The Draco and Hermione's Opera

di silverwings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La nemesi naturale [parte prima] ***
Capitolo 3: *** La nemesi naturale [parte seconda] ***
Capitolo 4: *** Unica ***
Capitolo 5: *** Un dolore vissuto con amore ***
Capitolo 6: *** Il Quidditch, che passione! ***
Capitolo 7: *** Quello che tu vuoi darmi ***
Capitolo 8: *** Unicorni, scimpanzé e piovre giganti ***
Capitolo 9: *** Tra il prima e il poi [Parte Prima] ***
Capitolo 10: *** Tra il prima e il poi [Parte Seconda] ***
Capitolo 11: *** Strappi ***
Capitolo 12: *** Oltre il vero ***
Capitolo 13: *** Il massacro di San Valentino ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti

Salve a tutti!

Vi starete chiedendo cosa diavolo stia facendo, vero?
Beh, avete ragione: io stessa non mi sento in condizione di portare avanti due storie contemporaneamente, sebbene questa sia esattamente la situazione.

La questione è che volevo assolutamente pubblicare l’inizio di questa storia prima dell’uscita del sesto libro di Harry Potter, perché sono il tipo che riscriverebbe tutto quanto se solo venissero fuori nuovi particolari e con tutta la fatica che ho fatto per ideare un filone che mi suonasse convincente per il pairing Draco/Hermione… beh, mi suonerebbe terribilmente mortificante rifarlo tutto da capo.
Ok, detto questo non penso che ci sia molto altro da dire, no?

A parte ribadire i diritti d’autore di J.K. Rowling e precisare che – come sicuramente tutti voi avrete capito – questo è il mio tributo per la mia coppia preferita in assoluto, perciò è meglio disilludere immediatamente gli appassionati di Harry/Hermione e Ron/Hermione, perché questa è una Draco/Hermione.
Ah! E poi volevo dire che dedico questa storia a Laura: ti voglio tanto tanto bene, marò! (E tu sai che vuol dire^^)

E con questo, buona lettura.

By Silverwings

The Draco and Hermione’s Opera

1° capitolo.

Prologo

*** *** ***

We were strangers
Starting out on a journey
Never dreaming
What we'd have to go through
Now here we are
And I'm suddenly standing
At the beginning with you

Eravamo sconosciuti
che cominciavano un viaggio
che non sognavano mai
che cosa avrebbero vissuto
Ora noi siamo qui
E io sto improvvisamente
all'inizio con te

(At the beginning - Richard Marx and Donna Lewis)

*** *** ***

9 Novembre. Pomeriggio. Ore 17.07

Hogwarts. Campo di Quidditch.

« Draco! Draco, il professor Piton ti sta cercando! »

Una voce corpulenta e pastosa che gli giungeva da lontano. Un richiamo fastidioso e monotono che lo assillava continuamente. Una figura grottesca e ingombrante che si avvicinava a grandi passi, facendo tremare il terreno su cui era disteso. Socchiuse gli occhi, cercando di sgombrare la mente.

Se lo faceva, poteva fingere che non stesse arrivando, che non lo stesse cercando.

« Draco! »

Una faccia tonda e pasciuta lo sovrastò. I raggi rassicuranti del sole smisero di accarezzargli il pallido viso e una smorfia di stizza increspò la sua espressione. Ma non volle ancora aprire gli occhi: voleva che l’illusione continuasse, che l’effimera quiete che sembrava regnare nella sua vita in quell’istante durasse ancora per un po’. O almeno avrebbe voluto, ma la voce ripeté il suo richiamo e il mento paffuto di colui che aveva parlato vibrò per un paio di istanti. Tra le ciglia semichiuse ne notò il profilo tremolante.

« Draco, il professor Piton ti… »

« Ho capito, Goyle! » Lo interruppe spalancando le palpebre e fissandolo con un’espressione scocciata. « Non sono sordo. »

« Oh… » Rise stupidamente l’altro. « … certo! »

Che seccatura…

Si sollevò dal prato del campo di Quidditch e si diede un paio di pacche sui pantaloni per togliersi i fili d’erba che vi erano rimasti attaccati. Si risistemò il mantello sulle spalle e si passò una mano tra gli slavati capelli biondi. Erano cresciuti un po’ troppo nell’ultimo periodo: gli ricadevano sugli occhi e ci mancava davvero poco perché glieli coprissero.

Fissò per un attimo il ragazzo che aveva di fianco, contrariato, e si chiese che fine avesse fatto Tiger: abitualmente la loro vita si consumava in simbiosi. Era estremamente inusuale scorgere l’uno senza l’altro. Poi ricordò che il ragazzo aveva fatto indigestione di dolci ed era ancora costretto a letto da lancinanti dolori di stomaco, per non dire da improvvisi attacchi di diarrea. Se Goyle non aveva fatto la stessa fine lo doveva solo alla professoressa McGranitt. Questa non aveva gradito il boccale di burro birra che le aveva rovesciato addosso per sbaglio, nel corridoio, e a quanto ne sapeva, proprio per questo disdicevole incidente, la strega l’aveva affidato alla severa tutela di Gazza, che gli aveva proibito di mangiare dolci.

Una vera fortuna per il suo intestino.

« Piton ha detto che deve parlarti. » Dichiarò il compagno con gli occhietti piccoli e sciocchi che gli sorridevano con semplicità.

« Ah sì? » Replicò sarcasticamente. « Pensavo volesse offrirmi una tazza di te… »

Il compagno rise ancora, stupidamente, e lui subito si spazientì: perché doveva sempre avere a che fare con idioti e imbecilli! Affrettò il passo, nel tentativo di seminarlo con facilità. Tuttavia anche Goyle accelerò. Ma fu uno sforzo immane per il suo ingombrante e flaccido fisico, e dopo pochissimi attimi lo udì distintamente ansare. Probabilmente o avrebbe rinunciato a stargli dietro, o il suo cuore gli avrebbe tirato un brutto scherzo fermandosi di colpo.

Per parte sua Draco fece finta di niente: se aveva accelerato l’aveva fatto esattamente per disfarsi della sua fastidiosa presenza. Senza contare che un bell’infarto avrebbe messo Goyle fuori gioco per diversi giorni. Cosa per niente spiacevole.

Tuttavia, a dispetto di quanto piacevole potesse apparirgli quel pensiero e di quanto strenuamente si fosse impegnato per lasciare indietro l’ingombrante guardia del corpo, quando entrò nel perimetro del cortile interno di Hogwarts Goyle era ancora al suo seguito. Solo qualche metro più indietro rispetto a prima e con il viso gonfio e rosso dallo sforzo.

Si arrese sospirando. E per chi l’avesse visto, in quel momento sembrava la noia fatta persona.

Completamente immerso nei propri pensieri non si accorse che un gruppo di ragazzi si avvicinava dalla direzione verso cui si stava incamminando e inavvertitamente si scontrò con uno di essi. Alzò il viso per vedere chi fosse. Notò con profondo disgusto che davanti a sé stava quell’emerita nullità di Neville Paciock. Grifondoro dal primo all’ultimo grammo. Fornito di abbastanza grammi da infiammarlo in un istante.

Non che il fatto che fosse Grifondoro fosse il motivo principale della sua stizza. Di certo, comunque, era uno dei maggiori.

« Guarda dove vai, idiota! » Sbottò secco, scoccandogli uno sguardo indignato e screziato di disprezzo.

« M-mi dispiace… » Si scusò Neville piano, arretrando di un paio di passi.

« Non devi scusarti, Neville! » Si intromise Seamus Finnegan, fiancheggiando il compagno e fissando il Serpeverde con un’aria di sfida « E’ stato lui a venirti addosso: è lui che si dovrebbe scusare con te! »

« Io dovrei… cosa? » Sibilò freddamente Draco, scoccandogli uno sguardo di superiorità.

« Hai capito benissimo, Malfoy. » Replicò Dean Thomas, sbucato dal nulla per sostenere stoicamente i due amici. « Chiedi scusa a Neville! »

« Sogna, Thomas. » Grugnì con arroganza Draco, mentre Goyle gli si accostava con i piccoli occhietti maligni ridotti a due sottili fessure.

« N-non importa ragazzi… » Balbettò Neville tirando febbrilmente una delle maniche della divisa di Seamus. « Lasciate stare… »

« Stai scherzando?! » Ringhiò Seamus tra i denti. « Non può sempre passarla liscia: deve chiederti scusa! »

« Vi conviene dare ascolto a Paciock. » Suggerì Draco con voce molle e malevola. « Anche se ha i genitori suonati certe volte dice cose quasi sensate. »

Vide pericolosamente vacillare il corpo massiccio di Neville.

Temette, quasi, che da un momento all’altro si sarebbe schiantato al suolo. Il che naturalmente non costituiva un problema per lui: se voleva spaccarsi quel muso lentigginoso che si ritrovava poteva farlo con tranquillità. Non l’avrebbe certo fermato. Ma preferiva che lo facesse a qualche metro di distanza da lui: questioni di sicurezza.

Ad ogni modo Neville non crollò. Si limitò semplicemente a fissarlo con gli occhi turbati e umiliati. Allibito, forse. La bocca sottile si incrinò in una smorfia sfacciata.

Il bello è che dicono che l’ipersensibilità è femmina.

« Cosa sta succedendo qui? »

Si girarono alla loro destra, richiamati dalla voce autorevole che aveva parlato. Scoprirono Severus Piton che li sovrastava minacciosamente, con lo sguardo fosco che li fissava biecamente.

Tirò un sospiro di sollievo nel vederlo. Se fosse sopraggiunto un altro professore probabilmente le cose non sarebbero andate tanto bene per lui.

« Malfoy ha insultato i genitori di Neville! » Lo accusò Dean digrignando i denti e puntandogli il dito contro il petto.

Fu sicuro di vedere un lampo di disapprovazione saettare nella sua direzione dagli occhi di Piton e ne fu per un attimo sorpreso: quell’uomo era sempre stato dalla sua parte. E di cazzate lui ne aveva fatte. Anche più di quante uno studente della sua età potesse mediamente permettersi. Il più delle volte, addirittura, era stato proprio l’appoggio di Piton a coprirlo. Per questo quel suo biasimevole disappunto non riusciva proprio a spiegarselo.

« Sono certo che il Signor Malfoy non aveva queste intenzioni. » Dichiarò ad un tratto l’uomo appena sopraggiunto, sminuendo volutamente la cosa.

Evidentemente, che fosse o non fosse dalla sua parte, Piton non sarebbe comunque mai stato dalla parte di un Grifondoro.

« Aveva eccome queste intenzioni! » Tuonò Seamus sbarrando gli occhi scandalizzato.

« Abbassi quel tono, Signor Finnigan! » Lo zittì inflessibile Piton. « Se persisterà ad utilizzarlo in mia presenza sarò costretto a togliere punti alla sua casa. »

« Non ha intenzione di punirlo? » Ringhiò Dean fuori di sé.

« 10 punti in meno a Grifondoro… » Sentenziò il professore senza cambiare espressione.

« E’ assurdo! » Sbottò Seamus picchiando un piede in terra.

« 20 punti in meno… » Proseguì perentorio Piton.

« Lei non può farlo! » Urlò senza ritegno Dean, attirando sulla scena l’attenzione di molti studenti che passavano occasionalmente in quel corridoio.

« 30 punti in meno, Signor Thomas… » Soggiunse tranquillamente il professore. « Avete altre obiezioni da rivolgermi? »

« Sì! » Vociò Seamus, incapace di trattenersi oltre. « Lei è un… »

Ma nessuno seppe mai cosa fosse Piton, perché fortunatamente Neville gli tappò la bocca in tempo, parlando al suo posto:

« No, non abbiamo altre obiezioni. »

« Saggia decisione, Signor Paciock. » Disse il professore scrutando Seamus con occhi taglienti.

Neville accennò un debole gesto di assenso col capo e senza aspettare che i due amici potessero complicare ulteriormente le cose li afferrò per le spalle e li trascinò via. Piton li osservò allontanarsi con uno sguardo indecifrabile, e solo dopo che furono scomparsi dalla sua vista e che con un occhiata spaventosa ebbe fatto desistere i curiosi ad attardarsi per quella via, si volse verso Draco.

« Credo che io e lei abbiamo molte cose da dirci. » Affermò scrutandolo torvamente. « Sarebbe così gentile da seguirmi nel mio studio? » Indugiò un attimo su Goyle, che gongolava lì vicino, e aggiunse: « Solo, se non le dispiace. »

« … Certo. » Rispose Draco inespressivo.

E detto questo lasciò indietro il compagno e andò dietro al professore.

Giunsero nello studio di Piton dopo pochi minuti.

Era uno stanzino piccolo e maleodorante, ma a lui era sempre parso confortevole, in qualche modo. Gli piaceva, in poche parole. Come gli era sempre piaciuto Piton: la sua figura era talmente lugubre e grottesca da incupire l’atmosfera circostante e questo era decisamente in linea con lo stile che contraddistingueva anche lui, almeno per quanto riguardava l’intensità dell’effetto che provocava negli altri la sua presenza. Eppure quella volta il sinistro silenzio che era sceso non appena vi avevano messo piede aveva reso quello studio un luogo che gli incuteva soggezione.

Si sentiva a disagio ed era una sensazione che non gli piaceva affatto.

« Siedi pure, Draco. » Lo sollecitò il professore dopo aver preso posto dietro la sua scrivania di legno di pino.

L’aveva chiamato per nome: brutto segno.

Prese posto sulla sedia indicatagli dalla mano del professore e attese che questi parlasse. Ma sembrava che Piton non ne avesse alcuna intenzione. Si limitava ad armeggiare con un ampolla piena di uno strano liquido giallognolo, fissandolo con uno sguardo indecifrabile. Gli occhi scuri puntati sui suoi.

« E’ vero che hai insultato i genitori di Paciock? » Chiese infine a bruciapelo, deponendo la boccetta.

« Sì. » Rispose evasivo, inarcando un sopracciglio con diffidenza. Voleva fargli la paternale?

« Non voglio farti la paternale, Draco. » Lo tranquillizzò subito l’uomo, decifrando la sua espressione con successo. Tirò un lungo sospiro e continuò: « Non so come tu faccia a sapere dei suoi genitori, anche se immagino, ma le cose non cambiano: qui, a scuola, nessuno né è al corrente tranne le persone che Neville ha deciso di informare. Gli altri devono rimanerne all’oscuro, altrimenti Silente prenderà seri provvedimenti. Gli sta molto a cuore questa faccenda. Quindi, Draco, il mio consiglio è uno solo: non tirare più in ballo questo argomento. »

« L’avevo capito anche da me. » Replicò scocciato il ragazzo. Forse avrebbe preferito una bella paternale sul senso di responsabilità! E poi non era mica colpa sua se Paciock aveva la sensibilità di una suora di clausura. « Non ci ho pensato, tutto qui. Ad ogni non mi sembra una tragedia. »

« No… » Ribatté caustico Piton, scrutando con fastidio l’espressione sfacciata di Draco. « … immagino che non lo sia. »

« Erano solo queste le cose che aveva da dirmi? » Soggiunse seccato il ragazzo per colmare il silenzio venutosi a creare e per riportare la conversazione su toni meno accesi.

« No. » Affermò Piton sostenuto, ritornando a dargli del “lei”. « Il motivo originario per cui l’ho fatta chiamare è che i suoi primi voti di pozioni sono paragonabili ad una T nella scala delle valutazioni per i M.A.G.O. »

Forse si era sbagliato: i toni della conversazione si stavano decisamente infiammando.

« Ora… » Proseguì il professore con durezza. « Il settimo è un anno difficile. Se non riesce a mettersi in pari e a recuperare le insufficienze potrebbe venir bocciato in pozioni. »

B-bocciato?!

Possibile che avesse voti tanto irrecuperabili?

Forse sì. Non aveva dato molto peso alla sua carriera scolastica quell’anno. Inoltre Piton non era il tipo da allarmarlo per niente. Se diceva che rischiava la bocciatura così certamente era e, per dirla tutta, l’idea lo annientava.

« Ma… » Aggiunse subito Piton mentre un lampo di orgoglio gli attraversava lo sguardo truce. « … come ho già ripetuto più volte la ritengo un ragazzo intelligente e sono sicuro che si rimetterà in carreggiata stupendomi con le sue doti. »

« Mi impegnerò a dovere. » Promise Draco con un moto di gratitudine verso tanto indulgenza. « Può starne certo! »

« Ne sono già più che convinto. » Replicò fermamente il professore. « Ma per tutelare un tale investimento ho deciso di assegnarle un aiuto per lo studio. »

Esitò un attimo, stranito e istintivamente contrariato, prima di replicare:

« … perché? » Non gli piaceva quella proposta che suonava tanto come una decisione irreversibile. Significava dipendere completamente dai ritmi di un’altra persona. Una persona che poteva pericolosamente essere Pensy Parkinson: non se la cavava male in Pozioni. Rabbrividì a quel pensiero. Era già abbastanza faticoso scollarsela di dosso senza che qualcuno le assegnasse una ragione per farlo. Si affrettò a precisare: « Posso riuscire a ottenere da solo risultati decenti nei prossimi compiti. »

« Dice? » Domandò Piton con crudo scetticismo. Estrasse da uno dei cassetti della propria scrivania un pacco di fogli rilegati, che si lasciò rumorosamente cadere davanti. Cominciò a sfogliarli. « Significa che intende riuscirci pur sapendo che i prossimi argomenti si basano esclusivamente sulle ultime pozioni fatte l’anno scorso? »

Cercò immediatamente di fare mente locale su quali fossero: se fosse riuscito a ricordarsi un solo nome di quelle pozioni sarebbe già stato un gran bel passo in avanti.

