuscita senza
sforzarsi, era decisamente evidente.
Il
viso sciupato, ma disteso. Gli occhi stanchi, ma vivaci. L’espressione
tormentata, a volte, ma tranquilla. Quieta.
Aveva
ancora molte preoccupazioni per la testa, si vedeva. E tra l’altro era normale:
quella era Hermione. Dentro di lei scalpitavano sempre tantissimi pensieri.
Progetti che si accavallavano gli uni sugli altri. Immagini da ordinare. Idee
da mettere in pratica. Riflessioni da definire. Numeri da calcolare. C’era
sempre stato tutto questo e molto altro nella sua testa, e, probabilmente, in
quel momento c’erano anche tanti sentimenti ed emozioni dolorosi.
Ma
c’era anche serenità… Una serenità che non le vedeva da tantissimo tempo.
Non
stava dicendo che Hermione stava bene. Perché Hermione non stava bene.
Ma stava meglio. Come le aveva detto. Perché non rideva spesso, ma quando
rideva, se rideva… rideva davvero. E questo, sinceramente, era un
progresso in cui non aveva neanche sperato.
«
Ginny... » Esordì ad un tratto l’amica, riportandola gentilmente alla realtà. «
… io e te non abbiamo mai parlato di quello che è successo, vero? » Fece una
piccola pausa. « Mai parlato veramente, intendo. »
Non
si stupì per quella domanda, ma la guardò attentamente, con un’espressione
sospesa: in qualche maniera era riuscita a capire che prima o poi Hermione
avrebbe detto qualcosa del genere. Perché l’Hermione che aveva davanti stava
cercando di ritrovare anche il suo coraggio, oltre alla sua serenità.
Gliel’aveva già letto in viso, quella mattina, quando si era sorpresa davvero
della sua risolutezza, delle sue parole. Gliel’aveva letto dentro, e per un attimo
ne era rimasta affascinata. Perché era meraviglioso che Hermione stesse
cercando di ricordare tutto quello che aveva dimenticato. La determinazione.
L’allegria. L’entusiasmo… Il coraggio. Quel coraggio che a quel punto lei le
leggeva negli occhi.
Quel
coraggio che le permetteva di affrontare il dolore, senza dover dimostrare
niente a nessuno. Solo per portare rispetto alla sua dignità.
E
lei, se Hermione stava facendo questo, se stava cercando se stessa, se stava
miracolosamente reagendo, voleva essere capace di sostenerla anche solo un
poco. Perché c’erano stati giorni in cui aveva pregato che succedesse. Per un
sacco di motivi. A quel punto stava accadendo. E piagnucolare, esitare,
o anche solo tentare di frenarla, per impedire che si facesse del male… sarebbe
stato solo stupido.
Perché
nessuno può fermare Hermione Granger.
Anche
se di fronte a lei c’è un muro di pietra, tentare di farlo, anche solo pensare
di farlo, per impedirle di andarci a sbattere contro, era un’offesa
imperdonabile nei confronti della sua forza e della sua testardaggine. Se non,
addirittura, del suo intero essere.
Scosse
perciò il capo con decisione. I suoi lunghi capelli rossi volteggiarono attorno
a lei.
« No,
non ne abbiamo mai parlato. »
«
Già. » Asserì Hermione, smettendo di camminare. Si fermò anche lei e la guardò
negli occhi. Questi velati di tristezza. La tristezza pervasa di
irremovibilità. « Anche se è passato così tanto tempo, non ne abbiamo mai
parlato. » Le scappò uno sbuffo auto-ironico e confessò: « Lo trovo paradossale.
» Paradossale le piacque. Era un termine che solo Hermione poteva adoperare al
momento giusto. Suo fratello l’avrebbe usato per dire qualcosa di intelligente.
Ma paradossale sarebbe suonato bene solamente detto da lei. « Ero così abituata
a parlare con Harry e Ron che non mi è neanche passato per la testa che avrei
potuto parlare di qualcosa con qualcun altro. » Socchiuse pacatamente le
palpebre, abbandonandosi in un sospiro. « E poi pensavo che non ci fosse niente
da dire. »
«
Adesso pensi che ci sia? » Domandò, senza smettere di guardarla.
Hermione
pensò attentamente alla sua risposta. Prima di parlare, in quegli ultimi
giorni, ci pensava sempre. Era come se cercasse di dire la parole giuste,
nella maniera giusta. In maniera che fossero vere e che anche lei
potesse capirle. Alla fine si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio e
ammise pacatamente:
« Sì,
penso che ci sia molto da dire. »
«
D’accordo... » Replicò piano, poi sollevò lo sguardo inghiottì sonoramente
l’aria e fece uno stentato passo in avanti. « Ma se… » Si fermò un secondo,
impacciata. « Se questo è il tuo modo di rimediare, Hermione, per quello che
pensi di aver fatto, prima che tu dica qualsiasi cosa… io voglio assicurarti
che non devi scusarti di nulla. »
Hermione
che si scusava… anche quello era paradossale.
Lei
non era stupida: aveva capito cosa aveva voluto dire Hermione affermando che
ferire gratuitamente gli altri non ha senso. E aveva anche capito che tra
quegli altri aveva incluso anche lei, Dean, Neville e Seamus. Aveva dovuto
pensarci, per capirlo, ma l’aveva capito. E sapeva anche che aveva ragione, in
qualche modo, e che, per questo, non avrebbe mai ascoltato ragioni al riguardo.
Però le sarebbe piaciuto pure farle capire che in parte aveva anche torto.
Per
quanto quel ragionamento apparisse privo di logica, le cose stavano in quella
maniera. Perché, forse… Hermione era stata egoista.
Mai
cattiva, ma forse egoista sì. Per un istante sì.
Però
la debolezza di un istante non fa una persona. Hermione era solo Hermione. E Hermione
e l’egoismo erano due cose diverse. Hermione e la cattiveria erano a due lati
opposti del mondo. Hermione andava a pari passo con la determinazione, con
l’ardore, con l’intelligenza. Quell’intelligenza che le permetteva di cogliere
tuttoquellochepotevaaccadere in un istante.
Quell’intelligenza che la rendeva speciale. Che, combinata con la sua
sensibilità, la rendeva capace di capire quegli istanti meglio di chiunque
altro.
E,
infondo, ammetteva che questo era meraviglioso. Che questo, benché alle volte
l’avesse fatta star male, benché le avesse fatto credere di essere in dover
chiedere scusa, senza che invece ce ne fosse bisogno… era importante.
Perché
infondo le sue scuse facevano sentire gli altri importanti.
Come
avevano fatto con lei.
« Non
è così. » Mormorò Hermione. La sua voce sottile risuonò nel vento. E il suo
sorriso riempì l’aria di tenerezza. Il suo sorriso sincero. Meraviglioso.
Rivolto solo a lei, per dire qualcosa di bellissimo, con una dolcezza toccante:
« E’ che tu sei la più cara amica che abbia mai avuto. Per questo vorrei
parlarne con te. » Una dolcezza che scaldava il cuore. « Vuoi? »
Le
parve quasi un onore.
« Sì.
» Rispose piano, mentre le si inumidivano gli occhi.
Una
risposta importante… che apriva una porta segreta.
« E’
successo ad Agosto, se non sbaglio. » Iniziò Hermione, congiungendo le mani,
come se potesse aiutarla a ricordare meglio.
« In
realtà… » La corresse lentamente lei. « … è iniziata a Luglio. »
« Si,
è vero, la selezione c’è stata a Luglio. » Concordò la bruna, annuendo
ripetutamente. Le lanciò uno sguardo consapevole, in cui tuttavia non vi erano
tracce di biasimo, o accusa. « Li hai accompagnati tu, vero? »
« Sì,
con Bill. » Rispose, traendo un profondo respiro. Un giorno, dal nulla, aveva
visto Ron, Harry e Bill in procinto di uscire di casa. Aveva insistito per
andare con loro. L’aveva fatto senza sapere assolutamente niente di quello che
sarebbe successo. « Non sapevo davvero cosa volessero fare al Ministero della
Magia, ci sono andata perché credevo sarebbero andati a fare una passeggiata.
La mamma invece credo lo sapesse… » Aggiunse sicura. « … e infatti non era di
buon umore. » Era sempre agitata. Andava su e giù per la casa, come se non
potesse fare altro. Era più acida del solito con i gemelli. Più dolce del
solito con lei. Si sentiva nell’aria che qualcosa non andava come doveva.
«
Immagino che fosse in pensiero. » Commentò Hermione.
« La
mamma è sempre stata apprensiva. » Si ritrovò a dire, affettuosamente.
Hermione
le rivolse un sorriso molto dolce e annuì.
«
Già. »
Cadde
per qualche attimo il silenzio.
Si
decise a interromperlo solo quando pensò che sarebbe riuscita a controllare la
voce, dandogli un inclinazione sostenuta. Tuttavia quando lo fece le parve di
sentire che in realtà era molto più pesante di prima. Come se fosse in procinto
di spezzarsi.
Ugualmente
decise di non interrompersi: per quanto avrebbe cercato di far apparire la sua
voce normale, sicuramente, per dire quello che doveva dire… non ci sarebbe mai
riuscita.
« Io
non… non ho assistito alla selezione, ma mi sono accorta di quello che accadeva
guardandomi intorno. » Si passò le dita tra i lunghi capelli rossi. Delle dita
sudate per il nervosismo. « Ho pensato subito che era strano che tu non ci
fossi. E penso che sia stato in quel momento che ho capito perché mio fratello
diventava strano quando si parlava di te. Quando ho capito che non ne sapevi
niente. » Guardandosi sfuggevolmente la mano che scendeva per tornarle lungo il
fianco notò che il colore della sua pelle era un po’ sbiadito. « Perché tu ci
saresti stata di sicuro, se solo l’avessi saputo. »
«
Perciò mi hai mandato quella lettera. » Continuò Hermione per lei. Inspirò a
lungo e recitò: « “Harry e Ron hanno fatto una selezione per diventare Auror”.
» Sorrise mestamente. Un sorriso lieve, che la colpì. Un sorriso affranto, che
la ferì. « E’ stato uno dei momenti più brutti di tutta la mia vita. »
Si
sentì uno schifo.
« Io
non… non sapevo cosa scriverti. » Squittì, pallida in viso, con la voce
tremula. Il senso di colpa opprimente. « Non ne avevo idea. »
Lei
era stata presente.
Aveva
visto tutto, li aveva persino accompagnati là, e una volta giunti, non aveva
fatto niente. Era stata solo capace di mandarle una lettera. Era solo riuscita
a spezzarle il cuore. Si era sentita stupida e sciocca. Si era sentita…
…
colpevole.
Hermione
però le sorrise di nuovo. Un sorriso diverso da prima, il sorriso di una
persona che sa distinguere i sentimenti. Il sorriso di una persona che riesce a
comprendere le cose. Che riesce a darci importanza, anche se apparentemente non
ne hanno. E le sue parole, nella loro semplicità, nel loro candore, sciolsero
ogni cosa:
« Tu
hai pensato a me. Io… ti ringrazio soltanto per averlo fatto. »
A una
persona che era capace di vedere le cose belle, in quelle brutte… magari non
subito, ma che era capace di trovare il tempo di pensarci, per trovarle… a una
persona così, come si poteva far del male?
A una
persona del genere… suo fratello e Harry come avevano potuto far del male?
« …
avrebbero dovuto essere loro a scriverti. » Proruppe, smorzando la voce poco
prima che questa potesse svelare il rancore che vi vibrava all’interno, e
chinando il capo celando gli occhi carichi di sdegno. Non voleva dire che
sarebbe stato sufficiente scrivere. Non voleva dirlo, perché in realtà
credeva che niente sarebbe mai stato sufficiente. Ma sarebbe
sembrato meno crudele. Quello sì. Meno crudele sì.
Spendere
almeno un paio di parole, prima di distruggere tutto quello che avevano
costruito insieme, in sei anni… sarebbe sembrato meno crudele.
«
Sarebbe stato bello. » Confessò Hermione, con un po’ di timidezza nella voce
sottile, impregnata di malinconia. « Ma alla fine abbiamo potuto parlare lo
stesso. E’ stato il giorno in cui hanno appeso i risultati. Me lo ricordo… »
Fece un debole pausa. « … ci siamo incontrati. »
« Mio
fratello non ha mai voluto dirmi cosa vi siete detti quel giorno… » Esitò,
stropicciandosi con foga le dita tra di loro, nel vano tentativo di calmarsi e
ignorare le lacrime che premevano contro i suoi occhi. Non era proprio il
momento di piangere, quello! « …ma so che la mamma ha smesso di parlare con lui
e Harry per una settimana. »
«
Beh, questo è proprio da Molly. » Ridacchiò Hermione. Una risata priva di
allegria, piena di tristezza. Le si strinse il cuore sentendola.
« Oh,
Hermione, cosa ti hanno detto? » Domandò accorata, avvicinandosi a lei,
prendendole le mani tra le sue, guardandola con comprensione e affanno.
Sebbene
più o meno sapesse cosa fosse successo, lo chiese. Sebbene li avesse già
condannati per quello che non avevano detto, lo chiese.
« Non
è stata colpa loro, Ginny. » Replicò Hermione decisa, come leggendole nel
pensiero, mentre sottraeva cortesemente le proprie mani dalla morsa delle sue.
Cercò di leggere cosa dicevano i suoi occhi. Vi lesse solamente un contegno
avvilente. « Le cose dovevano andare così. Io ho chiesto che mi facessero un
esame seduta stante, per essere ammessa insieme a loro. Non è stato possibile,
ma anche se me l’avessero concesso non sarei mai riuscita a superarlo. » Trasse
un lungo, esasperante sospiro, per poi proseguire con voce ormai innegabilmente
strozzata da un nodo formatosi in gola: « E poi ho chiesto a Harry di dire
qualcosa. »
Le
parve di sentire il cuore di Hermione dilatarsi dentro di lei, togliendole il
respiro. L’espressione del suo viso si contrasse.
Ed
eppure, appena prima di parlare, solo per un attimo prima, incomprensibilmente…
quell’espressione le parve splendente.
« Ha
solo detto… »
«
Torna a Hogwarts. »
L’aveva
guardato negli occhi. Smarrita. Mortificata... Stravolta. Si era sentita venir
meno. La vista annebbiata. Un ronzio ossessionante nella testa. Chiuse e riaprì
gli occhi più e più volte. Ma quelli di Harry, ogni volta che sollevava le
proprie palpebre, erano sempre invalicabili, inaccessibili. Sempre freddi. Una
lama d’acciaio che sfregiava il volto. Un guanto di metallo che penetrava nel
petto.
«
No, Harry io... » Provò debolmente a obiettare, ma venne subito interrotta:
«
Io e Ron abbiamo già preso la nostra decisione. »
Udì
quelle parole distintamente, ma comprese altro. Mentre la terra sembrava
sgretolarsi sotto i suoi piedi. Mentre il cuore cedeva sotto i suoi battiti
frenetici. Mentre ogni cosa svaniva, la consapevolezza che il resto della loro
vita non la riguardasse più la investì con inaudita violenza.
«
Non avrebbe senso che tu lasciassi la scuola. » Proseguì Harry, impassibile.
Era
come dire: “non abbiamo più bisogno di te.”
«
Torna a Hogwarts. »
Era
come dire: “addio.”
Il
suo cuore si spaccò in due in quell’istante.
Sentì
una lacrima scenderle lungo la guancia.
Una
lacrima sola… per un dolore infinito.
« Ron
non ha detto una parola per tutto il tempo. » Aggiunse infine, in un soffio.
Gli occhi umidi. Le mani non più giunte, ma serrate in una morsa. « Harry se
n’è andato subito dopo aver finito di parlare. » La vide socchiudere le
palpebre, sofferente. « Non si sono girati indietro neanche una volta. »
Rimase
di fronte a lei. Affranta. Restò a fissarla. Allibita. Con il viso segnato
dall’incredulità. Il corpo scosso dalla mortificazione.
« Io
avrei dato… » Esalò Hermione in un sussurro soffocato. « … avrei dato qualsiasi
cosa pur di restare con loro. » La vide trattenere le lacrime, strenuamente,
disperatamente… mentre quelle le avevano già rigato le guance. E la vide
sorridere, anche. In un modo tristissimo. In un modo struggente. In un modo… bellissimo.
Mentre mormorava con tutto l’affetto e il sentimento di cui era capace: «
Perché loro sono sempre stati prima di tutto per me. »
Mi
dispiace…
Riuscì
solo a pensarlo, pianissimo… ma non fu capace di dirlo.
« Era
una cosa che doveva succedere. » Mormorò Hermione, annuendo ripetutamente,
cercando di convincerla che era così. Cercando di convincersi che era
così. Ma non smetteva di piangere. E non smetteva di sorridere. « Harry ha
fatto tutto questo perché doveva, per se stesso. Ci sono cose, nella sua vita,
che io sapevo che prima o poi avrebbe dovuto sistemare. » Prese fiato, quasi
ansimando, scossa da singhiozzi rotti che tratteneva nel petto.
« Però…
» Gemette con forza dopo qualche attimo, mentre la sua espressione si incrinava
precipitosamente. Mentre si apriva una ferita.
Mentre
ne sgorgava dolore.
«
Però io penso che Ron sia stato fortunato ad apparirgli utile. »
Un
dolore vissuto con sentimento.
« Per
lui... per Harry... »
Un
dolore vissuto con passione.
« ...
avrei voluto esserlo anche io. »
Un
dolore vissuto con amore.
*** *** ***
Lunedì 18 Novembre. Ore 16.57
Hogwarts. Primo piano.
Grigio.
A
quanto pareva, quello era il suo colore.
Era
stato a dir poco scioccante apprenderlo da Blaise. Tanto più che se mai fosse
esistita una persona più abile di lui nel distruggere psicologicamente le
persone, sicuramente questa sarebbe stata un suo clone. Ad ogni modo ci aveva
pensato su, attentamente, e aveva convenuto che, per quanto inaccettabile gli
fosse sembrato da principio, le cose stavano in quella maniera.
Come
quadro generale non era proprio il massimo.
Era
soprattutto tetro pensare che era sempre stato così, per quanto lui non se ne
fosse mai accorto. Ed era lugubre concepire un futuro simile a quel presente.
Se non altro, averne preso coscienza, avrebbe potuto scongiurare quella
prospettiva. E se era riuscito a prenderne coscienza lo doveva principalmente
al fatto che gli era stato chiesto scusa. Anche se supponeva che non sarebbe
mai riuscito ad accettare che fosse Hermione Granger la persona da ringraziare
per questo. Preferiva considerare quelle parole un patrimonio che la
collettività gli aveva lasciato anonimamente. E preferiva anche soprassedere
sui ringraziamenti. Ammettere l’importanza dell’evento in sé era il massimo che
poteva concedere.
Ed
era già parecchio, a suo avviso.
Un
rumore di passi proveniente dalla sua destra attrasse la sua attenzione. Quando
scorse la persona che lo aveva provocato una smorfia di disgusto gli si dipinse
sul viso, mentre l’abituale sensazione di impellente rigetto fisiologico verso
quella presenza risaliva rapidamente il suo esofago.
« Signor Malfoy! Salve! » L’euforia del saluto di Albus
Silente coinvolse nella sua reazione anche tutto l’apparato nervoso e gran
parte di quello respiratorio.
Sostenne
con fastidio lo sguardo in quella direzione. Il preside gli sorrideva
affabilmente e avanzava con un aria di contagiosa felicità verso di lui,
fissandolo attraverso quegli antiestetici occhiali a mezzaluna. Con una barba
di almeno un paio di centimetri più lunga e ispida del giorno prima e una
faccia ancora più rugosa.
Nel
complesso, in sostanza, quel fanatico sembrava sempre più vecchio ogni giorno
che passava.
«
Professor Silente. » Grugnì seccato, rivolgendogli una smorfia di saluto.
« Il
Professor Piton mi ha detto che vorrebbe parlarle per una questione importante.
» Riferì entusiasta il preside, quando gli si fu affiancato. Inorridì
nell’appurare l’aura di beatitudine e inalterabilità che emanava quell’uomo.
Lasciando
il gravoso compito di considerare questi pensieri alla parte destra della sua
testa, soppesò con quella sinistra l’annuncio di Silente riguardo quello che
gli era stato mandato a dire da Piton: la questione importante era senz’altro
il compito di pozioni. Era andato da cani? Obbiettivamente non lo sapeva.
Naturalmente non lo sperava. C’era un limite al peggio, infondo: cadere
definitivamente in disgrazia anche a scuola non era esattamente la sua massima
aspettativa.
«
Vado da lui. » Replicò con convinzione, deciso ad accorciare il più possibile
le sue sofferenze.
« Oh,
ma non c’è fretta! Non c’è fretta! » Lo trattenne il preside con voce ridente.
« Sono sicuro che al professor Piton non dispiacerà se resta un attimo a farmi
compagnia! »
E’
una minaccia?
«
D’accordo. » Indugiò, non sapendo se gli conveniva acconsentire o meno.
«
Allora, Signor Malfoy, ha fatto amicizia con qualche bella ragazza in questi
mesi? »
Era
una minaccia.
Perché
non era fuggito via? Perché?! Tralasciando il senso di perversione che
gli suscitava che un vecchio bavoso spronasse un ragazzo di diciassette anni a
“fare amicizia” con le belle ragazze, forzò una risposta che riuscisse a non
far trasudare all’esterno l’astio violento che provava in quel momento:
« No.
»
« Mh.
» Si impensierì Silente, con fare meditabondo. « Peccato, sa? La vita offre un
sacco di opportunità! » Gli si rivolse, sorridendo affabilmente, cercando
probabilmente nella sua espressione un riscontro a quanto stava dicendo.
Suppose che, tuttavia, vi trovò solamente un certo ribrezzo. In ogni modo parve
non badarci e proseguì. « Sarebbe un peccato non coglierle! » Prese ad annuire
come un povero deficiente e considerò con solennità: « Per esempio, io non
vivrei senza il mio sorbetto al limone. »
Quel
discorso gli parve la dimostrazione inoppugnabile dell’abissale stupidità di
quell’uomo.
«
Immagino la tragedia. » Commentò sarcastico. Mentre una parte di lui era
straordinariamente felice della prospettiva di togliersi dai piedi Silente.
« Si,
una tragedia immensa perdere il sorbetto. » Convenne con trasporto Silente.
Figurandosi la catastrofe e venendo traumatizzato da quella visione.
Veramente
io dicevo la tua morte.
Ma
con la capacità di voluto travisamento di cui poteva occasionalmente avvalersi
il vecchiaccio era meglio non correggerlo.
«
Comunque anche il sorbetto al mandarino, non è male. » Aggiunse
inspiegabilmente ad un tratto il preside, annuendo convinto.
L’apoteosi
dell’assurdo.
Stava
in mezzo ad un corridoio vuoto a parlare con Albus Silente dell’importanza del
sorbetto al limone. Che vergogna…
« Il
mondo sarebbe peggiore se non ci fossero cose da considerare belle, non trova?
»
Rispose
con impassibilità, quasi svogliatamente:
«
Trovo. »
Ma si
concesse una risposta per se stesso: si concesse un “si” ragionato. Un assenso
vero. Perché nel grigio intorno a lui, qualche colore, anche se a stento, in
verità poteva intravederlo ancora: l’arancio della marmellata, l’azzurro del
cielo quando vi galleggiava sulla sua scopa. E secondo un tipo di ragionamento
parallelo, probabilmente, Albus Silente avrebbe detto che si trattava di quelle
cose belle che esistevano nella vita. Il paragone lo mise per un attimo
dell’idea che lui e il vecchiaccio rugoso fossero sullo stesso piano.
Un brevissimo
attimo, fortunatamente.
«
Vado dal professor Piton, arrivederci. » Si congedò concisamente, dandogli le
spalle.
Sentì
il preside che lo salutava con lo stesso entusiasmo con cui l’aveva salutato
quando era sopraggiunto:
« Oh
si! Arrivederci Signor Malfoy! »
A
mai più rivederci, vecchiaccio …
Percorse
l’intero corridoio, svoltò a destra e cominciò a scendere indolentemente i
gradini del sotterraneo. Si ritrovò ben presto di fronte all’ufficio di Piton.
Non appena vi bussò dall’interno pervenne un invito ad entrare decisamente
seccato. Deglutì: tutto ad un tratto non si sentivo più così ansioso di
conoscere il fatidico verdetto. Si fece ugualmente coraggio e spinse in avanti
la maniglia.
«
Voleva vedermi? » Domandò avanzando di qualche passo, senza però chiudere del
tutto la porta dietro di sé. Senza, cioè, privarsi dell’unica via di fuga di
cui avrebbe potuto disporsi qualora le cose si sarebbe volte al peggio.
Prospettiva che non era da escludere considerando l’espressione minacciosamente
tetra che Piton possedeva quando, con uno sguardo torvo, sbottò:
«
Alla buon ora, Signor Malfoy. »
Il
bello era che a Piton non si sarebbe dispiaciuto se avesse tenuto compagnia a
quel preside degenere.
Silente,
sei un deficiente!
« Non
si accomodi. » Lo freddò il professore notando con la coda dell’occhio che
aveva fatto istintivamente un passo verso la sedia. « E’ una cosa veloce. »
Si
immobilizzò immediatamente, mentre anche la parte meno perspicace del suo
cervello concretizzava la consapevolezza che Piton non sembrava molto
contento.
E se
Piton non era molto contento, supponeva che il suo compito non doveva essere
andato quel granchè bene. Si mantenne impassibile, cercando di non avere
l’espressione di uno che è nato apposta per far impietosire gli altri.
Cercando, in una parola, di non sembrare RonaldWeasley. E,
naturalmente, lanciando uno sfuggevole sguardo verso lo spiraglio che aveva
lasciato per garantirsi un’eventuale evasione.
«
Certo, mi dica. » Dichiarò quindi ostentando disinvoltura. La distensione era
la chiave per uscire vivo da quell’ufficio. L’aveva sperimentato a suo tempo.
« Il
compito di Pozioni... » Iniziò Piton, sfogliando delle carte che aveva tra le
mani con un’espressione irritata. Fece una pausa, aggrottando la fronte alla
vista di qualcosa di abbastanza sgradevole. Che il suo voto facesse così schifo
che ogni volta che lo si guardava gli veniva la nausea e faceva quelle smorfie?
Brutale
presentimento.
« E’
andato male? » Tentò di indovinare, titubante.
«
Male? » Domandò interdetto il professore, gettando via quello che aveva in mano
con una stizza tale che gli salì l’angoscia. « Non direi male... »
Se
era una di quelle situazione in cui la frase terminava in un « direi peggio »
decise che sarebbe tornato da Silente e l’avrebbe insultato, giusto per il
gusto di farlo.
« ...
direi piuttosto bene invece. »
Niente
insulti…
Peccato.
«
B-bene? » Farfugliò, sbalordito, assolutamente incapace di credere alle proprie
orecchie. Era andato addirittura “piuttosto bene”? Inspiegabile.
« Si,
ho testato io stesso la sua pozione… su Silente. » Piton parve contrariarsi al
pensiero. « Sì è, come dire, offerto volontario. Ieri più o meno. Infondo la
sua pozione aveva un colorito abbastanza corretto » Un colorito corretto? Beh,
in effetti, sebbene sul momento non gli fosse importato, ricordava vagamente
qualcosa del genere. « E poi secondo lui aveva un buon odore. »
« Ah.
» Esclamò incerto e leggermente perplesso: decisamente, Silente era un
imbecille.
«
Beh, per andare sul sicuro gli ho chiesto qualcosa di semplice. »
Se
gli piaceva il sorbetto al limone?
« Ha
risposto correttamente, ma poi ha continuato a ripeterlo per circa un quarto
d’ora, a chiunque incontrasse. » Disse annoiato il professore. In quell’istante
notò a terra il foglio che aveva gettato via: il risultato dei G.U.F.O. di 3
anni prima di Neville Paciock. La testimonianza definitiva che non aveva più
nulla di cui preoccuparsi. « Immagino che lei abbia messo troppe code di
salamandra essiccate. » Continuò, sempre piuttosto seccato. « Comunque penso di
dovermi congratulare con lei. »
«
ah... sì? » Domandò, trattenendo a stento un ampissimo sorriso.
« In
una classe di D e S, lei è stato l’unico a prendere O. » Confermò il professore
porgendogli una pergamena arrotolata senza neanche degnarsi si sollevare lo
sguardo per cercare il suo.
Oh.
« Oh.
» Ripeté, non più a se stesso ma ad alta voce, stordito, afferrando il foglio
con mani tremanti e srotolandolo febbrilmente. Di tutto quello che c’era
scritto, l’unica cosa che riuscì a leggere e gli parve logica fu una grande O
sul lato in alto a destra. Si soffermò per ancora qualche attimo su di essa,
sbalordito, dopodiché sollevò lo sguardo sul professore e, con l’espressione
più solenne di questo mondo, domandò: « E’… è davvero vero? »
« Se
preferiva una D anche lei avrebbe dovuto dirmelo prima. » Tagliò corto Piton
infastidito, lanciandogli un velocissimo sguardo insofferente e poi tornando di
nuovo a sfogliare le sue carte. « E questo è tutto quello che volevo dirle,
perciò può andare. »
Non
se lo fece ripetere due volte. Principalmente perché riuscì a intendere cosa
gli sarebbe capitato se fosse rimasto: l’espressione facciale di Piton avrebbe
avuto il potere di smuovere anche il più grande idiota di Hogwarts. Per dirla
in termini semplici: persino Neville Paciock avrebbe capito che eclissarsi
dalla vista del professore sarebbe stata una mossa alquanto tattica per
garantirsi la salvezza. E andava considerato che Paciock stordito lo era per
natura, e di certo non aveva bisogno di un voto strepitoso che gli facesse
girare la testa rendendolo incapace di intendere e di volere. C’era infatti da
dire che i suoi organi sensoriali sembravano tutto fuorché funzionanti, in quel
momento. Cosa che non era necessariamente un male: si sentiva
straordinariamente più leggerlo. Straordinariamente più felice. E del resto
aveva preso O. Era un evento così sensazionale che l’avrebbero inciso sulla sua
lapide! E sicuramente l’avrebbero scritto negli annali di Hogwarts. Anzi no!
L’avrebbero tramandato nei secoli dei secoli e tutti, nessuno escluso, avrebbero
riconosciuto quanta saggezza, e intelligenza, e accortezza erano stati infusi
nel suo meraviglioso essere!
Si,
sarebbe andata senz’altro così!
Perché
lui… avevapreso O!
Solo
quando si trovò sulle scale, tuttavia, lo folgorò la vera magnificenza di quella
notizia.
Un
ghigno malefico si dipinse sul suo viso: già, aveva preso O, il che significava
che Il Momento era finalmente giunto.
Hermione
Granger, le avrebbe pagate tutte.
Gliel’avrebbe
stampata nel cervello, quella O! Gliel’avrebbe sbattuta in faccia!
Gliel’avrebbe fatta ingoiare! E tanto meglio se avesse fatto indigestione!
Senza contare che, a giudicare da quanto sapeva essere servizievole e remissiva
in quegli ultimi giorni, probabilmente si sarebbe inchinata ai suoi piedi. E
quello sarebbe stato il momento in cui l’avrebbe finalmente schiacciata per
terra, come un misero insetto.
Magnifico.
E
mentre correva alla ricerca della sua nemesi naturale per eccellenza… una O
rossa scintillante pervadeva i suoi ancora grigi pensieri.
Il
primo luogo dove pensò di cercarla fu la Biblioteca. Al contrario, la fortuna
volle che lui scorse a metà del corridoio del primo piano, in giardino, a
parlare con un’inequivocabile testolina rosso fuoco. Grandioso! Avrebbe preso
due piccioni con una fava! Perché non vedeva nessun motivo per cui non avrebbe
dovuto far notare la sua superiorità anche agli esseri inferiori che ospitava
Hogwarts! Il che significava tutti gli studenti, tranne lui. E gran
parte del corpo docenti.
Corse
giù per le scale, uscì dal porticato e si gettò in una corsa frenetica nella
loro direzione. Mentre nella sua testa si figurava l’incredulità di Hermione,
che, guardando il voto del suo compito, si sottometteva a lui dicendo:
« Non
potrò mai competere con te, Malfoy. » E poi ancora, con accorata reverenza: «
Perdonami per tutto quello che ti ho fatto. » E infine, ormai in lacrime: «
Potresti insegnarmi le vie della forza? »
Magnifico!
Quando
fu in prossimità di raggiungere le due Grifondoro rallentò il passo. Si mise a
posto il mantello, si sistemò la camicia, la cravatta, e si tirò indietro i
capelli, con nonchalance. Quello era il suo grande momento: voleva esserci al
meglio!
Avanzò
deciso, vittorioso. Ventre in dentro. Petto in fuori. Sul viso, un’espressione
di completo appagamento. Quando fu a un passo da loro, notò il lieve rossore
attorno agli occhi di Hermione e i suoi, di riflesso, si illuminarono
improvvisamente di gioia: il cielo aveva scelto di far avvenire il suo trionfo
quando lo stato emotivo di Hermione Granger era già in pezzi!
Apprese
che nulla avrebbe potuto guastare quel momento straordinario.
Si
schiarì la gola, facendo notare al propria presenza. Ginny Weasley si girò e
emise un gemito soffocato nel vederlo, Hermione Granger perse un po’ di colore
e si fece prodigiosamente piccola di fronte a lui.
«
C-cosa diavolo vuoi, Malfoy? » Gli domandò scioccata e nervosa la rossa,
facendo gravitare lo sguardo da lui alla bruna, in apprensione.
« Ho
qualcosa da dire alla tua amica. » Fece, calmo, scoccandole lo stesso sguardo
che un re rivolgerebbe ad un piccolo e inutile scarafaggio nero. Perché lui era
un re. E lei, per diretta conseguenza, era uno scarafaggio.
Lo
sguardo della Weasley andò a soffermarsi in agitazione su Hermione, che però
scosse il capo e si fece avanti, coraggiosamente, domandando con voce rauca e
stanca:
«
Cosa c’è? »
Ponderò
attentamente cosa avrebbe potuto dirle. Infine, senza nulla toglierle alle sue
doti di strabiliante oratore, optò per la cosa più semplice in assoluto. Vibrò
per l’emozione e l’eccitazione, tirò indietro il capo, sorrise estatico e
socchiuse gli occhi. La mano si mosse verso di lei, porgendole la prova
schiacciante del suo successo.
« Ho
preso O nel compito di Pozioni! »
Udì
nitidamente il gemito di orrore e inevitabile stupore di Ginny Weasley, mentre
avvertì che Miss Ero-la-migliore-ma-ora-non-lo-sono-più afferrava con una presa
tremolante il foglio che le porgeva. La udì trarre un lunghissimo sospiro.
«
Malfoy… »
Attese
il suono del suo trionfo.
« Tu
sei… »
Un
figo?
« …
un imbecille! »
Eh…?
Vacillò.
Spalancò
gli occhi.
Aggrottò
la fronte.
Eh?!
«
Imbecille! » Ripeté Hermione. Il fuoco negli occhi, l’espressione di pietra.
Nella mano destra, sgualcito incautamente ai bordi e mosso senza rispetto su e
giù, il preziosissimo esito del suo test. « Sei un grandissimo imbecille,
Malfoy! »
«
M-ma come ti permetti?! » Replicò attonito, assolutamente sconcertato per
quello che stava accadendo. « Io ho preso O! » Starnazzò con
orgoglio, indicandogli il foglietto che aveva in mano. Lo scarafaggio, lì
vicino, si era ritratta spaventata. « Significa Oltre ogni Immaginazione!
»
Per
tutta risposta Hermione lanciò uno sguardo di assoluto disprezzo a ciò che
aveva tra le dita e lo accartocciò senza pietà.
Sentì
le ossa accartocciarsi dolorosamente con esso.
« Lo
so benissimo cosa significa, deficiente. » Ruggì Hermione imponente,
sovrastandolo e freddandolo con lo sguardo glaciale. « Ma io non ho perso i
miei pomeriggi per una misera O! »
M-misera?!
Avrebbe
voluto gridarle in faccia che non era misera! Che era grandiosa!
Ma temette che nel caso in cui l’avesse fatto, quella persona, che mai come in
quel momento emanava un’aura di purissima energia negativa, gli sarebbe saltata
addosso e gli avrebbe staccato le braccia e le gambe a morsi.
« Non
accetterò una O anche nel prossimo compito! » Tuonò minacciosa.
Non
osò farsi coraggio per risponderle a tono. Purtuttavia, il suo inconscio
intervenne spontaneamente per lui:
«
Guarda che io ho seguito alla lettera quello che tu avevi detto!
»
Compresa
la veridicità di quelle parole, e rinvigorito quindi dalla ragione, proseguì a
spada tratta, a quel punto conscissimo delle proprie parole. Pochi attimi più
tardi, tuttavia, proprio quando ormai non c’era più possibilità di ritrattare
ciò che la sua stupidità gli fece dire, si sarebbe amaramente pentito delle sue
parole. Al contrario, quando pronunciò:
«
Perciò è colpa tua! »
Era
straordinariamente soddisfatto di se stesso.
Da
parte sua, Hermione inserì la modalità “Dead Angel”.
« Bene.
» Stridé sferzante. Il suo sguardo infiammato da iridescenti lampi rossi. «
Vorrà dire che la prossima volta non correremo rischi. » Gli occhi scintillanti
emisero un malvagio raggio accecante nella sua direzione. « Puoi pure scordarti
i tuoi allenamenti di Quidditch, Malfoy. »
« Cosa?!
» Strillò scandalizzato, con la bocca spalancata per l’inaccettabilità della
cosa. Era intollerabile! Improponibile! Imperdonabile! In…
« Hai
forse qualcosa da ridire? » Lo freddò aggressivamente Hermione.
Agghiacciato,
ingoiò la voce che gli si bloccò precisamente a metà della gola.
« No…
» Rispose con voce strozzata. Non avrebbe avuto mai più nulla da
dire, da quel momento in poi.
«
Ottimo. » Sibilò spietata Hermione. « E tanto che ci sei scordati anche il tuo
letto e il tuo cuscino. » Concluse crudelmente. « Perché avrai davvero pochissimo
tempo da dedicargli. »
Si
sentì veramente venir meno: l’immagine del suo letto a baldacchino con le
tendine verdi e argento si allontanava nostalgicamente dalla sua mente.
Il
Lato Oscuro aveva preso il sopravvento.
Devo
dire che non sono molto soddisfatta di me stessa…
Ho riletto questo capitolo almeno dieci volte, ho cercato metterlo a posto in
tutti i modi possibili, sono rimasta persino alzata fino alle due di notte
tutta la settimana pur di avere più tempo da dedicare a ogni frase, eppure…
Eppure non so neanche io cosa non vada… T_T
Andando
avanti di questo passo penso che rinuncerò definitivamente ai miei sogni di
gloria (come scrittrice, intendo).
Ah!
Wait! Non voglio interrompere The Draco and Hermione’s Opera! No, questo
mai! Però sicuramente ci penserò due volte prima di impegolarmi in
progetti assurdi come libri o robe varie. E anche di scrivere altre fanfiction,
ecco.
Terminato
il mio sfogo personale – che potete tranquillamente ignorare, dato che come
massimo tra un paio di minuti tornerò a fare la spavalda – ho il piacere di
presentarvi i miei ringraziamenti.
Ma
prima… dubbio esistenziale n° 1619: quale parola è sottintesa dall’In… della
lunga lista di aggettivi che dovrebbero presentare il modo di pensare di Hermione
visto dagli occhi di Draco (Ultimo pezzo del capitolo)? La risposta giusta è
Inammissibile!
Supergaia.
Grazie Mille!
Indubbiamente, sui tuoi commenti-flash, apprezzatissimi dalla sottoscritta
anche perché giungono praticamente un nanosecondo dopo che ho aggiornato, si
può sempre contare! E grazie anche per fiducia sulla mia puntualità… T_T Alla
fine anche questo capitolo l’ho aggiornato in ritardo…
Clo87.
Credibile e
interessanti sono due aggettivi che mi piacciono davvero moltissimo!
Decisamente, sai come lusingarmi! Intendiamoci, non è che tutti quelli che mi
scrivono tutti quei favolosi complimenti come “bellissima”, “favolosa”,
“incredibile” mi facciano proprio schifo, eh! (la frase va letta con una nota
di fervente ironia.) Del resto io ho ideato questa fanfiction sperando
esattamente che fosse credibile e interessante, perciò non posso che
ringraziarti in tutti i modi per avermi arrecato una simile gioia, ti pare?!
Ithil.
E così attendi
nuovi e succulenti cambiamenti, eh? Beh, in questo capitolo per Draco cambia
tutto, ma probabilmente è un tutto differente da quello a cui auspichiamo. Per
dirne una, Hermione c’entra poco e niente con questo suo cambiamento.
Ciononostante è un cambiamento davvero enorme e significativo. Nel prossimo
(che ho appena finito di stendere in brutta) ho però il piacere di informarti
che Draco arriva ad ammettere grandi verità sul conto di Hermione. E,
miracolosamente, finirà per accettarle. Direi che è un bel passo in avanti, eh?
Ah! Ma non posso proprio dire altro! Altrimenti di brucio la sorpresa! Tu però
attendi, eh! E poi dimmi cosa ne pensi, ok? Non vedo l’ora di sentire una tua
saggia opinione al riguardo!
Bimba88.
G-R-A-Z-I-E! Dio
mio, sono proprio irrecuperabile… sembra quasi che vi prenda sempre in giro! Ma
non c’è niente di più falso! E’ solo che io sono sempre stata il tipo che se si
commuove o è contenta deve dire o fare qualcosa di estremamente stupido (vedi
Chendler di Friends, se ce l’hai presente). Ad ogni modo il mio 7 scarso in
italiano si sente commosso dalla tua altissima considerazione di lui (ora si
sente decisamente un 10+!^_^)! Tanto più che anche tu ci sei andata già pesante
con le lusinghe, cosa che naturalmente mi rende immensamente felice. Ma ti
adoro anche perché mi hai fatto delle domande: io adoro rispondere alle
domande! (E questa si chiama sindrome da maniaca depressiva – oh, questa me la
segno!) Dunque, adesso ti spiego il processo evolutivo di questa fanfiction:
inizialmente dovevano essere 17 capitoli, ma la storia era molto meno completa,
perciò il progetto è stato scartato. Seconda versione: una venticinquina di
capitoli. Questa volta una trama abbastanza completa, abbastanza convincente.
Piccolo problema: i capitoli erano di 30 pagine l’uno e tu capisci bene che gli
aggiornamenti sarebbero sì stati di lunedì, ma con una distanza di un mese
ciascuno. Terza versione (più o meno l’attuale): un numero di capitoli non
ancora del tutto stabilito (supereranno la trentina quasi sicuramente), per una
trama decisamente più completa delle versioni precedenti e un grado di
soddisfazione personale decisamente maggiore. Morale della favola: qui ci
stiamo in ballo come minimo un anno, a questo ritmo (che prego di essere in
grado di tenere!). Seconda domanda: mi hai chiesto ogni quanto ci saranno gli
aggiornamenti… beh, io pensavo di averlo detto, ma forse l’ho scritto solo nei
singoli ringraziamenti (e in quel caso sarei davvero una cretina) in ogni caso
ogni lunedì (massimo mezzogiorno del martedì dopo) io metto on-line un nuovo
capitolo. Faccenda ben diversa è quella delle mie vacanze: teoricamente il mio
Agosto era consacrato alla zona di Cervinia, dove per me sarebbe impossibile
aggiornare o anche solo portarmi avanti nella scrittura. In verità non so
quante settimane potrò fare, ma la cosa non mi rende più facile rispettare le
mie scadenze: essendo che in Agosto siamo un po’ tutte via, a lavoro ci siamo
messe d’accordo con dei turni che mi vedono lì 6 giorni su 7 a sgobbare tutto
il pomeriggio. In più – e no! Non è finita! – ho scoperto che devo anche organizzarmi
per farmi qualche giorno in Toscana (in realtà questo lo sapevo già) e qualche
giorno in Germania, da una mia carissima amica. Ora, io non so cosa riuscirò a
fare di tutto questo. Quello che è certo è che Agosto per me è off. Amo The
Draco and Hermione’s Opera ma dopo luglio vedrete un aggiornamento
esclusivamente a Settembre. Oh, sono stata esauriente, vero? Ti ringrazio anche
per avermi tranquillizzato a proposito delle recensioni: sei un vero angelo!^_^
Nightmare.
La tua sorellina
acquisita è felice di informarti che il tuo commento, come al solito, le hai
toccato il cuore! Mi avevi già detto che ti era piaciuto da morire il quarto
capitolo, ma leggere un tuo commento al riguardo… beh, è tutt’altra cosa.
Principalmente perché definire quello che mi hai scritto una semplice
“recensione” è forse eccessivamente ridutti. Voglio dire, l’eroismo di
Hermione, come anche il suo non-eroismo, tu non li hai solo commentati, capendo
il mio punto di vista tu li hai rivissuti dal tuo punto di vista. Direi che
questo è estremamente stimolante per uno scrittore: leggere i sentimenti e i
pensieri dei lettori e paragonarli ai propri. Intendiamoci, quello che faccio
dire a Hermione, Draco, Ginny, Ron e tutti gli altri, non coincide
necessariamente con il mio modo di pensare: cerco di far dire quello che
direbbero loro, non quello che vorrei che loro dicessero. Hermione è solo
Hermione (e chissà dove l’avrai già sentita questa frase!^_^) non una pallida
imitazione di me. E’ sicuramente vero che in quello che scrivo una parte di me
ce la metto, ma cerco di non farlo nei personaggi: significherebbe
contaminarli, non credi? Ugualmente, io mi faccio un’idea riguardo ciò che
scrivo: è giusto, è sbagliato, non sono d’accordo, sono d’accordo, posso
accettarlo, non posso accettarlo, non posso assolutamente accettarlo, mi piace,
mi incuriosisce, mi annoia… e questi pensieri tu rispondi con le tue
sensazioni. Mi piace molto questo confronto, mi piace vedere come si possa
equivocare tutto. Non nel senso cattivo del termine: io volevo che le mie
parole comunicassero qualcosa, mentre loro hanno detto altro. Ti hanno parlato
di un’Hermione stanca, rassegnata, quando invece a me l’hanno mostrata come una
persona che possiede una forza da titano, perché è una persona capace di rimediare,
quando spezza qualcosa. Ma il punto è proprio questo: è come io intendo la
forza, come io intendo il coraggio, come io intendo una lacrima, come io
intendo una persona che ama incondizionatamente qualcosa, o qualcuno, anche se
fa male da morire. E come tu li intendi. L’Hermione nella mia testa non è
stanca, l’Hermione nella mia testa è viva e intensa. Perciò, l’Hermione nella
mia testa non mi rende triste, ma, piuttosto, mi commuove. Non significa che tu
hai sbagliato a vedere. Significa che i tuoi occhi vedono questo. E io questo
lo trovo interessante. Solo una cosa mi sento in dover di dirti: non è finito
niente. Hermione non ha messo la pietra sopra su niente, questo no. Su niente.
E questo è la chiave di tutta la storia. Su quello che hai detto su Draco,
invece, non ho nulla da dire: è così. La rabbia, il rancore, la consapevolezza
ed eppure l’impossibilità di accettarla… è esattamente quello che sente, senza
vie di mezzo. Ma Hermione è ostinata: sono sicura che riuscirà a fare qualcosa,
anche senza rendersene conto.^_^ Beh, credo di essermi lasciata andare fin
troppo… facciamo che concludo qui e poi riprendo quando avrai recensito questo
capitolo. Proseguiamo questa “conversazione” con sentimento, al ritmo di questa
storia: vorrei continuare a vedere la “mia” Hermione anche con i tuoi occhi,
ok? Ti voglio bene, Fede.
Meiko89.
Giurin Giuretta,
non la interrompo! Non interromperei mai The Draco and Hermione’s Opera! Magari
vi dirò di aspettare due settimane piuttosto di una (a parte per Agosto, ma
quella faccenda la esporrò a tutti quando arriverà il momento… infondo si
tratta delle mie vacanze!T_T) ma comunque andrò avanti. Perché io per prima amo
questa storia. La amo con tutta me stessa. Non potrei davvero interromperla,
neanche sotto tortura. E sono contenta che tu continuerai ad aspettare,
capitolo, per capitolo, il seguito di questa fanfiction!
Sabry.
Si si! Draco ha
dannatamente ragione! Per trattare Hermione anche peggio di quanto non abbia
fatto Draco, basterebbe essere orgogliosi e irascibili solo metà di quanto lo è
lui e prendersi un libro in testa – esperienza traumatica, assicuro per
esperienza diretta!^_-. Ad ogni modo anche tu hai dannatamente ragione: i
sentimenti di Draco e Hermione stanno lentamente cambiando e, altrettanto
lentamente, Draco sta riuscendo – contro la propria volontà, per altro – a
cambiare idea su Hermione. E una cosa ancora molto vaga, ma noi aspettiamo
fiduciosi, vero? ^_^ Al contrario, Hermione non sta cambiando idea: per lei
Draco Malfoy è solo Draco Malfoy. Se riesce ad essere così aperta di vedute,
persino con lui, è solo ed esclusivamente imputabile al suo carattere. E
proprio questo suo carattere, del resto, le permetterà di stravolgere il suo
punto di vista su Draco in seguito ad un singolo avvenimento. Diciamo pure che
mi sono messa in particolar modo a lavorare su Draco perché per far capire a
sto’ zuccone qualcosa ho bisogno di quattro, cinque capitoli, mentre per farla
capire a lei, di mezzo capitolo in croce. Eh! Che ci vogliamo fare! In
sensibilità e intuitività – e in moltissimi altri campi – noi donne siamo
decisamente superiori! (E faccio notare che sta parlando un anti-femminista
incallita!)
Emmawatson4ever92. Oh,
capisco. Intendo, il
fatto che, non essendo andate come volevi le cose – molto spesso le storie
vanno dove vogliono, da sole, e noi poveri autori non possiamo farci niente!^_^
- hai deciso di plutonizzare (un termine bellissimo, non trovi?) la tua
fanfiction. E come sta andando questa tua nuova fanfiction? Sta proseguendo
bene?
Mikki. Oh oh oh! ^O^ Quanti complimenti! Quindi
trovi che la psicologia del personaggi sia ben espressa? Beh, questo mi fa
davvero felice! Specialmente rispetto a Draco e Hermione: loro due spero di
riuscire sempre a descriverli come personaggi a tutto tondo, con uno spessore
particolare. In modo che siano persone “profonde” anche quando mostro solamente
il loro lato stupido (cosa che accade più per Draco, che per Hermione! ^_^). E
spero anche di riuscire a presentarli, poco per volta, come due figure
abbastanza simili ma al contempo complementari. Cosa che, come hai giustamente
detto tu, non attraversa neanche lontanamente la mente della Rowling. E dire
che, anche dal mio punto di vista, è davvero uno spreco: due personaggi che
avrebbero potuto essere meravigliosi, se approfonditi un po’ di più, e che
avrebbero potuto esserlo insieme, se messi di fronte a situazioni particolari,
sono invece tenute a distanza e sviluppate come semplici appendici. Questo mi
dispiace davvero molto. Sulla questione della complessità dei personaggi, devo
dire che Ron mi sembra semplice almeno quanto Hermione. Sempre che lo siano
davvero, semplici. Infondo l’animo umano non può essere davvero semplice, e
sono sicura che se una persona con un certo talento stilistico e una certa
finezza emotiva si mettesse lì e tentasse di mostrarceli come persone complesse
ci riuscirebbe appieno. Come anche sarebbe possibile mostrare Draco non come
una persona dalle mille sfaccettature ma come un ragazzo con un solo volto. E’
possibile tutto, secondo me. Però è vero che senza parlare a livello
trascendentale scrivere una Ron/Hermione, almeno anche dal mio punto di vista,
è decisamente più semplice di scrivere una Draco/Hermione. Su questo sono
assolutamente d’accordo! E per questo mi sento felice come una pasqua al pensiero
che secondo te questa fanfiction stia uscendo (Sott. Dalla mia mente)
“meravigliosa” benché questo non fosse per niente scontato! E ti ringrazio per
questi tuoi commenti straordinariamente esaurienti! Insomma, sono veramente
contenta! Piccola ed ultima precisazione: ne ho 17, di anni!^_^
FraFra.
Ah! Quella ruga!
Se solo rovinasse il bel faccino di Draco più spesso! Ma senza lasciar
galoppare l’ottusità e pensando invece a cose serie! Sono convinta che a questo
punto saremmo tutti molto più felici e lui e Hermione sarebbe un bel pezzo più
avanti nel loro rapporto! Al contrario, siamo ancora in alto mare! Che
vergogna, eh? Tra l’altro, lo sai che hai azzeccato il tema del sesto capitolo?
Incredibile! E’ precisamente la gentilezza di Hermione. Brava! Veramente. Per
Harry e Ron in questo capitolo ho spiegato le cose un po’ meglio: non è che lei
non è stata scelta… purtroppo… Beh, l’avrai letto, no? E’ inutile che lo
ripeto. In ogni caso sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto: ero
così in ansia pensando che potesse non piacere! Sai, tutto incentrato su
pensieri abbastanza contorti… E invece ti è piaciuto! Sono veramente felice!^_^
La
Demenza: Sii! Siamo partiti! Sei emozionata quanto me, vero?
Infondo aspettiamo entrambe questo momento da… quanto? Uno, due anni? Si, due
anni… ho ancora gli appunti dell’ottobre del 2003 in cui per una delle prime
volte ti avevo raccontato la prima versione della trama di “The Draco and
Hermione’s Opera”, che ancora neanche si chiamava così. E’ passato così tanto tempo…
e ora tutto sta prendendo forma… e proprio nel modo in cui speravamo! Perché
infondo io speravo di poter scrivere una miriade di parole “giuste” – per quel
giusto che intendiamo noi – su una coppia così interessante, e in mezzo a
queste parole speravo di poter lasciare delle frasi importanti, che da sole
raccontassero tutto, delle frasi che tu potessi cogliere. E tu hai colto
“Perché qualcuno resta…” e hai colto “Eppure… l’unica…”. Le hai colte con
facilità, anche perché più di tutti gli altri sai cosa “significano”. E non ti
sei neanche lasciata sfuggire il senso della descrizione di Piton. Del resto,
come potresti mai lasciarti sfuggire simili “indizi”? Sarebbe imperdonabile, da
parte tua. ^_^ E comunque adesso staremo a vedere cosa succederà: quei due
stanno per incrociarsi sul serio e chissà che non accada “un altro” miracolo. E
tu sai perfettamente, il primo, a chi si riferisce…
Gochinko the sword-dancer. Idiosincrasia…
aahhh (sospiro estatico al ricordo di Colui che ci ha trasmesso la Conoscenza).
Nietzke sei per noi un faro di luce nella tempesta! Bene, ritorniamo a noi,
prima di tutto devo sottoporti ad una tortura mentale per il tuo imperdonabile
ritardo, perciò…ZUM ZUM ZUM (suono dei
violini). VENI VENI VENIAS, NE ME MORI FACIAS. (x2) .Focalizza la mente su
questo suono e su quanto esso ti rammenta e… SOFFRI! (Sir Onion Knight lancia
Idroga sul nemico ma il nemico è protettetto da attacchi elementali) (Rikku usa
transfert e manda Auron in turbo) (Auron, semplicemente, attacca – rendendo
vano lo sforzo di Rikku) (Ultracidio da 99.999) (Il nemico perisce)
(Ta-ta-ta-taaa-ta-taa-tata) (Il tuo party ha ottenuto 1 passasfera livello 4!)
Ok… it’s enoght (by Auron)… questi erano gli scleri da crisi d’astinenza da
Final Fantasy, ma, dopo essermi sparata il trailer di FF XII e FF Avent
Children, il mio animo nostalgico si è plac- ENTUAS INTERIUS IRA VEHEMENTI. ENTUAS INTERIUS IRA VEHEMENTI. SEPHIROTH!
Oh, scusa, ultimo strascico di follia. Dicevo che mi sono placata… posso
finalmente cominciare a scrivere il ringraziamento al tuo favoloso commento. E
dire favoloso è usare un indecoroso eufemismo, direi. Il tuo PH oscillante è
ostinatamente rimasto bloccato ad un valore eccessivamente basico (15) per
tutto il tempo in cui hai scritto la recensione… non sei mai stato tanto dolce
in 17 anni di forzata convivenza! Ti voglio tanto tanto bene fratellino (Gipple
arranca per trovare un catino e vomitarci dentro, ma è troppo tardi… Gipple
muore in preda a convulsioni e ripetuti attacchi cardiaci.) Ma essere così generica
sarebbe indegno, perciò entriamo nello specifico. Prima di tutto apprezzo che
tu abbia ammesso che, seppur sotto lo spessissimo strato di adamantio, Hermione
sia sostanzialmente una brava persona. Un tempo non avrei mai creduto possibile
che saresti arrivato a dichiarare tanto! Ed eppure oggi vi siamo giunti!
Ringraziamo Nietzke per questo: il Grande Maestro (non “quel” grande maestro)
ti ha messo sulla retta via. E poi apprezzo enormemente che insulti
pesantemente Harry. Direi che è mostruosamente giusto. Ed è straordinariamente
perfetto la modalità con cui dovrebbe giungere alla morte. Approvo e mi offro
volontaria… dammi solo il tempo di recuperare una vecchia smemoranda appuntita
che gli buco la colonna vertebrale esattamente all’altezza delle vertebre
dorsali. E tu “sai” che io “posso”! Per quanto riguarda il rapporto tra Draco e
Hermione – e quello tra Harry e Hermione – tu hai parlato seriamente,
sforzandoti di non dar eccessivo spazio alla demenza (andando perciò contro la
tua stessa natura) e io, davvero, per questo ti ringrazio tantissimo. Ti
ringrazio tantissimo per aver cercato di capire cosa volevo dire su di loro e
sulla loro storia, per non aver dato per scontato niente, per avermi chiesto
sempre le cose che non capivi e aver cercato di farti un quadro generale sulla
storia di Harry Potter per essermi d’aiuto. Per tutte queste cose e anche per
essermi sempre stato vicino, io ti ringrazio tantissimo. E per la cronaca,
tutto quello che scrivi non potrebbe mai farmi schifo… principalmente perché
attraverso te io assumo la Conoscenza del Grande Maestro (non “quel” grande
maestro. New Version.) ma anche perché so quanto ti sforzi di fare per rendermi
felice. E, credimi…credimi: ci riesci egregiamente…
Non so se
devo definirmi in ritardo di una o due settimane, in ogni caso… sono in
ritardo!
Il punto è che sono un tipo particolarmente emotivo, per certi punti di vista
(per altri sono talmente cinica che mi faccio schifo da me) e dunque quando,
nei primi tempi che avevo messo on-line il capitolo precedente, mi è parso che
ci fossero poche persone interessate… beh, ho pensato di smettere di fare le
ore piccole pur di finire in una settimana una capitolo.
Mi son detta:
“Devi lavorare, devi fare i compiti, devi stare al mondo… almeno dormi quello
che ti spetta e prenditela comoda con gli aggiornamenti!”
Non è che io
volessi interrompere The Draco and Hermione’s Opera. No, no:semplicemente, siccome molti di
voi erano in vacanza (e lo sono ancora) e io stavo deperendo fisicamente e
mentalmente per mantenere un ritmo assurdo… beh, ho pensato di rallentare un
attimo.
Ma una cosa è
certa: mi scuso profondamente per quelli che invece hanno commentato e si
aspettavano un aggiornamento lunedì scorso (qualcosa come un lontanissimo 25
Luglio), non trovandolo e non sapendo come interpretare la cosa.
Chiedo venia!
Spero che
perdonerete i miei infantili capricci. ^_^
Nota
importante: l’aggiornamento del prossimo capitolo slitta al primo
settembre. Non un giorno in più, ma neanche uno in meno. Questione: vacanze in
montagna.
The
Draco and Hermione’s Opera
6° capitolo.
Il Quidditch, che passione!
*** *** ***
Hard times flowing
My eyes couldn’t see stars shining
My heart couldn’t feel the beauty of the rising sun
And I’m lost like a bottle that floats in the sea for ever
Will somebody pick up my hope?
Will somebody try?
Will I realize?
Un periodo difficile stava scorrendo
I miei occhi non riuscivano a vedere le stelle brillare
Il mio cuore non riusciva a sentire la bellezza del sole che sorgeva
E sono perso come una bottiglia che galleggia nel mare… per sempre
Qualcuno raccoglierà la mia speranza?
Qualcuno ci proverà?
Me ne renderò conto?
Mercoledì
27 Novembre. Ore 22.44
Hogwarts. Stanza delle necessità.
« No. » Gli intimò duramente.
« No! » Ripeté. « Le zampe di rospo vanno aggiunte alla fine!»
Si portò una mano sulla fronte e prese a scuotere il capo con piccata
rassegnazione. « Perché sei così ottuso! »
Lo sguardo di Draco
Malfoy dardeggiò nella sua direzione, furente.
« Non rompere! » Inveì rabbioso.
« Se non mi dici le cose come diavolo pensi che io possa saperle! »
« Infatti te l’ho detto ieri. »
Gli ricordò incisiva, sostenendo il suo sguardo con un’espressione di assoluta
superiorità.
« Avresti dovuto ripetermelo
anche oggi! » La aggredì aspro, cercando goffamente di togliere le zampe
di rospo che avevano fatto in tempo a cadere nel miscuglio verdognolo che
borbottava nel calderone.
« Avrei potuto. »
Puntualizzò asciutta. Non c’era niente che avrebbe mai dovuto fare
se dal suo modesto punto di vista minava il loro percorso didattico. E
trattarlo come un decerebrato incapace di trattenere i concetti nella mente
rientrava precisamente nella lista di cose che l’avrebbero irrimediabilmente
minato. « Se continuassi a ripeterti quello che devi fare non riuscirai
neanche a svolgere uno dei mille passaggi di questa pozione. E al test finirai
per ottenere un risultato mediocre come la scorsa volta. »
« Ononè mediocre! »
Sibilò Draco tra i denti, serrando la mascella fulmineamente, e diventando
livido per la collera. Assumendo, perciò, quel vago colorito da prugna gialla
rinsecchita di cui soleva appropriarsi piuttosto spesso in quel periodo.
« Devi memorizzare quello che ti
dico. » Lo ignorò risoluta, proseguendo nel suo ammonimento con tono
severo: « Questa volta possiamo fare più pratica, ma se tu non impari
subito la teoria possiamo anche evitarci la fatica. »
« O è un voto grandioso! »
Ribadì il Serpeverde, soffiando tra i denti e sventolando per aria il cucchiaio
che aveva in mano, con scatti bruschi e minacciosi.
« E è un voto grandioso. »
Lo zittì secca, sporgendosi verso di lui e strappandogli di mano il cucchiaio,
senza troppi complimenti. « E ora smettila di parlare e continua la
pozione.
Draco fu scosso da un
tremito di incontrollabile e incontenibile astio. Si limitò però a scoccarle
un’occhiata fiammeggiante, con la faccia di uno che le stava augurando di
morire in quell’istante per un infarto fulminante. Non fece altro. E si rimise
ad aggiungere i vari ingredienti.
Era la seconda volta che
rifacevano quella pozione. Ci avevano messo poco a imparare tutte le sue fasi,
ma perché avesse effetto doveva essere lasciata a riposo per due giorni. La
prima volta che avevano finito di prepararla, tre giorni prima, Draco doveva
essersi dimenticato di chiuderla ermeticamente. Indi, aveva preso aria. Indi,
era andata buttata.
Mentre lo osservava
mescolare burberamente ma correttamente il miscuglio fu contenta di considerare
per l’ennesima volta che la pozione restringente non era poi così difficile. Un
po’ lunga, forse. Ma fortunatamente non così difficile. Sarebbero
infatti riusciti a finirla l’indomani. In questo modo, per sabato sarebbe stata
pronta. E se anche allora Draco avrebbe avuto dei problemi o delle incertezze…
beh, allora avrebbe usato metodi drastici! In ogni caso, entro domenica sera
avrebbe debellato il germe del dubbio dalla sua testa. E lunedì avrebbero avuto
il test.
Un test che non sarebbe
potuto che andare magnificamente.
Chissà
che non riusciamo a finirla addirittura oggi, la pozione…
Si
rimangiò il pensiero non appena vide il Serpeverde
afferrare di nuovo le zampe di rospo.
« Va bene, basta così. » Lo
fermò prima che lui potesse lasciarle cadere nel calderone.
Draco sollevò lo sguardo
lentamente, guardandola con le sopracciglia inarcate e un’espressione sconvolta
stampata sulla faccia.
« Hai detto… basta? »
Domandò incredulo, restando con la mano pericolosamente a mezz’aria.
« Sei stanco, no? Basta così. »
Confermò inspirando profondamente, in tono conciliante. E si sporse nuovamente
in avanti, per prendergli dalle dita le zampe di rospo prima che queste
potessero cadere nel calderone. Ma questa volta lo fece con estrema gentilezza.
Non gliele strappò di mano: gliele tolse delicatamente. Quando si ritrasse,
notò appena lo sguardo che Draco le lanciò. Ancora più sorpreso. Ancora più
perplesso. E senza acidità o austerità, ma con disponibilità, aggiunse: « Ci
vediamo domani pomeriggio per finire la pozione, alla solita ora. »
A queste parole, il
ragazzo parve riprendersi facilmente dallo smarrimento improvviso che l’aveva
sorpreso – inspiegabilmente, tra l’altro. Dunque la informò seccamente:
« Domani ho gli allenamenti. »
Risedendosi
compostamente sulla propria sedia, aggrottò la fronte, risentita: era da una
settimana che non andava agli allenamenti. Cosa gli veniva in mente in quel
momento? Non avrebbe dovuto neanche pensarci. Un fondo di rigida disapprovazione
colse il suo sguardo: avrebbe dovuto pensare solo alla scuola. Tanto più che
era stata chiara quando lo aveva avvertito che non sarebbe più stata elastica
riguardo certe questioni: avevano una E da prendere! Non c’era proprio tempo
per altri sciocchi pensieri.
Per i suoi allenamenti,
poi, meno che mai.
« Mi spiace per te ma dobbiamo
lavorare. » Tagliò corto con fare spicciolo, evidenziando più che poté la
proprio inflessibilità al riguardo. Cosa che non le fu difficile, tra l’altro,
siccome il suo umore assunse l’indifferenza necessaria grazie alla rifiuto che
nutriva verso il Quidditch.
Cosa aveva di
entusiasmante il Quidditch?
Capiva che “Draco Malfoy
il megalomane” vi fosse particolarmente propenso. Ma perché proprio il
Quidditch doveva alimentare il suo già piuttosto corposo ego? Perché non il
reddito scolastico? Perché non un fan club in suo onore? Avrebbe potuto
chiedere a Pansy Parkinson di fondarne uno, no? E siccome avevano dato sfoggio
delle loro qualità di fabbricatori di spille, durante il quarto anno, ogni
membro del club non avrebbe potuto indossare la propria, per rendere omaggio
alla grandiosità di Sua Maestà Draco Malfoy? Così non avrebbe neanche dovuto
sforzarsi, no? Era, allora, una questione di smanie di potere? Forse brandendo
una scopa si sentiva particolarmente potente. Del resto c’era un limite a
tutto, persino alla presunzione di un uomo, no? O si trattava piuttosto di
ottusità? In quella Draco Malfoy non era secondo a nessuno. Forse, uno come lui
avrebbe anche potuto pensare di essere il padrone del mondo solo stando a
cavalcioni di una scopa.
Qualcuno, un giorno, le
aveva detto che il Quidditch era meraviglioso semplicemente per le sensazioni
che faceva provare. Ma come ipotesi, dal suo punto di vista, andava scartata a
propri. Perché lei non trovava per niente emozionante volare.
Non
che quello che fai tu sia proprio volare, Hermione.
Zittì la sua fastidiosa
voce interiore: lei sapeva volare! Era la sua stupida scopa che non ne
aveva mai la benché minima intenzione! Si sollevava appena da terra, quella
sciocca! Ed eppure era migliorata in quegli anni: esercitarsi da sola aveva
permesso al suo record personale di crescere da 73 a ben 89 cm! Piccoli passi
verso un grande traguardo, naturalmente. Un traguardo siglato: 1 m.
Sicuramente un giorno
l’avrebbe raggiunto.
Giacché, fino a prova
contraria, si chiamava Hermione Granger.
« Scordatelo! » Si ostinò Draco
grugnendo e incrociando le braccia sul petto con fare irremovibile.
« Abbiamo una partita tra meno di una settimana! »
Quel tono quanto mai
irritante e arrogante, apparve alla sue orecchie di una pericolosa serietà. E
la serietà era sempre stata il suo punto debole.
Fece roteare gli occhi
al soffitto e scosse il capo, traendo un lungo sospiro, in presa ad un
improvviso travaglio interiore. Una travaglio che sapeva benissimo come sarebbe
finito…
Di
quello che stai per fare te ne pentirai amaramente, Hermione.
« Va bene, ho capito. » Gli
concesse stringendosi fiaccamente nelle spalle e ignorando ostinatamente quella
saggia vocina dentro di lei che la avvisava di nonfare quello
che stavafacendo. « Vai pure a questi benedetti
allenamenti. »
Infondo, permettere a
dei deficienti di coltivare la loro assurda passione per il Quidditch, mettendo
da parte le sue priorità e i suoi progetti, era la storia della sua vita, no?
Uno in più, uno in meno,
che differenza faceva?
« Sul serio? » Domandò sconvolto
il ragazzo, strabuzzando gli occhi e ritraendosi leggermente per la sorpresa.
Inarcò un sopracciglio
con fare stizzito. Pensava forse che avrebbe dovuto pregarla in ginocchio?!
Offesa per la scarsa considerazione che quell’idiota aveva per la sua
intelligenza, cominciò a sistemare le sue cose. E cominciò anche a raccattare i
suoi libri sparsi sul tavolo, mettendoseli sotto braccio. Incastrandoli in una
composizione perfetta e bilanciata che le permetteva di tenerli portentosamente
in equilibrio. Miracoloso gesto che lasciò ancora più sbalordito il ragazzo
ancora seduto di fronte a lei.
« Se anche venissimo qui, la tua testa
sarebbe comunque al campo. » Si giustificò distrattamente, prima di
precederlo verso la porta. Quando vi fu giunta, lo salutò con un breve gesto
del capo. « Questa sera continua a studiare “L’unico manuale per maghi
autodidatti”. A domani. »
E varcò la soglia della
Stanza delle Necessità, richiudendosi la porta alle spalle.
Da quel momento, se la
prese estremamente comoda per raggiungere la Sala Comune.
Mise un passo dietro
l’altro con tutta la calma di cui disponeva. Prendendosi tutto il tempo che poteva
per sollevare da terra ogni piede che vi premeva sopra. Sembrava quasi
rilassante. O almeno lo sarebbe sembrato se non avesse avuto appresso il peso
di una decina di volumi da 800 e passa pagine. Non che fossero davvero
pesanti. Era solo che alle dieci e mezza di sera persino un fermaglio per
capelli poteva risultare insopportabilmente gravoso da portare. Specie quando
era stravolta.
E lei era
stravolta.
Giunse comunque sana e
salva di fronte al ritratto della Signora Grassa, a cui non sfuggì di chiederle
la parola d’ordine. Non appena disse:
« Frappè alla banana con panna
montata. »
Il quadro ruotò sui
cardini e le permise di entrare.
Quando varcò la soglia
dell’ingresso, del resto, ad attrarre la sua attenzione non fu la porta quanto
mai invitante del dormitorio femminile, bensì la sagoma inconfondibile di
Neville, seduto su uno dei divanetti davanti al fuoco con in mano un grosso
volume – probabilmente di Erbologia – che sfogliava nervosamente. Quando il
ragazzo sollevò lo sguardo e la vide, abbozzò un sorriso stupito, in saluto e,
timidamente, ammise:
« Oh, ciao Hermione. Non pensavo di vederti a
quest’ora… »
« Ero a prepararmi per il test di
lunedì di Pozioni. » Replicò fiocamente, afflosciandosi su una delle
poltrone di fronte a Neville. La sensazione improvvisa di essere sostenuta da
qualcosa che non fossero il suo scheletro osseo e i suoi muscoli si rivelò
qualcosa di libidinosamente appagante.
« Eri… ehm… con Malfoy? »
Bofonchiò il compagno, cercando di non incrociare il suo sguardo. Per non
mostrarle, probabilmente, la già più che evidente avversione che gli procurava
il solo pronunciare il nome del Serpeverde.
Neville non era il tipo
di persona che nutriva rancore ingiustificato per una persona. Quello che
nutriva per Draco, infatti, era ampiamente plausibile. Con quella sua ultima
uscita un mesetto prima quel cretino si era definitivamente guadagnato l’astio
di una delle persone più dolci sulla faccia della terra. E comunque, ben gli
stava! Sapeva giustificare tutto. Tutto. Ma non una qualsiasi delle
sciocche ragioni che avevano spinto Draco Malfoy a prendersela con Neville!
« Già, con Malfoy. » Sospirò
sommessamente, riavviandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie. C’era un
solo giorno della sua vita non speso a studiare insieme a quel ragazzo,
nell’ultimo periodo? No. Ma questo era ovvio. Perché, per quanto fosse
imperdonabile e arrogante, Malfoy andava assolutamente messo in riga con
un giusto metodo di studio. « Nell’ultimo compito ha preso un voto
scandaloso. Studiando di più stiamo cercando di raggiungerne uno
soddisfacente. »
« Oh, e cosa ha preso? » Chiese
Neville, ritornando a cercarla con gli occhietti scuri, grandi e curiosi.
« O. »
« Ah. » Proruppe solo il ragazzo, in
una voce vagamente smorzata, ritornando a puntare lo sguardo in qualsiasi
direzione tranne che nella sua. Anche più ostinatamente di prima, se possibile.
Lo scrutò attentamente,
non capendo. Notato il rossore sulle sue guance, si affrettò immediatamente a
spiegarsi meglio:
« Oh no, Neville! Guarda che O non è
un voto brutto. E neanche A e S sono… ehm… » Cercò il termine più adatto,
indicendo una lotta brutale contro se stessa. « … così
brutti. » Scosse il capo e le mani con decisione, cercando di apparire il
più convincente possibile. Ma l’imbarazzo del compagno era addirittura
palpabile. Trasse dunque un lunghissimo sospiro e aggiunse, con enfasi:
« E neanche D. »
Beh, insomma, D fa un
po’ schifo…
Fece violenza su di sé
per non dire quello che la sua ignobile mente stava pensando.
Se anche era vero che
dal suo punto di vista D non era neanche considerabile un voto prendibile, era
comunque vero che c’era solo una persona oltre a Hagrid che gli sembrava più
giusto misurare con un altro metro. E questa era Neville. Perché lui aveva
un’intelligenza tutta sua. Lui, con quella goffa gentilezza che si scioglieva
nell’aria come un odore di pane appena sfornato. Lui, che era forse l’unica
persona, oltre ad Hagrid, appunto, che si permetteva di vedere completa anche
senza che dovesse occuparsi troppo dello studio. Ma forse era così anche perché
Neville non aveva mai rinunciato a dimostrare quanto si potesse riuscire,
seppur goffamente, a ottenere qualcosa.
Per quanto riguardava
Malfoy, invece, l’avrebbe misurato col suo metro finché sarebbe campato!
« Oh… no… » Cercò di dire
Neville sforzandosi enormemente per sembrarne assolutamente convinto. E, ne
convenne, riuscendoci. Almeno nel suo immaginario. « Hai ragione tu… ti
impegni così tanto… lui dovrebbe cercare di andare meglio. »
« E’ esattamente quello che
intendevo! » Convenne con trasporto, quasi frastornata dall’idea che
qualcuno potesse comprendere la sua visione delle cose.L’aveva detto che Neville aveva un intelligenza tutta sua! « E’ una
cosa lampante, ti sembra? »
« C-certo. » Balbettò il
Grifondoro, piuttosto impacciato, prendendo ad annuire meccanicamente.
No, decisamente non
comprende la mia visione delle cose…
Il suo piccolo sogno si
infranse ancora prima di aver preso concretezza. Nell’atto di chinare il capo
in un singhiozzo sconsolato, notò finalmente il tavolino ingombro di libri che
li separava. E improvvisamente il senso di orgoglio per averlo visto leggere un
libro a dispetto dell’orario si tramutò in un terribile presentimento.
D’altro canto, prima che
lei avesse potuto chiederne conferma, si sentì il ritratto della signora grassa
sollevarsi e in quell’istante la voce sarcastica di Ginny dire:
« Dopo di lei, vostra grazia. »
Udì Dean risponderle in
tono vividamente seccato:
« E piantala con questa storia! »
E poi lo vide entrare per primo nella sala, pesantemente, con un’espressione
cupamente irritata e tutti gli abiti infangati.
Un sopracciglio si prese
la libertà di inarcarsi alla vista del sudiciume che il ragazzo lasciava sul
pavimento e sui tappeti ad ogni passo. Tuttavia, prima che anche le sue corde
vocali decidessero di vibrare per lui, in un concerto di aspro rammarico, Dean
sollevò una mano davanti a sé, scosse il capo, e grugnì:
« Niente prediche, Hermione. »
Questo bastò per far
cessare qualsiasi atto autonomo da parte di qualsiasi parte del suo corpo.
In compenso, prima di
dileguarsi sopra le scale che conducevano al dormitorio maschile di Grifondoro,
Dean lanciò uno sguardo molto poco lusinghiero all’indietro, da Ginny. Come per
farle sapere che, qualsiasi cosa fosse successo, la parte lesa e offesa era
indubbiamente lui. Di tutt’altro avviso le parve l’amica, quando si diresse con
lo sguardo perplesso verso di lei. La rossa era infatti rimasta in piedi, a
pulirsi freddamente il fango dalla faccia. Con un’espressione di inquietante
ostinazione e visibile tensione dipinta sul viso contratto.
Dopo aver accortamente
appreso da un svelta occhiata che Neville non avrebbe mai spezzato il silenzio
opprimente che si era venuto a creare nella sala – e che era intervallato solo
dai suoni stagnanti del fango che veniva schizzato ovunque – seppe con
precisione che il gravoso compito sarebbe spettato a lei.
Esitò per qualche
attimo, pensando a cosa dirle. Dunque, cautamente, le domandò:
« Ehm… che è successo? »
Ginny lasciò perdere la
pulizia nel giro di un nanosecondo e le lanciò uno sguardo che definire
corrosivo sarebbe stato un indebito eufemismo. Trovò molto difficile non
sciogliersi al calore rovente delle fiamme che gli occhi vagamente blu della
ragazza presero a emanare:
« Avevi proprio ragione,
Hermione! I ragazzi diventano tutti dei grandissimi idioti quando si parla
di Quidditch! »
« Ah… si? » Si lanciò uno
sguardo di intesa con Neville, che lo accolse con complicità, avendo tuttavia
la grazia di non sentirsi tirato in causa. Si sollevò al pensiero che,
fortunatamente, al mondo non tutti erano tanto egocentrici da pensare che ci si
stesse necessariamente rivolgendo a loro.
Fu invece in qualche
modo assolutamente certa che se ci fosse stato Draco Malfoy questi avrebbe
anche avuto il coraggio di sentirsi interpellato in prima persona.
« Sì! » Sbottò alterata Ginny,
sedendosi pesantemente accanto a lei. « Oggi agli allenamenti ci hanno
detto che la partita che avremmo avuto tra un mese contro Tassorosso è stata
anticipata tra neanche due settimane! E quel cretino…. » E con
cretino intese perfettamente a chi si stava riferendo. « … mi ha costretta
a stare fino ad adesso ad allenarmi! » Il processo di surriscaldamento
dell’ambiente circostante aumentò di pari passo al processo di autocombustione
cui in quel momento era soggetta Ginny. « Ma non è finita! » Stridé
infatti istericamente la rossa. La sua faccia spaventosamente bordeaux. Le gote
quasi violacee. « Ha avuto pure il coraggio di dirmi che se vogliamo
vincere devo impegnarmi di più, perché così come sono possiamo anche
scordarcela la coppa! » Ci fu un picco di rabbia e sdegno incredibilmente
violento. « Ha detto a me di impegnarmi di più! Ha detto a me
che non vado bene! Che razza di essere sfacciato, arrogante, presuntuoso e
stupido! Che razza di idiota! »
Quando ebbe terminato di
definire il suo ragazzo, Ginny aveva il fiatone.
« Certo, hai perfettamente
ragione. » Le posò prontamente una mano sulla spalla, in segno di assoluta
comprensione. Dentro di sé, del resto, liquidò la questione come già vista e
già sentita. Perché aveva qualcosa di straordinariamente famigliare
quell’immagine. Nella sua testa, in effetti, ce n’era una uguale che aveva come
protagonista Oliver Baston. E questo dovette contribuire non indifferentemente
ad essere un po’ troppo magnanima nell’elargire a Dean la giusta accusa: « E’
stato proprio uno sciocco. »
« E’ stato moltopeggio
di uno sciocco! » Schioccò con la lingua Ginny, lanciandole
un’occhiataccia. E poi, con un’immensa sofferenza dipinta sul viso, volgendo
gli occhi al soffitto, esclamò con teatrale disperazione: « Ma perché, perché
sto con un simile pezzo di deficiente! »
Non che una simile
domanda richiedesse una risposta. Egualmente, Neville pensò fosse doveroso
dargliene una:
« Perché ti piace molto? »
Ginny divampò come un
calderone, mentre lei sorrise impercettibilmente.
Solo quando il calore
che le imporporava le guance diminuì un poco, ebbe la forza di storcere le
labbra in una smorfia, tra l’imbarazzato e lo stizzito.
« Parlare con voi di queste cose è
avvilente… » Mugugnò sommessamente.
« H-ho detto qualcosa di
sbagliato? » Si preoccupò Neville non sapendo bene come interpretare
quell’affermazione. Qualcosa di sbagliato? Ah no, proprio no, non c’era nulla
di più giusto.
« No, è che… » Brontolò Ginny
incrociando le braccia sul petto con aria ostentatamente offesa. « …
dicendo così, mi fai scappar la voglia di essere arrabbiata con lui. »
« Ed è… un male? » Esitò Neville,
confuso, con la fronte corrugata nello sforzo di comprendere la situazione
assolutamente inesplicabile.
Il suo sorriso si
allargò sul viso, mentre Ginny scuoteva il capo vergognosamente.
Naturalmente
era un male. Lavanda e Calì le avevano insegnato un sacco di cose sulla
vita di coppia tra un ragazzo e una ragazza. La parte del litigio era
fondamentale per assaporare il brivido di avere il coltello dalla parte del
manico e partire all’attacco con spietati piani d’assalto. Gelosia in primis.