« Ehm… sì. » Affermò comunque Draco cercando di darsi un tono e di apparire il più convincente possibile. « Non vedo perché non dovrei. »

« Se vuole glielo spiego io perché non dovrebbe. » Lo raggelò Piton caustico, continuando a sfogliare meccanicamente i fogli che aveva tra le mani. « Pozione restringente le dice niente? » Perse una tonalità di colore dal viso. « E infuso contro le pustole da Pus di Bubotubero? » Un’altra tonalità se ne partì per la tangente. « E del Veritaserum, Signor Malfoy? » Continuò Piton imperterrito. « Del Veritaserum se ne rammenta? » Il viso divenne infine latteo. Ma un latteo rancido, perché evidenti venature verdastre si notavano proprio sotto gli occhi.

Si ricordava di tutte quelle pozioni, ora che gliele nominava, ma semplicemente perchè non le aveva mai fatte! Si era saltato i compiti ed era riuscito a strappare la concessione a Piton di non farglieli recuperare con non ricordava quale stratagemma.

« Deve sapere che, essendo quegli argomenti estremamente importanti, ho deciso di riproporli anche quest’anno. Anche considerato che solo in due o tre persone in tutta la scuola erano riusciti a svolgerle correttamente… e purtroppo temo che questa volta non potrò chiudere un occhio. Neanche per lei. »

Merda.

Era nello sterco di Troll fino al collo.

« Pensa ancora di riuscire a prendere la sufficienza da solo? » Domandò asciutto Piton, inarcando entrambe le sopracciglia.

Non disse niente: era un po’ troppo umiliante come domanda. E la risposta sarebbe stata troppo compromettente. Ad ogni modo decise di degnarlo di un leggero movimento negativo del capo. E Piton era una persona con un certo amor proprio, cosa che gli permise di accettare quel gesto come simbolo di massima reverenza nei suoi confronti.

« Bene. » Esclamò quindi il professore. « In tal caso immagino che adesso dovrà semplicemente concordare un orario di ritrovo con la Signorina Granger. »”

Quel cognome gli rimbombò nella sua testa almeno una decina di volte prima di riuscire a realizzarlo.

« G-Granger? » Balbettò ancora stordito. « Hermione Granger? »

« Esattamente. » Rispose Piton ormai svogliatamente.

« Ma… ma… perché proprio Hermione Granger? » Domandò Draco scandalizzato. Non era possibile! Non era semplicemente possibile! « Perché proprio… lei? Io… io mi oppongo! Voglio un Serpeverde! »

« Comprendo il motivo della sua indignazione, Signor Malfoy. » Replicò epigrafico il professore. « Ma deve capire che non è colpa mia se anche i pochi Serpeverde che hanno la sufficienza in Pozioni sono persone che non ritengo sufficientemente dotate da sostenere una responsabilità di tal fatta. »

« Allora un Corvonero! » Si ostinò il ragazzo, fermamente deciso a far valere le sue proteste. « O un Tassorosso! Oppure… »

« Signor Malfoy! » Lo interruppe il professore perentoriamente. « Non piace neanche a me l’idea di metterla nelle mani di una Grifondoro… » L'evidente disprezzo con cui marcò l’ultima parola rese perfettamente l’idea di quanto gli dispiacesse. « … tuttavia Hermione Granger è uno studente brillante e, purtroppo per lei, l’unico disponibile. »

« Ma… »

« Basta! » Lo zittì Piton con il tono di uno che considera chiusa la questione. « Non ho più tempo di ascoltare le sue contestazioni: sono pieno di lavoro! Quindi la pregherei di uscire dal mio ufficio. Buona Giornata, Signor Malfoy! »

E senza neanche rendersene conto Draco si ritrovò fuori dalla porta, impietrito.

Riuscì a muoversi solo dopo diversi minuti e in uno stato di profondo shock risalì lentamente la scalinata che aveva davanti. Non poteva ancora crederci! Lui, Draco Malfoy, avrebbe dovuto prendere lezioni da Hermione Granger! Non l’aveva neanche presa in considerazione come possibilità: era assurdo! Inammissibile!

C’era da chiedersi come entrambi avevano potuto lasciare che accadesse. Invece lui fu costretto a chiedersi dove avrebbe potuto trovarla: la parola di Piton era sempre e solo una sola e lui, suo malgrado, non poteva permettersi di perdere la sufficienza in pozioni. Scartò a priori l’ipotesi che fosse in Sala Grande e si rifiutò di pensare che fosse in quella topaia che i Grifondoro chiamavano “Sala Comune”. Liquidò anche l’idea che fosse andata da quell’imbecille di un Mezzogigante, il guardiacaccia. Senza ombra di dubbio c’era un solo luogo dove poteva trovarsi: la Biblioteca. Ci poteva scommettere tutti i galeoni di suo padre!

Salì i molti gradini di pietra che lo separavano dalla sala in questione. Aprì la porta e vi entrò. C’erano molti reparti e molti studenti del settimo anno, ma lui andò a colpo sicuro: quella ragazza era così abitudinaria che si sedeva alla solita panca muffita tutti i giorni.

Infatti, eccola lì! Sommersa da una montagna invalicabile di libri e manuali delle più assurde materie. China su un foglio di pergamena che stava riempiendo di una fitta miriade di parole incomprensibili. Con i voluminosi capelli crespi illuminati dalle ultime luci del giorno. Lo sguardo assorto. La fronte corrugata dalla concentrazione.

Era senza ombra di dubbio Hermione Granger.

« Mettiamo subito in chiaro che io non prenderò mai ordini da te. » Esordì bruscamente mentre le si avvicinava.

Hermione alzò gli occhi dalla pergamena solamente per rivolgergli uno sguardo disinteressato, dopodiché riprese a scrivere e. come se lui non avesse detto nulla, domandò:

« Quando hai intenzione di iniziare a studiare pozioni con me? »

« Quando ne avrò voglia! » Le rinfacciò acido. La sua noncuranza gli faceva saltare i nervi come solo poche altre cose ancora: era come se si prendesse gioco di lui!

E odiava che qualcuno si prendesse gioco di lui.

« E quando ne avrai voglia? » Fece calma la ragazza, intingendo nel calamaio la punta della propria piuma.

« Non lo so. » Rispose spiccio Draco. « Comunque smetti di fare quello che stai facendo: mi da fastidio. »

« Smetterò quando avrò finito. » Replicò brevemente Hermione.

Come diavolo si permette?

Quella non era giornata. E lei era così insopportabile! Si stravaccò pesantemente sulla panca opposta a quella di lei. Scansò scocciato i libri che gli impedivano di guardarla negli occhi e picchiando una mano sul tavolo affermò:

« Non ho intenzione di stare qui ad aspettare i tuoi comodi, Mezzosangue! »

Hermione decise di non rispondere, soprassedendo sull’epiteto rivoltole. Si limitò a sospirare malcelando la noia, ignorando la sua persuasiva asserzione.

Non poteva sopportarlo! Il suo era un atteggiamento imperdonabile!

« Cos’è? Hai perso la lingua, Granger? » Inveì soffiando tra i denti con fastidio. « O forse non hai sentito? In questo caso te lo ripeto: smetti immediatamente di fare quello che stai facendo. »

« Modera i termini, Malfoy. » Ribatté leggermente più acida lei, istigata dal tono prepotente con cui il ragazzo aveva parlato.

« Altrimenti? » La provocò Draco con un’aria strafottente.

« Senti… » Sospirò Hermione stancamente. « … puoi dire quello che vuoi. Tanto per me non fa nessuna differenza: non ho intenzione di interrompermi per dar retta a un idiota come te. »

« Non darmi dell’idiota! » Ruggì Draco con astio.

« E tu evita di indurmi a farlo. » Gli rinfacciò di rimando la ragazza, senza però perdere il controllo e lasciare che la voce si sollevasse anche solo di una nota.

La fissò indignato per qualche attimo, con la bocca semi-aperta e gli occhi ridotti a sottili fessure. Avrebbe ucciso quella ragazzina con le proprie mani, un giorno! Le avrebbe fatto rimangiare tutta quell’arroganza! Doveva convincersene per reprimere il desiderio di estrarre la bacchetta e ridurla a brandelli!

Per contro Hermione lo spiazzò, chiedendogli a brucia pelo di tutt’altro argomento:

« Hai insultato i genitori di Neville? »

« Non avevi detto che non mi avresti dato retta?! » La apostrofò aspramente Draco, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglia seccato.

« Infatti non ti sto dando retta. » Puntualizzò Hermione prontamente. « Ti sto solo facendo una domanda. »

« A cui non intendo rispondere! » Grugnì astiosamente il ragazzo, rivolgendole uno sguardo infuocato. Adesso si metteva pure a fare la pignola!

« Va bene. » Concordò tranquillamente lei, ritornando a scrivere. « Fa’ come vuoi! »

Calò uno scomodo silenzio.

Era fastidioso. Molto fastidioso. Tremendamente fastidioso. Tanto che Draco fu disposto a smuoversi dalla sua posizione nel giro di pochissimi attimi pur di spezzarlo, e domandò stizzito:

« E’ andato a dirlo in giro a Paciock? » Se fosse stato così, infondo, voleva dire che non ci era rimasto poi così male per quello che aveva detto.

« No, me lo ha detto Dean un paio di minuti prima che tu arrivassi. » Fece Hermione senza infierire sulla disdicevole mancanza di fermezza da lui dimostrata, cercando invece nuovamente i suoi occhi e constatando imperturbabilmente: « Allora lo hai fatto. »

« Non sono affari tuoi. » Serrò la mascella Draco, infastidito e sdegnato.

« E invece erano tuoi? » Ribatté tagliente Hermione.

« Sì può sapere che diavolo vuoi?! »

« Niente. » Rispose piattamente lei. « Volevo solo sapere se era vero che avevi detto una cosa così stupida e offensiva, perché malgrado tutto non ti facevo capace di tanto. » L’espressione si fece più arcigna. « Sebbene tu non ti sia mai adoperato per far credere il contrario. »

Draco la incenerì con uno sguardo furente. Come si permetteva di incolparlo in quella maniera? Se anche era vero quello che aveva detto, lei comunque non doveva permettersi di rinfacciarglielo con quel tono accusatorio. Aveva insultato i genitori di Paciock, dannazione! Non aveva ammazzato nessuno!

« Dovresti cominciare a crescere, Malfoy. » Concluse dura Hermione, ignorando completamente l’occhiata incandescente che le aveva lanciato il ragazzo e che seguitò a rivolgerle dopo quell’ultima sua uscita.

Dovrei cominciare a fare cosa?! Ma brutta arrogante, spocchiosa e sputa-sentenze!

« E magari anche imparare a stare zitto ogni tanto. »

Che cosa?!

« Specie su cose che uno come te non potrebbe mai capire. »

Adesso basta!

« In fin dei conti non ti smentisci mai. »

« Questo è troppo! » Strillò Draco alzandosi dalla panca di scatto e lanciandole uno sguardo omicida. « Non intendo sopportare te e le tue stupide parole un minuto di più! »

Detto questo girò i tacchi e se ne andò.

Trattenne a stento tutte le isteriche imprecazione che avrebbe voluto pronunciare e riversò la sua rabbia nei suoi passi. Li calcò sul pavimento con una foga tale che poco ci mancò perché non vi lasciasse un'impronta.

Dannazione quant’era odiosa!

Adesso si permetteva anche dirgli che doveva fare?! Ma stavano scherzando?! E gli diceva pure che doveva tacere! Ma neanche per idea! Neanche per sogno! E quella sua ultima uscita che gli aveva dispensato, allora? Assolutamente inaccettabile! Avrebbe fatto meglio a starsene zitto per quella faccenda di Paciock. Non tanto perché gliene fregasse qualcosa di quella sottospecie di botte balbettante, quanto più perché sapeva che avrebbe avuto delle rogne esattamente per quella ragione. E, dannazione, le stava avendo!

Ma non le avrebbe tollerate pure da quella presuntuosa e sfacciata ragazzina Mezzosangue!

No, decisamente. Erano solamente fatti suoi!

E sarebbe stato bene che lei se ne fosse ricordata da lì in avanti!

*** *** ***

Sabato 9 Novembre. Ore 9.46.

Hogwarts. Dormitorio femminile dei Grifondoro. Camera di Hermione

Si svegliò tardi quella mattina.

Era domenica, avrebbe potuto permetterselo, ma aveva sempre avuto la sgradevole impressione che dormire le togliesse tempo per vivere. Senza contare che, se non proprio per vivere, sicuramente gliene toglieva per studiare. Il che era una prospettiva decisamente controproducente.

Ancora intontita scostò le rosse tendine del letto e vi scese. Dal comodino di quercia agguantò distrattamente una grande spazzola e se la passò tra i cespugliosi capelli castani. Fu atrocemente doloroso, ma infondo ci era abituata, e – suo padre glielo diceva sempre – l’abitudine rende sopportabili anche le cose dolorose.

A dire il vero, negli ultimi mesi aveva stentato a crederci.

A quel punto, però, le era necessario per andare avanti.

Scacciò quei pensieri dalla testa: aveva ben altri problemi a cui pensare, in quel momento. Primo tra tutti scegliere un abito decente da mettere. Nei giorni della settimana il dover indossare la divisa le risparmiava l’ardua e disdicevole decisione. Di domenica, invece, non poteva proprio sottrarsi a quel supplizio. Il rituale prevedeva che la sua prima mossa fosse aprire l’armadio, e già solo quello richiedeva una notevole presenza di spirito e fermezza morale: non riusciva nemmeno a raccapezzarsi nell’enorme matassa di vestiti che sua madre le aveva comprato.

La seconda mossa, invece, costituiva la scelta vera e propria del capo di abbigliamento, e, neanche a dirlo, i suoi gusti in quel campo erano decisamente pessimi. A riprova di ciò la camicia lillà e i pantaloni di lino verde bottiglia che si ritrovò addosso. Era davvero terrificante! Il paio di scarpe blu notte che si vide ai piedi, poi, davano un tocco ancora più spaventoso a quel concentrato di accostamenti sbagliati.

Sospirò stancamente: ogni domenica, la stessa storia.

Qualcuno bussò alla porta. Che fossero Lavanda e Calì che avevano già finito di fare colazione? I loro letti erano vuoti, già rifatti. Di solito non tornavano mai in camera prima di sera, ma potevano anche aver dimenticato qualcosa. La voce che udì, tuttavia, smentì le sue supposizioni:

« Hermione, sei sveglia? Sono Ginny! »

« Sì, sono sveglia. » Rispose subito. « Entra pure. »

La porta d’ingresso si socchiuse e una testolina rossa fece capolino nella stanza, salutandola allegramente.

« Buongiorno! »

« Buongiorno. » Ricambiò Hermione, rivolgendole un mezzo sorriso. La domenica non era mai un buon giorno per lei. La presenza di Ginny, del resto, sapeva renderlo quanto meno accettabile. « Come mai da queste parti? » Le chiese una volta che questa ebbe chiuso la porta dietro di sé.

« Beh, ho incontrato Calì e Lavanda, poco fa, e mi hanno detto che quando sono scese per fare colazione stavi ancora dormendo. » Spiegò Ginny gravitando con lo sguardo per la stanza. C’era un disordine indecente, ma la ragazza sembrò non badarci: la Tana, effettivamente, sapeva essere molto peggio. « Hanno detto che non volevano svegliarti perché non sapevano se ti saresti arrabbiata. Però mi sono ricordata che una volta mi hai detto che non ti piace dormire troppo, così sono venuta a svegliarti. » A quell’affermazione gli occhi blu cobalto della rossa si fermarono sui suoi, incerti e un po’ apprensivi. « Ho fatto male? »

« No. » La tranquillizzò Hermione allargando le labbra in un vero sorriso. « Hai fatto benissimo. »

Il viso di Ginny si illuminò e subito le propose:

« Ti va di andare a fare colazione? »

« Stavo per chiedertelo io. » Ammise lei. « Ho una fame che non hai idea! »

« Perfetto, allora andiamo! » Concluse la rossa ritornando verso la porta d’ingresso.

La aprì e vi uscì. Hermione prese la bacchetta dal cassetto più alto del comodino e poi la seguì. Una bella e sana colazione era quello che le ci voleva!

« Allora, come va con Dean? » Chiese a Ginny sulle scale che conducevano in Sala Grande.

« Meravigliosamente! » Esclamò la rossa con uno sguardo sognante. « Ha detto che la prossima gita a Hogsmean mi accompagnerà in giro per negozi a comprarmi qualsiasi vestito io scelga. Sai, per la festa del diploma... »

« Non è un po' presto per preoccuparsene? » Domandò perplessa Hermione. « Il diploma è tra sei mesi. »

« Assolutamente! » Saltò su la rossa, infervorata. « E’ meglio farle prima questo genere di cose. » Assunse un’espressione grave, e continuò: « Ho sentito che Jennifer Thomson, l’anno scorso, si è ridotta a Marzo a comprare il suo abito e non ha trovato niente che le andasse. »

« Niente che le andasse, o niente che le andasse bene? » Chiese Hermione con un’evidente nota di ilarità. « C’è una bella differenza, Ginny. »

« Non c’è alcuna differenza. » La contraddisse asciutta l’amica.

« Avrebbe potuto accontentarsi dei vestiti che c’erano. » Si ostinò lei. Certe volte le ragazze della sua età erano così volitive! Insomma, un vestito è solo un vestito, no? Con gli sbuffi o l’imbottitura, non era poi così importante. E se anche stava male, con la propria carnagione non c’era bisogno di cambiare vestito, o, ancor peggio, farsi un incantesimo per cambiare carnagione – cosa che sembrava essere molto di moda da un paio d’anni.

Insomma, lei la vedeva così.

Ginny tuttavia sembrava non essere per niente d’accordo, poiché severamente la riprese:

« Per andare al ballo del diploma non puoi accontentarti di un vestito qualunque. Deve starti bene. »

« Io proprio non ti capisco. » Confessò Hermione scuotendo il capo.

Aveva rinunciato da tempo a capire ragazze come Lavanda e Calì: troppo complicato. Sebbene avessero la sua stessa età e convivesse con loro da sei anni, sapeva ciò che avrebbe ottenuto non sarebbe valso neanche un decimo dello sforzo. Con Ginny invece aveva creduto che sarebbe stato diverso. Infondo era l’unica figlia femmina tra sei figli maschi e, per questo e per molto altro, in parte diverso lo era davvero. Ciononostante l'impresa restava comunque ardua.

« E’ perché non hai ancora un ragazzo. » Commentò con convinzione Ginny. « Quando ce l’avrai mi capirai. »

« Mi sa che non ti capirò tanto presto, allora… » Constatò con un tono divertito. Un ragazzo, questa si che era bella!

« Oh, Hermione, perché dici questo? » Le domandò apprensiva l’amica, mal interpretando il suo tono di voce. « Tu… tu sei molto carina, Hermione. Davvero! Molto, molto carina. »

Soppresse una mezza risata divertita. Lo fece perché Ginny avrebbe potuto scambiarla per un gesto di derisione. E così non era. Affatto. Era così cara! Così dolce nel suo benevolo tentativo di consolarla. Così premurosa nel mentirle. Era veramente un’amica preziosa.

Forse… l’unica amica preziosa.

Ciononostante non aveva ancora compreso le sue priorità. A dirla tutta, anzi, temeva che non sarebbe mai riuscita a comprenderle. Da quel punto di vista si poteva quasi dire che parlavano due lingue differenti.

« Cambiamo argomento, Ginny, è meglio. » Disse Hermione con gentilezza. Non c'era rischio di litigio, non con Ginny, ma non le piaceva l'idea di proseguire un discorso in cui non c'era dialogo.

« Ma perché? » Obiettò apprensivamente la rossa. « Infondo avere un ragazzo alla tua età sarebbe normale. Perché non vuoi neanche parlarne? »

« Perché ho ben altro a cui pensare. » Spiegò senza troppi giri di parole, mentre entravano nella Sala Grande, ormai semi vuota.

« Ma… »

« Ginny! » La interruppe Hermione con un pizzico di insofferenza nella voce, sedendosi a notevole distanza da qualsiasi altro studente. « Si tratta solo di trovarsi un ragazzo con cui sbaciucchiarsi per i corridoi. Mi sembra di poterne fare a meno ancora per un po’! »

L’amica, mentre la emulava, sedendosi di fronte a lei, corrugò la fronte, offesa, e puntualizzò:

« Io e Dean non ci limitiamo a sbaciucchiarci per i corridoi! »

Hermione colse la palla al balzo: era un'ottima occasione per sviare l'attenzione dell'amica dalla sua vita sentimentale. Inarcò un sopracciglio, cercando di imprimergli un'evidente nota di scetticismo, e con malizia le domandò:

« Intendi dire che non lo fate solo nei corridoi? »

Ginny divampò furiosamente e biascicò:

« N-no… »

« Allora forse intendevi che vi siete spinti oltre certi infantili preliminari? » Continuò beffarda Hermione. Per essere sicuri del risultato bisognava per forza rincarare la dose.

« Neanche! » Sbottò sempre più imbarazzata Ginny, sbarrando gli occhi di fronte alle allusioni dell’amica e, nel frattempo, addentando morbosamente un pezzo di pane.

« E allora cosa intendevi? » Insisté la bruna spiccia, mentre si versava nella scodella un po’ di latte.

« Oh, insomma, Hermione! » Strillò acutamente Ginny, sull’orlo di una crisi isterica. « Quando ti ci metti sei anche peggio di Ron! »

Il suo cuore mancò di un battito.

Quel nome…

Il suo nome.

« … Ti prego… scusami… » Gemette Ginny, le cui guance erano divenute di un colore livido e esangue e la cui voce rotta la riportò bruscamente alla realtà. « … Io, non avrei dovuto… scusami… »

Le parlava, e intanto si mordeva nervosamente il labbro inferiore e si passava una mano tra i lisci capelli purpurei. Continuava a scuotere il capo. Continuava a scusarsi sommessamente. Continuava a guardarla con sempre crescente preoccupazione.

« Non preoccuparti, Ginny. » La tranquillizzò dolcemente. « E’ tutto a posto. »

Riusciva a farlo molto in fretta da qualche settimana a quella parte. Riprendere il pieno controllo di sé, e magari dire quelle frasi che più che tranquillizzare gli altri tranquillizzavano se stessa. Le bastavano pochi attimi e poi tornava come prima di aver ricordato. Prima di aver pensato a loro. Pochi attimi e l’espressione smarrita, desolata, quasi persa nel vuoto che si impadroniva del suo volto svaniva immediatamente. Tre mesi prima le ci voleva molto di più. Forse anche un giorno intero. Ma lei era il tipo di persona che si abitua in fretta alle circostante. Il tipo di persona che vi si adegua.

O quanto meno che ci provava… anche se i risultati ottenuti in fin dei conti non erano poi così soddisfacenti.

« No, io… sul serio, scusami. » Persisté l’amica, seguitando a fissarla mortificata.

« Ti ho già detto che è tutto a posto. » Ribadì Hermione, abbozzando un sorriso forzato. Quelli le riuscivano ancora male, in effetti. Ad ogni modo dubitava che oltre il velo sottile di pianto che le copriva gli occhi Ginny potesse accorgersi del fatto che fosse una simulazione. « Non è possibile pretendere che non se ne parli. » Continuò sempre con l’intento di calmarla. « Tra poco, anzi, quando ci sarà l’inevitabile fuga di notizie, tutti non faranno che parlarne. »

« Eppure è così ingiusto che tu debba sopportare tutto questo. » Affermò Ginny sconfortata, ancora con un’espressione colpevole dipinta sul viso. « Silente dovrebbe fare di più! »

« Silente ha già fatto molto. » La contraddisse con decisione. « Più di quanto avrebbe dovuto. Gli sono già molto grata e non voglio che faccia altro. E poi non potrebbe fare niente, neanche se uno di noi volesse. »

« Lo so… » Squittì acutamente l’amica. « Ma tu soffri già così tanto per questa situazione. »

« Io sto bene, Ginny. »

Lo disse con convinzione. Ed era vero. Ci credeva: lei stava bene. Infondo starci male non sarebbe stato giusto né per se stessa, né per gli altri; a cominciare da Ginny, Seamus, Dean e Neville. Loro erano gli unici studenti che sapevano come stavano le cose realmente ed erano stati molto premurosi nei suoi riguardi. Si erano impegnati a farla sentire a suo agio, evitando di parlare dell’argomento. Anche se forse avrebbero voluto, non le avevano mai domandato nulla. Per questo, se anche alle volte poteva capitare che qualcuno di loro dicesse qualcosa che non avrebbe voluto sentire, non poteva starci ancora male.

Non sarebbe stato per niente corretto.

« Dico sul serio. » Ribadì notando che gli strozzati singhiozzi dell’amica non accennavano a diminuire e, anzi, si facevano sempre più frequenti. « Ormai sono passati dei mesi e sto decisamente meglio. Veramente, sto bene. » Non funzionava. Ginny stava per mettersi a piangere. Quando accadeva non sapeva mai come farla smettere. Doveva assolutamente riuscire a calmarla e, soprattutto, doveva riuscirci prima che accadesse l'irreparabile. « Guarda, neanche ci penso più tanto spesso. Anzi: non ci penso proprio più. L’ho completamente superata! »

« Se ti riferisci alla tua insania mentale io avrei i miei dubbi. »

Chiunque avesse parlato doveva essere o la persona più maleducata al mondo, o quella più sfacciata. Quando sollevò lo sguardo oltre la spalla di Ginny si rese conto che era sia l'una che l'altra. Infatti Draco Malfoy le sovrastava con in viso un'espressione svogliata e irritata allo stesso tempo.

Ginny, che si era girata su se stessa, lo fissò indispettita, ma anche sorpresa. Probabilmente per il fatto che era solo. Neanche uno dei suoi scagnozzi gli era al seguito. Né Pensy Parkinson gli pascolava accanto.

Era davvero molto insolito.

Hermione, invece, nel vederlo si irritò soltanto. Tutto d’un tratto le venne in mente la sua scenata del giorno prima. L’aveva zittita in malo modo e se n’era andato. Si era innervosita con quella sottospecie di essere umano al punto che si era dimenticata di puntare la sveglia. Per questo maledetto motivo si era svegliata tardi.

Le montò una stizza indescrivibile:

« Che diavolo vuoi? »

« Puoi anche evitarti quel tono, Granger. » Ribatté sfrontatamente il Serpeverde. « Ti assicuro che non sono in visita di piacere. »

« Taglia corto e arriva al punto, allora. » Lo esortò spiccia. « Prima dici quello che devi dire e prima te ne vai. »

« Pensavo esattamente la stessa cosa. » Confermò Draco scocciato, riprendendo subito dopo: « L’idea di dover studiare con te mi disgusta… »

« Anche a me. » Puntualizzò prontamente Hermione. Non voleva che ci fossero equivoci. Avrebbe preferito passare i pomeriggi e le serate con Gazza, Piton e persino quel vecchio rospo della Umbridge, piuttosto che con lui.

« Ma la sufficienza in pozioni mi serve. » Proseguì il ragazzo, ignorando il commento non richiesto di Hermione. « Quindi sono qui per dirti che Lunedì, Mercoledì e Venerdì ci troveremo per mettermi in pari con Pozioni. »

« Lunedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica. » Lo contraddisse subito lei.

« Non se ne parla! » Ribatté Draco alterandosi.

« E invece se ne parla eccome. » Ribadì imperturbabile lei. « Ho visto i tuoi voti: fanno schifo. Ringrazia che non ti chieda di studiare anche di Martedì e di Giovedì, quando la tua squadra ha gli allenamenti di Quidditch. »

« Ringrazia? » Soffiò tra i denti il Serpeverde, scoccandole un’occhiata infuocata. « Abbassa la cresta, Mezzosangue! »

« Come osi, Malfoy?! » Intervenne Ginny furibonda, spronata dall'arroganza inaccettabile del Serpeverde.

« Silenzio! » Dettò Draco fissandola sprezzante. « Nessuno ha chiesto il tuo parere, stracciona! »

« Nessuno ha chiesto neanche il tuo di parere, Malfoy. » Precisò impassibile Hermione. L'idea che lui l'avesse insultata non la toccava minimamente: aveva imparato a incassare qualsiasi sua offesa con noncuranza. Ma che quell’idiota si permettesse di ostentare la sua prepotenza anche su Ginny, beh, era davvero intollerabile! « Qui siamo io e la mia intelligenza quelle che dovrebbero lamentarsi del tempo che tu e la tua ignoranza ci fate perdere, perciò cerca di avere un po’ più di rispetto sia nei miei riguardi che in quelli dei miei amici. »

« Un giorno ti farò ingoiare tutta questa insolenza, Granger. » Sibilò Draco, serrando la mascella.

« R-i-s-p-e-t-t-o. » Sillabò Hermione caustica.

Vide Draco trattenersi a stento dall'esplodere. Le mani tremanti strette a pugno lungo i fianchi. Gli occhi ridotti a due sottili fessure. Le labbra serrate in una smorfia. Era uno spettacolo che rischiava di divertirla e questo significava che quella conversazione si stava tirando troppo per le lunghe. Decise di porvi immediatamente fine:

« Allora ti aspetto questo pomeriggio alle 17.30 davanti alla Sala Comune di Grifondoro. Buona Giornata, Malfoy. »

« Un momento! » Sbottò Draco impetuosamente. « Non voglio cominciare oggi! E poi… » Lo sguardo si inasprì, caricandosi di sdegno. « E poi sappi che io non ho nessuna intenzione di entrarci nella vostra squallida Sala Comune. Non con te, comunque. »

« E con chi vorresti andarci? » Asserì stancamente Hermione. Come se lei volesse portarlo con sé e farsi vedere con lui. O, addirittura, come se lei ci tenesse. Ne aveva proprio tanta di immaginazione, quello lì. Non c’era che dire! « Cerca di non fare il difficile, Malfoy, e accontentati. »

« Puoi anche scordartelo! » Le rinfacciò il ragazzo furibondo.

Eh no! Adesso, però, basta!

Si era proprio stancata di tutti quei suoi assurdi capricci. Per chi l’aveva presa? Per la sua balia, forse? Se era così si sbagliava. E di grosso. Il suo sguardo dardeggiò a quello del Serpeverde, lo fissò con gelida intransigenza per qualche istante, e infine tuonò:

« Io non mi muoverò dalla mia Sala Comune, stasera. Se non ti va di metterci piede… beh, tanto meglio per me! Arrangiati, Malfoy! Non sarò certo io a supplicarti di venire. Sappi, però… » Lo avvertì risoluta. « … che se decidessi di presentarti non sarò comunque disposta a tollerare alcuna replica in merito alle mie decisioni, e se mai dovesse capitarti di non riuscire a trattenere la lingua, sebbene io ora ti stia avvisando che sarà bene che tu lo faccia… beh, non ti pregherò certo di dimostrarti accondiscendente: non vuoi darmi ascolto? Perfetto: non farlo, io, come già ti ho detto, non faccio che guadagnarci. Questo è quanto. » Concluse con una praticità devastante. « Tu, perciò, comportati di conseguenza. »

Il Serpeverde ci rimase di sasso. Assolutamente di sasso. Aveva una faccia piuttosto buffa, a dire il vero. Da pesce lesso. Gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Esterrefatto come poche altre volte in vita sua. Di lì a poco, comunque, si sarebbe ripreso e avrebbe questionato ancora. Era facile da intuire: era Draco Malfoy. Sembrava che non si stancasse mai di irritarsi. Lei, invece, si era proprio stancata:

« Comunque, ora che non abbiamo nulla di dirci, puoi anche andartene. Anche perché io e Ginny dobbiamo ancora fare colazione e la tua presenza ci disturba. »

L’espressione del ragazzo mutò all’istante. Divenne dura come la roccia, truce: il sarcasmo doveva aver risvegliato il suo spirito combattivo. Ad ogni modo, come si era figurata nella prospettiva più rosea, Draco si limitò a trattenere per la seconda volta il fiume di insulti che avrebbe voluto vomitarle in faccia, e andarsene velocemente. Non mancò comunque di lanciarle la solita occhiata omicida.

A quel punto cominciava a pensare che ci fosse una sorta di rituale prestabilito per le loro discussioni.

« E' davvero un ragazzo odioso! » Scattò Ginny quando il Serpeverde se ne fu andato. « Io non riesco proprio a reggerlo! » Era proprio furibonda. « Dean mi ha detto che ha anche insultato i genitori di Neville! » Il delizioso viso tondeggiante cominciò a diventarle rossastro dalla rabbia: mancava poco che si confondesse con i lunghi capelli scarlatti. « Ci tratta come se non valessimo proprio niente! Io… io… lo detesto! »

« Lascia stare, Ginny. Non vale la pena prendersela per un tipo del genere. » Provò a calmarla Hermione, sbagliando decisamente tecnica.

« No che non lascio stare! » Saltò su la rossa, guardandola biecamente. « Anzi, mi vuoi spiegare perché cavolo dovresti dargli lezioni private? »

« Me l'ha chiesto Piton. » Rispose Hermione succinta. Le aveva chiesto di seguirlo nel suo ufficio e gliel’aveva proposto. Forse, più che proposto, gliel’aveva ordinato, ma tutto sommato non era stato troppo dispotico. Non era stato neanche educato, si intende, però ammetteva che aveva riscontrato una qualche civiltà in lui. Un notevole passo avanti, a suo parere.

« Avresti potuto rifiutare! » Cinguettò Ginny, indispettendosi. « Perché hai accettato? »

« E’ così importante? » Domandò sospirando Hermione.

« Sì, lo è. » Confermò la rossa con decisione, ripetendo una seconda volta il suo quesito: « Perché hai accettato? »

« Per assicurarmi il massimo dei voti in Pozioni. » Ammise semplicemente, senza tradire la minima vergogna nella voce pacata. La sua carriera scolastica veniva prima di tutto. Prima di avere un ragazzo. Prima di Piton. Prima di Malfoy. E, certamente, prima delle sue antipatie adolescenziali.

In effetti, la sua carriera scolastica era senza dubbio la sua priorità numero uno.

Ginny si zittì all’istante. Rimase immobile, a fissarla stralunata per diversi attimi. Era la seconda persona che aveva quella reazione di fronte alle sue parole. Sempre che Draco Malfoy potesse essere considerato una persona, e non era del tutto certa che fosse un bene. D’un tratto, però, spiazzandola completamente, Ginny scoppiò fragorosamente a ridere.

Che le prende adesso?

« Perché ridi? » Domandò, corrugando la fronte confusa.

Da principio le risa erano tanto sguaiate e incontenibili che Ginny non seppe frenarle per darle una risposta, e che alcuni studenti vennero da esse indotti a girarsi per cercarne l’origine.