All’inizio aveva pensato che potesse trattarsi di mancanza di autostima e
ricerca continua di capricciose attenzioni. Quando avevano negato, indignate,
se ne era proprio convinta. Del resto Ginny era troppo onesta con se stessa per
svilire una simile frivolezza.
Fatta da lei, per dirla
tutta, le sembrava solamente molto dolce.
« Va beh… » Sospirò ad un tratto
Ginny, profondamente, sollevandosi dalla sedia indolentemente e rivolgendo ad
entrambi un debole ma vivo sorriso. Uno di quelli che solo Ginny Weasley riusciva
a mostrare. Tra la concretezza e il sentimento. Tra l’ironia e la delicatezza.
Uno di quei sorrisi che facevano necessariamente nascere un sorriso a loro
volta. « Io me ne vado a letto. Voi che fate? »
Cercò di scambiarsi
un’occhiata con Neville, ma questi la scansò. Fece allora inevitabilmente
cadere gli occhi sul tavolo di fronte a lei, ancora coperto da pergamene e
libri dei più svariati generi. Il tragico presentimento che l’aveva scossa poco
prima si rifece nuovamente vivo.
« Noi veniamo tra un po’. »
Rispose istintivamente, facendo cenno a Ginny di salire per prima.
La ragazza se ne andò
stringendosi nelle spalle, senza questionare oltre. E non appena fu scomparsa,
lei si sporse verso il tavolo pieno di libri e di pergamene, e ne presa una in
mano. Intuì che il brevissimo gesto del braccio di Neville, in sua direzione,
rappresentava un segno di dissenso. Si prese tuttavia la premura di ignorare la
propria acutezza mentale, e, con essa, anche il debole tentativo di rifiuto del
ragazzo. Srotolò dunque la pergamena. Quello che si trovò davanti,
naturalmente, furono i compiti del giorno dopo per Trasfigurazione.
Infatti…
Sollevò lentamente gli
occhi, alla ricerca di quelli di Neville. Questi, impacciato, tenendo i propri
puntati sul pavimento, si affannò disperatamente nel giustificarsi:
« E’-è che non ho fatto in tempo a
finirli. »
Ritornò a osservare la
pergamena e ne lesse silenziosamente una frase. Quel tanto bastò per farle
prendere coscienza dello scempio di quel compito.
« E’ tutto sbagliato, vero? »
Domandò scoraggiato il ragazzo. Non gli disse nulla, ma temendo che il suo
sguardo gli rivelasse i suoi più sinceri pensieri lo tenne ostinatamente
premuto sul compito.
Del resto, magari
non era tutto sbagliato.
Magari…
« Ti manca solo
Trasfigurazione? » Domandò sapendo perfettamente che non era così,
considerando quante pergamene erano sparse sul tavolo.
« Mi mancano anche Storia della Magia
ed Erbologia. » Mormorò mortificato. Il colorito del viso sbiadito e le
mani tremule.
La
voce della sua coscienza non avrebbe avuto niente da ridire se gli avesse
augurato buona fortuna e se ne fosse andata a letto in quel preciso istante.
Obbiettivamente, era stravolta anche lei. E la sua vocina interiore la avvisò
per la seconda volta di non fare quello che stava per fare. Ma, per la seconda
volta, lei decise che era meglio non ascoltarla.
Rivolse
un sorriso amorevole al proprio compagno di Casa, e prese in mano una delle
penne sparse sul tavolo, intingendola dal calamaio.
« Tu te la puoi cavare da solo a
Erbologia, vero? »
« Oh no… » Biascicò Neville,
scotendo il capo. « No, non devi aiutarmi! »
« Io voglio aiutarti. »
Lo corresse prontamente. Proprio perché Neville era il tipo che non
gliel’avrebbe mai chiesto, ma che, in una situazione come quella, avrebbe
trovato alzato nel vano tentativo di rimediare alle proprie mancanze, lei volevaassolutamente aiutarlo. « E poi faremo in fretta. Sono sicura che
qui non c’è poi molto da correggere. » Mentì indicando la pergamena di Trasfigurazione.
« E storia della magia la faremo insieme. »
« Oh, ma tu sembri così
stanca… » Gemette Neville, quasi sull’orlo di una crisi di pianto. Si
chiese se fosse perché, probabilmente, neanche se fossero rimasti alzati tutta
la notte sarebbero riusciti a finire tutto quello che c’era da fare. O se
piuttosto fosse perché si sentiva commosso.
Da parte sua, stanca lo
era sul serio.
Del resto, per quanto
sfibrante fosse dare lezioni a Draco, non era comunque avvilente: a dispetto di
quanto potesse sembrare strano, lui non era così stupido. Era particolarmente
ottuso, ma si poteva quasi dire che le cose le capiva quando gliele si
diceva.
Era, forse,
intelligente. Cosa che le impediva di raggiungere davvero la soglia
dell’esaurimento nervoso e fisico. Era, quasi, addirittura più appagante che
provare a far capire le cose a qualsiasi altro. Qualsiasi altro che non le
avrebbe capite, forse, come le capiva lui.
Era sicura che se
l’avesse detto a Ginny non avrebbe per niente approvato. Avrebbe detto che sembrava
quasi che non si stesse riferendo a Malfoy. Eppure lei non ci poteva fare
niente. Se una persona è intelligente non lo si può negare, no? Anche se è un
Serpeverde, cosa cambia? Nessun Serpeverde della scuola era fatto in serie. Per
esempio, Malfoy aveva un arroganza insuperabile da chiunque. E Pansy Parkinson
aveva la prerogativa di essere l’essere più sciocco e irritante della scuola.
Ma anche Lavanda e Calì si impegnavano spesso per essere stupide. Insomma, le
persone erano fatte di decine di sfaccettature diverse. Se Malfoy aveva quella
dell’intelligenza… per quanto questa fosse limitata dalla sua grettezza
mentale, dai suoi pregiudizi, dai sul orgoglio, dal suo ego, dalla sua
presunzione, dalla sua arroganza, dal suo modo di fare, dalla sua idiozia e
dalla sua ottusità… beh, lei non poteva negarlo.
E’
una questione di equità.
A ognuno andavano
riconosciute le proprie qualità.
« Oh, avanti, finiremo senz’altro
prima di mezzanotte! » Esclamò energicamente, rivolgendo a Neville uno
sguardo incoraggiante, senza lasciargli il tempo di replicare, e scongiurando
mentalmente le sue palpebre di non giocarle brutti scherzi.
Dopodiché si misero a
studiare.
A mezzanotte,
naturalmente, il tema per Ruf era composto ancora da una lunghissima pergamena
bianca.
Come fosse riuscito a
strappare a Hermione Granger il consenso di partecipare all’allenamento di
Quidditch, questo era ancora un mistero per lui.
Del resto, più ci
rifletteva, più si convinceva che gran parte del merito fosse dovuto al
carattere di quella ragazza. Un carattere che definire solo odioso, a quel
punto, non era più sufficiente. Era, forse, anche bizzarro. Anzi… principalmente
bizzarro. Sicuramente odioso, ma principalmente bizzarro. Una cosa che non
necessariamente doveva essere positiva. Anzi, considerando il soggetto in
questione, assolutamente non lo era. La sua capacità di fargli saltare i
nervi con la stessa facilità con cui Piton avrebbe tolto punti a un Grifondoro
restava immutata. La sua stessa faccia aveva ancora qualcosa di inopinatamente
rivoltante.
Ugualmente, quel suo
carattere incomprensibile gli pareva in quel momento principalmente bizzarro.
« In questi giorni ti trovo meglio,
sai! » Considerò ad un tratto Theodore, mentre si incamminavano insieme
verso il Campo di Quidditch.
Si girò a guardarlo,
contrariato.
« Prego? » Domandò inarcando le
sopracciglia, leggermente risentito.
Il compagno,
probabilmente non capendo la sua sorpresa, cercò di spiegarsi:
« Beh… mi sembri meno intrattabile… »
« E quando mai sarei stato intrattabile?
» Domandò innervosendosi, inarcando le sopracciglia e guardandolo in tralice.
Lui? Intrattabile?
« Direi almeno tutto questo ultimo
mese. » Rispose spontaneamente Theodore, mettendosi le mani nelle tasche dei
pantaloni, e stringendosi nelle spalle.
« Ti è sembrato male! » Dettò
caustico, lanciandogli un’occhiata indispettita. Lui non era
intrattabile! Al massimo, la costante vicinanza con Hermione Granger lo aveva
reso un tantino irascibile. E comunque, se anche fosse stato vero, certo non
era a causa del suo carattere!
« D’accordo. » Gli concesse Theodore
senza questionare oltre ma senza neanche sforzarsi di sembrarne convinto.
« Mi sarà sembrato male. »
Non fece in tempo a
indispettirsi per l’atteggiamento del compagno che un ragazzo con evidenti doti
da teleporte gli comparve improvvisamente al fianco, mormorando bassamente:
« Allora, oggi ancora ripasso per la
pozione restringente? »
Lanciò un’occhiata
infastidita a Blaise, che lo fissava con il suo sguardo pungente e
sgradevolmente ironico.
« Non la vedi la scopa? »
Replicò acido, sventolandogli la sua Firebolt nuovo modello davanti alla
faccia. La sua meravigliosa Firebolt nuovo modello. Più leggera. Più affusolata.
Più maneggevole. In una parola: il meglio.
« Oh, già! » Esclamò Blaise con
un sorriso innocentemente fasullo. « Hai pure indosso quella ridicola
divisa. Avrei dovuto accorgermene. »
« Non è ridicola! » Gracchiò
brusco, ritraendo la mano e stringendosi al petto la sua adorata scopa.
Firebolt e divisa da Quidditch non andavano derise. E neanche la marmellata
all’arancia!
« Beh, comunque mi fa piacere: a
quanto pare Hermione Granger ha allentato un po’ il cappio. » Rincarò
Blaise, lanciandogli una sfuggevole occhiata di languido compatimento.
Socchiuse gli occhi a
due sottili fessure, lanciandogli uno sguardo glaciale.
« Prova un po’ a ripetere quello che
hai detto. »
Blaise, con una calma e
una naturalezza agghiaccianti, cominciò a ripetere tranquillamente quanto aveva
detto, lettera per lettera:
« A quanto pare Her- »
« Era per dirti di tacere! »
Stridé con i nervi già rovinosamente in pezzi, masticando le parole con tutta
la brutalità con cui avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. Quanto era
insopportabile quel ragazzo! Quanto!
Blaise da parte sua si
zittì, regalandogli in cambio un sogghigno estremamente divertito.
Hermione Granger non gli
aveva messo nessun cappio intorno al collo! Se, e andava sottolineato, semai qualcunogli aveva messo un cappio intorno al collo, quello
era stato lui stesso! Di sua spontanea volontà! Per una serie di ragioni
private che non avevano nulla a che vedere con al prepotenza di quella
fanatica!
« Quell’isterica non ha alcun potere
su di me! » Si ritrovò a puntualizzare con fervore, pestando i piedi in
terra con più foga.
« Ma dai, Draco, non dirmi che ce
l’hai ancora con lei! » Intervenne Theodore, spalancando gli occhi per la
sorpresa.
« E perché non dovrei?! »
Hermione Granger restava il primo nome sulla sua lista nera! L’arpia che lo
aveva schiavizzato! Anche se, naturalmente, era stato lui che
gliel’aveva lasciato fare.
« Oh, Draco! » Sbuffò con
esasperazione Theodore, gesticolando ampiamente con le mani. « Ti ha
lasciato andare agli allentamenti! E’ stata gentile! »
« Assolutamente no! » Smentì
con impeto, indignato. Gentile? Quella lì? Quella sottospecie di irritante
maniaca depressiva? Quel mostro travestito da sgorbio? Ma assolutamente
no!
Theodore però sembrava
particolarmente deciso a farlo simpatizzare con quell’idea. Con una
perseveranza quasi ammirevole tentò infatti di convincerlo del proprio
pensiero, accompagnandolo sin sotto le mura del campo da Quidditch. Di tutto
quello sforzo, tuttavia, solo Blaise parve trarne qualche vantaggio. Arrivò
infatti agli allenamenti con la testa spaccata in due dal buonismo e dalla
testardaggine di Theodore. Una combinazione assolutamente. Theodore, per
contro, tornò al castello sconsolato e abbattuto. Mentre Blaise, appunto, vi
tornò particolarmente divertito.
Per un attimo rimpianse
di aver incaricato Tiger e Goyle di stargli lontani fino a contrordine.
Quando finalmente
raggiunse l’interno del perimetro del campo di Quidditch, però, si sentì
finalmente risollevato: al suo interno era al sicuro. Al sicuro da Blaise, che
se ne teneva lontano quanto più poteva. Al sicuro da Theodore, che,
inspiegabilmente, stava discretamente sempre con Blaise. Al sicuro da Silente,
che era troppo occupato per recarsi lì in visita – anche se forse, in un picco
di acuta follia, avrebbe potuto decidere che un po’ d’aria fresca non gli
avrebbe fatto male.
Ma soprattutto al sicuro
da Hermione Granger, che mai nella vita avrebbe deciso di introdursi in quel
luogo senza i suoi stupidi compagni di casa.
Già, mai nella vita!
« Oh, Draco, non ci crederai! »
Ed ecco Adrian Pucey che
senza vergogna gli sorrideva con aria disponibile. Si chiese dove quel ragazzo
trovasse la forza di alzarsi al mattino, sapendo che la gente l’avrebbe
guardato in faccia durante la giornata. Non si sentiva tremendamente depresso
al pensiero?
« A cosa? » Domandò
distrattamente senza neanche sforzarsi di mostrare interesse per quanto gli
aveva detto.
Che interesse poteva
mostrare per un essere insulso come quel ragazzo, quando era a pochi attimi
dallo spiccare il volo? Cosa avrebbe mai avuto da dire di rilevante quella
presenza trascurabile che di buono nella sua vita aveva solo acconsentito a non
sostituirlo nella partita contro Corvonero qualora fosse riuscito ad andare a
quell’allenamento?
« Hermione Granger è qui! »
Per poco non si strozzò
con l’aria che, improvvisamente, si era solidificata in ghiaccio nella sua
gola. Quando sollevò lo sguardo, scandalizzato, la Grifondoro troneggiava
sorridente al fianco di Adrian Pucey.
« E-e tu cosa ci fai qui? »
Balbettò atterrito, additandola con una mano tremante e indietreggiando di un
passo, istintivamente. Cosa ci faceva lei, lì?!
Hermione parve non farsi
minimamente toccare dal suo atteggiamento e rispose tranquillamente:
« Ho chiesto al tuo capitano se
potevamo ripassare mentre giocavi e… »
« … e io ho detto di sì. »
Concluse orgogliosamente Pucey.
L’unico luogo in cui
sentiva veramente in pace col mondo, in quella scuola… era stato impudentemente
infestato!
« Ma quale sì’! Brutto idiota! »
Strillò allibito. Come diavolo gli era venuta in mente una simile idea? Come?!
Per quanto fosse un grandissimo imbecille, non avrebbe mai pensato che avrebbe
avuto il coraggio di raggiungere quel livello di demenza mentale! E lo diceva
pure con orgoglio!
« Sarà un buon esercizio per la tua
concentrazione. » Spiegò pratico Pucey, incrociando le braccia sul petto e
venendo accompagnato dai gesti di partecipe assenso di Hermione.
Un buon esercizio per la
sua concentrazione?! Rafforzò la sua presa attorno alla Firebolt. Le nocche
delle mani divennero viola per la forza che ci mise. La sua sopportazione stava
raggiungendo il limite. Non appena l’avrebbe superato, non ci sarebbe stato più
nulla che avrebbe potuto salvare quell’incompetente fallito dalla sua atroce
vendetta.E naturalmente non avrebbe risparmiato neanche Hermione! Anzi,
sarebbe stato più spietato!
Tanto più che con lei
aveva diverse vendette arretrate da portare a termine.
« Allora? » Lo riportò bruscamente
alla realtà il capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, guardandolo
con un’espressione addirittura entusiasta di quell’idea.
« Allora cosa? » Si
infiammò all’istante. « Non farò assolutamente nulla di quello che voi
due… » Passò con lo sguardo da Hermione a Adrian, con disprezzo. « …
avete osato pensare con il vostro cervello muffito! » La fessura che le
palpebre lasciarono agli occhi si assottigliò fino quasi a non fargli vedere
più niente. « Toglietevelo dalla testa! »
Hermione lo guardò senza
scomporsi, con un’espressione assolutamente indifferente sul viso. Dopodiché,
alzando le spalle, dichiarò:
« Ah, d’accordo. »
D’accordo?
Per
un attimo si concesse di sentirsi sollevato.
Un
errore imperdonabile: quando le cose sembrano troppo belle per essere vere,
semplicemente, non
lo sono.
« Prendi le tue cose: andiamo a
finire la pozione al castello. » Aggiunse infatti pacata la ragazza,
facendo un passo in direzione dell’uscita.
« Cosa? » Proruppe
pietrificato.
« Beh, o qui o al castello, decidi
tu. » Fece in risposta Hermione, traendo un sospiro tediato. Le lanciò uno
sguardo rovente per strapparle dalla faccia quell’espressione odiosa, e
ringhiò:
« Non se ne parla: io oggi devo allenarmi! »
« Oh, non fare tante storie. » Si
spazientì immediatamente Hermione, la cui espressione permase immutata,
incrociando le braccia sul petto e picchiettando con un piede per terra.
« Sai bene come andrà a finire questo discorso, perciò non essere
testardo. » Sbuffò con fastidio e aggiunse: « … in più che puoi
decidere. »
« Già, Draco, in più che puoi
decidere. » Concordò Adrian assolutamente coinvolto nel discorso e
visibilmente dalla parte della Grifondoro.
« Tu stanne fuori, Pucey! »
Inveì minacciosamente contro di lui, mentre il suo sguardo dardeggiava
equamente tra Hermione e quel deficiente.
« Allora, Malfoy: qui o al
castello? » Lo incalzò lei con uno sguardo di impenetrabile fermezza.
Un sguardo che conosceva
perfettamente.
Significava: “Io non
capitolerò mai.” O, in alternativa: “Il lato oscuro è più forte.” E il succo
della cosa era che o si scordava gli allenamenti, o accettava le sue ignobili
condizioni. E poteva farsi tutti i viaggi mentali che voleva. Poteva continuare
a fingersi l’indiscusso padrone della situazione. Poteva ripeterlo sia di
fronte agli altri, che di fronte a se stesso. Per mantenere intatta la sua
autostima. Ma la verità era che, di fronte a quello sguardo, qualsiasi suo
tentativo di salvaguardarla diveniva vano e quella si sgretolava pietosamente.
Ormai, non c’era altro
da fare che arrendersi.
« … qui. » Mugugnò flebilmente,
senza riuscire a reprimere l’astio profondo creato dallo scontro del loro
orgoglio, conclusosi vergognosamente con la sconfitta del suo.
« Ok. » Disse semplicemente
Hermione. « Allora io vado alle tribune, tu mettiti pure d’accordo con
Pucey per decidere dell’allenamento: io mi regolerò di conseguenza. »
Disse così e non infierì
oltre.
Perché lei non
infieriva. Non lo risparmiava. Non capitolava. Non perdeva. Ma non infieriva. E
non era una questione di gentilezza: non esiste la gentilezza in uno scontro.
Era una cosa che aveva a che fare con il suo essere bizzarro. Qualcosa che
sapeva rendere le sue vittorie estremamente pulite. Naturalmente se c’era un
vincitore, c’era anche uno sconfitto: questo era già un punto di partenza
umiliante per qualcuno. Ma era inevitabile. La stranezze di Hermione Granger
consisteva nell’evitare l’umiliazione evitabile. Era non fare danno se non ce
n’era assoluto bisogno. Era non infierire su un ferito. Era non farlo proprio
perché non ne sentiva la necessità. Realizzare la sua vittoria schiacciando
l’avversario, sentirsi appagata nel farlo… queste cose probabilmente non
avevano mai neanche sfiorata la sua mente.
La osservò scomparire
verso le tribune, con un’espressione indecifrabile.
Per quanto gli
riguardava, quel ragionamento era incomprensibile: per lui uno scontro non era
concluso fino a che non si schiacciava del tutto l’avversario. Per questo una
sua vittoria non avrebbe mai potuto essere pulita.
Anche perché c’era da
dire che era stato educato a renderla il più sporca possibile.
E invece Hermione
Granger no. Hermione Granger avrebbe lasciato vivere i suoi nemici anche se
questi si sarebbero alzati e avrebbero attaccato di nuovo. Anche se questi, un
giorno, l’avrebbe senz’altro portata alla sconfitta.
Un comportamento degno
di lei. Degno del suo carattere.
E in quell’istante
convenne che, ormai, il senso di “odioso”, attribuito proprio a quel carattere,
era molto più metaforico che altro.
Ugualmente, il senso di
“isterico, irritante e insopportabile” era estremamente concreto.
Ignorò ancora per
qualche minuto le direttive di Pucey, che parlava a vanvera di strategie e
gioco di squadra. Ah! A lui tutte quelle assurdità non interessavano: voleva
solo spiccare il volo. E quando lo fece, quando finalmente, facendo leva sulle
gambe, a cavalcioni della sua scopa, si sollevò da terra, tutto scomparve.
Hermione Granger. Le sue vittorie. Le sue sconfitte. Adrian Pucey. I suoi
consigli. E forse, addirittura, la marmellata d’arancia. Tutto scomparve in un
istante, trattenute dal terreno. Si sentiva libero. Anzi, si sentiva l’unico
essere libero sulla faccia della terra. E anche questo era meraviglioso, come
il pizzicore dell’aria ormai sufficientemente fredda da poterla definire
pungente. Nulla sotto di sé. Niente che avrebbe potuto tenerlo legato. Solo il
vuoto immenso di una stanza azzurra senza un soffitto e delle mura. Solo un
oceano d’aria e correnti da cui farsi cullare e da sfruttare. Solo un enorme e
neanche troppo accogliente titano avvolto da un manto azzurro cielo, che aveva
le sue armi e la sua rabbia. Solo quello e lui.
Solo lui.
Neanche i compagni di
squadra che galleggiavano nell’aria, per conto loro.
Solo lui.
« Malfoy! Malfoy, mi senti? » La
voce di Hermione Granger, amplificata di almeno una decina di volte da un
incantesimo, ebbe la grazia e l’accortezza di destarlo da uno dei momenti più
meravigliosi della sua vita. « Cominciamo con la prima domanda. »
Proseguì la ragazza senza aspettare neanche un suo breve cenno di assenso.
« No, aspetta! » Cercò invano di
fermarla, non sapendo assolutamente cosa fare e cercando di vedere se in giro
c’era il boccino. Perché, di solito, era quello che doveva fare un cercatore su
un Campo da Quidditch, durante le ore di allenamento o di partita. E non, per
esempio, stare a sentire le domande di Hermione Granger sulla pozione
restringente. « Non sono pronto! »
Gli diede ascolto?
E perché avrebbe dovuto!
Infondo, lei era Hermione Granger. A chi mai dovrebbe dare ascolto! Chi mai
avrebbe potuto dire qualcosa che potesse intaccare la sua irraggiungibile e
inafferrabile figura leggiadra?!
« Quale degli ingredienti permette la
conservazione della pozione restringente? » Chiese con il tono neutro di
un’esaminatrice fiscale.
Bella domanda, comunque.
A cui naturalmente non sapeva rispondere. Mentre svolazzava intorno, alla
ricerca del boccino d’oro, azzardò una risposta priva di qualsiasi
consapevolezza, giusto per farla stare buona:
« Ehm… ehm… gli occhi di pipistrello? »
Come tentativo non era
male.
Non, certo, per farla
incazzare come una iena:
« Non parlare a vanvera,
idiota! » Urlò furiosa, mentre la sua voce, come se fosse un ultrasuono,
gli perforava i timpani e scalpellava il cervello, facendolo quasi cadere dalla
scopa. « Se non sai rispondere non dire la prima cosa che ti passa per la
testa! »
Leggermente stordito e
con gli occhi vagamente strabici per lo scossone nervoso appena ricevuto, ebbe
ugualmente la forza di ribattere con sufficiente ardore e stizza:
« Non darmi dell’idiota! »
« Draco, il boccino! » Gridò un
suo compagno di squadra particolarmente misericordioso, indicandogli un punto
abbastanza preciso del cielo. Udì un ronzio sulla sinistra e si voltò appena in
tempo per vedere un bolide arrivare a gran velocità verso di lui - poiché per
gli allenamenti venivano lasciati liberi e i battitori se li lanciavano in
continuazione. Virò velocemente e si abbassò appena in tempo.
Quel movimento gli
permise di vedere anche il boccino.
Si gettò alla sua
ricerca volteggiando su stesso per prendere una posizione decente, mentre la
voce ritornata leggermente più pacata di Hermione lo ossessionava nuovamente:
« Seconda domanda: quale elemento
reagisce con le squame di serpente? »
« Non lo so! Non mi distrarre! »
Strillò con tutta la voce che aveva in corpo, mentre un sorriso grande come il
mondo si allargava sulla faccia: avrebbe preso il primo boccino della giornata.
Non c’era niente di tanto appagante! Allungò la mano, vicinissima alla piccola
sfera. La sfiorò, quasi. Ma proprio un attimo prima di chiudere il palmo della
mano attorno al boccino udì un notissimo schioppo esplodere a un palmo da lui.
Si aggrappò alla scopa indignitosamente per non cadere rovinosamente al suolo.
Si girò scandalizzato
verso Hermione, la quale con tutta la tranquillità di questo mondo, stava
armeggiando con la propria bacchetta, guardandolo tetramente. Le lanciò
un’occhiata allucinata:
« Che diavolo fai?! » Si scoprì
con un nodo in gola e la voce spezzata. Era semplicemente a un passo dal
piangere. « Potevo morire! »
« Non dire assurdità. »
Pronunciò serafica. « Avevo tutto sotto controllo. E comunque… » Fece
acida. « … la prossima volta cerca di restare concentrato su quanto ti
chiedo e rispondi alle domande. Se mi hai già fatto perdere la pazienza è solo
perché mi hai sdegnato con la tua ignoranza. »
Ah, beh! Allora si
spiegava tutto! Se era sdegnata allora si spiegava perché aveva tentato
di ammazzarlo!
Straordinariamente,
però, Pucey gli svolazzò al fianco, sofficemente, apposta per interloquire:
« Veramente, Draco: sono cose che
sanno tutti. »
« Che cosa?! » Stridé con
disperazione, in preda ad una crisi isterica. La indicò con un’espressione
sconvolta sul viso sbiancato: « Quell’essere ha tentato di uccidermi! »
« Se tu fossi stato concentrato, non
ne avrei avuto bisogno. » Si giustificò in tono apatico e addirittura
annoiato Hermione, lasciandosi andare in un cinematografico sospiro.
« In effetti… » Si intromise
nuovamente Pucey, meravigliosamente propenso ad appoggiare Hermione. « …
se solo tu sapessi concentrarti di più non avresti neanche lasciato andare il
boccino. »
Cosa?! Ma io questo lo
ammazzo!
Ma non fece in tempo a
fare nulla, che il suono deleterio della voce di Hermione ristagnò nell’aria
circostante:
« Terza domanda. »
« No! » La fermò tremante,
sempre arpionato alla sua scopa, ma meno indignitosamente di prima. Questa
volta, del resto, si preoccupò di dire qualcosa di vagamente intelligente.
Sempre aspramente, comunque: « Come pensi che possa fare a concentrarmi su
più di mille cose contemporaneamente! E’ impossibile! Questo allenamento e
questo ripasso sono assurde! »
Impassibile. Hermione
Granger rimase impassibile.
« Le cose di cui ti devi occupare
sono solo due: il boccino e le mie domande. » Dalla sua distanza, gli
parve quasi che l’espressione si increspasse per un attimo, per la pena.
« Non mi sembrano molte neanche per te. »
« E dove li metti i bolidi,
stupida?! » Strillò acutamente, piccatissimo dal fatto che in quella
situazione di estremo pericolo lui dovesse addirittura cercare delle scuse per
giustificare la sua mancanza di concentrazione.
Perché Hermione Granger
era così… potente?!
« Silenzio! » Sentenziò severa
la ragazza. « Hai scelto di stare qui, assumitene le
responsabilità. Perciò fai attenzione a quel benedetto boccino, alla mie
domande e ai bolidi. » Abbassò lo sguardo sul foglio che aveva in mano.
« E ora… » Un pausa brevissima. « Terza domanda! »
Mmmhhhh!
« Quale parte degli Schiopodi
Sparacoda utilizziamo per la pozione? »
Ok, doveva riflettere.
Potrei sgozzarla mentre
dorme…
Non su quello!
Doveva riflettere sulla risposta! E anche su dove poteva essere il boccino! Ma
era stramaledettamente difficile badare a tutto! Quasi nel panico più totale,
cercò di concentrarsi solo sulla prima delle sue preoccupazioni.
« Il… il fegato! » Azzardò
timorosamente.
« Plausibile… » Considerò con
aria meditabonda Hermione. « … ma sbagliato: la risposta giusta è escrementi. »
Panico, stizza, rabbia,
terrore e rancore si dissolsero per lasciare spazio al… disgusto!
« Che schifo! »
« Che c’è? » Domandò stranita la
Grifondoro.
« Mi hai fatto toccare fino ad adesso
escrementi di Schiopodi Sparacoda! » Rispose scandalizzato. E poi ribadì,
inorridito, la massima espressione del suo stato d’animo: « Che schifo! »
« Sei talmente stupido che alle volte
mi sembri indecente. » Considerò piattamente Hermione. « Non li hai
ancora neanche toccati: vanno aggiunti verso la fine della pozione. Per la
precisione… » Aggiunse poi puntualmente. « … li aggiungerai
domani. »
Le lanciò uno sguardo
sconcertato e puntualizzò con voce tremante:
« Io non farò proprio niente
domani! »
« Piuttosto che pensare che quello
che pensi che non farai domani… » Fece con noncuranza la ragazza,
indicandogli un punto sopra la sua spalla. « … pensa al boccino: era
appena comparso dietro di te. »
Si girò su se stesso con
uno scatto e dei riflessi davvero esemplari.
« Cosa? Dove? » Domandò
freneticamente, strappandosi il collo pur di arrivare con lo sguardo in
qualsiasi punto del cielo alla ricerca di un minuscolo puntino dorato.
« Troppo tardi. » Sospirò
Hermione apaticamente. Solo per aggiungere subito dopo, con praticità, il suono
della sua inevitabile condanna:
« Quarta domanda. »
E così avvenne per
molte, molte altre volte ancora…
Dieci anni dopo, Draco
Malfoy si sarebbe ricordato di quella giornata come della più umiliante della
sua vita.
« Complimenti, Malfoy. Non hai
risposto a 30 domande su 30, veramente complimenti. » Lo schernì Hermione
con un fondo indulgente di compassione e un decisamente meno vago sentimento di
disapprovazione e disappunto, dopo due ore di incessanti torture.
Stravolto, con un totale
di 0 boccini presi e un autostima molto più bassa di quanto non fosse mai
stata, ebbe ugualmente il coraggio di apparire lo scontroso, burbero e
irascibile deficiente che, probabilmente, la ragazza si aspettava di sentirsi
rispondere:
« Sono le tue domande che fanno
schifo! »
« Non scaricare la colpa su di
me. » Fece calma lei, straordinariamente resistente nella sua maschera di
impassibilità. La lieve insofferenza che si sarebbe aspettato di vederle in
viso non aveva ancora scalfito la sua imperturbabile espressione.
« Giusto, Draco, prenditi le tue
responsabilità: non hai neanche mai preso un boccino. » Disse Pucey in
appoggio per la centesima volta alla Visio Mundi di Hermione.
« E tu taci, maledizione! »
Ruggì furibondo, scoccandogli uno sguardo omicida. « Fatti gli affari
tuoi! »
« Trentunesima domanda. » Proclamò
solennemente Hermione, fregandosene nettamente sia di Pucey, che di lui. Cosa
che, obbiettivamente, lo mandava in bestia. Era però talmente traumatizzato e
sfiancato da quella giornata che con un latrato supplichevole gemette:
« Bastaaa! »
Il suo disperato grido
di aiuto trovò in risposta solamente una domanda. Anzi, La Domanda:
« Qual è l’ingrediente che va
aggiunto per ultimo alla pozione restringente? »
Rassegnato a sbagliare.
Rassegnato a perire. Rassegnato a capitolare. Rassegnato a vedere il suo ego
rimpicciolirsi e squagliarsi al punto da diventare un pallido esempio di
caccole di Troll marcite, lasciò che il suo inconscio avanzasse la risposta
con, probabilmente, l’ultimo barlume di ragionevolezza e forza che aveva in
quel corpo e in quella mente stremati:
« Le zampe di rospo… »
Si levò un grido.
Ma era un grido…
completamente diverso dai precedenti.
E lui si girò a guardare
Hermione Granger più sbalordito che allucinato.
E quando la scorse, vide
che si era alzata scompostamente dalle panche disposte sulle tribune. Che aveva
lasciato cadere a terra i fogli che aveva sempre tenuto in mano. Che strillava,
con quella sua voce tonante amplificata dall’incantesimo, parole che gli
parvero per un attimo prive di senso:
« Bravo! E’ giusto! E’ giusto! Hai
risposto correttamente! »
Quelle parole erano per
lui? Quelle parole pronunciate senza vergogna, che riecheggiavano per tutto lo
stadio, dette con quello sguardo incomprensibile, che riluceva sfolgorante
tanto era intenso e luminoso, erano proprio per lui?
Seppe dubitarne per un
attimo. Seppe non esserne convinto per un momento. Ma il sorriso che le vide
sulle labbra, che rischiarava tutto il suo volto… spazzò via ogni incertezza.
Nella sua stranezza
assoluta. Nella sua sincerità travolgente… quel sorriso rivolto a lui per la
prima volta… spazzò via ogni incertezza.
« Draco, attento! »
Il tempo di girarsi
sulla destra, ancora mezzo intontito, e vide un bolide sparato a grandissima
velocità contro la sua faccia. Fece appena in tempo a spostarsi per non
prenderlo direttamente sul naso. Ma non fu abbastanza veloce da scansarlo.
Udì il suono
dell’impatto e un dolore atroce scaraventarsi su di lui.
Già ovattate,
lontanissime, mentre neanche si rendeva conto di precipitare, sentì le urla dei
suoi compagni di casa:
« Santo cielo! Draco! »
E poi tutto divenne
nero.
E nero ci rimase a
lungo, indubbiamente. Anche se a lui non parvero più di una manciata di secondi
quelli che passarono da quando aveva avuto gli occhi aperti per l’ultima volta
e da quando li riaprì faticosamente, ritrovandosi in un posto completamente
diverso ma comunque inconfondibile. L’atmosfera che non sarebbe mai riuscita a
sembrare asettica dell’infermeria sarebbe comunque sempre parsa abbastanza
accogliente da fargli indovinare al volo quel genere di cose.
Scongiurati dunque i
classici cliché del “Dove sono?” “Che posto è questo?” “Sono morto?”, passò
alla seconda fase. Quella del:
Che
diavolo ci faccio qui?
Un
flash gli mostrò gli ultimi avvenimenti nella sua mente e un dolore distinto
alla spalla gli ricordò l’ultimissimo di questi. Concorde con se stesso, decise
di attribuire ogni colpa a Hermione Granger. Perciò, non appena avrebbe potuto
alzarsi, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata prenderla a sberle. Non
importava se avrebbe dovuto setacciare tutta Hogwarts per trovarla, o avrebbe
dovuto schiantare prima quei deficienti dei suoi amichetti effeminati – o
quella piattola ambulante della Weasley, che definire effeminata sarebbe stato
un complimento un tantino esagerato. Avrebbe sfondato qualsiasi ostacolo tra
lui e quella ragazza e, alla fine, l’avrebbe presa a sberle. E se sul momento
gli fosse sembrato poco virile, allora alternativamente l’avrebbe presa a
cazzotti. O a calci, se proprio sarebbe stato in vena. Tanto di rispettare il
gentilsesso non gliene fregava un tubo. E poi Hermione non era propriamente una
gracile fanciulla indifesa. Tutto sommato, se avessero fatto a botte, consapevolezza
certa era che almeno un paio di colpi se li sarebbe buscati anche lui.
Solo un paio?
Decise di alzarsi per
ignorare quello sciocco pensiero: un paio erano più che sufficienti. Già, tre
avrebbero fatto vacillare nuovamente la sua autostima. La quale era
miracolosamente tornata ad avere la consistenza di un biscotto secco, piuttosto
che di uno sciolto nel latte.
Faticosamente, dunque,
cercò di sollevarsi, facendo leva sulle mani. Ma quando lo fece si accorse che
in quella stanza apparentemente vuota c’era un’altra persona. E, considerando
la mole spropositata di capelli irti e cespugliosi sotto cui la testa era
celata, appoggiata alle braccia incrociate sul fianco del letto, apprese che
non avrebbe dovuto girare tutta la scuola per cercare la causa di tutti i suoi
mali.
Hermione Granger,
infatti, dormiva beatamente proprio lì a fianco.
Anzi, non a fianco.
A fianco era anche il
letto alla sua destra, e anche quello alla sua sinistra, distanti però entrambi
un paio di metri. A fianco era anche la porta
all’ingresso. A fianco era anche la stanza adiacente. E lei non era semplicemente
a fianco.
Lei era… vicino.
“Vicino” era un termine
particolare. “A fianco” era generico. Una persona che gli era di fianco avrebbe
potuto essere in infermeria per un qualsiasi motivo sulla faccia della terra.
Una persona che gli era vicina era lì per lui. Non era una situazione – anzi
una posizione – equivocabile. Era un’altra di quelle cose non
fraintendibili e assolutamente chiare e limpide che il carattere di Hermione
Granger era solito fare o dire. Una delle sue bizzarrie. Come il chiedere
scusa. Come il lasciarlo andare agli allenamenti – per poi seguirlo e,
naturalmente, cercare di accopparlo. Come il sorridere in maniere assurde.
E il trovarsi china sul
suo letto dell’infermeria, addormentata, in attesa che lui si svegliasse.
La guardò con
un’espressione sospesa, quasi enigmatica: il tepore della sua testa, sulla sua
gamba, la sua presenza accesa, vicino a lui, erano l’essenza di un gesto che
non aveva niente di brutto. Niente di triste. Niente di sgradevole.
L’essenza di un gesto
che lo faceva anche un po’ arrabbiare. Sempre per la solita storia: era
Hermione Granger. Di quel genere di cose, da lei, avrebbe volentieri fatto a
meno. Ma era un rabbia molto più vaga. Molto più sottile. Perché si era
distratto un poco e si era fatta strada in fretta, nella sua mente, la
consapevolezza che lei, probabilmente, sarebbe stata l’unica persona tanto
bizzarra da sbilanciarsi in quelle assurdità anche con lui… anche per
lui.
Ciononostante avrebbe
continuato a dire “Assolutamente no” a un sacco di cose ancora su di lei.
Per esempio al fatto che
non necessariamente quello stato delle cose cambiava qualcosa. E questo perché
non aveva reale bisogno di nulla che quella ragazza gli dava gratuitamente. Era
la verità: quando ci si abitua per diciassette anni a non ricevere certi tipi
di attenzioni se ne può farne a meno anche per il resto dei proprio giorni. Si
sopravvive comunque.
Si va avanti comunque.
Le cose belle che
Hermione Granger era capace di fare, in fin dei conti, a quel punto… erano solo
e semplicemente inutili.
Le lanciò uno guardo
furtivo, abbastanza riluttante e sufficientemente seccato: quella razza di
cretina si era addormentata proprio sulla sua gamba! Pensò con estrema perfidia
che se l’avesse mossa l’avrebbe svegliata di soprassalto.
Il ghigno malefico che
avrebbe dovuto dipingersi sulla sua faccia non fece però in tempo a comparire,
che lei cominciò a russare.
Aborrito, spalancò gli
occhi dall’incredulità. Non avrebbe mai creduto che potesse esistere
un’esponente del sesso femminile capace di emettere suoni tanto grotteschi.
Anzi, non avrebbe mai creduto che potesse esistere un esponente dell’interogenereumano capace di emettere suoni tanto sconcertanti.
Pulcioso Mezzogigante compreso.
La scosse bruscamente,
cercando di far terminare quel supplizio immediatamente.
« Sveglia Granger! » Tuonò imperativo,
considerando poi con una nota di profonda avversione: « Sei insopportabile
anche quando dormi! »
Hermione, scossa dalla
sua mano, si svegliò rapidamente. Si sollevò un po’ intontita, stropicciandosi
gli occhi con le mani, spaesata.
« Ah… Malfoy… » Farfugliò con
voce assonnata, dopo aver fatto evidentemente mente locale. « Ti sei
svegliato… »
« Da un po’. » Le rimbeccò
acido. « Mentre tu russavi usando la mia gamba come cuscino. »
Insolito anche quello, come qualsiasi suo altro atteggiamento. Quale altro
essere umano si sarebbe adagiato su un ginocchio per riposare?!
E,
soprattutto, quale mai potrebbe riuscirci…
« Oh, scusa. » Mugugnò
mentre aveva la santa decenza di celare un enorme sbadiglio dietro il palmo di
una mano. Dopodiché, con tutta la naturalezza di questo mondo, mentre i suoi
occhi acquisivano una lucidità che lo colse di sorpresa, eruppe: « Ma a te
come va il braccio? »
Si sarebbe mai abituato
a questo?
Che lei, per dire, si
preoccupasse per lui a dispetto di tutto. Che i suoi occhi castani fossero
puntati come fanali, su di lui, senza neanche l’ombra di ostilità, o disprezzo,
o rancore. Che gli apparissero limpidi. Che non sembrassero neanche un po’
sgradevoli.
A tutto questo si
sarebbe mai abituato?
Forse no… ma che
importava?
Assolutamente
nulla…
« Hermione! Ma allora stai
bene! »
Si accorse solo in quel
momento che un gruppo di quattro studenti, inconfondibilmente Grifondoro era
entrato in infermeria.
Primo personaggio. Gambe
lunghe, indecorosamente storte e probabilmente a tratti depilate. Espressione
da “Non c’è Potter? Tranquilli: ci sono io!” Fisico vagamente maschile.
Inconfondibilmente Dean
Thomas.
Secondo personaggio.
Capelli vergognosamente rossi e lucenti, e stinchi da giocatore da football.
Espressione da “Me la faccio con il sostituto di
Harry-Potter-il-re-dei-perdenti!”. Fisico probabilmente femminile.
Chiaramente Ginny
Weasley.
Terzo personaggio. Magro
come solo un femmina avrebbe avuto il coraggio di essere. Espressione. da “Sono
amico del sostituto di Harry-Potter-il-re-dei-perdenti!” Fisico indubbiamente
femminile.
Nettamente Seamus
Finnigan.
Quarto personaggio.
Corporatura da Neville Paciock. Espressione da Neville Paciock. Fisico da
Neville Paciock.
Inequivocabilmente…
Neville Paciock.
Mancava solo Hermione
Granger a quel quadro di dementi. Ed eppure quella ragazza aveva qualcosa di
più dignitoso di quei quattro. Qualcosa di vago, forse. Ma ce l’aveva.
« E voi che diavolo ci fate qui?! »
Grugnì sbalordito e orripilato insieme. Passi l’origine dei suoi mali. Passi
l’essere che per natura si sentiva doverosamente atta all’ansia e la
preoccupazione. Passi una persona come Hermione Granger. Ma loro! Lì!
No: era intollerabile!
« Ragazzi, che ci fate qui? »
Domandò anche Hermione, sapendo probabilmente che l’avrebbero ignorato,
sorpresa almeno quanto lui ma visibilmente contenta di vederli. Ovvio! Erano
suoi simili! « E… » Aggiunse poi, interdetta. « … perché
non dovrei stare bene? »
Giusto: perché? Non era
lei quella che si era presa un bolide in testa!
I quattro avanzarono
incuranti di lui, concentrandosi solo su Hermione. Cosa assolutamente
imperdonabile! Non che volesse che loro si concentrassero su di lui. Per
carità! Ma che loro non lo ignorasse era davvero il minimo!
« Oh, niente. » Rispose Thomas
quando le furono vicini, sbandierando la sua calma e inalterabilità apposta per
mettersi in mostra con la piattola in calore. Alias Ginny Weasley. « Ci avevano
detto che eri in infermeria e pensavamo che stessi male. »
« Invece qui il malato sono
io. » Puntualizzò acre, sprezzante oltre ogni misura. « E gradirei
non dover sopportare la vostra presenza: mi rende difficile la
guarigione. »
« E allora vattene, Malfoy. »
Gli rispose a tono, Dean, lanciandogli uno sguardo di granito. « Nessuno
ti chiede di restare. »
I suoi nervi si
incrinarono terribilmente. Gli parve di sentirne il suono acuto scricchiolare
per la stanza. Non fece però in tempo a esplodere che l’avanzo degli avanzi si
esibì in una scena oltremodo rivoltante:
« Meno male che stai bene. »
Mormorò infatti Paciock a Hermione, guardandola con gli occhi quasi lucidi,
sull’orlo di una crisi di pianto.
Dio mio!
Come se per una come la
Granger si potesse temere il peggio fino a quel punto! Ma per favore! Quella lì
in confronto a loro era mille volte più resistente! Loro erano le quattro
stupide principesse sui quattro stupidi piselli! La Granger era una killer
professionista con manie di persecuzione derivate da anni di onorevole servizio
nella squadra dei Delta Force del Mondo Magico, addestrati nelle trincee e
torturati dai nemici.
« Grazia, Neville, sto
benissimo… » Lo tranquillizzò amorevolmente la ragazza.
In confronto a loro
Hermione era molto più resistente.
« Oh, e… Hermione, ancora grazie per
ieri. » Continuò disgustosamente dolce quella sottospecie di botte
ambulante. Mettendolo a rischio di diarrea e nausea fulminanti!
Molto più intelligente.
« Figurati, Neville… » Scosse il
capo la bruna, sorridendogli.
Molto più perspicace.
« Ieri che è successo? » Domandò
la Weasley curiosa come una suocera ultracinquantenne.
Molto più…
« Ieri Hermione mi ha aiutato con i
compiti… » Spiegò timidamente Paciock. « Siamo rimasti svegli fino
alle tre. »
… gentile?
« Ecco perché erano tutti
giusti! » Si indignò Finnigan, superando ancora una volta il suo
precedente record di idiozia.
Si girò verso di lei,
che ancora sorrideva. Che sorrideva sempre per qualcuno.
Era forse gentile una
persona che, appena dopo aver finito di ripassare pozioni col suo acerrimo
nemico, decide – per pietà o cos’altro – di aiutare un povero stupido nei suoi
compiti? Si chiamava davvero gentilezza? Lui non si preoccupava dello stato
fisico e mentale di Hermione, ma era certo che anche lei non sprizzava vitalità
da tutti i pori dopo che avevano finito di studiare. Si stancava anche lei. E,
stanca, decideva di fare elemosina prestando i suoi neuroni per quella che,
sicuramente, dal suo punto di vista era una giusta causa.
Questo poteva chiamarsi
gentilezza?
« La prossima volta voglio che aiuti
anche me! » Continuò insistentemente a protestare l’incompetente per
eccellenza.
« Avanti, piantata Seamus… »
Sospirò scotendo il capo con stupida rassegnazione Miss piattola-man.
Mentre la modalità
modesta di Hermione negava di essere gentile, alla rossa più mascolina di
Hogwarts venne improvvisamente in mente una cosa importante:
« Ah, Hermione! Volevo anche
ricordarti che domenica c’è la partita contro Tassorosso! »
Domenica…
Com’era che quel giorno
gli sembrava decisamente brutto per ospitare una partita?!
« Oh, Ginny, mi spiace. » Si
scusò sinceramente la bruna. « Domani devo finire la mia ultima prova
della pozione restringente e sarà pronta domenica. »
Ecco! La pozione! Si
ritrovò angosciato al pensiero di cavarsela da solo contro una pozione da
testare. Ebbe l’assurdo impulso di proibire a Hermione di andare a quella
stupida partita: lei doveva aiutarlo!
« Ma te l’avevo detto anche ieri
sera! » Protestò vagamente risentita la Weasley.
Ieri sera…
Ebbe una specie di
flash. Se gliel’aveva detto ieri sera, lei avrebbe fatto in tempo a dire che
quel giorno avrebbero dovuto finire la pozione. Se gliel’aveva detto ieri sera…
lei avrebbe potuto imporgli di finire la pozione.
Cercò il suo volto.
Cercò il suo
risentimento nei suoi confronti. Cercò l’astio. Cercò il rancore.
Non trovò nulla.
« Mi dispiace, lunedì abbiamo un
compito importante. »
Aiutare un cretino a non
sprofondare nella propria ignoranza non significava che lei era gentile. Ma
avergli dato la possibilità di scegliere, senza poi essersene pentita… quello
sì.
Quello sì…
Si riscosse dai suoi
pensieri quando vide i quattro perdenti uscire dall’infermeria, e quando
Hermione, ancora seduta accanto a lui, gli domandò:
« Allora, come stai? »
« Sto bene per essere uno che si è
preso un bolide addosso. » Considerò altezzosamente, incrociando per
quanto poté le braccia sul petto.
« Si? » Domandò speranzosa la
ragazza. Un ottimismo che avrebbe quanto meno dovuto metterlo in allarme.
Si trattava di Hermione
Granger, infondo.
« Certo. »
Doveva per forza
esserci sotto qualcosa.
« Perfetto, allora! »
E qualcosa c’era,
infatti.
« Trentaduesima domanda! »
Decisamente, quello fu
il giorno più umiliante e faticoso della sua vita. Trascorso in compagnia di
un’arpia, saccente, insopportabile, presuntuosa, bisbetica, isterica e
fanatica. Che, aveva modi bizzarri. Che aveva modi inesplicabili.
Che aveva modi… gentili.
Ma che, comunque,
non era assolutamente sopportabile!
Ah, piccola precisazione
sugli stinchi di Ginevra Weasley: lui non gliel’aveva mai guardati.
Come vi sembra questo
capitolo?
Personalmente ho una
passione per la profonda stupidità di Draco, indi l’ho trovato a dir poco
illuminante! Del resto abbiamo fatto anche spaventosi passi in avanti, non
trovate?
Ma è meglio che non mi
dilunghi troppo in considerazioni inutili.
Infondo avete appena finito di leggere: tutto quello che posso dirvi su ciò che
accadrà, senza però rischiare di svelarvi troppo, immagino l’abbiate già
intuito da voi.
Passiamo dunque a
ringraziare chi di dovere:
Maryon.
Grazie mille per i complimenti! Beh, in
effetti ho sempre trovato particolarmente empirico il fatto che una
folgorazione improvvisa riuscisse a sanare quattro, cinque o, eventualmente,
sei anni di odio profondo. In ogni modo, sono veramente contenta che la mia
fanfiction ti piaccia. Spero che continuerai a seguirla e a commentarla e,
naturalmente, spero che continuerà a piacerti.
Gipple the cynic spirit. Solo per il fatto che, con grandissima magnanimità,
mi avresti concesso di rimandare a tempo indeterminato il mio ringraziamento al
tuo commento… io ho eroicamente deciso di non avvalermi di questo privilegio.
Inoltre, rileggendo la tua recensione, mi sono ricordata che ti sei alzato alle
8 e mezza, quella lontana mattina del 20 Luglio, e hai scritto per ben 2 ore
ininterrotte, apposta per risollevarmi il morale che in quelle quarantotto ore
era pressoché a terra. Posso essere davvero così irriconoscente da non
concederti almeno un po’ del mio tempo? No, decisamente. Anche se sono stronza
quasi quanto Blaise (un complimento insperato, il tuo! ^_^) sarebbe stato
davvero imperdonabile da parte mia. Perciò, tiriamoci su le maniche e
cominciamo! Innanzi tutto, mi fa piacere che tu abbia così apprezzato il
mio zelo riguardo la lunghezza del capitolo: sarai contento di sapere che
questo è lungo tre pagine in più dello scorso! ^_^ E poi non dire che non penso
a te! In ogni modo sapevo che avresti gradito l’espediente dei “colori”, come
sapevo che avresti finito per odiare Blaise: diciassette anni di convivenza
aiutano, se non altro, a conoscere una persona molto meglio di chiunque altro,
ti pare? O magari, non di chiunque altro… ma di un bel po’ di altre
persone si, direi. In ogni caso devo dirti che non hai c’entrato il punto della
questione: Blaise ha un’altissima coscienza della sua vita. Per lui non è
affatto un gioco. Quella degli altri, in compenso, si. Ma comunque la questione
è molto più complessa: Blaise non è un tipo leggero. A livello mentale è di una
profondità allucinante, e questo, più avanti, darà i suoi frutti. Se in bene o
in male… devo ancora deciderlo. ^_- Sono felicissima del fatto che ti sia
piaciuta la parte più intensa e grave del capitolo: come ben sai sono il tipo
di persona che in quel genere di pezzi ci mette tutta l’anima. Ma a dire il
vero per quelli mi rivolgo di più a Bianca: lei è più romantica, più
sentimentale… più emotiva. Se lei piange o si emoziona, per me è una garanzia
che quelle date parti vanno bene. In compenso la sua demenza alle volte è
talmente abissale e mostruosa che non posso fidarmi completamente del suo
giudizio quando voglio testare la mia demenza. Il punto è che la nostra
stupidità quotidiana è molto più grezza (come si può appurare proprio qui
sotto) di quella che inserisco in The
Draco and Hermione’s Opera, che al
contrario è più… come dire… raffinata? Si può dire? Beh, ad ogni modo, per
questa ragione tu mi sei assolutamente indispensabile. Ti considero la Suprema
Autorità a livello di ironia, sarcasmo e demenza mentale – anche perché tu sei
il mio intermediario con il Grande Maestro (non quel Grande Maestro).
Indi, aver ricevuto il tuo apprezzamento su Silente e sulla parte finale del
capitolo, anche per la posizione in cui li ho riportati, oltre che per il
contenuto in sé, è stato per me fonte di grandissimo orgoglio! ^_^ Bene, direi
che posso anche concludere qui il mio commento al commento, esprimendo i miei
auspici affinché il prossimo stupidissimo capitolo possa essere di Suo
gradimento.
Il contenuto delle prossime righe è consigliato ad un pubblico minore di
quattro anni.
La
Demenza. Sono le 23.51 minuti. Il
mio cervello ha avuto un tracollo un’ora fa (mentre, contemporaneamente vedeva
la fine di Fantozzi e rispondeva ai vostri commenti). Non credo di aver più
abbastanza facoltà mentali da scrivere qualcosa con un minimo di senso… per
questo ho deciso di stendere qualche riga per l’unica persona che avrebbe
potuto capirla, nella sua raccapricciante illogicità. Naturalmente mi sto
riferendo a te: giovenca dai piedid’argilla (e qui tu sai
cosa vuol dire!)! La tua abissale stupidità ti ha fatto apprendere la Somma
Conoscenza su Theodore e Blaise, nostri grotteschi replicanti in quel mondo
ideale chiamato fanfiction… o cacca di mulo, come preferisci. E
ti ha fatto apprezzare profondamente il loro io più nascosto e lepriforme (un
nuovo termine coniato con tutto il affetto, appositamente per te). Ah! La luna
brilla in cielo, in questo istante! E un odore nauseabondo trasuda dai miei
piedi saturando questa stanza e appestando questa casa! Zombie! Zombie! Che
combattono nella mia testa e gridano: - Susanna! Susanna! Il Formaggino! Ahhh!
Il Formaggino! – Ahhh! Susanna! Susanna e Draco sono uguali: hanno entrambi i
capelli biondi. D’ora in avanti, Draco si chiamerà “Susanna” e Hermione si
chiamerà “Giasone”! Harry avrà il nome di “Barbagianni” e Ron “Palloncino”! Ah,
si! Un palloncino! Un palloncino! Ci sono arrivata: tu odi il libro Harry
Potter perché è come un palloncino! E così, vero, Muflone dalle zampe arcuate?
Me l’hai tenuto nascosto per tutti questi anni, ma finalmente l’ho scoperto!
Non puoi più negarlo: sei stata tu a cancellare la cassetta su cui avevo
registrato la puntata di Beautiful in cui Ponte (alias Bridge – alias Ridge) e Brocca (alias Brock – alias
Brooke) si mettevano insieme! E’ stata tutta colpa tua! Idiota! Hai guardato in
tutte le culle! Dovevi guardare in tutti i cessi! In sedici anni quella cretina
sarà pur andata al cesso, ogni tanto, no? Se anche era stitica, una mega-cagata
all’anno doveva pur farsela, no? Ormai anche l’ultimo barlume di sanità mentale
se n’è andato nel pensare che mi sono commossa per il fatto che la frase che ha
dato il titolo allo scorso capitolo era addirittura degna dei nostri gridolini. Da adesso in avanti non credo che le mie dita pigeranno più i tasti
seguendo i deboli imput dei mio cervello. Credo che non ne uscirà altro che
qualcosa di mostruosamente deleterio: è finita. E’ l’Armageddon! Non ci sarà
pietà per nessuno! Ahhh! Ahhhhh! Fuggi! Fuggi! Cresceranno McDonald sugli
alberi e ci saranno Autogrill senza bagni! Le strade si spaccheranno e Scar
sarà re! E allora leoni e iene lavoreranno insieme per costruire un grande e
glorioso futuro! Faremo in modo che Bob non si incazzi perché lo fanno vestire
da donna e faremo in modo che i Pokemon digievolvano tutti insieme
e poi deperiscano per un attacco improvviso di squaraus. Lo squaraus si
diffonderà per le strade. Tremende epidemie decimeranno la popolazione e sature
emissioni di gas distruggeranno l’ecosistema terrestre! E nel mondo non
esisterà più nessuna forma di vita pensante.
Morale della favola: io e te sopravvivremo.
P.s: tutto ciò che è contenuto nel paragrafo
dedicato a“La demenza” è stato scritto
da una persona con uno stato mentale instabile e con un’evidente bisogno di
dormire, mangiare e riposare. Cosa che, alla bellezza dell’una meno un quarto,
quella persona – la sottoscritta – sta andando a fare.
Se dopo aver letto quanto avete letto avete deciso che, per l’incolumità del
vostro cervello, è meglio non avere più nulla a che fare con me… beh, fatelo!
Siete ancora in tempo! Intanto che le spore di stupidità non vi hanno ancora
contaminato, fuggite il più lontano possibile!
Chiedo pubblicamente scusa per il linguaggio
scurrile… sono veramente rozza. -_-
P.s II La vendetta: credo che a quest’ora
della mattina (le dieci) io possa permettermi di aggiungere qualcosina di più
gratificante, al commento scritto poco sopra… dunque, ti ringrazio
infinitamente di esistere, Bianca (e per non essere una forma di vita pensante
– così sopravvivrai pure all’Armageddon). Tanto, chissene frega se sei
un’idiota! Le persone migliori di questo mondo non sono più intelligenti di un
fico marcio. Non hai nulla di che invidiare a chiunque, tu. Sei solo
infinitamente stupida… Ma non preoccuparti: è stato proprio per compensare
questa tua abissale mancanza sono stata creata io! ^_^
Super
gaia. Prima di tutto, penso di
dover specificare una cosa: non volevo assolutamente offenderti definendo
“commenti-flash” le tue recensioni. Davvero, era l’ultima cosa che mi passava
per la testa. Anzi, come ti ho detto, le apprezzo tantissimo. Spero tu non
abbia frainteso e capito il contrario. Ah, e per quanto riguarda la storia: mi
sforzerò con tutta me stessa per rendere i prossimi capitoli migliori dei
precedenti! Spero che continuerai a dirmi cosa ne pensi! ^_^
Nightmare.
Tu sei uno stronzo perché sai perfettamente
come prendermi. Questo è il succo di questo mio ringraziamento, ma ora scendo
nei particolari: tu mi riempi di complimenti favolosi, a stento comprensibili
da mente umana; mi esalti come se fossi un dio della scrittura (facciamo una
dea, su: accresciamo la mia autostima gratificando un poco la mia ignota
femminilità); mi consideri un essere coltissimo e intelligentissimo; mi, dici,
addirittura, che arrivi a nutrire dei complessi di inferiorità nei miei
confronti, e poi… e poi mi distruggi in una partita a dama! Ma porca vacca!
Sono io che nutro dei complessi di inferiorità nei tuoi
confronti! Perché tu hai il talento necessario per diventare molto più bravo di
me a scrivere: hai tutto il tempo occorrente per far sì che avvenga e anche
tutta la passione necessaria. Mentre la mia logica resterà sempre più asciutta
di una prugna secca (questo termine ti ricorda qualcosa?)! E’ per questo che
sei uno stronzo! E quello che mi fa arrabbiare è che ti voglio anche un sacco
di bene, quindi non riesco a detestarti davvero! E, comunque, anche se ci riuscissi,
basterebbe leggere i tuoi commenti per farmi subito cambiare idea… veramente, è
a me che non vengono le parole adatte per dirti, quanto, ogni volta, tu riesca
a rendermi fiera di me stessa, di come sono, di quello che so in grado a fare.
Tu mi dai… si, mi dai una continua ed eterna fiducia nelle mie capacità. E non
solo! Non solo questo: è come se, solamente perché tu lo pensi, io
diventi una persona un pochino migliore. E anche se non lo sono… il fatto che
tu ne sia assolutamente convinto rasserena molte delle mie giornate. Per me,
Fede, tu sei e sarai sempre un barlume di speranza. E un giorno vedrò di
ricambiare il favore, in qualche modo. ^_^
Sabry.
Considerando l’affetto incontrollabile
che nutri nei confronti di Harry, ti farà piacere sapere che nella stesura
originaria sia lui che Ron erano entrambi deceduti molto prima che la storia
iniziasse. Del resto, ho pensato che potessero essermi utili… e in effetti più
avanti avranno un ruolo decisamente attivo. Inoltre Ron, tutto sommato, a me piace
discretamente. Anzi, a ben vedere, è uno dei miei personaggi preferiti. Harry
no. Harry proprio no: Harry resta vivo solo perché è una personaggio abbastanza
interessante e abbastanza utile ai fini della storia. Se non fosse per questo
la sua sorte, da parte mia, almeno, sarebbe irrimediabilmente segnata. Questo
sempre per l’avversione profonda che nutro verso di lui da quando ho letto il
Quinto libro. C’è anche da dire che voci di corridoio affermano che nel sesto
migliora… Mah, chissà! Aspettiamo e speriamo. Tornando a noi, sono felicissima
che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto, specie considerando tutti i
motivi per cui ti è piaciuto. E a proposito di uno di quelle, posso permettermi
di anticiparti in esclusiva che Hermione avrà altre occasioni per
complimentarsi con Draco e, in molte di quelle, lo farà senza riserve. Per
quanto riguarda i cambiamenti tanto attesi… beh, già in questo capitolo ne
abbiamo uno sostanzioso. Ma non preoccuparti: quando arriva qualcosa a
sconvolgerti la vita l’effetto valanga è assicurato. Penso proprio che molto
presto Draco si renderà conto di non poter far a meno di venirne travolto. E a
quel punto… beh, a quel punto iniziano i giochi, no? ^_^
Electra
36. Allora… per cominciare
apprezzo la sincerità. Non posso dire di aver gradito eccessivamente il
commento, anche perché sinceramente non ho capito molto bene cosa volessi dire,
ma sicuramente apprezzo la sincerità. Comunque una spiegazione mi sembra
d’obbligo: hai detto che le date e l’orario confondono. Beh, può essere. Voglio
dire: è relativo. Comprendo perfettamente che possano avere quel tipo di
effetto, ma in certe parti mi sono enormemente utili. C’è anche da dire che
questa storia in particolare la volevo scrivere con uno stile e un metodo
completamente diversi dal mio, che trova la sua esasperazione in You are my
angel. Ad ogni modo terrò presente il tuo punto di vista la prossima volta
che deciderò di scrivere una fanfiction. Secondo punto che posso comprendere:
ti aspettavi una storia d’amore. Lo capisco. Una Draco/Hermione fa’ presupporre
una storia d’amore, e, tra l’altro, la mia fanfction lo è. Ma io ho ribadito
tantissime volte che per farla ingranare ci sarebbe voluto tempo. L’ho ripetuto
fino allo sfinimento. Se, pur sapendo questo, ti aspettavi comunque una storia
d’amore sin da subito palese ed esplicita… beh, non posso che dire che mi
dispiace. Gli altri due punti purtroppo sono quelli che mi hanno impedito di
apprezzare il commento in sé. Non intendo dilungarmi eccessivamente per
spiegartene la ragione, dico solo che non mi serve un motivo per decidere
quando e dove inserire certi capitoli che renderanno la mia storia
legittimamente una NC17. E se con incompleta intendevi inconcludente,
allora posso solo dire che l’ho concepita in un insieme: può darsi che i
singoli capitoli non portino a nulla e, forse, questo è un errore. Anche io in
certe mie storie ho cercato di dare un senso a se stante in ogni capitolo. Per
questa non è così… se ti aspettavi che lo fosse, allora posso dire con
rammarico di averti delusa. Se con incompleta intendevi precisamente incompleta…
allora mi sembra non ci sia nulla da dire, dal momento che mi trovi d’accordo:
siamo solo al sesto capitolo, la fine è ancora lontana. Nel caso in cui
deciderai di continuare a leggere questa storia e troverai da biasimarmi altre
cose, non avere timore o remore di farlo; del resto, io mi prenderò il diritto
di risponderti. Spero che la prossima volta, se ci sarà, il tuo commento sarà
costruttivo dal punto di vista di entrambe.
Clo87.
Già, cominciamo a svelare i primi misteri!
Sono anche io piuttosto elettrizzata dalla cosa! ^_^ Per quanto riguarda Harry
e Ron, ti capisco perfettamente: si sono comportati veramente da cani. O
meglio, ho fatto in modo che si comportassero veramente da cani… nonposso certo spogliarmi della mia parte di
colpa: in quanto autrice, ho almeno il 50% della responsabilità. Ma l’altro 50%
è tutto loro! E comunque non preoccuparti: avranno quello che si meritano. Eh eh. Ih ih. Ok, basta: anche io devo proibirmi di viaggiare con la
fantasia. Altrimenti succede una catastrofe! Per quanto riguarda Hermione,
invece, la questione è un po’ più complicata e si svelerà un po’ più avanti.
Per ora si può solo aspettare.
Mikki.
Credo che esistano poche cose al mondo che mi mettano di buon umore
come leggere i tuoi commenti! Veramente: è qualcosa di estremamente confortante
e straordinariamente rilassante! A parte il fatto che mi riempi di complimenti
(il più dei quali ingiustificati, tra l’altro – ma graditissimi dalla mia
autostima! ^_^) scrivi sempre delle cose meravigliose su tutto quello che
scrivo. Ma, devo dirtelo, la cosa che mi ha fatto più piacere del tuo ultimo
commento è stato il tuo apprezzamento nei confronti di Blaise. Sei proprio una
gran donna! (Passami l’espressione piuttosto grossolana, ti prego.) Hai capito
esattamente il suo carattere, e questo è oggettivamente ammirevole, ma dal mio
punto di vista è ancora più ammirevole – oltre che assolutamente strabiliante –
che tu l’abbia trovato esilarante! Per me è stata una grande vittoria morale:
ci ho scommesso un po’ sul suo personaggio e sono felicissima di averlo fatto,
se questo è il risultato. Se, cioè, ne viene fuori un commento come quello che
gli hai riservato. Per il suo ruolo nella vicenda, posso dirti che esso avrà
grandissima attinenza col suo carattere: Blaise è chiaramente un manipolatore,
un ragazzo scaltro, ma insensibile, di eccezionale perspicacia, ma scarsa
profondità di sentimenti. Da una parte è estremamente ricco di tutto,
dall’altra è estremamente povero. Se vogliamo, è straordinariamente
equilibrato. Del resto è anche ambiguo. E ambiguo lo rimarrà anche in quanto
guida: sarà, come è già stato, indispensabile per far sì che si solidifichi
l’amicizia tra Draco e Hermione, questo è vero. Ma ricordiamoci che è Blaise
Zabini. Da lui, ci si può aspettare qualsiasi genere di sorpresa. Silente
secondo me è favoloso e Draco, volente o nolente, per lo meno apprenderà che è
un po’ più di un vecchio rugoso… anche se un vecchio rugoso lo resterà
comunque! ^_^ Felicissima che le parti “malinconiche” ti questo capitolo ti
abbia emozionato: ci tenevo tanto. Infondo, se vogliamo, è attorno a certe
questioni che qui sono state accennate che ruota tutta la storia e sapere che
colpiscono, che emozionano, rende orgoglio di se stessi, non ti pare? Mi hai
fatto anche altre importantissime domande, ma mi riservo di risponderti più
avanti: specie a te e a quelli che come te riescono a intuire già da ora
parecchie chiavi di lettura interessanti, non voglio proprio rivelare più dello
stretto indispensabile. Ti dico solo che hai centrato il punto. Se riesci a
capire cosa intendo, potresti anche essere a un passo avanti a me, che, per
dirla tutta, sotto certi punti di vista è talmente confusa che non sa più come
raccapezzarsi in questa valanga di sentimenti e emozioni che ha messo in messo!
Blackmoony.
Oh, come capisco la tua sofferenza! Rivivo
nelle tue pene le mie! Sento nei tuoi confronti un moto di comprensione e
solidarietà immenso: se avrai bisogno di piangere per tutto il dolore che quell’oggetto
magnifico e terribile (e spastico, naturalmente) chiamato “computer” ti
provoca… ti assicuro che avrai la mia spalla. Non potrei mai negare conforto ad
un essere umano che conosce il mia stessa angoscia! T_T Ok, detto questo, posso
cominciare ad adorarti perché apprezzi il titolo che ho scelto per questa
fanfiction! E’ semplicemente meraviglioso! E altrettanto meraviglioso è che
anche tu gradisci Blaise! Non oso dirti quanto questo possa farmi piacere! Per
non parlare del fatto che dici di aver cominciato ad apprezzare il pairing
Draco/Hermione da questa fanfiction… insomma, una gioia immensa! Immensa! E
poi, e poi: Jane Austen! Mi piace tantissimo e sono onorata, veramente
onorata, di averti ricordato per un attimo il suo stile. Non è la mia autrice
preferita, ma l’ho sempre ammirata per il suo modo di scrivere. Ah, e poi hai
ragione tu, assolutamente: è Oltre Ogni Previsione. Non appena avrò un
po’ di tempo correggerò tutto quanto. Ti ringrazio moltissimo anche per la
fiducia e la tua considerazione per il mio stile (mi sono commossa, davvero):
mi piacerebbe tantissimo diventare una scrittrice. Sarebbe bellissimo se ci
riuscissi, ma penso che sarebbe ancora più bello se ci riuscissimo tutte e due.
Che ne dici? E’ una bella immagine per il futuro, no? ^_^ Ah, e sono così
contenta che trovi azzeccate le scelte delle canzoni a inizio capitolo! Ci
metto notti intere a sceglierle! Ci sono dei momenti che è frustrante, perché
mi sembra quasi che non potrei mai trovare una singola strofa adatta, ma poi, improvvisamente,
ne trovo una che è talmente perfetta che penso che sia stata scritta su misura
per quel preciso capitolo. Per concludere, vorrei dirti che non hai idea della
gioia che mi ha procurato il tuo commento e spero che recensirai anche questo,
il prossimo, quello dopo e quello dopo ancora… insomma, spero che mi seguirai
nella scrittura di questa storia. Mi farebbe veramente smisuratamente piacere!
^_^
Dana.
Draco fa quell’effetto anche a me! Alcune
volte muoio dal ridere mentre scrivo certi pensieri… quell’ultima frase del
quinto capitolo, per esempio, mi ha lasciato piegata in due per un paio d’ore.
Giuro, una cosa incredibile! Temevo che fosse un’ironia incomprensibile, e
invece, per esempio, a te piace. Sono proprio contenta! Ah, e poi anche io ero
sull’orlo di una crisi di pianto quando ho scritto quello che Harry aveva detto
a Hermione… veramente, mi si stringeva il cuore! T_T Ma non ti preoccupare:
tutti i nodi vengono al pettine e Harry avrà molto più di quello che si merita.
Mi assicurerò personalmente per far sì che avvenga! Oh, e mi dispiace
tantissimo di non aver aggiornato tanto presto! Tra l’altro, non lo farò
neanche per tutto Agosto, come ho spiegato all’inizio di questo capitolo. Spero
comunque che commenterai, quando metterò on-line il prossimo capitolo. E anche
questo, si intende: ho dato particolarmente sfogo alla mia demenzialità. Penso
che apprezzerai! ^_^
Mel-chan.
E’ così anche io e te abbiamo un sogno in
comune! Mi fa enormemente piacere! Ma io non sono affatto così brava come dici!
Assolutamente! Ed eppure penso proprio che non riuscirò mai a mantenere il mio
proposito di non scrivere più fanfiction o storie di alcun genere: credo che
sarebbe proprio impossibile, per me. ^_^ Perché, anche se in quel momento lo
pensavo, non esiste niente che mi faccia stare bene quanto scrivere… niente.
Comunque sono davvero, davvero contenta che trovi i miei pensieri tanto
profondi quanto interessanti: è una cosa molto importante per me. E sono anche
contenta nell’annunciarti che suppongo che il tuo desiderio di veder
ammorbidirsi il rapporto tra Draco e Hermione si sia in parte concretizzato in
questo capitolo. In parte, ti annuncio, si concretizzerà nei prossimi. E poi
verrà anche l’amicizia, sicuramente: questo posso anticiparlo senza problemi.
Dovete perdonarmi la nebulosità sulla faccenda “amore”: resto sul vago per pure
ragioni scaramantiche. Come ho già detto un sacco di volte, infatti, neanche io
so perfettamente come potrebbero andare le cose. D’altro canto posso anche
assicurarti che Hermione e Draco vivranno un rapporto intenso, che non smusserà
affatto il loro carattere, ma che permetterà molti di quei – come li chiami tu
– rari momenti in cui i pensieri dell’uno verso l’altra siano di entità
diversa dall’odio più profondo. E, magari, altri che invece siano addirittura
vicini all’affetto. ^_^ Spero che saprai pazientare – ne sono sicura! –
e quando li leggerai mi lascerai una tua impressione! ^_^
Bimba88.
Ma non devi assolutamente scusarti!
Commentare, prima di tutto, è un diritto, non un dovere: è già
tanto, per me, che tu decida di farlo. E puoi permetterti di farlo quando vuoi!
E poi sei sempre così gentile… sia nei miei specifici confronti che nei
confronti della mia fanfiction. Sono veramente felicissima che ti piaccia e,
all’occorrenza ti faccia ridere! ^_^ Per quanto riguarda Harry, come ho
continuato a ribadire per tutte queste 4 lunghissime – e graditissime – pagine
di risposta alle vostre recensioni, riceverà tutto quello che ha dato, con in
più un bel po’ di interessi. E in quel momento esulteremo insieme! ^_^ Ah, e ti
ringrazio moltissimo anche per aver difeso così strenuamente anche tu la mia
storia. Sul serio… mi hai commosso! T_T In ogni caso, scusami per non aver
aggiornato tanto presto: me la sono presa un po’ troppo comoda e a questo punto
il settimo capitolo lo metterò a Settembre… mi spiace veramente. Cercherò, da
quel momento in poi, di farmi perdonare. Ah, a proposito: com’è andata la famosa
festa? Ti sei divertita?
Ithil.
Oh, un’altra persona che apprezza Blaise!
Fantastico! Ah, e poi ti sono piaciute molto alcune frasi in corsivo del
dialogo tra Hermione e Ginny… bene, bene: siccome non ce ne sono poi molte ho
capito più o meno a quali ti riferisci – credo – e mi ha fatto molto piacere
leggerlo dal tuo commento. Infondo, per molte di quelle di sono stata su giorni
interi! Più o meno da suicidio, si. E naturalmente sono felice del fatto che
approvi la revisione che Draco fa della sua vita, sebbene tu preferisca
un Draco meno… stupido? Beh, anche se non hai detto proprio questo, ho capito
cosa intendevi e ti capisco. In un certo senso, spero di riuscire a mettere il
Draco che dici tu un po’ più avanti, anche se naturalmente non sarà mai troppo
sarcastico siccome in questa fanfiction il personaggio che possiede questa caratteristica
in quanto principale è Blaise. Forse è anche per questo che ho deciso di dare
un’inclinazione diversa al carattere di Draco: non volevo doppioni troppo
evidenti. Del resto, per quanto ti possa sembrare strano, io sono abbastanza
d’accordo con te sul fatto che Draco Malfoy stia decisamente bene quando
indossa le vesti dell’altezzoso e sarcastico ragazzo strafottente. Mah, vedremo
cosa ne verrà fuori da tutti questi propositi! Per concludere posso dirti che
di dialoghi tra Draco e Silente ce ne saranno altri, e cercherò di renderli
tutti esilaranti come hai trovato quello nello scorso capitolo. Dunque, grazie
mille per i complimenti! E in bocca al lupo con la lettura di Harry Potter
and the Half-blood Prince! ^_^
E… Marilia. Non so cosa dire. Potrei cominciare dicendo che non
ho ricevuto tutte le tue e-mail (ne ho poco più di un paio nella mia cartella
di posta) e quelle che ho ricevuto sono di… non lo so… quattro? Cinque mesi fa?
Ma non è comunque questo il punto: il punto è che, come ho scritto proprio
all’inizio di questo capitolo, per certi versi sono una persona discretamente
cinica e immagino di apparire anche abbastanza fredda ne confronti degli altri.
Perciò, sapendo questo di me, capisco che tu abbia pensato che io non ti abbia
mai considerato mia amica. Però, vedi, le cose non stanno così. Sarebbe bello
essere un tipo di persona che non ha bisogno di specificarlo, ma siccome non lo
sono, sono pronta a specificarlo tutte le volte necessarie affinché i miei
amici comprendano la loro importanza per me. Dico sul serio, Marilia, non è
esistito un solo momento da quando mi hai contattato la prima volta in cui non
ti ho considerato mia amica. Come non ne è esistito uno in cui non ti ho voluto
bene. A dire il vero penso che sarebbe impossibile… mi hai sempre sostenuta, mi
hai sempre incoraggiata, mi hai sempre resa orgogliosa di quello che scrivevo.
Non vedo come potrei non volerti bene. Mi dispiace che tu abbia dovuto
dubitarne e anche di non essermi fatta viva: anche se non ho ricevuto le tue
e-mail avrei potuto comunque mandartene io qualcuna, per sentire come stavi.
Spero che tu legga queste poche righe e accetti le mie scuse. In ogni caso,
ancora una volta, grazie per essere presente. Per essere qui,
insomma, ancora una volta, a leggere quello che scrivo. Sono davvero felice che
la mia storia ti piaccia molto e, quando avrai tempo di commentarla, sarò
davvero felice di leggere la tua recensione.
Spero di ricevere presto tue notizie, anche se in poche righe.
Un abbraccio forte, forte
La tua Silverwings
I
know I felt like this before
But now I’m feeling it even more
Because it came from you
Then I open up and see
The person fumbling here is me
A different way to be
Lo so che mi sono sentito così anche
prima di adesso
Ma ora lo sento anche di più
Perché viene da te
Allora apro gli occhi e vedo
che la persona che va alla cieca sono io,
un modo differente di essere
[Cranberries – Dreams]
*** *** ***
Lunedì 2 Dicembre.
Ore 12.15
Hogwarts. Aula di Pozioni.
Perfetto.
Doveva
aggiungere esattamente quel numero di occhi di tritone. Doveva mescolare in
senso orario. Ecco, ecco, così. Poi qualche manciata di corteccia di quercia triturata.
E altri due… anzi tre cucchiai di sciroppo di Mandragola. Si, tre potevano
andare bene. No, un quarto sarebbe stato decisamente eccessivo. Tre, era
perfetto. Ottimo. Ottimo. E ora… oh! Quante storie! Doveva metterli e basta!
No. No. No. Un po’ di più. Un po’ di più. Ancora un po’ di più. Basta. Perfetto!
E anche gli escrementi di Bubotubero erano andati.
A questo
punto mancavano soltanto due ingredienti per concludere la pozione.
I tanto
temuti ultimi due ingredienti.
Ma lei non
dubitò di Draco Malfoy. Sebbene mille e mille volte quel ragazzo avesse dato
prova della sua abissale stupidità, lei credette ciecamente che non l’avrebbe
delusa. Credette fermamente che non avrebbe avuto alcun dubbio su quale
ingrediente scegliere. Ci credette con tutta se stessa… almeno sino a quando
non lo vide prendere in mano le zampe di rospo.
Allora, non
poté che impallidire.
No! No!
Scosse il
capo freneticamente, in un silenzio imposto che le costava enormemente.
Vide il
Serpeverde aggrottare la fronte guardando ciò che aveva in mano, in un
inconsapevole riflesso che gli impediva di vanificare completamente tutti gli
sforzi di quelle lunghissime due settimane di studio.
Sì! Sì!
Annuì
ripetutamente, ritrovando un po’ di colore. E si compiacque dell’espressione di
Draco, contratta nello sforzo di concentrarsi e riflettere profondamente sulla
cosa.
Rifletti! Rifletti!
Ma ogni suo
slancio di entusiasmo si spense miseramente quando il Serpeverde alzò indegnamente
spallucce, in un’espressione di inevitabile rassegnazione, e avvicinò lentamente
le zampe di rospo al calderone.
No…
Si contorse
nell’angoscia.
No.
Impresse le
mani nel tavolo, con una forza tale che le fece rientrare le unghie nella
carne.
No!
La mano di
Draco fece per schiudersi.
E le sue
corde vocali gridarono con tutta la loro voce l’esclamazione della più totale,
assoluta, implacabile, affranta, smarrita costernazione:
« NO! »
Sistematicamente,
più di una ventina di persone sollevarono, scioccate, gli occhi dai loro
calderoni, per appoggiarli, basiti, su di lei. E tra questi occhi figuravano
anche quelli di Severus Piton, che in uno slancio di magnanimità inspiegabile
le consentì un'unica, devastante occhiata, che la fece semplicemente accartocciare su se stessa.
Sotto il
peso di quello sguardo, il suo capo si abbassò pesantemente in una massima
espressione di prostrazione. Ciononostante, nel chinarlo, notò e trovò di buono
che da quella sua orrenda figura Draco Malfoy, cinque banchi più avanti, avesse
carpito la quintessenza del suo errore, e, in un istinto incondizionato dettato
dal suo inconscio, avesse ritratto la mano dal calderone, sventando la
catastrofe.