« Controllati, Ginny. Ci stanno guardando tutti. » Bisbigliò Hermione a disagio. Vedendo però che la rossa non accennava a quietarsi, la mora si trovò costretta a domandarle nuovamente: « Si può sapere cosa c’è da ridere? »

« E’… è per quello che hai detto. » Riuscì a rispondere l’amica, asciugandosi le lacrime che le avevano riempito gli occhi per il troppo ridere.

« Oh. » Esclamò lei inarcando un sopracciglio dapprima contrariata e, poi, un tantino stizzita. Che cosa c’era da ridere in quello che aveva detto? Niente, assolutamente niente. O forse non era proprio cosa aveva detto. Forse era in generale tutto quello che diceva. Magari era come lo diceva. Chissà, poteva anche darsi che il suo tono di voce fosse divenuto improvvisamente tremendamente buffo. Si offese di fronte a questa possibilità: se c’era qualcosa a cui teneva, quella era la sua serietà.

Il suo umore incrinato dovette trasparire dalla sua espressione, dato che Ginny, guardatala negli occhi per qualche istante, si affrettò a dire:

« Non volevo offenderti, Hermione. E’ solo che, beh… » Non riuscì a reprimere un’altra sciocca risatina, mentre scuoteva il capo in segno di benevola rassegnazione. « Chiunque altro di noi avrebbe preferito le torture peggiori piuttosto che uscirsene con la folle idea di stare a così stretto contatto con Malfoy. »

« Non credo di aver capito bene. » Intervenne la mora fissandola con occhi inquisitori e impenetrabili. « Stai dicendo che sono folle? »

« No! » Negò animosamente Ginny, sbiancando in volto e perdendo completamente la voglia di ridere di fronte agli occhi austeri dell’amica. « Non volevo dire questo. No, davvero, non volevo proprio indurti a questa considerazione. E’ solo che stavo pensando che quello che hai detto avrei potuto aspettarmelo solo da te. Sì, ma… ma non in senso negativo! » Si affrettò ad aggiungere, mordicchiandosi il labbro inferiore per il nervosismo.

Quel gesto un po’ goffo e maldestro bastò a farle sbollire la rabbia. La tenerezza che vi era racchiusa sarebbe bastata a farle sbollire la rabbia di giorni, a dire il vero. La bocca di Hermione, prima freddamente serrata, si rilassò in un sorriso. Tuttavia la rossa non se ne accorse e lei, del resto, non ebbe l’accortezza di fermare le sue scuse.

« Per noi sarebbe una cosa folli, ma perché noi siamo… beh… perché tu sei un po’… beh, diversa… da noi e perché… si, ecco… ooh! Fammi trovare le parole giuste, non vorrei che fraintendessi: tu sei una persona eccezionale e… Oh insomma! Quello che volevo dire era che quello che hai detto è proprio da te, Hermione. »

Il sorriso che si era impadronito della sue labbra si tinse di un’impercettibile velo di malinconia.

Quella frase… la riportava indietro.

Molto indietro.

Le richiamava alla mente tanti ricordi. Le faceva rivivere sei anni della sua vita. I sei anni più belli della sua vita. E se chiudeva gli occhi le appariva tutto ancora nitido. Reale. Ogni gesto, ogni emozione, ogni sentimento. Tutto sembrava prendere una consistenza che i ricordi non possono avere. Ma era solo un’illusione, perché quelli erano davvero solo ricordi. Non avevano niente a che fare con il presente. Appartenevano al passato. Proprio come quella frase:

« E’ proprio da te. »

Ron glielo diceva sempre.

E anche Harry.

Allora, come vi sembra?
Non è male, no? A me piace molto, ma sono prontissima ad essere smentita! Spero che mi lascerete un commentino: per gli ultimi capitoli di You are my angel ne ho ricevuti molti meno del solito (sono peggiorata?). Ad ogni modo nel prossimo capitolo si scopriranno molto cose che immagino vi stiano a cuore. Per esempio suppongo che in molte delle vostre testoline girino domande tipo:

Ma che fine hanno fatto Harry e Ron? E perché Draco non fa alcuna battuta in merito? E come mai Hermione li ricorda con tanta nostalgia? E quando diavolo si metteranno insieme Draco e Hermione? (è quella che cruccia di più, vero?)

Ma soprattutto, per chi conosce il mio marcato sadismo:

Si metteranno mai insieme Draco e Hermione?

Nel caso in cui voleste scoprirlo vi invito ad essere molto più pazienti di quanto non lo siate stati in vita vostra.

Un bacio

By Silverwings

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Capitolo 2
*** La nemesi naturale [parte prima] ***


Ed ecco qui il secondo capitolo

Ed ecco qui il secondo capitolo.

Ho imparato che è bene ribadire i diritti d’autore di J.K.Rowling su tutti i personaggi (o gran parte, comunque) di questa fanfiction, sappiate quindi che non mi deve essere tributato alcun merito per la loro personalità strabiliante: è tutta opera sua, che, in quanto a fantasia, non ha proprio niente da invidiare a nessuno.

Ok, piccola premessa: tutte le domande che vi sono sorte leggendo il precedente capitolo in questo non troveranno necessariamente risposta.

Siamo ancora all’inizio della storia: prima che Draco e Hermione possano anche solo considerarsi amici ci vorrà ancora un po’ di tempo.

Mi dispiace se con queste parole ho deluso le aspettative di quelli che speravano che le cose sarebbero andate diversamente, del resto dare un via lento al loro rapporto mi sembra una delle uniche strade possibili per renderlo credibile.

Ribadito questo, vi lascio alla lettura.

The Draco and Hermione’s Opera

2° capitolo.

La nemesi naturale [parte prima]

*** *** ***

You can be an asshole of the grandest kind
You can withhold like it's going out of style
You can be the moodiest baby
And I've never met anyone as negative
As you are sometimes

Tu puoi essere un idiota della peggior specie
Tu puoi fingere che non sia nel tuo stile
Tu puoi essere la persona più insopportabile
E io non ho mai conosciuto qualcuno di così odioso
Come sei tu a volte

(Everything - Alanis Morissette)

*** *** ***

Domenica 10 Novembre. Ore 17.28

Hogwarts. Entrata Torre Grifondoro.

Draco sbuffò seccato per la decima volta. Erano almeno quindici minuti che stava aspettando invano che quella psicolabile si facesse viva. Quindici minuti che imprecava mentalmente contro di lei. Quindici minuti che sopportava su di sé gli sguardi curiosi e mordaci dei Grifondoro. Certo, perché quella cretina aveva avuto la brillante idea di dargli appuntamento davanti alla sua fetida Sala Comune!

Sentì un moto di vomito salirgli in gola: Appuntamento… che termine raccapricciante in un simile contesto.

Giuro che se non arriva entro un minuto a partire da ora io me ne vado!

« Ma quello è Malfoy! » Esclamò una voce attonita alle sue spalle.

Emise un undicesimo sbuffo, forse anche più seccato di quelli precedenti. Conosceva il possessore di quella voce. In quell’ultimo periodo assomigliava un po’ troppo a Potter perché potesse passare inosservato agli occhi di chiunque. Faceva beneficenza ai pidocchi dei primi anni come aveva fatto lui. Giocava in quella che era stata la sua degenere squadra. Riciclava le sue scadenti amicizie. Ribatteva a tono con il suo stesso disgustoso patriottismo. Stava persino con la ragazza che prima sbavava dietro a quella patetica imitazione di mago.

Avrebbero dovuto cominciare a chiamarlo San Thomas! Sebbene, ovviamente, non sarebbe mai suonato bene come San Potter.

« Complimenti, Thomas: anche se ti manca il cervello hai un ottima vista. » Lo apostrofò con sarcasmo, girandosi verso di lui.

Notò solo a quel punto la gracile figura che gli era avvinghiata morbosamente al braccio destro. Sembrava una ventosa. Gli ci volle poco per riconoscerla come Ginny Weasley. Era famosa anche lei, a scuola, ma solo perché era la sua ragazza e la sorella minore del caro vecchio Lenticchia, il cagnolino da compagnia di Potter. Il portiere più incapace che si fosse mai visto nella storia del Quidditch, per intenderci. Una sorta di concentrato di incompetenza e sciatteria.

In una parola: una della più grandi nullità di tutti i tempi.

Si soffermò sull’espressione di quella piattola. Lo scrutava altezzosamente, con una strana aria di sufficienza. Era davvero ributtante. Non c’era niente di peggio di una nevrotica proletaria che si atteggiava a primadonna.

« Che diavolo ci fai qui? » Domandò seccamente Dean, distogliendolo dai suoi pensieri.

Dal tono poteva dedurne che non aveva ancora digerito la faccenda del giorno prima. Poco male: era un problema esclusivamente suo! Se non avessero continuato a rinfacciarglielo o spiattellarglielo davanti alla faccia se ne sarebbe tranquillamente dimenticato. Ai suoi occhi quell’argomento appariva davvero privo di rilevanza.

« Non sono affari che ti riguardano, Thomas. » Rispose Draco laconico. « Quindi gira a largo. »

« Vorremmo farlo. » Intervenne acida Ginny. « Ma, vedi, quella davanti a cui sei è la nostra Sala Comune.”

« Grazie a dio. » Commentò Draco tagliente.

« Nessuno ti obbliga a stare qui. » Ribatté duro Dean. « Anzi, non sei proprio il benvenuto. Faresti bene ad andartene. »

« Credimi, Thomas… » Gli assicurò Draco con l’abituale tono mellifluo. « Se potessi lo farei. Purtroppo, però, non mi è possibile. » Rivolse uno sguardo nauseato a Ginny. « E lei dovrebbe sapere perché… »

« Oh già… » Replicò la rossa, aggrottando le sopracciglia con fare sprezzante. « Sei stato invitato… »

« Cerchiamo di usare dei termini appropriati. » Scattò prontamente il Serpeverde, punto sul vivo. « Io non sono stato invitato! »

Dean lo ignorò e si rivolse alla propria ragazza, inarcando un sopracciglio piuttosto contrariato:

« E chi ha avuto questa brillante idea? »

« Io. »

Hermione era improvvisamente comparsa in mezzo a loro e a quel punto li scrutava con attenzione, chi più allegramente, chi meno. La solita mezza dozzina di libri sotto braccio. Gli abiti indecenti della mattina. I cespugliosi capelli svolazzanti. E stampata sul viso l’abituale espressione rilassata e disinvolta. Troppo rilassata e troppo disinvolta per quella specifica occasione.

Almeno, troppo per i suoi gusti.

« Sei in ritardo, Granger. » Sbottò, fissandola con astio.

« Ti sbagli. » Replicò tranquillamente lei, controllando il suo orologio da polso. « Sono perfettamente in orario. »

« Ma io sono qui da quindici minuti. » Obiettò, aggrottando la fronte.

« E’ un problema tuo. » Disse Hermione con disinteresse. « Se arrivi prima dell’ora prefissata non posso farci niente. »

Draco si astenne dall’eccepire.

Non che non volesse, tutt’altro: si sarebbe volentieri giocato il tutto per tutto se solo avesse avuto la possibilità di ricavarci qualcosa. Ma, purtroppo, Hermione aveva dalla sua parte una mano sfacciatamente vincente: la sua precaria sufficienza in Pozioni e, soprattutto, l’ormai radicata consapevolezza che gli era indispensabile ottenerla. Aveva sfoderato quell’asso nella manica giusto la mattina, dimostrando di saperlo usare a dovere. Era una giocatrice temibile, quella Granger. Sino a che avesse avuto quel vantaggio, quindi, avrebbe rinunciato a cercare lo scontro con lei.

Ne andava della sua reputazione di eterno vincente.

« Perché dovevate incontrarvi? » Aveva domandato nel frattempo Dean, studiando il Serpeverde con crescente diffidenza oltre che con acceso rancore.

« Hermione deve dargli ripetizioni di Pozioni. » Spiegò Ginny stranamente compiaciuta della cosa.

« Infatti… » Tagliò corto la bruna, precedendo Dean che aveva appena socchiuso la bocca con l’intenzione di indagare ulteriormente. « …e siamo piuttosto in ritardo sulla tabella di marcia, perciò, scusate, ma io e Malfoy siamo costretti a metterci subito al lavoro. » Volse il capo verso Draco. « Forza, muoviti. »

« Non darmi ordini! » Protestò di riflesso. Non avrebbe cercato lo scontro. D’accordo. Lei, però, non doveva provocarlo! Altrimenti doveva aspettarsi di sentirsi rispondere per le rime.

« Va bene. » Asserì imperturbabile Hermione. « Allora resta lì. »

« Certo. » Confermò convinto lui.

Anche lei però sembrava piuttosto convinta a non farsi toccare dalla sua decisione. Diede infatti un ultimo, sbrigativo ma comunque affettuoso saluto a Ginny e a Dean, e poi se ne andò. Tranquillamente. Non si girò indietro neanche una volta per vedere se la stava seguendo: continuò a passo spedito sino al termine del corridoio e infine svoltò a destra, scomparendo dalla sua vista.

Imprecò mentalmente contro la sorte! Dannazione, cosa gli toccava fare per una stupida sufficienza! La raggiunse a grandi falcate e le si accostò.

« Non sono venuto perché me lo hai detto tu. » Puntualizzò acre.

« No, certo… » Lo assecondò piattamente Hermione.

« E non parlarmi con quel tono! » La fulminò gelido. Era un tono che gli mandava i nervi a fior di pelle!

Hermione al posto di ribattere sospirò, alzando gli occhi al cielo. Anche quell’atteggiamento gli mandava i nervi a fior di pelle! Non fece però in tempo a farglielo presente. La Grifondoro aveva infatti allungato il passo, lasciandolo indietro. La raggiunse di nuovo, deciso a imporle di rallentare, ma ancora non vi riuscì: si trovò di nuovo distanziato di qualche metro. La ragazza aveva accelerato ulteriormente.

E no, questo è veramente troppo!

« Fermati! » Ansò cercando di imprimere alla propria voce un tono di comando.

« No. » Disse subito Hermione, senza neanche rallentare. « Non voglio fare troppo tardi. »

« Tardi per cosa? » Chiese Draco, spiazzato.

Nessuna risposta seguì la sua domanda e bastò quello ad allarmarlo. Spiccò una piccola corsa e la fiancheggiò. Era faticoso e difficile starle dietro, ma non demorse: voleva una risposta, per questo fu serrato nel torchiarla.

« Per che cosa non vuoi fare tardi? C’è qualcosa che devo sapere? Se è così voglio saperla subito! Mi hai capito? » Un ragazzo gli passò di fianco, guardandolo storto. Era Colin Canon, un Grifondoro. Stava andando dalla parte opposta alla loro. Quel pensiero fece scattare qualcosa nella sua testa. « Ehi! Frena! Dove stiamo andando? Non dovevamo studiare in quella tua orrida Sala Comune? Che diamine ti è preso, Granger? Dannazione, pretendo una risposta! Hai capito quello che ho detto?! Stupida ragazzina arrogante! Fermati!! »

Draco fu davvero ammirevole nella sua perseveranza.

Per tutto il tragitto che percorse si esibì in una fitta e serrata discussione. Purtroppo la tenne più con se stesso che con Hermione, la quale fu anche più tenace di lui nel tacere compostamente. Ogni tanto la sua espressione si increspava di insofferenza, era pur vero, tuttavia difese strenuamente la sua posizione, senza mai rivolgergli neanche un’occhiata.

Solo quando si fermarono lei gli concesse la sua attenzione, gettandogli uno breve sguardo per fargli intendere che quella era la loro ultima destinazione. Solo quando si fermarono, del resto, Draco si rese conto che erano usciti dalle mura di Hogwarts. Per la precisione erano di fronte ad una casupola piccola e dimessa, che aveva un aspetto quasi selvaggio. Gli era stranamente famigliare…

Disgustosamente famigliare…

« No. Non puoi averlo fatto… » Inorridì Draco, tra lo stupefatto e il furibondo.

« E invece sì. » Lo contraddisse lei pacata. « Alla fine mi è sembrato il luogo più adatto per studiare. Perché in Sala Comune non avremmo mai potuto stare in pace. Ho già chiesto il permesso a Silente, che ha accettato e credo abbia anche già informato Hagrid. » E detto ciò non gli diede neanche il tempo di indignarsi nella maniera dovuta poiché si avviò a passo sicuro verso il portone della catapecchia e vi bussò tre volte, dicendo: « Hagrid! Hagrid sono Hermione. »

Si sentirono diversi rumori provenire dall’interno della casupola. Ve ne fu uno acuto, che durò poco più di un attimo e che non riuscì a definire con esattezza. Un altro invece apparve prolungato e grottesco, ma non c’erano dubbi sul fatto che fosse un latrato di Thor, il grosso cane del Mezzogigante. Sopra ognuno di questi suoni, comunque, si impose l’inconfondibile voce di Hagrid, il quale brontolava incomprensibilmente e, evidentemente, si avvicinava a grandi passi all’ingresso dell’abitazione.

Un secondo dopo aver udito l’ultimo passo, la porta si aprì e sulla soglia comparve proprio il guardiacaccia.

« Hermione! Che piacere! Silente mi ci aveva detto che saresti arrivata! » La salutò affettuosamente, mentre un enorme sorriso storpiava il suo rude faccione peloso.

« Anche per me è un vero piacere, Hagrid. » Rispose subito lei, con lo stesso trasporto.

Il guardiacaccia non sembrò accorgersi di Draco poiché il suo umore non si incrinò e, anzi, migliorò notevolmente. In effetti il Serpeverde era esattamente sulla stessa linea retta di Hermione e veniva completamente nascosto dalla sua seppur minuta figura. Era perciò normale che Hagrid non lo notasse. Lui, per contro, avrebbe voluto che lei fosse di una stazza tale da occludere anche il suo di campo visivo: la vista di quel Mezzogigante lo disgustava!

« E’ da diversi giorni che avevo voglia di venire a trovarti… però, beh… non ne ho mai trovato il tempo … » Continuò a parlare la ragazza, assumendo un tono profondamente dispiaciuto.

« E’ perché sei molto occupata. E’ l’anno dei M.A.G.O! » La giustificò il guardiacaccia con convinzione e serietà. « Ma, dimmi… » Aggiunse incerto. « Silente mi ci ha detto che venivi, e per studiare… Come mai? Non è che a me mi ci dispiace, anzi: devo fare un’incursione nella Foresta e non posso portare Thor, perché ha il raffreddore, e sono contento che ci sia qualcuno a tenergli compagnia mentre sono fuori. Sai, non vorrei che si sentisse solo… » La sua fronte si aggrottò per l’apprensione. « Perché quando si sente solo poi pensa a cose strane, e magari diventa triste. »

Rimase un attimo basito.

Pensare? Triste? Un cane? Ma che cavolo stava dicendo?! Come si faceva a dire certe cose?! Quel Mezzogigante era uno spostato! E quella ragazza era ancora più spostata di lui! Lo fissava con comprensione, annuendo con sincera commozione. Che diavolo le prendeva?! Come faceva a esistere gente così… così… assurda!

L’improvviso mutamento di tono addotto da Hagrid lo riportò alla realtà.

« Però, Hermione… non sei mai venuta qui per studiare: sei sempre stata nel castello. Quindi mi chiedevo… » Esitò un attimo prima di proseguire. « … hai forse litigato con i tuoi amici? »

« No, non preoccuparti. » Lo rassicurò Hermione sorridendo. « Non ho litigato con i miei amici. Solo che… » Si scostò di lato, rendendo il Serpeverde finalmente visibile. « Non mi sembrava il caso di stare in Sala Comune con lui. »

Hagrid si irrigidì e zittì all’istante. Un’espressione di cupo stupore calò sul suo volto. Lui, da parte sua, si limitò a sollevare un sopracciglio, seccato. Passarono diversi attimi prima che il Mezzogigante riuscisse a ridestarsi dallo stato di mutismo in cui era caduto. Lo stupore però non scomparve. Quando si rivolse a Hermione, infatti, era ancora particolarmente turbato dall’inaspettata apparizione.

« Perché è qui anche lui? » Cominciava a stufarlo il tono con cui gli si riferivano.

« Niente più di quello per cui sono qui io. » Rispose la ragazza risoluta. « Piton mi ha chiesto di dargli qualche ripetizione. Per qualche tempo studieremo insieme. »

Il guardiacaccia non si fece persuadere. Evidentemente i conti non gli tornavano. Come dargli torto, del resto: se si guardava intorno e vedeva dov’era e con chi aveva a che fare neanche a lui tornavano i conti. E gli tornarono ancora meno quando si accorse che i grandi occhi da scarafaggio di Hagrid gli si era posati addosso e avevano seguitato a fissarlo insistentemente, con sospetto. Da quando in qua si permetteva di fissarlo in quel modo! Era lo stesso sguardo che gli aveva rivolto Thomas poco prima e, a quel punto che ci pensava, gli era salita anche allora una gran voglia di strappargli dalle orbite quegli occhi insopportabili.

« Siamo sicuri che Silente sa che è con te? » La interrogò infine il Mezzogigante, diffidente.

« Certo. » Confermò Hermione, avvalorando la sua affermazione con un deciso cenno del capo. « E credo sapesse anche che dovevi andare nella Foresta Proibita. Te l’ha chiesto lui di andarci, no? »

« Beh, sì… » Ammise Hagrid tentennante. « Però… » Si fermò prima di proseguire: lanciò un’occhiataccia a Draco e si chinò sulla ragazza, come se volesse farsi sentire solo da lei. Il suo piano però risultò quanto mai vano siccome il sussurro in cui credette di parlare giunse nitidamente alle sue orecchie: « Sei sicura di poterti fidare di lui? »

Oh ma andiamo!

Questa era bella! Davvero bella! Un Mezzogigante che chiedeva a una ragazza come Hermione Granger se si poteva fidare di lui, Draco Malfoy! Con quel tono poi! Come se fosse uno stupratore notturno. O uno psicopatico fuggito da Azkaban. O un licantropo che nelle notti di luna piena si svegliava per fare a brandelli la gente. Era solo un ragazzo di diciassette anni!

E poi, diamine, anche se si trattava dell’unica persona capace di irritarlo con un solo gesto, questo non significava che avrebbe voluto ucciderla!

Beh, Draco, ammetti che un paio di volte ci hai anche pensato…

E va bene, sì, lo ammetteva: ci aveva pensato. E magari neanche solo un paio di volte. Magari ci aveva fatto anche dei progetti più complessi, tipo crocifiggerla a testa in giù, corroderla nell’acido, oppure – che ne so – buttarla giù dalla torre più alta di Hogwarts e vederla sfracellarsi al suolo, possibilmente accertandosi che i suoi amici fossero lì ad assistere. Ma questo non significava niente! Tutti gli adolescenti avevano di quei pensieri. Era normale! E rimaneva tale fino a che restavano solo pensieri. Perché c’era una netta differenza tra le persone che considerano di fare certe cose e quelle che arrivano al punto di farle. E la differenza stava nel fatto che quelli si chiamavano assassini. Che quelli erano assassini. Assassini come Bellatrix e Rodulphus Lestrage. Assassini come i padri di Tiger e di Goyle. Assassini come suo padre. Ma non come lui. No: lui non lo era. Magari era tutto ciò che di più turpe e diabolico potesse esserci al mondo, ma non era un assassino.

Non ancora, almeno.

« Puoi stare tranquillo, Hagrid: sono sicura di potermi fidare di lui. » In aggiunta alle sue parole Hermione rivolse al guardiacaccia un sorriso rassicurante. « Vai pure a fare la tua incursione: qui ce la caveremo benissimo. »

« Spero che tu abbia ragione. » Si augurò Hagrid in tono grave, evitando di soffermarsi sul sorriso gioviale di lei. Soffermarvisi, probabilmente, avrebbe significato incrinare la sua sicurezza nel replicare. « Ma tu mi devi promettere che ci starai attenta, con quello lì. Ha una faccia che non mi ci piace per niente… »

Non hai idea di quanto poco mi piaccia la tua di faccia, pezzo di analfabeta pulcioso!

« Prometto che starò attenta. » Garantì Hermione, rispondendo con una prontezza che gli impedì di dar voce ai suoi pensieri.

« Va bene… » Biascicò il guardiacaccia senza rinunciare alla sua circospezione. Non era ancora convinto che andasse bene. Del resto non sembrava neanche disposto a intavolare una discussione con la ragazza, siccome rinunciò a obbiettare verbalmente. Per contro scoccò un’occhiata minacciosa a Draco, intimandogli: « Se quando torno scopro che le hai fatto qualcosa ti appendo ad un albero a testa in giù! »

Questa volta, oltre a provare un’incontrollabile desiderio di ribattere alle provocazioni di Hagrid, Draco sentì anche uno scalpitante desiderio di deturpargli quell’orrenda faccia deforme. Mise impulsivamente mano alla bacchetta. Hermione fu però attenta a scorgere il suo gesto e lesta a dedurre da esso le sue intenzioni. E fu anche lesta a impedirgli di portarle a compimento. Si frappose infatti fisicamente tra lui e il Mezzogigante, mentre una seconda volta garantiva a quest’ultimo la mansuetudine dell’improbabile compagno di studio.

Staccò le dita dalla sua arma: per questa volta quel guardiacaccia da due soldi l’aveva scampata.

« Allora io vado… » Concluse Hagrid.

« Sì, vai. » Lo incoraggiò Hermione dandogli un’amorevole sbuffo sul braccio sinistro.

Spronato definitivamente da quel gesto il guardiacaccia si smosse finalmente dalla sua statica posizione. Prese una sacca nera appoggiata ai piedi della porta, se la mise a tracolla e poi se ne andò. Dopo che ebbe fatto qualche passo in direzione della foresta si girò verso di loro e rivolse un’ultima feroce occhiata a Draco, poi scomparve dietro gli alberi.

Rimasero per un attimo in silenzio. Hermione con lo sguardo ancora rivolto al luogo da cui era sparito Hagrid. Draco con gli occhi sfuggevolmente rivolti alla ragazza. Avrebbe voluto decifrare la sua espressione vagamente assorta, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito con quelle brevi occhiate evanescenti. Del resto, di puntargli gli occhi in faccia come se ci fosse qualcosa di interessante da vedere non aveva la benché minima intenzione. E dunque, che fare?

La voce di lei giunse provvidenziale a risparmiargli di crucciarsi nel dubbio:

« Ora, preferisci entrare e quindi indurmi a sopportare la tua presenza o liberarmene prima ancora di aver iniziato a sopportarla? »

Il tono con cui aveva parlato era giunto alle sue orecchie paziente e controllato. Troppo paziente e troppo controllato. Sembrava stesse trattando con un bambino di cinque anni. Si indignò per quell’imperdonabile oltraggio. Fece dunque per aprire la bocca e rispondere avventatamente che non era intenzionato a fare nulla di quello che lei si aspettasse. Ma proprio un secondo prima di dar aria ai polmoni, si astenne: il desiderio di vanificare i suoi sforzi di mediatrice era violento, ma lo era anche quello di rimediare a quella maledetta insufficienza. Era forse il caso di rimettersi, per una volta, al volere di quella bisbetica? Ricordò le promesse che si era fatto pochi minuti prima. Sì, forse era il caso. Ma ammetterlo in quella maniera era umiliante. Allora decise che non si sarebbe rimesso al suo volere, che l’avrebbe solo distrattamente considerato, per uno meraviglioso slancio di altruismo.

Sì, così poteva andare bene.

A grandi passi arrivò sino all’uscio dell’abitazione. Non degnò Hermione neanche di uno sguardo e vi entrò altezzosamente. Lei, per contro, fece lo stesso, ma con meno alterigia, e si richiuse la porta alle spalle.

« Allora… » Eruppe una volta che si fu seduta ed ebbe appoggiato delicatamente sul tavolo i libri che portava sotto braccio. « … il prossimo compito di Pozioni sarà il Veritaserum. E’ una pozione molto complicata: l’anno scorso in pochissimi abbiamo preso un voto decente, ma comunque non hai di che preoccuparti: il test è solo questo sabato. »

Il Serpeverde, che non si era ancora deciso a sedersi, nauseato dall’odore e dalla sporcizia di quel luogo, a quelle parole ebbe un sussulto:

« Solo sabato? Soli sei giorni per studiare? Ma è troppo poco! Non potrò mai prepararmi in tempo! »

« Sei giorni vanno bene. » Lo contraddisse Hermione con calma. « Basterà seguire scrupolosamente il percorso di recupero che ho preparato. »

« Come sarebbe a dire? » Domandò Draco senza celare una punta di preoccupazione. « Che significa che sarà opportuno seguire il percorso di recupero che hai preparato? »

« Ti avevo detto che eravamo in ritardo sulla tabella di marcia, no? » Replicò lei succinta.

« Pensavo che stessi scherzando! » Esclamò sconvolto, sbarrando gli occhi e fissandola con sgomento.

« Questo vuol solo dire che pensare non ti si addice. » Osservò laconica Hermione.

Draco sentì un moto di rabbia agitarsi nello stomaco. Non fece però in tempo a sfogarlo perché Hermione stessa gli schiaffò davanti alla faccia un enorme volume rilegato in cuoio, che gli precluse la vista e l’attenzione su tutto il resto. Solo una volta ripresosi dallo stupore riuscì a leggere il titolo stampato a grosse lettere argentate sulla copertina: “L’unico manuale per maghi autodidatti”.

« Oltre a seguire il mio programma, per far sì che tu ottenga i risultati sperati devi anche imparare a memoria questo libro nel giro di un mese. » Disse in tono spiccio la Grifondoro, riferendosi all’oggetto che impugnava.

« T-tutto? » Biascicò scandalizzato Draco. Era forse pazza? Come diavolo avrebbe fatto a imparare a memoria un mattone di almeno 800 pagine in un mese?! No, anzi, come diavolo avrebbe mai potuto imparare un mattone di almeno 800 pagine?

Tanto più che odiava profondamente leggere.

« Se ti avessi ritenuto capace di memorizzare tutte le 1176 pagine di questo manuale avrei rifiutato di aiutarti per l’eccessivo senso di inferiorità che avrei nutrito nei tuoi confronti. » Puntualizzò pungente Hermione, allontanando il libro dal viso del ragazzo. « Devi impararne solo 48. »

« Beh ma… » Cercò di controllare il tono di voce. « … ma sono comunque troppe in così poco tempo! Non ce la farò mai! »

« E invece ce la farai. » Tagliò corto lei. « E ora seduto: dobbiamo cominciare col mio programma. »

Era talmente sconvolto che non riuscì a opporre resistenza e si sedette convulsamente di fronte alla ragazza. Esitò a chiedere in cosa consistesse la fantomatica attuazione del programma di Hermione, ma lei gliene mise a parte comunque, e lui deglutì posto di fronte alla sua spiegazione:

« E’ un programma diviso in tre fasi, che ovviamente corrispondono alle tre pozioni che costituiranno l’argomento dei compiti. Quella che interessa a noi, perciò, per il momento è solo quella sul Veritaserum. Come ti ho già detto è una pozione difficile e necessita prima uno studio approfondito dei singoli ingredienti, in modo che, conoscendone le caratteristiche, per te sia più semplice ricordarne l’ordine e la dose quando dovrai utilizzarli. Perciò in questi primi cinque giorni noi ci concentreremo sullo studio. Qui insieme, intendo, e tu, per conto tuo, con “L’unico manuale per maghi autodidatti”. » Fece una piccola pausa, poi aggiunse con naturalezza. « Venerdì faremo una prova pratica della pozione. Abbiamo tempo di farne solo una, e poco prima del test, ma naturalmente andrà tutto per il meglio se seguirai le mie direttive. »

« M-ma è assurdo. » Balbettò Draco, sconvolto dalle parole che aveva sentito. « Considerando le ore di scuola, il Quidditch e lo studio delle altre materie praticamente non dovrei dormire per portare avanti un simile programma! »

« Non dire idiozie. » Lo freddò prontamente la Grifondoro. « Dovresti solo rinunciare al tuo tempo libero per un po’ di tempo, fino a che non ti sarai abituato a questo stile di vita e potrai giostrare con maggior destrezza i tuoi impegni. »

« Non dirne tu di idiozie, Granger! » Ringhiò il ragazzo, sobillato dal tono con cui gli si era rivolta. « Nessun essere umano potrebbe mai abituarsi a questo genere di ritmi! »

« Guarda che questo genere di ritmi sono frutto della tua sconsideratezza. » Gli fece aspramente presente Hermione. « E comunque conosco almeno cinque esseri umani che ci sono riusciti. »

« Se uno di questi è Paciock… » Replicò Draco mordacemente. « … allora ti conviene dire che sono quattro, gli esseri umani, perché i risultati scadenti a cui è sempre incorso quell’incompetente non possono certo considerarsi un vanto per i tuoi metodi. »

Hermione lo fulminò con uno sguardo.

« Sbaglio o avevo detto di portare rispetto per i miei amici? »

Non replicò: era meglio chiuderla lì la questione. Lei dovette pensarla allo stesso modo, siccome non aggiunse altro sull’argomento e invece riprese quello precedente, come se nulla fosse.

« Allora, vediamo un po’… » Mormorò mentre sfogliava attentamente le pagine ingiallite di un squadernino rattoppato su cui sembravano esserci molte altre annotazioni. « Gli appunti dovrebbe essere da queste parti… no, niente: non ci sono. Allora dove posso averli scritti? Forse… beh, si, in effetti potrebbero essere benissimo anche lì… anzi, ora che ci penso, credo proprio che siano lì … » La ricerca si fece più serrata. Durò anche qualche minuto, perché sembrò divenire necessario leggere gli illeggibili sottotitoli che infestavano quelle pagine. Infine, però, il viso le si illuminò trionfante: « Eccoli! »

« Alla buon ora. » Commentò gelidamente Draco.

« Da quale ingrediente preferisci iniziare? » Gli domandò placidamente Hermione, ignorando il suo intervento.

« Che ne so… » Rispose tagliente. « Sei tu quella che sa sempre cosa è meglio fare, no? »

« Effettivamente credo che sarebbe meglio cominciare dagli occhi di rana in salamoia. » Ammise la ragazza senza cogliere la malizia delle sue parole. O comunque cogliendola ma fingendo di non esservi riuscita.

« E allora cominciamo da quello, muoviamoci. » Dichiarò il Serpverde impazientemente, incrociando le braccia sul petto in segno di stizza. Non ne poteva già più!

« Va bene. » Concordò Hermione sfregandosi le mani l’un con l’altra, mentre un’inquietante luccichio saettava nei suoi occhi. « Cominciamo. »

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*** *** ***

Domenica 10 Novembre. Due ore dopo
Capanna di Hagrid.