Esausta,
stravolta e leggermente umiliata, Hermione riuscì comunque a finire la sua
pozione. La mise in una boccetta. Si trascinò poi in passi rapidi ma comunque
estremamente pesanti verso la cattedra, e lì la posò. Piton, seduto appena
dietro il grande tavolo di quercia, si soffermò a guardarla per non più di un
secondo. Quello bastò a dare il colpo di grazia al suo intestino, deturpato
dall’emanazione velenosa che quello sguardo sprigionava. Purtuttavia il
professore si limitò a quello, e poi decise che era molto più interessante
studiare qualsiasi altra cosa intorno a lui piuttosto che lei. E a questo punto
lei trovò faticosamente la forza di trainarsi sino alla porta e, finalmente,
uscirvi.
Il senso di
gratificante liberazione che le lambì dolcemente la mente non appena mise un
piede fuori dai sotterranei venne sbriciolato completamente da quello di
assoluta angoscia per quanto avrebbe potuto fare Draco, di sbagliato, pur con
un unico ingrediente a sua disposizione. Tremò, per un attimo, al pensiero.
Dovette persino sorreggersi la fronte con una mano, poiché questa era
improvvisamente, di nuovo, sprofondata in avanti. In un senso di pesantezza
opprimente.
« Ciao
Hermione! » La salutò però una voce squillante, di contagiosa allegria.
Quando si
volse verso la rampa di scale che conduceva al secondo piano, trovò Ginny
Weasley di fronte a sé. Trotterellava nella sua direzione. Spensieratamente. Il
viso gioviale, acceso dall’entusiasmo e dalla contentezza. Le guance
teneramente imporporate per la gioia. Le labbra riverse in un sorriso splendente.
« Ciao
Ginny. » Ricambiò, più compostamente, ma con lo stesso trasporto. Con lo
stesso affetto.
« Hai
saputo di ieri?! » La incalzò, euforica, l’altra, con la testolina rossa
che si agitava e le mani che la cercavano, in un contatto frenetico ma sempre
gentile. Mai eccessivo. Mai oppressivo.
« Certo. »
Le rispose, pacatamente. Non si poteva non venire a sapere che Grifondoro aveva
stracciato Corvonero a Quidditch. Era praticamente impossibile. C’era in ballo
l’orgoglio dell’intera squadra de “Il pettegolezzo – la notizia siamo noi”. « Congratulazioni,
veramente: sono sicura che vincerete La Coppa. »
« Oh,
si, possiamo farcela di sicuro! » Esclamò Ginny con una convinzione
indistruttibile.
« So
che poi tu sei stata bravissima. » Aggiunse, mentre cominciavano ad
avviarsi verso la sala comune di Grifondoro. Glielo disse sorridendo, sentendosi
piena d’orgoglio. Un orgoglio che però prescindeva dall’appartenenza alla stessa
casa. Ed era invece tutto per Ginny.
Del resto
non c’era nessun cercatore come Ginny. Nessuno con la stessa abilità di dare il
meglio anche sotto pressione. Nessuno con la stessa capacità di accettare una
sconfitta con sportiva dignità, nello stesso modo in cui sapeva esultare per
una vittoria senza prepotenza. E, checché ne dicessero gli altri, nessuno con
lo stesso talento.
Nessuno a
parte Harry, naturalmente.
Ma quella
era un’altra cosa…
Ad ogni
modo Ginny prese a scuotere il capo, mentre un guizzo di vitalità le
attraversava lo sguardo.
« Ma
no! » Esclamò, sempre contenta. « Non io! »
La
franchezza di Ginny la rendeva ben lontana dalla modestia, e altrettanto
lontana dalla vanità. Quando parlò, infatti, non c’era l’ombra né dell’una né
dell’altra. C’era invece molta sincera eccitazione per l’unica persona che le
sarebbe mai parsa veramente bravissima.
« E’
stato Dean quello fantastico! » Esclamò infatti la rossa, ridendo.
E in quella
spontaneità, lei vi lesse l’essenza dell’affetto.
Avrebbe
potuto essere il peggior giocatore in campo. Avrebbe potuto essere la persona
meno preparata del mondo ad affrontare la vita. Avrebbe potuto fare una marea
di sbagli. E avrebbe potuto farle tanto male da farla piangere per giorni
interi. Ma, per Ginny, Dean sarebbe stato comunque il migliore di tutti.
L’unico
eroe di quei giorni spensierati che viveva con tutta se stessa.
« Immagino. »
Mormorò, sinceramente. Dolcemente.
« La
prossima volta devi venire assolutamente! » La avvisò Ginny lanciandole
uno sguardo ammonitore, ma ancora molto sereno. Ancora molto contento.
« Ci
sarò. » Garantì in un sorriso, mentre il corridoio che stavano percorrendo
cominciava a riempirsi di studenti che avevano finito le lezioni.
« Oh! »
Esclamò ad un tratto Ginny, sbattendosi una mano sulla fronte come se si fosse
improvvisamente ricordata di una cosa importante. « Ma tu oggi avevi un
test! »
« Beh
si. »
Ginny
stette per chiederle qualcosa al riguardo, ma un ragazzo che arrivava dalla
parte opposta la indusse a spiccare una corsa in avanti, per poi ritornarle di
fianco, dall’altra parte. Nel seguirla con lo sguardo, però, in quel movimento
circolare e fin troppo rapido, lei sentì un improvviso senso di nausea. E le
ritornò all’istante quella pesantezza che aveva attribuito esclusivamente alla
frustrazione.
« Allora? »
Domandò Ginny, che non si era accorta di nulla. « Com’è andato? »
Scosse un
attimo il capo, per riprendersi, e cercò di parlare:
« E’
andata… » Ma dovette fermarsi.
E dovette
anche smettere di camminare. Perché la testa aveva preso a girare e lo stomaco si
era come rivoltato su se stesso. Mentre un fastidioso formicolio le era salito
lungo le gambe, a quel punto tremolanti. Era come se i muscoli non fossero più
capaci di reggere la spossatezza accumulata in quei giorni.
« Hermione? »
La voce di
Ginny la fece riprendere.
Si volse dunque
verso l’amica. Notò allora che il sorriso, sul viso di questa, si era spento
completamente. E che le sue mani la sorreggevano, senza che lei se ne fosse
accorta, facendole appoggiare un braccio su di loro. Mentre i suoi occhi la
guardavano allarmati, in apprensione.
« Sto
bene. » Cercò di tranquillizzarla, ritornando ad una posizione
completamente eretta e completamente autonoma. Era stato solo un attimo. Non
c’era bisogno di allarmarsi
« Che hai? »
La ignorò irrequieta Ginny, aggrottando la fronte, mentre la sua espressione
preoccupata la studiava attentamente, inducendola a constatare: « Sei
pallida… »
Le osservazioni
di Ginny vennero immediatamente catalogate come fantasie da troppa apprensione.
Una forma di schizofrenia – che, tra l’altro, a lei piaceva particolarmente –
ereditata da Mamma Weasley. Una specie di gene mutante che si manifestava più o
meno nell’adolescenza, insieme all’istintiva ricerca del nocciolo di ogni
questione.
E fu cercando
questo nocciolo che Ginny provò ad indovinare il problema:
« Quanto
hai dormito ieri? »
Fece per
aprire la bocca, convinta che quello che le sarebbe venuto in mente di dire
sarebbe stata una replica perfetta. Compreso invece che non aveva proprio nulla da replicare – perché non aveva
dormito per nulla, il giorno prima –
comprese che nel suo puntare il dito sulle opzioni Ginny aveva indovinato sul
serio.
La fortuna
del principiante?
No, l’esperienza del veterano.
Unita alla
conoscenza ormai perfetta del suo stile di vita. Ad una capacità di deduzione
tutta particolare. E ad una logica assolutamente ineccepibile.
Automaticamente,
gli occhi che la guardavano insistentemente e in apprensione si spalancarono,
increduli, seccandosi in un’espressione esasperata.
« Non
posso crederci! »
« Dovevo
studiare! » Provò a giustificarsi, immediatamente. Non era mica colpa sua!
Dormire le avrebbe fatto perdere troppo
tempo!
« Oh,
ma per favore! » Le rimbeccò la rossa, con un’evidente nota di rimprovero.
« Tu studi continuamente! »
Arricciò le
sopracciglia e storse il naso, indispettiva. Offesa, quasi. Certo che studiava
continuamente. Bisognava studiare
continuamente. Per restare al passo con i compiti e mantenere in esercizio la
mente.
« Io
studio quanto è necessario! » Sostenne risoluta, stringendosi al petto i libri
che portava in un gesto istintivo, mentre Ginny, con le braccia incrociate,
l’ascoltava con pedante impazienza. « E comunque di solito dormo! »
Si sentì in dovere di dire, per difendersi dalle accuse. Che per lei restavano comunque insensate. « E’ solo che
oggi avevano un compito molto- »
« Importante? »
Concluse la rossa per lei, inarcando le sopracciglia in un’espressione torva.
Le lanciò
uno sguardo incredulo.
« Lo
dici tutte le volte. » Dichiarò con fermezza la rossa, per sostenere,
probabilmente, la giustezza del suo comportamento.
« Perché
è vero! » Dichiarò con enfasi e
trasporto. « E poi Calì aveva bisogno di una mano! » Aggiunse, con
irremovibile convinzione. Se qualcuno le chiedeva qualcosa lei cosa poteva farci?!
« Oh
Santa pace ci manca solo Calì! » Strepitò con voce insofferente Ginny,
sollevando gli occhi al cielo. Tornando a guardarla dopo un attimo, con uno
sguardo che si sforzò di mantenere il più serio e calmo possibile, esordì: « Ascoltami
bene, Hermione: non puoi aiutare tutti. »
La guardò
perplessa, non capendo.
« Ma
io non aiuto tutti. » Fece, titubante. « Aiuto Neville. » Certo,
avrebbe mai potuto non aiutarlo? « Aiuto Seamus. » Beh, si, lui si.
Se era necessario. Infondo erano amici da tanto. « Aiuto Dean. » Era
ovvio, no? Era anche il ragazzo della sua migliore amica. « E poi aiuto
Calì, se me lo chiede, e Colin e David, e Draco, e… »
E la lista
sarebbe andata avanti, se Ginny, improvvisamente sbiancata, non l’avesse
fermata in un fioco e tremolante sussurro:
« Cosa
hai detto? »
« … ho
detto che non aiuto tutti. »
« No! » Esalò Ginny, allibita, con
gli occhi spalancati tanto da farle male. In un atteggiamento che non le aveva
mai visto prima. « No! » Ripeté, smorta e sgomenta. « No, tu hai
detto Draco… »
Oh.
Aggrottò la
fronte, leggermente perplessa.
« E
allora? » Pronunciò, stringendosi nelle spalle. Adesso era diventato
proibito anche il nome di Malfoy? E come avrebbe dovuto chiamarlo:
Colui-che-è-talmente-idiota-da-non-dover-essere-nomitato?
Mh, gli
sarebbe calzato, però.
Ginny, con
una mano sul cuore, come se le fosse venuto un infarto, esclamò traumatizzata:
« Per
tutti i goblin, Hermione! Adesso lo chiami pure per nome? »
Goblin?
Tutta la
sua attenzione venne magicamente assorbita da quella parola. Oddio! Goblin!
Oddio! Storia della magia! Oddio! Lavanda!
Era in un abominevole ritardo per
aiutare Lavanda con Storia della magia!
« Ginny,
scusa, devo andare! » Esclamò sbrigativamente. Che mancanza imperdonabile,
la sua! Essersi dimenticata così scioccamente di una cosa così importante! « Lavanda vuole che la
aiuti con una cosa! » Prese a correre verso la sala comune, come un
fulmine, mentre gridava, con sincero dispiacere: « Sul serio scusa, ci
vediamo presto! »
E prima che
Ginny avesse potuto fermarla, lei era già a metà del corridoio. Ad una distanza
inverosimilmente eccessiva per poter anche solo pensare di raggiungerla.
« Hermione,
fermati! » Le gridò dietro Ginny, cercando di fermarla. Ma lei era troppo in ritardo per fermarsi.
Rapida, rapida, rapida…
« Hermione,
dormi! » Udì ancora, non
intendendo, però, il tono disperato con cui la rossa tentava disperatamente di
farsi ascoltare.
Come ho potuto ritardare così!
« E mangia! »
Per rimediare dovrò saltare il pranzo.
« E
riposa! »
E poi devo anche studiare Aritmanzia.
« E
lascia perdere chiunque sulla faccia della terra abbia bisogno di aiuto! »
E devo anche guardare il tema di Colin sugli
unicorni.
Stava
seduto su di una panchina, con la sciarpa verde e argento ben avvolta attorno
al collo e il giubbotto ben chiuso. Faceva un freddo cane! Ma sarebbe stato
sopportabile se solo non avesse avuto di fianco Tiger e Goyle in versione
“tirapiedi senza prezzo”. E, soprattutto, se la loro flaccida mente non fosse
stata così abilmente circuita da una persona che – lo ammetteva – non aveva
creduto abbastanza intelligente da circuirla.
Per dire: quando
si era liberato della loro presenza spingendoli verso un’altra eventuale
vittima da annientare con la loro stupidità, al suo posto, non gli era neanche
passato per la testa che Pansy potesse operare una così profonda suggestione
psicologica da indurli ad una tale reticenza mentale.
Ma il suo
era stato un gravissimo errore di
valutazione.
E per quell’errore
era iniziato qualcosa di terrificante che gli si era ritorto fatalmente e
irrimediabilmente contro…
Il regime Parkinson.
« Pansy
ha detto che lunedì avete avuto il compito di Pozioni! » Starnazzò Tiger
con la voce corpulenta. Rilasciandosi in un sorriso ossequioso nel pronunciare
il nome di Pansy.
« Già… »
Biascicò, svogliatamente.
« Ha
detto anche che era molto difficile. » Continuò Goyle, orgogliosamente
convinto di dire qualcosa di assolutamente indispensabile.
« Ma
va… »
« Ma
ha detto anche che a lei è andato bene. » Intervenne prontamente Tiger.
Lungi dal lasciare che qualcuno intorno a lui potesse anche solo arrivare a
pensare il contrario.
« Beata
lei… » Mugugnò, con una certa insofferenza. Mentre restava con lo sguardo ostinatamente
puntato dalla parte opposta dei due Serpeverde.
« Si! »
Esclamò, fieramente Goyle, annuendo. « Perché lei ha un talento naturale per
Pozioni! »
Talento… naturale?
Si schiaffò
un mano sulla fronte, allibito.
La
reginetta del mercato nero di cosmetici di Hogwarts. La persona con una voce di
dodici none più elevate della soglia consentita per non costituire un pericolo
pubblico. La banshee dalla forchetta d’oro. Quella che aveva scambiato un pezzo
di carota lessa per un occhio di salamandra. Lei aveva un talento naturale
per pozioni?
Ma in che
mondo? In che assurdo universo? In quale indecente visione delle cose?!
Dio mio! Quale
orrendo plagio psichico aveva potuto renderli capaci di affermare simili turpitudini?
« Al
contrario di Hermione Granger! » Aggiunse in quell’istante Goyle.
Il suo
sguardo si indurì improvvisamente.
Non più
vagamente spazientito da quell’ondata di scemenze, ma visibilmente seccato,
aggrottò la fronte con una nota di evidente disappunto.
Beh, che
Pansy si mettesse a sbandierare al mondo la sua superiorità su Hermione Granger
era veramente assurdo! La
Grifondoro poteva essere insulsa e insopportabile finché
volevano, ma se c’era qualcuno che poteva dirsi avesse talento in qualcosa che
riguardasse la magia, quella era lei.
E poi, ad
essere completamente franchi, a chi importava se era una Serpeverde! Pansy era fin
troppo odiosa persino per essere umana!
Non proprio come Ginny Cozza Weasley, naturalmente… ma ci erano molto vicini!
Si atteggiava in tutti i modi possibili! Era egocentrica e irritante! E ogni
volta che apriva bocca se ne usciva con un ultrasuono che sembrava fatto
apposta per trapanargli il cervello di cretinate!
« Sì,
Pansy dice che la Granger
è un’incapace! »
Ed ecco l’ennesima cretinata!
« Non
voglio parlare di Hermione Granger. » Sbottò, infastidito, prima di
accorgersene.
Ma anche
quando se ne accorse, non gliene importò: non la stava difendendo, né le stava
attribuendo i giusti meriti. Stava semplicemente ribadendo un concetto in cui
non vedeva nulla di strano: Pansy Parkinson era una piaga per l’intera umanità.
Hermione Granger, invece, era sufficientemente meno distruttiva da essere una
piega per la sola Hogwarts.
Ma restava
sempre l’essere più odioso che avesse mai conosciuto.
A parte
Pansy, appunto.
E a parte la Weasley, naturalmente.
E quell’oca
della Habbot.
Si,
decisamente: Anna Habbot era insoffribile. Strabica. Altezzosa. Irritante.
Insignificante. Tetramente stupida. Un mix agghiacciante infuso in una figura
altrettanto raccapricciante. Per non parlare poi di tutti gli altri suoi amichetti
di Tassorosso: smidollati, insopportabilmente placidi e rammolliti. Senza
nessun senso dell’orgoglio. Andavano in coppia con quei falliti dei Corvonero.
Santo cielo, che facce insopportabili! Li aveva sempre detestati! Gli facevano
venire i nervi! Ma neanche i Serpeverde erano tanto meglio, eh! Bastava
guardare Pucey Davis e quelle pallide imitazioni di minorati mentali che aveva
davanti.
Si
salvavano giusto Theodore e Blaise, ma tutti gli altri… bah! Tutti rifiuti!
Nel
complesso quindi…
Quindi…
Si bloccò
all’istante.
Un senso
indefinito d’angoscia gli salì dallo stomaco lungo la gola. Nella sua testa,
un’idea apparentemente malsana si dipanò leggermente.
Ma che
Hermione fosse, in effetti, la persona migliore che avesse conosciuto, Draco
Malfoy non fece in tempo a capirlo che Tiger lo riportò brutalmente alla dura e
cruda realtà.
« Sì,
capo. »
Si girò
lentamente verso il Serpeverde, con uno sguardo allucinato stampato in faccia e
mormorò, esterrefatto:
« … capo? »
« Pansy
dice che tu sei il leader di noi Serpeverde, capo! » Dichiarò allegramente
Goyle.
Quella deficiente...
Ma gli
sguardi ansiosi dei due compagni di casa, che sembravano pendere completamente
dalle sue labbra, gli istigarono nella menteuna
sfumatura della faccenda che poteva in qualche modo tornare a suo vantaggio.
Inebriandolo, tra l’altro, anche di un discreto senso di potere.
Gradevolissimo, naturalmente.
« Se
io sono il vostro capo…» Esordì, lentamente. « …voi dovete rispettare le mie regole,
giusto? »
I due Serpeverde
si guardarono ancora negli occhi, titubanti, e poi dichiararono:
« Ehm…
si capo. »
« Bene
» Fece allora lui, risoluto. « Regola numero uno: non chiamatemi mai più capo. »
Ecco il
fondamento del regime Malfoy. Ecco
l’inizio del suo trionfo!
« Ma
capo… » Tentarono di obbiettare i due, desolati.
« Regola
numero due. » Li interruppe immediatamente, serafico. « Le regole entrano
in vigore dall’istante in cui vengono emanate. » Dalle loro facce comprese
che non avevano capito diverse parti della sua frase. Vigore. Emanate. Istante.
In. Sono. Tutti ammassi di lettere un
po’ troppo difficili per essere compresi. « Dovete rispettare le regole. »
Gliela fece semplice, per poi aggiungere, tradendo un luccichio
inquietantemente compiaciuto nello sguardo: « Subito e per sempre. »
« Ma
Pansy dice che… »
« Regola
numero tre: tutto quello che dice Pansy è una stupidaggine a meno che non lo
dica io. » Replicò seccamente, in un raptus di fastidio convulso verso
Pansy.
Se
possibile, la sopportava sempre meno ogni minuto che passava!
Tiger e Goyle,
distrutti dalla notizia, privati dei cardini fondamentali della loro esistenza,
acconsentirono con facce stravolte:
« D’accordo… »
Lui invece,
estremamente soddisfatto, ritornò a godersi il silenzio e la tranquillità di
quel pomeriggio di dicembre.
« Draco? »
Lanciò uno
sguardo seccato in direzione di Tiger e della sua indelicatezza, e grugnì:
« Regola
numero quattro: quando sono occupato non voglio essere disturbato. »
« Ma
non stai facendo niente. » Deglutì Tiger, perplesso.
« Sto
pensando! » Esclamò spiccio lui, dandogli di nuovo le spalle.
L’altro
esalò un piccolo sospiro smorzato, in segno d’intesa. Ma probabilmente non
doveva aver capito molto di quanto gli era stato detto. Tant’è che cinque
secondi dopo pensò che fosse assolutamente improrogabile interromperlo nuovamente:
« Draco? »
Ma perché
non puoi esserci un solo attimo di silenzio? Perché?!
Frustrato,
portandosi pesantemente una mano sulla fronte, si rilasciò in un soffio
sfibrato:
« … che
c’è? »
« Ehm…
Hermione Granger sta per buttarsi dal secondo piano. »
Eh?
Spalancò
inconsciamente gli occhi e in uno scatto improvviso si girò verso la facciata
di Hogwarts che stava di fronte a lui. Con un nodo in gola che non seppe
spiegarsi, ingoiò il vuoto per un attimo, vedendo la Grifondoro praticamente
riversa da una delle finestre e a stento in equilibrio sul cornicione.
Che cosa stava facendo?
Spiccò una
corsa verso la folla di gente che si era appressata a lei dal giardino. E non
diede troppo peso al delirio che lei snocciolava, freneticamente:
« Non
l’avete visto! Siete sicuri! E’ importante! Devo
parlargli! »
Perché i
capelli le coprivano la faccia, e dalla voce stridula avrebbe potuto essere un ultimo
addio al mondo. Una sorta di testamento eterno. Un specie di disperato
tentativo di lasciare un’ultima traccia di sé. Il ché avrebbe significato che quella
deficiente voleva ammazzarsi sul serio! Oh, ma andiamo! Hermione Granger, ammazzarsi? Che scemenza! Quell’isterica
aveva persino troppo senso del dovere
per liberare il mondo della sua stupida presenza!
…
Ne aveva
troppo… vero?
Accelerando
senza neanche rendersene conto, vide però una delle persone proprio sotto di
lei che lo indicava a Hermione, dopo averlo scorto.
Rallentò di
colpo, aggrottando la fronte.
Ma che diavolo…?
La Grifondoro, seguendo il dito della ragazza
che lo stava indicando, sollevò un po’ la faccia, sempre tetramente coperta dei
cespugliosi capelli castani. E dopo averlo distinto in mezzo al groviglio
immenso della voluminosa chioma riccia, lanciò un gridolino soffocato, che gli
fece quasi venire un colpo secco.
Per poi
dire qualcosa che invece un colpo glielo fece venire davvero…
« Oh, Draco! Ti ho trovato! Ti ho
trovato! »
… Draco?
Arrancò
all’indietro, terrificato, col cuore che pompava a mille per lo shock.
« N-non
chiamarmi per nome, cretina! »
Balbettò, traumatizzato, col viso smorto. Draco? Draco?! DRACO?!
« Draco,
non ci crederai! Non ci crederai mai! » Sembrò ignorarlo lei, cercando
buffamente di mettersi i capelli spettinati dietro le orecchie, per poterlo
guardare in viso.
« Ma
la vuoi smettere?! » Esclamò angosciato, senza neanche ascoltare quello
che aveva da dire: come potevano essere cose sensate?! Lo stava chiamando per nome! Per tutti i Troll!
E aprì la
bocca cercando di nuovo di farla stare zitta, ma quando fece per parlare
Hermione riuscì a liberarsi del groviglio di capelli che le si era creato
davanti alla faccia, e prese a gridare entusiasticamente, in un’esplosione di grida
ardenti:
« Hai
preso E! Ce l’hai fatta! Nel compito… hai preso E! »
E allora
non poté che stare zitto.
Ma non per
quello che lei disse. Quello, lui, neanche lo sentì. Quella “E”
straordinariamente insignificante non fu altro che un sottofondo senza importanza.
Un retrogusto che avrebbe assaporato solo dopo. Dopo… Dopo aver guardato
attentamente quello che l’aveva ammutolito. Quello che gli aveva fatto morire
in gola la voce con cui aveva pensato di parlare. Quello che l’aveva asciugata…
esplodendo in una vampata di calore bruciante…
… dolce.
Quel
sorriso rovente, che si era espanso non solo sul viso di Hermione. Che si era
espanso di più. Che aveva inondato tutto. Che aveva illuminato… tutto.
Quel
sorriso che diceva: “Hai fatto qualcosa di straordinario”. E non ammetteva
repliche. E non aveva bisogno di conferme. Quel sorriso che gli dava l’illusione…
la certezza… che lei fosse sinceramente
felice per qualcosa che aveva fatto lui.
Il primo
sorriso…
Il primo
sorriso di una persona orgogliosa di lui.
No, anzi…
Anzi…
… la prima persona…
Il sorriso
della prima persona orgogliosa di lui…
*** *** ***
Giovedì 5 Dicembre.
Ore 15.46
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.
« Hermione
si sta distruggendo. » Commentò cupamente, completamente abbandonata sul
soffice velluto della poltrona su cui era seduta.
Dean,
seduto di fronte a lei, sollevò quasi distrattamente lo sguardo dal libro che
stava leggendo.
« In
effetti… » Ci pensò su il ragazzo. « … oggi mi è sembrata un po’
pallida. »
Mi è sembrata un po’ pallida?
« Eramolto
pallida. » Lo corresse prontamente, masticando le parole con un certo
fastidio. Non aveva avuto per niente
un bel colorito. Checché lui ne dicesse con quel fare da imbecille! E in più
quella mattina si era presentata in Sala Grande con gli occhi grandi come due
noci di cocco! Senza contare che Seamus aveva avuto persino il coraggio di
chiederle come si facessero gli incantesimi di appello, siccome lui se n’era
completamente scordato!
Scosse
nervosamente il capo cercando di calmarsi.
E siccome
era una cosa che le premeva particolarmente – calmarsi, cioè – Dean si
preoccupò sollecitamente di impedire che avvenisse.
« Però
a me sembra abbastanza serena… » Considerò infatti con una certa
leggerezza.
Gli lanciò
uno sguardo truce.
« Questo
l’ho notato anche io. » Replicò, seccata dalla sua superficialità. « Se
però deve rimanerci secca se permetti preferisco che si angosci! »
« Non
so, Ginny… » La contraddisse placidamente Dean, ignaro del pericolo a cui
stava incorrendo. « Può darsi che non sia così grave come pensi. »
Si
trattenne strenuamente dal mollargli uno schiaffo in piena faccia.
Eccola lì,
tutta la sua sensibilità! Eccola lì, tutta la sua attenzione! Palle, ecco cosa
erano! Tutte palle! I ragazzi non avrebbero mai capito un tubo di niente! Ecco
cos’era vero: la loro ignoranza era vera. Ignorante Seamus. Ignorante Dean. E
ignorante Malfoy. Ignoranti tutti! Che si impiccassero una buona volta!
Se ce n’era
uno che si salvava, quello era Neville!
« Solo
perché non sviene di colpo di fronte a te non significa che non sia grave. »
Pronunciò acida, lanciandogli uno sguardo feroce che Dean accolse con
un’espressione immensamente comprensiva:
« Non
ho detto questo. »
« No,
ma è come se l’avessi detto! » Lo freddò altera, senza permettergli di
fare la parte del ragazzo tollerante. Poteva anche essere più responsabile degli
altri, ma, comunque, viveva con due fette di prosciutto perennemente
appiccicate sugli occhi! Non si accorgeva mai di niente. E non era una sua mancanza.
Era pigrizia. Pura pigrizia! Ron non
aveva mai saputo prendere Hermione perché non ci aveva mai provato sul serio! E
la stessa cosa valeva per quello smidollato che aveva davanti e per tutti gli
altri imbecilli che conosceva. Questa era la verità. E mentre loro avrebbero
evitato di cercare di comprenderla, Hermione avrebbe continuato a vivere col
suo orgoglio e la sua testardaggine! « Lei non ammetterà mai che ha bisogno di riposo. Almeno,
non sino a che per qualche malore dovrà saltare delle ore di scuola! »
« Anche
questo è vero… » Le concesse Dean, sempre con quel tono vagamente
ragionevole che le faceva saltare in nervi.
« Appunto! »
Masticò aspra e concisa, con gli occhi lampeggianti che gli sputavano in faccia
tutte le cose poco lusinghiere che avrebbe voluto dirgli.
Dean a quel
punto colse nitidamente quanto stesse rischiando la vita e infatti si affrettò
a mostrarsi più interessato. Il che, comunque, non coincise affatto con una
produzione di ragionamenti più intelligenti.
« E
cosa pensi si debba fare? Legarla e trascinarla in infermeria? »
Gli scoccò
un’occhiata gelida, riducendo gli occhi in due sottili fessure, come in una
muta sfida che si concretizzò quando stridé, acutamente.
« Potrebbe
essere un’idea. »
« Non
è più necessario… »
Sollevò lo
sguardo sopra la spalla di Dean e vide Seamus e Neville avanzare verso di loro.
L’uno con un’espressione leggermente accasciata, ma pur sempre velata della sua
proverbiale pigrizia. L’altro assolutamente scosso.
Dean,
riconoscendo la voce del compagno di stanza, si girò su se stesso, sorpreso nel
vederlo.
« Seamus? »
« Non
è più necessario cosa? » Lo incalzò invece lei, leggermente allarmata
dall’espressione prostrata di Neville.
« Hermione
ha avuto un calo di zuccheri in corridoio, dieci minuti fa… » Disse,
Seamus, senza mezzi termini, grattandosi la nuca con una mano. Ma,
probabilmente, vedendola sbiancare di colpo, si affrettò ad aggiungere anche: « ...
ma non è svenuta e adesso sta bene: la professoressa Sprite l’ha portata in
infermeria. » Si fermò per una frazione di secondo, come ricordandosi di
una cosa che lo lasciava leggermente confuso. « Anche se per farlo ha
dovuto minacciarla di togliere punti a Grifondoro…. »
« Oh
mio dio… » Esalò, con le gambe molli per lo spavento. « Ma sta bene
sul serio? »
« Sta
bene, sta bene…» La tranquillizzò indolentemente, trattenendo uno sbadiglio che
le fece rammentare velocemente il fastidio convulso che nutriva per loro. Uno
sbadiglio?! Uno sbadiglio quando Hermione era in infermeria?! Stavano superando
ogni limite! « Ha avuto solo un mancamento, e poi Madama Chips ha detto che
appena le sarà passato un po’ la nausea potrà imbottirla di cioccolata. »
« L’abbiamo
fatta stancare troppo… » Mormorò a quel punto Neville, con la voce
spezzata dalla mortificazione e dall’ansia.
E lei colse
quest’ultima uscita per esprimere il suo colorito punto di vista.
« Esatto! »
Inveì, scattando in piedi e scoccando un’occhiata rovente a Dean, che si
ritrasse istintivamente, un po’ impaurito. « Dovete smetterla! »
Aggiunse muovendosi svelta verso l’uscita della sala comune. I tre la
seguirono, obbedendo all’implicito ordine di seguirla mandato sotto forma di
onde alfa che avevano imparato a captare. « Lo sapete com’è fatta! » Rincarò
in corridoio, sbattendo i piedi sulla pietra con tutta la sua stizza. « Dovete
imparare ad arrangiarvi da soli! »
« E’
inutile che ci dai la colpa. » Cercò di difendersi Seamus, col tono di
voce leggermente infastidito dalla facilità con cui sembrasse disposta a
puntargli il dito contro. « Hermione ha sempre dato una mano a tutti e non
le è mai successo di svenire. »
« E allora
siccome non è mai successo aspettiamo che succeda! » Sbraitò furibonda,
serrando la mascella in uno scatto di rabbia. L’apice della grettezza mentale!
Ecco cosa stavano raggiungendo!
Insieme al
limite della sua sopportazione.
Seamus
ingoiò il rospo, rinunciando a replicare, ma grugnì un mugugno abbastanza
seccato, che indusse Dean a correre valorosamente in suo aiuto:
« Non se
lo aspettava nessuno, Gin. »
E no, eh! Questo no!
Non gli
avrebbe permesso di schiaffarci in messo anche la sua proverbiale solidarietà
maschile!
Frenò di
colpo, girandosi in uno scatto verso i tre che la seguivano. Neville, poco più
indietro, per poco non inciampò nei suoi piedi per lo spavento. Seamus deglutì
solamente. Dean impallidì un poco, ritraendosi – di nuovo – istintivamente di
un passo.
Li incenerì
con uno sguardo e tuonò, furibonda:
« Ah
no? Non se lo aspettava nessuno?
Chissà perché invece io me lo
aspettavo! Se non ve ne foste accorti Hermione quest’anno deve sopportare anche Malfoy! »
E puntualmente,
un voce melliflua giunse strisciando dalle sue spalle.
« Stai
parlando di me, stracciona? »
Un brivido
le percorse la schiena.
Ma non era
propriamente paura…
« Tu! »
Stridé acutamente, girandosi verso Draco Malfoy, che si accompagnava nella sua
lieta passeggiata pomeridiana con quel demente di Blaise Zabini. Le salì il
sangue alla testa non appena incrociò il suo sguardo strafottente e sprezzante.
E in aggiunta all’umore nero che aveva, sentì che quel famoso limite di
sopportazione veniva distrutto impunemente da una manica di crude e violente
percosse.
« Idiota! » Ruggì, furiosa, avanzando
minacciosamente di un passo, col fuoco negli occhi.
« Ginny… »
Tentò di fermarla Dean.
Invano.
« Deficiente! »
Continuò, implacabile, con i pugni stretti lungo i fianchi che si stringevano
ancora di più, fino a farle diventare bianche le nocche delle mani. « Imbecille! »
« Ginny,
calma. » Intervenne anche Seamus, probabilmente pensando che non appena
Malfoy si sarebbe riscosso da quello stato di catatonico smarrimento che
l’aveva improvvisamente impietrito come minimo l’avrebbe torturata a morte.
Ma a lei
non gliene fregava proprio un bel niente! Che Malfoy ci provasse soltanto! E se
anche ci riusciva… beh, sarebbe andata all’altro mondo sapendo di avergli detto,
una volta per tutte, tutto quello che gli pulsava dentro da quando l’aveva
conosciuto! E tutta la rabbia immensa che aveva provato nell’ultimo mese a
vedere la sua migliore amica distruggersi per stare dietro ai suoi capricci!
Gliel’avrebbe detto e, parola sua, gliel’avrebbe fatto capire anche se avesse
dovuto imprimerglielo nella testa con uno schiaffo.
« Decerebrato! »
Continuò quindi, con più foga, con più impeto, trascinando con sé tanta di
quella tensione da sollevare un’aura di energia intorno a lei. « Cafone! »
« Ginny,
per favore… » Piagnucolò Neville, angosciato, tirandola debolmente per una
manica, temendo anche lui l’espressione sconcertata di Malfoy, che a poco a
poco diventava fosca e truce.
Si volse
verso Neville, staccandosi con uno strattone secco, e i suoi occhi emanarono
saette luccicanti. Poi tornò su Malfoy, il cui viso era ormai contratto da una
rabbia incontenibile. Deformato da un odio convulso. Oscurato da una lugubre
impazienza. Con le labbra semi aperte e le orecchie fumanti.
Ma quello
che quella faccia le mise in mente di dire furono tutt’altro che delle scuse
convincenti…
« Razza
di fallito! Razza di bambino capriccioso e arrogante! Razza di stupido cretino!
Spero che tu sparisca dalla faccia della terra il più in fretta possibile! »
Trasse un profondo respiro. Trasse un respiro per poi gridare, con tutta la sua
voce: « Ma prima che tu lo faccia spero che in quel carattere marcio che ti
ritrovi tu riesca a provare anche solo un minimo senso di colpa per il tuo
atteggiamento! »
E poi crepa!
Questo fu
quello che Ginny Weasley trovò giusto dire – e pensare – a e di Draco Malfoy.
Per il
corridoio del secondo piano. In mezzo ad una folla non indifferente di gente,
che osservava la scena in un misto di ammirazione e timore.
E, messo in
ridicolo, umiliato, preso a insulti, deriso, il Draco Malfoy che le rispose
possedeva tutta la gloriosa sprezzante, velenosa e pomposa prepotenza dei suoi
tempi migliori:
« Brutta
stracciona, pezzente e nevrotica! Come
diavolo ti permetti?! »
Ma lei restò
salda, con i piedi coraggiosamente piantati nella pietra, più convinta che mai.
Se era con quelle ridicole offese che tentava di farla stare zitta, allora il
Draco Malfoy dei suoi tempi migliori non valeva che un soldo di cacio bucato!
« Mi
permetto eccome! » Urlò ancora più forte, per sovrastarlo con la voce,
mentre la fronte aggrottata le faceva persino male per la forza con cui era
contratta. « Hermione è finita in infermeria perché oltre ad aiutare i
suoi amici deve aiutare anche te, e questo la sfinisce! » Pronunciò le
ultime parole con una vaga nota spezzata, nella voce. Con una vaga nota
dispiaciuta, affranta da un singhiozzò nervoso, che però venne pervasa da una
rabbia che la rese di nuovo compatta, indistruttibile… affilata. « E tu
non hai niente di meglio da fare che renderle il tutto il più pensante
possibile! Con i tuoi capricci! Con le tue assurde pretese! Spero che
quando si riprenderà ti pianterà in asso! » Gli augurò, in un urlo possente.
« E se non dovesse riprendersi come si conviene…»
Gli lanciò
un ultimo sguardo.
Letale.
« … prega che io non ti trovi! »
*** *** ***
Giovedì 5 Dicembre.
Ore 16.33.
Hogwarts. Stanza di Draco.
Nella lista
delle persone che avrebbe dovuto ringraziare per avergli reso una giornata
tanto più gradita di quanto non fosse parsa da principio non avrebbe mai
creduto che sarebbe figurata anche Ginevra Weasley. Grifondoro da prima di
essere concepita. Weasley dalla nascita. Inutile da quando aveva cominciato ad
avere una coscienza che la rendesse uguale agli altri, al posto di darle
un’identità. E decisamente e doverosamente insignificante a priori e a
prescindere da tutto.
Eppure era
stata lei ad avergli reso quella giornata tanto più bella di quello che aveva
immaginato quella mattina.
« Un
bel caratterino la Weasley,
eh. » Commentò, mentre restava appoggiato allo stipite della porta della
camera di Draco, e lo osservava attentamente mettere a soqquadro la stanza in
scatti d’ira furibondi.
In preda a
questa stessa rabbia, il Serpeverde si girò verso di lui, e sbraitò, con voce
stridente:
« Che
crepi, quell’isterica psicotica! »
Trattenne a
fatica un sorriso svagato, soddisfatto: avrebbe proprio dovuto ringraziarla,
quella Weasley.
« Strano
che tu la chiami così. » Disse poi, con un tono estremamente insinuatore,
mentre Draco raccoglieva da terra altre cose appositamente per lanciarle in
giro. « Infondo non ha detto niente di strano. »
Il ragazzo
di fronte a lui alzò sistematicamente il capo nella sua direzione, con un
diavolo per capello.
« Non
rompere, Blaise! » Ringhiò armeggiando minacciosamente con un maglione che
volò sistematicamente dall’altra parte della stanza. In uno degli ultimi spazi
lasciati liberi da quello che aveva preso a far volare in giro non appena ci
avevano messo piede, dopo la sfuriata della Grifondoro. « Una Weasley è
psicotica per principio! » Gracchiò stridulamente, inviperito. « E poi hai
visto come diavolo si è alterata?! »
« Hai
mandato la sua migliore amica in infermeria. » Osservò con studiato
disinteresse. Mentre si chinava per raccogliere qualcosa per cui – non appena
ne lesse il titolo – il suo viso non poté che rilasciarsi nel sorriso poco
prima trattenuto.
« Io
non ho mandato nessuno in infermeria! » Grugnì bruscamente Draco,
alzandosi in piedi e fronteggiandolo con uno sguardo molto più convinto di
prima. Molto più serio.
Molto più
falso.
Non appena
incrociò i suoi occhi ne lesse distintamente quel senso di colpa che Ginny
Weasley aveva sperato di risvegliare. L’incertezza. L’errore… il bisogno di
negarlo, per non dover rimediare. Si
agitava tutto così chiaramente dentro quel ragazzo che oltre ad essere
divertente quella situazione era diventata addirittura interessante. Non che
non l’avesse messo in conto dall’inizio. Piuttosto, non avrebbe creduto neanche
lui che i tempi sarebbero stati così brevi.
Ma siccome
lo erano stati e Draco sembrava non riuscire a starci al passo, era
probabilmente opportuno dargli una piccola spinta.
Ancora una
volta.
« Sicuro? »
Domandò dunque, lanciandogli addosso il quaderno che aveva raccolto, con fare
volutamente casuale.
Draco prese
al volo quell’oggetto senza pensarci. Con le sopracciglia ancora
orgogliosamente inarcate. Che tracciavano una linea contorta sul viso pieno di
sentimenti contrastanti. Che lo rendevano agitato e irrequieto. Quando però ne
lesse sbrigativamente il contenuto… la sua espressione si spezzò. Nitidamente.
Lo vide
stringere forse con rabbia, forse con avvilimento, forse con frustrazione, ma
sicuramente con foga quel quaderno, e dirigersi verso la porta, per
oltrepassarla senza una parola.
« Dove
stai andando? » Domandò, sorridendo.
« Agli
allenamenti. » Grugnì Draco da dietro le spalle, prima di scomparire.
Una smorfia
di compiacimento si dipinse sul viso: ah, Draco Malfoy… che mente
straordinaria! Così abituata ad essere orrenda da non riuscire a convivere con
la prova che non lo era per niente.
« Blaise,
scusa. » Lo fermò per le scale Theodore. « Sai dov’è Draco? »
Si volse
verso il compagno di stanza. E il suo sorriso divenne ancora più ampio.
Molto più ampio…
« In
infermeria. »
*** *** ***
Giovedì 5 Dicembre.
Ore 16.53.
Hogwarts. Stanza di Draco.
Hermione
Granger era in infermeria? Hermione Granger stava male perché aveva deciso di
diventare l’eroina dei suoi amici deficienti? Hermione Granger pagava le
conseguenze della sua stupida e insulsa personalità? Hermione Granger sveniva
come una pera cotta davanti a tutti perché non sapeva reggere il passo con il
suo incessante e opprimente ego, che le imponeva uno stile di vita assurdo per
qualsiasi altro essere umano? O, in alternativa, non sveniva ma comunque
rischiava di svenire – il ché per il suo orgoglio doveva essere lo stesso?
Beh… tanto meglio!
Ecco,
questo era quello che avrebbe dovuto pensare in quella situazione!
Non: “è
anche a causa mia”. E ancora meno: “è anche a causa mia e questo non mi rende
felice”. Avrebbe dovuto essere fiero di sé, se mai il pensiero – comunque poco
probabile – che fosse stato merito
suo gli avesse attraversato il cervello. Avrebbe dovuto essere così contento da
non riuscire a far altro che vantarsi di quella che sarebbe stata etichettata
come una grandiosa opera di bene.
E invece nel
suo cervello quello che aveva fatto era stato etichettato in modo molto
diverso…
Raggiunse a
grandi passi le scale che conducevano al secondo piano del castello, e le sorpassò
a grandi falcate impazienti. E forse anche un po’ già spazientite. Con un
impeto che era solo vagamente arrabbiato. Ed era invece molto più ansioso. Molto
più, semplicemente, scosso. Scosso per la meta verso cui andava. Scosso per la
ragione che l’aveva spinto a cercare la meta. Scosso per la facilità con cui
tutto era cambiato da un istante, per lui. E per un istante, in lui.
E scosso per
non poterci fare assolutamente niente…
Quando varcò
l’entrata dell’infermeria, dunque, la sua espressione inquieta, imperlata di
sudore per la corsa, non poté non rilasciarsi un poco. Come non riuscì a non
infrangersi di nuovo quando la vide seduta sul letto, a guardare fuori dalla
finestra un tramonto che dorava la stanza d’un rosa luccicante, dipanandosi
sulla pelle pallida della mano di lei, afflosciatale in grembo con una
spossatezza innaturale.
La Grande Regina degli Instancabili e Ardimentosi Grinfondoro…
esausta.
Sentì lo
stomaco contrarsi sotto il peso soffocante di qualcosa che preferì non chiamare
con il suo nome.
Non ancora.
« Ti
atteggi tanto a donna dalle mille risorse ma alla fine crolli come una fallita… »
Esordì bruscamente, per attirare su di sé l’attenzione di Hermione, che non
doveva averlo udito entrare, siccome persisteva voltata verso la finestra.
Quando, al contrario,
la ragazza si girò verso di lui, Draco notò le guance un po’ più scarne
dell’ultima volta che le aveva viste. Anzi, dell’ultima volta che ci aveva
fatto caso. E il colorito del viso molto più sbiadito. Notò il segno delle ore
insonni. Dello studio. Del digiuno forzato senza senso. Notò quella figura
differente dal solito… esattamente come l’aveva vista anche un’altra volta.
Quando ancora non gli era importato.
Quella
volta da cui tutto era cominciato a cambiare…
Ed eppure
l’Hermione Granger che aveva davanti, nella sua figura differente dal solito,
possedeva comunque gli stessi occhi di sempre.Era
tutta diversa. Ma gli occhi no.
Gli occhi…
erano identici.
Limpidi…
senza una sola sbavatura.
Luminosi.
« ...
Draco? » Mormorò in quel momento lei, inarcando le sopracciglia, sorpresa.
« Ti
ho già detto di non chiamarmi col mio nome. » Cercò di sbottare
burberamente. Gli uscì invece un grugnito controllato, che si perse nella
stanza. Che non arrivò nitido a lei, ancora distante.
« Eh? »
Mormorò debolmente Hermione, portandosi una mano sulla fronte in un gesto lento
e stanco. « Cos’hai detto? »
Malata, lo
guardava con i suoi occhi senza paura, senza timore. Lo guardava aspettando.
Senza neanche essersi resa conto di aver distrutto un muro che sembrava essersi
rafforzato negli anni. Senza pensare di sbagliare nel chiamarlo col suo nome.
Senza neanche immaginare quanto potesse essere imprevedibile un simile gesto.
Semplicemente
ignara. O semplicemente incurante.
Semplicemente
lei. Spontanea oltre la misura consentita dalle regole. Oltre i limiti imposti dall’odio. Oltre il rancore e la
consapevolezza. Semplicemente libera di scegliere un nome piuttosto di un
cognome. Semplicemente emanando un calore che le persone non sempre conoscono. Semplicemente
con una mente che non accettava nessuna sbarra, nessuna costrizione…
Semplicemente
migliore di tanti altri.
« Niente… »
Semplicemente
migliore… di tutti.
« Ah,
allora… ehm… cosa c’è? » Farfugliò allora lei, fiocamente, con la voce di
solito potente, insistente, che si proponeva con più fragilità. Le si avvicinò
di un passo. Per accorciare la distanza… per poter accogliere le parole che lei
pronunciava. Per non perderle. Per non perderne neanche una. « Cioè… »
Ritrattò, perplessa Hermione. « … non hai gli allenamenti? Non
avevamo deciso che potevi andarci? »
La ignorò,
con fastidio. Gli faceva venire in mente Blaise, e quella squilibrata della
Weasley, che gli dicevano cosa doveva fare.
« Io
faccio quello che mi pare. » Grugnì quindi sprezzante.
Hermione
emise un sospiro esausto, e mormorò:
« Non
intendevo quello… »
E lui notò
ancora la stanchezza che la appesantiva. Che la pervadeva. Ma sovvenne, in
quell’istante, che per quanto fosse esausta… lei appariva sempre e comunque più
viva che mai.
« Tieni. »
Esclamò, lanciandogli il quaderno che aveva in mano con una delicatezza che
neanche lui pensava di poter avere.
Una delle
tante cose che lei voleva dargli… così, semplicemente…
« ...
oh, il mio quaderno? » Domandò lei, rigirandoselo tra le dita. Trattandolo
come un tesoro prezioso, con cura. Con le mani che lo cercavano con tanta
apprensione. Un altro tesoro che nella sua gentilezza… nella sua generosità,
lei sapeva condividere con tutti. Anche con lui. « Non hai capito
qualcosa? » Continuò, disponibile. « Vuoi che te lo rispieghi? »
« Non
è chiaro. » Fece spiccio, senza la gentilezza che però sentiva scaldarlo.
Senza quella pacatezza e soffice delicatezza che si sentiva dentro. Burbero per
natura. Sprezzante per orgoglio. Ma dentro rivoltato completamente… da una ragazzina.
« Non è per niente chiaro quello che hai scritto sulle pustole. » Continuò
laconico, lanciandole sguardi svogliati, pigri, che nascondevano tutta la pienezza,
tutta la gentilezza che quel viso facevano germogliare in lui. « Non si
capisce niente. »
Hermione lo
guardò senza rimprovero, senza angoscia. Lo guardò nel viso esausto, ma
sorridente, ancora una volta… per
lui.
« ...
allora, se vuoi, posso spiegartelo adesso. » Sussurrò poi gentilmente.
Le rivolse
uno sguardo insondabile…
Senza
alcuno sforzo, lei era entrata nel suo mondo e l’aveva sconvolto.
Con la
disponibilità con cui si metteva sempre in difetto nei confronti degli altri, senza
alcuno sforzo, aveva tentato di rendere migliore quel mondo. E l’aveva reso,
migliore. Senza alcuno sforzo, aveva reso scontate cose che lui neanche conosceva.
Senza alcuno sforzo, senza alcuna pretesa, dolcemente… si era fatta spazio per
aiutarlo. Per chiamarlo per nome.
Senza
alcuno sforzo, lei era restata se stessa per risplendere.
Disponibile.
Gentile. Generosa. Con un’aura di beatitudine tutto intorno a sé. Con
quell’espressione che diceva che non c’era niente di troppo brutto, in nessuno.
E perciò valeva la pena sorridere… a tutti.
E non
c’erano tranne da aggiungere.
Nemmeno per
lui.
Si girò
senza una parola, mettendosi a camminare verso l’uscita. Solo ad un passo da
essa se ne uscì sbrigativamente dicendo:
« No,
adesso non ho tempo: sono venuto per dirti che questa settimana sono occupato
per la partita e quindi non studieremo insieme. » Rallentò, invece di accelerare.
« E per riportarti quello. » Aggiunse, con un tono di voce molto più
basso. Molto più incerto. Molto più cauto. « Servirà a te, no? »
Il tesoro
prezioso che lei gli offriva, spontaneamente… lui… lui glielo restituiva.
« Draco... »
Lo chiamò una voce sottile, gentile, che lo costrinse quasi prepotentemente a
girarsi.
« Che
c’è? »
« ...
grazie. »
Ma gli
restituiva solo quello.
Non gli
restituiva tutto il resto. Non gli restituiva la gentilezza. Non gli restituiva
la cura. Non gli restituiva la preoccupazione. Non gli restituiva la voce, i
sorrisi, gli occhi, l’orgoglio, la fierezza… il calore.
Per poterli
vivere.
Solo per un
po’, non per tanto: solo finché sarebbe durato. Quando sarebbe finito non
avrebbe preteso niente. Perché non gli interessava poi così tanto. Ma se lei
voleva dargli quelle cose, lui poteva anche prendersele, no? Gliele offriva
così, senza farne pagare il prezzo. Poteva anche sfruttarle per un po’. Tanto
per quello che gli importava… per quello che valeva. Era solo per stare un po’
meglio.
Solo per
vivere un po’ di più quelle cose superflue che lo inondavano gentilmente.
Che lo
cullavano… teneramente.
Rimase
immobile sulla porta, senza girarsi verso di lei. E parlò da lì. Dandole le
spalle. Ma questa volta, a dispetto della distanza, lei sentì quello che lui le
disse. Perché lui fece in modo che lei lo sentisse. Perché lui voleva che lei lo sentisse.
« Prego… »
Disse, e non aggiunse nient’altro.
Non le
avrebbe mai detto grazie. Non le avrebbe mai chiesto scusa. A Hermione Granger.
Grifondoro e Mezzosangue. Petulante e cocciuta. Caparbia e sfrontata. A
Hermione Granger. Titano e bambina. Avrebbe detto prego, solamente.
Racchiudendo
nel sussurro che può svanire in un attimo l’inizio di qualcosa che, forse,
senza che lui lo sapesse… sarebbe durato per sempre.
Capitolo 8 *** Unicorni, scimpanzé e piovre giganti ***
Capitolo 8
Sapendo che
“le disgrazie non vengono mai da sole” niente scuse per i ritardi e niente
promesse per il futuro: i capitoli sono stati scritti di recente (e verranno scritti in futuro) quando è stato possibile (e sarà
possibile) scriverli. Molti di voi, oltre ad essere stati pazienti sino ad adesso sono stati anche molto gentili e io li ringrazio.
Per la comprensione e tutto il resto.
Per tutti
gli altri che magari si sono stufati di ricevere continue proroghe e giustificazioni
mi dispiace: li capisco, ma non so comunque cosa farci. Vorrei, sinceramente,
essere più costante, ma siccome non è
possibile… beh, questo è ciò che passa in convento (se conoscete il detto).
Spero anche
che capiate se ogni tanto salto il commento al commento. Anche per quello è
questione di forza maggiore.
Comunque ho
da sottolineare un paio di punti fondamentali.
Primo: ho leggiucchiato qualcosa del sesto libro di Harry Potter
e ho compreso una grande verità, ovvero che se qualcuno dovesse
leggere dal nulla la mia fanfiction – senza sapere
che, per esempio, ho iniziato a scriverla una volta finito di leggere il quinto
libro – credo che rimarrebbe leggermente perplesso da un po’ di cose. Per
esempio, dal fatto Harry non ha un gran bel ruolo in questa storia. Non è che
dal quinto libro emergesse proprio una figura così
distorta di quell’imbecille, eh. Diciamo che ci ho messo molto del mio: mi è
venuto in antipatia quando ha gioito del fatto che
Hermione venisse beccata da quell’idiota di un gufo all’inizio del quinto
libro. Da lì, basta. Odio vicendevole tra me e Harry Potter. Magari un giorno
riuscirò a fare una storia in cui non sia così snaturato. Per ora, e in
particolare in questa fanfiction, il mio Harry ha
l’immaturità e la rabbia repressa che aveva già dimostrato
nel quinto libro, più qualche mia personale e non molto lusinghiera
distorsione.
Secondo: verissimo, Hermione nel quarto libro sfoggia una capacità
di assembramento del proprio vestiario ammirevole. Da qui se ne deduce che
sebbene io abbia a cuore la caratterizzazione dei personaggi, qualche piccola
alterazione me la permetto. Pur che sia fine allo scopo, si intende. Mi serve
che Hermione non abbia senso estetico: anche se non è
proprio così, non importa. Spero di aver dato una mezza motivazione accettabile
alla cosa.
Terzo (ed ultimo): in questo capitolo e in generale
anche negli altri capitoli ci sono varie citazioni o comunque espressioni che
magari non tutti conoscono e delle quali se ne potrebbe quindi equivocare
l’autore. Sono parecchie, anche solo accennate e non sto’
a citarle tutte, però ci sono: seppiatelo. E per tutte quelle ribadisco i
diritti d’autore.
Bene, buona
lettura.
The
Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 8. Unicorni,
scimpanzé e piovre giganti
*** *** ***
I'll give
you countless amounts of outright acceptance if you want it
I will give you encouragement to choose the path that you want if you need it
You can speak of anger and doubts your fears and freak outs and I'll hold it
You can share your so-called shame filled accounts of times in your life and I
won't judge it
Ti darò spontaneamente immensa e
assoluta comprensione, se lo vuoi
Ti incoraggerò a scegliere il cammino che vuoi, se ne hai bisogno.
Puoi parlare di rabbia e dubbi, delle tue paure e delle tue crisi ed io lo
sopporterò
Puoi condividere i cosiddetti resoconti vergognosi dei momenti della tua vita
ed io non giudicherò.
[AlanisMourisette – You owe me
nothing in return]
*** *** ***
Sabato 7 Dicembre.
Ore 21.45
Hogwarts. Stanza delle necessità.
« Spiegamelo
di nuovo… » Biasciò con voce strascicata il ragazzo che le stava di
fronte, con la mano tremolante che gli sorreggeva febbrilmente la fronte. «
Spiegamelo, ti prego… »Sollevò gli occhi su di lei in uno
sguardo logorato. « Spiegami perchè adesso non sono nel mio letto, a
dormire, in vista della partita di domani, e invece sono qui. Con te. »
Trasse un profondo respiro: « A parlare di un compito che si terrà tra più di un mese! »
« 28
giorni. » Rettificò solenne Hermione Granger, per poi aggiungere, con
l’espressione più quieta che una persona possa avere:
« E sei qui perché l’altro ieri mi hai detto che non avevi capito alcune
cose. »
« No! »
Sbottò secco Draco Malfoy, drizzandosi sulla schiena e aizzandosi contro di
lei. « Ho detto che non si capiva niente di quello che tu avevi scritto
sul tuo assurdo quaderno! » L’additò minacciosamente, con la fronte
aggrottata al limite della sopportazione. « E’ molto diverso! »
« Il
mio quaderno non è assurdo. » Dettò lei con severa calma. Fulgido esempio
di imperturbabilità morale. « E comunque voglio solo essere sicura che tu
non resti indietro. »
« Ho
un mese di tempo per non restare indietro! » Le rimbeccò acido il ragazzo,
sbattendo una mano sul tavolo.
La zittì
con un’occhiata omicida quando lei fece per aprire la
bocca e rettificare nuovamente sull’esattezza matematica della sua
affermazione. Ma non riuscì a zittirla in alcun modo quando lei, senza
scomporsi, con quel tono estremamente dotto e placido che tanto spesso sapeva
avere, lo riprese compostamente:
« Non
rimandare a domani quello che puoi fare oggi. »
« Appunto. »
Stridé Draco, mettendosi le mani nei capelli. « Oggi potrei dormire. »
« Non
fare il bambino. » Lo riprese in tono serio e inflessibile. « Stiamo
parlando della tua formazione scolastica: è importante occuparsene con la
dovuta cura. E ora dimmi quale parte della spiegazione sugli ingredienti
della pozione non hai capito. »
« Nessuna! »
Gracchiò il ragazzo, al limite della sopportazione. « Ho capito tutto
degli ingredienti e ho capito tutto del procedimento! » Esasperato,
gemette istericamente: « Te l’ho appena
detto! »
Si bloccò
un secondo, sorpresa.
« Sei
già arrivato al procedimento? »
Lo vide
trarre un lungo, infinito, mortificato respiro.
« Certo… »
Emise. « Proprio per questo… » Ripeté, stridulo, con gli occhi
iniettati di sangue che la fissavano tetramente e delle enormi borse viola
sotto gli occhi. « … gradirei infinitamente
che tu mi lasciassi andare a DORMIRE!
»
Ma lei non
lo stava ascoltando.
Lo scrutava
invece con un disappunto meravigliato. Intenta a pensare dietro a quanti
capricci era nascosta la vera personalità di Draco Malfoy.
Ed era un ragionamento
che prescindeva in qualche modo dal fatto che la pozione che lui così
facilmente stava studiando era la più complessa di tutto il
programma dell’anno prima. Era, piuttosto, un ragionamento che
riguardava quel “prego” che le aveva detto due giorni prima, in infermeria. E
che ci fosse andato, in infermeria. E, anche, per esempio, che lui non
decidesse di andarsene e, semplicemente, se ne andasse… ma
aspettasse che lei glielo permettesse.
« Va
bene… puoi andare a dormire. » Mormorò.
Aggrottando
la fronte e assottigliando le palpebre, coscienziosamente circospetto, il
ragazzo domandò:
« Cosa? »
« Se
hai capito tutto mi sembra giusto che ti riposi. » Abbozzò un sorriso
tenue, ma che effondeva comunque calore. Un sorriso denso di una cura rara:
« So che si è sempre nervosi prima di una partita. »
Attese
qualche attimo, aspettando dunque che lui se ne andasse.
Eppure,
anche dopo aver ricevuto il suo benestare, il ragazzo non si mosse. E anche
quando lei riabbassò lo sguardo sul libro che stava leggendo, pensando di
dimostrargli in quella maniera che il suo era un consenso autentico, lui rimase
fermo. Restando a fissarla. Con la persistenza pressante di un ragazzino un po’
viziato, forse. Con l’insistenza assillante di un bambino, quasi. Che nel suo chiederle:
« E tu
che fai? »
… le parve
cercasse soltanto un pretesto per restare.
« Ehm…
io rimango ancora un po’ a studiare Trasfigurazione. » Rispose, esitante.
Il
Serpeverde cominciò a dondolare svogliatamente sulla sua sedia, e considerò,
con leggerezza:
« Puoi
studiare domani: è domenica. »
« Non
rimandare a dom- »
« Ho
capito! Ho capito! » La troncò immediatamente Draco, alzando gli occhi al
cielo.
« E
poi domani non posso studiare. » Aggiunse lei.
Draco la
guardò contrariato.
« E
perché? »
Sollevò gli
occhi su di lui, con un’espressione altrettanto contrariata.
« Non
c’è la partita, scusa? »
Il
Serpeverde rimase sospeso a mezz’aria, tra lo schienale della sedia su cui si
appoggiava alternativamente e da cui alternativamente si staccava.
« Verrai… a
vederla? » Chiese, guardandola in una maniera che lei non riuscì a
decifrare.
« Mi
sembra il minimo. » Pronunciò risoluta, assentendo con il capo con una
certa convinzione. « Abbiamo saltato un sacco di lezioni perché tu andassi
agli allenamenti in vista di questa partita: voglio vedere se ti sono serviti o
meno. »
Le pareva
un ragionamento logico.
Eppure, pur
nella sua inappellabile logicità, portò uno strano silenzio della stanza. Un
silenzio tranquillo. Pacato. Che Draco infranse per un attimo appena,
rilasciandosi andare di nuovo sullo schienale della sedia. E poi, solo qualche
istante dopo, nel fruscio quasi impercettibile che produsse nel volgere il capo
in direzione del libro che lei aveva davanti, e rimanervi con lo sguardo.
Dopo
qualche secondo in cui il ragazzo non accennava né ad andarsene, né a dire
qualcosa, lei si convinse a chiedergli, un tantino perplessa:
« Guarda
che se sei stanco puoi davvero andare… »
« Mi
hai fatto passare la stanchezza. » Grugnì Draco, un po’ scocciato, senza
neanche sollevare lo sguardo su di lei.
Che la stesse però accusando per l’ennesima volta di qualcosa che,
evidentemente, non aveva nulla a che fare con lei. Che si stesse deresponsabilizzando come suo solito. Che, ancora, non
facesse che cercare disperatamente di non dimostrarsi una persona matura e
responsabile. Non le fece nessun effetto. Non le sembrò brutto. Non le parve
fastidioso. Poteva anche darsi che dipendesse
dall’ormai quotidianità della cosa – giacché, invero, Draco l’aveva resa
quotidiana. O poteva anche darsi di no. Lei in realtà
non lo sapeva con certezza.
Ma,
infondo, neanche le importava.
« Allora
vuoi che studiamo Pozioni? » Domandò, però, di riflesso. Eternamente mossa
dalla sua regola numero uno: usare in modo saggio e coscienzioso ogni singolo
attimo della sua vita.
Il ragazzo
scosse il capo e poi mormorò, pigramente:
« No,
tu fai quello che vuoi. » Lanciò uno sguardo un tantino repulso al Manuale
per Maghi Autodidatti, e poi riprese, con fare annoiato: « Io mi leggo da
solo quella roba. »
« ...
puoi farlo anche nella tua sala comune, se vuoi. » Intervenne prontamente
lei. « Così se ti riviene la stanchezza puoi andare a dormire. »
« Ti
ho detto che non sono stanco. »
Ti ho detto che resto ancora un po’.
Ancora
ripetuto con la supponenza e l’arroganza che lo rendevano lui, Draco non sprecò
una parola in più per dissuaderla dal chiedergli perché non se ne andasse. E
lei lo lasciò restare. Non ebbe paura di mettersi il cuore in pace al riguardo.
Non ebbe paura di rivolgergli un piccolo disponibile sorriso, che lui in apparenza scacciò scorbuticamente, ma
che lei, comunque, non ritrattò.
Perché,
infondo, non le dispiaceva che lui restasse a farle un po’ di compagnia. Anzi… ne
era contenta. E anche se era sciocco pensare che Draco Malfoy potesse
desiderare una cosa del genere o lei potesse accettarla, che differenza faceva?
Stava
comunque accadendo…
« E’
così interessante la trasfigurazione animale? » Domandò ad un tratto Draco.
La sua
domanda, sebbene risultasse evidentemente retorica e le facesse
capire che il Serpeverde non intendeva usare saggiamente il proprio tempo,
studiando il Manuale, in lei accese un vivo e autentico entusiasmo:
« Oh
si! Tantissimo! E’ un argomento così interessante! Non crederesti mai
quanto possa essere ampio e vario! » Gli si
rivolse, speranzosa: « A te non piace? »
Draco,
senza farsi troppi problemi, in una mezza smorfia disgustata, replicò, aulico:
« No. »
Gli rivolse
uno sguardo deluso.
« Non
sarà ancora per la storia del furetto, vero? »
« Ovviamente
no, Granger. » La contraddisse altezzosamente il ragazzo, con le mani
piantate in tasca a fare le tende e il naso rivolto all’insù con insolita
insistenza.
« Beh…
però almeno… » Lo incalzò lei, recuperando a forza un po’ del perduto
trasporto: « … almeno ci sarà un animale in cui ti piacerebbe
essere trasfigurato. »
Era
ovviamente un’affermazione che presupponeva una domanda, che a sua volta
presupponeva una risposta. E c’era chi pensava che non ci sarebbe stata alcuna
domanda di Hermione Granger a cui Draco Malfoy avrebbe
risposto se non fosse stata prettamente necessaria. Al contrario, a quella
risposta così apparentemente inutile, lui non ci mise molto a rispondere:
« Beh,
direi… un serpente. »
Oh.
Prima
ancora di rendersene conto, di nuovo sgonfiata nel suo
entusiasmo, asserì sconsolata e depressa:
« Sei
sicuro? »
« Come
prego? » Grugnì scorbuticamente Draco. Lanciandole uno sguardo inviperito, per l’appunto.
« E
perché non… un falco? » Insistette lei, ripresasi di nuovo stoicamente
dallo sconforto e mettendosi a riflettere su cosa sarebbe potuto andare bene
per lui. « O una lince? » Soggiunse, interiormente esilarata all’idea
di acquattarsi tra la neve elaborando una tattica di assalto. « O un unicorno? »
Tentò infine.
Perchè,
infondo, gli unicorni erano molto belli e quindi probabilmente anche a Draco
sarebbero piaciuti, no?
Ovviamenteno.
« Un
unicorno? » Inveì infatti Draco, inarcando le
sopracciglia e ritraendosi all’indietro con schizzinoso disgusto. « Orrido! »
« Gli
unicorni non sono orridi! »
Sentenziò offesa, aggrottando la fronte e lanciandogli uno sguardo sdegnoso.
Gli unicorni erano aggraziati e bellissimi. Solo un gretto avrebbe potuto dire
che erano orridi! Ergo: Draco Malfoy
era un gretto.
Anzi, era Il Gretto.
« Vorresti
che ti trasformassero in un unicorno? » La apostrofò Il Gretto con un tono
mezzo sarcastico e mezzo nauseato.
« Beh,
non mi dispiacerebbe! » Cigolò altezzosamente lei, ritraendosi e
atteggiando le spalle in una posizione fieramente eretta. Solo qualche attimo
dopo, in uno slancio di orgoglio particolarmente forte, ebbe anche il glorioso
coraggio di aggiungere: « Anche se preferirei essere trasfigurata in una
piovra gigante. »
Vide Draco
impietrirsi in un’espressione di puro stupore.
« Una piovra gigante? »
Le domandò incredulo, una volta riacquistata la facoltà di parola.
« Certo. »
Esclamò con ferma convinzione e un certo tono altero. Che verté in una
significativa praticità. Tipicamente sua, tra l’altro. « Non ti sei mai
chiesto come sarebbe poter fare dieci cose alla volta? Se avessimo tanti
tentacoli potremmo farlo. »
Draco
rimase in silenzio per diversi secondi, squadrandola con uno sguardo
allucinato.
« Ma
non puoi desiderare di diventare animali più normali?!
» Sbottò infine, allibito.
Si ritrasse
aborrita, con gli occhi socchiusi e la bocca semi-aperta per lo sdegno. Ma
perché ogni giorno almeno una persona si metteva a dubitare della sua sanità
mentale o della sua normalità?!
« Se
la metti così mi piacerebbe essere trasformata in un mucchio di cose
normali! » Sbottò, dunque, offesa.
« Per
esempio? » La provocò Draco.
« Per
esempio uno scimpanzé! »
« Ah,
evviva la normalità! » Gridò il ragazzo incrociando le braccia sul petto,
con una smorfia turbata e stupefatta sulla faccia.
« Con
i delfini sono tra gli animali più intelligenti al mondo! » Gli rimbeccò
lei, rossa in viso.
« Sono
brutti e pulciosi. » Ribatté convinto Draco, sporgendosi sul tavolo verso
di lei.
« Non
è vero! » Lo zittì stizzosamente. Gli scimpanzé non erano brutti! E non
erano neanche pulciosi! Magari ogni tanto erano poco puliti! Ma in ogni caso
non avevano le pulci! E anche se per caso le avessero avute, comunque non
sarebbe stata una tragedia! Anche sua zia aveva avuto le pulci! E lei da piccola
aveva avuto i pidocchi! « E comunque se proprio vuoi la normalità, mi
piacerebbe anche essere trasformata in una… »
Ma non
concluse subito la sua frase. E ci fu prima una pausa quasi impercettibile. Un cambio di
tono netto. Un importantissimo, impalpabile, evidente punto di non ritorno… che
la sua voce raggiunse per un istante, prima di aggiungere…
« …
civetta. »
Una
civetta.
Una civetta
che porta messaggi. Che vola di notte. Che ha una vista acuta. Che è
intelligente. Che è importante per qualcuno. Che cerca una spalla su cui
posarsi. E ha una spalla che la aspetta.
… una civetta bianca.
« Una
civetta…? » La fece trasalire Draco, frastornato.
Lei non
disse nulla.
Rimase in
silenzio ancora per qualche istante. Rimase, per ancora qualche istante,
smarrita in quello stralcio di sogno e tormento che la tratteneva a sé con
salda insistenza. Incapace di dire qualsiasi cosa.
Ma quando
lui disse, schifato:
« Ma
è … stupida. »
Le parve
un’affermazione talmente assurda e inaccettabile che non poté non riscuotersi
dal suo smarrimento. E non infiammarsi per contraddirlo:
« Ma
non è vero! »
« Sì,
invece. » La rimbeccò aspro.
« E
invece no! » Ribatte convinta lei.
E andarono avanti
tutta la notte a discutere su cosa facesse schifo e cosa non lo facesse.
Ritornando ovviamente sulla questione degli unicorni più e più volte.
Un discorso
sfinente. Sostanzialmente da dementi. Che non ebbe vincitori e che sognò di
proseguire una volta addormentatasi nel suo letto. Solo le prime luci dell’alba
le portarono consiglio, ribadendole il concesso che qualsiasi cosa potesse
dire, pensare o fare Draco Malfoy, chi avrebbe avuto ragione al riguardo
sarebbe sempre stata in termini generali lei.
Purtuttavia
sarebbe andata a vedere la sua partita. Nonostante, cioè, lui fosse un cerebroleso con il tonno – al naturale – al posto dei
neuroni. E quando si accorse di essere in ritardo e Ginny le domandò:
« Hermione,
dove vai? »
Le rispose
solo con uno sbrigativissimo:
« Alla
partita! »
Fortunatamente
quando arrivò scoprì con enorme conforto di essere puntuale.
Le tribune infatti si erano già riempite di gente, ma i giocatori non
erano ancora entrati in campo. Un paio di ragazze di Corvonero
che conosceva la chiamarono non appena la videro e lei decise di sedersi vicino
a loro. Dall’altra parte degli spalti, i Serpeverde erano schierati con le sciarpe verdi e argento strette attorno al collo. Mentre
sopra di lei il cielo si prospettava gelido, ma
sereno. Si scoprì sollevata del fatto che Draco non dovesse sopportare una
partita in condizioni disagevoli e non potesse ammalarsi.
Ne andava
delle loro lezioni private!
Dopo circa
dieci minuti, quando ormai Capricorno si spostava nel decimo meridiano e agli
antipodi di Gerusalemme il cielo imbruniva, i giocatori fecero il loro ingresso
in campo. Apparvero a tutti dei goffi fagotti di vestiti. Le divise, infatti,
per quanto imbottite, non erano sufficientemente
pesanti per tamponare il freddo di dicembre. E sotto di esse
si scorgevano le maglie e i maglioni in cui i ragazzi e le ragazze si erano
infilati per non congelare. Draco, che fu l’ultimo ad entrare in campo, era
forse l’unico giocatore che aveva vagamente la forma di un essere umano. Ed era
inconfondibile a causa dello sguardo sprezzante che gli attribuiva l’abituale
aria di supponenza con cui si poneva di fronte al mondo.
Ad un
tratto, vide il ragazzo cercare qualcuno tra le tribune. Ebbe inoltre ragione
di credere che questo qualcuno fosse – stranamente – proprio tra le tribune di Corvonero. E tra l’altro in una zona non molto distante da
quella in cui si trovava lei. Questo, dato che lo sguardo del Serpeverde le
parve posarsi nella sua direzione. Perciò, mentre Madama Bumb
fece sollevare in volo i giocatori, lei rivolse curiosi sguardi intorno a sé,
tentando di indovinare chi Draco avesse cercato.
Ma ben
presto si udì un fischio spacca-timpani dettare
l’inizio della partita. E il gioco, già da primi attimi attivissimo, trascinò
su di sé l’attenzione di chiunque fosse in prossimità del campo.
« Bluffa
ai Serpeverde! » Gridò lo speaker, vedendo
David Duglass e PuceyDavis sfrecciare verso i cerchi di Corvonero
passandosi la palla in un 1-2 impeccabile. « Duglass-Davis! Davis-Duglass!
Duglass-Davis! Wow, ragazzi, che sciogli-lingua! E
che gran passaggi! »
Al di là
del commento grammaticale, anche lei ritenne che come tattica di gioco non
fosse male. Specie l’ultimo passaggio, con tanto di capriola e rapida virata da
parte di Pucey, con cui quello si portò a pochi metri
dalla porta. Ma un bolide volò nella sua direzione. Il capitano della squadra
di Serpeverde sterzò allora di lato, acconsentendo un
po’ di distanza tra sé e il suo obbiettivo pur di non venir colpito. Cercò
anche Duglass o un altro dei suoi compagni sulla
destra, ma erano tutti marcati stretti. Decise allora di provare a segnare da
quella distanza. E dato che infondo non c’era più che
un portiere a dividere Pucey dalla porta. Così, i
primi dieci punti della partita furono suoi. Con un lancio preciso ed
estremamente corretto che mandò in visibilio la tifoseria Serpeverde e zittì i
già silenziosi Corvonero.
Lo speaker,
da parte sua, era esilarato:
« Strepitoso, ragazzi! 10 a 0 per Serpeverde! Si prospetta una grandiosa partita! »
Lei, per
conto proprio, non era una grande estimatrice del Quidditch.
Poteva obbiettivamente dire che i Serpeverde erano stati bravi, certo. Come lo
furono segnando il 20 a
0, cinque minuti dopo, con la stessa tattica. Del resto non era lì per tifare
per nessuno: era lì in veste di esploratrice. E tra l’altro in modo specifico
del solo Draco, che svolazzava con una certa malavoglia sopra le teste degli
altri e che era la pressoché perfetta personificazione del tedio. Cosa evidente
anche dalla sua lontana visuale. E che fu tanto celere a costernarla che
neanche a volerlo il suo viso si contrasse autonomamente in una smorfia di
acuta disapprovazione. Del resto la partita era ripresa piuttosto rapidamente e
richiese di nuovo tutta la sua attenzione.
La palla
era dei Corvonero, nelle mani di MorganSamson, ma non ci rimase per molto:
« Samson tira a McNeil, maDuglass devia la bluffa!
Bluffa in mano ai Serpeverde! » Gridò lo speaker con foga. «E di nuovo Duglass
e Davisricompiono la loro
magia!»
Beh, insomma, magari magico no.
Notevole,
però, senz’altro.
Duglass-Davis.Davis-Duglass.Duglass-Davis.Tre passaggi e dieci punti in più
sul cartellone. Di nuovo ovazioni strepitanti dalla
folla disposta proprio di fronte, e silenzio intorno a lei. Un silenzio
piuttosto avvilente: di solito nelle partite contro Serpeverde ci si poteva
indignare per la loro mancanza di correttezza. In quella erano stati al massimo meravigliosi. E tutt’altro
che scorretti. PuceyDavis
in primis. Era un elemento eccellente, sia come capitano
e coordinatore dell’azione, sia come giocatore, e Hermione gli riservò uno
sguardo piena di stima.
Ma
Serpeverde era Serpeverde. E quelli di Corvonero che
speravano non si smentisse – per non dover restare solo in silenzio
ma poterlo almeno insultare – non rimasero affatto delusi.
Quando Samson finse di passare la bluffa a KatyAnderson, e la passò invece ad AlanCrowe, considerato il miglior cacciatore dell’anno
precedente, questi sparò un tiro favoloso da metà campo, centrando esattamente
nel mezzo l’anello laterale di sinistra. Malva Istburg,
controfigura irrobustita di MillicentBulstrode, non ebbe neanche il tempo di muovere un muscolo.
Ma 30 a 10 era ancora
sopportabile per l’orgoglio smisurato della squadra di Serpeverde.
Però Alan, in acrobazie strabilianti, e
sostenuto dall’appoggio di due battitori molto presenti nel gioco – e
facilitato dal fatto che gli altri due battitori presenti in campo, invece,
avevano lo stesso atteggiamento annoiato di Draco – pareggiò i conti in una
decina di minuti.
Lo speaker
continuava ad esultare:
« Spettacolare!
S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E! Che partita! Che gioco! »
E i
Serpeverde cominciavano a seccarsi.
Notò che Pucey li riuniva a spiegava loro
un paio di manovre. Ma notò anche che David Duglass e
Susan Morrigan si scambiavano un’occhiata d’intesa
con Draco.
Non
comprese subito cosa ciò potesse voler dire.
Quando però
Duglass tirò ad Alan una
gomitata così forte da disarcionarlo, quasi, dalla scopa, e Draco gli rivolse
uno sguardo compiaciuto, lei finalmente comprese ogni cosa: era iniziata la
fase del “giochiamo a chi fa il fallo migliore”. La sua disapprovazione nei
confronti di Draco non era mai stata così profonda. Le sue vicine non se ne
accorsero per la semplice ragione che avevano già dato per scontato la cosa.
Comunque, la sua disapprovazione crebbe ancora di più quando
non solo Alan venne di nuovo fatto oggetto di un bel
calcio su uno stinco – sempre celato a Madama Bumb –
ma anche quando Katy venne fatta letteralmente cadere
dalla scopa, appena prima di ricevere la bluffa che avrebbe con ogni
probabilità dettato il 40 a
30.
« Ehi!
Malva Istburg ha scaraventato a terra la Anderson! » Si indignò lo speaker. « E’
fallo! »
Ma Madama Bumb non aveva visto il fallo e non poté fischiarlo.
Fischiò, invece, gli altri tre goal vincenti – e assolutamente fallosi – da
parte di Duglass.
Con
assoluta mortificazione PuceyDavis
guardava incredulo e impotente lo sfacelo della sua indecorosa squadra. Mentre
lei, allibita e furente, cominciava a pensare che Draco avrebbe potuto
scordarsi di dormire per almeno una settimana. Quel pezzo di fetente non
avrebbe avuto un solo attimo di tregua!
I Corvonero, da parte loro, cominciavano decisamente a
scaldarsi.
« Non
è possibile! E’ indecente! » Gridavano in molti.
« Madama
Bumb faccia qualcosa! »
Sentì strillare impetuosamente da una ragazza seduta approssimativamente a due
posti da lei.
« E’
Fallo! FALLO! » Berciò un vocione potente da qualche panca più indietro.
E così via
discorrendo.
Tutto ciò,
comunque, senza considerare che il bello
doveva ancora venire…
« Un momento, ragazzi! » Gridò lo speaker
infervorato. « Malfoy
e Duke si sono mossi! E’ apparso il boccino! »
Rivolse
immediatamente lo sguardo a Draco. Sfrecciava dietro a JohnatanDuke, che lo distanziava di una decina di metri e già
si protendeva verso uno scintillio dorato che però
continuava a sfuggirgli.
Si sentì
col cuore in gola quandoDuke
guadagnò abbastanza terreno sul boccino da permettersi di allungare il braccio
e sfiorarlo. Ma tutta la tensione e l’ansia che l’avevano vista tendersi
spontaneamente a favore di Draco si tramutarono di nuovo in indignazione
quando lo vide ammiccare verso Susan, che era a pochi metri di distanza
da entrambi, e che sferrò un tiro potentissimo contro un bolide che andò a
colpire in pieno lo stomaco di Johnatan.
« Ma
non è possibile! » Gemette in un grido strozzato MandyBrocklehurts, accanto a lei. « L’ha fatto
apposta! »
Lo Speaker
era d’accordo con lei:
« Eh no!
Questo è proprio scorretto! Non è così che si gioca! »
Ma Draco
sembrava fregarsene in assoluto di quello che sentiva, e anzi scocciarsi del
fatto che, sebbene avesse disarcionato Duke, non
avesse potuto prendere il boccino. Giacché questi era di nuovo sparito. E le
parve anche di vederlo rivolgersi un attimo nella sua direzione, probabilmente
cercando ancora quella fantomatica persona su cui suppose stesse cercando di
fare colpo. Ritenne che fu un peccato che in quella
stupida ricerca gli occhi di Draco non incontrarono i suoi: la folgore divina
che vi si annidava all’interno era assai più letale dello sguardo di qualsiasi
Basilisco.
La partita venne interrotta e Duke
rimpiazzato. Misero in campo PercyDurran. Un ragazzino del quarto anno, che non appena
incrociò la sola ombra di Malfoy sbiancò visibilmente. A questo punto fu molto
chiaro chi avrebbe vinto la partita. In ogni caso Pucey
fece altri 30 bei punti, portando la squadra a quota 70. Duglass
comunque volle arrivare a quota 90, e ci riuscì dando di
nuovo prova della sua scorrettezza. E di quanto questa gli uscisse piuttosto
bene e naturale.
« Duglass scarta Anderson, Samson e Crowe! Anzi no! » Rettificò sconvolto lo
speaker. « Colpisce Crowe! L’ha
colpito! Madama Bumb! DANNAZIONE, L’HAI COLPITO IN
PIENA FACCIA CON UN PUGNO! »
Questa
volta il livido immenso sulla guancia di AlanCrowe fu la testimonianza sufficiente per ammonire David Duglass, che ricevette i complimenti di Draco – ovviamente
– e prima della fine della partita riuscì a fare altri due falli piuttosto
pesanti, per cui non venne penalizzato.
Lei, da
parte sua, ardeva di rabbia: quello non era giocare. Quello era barare! Il suo
senso di giustizia era profondamente disgustato per ciò a cui
stava assistendo. E non era completamente da escludersi che al quel punto la
famosa folgore avrebbe potuto eroicamente colpire chi di dovere. Del resto, il
boccino ricomparve e, folgore o non folgore, l’attenzione di tutti fu sua.
Anche
questa volta, comunque, la piccola e velocissima sfera dorata era più vicina al
cercatore di Corvonero, che partì immediatamente
all’inseguimento.
Egualmente
immediato, Draco gli fu dietro.
Questa
volta però tutti i battitori e i cacciatori erano impegnati o lontani. Draco
dovette quindi sbrigarsela da solo. E, lo ammise, se la sbrigò splendidamente.
Ad un tratto un bolide si scaraventò su di lui e le venne quasi un colpo
pensando che si sarebbero schiantati l’uno con l’altro. Ma non accadde: Draco,
che avrebbe potuto frenare ma perdere terreno prezioso, e avrebbe potuto abbassarsi ma rischiare comunque di venir colpito, fece
invece una manovra spettacolare. Aggirò la Torre di Grifondoro presso cui
stava volando scartando all’ultimo lato l’ostinato bolide, e dribblò le
intelaiature lignee che si anteponevano al campo irrompendovi ad una velocità
strabiliante.
Quando si
rimise in linea con Durran, gli era a meno di un
metro di distanza.
Sì!
« No,
non è caduto! » Esclamò delusa Mandy. « E’
dire che ci mancava così poco! »
Hermione le
rivolse uno sguardo leggermente infastidito.
« Gli
sarebbe stato proprio bene! » Infierì infervorata l’altra sua vicina.
« Due settimane in infermeria con le ossa rotte non possono che fare bene
a quel pallone gonfiato! »
Ehi.
Si
trattenne dall’esprimere il suo disappunto verbalmente, e si limitò a pensare a quando fossero fuori luogo quelle battute. Del resto la
sua mente era quasi completamente assorbita dai movimenti di Draco, che fluido
ed estremamente rapido, si portò persino dinnanzi a Percy.
Questi, disorientato, dovette fermarsi in una brusca frenata alla prima
sbandata causata dalla loro vicinanza. Ma lei non scorse niente di falloso
nell’atteggiamento del Serpeverde.
Piuttosto,
vi lesse una qualche certa apprezzabile presenza di spirito e decisamente
ammirevole sangue freddo.
Del resto,
il boccino sembrò letteralmente scomparire qualche decina di metri più avanti.
« Ehi!
Dov’è finito il boccino? »
Esclamò lo speaker, tenendosi la testa tra le mani, in ansia e totalmente preso
dal gioco.
A questo
punto le sue vicine si sarebbero di certo messe a esultare per lo smarrimento
che aveva appena colto Draco se solo non avessero dovuto
partecipare alle ovazioni che si sollevarono da tutta la tifoseria di Corvonero quando Percy intravide
un riverbero dorato proprio dietro a Draco, e sfrecciò nell’aria per
raggiungerlo. Il cercatore di Serpeverde però non riusciva proprio a vederlo,
giacché questo gli stava accortamente dietro, in una posizione leggermente
spostata a destra. Le grida di tutti i tifosi, inoltre, sembravano confonderlo.
Fu allora
un riflesso incondizionato.
Si alzò
dalle tribune.
Si sporse
dalle transenne.
Trasse un
lunghissimo respiro e…
« A
destra! » Gridò, con tutta la voce che aveva in corpo: « DRACO, E’ A
DESTRA! »
Non seppe
come le uscì. Non seppe neanche come la guardarono le due vicine di Corvonero quando
la videro alzarsi e urlare ciò che aveva urlato. E non seppe se Draco si girò
proprio verso destra perché aveva capito cosa gli aveva detto.
Però si
girò. Vide il boccino. E lo afferrò.
E la
partita finì.
« Ragazzi,
Malfoy prende il boccino! »
Gridò lo speaker in modo sfrenato. « Malfoy prende il boccino e
Serpeverde vince per 240 a
30! »
Tutte le
tribune scoppiarono. Ognuno per la propria ragione. E la squadra di Draco
Malfoy si affrettò dal suo cercatore per portarlo in trionfo. Quello, però,
prima di farsi trascinare via, ritornò a cercare la persona che si era messo a
cercare prima e durante la partita.
E Hermione
Granger, pur nella sua immensa intelligenza, non riuscì ancora a capire di
essere proprio lei.
*** *** ***
Domenica 8 Dicembre.
Ore 11.56
Hogwarts. Campo di Quidditch.
Avevano
stravinto.
Il senso
più che palpabile del trionfo era decisamente impagabile. E il fatto che tutti
i Serpeverde fossero propensi ad abbracciarlo e ringraziarlo per la sua impresa
eroica fu alla base dell’impennata vertiginosa che subì la sua già
eccessivamente ampia autostima. Obbiettivamente, riteneva di meritarselo. Non
c’era neanche l’ombra di una vaga modestia. Era semplicemente un cercatore
grandioso, ed era contento che tutti se ne rendessero conto. O che tutti
insistessero perché lui ci fosse alla festa della vittoria, quella sera. E,
considerato il suo ego, sarebbe rimasto volentieri a crogiolarsi in quelle
ovazioni più che volentieri.
Almeno, se
solo non gli fosse premuto di più qualcos’altro.
Riguardo a ciò,
sebbene fosse strano – sempre considerato il suo ego – quello che gli premeva
di più era sostanzialmente ricevere i complimenti da una sola persona.
Se ne uscì
dagli spogliatoi ancora vestito e straimbottito e si diresse con finto
disinteresse – neanche troppo studiato, a dire il vero – verso il fazzoletto di
giardino che circondava l’ingresso per gli spalti destinati alla tifoseria di Corvonero. Naturalmente neanche il suo stato di assoluto e
inattaccabile appagamento seppe spingerlo ad abbassarsi ad andare direttamente
dalla persona che in realtà non aveva smesso un secondo di cercare. La sua
intenzione era piuttosto quella di trovarsi lì per caso. E per caso
incontrarla.
Contro ogni
aspettativa, Hermione Granger era esattamente nel luogo dove lui aveva
progettato di aspettarla.
Evitò di
creare un altro brillantissimo piano per camuffare le sue intenzioni. Troppo
complesso. Troppo dispendioso di energie e tempo. Troppo in generale. Per quel che gli riguardava lei era già molto
fortunata del fatto che potesse allietarsi della compagnia di un campione della
sua risma.
Non capita tutti i giorni, obiettivamente.
Gonfiò con
estrema soddisfazione il petto. Si riempì di sé al punto che gli parve quasi di
risplendere.
Si appressò
poi a lei con tutta la non-chalance possibile. E
tutta la sicurezza di cui disponeva. Poiché certo che la situazione non si
sarebbe rivolta come al tempo del suo primo compito di Pozioni. Prima di tutto
perché non voleva schiaffarle in faccia la sua vittoria per umiliarla: voleva
semplicemente che lei evidenziasse la sua grandezza. In secondo luogo perché
Hermione quella volta non avrebbe potuto che riconoscere l’evidenza
assolutamente inopinabile della sua sublimità.
Disse
dunque:
« Abbiamo
vinto. »
Con un
sorriso compiaciuto stampato in faccia. E una voce chiara e netta, piena di
orgoglio. E la Grifondoro,
che non si era ancora accorta della sua presenza, finalmente si girò verso di
lui. Draco Malfoy ebbe quindi l’onore di assistere all’imitazione più riuscita
della Minerva McGranitt più orrendamente indignata
che si fosse mai vista.
Promotrice:
Hermione Jane Granger.
Che per
quell’anno si guadagno l’Oscar grazie all’unica, incisiva e quanto mai gloriosa
battuta con cui lo contraddisse:
« Avete
barato! »
Per un
attimo interdetto, aggrottò la fronte confuso. Pensò,
poi, che lei non avesse ben capito ciò che aveva detto. Dunque, dando prova di
insolita pazienza, scadendo una ad una le proprie
parole, le fece nuovamente presente:
« Ma
abbiamo vinto. »
« Ma
avete barato! » Gli rimbeccò irritata
lei, picchiettando un piede per terra e rinsaldando la presa delle mani sui
fianchi su cui erano appoggiate.
Le lanciò
uno sguardo astioso, e dichiarò, ostile:
« Il
fine ha giustificato i mezzi. »
« Il
fine non giustifica mai i
mezzi! » Protestò alterata Hermione.
Con le
guance pallide che si tingevano di un tenue rosino,
per la rabbia, le gridò addosso alzando la voce:
« Se
la pensi così avresti anche potuto evitare di dirmi
dov’era il boccino! »
Hermione
restò a fissarlo con le sopracciglia inarcate e uno sguardo di assoluta
disapprovazione.
« Quella
è un’altra faccenda. » Disse, spicciola. « Il punto è che non
dovevate barare. » Ribadì severamente. « Avreste vinto comunque: i
tuoi compagni sono comunque bravissimi giocatori e tu eri comunque il migliore
in campo! »
A questo
seguirono una serie di insulti così finemente intrecciati in altrettanti – e
sinceri - complimenti che anche se lui si fosse soffermato ad ascoltarli di
almeno la metà non ne avrebbe compreso il senso.
In ogni
modo, lui non si soffermò ad ascoltarli. Infatti, mentre Hermione continuava a
imprecare contro di lui, additandolo come un criminale. E mentre i capelli
elettrostatici di lei si gonfiavano sempre di più, minacciosamente. La sua
fronte si distese. E i suoi nervi si rilassarono.
Di fronte a
lei, sempre pronta a dire quello che lui voleva sentire. Ma non perché lui voleva sentirle. E neanche
nel modo in cui avrebbe voluto che gliele comunicasse. Facendo tutti i suoi
ragionamenti da Grifondoro, prima. Facendo prima tutte le sue dichiarazioni da
grande idealista. Ma poi parlando tanto sinceramente e con tanta convinzione da
fargli pensare che non ci fosse niente di più importante al mondo che restare
ad ascoltarla.
Si
dimenticò allora che era quasi maturato in lui un reale desiderio di ucciderla.
Si ricordò, invece, perché aveva desiderato andare da lei. Perché, rispetto a
tutti, aveva preferito sentire ciò che lei aveva da dire.
Perché,
rispetto a tutti… aveva preferito lei.
E
automaticamente gli venne in mente anche un’altra cosa…
« …
senti… » Disse, spostando gli occhi da un’altra parte e interrompendo
l’ancora inarrestabile fluire di insulti che fuoriuscivano dalle labbra della
Grifondoro. « ... questa sera faremo un festa. »
Hermione
gli scoccò un’occhiata basita e – senza neancheprendere fiato – imprecò, al culmine
della disperazione:
« E’
contro il regolamento! » Si tirò come una corda di violino, guardandolo
con angoscia: « Non dovreste fare queste cose! »
« Si,
certo. » Tagliò corto lui, ignorando completamente quella che con ogni
diritto si poteva chiamare “crisi di panico”. Ovviamente, quella ragazza aveva
seri problemi psichici. Necessitava di cure mediche e se ne era assuefatta al
punto che quando non ne prendeva scattava la crisi. Con conseguente incapacità
di percezione del senso del limite e della decenza. « Comunque c’è questa
festa… »
« E’
contro il reg- » Provò di nuovo a obbiettare
Hermione, scabrosamente zelante.
Ma lui non
la lasciò finire:
« Dovresti
farti trovare davanti all’ingresso della torre sud per le undici. »
L’espressione
che lei fece a questo punto fu molto buffa.
Perché
c’era il sostrato di disperazione che le segnava gli occhi. La sfumatura di
indignazione per l’ingiustizia a cui diceva di aver
assistito marcata sulle labbra. E poi quel buffissimo barlume di sbigottimento
e sconcerto che si era appena delineato nelle sopracciglia. Era un’espressione
indefinibile, che trovava la sua apoteosi nel dito ancora sollevato a puntato
contro di lui che restava sospeso in una rigida immobilità.
« Infondo
se non mi avessi detto dov’era il boccino non l’avrei
trovato. » Si spiegò con finto disinteresse. « Intendo, non così
facilmente. » Si corresse immediatamente dopo, pensando che la sua prima
dichiarazione gli togliesse un po’ troppi meriti.
« B-beh… » Balbettò assolutamente perplessa la Grifondoro, le cui
guance sembravano molto più rosse del solito. « Ma che c’entra?! »
« Significa
che non ci vuoi venire? » La interruppe seccamente. « Se non ci vuoi
venire non girarci attorno e dillo chiaramente. »
Non è che
gli importasse poi molto che lei ci andasse,
intendiamoci. Non è che il suo era proprio un invito. Più che altro, ci teneva
che lei avesse più tempo per pensare alla partita e ricredersi sul fatto che
lui fosse un cercatore meraviglioso che aveva giocato meravigliosamente.
Presa in
contropiede, arrancando all’indietro per la sorpresa, Hermione disse la prima
cosa che le venne in mente:
« C-ci saranno solo Serpeverde… »
« Ci
vuoi venire o no? » Tagliò corto lui. Impaziente di sentire la sua
risposta. Ma non disposto a dubitare di ciò che avrebbe sentito da lei. Perchè
Hermione avrebbe fatto esattamente la cosa che nessuno si aspettava da lei come
Grifondoro. E avrebbe detto quello che, infatti, alla fine disse:
« …
sì, vengo. »
Con un po’
di imbarazzo e contrarietà. Con un po’ di stupore. Con un po’ di tenerezza.
Senza smettere di guardarlo negli occhi con disappunto.
E lui,
prima di andarsene, le rivolse uno sguardo molto più
soddisfatto di quando aveva vinto la partita. Simile, a dire il vero, a quello
che gli si era dipinto sul viso quando l’aveva sentita
gridare che il boccino era a destra.
*** *** ***
Domenica 8 Dicembre.
Ore 22.34
Hogwarts. Stanza di Hermione.
Gonna nera,
camicia blu e scarpe rosse?
Si guardò
allo specchio. Con una mano teneva la gonna. Con l’altra, la camicia. Mentre
con un piede tratteneva tra il pollice e l’indice una delle scarpette rosse
laccate che si era trovata nel guardaroba.
Ovviamente
– nell’insieme come nelle singole parti – l’abbinamento risultò sconcertante.
Gettò via
gli abiti e ne agguantò a caso degli altri. Ma i risultati non furono migliori.
Ci furono poi un secondo e un terzo tentativo, nella speranza di un miracolo.
Al quarto tentativo, ogni speranza si fece da parte. Supponeva che il suo
problema nel vestirsi era che non aveva – e non
avrebbe mai avuto – tattica. Del resto, si rifiutava di fare come Lavanda e Calì, che disponevano a strati magliette, camicie, gonne,
pantaloni, scarpe e scarponcini (più le addizionali borsette e cappellini) per
poi abbinarli uno per uno davanti
allo specchio. Cioè, era obbiettivamente inumano, no?
No, questo completo è inumano.
Gettò via
anche i pantaloni marroni e il maglione fucsia che aveva agguantato. E lasciò cadere
sul pavimento lo scarponcino beige e le calze bordeaux che era riuscita
inspiegabilmente a sollevare insieme a tutto il resto. Depressa, rimase a
fissare lo specchio per diversi minuti. In quel lasso di tempo, udì qualcuno
che bussava alla porta.
« Hermione,
sono Ginny. Posso entrare? » Disse la voce dell’amica. Stranamente
energica e impetuosa.
Entrare?
Si guardò
un attimo in giro, allarmata. Ma non c’era via di scampo al disordine che
regnava incontrastato nella stanza. E la bacchetta era introvabilein tempo utile. Dunque, rassegnata a
far entrare la sua migliore amica in quella trincea, mormorò dimessamente:
« Si,
certo… »
Vide Ginny
irrompere nella stanza con meno reticenza del solito, avanzando a testa bassa
di qualche passo e sbattendo dietro di sé la porta della camera. Con un
cipiglio notevole, iniziò anche quello che sembrava un discorso piuttosto
gravoso:
« Hermione,
scusa ma devo p- » Dovette del resto istantaneamente interrompersi. Si
accorse infatti del disordine abominevole che le
attorniava. A bocca aperta, Ginny fece gravitare gli occhi per la stanza, per
poi sbottare sconcertata: « Che cos’è successo qui? »
Imbarazzata,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli cespugliosi – in cui le dita
rimasero puntualmente ingarbugliate – rispose:
« Mi
stavo vestendo. »
« Per
andare dove?! » Domandò la rossa, sbigottita.
« Ehm…
ecco… » Esitò, mentre cercava disperatamente di togliersi le dita dai capelli.
Con uno strappo secco riuscì nel suo epico intento. Ma insieme alle dita
estirpò dalla cute anche una matassa enorme e informe di grinzosi capelli. Il
dolore folle che le triturò i nervi si espresse in un grugnito animalesco a
stento trattenuto in gola, che rilasciò con sé anche la risposta all’ostica
domanda della rossa: « … alla festa organizzata per la vittoria di
Serpeverde. »
Ginny
Weasley perse colore. Raggiunse il verdolino pallido del maglioncino
che indossava. In compenso lo riprese rapidamente poco dopo. E con gli
interessi, anche.
« Che
cosa?! » Stridé infatti bordeaux, con voce strozzata.
« Lo
so! » La interruppe, mettendo le mani avanti a sé. « Lo so! »
Ripeté, scuotendo il capo in segno di resa. « Non c’è bisogno che tu me lo
dica… » Si rilasciò in un sospiro mortificato: «
… so che è contro le regole di Hogwarts fare festini. »
Capiva
perfettamente l’indignazione di Ginny. E si sentiva veramente una persona
tremenda per sovvertire alle regole di Hogwarts per ragione così futili. La sua
coscienza l’aveva ripetutamente diffidata dal cedere a
un così basso capriccio. E se solo non fosse stata contraria alla violenza (se
non per ragioni di improrogabile autoconservazione –
in cui rientrava anche la possibilità di ammortizzare all’eventualità PansyParkinson e chi per lei
potesse minacciare l’intera comunità con la sua sola presenza) una parte di séavrebbe volentieri
cercato di autoflagellarsi per espiare a una siggrande colpa.
La rossa
però riteneva che lei non avesse esattamente centrato il punto della questione.
« Ma
che dici?! » Inveì infatti Ginny, in uno scroscio
di acuti assolutamente scandalizzato. « Non è quello il punto! Noi ne
abbiamo sempre fatti! »
Ritrasse un
attimo il capo. Ricomponendosi e lanciandole uno
sguardo un tantino rigido.
« Ah
si? »
« Hermione. »
La ignorò l’amica, zittendola con un deciso e leggermente nervoso gesto della
mano. « Non puoi andarci. E non è una questione di regole. »
Notò in
quel momento la convinzione e la disapprovazione latente che emanava il suo
sguardo. E ne rimase confusa. Aggrottando la fronte, le domandò, contrariata:
« Ginny
che c’è? »
« C’è
che tu non sei una Serpeverde! » La riprese bruscamente la rossa. Con un
impeto istintivo e ormai alterato. Ma ancora estremamente lucido. « Sei
una Grifondoro! »
« Ginny,
senti… » Tentò di dire, per calmarla.
Ma la rossa
la interruppe immediatamente…
« No,
senti tu. » Proruppe, secca. « E’ ora di finirla. »
« Finire
cosa? » Le domandò di rimando, perplessa.
« Non
usare quel tono, Hermione! » La riprese impetuosamente. Mentre un fervore
cocente le infiammava le guance, e gli occhi. Non dolci. Né timidi. Vividi,
però. E soprattutto densi di un rancore cocente ormai lasciato libero di
sfogarsi. « Veramente, adesso basta! »
Tacque,
dimessamente, non capendo. E Ginny la incalzò con un tono ostile, gesticolando
ampiamente con le mani:
« Il fatto
che ti metti a dare lezioni a Malfoy lo si può anche
capire, perché tu ti metti a fare la buona samaritana con tutti. Però poi
arrivi anche a chiamarlo per nome. » Si inasprì. « Per nome, Hermione. Vai a vedere le sue partite, ci ridi e ci scherzi e
ti metti pure ad andare alle sue feste! » Le lanciò uno sguardo fiammeggiante.
« E’ ora di finirla con questa scemenza! »
« Non
è una scemenza, Ginny. » Si oppose fermamente, aggrottando la fronte
risentita. « E né lui né io stiamo facendo niente di male. » Chiamare
per nome una persona era una cosa così incivile se quella era Draco Malfoy?
Cercare di stargli dietro dopo essersene presi la responsabilità era una cosa
così indegna? Andare alle sue partite e accettare un invito, se proposto, era
così terribile?
Ma quello
che disse dovette sembrare talmente inconcepibile che
la rossa esplose, furibonda:
« Ma
come puoi parlare così?! Ha passato sei anni a cercare
di renderti la vita un inferno! Non ricordi più quanto hai pianto per tutto
quello che ti diceva?! »
Quanto ho pianto…
Pianto…
Quella
parola… le smosse il cuore.
« Ho
pianto molto di più per Harry e Ron che non per Draco. » Mormorò, in un
soffio spezzato. Con la voce trattenuta in gola. Con il petto aperto in due e
la testa spaccata in mille. Con gli occhi contratti. E con la consapevolezza
pulsante che il tempo passato con Harry e Ron era molto più pesante di quello
passato con Draco. Perché Draco non aveva contato niente, fino a quel momento.
Mentre
Harry e Ron avevano contato tutto.
La rossa le
rivolse uno sguardo smarrito. In bilico tra l’affranto e il frastornato. Lei le
rivolse solo una sfuggente, densa occhiata stanca, e poi prese un maglione a
caso tra la massa di vestiti e uscì dalla stanza.
Un giorno
loro due avrebbero parlato.
Del fatto
che probabilmente non c’è niente di completamente sbagliato al mondo. Come
forse non esiste niente di completamente giusto. Del fatto che non è detto che
le cose cambino, ma comunque alle volte può succedere. Del fatto che qualcosa
non lo si può che perdere, ma qualcosa magari resta. E
avrebbero potuto anche dirsi cosa era stato perso e cosa invece era rimasto.
Un giorno,
forse, avrebbero davvero parlato di tutto questo. E avrebbero scoperto,
senz’altro, che tra tutte le cose rimaste c’era anche la loro amicizia. Allora
avrebbe potuto confessarle che quella sera lei non se n’era
andata perché si era sentita offesa o avvilita da ciò che lei aveva
detto.
Ma solo
perché, infondo… c’era una festa che l’aspettava.
Perché lei
e Draco si erano detestati per sei anni. Ma lui le aveva chiesto di
parteciparvi, e lei si era sentita talmente contenta che aveva accettato. Dopo
mesi di depressione, tristezza, avvilimento… si era sentita talmente contenta
che era stata pronta a credere che niente
fosse più importante di trovare un vestito decente per
andare a quella festa.
Vide Kevin Whitby, un giovane Tassorosso,
sbucare da due corridoi più avanti e sgusciare silenziosamente nella sala di
fronte. Molto acutamente, comprese che doveva essere
alla ricerca della festa di Serpeverde, considerando che si trovavano nei
pressi del luogo che le aveva indicato Draco quel pomeriggio. Con furtiva
grazia, dunque, pedinò il ragazzino sino al punto esatto in cui si stava
svolgendo la festa.
Lo vide
bussare ad una porticina dimessa e, da dietro essa,
comparire William Warrington. Questi si guardò
intorno con fare circospetto prima di fare entrare il ragazzino, ma non guardò
molto bene. Infatti, per esempio, non si accorse di lei, che dovette farsi
coraggio e farsi avanti da sé. Saltellò di qualche metro in avanti e si schiarì
la gola di fronte al Serpeverde, che stava per richiudere la porta dietro di
sé. Quando questi si volse e la vide, le parve chiaro che ci rimase di stucco.
Deglutì per
istinto e gli rivolse una specie di smorfia, mentre si portava nervosamente una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il pensiero che Ginny non avesse avuto tutti i torti a cercare di dissuaderla dal
presentarsi di fronte ai suoi acerrimi nemici le pervenne lentamente ma con
assoluta precisione. E si dipanò con sempre maggior intensità nella sua mente
quando dietro a William, ancora attonito per averla vista e fisso con una mano
sulla porta, comparve PansyParkinson.
Quando
questa la notò, il presentimento della catastrofe era vicino.
E quando la Serpeverde, leggermente
allarmata, le domandò:
« E tu
cosa ci fai qui, Granger? »
E lei
rispose, esitante:
« Ehm… sono
venuta per la festa. »
Il
presentimento della catastrofe smise di essere solo un presentimento.
Perché, in
effetti, avrebbe anche potuto trovarsi lì per caso. E decidere di denunciare la
festa al preside, per esempio. Come ci si sarebbe dovuti e potuti aspettare dal
prefetto più zelante e puntiglioso che Hogwarts avesse
mai avuto. Probabilmente era infatti questo che Pansy aveva pensato vedendola in quel luogo e si era
giustamente messa in allarme. Tranquillizzandola invece sulla ragione della sua
venuta, lei aveva semplicemente firmato la sua condanna a morte.
Del resto,
Ron glielo diceva sempre che aveva manie suicide.
« Tu? » Stridé in una
risa starnazzante e divertita Pansy.
« Tu, alla nostra festa? »
Scosse il capo, con uno scintillio negli occhi che le fece credere che
probabilmente quella ragazza non era mai stata più felice di
vederla. « E chi ti avrebbe invitato? »
Deglutì una
seconda volta. Ormai consapevole di essere in territorio nemico, ebbe la brutta
idea di risponderle con sincerità:
« Ehm…
Draco… »
Ah, la
sincerità!
Che cosa orrenda.
La reazione
di Pansy e di quelli che le si
erano appressati e avevano cominciato a ridere di lei fu quella di
arrivare alle lacrime. E suppose che non fosse perché li aveva commossi.
Ne fu certa quandoPansy riprese ad
esplicarle quanto fosse assolutamente piacevole umiliarla pubblicamente.
« Draco?! Adesso ti metti pure a chiamarlo per nome? Non ti
sarai presa una cosa, eh, Granger?! E a chi vuoi darla
a bere? » Squittì con tutta malizia e la crudeltà di cui era capace.
Vipera dalla lingua biforcuta. « Draco non ti avrebbe mai invitata! »
Ma PansyParkinson, contro ogni
aspettativa, si sbagliava.
« E’
vero… » Comparve Draco dalle sue spalle, dopo essersi fatto largo tra la folla.
« … gliel’ho detto io… »
E qui
Hermione non comprese fino a che punto si sarebbe protratta la catastrofe.
Non notò,
infatti, l’espressione di Pansy congelarsi
improvvisamente in una maniera molto differente dal solito. Affilarsi su Draco,
che rimase impassibile. E poi spostarsi su di lei. Straripando di un’ira gelida
che le indurì ancora di più le iridi acquose degli occhi. E le strinse la
pupilla nera. Ma Hermione, che era sensibile e intelligente, ma era anche una
persona semplice, il sentimento così contorto che in quella pupilla si celava
non seppe neanche minimamente coglierlo. Non perché la gelosia in generale sia
contorta. Ma piuttosto perché quella di PansyParkinson lo era.
E in
seguito qualcuno ne avrebbe pagato le conseguenze.
Mentre la
folla creatasi intorno a Pansy, Draco e lei si erano
zittita al cambiamento di atteggiamento della Serpeverde, questa fece un deciso
passo in avanti, avvicinandosi a Draco.
« Beh… »
Esordì velenosa e tagliente contro di questi. « Lei
qui non ci può stare… »
A dispetto
di quanto realmente potesse significare quella dichiarazione, vide Draco non
scomparsi minimamente di fronte a Pansy. Non scagliò
nessun dardo in sua difesa. Né con un gesto, né con uno sguardo. Non rispose a
quella vipera, zittendola. Non le disse niente. Lo vide solo stringersi con
noncuranza nelle spalle. Non fu neanche certa che le rivolse
quella sfuggevole occhiata insondabile che le parve di cogliere. Fu certa solo
di vederlo rientrare alla festa senza voltarsi.
Sentì un
colpo sordo in qualche parte nascosta del petto. A sinistra. E forse un po’ di
delusione non riuscì a non trapelare nell’espressione del suo viso.
Ma lei
rimase zitta.
Rimase
zitta a pensare ai Serpeverde che l’avevano attorniata e la deridevano. A
William Warrington che le lanciava uno sguardo
commiserante. A Ginny e a quello che aveva detto. A Pansy
che aveva sulla faccia il ghigno più soddisfatto e nello stesso tempo più
gelido che le avesse mai rivolto in sei anni e tre
mesi di conoscenza. E al fatto che, in effetti, lei lì non c’entrava niente.
Non è che
non lo sapesse. Non è che per lei fosse
importante. Non è che se la prese con Draco perché se ne stava andando.
E’ che si
sentì sciocca perché in effetti aveva voluto andare
alla festa pensando che non sarebbe stato brutto passare tutta la sera a
parlare del fatto che lui era un gretto siccome non gli piacevano gli Unicorni…
Nel suo
sguardo assente, fisso su dove prima aveva visto Draco, e quindi fisso nel
nulla, Pansy vi lesse forse una mortificazione tale
che le venne naturale rincarare, squittendo:
« Nessuno
vuole che tu stia qui. » Lo sguardo aspro le schioccò contro tutta la sua soddisfazione.
« Vattene nella tua topaia, Mezzosangue. » Aggiunse serafica e
malevola, mentre richiudeva alle sue spalle la porta della stanza. « Qui
posto per te non ce n’è. »
*** *** ***
Domenica 8 Dicembre.
Ore 23.03
Hogwarts. Sala destinata alla festa di vittoria di Serpeverde.
Theodore
gli si avvicinò amichevolmente. Notò però con accortezza che nell’espressione
del Serpeverde, aperta verso di lui, pulsava rifulgente l’altruistica
apprensione più disinteressata e intensa che avesse mai mosso a pietà quel ragazzo.
Trasse
dunque internamente un profondissimo sbuffo.
« Ehi,
ciao. » Lo salutò il Serpeverde con un cenno della mano e una voce
apparentemente casuale.
La verità
era che non c’era nulla di meno casuale degli interventi di Theodore.
« Ciao. »
Gli rispose, atono, calpestando per l’ennesima volta la sciarpa lillà caduta ad
una ragazzina di Corvonero.
« Ti
stai annoiando? » Gli chiese cautamente il ragazzo che gli si era appena
avvicinato.
Si mise le
mani in tasca, e ribatté, caustico:
« Sì. »
Theodore
rimase per qualche secondo in silenzio, grattandosi la nuca
mentre lui si sentiva sprofondare in un vortice di tedio abissale.
Primo
valido motivo: era immerso nel casino immondo di una festa idiota. Secondo
valido motivo: era ubicato in un angolo sperduto di una sala esponenzialmente
grande in cui tutti i suoni sembravano amplificati del 20%. Terzo valido
motivo: era posizionato dinnanzi ad un tavolo maleodorante completamente
rivoltato da una bolgia di morti di fame. Quarto, ultimo ed infinitamente
valido motivo: era situato al fianco di un ragazzo che nel giro di dieci
secondi avrebbe detto qualcosa di profondamente stupido.
Fedele ad
ogni aspettativa, Theodore al nono secondo di silenzio introdusse le ragioni
della sua caritatevole venuta.
« Senti…
» Cominciò con serietà. « … tu lo sapevi che non l’avrebbero
fatta entrare. L’hai invitata per umiliarla? »
Si girò
verso di lui e replicò, impassibile:
« No. »
E forse
Theodore a questo si sarebbe aspettato di sentire perché allora l’aveva invitata. Ma lui non lo disse. Perché non
c’era una ragione per cui l’aveva invitata. Nessuna ragione improrogabile,
almeno. Non aveva fatto progetti, gli era venuto in mente, e gliel’aveva
chiesto.
Per
esempio, forse, non sarebbe stato male passare la serata a convincerla di
quanto fossero orrendamente avvilenti gli unicorni. O a quanto fosse
orrendamente avvilente il suo modo di vestire. La divisa della scuola, abbinata
ad un paio di scarpe rosso laccato e una maglia di lana viola marcio. E c’era
da notare che quella ragazza era l’unico essere umano su cui il viola poteva
sembrare davvero marcio. I capelli erano poi un castigo divino. Non è che l’avesse guardata bene, eh. Ma quei pochi secondi sinceramente
gli erano bastati.
Ecco…
avrebbe potuto passare la serata a discutere con lei su tutto quello che c’era
di sbagliato nel mondo che per lei era puntualmente giusto.
E non
sarebbe stato male…
No… anzi…
Sarebbe stata una bella serata…
« Se
anche fosse entrata, Draco… » Lo ammonì ingenuamente Theodore, con un tono
straordinariamente indulgente. « … probabilmente non si sarebbe molto
divertita. »
Rimase in
silenzio per qualche secondo.
« Lei… »
Gli rispose con un tono sufficiente, ma vagamente meno aspro. « … si sa
divertire con poco. »
Una persona
che si esaltava per la
Trasfigurazione animale era una persona che si divertiva con
poco, no?
« Allora
forse avresti dovuto insistere con Pansy per farla
restare. » Si sentì suggerire da Theodore.
« Io
non avrei dovuto fare proprio niente. » Lo zittì secco, scoccandogli un’occhiata
corrosiva.
« D’accordo,
come non detto… » Si zittì Theodore, immediatamente.
Lui cosa
avrebbe dovuto fare? Per lei? Se
quella sottospecie di strega non voleva più dargli retta solo
perché lui giustamente non aveva
avuto voglia di prendersi la briga di aiutarla, non gli premeva. Hermione era
una presenza superflua nella sua vita. Forse divertente. Forse gentile. Forse
buona. Forse, addirittura, migliori di tanti. Forse, persino, migliore di
tutti. Va bene, e allora? Aveva e avrebbe preso tutto quello che lei
gratuitamente gli dava, proprio perché era gratuito. Nell’istante in cui
sarebbe costato qualcosa già non avrebbe più voluto niente: si sarebbe tenuto
ciò che aveva ottenuto e basta. Tanti auguri e figli maschi. E, per inciso,
rientrava nel “costo” qualsiasi cosa che non avesse
voglia di fare o che magari avrebbe anche voluto fare, ma richiedeva uno sforzo
fisico e mentale pari o maggiore al grattarsi la testa svogliatamente – che è
ben diverso dal grattarsela attentamente perché si usa molta meno energia.
Ecco, per
riassumere, non avrebbe mai fatto nulla
per lei.
« Ad
ogni modo hai ragione: è un po’ noiosa questa festa. » Sentì dire ad un
certo punto da Theodore, che intanto aveva preso in mano qualcosa che Draco
scoprì essere una bandierina tutta verde scuro, con ricami d’argento.
« Anche se queste bandierine sono carine, non trovi? »
Draco restò
a fissare distrattamente una bandierina identica abbandonata al centro del
tavolo che aveva di fronte.
No, non
avrebbe fatto nulla per lei…
*** *** ***
Domenica 8 Dicembre.
Ore 23.27
Hogwarts. Stanza di Hermione.
Voleva fare
qualcosa per lei.
Per questo
le stava sistemando la camera. Perché voleva fare qualcosa per lei. Perché
voleva scusarsi per come aveva alzato la voce. Per come l’aveva assalita. Non
si sarebbe mai perdonato per la maniera in cui si era permessa di dirle che
stava sbagliando tutto.
Scosse il
capo, portandosi una mano sulla faccia.
Sono un’idiota…
D’accordo
che l’aveva fatto per lei, ma probabilmente non ci sarebbe stato modo di
dirglielo peggiore. Senza contare che tra tutto il resto l’aveva fatta passare
per quella colpevole, quando, in realtà, di colpe, Hermione proprio non ne
aveva. Certo che però andare ad una festa di Serpeverde! Scosse nuovamente il
capo per scacciare quel pensiero dalla testa e si rimise a piegare e infilare
nell’armadio dell’amica i vestiti prima sparsi per la camera
e a quel punto relativamente raggruppati e ordinati. Il punto era che
era preoccupata per lei. Era preoccupata perché Hermione Granger e Draco Malfoy
erano una combinazione inaccettabile. Perché lei era un gioiello. Un gioiello
raro, come pochi se ne trovano in giro. Davvero. Mentre lui era tutto ciò che
si potesse pensare di un pezzo di carbone.
Non
dovevano stare insieme, punto. In nessun modo possibile.
Perché le
voleva bene, e invece non ne voleva a lui. Perché voleva che lei fosse
contenta, ma non gliene fregava niente se quel cretino sguazzava nella più
tetra disperazione. E anche perché si sentiva ancora tremendamente in colpa per
aver lasciato che la sua migliore amica soffrisse come un cane perché suo
fratello era un debole, e perché Harry era un egoista.
Hermione
era un gioiello.
E,
sinceramente, era stanca di vederla con persone che non se la meritavano.
Sentì un
rumore provenire dalla porta della stanza e rimase sorpresa di vedervi entrare
niente meno che l’oggetto dei suoi pensieri, che rimase sulla soglia, anch’essa
probabilmente sorpresa di vederla lì.
« Ma
cosa…? » Esordì perplessa Hermione, lanciandole una breve occhiata e poi
scostando lo sguardo ovunque per la stanza. Stupita, probabilmente, di vederla
in ordine.
« Ehi,
è successo qualcosa? » La incalzò invece lei allarmata, non dimenticando
dove l’amica avrebbe dovuto essere in teoria in quel momento e soprattutto
scorgendo nel fondo della sua espressione una profonda delusione.
« Beh… »
Rispose Hermione, in un mezzo sorriso stentato. « … a dire il vero non mi
hanno fatta entrare. »
“Te l’avevo
detto” non le passò neanche per la testa.
Di tutte le
cose che avrebbero potuto venirgli in mente, quella
proprio non le passò neanche per la testa. Non di fronte ad una persona che
considerava straordinariamente speciale e che era stata mortificata, ancora una
volta, dalla grettezza di un cretino. Avvicinandosi a lei e mettendole una mano
sul braccio le rivolse uno sguardo profondamente dispiaciuto ed esclamò
d’impulso, con trasporto:
« Adesso
vado io a parlarci con quegli idioti! »
E nel frattempo tiro un paio di sberle a quel
demente.
Hermione la
fermò immediatamente.
« No,
non è niente Ginny. Lui non ha fatto proprio niente. » Trasse un lungo
respiro. « Per favore, lascia stare… »
Vedendola
oltre che depressa anche piuttosto stanca, evitò di insistere sull’argomento.
Le chiese, invece, apprensiva:
« Vuoi
che resti ancora un po’? »
Hermione
scosse ancora il capo, rivolgendole uno sguardo di sincera gratitudine.
« Direi
che hai già fatto abbastanza. Va’ pure a dormire. »
Esitò un
attimo sul viso sciupato dell’amica. Pallido non nel colore, ma
nell’espressione. Sempre meno convinta, cercò di farsi promettere:
« Però
tu riposa, va bene? »
Hermione
annuì, rivolgendole un piccolo sorriso tirato in segno di conferma. Lei allora,
dopo essersi trattenuta ancora qualche attimo a guardarla, impensierita, si
girò e si diresse verso la porta. Non è che quella mezza smorfia fosse una garanzia. Tutt’altro,
sapeva che il giorno dopo l’avrebbe trovata con due
borse enormi sotto gli occhi e un colorito talmente smunto da fare invidia a
Gaza. Del resto non poteva neanche farle bere un sonnifero o una pozione che le
sgombrasse la mente da qualsiasi pensiero.
Principalmente perché non si fidava assolutamente di quello che sarebbe potuto essere l’esito finale, giacché non era
proprio pozioni il suo forte. E in secondo luogo perché il problema era
alquanto immediato e una pozione non era preparatile in tempo utile.
Pensando a
qualche insperabile soluzione, aprì distrattamente la porta e per poco non
calpestò il fogliettino ripiegato che vi era stato
lasciato davanti…
« Hermione? »
La chiamò mentre si chinava per raccoglierlo,
incuriosita. « C’è qualcosa qui per terra… »
La bruna la
raggiunse e lei aprì il foglietto.
La festa fa
schifo: ti autorizzo a denunciarla a Silente
purché tu non faccia il mio nome. Draco
E ripiegata
nel bigliettino c’era una buffa bandierina verde scuro ricamata d’argento.
Giratasi
istintivamente verso l’amica per chiederle cosa fosse,
non riuscì invece a spiccicar parola. Sorpresa e in qualche
modo perplessa, rimase in silenzio a osservare il sorriso autentico e
meraviglioso che si era aperto sul suo viso… ridandogli in un attimo tutto il
suo colore e la sua luce.
Ginny
Weasley successivamente si sarebbe interiormente preoccupata per gli sbalzi
d’umore che Hermione Granger avrebbe potuto subire frequentando un ragazzo così
problematico come Draco Malfoy. Processo che già temeva inarrestabile,
comunque. In quel momento, però, ritenne solamente che un sorriso del genere
non lo vedeva sul viso della sua migliore amica da più
di quattro mesi.
*** *** ***
E questo è
quanto. Piaciuto?
P.s.
Non so se ci sono errori… ho fatto qualche modifica appena prima di postarlo,
perciò è altamente possibile (per non dire probabile).
Magari lo rileggerò in questi giorni e correggerò quello che va corretto. Nel
frattempo, passateci sopra se potete. Grazie.
Capitolo 9 *** Tra il prima e il poi [Parte Prima] ***
Il nono capitolo mi veniva qualcosa come 26 pagine, e va bene che tutti
siete contenti perché faccio dei capitoli belli lunghi, ma era davvero troppo
lungo… infondo si sarebbero anche persi i punti focali
Il nono
capitolo mi veniva qualcosa come 26 pagine, e va bene che tutti siete contenti
perché faccio dei capitoli belli lunghi, ma era davvero troppo lungo… infondo
si sarebbero anche persi i punti focali. Perciò qui ci sono le prime 12 pagine
e nel prossimo capitolo le altre 13. Spero vada bene.
Riguardo la scarsissima frequenza dell’aggiornamento, lo so che è
seccante vedere che un’autrice ci mette mesi, e mesi, e mesi a mettere on-line
un misero capitolo di 12 misere pagine. Lo so che uno si annoia. Lo so, anche
perché mi annoio anche io. Poi ci sono stati problemi con il sito e col fatto
che ultimamente sono anche particolarmente svogliata per un po’ l’ho usata come
scusa per prendermi il mio tempo.
Beh, se lo
volete sapere non me lo sono neanche preso… Va beh, spero che a chi leggerà
questo capitolo, la storia continui comunque a piacere.
Nota
tecnica: ho apportato alcune modifiche ai dati di D&H
Opera. Tanto per cominciare la fanfiction non sarà
per gli “ultra-diciassettenni” fino al momento in cui i capitoli non
diventeranno un po’ più crudi – e credo sarà molto più
avanti. Inoltre ho ridotto il numero dei personaggi e dei generi… credo che la
storia ne comprenda parecchi, ma rispetto a ciò di cui
tratta ho sottolineato i tre aspetti principali (nella mia ottica) e ho
lasciato un generico “un po’ tutti” per i personaggi che non siano i due
protagonisti. Non mi viene in mente altro di saliente, ma può darsi che in giro
ci sia qualche cambiamento.
Nota
affettiva: io apprezzo veramente i commenti lasciati da tutti i recensori,
anche se non posso più rispondere ad ognuno nello specifico, né a tutti, in
modo generico, in una maniera più che dignitosa. Vi prego di capire i miei disagio rispetto al tempo, all’umore e a certi altri
fattori personali.
Un bacio, e
– spero – buona lettura.
The
Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 9. Tra il prima e il poi [Parte Prima]
*** *** ***
E se non volessi fare
alcuna mossa
Se mi piacesse così
Voglio restare così, per un po'... per sempre
Lasciami solo sdraiare vicino a te
Non voglio lasciarti andare, non voglio lasciarti andare
What if I
don't wanna move on
If I like it as it is Wanna keep it like this, for a while...forever
Just let me lie close to you
Don't wanna let you go, don't wanna
let you go
[Lene Marlin – What If]
*** ***
***
Lunedì 9 Dicembre.Ore 16.37
Hogwarts. Stanza delle necessità.
La festa
per la gloriosa vittoria di Serpeverde era stata un colossale disastro.
A
prescindere dalla presenza di alcune delle menti più logorroiche mai esistite,
il catastrofico fallimento era dovuto al fatto che vi
avevano preso parte anche diversi Tassorosso. Per
inciso, se fossero stati presenti unicamente in quanto oggetto di scherno,
inumani insulti e brutali gomitate nel costato, non sarebbe sussistito alcun
problema. Giacché quello era lo scopo a cui il cielo
li aveva destinati. Viceversa, quelle sottospecie di embrioni mononeurali avevano partecipato alla festa in quanto invitaticon pieno diritto di ergersi
orgogliosamente in piedi tra la folla e ridere come ebeti senza essere presi a bastonate. Il punto era che da quando Eloise Midgen (Serpeverde onoraria) e JustinFlinch-Fletchley (infimo Tassorosso) avevano ufficializzato la loro inspiegabile
attrazione segreta, molti piccoli idioti dei primi anni di entrambe le case
avevano avuto l’assurda idea di prendere la loro unione a modello.
Era dunque iniziato il Grande Esodo di Tassorosso
tra le fila, le panche e le feste di Serpeverde. E accoppiamenti quali Kevin
Whitby e Susan-AnnePecks
erano ormai diventati all’ordine del giorno.
Resisteva,
strenua, solo un’ultima santa
alleanza anti-tassorosso. E lui, in quanto membro ad honorem, si era convinto da ormai diverse settimane che
era arrivato il momento di porre fine a quella catastrofica e impunemente
traviante situazione. Avrebbe ridato orgoglio ai Serpeverde. Li avrebbe
depurati del morbo dell’indulgenza e della comprensione! Li avrebbe rimessi in
riga, estirpando quella gioventù indecente di acciughe-umane maleodoranti (cioè
i Tassorosso)! Avrebbe sollevato l’ascia di guerra
per tingerla di sangue!
A morte i Tassorosso e il
loro costato!
Questi
erano i sanguinari pensieri che attraversavano una parte del suo cervello.
L’altra
parte era invece concentrata su ben altre faccende.
E, come era
usuale da qualche tempo a quella parte, quelle faccende ruotavano
vorticosamente attorno ad una sola persona…
Svoltò nel
corridoio a lato e cominciò a salire le scale che l’avrebbero condotto alla
stanza delle necessità. L’espressione vagamente impensierita. Le dita
nervosamente attive. E il passo insolitamente indeciso. Quasi pesante. Come se
avesse un blocco di cemento al posto di ognuno dei piedi. Tant’è
che ci mise ben cinque minuti a fare gli ultimi gradini della scalinata.
Inoltre, una volta giunto di fronte alla porta ci
volle altrettanto tempo per decidere se aprirla o meno. La sua mente esercitava infatti una strana influenza contrastante sul suo braccio
destro: da una parte lo spronava a sollevarsi sulla maniglia, dall’altra lo
minacciava di non farlo. Quando finalmente venne
unanimemente deciso di aprire la porta, i due schieramenti neuronali
che popolavano la sua mente si scontrarono su un dubbio iperbolico: entrare o
non entrare?
In realtà,
sebbene tutta la faccenda apparisse – e fosse,
sostanzialmente – estremamente demenziale, Draco Malfoy vigeva in uno stato di
reale ansia.
Tuttavia,
quando l’insofferenza di restare immobile di fronte ad una porta divenne
insopportabile e lui vi sbirciò quanto meno dentro… il principe di Serpeverde
si ritrovò improvvisamente tranquillo nel vedere Hermione Granger china in
mezzo ad una muraglia infinita di libri e, come al
solito, persino troppo concentrata per accorgersi subito di lui.
C’è…
Non è che pensasse di aver fatto qualcosa di male per cui lei avrebbe
potuto non esserci, eh! Assolutamente no! Obbiettivamente parlando, lui era del
tutto innocente!
Però, magari, nell’immaginario contorto dei
Grifondoro era una cosa orrenda lasciare che una persona se la sbrigasse da sola contro la peggiore delle arpie di Hogwarts
dopo avere invitato la suddetta persona alla festa organizzata dalla suddetta
arpia. Perciò, siccome quella ragazza malauguratamente era una Grifondoro,
allora magari se l’era presa a male…
Riflettendo
su questo, aveva pensato che lei potesse esserne rimasta offesa al punto da non
presentarsi neanchepiù
alle loro lezioni private.
Del resto,
a mente fredda, si rendeva altresì ben conto che avrebbe dovuto scartare a
priori quell’ipotesi.
Dedita al
lavoro. Incline naturalmente a farsi carico di ogni incombenza – e più era
pesante meglio era! E soprattutto consacrata
al senso di responsabilità. Quella ragazza era una virtuosa paladina in
crociata contro l’ozio e non si sarebbe mai sottratta a qualsiasi cosa
considerasse un dovere.
Perciò,
anche a costo di morire dalla rabbia, si sarebbe presentata in quella stanza.
Però forse non vorrà più parlarmi…
Scosse il
capo, aggrottando la fronte.
Perché non
avrebbe dovuto? Non l’avevano fatta entrare alla festa, ma non era dipeso da
lui. Era stato deciso da Pansy. Lui non c’entrava
niente. Senza contare che la festa aveva fatto decisamente schifo. Alla fine ci
aveva unicamente guadagnato. Anzi, avrebbe dovuto prendersela lui perché lei
gli aveva permesso di rimanere! Era lui che doveva ritenersi offeso dal suo
comportamento disinteressato!
Aggrottando
le sopracciglia, forte di questa nuova, ineccepibile convinzione, fece un
deciso passo in avanti, spalancando la porta con fermezza e richiudendola
dietro di sé con altrettanta fermezza.
Tuttavia,
nell’istante immenso che Hermione usò
per sollevare il capo su di lui – al suono della porta che si richiudeva – la
sua inespugnabile convinzione decise magicamente di svanire, lasciandolo solo
con il suo stomaco e lo strato di cemento che lo aveva rapidamente rivestito.
In
compenso, quando lei sollevò il viso su di lui, sia stomaco che cemento fecero
la stessa fine della sua convinzione…
Stranamente,
da quel giorno, quello fu l’effetto che i sorrisi di Hermione Granger ebbero su
di lui.
« Ciao. »
Lo accolse calorosamente la ragazza, con un gran sorriso, appunto, stampato
sulla faccia. « Grazie per la bandierina. »
La bandierina…
Per un
attimo completamente perplesso, le rivolse uno sguardo tra l’incredulo e
l’allucinato.
Specificando,
quest’effetto invece era regolare: potenzialmente, ogni cosa detta da Hermione
Granger sapeva essere sconvolgente. E nel tempo la sua reazione sarebbe sempre
stata un attimo (o più) di assoluto smarrimento.
« Non
era un regalo. » Le rimbeccò comunque in un riflesso incondizionato, ancor
prima di aspettare che lo stordimento svanisse e decisamente prima di
riavvertire la percezione dello stomaco. Innanzitutto preoccupato di restare
acidamente se stesso. « Siccome non mi piaceva ho pensato di
dartela. »
Ma Hermione
si strinse nelle spalle, ancora contenta.
« A me
è piaciuta. » Disse, anzi, ampliando il sorriso.
Perché lei
non si lasciava scoraggiare. Da niente. Sapeva resistere all’orgoglio a cui lui cedeva sempre. Salvava sempre tutto quello che
c’era da salvare tra loro. Tutti i silenzi che non erano silenzi. Tutti gli
insulti che non erano insulti. Tutte le scuse che non erano scuse. Tutti i
regali che per lui non sarebbero mai stati regali, ma che agli occhi di lei
avrebbero rifulso di luce, quasi come cosparsi d’oro.
Salvava
tutto. Considerando tutto importante…
Avanzò di
qualche passo – ancora un po’ stordito – ma decisamente tranquillo. Come se non
ci fosse niente che potesse andare male in quel momento. In quel luogo. Con
quella persona. Lei che, naturalmente, avrebbe rimproverato con
odiosa puntigliosità tutte le insensatezze che da parte sua avrebbe
trovato in lui e nel suo modo di fare, non avrebbe mai veramente giudicato
niente. Non avrebbe mai veramente condannato nessuno. E di tutte le cose
sciocche che potevano esistere, persino quelle più sciocche lei le avrebbe
accolte con un sorriso.
Per questo,
per la prima volta in vita sua si sentì libero di guardare fuori
dalla finestra, e dire, per nessuna ragione al mondo:
« Ieri
ha nevicato parecchio. »
Perché
sapeva già che lei gli avrebbe risposto, sorridendo:
« Si,
è rimasta giù un sacco di neve. »
E la
sensazione di serenità appena accennata che inconsapevolmente lo riempiva, si espanse.
Del resto,
siccome Hermione Granger qualcosina di maniaco
depressivo ce l’aveva, sapeva anche che avrebbe
aggiunto, inspiegabilmente allegramente:
« Allora,
cosa vuoi studiare oggi?»
Storse il
naso verso di lei.
A dire il
vero, studiare era l’ultima delle ragioni per cui era andato in quella stanza.
In effetti, non aveva davvero voglia di passare le seguenti due ore e mezza a
riflettere su quanto pozioni potesse essere una
materia stramaledettamente noiosa. Sollevò dunque leggermente il capo sulla
testa riccioluta che aveva di fronte e poi rivolse nuovamente il capo fuori dalla finestra. Non aveva neanche voglia di stare in
quella stanza, per dirla tutto. E forse avrebbe anche potuto alzarsi e
andarsene.
Forse lei
non l’avrebbe fermato.
Ma non
l’avrebbe neanche seguito…
In ogni
modo, essendo che non era della scuola “se non puoi superare un problema,
aggiralo”. Ma era di quelli: “se non puoi superare un
problema, ingannalo”… beh, aveva una mezza idea di come cavarsela in quella
situazione. Andava detto, infatti, che benché Hermione Granger fosse quasi inattaccabile quando entrava nello studentessa ultra-modello mode, aveva comunque un enorme,
spropositato punto debole.
« Pensavo
che il campo di Quidditchsarà
proprio pieno di neve. » Proruppe dunque con finta casualità, dondolandosi
sulla sedia.
Scorse, con
la coda dell’occhio, la fronte di lei corrugarsi per il disappunto.
Senza
staccare lo sguardo dalla sua pergamena e continuando a scrivere con un
automatismo straordinariamente preciso, Hermione lo riprese prontamente:
« Non
è il momento di pensarci, Draco. » I suoi occhi guizzavano vivacissimi da
una parte all’altra del foglio. « Devi impegnarti nello studio. »
« Ho
lasciato il coso al campo. » Disse di rimando, senza seguire alcuna
apparente logica.
La Grifondoro trasse un breve respiro.
Smettendo di scrivere, incrociò le braccia davanti a sé e le appoggiò sul
tavolo. Infine, con provata pazienza ribatté secca:
« Qualsiasi
cosa sia il coso, dimenticalo. »
L’espressione tutt’altro che indulgente lo fissava
con rigore e serietà. « La tua unica priorità dev’essere
il prossimo compito di pozioni. »
Finemente
ostinato – ignorandola completamente – buttò lì, in un alzata di spalle:
« Anche
se il “coso” è quell’orrendo manuale che mi hai dato? »
Come
previsto l’espressione di Hermione Granger si dilatò in risposta ad istantaneo
allarme mentale.
« Checosa? »
Presa istantaneamente dal panico dopo aver realizzato pienamente la tragicità
dell’annuncio, si mise le mani nei capelli e si sollevò dalla sedia in uno
scatto convulso e del tutto irrazionale. « Ma sei impazzito?! Con tutta
l’umidità che c’è tutte le pagine si saranno sciupate! E con tutta la neve che
è venuta giù non è escluso che non ne sia rimasto nulla! » Scolorì,
affranta. « Nulla! »
Angosciandosi,
col fiato corto per la mancanza improvvisa d’aria, Hermione Granger si sforzò
visibilmente di mantenere regolare la sua respirazione e tenendosi il petto con
la mano cercò di mantenersi calma. Ma gli occhi stravolti tradivano l’immensa
prostrazione per quanto stava avvenendo.
E tutto per un libro.
Impose al
suo sopracciglio destro di non corrugarsi con pungente cinismo. Se cinismo si
può definire il sentimento di puro disinteresse che si può nutrire per un
libro. Tra sé e sé ritenne che Hermione, in effetti, più che cinismo l’avrebbe
chiamata eresia.
« Devo
andare a prenderlo? » Domandò comunque, proseguendo col suo brillantissimo
piano.
Hermione
gli scoccò un’occhiata bieca.
« Da
solo? » Squittì aspra, in uno sprazzo di immediato rancore. « Non se
ne parla proprio! Avanti, muoviti: ti accompagno! » Agguantò il
giaccone, i guanti e la sciarpa e se li mise in tempo di record, con un
cipiglio inarrestabile. « Sei un irresponsabile! Se lascio fare a te non
ritroverò mai il mio libro! E a questo proposito prega che sia in un posto
riparato! » Terminato lo sprazzo di rancore, assunse nuovamente
un’espressione lacerata, e gemette, isterica: « Oh, ma come hai potuto?! »
A capo
chino, si tuffò dunque in una missione di salvataggio in pieno stile Granger.
Con un
piccolo ghigno sulle labbra, si alzò indolentemente dalla sedia, prese il
proprio giubbotto e le andò dietro.
Missione: brillantemente compiuta.
Essendo che
di mattina si erano svolte regolarmente le lezioni ed era una periodo in cui
anche i più lavativi dovevano occupare almeno la prima parte del pomeriggio nei
compiti, ben pochi studenti si erano arditi a uscire per giocare a palle di
neve. E comunque non in quel tratto di giardino che conduceva al campo di Quidditch. Dunque i trenta centimetri di neve che si erano
depositati durante la notte, lì erano rimasti. In un soffice manto ininterrotto
e ancora intatto che rendeva a lui e a Hermione più difficoltosa la lunga
traversata. Inoltre, l’aria era impregnata di un gelo pungente, e non era da
escludersi che ben presto avrebbe ricominciato a nevicare.
Ciononostante
Hermione Granger incedeva con determinazione in direzione del Campo di Quidditch. E lui, proprio accanto a lei, riusciva a starle
dietro solamente grazie ai quindici centimetri di differenza che la natura gli
aveva concesso in altezza. Quel dislivello gli permetteva anche di procedere
con l’insofferenza spontanea che lo pervadeva a causa del fastidio che gli
procurava la frenesia con cui lei si struggeva per il libro andato perduto.
Che poi,
solo un idiota avrebbe davvero creduto che quel libro fosse al campo e non
piuttosto nella sua stanza.
Dove,
logicamente, era.
« Non
ti ricordi dove l’hai lasciato? » Chiese irrequieta Hermione, giunti
all’ingresso del campo.
Scosse il
capo.
« No. »
Negò, noncurante. E, in effetti, non ricordava bene in quale dei cassetti del
proprio comodino l’avesse messo.
Hermione trasse
un grande sospiro. Poi, accesosi lo sguardo di rinnovata fiducia, propose:
« Allora
proviamo negli spogliatoi. E speriamo ci siano, che è riparato. »
No, negli spogliatoi no.
Tiger
e Goyle ogni volta che ci entravano per cercarlo ci
lasciavano sempre un sacco di avanzi e schifezze. Che muffivano, puntualmente.
E PuceyDavis riteneva che
fosse onorevole che i giocatori pulissero. I membri della squadra invece
ritenevano onorevole che lui tacesse e andasse a quel paese. David Duglass, Susan Morrigan e lui in
primis. La morale era che quel poco che Pucey
riusciva a pulire non aiutava a rendere più profumato
quel piccolo stanzino.
Tenendosi
le mani in tasca, la fermò, serafico:
« Non
l’ho lasciato lì. »
Hermione,
incrociando autorevolmente le mani sul petto, gli rimbeccò, indispettita:
« Avevi
detto che non ricordavi dove l’avevi lasciato. »
« Infatti
non lo ricordo. » Fece, laconico. « Ma ricordo che non l’ho lasciato
negli spogliatoi. »
« Allora,
mettendosi insieme tutti i posti dove non puoi averlo lasciato, dove potresti
averlo lasciato? » Gli domandò indispettita la ragazza, guardandolo in
tralice.
Bella
domanda. Dove?
Beh, un posto vale l’altro.
« Sotto
le banche. » Inventò, con tono disinteressato. « Di solito li
mettiamo lì i libri. »
Mai
esistito.
In tutta la
storia di Hogwarts non era mai esistito che uno studente andasse ad un campo di
Quidditch portandosi dietro un libro di generica
entità. Men che meno un libro scolastico! E che poi
lo tenesse sotto le panche, per giunta, era davvero fuori dal mondo. Ma quella
che aveva davanti probabilmente era l’unica persona sulla faccia della terra
che avrebbe potuto crederci.
E crederci
con un certo entusiasmo, anche. Ritenendo ammirevole che qualcuno fosse tanto
affezionato alla cultura.
Infatti,
rapida, avviandosi verso gli spalti adibiti a Serpeverde, dispose:
« Allora
tu và a vedere là in alto mentre io cerco nella fascia più bassa. »
Svogliatamente,
imboccò la strada che conduceva al secondo anello degli spalti. Tenendo le mani
in tasca, con passo cadenzato e del tutto privo di entusiasmo, fece uno dopo
l’altro i gradini che lo avrebbero condotto sin in cima sbirciando casualmente
in giro. Arrivato nel punto più alto e rivolgendo il suo sguardo in basso,
scorse Hermione che trotterellava imperterrita su e giù per le banche e si
chinava per vedere se sotto di esse ci fosse il manuale.
Restò a
fissarla da quell’altezza per qualche minuto.
Prima di
tutto perché quella ragazza indossava una gonna e fuori c’erano come minimo 4
gradi sotto zero – e aveva ragione di credere che non sentiva freddo perché
tutte le sue energie erano convogliante nella frenetica ricerca del suo
preziosissimo libro. In secondo luogo perché quello che stava facendo era
allucinante anche per la sola modalità in cui lo faceva. Giacché vi serbava una
tale solerzia che la portava a guardare sotto la stessa panca tutte le volte
che le capitava sotto lo sguardo.
Era
straordinariamente buffa.
Non un
buffo cattivo. Non uno sciocco. Un buffo assurdo. Divertente. Le sue impronte
segnavano percorsi contorti e tratteggiati, che nel candore che la attorniava
facevano risaltare le idee strambe che aveva nel cervello. In quel momento la
vide giust’appunto battere per la decima volta il suo
primo percorso. E istintivamente gli spuntò un piccolo ghigno derisorio sulle
labbra.
Quella
ragazza era l’essere più assurdo che esisteva sulla faccia della terra.
L’essere più assurdo, davvero.
« Hai
trovato qualcosa? » Gli gridò Hermione esasperata, dopo essersi guardata
intorno con smarrimento all’idea che le sue ricerche non stessero dando alcun
frutto.
Si strinse
nelle spalle, senza smettere di sogghignare.
« Non
stringerti nelle spalle e dimmi se hai trovato qualcosa! » Gli strillò
contro lei, in preda al panico, impuntandosi con i piedi e stringendo lungo i
fianchi le proprie mani.
Dopo averle
gridato di no – e di non rompere – si fece un piccolo giretto distensivo in
giro per le panche, fingendo con malavoglia un interesse autentico per
quell’assurda ricerca. Poi scese la scalinata raggiungendo il termine della
prima fascia di spalti. E si rimise a guardarsi intorno. Era una giornata
strana: non aveva voglia di fare niente. Era quasi più svogliato degli altri
giorni. Ma stava bene. E il biancore tutto intorno a lui lo metteva quasi di
buon umore.
E dire che non
aveva mai avuto voglia di uscire quando c’era la neve.
A pensarci,
in effetti, non gli era mai piaciuta troppo.
« Non
hai trovato niente? » Gli chiese Hermione dalla prima panca, dirigendo gli
occhi in alto, verso di lui.
« No. »
Disse, secco.
Hermione
scosse il capo con un cipiglio drammatico
e gli puntò il dito contro.
« Draco,
ti avverto… » Lo avvisò ostile, con la faccia che era una maschera di
dolore mentre metteva un piede sul gradino di fronte a sé. « … se non lo
troviamo io ti ammaz- »
Ma non fece
in tempo a finire la frase che il piede le scivolò sul ghiaccio creatosi sotto
la neve e lei rovinò a terra. Con un botto sordo.
Non cercò
neanche lontanamente di trattenersi dallo sfotterla. Né volle impedirsi di
aprire la propria espressione in un ghigno spavaldo e sprezzante, il quale
accolse con profondissima derisione la ragazza che si sollevava sul busto,
completamente coperta dalla neve.
Solo che
lei non dovette prenderla troppo bene, perchè lui si vide arrivare addosso una
palla bianca che si infranse sulla sua faccia.
« Così
impari a ridere! » Gli gridò contro Hermione, rialzatasi. Rossa in viso un
po’ per la vergogna. Un po’ per la soddisfazione.
« Ah
si? » Vibrò, alterato, pulendosi il viso dalla neve con i guanti.
Rapidamente
prese un po’ di neve da terra e gliela tirò addosso. La prese alla spalla, ma
la neve si infranse e le coprì tutta la faccia. Pulendosi anche lei, Hermione,
agguantò un altro po’ di neve e glielo lanciò, ma lui lo schivò abilmente,
scansandosi di lato e rilanciandole rapidamente un altro po’ di neve. Che la
prese nuovamente in piena faccia.
« Sei
lenta. » La sbeffeggiò pavoneggiandosi.
E
l’oltraggio risultò troppo grande per l’orgoglio di Hermione.
Fu allora
inevitabile lo scoppio della più grande e strana battaglia a palla di neve che
si fosse mai combattuta a Hogwarts tra gli spalti deserti di Serpeverde.
« Dobbiamo
cercare il Manuale! » Gridava ogni tanto la Grifondoro, mentre gli
tirava addosso altra neve e ne scansava a sua volta, goffamente, tanta altra.
Scocciato e
ostinato, puntualmente le rinfacciava, acido:
« Allora
piantala! »
E
puntualmente lei rispondeva:
« Piantala
tu! »
« Non
ci penso neanche! » Berciava abbassandosi per schivare l’ennesima palla di
neve.
Non
somigliava proprio a un balletto il loro. Non certo, tra gli insulti che si
tiravano e soprattutto la decisamente scarsa eleganza con cui Hermione si
muoveva. Senza contare che i capelli di lei sembravano la chioma irriverente di
un albero su cui era caduta neve da almeno una decina di inverni.
Eppure,
anche senza essere uno spettacolo di grazia e buone maniere, era comunque molto
divertente.
E non solo
per lui. Stranamente anche lei, che di neve ne prendeva più di tutti e due,
sembrava divertirsi molto. E non demordeva mai, neanche quando lui gongolava
della sua goffaggine con particolare entusiasmo e sprezzo. Ostinata, si alzava,
scivolava, gridava come una vacca inacidita, e riprendeva, con estrema onestà,
a cercare di fargliela pagare. Non riuscendo a trattenere, a volte, un sorriso
enorme sulla faccia.
Nel vederla
arrancare con il fiato corto per lo sforzo immane di strascinarsi per gli
spalti deserti ma poi raddrizzarsi con epica ostinazione, qualcosa che di molto
simile ad un sorriso gli si mosse da dentro verso le sue labbra. E, questa
volta, quando gli si dipinse sul viso, si rivelò per qualcosa che non era
semplicemente molto simile a un sorriso… ma che lo era davvero.
Ma non
c’era nessuno specchio che poteva mostrarglielo. Nessuno specchio che potesse
fargli capire.
Senza
contare che di lì a qualche attimo sarebbe stato occupato da ben altre
faccende.
Infatti
Hermione, coltolo scioccamente distratto, esclamò soddisfattissima:
« Ah!
Beccati questo! »
E lui non
vide l’ennesima palla di neve arrivargli direttamente il faccia.
Appena un secondo
prima dell’impatto, pensò che infondo una palla in più non faceva poi molta
differenza. E poi le avrebbe restituito tutto con gli interessi! Però quando la
palla lo colpì fu come se un sasso l’avesse colpito in piena fronte. E lui
proruppe in un grido straziante arrancando all’indietro per il dolore.
A questo
punto le possibilità erano due: o Hermione Granger nascondeva la forza titanica
di un golem di roccia. Oppure Hermione Granger era un golem
di roccia travestito da smilza diciassettenne.
Per quanto
la seconda ipotesi sembrasse alla sua mente la più accreditata, il sasso che
intravide per terra vicino a lui mentre si teneva la testa dal dolore gli
rivelò l’agghiacciante verità: Hermione Granger, smilza diciassettenne – e non
purtroppo golem di roccia – gli aveva
inavvertitamente tirato un sasso in testa.
« Oddio! »
Strillò Hermione, correndo verso di lui. Vedendolo con il viso e la fronte
coperti da entrambe mani, chiese, allarmata: « Draco stai bene? »
Quando gli
fu abbastanza vicina, senza togliersi le mani dalla fronte, lui le scoccò uno
sguardo di profondo astio.
« Bene
un corno! » Sbraitò, furibondo. Bene?! Come faceva a stare bene?!
« Mi hai tirato un addosso sasso! » La accusò istericamente senza
smettere di tenersi la fronte con una mano « Ma sei cretina?! »
Hermione,
che guardava la fronte di lui con aria colpevole, gli rimbeccò, con voce rauca:
« Non
l’ho fatto apposta! » E poi tentò di togliergli la mano per vedere come
stava veramente.
Si ritrasse
istantaneamente, ma venne di nuovo pragmaticamente
riacciuffato.
« Ehi,
lasciami! » Tentò di dirle, alterato e agitato. « Potresti riaprire
la ferita! »
Rafforzando
la presa sul suo braccio e sollevando gli occhi al cielo Hermione gli rispose,
sempre con aria colpevole, ma comunque esasperata:
« E’
solo una botta, Draco. »
« Fa
male! » Gemette lui, lottando strenuamente contro Hermione. « Fa
malissimo! » Gracchiò con strilli acuti, cedendo infine alla forza con cui
la ragazza tentava di sottrargli la mano – forza che riaccese in lui la
speranza che lei effettivamente fosse un golem di
roccia. Comunque, quando lei finalmente riuscì nel suo intento, lui si accorse
di una minuscola macchietta rossa che sbavava un po’ il rosino
della mano e colse l’occasione per concludere, tragico: « E sanguino! »
« Oh,
smettila di urlare. » Lo zittì Hermione leggermente infastidita.
« Ahh! » Strillò, ignorandola, mostruosamente acuto e
mostruosamente teatrale. « Non vedo niente! Il sangue mi ha coperto
gli occhi! » E in effetti una parte destra del suo occhio sinistro non
riusciva a vedere del tutto l’incavo del pino al limitare della tenuta di
Hogwarts. A circa 300
metri di distanza. « AH! » Gridò, più forte
che poteva. « AHH! SONO DIVENTATO CIECO! »
« Vuoi
smetterla di urlare?! » Tentò di fermarlo Hermione, mettendosi le mani
sulle orecchie.
Ma lui non
smetteva. Allora lei lo agguantò saldamente per un polso e lo trascinò verso
Hogwarts. Naturalmente lui oppose resistenza, imprimendo le caviglie nelle nave
e possibilmente nella terra sotto le neve. E proprio nell’opporgliela ad un
tratto finì per darle le spalle e guardare dietro di loro.
Le grida si
smorzarono in quel momento.
Dietro di
loro, due strisce tratteggiate d’impronte si incrociavano e a volte
sovrapponevano, proseguendo insieme.
Ah…
Ecco
perché.
Non gli era
mai piaciuta la neve perché era bianca e lui invece era un puntino nero. E non
era mai stato bello girarsi per vedere solo se stesso risaltare sulla neve.
Solo le sue impronte. Solo la sua realtà. Solo la sua solitudine. Era sempre
stato così. Che tutto fosse grigio o tinto di colori non veri. Che lui ne fosse
consapevole o meno, era sempre stato
così.
Ma non
tutto resta uguale.
E dietro di
loro la neve per una volta non era tanto brutta.
Ma la
differenza tra il prima e il poi. La differenza tra quello che aveva in quel
momento e quello che non aveva mai avuto, era un tormento pressante. Qualcosa
che restava chiuso in una scatola tenuta il più infondo e lontano possibile.
Qualcosa
che rischiava di sconvolgere troppe cose troppo in fretta se solo fosse uscito.
« Sembra
che qualcuno le abbia tirato un sasso, Signor Malfoy. » Gli disse Madama Chips quando furono in infermeria, mentre gli scostava i
capelli e gli imprimeva un fazzoletto di stoffa sulla fronte.
Scoccando
un’occhiata velenosa all’indirizzo di Hermione, seduta di fronte a lui con
un’espressione un po’ orgogliosa, un po’ colpevole e un po’ apprensiva sulla
faccia, grugnì acido:
« E’
esattamente così, infatti. »
« Comunque
non è niente di grave. » Fece Madama Chips
alzandosi e mettendo a posto alcune bende. Gli si rivolse poi, con strascicato
sarcasmo: « Stia a riposo e vedrà che non morirà. »
Lanciò uno
sguardo tagliente e indignato verso l’infermiera, che sembrava non volersi più
prendere cura della sua immensa ferita e che anzi si era già dileguata dietro
la porta. Incrociando le braccia sul petto, con una smorfia scocciata e
alterata sulla faccia, impose un silenzio monumentale nel piccolo antro
occupato ormai solo da lui e Hermione.
Dopo
qualche attimo, però, la
Grifondoro trovò il coraggio di chiedergli un po’
timorosamente:
« Vuoi
che ti porti qualcosa? »
Le scoccò
un’occhiata penetrante e arcigno la freddò:
« No. »
« Vuoi
che dico a qualcuno che sei qui? »
« No. »
Ribadì sprezzante.
A questo
punto, Hermione, facendosi nuovamente coraggio, con il tono di una persona che
sta offrendo la cosa più bella al mondo, gli chiese:
« Vuoi
studiare? »
Le lanciò
un’occhiata allucinata e con autentica incredulità gridò:
« No!
Ma come ti viene in mente?! Io- »
« Vuoi
che me ne vada, allora? » Lo interruppe però lei, in tono sincero.
E anche un
po’ speranzoso a dire il vero.
Speranzoso,
nel senso che probabilmente sperava che quello potesse servirgli. Che in
qualche modo potesse farlo contento. Restò zitto a guardarla per alcuni attimi.
Nel suo protendersi autentico verso di lui. Nel suo aprire le sopracciglia in
un’espressione totalmente comprensiva. Che in qualsiasi modo si sarebbe
rivolta, sarebbe stata indulgente con lui. Sempre, gentile.
Con un tono
molto meno aspro, ma ostinatamente sprezzante, le disse:
« …
non mi interessa. » Ma poi immediatamente aggiunse: « Ma non puoi
lasciarmi qui con quella donna. »
E per quella donna non si intendeva
necessariamente Madama Chips.
Non era
nessuno, in verità. Era qualsiasi cosa che potesse significare “non puoi
lasciarmi qui da solo”. O “non te ne andare” nel vocabolario di Draco Malfoy e
nel linguaggio di quell’accordo stranissimo tra loro due. Che non si erano mai
detti. Che non avevano mai definito. Ma che si era definito da solo.
E che fece
dire a lei, sorridendo:
« D’accordo. »
Ritornò
allora il silenzio. E lui, con un braccio appoggiato ad una finestra e la testa
abbandonata sul polso della mano, si mise a guardarvi fuori, mentre lei, più
composta, faceva altrettanto. Entrambi straordinariamente tranquilli seppur
protagonisti di una scena anormale proprio nella sua generica normalità.
Ognuno ad
un lato della finestra, Hermione Granger e Draco Malfoy che vedevano scendere
la neve…
« Ha
ripreso a nevicare. » Mormorò ad un tratto la ragazza, con voce un po’
sconsolata. « Chissà che fine ha fatto il Manuale per Maghi
Autodidatti… »
A quelle
parole qualcosa si mosse dentro di lui: il timore, forse, che lei potesse
uscire e andare a cercare quello stupido manuale da sola. E fu istintivo lo
slancio di aprire la bocca per impedirglielo, dicendole che quel coso era nella
sua stanza. Ma lei si girò improvvisamente verso di lui, con un cipiglio e uno
scintillio di pura determinazione negli occhi, ed esclamò:
« Che
ne diresti di andarne a comprare un altro quando andremo a Hogsmean? »
Preso alla
sprovvista ed esterrefatto, si trovò a replicare:
« Io e
te in giro ad Hogsmean? »
« Solo per
il tempo di andare a comprare il Manuale per Maghi Autodidatti. » Si
spiegò con praticità Hermione. « Sarà questione di pochi minuti. »
Rincarò risoluta. « Ma devi esserci anche tu perché così puoi scegliere tu
quale versione prendere. »
Lo stava… invitando?
Fu
stranissimo. Una cosa del genere era già successa in termini simili anche un
mesetto prima. Ma aveva avuto un seguito molto diverso da quello che ebbe
quella volta, perchè non provocò in lui alcun genere di sdegno, di disgusto.
« Se
proprio devo. » Rispose infatti, senza neanche preoccuparsi troppo di fare
il disinteressato. Tanto ormai aveva capito che non era poi così importante la
sua reazione. Sia che fosse stato irriverente, offensivo, acido, o odioso lei
non si sarebbe comunque lasciata condizionare. E con entusiasmo – esattamente
come fece quella volta – avrebbe replicato:
« Benissimo!
Dove ci troviamo? »
Si strinse
nelle spalle, indisponente di natura.
« Dove
ti pare. »
« Mielandia? » Propose Hermione. « Alle tre? »
« Ok. » Annuì.
E quando
tornò nella sua stanza, circa una mezz’oretta dopo, bruciò con un incantesimo
il Manuale per Maghi Autodidatti. L’unica prova esistente che avrebbe potuto
impedirgli di avere una scusa per andare a Hogsmean
con Hermione Granger.
*** *** ***
Sabato 14 Dicembre.
Ore 17.37 Hogsmean. Libreria.
Poteva
sopportare che lui la riprendesse per essere arrivata in ritardo quando era
semplicemente che lui era arrivato con 15 minuti d’anticipo e lei con soli 5.
Poteva anche sopportare che lui decidesse che tutti i libri che leggeva lei
fossero a prescindere da tutto delle noiosissime stupidaggini. Poteva persino
sopportare che lui l’avesse costretta – a pagamento del presunto ritardo – ad
accompagnarlo in un negozio di articoli per il Quidditch
ritardando di un’ora e mezza il loro tour per la libreria. Che però lui si
mettesse a contestare su qualsiasi sua decisione in merito al nuovo manuale che
avrebbero comprato questo non lo sopportava!
« Secondo
me questa è migliore. » Ribadì Draco per l’ennesima volta con convinzione,
appoggiato allo stipite di uno degli scaffali, guardandola con un sopracciglio
inarcato e tenendo in mano un libro marroncino, rilegato finemente.
Gli scoccò
un’occhiata indispettita, chiudendo con uno sciocco secco il libro che stava
sfogliando.
« Perché,
scusa? » Lo interrogò severamente e sollevando il naso all’insù. « In
questo c’è anche una sezione aggiuntiva sulla materializzazione. » Con una
mano che accarezzava con estrema delicatezza la copertina del libro che aveva
tra le mani, gli chiese, secca: « Quello che ha? »
« Una
copertina migliore, per cominciare… » Rispose superiore il Serpeverde.
Poi, annusandolo con fare meditabondo definì, molto chiaramente: « … e un
odore migliore, per finire. »
Assottigliò
l’espressione del viso su di lui e grugnì, acida:
« Mi
sembrano criteri un po’ futili per decidere quale dei due manuali sia il
migliore. »
« Perché? »
Le rimbeccò altrettanto acido. Quasi, acido nello stesso identico modo. « Decidere quale sia il migliore in base ad una
stupida sezione aggiuntiva ti sembra sensato? »
Ovviamente, stupido ignorante.
Questo era
quello che avrebbe voluto rispondergli sulla spinta del nervoso che le veniva
guardando quella stupida faccia idiota. Ma decise di essere matura e
responsabile. Decise di essere straordinariamente paziente. Ed eccezionalmente
comprensiva.
« Tu
non sai ancora materializzarti. » Puntualizzò, dunque, petulante.
« Potrebbe esserti utile, no? »
Draco le
rivolse uno sguardo a dir poco commiserante, dopodiché puntualizzò caustico:
« Io
so già materializzarmi. »
Oh.
Detto ciò, lasciandola
perplessa e con assolutamente nessuna obiezione da rivolgergli, si staccò dallo
scaffale e andò al banco dove una strega stava svogliatamente sfogliando un
opuscolo su come trasfigurare le sue rughe. Lo raggiunse proprio quando disse,
secco e sprezzante:
«
Questo. » E appoggiò sul bancone il libro.
La strega
dietro la cassa sollevò appena lo sguardo dal proprio opuscolo. Ritornando poi
nuovamente su di esso, disse, pigramente:
« 3
Falci. »
Sentito
ciò, prima che il Serpeverde potesse pagare, lei frugò nelle proprie tasche ed
estrasse qualche falce, mettendone sul bancone tre e rimettendo le altre in
tasca.
Vide Draco
guardarla in un modo stralunato.
« Che
fai? » Le chiese, indignato. « Non sono mica un morto di fame. »
« No,
ma te lo regalo. » Gli disse, tranquilla, con estrema naturalezza. « Tra
poco è Natale, no? »
Lo vide
restare per qualche attimo in silenzio, a guardarla con un’espressione strana.
Per quei 5 soliti secondi in cui ogni tanto si interrompeva qualsiasi cosa tra
loro. E prendeva a regnare un silenzio importantissimo.
Su quei
silenzi… si era edificato qualcosa che nessuno dei due capiva ancora.
Comunque,
dopo quei 5 soliti secondi, tutti e due si riprendevano molto bene e
abitualmente una delle sopracciglia di lui si dilatava un po’, con estrema
indignazione.