« Basta! » Esclamò Draco disperato, mettendosi le mani nei capelli. « Basta non ne posso più! Basta! »

« Oh, quante storie. » Minimizzò Hermione, che per contro era – o quanto meno cercava di apparire – assolutamente rilassata. « Parli come se avessimo studiato ininterrottamente per giorni. »

« Non parlare al plurale! » Sibilò il ragazzo scoccandole un’occhiata velenosa. « Noi non abbiamo fatto nulla! Tu non hai fatto niente! Io ho fatto tutto! »

« Sì, Malfoy, hai fatto tutto tu. » Lo assecondò lei, scettica, mentre riponeva dietro l’orecchio una dispettosa ciocca ribelle. « Per passare alle code di salamandra essiccate… »

« Per passare a… cosa? » Stridé Draco mentre un tremito di rabbia isterica lo scuoteva da capo a piedi. « Io non passo proprio a niente! Non ne posso più! Quante volte devo ripetertelo ancora perché ti entri in testa? Non intendo fare più niente che abbia a che fare con pozioni! Niente che abbia a che fare con lo studio! Niente che abbia a che fare con questa dannata scuola! » Scrollò il capo, pestando con fervore un pugno sul tavolo. « Niente che abbia a che fare con te! Razza di despota! Di tiranna! Di… di… »

« Infatti. » Riprese scocciata Hermione, interrompendo il fiume d’insulti che le venivano così amabilmente e naturalmente rivolti. Era tutta la sera che non faceva che apostrofarla con epiteti assurdi. Non che non lo facesse da tutti e sei i lunghi anni che avevano difficoltosamente convissuto in quella scuola, ma a tutto c’era sempre stato un limite. Per dirne una: che la chiamasse Mezzosangue aveva ormai poca importanza, ma che le desse della despota… beh, questo stava cominciando ad infastidirla! « Stavo semplicemente dicendo che torneremo a parlare degli altri ingredienti domani, sebbene io speri che questa sera ti degnerai di darci un’occhiata. »

« L’unica cosa che mi degnerò di fare questa sera è di buttarmi sul letto e dormire! » Esclamò all’apice dell’esasperazione il Serpeverde, chiudendo bruscamente un volume di botanica.

« Male. » Sentenziò severamente lei. « Molto male: l’unico modo per riuscire a memorizzare le cose è allenare la mente a ricordarle. »

« E chi se ne frega! » Tuonò Draco con un cipiglio folle. « Io voglio solo farla riposare la mia mente! E se questo significa che non memorizzerò un cavolo, chi se ne frega! »

« La tua leggerezza ti impedirà di perpetuare le tue ambizioni. » Considerò Hermione asciutta.

« Il tuo dispotismo invece ti porterà ad una morte violenta prima di aver potuto anche solo immaginare delle ambizioni! » Scattò Draco lanciandole uno sguardo di fuoco.

« Si da il caso, Malfoy… » Gli fece seccamente presente la ragazza. « … che è solo grazie al mio dispotismo, se siamo riusciti ad ottenere dei risultati, oggi. »

« Sbagliato! » Gridò il Serpeverde alzandosi di scatto e gesticolando fanaticamente con le braccia. « L’unica cosa che devo al tuo dispotismo è il fatto che mi siano saltati i nervi! »

Lo vide voltarsi, furioso, e dirigersi a grandi passi verso la porta d’ingresso. Probabilmente se ne stava andando…

« Malfoy. »

« Che vuoi? » Sbraitò il ragazzo girandosi verso di lei.

« Il libro. » Disse pacatamente Hermione, allungandogli “L’unico manuale per maghi autodidatti”. « Non vorrei che te ne dimenticassi. »

Draco tremò. I suoi occhi si iniettarono di sangue: un lampo d’incontenibile odio li attraversò. Lo vide per un attimo incerto: ucciderla o andarsene insultandola pesantemente? Credeva fossero queste le opzioni tra le quali scegliere. Al contrario egli tornò indietro, afferrò brutalmente il libro e solo dopo se ne andò in silenzio, sbattendo la porta dell’abitazione con una forza tale che i cardini di ferro cigolarono.

Se n’è andato…

Non si sorprese per la meravigliosa sensazione di leggerezza e gioia che provò nel rendersene conto. Se n’era andato! Che meraviglia! Niente più urla strazianti, niente più insulti assurdi, niente più occhiate assassine. Basta, tutto finito! Inspirò profondamente, sempre più soddisfatta della scoperta, e rimase qualche minuto immobile, immersa nell’incantevole silenzio che solo a quel punto si era impossessato di quella stanza.

Un silenzio di cui avrebbe potuto innamorarsi se solo Hagrid non l’avesse nuovamente infranto, entrando irruentemente nell’abitazione e facendo nuovamente cigolare i cardini di ferro battuto dell’ingresso.

« Sono tornato! » Annunciò perentoriamente. Il cipiglio minaccioso con cui parlò le fece supporre che credeva di trovare anche Draco ad attenderlo. E infatti, dopo aver misurato la stanza con sguardo sospetto, il Mezzogigante aggrottò la fronte e domandò confuso: « Dov’è Malfoy? »

« Se n’è andato proprio poco fa. » Rispose tranquillamente, con un’alzata di spalle.

« Bene! » Esclamò Hagrid con decisione, chiudendo la porta alle sue spalle. « Meno hai a che fare con quel tipo, meglio è. »

« Non vorrei deluderti, Hagrid, ma con quel tipo dovrò averci a che fare piuttosto spesso dato che ho accettato di dargli ripetizioni di Pozioni. » Replicò Hermione con un sorriso tra il consapevole e il rassegnato.

« Ecco… » Borbottò cupamente Hagrid, sedendosi davanti a lei. « E’ proprio questo che non capisco: perché tu abbia accettato di aiutarlo. Avresti dovuto lasciarlo bollire nel suo brodo! »

« Se ti può consolare comincio a credere che avrei dovuto farlo davvero. » Commentò la ragazza in un sospiro.

In effetti, nonostante sul momento non avesse riscontrato alcun segno di eccessiva insofferenza, a quel punto si rendeva ben conto di quello che erano realmente state quelle due ore di studio con Malfoy. Sfiancati? Allucinanti? Pazzesche? Spaventose? Le venivano in mente una serie infinita di aggettivi e non aveva la forza materiale di sceglierne uno appropriato. Era praticamente sfibrata, totalmente spossata, globalmente sfinita.

E pensare che di resistenza lei ne aveva sempre avuta da vendere…

« Puoi sempre farlo ora. » Intervenne ad un tratto Hagrid, diventato improvvisamente entusiasta. « Vai da Piton e digli che non vuoi più aiutare la sua pupilla. »

« Assolutamente no! » Rispose prontamente Hermione, scotendo il capo con in viso un’espressione vagamente indignata e cominciando a borbottare sommessamente, incrociando le sopracciglia in segno di offesa. « Non mi piace prendere un impegno e poi non riuscire a portarlo a termine. » Storse le labbra in una smorfia. « Mi fa sentire incapace. »

Ovvero, una delle sensazioni più insopportabili in assoluto!

Era come sentirsi addosso un prurito fastidioso che per quanto lo si gratti non se ne va mai via. Come avere sul palato il sapore impossibile del calcificante per denti che per quanti gelati si mangi persiste per giorni. Come ricordarsi dell’unico voto al di sotto della O che aveva preso l’anno prima che, per quante E avesse potuto prendere, sarebbe sempre stato uno macchia incancellabile nel suo curriculum vitae!

Dannazione, quella maledetta A! Quanto aveva imprecato per quel voto osceno! Quante parole sconosciute aveva inventato per dar voce alla sua rabbia! E tutto perché? Beh, ovviamente perché “Mister Tatto” aveva deciso di farle saltare i nervi proprio il giorno prima del compito di Pozioni! E Piton ci era andato a nozze, naturalmente! Aveva avuto O come G.U.F.O.! Una miserissima O! Ed era tutta colpa di Ron! Quello stupido di Ron!

Sì…

Ron…

Quello stupido…

« Hermione. » La richiamò Hagrid passandole una delle grossi mani davanti alla faccia. « Tutto bene? Hai un faccia strana. »

Sollevò lo sguardo sino a che non incontrò quello del guardiacaccia. Lo scoprì colmo di preoccupazione per il suo turbamento. Una preoccupazione densa di innocenza, di ingenuità. Una preoccupazione disinteressata che sembrava avvolgerla in un manto sottile di delicata pacatezza. Perché lui era… una persona splendida. La più buona, probabilmente, che avesse mai conosciuto: si preoccupava costantemente per lei, con una dedizione incredibile, pressappoco amorevole… quasi paterna.

E pensando a questo, mentre vedeva riflessa la sua immagine in quegli occhi corvini che la guardavano insistentemente, pensò ancora una volta che non poteva davvero sentirsi ancora triste. Che non poteva davvero sentirsi ancora… sola. Ma non per correttezza. No, perché pensarlo per correttezza sarebbe stato davvero ingiusto nei confronti di una persona tanto meravigliosa. No, sarebbe stata bene per gratitudine. Per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei da quando era scesa per la prima volta da quel treno fatato che ogni anno, il primo di Settembre, partiva da King Cross, al binario 9 e ¾ . Per aver sempre aperto la porta di quella sua minuscola casupola e averla sempre fatta entrare. Per averla sempre ascoltata e aver sempre avuto fiducia nelle sue capacità. Per averci sempre creduto, forse, più di chiunque altro.

Per non essersene mai… andato.

E per essere sempre stato parte di quel mondo incantato che era Hogwarts. Quel mondo magico e meraviglioso che…

Anche se prima lo era di più.

… sarebbe sempre stato speciale.

« Si, Hagrid. Non preoccuparti. Va tutto benissimo. »

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*** *** ***

Mercoledì 13 Novembre. Ore 7.14
Hogwarts. Sala Grande.

Agguantò con foga la caraffa colma di latte e ne versò un po’ nella propria scodella. Poi prese il barattolo di marmellata all’arancia che troneggiava alla sua destra, vi immerse il coltello e cominciò impazientemente a spalmarne il contenuto su una delle sette fette di pan carré incolonnate l’una sull’altra sopra un piattino su cui a stento stavano in equilibrio.

Mentre stava ricoprendo di marmellata la terza fetta con la coda dell’occhio vide una porzione di crostata nel piatto del ragazzo seduto di fronte a lui. La scrutò torvamente per qualche secondo, cercando di capire di cosa fosse. La scorza e il colore opaco gli parvero inconfondibili: era all’arancia. Lasciando all’istante sia il coltello sia la fetta di pane, che cadde rovinosamente sulla tovaglia bianca, scattò in avanti e afferrò la fetta di crostata, ficcandosela direttamente in bocca.

La reazione di Theodore, l’originario proprietario della torta, non si fece attendere:

« Dannazione Draco! Era la mia torta! »

Il compagno di casa non gli prestò attenzione. In compenso, dopo qualche attimo, fece una smorfia disgustata e sputò di colpo ciò tutto che aveva in bocca, rigettandolo in parte sul tavolo, in parte sul pavimento, in parte sulla faccia stessa del ragazzo che gli stava dinnanzi. E prima che questi potesse dire alcunché, fu Draco a sbottare sdegnato:

« Ma questa non è crostata all’arancia! »

« No, infatti. » Replicò seccamente Theodore, pulendosi il viso con un tovagliolo.« E non capisco come tu abbia potuto pensare che io avessi nel piatto una simile schifezza! Qui dentro sei l’unico che riesce a mangiare quella roba. »

Draco gli lanciò uno sguardo truce, grugnendo in senso di profondo risentimento per il modo in cui aveva definito la sua adorata crostata all’arancia. Il suo comportamento acidulo era inoltre un losco tentativo di indurre il Serpeverde a desistere dal fargli osservazioni che da due giorni a quella parte gli erano state fatte con una frequenza a dir poco irritante. Osservazioni sul suo umore e sul suo aspetto. Il primo assolutamente nero, il secondo terribilmente sciupato. E certo lui non negava avessero ragione, ma parlarne non avrebbe fatto che nuocergli. Pensava già abbastanza alla ragione del suo stato senza che qualcuno si sforzasse di estorcergli informazioni al riguardo. Senza contare il fatto che non c’era neanche una di quelle attenzioni che non gli fosse rivolta a unico scopo convenzionale.

E in quei giorni quel genere di cortesia voleva risparmiarsela.

Il ragazzo seduto di fronte a lui, però, non si fece intimidire tanto facilmente…

« Quando la smetterai di parlare per grugniti e fare quella faccia da cazzo ogni volta che ti si rivolge la parola?» Gli disse anzi, cupamente. « E’ da almeno un paio di giorni che sei diventato più intrattabile del solito. » Accartocciò il tovagliolo nella propria mano, con fare scocciato. « Anche se è insopportabile per te farti aiutare dalla Granger non dovr… »

« Lei non mi sta aiutando! » Lo interruppe all’istante Draco, ingoiando a forza il boccone che stava masticando. « Lei mi sta torturando! E’ completamente diverso! »

« Oh avanti… » Cercò di sdrammatizzare Theodore, sforzandosi di riderci su, con l’intenzione di quietarlo. « Non può essere così male… »

« Non può – essere – così – male?” Scandì le parole una ad una, mentre la mascella si contraeva duramente e un’aura minacciosa si addensava intorno a lui. Il suo volto pareva contratto in un’espressione di sfrenata ira repressa. « Ti spiacerebbe ripetere? »

« N-non ho detto niente… » Balbettò Theodore terrorizzato, scuotendo meccanicamente il capo e spostandosi fugacemente di un posto sulla sinistra.

« Buon per te… » Sibilò Draco, glaciale.

Non poteva essere così male? Non poteva essere così male?! Che imbecille! Come aveva potuto dire una cosa simile? Come aveva anche solo potuto pensarla? Gli avrebbe concesso la grazia di essere semplicemente un idiota e non un imbecille se solo non avesse detto quell’assurdità e si fosse limitato ad infastidirlo con la sua presenza!

C’era anche da dire che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che mostro potesse celarsi dentro quella mocciosa alta un metro e un tappo, con i capelli a cespuglio e le spalle ingobbite. Lui stesso, infatti, aveva stentato ad ammetterlo a se stesso persino quando i primi presentimenti infausti si erano insinuati nella sua testa, mettendolo in guardia. Ma si era comunque dovuto ricredere. Oh sì… eccome se si era dovuto ricredere! Perché quella era davvero un mostro. Un’arpia senza religione con la raccapricciante mania di sfogare i suoi istinti da aguzzina sugli altri!

« Hermione! Hermione, vieni a sederti qui! »

Un brivido gelido gli percorse la schiena.

Istantaneamente si rintanò sotto il tavolo: quel nome… quel nome raccapricciante… era il suo.

Sentì una scia di risolini espandersi per la sala, ma non vi prestò attenzione, convincendosi che li avrebbe bruciati tutti quanti, uno per uno, prima o poi, ma che in quel momento doveva preoccuparsi solamente di restare nascosto sino a che lei fosse rimasta in sala.

Si rendeva ben conto che quel suo ridicolo atteggiamento minava le basi dell’egregia reputazione che lo contraddistingueva dal resto di quella insulsa plebe, ponendolo quasi al loro livello. Ma, del resto, la sua sopravvivenza veniva prima di tutto. E per sopravvivere doveva stare il più lontano possibile da Hermione Granger.

A ricostruirsi la sua beneamata reputazione ci avrebbe pensato solo dopo che quel lungo periodo di torture si sarebbe concluso. Solo dopo che avrebbe potuto dire con orgoglio che quella che era ormai diventata la sua nemesi naturale non infestava più le sue preziose giornate.

Si convinse che doveva essere questo lo spirito con cui avrebbe dovuto affrontare quella lunga agonia. Ma due giorni dopo, al termine degli allenamenti al campo di Quidditch, qualcuno si premurò di ricordargli che oltre alla sua sopravvivenza avrebbe dovuto preoccuparsi anche di altre cose…

« Draco, scusa, posso parlarti un attimo? »

Voltatosi lentamente verso chi l’aveva chiamato, seguitò a fissarlo con lugubre disprezzo, cercando di trasmettergli con lo sguardo l’assoluto rigetto fisiologico che gli procuravano la sua proposta e, più generalmente, la sua presenza.

La questione era che, dal suo modesto punto di vista, Adrian Pucey era una delle persone più sgradevoli che avesse mai conosciuto. Nutriva un disgusto autentico per lui, un disgusto che era generato da tre ragioni fondamentali.

Prima ragione: era il capitano della squadra di Quidditch della casa di Serpeverde, carica che, con ogni diritto, avrebbe dovuto avere lui. In primo luogo perché era decine e decine di volte più bravo di quell’incapace. In secondo luogo perché quel ragazzino insopportabile non aveva per niente la stoffa del leader: era disgustosamente gentile, disgustosamente comprensivo, disgustosamente educato. Non aveva un minimo di amor proprio, né tanto meno di orgoglio o fierezza. Senza contare che c’era in lui qualcosa di troppo buono perché non gli stesse sui nervi a pelle.

Quando l’aveva visto per la prima volta, con quel suo mezzo sorriso sonnolento, si era chiesto per quale oscura ragione quell’idiota di un mezzo cappello muffito l’avesse mandato a Serpeverde.

Seconda ragione: era un fallito figlio di falliti. Una volta aveva conosciuto sua madre: una grassa donnaccia, mielosa e appiccicosa, con una voce profonda e traballante, la cui ciccia, a ogni movimento, tremolava disgustosamente. Specie quella del doppio mento. Un vero supplizio per gli occhi. Il padre, comunque, se possibile, era anche peggio: piccolo, basso, magro, con degli occhi da insetto e la fronte alta, totalmente succube di quel titano di sua moglie, che parlava balbettando e vestiva da elfo domestico.

Un uomo insignificante, in poche parole.

Terza ragione: sebbene la sua incapacità come capitano fosse ormai completamente assodata, Adrian si atteggiava a grande guida fisica e spirituale, impartendo ordini assurdi e snocciolando consigli pietosi. Pietosi almeno quanto quello per cui desiderava parlargli.

L’unico motivo per cui acconsentì a seguirlo fu semplicemente perché, purtroppo, le persone che avevano potere decisionale in quella scuola si erano rivelate talmente inette da avergli affidato l’autorità di buttarlo fuori dalla squadra quando più gli pareva. E di essere buttato fuori non aveva nessuna intenzione. Che fosse la squadra, la scuola, o persino casa sua non era poi importante. L’importante era che nessuno lo buttasse fuori.

Men che meno un simile imbecille!

« Si può sapere cosa ti prende in questi giorni, Draco? » Esordì Adrian, una volta che furono soli.

Lo scrutò con fastidio per qualche attimo.

« Niente. » Replicò bruscamente.

« Niente, eh? » Ripeté scettico il capitano, inarcando un sopracciglio.

« Già, niente. » Grugnì arcigno. Ma perché doveva parlare proprio con lui? Perché?

« Eppure qualcosa ti deve essere successo per forza, perché tutto di colpo sembri un totale incapace sulla scopa. » Constatò seccamente Adrian, guardandolo dritto negli occhi.

« Incapace?! » Ruggì Draco, serrando la mascella e stringendo i denti al massimo, quasi frantumandoseli. Il tutto per non saltargli addosso e staccargli il naso a morsi! « Io, Incapace?! »

« Non ho detto che lo sei, Draco. Ho detto che lo sembri. » Puntualizzò asciutto Adrian, guardandolo con un’espressione insopportabilmente dotta. « Non voglio offenderti. Voglio solo capire se devo cominciare a cercare un nuovo cercatore che giochi la prossima partita al posto tuo. »

« Ma non provarci neanche! » Tuonò Draco allibito, lanciandogli uno sguardo sdegnato. « Anche se ho altre cose per la testa questo non significa che tu possa sostituirmi a tuo piacere! »

« Quali cose? »

Gli puntò gli occhi in faccia, contrariato: che cavolo voleva dire?

« Quali cose hai per la testa? » Ripeté Adrian, spiegandosi meglio. Ma, per la sua incolumità, avrebbe fatto meglio a non spiegarsi affatto.

Quali cose ho per la testa?!

Ah, perfetto, oltre che incompetente quell’imbecille era anche un ficcanaso! Questa sì che era una fortuna! Scosse il capo con insofferenza, picchiettando impazientemente il piede per terra e sbattendosi violentemente una mano sulla faccia: ci mancava solo quello nella sua vita!

« Allora… » Insisté Adrian imperterrito e facendo un passo in avanti. « Quali cose? »

« Affari miei! » Scattò acido, con lo sguardo pieno di disprezzo che fissava insistentemente il compagno di casa, mentre con un rapido passo all’indietro si preoccupava di ampliare la distanza tra loro.

« Veramente sono anche affari della squadra se ti fanno giocare male. » Controbatté di rimando Adrian, fronteggiandolo con lo sguardo severo. « Chi mi dice che non sarai allo stesso punto di adesso, tra tre settimane, contro Corvonero? »

« Te lo dico io! » Dettò freddamente. « E questo deve bastarti! E ora, se non ti dispiace, io me ne vado! »

Anche perché l’indomani lo aspettava una giornata massacrante!

E definirla “massacrante” era niente più di un indebito eufemismo: lo aspettavano quattro ore ininterrotte di ripetizioni con Hermione. Un programma troppo fatale per potersi permettere di rimanere a discutere su qualunque cosa con chiunque. Su quelle stupidaggini e con quel fallito, poi!

Perciò, lasciando Adrian a crucciarsi nel dubbio che non fossero venuti a capo di nulla e che una simile situazione di stallo non potesse che nuocere alla squadra, alzò i tacchi e se ne andò.

Il suo obbiettivo era allontanarsi dal compagno di casa il più possibile e nel minore tempo possibile. Stabilire un record, se non era troppo. E rifugiarsi tra le confortevoli braccia del suo dolce letto a baldacchino. Con quel suo materasso soffice… Quelle sue coperte setose… Quel suo cuscino morbido… Il solo pensiero bastò a inebriargli la mente.

Tornò tuttavia completamente sobrio nel scorgere chi si era appostato all’uscita del campo. Per lo stupore, più che altro. Perché in effetti tutto si sarebbe aspettato piuttosto che veder in quel luogo Blaise Zabini. L’unico studente di tutta Hogwarts che nutrisse una vera e propria avversione per tutto ciò che concerneva il Quidditch.

Dall’espressione che il compagno di casa fece nel vederlo comparire, inoltre, ebbe la demoralizzante impressione che fosse lì per lui. Cosa che confutò proprio quando Blaise lo salutò gioiosamente:

« Ehilà, Draco! Giusto te cercavo! »

Oh no, non anche lui!

Decise: se anche Blaise si era presentato con la folle intenzione di enunciargli la propria visione della sua situazione fisica e mentale… beh, allora si arrendeva in partenza. Non aveva la forza materiale per opporsi. In particolar modo, non a Blaise. Il ragazzo più scaltro e intelligente che avesse mai conosciuto.

« Che vuoi? » Domandò con un tono strascicato, tra il supplichevole e lo stravolto.

« Ah. » Dedusse Blaise in un mezzo sogghigno, mentre si avvicinava. « Ce la passiamo piuttosto male. »

Draco tacque, ma gli si rivolse con un’espressione piuttosto eloquente e Blaise la intese. Questo non gli impedì di ridacchiare malignamente. Anzi, forse fu proprio questo ad incitarlo a ridacchiare perfidamente. Sarebbe stato tipico di Blaise.

Gli scoccò uno sguardo stanco, ma evidentemente scocciato, e considerò aspramente:

« Sembri divertito dalla cosa… »

« Un po’. » Ammise Blaise con disinvoltura. « E’ bello vederti in difficoltà. »

« Oh si, certo. » Mugugnò sarcastico, scoccandogli torve occhiate di disappunto. « Splendido. »

« Ad ogni modo non sono qui per questo. » Soggiunse tranquillamente l’altro, avvicinandosi un poco di più a lui.

Draco gli rivolse una smorfia insofferente e domandò cauto:

« E allora per cosa? »

« Potrebbe darsi… » Rispose vago il compagno di casa. « … che sia per darti una bella notizia. »

« Una bella notizia? » Ripeté ironicamente, aggrottando la fronte con evidente sfiducia.

Che bella notizia poteva esserci?

L’unica abbastanza piacevole che gli veniva in mente era che Blaise avrebbe preso il posto di Hermione Granger nel dargli ripetizioni di Pozioni. Ma quello era impossibile. Quel ragazzo non avrebbe mai fatto una cosa tanto caritatevole. Né per lui. Né per nessun altro. E poi Blaise poteva anche essere un genio. Un genio a infinocchiare i deficienti di quella stupida scuola. Un genio a cavarsela in ogni situazione e uscirne sempre pulito. Un genio a portare avanti la sua vita in un paradiso di calma che si era costruito senza sforzo. Ma aveva comunque un’unica significativissima pecca: era un assoluto incompetente in pozioni.

Considerato questo, non vedeva come potesse portargli buone notizie.

« Non mi credi, Draco? » Continuò Blaise desumendo dalla sua espressione quelli che dovevano essere i suoi pensieri. « E invece si tratta proprio di una bella notizia. » Gli rivolse un ampio sorriso, in cui, però, intravide un’inquietante screziatura diabolica. « Altrimenti non vorrei condividerla con il mio compagno di casa preferito. »

Non poté fare a meno di impallidire.

Un’affermazione del genere – accompagnata da quell’espressione, tra l’altro – poteva significare di tutto. Magari che nel giro di qualche settimana l’avrebbe ucciso. Naturalmente poteva anche voler dire tutt’altro. C’erano infinite possibilità. Del resto si trattava di Blaise: qualsiasi altra cosa avrebbe voluto dire non sarebbe stata comunque meno preoccupante.

Ignorando la voce mentale che gli diceva di fuggire il più lontano possibile anche da Blaise, decise per lo meno di rendere quell’agonia il più breve possibile.

« Avanti. » Cercò di tagliar corto. « Dimmi quello che mi devi dire e finiamola qui. » Via il dente via il dolore, no? Si diceva così, di solito.

« Non posso dirtelo in questo modo: sarebbe troppo semplice. » Contestò beffardo Blaise. « Potrei darti degli indizi, però. »

Ecco, quello avrebbe dovuto aspettarselo da Blaise. Infondo a lui quel genere di ridicole cacce al tesoro a indizi erano sempre piaciute particolarmente. Soprattutto per il fatto che era l’indiscusso conduttore del gioco.

« … fa un po’ come ti pare… » Assentì esausto, traendo un lungo e profondo respiro.

Probabilmente, quello era l’unico modo che Blaise conosceva per tagliar corto. O comunque era l’unico che voleva dimostrare di conoscere in quel momento. Il che, comunque, per lui non faceva molta differenza.

« Bene! » Esclamò festosamente il Serpeverde. « Allora eccoti il primo indizio: si tratta di Potter e Weasley. »

Ah! Perfetto!

Ora si che l’aveva convinto che fosse una bella notizia! Se c’entravano loro due poteva anche stare tranquillo!

Ma era fuori di testa?! Quei due erano le persone che detestava di più al mondo! Loro, il loro carattere da sciovinisti incalliti e la loro nauseabonda amicizia! Che ovviamente consumavano in simbiosi con la loro immancabile compagna di disavventure. L’ultimo elemento di quel terzetto repellente. L’insignificante tirapiedi che seguiva ossequiosamente le due nullità, accollandosi remissivamente la responsabilità di mettere a posto i loro casini. La loro fan più accanita.

In poche parole, colei che era riuscita a fare della sua devozione per loro uno stile di vita: Hermione Granger.

Sentì un conato di vomito salirgli in gola.

Riflettere sull’esistenza di quelle tre inutili vite gli faceva sempre quell’effetto. Inoltre, lo sfregiato senza macchia e senza paura e il suo cagnolino lentigginoso avrebbero ripreso a rompergli le scatole di lì a qualche giorno. Quando sarebbero tornati da non voleva sapere dove per non voleva sapere cosa. Come aveva detto quel vecchio rugoso di Silente. E prima di allora, onestamente, non voleva sapere proprio niente di loro. Perciò che Blaise volesse trattenerlo o meno per il suo show di indovinelli, lui quella notizia non voleva sentirla!

« Ho cambiato idea: non mi interessa. Non voglio saperne niente. Preferisco che tu non mi dica nulla. »

« Ne sei convinto? » Insisté Blaise imperturbabile, fissandolo leggermente più freddamente. Assumeva un’espressione più dura quando qualcuno non stavano ai suoi ridicoli giochi. « Eppure io ti assicuro che questa non vorresti davvero perdertela. »

« E piantala! » Sbottò Draco seccato. Si era talmente innervosito al ricordo del ritorno di quei due che neanche l’idea di una possibile vendetta di Blaise gli faceva paura. « Cosa vuoi che me ne freghi di Potter e Weasley?! »

Ma a questa secca obiezione Blaise non rispose indurendosi. Al contrario, le labbra sottili del ragazzo si storsero in una mezza smorfia divertita. E gli scuri occhi a mandorla fiammeggiarono malevoli. Si stupì a provare un certo senso di repulsione nel guardare quella sua strana espressione. Ma l’obbiezione che Blaise gli rivolse gli fece dimenticare immediatamente quella sensazione:

« Non te ne frega neanche di sapere se torneranno a Hogwarts? »

Registrò nella mente quella frase e la risentì lentamente, decifrandone attentamente ogni parola.

Si girò verso di lui, squadrandolo con sospetto e, del resto, anche un poco di aspettativa: per quella volta delle cose che riguardavano Potter e Weasley gliene sarebbe potuto fregare qualcosa.

Siete rimasti delusi, non è vero?

Beh, mi dispiace moltissimo, naturalmente, ma è meglio che vi disilludiate subito, così non sarete costretti a leggere i molti altri capitoli di questa fanfiction in cui non ci sarà un’evidente nota sentimentale. Lo ripeto continuamente, in modo che non sfugga a nessuno.

Ora, dubbio esistenziale n° 1356: la marmellata della crostata che Draco ha supposto fosse all’arancia in realtà a che cos’era? Mio fratello ha accortamente dato la risposta giusta: all’albicocca. Il colore è identico e le confetture hanno i pezzi… morale della favola: mio fratello è un genio, mentre io, che quando mi è stata posta questa domanda da brava ebete ho risposto che non era importante, sono tutto il contrario. Seconda morale della favola: ogni cosa ha importanza.

Dopo avervi trasmesso la mia scoperta e avervi infuso la conoscenza, propongo i miei ringraziamenti a tutti coloro che hanno letto e commentato (o anche solo letto) il prologo di “The Draco anche Hermione’s Opera”.

Super gaia. Ho aggiornato abbastanza presto? Tra l’altro, penso che lo farò ogni lunedì e, credimi, da parte mia è davvero uno sforzo insperato… ho fatto anche aspettare mesi e mesi prima di aggiornare alcuni capitoli di altre storie. Sono contenta che ti piaccia il mio stile e la mia fanfiction, anche perché, in fin dei conti, ci ho investito parecchio. Sia a livello di tempo, che di aspettative. Diciamo pure che è una delle storie a cui tengo di più

Isabell. Hai un bellissimo nick, sai? Quando scrivo qualche storia fantasy c’è sempre una Isabel. Di solito è un gran bel personaggio. Una gran donna, in poche parole. Per quanto riguarda la tua convinzione che Draco ed Hermione si metteranno presto insieme ti invito a confidare nel tuo ottimismo. Io, al contrario, sono ancora molto scettica riguardo la mia bontà, e molto più sicura del mio sadismo... spero di riuscire a reprimerlo almeno per la fine della fanfiction e regalarti una bella conclusione zuccherosa. Ci riuscirò davvero? Mah, chissà!

La Demenza. Anche tu un nick bellissimo, ma per altri e molto più ovvi motivi. Comunque, tralasciando il nick, non c’è bisogno che io mi dilunghi in spiegazioni riguardo cosa penso del tuo commento: la nostra capacità telepatica ormai ha raggiunto il 100%. E per ovviare a possibili intoppi di comunicazione abbiamo sperimentato che macchina intelligente e favolosa sia il telefono, vero? Ok, ultima cosa: per chiunque stia leggendo queste righe dedicate a – rullo di tamburi – Bianca, l’essere stupidissimo e monocellulare in cui è identificata l’ente chiamato “mia migliore amica”, sappia che è al fatto che l’ho conosciuta che ho potuto scrivere questa fanfiction. Il merito perciò è anche suo.

Giugizzu. Caspita ma qui tutti avete nick favolosi! Sai, ho cominciato da poco una storia legata al mondo dei ninja, spronata dalla lettura di Naturo e Basilisk, e mi sono scaricata una specie di dizionario giapponese per comporre le tecniche dei miei personaggi. Giugizzu, oltre a ricordarmi Matrix e quant’altro, mi fa venire in mente anche Jutsuu, che è praticamente la parola che uso di più! Ok, sto dicendo stupidaggini… scusa: quando mi metto a parlare di cose che riguardano quello che scrivo non ragiono più! Tornando alla tua recensione… supponi che Harry e Ron siano stati reclutati per un addestramento, o comunque siano diventati Auror, giusto? Caspita! Vorrei tanto dirti se hai ragione a torto! Eppure temo dovrai essere paziente, per scoprirlo…

Kitty84. Hai ragione: è una vita che non ci si sente e che non ti trovavi a leggere qualcosa di nuovo scritto da me. Per l’aggiornamento mancato di Natale, chiedo venia, per l’aggiornamento settimanale di questa fanfiction, chiedo ancora una volta credito. Confido nei lettori che, come te, hanno deciso di darmene a tempo indeterminato. Cosa farei senza di voi?

FraFra. Io e te andremo molto, molto d’accordo: Draco ed Hermione si desidereranno fino allo sfinimento, tanto che ci metteremo tutti le mani nei capelli ad un certo punto, pensando a quanto io abbia preso alla lettera la tua speranza e il tuo implicito consiglio. No, scherzo, mi assumo ogni responsabilità per possibili asfissie future: è tutta opera mia. E comunque attenzione, ecco la mia minaccia: “The Draco and Hermione’s Opera” sarà peggio di Beautifull! (E sotto certi – molti – aspetti, spero, anche meglio. ^_^)

Hermione. Semplice ed esplicativo. Indovina un po’, mi piace anche il tuo nick. Sarà che è di una delle mie eroine! Ti sei lanciata in complimenti devastanti e hai fatto supposizioni intelligenti, inoltre hai menzionato il carattere dei personaggi, cosa a cui io tengo molto, e anche lì ti sei dilungata in grandi lodi (almeno, credo lo fossero). Felicissima di esserti piaciuta come autrice e di averti emozionato con il primo capitolo di questa fanfiction, sebbene tu ti sia definita una persona selettiva. Spero di essere all’altezza della tua considerazione anche in seguito.

Ithil. Questo lo posso dire, siccome ci sono anche tutti gli elementi per capirlo: Ron non è morto. Mi dispiace per chi sperava lo fosse, perché immagino la sua delusione (stessa delusione della sottoscritta quando J.K.Rowling ha deciso che Hermione non doveva essere il personaggio principale della storia, e Draco il suo partner fisso). Ad ogni modo, mi fa molto piacere che siamo d’accordo sul carattere di Draco: lui e il romanticismo sono due cose differenti, e, per quel che mi riguarda, continueranno ad essere tali.