« 3
Falci non sono un regalo. » Definì infatti sdegnato. « E’ elemosina. »
Mise le
mani sui fianchi e rettificò aspra:
« 3
Falci non sono elemosina. » Dopodiché, scuotendo il capo con una qualche
certa contrariata rassegnazione, aggiunse: « E comunque il regalo sarebbe
il libro. »
Non sapeva
per quale strana legge fisica nell’immaginario di Draco si fosse subito
delineata l’idea dei soldi associata a quella del regalo. C’erano ben tre
possibilità. Prima: due passaggi logici erano troppi per il suo cervello. E
perciò i soldi non potevano corrispondere al libro che a sua volta
corrispondeva regalo, ma i soldi dovevano necessariamente corrispondere
direttamente al regalo. Seconda possibilità: lui era abituato a ricevere denaro
al posto di regali. Terza: più in generale, Draco non era proprio abituato a
ricevere regali.
In realtà
la questione era ben diversa. E il Serpeverde, che la guardò con aria vivamente
contrariata e assolutamente esterrefatta, le delucidò il concetto, aspro:
« Cosa
stai dicendo? Neanche un libro è un regalo. »
Inarcò un
sopracciglio, con esasperazione, e scosse un poco il capo traendo un rassegnato
sospiro, mentre Draco, davanti a lei, assumeva tratti sempre più ovviamente
inorriditi di fronte all’idea che un libro potesse essere considerato un
regalo.
A quello
spettacolo la strega dietro alla cassa aveva assistito – e stava assistendo –
con una certa strascicata insofferenza, e, pragmatica, colse quegli attimi di
silenzio per prorompere:
« Allora…? »
Hermione,
stringendosi nelle spalle, rivolse a Draco uno sguardo impazientemente
interrogativo e questi, altezzosamente, definì con superiorità:
« Ormai
hai tirato fuori i soldi, no? »
E ti pareva!
Tirando un
profondo sbuffo, mise sul bancone i soldi e prese in mano il libro .Quando però
si girò per consegnarlo a Draco, questi si era già avviato alla porta. Traendo
un altro sbuffo, lo raggiunse appena in tempo per sentirlo annunciare,
serafico:
« E’
tardi. » E poi, girandosi seccamente verso di lei: « Muoviti: torniamo
a Hogwarts. »
« Insieme? »
Domandò sorpresa.
Lui le
lanciò uno sguardo ovvio e superiore:
« Mi
hai fatto perdere tutto il pomeriggio in quella libreria pulciosa. Come
minimo adesso mi porti le borse. » E le porse le due borse piene di
dolciumi e assurdità presi durante la mattinata.
Lo guardò
sconvolta.
« Che
cosa?! Ma sono pesanti! »
Piegata in
due sotto il peso di tutte le borse che aveva preso in un riflesso
incondizionato, sperò che lui si rendesse conto di quanto realmente pesanti fossero.
Non voleva impietosirlo, intendiamoci. Voleva farlo giungere al buon senso!
Per
deduzione, possibilmente.
Per parte
sua, Draco le rivolse uno sguardo dall’alto in basso, e ordinò:
« Avanti,
muoviti. »
E senza
neanche attendere che lei obiettasse, si girò seccamente e cominciò a
camminare.
Assottigliò
lo sguardo sulla schiena di lui, con astio.
Mostro!
Fece il
primo passo con fatica e guardò con aria contrariata le borse che a stento
teneva sollevate da terra. Ma che diavolo aveva preso?! Pesava tutto un
quintale! E che diamine! Trascinò i piedi per la strada innevata, continuando a
guardare con astio il Serpeverde che con estrema calma e disinteresse andava da
una vetrina all’altra, illuminato a sprazzi dalla luce giallognola dei
lampioni. Ad un certo punto notò che Draco si soffermava più a lungo di fronte
ad una vetrina sulla destra, ma non ci diede troppo peso. In effetti era
talmente concentrata a progettare una punizione abbastanza crudele nei riguardi
di quel brutto imbecille che non solo liquidò la cosa con sufficienza, ma anche
finì per inciampare in una sporgenza di cemento che la neve aveva coperto.
Per non
cadere del tutto riuscì ad aggrapparsi al muretto che attorniava un’aiuola
provvidenzialmente vicino a lei.
Draco,
richiamato dal rumore che la caduta aveva generato, si volse verso di lei.
Con
assoluta superiorità esclamò, asciutto:
« Sei
proprio un’impedita. »
Sollevò su
di lui gli occhi fiammeggianti e con una voce resa stridula dal freddo e che
giunse a lui quasi isterica, gridò:
« Pesa! »
E precedendolo nel tentativo di sminuire la cosa, si lagnò con fastidio:
« Pesa sul serio! »
Quando lo
vide trarre un sospiro e lanciarle uno sguardo commiserante, pensò che si
sarebbe rigirato e le avrebbe ribadito di muoversi. Invece, lui si mosse – se
pur indolentemente – verso di lei. E a giudicare dall’espressione seccata che
il ragazzo aveva sulla faccia non c’era certo da stupirsi che a questo punto
lei temesse che lui, una volta chinatosi, l’avrebbe derisa e offesa.
Invece lui
le tolse le borse dalle mani.
Senza
aggiungere altro che un:
« Non
si può dire che tu abbia il fisico per certe cose. »
Immersa
nella neve. Nel vederlo rialzarsi sostenendo le borse che poco prima le aveva
affibbiato. Lo guardò sorpresa.
Esterrefatta.
Perché la
stessa cosa l’avrebbe fatta anche Dean. L’avrebbe
fatta Neville. L’avrebbero fatta certamente anche Ron e Harry. Magari chiunque
di loro l’avrebbe anche aiutata ad alzarsi. Ma lui non era loro. Lui era Draco
Malfoy. E nonostante questo l’aveva
invitata ad una festa. Si era preoccupato della sua salute. Le aveva fatto un
regalo. Aveva girato per un’ora intera tra gli scaffali polverosi di una
libreria.
E l’aveva
appena aiutata a portare delle borse che pesavano come macigni.
E poco
importava se quelle borse lei non avrebbe dovuto portarle da principio. O per
principio. Davvero, poco importava.
Anzi… non
importava proprio niente.
Lo vide
voltarsi, infastidito, spronandola arcigno:
« Allora,
ti muovi?! »
Scosse il
capo, ritornando rapidamente alla realtà.
« Ah, si! »
Replicò, sollevandosi da terra e facendo qualche passo in avanti, verso di lui.
Nel farlo,
mentre lui riprendeva a camminare, passò accidentalmente davanti alla vetrina
su cui lui si era soffermato. E la sua attenzione venne subito catturata da un
oggetto particolare: un ciondolo d’argento con una piccola pietra verde scuro
abbracciata da due serpenti che si intrecciavano tra loro.
Fu come un
lampo. Un pensiero improvviso ma importantissimo.
20 Falci.
Non sarebbe elemosina…
Senza
rifletterci un secondo di più, si schiarì sonoramente la gola.
« Ah,
ehm! » Esclamò, in grido acuto e decisamente poco studiato.
Draco si
girò verso di lei, a questo punto con gli occhi assottigliati in un’espressione
affilata e tagliente.
« Cosa? » Le chiese, caustico.
Si strinse
nelle spalle, ridendo come un’ebete e inventò con finta non-chalance:
« Ehm
ho… ho lasciato una cosa in libreria. » Nel vederlo lanciarle uno sguardo
assolutamente furioso, lo precedette, mettendo avanti le mani e rivolgendo le
gambe già indietro: « No, no, tu va avanti. Io ti raggiungo
dopo! »
E il Serperverde non se lo fece ripetere due volte a precederla
imprecando come un matto contro di lei e contro i Grifondoro in generale.
Lei,
invece, fece solo un paio di passi indietro. E quando lo vide girare l’angolo
sgusciò nell’ingresso a fianco alla vetrina illuminata…
Capitolo 10 *** Tra il prima e il poi [Parte Seconda] ***
Thanks to everyone
Thankstoeveryone
Per il
supporto, per i complimenti, per l’assiduità con cui seguite questa altalenante
storia a puntante. E’ di rito ribadire l’impossibilità di garantire più
frequenza: posso solo e sempre promettere che non verrà mai del tutto
interrotta.
Buona
lettura a tutti.
Spero che questo capitolo sia in grado di piacervi e coinvolgervi.
Le cose
cominciano a muoversi…
… ma non
come tutti sperate.
The
Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 10. Tra il prima e il poi [Parte Seconda]
I thought
the world of you
I thought nothing could go wrong
But I was wrong
I was wrong
If you, if you could get by
Trying not to lie
Things wouldn’t be so confused
And I wouldn’t feel so used
Pensavo che eri
tutto il mondo Pensavo
che niente potesse andare male
Ma mi sbagliavo
Se tu, se tu potessi farcela provando a non mentire
Le cose non sarebbero così confuse
E io non mi sentirei così usato
[Cranberries – Linger]
*** *** ***
Domenica 15
Dicembre. Ore 15.37
Hogwarts. Un corridoio a caso.
Non si è fatta vedere…
Sconvolgente,
quella considerazione turbava profondamente tutto il suo essere. Tanto da
indurlo a calpestare con aria oltraggiata il pavimento dei corridoi di
Hogwarts, sfogando l’irritazione su di esso in attesa
di poterlo sfogare sulla persona che così sconsideratamente gliel’aveva
causata. E, per inciso, non appena l’avrebbe trovata, prima di disintegrarla
con un raggio laser o decapitarla con un calcio rotante, l’avrebbe messa a
parte del fatto che in tutta la giornata non si era fatta
vedere neanche una volta!
Lo trovava
inconcepibile!
La fronte
aggrottata e lo sguardo tagliente vagavano corrucciati da uno studente
all’altro, cercando la chioma riccioluta di quella cretina che l’aveva esentato
dallo studiare, quel giorno, e l’aveva mollato come un idiota senza nulla da
fare!
Non è che
lui prendesse ordini da lei, eh! La questione era
molto differente!
Per quel
che lo riguardava era altresì ben ora che lei si rendesse conto di quanto lui
le fosse superiore! Del resto, riteneva oltremodo indegno che una persona si
prendesse la responsabilità della sua specifica istruzione e vi si sottraesse
con tutta quella leggerezza! Se fosse stata l’istruzione di Barile/Botte Paciock avrebbe trovato giustamente indegno il contrario,
ovviamente. Ma si trattata della sua
istruzione! Del suo futuro! Del perno
di tutta la sua vita!
O per lo
meno di quello che avrebbe dovuto essere.
E per
quanto non lo fosse, trovava doppiamente
indegno che quell’ignobile persona non lo considerasse tale, mancando di
fiducia nel fatto che un giorno avrebbe potuto esserlo!
Nello
svoltare per entrare nel porticato del cortile interno di Hogwarts, però, lo
raggiunse una voce famigliare:
« Draco! »
Inconfondibilmente
Hermione Granger.
Trovata!
Si girò
seccamente verso dove era arrivata la voce, psicologicamente pronto a urlarle addosso tutto il giustificatissimo
rancore per averlo tanto impudentemente ignorato per tutto il giorno. E non
crediate: non è che quando se la vide arrivare in una corsa sgraziata,
sorridente nel suo solito modo assurdo, con i capelli che ondeggiavano crespi
al vento, lui pensò che le avrebbe risparmiato qualcosa.
Eh no!
Anzi, a maggior ragione l’avrebbe ripresa perché
ingiustificatamente felice!
Perciò,
assolutamente sicuro di sé, dilatò le narici, inspirò profondamente, aprì
spropositatamente la bocca, gonfiò ancora di più il petto e-
« Draco,
finalmente ti ho trovato! »
E flop.
Il fastidio
si afflosciò.
Ma non
perché era contento che lei l’avesse cercato, eh!
A lungo, comunque.
Certo,
ovviamente doveva essere stato a lungo. Non c’erano possibilità che non lo
fosse, altrimenti non avrebbe detto “finalmente”. Ed era indubbio che se invece
avesse iniziato a cercarlo poco prima e accidentalmente trovato presto – o,
peggio, se proprio si fossero incontrati per caso e proprio in quell’istante
lei si fosse accorta che avrebbe dovuto cercarlo - sicuramente non sarebbe
stata graziata del raggio laser o del calcio rotante. Del resto, raziocinando
con estrema obiettività, ritenne che il fatto che l’avesse cercato – e cercato
a lungo (magari addirittura dalla sera prima, non lo escludeva affatto, infondo
lui si sarebbe cercato dalla sera prima se se ne fosse
venuta a creare l’occasione) potesse rendere un poco più perdonabile la sua
comunque scorretta e deplorevole attitudine irresponsabile.
Con una
disposizione d’animo molto più indulgente aspettò dunque
che lei si avvicinasse ancora di qualche metro. Lo fece guardando attentamente
la goffaggine con cui sgambettava in modo assolutamente ridicolo verso di lui.
E, si, a
quel punto si sentì disposto a risparmiarle un po’ tutto quello che aveva
progettato di infliggerle.
Gli venne
anche quasi voglia di rivolgerle una specie di smorfia derisoria.
Qualcosa
che a un sorriso ci sarebbe anche assomigliato, magari. E, forse, i molti che
intorno a lui stavano notando, perplessi, che il Draco Malfoy sempre
corrucciato, arrogante e sprezzante di sempre in quel momento aveva qualcosa di
molto diverso dal solito si sarebbero infine convinti che non fosse davvero solo
un’impressione.
Che più
sereno di tanti lo fosse diventato sul serio.
D’altro
canto non appena si rese visibile, appena dietro a Hermione, un’inconfondibile
testolina scarlatta, il suo umore capitolò rapidamente.
E tornò il
caro vecchio, cupo e aspro, odioso e collerico Draco Malfoy che tutti conoscevano.
Riaggrottando la fronte che si era appena rilasciata, concluse rapidamente che l’indifferenza
e la sciatteria con cui Hermione Granger l’aveva ignorato per almeno tutta la
mattina – composta da ben cinque ore, 300 minuti e ben
18.000 secondi - trascorrendola viceversa con quella sottospecie di piattola
ambulante era decisamente imperdonabile!
Altero,
persino marmoreo nella sua nuova veste di giudice supremo, accolse Hermione assottigliando
lo sguardo e ribattendo seccato:
« Che
c’è? »
Ginny
Weasley gli scoccò un’occhiata fulminante, come per dirgli di tacere
immediatamente e non rivolgersi ad una sua amica in quel modo.
Gli
saltarono subito i nervi.
Da quando
in qua quel Piattolame Strisciante pensava di valere
tanto da prendersi il diritto di opporsi ad un suo modo di fare?! L’idea che lo pensasse da sempre
unita all’immagine della loro più recente, furiosa discussione – in cui l’aveva
apostrofato in mille indignitosissimi modi – diede
fuoco a tutti i nervi rimasti.
Le rilanciò
uno sguardo cocente.
Hermione,
invece, ignorando completamente qualsiasi fattore esterno – preda, solamente,
di una fervente eccitazione – esclamò:
« Volevo
chiederti come andava il Manuale! E’ da ieri che ci penso! Com’è? Abbastanza
chiaro? Scorrevole? Interessante? »
« Quale
Manuale? » Domandò in tono inquisitorio la sorella del bifolco più bifolco
della famiglia più bifolca del mondo del bifolchi. Squadrando
con sospetto e un qual certo istintivo orrore l’espressione contenta dell’amica.
Da parte
sua, lui le lanciò un altro sguardo assolutamente inequivocabile.
Di
un’irritazione molto diversa dalla precedente, però.
Perché, più
di tutto, non trovava legittimo che quell’isterica e insignificante ragazzina
se ne stesse lì, con quell’espressione da schiaffi, a partecipare ad una cosa
che non la riguardava. Certo, era odiosa anche solo per il fatto di esistere,
anche solo per essere nata sotto lo stesso tetto di Ronald Lenticchia Weasley,
Zerbino tutto fare e senza prezzo… ma restava tutto sommato sopportabile finché
non interveniva in qualcosa che, obiettivamente, non c’entrava proprio niente
con lei.
Per la
precisione, quando Hermione Granger parlava con lui, i suoi stupidi amichetti
non dovevano intromettersi. Niente perché. Niente ma. Niente obiezioni. Niente
di niente.
Era così e
basta.
Per questo
replicò aspramente molto prima che potesse farlo
Hermione:
« Nulla
che possa interessarti, Weasley. »
Un lampo
passò negli occhi acquosi di Ginny. Che subito scoccò a Hermione, accanto a lei,
uno sguardo triplamente inquisitorio.
Caschi male, stracciona, nessuno ti dirà niente.
« Un
Manuale che abbiamo comprato ieri a Hogsmean. » Disse
al contrario Hermione, spensieratamente. In un gran sorriso che lui ritenne ebete
in una maniera a stento concepibile.
Le lanciò un’occhiata
tra lo sconvolto e l’indignato, sbottando con voce acuta:
« Perché
gliel’hai detto?! »
« Siete
andati a Hogsmean insieme?! »
Stridé invece Ginny, con voce ancora più acuta, e ancora più sconvolta.
Nell’istante
esatto in cui Hermione scostò il capo per raccontare all’amica le loro
vicissitudini, lui aggrottò la fronte con profondo risentimento.
Perché
aveva risposto prima a lei? Perché si stava rivolgendo a quell’essere inutile quando lui era presente? E perché le parlava come se
fosse un essere utile?! Il fatto che fossero sempre state grandi amiche non gli
sembrava una motivazione sufficiente!
Ma alla
fine Hermione sorrise anche a lui. Ancora entusiasta. Ancora eccitata alla sola
idea di quell’insulso manuale. Ancora ridicolmente contenta.
E lui se ne
dimenticò…
Si
dimenticò che aveva pensato che esistessero affari solo loro. Si dimenticò che Hermione aveva impunemente prestato prima
attenzione a Ginny Weasley piuttosto che a lui. Si dimenticò che esisteva Ginny Weasley.
E la corresse, aspro per la necessità di essere se stesso, con
una smorfia sul viso che non era solo una smorfia:
« Comunque
è uno stupido manuale. »
Hermione inarcò
le sopracciglia, ritraendosi con sdegno e dando definitivamente a Ginny le spalle
e la chioma riccioluta. Cominciò allora a rinfacciargli che non era affatto
stupido. E tanto più lui le rinfacciava che invece lo era,
tanto più lei si ostinava.
Per qualche
minuto gli piacque notare come Miss Migliore Amica venisse
tenuta da parte. E poco importava se non era tanto per
lui quanto per un libro – che comunque apparteneva a lui.
Per il
resto del tempo, comunque, per quanto splendidamente cupa potesse diventare la Blatta, le uniche cose che
vide furono le espressione corrucciate, offese, arruffate
e splendenti di Hermione.
E quando si
separarono, Ginny Weasley era una maschera di disapprovazione e lugubrità che si riduceva ad una macchia inutile su un
pavimento.
Mentre loro
due erano semplicemente loro due.
Nelle loro versioni migliori.
Ma questo
per qualcuno era un po’ davvero troppo…
Tornò tranquillo
nella sua sala comune.
Guardando fuori da una delle finestrelle che davano sul cortile gli
parve che stesse per ricominciare a nevicare.
Si sentì
pieno di un luminoso senso di aspettativa.
Perché se
avesse di nuovo nevicato lui e Hermione avrebbero di nuovo fatto a palle di
neve. Era quasi sicura che ci sarebbe stata occasione senza andarla troppo a
cercare. Ma se mai non ci fosse stata, riteneva comunque che non sarebbe stato
troppo difficile crearla. Infondo, lui non era per niente una persona distratta, ma Hermione era abbastanza credulona da poterlo pensare
se glielo si fosse fatto credere.
Perciò
sarebbe bastato poco per convincerla che aveva di nuovo dimenticato un qualche
manuale al campo di Quidditch. Da lì, poi, tutto
sarebbe stato semplice. Un’offesa inventata. Una palla di neve lanciata.
Qualche scivolone e qualche corsa tra le panche.
E se
proprio sarebbe venuta troppo presto l’ora di rientrare al castello, avrebbe
comunque potuto fingere che lei gli avesse tirato un
sasso in testa. Così, di certo, se anche fossero rientrati, sentendosi
colpevole lei non se ne sarebbe tornata dai suoi stupidi amici
ma sarebbe rimasta a vegliare sulla sua ferita.
Davanti ad
una finestra.
Aspettando
la prossima nevicata.
E pensando
che la primavera era ancora molto, molto lontana. Pensando a un numero
probabile di volte che avrebbe davvero potuto nevicare. Una smorfia soddisfatta
gli illuminò non lo sguardo, ma proprio tutto
il viso.
Era quello
il suo limbo.
In cui
pensava di poter restare ancora a lungo. In cui pensava di poter decidere cosa
fare, quando farlo, con chi farlo, condizionando tutto e tutti e non venendo condizionato da nessuno. Era quello il limbo in cui
si sentiva libero di fare qualunque cosa e di star bene, alle sue condizioni,
finché ne avesse avuto voglia.
Inutile
dire che arriva per tutti, prima o poi, un momento per capire come vanno
realmente le cose…
« Ti
diverti? »
Si girò verso
l’ingresso della sala comune, stranamente vuota a quell’ora del pomeriggio. A
pochi passi dalla soglia, una PansyParkinson straordinariamente al peggio di sé lo scrutava
con stampata in viso una smorfia scolpita nelle pietra.
Le braccia incrociate sul petto. Le pupille già fiammeggianti.
« Come? »
Le domandò, subito inacidendosi.
« Ti
ho chiesto se ti diverti. » Ripeté lei, schioccando le parole con un tono
tagliente, mentre gli occhi azzurri lo fissavano con un’espressione strana.
Un’espressione
di fronte a cui, per dirla tutto, gli andò subito il
sangue alla testa.
Perché Pansy lo guardava quasi come se lui fosse un Corvonero. Anzi, peggio!
Un Tassorosso! E oltre a Lady Polpaccio-da-Macho Weasley che si intrometteva nei
suoi affari, ciò che odiava più al mondo era PansyParkinson che lo guardava come se fosse un Tassorosso!
Inarcò le
sopracciglia, altamente seccato.
« A
fare cosa? » Schioccò, acido.
« A
farti mettere sotto da quella sciacquetta della
Granger. » Sibilò, velenosa, Pansy, con un lampo
crudo che le sfrecciò negli occhi.
Lo sguardo
gli si acuì a sua volta, infiammandosi rapidamente.
« Io
non mi faccio mettere sotto da nessuno! » Sbottò, indignato. Da nessuno,
in generale. E meno che mai
Hermione Granger! Che una sciacquetta
non lo era, comunque. « E ora, io andrei, se non dispiace a te e ai tuoi
scatti isterici! » Aggiunse caustico, pensando che in quel modo avrebbe
brillantemente chiuso quella stupidissima conversazione.
Beh, Draco
Malfoy, di donne, non ne capiva un’h.
« Mi
stai dando dell’isterica, Draco? » Vibrò Pansy,
cominciando a fissarlo con uno sguardo da indemoniata.
Si ritrasse
di un passo, perplesso.
E adesso che le prende?
Le aveva
fatto qualcosa? Non gli sembrava. L’aveva offesa in qualche modo che si
meritava? Probabile, ma comunque se lo meritava. L’aveva offesa, allora, in
qualche modo che non si meritava? Improbabile: che insulto non si meritava?
Forse, essendo lui molto bello… no, anzi, essendo lui eccezionalmente bello, Pansy era gelosa
del fatto che per lui non fosse più importante della cicca sputata da Goyle e appiccicata da Tiger
sotto la cattedra della McGranitt giusto due giorni
prima.
Quando la
vide avanzare, a pugni stretti, e intravide un libro appoggiato sul comodino
vicino, un improvviso dejaveu gli balenò nella testa.
E tutto
d’improvviso le guance gli si incassarono, impallidendo.
Oh porca vacca…
Cominciando
a sudare freddo e ad un passo dall’essere preso dal panico, afferrò stoicamente
il vago sprazzo di lucidità che ancora possedeva e osò il tutto per tutto. In
un gesto fulmineo, avanzò, agguantò il libro con una mano e ri-indietreggiò
di due passi, per estrema precauzione.
Gettando
un’occhiata rapida a Pansy notò che questa aveva
assottigliato ancora di più lo sguardo e dilatato le narici del naso in una
maniera eccezionalmente minacciosa. Ma, del resto, sentendosi il libro tra le
mani, le sue guance tornarono del bel bianco-verdastro di sempre, ri-ingrassando di qualche grammo.
Infondo – anche se obiettivamente non era il suo punto migliore - ci teneva
alla sua fronte. E senza libro, per quanto folle, Pansy gli sembrava a quel punto relativamente innocua.
Decisamente, Draco Malfoy, delle donne, non ne capiva un’h.
« Cosa… »
Pronunciò con voce strozzata Pansy, mentre lo
scintillio nei suoi occhi acquisiva una più tetra e nello stesso tempo più
intensa luminescenza: « Si può sapere cosa
diavolo ti affascina tanto di lei?! »
Ed ecco il
momento esatto in cui Draco Malfoy ebbe il suo momento di gloria come replica
perfetta dell’Urlo di Munck.
Perché non
si ammutolì, semplicemente, traumatizzato. Non spalancò semplicemente gli occhi
in risposta ad uno sgomento che gli sorgeva
direttamente dall’anima a quel punto straziata. No, in quel momento tutto il
suo essere acquisì le tonalità drammatiche di un cadavere che ha avuto una vita piena di tanta, tanta sofferenza.
Ritornare
alla realtà, dopo l’attimo di vuoto assoluto che si era impadronito della sua
mente provata, non fu d’aiuto.
Io affascinato… da CHI?
« Ho
bisogno d’aria… » Biascicò, atterrito, facendo un passo incerto verso le
scale e scostando gli occhi al pavimento. Lottando strenuamente per non
accasciarsi al suolo, preda di violenti sbalzi di temperatura e di un vorticoso
capogiro.
Hermione
Granger era una persona intelligente?
Va bene,
era intelligente. Era, inoltre, tutto sommato, generosa e
gentile? Va bene, tutto sommato lo era. Ed era divertente? Oh si, lo era eccome. Di un ridicolo allucinante, da piegare in
due la persona più cinica e indifferente della terra. Ed aveva l’aspetto di un
essere umano? … ok, magari non ad una prima occhiata,
ma infondo si poteva definire una pianta o un animale? No, perché anche se i
suoi capelli erano un po’ come la chioma del Platano Picchiatore comunque aveva
due mani con cinque dita ciascuna. Il che implicava
che fosse per lo meno un animale. E del resto, se lo fosse stato avrebbe dovuto
necessariamente essere una scimmia – sempre per la questione delle dita. Ma lei
era una scimmia?
…
Una scimmia, eh…?
No… ok, non era una scimmia. Va bene! Era un essere umano! Lo
era! E va bene! VA BENE! OGNI TANTO SEMBRAVA PURE UNA RAGAZZA! SI! Si, per dio,
lo ammetteva!!
Ma… affascinante?
Travalicava
a stento i limiti della decenza.
E senza
scomodare tutto il resto, sarebbero bastati i capelli ad annichilire ogni minimo
dubbio al riguardo.
Incurante
dello stato spaesato e puramente sconvolto in cui versava in quel preciso
momento, distrutto psicologicamente dall’idea che qualcuno lo credesse capace
di rimanere affascinato da Hermione Granger, Pansy
gli si avventò addosso, facendolo ritrarre istintivamente di un altro passo.
« L’hai
già dimenticato, Draco? » Gli gridò, alterata, tesa come una corda di violino
per ragioni che lui, sinceramente, avrebbe fatto fatica a capire persino se
fosse stato lucido. E per di più – a causa di quella pazza! – non era mai stato
in uno stato più confusionale di quel momento! « Hai
già dimenticato tutto quello che rappresenta?! Quello
che lei, semplicemente, incarna! » Aggrottò le sopracciglia, turbato. Ma
che diceva? Incarnare? Ma stavano parlando di cibo? E perché proprio di carne?
A lui non piaceva. Gli piaceva la marmellata all’arancia, invece. E comunque
cosa c’entrava il cibo?! « Hai già dimenticato
quante volte hai pensato che saresti stato contento che non esistesse?! » Che non esistesse chi? Cosa? La carne? La marmellata all’arancia? « Quante volte lei,
Draco, quante volte la Granger
ha desiderato che tu non esistessi?! »
Pur nella
confusione mentale di quel momento, quelle parole Draco le intese nitidamente.
E in un
gesto inconscio, secco e rapido, allontanò la mano che Pansy
aveva teso verso di lui nella foga del momento. E la guardò inconsapevolmente
serio. Con qualcosa nello sguardo che era insieme lacerante e lacerato.
E per
quanto Pansy sarebbe impallidita, dalla rabbia,
dall’angoscia o dal terrore, da quel momento in avanti chi avrebbe perso
veramente colore, tra i due… sarebbe stato lui. Mentre il tono della
conversazione che fino a quel punto gli era sembrata
un gioco – pur di pessimo gusto – acquisì qualcosa di così amaro da fargli
salire un conato di vomito in gola.
« E se
anche fosse? » Ribatté, cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla
mente. Ma con la fronte talmente aggrottata da fargli male.
« Credi
davvero che per lei non sia più così? » Gli domandò fremente Pansy. Con le membra tremanti. Con la voce stridula che gli
parve così acuta che le orecchie cominciarono a fischiargli. « Credi
davvero che lei abbia improvvisamente messo tutto da parte? Credi davvero che
voglia stare con te?! »
« Che
diavolo stai dicendo?! » Replicò, con lo sguardo
che lottava per non apparire contratto da un’improvvisa mancanza d’aria.
Che diavolo
stava dicendo?
Una persona
che correva in quel modo così stupido. Che rideva in quel modo così ridicolo.
Una persona che si impegnava in quella maniera così maniacale. Che detestava il
Quidditch
ma avrebbe inforcato una scopa per dimostrare di saperci andare. Una
ragazza che andava in giro con quel tipo di capelli senza vergognarsene. Che
capeggiava guerre contro gli Elfi Domestici e si entusiasmava per un libro.
Una persona che sapeva essere orgogliosa di tutti…
Una persona
così valeva mille PansyParkinson.
Una persona così poteva essere gentile col suo peggior nemico. Una persona così
poteva sorridere a chiunque. Vivere nel suo limbo lasciando che lui decidesse
tutte le regole. Una persona così poteva… poteva…
Cancellare sei anni d’odio?
Si, Hermione
Granger l’aveva fatto! Era strano? E allora? Lei era strana!
Lei l’aveva
fatto!
Oppure…
Oppure…
Oppure
aveva ragione la voce che stava disfacendo il suo cervello.
La voce che
ancora non ascoltava. La voce a cui non aveva dato
importanza, fingendo che non ne avesse. A cui aveva
sempre guardato con supponenza, pensando di poterselo permettere. Una voce che
parlava di un’idea che una persona che ha visto anche solo per un momento
quanto in basso possano cadere le persone, ha, almeno una volta, per chiunque
lo circondi.
L’idea che
sei anni di odio non si cancellano.
L’idea che
Hermione Granger, per quanto potesse essere speciale, non sarebbe
mai potuta, comunque, essere così impeccabile…
Fu strano…
…
impercettibile, quasi…
… ma in
quel momento sentì qualcosa spezzarsi.
« Tu
sei stato solo il meno sveglio! » Urlava Pansy, invece,
sconsideratamente. Persino, quasi con disperazione. « Tu sei stato solo
quello che si è lasciato ingannare dai sorrisi! Dagli sguardi! Per questo lei è
rimasta con te fino a questo punto! »
La sua
espressione si deformò, spaccandosi come quello che si era appena spaccato
dentro di lui. In frantumi, un senso agghiacciante di frustrazione e cocente
vendetta lo invase. E gli occhi gli si dilatarono, mentre la fronte gli si
contrasse.
« Quando
guardava te, i suoi occhi non vedevano te! »
E il libro
che le dita tenevano a stento divenne improvvisamente impossibile da sostenere…
« Quando
guardava te, i suoi occhi vedevano- »
Uno screzio
acutissimo mozzò in gola la voce di Pansy.
Il libro
che aveva tenuto tra le dita vigeva sul pavimento, dopo avervi cozzato e aver
prodotto uno screzio che era echeggiato, breve, per le mura di pietra.
La sua mano
restava ancora mezza sollevata. Stretta in una morsa brutale che ne sbiancava
le nocche e ne faceva tremare le ossa.
PansyParkinson, invece, restava in
piedi, pietrificata e ammutolita, di fronte allo sguardo incredibile di
un ragazzo che conosceva da anni e di cui sino a pochi giorni prima avrebbe
detto di conoscere ogni espressione come le sue tasche. Del resto, come non gli
aveva mai visto il sorriso che lui aveva rivolto a Hermione Granger, poco
prima, e per cui aveva voluto farlo pagare… non gli
aveva neanche mai visto lo sguardo con cui la fissava in quel momento.
Quel
rancore che serrava i denti, per far uscire non un grido… ma un singhiozzo
spezzato.
*** *** ***
Domenica 15
Dicembre. Ore 18.37
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.
Ginny
Weasley, abbandonata su una delle morbide poltrone di velluto rosso che troneggiavano
nella stanza, fissava il camino con bieche occhiate di profondo risentimento. Avendo
da molto rinunciato a lanciarle alla persona che le sedeva nella poltrona
vicina e minimamente le aveva dato retta, assorta nella lettura di un enorme
volume di Aritmazia.
Dopo alcuni
attimi riempiti solo dal rumore scoppiettante dei lapilli del fuoco, Ginny si
decise infine a mugugnare, tetramente:
« Ancora
non posso credere che tu sia andata con lui a Hogsmean,
Hermione… »
Sollevò gli
occhi arzilli su di lei, guardandola con un’innocenza disarmante.
« Come? »
Le chiese, inarcando le sopracciglia limpidamente.
« Niente.
» Borbottò Ginny, sprofondando mollemente nella poltrona. « Ho detto che non
posso credere che inizino le vacanze. »
« Vero? »
Assentì con aria corrucciata, chiudendo con contrarietà il libro di Aritmazia. « Anche secondo me
è troppo presto. »
In effetti,
avevano fatto davvero pochi compiti. Pochi test. Trovava persino più opportuno
che per il settimo anno venissero abolite tutte le
vacanze.
Sarebbe
stato senz’altro più funzionale.
Vide Ginny
mettersi una mano sulla fronte, scuotendola con rassegnata esasperazione.
« Io
intendevo che sono felice che siano iniziate. »
« Oh. »
Esclamò, sorpresa e in qualche modo risentita.
« Va
beh, comunque martedì facciamo la festa per l’inizio delle vacanze. » La
incalzò Ginny con un po’ d’indolenza. « Ci vieni, no? »
In uno
slancio istintivo di trepida disapprovazione per il sovvertimento delle regole
per mere ragioni di ricreazione comune, si frenò appena prima di aprire la
bocca. Riafflosciatasi cupamente sulla sedia, in
preda al tormento che le recava aver voluto partecipare ad una festa sovversiva
– vedi, quella per la vittoria di Serpeverde – troncò la disapprovazione, offesa
con se stessa per non essersi permessa di mantenersi una studentessa onesta.
Rispose con
un sommessissimo e profondissimo:
« …
si. »
Ginny inarcò
un sopracciglio, più soddisfatta.
« Bene. »
Disse quindi, ritirandosi un po’ su sulla sedia, con qualche più vigoroso
sospiro. « Sarà una bella festa, vedrai, ti divertirai. »
Oh beh, allora
erano a posto!
Fissava
ombrosa il fuoco scoppiante cercando una punizione abbastanza cruenta per il
suo comportamento orribilmente irresponsabile. L’idea che si sarebbe divertita
partecipando ad una festa che per la sua più aurea quintessenza violava una tra
le più importanti regole di comportamento di Hogwarts non sapeva certo
consolarla!
Maledetta Festa di Serpeverde!
Come le era
venuto in mente di andarci?!
Ah già, Draco mi aveva invitata…
… ehi, un momento…
Un’idea che
le sembrò subito incredibilmente geniale
le attraversò il cervello e le schiarì il viso cupo in un’espressione
folgorata.
« Senti,
Ginny… » Esordì, persin sconcertata da se stessa
da siffatta grandezza di pensiero.
Ginny si
girò verso di lei, tranquilla.
« Cosa? »
« Posso
portare Draco alla festa? »
« Prego? » Proruppe Ginny assottigliando
lo sguardo su di lei con minaccioso sconcerto.
« Beh,
ecco… lui mi aveva invitato alla festa di Serpeverde, quindi… » Cercò di
dire, esitante, con gli occhi che restavano speranzosamente riflessi in quelli
dell’amica.
Lasciò le
parole sospese, fiduciosa del fatto che Ginny avrebbe infine compreso la sua
buona fede. Infondo era solo una festa. E lui l’aveva invitata a quella di
Serpeverde. Senza contare che, pur in una maniera alquanto atipica, Draco aveva
avuto verso di lei qualche sorta di premura.
Non è che fosse in debito, o che volesse ricambiare. Era una specie di
definitivo accordo di tregua.
Una specie di suggello di amicizia?
Nel
pensarlo le venne in mente un sorriso.
Era quello
che erano diventati.
Qualcosa di
molto simile a quello, comunque. E la cosa, impossibile un tempo, la rendeva
invece in quel momento molto felice.
Draco era
un cretino, d’accordo. Ma anche Ron era un cretino.
E non
significava che li stesse mettendo sullo stesso piano.
Non li stava tanto meno paragonando. Il modo in cui Ron le
era stato amico… il modo in cui Ron le era amico, era un modo che non cercava in nessun altro e non aveva
mai neanche visto riflesso in Draco. Quando guardava Draco, a dire il vero,
vedeva sempre un tipo di cretino molto differente da Ron.
Per quanto
intensamente cretino allo stesso modo.
« Dimmi
che stai scherzando, Hermione. » Riprese Ginny, criptica e perentoria nel
tono di voce cadaverico.
Deglutì,
nascondendosi inconsciamente dietro il libro di Aritmazia
e osando ammettere, con voce fioca:
« …
ehm… no… »
Vide Ginny
socchiudere le palpebre e trarre un profondo sospiro per mantenersi calma. L’espediente
riuscì. Se non forse per i tremiti scomposti che cominciarono scuoterla ad
intermittenza facendola pensare che sarebbe rimasta ferrea e nauseata in una
disapprovazione granitica. Esordendo in un “no”, secco, a cui,
infondo, era pronta anche a rimettersi.
Al
contrario, in nome della loro amicizia, Ginny Weasley e i suoi principi morali
capitolarono dopo quindici secondi esatti.
Con una
sofferenza che le segnava il pallido viso e le contorceva lo stomaco in nodi
allucinanti. Che le faceva salire conati di vomito lungo la trachea – e c’è da notare che generalmente passano dall’esofago, il ché
dava l’idea di quanto tutti il suo apparato digestivo potesse non digerire la
cosa - Ginny esordì con voce strozzata:
« Se… »
« Si? »
Saltò su, guardandola con un gran sorriso.
Intuì il
conato di vomito brontolare nella gola di Ginny all’arcuarsi del tutto
involontario della sua bocca, mentre quasi soffocandosi nel dirlo l’amica
soffiava tra i denti:
« Se, per esempio, si togliesse dalla
faccia quella sua insopportabile aria superiore… »
Facile.
Potrei trasfigurare la sua faccia.
« Se non mostrasse troppo le sue insane
passioni per ciò che riguarda i Serpeverde… »
Mh,
già più difficile.
Ed era
mezza sicura che quando lui si sarebbe messo a
discutere sul fatto che gli unicorni facevano schifo e i serpenti erano belli –
argomento che nel suo immaginario sarebbe senz’altro saltato fuori – non
avrebbe potuto addurre come scusa che non è scientificamente provato che i
serpenti sono una passione ineluttabilmente legata ai Serpeverde.
Però potrei sempre tirargli un calcio sugli
stinchi.
Certo,
quello sicuramente avrebbe spostato l’argomento su altro.
« Se non mostrasse troppo di essere Serpeverde… » Continuava
Ginny, impallidendo attimo per attimo.
Ahia. Altro
difficile problema.
Trasfigurare
i suoi vestiti non sarebbe stato sufficiente. E non avrebbe potuto tirargli un
calcio sugli stinchi perché non sarebbe cambiato nulla.
Però una
gomitata nello stomaco magari avrebbe fatto la differenza.
« Se, insomma, potesse riuscire ad essere
meno se stesso … »
E qui non
gli venne in mente nessun espediente violento o pacifico per ovviare al
problema.
Del resto,
nel tentativo di non svenire dalla vergogna e dal senso di colpa per il tradimento
che sentiva stesse compiendo nei confronti di tutti i suoi più alti ideali, Ginny
terminò, in un sospiro pesantissimo:
« … forse… potrebbe venire. »
E la gioia
fu così immensa che, quasi luminescente,
saltò giù dalla sedia incurante di tutto. Vibrante dall’eccitazione. Stringendo
tra le proprie le mani fredde e pallide di Ginny.
« Grazie! Grazie!
» Gridò, estatica, prima di correre via.
Spezzato il
respiro a metà gola, Ginny osservò sconvolta le sue mani. Poi, ancor più
atterrita, il libro di Aritmazia rivoltato indignitosamente per terra, con tutte le pagine spiegazzate
che nell’euforia non si era accorta
di aver fatto cadere.
Tornò però indietro
appena pochi attimi dopo, con aria corrucciata. Si chinò sul libro. Lo chiuse.
Ne appiattì molto bene tutte le pagine. E solo dopo
averlo deposto con infinita cura sul
divanetto, ritornò sui suoi estatici passi.
E Ginny
Weasley tornò gloriosamente a respirare.
Sicura,
almeno, di una cosa: che Hermione Granger restava e con ogni probabilmente
sarebbe restata, sempre e comunque, Hermione Granger.
Ma la
verità era che felice, Hermione, lo era tornata come non lo era tanto…
Nello
svoltare, frettolosa ed eccitata, l’angolo dell’ennesimo corridoio si trovò di
fronte niente meno che Draco Malfoy.
I loro
sguardi si incrociarono da lontano.
Il suo si illuminò.
Quello di
lui si contrasse. Ma Hermione non lo vide, come non vide quanto crudamente la guardava mentre si avvicinava.
… era
talmente contenta che non lo vide.
E lo
salutò, piena di spensieratezza:
« Draco!
Ciao! »
Per la
troppa foga, incappò anche nell’unica pietra messa male di tutti i pavimenti di
Hogwarts e cadde carponi a terra, sbattendo le ginocchia sul pavimento.
Ahia!
Si rialzò
faticosamente, mettendo le mani sulle gambe e facendo una smorfia nel sentire
le ossa doloranti.
Ma nella
sua testa non cambiò nulla.
E quando la
risollevò – pur più contrariata – aveva ancora l’espressione di una persona che
ha tanto di quello che avrebbe voluto avere. Che è
felice di tante delle cose che le erano capitate.
… che una
di quelle cose, infondo, ce l’ha davanti…
Nel gelo
che l’accolse, nello sguardo vitreo di Draco, rimase imprigionata e, subito,
ferita.
« Non
chiamarmi più col mio nome. » Masticò il ragazzo, con gli occhi assottigliati,
pulsante dalla rabbia. L’espressione le si infranse
addosso. « Stammi lontana. » Ringhiò gelido, ancora, il Serpeverde,
fissandola con un astio profondo. Con le mani che gli tremavano. « Non
voglio più avere niente a che fare con te. Mai più, mi hai capito? »
Cosa…?
Non fece in
tempo a riprendersi che Draco le aveva già dato le spalle.
Cosa aveva
detto? Cosa era successo?
Lo seguì
ammutolita, solo con lo sguardo.
Non poté
obiettare, contrastarlo, fermarlo. Non poté nemmeno muoversi per qualche
attimo. Nella mente, solo il vuoto. Nella gola, solo un respiro che faticava a
deglutire. Negli occhi, solo un’angoscia improvvisa. Ma dentro di sé nessuna
domanda.
Non se ne
fece.
E neanche
dopo ore cercò un senso a niente… perché l’aveva guardata in una maniera che
non lasciava spazio a niente. Uno sguardo diverso da qualsiasi le avesse mai
rivolto.
Un rancore
vero.
Che aveva radici
molto più profonde di quello generato dall’illusione
di una nobiltà di sangue mancata…
E mentre
dentro di sé sapeva che quella era la fine di qualsiasi cosa ci fosse stata, si
sentì per un attimo come se gli occhi le si sarebbero
riempiti di pianto…
*** *** ***
Lunedì 16 Dicembre.
Ore 10.37
Hogwarts. Ingresso.
Certo, non
dover dire a Dean che aveva permesso a Hermione di
invitare Draco alla festa dei Grifondoro l’aveva fatta sentire molto meglio.
Sul momento,
anzi, non le era importata una bella cippa che Dean l’avesse fermata ancora prima
di iniziare a rotolarsi per terra supplicandolo di perdonarla, dicendole che
Hermione lo mandava a dire che per la festa non se ne faceva niente. Aveva
chiesto, ammutolita, il perché. Dean, altrettanto
ammutolito, aveva detto che aveva visti incrociarsi Hermione e Draco e gli era
sembrato che la temperatura fosse scesa molto sotto lo zero assoluto.
Scioccata,
l’ombra di un sorriso si era impadronita del suo viso.
Avevano
litigato?
Tanto meglio!
Non è che
smaniava all’idea di trovarsi accidentalmente di fronte Draco Malfoy ad una
festa dove si supponeva non ci fosse nessuno a cui
voler spaccare la faccia. Certo, a Lavanda e Calì un
bello schiaffone ogni tanto le veniva di darlo, ma da lì a risvegliare seri
istinti sanguinari, pieni di squartamenti e cruente lapidazioni c’era un passo
piuttosto lungo.
Beh, oddio… forse non così lungo, infondo.
Ma comunque
se si parlava di Malfoy, nello specifico, lo diventava! Ed era stata veramente
contenta di sapere che il pericolo di vederlo alla festa era stato scongiurato – anche se poi un improvvisa lettera mandata da
Mamma Weasley l’aveva rivoluta a casa giusto per quel giorno, e quindi buona
notte e suonatori alla festa di Grifondoro. E, parliamoci molto chiaramente,
quando Neville, quella mattina a colazione, aveva detto che credeva che le cose
tra Hermione e Draco fossero andate male, il ché – nessuno pareva ricordarselo
– era come erano andate esattamente per sei anni, aveva ringraziato il cielo in
olandese perché aveva esaudito le sue preghiere!
Mai avrebbe
sperato in qualcosa di meglio, ecco.
E comunque
qualcosa di meglio era perfino successo!
La cara Narcissa Malfoy, che per quel che le riguardava avrebbe
dovuto seguire il marito in qualche posto poco meritevole, aveva fatto recapitare
al figlio le stesse sollecitazioni della sua. Tralasciando l’avversione
intestinale che gli mettevano quelle coincidenze che in qualche modo li
accomunavano. Tralasciando la repulsione convulsa con cui per un attimo aveva
ringraziato quell’arpia con una qual certa reverente gratitudine. Tralasciando
tutto il resto, insomma si era preparata a partire in fretta e furia pensando
che tutto sarebbe tornato alla normalità.
E per
l’Hermione che non aveva visto dal giorno prima
riteneva che il modo migliore per iniziare quel periodo di catarsi fosse
vedersi strappata dal fianco la spina fastidiosa di quello che credeva di poter
chiamare, nuovamente, con assoluto, incredibile, appagante e inimmaginabile
orgoglio, la persona che sulla faccia della terra avrebbe avuto meno rapporti
amichevoli al mondo con lei e le persone a lei care.
Draco Malfoy, i tuoi giorni di gloria sono finiti!
Si, era
questo che aveva pensato.
Quando però
era scesa all’ingresso di Hogwarts, trascinandosi dietro le valigie, e l’aveva
visto accidentalmente incappare in Hermione e cercare di scansarla, pur non
riuscendoci, le era parso che l’espressione di Draco fosse di un gelo innaturale.
Che, infondo,
lo ammetteva, aveva comunque sorpreso anche lei.
Ma di Draco
se n’era subito fregata.
Quella che
aveva fatto crollare tutte le sue speranze era stata invece Hermione…
« Draco,
senti… » L’aveva sentita esordire, con una voce che le era sembrata subito
un po’ meno vivace del solito.
Aveva visto
Malfoy ritrarsi brusco, dando le spalle a lei, che guardava.
« Ti
ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te. » L’aveva
sentito soffiare tra i denti, con un tono di un’asprezza corrosiva. « Non
farmelo più ripetere, Mezzosangue. »
Ehi, ma che diavolo gli prende?!
L’aveva
pensato.
Quasi in un
moto contrariato, quasi pensando – pur non volendo accettarlo – che si era
abituata che le cose non andassero più in quel modo. E si era offesa, forse,
non perché lui avesse parlato tanto male, ma perché lui non le avesse più
parlato bene.
Ma anche di
quello se n’era poi dimenticata.
Perché nel
ritrarsi di Hermione, dandole modo di vederla in viso, un’immagine
terribilmente evocativa si era sovrapposta quasi perfettamente a quello che
vedeva.
Lo scambio
di battute che era seguito, l’aveva poi raggelata.
« Io… »
Aveva detto nervosa e incerta Hermione. « Io… ecco… ti volevo dare questo. »
E aveva
tirato fuori un pacchetto.
Un regalo,
ne era sicura. Da come Hermione l’aveva guardato. Da come l’aveva tenuto. Da
come gliel’avrebbe dato, sa solo lui avesse voluto prenderlo. E, certo, un moto
di incredibile disapprovazione l’aveva travolta alla sola idea che Hermione avesse speso una sola falce per quell’idiota. Ma a farla
star male non era stato quello…
Draco aveva
lanciato uno sguardo tagliente all’oggetto.
E poi uno brutale a Hermione.
Secco, quasi
fremente, aveva sibilato:
« Non lo voglio. »
Era stato
solo un attimo, solo uno, ma le era parso che lui
stesse per sollevare un braccio tremante, e colpire Hermione. Si era scoperta
avanti di un passo, preoccupata. Ma se avrebbe colpito lui per aver colpito la
sua migliore amica, o sostenuto la sua migliore amica per essere stata colpita
da lui quello in quel momento aveva capito di non saperlo.
E la
differenza era sottile, ma c’era.
Quello che
invece era certa di sapere, era che l’espressione un po’ sofferente di
Hermione, ferita a quelle risposte, l’aveva colpita in una maniera che quasi
aveva fatto soffrire anche lei.
« Allora… ehm…
te lo lascio qui. » Aveva mormorato Hermione, con
un tono di voce sempre molto fievole.
« Fa
come diavolo ti pare. » Aveva sentenziato Malfoy, impenetrabile.
Impassibile. « E ora puoi anche andartene. »
E non aveva
aspettato che Hermione rispondesse qualcosa per fare i primi gradini verso
l’esterno. Ma fu certa che Draco avesse sentito l’amica quando
questa, da lontano, con una nota nostalgica terribilmente bassa, gli aveva
mormorato:
« Buon
Natale. »
E lui a
quel punto forse l’avrebbe picchiata davvero.
Forse a
quel punto uno schiaffo furente, vibrante, gliel’avrebbe impresso in viso come
si imprime un marchio, col fuoco.
Perciò era
stata contenta che Malfoy se ne fosse poi, invece, andato, ignorando con
sprezzo il regalo lasciato per terra.
Era stata
contenta e non aveva perso un secondo per raggiungere Hermione, che era tornata
all’interno della scuola.
L’aveva chiamata.
Hermione si
era fermata. Si era girata. E l’aveva aspettata qualche metro più avanti.
Avvicinarsi
non era stata una buona idea.
Hermione
sorrideva. Non era un bel sorriso. Ed eppure per quanto poco bello, per quanto
stanco, la smorfia tra le due la fece lei.
« Auguri
per la partenza. » Le aveva detto l’amica, sinceramente.
Tanto
sinceramente da rendere la sua smorfia ancora più contratta e i suoi occhi,
nell’osservarla, ancora più preoccupati.
« Già,
la mamma ha chiamato all’improvviso. » Aveva risposto, inventando una risatina
che era risultata priva di qualsiasi genere di allegria. « Quindi niente festa o cose così, solo a Natale dalla famiglia. »
Hermione le
aveva sorriso ancora, dicendo:
« A Dean sarà dispiaciuto. »
E lei si
era stretta nelle spalle, scostando lo sguardo da un’altra parte.
Cercò di
trovare il coraggio di chiederle perché Draco avesse cambiato così
improvvisamente umore, ma sapeva che avrebbe dovuto anche trovare il coraggio,
poi, di guardarla negli occhi quando le avrebbe risposto.
E quello
non l’avrebbe avuto.
Allora, pur
sentendo un peso sul cuore all’idea di lasciarla, l’aveva salutata:
« Allora
adesso io vado. »
Hermione
aveva annuito, salutandola a sua volta.
L’aveva chiamata solo pochi attimi dopo, quando già lei le aveva
voltato le spalle.
« Ah,
Ginny? »
« …si? » Le aveva chiesto, girandosi con fatica verso di
lei, temendo che accadesse qualcosa di brutto. Come se davvero potesse
succedere. Come se davvero quell’immagine che non le aveva lasciato la mente e
si era confusa con la realtà potesse essere un
presagio terribile.
Quello che
invece Hermione le aveva detto le aveva dato speranza…
« Salutami
Ron e Harry. »
L’aveva
detto dolcemente.
E in quel
momento lei era lì, a guardare Hermione Granger che nonostante tutto aveva
superato una crisi terribile. Che ne era uscita. Che sapeva ancora prendersi
cura delle cose importanti e considerare tutto importante.
Ma comunque
non riuscì a sorridere quando le garantì, con una
convinzione che risultò quasi grave:
« Senz’altro. »
Perché per
quanto avesse capito che si trattasse di una situazione differente, aveva comunque
sperato che non ci sarebbe più stati quei giorni. Quelli in cui Hermione era un
solo pallido esempio di sé. Certo, non così pallido come dopo quell’estate. No,
certo che no… ma anche se era sciupata solo un po’, sapeva che quando sarebbe
tornata dalle vacanze Hermione avrebbe avuto gli occhi incassati nelle cavità
oculari. Delle borse bluastre sotto di essi. L’aspetto
di una persona abituata ad essere stanca e triste.
Hermione,
che di energie ne aveva sempre avute. Che aveva una tempra morale e una fibra
indistruttibile. Un orgoglio incancellabile.
Stanca.
No… non
sarebbe sembrata più lei.
E tutto per colpa di Malfoy…
L’espressione
le si indurì, ritornando al pensiero di lui che così
tranquillamente cambiava umore, che così tranquillamente distruggeva Hermione.
E, si, le faceva rabbia.
Avrebbe
voluto che lui non fosse mai entrato nella vita
dell’amica. E un paio di settimane prima avrebbe anche fatto di tutto per farlo
uscire. Ma dentro di sé, giunti a quel punto, sperò che le cose si sistemassero.
Che lui si voltasse, tornasse indietro, che non la
guardasse più in quella maniera orribile. La
disturbava l’idea di pensarlo! La disturbava terribilmente! La disturbava
l’idea di dover rischiare di nuovo la sua sanità mentale e calpestare ogni suoi più alto principio morale per dire a Dean di aver lasciato che Hermione portasse Draco ad una
delle loro feste!
Ma
l’avrebbe fatto.
Per Hermione,
giunti a quel punto, l’avrebbe fatto.
Perché a
quel punto le cose non stavano come aveva sperato. Non stavano che Hermione si fosse sobbarcata di una responsabilità che doveva portare
avanti e che stava portando avanti sino alle più radicali conseguenze. Non
stavano che a Hermione sarebbe passata in fretta. Non stavano che Hermione
avrebbe potuto trovare qualcun altro con cui passare il tempo, una volta che le
fosse passata.
Non che
“tanto era Draco Malfoy” e quindi non c’era niente da perdere con lui.
Né che una
persona simile non sarebbe mai potuto diventare importante per nessuno.
No.
Anzi…
.. stavano
che Hermione aveva di nuovo perso qualcuno che, importante,lo era già diventato…
*** *** ***
Lunedì 16 Dicembre.
Ore 10.37
Hogwarts. Sala Comune di Serpeverde.
Theodore Nott si girò dietro di sé con uno sguardo atterrito.
E lui,
Blaise Zabini, accolse la cosa come un fausto
presagio.
« Che
c’è? » Gli chiese, con infinita tranquillità.
Prima di
rispondere, Theodore sprofondò, teso come la corsa di un violino, nella
poltrona accanto a lui, e trasse un paio di profondissimi sospiri, con gli
occhi che fissavano il pavimento pieni di solenne
angoscia.
Rettifico.
“Fausto”
non era sufficiente. Miracoloso era
decisamente più appropriato per definire quel presagio.
I due
profondissimi sospiri nel vocabolario di Theodore erano di rito per le
catastrofi. E per quanto bene si fossero messe le cose il
giorno prima, con l’improvvisa intrattabilità di Draco, non aveva
neanche sperato che potessero mettersi tanto
bene da guadagnare i due chimerici sospiri.
« L’ha
trattata malissimo. » Disse infine Theodore, prostrato, con lo sguardo
vacuo e sgomento.
« Chi ha trattato chi? » Domandò con falsissima innocenza, trattenendo il senso
infinito di compiacimento nel veder Theodore vibrare, davanti a lui, appena
prima di esplodere, zampillante
d’angoscia:
« Draco
e Hermione Granger, Blaise! »
Ah, quanto
era servito annoiarsi per ben sei anni, solo in attesa
di quell’ultimo settimo! Quanto!
« Beh,
si sono sempre odiati, no? » Specificò, con l’abituale flemma, scotendo
lentamente il capo. « Mi sembra più che normale. »
Guardando
l’espressione di Theodore corrucciarsi vividamente, in un trasporto altruistico
di immense proporzioni, con insito all’interno un rimprovero di straordinarie
potenzialità paradigmatiche, la sua espressione rimase come rapita da
quell’assoluto e limpido sgomento.
Quanto
meritava l’ingenuità di Theodore?
« Piantala!
Lo sai benissimo che le cose erano cambiate
nell’ultimo periodo… Era questo quello che intendevi dicendomi di guardare in
prospettiva, no? » Si oppose quasi in un bisticcio di parole il compagno,
con le sopracciglia tanto aggrottante da fargli certamente male. « Pensavi
che lui e la Granger
potessero andare d’accordo! Ecco! »
Si portò
una mano davanti al viso, dietro alla quale nascose il sorriso arcuatosi in una
smorfia subdola e incredibilmente cinica.
10 e lode.
Ecco quanto meritava l’ingenuità di Theodore.
Non meno. Mai meno.
Semplicemente, il massimo su qualsiasi scala.
Un ragazzo che pensava che la massima prospettiva per Draco Malfoy ed
Hermione
Granger fosse l’andare d’accordo e lo affermava con tanta convinzione e
trasporto – ed era tanta, meravigliosamente
tanta – meritava persino la lode.
Ci volevano
più persone come Theodore al mondo.
Per il suo
divertimento, personalmente, ne bastava uno. Ma in uno slancio particolarmente
altruistico pensò che avrebbe potuto elargirne almeno uno a tutti i suoi
parenti nel massimo nome dell’affetto famigliare. Uno a ciascuno. Da spupazzare. Irridire. Umiliare. E
da cui farsi comunque riverire.
E poi, una
volta stufatisi, da fare a pezzi arto dopo arto.
Già,
sarebbe stato altresì buono che per ognuno di quei “Theodore” ci fosse una
famiglia abbastanza ricca da poter pagare una bella lapide per i figli.
Che
certamente sarebbero morti presto.
Magari
raggomitolandosi a terra in contorsioni e sofferenze sconosciute. Giacché erano
talmente generosi che probabilmente vi si sarebbero prestati prima di morire. Si
sarebbero spenti pietosamente. Nel tormento della loro coscienza. Magari
affannandosi persino a perdonare i loro carnefici. E perciò una bella lapide
era doverosa, perché in tutta quella vita di sacrifici e tormenti sarebbe stata
l’unica prova della loro bontà e l’unico – e per l’altro non godibile – merito
che avrebbero ricevuto.
E poi, come
tutti gli altri, buoni o cattivi, sarebbero diventati solo cibo per i vermi.
« Mi
stai ascoltando o no? » Lo riprese in ansia Theodore, con gli occhi
stravolti dal senso incalzante dei problemi, delle tragedie, della sofferenza
altrui. E di tutto quello che c’era di doloroso nel mondo.
Il sorriso
gli tornò. Più tranquillo e ilare.
Scacciò con
entusiasmo il cinismo e il realismo. E scacciò anche l’altruismo. Che delle
loro noie, delle loro lapidi e dei loro giocattoli se ne occupassero
gli altri. Parenti o non parenti. Che il mondo decadesse
o marcisse come meglio credeva.
Lui, il suo
Theodore ce l’aveva.
Ed era
anche convinto che con ogni probabilità non si sarebbe mai stufato di lui.
« Sì,
sì. » Gli rispose, blando, fintamente accondiscendente nel tono e nello
sguardo sottile. Intenzionato con gioia a proseguire quella conversazione fino
in fondo. E a lasciare fuori dalla mente la realtà
quanto più possibile. « Ti sto ascoltando. Ed è proprio come dici tu.
»
« Eh! »
Esclamò teso Theodore, indicando in un gesto quasi isterico la finestra della
sala comune. « Però adesso lui non la vuole più vedere! L’ho visto proprio
un attimo fa che le diceva di andarsene! »
Incrociò le
braccia sul petto, caricando di criptica serietà lo sguardo.
« La
cosa può significare solo una cosa. » Replicò, fissando Theodore profondamente
negli occhi.
Quegli
lesse in quella profondità una solennità e una gravità che lo fecero
impallidire.
« Cioè? »
Chiese il Serpeverde, quasi sgomento all’idea che potessero presagire qualcosa
di veramente drammatico.
« Che
tu li hai spiati dalla finestra. » Concluse, invece, lui, pacato. Fissandolo
placido.
« Oh,
Blaise! » Sbottò Theodore con sfibrata durezza. Ma subito sciogliendosi in
una più rimproverante ed esasperata contrarietà: « Vuoi essere serio per una volta! »
Gli rivolse
uno sguardo straordinariamente ed eccezionalmente irritante. E schioccò, inarcando
le sopracciglia con lenta e suadente precisione:
« Ma io
sono sempre serio. »
Theodore lo
guardò quasi affranto, riprendendolo ancora, impazientemente – e in realtà con
una pazienza spropositata:
« Blaise! »
Ma lui non
faceva che sorridere. Ridere, quasi.
Perché
poteva sopportare tutto con la più autentica impenetrabilità. Tutto. Ma non Theodore che per l’ennesima,
la centesima, la millesima volta, credeva, ciecamente, nella sua più assoluta
partecipazione. Non l’innocenza con cui Theodore lo trattava come se non fosse
il guerrafondaio che scatenava la guerra per cui lui
cercava sempre una soluzione.
Tutto,
veramente. Ma non quello.
Per cui
alle volte si dimenticava persino del copione da seguire.
« Draco
Malfoy non abbandonerà mai Hermione Granger. »
Disse, traendo un sospiro e guardando Theodore in un modo che parve tranquillo
e non eccessivamente studiato.
La realtà
era che non esisteva sguardo più studiato di quello che non appariva
eccessivamente studiato. Ma del resto questo lo sapevano lui e la coscienza che
aveva bruciato anni prima proprio in cambio di quella brillante intelligenza
con cui così facilmente sapeva indurre gli altri a offrirgli svaghi nella vita
monotona di Hogwarts.
Theodore,
per parte sua – rischiando di farlo sorride un’altra volta allo scoccargli del
tutto inutile di uno sguardo sospettoso – domandò, con aria guardinga:
« E… e
come fai ad esserne così sicuro? »
Decise di
ignorare il modo assolutamente ridicolo con cui il compagno gli chiedeva,
infondo fiducioso del suo giudizio, seppur diffidente della sua persona, di
qualcosa per cui lui si preoccupava solo come fonte costante
di divertimento. E che d’altro canto in quel momento occupava tutto l’essere
convulsamente partecipe di Theodore.
« Pansy avrà graffiato un nervo scoperto, no? » Spiegò,
tranquillamente. Quasi svogliatamente sul finire della frase. Perché a parlare di cose ovvio ci si annoia con una rapidità impressionante.
E quello
era ovvio. Anzi, scientifico.
Era
scientifico che le gatte morte graffino e gli esseri
umani sciocchi e stupidi si facciano graffiare. E se Theodore non fosse stato
intento ad ascoltare, a pendere dalle sue labbra per cercare conforto
e speranza in una situazione per lui irrisolvibile, si sarebbe forse
accorto di quanto profondamente agghiaccianti fossero gli occhi e le smorfie di
Blaise quando il cinismo e il realismo nel pensare agli esseri umani riempivano
la sua espressione di raggelante freddezza…
« Ma
Draco infondo sa quanto Hermione Granger sia l’unica
che può farlo stare veramente bene. » Riprese del resto con una più
soffice espressione di superiore finezza, tornando a parlare del mondo dei suoi
giochi. Più bello. Più vario. Più colorato. « E’ piuttosto ottuso… » Aggiunse,
in un sorriso particolarmente ilare nel riflette su
quanto Draco fosse, effettivamente, ottuso. « … ma questo infondo lo sa
benissimo. »
Theodore
inarcò un sopracciglio, perplesso.
« … e
allora perché ha rifiutato il suo regalo? » Domandò, non capendo.
Blaise
allargò il sorriso, appollaiandosi sulla sedia con maggior distensione. E con
un’enigmatica ma ridente, e assolutamente compiaciuto espressione sul viso,
ribatté, in tono fintamente interrogativo:
« L’ha
rifiutato? »
« Che
vuoi dire? » Chiese Theodore, ritraendosi sulla sedia in un attimo di pura
confusione.
Mentre, spronato
dal dubbio e dallo sguardo ironico che gli veniva
rivolto, il compagno si affacciava alla finestra che dava sul cortile, Blaise Zabini ampliava il sorriso sul suo viso.
E Theodore Nott vedeva che il regalo “lasciato” in realtà non c’era più…
« Voglio
dire che un graffio non può cancellare quello che ti dà il calore umano. »
Avrei voluto farvelo come regalo di Natale, che sia come regalo di Buon
Anno Nuovo
Avrei voluto farvelo come regalo di Natale, che sia
come regalo di Buon Anno Nuovo.
Vi risparmio le solite scuse/raccomandazioni e salto
subito, velocemente, a dirvi la cosa più importante (prima di torturarmi con il
libro di diritto pubblico e le norme del codice civile): io apprezzo davvero
molto le persone che continuano a seguire questa storia nonostante la lunghezza
infinita degli aggiornamenti, e apprezzo chi trova la forza di lasciarmi un
commento, una recensione, nonostante le speranze di vedere un nuovo capitolo
propendano in modo consistente verso la dissoluzione totale.
E’ per queste persone così fiduciose e così assidue
che ho anche detto che finirò questa fanfiction, dovesse essere l’ultima cosa che faccio; è per loro che
anche questa volta ho messo da parte il resto degli impegni e mi sono messa a
finire questo infinito capitolo. Non
solo perché un anno è davvero un po’ troppo da lasciarvi in sospeso, ma soprattutto
perché se una storia è desiderata… beh, viene anche il desiderio di scriverla,
sapete?
Per questo ringrazio (come non facevo da troppo) in
particolar modo…
Mikkiti chiamerò l’intramontabile, posso? Vorrebbe essere
un complimento, davvero… anzi, vorrebbe essere proprio
un ringraziamento incondizionato. Credo che dacché esiste DHO esisti tu a
recensirlo… e come lo recensisci? Non
so come riesci sempre a trovare un aggettivo diverso per dirmi quanto apprezzi me e la mia fanfiction… E per me il tuo apprezzamento è un po’ come una
garanzia: se tu, che mi segui tanto assiduamente, riesci ancora ad
appassionarti allora vuol dire che ha un senso continuare non solo DHO, ma
anche tutti quei progetti che ho in testa come “scrittrice”. Ho sempre molta paura
di non essere più in grado di trasmettere le giuste emozioni, di non riuscire a
scrivere nel modo migliore per far sì che prendano intensità nella testa di chi
legge… e certe volte mi sembra di non riuscirci più… ma anche considerando
questo, lo sai, questa storia avrà una fine. Ci sono parecchi punti che vanno
ancora sbrogliati: quando leggerai questo capitolo (e spero davvero, davvero,
davvero tanto che lo leggerai e mi dirai cosa ne pensi) capirai che uno è già
andato, e forse era lo scoglio più grosso. Ma manca la questione Ron. Manca la
questione Harry. E manca la questione ancora tutta da imbastire su come da
un’amicizia si crea un amore. Perché non è mai stato un segreto che questa sarà
la conclusione: Hermione e Draco insieme, dopo un percorso che non sembri
campato per aria… in fondo, è un po’ come voler dare loro una base solida per
avere una relazione solida. Insomma, vedi quanto sono sentimentale?! E’ che voglio a entrambi bene! E ne voglio anche a te,
davvero. Ancora grazie. Davvero grazie.
Mearmindesterrefatta
per DHO? Formidabile come scrivo? Personaggi completamente identici agli
originali? E tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti complimenti a me?! Ma tu mi vuoi far piangere!! Sei
stata generosissima nel coprirmi di elogi, e mi spiace davvero che dopo esserti
letta tutta la fanfiction non abbia potuto leggere questo capitolo prima di adesso (ammesso che lo leggerai,
considerando che sono passati… 10 mesi – che vergogna) Comunque ci hai proprio
azzeccato: quando il regalo di Draco viene scartato è un momento clou per tutta
la storia. Si può dire che è il consapevole
inizio della storia, addirittura. Spero in un commento, ma ti ringrazio tanto
già solo per il precedente!
Melchan grandissima!! E’ pura commozione quella che ho provato nel leggere che ti stai appassionando al rapporto che stanno
avendo Draco e Hermione in questi ultimi capitoli. E’ ovvio che una persona che
voglia solamente vederli insieme a baciarsi
appassionatamente e superare ogni ostacolo nel nome del loro amore non segue la
mia fanfiction… però, da qui a seguire una storia che
strascica in modo così lento e forse esasperante il loro rapporto ce ne passa.
Io poi sono come te: amo esattamente come sono, in ogni capitolo, anche se mi
rendo conto che sono sempre differenti. E amo anche letteralmente scrivere
delle piccole cose a cui Hermione arriva tipicamente
cinque capitoli prima di Draco (capirai cosa intendo quando avrai finito di
leggere questo capitolo). Arrivare, dopo un centinaio di interminabili pagine a
concludere un aspetto lasciato aperto … sentire che ogni piccolo tassello si
sta incastrando in un quadro più ampio in cui Hermione e Draco sono davvero
protagonista e davvero stringono un legame che mi sembra quasi concreto, è
un’emozione senza pari. Capisci cosa intendo? Da quello che mi scriviso che è così. In attesa di una tua recensione, ti mando un grande bacio e
un grande “grazie”
Oh Merryluna, Merryluna! Neanche il tempo di scoprire la storia che già
subito te la pianto lì per 11 mesi senza un aggiornamento… sono proprio da
fustigare! Sei stata oltretutto gentilissima nella tua recensione. Sono rimasta
senza parole per quanti complimenti mi hai fatto! Solo su una cosa dissento:
Theodore! Io adoro Theodore, e nei
capitoli finali di questa fanfiction, oppure chissà quando
– ma spero che un giorno, sicuramente, accada – vedrai quanto sarà importante.
E non tanto per Draco e Hermione, quanto più per Blaise stesso. In fondo, anche
i burattinai sono esseri umani, no? E spero ci sarai quando
scriverò e posterò un particolare capitolo in cui avremo faccia a faccia Blaise
e Hermione: l’esito è un po’ in bilico, non trovi? Io
penso che ce ne saranno delle belle. Draco è decisamente immaturo! E lo resterà, dio piacendo, per tutta la fanfiction! Ha 17 anni, ed è un ragazzo! In più è sempre stato viziato… anche se come leggerai ha
avuto una bella batosta in quest’ultimo capitolo. Beh, comunque sono felice ti
faccia ridere ^^ rido un sacco anche io quando scrivo
di lui e dei suoi pensieri. Spero riderai sempre
tanto leggendo questa fanfiction (a parte nei momenti
toccanti, in cui se ridi vuol dire che ho fatto un cattivo lavoro!) Ah, e, per
ultimo, spero questo: che come hai provato una pugnalata tu stessa
quando Hermione è stata ferita da Draco, così spero che anche tu abbia
potuto provare quello che ha provato lei alla fine di questo capitolo. Non ti
anticipo niente perché non voglio rovinarti la lettura, ma spero davvero che
tu, dopo tanto male, l’abbia provato.
Marykotter ma come hai ragione!
Vorrei vivere solo per scrivere, guarda… niente maturità, niente università,
niente ragazzo… no, bugia: questo no! ^^ Però poter passare tutto il resto del
tempo a scrivere sarebbe come il paradiso per me. Peccato non si possa, eh eh. Stupendamente infinita, eh?
Con questo capitolo non avrai cambiato idea, mi sa, considerando che è il più
lungo che abbia mai scritto! Ma spero ti piacerà! Grazie mille per la
recensione!
Larya, primo commento poliglotta!
Fantastico: dà un senso di stima tutto particolare, sai? ^^ Sono contenta che
la fanfiction ti emozioni e che ti piaccia come
scrivo. Spero continuerà ad essere così!
Janetaddirittura un genio?! Ma no, dai! ^^ Solo un’umile scrittrice di fanfiction che è felicissima che la propria storia e il
proprio stile piacciano a tante persone così tanto. Grazie davvero!
Lady_Crystal e
Cassie chan… orca miseria!!
*_* la più bella fanfiction che avete mai letto su
Draco e Hermione?? Ehm… mai sentito parlare di Original Sin di Savannah? No, va
beh, a parte gli scherzi (e non sto parlando di Original
Sin – che è davvero un capolavoro)
siete carinissime. Spero che il modo di scrivere continui a piacervi:
sinceramente, molto spesso fatico a finire i capitoli temendo che sia caduto di
tono… spero di essere all’altezza della vostra fiducia, e che vi piaccia
comunque sempre.
White_tifacon
questo capitolo sarò riuscita a trasmetterti le emozioni che ti ho trasmesso
con i capitoli precedenti? Spero di si. Che quanto
meno riuscirai a leggerlo – dopo un anno chissà se ancora sarai nei paraggi!
Sarebbe bello se potessi vedere quanto il Draco che adori e l’Hermione che ti
piace, anche lei, tanto, abbiamo superato il secondo grande ostacolo che li
aspettava nella lunga strada che li condurrà sempre più vicini.
ClaheavenOh! Un’ammiratrice di Blaise!
Siamo in due, eh? ^^ Beh, io lo adoro anche perché so che ruolo avrà anche
d’ora in avanti e spero che tu sia curiosa di scoprirlo insieme a me. Anche
Theodore avrà un ruolo importante, sai? Ora, non vorrei mettere troppa carne al
fuoco ma ovviamente nella mia testa DHO è davvero una
storia infinita pertanto un’idea di
come potrebbe essere in un sequel fuori da Hogwarts
io ce l’avrei, e Theodore e Blaise non scomparirebbero affatto dalla scena.
Comunque, questa è un’altra storia. Sei stata la primissima ad aver commentato
il capitolo, e hai amato la mia Hermione. Anche solo per questo ti meriteresti
baci e ammirazione… essere tra i tuoi preferiti, è stato il colpo di grazia
alla commozione! Grazie!
Sally90 altra ammiratrice di Hermione! I tuoi complimenti
sulla completezza del personaggio di Hermione li accolgo col cuore, ma davvero
devo togliermi meriti: la Rowling secondo me non ha fatto un cattivo lavoro con lei… nel
senso che gli elementi c’erano tutti per renderla una personaggio fantastico.
Ma le è mancata la scena: qui è la protagonista che doveva diventare dal mio
punto di vista. Comunque, che agli occhi di chi legge la mia Hermione sappia
trasmettere fondamentalmente umanità, è una delle cose di cui vado più fiera.
Perciò ti ringrazio tanto. ^^
Shizukache è invece una seguace di
Blaise! (Grandissima!) E sono felicissima che ti sia piaciuta la parte su Pansy e Draco: è stato difficile scriverla, me lo ricordo…
figurati! Un trauma cercare di non far perdere a Draco la sua proverbiale
assurdità e indisponenza, ma soprattutto il suo
orgoglio di ferro, lasciando però intendere che qualcosa almeno inconsciamente
lo stava capendo. Un trauma, giuro. Questo capitolo che spero leggerai è stato
un altro trauma… risponderà alle aspettative? Spero me lo dirai… ma già essermi
guadagnata addirittura la “perfezione” per il capitolo precedente è stato
toccante. Ti ringrazio sul serio: troppo
buona, ma davvero molto apprezzata.
Ale… ehm… non ci ho messo 6 mesi,
hai visto? Ce ne ho messi 12!! Ragazzi, a me spiace, lo sapete – spero, almeno,
lo sappiate. Ce l’ho in ballo da due anni questa fanfiction
e la adoro con ogni fibra del mio essere, oltre al fatto che ce l’ho davvero
tutta in testa. Però lo vedete anche voi: questo capitolo doveva essere lungo
20 pagine ed è diventato lungo 30 pagine. Ridendo e scherzando, per una persona
che davvero riscrive i capitoli 15 volte prima che le vadano bene (e non sto
scherzando) pensate a quanto ho scritto… Vorrei avere 3 ore in più, in una giornata:
le userei tutte per scrivere DHO. Posso solo giurarvi che non la lascerò in
conclusa: se avrete la pazienza di seguirmi fino alla fine spero di premiare
l’attesa con una bella storia.
Sweet_puffola_pigmea. È
lusinga pura un paragone con Savannah, Ovviamente,
lei è su un livello inarrivabile per me – oltre al fatto che questo abbiamo due
stili molto differenti (almeno, considerando DHO) e ciononostante sono stata
davvero contenta del tuo interesse e del fatto che The Draco and Hermione’s Opera ti piaccia tanto. Io spero che continuerai
a seguirla e a dirmi cosa ne penserai… anche se gli aggiornamenti sono così
saltuari. Purtroppo quando non aggiorno non è perché non voglio, ma perché non
ho finito di scrivere/rileggere/riguardare il capitolo… per postare questo
capitolo, per esempio, per una settimana sono stata sveglia fino alle due per
trovare il tempo di mettere a posto quelle parti che non mi convincevano.
Perché è implicito, ovviamente, che pubblico solo quello che mi convince. E
comunque volevo sapessi che l’ho postato adesso per merito tuo. Sul serio:
leggere la tua recensione mi ha convinta a mettermi d’impegno – e rubare tempo
ad altro – perché davvero ho sentito che era desiderato da voi almeno quanto lo
era da me. E mi sono innamorata di te (tranquilla, è metaforico) per due
motivi: 1) il tuo nick! E’ fantastico! 2) il fatto
che consideri – e per questo adori – i miei personaggi perfettamente calzanti
nel loro ruolo, cioè, assolutamente non
OCC, che per come sono fatta io è il male incarnatosi, praticamente. Riguardo
alla fanfiction su Harry e Hermione che ho scritto
anni fa, invece, l’ho tolta io personalmente dal mio account, perché non mi
piaceva più. Dopo i tanti commenti e le tante critiche, mi sono accorta che
quelle persone che avevano considerato del tutto AU e OCC la fanfiction avevano ragione… e se c’è una cosa che non
tollero da parte mia, è proprio l’OCC, come ti ho detto. Se, nonostante ti
possa garantire non sia nulla di che, vuoi ugualmente leggere You are myAngel, scrivimi pure un’e-mail (leona_darkangel@hotmail.com...
spero di non aver infranto qualche regola lasciando il mio indirizzo) e te la invierò
molto volentieri.
Ovviamente, l’e-mail è ad uso collettivo: chiunque
volesse scrivermi – niente offese, please… critiche
costruttive si, ma insulti no – è davvero ben accetto ^^
E ora, con tutto il cuore per tutti voi, l’undicesimo capitolo di The
Draco and Hermione’s Opera.
*** ***
***
The Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 11. Strappi
And
now I tell you openly, you have my heart so don't hurt me.
You're what I couldn't find.
A totally amazing mind, so understanding and so kind;
You're everything to me.
E ora ti parlo apertamente
Hai il mo cuore, quindi non ferirmi
Tu sei quello che non ho mai saputo trovare.
Mente sorprendente
Così comprensiva e così gentile
Sei tutto per me
[Cranberries
– dreams]
*** *** ***
Lunedì 16 Dicembre. Ore 16.02
Tana.
La Tana era quello che un qualunque mago
purosangue – che non facesse appunto parte del circuito Weasley – avrebbe
tranquillamente potuto definire il baratro prima della più nera disperazione. E
questo un po’ a prescindere dal fatto che trasudasse di babbanerie
di ogni specie: era semplicemente assolutamente lampante che la famiglia
Weasley avesse subito un declassamento tale per il quale tanti dovevano avere
ragione a ritenere i Malfoy nel giusto, quando ne parlavano come un insulto
all’onore che davano per scontato appartenesse all’elite del Mondo della Magia.
Per
quel che la riguardava, era in primo luogo tutto da dimostrare che l’elite del
Mondo della Magia avesse un qualche onore da difendere.
Secondariamente, era abbastanza orgogliosa di essere proprio una Weasley, e non
– per dire – una Patil, una Brown,
una Hossas… una Paciock…
Tutta
brava gente, eh: nulla da ridire.
Sarebbe
semplicemente stata un po’ troppo sfacciata in alcuni casi, e decisamente
troppo impacciata in altri.
Al che preferiva essere povera, ma mantenere un briciolo di intelligenza e di
disinvoltura.
E
poi la Tana non
era così male.
Le
piacevano i gingilli con cui suo padre riempiva ogni angolo della casa. Le
pareti color ocra e le strettissime scale a chiocciola che congiungevano i due
piani su cui si ergeva la casa. Le piaceva l’atmosfera accogliente che
impregnava ogni stanza. E le piacevano le persone che ci abitavano – famigliari
o meno che fossero, all’occorrenza.
Aveva
sempre pensato che fosse perché in fondo ci aveva vissuto da quando era nata. O
quanto meno perché a legare tutti i membri di quella famiglia ci fosse almeno
tanto affetto da farle pensare di essere straordinariamente fortunata ad
esserci capitata in mezzo. Ma metterla in quei termini avrebbe anche voluto dire
che di valore oggettivo, per il Mondo Magico, i Weasley ne avessero in realtà
poco.
Che, cioè, vero o meno che fosse che l’elite di onore non ne aveva, tanto meno
ne avevano loro, in ogni caso.
E
in questo, per esempio, Hermione non era mai stata d’accordo.
Aveva
sempre sostenuto con convinzione – e un qual certo cipiglio – che lei ammirava
gli abitanti di quella casa perché vi trovava un’integrità morale ineccepibile.
Che di onore ce ne fosse ancora molto nel Mondo Magico proprio perché la
famiglia Weasley ne portava abbastanza anche per quell’elite che meritevole
forse non lo era nemmeno mai stata.
E
se per qualche tempo aveva pensato che ci fosse davvero poco di obiettivo in
quel giudizio, negli ultimi anni, quando era stato richiesto di scegliere se nascondersi,
piegarsi o resistere, si era resa conto che non esistevano maghi e streghe più
in gamba e di cui essere più fieri dei suoi genitori e dei suoi fratelli.
Perché tutti quanti si erano schierati in prima linea con coraggio.
Perché
tutti avevano scelto di resistere.
Perciò,
si, era orgogliosa di essere una Weasley.
Ma
da qui a voler passare le vacanze di Natale alla Tana ce ne passava parecchio!
Anche
e soprattutto considerando che era stata richiamata all’ordine a pochi giorni
da una delle feste più sensazionali mai organizzate da Grifondoro con la
semplice, deprimente scusa che…
« Oh, Ginny, tesoro! Ci
mancavi così tanto! Non potevamo festeggiare senza di te! »
Si
lasciò stritolare dalle micidiali spire di sua madre, rispondendovi con cupa
immobilità. Borbottò tetramente un saluto – che sua madre, inspiegabilmente,
recepì come entusiasta – e poi, ombrosa, si mise a trascinare con svogliata
lentezza la valigia sino alla tromba delle scale.
Giustamente,
la placcarono i gemelli.
Non
fece in tempo ad alzare gli occhi al cielo con già stracciata pazienza che George le ammiccò giocondo:
« Ti abbiamo rotto le uova
nel paniere, eh, Gin? »
« Dean
ci sarà rimasto male, povera gioia. » Rincarò Fred
imitando qualcosa che assumendo
espressioni di disumana sofferenza arrivava ad avere un orrendo viso deforme.
Comprese
senza troppa difficoltà che nella mente malata del deficiente che aveva davanti
quella dovesse assomigliare molto all’espressione di Dean,
piangente e sconsolato per la sua dipartita improvvisa. Cosa che le fece
inarcare una delle spigolose sopracciglia con aria scocciata.
« Piantatela. » Grugnì secca.
I
due si scambiarono un’occhiata teatralmente sbigottita. Copertisi poi coreograficamente le bocche con le mani, si chiesero
candidamente l’un altro:
« E’ di cattivo umore, George? »
« Ne sai il motivo, Fred? »
Mmh…
Fece
roteare lugubremente gli occhi sotto di sé, rimanendo immobile di fronte a loro
con funerea impassibilità. Ci mancavano solo quei due cretini a fare dello
spirito…
D’altronde,
una voce straordinariamente gradita sopraggiunse provvidenziale e inaspettata a
tagliar corto:
« Lasciatela in pace,
ragazzi, su. »
Si
voltò.
Trovò
a guardali un ragazzo poco più basso dei gemelli, ma dall’aspetto nitidamente
più maturo. Con dei begli occhi grandi e profondi: di un intenso verde muschio,
incastonati intorno a folte sopracciglia rossastre e una miriade quasi
indistinta di lentiggini. E aveva una struttura solida, ma snellita, molto
diversa dall’impalcatura ossea dinoccolata di molti membri della famiglia…
Se
solo non fosse stato uno dei suoi fratelli più grandi sarebbe forse arrivata a
dire che era diventato molto più bello dall’ultima volta che l’aveva visto.
E
poi dicevano che vivere tra i draghi faceva male!
« Charlie! »
Si illuminò, correndo ad abbracciarlo, mentre George
e Fred se ne andavano con le mani intrecciate dietro
la nuca, lagnandosi con voce annoiata del guastafeste che li aveva interrotti.
« Ciao piccola. »
Ricambiava intanto Charlie, seguendo con lo sguardo
tranquillo i gemelli che si allontanavano, e nello stesso tempo stringendola a
sé con dolcezza.
Si
lasciò cullare in quel calore che le era, in fondo, un po’ mancato.
Ed
ecco perché, dopotutto, non era così brutto tornare a casa…
Perché
a Hogwarts non c’era il fratello maggiore che tornava inaspettatamente dalla
Norvegia per salutarli – e che contingentemente
poteva abbracciarla senza notare che la sua vita cominciava ad accumulare
spessore.
« Che bello vederti... non
sapevo saresti tornato. » Gli disse sorridendo, staccandosi lentamente
dall’abbraccio.
« La mamma ha
insistito. » Spiegò Charlie, con semplicità,
aggiungendo poi sorridendo: « Ed era da un po’ che non vedevo
Harry. »
Harry?
Si
ritrasse, spiazzata.
« Harry è… è qui? »
Chiese sbattendo più volte le palpebre, come se il gesto potesse farle prendere
più consapevolezza della cosa. Harry…? In quella casa? Aveva detto a Hermione
che le avrebbe salutato Ron e Harry, ma in realtà l’idea di incontrarli non le
era davvero passata per la testa.
Charlie scosse il capo, scambiando per sorpresa quella che era in
realtà smarrito sgomento.
« Non ancora: Bill, Percy e papà sono andati a
prendere lui e Ron. » Disse, e dal fondo della sala fecero in coro i due
gemelli, che stavano giocando a far levitare oggetti di vetro molto cari a mamma Weasley:
« Ma passerà le feste da noi,
Gin! Il tuo vecchio primo amore, eh?! Non cornificarci Thomas,
però! La porta per la sala comune è troppo stretta per un alce! »
Harry…
Abbassò
il capo ignorando la provocazione dei fratelli – che avrebbe comunque squartato
quanto prima – e si lasciò sfuggire un pesante e sommesso:
« Oh. »
« Oh? » Ripeté Charlie chinando il capo in modo da arrivare all’altezza
degli occhi di lei, e fissandola a quel punto con risoluto interesse,
percependo finalmente la stranezza della sua reazione.
Scostò
il viso da un’altra parte, deglutendo e non sapendo come rispondere. Sentiva la
pressione degli occhi del fratello su di lei, ma cosa avrebbe potuto dire? Che
non era preparata a vederlo? Che al contrario di tutto il resto della famiglia,
lei non aveva dimenticato quello che era successo d’estate? E che comunque,
sapeva bene che non erano mai stati abbastanza amici da potergli rompere
l’anima come avrebbe voluto per quello che aveva fatto? Perché se a Ron non
avrebbe risparmiato meno che fissarlo negli occhi e cercare di trasmettergli
con tutta l’ostilità possibile quanto pensava si fosse comportato da schifo, a
Harry, davvero, non aveva mai pensato cosa poter dire.
Cominciò
a stropicciarsi le dita tra loro: non sapeva nemmeno lei che reazione avrebbe
avuto di fronte a lui.
Gli
occhi di Charlie continuarono a insistere sul suo
sguardo celato anche quando dall’ingresso sopraggiunse il commosso saluto di
sua madre:
« Eccoli! »
Charlie le vide le spalle irrigidirsi all’istante. E, anche senza
vederla, l’espressione disorientata e rigida spalancarsi di più. Ripeté,
allora, più convinto:
« Oh? »
Scosse
il capo nervosamente, facendo una smorfia che al posto di apparire
disinteressata come avrebbe voluto risultò ancora più tesa.
« No, niente. »
Strascicò con voce sottile. E sapendo di non averlo affatto persuaso lo superò
rapidamente per andare ad abbracciare suo padre, che la salutava da fondo sala
con Bill e Percy.
Si
mosse solo per fuggire.
Si
era sempre aspettata che la resa dei conti sarebbe arrivata in una maniera
epocale: con Hermione al fianco. Qualcosa di struggente e drammatico insieme.
Un’immaginazione molto cinematografica…
In
cui il finale, però, non sapeva più bene nemmeno lei quale avrebbe dovuto
essere…
Ed
d’altronde, quando sulla porta vide Ron, l’inconsistenza dei suoi sentimenti si
cristallizzò per un istante in una stranissima sensazione.
Una
malinconia pungente che era tra il dolce e l’amaro… nel realizzare una lontananza
che dopo tanti anni di vita insieme si faceva sentire prepotente. Un legame mai
spezzato le pulsò nel petto. Incontrollabile, per un attimo… il desiderio di
abbracciarlo le fluì nel sangue più vivo della rabbia.
E
per quell’attimo, ebbe il timore lacerante che nell’istante in cui i loro
sguardi si sarebbe incontrati la nostalgia le avrebbe giocato un brutto tiro… e
al posto di restare salda, di fronte a lui, si sarebbe piegata.
E
avrebbe sorriso…
Eppure,
non appena Ron incrociò il suo sguardo fu lui a sfaldarsi per primo.
E
lui non sorrise.
« G-ginny… »
Farfugliò infatti, sgranando gli occhi. Sorpreso e sconvolto insieme, nel
vederla.
« Ti avevo detto che ti
avremmo fatto una sorpresa, figliolo! » Esclamò il padre dandogli una
piccola pacca sulla spalla, facendolo quasi cadere in avanti. « Ginny
passerà le feste qui con tutti noi, Ronald. »
L’irascibile
fratello che era sempre stato meno disinvolto di lei – anche ai tempi d’oro
della sua timidezza. Che la diplomazia non sapeva nemmeno cosa fosse. Che
quando faceva qualcosa di male reggeva al suo peso solo per orgoglio… ma non ci
credeva nemmeno un po’ nemmeno lui. Il fratello cui bastava una pacca sulla
spalla per vacillare.
Fu
quasi desolante, per lei, ricordarsi che proprio quel fratello, tra tutti gli
altri, l’aveva delusa così tanto…
« Come il nostro
Harry. » Aggiunse però Arthur, scostandosi e
rendendo visibile anche un'altra persona…
Su
quella, fu invece lei a sfaldarsi.
Su
Harry, ogni proposito di fermezza cadde come su un tappeto di seta. Senza
rompersi. Con un solo tonfo sordo che venne attutito dalla stoffa morbida.
Non
nella desolazione, ma nel silenzio, ogni rumore venne sbiadito sino a
scomparire.
Su
quel tappeto, ogni tragedia venne avvolta
da ampissimi lembi d’aria.
E
di vuoto.
« Ciao Gin. » La salutò
Harry, appoggiando gli occhi su di lei con una lentezza che le parve
esasperante… proprio perché le sembrò così matura.
« Ciao… » Ricambiò lei,
disorientata da una sensazione impalpabile che le si attaccò addosso con un’invadenza
sfiancante.
« Su su,
Charlie, fai vedere a Harry la sua stanza. »
Esortò Molly verso il ragazzo, intromettendosi
prepotentemente tra loro senza rendersi conto di nulla.
« Credo che ormai sappia
dov’è, mamma. » Sentì Bill commentare cordiale,
mentre Harry ringraziava e la superava senza un’esitazione.
« Harry, tesoro, segui Charlie. » Lo sollecitò Molly,
ignorando bellamente il figlio.
Mentre
Harry ringraziava e la superava senza un’esitazione, lo accompagnò con lo
sguardo assorto che rimase immobile nel punto in cui il ragazzo sparì.
Tutta
la sua famiglia sapeva cosa era successo tra Ron, Harry e Hermione, ma tutti si
erano anche resi conto che Ron e Harry avevano scelto una via che li metteva in
pericolo abbastanza da lasciar cadere ogni accusa di amicizia tradita.
E
col tempo forse, tra le tensioni per le missioni, tra l’ansia per quelli che
forse erano davvero come due figli o due fratelli, avevano anche dimenticato
quello che poteva essere il motivo della distanza nebbiosa e un po’ triste che
regnava su tre persone che avevano passato 6 anni della loro vita ermeticamente
insieme.
Perché,
in fondo, era solo un’amicizia.
Quanto poteva valere?
Una
sensazione lacerante le strinse il respiro in gola. Negli anfratti del cuore in
cui la volontà di arrabbiarsi non giungeva all’improvviso: in quella parte di
sé che nel rivedere Harry e Ron era rimasta ossidata per un attimo in bilico
tra il sollievo e la malinconia … tutto era diventato piccolo.
Mentre
l’Harry che avanzava sicuro, che si era attardato da lei solo per salutarla e
non per sentirsi giudicato. Che per anni aveva avuto bisogno della forza che
Hermione gli aveva dato, e che forse, qualche mese prima, ancora immaturo era
stato… a quel punto era invece cresciuto. A quel punto era diventato grande.
Un
ragazzo che voleva forse avanzare solo.
Che, forse, poteva anche riuscirci.
In
questo, poteva esserci una colpa?
Lei
non lo sapeva.
Ma sapeva… che Hermione avrebbe detto di no…
« Non sapevo… ehm, non sapevo
che… » S’intromise nei suoi pensieri Ron, passandosi nervosamente una mano
tra i capelli e balbettando a voce così bassa che erano più udibili persino i
complimenti che si dispensavano a Harry dal secondo piano. « … che, beh,
saresti tornata a casa per le feste. »
Si
girò lentamente verso di lui.
Non sapevo che saresti tornata a
casa per le feste…
Le
palpebre le si strinsero sugli occhi. Con uno sguardo sospeso, quasi come
stranito, prese a fissarlo intensamente.
Perché
quello era proprio… tipico suo.
Dire
una frase fatta che era quanto di più cretino si potesse dire nello specifico
contesto, era proprio tipico di quel ragazzo impacciato e con la sensibilità
relegata nelle punte dei piedi. Era proprio tipico suo non capire proprio
niente, o capirlo ma non saper mai cosa dire o fare. Specialmente per quelle
cose che lo toccavano profondamente…
Ron,
negli anni, non era cambiato.
E
per lui, quella piccolissima tragedia… continuava ad avere un senso enorme.
« Già, nemmeno io. »
Replicò atona dopo diversi istanti di silenzio, restando insistentemente ferma
sullo sguardo.
« Ron! RON! » Gridò
mamma Weasley da sopra le scale. « AIUTA HARRY A TOGLIERE LE COSE DALLE
VALIGIE! »
Ron
faticò a risponderle, sotto lo sguardo pressante che gli rivolgeva. Lo vide
esitare, e poi replicare, incerto:
« … SI! »
Ma
rimase fermo.
Rimase
a fissarlo prepotentemente, con un’impazienza pericolosamente vicina
all’insofferenza.
Avanti, dì qualcosa.
« Ginny, senti… » Cominciò
Ron, deglutendo, ma non poté dire nulla che la madre tuonò, minacciosa e
impaziente:
« RON! »
Suo
fratello esitò per qualche attimo, incerto.
Poi…
le rivolse un sorriso che, per quanto debole, aveva in sé un’ilarità mai
dimenticata.
Il
marchio che trasmettono degli anni di convivenza: un’espressione lanciata per
qualcosa di già visto e già sentito che solo chi l’ha già visto e già sentito
nello stesso modo, per le stesse volte, può cogliere e replicare.
E
che viveva nel monito che Mamma Weasley non la si doveva far arrabbiare, per
esempio. Come anche in tutti quegli altri piccoli gesti che tutti facevano
quando Papà Weasley portava a casa un altro gingillo babbano.
Che potevano essere far ruotare gli occhi, gettarli al soffitto o assentire
meccanicamente con il capo. Non prima di aver scollegato la spina del cervello,
ovviamente.
L’emblema
di qualcosa che andava ben oltre la complicità.
Il simbolo di una fratellanza che faceva male rifiutare…
Ma
che lei, quella volta, rifiutò.
Quando
a quell’ilarità rispose con durezza, dunque, scorse nitidamente un lampo di
amara delusione sfrecciare negli occhi di Ron. L’espressione le si affilò su
quella delusione, acquisendo in disapprovazione e biasimo. Di fronte a quelli,
lo vide muoversi verso il secondo piano con passi indecisi ma rapidi, scossi
dallo smarrimento.
Lo
seguì con lo sguardo ferreo e inesorabile: nel cuore, un desiderio bruciante
che le serrava la bocca per non farla urlare.
« Parla! »
Avrebbe
voluto imporglielo.
Perché
era sciocco, ma non era un cretino cronico: doveva capire. Doveva imparare.
Lui, che se anche era cresciuto, non aveva evidentemente potuto dimenticare.
Lui, per cui Hermione non era stata solo un’amica da cui attingere soltanto
comprensione e coraggio. Lui, che qualcosa di male sentiva di averlo fatto, e a
cui dirlo non sarebbe andato sprecato, doveva ascoltare.
Perché
così forse…
Forse…
*** *** ***
Martedì 17 Dicembre. Ore 12.34
Villa Malfoy. Sala da Pranzo.
Villa
Malfoy era quello che un mago purosangue avrebbe tranquillamente potuto
definire il paradiso. E questo un po’ a prescindere dal fatto che trasudasse di
pregiati cimeli storici appartenuti ad una delle stirpi (di purosangue) che più
ne poteva vantare: era semplicemente assolutamente lampante che la famiglia
Malfoy avesse conosciuto un’ascesa inarrestabile di rango nell’immaginario
collettivo. Un’ascesa tale per la quale tanti ritenevano che gli Weasley non
sbagliassero a considerarsi un insulto all’onore che si dava per scontato
appartenesse all’elite del Mondo della Magia di cui proprio i Malfoy
rappresentavano uno dei vertici più alti – ed era implicito, ovviamente, che
gli Weasley pensassero questo di se stessi.
Se così non fosse stato sarebbe stato davvero orribile: significava che non
erano nemmeno consapevoli della loro condizione!
E
persino gli Weasley non potevano essere così spaventosamente stupidi da non rendersi intimamente conto della
loro assoluta inutilità!
D’altronde sono Weasley…
Beh,
comunque, a lui Villa Malfoy non
piaceva poi così tanto.
Con
tutte quelle guglie nerastre sulla cima delle torrette. Con quei corridoi
infiniti e alti quattro metri e mezzo, come se dovessero abitualmente passarci
dei Troll di montagna (che tra l’altro come diavolo
facevano a entrarci considerando che le porte sfioravano a malapena i due
metri?!) Con quelle stanze dove di luce sembrava non filtrarne mai nemmeno
d’estate. Con tutta quell’ombra… e quelle sale in cui si poteva anche essere in
duecento, ma tanto ci si sarebbe comunque sentiti tremendamente insignificanti…
Alzò
con svogliato fastidio il cucchiaio, fissandone il contenuto molle con
malcelato disgusto. Fece per chiamare l’elfo domestico che l’aveva portato e
dirgliene quattro, quando udì una voce dall’altra parte della lunga tavolata
che gli fece dimenticare i suoi propositi…
« Mi hanno detto… » Esordì la
voce. Il timbro basso e lento, quasi suadente, ma per lo più vibrante nella sua
glaciale freddezza. « … che frequenti gente poco consona. »
Riabbassò
cupamente gli occhi, tornando a fissare la sua zuppa: quella donna aveva un
modo di fare assolutamente impenetrabile. Il bel viso pulito ed esangue
sembrava sempre perfettamente rilassato, come se nulla sapesse sfiorarle mai
nemmeno il pensiero. Ed eppure gli occhi taglienti sembravano non essere mai
stati rilassati in vita loro. Poteva avvertirne il taglio affilato anche da una
distanza in cui era persino difficile distinguerne il colore.
Vacui
sarebbe stata la parola più adatta se solo non fosse esistito il termine
“sgradevoli”.
Che nervi…
Aggrottò
la fronte con tirata pazienza. Sembravano giudicare dall’alto di chissà quale
autorità divina, che solo per il fatto di non esprimersi mai ma di rimanere
sempre implicita nella voce o negli occhi aveva una qual ché di preminente e
inattaccabile. S’irritò al solo pensiero che un qualunque scontro con quella
donna finisse puntualmente con la capitolazione con resa incondizionata. Anche
solo semplicemente perchè sembrava di parlare con una statua.
Di
porcellana, certo: non di rude roccia.
Ma pur sempre una statua.
D’altronde
la spossatezza fastidiosa di quei giorni, e l’inguaribile boria che fomentava
il suo spropositato ego (oltre alla rabbia per il pensiero a cui potesse
riferirsi quella donna – qualcosa che era diventato un tabù con una facilità
sorprendente) gli diedero il giusto acume per fare dell’ironia.
« I tuoi informatori hanno
fatto un cattivo lavoro: ti conviene licenziarli. »
Ma
Narcissa non era nemmeno una statua di porcellana.
Al
massimo, era di adamantio.
« La madre di Pansy
dice che hai avuto contatti con la
Granger. » Ingiunse imperturbabile, con una voce che
nella sua esilità avrebbe potuto dissolversi nell’aria molto prima di
raggiungerlo.
Eppure,
fu quasi trascendente nel schiaffeggiarlo con un colpo vibrante e secco, pregno
di freddezza.
Inalterabile.
Intoccabile.
Il
muscolo della mascella si serrò di riflesso al pronunciarsi di quel nome, il
sedere gli scivolò più giù e la testa si incassò un po’ più nelle spalle: un
adombrarsi generale dominò la sua figura, ma le labbra schioccarono acri una
rivendicazione profonda e prepotente:
« Per Pozioni. »
Solo per Pozioni.
Sua
madre ribatté, sempre statica negli occhi – ma con un’intensità particolare
nella voce:
« Ho sentito che siete
amici. »
« Sempre da Miss Sherlock 2000? » Grugnì irritato. Proprio tale madre
tale figlia, eh! « Consiglierei una visita dall’oculista… » Fece una
smorfia di disgusto al solo pensiero di Pansy &
famiglia che confabulavano sui suoi affari, e si corresse istintivamente in un
sibilo: « … o dallo psichiatra. »
Allora,
Narcissa Malfoy depose
il suo cucchiaio.
Cacchio.
Mentre
il suono metallico della posata echeggiava nel silenzio dell’ampio salone, la
sua sedia indietreggiò di mezzo metro senza un rumore, grazie ad una tecnica
affinata negli anni che consistenza nel farla scivolare sul marmo sollevandola
appena di pochi millimetri. Il fatto che la sedia in questione pesasse circa
una sessantina di chili non era assolutamente importante. Quando Narcissa Malfoy deponeva il cucchiaio – e non un forchetta,
o un coltello, o qualunque altra posata, ma proprio un cucchiaio – era lecito venir assaliti dal terrore. E, nel suo caso,
alla minima percezione del panico che ne scaturiva, l’istinto di sopravvivenza
sbaragliava ogni limite fisico o psicologico che gli impedisse di mettere
quanta più distanza possibile tra sé e quella donna.
Non
bisognava mai sottovalutare la
deposizione di un cucchiaio.
Portava
con sé la DiamondsDust.
« Hermione Granger non è una
persona con cui tu debba avere a che fare, Draco. »
Scandite
da un gelo siberiano, affilate come stalattiti di ghiaccio destinate a
conficcarsi nella carne: le parole perentorie dell’autorità.
Ma
questa volta, anche della verità.
Le
stalattiti la sua carne la squarciarono per raggiungere il cuore.
Un
brivido ci fu di nuovo. Ma di denti serrati con forza gli uni contro gli altri.
Di nodi che si stringono. Di rancori che esplodono.
« No, non lo è. » Ringhiò
tra i denti. « Non vale niente. »
Assottigliò lo sguardo indurito in un’espressione impenetrabile, relegandolo al
pavimento. Non lei… non quella miserabile
ragazzina. « Ed è per questo che io e lei non abbiamo mai avuto niente a
che fare. »
Mai.
Quando
non sentì sua madre ribattere, fu convinto che fosse perché aveva riconosciuto
in lui un tale odio per Hermione Granger dar non aver più nulla da chiedere per
far luce sul loro legame.
Giacché
quello, semplicemente, non esisteva.
Ma
se Narcissa non ebbe più nulla da dire, fu solo
perché per una delle prime volte in vita sua non le vennero le parole per
domandare come era stato possibile che suo figlio, che non aveva mai avuto
legami con nessuno, ne avesse stretto uno talmente profondo da saperlo scuotere così tanto …
*** *** ***
Mercoledì 18 Dicembre. Ore 2.42
Tana.
Che razza di dementi…
Scese
le scale sbadigliando seccata: per quale oscura ragione doveva avere due
gemelli cretini come vicini di stanza?! Si mise una mano sulla testa scuotendo
il capo con fastidio. Santa pace… che casino immondo che erano capaci di fare.
Si
trascinò in cucina, tutta intorpidita dal sonno.
Ma
la sonnolenza le andò via in un attimo quando trovò di fronte al frigo, intento
a prendere un cartone di latte, niente meno che Ron.
Sussultarono
entrambi. Entrambi senza darlo a vedere.
Un
attimo di sorpresa: un tempo infinito di tensione.
In
quei giorni, complice il numero spropositato di persone presenti in quella
casa, non si erano mai trovati soli. E l’essere faccia a faccia e lontani da
orecchie o sguardi indiscreti era una condizione necessaria per affrontare
qualunque tipo di discorso. Fondamentalmente perché erano entrambi consapevoli
che il primo dei tanti discorsi da affrontare sarebbe andato a parare a
Hermione alla velocità della luce. E alla velocità della luce avrebbe fatto
scintille, fulmini e saette.
Almeno,
lei era convinta che Ron lo sapesse.
E
per quel che la riguardava, se fossero venuti anche lingue di fuoco e maremoti
senza precedenti non ne avrebbe fatto di certo una tragedia.
« Ehi. Ehm… » Bofonchiò Ron,
con una mano ancora stretta intorno alla maniglia del frigorifero aperto,
mentre con l’altra teneva a mezz’aria il cartoccio di latte. Gli occhi incerti
e ansiosi su qualunque cosa tranne che su di lei. Un attimo di silenzio in cui
non fece che guardarlo pressante, sapendo che per quanto i loro sguardi non si
stessero incrociando, Ron quella pressione la stava sentendo. « … fame? »
« No. » Rispose
laconica.
Lui
ci mise un minuto a trovare la forza per chiudere il frigorifero. Dopo che
l’ebbe fatto, esalò con una voce indecorosamente flebile:
« Ah. »
Ah?
Incredibile
come suo fratello sapesse innervosirla.
Avvertì
pressante l’urgenza di cancellare dalla sua faccia il disinteresse per niente
riuscito dietro cui trincerava senza successo l’espressione in realtà colpevole
e inquieta.
Perché
Ron lo gnorri non lo sapeva fare.
E
quella non era strafottenza, ma proprio vigliaccheria.
Fu
con sferzante durezza che proferì:
« Ti saluta, sai? »
Sferzanti
e dure, quelle parole cariche di sdegno s’infransero non più in basso del
petto, né più in alto del collo: precisamente, lo colpirono al cuore.
Ci
fu un tremito. Lo vide chiaramente.
Ed
eppure nel breve attimo in cui lo colse non seppe dire se fosse stato solo per
il dolore… o anche per il sollievo.
« Ah… oh… »Biascicò Ron, pallido. Si passò nervosamente una
mano tra i capelli arruffati e dopo alcuni attimi trovò il coraggio di
domandare, debolmente: « E’… ehm, è rimasta a scuola? »
« Già. »
« E… sta bene? »
Scosse
il capo brevemente.
« Non tanto. »
Un
colpo che andò più a segno degli altri: un lampo visibile di preoccupazione e
colpevolezza.
Che
annegò di nuovo nella debolezza…
« Ah… »
Ridusse
gli occhi a due fessure, con le fiamme che vi fuoriuscivano cangianti.
Ah?!
Sapeva
ancora dire soltanto: “ah”?!
Se
avesse avuto un’ascia bipenne tra le mani gliel’avrebbe lanciata a due
centimetri dalla faccia. E se proprio
la sua scarsa mira le avrebbe fatto sbagliare bersaglio… tanto meglio!
Ma
davvero che l’ascia ce l’avesse o no, non fece differenza. La voce con cui
scattò fu comunque abbastanza affilata da ferirlo…
« Non pensare che sia per te.
Non lo è. Non questa volta. »
Ron
si ritrovò a deglutire, e come se in gola ci fosse un’ostruzione o roba simile
avvertì un dolore piuttosto intenso nel farlo. Glielo lesse nella smorfia
contratta che fece. Mentre nell’espressione spezzata negli occhi smarriti lesse
la desolazione e lo smarrimento che probabilmente lo stavano dominando. Forse,
si stava chiedendo se lo stava accusando. Se fosse giusto accusarlo. Se poteva
sentirsi sollevato…?
Con
quel suo pigiama troppo corto e quei capelli scompigliati, sotto cui gli occhi
verdi puntellati di nero lottavano tra lo spegnersi prostrarti e scintillare
vivi, al richiamo di un ricordo che gli muoveva il cuore…
E
in quel momento chiedevano forse un po’ di pietà?
Non
gliela diede.
Trattenne
il fuoco in un respiro, solo per essere gelida ancora una volta.
« C’è un’altra persona che
Hermione… beh, hanno litigato. Nel senso che lei ci teneva, ma questa
persona l’ha, come si suol dire, mollata. »
Il
termine lo scelse con cura, e vide Ron reagirvi davvero, per la prima volta:
una rigidità fulminea nel tono e nell’espressione.
« Chi? » La incalzò
brusco.
Un
disappunto imperativo, forse un fastidio insopportabilmente pungente gli aveva
serrato la mascella e il pugno abbandonato al fianco.
Il
turbamento sopraffatto dalla risolutezza.
…
e se solo non fosse stato l’inguaribile Ron, se solo non fosse stato
l’insopportabile beota che doveva sempre convincersi che le cose non potevano
andare male – e che comunque, se anche andavano male, non lo toccavano davvero
più di tanto – non si sarebbe messo a fingere un disinteresse che gli occhi
accesi, fissi su di lei, tradivano alla grande. Né si sarebbe messo a
sorseggiare il latte con gesti noncuranti. Né avrebbe aggiunto in un risolino
che doveva sembrare divertito, e invece, comunque, parve isterico:
« Lavanda? Calì? Oppure… Nevil- »
« Draco Malfoy. »
Colpito…
…
e affondato.
Nel
latte, in quel caso.
Ron
per poco non si soffocò con quello che stava bevendo, e quello che non tossì
fuori di bocca in preda a delle specie di convulsioni se lo rovesciò
puntualmente sul pigiama.
« Cosa?! » Strillò scioccato, quando ebbe finito di rischiare la vita
per soffocamento.
« Si, Draco Malfoy. »
Ripeté, caustica.
Reagisci, idiota.
Ron
stridé scandalizzato, con voce strozzata:
« Non è possibile! Stai
scherzando! »
« Assolutamente. » Negò,
inflessibile, in una maschera di inespressività fatta di un bronzo
particolarmente malleabile.
Non
era stata inespressiva quando Hermione le aveva candidamente detto che avrebbe
voluto Malfoy alla festa di Grifondoro. E non era nemmeno lontanamente
tranquilla all’idea di ciò che stava dicendo.
Avrebbe
voluto che le cose andassero
diversamente.
E
avrebbe voluto poter dire che “Draco Malfoy ed Hermione Granger” era davvero
uno scherzo di cattivo gusto. Un’assurdità inventata da un pazzo che aveva
bevuto litri di alcool ed aveva anche seri scompensi mentali.
Ma
quella era la sagra delle assurdità.
E
quel binomio agghiacciante che l’aveva tormentata giorno e notte non aveva
fatto tanto peggio di tutte le altre cose illogiche per cui aveva pensato di
poter mettere una mano sul fuoco, senza paura di ustionarsi, e che invece
quella mano gliel’avevano cotta come se fosse uno spiedo.
Su
Ron e Harry che portavano con loro Hermione, poi, di mani ne aveva messe anche
due.
E
tutte e due ne erano uscite carbonizzate.
« Non ci credo! »
S’impuntò Ron cominciando a scaldarsi, pestando animosamente le mani in aria e
fissandola con un’aria indignata e alterata insieme.
Ecco…
Era
quello il Ron che avrebbe detto a Hermione di piantarla immediatamente.
Era
quello il Ron che non c’era stato per
bastarle.
« E’ Draco Malfoy! Un figlio
di mangiamorte! » Continuava a tuonare il fratello, con assoluta e
imperativa convinzione. Con un cipiglio da record, persino per Ronald Weasley.
La faccia, tutta contratta e partecipe nel tentativo di esprimere tutta la disapprovazione
che poteva esistere. Le orecchie in fiamme. La faccia gonfia. Le lentiggini di
fuoco. Dimenticando i mesi di lontananza. Dimenticando, come faceva quando
erano a Hogwarts, che Hermione non era di nessuno: rivendicando di decidere con
chi lei dovesse o non dovesse stare. Il Ron che aveva sempre mandato Hermione
su tutte le furie, perché si era sempre messo in mezzo come un pulce in tutto
quello che le riguardava. Sempre pronto a pretendere un posto privilegiato.
Sempre pronto a volerlo… « Non posso credere che Hermione possa anche solo
avvicinarsi a lui! Che diavolo le salta in testa?! Non fa per lei, per tutti i Troll! »
Il
Ron che non c’era stato.
I
nervi le si spezzarono in un picco di rabbia delirante.
« E chi fa per lei? » Lo incenerì con uno sguardo incandescente.
« Comincio a pensare di non saperlo troppo dire, sai? » Masticò ogni
parola con uno sdegno tale da farlo quasi barcollare « L’ultima volta mi
sono sbagliata di grosso. »
E
non c’era solo rabbia nell’ammetterlo…
Infatti
non fu quella a fare male. Fu, invece, l’esasperazione che impregnò il silenzio
che venne a crearsi.
Un’esasperazione
ferita… e disarmata.
Le
orecchie di Ron quasi si carbonizzarono per quella benedizione concessa e mancata
in una sola volta. Per quella frase che svelava un segreto che in sei anni il
suo orgoglio aveva murato dietro chili di cemento. Ma il viso tornò pallido. E
gli occhi si dilatarono dolorosamente in un’espressione che era insieme
frustrata e mortificata.
La
chiarezza di quell’accusa gonfia di risentimento ma scevra di inutili tentativi
di rinsavimento, che da lei era davvero uscita meno feroce di quanto avrebbe
voluto, e solo più stanca, lo lasciò disfatto di fronte a lei.
Gli
lanciò uno sguardo pesante. Rassegnato e umiliato insieme.
E
se ne andò senza voltarsi, con un nervoso che cominciò a gonfiarle gli occhi.
Un labbro che a morsicarselo così forte faceva male. Delle dita piantata nella
carne al punto da farle diventare bianche le nocche.
Perché
anche se il limite Ron l’aveva superato davvero, e forse non quella notte, in
cui più delle parole erano stati i suoi silenzi a stremarla, lei ancora non lo
sapeva accettare…
Che
Ronald Weasley non sapesse scegliere Hermione Granger.
Non
ci riusciva.
Perché
loro erano, semplicemente, la coppia di cretini
più sfottuta di Hogwarts.
Ma
era mai esistito qualcuno che trovasse più naturale stare insieme?
O qualcuno che, da vedere, facesse così bene al cuore?
Perché
fa bene al cuore vedere come certe volte si è fatti ad incastro, e che trovare
l’altra parte che se si attacca non scivola via, perché è fatto per restare
esattamente lì, non è così impossibile.
E
se loro non riuscivano a trovare una soluzione, se loro non sapevano
ritrovarsi: se per orgoglio, o per paura, o per un qualunque altro motivo, non
sapevano rimediare agli strappi della loro vita, ricucendo insieme una strada
per rincontrarsi… allora, chi mai
avrebbe potuto?
*** *** ***
Sabato 23 Dicembre. Ore 16.47
Villa Malfoy. Stanza di Draco.
Quando
cominciò a nevicare erano quasi le cinque del pomeriggio.
Quando,
circa cinque minuti dopo, si udì un tonfo secco e un grido acuto echeggiare per
tutte le mura di Villa Malfoy, tutti i suoi abitanti seppero che il giovane
rampollo della famiglia se n’era accorto. E che con ogni probabilità se l’era
presa con qualcosa di molto grosso che se l’era a sua volta preso col suo
piede.
L’avversione
per la neve del Signorino Malfoy era sempre stata manifesta. E anche se non
aveva mai avuto la necessità di uccidere o deturpare qualcosa o qualcuno nel
momento in cui la vedeva, era risaputo anche che ultimamente fracassare le cose
era la sua più alta dimostrazione di fastidio. E per la precisione negli anni
lo erano state, in ordine, schiantare le statue della villa, squarciare le
tende nelle camere e distruggere le porte.
…
che in effetti era sempre una questione di fracassare qualcosa.
Dunque,
per quanto gli elfi domestici che si affaccendavano in cucina non potevano
sapere che il Signorino avesse preso a calci la scrivania col preciso intento
di sfasciarla - e che con un altrettanto forte istinto omicida il volume di
Storia della Magia che ci stava sopra era capitolato sul suo piede sinistro –
ma poterono ampiamente immaginarlo quando lo udirono imprecare con odio contro
un cespuglio rachitico con un liuto da gran ranger in mano e un onere da miope.
Cosa
fossero i ranger, loro, davvero, non lo sapevano. Ma dovevano avere a che fare
con qualche gruppo di musicisti di vecchio stampo, sicuramente. Né sapevano
cosa fosse un miope, comunque, o che grave onere dovesse gravare sui rachitici
rami della pianta, e verso chi quell’onere fosse. Era però assolutamente chiaro
che un tal cespuglio musicante avesse un conto in sospeso con il Signorino
Malfoy.
Quando
poi il Signorino Malfoy ripeté l’insulto senza mangiarsi le parole e senza
intervallarle con latrati selvaggi in risposta al dolore folle che sentiva, le
cose si fecero più chiare:
Ignaro
delle elucubrazioni dei suoi servitori su quanto stava avvenendo, Draco era
invece intimamente convinto di una cosa: che fosse stata Hermione Granger a far
nevicare.
Col
preciso intento di indurlo a scatenare quell’infinita sequela di eventi che gli
aveva tumefatto il piede, ovviamente!
Maledetta, maledetta, MALEDETTA!
Si
fece cadere sul letto stringendo il piede pulsante tra le dita e serrando i
denti in una smorfia di dolore. Non fece nemmeno in tempo a toccare il
materasso, però, che avvertì praticamente la colonna vertebrale rientrare
facendo della sua schiena una specie di angolo retto.
Cacciò
un altro acuto urlo e si alzò di scatto – facendosi un male cane al piede che
aveva pestato per terra e che riprese quasi subito in mano.
Puntò
gli occhi sgranati contro il letto, pronto a far implodere qualunque cosa vi si
fosse attardata volontariamente
sopra.
La
tempia destra palpitò in un tic che gli deformò la faccia.
Sul
letto, il Manuale di Pozioni comprato con lei.
Io la ammazzo…
Completamente
immerso in macabre fantasie su come avrebbe finalmente portato a compimento un
progetto durato sei anni della sua vita, si vide attraverso il vetro della
finestra di fronte a lui, che rifletteva la sua eccentrica immagine ricurva sul
piede e sostenuta da una sola delle due gambe.
Una
specie di deforme fenicottero, insomma.
…
con un’espressione piena di puro rancore sul grugno.
Perché
si era arrabbiato così tanto?
Perché si è presa gioco di me, mi
sembra logico.
E
nessuno poteva prendersi gioco di Draco Malfoy.
Esatto! Nessuno può permettersi di
raggirarmi per i suoi scopi!
Men che meno una Mezzosangue qualunque.
Men che meno! Parole Sante!
Esatto.
Quindi,
dunque… perché si era arrabbiato così tanto?
L’ho già detto perché! Per tutti i
Troll!
Scostò
con rabbia le tendine della tenda, scoccando uno sguardo accigliatissimo alla
sua immagine riflessa nel vetro rimasto visibile. Eccheccavolo:
era da mezz’ora che diceva perché era così arrabbiato! Allora, le cose erano
due: o quella voce fastidiosa che gli tampinava il cervello recepiva, o quella
voce e lui avevano un bel problema! Oltretutto, gli pareva di un evidenza di
proporzioni elefantiache le ragione per cui era furibondo e monumentalmenteincazzato!
Perché
l’aveva usato da rimpiazzo! Perché aveva cercato di plagiarlo, manipolarlo!
Perché
aveva fatto nevicare!
Perché…
« Lei di te non
sa che farsene. »
Lo
sguardo perse in rabbia e acquisì in durezza: si assottigliò sul vetro, ma andò
molto al di là di esso. Penetrò nella pupilla riflessa come quelle parole gli
penetrarono nella testa. In un scatto violento tirò un pugno all’intelaiatura
di legno della finestra.
Un
suono acuto, di vetri scossi, si diffuse per la stanza e i corridoi vicini.
E
si spense in un silenzio in cui quelle parole sembravano rimbombare.
L’aveva
preso in giro. L’aveva usato.
Per
questo era così arrabbiato.
Si…
…
ma perché la odiava, anche, così tanto?
Sollevò
gli occhi ancora una volta sul vetro, e per quanto tornato in una posizione
eretta si vide ricurvo… e col viso ancora contratto come se la fitta al piede
non fosse sparita, come invece era. Tetro nel guardarsi… pieno di risentimento
nel pensare che non era per il sangue. Che non era per la casa cui
appartenevano l’uno o l’altra, non era per gli amici che quell’egoista non
aveva più, né per quelli che aveva. Non era per la sua stupidità. Né per il suo
egoismo, soltanto. O per il suo opportunismo, soltanto.
Gli
occhi gli si strinsero in un picco di rabbia particolarmente acuto.
Al diavolo!
Imprecò
al niente, ma nel gettare occhiatacce tutto intorno a sé si trovò di nuovo a
guardare verso la finestra… e vi si fermò, stranito.
Aggrottò
le sopracciglia, avvicinandosi lentamente al vetro e cercando di mettere a
fuoco le molte macchie scure che si avvicinavo al grande cancello di Villa
Malfoy.
Ma che…?
I
suoi occhi si dilatarono.
Quelli
che scesero… gli sembrarono Auror.
Un
lampo gli attraversò lo sguardo.
Uscì
dalla stanza e percorse a passo svelto il corridoio.
Perchè
erano lì?
Udì
il campanello e accelerò il passo.
Perché?
Sbucò
sulle scale che conducevano all’ampio ingresso e avanzò sino alla balaustra.
Dalla cima li vide. Due Auror sulla porta. Altri,
dietro di loro.
Sua
madre… davanti a loro.
Altera
e immobile, come in ogni attimo della sua vita. Una creatura eterea, che sembrava
fatta di solo ghiaccio. Di sola aria,
certe volte. Tanto che quando, quando era piccolo, avrebbe voluto abbracciarla…
non l’aveva mai fatto per paura che gli si dileguasse
tra le dita.
La
mano che si mosse a stringerle il braccio senza riguardo, e che l’afferrò come
avrebbe fatto con il braccio di qualunque altro essere umano… sembrò entrargli
nel petto e serrargli il cuore in una morsa così dolorosa che glielo distorse.
« Narcissa
Malfoy, deve venire con noi. » Disse l’uomo che l’aveva presa per il braccio.
Vide
sua madre restare immobile, senza sottrarsi ma senza fare nemmeno un passo. La
sentì rispondere, serafica:
« Perché? »
Ma pensò che, come lui, anche lei sapesse prima di udirla
la risposta che venne:
« Questo è un mandato del
Ministero della Magia. E’ stata accusata di complicità con il Signore
Oscuro. I capi d’accusa le saranno rivelati una volta che saremo arrivati al
dipartimento. Pertanto, deve venire con noi. »
No…
Gli
nacque dentro un desiderio disperato.
Senza
accorgersene aveva guardato la scena con un’espressione trasfigurata
dall’angoscia. Senza accorgersene aveva portato una mano alla bacchetta.
Un
gesto folle… per una persona che non aveva mai fatto nulla per lui.
Un
gesto folle per proteggere l’ultima cosa che gli era rimasta.
Ma
Narcissa sollevò lo sguardo.
Come
se avesse sempre saputo che era lì, lo diresse verso di lui senza alcuna
esitazione. Lo guardò dritto negli occhi con la fermezza con cui aveva sempre
vissuto, con la severità con cui l’aveva sempre educato. Ferrea ma pallida.
Fredda come l’aurora d’inverno.
Inappellabile.
Ed
eppure… con uno sguardo vivo.
Tolse
lentamente la mano dal fianco dove stava la bacchetta e la lasciò cadere al
fianco, ammutolito.
Tra
tutti gli addii e i bentornato che c’erano e non
c’erano stati, quella fu l’unica volta che, senza dire niente, quella donna gli
disse qualcosa di importante…
…
e dolce.
*** *** ***
Mercoledì 25 Dicembre. Ore 8.11
Hogwarts. Sala Comune
« Buon Natale,
Hermione! »
La
faccia pasciuta di Neville la accolse con allegria.
Le
guance spruzzate di rosso e l’espressione che non si capiva bene perché, ma
sapeva proprio di Natale, le sorridevano raggianti dalla sala comune, dove un bell’alberello agghindato di rosso, verde e oro troneggiava
ridente nella calda e accogliente atmosfera che quel luogo assumeva in quel
particolare momento dell’anno.
Le
occhiaie che le segnavano gli occhi fecero ben tre rughe sotto le ciglia quando
osò arcuare le labbra in un sorriso.
Ma
le venne davvero da cuore di fronte a lui.
« Buon Natale,
Neville. » Replicò piano, quando gli fu vicina.
« Guarda! Guarda! »
Esclamò eccitato l’amico, frugandosi nelle tasche e poi mostrandole un orologio
da tasca. « E’ bello, no? Me l’ha mandato mia zia! »
Annuì
piano. Sorridendo piano.
Non
le riuscì di più.
Ma
a Neville non importò: la prese per un braccio conducendola a forza fuori dalla
Sala Comune senza smettere di emanare allegria intorno a sé, e per poco non
facendole sbattere la testa contro il vano dell’uscita. Doveva essere davvero
impaziente di andare a fare colazione… e considerando che non c’era nessun
altro dei loro amici, non aveva che potuto aspettare lei per andarci.
E
già. Perché del settimo anno di Grifondoro, strano ma vero, erano rimasti solo
loro due.
La
festa grandiosa che era stata organizzata per la sera prima era saltata a poche
ore dalla sua magniloquente riuscita. Una torma di lettera dall’aspetto
minacciosamente materno era planata dal cielo sulle loro teste: un colorato
stormo di gufi era comparso a colazione del 21 dicembre come messaggero di
sventura. Le tavolate di studenti avevano tremato. Ma alla virata rocambolesca
dei pennuti verso l’angolo del settimo anno della Casa di Grifondoro – con
profondo sollievo di tutti gli altri – un attacco viscerale di panico aveva
colto quegli infelici nella massima presa di coscienza della loro insindacabile
condanna.
Conta
dei feriti: 23.
Innominabili
e vigliacchi.
Avevano
ceduto alla coercizione senza nemmeno combattere. Le madri avevano parlato: loro
avevano ubbidito. “Meglio la schiavitù che la morte” questo era il loro indegno
motto.
Conta
dei morti: 4.
Valorosi
ma fatui.
Seamus. Colpito al cuore dall’invito della zia Marjory. Conosciuta come la Donna-dallo-Stufato-Fatale: porri, cipolle, manzo, peperoncino, zucca,
senape, mostarda. Burrobirra.
Calì. Meno furba della gemella che non aveva aperto la busta giunta sofficemente di fronte a sé e
dall’aspetto meno costrittivo di tutte le altre: catapultata da un’ingegnosa passaporta che aveva lasciato di lei solamente il
cianciante ricordo.
Jalice. Rovesciata a terra da un improvviso malore. Schiumante
alla bocca: non si era capito se avesse avuto un attacco epilettico per le luci
folgoranti che illuminavano indefessamente il
biglietto rosa e profumato che le era stato recapitato. O se piuttosto un picco
glicemico fulminante si era innalzato rampante sotto i colpi sferzanti
dell’inappellabile: “Ci manchi troppo, patatina: torna a casa a farti coccolare
per le feste”
E
Adrian.
Il
più odiato dagli dei.
Aveva
visto Itaca di lontano, lui: ignorato da tutti i gufi, aveva forse creduto di
essersi salvato, e una Penelope prodigiosamente somigliante ad una grande burrobirra corretta aveva forse pervaso la sua testa di
dolci fantasie. Ma Telemaco non aveva fatto in tempo ad assumere alcuna strana
forma spumeggiante che un boato aveva invaso la sala e un gufo di proporzioni mastodontiche aveva sfondato il vano
della finestra da cui aveva preteso di passare.
Dimensioni:
1,5x1,5x1,5… metri.
Peso: un cubo di non meno di 80 Kg.
Velocità acquisita nella picchiata contro l’impavido e inerme Odisseo: 57 nodi
(circa 100 Km/h).
Possibilità di sopravvivere all’impatto: 0,1%.
E
Itaca era tornata nostalgicamente lontana.
Quarto
ragazzo che non ce l’aveva fatta.
Quarto
compianto la cui salma era stata sottratta alle onorificenze dovute agli eroi.
Arpionata a sbatacchiata orrendamente di qua e di là era stata condotta via
dall’imponente gufo grigio. Contro cui nessuno aveva osato levarsi, stoico, in
difesa dell’amico.
Anche
semplicemente pensando a cosa doveva
essere la madre dell’amico per tenere a bada una sì tenerabestiolina.
Secondo
motto degli innominabili: “Non importa di chi sia la madre, l’importante è
sottomettersi – specialmente se ha un animale domestico che potrebbe maciullare
indegnamente un uomo adulto in ottime condizioni fisiche e forse anche munito
di bacchetta”
Comunque,
conta dei sopravvissuti: 2.
Lei
e Neville.
I
suoi erano alle Bahamas e non si sarebbero mai sognati di usare un gufo come
mezzo di posta. E i genitori di Neville… beh, purtroppo non erano in condizioni
di mandargli lettera da molto tempo…
Così,
erano rimasti in due.
A
vagare per Hogwarts in mezzo agli altri piccoli Grifondoro, Corvonero,
Tassorosso e Serpeverde che le feste le avevano dovute
o potute passare tra quelle magiche mura. Che in quell’atmosfera calda e
zuccherata, fatta di camini, addobbi e dolci, sapeva di Natale molto più di
qualunque altra casa.
Anche
perché, in fondo, una casa doveva esserlo per molti, comunque, diventata.
L’aria
pungente dell’esterno li raggiunse ancor prima che potessero varcare la soglia
per il porticato che dava sul giardinetto interno. Le scompigliò la folta
chioma ribelle e la fece stringere nel pesante maglione di lana che la
avvolgeva, in un tremito. Neville invece sembrava quasi non sentirla nemmeno.
Non faceva che canticchiare accanto a lei, intramezzando strane intonazioni con
commenti del tutto incoerenti sul suo nuovo orologio e su quanto pan di zenzero avrebbe di lì a poco continuato a comparire davanti
ai loro occhi ogni volta che l’avessero finito.
In
risposta, lei ogni tanto sorrideva lievemente, ma per lo più si guardava
intorno con aria assorta.
I
corridoi vuoti. Gli arredi natalizi. La musica che si sentiva ogni tanto
provenire dai biglietti di Natale che venivano aperti per i corridoi...
Il
suo sguardo scuro si perse nei ricordi…
Quanti
Natali passati con Harry e Ron?
Un
principio di malinconia le lambì la mente dove si ricamarono immagini e parole
come su un lungo telo bianco che drappeggiava nel vento.
« Hermione, non posso credere che tu sia ancora lì a studiare! E’
Natale! »
Non essere ridicolo Ronald…
« Non essere ridicolo, Ronald. Se non mantengo la testa allenata,
non posso pensare di superare l’anno. »
Forme
di libri e scacchiere.
Forme di biglietti di Natale e regali.
« Sul biglietto ho scritto solo ‘Mione
perché tutto intero non ci stava! Non farla troppo lunga: sei tu lo stesso! »
Forme
di arrabbiature per delle scemate.
Di sguardi lanciati.
Di sorrisi rubati…
« E ti pareva che era un libro… »
Mai
una volta che quell’idiota non dovesse puntualizzare sui suoi gusti.
Le
venne quasi da scuotere il capo a pensare a quanto stupido potesse essere Ron.
Aggrottò le sopracciglia inconsciamente contrariata: oltretutto, quello che gli
aveva regalato era un bel libro sul Quidditch. Si
chiamava…
Si chiamava… ma si, insomma, si
chiamava…
Si
fermò, abbassando il capo con un incerto disappunto.
Non
lo ricordava.
Che
libro gli aveva regalato…? E si era arrabbiata molto per la sua totale mancanza
di tatto e sensibilità? Avevano cominciato a litigare? Avevano passato un bel
Natale?
E
quanti anni prima era stato?
« Hermione? » La
richiamò festosamente Neville.
Lo
guardò per qualche attimo stando ferma dov’era, e accorgendosi solo a quel
punto di essersi fermata. Ma quando l’espressione di Neville cominciò ad
aggrottarsi, si ridestò, e scuotendo il capo riprese a camminare.
Non
lo ricordava, già.
Forse,
il telo si arricciava in qualche punto rendendo a tratti invisibili i suoi
ricami. O forse, semplicemente, mentre il ricamo s’infittiva in alcuni punti,
in altri non c’era proprio più niente. Forse… uno strappo aveva spezzato
irreparabilmente i suoi ricordi.
« Ehi Hermione! »
Chi mi chiamava?
Un
ago per ricucire…
« Hermione! »
Ron?
Un
ago per ricordare tutto…
« Hermione? »
Harry… ?
…
poteva esistere?
« Oh, guarda, nevica! »
« Granger! »
Draco.
Si
fermò di nuovo, spalancando gli occhi in un respiro che scoprì di aver
trattenuto.
Sospesa
da qualche parte, lentamente, percepì un insinuarsi doloroso di china nera,
acquarelli, tempere… un mescolarsi di colori intensi, su una tela pesante che
non si sgualciva né si piegava. Che non si strappava. Un passato più recente
che riaffiorava con nostalgica insistenza.
Draco…
Filtrata
da una nebbia opaca che le copriva gli occhi, la malinconia le si sciolse
davanti assumendo le forme del piccolo cortile bianco puntellato di piedini che
si vedeva dalla finestra…
Le
si strinse il cuore.
Si
voltò di più, per impedire a Neville di guardarla. Perché lui era davvero
troppo gentile. Perché vederle gli occhi gonfi di lacrime non avrebbe aiutato a
rendere speciale quel Natale. Strinse di più i libri al petto e trasse con
forza un respiro. Poi deglutì, per ricacciare nello stomaco il nodo che le si
era formato in gola, e continuò a camminare al fianco di Neville.
Chissà cosa gli ho fatto…
Abbassò
lo sguardo mentre procedeva.
Il
perché Draco si fosse messo a odiarla in quella maniera, all’improvviso, non lo
sapeva. Però, si era convinta di aver capito perché prima o poi sarebbe
comunque dovuto succedere…
Ci
aveva pensato tanto: ci aveva pensato davvero. Ed aveva capito almeno una cosa:
che sentirsi dire “Hermione Granger e Draco Malfoy” non era come sentirsi dire
“Hermione Granger, Ronald Weasley e Harry Potter”
Hermione e Draco… così suonerebbe
meglio?
Le
salì un sorriso colpevole sulle labbra… ma si smorzò subito, dolorosamente.
Perché
era stata proprio per quell’ostinazione a farla cadere nell’errore:
l’ostinazione di pensare che siccome per lei non cambiava niente, allora non
cambiava niente per nessuno.
Invece,
due cognomi molto spesso cambiano tutto…
Lei
neanche ci aveva pensato: neanche se n’era preoccupata. Neanche si era chiesta
se fosse giusto o meno: aveva semplicemente pensato che fosse incredibile con
quanta facilità avesse preso E ad un compito. E quanto bravo fosse stato a
vincere una partita di Quidditch. A quanto fosse
stato carino ad andarla a salutare in infermeria.
A
quanto divertente giocare a palle di neve?
Non
era che Draco Malfoy non l’avesse mai chiamata Mezzosangue o non l’avesse mai
voluta morta… solo, non era nemmeno che qualcuno si sarebbe aspettato che Harry
Potter e Ronald Weasley l’avrebbero lasciata a Hogwarts da sola.
Quello
che le persone fanno resta. Sempre.
In
bene o in male, segna.
Però…
esistono cose che segnano di più.
E
sei anni d’odio forse valgono meno di un solo sorriso.
E
se anche era vero che Draco non gliene aveva fatto nemmeno uno… era anche vero
che alcune volte l’aveva trattata come se non avessero fatto altro che
sorridersi da sempre…
Il
viso le si contrasse in una smorfia: di nuovo delle lacrime le bussarono agli
occhi.
Il
relativismo sapeva perfettamente cosa fosse. E avrebbe dovuto sapere che per
quanto le cose potessero avere un dato valore per lei, per quanto le cose
potessero renderla davvero felice, non era scontato che avessero lo stesso
effetto per gli altri.
L’aveva
offeso dando per scontato che fossero diventati amici? Si era, forse, sentito
insultare quando l’aveva chiamato per nome? Era rimasto disgustato nel momento
in cui aveva cercato di coinvolgerlo nella sua vita più di quanto le lezioni di
pozioni richiedessero?
Senza
accorgersene… aveva pensato cose che non avrebbe mai dovuto pensare di loro
due. E a quel punto? Poteva scusarsi? L’avrebbe ascoltata?
Avvertì
un nodo stringerle la gola.
Pensava
solo che se solo avesse saputo come rimediare, avrebbe voluto…
Per
Draco Malfoy.
Strano
davvero… ma vero davvero.
Per chi magari se l’era anche comprata l’ammissione alla
squadra di Quidditch, ma che poi era diventato un
giocatore eccezionale. Per chi era così collerico e insensibile da averla
sempre saputa offendere come nessun altro, ma che le aveva anche dato una mano
a portare i sacchetti con i regali di Natale. Per l’aveva voluta uccisa da un
Basilisco, ma che poche settimane prima era rimasto a insultare gli unicorni di
fronte a lei, piuttosto che andare a dormire.
Per Draco Malfoy, il re dell’orgoglio e la stupidità fatta
uomo.
Per le bandierine che gliel’avrebbero sempre ricordato…
No, devo smetterla.
Di
cercare un ago che non sarebbe servito a niente, doveva smetterla. Perché un
ago per ricucire serve soltanto se si ha qualcosa da ricucire…
E
tra lei e Draco Malfoy, evidentemente, non c’era mai stato niente…
E adesso basta.
Riaprì
gli occhi che aveva stretto con forza, determinata.
e li volse a Neville, che si era messo a
fischiettare allegramente: davvero, basta.
Qualcuno
se ne andava.
Quello
che andava fatto, certe volte, era solo lasciarlo andare.
Si
voltò verso Neville, che ancora fischiettava felice, e si sciolse in un piccolo
sorriso.
Quante
volte ancora avrebbe dovuto impararlo, prima di accettare che separarsi spesso
era indispensabile anche semplicemente per dare un valore a chi non se ne
andava?
« Andiamo a mangiare? »
Le domandò lui, voltandosi in quel momento e scambiando per fame – e non si
sapeva bene come – la dolcezza insita in quel suo sorriso pacato.
Le
uscì un sbuffo divertito.
« Prima devo fare una cosa,
scusami. »
L’allegria
di Neville si sciolse in un’espressione sofferente.
« Adesso? » Domandò provato.
All’idea
che lo lasciasse solo o che non potesse subito mangiare?
« Ci metto dieci
minuti. » Garantì dolcemente, e si volse verso il portone d’ingresso.
« Allora… allora ti aspetto a
mangiare! » Si sentì gridar dietro da Neville, con una voce dilaniata dal senso
di colpa.
Perché
stava rinunciando al cibo o perché stava per cedervi?
« Hermione! » Gridò Neville
dopo qualche attimo, colmo di pentimento: « RIPENSANDOCI FORSE INCOMINCIO! »
Perché
stava per cedervi. Decisamente.
Sorrise
al niente davanti a sé e gridò, prima di uscire verso la Capanna di Hagrid:
« SI! »
Ma
era certa che Neville non aveva aspettato il suo assenso per correre dal pan di
zenzero.
Quando
bussò alla porta della casupola del MezzoGigante, udì
tutti i rumori che un uomo delle dimensioni di Hagrid
poteva causare agitandosi in una quindicina di metri quadri di spazio – i cui 4 metri e mezzo non
occupati da lui erano irrimediabilmente pieni di ferrarglia
e latta: tanti tintinni, tanti grugniti e un lungo e straziante latrato di Thor, forse perché il padrone gli aveva schiacciato la
coda.
« C’è qualcosa che non
va? » Gli domandò subito, allarmata. Hagrid non
era il tipo da rabbuiarsi per niente.
Hagrid grugnì senza rispondere. Lanciò un’ultima, grave occhiata
in giro e poi le fece spazio nel vano della porta per farla entrare.
Prima
ancora che lei potesse ripetersi, in ansia, Hagrid
appoggiò sul tavolo la copia di un giornale.
« Toh. »
« Cos’è? » Domandò con
febbrile incuriosita. Incapace di dominarsi di fronte a carta stampata che
avesse nere su bianco delle parole fini – e tanto più erano fini, tanto più ne
rimaneva affascinata.
« L’anteprima della Gazzetta
del Profeta. »
Gazzetta… del Profeta?
Negli
occhi sgargianti scintillò qualcosa di molto simile alla commozione.
« Non posso crederci… » Trattenne il respiro,
sinceramente toccata, incapace di trattenere l’emozione. Era incredibile! Che avesse una copia il
giorno di Natale… Che esistesse una copia per il giorno di Natale… Che Hagridleggesse!
« E’ fantastico! »
In
uno slancio di profondo orgoglio gli riservò uno sguardo di scintillante
ammirazione.
Sapevo che sapevi leggere, Hagrid. Io lo sapevo.
Hagrid però scosse il capo, rabbuiandosi ancora di più.
« Leggi. » Reagì brusco.
Hermione
si ritrasse sostenuta, non capendoci niente: l’aveva appena sinceramente
ammirato per aver dato fondamento a tutte le più alte aspettative che aveva
riposto in lui quegli anni! Non era proprio il caso di essere così scorbutici.
Si
sistemò con calma sulla sedia, raddrizzandosi sul busto con fare piccato, e si
mise a leggere fingendo totale calma e noncuranza.
Ma
non appena la sua mente registrò il titolo dell’articolo in prima pagina
s’irrigidì all’istante.
Un
lampo ancora.
Ancora
negli occhi.
Di
preoccupazione pura…
« Doveva succedere. »
Commentò il MezzoGigante, scotendo il capo.
Lasciarlo…
Strinse
tra le mani il giornale, accartocciandone i bordi tra le dita.
« Hagrid… »
Si sentì mormorare con un filo di voce tremante.
« Che c’è? »
… andare.
« Ho bisogno che mi porti in
un posto… »
*** *** ***
Mercoledì 25 Dicembre. Ore 11.57
Hogwarts. Sala Comune
Che schifo…
Si
riguardò tra le mani il regalo di Hermione Granger.
Al
solo sovvenirgli di quel nome l’orgoglio cacciò lampi di collera selvaggia. Quello
stupido scarafaggio insignificante. Quella sottospecie di stecca con in testa
una siepe. Rigida e stupida. Isterica e insopportabile. Anche più piattola di
Piattola-Weasley! Petulante, puntigliosa, sciatta, indisponente!
Ed
era così svampita che nemmeno si accorgeva di quanto sapesse essere davvero
ripugnante…
Così
svampita che “cretina” non le suonava nemmeno bene!
Invece
cretino suonava bene su di lui.
Serrò
la mascella impietosamente forte. E un’ombra gli scese sugli occhi glaciali: a
ricordarsi per quante volte aveva pensato che in quella persona risiedesse del valore gli veniva l’incredibile
desiderio di prendersi a sberle.
In mancava della sua faccia da
So-Tutto da trivellare con un trapano!
Si,
la odiava per quello.
Perchè
era Hermione Granger.
E
avrebbe dovuto essere diversa, e invece non lo era.
Avrebbe dovuto un corno!
Imprecò mentalmente contro se stesso.
Ma porca vacca! Per tutte le Piovre Giganti della Terra! Anzi, per tutti i Serpenti Velenosi del
Pianeta! Ecchecacchio! Al diavolo tutte le creature
del mondo in cui avrebbe voluto trasformarsi quell’idiota! E al diavolo
direttamente quell’idiota! Che non avrebbe dovuto
proprio una bega di niente! Mamma che nervoso! Ed era lì: era lì che aveva
sempre sbagliato e continuava a sbagliare lui! Era per quello che era un
cretino impenitente: a dare meriti a qualcuno che non li meritava! A paventare
anche solo la vaga possibilità che non fosse indegno considerare Hermione
Granger completamente priva di qualunque cosa che non ispirasse vergogna, ignominia,
infamia, disprezzo e orrore!
E
l’aveva difesa!
Sentì
come di avere delle spire che gli cacciarono sulla punta della lingua litri di
veleno da sputarle in faccia. Le ciglia assottigliate quasi da non vederci più
e i pugni stretti lungo i fianchi che vibravano d’odio.
Contro
PansyParkinson, porca
vacca! Contro PansyParkinson!
Che, d’accordo, un po’ spostata lo era. E anche maniacale, nessuno diceva di no. E sicuramente
megalomane – inquietante, gli balenò nella mente il Regime Parkinson.
E con il senso del bello simile a quello di un procione cieco.
Tutto
vero. Tutto verissimo.
Ma
almeno non era così… così…
Così meschina.
Gli
salì in gola un disgusto tale che fece una smorfia come se davvero stesse per
vomitare.
Hermione
Granger lo faceva vomitare.
E
perché l’aveva raccolto, quel regalo del cavolo, nemmeno lo sapeva più!
Forse per il piacere di bruciarlo?
Mh… Si! Bello!
Doveva essere stato per quello!
Si
compiacque per quell’idea geniale. Un’espressione strana s’impadronì del suo
viso: un misto di trionfo e convinzione.
Un
trionfo, si…
Un
trionfo isterico. L’autentica stretta
in fondo allo stomaco di un laccio che gli serrava impietosamente le membra: un
nodo che non si scioglieva e il vomito glielo faceva venire sul serio. L’espressione
che s’incrinava travolta da un’ondata di sconforto desolante.
Di
delusione bruciante.
Che
non doveva spegnersi.
Si
voltò di scatto, alla ricerca ossessiva di qualche pezzo di legno con cui fare
un enorme falò. Un falò di quelli colossali, terrificanti, che rischiano anche
di bruciare quello che c’è intorno… si guardò intorno: vide Villa Malfoy. Lo
sguardo vi si perse dentro, nelle sale che conosceva a memoria. Vi si perse
dentro con un distacco impermeabile dentro cui divampava un grido cangiante, di
sogni spezzati e solitudine stridenti. Vitreo in quell’argento sbiadito e
opaco.
Nei
ricordi di una vita che lo colmavano sino a fargli scoppiare la testa.
Nei
ricordi di una padre che non c’era mai stato.
Di una madre che non c’era più.
Si,
poteva bruciare anche quella casa…
In
un grande falò, insieme a tutto quello che non aveva più senso.
Avrebbe
attizzato un grande fuoco! E non avrebbe mai lasciato che si spegnesse! Non
avrebbe mai lasciato che lasciasse dietro di sé solo cenere… e quel tormento
degenerato e malinconico che affondava le unghie nel suo petto.
Strinse
tra le mani il regalo che aveva in tasca. Lo accartocciò con rabbia, con lo
sguardo che si contraeva dolorosamente in un desiderio di fare pulizia di
quello che non doveva più esistere. Abbassò lo sguardo e trovò un legnetto, gli
occhi vi si assottigliarono sopra, si chinò e lo afferrò di scatto, con le mani
nude che affondavano nella neve che in quei giorni si era posata soffice sul
giardino intorno alla villa.
E
poi un altro legnetto. E un altro. E un altro ancora.
Stringeva quegli arbusti secchi e gelati tra le dita violacee, con
un’ostinazione furiosa e selvaggia.
Li
accatastò in qualche modo su un lembo di terra su cui aveva rimosso la neve. E
non era importante se erano pochi. Avrebbe fatto una grande magia, una
grandissima magia: avrebbe fatto bruciare tutto. E poi finalmente non ci
sarebbe più stato niente.
Niente
sulla faccia della terra che potesse sbiadirgli lo sguardo di quello che in
quel momento era tremendamente simile a delle lacrime…
Ma
non lo erano! Non gliene fregava niente! Non si sentiva solo! Non si sentiva
abbandonato! Da nessuno! Né da suo padre! Né da sua madre! Né dal mondo intero!
Né da…
Da…
NO!
Si
impuntò furibondo, con un cipiglio che in quel momento più che in qualsiasi
altro parve disperato. Prese dalla tasca il regalo di quella stupida e lo gettò
in mezzo ai legnetti. Quella ragazzina egoista. Quell’opportunista non l’aveva
abbandonato! E lui non ci si sentiva perché lei non era niente. Niente! Perciò non gliene fregava niente
se lei non c’era più. Era stato un attimo, uno stupido errore pensare qualcosa
di diverso!
E
oltretutto non ci aveva nemmeno pensato lucidamente!
Guardò
con odio il pacchetto davanti a sé. Estrasse la bacchetta, la puntò contro il piccolo
mucchietto, lo fissò come se tutto ciò che era rappresentasse quello che doveva sparire, fece per pronunciare una
formula magica e…
Un
puntino di freddo si sciolse sulla guancia calda.
Un
disturbo convulso gli contrasse le membra.
Un
altro puntino.
E
poi un altro.
E
un altro ancora.
Piccolo
fiocchetti di neve fina cominciarono a danzare soffici su di lui ed intorno a
lui, puntellando di bianco le sue impronte scure in mezzo alla neve, e il
mucchietto di legno che aveva ai suoi piedi.
Chiuse
gli occhi al limite della sopportazione.
Ecco, perfetto…
Addio
falò, con quella neve di mezzo!
Io odio la neve.
La
odiava!
In
un tremito di rabbia e frustrazione, quando un fiocco più grande degli altri
gli si posò sul naso, tirò un calcio contro il mucchietto di legna. Un calcio
così forte che tutto volò per aria. Un calcio così forte che le dita dei piedi
si incassarono nelle scarpe e lui cacciò un gemito dal dolore, piegandosi su se
stesso e imprecando.
Un
calcio così forte… che il regalo di Hermione volò diversi metri più in là…
Un
grido straziante gli sorse in gola ma si asciugò prima di uscire dalla bocca
aperta.
Perché…?
Perché…
aveva dovuto essere lei?
Perché
diavolo nel suo opportunismo, nel suo
egoismo di riempire semplicemente un vuoto non aveva finito anche per volergli
anche solo un po’ bene per quello che era…?
Accettarlo… per quello che era…
Si
contrasse in una smorfia lacerata, sfinita, furiosa…
Si
guardò le mani tremanti, gelide, e se ne portò una alla testa pulsante,
comprendo un poco il viso contratto e scosso da singulti ingoiati per orgoglio.
Perché,
semplicemente, anche per un motivo futile non le era diventato caro… almeno
quanto lo era diventa lei per lui? Almeno da sentirsi abbandonata da lui,
almeno quanto lui, nel profondo… si sentiva abbandonato
da lei…?
Sollevò
lo sguardo spezzato, stanco di non piangere… e poco più in là lo vide…
Come
un piccolo miracolo sporco e ormai mancato: un regalo che si era scartato da
sé, nell’aria. Lasciato. Raccolto. E poi lanciato via… aveva voluto aprirsi…
Al
solo scorgerlo di lontano avvertì una stretta al cuore.
Qualcosa
di rotto che si sigillava insieme di nuovo… solo per rompersi, di nuovo.
Una
speranza spezzata due volte.
Nell’avvicinarsi
lento… nel raccoglierlo trovando nell’inerzia l’unica spinta per avvicinarsi.
Mortificato e solo, al limite della rassegnazione, con uno sguardo disperato,
si trovò a fissare un piccolo ciondolo a forma di serpente.
Quello
che si era fermato a guardare a Hogsmean, quando ci
erano andati insieme…
La
confusione e la tristezza che lo colmarono in quel momento furono
talmente profonde, gli gonfiarono il cuore con talmente tanta veemenza che in
un soffio tutte le lacrime che poterono uscire, uscirono, senza un rumore… e
tutte le tante altre si spensero dentro gli occhi sgomenti…
« Tu sei come
sei. »
Quel
serpente sembrava dire questo.
E
l’Hermione che gli aveva lasciato quel regalo, sembrava dirgli che l’aveva
sempre saputo.
Sempre…
E
sempre… sempre… accettato.
Con
un sorriso.
Si
coprì gli occhi con le mani, nascondendo una smorfia distrutta.
Lo
voleva vedere ancora quel sorriso…
Voleva
essere perdonato.
Anche
se non avrebbe chiesto scusa nemmeno fosse cascato il mondo, voleva
disperatamente essere perdonato per averla lasciata indietro… prima che lei
potesse farlo con lui
Essere
perdonato per aver pensato che l’avrebbe gettato via come uno straccio vecchio
quando si fosse accorta di non poterlo cambiare.
Essere
perdonato da quella sua gentilezza che sapeva davvero superare sei anni di
odio: accettare un affetto. Custodire con calore.
Che
l’aveva fatto sperare.
Sperare…
che un po’ di speranza ci fosse, in fondo, per tutti.
…
anche per lui…
Essere
perdonato per non aver saputo ammettere di fronte a nessuno, nemmeno a se
stesso, che era diventata così preziosa… così importante che la sola idea di
non essere niente, per lei, non aveva solo ferito il suo orgoglio… ma anche
disfatto il suo cuore.
La
voleva vedere…
Negli
anfratti di sé, in quelle cose buone che lei aveva visto. In quelle che lei
aveva forse creato, semplicemente
credendoci… voleva trovare un ago con cui ricucire lo strappo che aveva
provocato nella loro vita.
Per
potersi incontrare ancora.
Non
per andare verso di lei… perché non era così buono, non era così bravo.
Ma per permettere a lei di venire verso di lui, si. Quello si.
Perché
lei, invece, così buona lo era sempre stata.
« Draco! »
Gli
parve persino di sentirla… con quella sua voce assurda che si preoccupava per
un niente, e quando era in apprensione per qualcosa diventava stridula e terrificante
come il vagito di un ippogrifo.
« DRACO! »
Sotto
le mani che ancora gli sostenevano la fronte pesante, inarcò le sopracciglia
contrariato.
… perfetto, adesso ho pure le
allucinazioni… sono proprio un demente…
Scosse
il capo con stanca insofferenza, e l’orgoglio intramontabile che lo
accompagnava seppe persino indurlo ad arrabbiarsi all’idea di essere caduto
così in basso da sentire la voce stridula di quella comunque insoffribile stracciamaroni della Granger che lo chiamava – insultarla
gli faceva bene, si convinse.
Come
se davvero potesse essere Hermione Granger quella che, sollevato lo sguardo,
vide scendere da una motocicletta guidata ad un ispido MezzoGigante
infagottato, e superare la soglia del grande cancello rimasto aperto da quando avevano
portato via sua madre.
Gli
venne un colpo quando riconobbe che nemmeno
un’allucinazione poteva avere quei capelli così dannatamente cespugliosi.
Sbalordito
e sconcertato, Draco Malfoy comprese che la persona che stava correndoverso di lui era proprio Hermione Granger.
Nella
confusione totale e nel principio di assurdo sollievo contro cui non voleva
combattere gli venne da stridere con voce rotta, pericolosamente incline al
pianto:
« C-che
cosa diavolo ci fai qui?! »
D’altronde
Hermione sembrò ignorarlo completamente (cosa per la quale ci sarebbe stato un
lungo discorso) e si precipitò letteralmente da lui.
Pallida,
quasi smorta, con un fiatone da nonna di ottont’anni
che ha appena finito una maratona di 20 chilometri (numero
metri che aveva percorso correndo = 46 e mezzo) e uno sguardo alienato.
Con
un principio di embolia, cominciò un’infinita sequela di parole assurde:
« Stai bene? Ho letto di tua
mamma! Io lo so che non volevi. Ma poi ho visto il giornale… E quindi ho
temuto… » Si fermò solo per spalancare gli occhi in modo disumano,
diventando quasi agghiacciante, e per aggiungere mortalmente costernata:
« Lo so che non volevi… »
E
poi riprese orrendamente a parlare, traendo respiri profondi ogni cinque minuti
– e per tutti gli altri rischiando la vita in una drammatica apnea.
Mentre
lui…
Beh,
lui la guardava ammutolito.
Ad
un tempo sconvolto per il suo arrivo improvviso. Traumatizzato per quanto
poteva diventare oscena all’incassarsi continuo di polmoni, guance e occhi. E
incredulo per quanto poteva essere assurda in quell’evidente tentativo di
suicidio che per lei doveva essere praticamente un’esigenza per come non
smetteva minimamente di parlare.
Ma
le sopracciglia aggrottate e perplesse che si erano arricciate con incredulo
sgomento, cominciarono presto a rilasciarsi lentamente… il sollievo quasi gli
fece male negli occhi e nella mente: lo sforzo di sciogliere tutto il rancore,
tutta la sofferenza, in un istante, gli strappò un dolore lancinante che durò
però solo per un attimo…
L’espressione
contratta cominciò a rilassarsi con le spalle, mentre una mezza smorfia che di
rassegnato aveva forse, soltanto, un autocritica commossa, gli si disegnava
sulle labbra.
Non
era nessun altro che lei.
Orribile, inquietante e isterica…
Disarmante…
…
per quanto sapeva essere commuovente.
Il
tipo di persona che sapeva preoccuparsi damorire per chiunque.
L’unica,
che sapeva farlo per lui.
E
l’aveva sottovalutata ancora una volta.
Pensando
che servisse per forza un ago per ricucire tutto.
Quando,
invece, semplicemente, bastava lei…
« … scusami… »
Gli
uscì in un sussurro prima ancora di rendersene conto, ma non se ne pentì…
E
dire che non stava neanche cadendo, il mondo…
Ma
in fondo non era poi così importante rispettare una promessa stabilita con sé
stesso, no? Tanto nessuno avrebbe saputo che non l’aveva rispettata. E al
massimo sarebbe stato in seguito attanagliato da indicibili rimorsi e
dolorosissime convulsioni.
Abbozzò
una smorfia auto-ironica.
Ci
poteva anche convivere, in fondo.
Se
solo lei avesse sorriso, era certo che avrebbe potuto riuscirci.
Hermione
però non sorrise.
Ebbe
invece una reazione strana.
Sbiancò
ancora di più, e senza aprirsi in alcun sorriso lo guardò in un modo ancora più
terrificante… come se stesse davvero
per morire, insomma. Con gli occhi che stavano per rivoltarsi, le guance che
non esistevano praticamente più tanto erano incassate e la bocca essiccata in
una smorfia raccapricciante.
Fu
quasi sul punto di sentire la preoccupazione vincere l’orrore… ma poi vide Hermione
riempirsi di lacrime e cominciare a singhiozzare a dirotto, e non gli passò
nemmeno per la testa che quello non fosse un pianto commosso.
Più di
quanto non sia stato le volte precedenti ribadire le mie scuse per i ritardi, e
sottolineare che comunque il mio impegno in questa fan fiction è assoluto, nella
misura in cui il tempo per lo studio, per il lavoro e per poche altre cose
oggettivamente più importanti, me lo permettono.
Più
difficile perché non sono mai arrivata al punto di dover dire che, comunque,
scrivere è e dev’essere – almeno secondo la mia
opinione – un piacere.
E un
piacere principalmente per chi scrive, non solo per chi legge.
Dico
questo non per difendermi da chissà quale accusa, perché non me ne sono state
rivolte: è stato anzi molto apprezzato il vostro continuo ricordarmi che c’era ancora
qualcosa da scrivere in questa fan fiction, qualcosa che era tanto atteso da
non potersi attendere per un (altro) anno, e come sempre sono estremamente
grata a tutti voi che avete commentato ancora assiduamente, ancora con
entusiasmo, la mia storia.
Dunque,
dico questo per contestare solo una piccolissima parte delle vostre opinioni:
perché no, io non vi sto mancando di rispetto.
Posso
capire la delusione di non trovare un capitolo, e l’esasperazione nel pensare
che la mia promessa di finire la fan fiction probabilmente implica tempi
biblici, ma questo non significa che, ribadire la mia promessa e continuare a
scrivere nei tempi che mi sono possibili, sia irrispettoso.
Non
finirla, dopo avervi detto che l’avrei fatto, sarebbe irrispettoso.
E tutt’al
più non aver mai detto che l’attesa sarebbe stata lunga – cosa che viceversa ho
sempre detto – sarebbe stato irrispettoso.
Ma io
scrivo, per me e per voi, tutte le volte che posso, ci metto impegno, e, di
sicuro, tolgo tempo ad altre cose che sicuramente mi piacerebbe ugualmente
fare.
E
soprattutto nessuno obbliga nessuno a seguire questa fan fiction, specialmente
se questo gli procura fastidio – e sto sempre parlando di un fastidio legato
alla più che giustificabile esasperazione e rassegnazione per la lentezza
infinita degli aggiornamenti, perché so che è di quello che si parla.
E,
ripeto, so cosa vuol dire sentirsi un po’ delusi di fronte ad una storia mai
aggiornata, mai finita, che si desidera molto vedere conclusa o continuata, ma
penso comunque che non sarei mai stata giustificata nel ritenere irrispettoso
l’autore che ne era “responsabile”.
Non era
un suo dovere.
E ad ogni
modo penso che non fosse così contento di non avere tempo o persino voglia di
finire qualcosa che aveva iniziato, perché in fondo si sarebbe trattato di non
continuare una cosa per cui del tempo l’aveva già speso (e generalmente è tanto tempo).
Detto
questo, se è vero che scrivo per me e anche per voi, è anche vero che metto
on-line le mie storia per lo più per voi (ovviamente,
non nel senso che lo faccio a vostro esclusivo piacere e in me non c’è nessuna
pretesa egoistica: sono contentissima all’idea di ricevere i vostri commenti, e
per questo posto volentieri).
Dunque se
tutti pensate che questo non vi crea più piacere, che
questo sconclusionato modo di andare avanti implichi tutto sommato un gioco che
non vale la candela, io posso smettere di postare la storia, o eventualmente
scrivere un capitolo finale alternativo, che concluda un po’ le vicende fino a
questo punto narrate, cosicché non abbiate aspettato per nulla.
Nel
frattempo posso andare avanti a scrivere la mia storia, per come l’avevo
immaginata e continuo a immaginarla, per me e per gli amici più stretti a cui
posso mandarla via e-mail o comunque che possono averla disponibile senza
passare da internet (che comunque richiede altro tempo ed energia quanto meno
per rileggere e risistemare quello che non va più che bene)
Ve lo
scrivo, con assoluta e totale disponibilità, con l’intenzione di sdebitarmi per
l’incredibile gratificazione che ho avuto, grazie a voi, alla vostra
partecipazione e al vostro apprezzamento, nel scrivere
questa fan fiction fino a questo punto.
La mia
e-mail è scritta sul mio profilo, ma in generale per quelli che avevano già
intenzione di commentare il capitolo lasciando su EFP una recensione o che
avranno questo desiderio nel corso della lettura (e spero siano tanti ^^) vale
la regola che mi si può lasciare lì un brevissimo appunto, purché non mi sia
scritto solo quello e purché sia davvero un appunto brevissimo: è importante,
va rispettato il regolamento del sito.
The Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 12. Oltre
il velo
We have got through so much worse than this before What's so different this time that you can't ignore? You say it is much more than just my last mistake And we should spend some time apart for both our sakes
Abbiamo
passato tempi peggiori di questi Cosa c’è di così diverso questa volta che non puoi
ignorare? Dici che è molto di più che solamente il mio ultimo errore E che dovremmo separarci per il nostro bene
[Snow
Patrol – Make this go on forever]
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.10
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy
Aveva
lui mai detto che avrebbe potuto
convivere con l’onta e la convulsioni generate dallo
scusarsi sommessamente con quella deficiente
cosmica di Hermione Granger?!
Per
la verità, si.
Soffiò
tra i denti del veleno puro, cacciandolo contro lo specchio nel tentativo di
corrodere l’immagine ignominiosa che stava riflettendo di sé. Ma non poté far
altro che piegarsi in due per i dolori atroci che gli strinsero impietosamente
lo stomaco.
Sollevò
faticosamente lo sguardo stravolto e imperlato di sudore. In una smorfia di
trattenuto dolore, con le fitte che gli falcidiavano gli organi interni e con
gli occhi ridotti a due sottili fessure, fece echeggiare per i sotterranei di
Serpeverde un ululato incontrollabile e minaccioso, e tutta la scuola seppe che
Draco Malfoy – l’impenitente, orgoglioso, collerico e lunatico, Draco Malfoy –
aveva contratto una fulminante diarrea.
Un
tizio di nome Sigmund aveva proposto una teoria interessante rispetto
all’educazione dei così detti sfinteri, dando un ruolo cardine a quello
proverbialmente posto nel popò. Attorno a questo sfintere aveva fatto tutta una
serie di elucubrazioni confortanti sul senso del dono che ne proveniva e su
come esso fosse un profumato investimento affettivo che non si volesse essere
così disposti a rilasciare, almeno non nei primi mesi di vita. Un trauma di un
qualche tipo in teoria avrebbe potuto impedirne la sua giusta regolazione… e in
pratica avrebbe fatto nascere categorie concettuali altamente edificanti come:
stitichezza, sindrome del colon irritabile, costipazione e la già citata
diarrea, detta anche in gergo squisitamente medico “scariche di caghetta liquida”
Partendo
da questi presupposti, a giudicare dalla quantità di doni che sembrava
possedere il suo intestino, e dalla frequenza con cui sentiva improvvisamente
la necessità di espellerli, sarebbe stato giustificabile far risalire il suo
disturbo a un trauma infantile di devastante entità.
Naturalmente,
lui era di tutt’altra opinione.
Imputava infatti la sua condizione alla maledizione che i suoi avi
avevano presumibilmente scagliato su di lui per quello che aveva fatto alla casata
dei Malfoy pronunciando ignominiose parole di scuse. Per di più a una creatura
completamente indegna persino di essere salutata.
Maledizione
che aveva cagionato i suoi ripetuti tete-a-tete
col water.
Ma
non era colpa sua l’aver pronunciato ciò che aveva pronunciato. Era questa la
ragione del suo colossale malumore!
Qualcuno
gli aveva fatto un incantesimo! Qualcuno aveva architettato una vendetta contro
di lui! E quel qualcuno con ogni buona probabilità e logica era Hermione
Granger!
E
a quel punto lui, innocente, ne stava pagando
indebitamente le conseguenze!
Poco
in portava se qualche esimio medimago
avrebbe forse avvalorato l’ipotesi che mangiare due chili di marmellata alle
arance e poi prendere freddo allo stomaco potesse in qualche modo incidere sulle
abitudini intestinali di un qualunque individuo. E questo persino a prescindere
da incantesimi o maledizioni. Per quanto fosse un fatto che di traumi infantili
lui ne avesse certamente avuti, e di proporzioni indubbiamente devastanti.
D’altra
parte, Draco Malfoy era tornato Draco Malfoy, e nessuno gli avrebbe tolto
l’inguaribile desiderio di incolpare Hermione Granger di tutti i mali di questo
mondo.
Dandole
ovviamente un ruolo del tutto elitario per quello che riguardava i suoi, di
mali.
Le
cui proporzioni nell’ultimo quarto d’ora si erano ingigantite in modo
spropositato, oltretutto.
Complice,
sicuramente, il fatto che l’unico Serpeverde del suo stesso anno
rimasto a Hogwarts per Natale sembrava essere Pucey
Davis. E la cosa era pregnante se non altro per la semplice ragione che la
possibilità di sfogare sugli altri il suo – costante – malumore era in linea di
massima proporzionale al malumore stesso: non avere nessuno pronto ad ascoltare
i vituperi che uscivano a fiume dalla sua bocca era strettamente connesso con
l’impennata presa dal peso dei suoi mali.
E
per quanto riguardava Pucey Davis, era semplicemente
fuori discussione un qualunque contatto che non prevedesse esclusivamente un
calcio negli stinchi.
Le
parole non servivano con i traditori di Serpeverde.
E
che Pucey Davis lo fosse – un traditore, intendo –
era uno dei massimi credo di vita di Draco Malfoy.
Secondo,
probabilmente, solo alla profonda convinzione che Hermione Granger dovesse
essere accoppata.
Forte
di questa schiacciante e indiscutibile verità, si trascinò verso l’infermeria
con indiscussa grazia: rantolando e gemendo il più acutamente possibile, in
versi straziati e strazianti. Il tutto al primario scopo di ragguagliare una
creatura – non precisamente umana e non meglio specificata – che prima di
morire doveva quanto meno espiare quella parte di colpe che l’avrebbe salvata
dalla dannazione eterna e che guarda caso potevano essere suppergiù scontate
dimostrandosi sufficientemente dispiaciuta per la sua condizione.
Draco
Malfoy, dispensatore di indulgenze, era caritatevole fino a questo punto, si.
E
cretino molto oltre qualunque punto, anche. Considerando che la Torre in cui si presumeva
fosse colei a cui doveva giungere il suo urlo disumano era l’estremità fisica
più lontana da dove si trovava in quel momento.
Priorità
principe era ugualmente raggiungere l’infermeria.
Almeno
prima che la drammatica verità della sua condizione si rivelasse in tutta la
sua forza dirompente.
Almeno
prima di scoprire l’imbarazzante essenza dell’incontinenza…
…
senza avere un bagno a portata di mano.
Madama
Chips lo accolse con una sorpresa che, a tratti,
sotto i colpi sferzanti delle coliche renali, gli parve stramaledettamente
divertita.
« Signor Malfoy? Ma cos’ha? » Domandò con la vocetta rachitica,
senza però muovere un solo passo verso di lui.
Le
lanciò uno sguardo carico di angoscia, stringendosi con vigore la pancia.
« Secondo lei?! Al posto di restare lì a fissarmi non potrebbe darmi
qualcosa!? »
« Moderi il tono, Signor
Malfoy. » Lo ammonì acidamente la medimaga,
aggiungendo spicciola: « E si sieda. »
Con
un’indifferenza da manuale che la fece arrivare alla sua credenza delle
meraviglie in tempi immani, Madama Chips si mise
svogliatamente a cercare una medicina tra le molte boccette piene di pozioni.
Mentre
lui, sulla scia di un improvviso movimento intestinale, fece un balzo sulla
sedia più vicina. Spinto in parte dal panico. In parte dalla lucida
consapevolezza che la priorità fosse solo una.
Tapparsi.
Quando
vide che Madama Cips non aveva ancora smesso di
cincischiare in mezzo a quelle stramaledette boccette, le ringhiò astiosamente
tra i denti:
« Si vuole muovere?! »
La
medimaga gli lanciò uno sguardo di sufficienza e poi
afferrò una boccetta che all’interno aveva un liquido verdognolo. Gliela passò,
dettando laconica:
« Ecco: trangugi. »
« Trangugi? »
Ribatté in un soffio strozzato, disdegnoso e circospetto – e sempre tutto
raggomitolato in se stesso, stando ben attendo a non aprirsi troppo nell’afferrare l’ampolla.
Esitò
a prenderne un sorso, ma i crampi erano talmente forti che decise di ignorare
il pessimo presentimento che aveva rispetto a quella pozione.
Si
accorse però immediatamente, che andando avanti di sorso in sorso sarebbe morto
molto prima di guarire.
Soffocato
nel vomito con cui avrebbe inondato la stanza.
«Dio! » Strillò, inorridito. Ritrasse il
capo con una smorfia molto più che disgustata. «Che schifo! »
« Trangugi, trangugi. » Ribadì Madama Chips, che, prima
di andarsene chissà dove, gli diede due pacche sulle spalle che celavano nel
tocco una qual sorta di gongolante soddisfazione.
Ma
Draco Malfoy aveva ben altre gatte da pelare in quel momento. Molto più urgenti di mutilare orrendamente la medimaga. Come per esempio far risalire tutta la faringe
all’ultimo trangugio che gli si era mozzato tra i denti, e che gli aveva
strappato il colorito più rosato che si fosse mai visto sul suo viso.
O,
piuttosto, come far fronte ad una conseguenza, di tutto quello che era
successo, che i crampi allo stomaco avevano relegato fino a quel momento negli
angoli più nascosti della sua mente…
« Guarda chi c’è? Il
figlio dei due mangiamorte più famosi dell’Inghilterra. »
Si
volse lentamente verso destra.
E
non fu uno sforzo immane, per lui, solo perché la pancia continuava a dolergli
ad ogni minimo movimento…
Un
ragazzino di Corvonero, probabilmente in infermeria a
causa del suo braccio destro – penzolante quasi fosse stato incantato da quel
depravato di Allock – lo fissava avidamente, con
bramosa insistenza.
E
i suoi occhi recavano al loro interno qualcosa di così nitidamente trionfante,
e nello stesso tempo sfinito e sfinente, che sarebbe bastato davvero solo
quello, e non anche le parole che disse, per fargli comprendere davvero molto
di quello che sarebbe venuto…
Il
Corvonero saltò giù dal suo lettino con incauta
urgenza. E vacillò per qualche momento prima di assestarsi in piedi.
Basso
e pallido, persino sofferente a giudicare dalla smorfia che faceva ad ogni
ondeggiamento di quel suo arto martoriato, appariva eppure così imponente di fronte a lui.
A
lui, che nell’istante esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva
capito che la sua strada, che forse un bivio lo era sempre stata, a quel punto
cominciava ad andare solo e semplicemente avanti, in una sola direzione. Dritta
e larga.
Scoperta.
Senza
più un albero sotto cui riposarsi, senza più i mille
sentieri da prendere per fare un po’ quello che voleva. Senza più discese,
salite, scorciatoie: solo una lunga strada vuota.
Sotto
il sole, il vento e la pioggia che sarebbero venute giù da cielo.
E
l’aveva saputo all’improvviso, ma nitidamente, che quello era vento di
tempesta…
« Che fai,
Malfoy? » Riprese con cupa soddisfazione il Corvonero,
facendo un passo barcollante verso di lui, e continuando a soffiargli tra i denti
tutto il suo risentimento: « Non reagisci? Non hai niente da dire? »
Non
ne aveva, infatti.
Perché
l’unica cosa che gli appariva adatta, per lo strano giro degli eventi, non
l’avrebbe ridetta una seconda volta.
Si
rigirò sulla sedia, con movimenti nervosi e insofferenti. Avrebbe
semplicemente voluto tornare nella sua stanza, e non uscirne per molto
tempo. Avrebbe semplicemente voluto non dover dire niente. Ma dovette sforzarsi
di rispondere, raccogliendo tutto il fastidio di cui era capace in quel momento:
« Gira a largo, ok? »
« Quanto tempo ci vorrà prima
che ti sbattano ad Azkaban con i tuoi genitori? » Ringhiò invece il Corvonero,
sempre più infervorato.
« Ti avverto, se non la
smetti… »
« Cosa vuoi farmi? » Lo provocò l’altro, con gli occhi fiammeggianti e il
respiro affannoso, per il trasporto con cui lo fronteggiava. « Uccidermi
come un vero mangiamorte? »
Reagì
d’impulso.
Nel
ricordo di un sé ormai perduto, seppur in così breve tempo.
Reagì
scattando in piedi e serrando tra le dita la propria bacchetta. Ma negli occhi
non c’era orgoglio. Né ardente fiducia in un credo che negli anni qualcosa di
amaro, qualcosa di marcio l’aveva
lasciato. Negli occhi: una desolazione lancinante. Ardente. Smarrita.
Una
rabbia verso qualcuno di indefinito che assomigliava molto a se stesso…
E
quello che esalò, come se fosse una minaccia, lo sentiva così falso che gli
salì la nausea solo a pronunciarlo:
« E se lo facessi? »
« Lei non farà proprio niente,
Signor Malfoy. » Lo corresse frigida e altera Madama Chips,
comparendo all’improvviso, e guardandolo prima lui e poi sovrastando il Corvonero con l’asciutta figura nodosa: « E lei la
smetta di far penzolare in giro il suo braccio, se non vuole che rimanga per
sempre così. »
Solo
dopo essersi assicurato di non poter continuare a insultarlo, il ragazzino
ricadde sul lettino e si rannicchiò sotto le coperte. Il viso ancora un po’
deformato dal fervore, e stravolto dal male al braccio che doveva essere
divenuto insopportabile da quando aveva cominciato ad agitarsi.
Madama
Chips disse allora a lui di tornare al suo
dormitorio. Lo guardò insistentemente, scandendo ogni parola con profondità.
Con l’integrità inattaccabile di chi, quando arriva il momento, si schiera
persino con i colpevoli se questi sono diventati i più deboli.
Un’ammissione
che nell’autostima che gli era rimasta lo colmò di
frustrazione.
Fece
per andarsene.
Andare
avanti. Fosse anche per pagare. Ma
almeno avanti… almeno per non dover ammettere che l’unica cosa che gli rimaneva
era davvero quel muro impietoso di lucente determinazione. Lì a difenderlo solo
perché non si infierisce su un nemico già vinto…
Il Codice d’onore dell’Esercito di
Silente.
Strinse
i pugni lungo i fianchi, cercando di scacciare i pensieri che gli affollavano
la testa. Ma oltre il braccio arcuato delle medimaga,
vide qualcosa che fermò i pensieri dov’erano: che fermò tutto il suo mondo
dov’era.
Lentamente,
lo bloccò, incastonandolo in quel momento.
In
quel momento in cui i passi slanciati si fermarono come se non avesse più forza
per trascinarli. In cui gli occhi gli rimasero incollati allo sguardo contrito…
Umido. Sorridente di un sorriso penoso… che il giovane Corvonero relegava al calore gentile del suo cuscino.
Non
lo udì veramente: non era possibile da quella distanza. Non era possibile per
la voce sottile con cui venne mormorato.
Eppure,
in qualche modo lo sentì.
Un
singhiozzo silenzioso e contratto, che sembrò liberare il petto di chi lo
lasciò andare:
Non
troppo forte, ma nemmeno in modo timoroso. Con toccate ferme: non secche, ma
nemmeno morbide.
Voleva
dare l’impressione di essere assolutamente tranquilla e convinta di ciò che
aveva fatto.
E
lo era, certo.
Ecco
perché la spilla appuntata al suo petto, di solito fulgente di luce argentea,
le sembrava orrendamente nera.
Riflesso
del suo cuore, anch’esso ovviamente nero. Orribile. Efferato. Contaminato. Quasi Naraku
l’avesse impregnato con la sua solita, cara, vecchia aura malefica che appesta
sempre tutto quello che trova a meno che nei paraggi non si aggiri Kikyo, risorta per la trecentoventisettesima
volta, cecchino scelto della S.W.A.T. nonché MastrolindoMikoVersion, che fa tornare tutto perfettamente luminoso e
pulito.
Ed
ecco perché si era resa inesorabilmente conto che, per lei e solo per lei, la
“P” marchiata a fuoco sul suo glorioso stemma non voleva più dire “Prefetto”,
ma ovviamente “Peccatrice”.
E
sempre per la medesima ragione, ovvero il fatto che era e si sentiva innocente
e calma, forte della sua moralità e dei motivi che l’avevano indotta a
infrangere le regole – questo solo pensiero le causò un breve mancamento -si trovava a
traspirare copiosi litri di sudore gelido. E aveva mandato una lettera a Oliver
Baston per chiedergli in prestito la frusta con cui
tutti sapevo aveva allenato la sua squadra di Quidditch
negli anni addietro, e con la quale aveva già programmato i giorni della
settimana con cui flagellarsi atrocemente.
Ovviamente,
aveva anche rispolverato un vecchio leggio grazie a cui, nel flagellarsi,
avrebbe potuto contingentemente anche studiare.
Va
bene espiare… ma un minimo di diletto voleva tenerselo!
Il
punto era: quando la porta si aprì senza preavviso, Hermione Granger si decise
ad avanzare solamente per due ragioni.
La
prima: il dovere di essere corretta pur nella sua imperdonabile mancanza.
Ovvero, ammettere l’errore prendendosi le sue responsabilità.
La
seconda, e più importante: il vago ricordo di una vecchia clausola mai
esplicitamente abrogata – ed era controversa la questione della sua abrogazione
tacita o implicita - all’articolo 2117 comma 84bis del
regolamento di Hogwarts, la quale considerava un’infrazione svenire davanti
all’Ufficio del Preside, ostruendo così il passaggio ad altri studenti
bisognosi.
Per
questo e solo per questo, Hermione
Granger ebbe la forza di andare a far fronte alle sue innegabili colpe.
Sussurrando mentre sgusciava velocemente all’interno, con un filo di voce:
« Permesso… »
Da
dietro la scrivania, un fiotto di luce accecante e purissima la annegò in tutta
la sua immacolata beatitudine. E una voce che recava in sé infinita gentilezza
– poiché la più grande punizione per il Maligno è mostrargli quanto gli è
superiore la magnificienza del Giusto – l’accolse nauseabondamente dolce:
« Signorina Granger! Prego!
Entri pure! Che piacere vederla! »
Deglutì,
facendo un passo in avanti che non seppe davvero come le riuscì.
Forza Hermione, puoi farcela.
« Salve Professore, scusi se
la disturbo… » Farfugliò con un fil di voce, stropicciandosi le dita le une con
le altre.
« Nessun disturbo, nessuno! » Scosse allegramente il capo il Preside, facendole segno di
avanzare verso di lui. « Stavo giusto per bere
una tazza di te. Vuoi favorire? » Le allungò sul
tavolo una tazzina, sorridendole dietro la barba. « Assicuro
che è delizioso. »
Continuando
a sudare freddo si sedette sulla sedia, mentre biascicava brevi negazioni e partecipatissimi ringraziamenti, scuotendo con movimenti
meccanici e nervosi il capo cespuglioso.
Non
l’avrebbe detto, ma tutto quel rituale doveva fare un gran ridere.
Altrimenti
Silente, che era una così brava persona da tramutare una risata in un sorriso
intenerito, non l’avrebbe guardata così affettuosamente.
Ma
Silente era Silente.
E
un po’ dell’ansia che l’aveva accompagnata, si era già dissolta.
E
persino il silenzio che per un po’ si venne a creare, mentre il Preside
sorseggiava sereno il suo the, non parve così pesante come forse lo sarebbe
sembrato se al suo posto ci fosse stato chiunque altro…
Per
quanto ugualmente difficile fosse tentare di imbastire un discorso articolato
contro il pressante desiderio di togliersi la spilla, riconsegnarla per
indegnità, e inginocchiarsi ai piedi di Silente domandando perdono.
Cosa
che, tutto sommato, il suo spropositato orgoglio le faceva apparire ancora non
del tutto consona.
Il
Preside le tolse il pensiero di cominciare a scusarsi, esordendo per lei:
« Ho sentito… » Pausa.
Pallore. Sudore. Unghie nei braccioli della sedia. « … da fonti che
ritengo attendibilissime… » Hagrid. Maledetto. Traditore. Omicidio. « … che è stata fatta una
missione di salvataggio ieri. »
Ok, ho capito.
Fece
per alzarsi e tirare indietro la sedia.
Le
serviva più spazio per prostrarsi.
Ma
si fermò a mezz’aria quando udì Silente dire vividamente:
« Un’idea sorprendentemente
previdente, considerando che una missione simile era stata programmata da me
per quest’oggi. »
Aggrottò
le sopracciglia, sorpresa.
« Come…? »
Silente
annuì con convinzione un paio di volte, mentre lei si risedeva lentamente sulla
sedia, fissandolo perplessa.
« Ovviamente, Signorina
Granger, è dovere di ogni Preside assicurarsi che i suoi studenti passino delle
belle feste di Natale. E non possono certo nemmeno dispiacersi se una loro
studentessa li precede in intenti così meritevoli di lodi. »
Si
risistemò del tutto sulla sedia, abbassando un poco il capo. Questa volta più che
per il senso di colpa, per l’imbarazzo che le imporporava un
poco le guance.
« Sicché converrà con me che,
se fosse venuta solamente per scusarsi di non avermi chiesto il permesso di
aver ricondotto qui il Signor Malfoy, il suo tempo sarebbe stato ingiustamente
utilizzato. » Continuò pacatamente il Preside, con un guizzo speranzoso che gli
attraversò lo sguardo nell’allungarle ancora una delle tazze: « A meno che
non voglia prendere questo the insieme a me. »
La
tazza fumante aveva un’aria così invitante, e quel luogo trasmetteva una
sensazione così famigliare e intima, che questa volta non poté rifiutare. E
nemmeno poté privarsi di confessare timidamente tutti i timori che in quelle
ore l’avevano assiduamente accompagnata:
« Io… mi chiedo cosa
succederà… »
Sollevò
lo sguardo verso il Preside, che in quel momento sorseggiava il suo the con il
viso leggermente incupito.
Era
certa che Silente avrebbe capito.
Difatti,
quello, scuotendo il capo con una certa amara consapevolezza, mormorò:
« Quello che immagina, temo…
»
L’avevo immaginato, infatti.
Si
disse sconfortata, presagendo quello che sarebbe venuto.
« La panna cotta verrà
brevettata dai cinesi. » Dichiarò il Preside
rammaricato.
…
Ok,
non si erano capiti.
Si
schiarì la gola un paio di volte, prima di biascicare, vagamente interdetta:
« No… ehm… intendevo… rispetto
a Draco Malfoy. »
Silente
la guardò per un attimo perplesso. Poi, come capendo improvvisamente, esclamò:
«Oooh,
certo! Certo! » E, stranamente, quello che continuò a dire al riguardo, lo disse
assai serenamente: « Allora, vede, sarebbe assai strano se, a parità di
interesse degli studenti per la
Gazzetta del Profeta, i loro genitori per una volta non
abbiano profuso i loro sforzi per un rapido acculturamento. Cosa di cui sono
sicuro che sia io che lei, fuor dal contesto, siamo molto felici. E’ che,
Signorina Granger, trovo la notizia di Narcissa
Malfoy incarcerata un po’ troppo maligna perché non venga subito diffusa come
dovrebbe convenirsi invece per le belle notizie. »
Decise
che non smettere di guardare intensamente il the era la cosa migliore da fare.
Più
che altro per non dover dar spiegazioni della sua espressione afflitta.
Draco
non avrebbe potuto contare su niente se non sulla certezza che, da quel momento
in avanti, l’odio e il disprezzo celati contro la sua famiglia, e ciò che la
sua famiglia rappresentava, l’avrebbero accompagnato per sempre.
Anche
se quelle colpe, lui, personalmente, non le aveva.
Era
solo un ragazzino… che chiamare Harry “Lo Sfregiato”, e lei “Mezzosangue” era
forse davvero il massimo male che aveva fatto nella sua vita.
E
per quello, non si condanna…
Immersa
in quei pensieri che le velavano il viso di tristezza, trasalì quando udì
Silente aggiungere:
« Però posso dirle per certo
almeno una cosa, Signorina Granger, che spero davvero la consolerà. » Lo trovò a guardarla dolcemente. E, a dire il vero, si
sentì anche solo per questo un po’ consolata… « Non
c’è protezione più grande, per chiunque, della cura degli altri. » La fissò ancora più profondamente, senza però metterla a
disagio. E, per un attimo, le parve quasi fosse per ringraziarla. « E perciò anche io mi sento molto più
tranquillo, dopo questo nostro incontro, perché comprendo che il Signor Malfoy
sarà abbastanza protetto da qualunque cosa »
Ma
Hermione Granger non si trovò per la seconda volta ad abbassare il capo, nel
tentativo di nascondere un poco del rossore che avrebbe potuto imporporarle
nuovamente le guance.
Forse
perché le sue riflessioni sulla sorte di Draco si erano fermate molto prima di
quel punto.Forse perché aveva sempre
pensato che più che riportarlo indietro, lei non avrebbe potuto fare molto
altro per lui. Non lo detestava, e lui non la odiava, certo… ma Hermione
Granger e Draco Malfoy in fondo rimaneva Grifondoro e Serpeverde senza
possibilità di redenzione, no?
In
fondo, sembrava normale, per lei, per tutti,
pensare che se Draco fosse rimasto a Hogwarts, sarebbe rimasto solo.
Eppure
non era così.
Eppure
quel piccolo passo, quella piccola pretesa di conoscere cosa avrebbe desiderato
quando sua madre era stata portata via: quello che le aveva fatto pensare di
andare a riprenderlo… quello diceva qualcosa di diverso, che nemmeno lei aveva
mai ammesso ad alta voce.
Ma
sentirlo pronunciato da qualcun altro fu un po’ come renderlo vero per la prima
volta.
Ma
anche renderlo vero per sempre.
Fu
come sentirsi improvvisamente abbastanza coraggiosi e forti da fare da scudo a
qualcuno semplicemente per il desiderio di difenderlo.
Fu
come sentirsi troppo convinti per imbarazzarsi.
E
proprio perché capì cosa Silente le voleva dire, non schivò i suoi occhi chiari
e profondi, che la osservavano affettuosamente.
Ma
ci fu una cosa che viceversa non riuscì davvero a capire…
Quello
che Silente disse subito dopo.
« Lo sa,
Miss Granger? Ho avuto una conversazione simile con un altro studente poco
tempo fa…» Le rivolse un piccolo sorriso, nascosto
sotto la lunga barba bianca. « Si trattava di
uno studente veramente dispiaciuto di non avere più con sé una persona
veramente speciale per lui. »
« Che studente? » Domandò con discrezione, ma alquanto incuriosita.
Silente
sorrise ancora, ma a quella domanda, quasi come se non ce ne fosse bisogno,
decise di non rispondere.
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.13
Hogwarts. Sala Comune
«Narcissa
Malfoy marcirà ad Azkaban per tutta la vita. »
Esclamò in un tremito di gioia e soddisfazione Justin FlichFletchley, che quasi fece una capriola per l’ilarità
che quellaesclamazione gli
comportava.
Hanna
Habbot ridacchiò di una risatina breve e più composta,
ma ugualmente soddisfatta.
« C’era da aspettarselo, eh? » Domandò, in sua direzione, e lui attese qualche attimo
prima di assentire.
Ma
lo fece.
In
qualche parte profonda di sé, non riusciva a privarsi di quella sensazione di
sollievo e speranza che il poter apertamente rivendicare la giustezza di
com’erano andate le cose generava in lui. E questo, nonostante in fondo al
cuore sapesse che qualcosa di non perfettamente giusto stava accadendo.
Perché
era sciocco, ma non così sciocco da pensare che si può
accusare qualcuno solo perché si ha finalmente una scusa per farlo.
Ciononostante
assentì.
Perché
anche lui, dopo tutto, aveva perso troppo per stare a
pensare sempre e solo a cosa fosse giusto.
E
perché a Draco Malfoy, in fondo, lui non doveva niente.
«Narcissa
Malfoy non è stata portata ad Azkaban, ma al
Ministero per essere processata. »
Hermione
Granger, che continuava a leggere tranquillamente il giornale su cui la grande
notizia era stata trascritta nero su bianco, sfogliando le pagine con attenzione,
rimase ad ascoltare il silenzio che avevano procurato le sue parole.
Poi
alzò il capo, chiuse il libro lentamente, e con una tranquillità senza
sbavature, impeccabile nel tono calmo, aggiunse:
« E noi non possiamo sapere se
è colpevole o innocente. »
Rimase
a fissarla attonito.
Come
la maggior parte degli altri studenti intorno a lui, quella pacatezza e
quell’integrità sembrarono un rimprovero inaccettabile che Justin non osò
prendere in nessun altro modo se non come scherzo di pessimo gusto.
« Scherzi, Granger? » Domandò il Tassorosso
ridacchiando. Ma la voce gli tremava, e le sopracciglia inarcate disegnavano un di disappunto quasi bruciante.
E
anche lui, inconsciamente, si trovò ad inarcare le sopracciglia con crescente
disagio e un nocciolo di duro rimprovero.
Ma
di fronte alla disapprovazione che si celava nella sorpresa nervosa di Justin,
e che diede avvio a decine di altre critiche verso quello slancio
apparentemente ingiustificato di democrazia,
Hermione ribatté senza problemi, sempre con calma:
« Spero che tu lo stia facendo, Fletchley. »
E
anche se quelle parole non erano contro nessuno, in molti sentirono che da
qualche parte avevano colpito.
« Hermione… » La richiamò a
quel punto, in un ammonimento strisciante e rauco.
Quando
si rese conto di aver parlato non riuscì ugualmente a nascondere l’espressione
distorta con cui forzatamente la guardava, con palese malessere.
Lei
gli rivolse uno sguardo profondo, e qualcosa della sua impenetrabile
determinazione si ammorbidì.
« Non sarebbe la prima volta
che il Ministero accusa persone innocenti. » Si
spiegò, più dolcemente. Rivolgendosi a lui come si sarebbe rivolta ad un amico.
Perché
loro lo erano.
Amici.
Da
sempre.
E
forse lo erano diventati anche perché anche lei aveva perso tanto in quella guerra.
Perché anche lei aveva dato abbastanza da non dover più niente a nessuno.
Eppure lei, quell’odio e quel rancore che si erano liberati in lui alla notizia
portata dalla Gazzetta del Profeta, sembrava non averli…
« E’ la moglie di un
mangiamorte che ha tentato di ucciderti. Di uccidere tutti i tuoi amici. » Balbettò, scuotendo il capo con movimenti pieni di
nervosismo, e una voce sempre più incrinata. « Non è… non va bene, Hermione… »
Non
andava bene.
Perché
in quel momento, erano così lontani che se si fosse sforzato di riconoscerla al
di là di quella immensa distanza, sentiva che avrebbe finito per non
riconoscere più se stesso… Che avrebbe finito per rendersi conto che quella
distanza era un po’ come il muro che separava due schieramenti molto precisi,
sulla cui appartenenza non aveva mai avuto, in fondo, alcun dubbio.
…
invece loro erano sempre stati dalla stessa parte.
Erano
sempre stati dalla parte giusta.
Ma ora…
« Scusa, Neville. » Gli mormorò dispiaciuta, sfiorandogli il braccio con
delicatezza quando fu costretta ad alzarsi e andarsene a causa
dell’infervorarsi delle persone intorno a lei. « Ma
io credo che sia giusto così. »
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.33
Hogwarts.
Aprì la
porta lentamente, in un breve rumore.
Ma nel
silenzio luminoso della biblioteca, si udì chiaramente quel suono che andò a
increspare solo per un attimo la solitudine pesante che vi governava
all’interno.
E per un
attimo, nell’attimo che la sua mente ci mise a elaborare quello che vedeva, l’abbandono
con cui Draco sedeva su una sedia, col capo chino, le parve così disarmante da
farle pensare di fare un passo indietro.
La mente la
costrinse a rimanere.
Ma quando
lui alzò lo sguardo verso di lei, fu il cuore a farla avanzare.
E con tutta
la tristezza e la durezza che possono convivere in uno sguardo lontano, Draco
continuò a fissarla anche quando gli si fermò dinnanzi, senza dire una parola.
Strinse
maggiormente al petto i libri che teneva, e non seppe con che espressione ebbe
il coraggio, o la presunzione di dire:
« Ho sentito che tua madre
verrà processata tra due mesi. »
Ma
lo disse con una voce che nel momento stesso in cui uscì le parve più chiara e
nitida di quanto non avrebbe creduto.
Draco
non reagì.
Se
non per l’attimo sfuggente in cui qualcosa di assurdo e tragico si intravide
oltre il vetro delle sue iridi sbiadite. Così rapido, così veloce, che non
avrebbe saputo essere sicura di averlo visto.
Ma
dopo quell’attimo, ancora il nulla.
« Così pare… » Mormorò poi,
lui, distante, mentre si alzava.
Fece
il giro del tavolo e si fermò davanti a lei, con gli occhi rivolti per terra.
Non
la guardò.
« Ho mal di testa. » Disse, sempre impassibile.
E
la superò senza attendere una risposta, uscendo dalla stanza.
Non
cercò di fermarlo, non gli disse nulla. Né gli andò dietro… Ma guardò la porta
oltre cui lui si era dileguato con lo sguardo di qualcuno che ha capito che
esistono altre strade, oltre a quelle segnate e calcate da mille passi.
Che
esistono altre ragioni dalla parte di cui stare.
Quello
era il momento.
Il
momento in cui non avere paura di oltrepassare l’ultimo confine.
Un
confine che innanzitutto, un paio d’ore più tardi, le si poneva come una
rediviva Pansy Parkinson che le puntò addosso gli occhi scioccati quando la vide oltrepassare la
soglia della sala comune di Serpeverde.
«Granger? » Biascicò assolutamente basita. « Ma come diavolo…? »
Era
sicura che Miss Serpeverde, già di ritorno dal suo breve viaggio natalizio, non
volesse sapere come era riuscita a passare il ritratto posto a guardiano della
loro sala comune. Nonostante ritenesse fosse stata particolarmente astuta,
certo.
Per
questo disse subito, senza troppi convenevoli:
« Sono qui per Draco. »
Un
inizio col botto, non c’era che dire.
La
risata gracchiante di Pansy, un po’ stralunata un po’
divertita dalla sua richiesta apparentemente assurda, si disperse per la sala
dove Serpeverde più piccoli si erano silenziosamente messi in ascolto di quello
che si preannunciava uno scontro tra titani.
La
mangusta e il serpente.
Qualcuno
allungò un galeone nelle mani di qualcun altro, per scommettere sul morto, ma
il radar di prefetto di Hermione li sgamò alla grande, e le bastò lasciare una
brevissima occhiata insindacabile oltre alla spalla della rivale per farli
desistere dall’azzardo.
Occhiata
che le fece guadagnare la fiducia dei molti che al di là dell’orgoglio di
appartenenza alla propria Casa avevano fiuto per il guadagno.
Era in effetti implicitamente data 5 a 1 la vittoria del mammifero
sul rettile.
« Ah si? » Grugniva intanto
con velenosa ilarità Pansy, tra un sogghigno e
l’altro, « E chi te l’ha chiesto, Granger? »
Hermione
si schiarì la gola.
Una
gola che, a dire il vero, non era nemmeno così secca come avrebbe pensato:
« Nessuno. Ma vorrei parlare con
Draco, perciò se puoi spostarti… » E mentre lo diceva
fece qualche passo in avanti, in direzione di quello che sapeva essere il
corridoio dove si trovava la stanza di Draco.
La
sua decisione dovette spiazzare il suo avversario, che non seppe reagirvi.
Sfortunatamente,
Pansy notò in quel momento la boccetta che teneva in
mano, rimastale nascosta per caso. Cosa che la riscosse alquanto velocemente.
Le si parò dunque di nuovo, burberamente davanti, stridendo con un ardimentosa foga:
« Gli vuoi rifilare un filtro
d’amore, eh?!» Lo sguardo
stravolto da cupe ombre d’isteria repressa venne attraversato da una
folgorazione improvvisa. Cosa che le fece presagire il ringhio corrosivo e
fremente che seguìrovi: « Draco ti odia, in questo momento comemai. E’ colpa di
quelli come te se si trova solo, adesso. Ti odio,
Granger. Ti odierà per sempre! »
Per sempre…
Rimase
lungamente a guardare Pansy negli occhi.
Lungamente,
rimase a guardarla senza dire o fare nulla.
L’ultimo confine…
Era
quello.
Quel
velo di certezze che c’era sempre stato.
Scontato
e magnificamente semplice da immaginare, da pensare. Da creare. E che tutti avevano contribuito a creare…
Non
guardò la Serpeverde
con freddezza. Né con severità, o fastidio. O con il cipiglio ardente e appassionato
che si ha nel rivendicare una conquista difficile… la guardò come una persona
normale che parla del suo mondo più scontato…
E
nello stesso modo la contraddisse, scuotendo leggermente il capo:
« No, non mi odia… noi non ci
odiamo… anche se tu, o chiunque altro, volete continuare a pretendere che sia
così, non lo è. »
Gli
voleva bene.
In
qualche modo che ancora non era riuscita a capire, aveva finito per volergli
bene.
E
ci sarebbe stata, semplicemente per questo.
Draco
non era solo.
Hermione
Granger che scostava il velo della differenza…
Questo
fu quello che accadde.
« Ma chi… chi ti credi di essere?!» Strillò con un disprezzo balbettante e irato la Serpeverde, mentre le
strattonava il braccio con così tanta aggressività che la boccettina le rimase
in mano solo perché trattenuta dalla prontezza della punta delle sue dita.
Un
tic nervoso le fece fremere impercettibilmente la tempia destra, mentre si
riassettava in piedi.
Inspirò
profondamente, e scandì con caustica lentezza:
« Stavi quasi per farlo
cadere. »
Uno.
Due. Tre… Dieci.
Calma, doveva stare calma…
Pansy si mise a urlare senza contegno, inviperita al punto che
ben presto ciò che le uscì dalla bocca non era più voce ma ultrasuoni:
« E chi se ne importa! Tanto meglio! Non vi odiate?!
Sei impazzita?! »
E
intanto faceva oscillare il capo maniacalmente avanti
a indietro.
Come
un serpente pronto a colpire.
Come
un aquila che cerca la preda.
Come
un coccodrillo che ha appena visto a pochi metri da sé un sociologo che si
avventura a studiare il numero di alghe che vanno a costituire un fenomeno
sociale.
O
un piccione che pensa intensamente:
« Quello è un chicco di mais:
voglio un chicco di mais. Dammi un chicco di mais: non toccare il mio chicco di mais. »
Si, certo: poteva capire Pansy Parkinson… Che,
poverina, non riusciva a fare a meno
dell’odio, e del disprezzo, per stare al mondo. Certo, la compativa. Certo, non
aveva bisogno di risponderle per sapere di aver ragione.
Certo…
Però
poteva anche smetterla di trapanarle i timpani con quei suoi strilli
allucinanti che le sputavano addosso tutti gli insulti che le venivano in
mente!
« Non hai il fegato di
ribattere, eh, Granger?!»
Continuava imperterrita Pansy, con gli occhi
completamente dilatati che le davano l’aria di una vecchia invasata – e il capo
sempre più oscillante, il chicco di mais sempre più vicino.
Hermione, non ne vale la pena…
« Sei solo una sporca! »
Lasciala perdere.
«Insulsa! »
Stai calma.
«Lurida! »
CALMA.
« Mezzosan- »
«PietrificusTotalus! »
Imperante,
come solo chi ha in mano l’ascia di un baby menù medievale può essere, Hermione
Granger fissò con onnipotente superiorità la sagoma pietrificata che permaneva
immobile ai suoi piedi. E acquisendo in altezza qualche significativo
centimetro, per un attimo a qualcuno parve di vedere dietro di lei l’immagine
di un uomo molto preciso quando, con voce sorprendentemente baritonale e
profetica, echeggiò glaciale:
« Non accetto insulti da una
persona che ha il nome di un morbo »
E
nonostante l’imprevedibilità intrinseca di quella scena, una muta standing
ovation si diffuse tra i Serpeverde.
Il
chicco di mais era stato vinto.
Hermione
Granger era il suo nuovo padrone.
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 18.02
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy
Bussarono
alla sua porta.
Lanciò
svogliatamente uno sguardo all’ingresso. Non avrebbe aperto. Nemmeno per 1000
galeoni. Nemmeno per l’abolizione di Grifondoro. O di Corvonero…
o persino di Tassorosso.
Nemmeno
se avessero continuato a insistere a oltranza, accanendosi su quella porta solo
come lui si sarebbe accanito su Pucey Davis.
Si
alzò di scatto dal divano e in uno slancio furente spalancò la porta,
berciando:
« Chi diavolo… »
La
fine della frase se la perse scoprendo che la persona
di fronte a lui, altri non era che Hermione Granger.
« Ti ho portato qualcosa per
il mal di testa… » Gli disse.
E
quella volta, non gliel’avrebbe lasciato ai piedi.
Non
sarebbe stato in grado di dire perché, ma in qualche modo lo sapeva.
Come
non sarebbe stato in grado di dire come Hermione fosse riuscita ad entrare
nella sua Sala Comune, e poi raggiungere lui, ma nello stesso tempo non poteva
pensare ad una cosa così sciocca che lei non fosse in grado di fare…
Quella
piccola creatura sorprendente che, ancora una volta, lo guardava in attesa, in
apprensione. In quella preoccupazione un po’ impacciata che, ormai, sentiva di
conoscere bene.
Era
così rassicurante… che per un attimo si dimenticò di
ogni cosa.
Ma
fu lei a riportarlo bruscamente indietro, a guardare in faccia ad una realtà
che anche lei sembrava vedere bene:
« Tua madre verrà processata
tra un paio di mesi. »
E
di nuovo, uno squarcio nella sua espressione rimescolò i suoi sentimenti
facendo uscire l’angoscia profonda che l’aveva ferito.
Dovette
obbligarsi a girarsi. Perché, anche se fu per un attimo, e anche se avrebbe
potuto essere qualunque cosa, e non angoscia, aveva la sensazione un po’
assurda e un po’ vera, che lei potesse vedere
tutto esattamente per quello che era.
« L’hai già detto, mi pare. » Commentò, cercando di essere serafico, ma in realtà
sapendosi la fronte imperlata di un sudore freddo e denso. La voce lontana che
si impose di non tradire alcuna emozione.
E
che non l’avrebbe tradita mai.
Con
nessuno.
Poteva
sentirla dietro di sé, sospirare, e forse guardare in basso, tentennare: poteva
sentirla giocare con quel filo su cui si sentiva in equilibrio per miracolo.
E
lo sapeva, quella volta lo sapeva che non ne era consapevole: che non voleva
fargli del male, che voleva semplicemente capire più a fondo qualcosa che era
sempre stata parte del suo mondo. Capire dove stesse la colpa, e punire.
Hermione
Granger era buona: i suoi insulti, lei gli aveva dimenticati.
Ma
un marchio, è qualcosa che non si può dimenticare. Perciò sapeva che quello che
avrebbe voluto più di ogni altra cosa, non poteva chiederglielo. Sapeva che il
prezzo da pagare per poter non essere solo, era il più alto che
gli si potesse essere richiesto…
« Finalmente un
po’ di giustizia… »
Un
prezzo troppo alto.
« Draco, tu… tu credi che sia
innocente? »
Si
volse repentinamente verso di lei. Con uno sguardo così affilato e
fiammeggiante che ferì prima di tutto se stesso, le rigettò addosso
violentemente:
«E tu cosa credi? »
Troppo
alto, ormai.
Perché
ormai lui non poteva più fingere che quella che tutti chiamavano giustizia, per
lui lo fosse davvero.
Hermione
lo fissò sorpresa, come se non capisse cosa stava dicendo.
Una
prostrazione profonda, rabbiosa, lo vinse. E il viso si irrigidì lugubremente
sul pavimento, mentre, in una smorfia dolorosa, tutte le ragioni per cui sapeva
che Hermione non avrebbe potuto sostenerlo in quella che per lui era, in fondo,
una flebile, preziosissima speranza, gli salirono sulle labbra inflessibili e
impietose:
« Mio padre ti ha quasi
ucciso una volta… » Strinse i pugni lungo i fianchi, continuando a fissare
ossessivamente in basso, con un’ombra sul viso. « E
poi… sai, anche mia madre se avesse dovuto ti avrebbe uccisa. Si… se avesse potuto… »
Non
avrebbe voluto continuare, non con quel viso così miseramente contratto oltre i
capelli scombinati che gli erano caduti davanti, e le mani rattrappite in pugni
tremanti. Non con quell’aria così disperata che in fondo si rendeva conto di
avere sul viso smunto.
Perché
anche se ormai non poteva più tornare indietro: anche se per la prima volta
aveva davvero scelto da che parte stare… l’idea che non l’avrebbe più avuta con
sé era anch’essa insostenibile.
Ma
per qualche ragione non riuscì a fare altro che guardarla mentre esalava, quasi
gemendo:
« Però lei… lei… »
Hermione
rimase immobile per qualche minuto. Sul viso non si leggeva altro che
confusione, una confusione mortificante che lo fece sentire completamente
vuoto.
…
e triste.
Lei
sembrò riscuotersi un poco in quel momento, ma rimanere sempre piuttosto
perplessa. Poi fece quello che faceva sempre: razionalizzò. Per un attimo, quel
suo arcuare le sopracciglia per riflettere e puntualizzare… per dare un ordine
alle cose, e saperle così valutare, gli mise addosso così tanta nostalgia, che,
per un attimo… pensò di non potercela fare.
« Si, mh, ho capito. E anche tu avresti voluto… giusto? » Definì infine Hermione, grattandosi incerta la fronte.
Rimase
sconvolto a guardarla.
Perché
sembrava tranquilla nel dire quello che stava dicendo? Perché era così indifferente? Perché doveva ancora
arrivare a dubitare che a lei importasse qualcosa di lui?
Mortificato,
frustrato, disperato, deluso scosse
il capo nervosamente: voluto cosa?
Perché
parlava di quello come di un compito di Pozioni di cui non riusciva a capire il
procedimento?
« Intendo che avresti voluto
che io morissi… » Gli spiegò Hermione, che doveva aver capito il suo sconcerto.
In
compenso a lui si gelò il sangue nelle vene…
Nel
tornare a guardarla, non seppe vederla bene oltre la coltre di pianto che gli
schermava gli occhi almeno da dentro, ma la intuì con ancora la mano sulla
fronte, e l’aria di qualcuno che è arrivato alla soluzione di un calcolo
nemmeno troppo difficile.
Si
sentì improvvisamente male.
Ma
poi…
« E io avrei voluto che tu
restassi furetto. »
Si
passò una mano sugli occhi, per scacciare le sue lacrime invisibili: per
poterla vedere meglio.
E
se ne accorse: si accorse che aveva un sorriso che nessuno avrebbe detto
vedendo l’inclinazione impercettibile delle labbra… ma che lui vedeva aleggiare
su tutto il viso. Con quel misto di ironia e tenerezza che sembrava dilagare
ovunque.
Con
tutta la semplicità di uno scherzo, di una cosa buffa, lei aveva pronunciò
quelle parole con la naturalezza che si ha nel parlare di qualcosa che,
davvero… non ha più alcuna importanza.
Fu
come se gli abbracciasse i muscoli tesi: del collo, delle braccia, delle mani,
del viso… e glieli rilasciasse.
Avrebbe
voluto trovare un modo per guardarla di più negli occhi.
Un
modo per avere di più da quel momento: imprimerlo ovunque, per non dimenticare
come lo guardasse con le sopracciglia vagamente aggrottate vicino al centro
della fronte, come se non capisse fino in fondo cosa aveva voluto dimostrare,
dicendole quelle cose, come se quel suo calcolo mentale non le tornasse più di
tanto… ma in ogni caso andasse bene.
Perché
tanto il Basilisco non l’aveva uccisa, e Malocchio Moody
l’aveva ritrasformato in un essere umano.
Perché
era sua madre: e se la voleva salva, lei lo capiva.
Ricadde
sul letto pesantemente, chinando il capo e i capelli argenti con sfinitezza.
Una
colpa troppo grande…
« Finalmente un
po’ di giustizia… »
…
una colpa che aveva pensato davvero troppo grande per essere pronunciata di
fronte a chiunque.
Ma non a te…
« Io non lo so… se è
innocente… »
Lo
mormorò, pur nel sollievo che l’aveva colto qualche attimo prima, con una
tristezza che non credeva avrebbe mai potuto provare, e mai pronunciare…
Aggrottò
le sopracciglia ancora di più, senza avere nemmeno la forza di impedire alle
mani di andare a coprire la faccia contratta. L’espressione tormentata che non
sapeva rassegnarsi.
Avrebbe
voluto gridarlo al mondo.
Gridare
che lei lo era, innocente.
Che
non era giusto.
Avrebbe
voluto poterlo dimostrare… non per salvare lui dalle parole degli altri.
Ma
per salvare lei.
A
cui era bastato un attimo per essere madre. Per dargli l’illusione di esserlo
sempre stata.
Uno
solo per dargli la certezza che
l’unica dolcezza di cui era stata capace…era stata per lui.
Come
una carezza, non come uno schiaffo, gli aveva sciolto il cuore in una
commozione distrutta e sconvolgente. Che l’aveva lasciato lì, nel nulla, in un
luogo senza tempo dove sembrava che il dolore l’avesse sempre aspettato.
Dove
sembrava che niente potesse accadere…
Eppure,
qualcosa era accaduto.
Hermione
Granger, era accaduta.
E
accadde ancora: avvertì una mano che si posò sulla sua spalla.
Sollevò
lo sguardo disorientato.
Hermione
lo sfiorava appena, guardandolo contratta a sua volta, in tanta tristezza.
Com’era
possibile che accettasse di portare con lui il fardello dell’incertezza? Della
pretesa di rivendicare una salvezza per qualcuno, non perché lei era certa che
se la meritasse, ma semplicemente perché sua madre?
Com’era
possibile che una persona così triste sapesse dare così tanto conforto?
Se
lo chiese dominando l’espressione che voleva rompersi in un pianto nervoso che
rimase a filargli, questa volta visibilmente, la parte bassa degli occhi.
Perché
lei c’era.
Vedeva
le sue colpe e sapeva perdonarle: vedeva le sue speranze, quelle contro cui combatteva
tutto il mondo a cui lei apparteneva, e le viveva con lui
E
quello che era davvero commovente, era che lui riusciva a capirlo.
Che
riusciva ad accettarlo.
E
quello che fu davvero commovente, fu che non gli parve più nemmeno così strano
che, al posto di ritrarsi infastidito, l’istinto che aveva represso era stato
quello di aggrapparsi a lei in quello che, un abbraccio, forse, lo sarebbe
sembrato.
Draco
Malfoy ed Hermione Granger…
Le
pretese degli altri non contavano più niente.
Perché
se dietro quel velo c’era stato dell’odio, tra loro due,
di esso non rimaneva più nulla.
*** *** ***
Le angoscie sono finite, almeno per un po’.
I nodi sono
stati sciolti, almeno tra loro due.
E questo
è quello che conta: ci sarà un salto
che mostrerà quello che succede a Hermione e Draco in un momento che non ho
ancora deciso… dipenderà, come ho scritto, anche da quello che mi direte
rispetto alla storia, e a come dovrebbe proseguire.
Se cioè
questo salto sarà di giorni, mesi o anni, mi riservo il diritto di deciderlo a
breve, ma non ora.
Quello
che è certo, è che tutto quello che è ancora da risolvere verrà risolto, foss’anche a condizione che io scriva il doppio delle
pagine per il prossimo capitolo, se fosse quello conclusivo.
Per voi,
sono anche disposta a farlo ovviamente.
Torno a
studiare per l’esame di diritto di enti locali, che prego veramente mi vada
bene nonostante io abbia speso l’ultima settimana a mettere a posto il
capitolo!
Ne
approfitto anche per giustificarmi: non l’ho riletto tutto intero, perciò
potrebbero esserci sconnessioni – minime, spero – tra qualche parte.
Siccome sono
passati più di due anni – e non
“solo” un anno – dall’ultima
volta, ho pensato
di postare due capitoli (insieme)
Certo, un
attesa così lunga non potrà essere mai del tutto
ripagata, tuttavia chi scrive
sa che è tutta una questione di ispirazione: per DHO ho
avuto enormi problemi a
capire come desideravo sul serio che andasse avanti la
storia… in ogni caso non
volevo interromperla perché la amo molto, e così
non ho potuto che attendere di
avere una qual sorta di epifania.
E in
qualche modo l’ho avuta.
Volevo
postarlo proprio a San Valentino, perché mi sembrava
appropriato, ma sono
rimasta bloccata a casa del mio ragazzo a discutere amabilmente (alias:
lanciarci piatti, sedie e altri oggetti contundenti)
In ogni
caso, questo capitolo è per voi.
Per tutti
voi che rimanete a distanza di tempo e continuate ad appassionarvi a
questa
storia. Per quelli che non hanno perso la speranza di vedere che fine
faranno i
nostri eroi. Per quelli che si fidano del fatto che Draco ed Hermione
si
meritano un finale degno dello sforzo che hanno fatto per arrivare fin
qui
insieme.
E ve lo
meritate anche voi, per lo sforzo che fate a seguirmi.
Per cui, con
il cuore e il solito affetto, ecco un nuovo capitolo dalla vostra
silverwings.
Un capitolo
che non conclude questa storia, ma che ci mostra un altro piccolo passo
verso
quello che spero sarà un gran finale.
Coerente,
divertente e felice.
Ps. E per
chi si chiede quando sarà, non so dirlo in termini di tempo.
Ma parlando di
capitoli, non so se arriveremo ai 20.
The Draco and Hermione’s
Opera
Capitolo 13. Il
massacro di San Valentino
Venerdì
14 Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande
« Così,
non sei mai stato al mare. »
Prese nota.
« E
nemmeno ci vorrei andare! »
« Certo,
certo… e in montagna? »
« A
fare cosa? Assiderare?! »
Prese nota.
« Giusto,
giusto… voi non sciate »
« Sci-cosa?
»
« No,
niente, uno sport. Dove andavi in vacanza, quindi? In campagna?
»
«
Vuoi
scrivere la mia biografia, per caso? » Le rimbeccò
infastidito Draco Malfoy,
stravaccato su mezza panca e mezzo tavolo della biblioteca, a
quell’ora ormai praticamente
vuota.
«
Non ci
andavi? » Continuò serrata, staccando lo sguardo
dal foglio e piantandoglielo
direttamente in faccia, ignorando bellamente le sue ingiunzioni.
Il metodo
migliore per farlo arrabbiare.
« Adesso
basta! » Ringhiò lui, sbattendo una mano sul
tavolo e aggrottando la fronte con
così tanto disappunto che sembrava quasi che lo stesse
insultando. Cosa che per altro si
sarebbe
meritato, considerando tutto!«
Non
ho alcuna intenzione di rispondere oltre a queste tue domande idiote!
Chissene
frega se non scivolo in montagna!
»
Scio.
« O
se mi piace giocare alle piglie in
spiaggia! »
Biglie.
« O
se la mia casa in campagna ha la terevisione!
»
Ecco,
appunto: il metodo migliore per farlo arrabbiare, e per farlo
rispondere.
«
Ah, ok
ok… ti piace la campagna, dunque, bene…
bene… » Commentò con tono distratto,
mentre tornava a scrivere avidamente.
E comunque,
si dice televisione.
Con la coda
dell’occhio notò Draco andare in escandescenza,
alzandosi e cominciando a
gesticolare freneticamente, ma cercò di non badarci.
Se non
altro perché, nel momento in cui si fosse messo a gettare
all’aria dei libri,
Madama Pince l’avrebbe fustigato a dovere in sua vece.
Ormai
accadeva da giorni.
O almeno da
quando Draco si era reso conto che lei si ritagliava sempre
più momenti di
solitudine, e non gli dedicava più tutta
l’attenzione che lui riteneva di
meritare, riversandola invece su chilometriche e misteriose pergamene.
Tutti quei
sotterfugi e quell’improvvisa necessità di
mantenere più spazi privati avrebbero
immediatamente messo sul chi vive una persona intelligente. In poco
tempo, una
persona intelligente avrebbe potuto effettivamente scoprire che lei
stava
facendo qualcosa che lo riguardava e che doveva assolutamente tenergli
nascosto…
Ma,
fortunatamente, Draco Malfoy dimenticava veramente spesso di essere una
persona
intelligente.
Chiaramente
il mentirgli e il tenerlo all’oscuro la facevano sentire in
colpa ogni tanto. Ma
il più delle volte, fondamentalmente, riteneva che fosse
soltanto un emerito
cretino, e che se solo lui avesse avuto un po’ più
di pazienza e calma lei avrebbe
potuto evitarsi l’ulcera che con ogni probabilità
le stava scavando lo stomaco!
Naturalmente
comprendeva – in qualche modo – la sua
acidità. Non era proprio con investigativa
accortezza che cercava di estorcergli informazioni sulla sua vita.
Né con
particolare tatto che talvolta gli diceva di sloggiare
perché all’improvviso si
rendeva conto di aver altro da fare.
D’altra
parte, anche a costo di sentirsi rispondere di essere una deprivata mentale, qualunque cosa Draco
credeva volesse dire – e
dubitava che fosse il vero significato del termine – aveva e
avrebbe continuato
a restar vaga sui suoi affari, e ad impedirgli di ficcarci il naso
adducendo
scuse sceme come l’aumento improponibile di compiti, certa
del fatto che per la
semplice ragione che si trattava di compiti Draco se ne sarebbe tenuto
alla
larga.
Tattica
fino a quel momento rivelatasi estremamente vincente.
Udì
la voce
acuta di Madama Pince frustare l’aria con una fattura.
Trasse un
sospiro.
Come da
copione, ecco la fustigazione.
*** *** ***
Domenica 16
Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande
Le vacanze
erano finite, e Ginny Weasley era tornata a Hogwarts…
Benché
ciò
che la univa a quel luogo fosse anche un legame triste, fatto di banchi
e letti
ormai vuoti, appartenuti a persone importanti di cui non rimaneva altro
se non
un’assenza ingombrante. Benché la vita si fosse
rivelata difficile entro quelle
mura assai più che nella sua casa dell’infanzia,
tana caotica ma sempre
accogliente. Benché avesse compreso cos’era il
dolore, e persino la morte, solo
da quando Hogwarts l’aveva ospitata nelle sue alte
torri… benché tutto questo
fosse vero, ogni volta che se n’era andata,
foss’anche per una breve giornata
ad Hogsmean, l’idea di tornare le aveva sempre trasmesso un
senso di sollievo.
Il punto
era che a Hogwarts non c’era mai stato e mai ci sarebbe stato
nulla di
prevedibile, ma non l’aveva mai abbandonata la certezza che
tutto fosse superabile.
Come se in
qualche modo, qualunque cosa avesse dovuto affrontare, in quella scuola
avrebbe
trovato la forza e il coraggio per uscirne intera.
Per la
prima volta, invece, varcando le alte arcate dell’ingresso di
Hogwarts, e poi
la stretta cornice del ritratto della Signora Grassa, aveva percepito
un po’ di
inquietudine dentro di lei…
E questo
perché Draco Malfoy continuava a mettere in discussione,
ogni volta di più, i
piccoli frammenti di concessioni che gli accordava per amor di
onestà… o semplicemente
per amor di Hermione.
Chissà
perché, infatti, leggendo della cattura di Narcissa Malfoy
l’avevano colta,
nello stesso momento e con la stessa intensità, un senso di
paura e
rivendicazione: aveva dato fiducia a quel Serpeverde per avere in
cambio la
certezza che una delle persone da cui traeva quel
coraggio e quella
forza potesse rimanere al suo fianco. Non aveva dato un out-out a
Hermione per
non rischiare di essere l’out scartato, e aveva pensato che
quello sarebbe
bastato a far sì che Hermione restasse anche con loro.
Invece i disastri che
continuavano a travolgerlo non facevano che rendere sempre
più instabile l’equilibrio
che si era sempre sforzata di creare intorno a loro.
E quei
sentimenti
ingarbugliati non l’avevano abbandonata nemmeno quando era
venuta a sapere che
era stata proprio Hermione Granger a riportare Draco Malfoy a
Hogwarts…
Non
l’aveva
sorpresa che il litigio tra loro due fosse finito: ricordava che quando
era
iniziato aveva sperato che accadesse. Tuttavia, il fatto che Hermione
si fosse
precipitata da lui l’aveva un po’ turbata, come se
si fosse resa conto solo in
quel momento che, anche se aveva riportato Draco a Hogwarts, prima o
poi non
avrebbe più potuto farlo.
E a quel
punto? Se si fosse piombata a salvarlo, e una volta lì
avrebbe scoperto che non
poteva riportarlo indietro? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata
indietro?
Oppure non avrebbe saputo abbandonarlo al suo destino?
Queste
domande le pesavano sullo stomaco al punto che il bel viso latteo aveva
fatto
un grande sforzo per apparire naturale di fronte alla sua migliore
amica, la
quale, accortasi che qualcuno era entrato nella stanza, aveva sollevato
lo
sguardo luminoso dalla pergamena ch stava scrivendo.
« Ciao
Ginny! » Aveva esclamato, festosa, alzandosi per andarle
incontro ed
abbracciarla « Mi sei mancata! Andate bene le
vacanze, si? »
« Si,
bene, bene… » Aveva risposto sciogliendo
lentamente l’abbraccio, e abbozzandole
uno stentato sorriso. « E tu? »
Hermione
allora le aveva rivolto uno sguardo lento, profondo, diretto.
« Hai
sentito di Draco, vero? » Aveva domandato dopo qualche
attimo, senza l’ombra di
un cruccio a increspare quella fronte pensosa che abitualmente si
indignava per
tutte le ingiustizie della terra. Senza un fondo vibrante di stizza o
di rabbia
nella voce ferma e distinta.
Erano sole,
eppure a Ginny era parso di udire un ronzio di voci insistenti nella
sua testa.
Perché
se
Hermione Granger non si indignava, né provava rabbia,
significava soltanto che
aveva già pensato a qualcosa.
« Si…
si l’ho sentito… » Aveva risposto,
vagamente a disagio.
Non aveva
potuto negare nemmeno a se stessa di aver sperato che Hermione lo
lasciasse
sprofondare solo, e non tentasse di salvarlo. Non per poi scoprire che
forse
avrebbe dovuto usare qualunque mezzo per riuscirci.
« Ginny
» L’aveva richiamata l’amica, gli occhi
lucenti che la guardavano senza sosta e
che lei faceva di tutto per evitare.
« Starai
dalla sua parte, lo so già » Si era ritrovata a
rispondere, forse per chiudere
quel discorso che era stato un po’ troppo veloce per il suo
stato d’animo.
« Non
ci sono parti, Ginny » L’aveva subito corretta
Hermione. Calma, ed eppure
incalzante. Specialmente quando aveva ripetuto, di nuovo:
« Ginny,
ascoltami »
I suoi occhi
blu avevano cercato di girare dappertutto tranne che nel punto in cui
avrebbero
incontrato quelli dell’amica. Aveva avuto il presentimento
pulsante che se vi
si fosse soffermata sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
O,
semplicemente, qualcosa che avrebbe cambiato di nuovo molte, troppe cose.
Non fu
così,
invece.
« Ginny
» Aveva ripetuto per l’ennesima volta Hermione, con
forza, costringendola
infine a guardarla « Ginny, avrei bisogno che tu mi
faccia un favore… »
Ed era
stato così che dopo tantissimo tempo, Hermione Jane Granger,
senza un’ombra,
senza un rimorso, senza un dubbio, solo con l’accenno di un
breve sorriso, le
aveva chiesto qualcosa.
Di fronte a
questo, Ginny Weasley aveva forse pensato di piangere.
« Tutto
bene, Gin? » La richiamò dai suoi pensieri Dean,
seduto accanto a lei nella
lunga tavolata dei Grifondoro, in quel momento intenti a pasteggiare.
Scosse
meccanicamente il capo, annuendo un paio di volte senza però
riuscire a trovare
qualcosa da dire. Era passato qualche giorno dal suo ritorno, e le sue
ansie si
erano sciolte nella quotidianità delle lezioni, delle
scaramucce tra compagni,
nelle lotte tra Case… ma il senso più profondo
della conversazione con
Hermione, e soprattutto di come si era conclusa, avevano aperto un
solco profondo
nella sua testa.
Così,
in
attesa che qualcosa lo riempisse, non poteva far altro che rimuginarci
sopra.
Le
spiegazioni che il suo mite ma attento ragazzo avrebbe probabilmente
richiesto
a seguito del suo mutismo persistente vennero però
nuovamente posticipate.
E questa
volta, proprio dall’improvvisa comparsa di Draco Malfoy.
Pericolosamente
vicino al tavolo dei Grifondoro.
Seamus, che
stava raccontando con orgoglio della sua ultima esplosione, girandosi
in
direzione di molte paia di occhi allibiti si ammutolì
all’istante nel vedere il
Serpeverde fermo a un paio di metri di distanza, con aria profondamente
scossa
e la bocca storta in una smorfia devastata.
Sta male?
Con la
fronte aggrottata, per un attimo fu incerta se gioirne o preoccuparsi.
«
… Mi sono avvicinato al tavolo di Grifondoro…
» Lo sentì sussurrare, lo sguardo
fisso davanti a sé mentre assentiva in modo ebete, come se
stesse provando a
convincersi del fatto che ciò che stava facendo non
corrispondeva ad una
condanna a morte. Ma non vi stesse riuscendo.
Nel silenzio
spiazzato che si era venuto a creare a causa dell’apparente
mongolismo del loro
peggior nemico, quello stesso nemico, alzando lo sguardo come folgorato
da una
capitale rivelazione, esalò:
« Non posso
avanzare più di così…
non devo… potreste infettarmi con i vostri germi
da Grifondoro… »
L’improvviso
desiderio di invertirgli l’angolo dei gomiti per un attimo
colmò il solco che Ginny
aveva in testa.
Altri
Grifondoro, di pretese mentali assai meno alte delle sue, probabilmente
pensarono che, benché meno raffinato di invertire
l’angolatura naturale delle
braccia, fosse ugualmente incisivo fargli notare:
« Se
non volevi avvicinarti perché l’hai fatto?!
»
« Già,
sloggia Malfoy! »
« Se
non le vuoi prendere, è meglio che ti allontani! »
Draco si
voltò verso di loro, il viso pallido e gli occhi sbarrati.
E lei ebbe
l’orrida impressione che stesse per dire
qualcos’altro di immensamente idiota.
Difatti,
con aria grave gemette:
« Il
trauma me lo impedisce… »
…
Da
encefalogramma piatto, praticamente,
Cosa, precisamente, Hermione trovava in quello
squilibrato?
Ginny
Weasley se lo chiese mentre con uno sguardo al limite della
sopportazione e
dell’incredulità osservava la connaturata
spossatezza con cui il Serpeverde
arrivava a tenersi la fronte con le mani, afflitto dalla sua stessa
ammissione,
dandole la netta impressione che non avrebbe dovuto minimizzare le voci
di
corridoio che lo volevo addirittura peggiorato
nella sua deficienza.
Quando
infatti le avevano detto che Hermione era diventata ossessionata
– più del
solito! – dalle sue pergamene, e che Draco Malfoy, a digiuno
dalle sue
attenzioni, era diventato un po’ più pazzo di
quello che era prima di Natale,
non ci aveva dato troppo peso. Non è che si potesse superare
una certa soglia di pazzia, no?
Evidentemente
si…
Nel
chinarsi prostrato, lo sguardo di Draco dovette però
incontrarsi con quello di
Neville…
« Che
vuoi Paciock? » Si trovò a domandare contrito lo
stesso Malfoy, impreparato
allo sguardo pieno di disagio e afflizione con cui il Grifondoro lo
fissava.
Neville
parve trasalire e impallidire allo stesso tempo.
Scosse il
capo nervosamente un paio di volte.
« Tutto
bene? » Gli domandò Dean, con il tono cauto di chi
sa di parlare con qualcuno
che da qualche giorno si comporta in modo decisamente strano.
« Ehi?
» Tentò Seamus, più brusco, dandogli
uno scrollone.
Neville
continuava però a fissare Draco, dando
l’impressione di non aver udito una sola
parola. Provò forse a replicare, aprendo e chiudendo la
bocca, come se
boccheggiasse. Poi, semplicemente, serrò la mascella con
aria scossa, e se ne
andò via senza una parola, ondeggiando visibilmente.
« Ehi,
Neville?! » Provò a richiamarlo Dean, allarmato.
Non
ottenendo alcun risultato, lanciò un’occhiata
d’intesa a Seamus, che gli corse
dietro.
Lei per
parte sua rimase zitta. E d’altra parte né Dean
né Seamus le coinvolsero in
quella faccenda. Non a fronte dello scarso trasporto con cui aveva
cercato di
capire lo stato distratto e iperteso in cui avevano trovato Neville al
ritorno
dalle vacanze.
Seamus se
l’era un po’ presa a male per il suo apparente
distacco verso le afflizioni
dell’amico. O almeno, questo era quello che aveva potuto
capire da certi suoi
sguardi disapprovanti. Dean invece aveva rispettato il suo
atteggiamento.
Forse, pur
nella sua connaturata insensibilità maschile, il suo ragazzo
era riuscito a
capire, senza parlarne, che non era affatto questione di
disinteressarsi del
loro comune amico. Semplicemente, era estremamente cosciente che non
c’era poi
molto che lei potesse fare per Neville in quel momento.
Non tanto
perché non lo capisse… anzi.
Forse,
semplicemente,
anche lui aveva un solco in testa.
Per questo
si era convinta che l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo
era che qualcuno o
qualcosa glielo riempisse, così come pensava che fosse
necessario per lei…
« Non
li hai sentiti? » Continuavano intanto altri Grifondoro
sopraggiunti,
incuriositi dalla presenza del Serpeverde in quell’ostile
parte della Sala
Grande.
« Te
ne vai a o no? Senza mangiamorte stiamo benissimo! »
« Già,
non tutti sono disposti a lasciar correre i tuoi sbagli, sai?
»
« Vattene,
non vogliamo futuri assassini al nostro tavolo! »
« Potrai
esserti ingraziato la Granger,
Malfoy, ma noi non-»
« Ingraziato? »
Malfoy
uscì
dal torpore inerme in cui era scivolato e con cui aveva stupito i
presenti che
lo conoscevano come il più irascibile dispensatore di
insulti immotivati.
Con una
nota di stridulo panico fece tirare un sospiro di sollievo proprio a
quelli che
avevano pensato che la terra avrebbe presto preso a girare al contrario
se un
Malfoy, e a maggior ragione quel
Malfoy,
aveva il buon senso di non rispondere a tono a simili oltraggi:
« Il
mio trauma è già abbastanza esteso senza
insinuare che abbia fatto qualcosa di
così disgustoso come ingraziarmi quella stupida!
»
« Ma
come ti permetti?! » Strillò indignata lei,
sbarrando gli occhi incredula. Ma
che diavolo stava dicendo?!
« Non
parlare in questo modo di Hermione! » La appoggiò
Dean, accigliato.
Per tutta
risposta Draco, si sedette al posto vuoto di Hermione e si mise a
mangiare a
caso quello che trovava.
…
forse in segno
di spregio alla legittima proprietaria?
Ginny
Weasley non si prese la briga di rispondersi, e, sbattendo un mano
sulla tavola
e mandando lampi saettanti verso di lui, gli ordinò furiosa:
« E
non mangiare la sua roba! »
Non venendo
ascoltata, si alzò con l’intento di fermarlo,
imbracciando per sicurezza anche
la bacchetta. A questa azione il Serpeverde reagì infilzando
con enfasi un
pezzo di patata imburrata, e schioccando acido:
« Calma
piattola, o ti si alza la pressione »
Dean allora
si alzò al suo fianco, ad un tempo sicuro, ad un tempo
tranquillo.
« Hermione
non c’è, ok? Per cui vattene »
Draco
sollevò il capo verso di lui, ingoiando l’ultimo
boccone con incredulità.
Cosa per la
quale lei si ritrasse in un misto di diffidenza e sorpresa.
Che Malfoy
si fosse redento? Che avesse solo bisogno di qualcuno che gli parlasse
senza
insultarlo o imbracciare armi per massacrarlo? Che la presenza di
Hermione
avesse avuto una qualche positiva influenza su quell’essere
demenziale senza
apparente possibilità di appello fino al punto che persino i
suoi amici,
Grifondoro convinti, potevano avere la speranza di avere una
conversazione
civile e costruttiva con lui?
Che il suo
encefalogramma non fosse poi così piatto?
« Dio,
Thomas… » Farfugliò invece Draco, le
sopracciglia arricciate sulla fronte e gli
occhi deformati da una profonda angoscia « Il
cappello parlante deve aver
fatto una fatica immensa a non
spedirti dai Tassorosso…
»
…
A molti
sfuggi il significato di quella frase, ma come per renderla
più chiara, Draco prese
a guardarsi attorno con orrore, continuando a balbettare agghiacciato:
« Al
tavolo di Grifondoro…
con uno che
sembra Tassorosso! Devo andarmene
il
più presto possibile da qui! »
Con la coda
dell’occhio lei osservò che Dean faceva molta
fatica a contare fino a 10.
Mantra che gli permetteva di stare calmo anche in situazioni come
quella.
Lo ammirava
per quello, ovviamente.
Per quel
suo modo di affrontare con maturità la vita, i conflitti, i
litigi. Per quella
sua magnifica capacità di superare la propria rabbia e
convivere con uno stato
di pace imperitura degna di un eremita. Per la grazia innata con cui la
notte
prima del 21 dicembre 2012 avrebbe raggiunto la pace dei sensi in una
grotta
sperduta nei boschi del Canada, aspettando la fine senza rimpianti. Per
la
lealtà imprescindibile con cui aveva accolto, meglio di
tutti gli altri, e
persino di lei, che Hermione Granger tenesse, in qualche modo, a Draco
Malfoy.
Si, lo
ammirava.
Ma, certamente, se i gomiti di Draco Malfoy
si fossero improvvisamente rivoltati e il suo ragazzo ne fosse stato
responsabile l’avrebbe ammirato infinitamente
di più.
Cosa MAI quella dannata testa da 1000 galeoni
di Hermione poteva trovarci in quel deficiente patentato?
Cosa?!
C’erano
confini oltre i quali anche lo spirito di sacrificio non poteva, non doveva arrivare!
E per
l’attaccamento della sua più cara amica a quella
creatura fuori da ogni logica
non poteva esserci nessun’altra ragione oltre allo spasmodico
desiderio di
immolarsi!
Ma
l’avrebbe persuasa.
Si,
l’avrebbe persuasa che c’erano modi più
nobili di sacrificare la sua vita per
un idiota! O comunque che c’erano idioti più
meritevoli di quel mentecatto
irascibile e cretino che nemmeno la rispettava! Che nemmeno la
conosceva! Che
persino Ronald Weasley, per quanto impenitente, poteva essere
recuperato al
confronto con Malfoy!
…
Forse.
« Ci
stai ignorando, Malfoy? » Continuava minacciosa un altro
Grifondoro,
ciondolando sui due piedi: « Non ti conviene, sai?
Non c’è più nessuno qui
disposto a pararti le spalle »
Al di
là di
ogni pensiero, Ginny Weasley percepì chiaramente una nota di
cattiveria in
quella voce… una nota che la urtò leggermente in
qualche parte della pancia, e
non avrebbe saputo davvero dire quale.
Ma non ebbe
tempo di rifletterci, perché una voce conosciuta si
intromise nella
discussione:
« Che
succede? »
Un libro
sotto braccio. I capelli arruffati. Un’aria tranquilla. E
negli occhi, nessuna
sorpresa.
Il tono
quasi incuriosito di una bambina che assiste ad un gioco a cui le
piacerebbe
tanto partecipare – se solo non avesse un sacco di compiti da
finire,
naturalmente.
Ecco Hermione
Granger, che li guardava come se non ci fosse nulla di sbagliato.
Nemmeno nel
trovare lei e Dean in piedi, visibilmente schierati contro Malfoy.
Nemmeno
trovarlo seduto al suo posto, uno scempio al posto della cena e una
forchetta
impugnata come un’arma da taglio molto pericolosa. Nemmeno
nel trovare qualcuno
che lo insultava.
Nulla di
diverso dal fatto che non si può apprezzare tutti, ma non
è nemmeno detto che
un Serpeverde e un Grifondoro debbano detestarsi.
Per un
attimo, Hermione le parve così inattaccabile che non fece
fatica a capire come
mai i due Grifondoro più infervorati se ne andarono, mentre
gli altri si
voltavano senza troppi complimenti.
Un’autorità
che non aveva avuto nemmeno quando camminava insieme a Ron e
Harry…
Ecco quello
che aveva Hermione in quel momento.
« Ma che fai?! »
Sibilò per tutta risposta
Draco, isterico. « Se fai così penseranno
che io ti abbia ingraziato!
»
« Ingraziato?
» Domandò Hermione con aria interrogativa, non
capendo bene il punto della
questione; solo per poi aggiungere stringente, con un grande bagliore
negli
occhi: « Andiamo a studiare, comunque? »
Il punto
importante n° 1, appunto.
« Puoi
scordartelo! » Soffiò tra i denti lui. Gli occhi
asserragliati dietro le
palpebre che la fissavano con collerico astio. « Mi
hai fatto di nuovo aspettare! E per
di più in
mezzo ai tuoi amici deficienti! Io non mi muovo! »
Hermione
lanciò uno sguardo e un’alzata di spalle verso lei
e Dean, come per dire: “evitate
di ascoltarlo, è un po’ nervoso”;
dopodiché tornò a guardare Draco e con grande
pazienza cercò di blandirlo:
«
Si,
ok. Ora però andiamo? »
« No!
Io non me ne vado! »
Ringhiò
furibondo Draco, lanciandole uno sguardo dardeggiante e puntando la
forchetta
contro di lei come se potesse maledirla: « Tu
vattene! »
E per
sottolineare la questione, ingurgitò in un sol colpo, con
aria di sfida
fiammeggiante, tutte le aringhe che riuscì a infilzare con
la forchetta
brandita con ferocia, lanciandole un’ultima trionfante
occhiata, mezzo
ingozzato e mezzo agonizzante.
…
In un altro
mondo, un valoroso guerriero alzava il capo e fiutava la presenza di un
degno
avversario.
Lei invece
avvertì un grande senso di desolazione.
La stessa
avvilente sensazione che doveva provare sua madre quando suo padre
portava a
casa palline anti-stress babbane pagate con il proprio stipendio.
Degli
ultimi 6 mesi.
Dopo
diversi attimi di raccapricciato silenzio, Draco Malfoy dovette
rendersi conto,
di fronte allo sguardo del tutto impassibile di Hermione Granger, che
lei non
aveva alcuna intenzione di andarsene. Che lui era ancora al tavolo dei
Grifondoro. E, soprattutto, che era in atto una crisi respiratoria
acuta che
con molta probabilità lo avrebbe reso incosciente in pochi
secondi se solo non
avesse fatto qualcosa per impedirlo.
Ciò
fu finalmente
sufficiente a farlo alzare e arrancare via.
Lei e Dean
si voltarono tombali verso Hermione, ma lei anticipò i loro
dubbi scotendo il
capo sconsolata, ma anche vagamente intenerita:
« E’
il suo modo di dire “andiamo”, capite? »
Capiva,
certo.
Eccome se
capiva.
Capiva che
doveva essere dura per una madre aver concepito un ragazzo che a 17
anni aveva
l’età mentale di un neonato!
Tutt’un
tratto il fatto che Narcissa fosse una mangiamorte assunse un
significato
differente nella sua testa: avere un figlio simile doveva far uscire di
testa…
Siccome
continuava
a guardare Hermione in un modo assolutamente attonito e Dean, che
probabilmente
non era nelle condizioni psicologiche per compatire la Signora
Malfoy, viceversa aveva
la faccia di uno che pensava intensamente a quale reparto del San Mungo
chiamare per chiedere un tempestivo intervento a bonifica di tutti i
germi di
stupidità che l’avevano appena travolto, Hermione
si strinse un po’ nelle
spalle, con aria incoraggiante.
« E’
solo un po’ isterico in questi giorni, capite?
Perché dice che non lo sto
abbastanza a sentire » E aggiunse, in un sorriso un
po’ abbacchiato, ma anche
un po’ divertito.
« Che ci si
può fare? »
Dean
evidentemente non poteva farci nulla, perché tacque.
Con
l’aria
di chi non ha intenzione di parlare più per parecchio tempo.
*** *** ***
Martedì
19 Gennaio. Ore 15.22
Hogwarts. Campo di Quidditch
Al campo di
Quidditch c’era solo una certezza quel giorno.
Che Draco
Malfoy sarebbe stato ancora più irascibile del solito.
Il motivo?
Frasi come
questa, per esempio:
« Oh,
Draco, quel tiro era proprio penoso,
davvero… »
Questo era
ciò che Hermione Granger, mortificata e un po’
avvilita, dispensava ad ogni
tiro monco del più scorbutico cercatore della storia del
Quidditch, mentre
continuava a compilare una fitta pergamena – dando ai
più l’impressione di non
star facendo abbastanza compiti considerata la mole immensa di pagine
scritte
ogni giorno dalla Grifondoro.
« Ma
vuoi stare zitta?! E smettila di chiamarmi Draco! » Replicava
generalmente lui,
spesso brandendo minacciosamente contro di lei le mazze dei battitori
che
intimoriti non potevano far altro che cedergliele. Salvo poi cercare di
trattenerlo per evitare l’irreparabile.
Ovvero che
Hermione Granger mettesse fuori gioco il loro unico cercatore con una
fattura.
A circa
metà allenamento, quando un saggio boccino d’oro
decise di volare molto lontano
dagli spalti, portando con sé anche Draco, i suoi insulti e
i rammarichi di
Hermione, a quest’ultima si avvicinò
l’improbabile capitano della squadra
Serpeverde di Quidditch, che dopo un tentennante saluto, si decise a
chiederle
cautamente:
«
Sicura
che Draco può allenarsi? Non deve studiare? »
Ecco il
genere di domande a cui Hermione Granger avrebbe preferito non
rispondere.
Perché
l’ordine logico e d’importanza di
“quidditch” e “studio” non era
realmente
invertibile nella sua volubile mente.
« Ma
certo, siete in vista di una partita, no? » Rispose dunque
con cordiale e
infiocchettata dolcezza, e la più finta convinzione di
ciò che stava dicendo.
Vedendo il
capitano poco persuaso – poiché era impossibile
esserlo di fronte all’evidente
incomprensione del quidditch – ammise con più
brutale semplicità, gli occhi che
lanciavano un piatto sguardo di fronte a sé:
« E
comunque studierà questa notte. »
Pucey
Davis, in sella alla sua Nimbus, sgranò lo sguardo verso di
lei.
« Sono
sorpreso… Draco si è davvero molto
responsabilizzato da quando siete amici »
Hermione
Granger fece tanto di occhi.
« Davvero?
»
Questa le
era nuova.
Pucey
raddrizzò un po’ le spalle, riassestandosi
più comodamente sulla sua Nimbus e assentendo
con incoraggiante solidarietà maschile.
« Io
penso che sia da persone responsabili non voler mettere nei guai la
propria
squadra al prezzo di studiare la nottata »
Hermione
Granger fece nuovamente tanto di occhi.
« Ma
lui non lo sa, ovviamente
» Rispose
stupita. « Se lo sapesse tenterebbe di
uccidermi… »
Con fatture
che probabilmente non gli
riuscirebbero…
Concordò
con se stessa in uno sconsolato sospiro: perché doveva avere
quel grado di incompetenza?
Eppure se
si fosse applicato forse sarebbe anche riuscito a vincere in uno
scontro magico
con lei.
…
Forse.
Il sospiro
di cui sopra, comunque, inesplicabilmente, fece mormorare a Pucey,
ammirato:
« Sei
un’ottima insegnante »
Hermione
Granger fece per la terza volta tanto di occhi.
Anche questa
le era nuova.
Ma un
timido accenno di rosa le puntellò le guance nel replicare,
in un farfuglio
inspiegabilmente vergognoso:
« …
ma dai, non è vero! »
D’altra
parte Hermione Granger avrebbe dovuto convincersene davvero.
La
dimostrazione arrivò dall’ultimo compito di
pozioni, alla fine di gennaio, quando
Draco Malfoy prese un’altra fiammeggiante O.
Naturalmente,
la giovane reginetta di Grifondoro ebbe una sincope quando si ravvide
che
nemmeno con tutti i suoi sforzi il suo sconsiderato allievo era
riuscito a
raggiungere l’eccellenza, ma dovette arrendersi ed ammettere
il “discreto
risultato” ottenuto. Accettabile
di
fronte all’impegno profuso nella partita di Quidditch
– persa per un soffio –
che aveva immancabilmente guastato i suoi programmi di studio intensivo
(18 ore
su 24, 7 giorni su 7).
Fu con
queste stesse parole che pochi giorni più tardi, nella
gufiera, si espresse con
Ginny Weasley.
La rossa
più rossa di Hogwarts commentò con aria fiacca e
vagamente piccata:
« …
guarda che qui sei l’unica che crede che per Malfoy una O in
pozioni sia un
traguardo misero » E poi aggiunse, con un pizzico di
rivendicazione e più fiero
risentimento: « Non è certo il Quidditch
quello che lo rovina »
E Hermione
sapeva che Ginny avrebbe voluto finire quella frase con
“è solo il suo
cervello”.
Questo,
inspiegabilmente, la rasserenò un pochino.
Puntò
la
bacchetta contro la pergamena che aveva in mano, che venne avvolta da
una luce
azzurro cielo.
« Sei
sicura che quell’incantesimo sia sufficiente? »
Sentì domandare l’amica.
Il tono
dubbioso aveva qualcosa di troppo pressante per essere solo
preoccupazione, o
incertezza. Tuttavia non alzò nemmeno gli occhi dalla
pergamena per rispondere,
nonostante sentisse quelli penetranti di Ginny fissarla intensamente.
« E
comunque sei sicura di quello che stai facendo? »
Continuò dopo un momento
l’altra, ancora una volta con un’insistenza poco
dissimulata nella voce.
Si
girò
verso Ginny, che la guardava con l’espressione di una persona
che non può
smettere di chiederlo, anche se un po’ si sente in colpa nel
farlo.
Le sorrise.
« Sei
davvero la migliore amica che ho »
E questo,
che fece sentire ancora più in colpa Ginny Weasley, la fece
anche sospirare
rassegnata, e la indusse a mettersi a cercare il gufo più
prestante che la
scuola potesse mettere a loro disposizione, per permettere alla
chilometrica
pergamena di raggiungere il lontano destinatario.
Tuttavia
anche lei se l’era chiesto, all’inizio.
Se era sicura
di quello che stava facendo, e del modo in cui lo stava facendo.
Ogni volta
si era però risposta di esserlo.
E quando
vide il gufo prendere il volo non c’era niente nel suo cuore
se non la certezza
assoluta che quello era davvero il minimo che potesse fare.
*** *** ***
Domenica 1
Febbraio. Ore 10.22
Hogwarts. Sala Grande
Era una
calma giornata di febbraio quando Blaise Zabini si era alzato dal suo
letto con
la precisa sensazione che si sarebbe trascinato addosso, per tutta
Hogwarts, un
logorante senso di noia.
Da quando
Draco Malfoy aveva smesso di andare fuori di testa semplicemente se
qualcuno
gli ricordava che Hermione Granger lo aiutava in pozioni. Da quando le
– poche
– capacità mentali del suddetto Serpeverde erano
riservate alla suddetta
Grifondoro e non potevano più essere convogliate seriamente
nella campagna
anti-Tassorosso – che Blaise aveva personalmente
incoraggiato. Da quando
Hogwarts era dunque tornata quasi tranquilla, un malumore nefasto era
sceso
nella sua vita, e lui aveva preso a trascinarsi per quella noiosa
scuola con la
sola speranza che qualcosa di orribile
vivificasse le sue giornate.
Cosa poteva
fare? Come poteva arginare quella sensazione deprimente di pace
assoluta in cui
tutti era troppo felici e troppo contenti per divertirlo discutendo,
ferendosi,
uccidendosi?
Rimpiangeva
la presenza di Harry Potter: ecco quello che era arrivato a pensare.
Con
orrore, si era trovato a sperare che Harry Potter tornasse a Hogwarts a
inscenare lotte di quartiere contro i proseliti di Salazar Serpeverde,
riuscendo a vedere intrighi e cospirazioni ovunque. Lui, che riusciva a
rischiare
di morire e sovvertire l’ordine cosmico anche se nessuno
cercava di accopparlo
o di invertire il ciclo dei pleniluni.
Che
tristezza…
Sospirò
e
scosse il capo, indolente: gli serviva qualche disastro da ingigantire,
qualche
guerra a cui fare da spettatore. Cosa bisognava fare per passare il
tempo in
quella placida, pacifica, nausente scuola…?
Arrivato in
sala grande un volantino sembrò attirare la sua volubile
attenzione.
Dalla
sommità del foglio, una scritta sbarluccicante e tintinnante
brillava a
intermittenza citando:
“La festa che
fa per te! Non mancare!”
Mh.
Si
avvicinò.
Alle feste,
la gente si ubriacava, si picchiava. Alle feste, la gente lanciava
bicchieri, e
con un po’ di fortuna, qualcuno si faceva male.
Forse
c’era
del potenziale.
“La
sera del 13
febbraio ti aspettiamo in Sala Grande per festeggiare San
Valentino!”
Interessante.
San
Valentino: il giorno degli innamorati e della pazzia più
sfrenata.
L’ultima
volta che era andato ad una festa di San Valentino, un ragazzo aveva
quasi
fatto una maledizione senza perdono ad un altro, scatenando una guerra
tra
bande nel nome di una ragazza che alla fine era scappata con un terzo.
Col suo
pronto intervento, la guerra aveva continuato a prescindere da questo
piccolo
inconveniente.
Proseguì
ancora nella lettura, fiducioso.
“Anche
se non hai
ancora incontrato la tua anima gemella, non preoccuparti: porta un
amico! San
Valentino si festeggia in coppia!”
Gli occhi
scintillanti vennero attraversati da lampi nefasti.
Due nomi
comparirono immediatamente nella sua mente, araldi del suo buon umore.
Un
sorriso si disegnò sul viso di Blaise Zabini mentre il suo
machiavellico
cervello cominciava già a sfornare macabre idee.
Una di
quelle fu promossa a pieni voti e senza indugi.
Con candore
prese il volantino e si diresse con passo festoso verso il dormitorio
di
Grifondoro, dove era quasi sicuro che casualmente
avrebbe incontrato Hermione Granger.
« Ehilà
Granger » La salutò allegramente, quando la vide
provvidenzialmente uscire dal
ritratto della Signora Grassa.
« Zabini?
» Replicò la Grifondoro, stupita.
« E’ una sorpresa vederti da queste
parti… »
Si
soffermò
solo per un momento a osservare i calzini spuri che Hermione indossava,
e
ricacciò la smorfia esilarata che gli era balenata sulle
labbra dietro la sua maschera di
elegante
educazione.
« Andato
bene il compito di Draco? » Le chiese, con finta
casualità.
La
Grifondoro, probabilmente toccata nel vivo dell’incompetenza
del suo allievo
prediletto, lasciò cadere la questione della sua presenza
lì, e ammise di
malavoglia, storcendo il naso:
« E’
stato alquanto mediocre, in effetti. Ha preso di nuovo O
»
Ecco quello
che gli piaceva di quella ragazza.
Le sue
priorità.
Oltre al suo
gusto nel vestire, naturalmente.
« Ma
ha avuto anche il Quidditch, giusto? » Infierì,
sempre più candidamente, gli
occhi verdi splendidamente puntati su di lei.
« Già,
il Quidditch » Commentò freddamente Hermione
Granger, la voce congelata e gli
occhi induriti in un caustico rancore: « Malefico Gioco »
Già,
malefico.
Ricacciò
indietro anche le risa, e
continuò a
contemplare la latente ferocia che la Grifondoro aveva nel fondo della
voce
inveendo contro il Quidditch, cercando di dimostrare con molto
raziocinio che era
uno sport veramente infelice. Nel frattempo, seriamente addolorato per
non
poter ascoltare pienamente quella tirata, da cui uscivano perle del
tipo
“Dovrebbero abolirlo per il bene
dell’istruzione”, lui cercò di capire
quale fosse
il momento migliore per convincerla che la McGranitt
aveva espresso degli apprezzamenti sul
fatto che lei partecipasse, insieme a lui, alla festa di San Valentino
di sabato
13 febbraio.
Tuttavia,
un commento inaspettato di lei lo indusse a frenare il suo intento.
« Ma
Pucey Davis è un capitano molto assennato »
Assentendo
con il capo ma non potendo che guardarla sospeso, ripeté
anche lui con finta
convinzione:
« Certo,
Davis è un capitano molto assennato »
« Già
» Proseguì Hermione, assentendo viceversa realmente
convinta, il cipiglio da so-tutto-io interrotto da un moto di stima.
« Ed
è stato molto gentile con me l’altro giorno
»
« …
ah si? E’ stato molto gentile con te? »
Ripeté ancora lui, lentamente, con il
presentimento che i suoi piani nulla fossero al confronto di
ciò che avrebbero
potuto essere dopo quelle capitali scoperte.
Hermione
Granger continuò ad assentire e tessere le lodi di un
capitano di Quidditch che
comprende le esigenze dello studio: Oliver Baston – disse
– non aveva certo
avuto quella incredibile integrità etica ai suoi tempi. Era
stato
disinteressato nei confronti delle necessità scolastiche di
Harry Potter, e
l’aveva probabilmente condannato da quel punto di vista. La
Grifondoro,
risentita e quasi rammaricata, definì persino crudele
il fatto che Baston avesse troncato in questo modo i fasti scolastici
del Bambino sopravvissuto.
Blaise si
annotò che in caso di noia e in mancanza di feste sarebbe
stato sufficiente
parlare con quella ragazza per riscoprire quanto poco ci volesse a
discendere
negli abissi della più vera ed esilarante pazzia.
Ma il cielo
l’aveva premiato, e quel giorno aveva avuto sia la festa, sia
lo squilibrio
mentale.
Di meglio
non si poteva proprio chiedere.
Continuò
ad
assentire, con apparente maggior attenzione: in realtà,
aveva sentito più che
abbastanza. Colse l’occasione di sganciarsi quando lei,
incuriosita, domandò
cosa fosse il volantino che aveva in mano:
« Cosa
c’è lì? »
«
Oh
nulla. Solo una festa »
« Davvero?
»
« Già,
già » Tagliò corto lui, solo per poi
ripensarci, in un lampo di genio
improvviso, e aggiungere: « Draco non te
l’ha detto? Andrà con una lontana
cugina che deve ancora ambientarsi »
« Carino
da parte sua » Commentò genuinamente Hermione, con
un pizzico di basita
ammirazione nello sguardo bruno. Forse sorpresa che Draco Malfoy
potesse avere
una slancio di caritatevole generosità verso qualcuno come
una lontana cugina.
E in
effetti, anche lui dubitava che l’avrebbe avuto.
Se mai
avesse avuto una cugina.
« Molto carino »
Concordò con autentica
dolcezza, prima di congedarsi allegramente:
« Arrivederci Granger! »
E la
lasciò.
Rifece al
contrario il percorso dell’andata. Allegro al punto che non
si negò dei piccoli
balzelli di felicità. Ma, di fronte al portone che dava sul
cortile esterno, una
voce allarmata e alta almeno due ottave sopra la norma lo
bloccò con un urlo
felino:
« FERMATI!
»
Se non si
fosse trattato di Theodore non si sarebbe affatto fermato.
Ma
trattandosi di lui, lo fece.
Lo vide
avanzare verso di lui con grandi falcate e il fiato corto.
« Ti
ha visto di sfuggita Eloise! Perché eri con la Granger? E ora
dove stai
andando? E perché saltellavi
allegramente?
Cosa
vuoi
fare? »
« Conosci
Pucey Davis, Theodore? » Ribatté per tutta
risposta lui.
Pucey
Davis, la sua nuova musa.
« Il
capitano della squadra di Quidditch? » Replicò
perplesso l’altro, ancora affannato
per la corsa e col viso trasfigurato dal sospetto.
« Proprio
lui »
Pucey
Davis, il suo terzo Serpeverde
preferito.
« E
cosa vuoi da Pucey? » Domandò sempre
più circospetto Theodore, probabilmente
sudando freddo.
Gli rivolse
un sorriso a 32 bianchissimi denti.
« Voglio
fare un esperimento per rivalutare la sua utilità »
Pucey
Davis, la sua nuova cavia.
Vide
Theodore impallidire, e Blaise Zabini confermò a se stesso
che Pucey non avrebbe
potuto guadagnarsi il primo posto nel suo volubile cuore.
Nessuno era
come Theodore, dopotutto.
Rispetto a
scavalcare
Draco, invece, se quest’ultimo avesse mai messo la testa a
posto, forse c’erano
speranze per diventare il suo secondo Serpeverde Preferito.
Non aveva
riserve in merito.
Proprio in
quel momento un loro compagno di casa chiamò Theodore per
qualche questione, e
questo diede a Blaise l’occasione di proseguire nel suo
percorso verso il campo
da Quidditch. Era infatti certo che il suo più stretto amico
non avrebbe potuto
ignorare qualcuno che domandava il suo aiuto. Non prima di essersi
accertato
che non fosse grave, che non fosse assolutamente necessario il suo
intervento,
che nessuno sarebbe morto per il suo diniego.
Più
o meno,
non prima di un paio d’ore.
Ma a
quell’ora il suo malefico piano e il suo probabile effetto
valanga sarebbero
stati già azionati da un pezzo, e con un po’ di
fortuna, non avrebbero più
potuto essere fermati da nessuno.
Volteggiò
all’esterno della scuola, ispirando una buona dose
d’inebriante aria invernale,
e raggiunse il campo di Quidditch proprio quando vide Pucey Davis che
avanzava
verso di lui con la sua bella scopa in spalla.
Fece forza
su se stesso per non ricominciare a saltellare felicemente.
Comparendo
dinnanzi
a Pucey con la grazia di un Dissennatore, gli fece scivolare una mano
sulla spalla
con aria falsamente bonaria. Lo sentì raggelarsi per un
momento sotto quel
tocco, mentre lo salutava con un tipico tono da confratello:
« Davis,
amico mio »
Questo
dovette
però essere troppo persino per Pucey, che, vagamente a
disagio – ma troppo
Tassorosso nell’anima per scostargli la mano –
domandò d’istinto:
« Zabini…
hai bisogno di qualcosa? »
« Informarti
della festa del 13 febbraio, naturalmente » Rispose
candidamente lui, senza
lasciarsi minimamente scoraggiare dal fragile muro della sua diffidenza.
Diffidenza
che per altro cadde miseramente di fronte al prospettarsi del gaio
evento.
« Festa?
» Replicò infatti Pucey, sorpreso.
« Già:
festa » Confermò sorridendo smaliziato.
« Abito lungo » Aggiunse
lanciandogli uno sguardo che doveva simulare una certa intesa.
« Si va in
coppia »
Il
Serpeverde in realtà a questo punto parve un poco sconsolato
nel comunicargli:
« Ma
io… ehm, non ho nessuna da- »
Ignorando
completamente Pucey e il suo avvilimento, come se fossero entrambi del
tutto
superflui in quella conversazione – e lo erano! –
Blaise si guardò intorno con
aria estremamente innocente e casuale.
« C’era
qui Hermione Granger? »
« Come?
» Domandò perplesso Pucey, al quale sfuggiva
qualcosa.
Cosa non
strana, né poco frequente.
Era anzi
sicuro che spesso gli sfuggisse persino il suo nome.
« Dico,
è qui? » Insistette, tacendo quei pensieri nel
fondo della sua anima oscura. Allargando
il sorriso, aggiunse poi in tono lusinghiero: « Non
sarebbe così strano,
del resto, non è vero? »
« Perché?
»
Altro nesso
che doveva sfuggire all’acuto capitano di Quidditch di
Serpeverde.
« Sai,
per quello che si dice in giro » Riprese con assoluta
leggerezza, come se
stessero parlando di qualcosa di talmente ovvio che era persino inutile
continuare. E per rimarcare il concetto, finse di preoccuparsi di uno
sbuffo di
polvere che scacciò con dolcezza dalla spalla di Pucey, il
quale domandò di
rimando:
« Ah,
di lei e Draco? »
Blaise
Zabini percepì una nota di sconforto.
Una evidente nota di sconforto.
Le sue
sonde maligne si impennarono all’impazzata nel decifrarla:
sempre attente a
carpire ogni cosa, recepirono quel commento con così tanta
gioia che il suo
desiderio di approfondire il possibile rapporto tra Hermione Granger e
Pucey
Davis auto-fomentò la sua impazienza di mettere in atto il
suo piano. Che certo
avrebbe avuto maggior effetto se non fosse stato lui a portare Hermione
Granger
al ballo, e invece l’avesse fatto proprio
quell’ibrido di Serpeverde capitato
tra le loro fila perché di fronte alle richieste del
Cappello Parlante aveva
detto che gli piaceva il verde.
Ottimo modo
di scegliere la propria casa.
Ed era
estremamente serio, nel pensarlo.
« Ma
certo che no, Davis! » disse emulando una sorpresa infinita,
di una frivolezza
tale che Calì e Padma Patil sarebbero state orgogliose di
lui, e l’avrebbe
eletto loro capo e maestro: « Di te
e lei »
…
Nessuna
reazione.
L’ebetismo
è una malattia comune in questa scuola.
Senza voler
appurare se ci fosse o ci facesse, decise di essere più
esplicito:
« State
insieme, no? » Domandò con fermezza e, per
sicurezza, accompagnò queste parole con
una leggera gomitata al braccio più vicino di Pucey.
Fu quasi
certo che quel colpetto fu determinante.
Una vampata
di calore abbrustolì il viso di Davis.
Questa
volta non riuscì davvero a mascherare un ghigno mellifluo
mentre il compagno di
casa cominciava a balbettare nervosamente, grattandosi la nuca
così forte da
farsela diventare tutta rossa:
« N-no,
cioè… lei e Draco… io e
lei… insomma, lei… IO?
Ah ah ah! »
Il trionfo.
Mentre
continuavano i risolini isterici, a Pucey cominciarono a venir fuori
lentiggini
così appariscenti che lui seppe che era il momento di
buttare l’amo, insinuando
con voce carezzevole:
« Eppure
da come lei parla di te,
sai… »
Hop.
Il
pesciolino saltò freneticamente sull’acqua, e
chiuse la bocca intorno all’esca
come una preda che crede di essere il cacciatore. La
velocità con cui Pucey
Davis andò incontro alla sua fine gli sembrò
veramente commovente, almeno
quanto l’ottuso imbarazzo che aveva disegnato una smorfia
felice sul suo viso
asciutto e abbronzato.
« Beh,
fa nulla! Fa nulla se
mi sono sbagliato! » Esclamò allegramente Blaise
Zabini,
incapace di controllare la sua gioia e marcando le parole con un
disinteresse
così plateale che sarebbe parso evidente a chiunque che
erano studiate.
Ma non a
Pucey Davis, perso nei meandri delle sue speranze e sogni.
Nell’andarsene,
Blaise Zabini fece solo molta attenzione a voltarsi e ricordandogli
raggiante:
« Comunque,
non scordare la festa! »
*** *** ***
Well
they're packed pretty tight in here tonight
I'm looking for a dolly who'll see me right
I may use a little muscle to get what I need
I may sink a little drink and shout out "She's with me!"
Bene,
si è tutti
ammassati qui questa sera,
Io
sto cercando la
ragazza che mi troverà giusto per lei
Potrei
usare anche la
forza per ottenere quello di cui ho bisogno
Potrei
essere un po’
brillo, e gridare “Lei è con me!”
[Elton
John - Saturday Night’s Alright to
Fighting]
*** *** ***
Sabato 6
Febbraio. Ore 10.02
Hogwarts. Sala Grande
Chissà
perché da qualche giorno Hogwarts era praticamente
sottosopra.
Cercava di
raccapezzarsi in quel mistero mentre camminava perplessa per i corridoi
dove a
riempire l’aria c’era ogni genere di sospiro e
bisbiglio incantato. Ma, considerando
che non c’era nessun compito importante
all’orizzonte, non c’era proprio alcuna
ragione per cui tutti quegli studenti – e, guarda il caso
strano, specialmente
le studentesse – dovessero avere quei moti emotivi.
A meno che io
non lo sappia, e domani c’è un
compito di Trasfigurazione.
La
possibilità la fece per un attimo sudare freddo.
Era
possibile che con tutte le cose a cui stava pensando avesse dimenticato
un
compito? Raccapricciata dall’ipotesi, fu solo con grande
presenza di spirito
che si disse che era impossibile, e che non sarebbe andata dalla
professoressa
McGranitt a supplicarla di perdonarle la dimenticanza e dirle su
cosa era quel maledetto compito.
La
verità
era che se anche a Hermione Jane Granger avessero spiegato che tanti
moti
emotivi erano solo per una stupida festa di San Valentino, lei non ci
avrebbe
comunque creduto.
Fu dunque
con un peso nel cuore, e una preoccupazione crescente che
proseguì nel suo
incedere verso la casa di Hagrid.
Qui
incontrò il vecchio amico per cui aveva lasciato a Draco il
giorno libero.
Per inciso:
i compiti di Pozioni per cui era stata “ingaggiata”
all’inizio erano finiti,
tuttavia ne mancavano ancora molti in cui aveva messo in chiaro sin
dall’inizio
di gennaio che non avrebbe permesso al Serpeverde di sprofondare
nell’abisso
della sua ignoranza caprina. Considerando che gli aveva fatto questa
tirata
lontano dal resto della scuola, lui l’aveva solo mandata a
quel paese
augurandole di fondersi il cervello, e in questo modo acconsentendo nitidamente al fatto che i loro incontri
proseguissero.
Le si
dipinse un pigro sorriso sul viso.
Ormai
decriptava i suoi insulti come se fossero la sua seconda lingua.
Faceva
molta più fatica a capire il perché di certi
sguardi risentiti. Come quello che
le aveva rivolto solo il giorno prima, quando gli aveva annunciato che
l’avrebbe lasciato libero dal suo torchio severo. Forse
l’idea che lei andasse
da Hagrid l’aveva indispettito al solo ricordo di quanto
fosse stato cretino il
terzo anno con Fierobecco.
Un giorno
dovrò dirgli che l’ho liberato io…
Il pensiero
le accarezzò il cervello insieme alla consapevolezza che
avrebbe potuto usarlo
come minaccia per farlo studiare di
più:
avrebbe potuto dirgli che l’Ippogrifo era sotto il suo
controllo, e che spesso
le faceva capire che desiderava mangiare furetti per cena.
Il che per
altro era vero. Almeno per l’ultima parte.
In ogni
modo, meglio che credesse che si vedeva con Hagrid.
Cosa
anch’essa vera solo in parte.
La
verità
da rivelare sarebbe stata probabilmente intollerabile per Draco.
Passò
nella
sua casupola tutta la mattina, poi si diresse con passo incerto per
sentieri
più deserti che conosceva: c’erano molti pensieri,
dopo quell’incontro, a
riempire il gran cervello che ospitava la sua generosa scatola cranica.
Ed erano
pensieri così complessi che non avrebbe potuto pensare
lucidamente ad altro.
Forse per
questo avvenne ciò che avvenne, e cioè
ciò che Blaise Zabini aveva così
fortemente desiderato.
Una voce
infatti
la chiamò, al limitare del lago nero, con
un’insolita solennità balbettante:
« G-granger?
»
Con sua
somma sorpresa, mentre la sua mente vagava per decisamente altri
massimi
sistemi, un rossissimo Pucey Davis le comparve di fronte, con
l’aria di un
soldato che prima di andare ad affrontare una missione suicida ha una
gran
voglia di dire qualcosa a qualcuno.
Si sarebbe
perciò aspettata che lui le chiedesse
un’informazione. Tipo, dove fosse una
qual tizia di cui difficilmente gli avrebbe saputo dire qualcosa.
Quello che
le domandò fu invece di ben altra natura.
Hermione
Jane Granger strabuzzò gli occhi diverse volte prima di
comprendere appieno
quello che lui, sfregandosi nervosamente le mani sudate sul proprio
giaccone,
cercò di domandarle con voce agitata:
« So
che è una cosa improvvisa… sicuramente avrai
ricevuto la proposta di Draco. Ma
se non fosse così: il prossimo sabato
c’è una festa di San Valentino. Si va in
coppia… ma non è specificato se la coppia
è… insomma… è di due
che… beh, hai capito.
Anzi! C’è proprio scritto
che si può anche essere due amici… o
conoscenti… o penso che voglia dire anche
compagni di scuola! Comunque, beh… ecco: sarei felice di
accompagnarti, perché
ti trovo davvero una ragazza intelligente e carina, e mi farebbe
piacere »
Hermione
Jane Granger rimase a fissare Pucey Davis con gli occhi sgranati per
diversi
interminabili attimi.
Sotto
quello sguardo del tutto inopportuno, il povero buon vecchio Pucey
cominciò a
sentirsi per la prima volta il perfetto idiota che tutti pensavano.
Sennonché,
proprio quando ogni speranza sembrava perduta, Hermione ritenne di aver
finalmente afferrato il nocciolo della questione, e smise di guardarlo
come se
non capisse bene se fosse un broccolo oppure uno studente.
Va detto,
prima di rivelare la risposta della nostra giovane eroina, che al
contrario di
quanto tutti pensavano, alla nascita lei era diventata blu per un paio
di
minuti.
Cioè:
nonostante tutti ritenessero che il suo cervello fosse in perfette
condizioni,
una parte di esso, e specialmente la parte di decodifica dei sentimenti
romantici nei suoi confronti, non aveva ricevuto ossigeno per quei
sacri e
inestimabili attimi.
Così,
anche
quando Viktor Krum le aveva bruscamente domandato, con la sua
baritonale voce e
il suo gutturale accento bulgaro, se voleva andare con lui al Ballo del
Ceppo, Hermione
Granger aveva pensato anzitutto alla cooperazione
dei maghi tra le scuole. Si era detta che non poteva far male
che lei desse
il buon esempio.
E,
ugualmente, quel giorno di febbraio accettò
l’offerta di Pucey nel nome della
stima che provava per lui come capitano di Quidditch impegnato nel
“comitato
per la promozione dei diritti degli studenti giocatori”. E a
pro dell’indecente
speranza che potessero arrivare a concordare, in quella festa, un
programma
integrato per lo studio di Draco.
Se Blaise
Zabini fosse stato presente, e le avesse letto nella mente, le avrebbe
dato una
medaglia.
E poi
avrebbe abbracciato Pucey Davis, che era così imbecille e
cavalleresco da
pensare che prima di poter invitare ad un appuntamento una ragazza
doveva invitarla
come “compagna di scuola” – e poi come
“conoscente” e infine come
“amica” – cosa
che certamente aveva reso molto più semplice ad Hermione
Granger accettare il
suo invito. Nonostante qualunque persona sulla faccia della terra
avrebbe potuto
farsi un’idea diversa della questione.
Comunque,
Hermione aveva accettato. Pucey aveva rifulso di una luce accecante e
pura. E
il danno era fatto.
Il
Serpeverde, volteggiando come una Veela, si era dileguato dandole
appuntamento
per la festa.
Lei si era
stretta nelle spalle, ed era tornata al castello. Dove, di nuovo, si
chiese
perché diavolo tutti bisbigliassero in quel modo.
Forse dovrei
andarci dalla McGranitt…
« Granger!
» La chiamò in quel momento la voce aspra e
già seccata di Draco Malfoy, con la
solita inflessione volubile che ormai era diventata come il suo pane
quotidiano.
Si
voltò
verso di lui con aria interrogativa.
« Il
mio vestito è blu » Disse soltanto, lui, a
bruciapelo, avanzando con una luce
scintillante negli occhi. « Ti prego
di sforzarti di comprendere cosa significa »
E la
superò senza un’esitazione, impettito e gioioso.
Lo
seguì con gli occhi spalancati.
Questa volta,
al contrario della precedente, avvenuta solo pochi
minuti prima, Hermione Jane Granger aveva davvero
l’impressione di non aver
afferrato il nocciolo della questione.
Ma siccome
ormai era abituata alla follia dei Serpeverde, e in
particolare a quella di Draco Malfoy, si strinse di nuovo nelle spalle
e
riprese a camminare senza l’ombra di un pensiero.
Pensò
solo che la prossima volta che gli avesse dovuto fare un regalo,
avrebbe preso qualcosa di blu.
Evidentemente
gli piaceva.
***
***
***
Sabato 6
Febbraio. Ore 11.22
Hogwarts. Sala Grande
Era da
qualche tempo che ogni volta che Hermione Granger si girava, dandogli
le
spalle, un nodino gli si arrotolava nello stomaco.
Per la
precisione: era da quando, un mesetto prima, era diventata
così ossessionata
dai compiti di scuola da non dedicare più tutte le sue
energie nel colmare le
sue immense lacune formative, quella sua schiena ossuta e ingobbita gli
dava un
fastidio tremendo.
Il fatto
era che non trovava proprio giusto che lei si prendesse del tempo per
se
stessa. Per cui si era detto che quel maledetto nodino doveva essere
indignazione profonda per la sua scarsa responsabilità nei
suoi confronti.
Non aveva
ancora saputo rispondersi, invece, sul perché quel tal
nodino si srotolasse
quando, ogni volta che la vedeva e la chiamava, lei si girava verso di
lui.
Non sapeva
proprio perché… ma così avvenne anche
quella volta.
« Granger!
»
Distratta
dal suo continuo rimuginare, si volse verso di lui.
Mentre
avvertiva chiaramente il nodino srotolarsi, e la bocca dello stomaco
stringersi, Draco Malfoy avanzava verso di lei rendendosi conto che
nonostante
sembrasse più frastornata del solito, dietro le labbra le si
fosse formata
l’ombra di un sorriso nel riconoscerlo.
Nel notare
quel sorriso, il suo viso divenne più luminoso.
« Il
mio vestito è blu » Le disse soltanto.
« Ti prego di
sforzarti di comprendere cosa
significa »
E senza
aspettare di verificare che l’espressione ebete che si era
disegnata sul viso di lei svanisse, a dimostrazione che almeno qualcosa
l’avesse compreso, se ne andò impettito e gioioso.
Blaise era
stato utile, per un volta: era andato da lui e gli aveva
fatto vedere il volantino della festa. E lui subito ci aveva pensato:
subito il
pensiero meraviglioso di invitarla aveva invaso la sua mente.
Si.
Perché
sarebbe stato estremamente divertente
farla inciampare e ruzzolare giù dalle scale. O vederla
camminare su dei tacchi
a spillo con la grazia di un Troll. Poi forse avrebbero anche dovuto danzare, giusto per non essere
proprio i soli a non farlo… ma sì, per farle
giusto qualche sgambetto, o
calpestarle i piedi, avrebbe anche potuto invitarla a ballare.
Magari
avrebbero anche dovuto posare per le foto ricordo.
Certo,
poteva anche rifiutarsi.
Ma poteva
anche acconsentire, tutto sommato.
Certo, tutto
sommato potrei.
Un vago
senso di preoccupazione gli assalì lo stomaco.
Pregò che Hermione
sapesse
davvero che cosa significava che il suo vestito fosse blu:
nella foto
sarebbe venuta orrenda con lei vestita, per dire, di verde scuro.
Ma forse
non avrebbero ballato, e nemmeno fatto foto…
Un pensiero
lugubre gli corrucciò il viso.
Forse lei
avrebbe
continuato a fargli tutte quelle domande incomprensibili che
ultimamente
continuava a fargli. O forse sarebbe stata zitta a scrivere in un
angolo quelle
sue pergamene fittissime e incomprensibili che aveva sempre da fare.
Un altro
pensiero gli illuminò nuovamente il viso.
Dopotutto
era un mago. E quindi, anche se si fosse seduta su una sedia isolata ne
avrebbe
fatta comparire un’altra.
Vicina a
lei.
Non troppo vicina, naturalmente.
Diciamo,
abbastanza
vicina…
Ma non troppo!
…
ma abbastanza.
*** *** ***
Venerdì
12 Febbraio. Ore 15.29
Hogwarts. Sala Grande
Era una
questione di karma, Ginny Weasley ne era convinta: lei adorava la sua
migliore
amica. Davvero. Ma nella sua vita passata doveva essere stata davvero un’idiota fotonica a
giudicare
da come attirava idioti di proporzioni galattiche.
Per la
legge del Contrappasso, doveva per forza essere andata così.
Ma non
c’era nessuna legge cosmica che potesse giustificare il
presagio che Seamus le
aveva profetizzato la sera prima.
E
nonostante generalmente non desse alle sue supposizioni nemmeno il peso
che
dava a quelle di Ron, nelle ultime 24 ore ad attanagliargli lo stomaco
erano
state proprio le sue profetiche parole:
« Scommetto
tutto quello che ho, più le mutande di Neville, che Malfoy
alla festa ci andrà
con Hermione »
Lei e
Neville l’avevano guardato come se, se l’avesse
ripetuto, l’avrebbero bruciato
nel camino.
…
d’accordo, forse solo lei
aveva
pensato questo.
O forse
anche Neville, per via delle mutande.
Comunque
Seamus aveva ipotizzato che Draco l’accusasse di essere
stupida e che per
questo le avrebbe fatto il dono di andare con lei alla festa, per
salvarla
dalla solitudine. Aveva anche aggiunto che Hermione, forse nella folle
idea di
farlo studiare anche alla festa, avrebbe potuto accettare.
O forse
avrebbe
potuto accettare e basta, siccome ormai era data per spacciata e
impazzita
anche da lui.
Questa
ipotesi era così assurda che si era convinta che sarebbe
andata esattamente così.
Era dunque
da tutto il giorno che tentava di organizzare un piano alternativo.
Neville
sarebbe stato un candidato perfetto per farle da cavaliere se solo non
gravitasse ancora in quel famoso stato comatoso. Per cui doveva solo
cercare di
convincere Seamus ad accompagnarla – anche se questi era
sempre stato vagamente
intimidito da Hermione.
Dentro di
sé era pronta a cederle persino Dean: non le importava.
Purché Hermione non
andasse insieme a Draco ad una festa in cui fiumi di alcol, vestiti
svolazzanti
e atmosfere magiche potessero indurli a credere di poter essere
più che amici.
Il pensiero
la fece rabbrividire, ma quella sera dovette far fronte
all’atroce verità.
Che era ben
più terribile di quello che aveva profetizzato Seamus e di
quello che aveva
temuto lei.
«Ginny.
»
La chiamò Hermione, con aria meditabonda, sollevando
all’improvviso lo sguardo
dalla sua pergamena.
«
Mh? »
«
Secondo
te, cosa vuol dire “il mio vestito è
blu”? »
Strinse gli
occhi sull’amica, inarcando un sopracciglio.
«
Come? »
Hermione
scrollò le spalle, come se non fosse altro che un pensiero
sciocco, e poi le
domandò, con un sorriso:
«
Andrai
con Dean alla festa, vero? »
Sbiancò
all’improvviso, e un tick nervoso le fece mettere dietro
l’orecchio per cinque
volte una ciocca di capelli.
La stessa ciocca di capelli.
Hermione
sapeva della festa? Hermione sapeva, e chiedeva del suo cavaliere?
Hermione
forse aveva già un cavaliere?
QUEL
CAVALIERE ERA DRACO MALFOY?
2000
campanelli d’allarme le suonarono in testa.
Si
avvicinò
di più al tavolino dove l’amica stava facendo i
compiti e col tono più finto e
più casuale che riuscì a simulare mentre era
divorata dall’ansia le domandò:
«
Mh,
si. E tu… con
chi… beh, con chi andrai
alla festa? »
Hermione
ampliò il sorriso con naturalezza, come se quello che stava
per dire fosse una
piacevole novità. Tipo che avevano aumentato i compiti di
due pergamene e mezzo
ma che lei era già a buon punto.
Avvertì
di nuovo l’orrido
presentimento che
sarebbe accaduto qualcosa di terribile, e che lei avrebbe avuto un
attacco
ischemico letale.
E di solito
i suoi presentimenti non facevano cilecca due volte nello stesso mese.
«
Con
Pucey Daves. Lo trovo un ragazzo molto intelligente. »
Niente
attacco ischemico.
Semplicemente,
un aneurisma grosso come una noce le si formò
all’istante nella parte destra
della testa ed esplose.
Boom.
E i suoi
neuroni cominciarono letteralmente a marcire.
«
Con chi? » Strillò
con voce strozzata.
Incapace di dire altro. Incapace di pensare.
Qualcuno si
girò verso di loro, ma lei lo fulminò con lo
sguardo inducendolo a farsi gli
affari suoi.
Si
rigirò
verso Hermione con il viso agghiacciato. Se fosse andata alla festa con
uno di
loro, forse Draco l’avrebbe risparmiata da tutte le sue
colossali idiozie. Ma
Pucey Davis… cosa avrebbe potuto fare,
sapendolo?
«
E’ il
capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde. » Le stava
intanto
rispondendo con tono puntiglioso Hermione. « L’hai
visto un sacco di volte,
sai? »
Scosse
furiosamente il capo.
«
Si, so
chi è! Intendevo:
com’è possibile?
»
«
Me
l’ha chiesto ieri. Sai… non me l’aveva
ancora chiesto nessuno, quindi… »
«Malfoy
non… non ti ha invitato? » Domandò,
scrutandola avidamente con gli occhi
sporgenti fuori dalle orbite e il viso trasfigurato in una smorfia.
«
Perché
anche tu pensi che avrei dovuto andare con Draco? »
Domandò con autentico
stupore Hermione. « Anche Pucey me l’ha detto. Che
strano… »
Strano?
La parte
del suo cervello che era ancora inspiegabilmente funzionante dopo
l’aneurisma
esploso, avrebbe voluto prenderla a pungi.
Che strano
sto’ gran ca**o! Era colpa sua se tutto il settimo anno di
Grifondoro
scommetteva su quell’evento con orrore: era lei che aveva
reso normale pensare
che avrebbe potuto invitarla! E anzi!
Che avrebbe preteso di andare con
lei!
Ma si
contenne, distese il pugno destro e si passò la mano sudata
sulla gonna: quello
non era un discorso che era pronta ad affrontare, e soprattutto, era fondamentale capire ben altro.
« E
cosa
pensi di fare con Malfoy? » Le chiese, con la voce che usciva
arida perché in
gola non aveva neanche una goccia di saliva.
Era
assolutamente certa che lui non lo sapesse già, appunto.
Perché il castello era
ancora in piedi, e perché Hermione non aveva
l’aria di un animale braccato da
un idiota che non avrebbe mai avuto il cuore di mandare a quel paese.
D’altra
parte, aveva forse intenzione di dirglielo?
Hermione si
strinse nelle spalle.
Lei ebbe un
tremito orribile: perché si stringeva nelle spalle mentre
lei si faceva
sanguinare il cervello per quella cosa?!
«
Intendi
se gliel’ho detto? Non ricordo, sono stata molto presa con lo
studio… però lui
va con un’altra »
Oh.
Si
fermò.
Respirò.
La
guardò.
Era
tranquilla, e serena. E Draco Malfoy andava con
un’altra… forse era stato tutto
un sogno? Forse la sua migliore amica non aveva mai e poi mai fatto
amicizia
con il Serpeverde.
Incerta se
aggrapparsi a quella speranza, o lasciarsi dominare da un improvviso, terzo presentimento di angoscia, Ginny
Weasley fu decisamente sul punto di avere anche
un infarto, quando Hermione, con aria saputa a intelligente,
orribilmente ebete
in quel momento, le spiegò:
«
Zabini
me l’ha detto. Draco va con sua cugina »
Fu il colpo
di grazia.
«
Zabini…?
» Sussurrò in un filo di voce, come se dirlo a
voce più alta potesse uccidere
qualcuno.
E poteva, maledizione!
Se si
trattava di Zabini, poteva!
«
Ehi
Ginny! Ho bisogno di una mano! » La chiamò
Calì con voce cinguettante.
«Aspetta!
» Strillò con angoscia.
Hermione
inizialmente la guardò, e non capendo bene a cosa fosse
dovuta la sua angoscia
pensò di sorridere.
Di nuovo
l’impulso di prenderla a pugni stava per prendere il
sopravvento, quando la
vide alzare gli occhi sull’orologio della Sala Comune, ed
esclamare, in un
terrificante perentorietà:
«Oh
caspita com’è tardi! Devo proprio andare
»
«No!
Hermione aspetta! »
Tentò di
fermarla, disperata.
Venne
però
immobilizzata da un quarto, folgorante, raccapricciante
presentimento…
«
Cosa
c’è? » Domandò Hermione un
po’ impaziente, fermatasi dal raccattare i libri
solo perché Ginny sembrava davvero più morta che
viva.
Effettivamente
cadaverica, Ginevra Weasley si sporse ancora di più sul
tavolo, le guance
incavate dal terrore e dallo sfinimento, gli occhi scintillanti per una
rabbia
ancestrale, le spalle scosse da tremori irreprimibili.
« … è stato Malfoy a dirti che
il suo vestito
è blu? » Soffiò tra i denti
con voce tiratissima
Hermione la
guardò.
Candidamente.
«
Si,
perché? »
«
GIIIINNYYYY!
» Cantilenò in un cinguettio grazioso
Calì, alzato di due ottave e lanciato
nell’aria con l’evidente intenzione di rompere
diversi timpani. Tra cui
certamente anche il suo.
« ASPETTA! » Ruggì,
voltandosi solo per un
secondo fatale in cui Hermione, richiamata dall’appello
solenne dei compiti, se
ne fuggì velocemente via, scusandosi per la fretta.
Rimasta
sola, a Ginevra Weasley non restò che imprecare in modi che
non verranno qui
ripetuti.
Al posto di
andare verso Calì, imboccò velocemente il foro
del ritratto con l’intenzione di
scovare Draco Malfoy.
Forse
avrebbe fatto in tempo.
Forse, se
avesse detto a Draco Malfoy che Hermione non aveva capito un emerito
ca**o,
avrebbe potuto scongiurare di far diventare quella festa di San
Valentino un
massacro!
Quando,
dopo ben due ore, vide Blaise Zabini aggirarsi nei pressi della Sala
Grande si
avventò su di lui come un’arpia, con tutta
l’intenzione di strappargli un
braccio per farlo confessare su dove fosse quel beota cronico di cui
era alla
ricerca!
«
ZABINI! FERMATI IMMEDIATAMENTE! »
«
Weasley!
» La sua faccia contorta dalla rabbia e dal terrore
sembrarono essere come
balsamo per le sue arrugginite giunture maligne. « Che bello
vederti. Ho la
sensazione che mi porti buone nuove. »
«
Dov’è
Malfoy? » Ruggì digrignando i denti.
Le parve di
vedere un sorriso dietro la maschera di educazione che ostentava di
fronte a
lei, mentre le rispondeva, lento e flemmatico:
«
Perché
lo cerchi? »
Fu solo per
miracolo che non gli azzanno la faccia deturpandolo per sempre.
«
Devo parlargli! »
« E
perché
gli devi parlare? »
«
Affari
miei! » Berciò con poca grazia.
«
Se non
me lo dici, non te lo dico » Cantilenò Blaise
Zabini allegro. Estremamente
allegro.
«
Sta
zitto, idiota! E’ tutta colpa tua! E non giurerei nemmeno che
non sia colpa tua
anche il fatto che Malfoy abbia chiesto a Hermione di andare alla
festa! »
Zabini
sembrò perplesso.
Ginny
Weasley non poteva sapere che Blaise Zabini era andato da Draco,
informandolo
della festa, e dicendogli espressamente
che Hermione Granger gli aveva parlato dando per scontato che sarebbero
andati
insieme alla festa di San Valentino. Si era assicurato di blandirlo il
più
possibile, nel timore che la sua somma idiozia e soprattutto il suo
fenomenale
e abnorme imbarazzo potesse portarlo da lei e urlarle con mala grazia
che
poteva scordarselo che sarebbero andati insieme alla festa: gli aveva
detto che
lo trovava maturo, essendo loro amici. Che forse lei voleva farsi
perdonare per
il poco tempo che gli dedicava. Che avrebbe potuto farla inciampare e
tutto il
resto, e prenderla in giro per il colore del suo vestito, che sicuramente non sarebbe stato
appropriato.
Così,
Draco
Malfoy, un po’ inebetito, un po’ stupidamente
convinto di non aver dato a vedere
la sua gioia per l’essere il cavaliere di Hermione, non
avrebbe davvero avuto
alcuna ragione né per andare da lei a urlarle che era
deficiente, né per andare
a invitarla.
Ma se Draco
era andata ad invitarla e Pucey Davis non aveva ancora provveduto a
farsi
avanti, Hermione Granger sarebbe andata con il più sveglio
dei due Serpeverde e
avrebbe rifiutato il meno sveglio, rovinando tutto il suo malefico
piano.
E questo
era oltremodo ingiusto!
Mai Blaise
Zabini mostrò un’espressione così
frastornata a dispiaciuta.
«
…
allora gliel’ha chiesto… questo non
l’avevo previsto… » Mormorò,
affranto.
Ginny
Weasley, intimamente stupita per quell’espressione, si
riprese in tempo record
e puntandogli un dito in piena faccia, tuonò:
«
Beh,
notizia dell’ultima ora! L’ha fatto! E lei non ha
capito, anche perché tu le
hai detto che lui va con una cugina! Così Draco non sa che
lei ha già detto di
sì a Davis! »
Mai Blaise
Zabini mostrò un’espressione così
felicemente stupita.
«
Dici
sul serio?! »
«
Tu non hai idea di che cosa hai
fatto. »
Ringhiò tra i denti lei, stringendo i pugni lungo i fianchi
e vibrando dalla
rabbia.
«
Credo sinceramente di non averla
avuto fino in
fondo, si » Ammise
lui, in preda ad
un’ondata di felicità. « Ma se dici che
è andato tutto così bene
» Digrignò anche lui i denti, come
una belva feroce. « Allora posso dirti senza dubbio che Draco
a quest’ora è
agli allenamenti » allargò il famelico sorriso.
« Con
Pucey Davis, naturalmente. »
Un urlo
terrificante, convulso e strozzato giunse in quel momento alle loro
orecchie,
qualcosa di molto simile a:
« TU HAI INVITATO CHI?
E LEI HA DETTO COSA?
»
Blaise
Zabini esalò l’aria inebriato.
Ginny
Weasley perse 10 anni di vita.
Il famoso
aneurisma grosso come una noce, che le aveva fatto marcire tutti i
neuroni della
parte destra del cranio e che miracolosamente non l’aveva
uccisa, esplose. Di nuovo.
Il fatto
era che Ginny Weasley avrebbe davvero preferito che almeno quel secondo
colpo
apoplettico andasse a buon fine, siccome nei giorni seguenti visse col
terrore
di una preda braccata che Draco Malfoy sbucasse da ogni angolo per
ucciderli
tutti.
Accompagnò
Hermione a comprare il suo vestito, a un giorno dalla festa, temendo
che dietro
ogni porta di Hogsmean si celasse il Serpeverde con una clava o
chissà cosa in
mano, pronto a trucidarle.
Non
riusciva davvero a spiegarsi come Hermione potesse stare tranquilla,
anche se
non aveva avuto il cuore di spiegarle cosa le stava capitando.
Non aveva
avuto il cuore nel senso che il suo cuore non avrebbe retto.
Chiaro
è
che quando Hermione mise gli occhi su un vestito blu il suo sguardo non
era mai
parso così luminoso e sereno, e in quel momento le
augurò con tutto il cuore di
avere la stessa gastrite che i suoi gusti in fatto di amici le stavano
procurando!
In ogni
modo, se anche Ginny Weasley aveva temuto fino all’ultimo che
la scenata di
Draco Malfoy si sarebbe consumata in pubblico, in un certo senso si
sollevò
quando scoprì, proprio la mattina dopo, che qualcuno aveva
rubato il pacchetto
accuratamente chiuso e curato in cui era stato riposto il vestito di
Hermione –
con un bel biglietto su cui lei aveva scritto a Calì e
Lavanda di non metterci
su le loro manacce.
Hermione
per altro non sembrava così sconsolata, e si era persuasa a
cercare qualcosa di
adatto nel suo armadio. Inspiegabilmente, mentre aveva la sua testa
ficcata
all’interno, specificò in un brontolio scomposto
che aveva certamente qualcosa
di blu.
Considerando
la tranquillità con cui Hermione aveva preso la cosa, Ginny
fu quasi persuasa a
sua volta di non andare da Draco Malfoy a dirgli che solo lui poteva
essere
così abissalmente cretino da fare una cosa simile. Poi
però vide che cosa
precisamente Hermione aveva deciso di mettersi in sostituzione del suo
precedente vestito da sera, e, agghiacciata, Ginny Weasley si decise,
pur con
la sensazione che la sua gastrite stesse peggiorando, di andare a
recuperare il
vestito.
«
Apri
Malfoy. » Dettò dunque fuori dalla porta della sua
camera, dopo aver schiantato
un po’ di Serpeverde che ostacolavano la sua marcia.
Nessuna
risposta.
«
Subito.
»
Nessuna
risposta.
« Immediatamente. »
Draco
Malfoy finalmente socchiuse l’uscio della sua porta e dallo
spiraglio la
osservò con astio.
Le parve
che avesse gli occhi iniettati di sangue e l’aria di un folle
che non dorme da
giorni.
Per un
attimo si dispiacque per lui.
«
Che
vuoi? » Ringhiò poi il Serpeverde, acido.
E
così
smise di dispiacersene.
«
Sapevo
che eri un cretino, ma non immaginavo così tanto »
ribatté altrettanto acida. «
Ridammi quel maledetto vestito! »
«
Fatti
gli affari tuoi! » Sputò lui, caustico, e un
guizzo di febbrile, infantile
orgoglio gli attraverso gli occhi azzurri iniettati di sangue.
«
Senti chi
parla! » Rimbeccò sarcastica lei, incapace di
trattenersi. « Non sono nemmeno
affari tuoi con chi va Hermione alla festa se non la inviti! »
«
Ha
detto a Blaise che era contenta di venire con me! »
Strillò Draco, un poco più
isterico di quanto probabilmente si rendeva conto. « E
comunque era sottointeso
che nessuno l’avrebbe invitata e che quindi le avrei fatto il
piacere di
accompagnarla! » E qui il guizzo d’orgoglio divenne
quasi stoico « Ha
approfittato indebitamente della mia bontà!
»
La folla
che si era riunita attorno a loro ebbe un attimo di straniamento di
fronte a
quello sproloquio. Ginny Weasley, però, era così
provata dalla sua gastrite che
non era più disposta a rimanere sorpresa di fronte alla sua
demenza.
Però
ci
tenne a precisare:
«
Tu sei
malato! »
« E
lei
è senza vestito! » Rimbeccò lui
trionfante, con un cipiglio folle.
«
Stai
delirando?! » Urlò a sua volta, dimenticando per
un momento di dover sembrare
alquanto ridicola a litigare con la fessura di una porta. «
Sei arrabbiato
perché ci va con un altro! Ecco la verità!
»
«
Sono
disgustato perché ci va con l’essere
più simile a Ronald Weasley che questa
scuola abbia mai avuto! » Le rispose a tono la fessura
« Il tappeto del mio
bagno ha più dignità di quel beota di Davis!
» La fessura sembrò estremamente
provata e disgustata nell’ammettere: « E persino il
tuo tappeto ce l’ha! Era
deciso che saremmo andati insieme! »
«
Nella
tua testa bacata, forse! » Ruggì lei.
Evitò
di
ricordarsi che anche secondo il suo modestamente più saggio
e sensato punto di
vista era abbastanza scontato che ci sarebbero andati insieme. Decise
di
concentrarsi solo sul fatto che Malfoy fosse uno spocchioso imbecille
con il
cervello fatto a cubetti di paglia!
Un
orgoglioso incredibile, e perfetto, insensato, colossale,
RON.
«
Non
andrà alla festa! » Stridé solenne
Draco, sollevando un po’ il mente ed
ergendosi dietro la porta con tutta l’altezza che aveva.
Ma non
aveva capito bene, evidentemente.
Non aveva
capito che non si stava macerando l’intestino per non
ottenere niente.
Si
avvicinò
di un passo verso di lui, gli occhi incollati alla sua faccia pallida.
Una
strana aura onnipotente che la attorniava. E qualcosa di inquietante e
spettrale nella sua faccia deformata dal malfunzionamento di
metà dei suoi
apparati.
«
Provo
a dirtelo con le buone, e spero che tu capisca » ma le
avrebbe anche fatto tanto
piacere che non lo capisse, così avrebbe potuto farglielo
capire con altre
maniere. « Dopo mio fratello speravo che Hermione avesse la
decenza di
scegliersi gente meno idiota e invece pare che perseveri. Non importa.
Resta
solo un fatto, per quel che mi riguarda: se Hermione non vede il suo
abito
questa sera… tu non vedrai l’alba domani mattina.
»
E siccome
non era sicura che Draco avesse capito quanto era seria, diede uno
spintone
alla porta, ignorando i suoi lamenti inconsulti, individuò
il pacchetto sul
letto, lo afferrò, e tenendo Draco sotto tiro con la
bacchetta tesa, per
dissuaderlo a fare solo un passo verso di lei, fuggì via.
Ormai certa
che quella festa sarebbe stata una monumentale tragedia.
*** *** ***
Sabato 13
Febbraio. Ore 21.00
Hogwarts. Sala Grande
Hermione
Granger, vestita di tutto punto per la festa di San Valentino e
puntuale come
un orologio svizzero, sospirò ai piedi della scalinata.
Con sua
somma sorpresa, Draco non si era più fatto vedere, ed era
successa una cosa
strana quella mattina in dormitorio: qualcuno aveva rubato il suo
vestito per
il ballo. E poi Ginny era ricomparsa con il pacco che lo conteneva, ma
non
aveva voluto dirle dove l’aveva trovato. E d’altra
parte lei non aveva
insistito, e si era messo l’abito.
Era un
vestito molto bello: con maniche a tre quarti, uno scollo a V non
troppo
pronunciato, e un’elegante svasatura che partiva dai fianchi.
Aveva delle
decorazioni argentate sui bordi, ma per lo più era
inderogabilmente e
indubitabilmente blu.
Come i suoi
fermagli. Come le sue scarpe. Come la sua borsa. Come i suoi orecchini.
Tutto blu.
Sorrise
inconsciamente al nulla davanti a sé: chissà come
sarebbe stato sorpreso Draco
nel vederla.
«
Davis
non arriva… »
Si
voltò
verso Ginny, che aveva un bellissimo vestito rosso scuro ma
l’aria di un’anima
in pena. Continuava a sussurrare frasi incomprensibili. Gliene aveva
anche
chiesto il motivo, ma aveva avuto l’impressione che ce
l’avesse un po’ con lei,
e che non volesse proprio dirglielo.
«
Spero
per Malfoy che non abbia fatto scherzi… » la
sentì di nuovo sussurrare, e con
grande cautela e gentilezza le chiese:
«
Cerchi
Dean? »
Ginny scosse
meccanicamente il capo.
«
No. »
rispose inquieta, senza smettere di guardarsi in giro.
La
imitò
anche lei, e all’improvviso vide Draco comparire
dall’ingresso della Sala
Grande.
«
Oh,
ecco Draco! » Esclamò, gioiosa. « Draco!
» Lo chiamò sbracciandosi per farsi
vedere.
Sentì
un
peso trascinarle giù il braccio, e si accorse che Ginny gli
si era avventata
addosso e la guardava scioccata.
«
Abbassa quella mano! » Esclamò in un filo di voce,
come se fosse terrorizzata
da qualcosa.
Da cosa,
però,
lei non lo sapeva.
Stette per
metterle una mano sulla spalla, e garantirle che l’avrebbe
aiutata qualunque
fosse la questione che l’angustiava. Ma non poté
farlo, perché prima che
potesse chiederle quale fosse il suo problema, Draco Malfoy le
raggiunse e si
parò loro davanti.
Hermione
Jane Granger rimase per un momento senza molte parole.
Davanti a
lei c’era un Draco diverso da quello che conosceva.
Fu strano
rendersi conto che, anche se l’abito non fa il monaco,
quell’abito da sera blu
notte, fatto su misura ed estremamente elegante, metteva in luce
qualcosa che
forse era sempre rimasto nascosto dietro la divisa da quidditch e
l’uniforme
della scuola.
Si rese
conto che presto Draco Malfoy sarebbe diventato un adulto.
Che la
persona che gli stava davanti in quel momento era un ritratto fedele di
chi
sarebbe arrivato di lì a pochi anni.
I capelli
così biondi e così lisci. Gli occhi di ghiaccio
misteriosi ed affascinanti.
Alto ed elegante al di là dell’abito che avrebbe
indossato. Con quel mento
sempre un po’ più su del dovuto. E
quell’aria da schiaffi che, però, alle
volte, avrebbe regalato piccoli, preziosi sorrisi a chi avesse avuto la
pazienza di aspettare che lui si aprisse.
Si
sentì
invasa da un senso di aspettativa per il futuro senza precedenti.
Come se
l’orgoglio di potergli stare al fianco e vederlo maturare
nella mente come
nell’aspetto, fosse tanto grande quanto la
felicità di aver sfidato ogni
convenzione per diventargli amica ed essersi guadagnata un posto
speciale nel
suo futuro, per poter vedere quei sorrisi.
E
improvvisamente si accorse anche di un’altra cosa.
Che gli era
mancato per tutti i giorni in cui non si erano visti.
E che se
quel ballo fosse stato diverso, se avesse dovuto portarci un compagno
scegliendolo tra tutti gli altri al di là di ogni criterio,
quel compagno non
avrebbe potuto essere altri che Draco.
Pensava a
questo così intensamente che non si accorse che Draco la
guardava con così
tanta aperta irritazione che tutti i presenti si erano allontanati da
loro, e
Ginny, coraggiosamente, aveva fatto un passo avanti prendendo mano alla
bacchetta nascosta nella manica del bel vestito che indossava, pronta a
ingaggiare un duello con lui per difenderla.
Si accorse
che qualcosa non andava solo quando Draco soffiò tra i
denti, con astio:
«
Questa
me la pagherai davvero cara… »
Strabuzzò
gli occhi.
«
Ma
cosa stai dicendo? »
Non aveva
idea di cosa gli passasse per la testa, ma fu estremamente chiaro che
qualunque
cosa fosse non migliorò dopo quella risposta,
perché le parve che le vene
verdastre che si vedevano sulla pelle lattea del Serpeverde
cominciarono a
pompare sangue al cervello con un ritmo inquietante. Gli occhi sempre
fissi su
di lei che la scrutavano avidi ma disturbati, come se non volessero
davvero
guardarla ma non potessero farne a meno.
Fece un
passo avanti, e con la stessa voce cauta e gentile che aveva usato con
Ginny,
tentò di indovinare il motivo del suo malumore:
«
Tua
cugina non c’è? E’ stata male?
»
Le spalle
di Ginny tremarono, come scosse da un brivido.
Da quello,
Hermione Granger avrebbe dovuto dedurre che il suo tentativo non aveva
fatto
che peggiorare di nuovo la
situazione.
Ci
pensò
Draco a sottolineare la cosa, ringhiando:
«
Vuoi
proprio litigare?! »
«
Non è
colpa sua, cretino! » la difese Ginny, avanzando di un altro
passo.
Colpa sua
per cosa? E perché Ginny
sembrava
saperlo e non gliel’aveva detto?
«
Taci! »
La gelò però Draco, schioccando le parole con
ancora più rancore del solito « Fatti
gli affari tuoi! E questa volta sul serio! »
«
C’è
qualcosa che non so? » domandò, un tono un
po’ più freddo e contrariato di
quello che si sarebbe aspettata.
Ginny si
girò verso di lei, agghiacciata.
Gli occhi
quasi
fuori dalle orbite e tutta l’aria di volerla pietrificare.
Ma non ne
ebbe il tempo.
« Qualcosa che non so? » Le fece
il verso
Draco, e non si capiva se era più indignato o più
scioccato. Ancora una volta,
il ragazzo le tolse ogni dubbio: « Sono disgustato!
»
La musica
cominciava ad alzarsi nella sala. Intorno a loro, alcune coppie
cominciavano a
muoversi. Altre si avvicinarono al buffé. Altre ancora
osservavano un diverbio
che si stava consumando tra il Serpeverde e la Grifondoro
più discussi della
scuola. Se si fossero soffermati a guardare con più
attenzione, avrebbero visto
Blaise che si era riservato un posto d’onore non molto
lontano, e, mangiando
con discrezione qualche tartina, aveva gli occhi bramosi fissi su di
loro. Al
suo fianco c’era Theodore, che osservava la scena
visibilmente preoccupato.
Mentre
comparivano
all’ingresso Seamus, Neville e Dean, tutti scompigliati e
tesi, ma soprattutto
ignari di quanto stava succedendo, lei sbarrò gli occhi per
l’ennesima volta, e
domandò sconcertata:
«
Da
cosa? »
Ginny fu
scossa dall’ennesimo tremito, mentre Draco, al culmine dello
sdegno e
dell’esasperazione, urlò:
«
Da te! »
Senza
parole, rimase risentita a guardarlo.
«
Pucey
Davis! » Continuò Draco avanzando di un passo, e
gesticolando in modo scomposto
e confuso, come se anche quello che si agitava dentro di lui fosse
piuttosto
scomposto e confuso. Una cosa però era estremamente chiara
in lui: « Persino
Paciock sarebbe stato meno umiliante!
»
«
Cosa?!»
Ribatté, facendo a sua
volta un passo in avanti allo steso modo, al punto che le loro facce
erano a una
spanna sola di distanza.
Si
guardavano in cagnesco, come se fossero pronti a darsele da un momento
all’altro. In quell’idillio, Colin Canon si
intromise col suo sorriso ingenuo e
sfavillante, e domandò con gioia:
«
Una
foto ricordo?! »
I due si
girarono all’unisono, e ruggirono:
«
Sloggia,
Canon! »
E Colin
Canon, tutto mogio, se ne andò a fotografare qualche altra
idilliaca coppia.
*** *** ***
Sabato 13
Febbraio. Ore 23.23
Hogwarts. Aula di Trasfigurazione
Il fatto
che Hermione fosse una cretina era dimostrata dal fatto che il cappello
parlante, tra tutti i posti in cui avrebbe potuto mandarla, aveva
scelto la
Casa dei Grifondoro.
Detta
anche, in gergo comune, la Casa dei Cretini.
Per cui era
chiaro che non era proprio una persona a posto.
Ma
accettando l’invito di Pucey Davis, aveva superato ogni
limite consentito di
cretineria, e lui, Draco Malfoy, era lì pronto a perdonarla
e riprendere a
parlarle.
E per
perdonarla e lasciarsi quella spiacevole questione alle spalle, non
chiedeva
molto. No: chiedeva solo di udire dalla bocca di Hermione stessa che
era stata
così stupida che non osava nemmeno chiedergli di perdonarlo.
Che Pucey Davis
era stato un madornale sbaglio. Che anche Victor Krum lo era stato
– meglio
abbondare, intanto che sarebbe stata in vena di scuse. Che la sua vita
era
senza senso da quando aveva pensato di andare a quella festa con un
altro. E
che poteva anche non parlargli per anni, ma lei avrebbe continuato a
sperare in
una loro riconciliazione.
Solo
questo, e poi l’avrebbe perdonata.
Draco il
Misericordioso, l’avrebbero chiamato i romani. Altro che
Commodo.
Quando
però
aveva visto Hermione in fondo alla sala, aveva dimenticato
tutto… e l’unica
cosa che aveva ardentemente desiderato era di vomitarle addosso tutta
la cieca
rabbia che gli era montata dentro.
E,
possibilmente, rompere qualcosa.
Sarebbe
stato Draco il Misericordioso solo dopo.
Prima
avrebbe spaccato qualcosa.
Hermione
doveva averlo capito, perché dopo essersi scambiata con lui
altri insulti, l’aveva
trascinato via dalla Sala Comune, in un’aula vuota, dove,
ansimante, bellicosa
e basita, lo osservava a un paio di metri di distanza.
Ad un
tratto, gli domandò, sconvolta:
«
Qual è
il tuo problema? »
E lui lo
sapeva… lo sapeva eccome qual era.
Ma in quel
momento in cui erano soli preferiva spiegare al mondo e a lei
qual’era il
problema di Pucey Davis:
«
E’ turpe! »
«
Draco!
»
«
Non
difenderlo! » Inveì, alterato. « Che
è? Ti piace?! Quella sottospecie di arredo
pulcioso da bagno!? »
Sconvolta e
arrabbiata a sua volta, Hermione tentò di nuovo di fermarlo:
«
Draco!
Smettila! »
Smetterla?!
«
Ma ti
senti?! » Urlò al culmine del raccapriccio.
« E’
un tappeto!
»
« E
tu
sei l’essere più abissalmente cretino che io abbia
mai conosciuto! »
«
Almeno
non puzzo! »
«
Neanche
lui puzza! »
«
Certo
che puzza! » La contraddisse caustico, la faccia trasfigurata
dalla rabbia « Tutti
i tappeti puzzano! Perché ci si pesta sopra i piedi!
»
«
Pucey
non- »
Draco
sbarrò gli occhi, inorridito.
«
Adesso
ti metti pure a chiamarlo per nome?! »
«
Io
l’ho sempre chiamato per nome! » Gridò
Hermione, e ansimando per lo sforzo di
continuare a stargli dietro. « E non capisco
perché fai così: mi ha invitato, e
io ho detto di si! Sapevo che tu ci andavi con tua cugina! »
«
Silenzio!
» La zittì furibondo. « Non
c’entra niente questo! C’entra il fatto che sono
allibito che tu sia caduta così in basso da farti
accompagnare da un fallito!
Un monumentale fallito! »
«
Sempre
meglio che essere degli stupidi ignoranti che giudicano le persone in
base ai
loro soldi! » Strillò Hermione, quasi disperata.
« E
chi
ha parlato di soldi?! » Ribatté allucinato, anche
lui con un fondo di
disperazione nella voce « Aiuta i Tassorosso
quello! »
Hermione
batté le mani sui fianchi una volta. E poi
un’altra volta.
Sul viso
un’espressione sconvolta, attonita, quasi smarrita.
Provò
a
dire qualcosa prima di richiudere la bocca e guardarlo come se non
trovasse
parole per ribattere. Lui ne fu certo: non trovava parole
perché si stava
rendendo conto che non si poteva obiettare al fatto dei Tassorosso.
Ciò significava
che presto si sarebbe scusata. Che si stava rendendo conto di quanto
era stata
stupida, di quanto era stata una donnicciola sciocca a lasciarsi andare
un uomo
baldo, valoroso e Serpeverde quanto lui.
Si stava
rendendo conto di tutta la sua cretineria.
L’accenno
di un sorriso soddisfatto si stava dipingendo sul suo viso, al pensiero
di
quanto sarebbe stato misericordioso a concederle il tanto desiderato
perdono,
quando la udì esclamare con una qual sorta di esasperata
rassegnazione:
«
Ma sei
un vero deficiente! »
Il sorriso
si gelò sul suo viso prima di formarsi.
Assottigliò
gli occhi in due fessure così sottile che non si vedevano
più nemmeno le
pupille.
«
… sai
che ti dico? »
Hermione lo
guardò un po’ sconsolata, come se non ci fosse
niente che potesse dirle per
farle cambiare umore.
In
realtà,
c’era eccome.
«
Che Davis
lo è. » sibilò, e lampi
d’orgoglio ferito e rivendicazione cocente scintillavano
dalla fessura sottilissima dei suoi occhi « E che formate
proprio una bella
coppia! Di deficienti! »
E in
effetti dopo queste parole Hermione non sembrava più molto
sfiduciata.
«
Ah si?
» Vibrò anzi, come se stesse trattenendo in gola
tutta la sua rabbia.
Un tic
nervoso cominciò a gonfiarle la palpebra più
bassa dell’occhio sinistro. Le
narici si dilatarono al punto da renderle il naso molto simile a quello
di un
toro incazzato. E i pugni si strinsero in modo così serrato
lungo i fianchi che
le nocche cominciarono a scrocchiare. Deglutì
inconsciamente, perché sapeva che
non era un buon senso. Ma siccome non c’erano libri nei
dintorni, osò
confermare, spavaldo:
«
Si! »
«
Bene. »
Disse, con la stessa, pericolosa calma trattenuta.
«
Bene! »
«
Bene. »
«
Ben- »
« Stupeficium! »
« Protego! » Strillò
stridulo, non sapendo
bene dove trovò tutta quella prontezza.
E
scattò di
lato, col cuore in gola.
Udendo il
suono di qualcosa che si sfracellava, si girò e
sbiancò di fronte alla sedia
maciullata che si era schiantata contro il muro al suo posto.
Così
strillò
di nuovo, ancora più stridulo:
« Ma che fai?! »
Hermione
aveva una risposta molto ragionevole:
« Stupeficium! »
« Protego! » Urlò
atterrito, puntando la
bacchetta davanti a sé.
« Stupeficium! » Continuava a
incalzarlo
Hermione, l’aria da assatanata e i capelli ridotti ad uno
scempio. Un’altra
sedia prese il suo posto e venne distrutta nella furia assassina di
quella
pazza scatenata- « Stup-
»
« Expelliarmus! »
E
incredibilmente fu più veloce: la bacchetta di Hermione
volò dall’altra parte
della stanza, e lui, ancora la bacchetta puntata, accarezzò
per un attimo
l’idea di schiantarla. Quando lei lo sconsigliò
molto vivamente, sibilando,
verde di rabbia:
«
Non oserai! »
«
Tu
l’hai appena fatto! » le fece notare allucinato, il
braccio sempre teso e
pronto.
«
Te
l’eri meritato! » lo zittì lei, gli
occhi ridotti a due sottili e funeste
fessure che lo fissavano con tanta irritazione e rabbia che sembrava
stesse
recitando un’oscura maledizione mentale.
E Draco
Malfoy conosceva Hermione Granger abbastanza bene da sapere che averla
privata
della sua bacchetta non era sufficiente per mettersi al riparo dalla
sua
follia.
Decise
infine che, per fugare ogni dubbio, era davvero meglio schiantarla.
Senonché
dall’uscio,
giunse loro una voce:
«
Ma qui
che succede? »
Ed ecco
l’oggetto del contendere comparire nell’arena.
La donzella
in difficoltà che il Drago
voleva
accoppare, e difesa da un cuore ardimentoso.
Nel solo
guardare Pucey Davis che li fissava con un’ aria del tutto
innocente ed ebete,
provò l’insano desiderio di prenderlo a sprangate.
«
Malfoy?
» Domandò lo sveglissimo principesso. «
Ma che fai? »
«
Stanne
fuori, stuoia! » ringhiò, minaccioso. E avrebbe
volentieri puntato la bacchetta
contro Pucey se solo Hermione non gli avesse ricordato la sua presenza,
urlando
ormai quasi sull’orlo delle lacrime:
«
Smettila
Draco! »
Ed era
molto meglio continuare a tenere lei sotto tiro.
«
Stuoia?
» Ripeté invece Pucey, smarrito.
Abbassò
la
bacchetta e puntò un dito contro il nuovo arrivato,
guardando però Hermione con
l’aria di uno che le sta mostrando la dimostrazione assoluta
della propria
ragione.
« E
poi
sarei io l’imbecille?! » La accusò
indignato. « E’ più lento di Weasley! »
Il
principesso sembrò aver capito tutto e chiese, in tono
perspicace:
«
Lento…? Stiamo parlando di Quidditch, vero? »
Cercò
di
tendere ancora di più il braccio e il dito, già
piuttosto tesi. E cercò di
spalancare ancora di più le palpebre, come se volesse che
Hermione notasse la
devastazione nei suoi occhi, mentre ripeteva:
« Visto? »
E non era
davvero possibile che non vedesse.
Per
l’ennesima volta, Hermione tentò di aprire la
bocca, ma non riuscì a dire
nulla. Doveva vederlo anche lei che razza di idiota si era scelta!
Doveva
vedere come aveva messo in imbarazzo anche lui, esponendolo alla
derisione di
tutti quelli che in eterno gli avrebbe rinfacciato che qualcuno aveva
preferito
Pucey Davis a lui! Era una questione d’orgoglio, maledizione!
E a quel
punto, nemmeno lei non poteva davvero ignorare il suo monumentale
errore e
chiedergli come una gnorri quale diavolo fosse il suo problema!
Perché
ormai
era davvero troppo evidente quale
fosse!
«
Forse…
forse dovrei lasciarvi soli… » Buttò
lì Pucey, vedendo che la situazione, non
appena calava il silenzio, era tesa come una corda di violino.
« Ti aspetto in
Sala, ok, Hermione? Sai, la festa è appena iniziata, in
realtà… »
Infatti, il
suo problema era evidente…
Il suo
più
grande problema…
Le guance
di Hermione.
Quelle
guance rosse che risaltavano sulla pelle chiara. O i suoi capelli. Che
dire dei
suoi capelli? Di quelle ciocche scomposte che sfuggivano dalle forcine.
E che
dire degli occhi? Così scintillanti quando
l’avevano salutato. E non poteva
dimenticare il vestito. Non avrebbe mai
potuto dimenticare quel vestito che le calzava troppo bene ed era
troppo blu
per non ricordargli che l’aveva messo per qualcun altro.
Ecco i suoi
più grandi problemi.
Sin dal
primo momento che l’aveva vista, dal fondo della sala, si era
dimenticato
l’orgoglio e la derisione degli altri: si era solo reso
conto, anche lui come
lei, che Hermione sarebbe cresciuta. Sarebbe diventata una pallida imitazione di donna, ma pur sempre una donna. E forse qualcuno sarebbe stato così pazzo da invitarla a uscire. E, come stava accadendo
anche in
quel momento, l’aveva assalito la sensazione contorcente,
avvilente e
insopportabile che lei potesse essere felice di fargli un po' di posto accanto a sé.
Potesse essere felice di far occupare a qualcun altro il posto più vicino a lei per sentirla
straparlare, per farle
gli sgambetti, per tirarle palline di carta per essere notato.
E quello
era intollerabile per un milione almeno di motivi.
Tutti
superflui e tutti capitali nello stesso tempo, su cui nemmeno voleva
discutere
con se stesso.
L'unica
cosa importante su cui riflettere era che sarebbe stato Draco il
Misericordioso
soltanto dopo.
In quel momento,
voleva solo spaccare qualcosa e spiegare a Pucey Davis di di levarsi immediatamente da quel posto, perché
se non
si fosse levato, avrebbe spaccato lui.
«
Avresti dovuto sin dall’inizio non intrometterti »
Disse quindi, con un astio e
una cattiveria tali da zittire la risposta di Hermione sulle sue stesse
labbra,
e indurre sia Hermione che il suo cavaliere per la serata a guardarlo
basiti. «
Solo perché ti ha detto che viene con te alla festa ti sei
montato la testa »
Continuò, velenoso e sapendo di esserlo. Che lo capisse. E
lo capisse bene quell’idiota
che cosa era stato: « Ma adesso che ci sono io non servi più. Per cui sciò, vattene! »
Che capisse
che lui, Draco Malfoy, non l’avrebbe mai invitata ad un
ballo. Avrebbe forse accondisceso ancora ad accompagnarla - ma questa volta avrebbe preteso che firmasse un contratto scritto in cui si impegnava a farlo - ma l'avrebbe fatto per bontà e per divertirsi alle sue spalle. In ogni caso non l'avrebbe mai invitata, ma poteva star certo che non avrebbe lasciato che qualche altro imbecille lo facesse.
Che Davis capisse
di essere il terzo incomodo lì.
E non gli
importava nemmeno molto come era capitato: se Blaise gli aveva detto
una
cavolata, se Hermione non aveva capito niente, o chissà
cos’altro. Non stavano
parlando di quello: per quello, semplicemente, Hermione
l’avrebbe pagata cara
per poter espiare tutte le sue colpe.
Ciò che era importante far capire, ciò di cui stava parlando, era che Pucey Davis era l'ultimo intruso che avrebbe tollerato. Perchè quel posto non era in vendita, e, per quel che gli riguardava, nemmeno Hermione poteva decidere di farlo occupare da qualcun altro. Non senza sapere che sarebbe stato immediatamente schiantato. E, a buona posa, che anche lei si sarebbe presa la sua dose di incantesimi. Ecchediamine!
E quei
pensieri erano così veri e imperativi, nella sua testa, che
la sua espressione
era divenuta limpida e altera. Era così certo di quello che
aveva detto che il
suo tono di voce era calmo e fiero. Era così sicuro di
sé che il suo mento era
sparato in alto, con tutto l’orgoglio e la vanità
possibili stampati sul viso.
Si voltò
verso Hermione.
La certezza
assoluta che lei, a quel punto, l’avrebbe adoratocome un dio.
Se vi state
chiedendo se Draco Malfoy aveva mai sentito parlare di emancipazione
femminile,
di lotta contro l’oggettivazione delle donne, di
rivendicazione del diritto
sacrosanto di scegliere se accettare o meno le avance di un uomo. Se
insomma vi
state chiedendo se Draco Malfoy sapeva che il patronus di Hermione era
il
simbolo per eccellenza di “potere femminile” e quei
pensieri non erano altro
che la letterale espressione del giogo paternalistico del maschilismo.
E se
infine vi state chiedendo se Draco Malfoy si era accorto che in tutto
quel
discorso Hermione ne usciva come una specie di donna scarlatta, frivola
e
sciocca che pur di avere un partner per una festa accettava di andarci
con
chiunque… vi posso dire che effettivamente no, Draco Malfoy
era del tutto
ignaro a questi fatti.
Per questo
fu piuttosto scioccato quando si voltò verso di lei e la
trovò con due pezzi di
marmo al posto delle mascelle. L’espressione glaciale. E gli
occhi penetranti
che gli promettevano qualcosa di molto doloroso, lento e sanguinolento.
Avrebbe
potuto essere la morte, ma se non poteva mettere la mano sul fuoco che
fosse la
cosa peggiore augurabile a qualcuno, non poteva essere certo che si
trattasse
proprio di quello.
« Accio
Bacchetta » scandì Hermione,
netta.
Fu strano
rendersi conto che il riflesso condizionato di brandire la propria
bacchetta
per difendersi non si attivò. Ma fu ancora più
strano vedere che Hermione gli
diede semplicemente le spalle.
La calma prima della tempesta.
Questo era l’avvertimento
della sua saggia voce interiore.
Voce che
lui subito zittì, sprezzante.
« Vieni
via » Disse Hermione a Pucey, afferrandolo per un braccio e
così riscuotendolo
dal torpore che l’aveva colto. Poi, sempre senza voltarsi,
aggiunse serafica
rivolta a Draco: « Ti consiglio di non seguirmi. »
« Altrimenti? »
La
provocò lui, altero. Pronto a ribattere ad ogni insulto con
uno
peggiore.
Che capisse bene anche
lei che se voleva perseverare nella sua demenza,
gliel’avrebbe fatta pagare
molto cara. Che se prendeva le parti del Paladino dei Tassorosso
avrebbe
iniziato con lei una lotta senza quartiere che l’avrebbe
indotta alla resa. Che
se era così sciocca da non inchinarsi immediatamente al suo
regale cospetto la
sua ira sarebbe stata così grande che avrebbe scatenato
tuoni e fulmini contro
di lei. Che l’aver messo quel vestito blu per Pucey Davis e
non per lui, non
sarebbe mai e poi mai stato dimenticato.
Che capisse bene anche
lei che non avrebbe ricavato altro che pane per la sua focaccia.
Con questo umore e
questo proposito Draco Malfoy attese la furia di Hermione Jane Granger.
Lei però non disse una
parola.
Si voltò soltanto verso
di lui, e una lingua di fuoco le uscì dagli occhi,
carbonizzando ogni cosa.
E addio al pane, alla
focaccia, e alla sua faccia.
***
*** ***
E
insomma, eccoci qua.
Di
nuovo in guerra. Ma una guerra diversa, non vi pare?
Ne
deve passare ancora un po' di acqua sotto i ponti perchè
quei mille motivi superflui e capitali vengano rivelati a Draco dalla
sua voce interiore. Ma c'è speranza.
Se
le daranno di santa ragione, ma posso assicurarvi che anche questo
servirà ad avvicinarli ancora di più.
Ps:
potrei aver fatto qualche sbaglio con le date. In realtà le
metto ancora perchè non voglio cambiare stile narrativo, ma
vedetele più che altro come una traccia superflua.
Pss:
mi sono resa conto che è passato un messaggio sbagliato, e ho modificato delle frasi sul finale: non vorrei mai che si pensasse che adesso Draco pensa di sposare Hermione. Lui pensa semplicemente a fare piazza pulita di quelli che le si avvicinano, ma è ancora nella fase in cui la maggior parte degli insulti che le fa in fondo un po' li pensa. Mi sembrava d'obbligo specificarlo.