Sabry. Neville… che puccioso! Sono contenta che ti piaccia! Piace anche a me, e avrà vendetta! Purtroppo non posso dirti cosa accadrà, ma Neville sarà un personaggio attivo in questa fanfiction, con mia somma gioia, per altro. COO… mh, interessante, cosa vuol dire? Perdonami l’abissale ignoranza e illuminami, ti prego!

Nightmare. Te lo chiedo spesso, ti assillo letteralmente con questa domanda, ma, del resto, mi è impossibile non portela: cosa farei senza di te? Sapere che esisti, che ci sei, è profondamente confortante per me. Ogni volta che metto on-line un capitolo penso al fatto che, sicuramente, tu commenterai… e la cosa mi tranquillizza come neanche immagini. Io non sono così affidabile: quante volte non ho lasciato neanche un commento per i tuoi capitoli, benché volessi, naturalmente? O ho lasciato in sospeso quelli che avrei dovuto farti in msn, benché, anche lì, ci tenessi? Direi… infinite. Infinite volte. Eppure tu hai sempre persistito nella tua gentilezza, ribadendo anche e ripetutamente che non si tratta di gentilezza, perché viene da te recensire quanto scrivo, è un tuo… desiderio? Posso dire desiderio? Non è equivoco, vero?^_^ Ecco, per tutto questo io ti ringrazio ancora una volta. Tornando a noi, e per noi intendo il significato più stretto del termine, perché quello più ampio ha un’altra sede di discussione – mh, bell’espressione: penso che la userò! – ti ho già spiegato perché ho cambiato titolo: questo è molto più altisonante e pretenzioso, più… “Draco e Hermione”, capisci? Il legame che voglio abbiano in questa fanfiction si riflette nel titolo che ho definitivamente scelto di usare. La storia della sua scoperta è ancora nitida nella mia testa: è stata una folgorazione durante una lezione di inglese: la mia insegnante stava parlando di John Gay e di The Busker’s Opera. Niente mi è sembrato più azzeccato e perfetto per la mia storia: me lo sono segnato sul mio quaderno degli appunti – che è un curiosissimo concentrato di appunti su un po’ tutte le materie e, per la maggior parte, di schizzi, dialoghi e trame delle più disparate storie – e a casa ho corretto su Word. E’ stato qualcosa di estremamente soddisfacente. Ed è stato altrettanto soddisfacente leggere che tu pensi che questa storia sarà anche più bella di You are my angel… io lo spero così tanto! Mi hai dato ancora una volta nuovo coraggio per affrontare… diciamo tutto. E mi riservo di spiegarti cosa voglia dire tutto in separata sede – altra frase piuttosto intrigate: userò anche questa. Per quanto riguarda il fatto che recensirai sempre e che mi vuoi bene… beh, non posso che ringraziare di nuovo, ti pare?

Kia91. Oh si! Ti capisco: anche io ho davvero bisogno capirci qualcosa in più. In realtà sono anche io molto preoccupata di non riuscire a sbrogliare tutto quello che ho in testa, ma una cosa è certa: vorrei che voi non vi preoccupaste troppo di quello che sembra il mistero principale di questa fanfiction, ovvero dove siano finiti Harry e Ron. In realtà il mistero principale è la capacità che hanno Hermione e Draco di darsi qualcosa a vicenda. Su quello state pure in apprensione finché volete: è anche il mio massimo cruccio!

Silvix. Che piacere trovarti anche qui! Allora ti sembra fantastica questa fanfiction? Bene, bene: sono proprio contenta. Ovviamente il mio intento è che risulti esattamente tale. Felice di sapere che per te è così! Felicissima, anzi. Che dici? Mi seguirai con calma e pazienza anche per questa lunghissima fanfiction? Ti preannuncio che nel mio immaginario sono almeno una trentina di capitoli. Che fai? Molli e resisti?

JessicaMalfoy. Presto… presto quanto? Io avevo in mente più o meno ogni lunedì, giorno più, giorno meno, perché è l’unico di tutta la settimana in cui non debba lavorare. Dici che potrebbe andare bene? Per me sarebbe perfetto, così intanto mi porto avanti: per ora l’ho scritta solamente fino al quinto capitolo e sto lottando strenuamente con il mio computer affinché mi faccia continuare a scrivere anche gli altri. Per ora siamo pari: io riesco ad aprire il file ma lui riesce subito a chiuderlo. E’ una situazione di stallo, ma dalla mia parte ci sono anni di esperienza. Sono sicura che riuscirò a spuntarla!

Eva-elamela. Ah, guarda, le cose stanno così: Malfoy è stronzo di natura, e la natura è irreversibile. Io non mi ci posso mettere contro. E poi c’è anche da dire che parte del suo fascino deriva proprio dalla sua stronzaggine, perciò sarebbe un sacrilegio estirparla dalla sua indole. Decisamente, Malfoy deve restare Malfoy. Infondo ci sono un sacco di altri aspetti del suo carattere e della sua vita su cui potersi sbizzarrire: perché privarlo del suo più grande pregio e peggior difetto? Sarebbe a dir poco disastroso persino ai fini della storia.

Et dulcis in fundo… Adbarg the dancer. Volete sapere chi è questo dolcissimo commentatore? Ma niente popò di meno che mio fratello! Il mio vero fratello! Devo essere sincera: l’ho minacciato che non gli avrei ricopiato la sua tesina per l’esame di maturità in ipertesto se non avesse recensito ogni capitolo di The Draco and Hermione’s Opera. Purtuttavia, Egli ha ammesso pubblicamente che non gli dispiace leggere la mia fanfiction! E questo è meraviglioso! Ha un po’ esagerato con le “sporche menzogne”, come le chiamiamo noi a casa, tipo quando ha scritto che sono una maestra dell’uso delle parole, ma del resto so che mi vuole tanto, tanto bene (beccati questo, stronzo: ora lo sa tutto il mondo che sei sorella-dipendente! Ah ah ah ah ah!) e che gli è piaciuto davvero il primo capitolo della storia. Purtroppo ha ancora qualche difficoltà a capire che Hermione è una gran brava ragazza, e che Draco non è del tutto un perdente… ma a parte ciò, si è lasciato sfuggire che loro due sono una coppia perfetta! Magnifico, no? Ah, Filippo… TI ADORO! (E siccome l’ho gridato in tempo reale mentre lo scrivevo, sappiate che ha avuto un attacco di cuore ed è rantolato a terra agonizzante… vado a dargli il colpo di grazia!)

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Capitolo 3
*** La nemesi naturale [parte seconda] ***


Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera

Seppur con 12 ore di ritardo, ecco a voi il terzo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera!

A questo punto vi prego di ricordare la precisazione sui diritti d’autore che ho ribadito all’inizio del capitolo precedente, e mi costringo a rinnovare per l’ennesima volta la lentezza esasperante che caratterizzerà questa fanfiction e, più precisamente, il rapporto tra Draco e Hermione. So che in questo modo divento noiosa, ma mi dispiacerebbe troppo se qualcuno di voi, fosse anche uno solo su cento, si ritrovasse deluso per una cosa del genere: io detesto che le mie aspettative su certe questioni particolari vengano sistematicamente deluse!

Per quanto riguarda il contenuto di questo capitolo, posso anticiparvi che Harry e Ron saranno i protagonisti della prima parte e cominceranno a spiegare un po’ di cose della loro nuova vita. Ma soprattutto posso dirvi che è una sola parola a determinare l’inizio del vero cambiamento per Draco e Hermione, e quella parola si trova alla fine di questa pagina Web.

Vi ho incuriositi almeno un po’?

Ah, volevo anche dirvi che l’aggiornamento di settimana prossima salta: sono troppo presa col lavoro e con la maturità di mio fratello. Perciò, il quarto capitolo slitta a lunedì 12! (Mi spiace -_-)

The Draco and Hermione’s Opera

3° capitolo.

La nemesi naturale [parte seconda]

*** *** ***

You can be a dream of the grandest kind
You can withhold like it’s going out of style
You have the bravest heart that I’ve ever seen
And I’ve never met anyone who's as positive
as you are sometimes

Tu puoi essere un sogno della miglior specie
Tu puoi fingere che non sia nel tuo stile
Tu puoi avere il cuore più coraggioso che io abbia mai visto
E io non ho mai incontrato nessuno di così buono
come sei tu a volte

(Everything - Alanis Morissette)

*** *** ***

Mercoledì 13 Novembre. Ore 7.32
Londra.
Grimmald Place n° 12.

Camminava frettolosamente su e giù per la stanza. Passi brevi, ritmati. Secchi. Irritanti. Che schioccavano sul pavimento impolverato rimbombando per la vecchia casa diroccata. Si bloccò un secondo, per lanciare uno sguardo nervoso alla porta dimessa sulla sua sinistra, poi riprese la sua frenetica marcia.

« Ron, vuoi stare un po’ fermo?! » Sbottò spazientito il ragazzo seduto sul vecchio e rattoppato divano posto lì vicino. « Mi stai facendo venire il mal di testa! »

« Non ci riesco, Harry! » Replicò irrequieto, passandosi ansiosamente una mano tra i folti capelli rossicci. « Sono troppo agitato! »

« Già beh… questo lo vedo anche da me. » Commentò stizzito l’altro, notando con fastidio che non accennava minimamente a fermarsi.

« E’ perché non capisco per quale ragione debbano metterci così tanto! » Cercò di giustificarsi, inquisito dall’espressione infastidita dell’amico. Che, tra l’altro, non capiva come potesse starsene così tranquillo!

« Se è per questo non lo so neanche io. » Dichiarò piccato Harry, lanciando un veloce sguardo verso la stessa porta che aveva attirato la sua attenzione. « Ma non possiamo farci niente. Perciò fammi il favore di sederti. »

Esitò sul posto vuoto accanto all’amico.

In verità avrebbe preferito continuare a girare a vuoto per la stanza. Gli dava l’idea che l’avrebbe aiutato a rilassarsi. Del resto preferiva non discutere con Harry. Era una di quelle cose che nell’ultimo periodo era meglio evitare. Per un’infinità di motivi. Non ultimo dei quali il fatto che Harry non gli avrebbe risparmiato niente: se ci fosse stato da combattere, in qualsiasi modo questo potesse essere inteso, Harry sarebbe partito con un affondo. Avrebbe giocato per vincere, insomma.

E, di certo, contro di lui avrebbe vinto.

« Allora, ti siedi o no? » Insisté il moro inarcando un sopracciglio con disappunto.

Si affrettò ad obbedire e si sedette.

Questo, tuttavia, proprio come aveva temuto, non lo aiutò a rilassarsi. Cominciò a torcersi rumorosamente le dita delle mani. Si mise d’un fianco, poi dall’altro. Si grattò la testa un paio di volte. Poi ritornò nuovamente a sistemarsi sul divano. Accavallò una gamba, la rimise a posto. Accavallò l’altra, e rimise a posto anche quella. Si mise le mani in tasca. Se le tolse. Se le mise sulle ginocchia. Se le rimise in tasca. Se le ritolse. Stette anche per allungarle per prendere uno dei verdastri cuscini posti presso i braccioli, per metterselo dietro la nuca, ma un urlo proveniente dalla sua sinistra gli fece fare un salto di qualche metro impedendogli qualsiasi altro movimento.

« Ma vuoi stare fermo?! »

Era Harry, naturalmente. Ed era furioso.

« S-scusa, Harry… » Balbettò timidamente, ritraendo lentamente la mano. « Adesso sto fermo… »

« Sì, d’accordo! » Stridé l’amico con fervente ironia. « Però sta fermo davvero questa volta! »

« Sì, sto fermo… » Garantì Ron col viso rosso per la vergogna.

« Eh! Speriamo! » Esclamò esasperato Harry, lanciandogli uno sguardo inequivocabile.

Assolutamente inequivocabile.

Tanto inequivocabile che emettere il minimo rumore a quel punto cominciò a sembrargli pericoloso. E, restando in tema, aveva paura che Harry potesse schiantarlo se si fosse anche solo permesso di respirare troppo rumorosamente. Cosa che costituì uno sforzo immane per lui. Lo sarebbe costituito anche in condizioni normali, figuriamoci in quelle! Era praticamente divorato dall’ansia: un respiro regolare era l’ultima cosa che poteva aspettarsi dai suoi nervi. Ma tenne duro. E per diversi attimi, anche.

Fino a quando, almeno, Harry non ebbe la strepitosa idea di spezzare quel già precario silenzio di propria iniziativa, facendogli venire la pelle d’oca:

« Senti, Ron… »

« Scusa! » Intervenne rapido, prima che l’amico potesse dire altro, con in viso un’espressione profondamente mortificata. Lo sapeva! Alla fine dei conti, i suoi nervi l’avevano fregato! « Non me ne sono accorto! Lo giuro! Non volevo fare ancora casino! Lo giuro! »

Harry lo guardò interdetto per qualche attimo. Le sopracciglia inarcate. Gli occhi confusi. Scosse il capo dopo qualche attimo, e si preoccupò di tranquillizzarlo, seppur mantenendo un’espressione leggermente contrariata:

« Non hai fatto casino, Ron. Si vede solo che sei agitato… e volevo dirti che secondo me non ce n’è bisogno. »

Rimase un attimo zitto, guardandolo come tra il frastornato e l’intontito. Si era spaventato a morte per niente. Bella roba. Stava proprio andando fuori di matto. E Harry gli stava ancora dietro. E tentava di consolarlo, persino. Chinò il capo, affranto.

« Scusami… »

Pensò fosse doveroso scusarsi.

Ma lo fece a torto: Harry, che sembrava essersi calmato, a quel punto tornò dell’idea che innervosirsi con lui fosse la cosa più giusta da fare.

« Non è che adesso devi scusarti per tutto, Ron! » Sbottò infatti irritato. « Volevo solo provare a farti stare un po’ più tranquillo! Tutto qui! »

« Sì, certo… » Ebbe nuovamente l’istinto di aggiungere alla sua accorata risposta un avvilito e corposo “scusa”, ma se lo ingoiò quando vide lo sguardo di Harry, pronto a incenerirlo qualora l’avesse fatto.

Perché non gli piaceva che gli altri fossero troppo servizievoli. Specie le persone che gli erano più vicine. Come lui. Ma la verità era che di fronte all’Harry di quel periodo era molto difficile non sentirsi automaticamente vincolati a dimostrare una certa remissività. Non era sempre stato così, certo. Nel senso che non si era sempre sentito così inferiore da provare l’incontrollabile desiderio di scusarsi ogni volta che Harry apriva bocca. C’erano cose che gli aveva sempre invidiato, questo era vero. Cose di lui che avrebbe voluto per sé. Perché Harry, sì… era speciale. L’aveva sempre saputo. E, per dirla tutta, gli era sempre piaciuto anche per questo. Ma l’aura di preminenza che lo attorniava da qualche tempo a quella parte era molto diversa dal suo solito essere speciale. Ed era inespugnabile. Per tutti. Anche per lui.

Anzi… soprattutto per lui.

Se ci pensava era così buffo. Buffo, che il suo migliore amico potesse apparirgli così lontano. Irraggiungibile, addirittura. Era una cosa che non avrebbe mai detto solo qualche mese prima. Una cosa che non avrebbe mai voluto dire.

« Ron, ma mi stai ascoltando? » Gli domandò scocciato Harry, scrollandolo energicamente per una spalla e, quindi, riportandolo bruscamente alla realtà.

« Eh? » Cadde dalle nuvole lui, guardandolo come inebetito. « Hai detto qualcosa? »

« Beh sì. » Si stizzì il moro, inarcando un sopracciglio con fastidio. « A dire il vero ne ho dette un sacco di cose. » Le labbra si storsero in una lieve smorfia. « Ma immagino che tu non ne abbia sentita neanche mezza. »

E prima che Ron potesse negare vigorosamente, nel vano tentativo di convincerlo del contrario, un rumore sulla sinistra attrasse fulmineamente loro attenzione.

Un rumore particolare: il cigolio inconfondibile di quella porta.

Scattarono entrambi in piedi. E questa volta riuscì a distinguere nitidamente l’opera dei propri nervi sulla sua respirazione. Sembrava quella di un asmatico. E non conosceva alcuna maniera per farla tornare normale. Pregò mentalmente che Harry non se ne accorgesse.

Ma la verità era che Harry non si sarebbe accorto di lui neanche se si fosse messo a ballare il tango con un mobile stregato. Di questo però se ne rese conto solo quando vide sbucare dall’antro scoperto Lupin, Moody e qualche altra vecchia conoscenza. A quel punto, infatti, anche lui non riuscì a capire più niente. Perché erano giunti ad un verdetto.

E se era così agitato, era proprio per quel verdetto.

« Allora? » Domandò rapido il ragazzo di fianco a lui. I muscoli del viso e delle spalle leggermente ma nitidamente contratti dalla tensione. « Avete deciso? »

« Sì. » Annuì Remus, dopo qualche attimo di silenzio.

Ci siamo.

Provò improvvisamente uno smodato desiderio di fuggire in Alaska. Ma non fece neanche in tempo a ideare l’itinerario di viaggio…

« D’ora in avanti siete ufficialmente membri dell’Ordine della Fenicie. »

Notò l’espressione e le spalle di Harry rilassarsi placidamente. Una sorta di sorriso disegnarsi sulle sue labbra. Lo sguardo farsi tranquillo, e diventare sicuro. Per dirlo in una parola: soddisfatto.

Infondo, si chiese, perché non avrebbe dovuto esserlo? Anche lui avrebbe dovuto esserlo. Invece non lo era poi così tanto.

Perché, forse, non era quello il verdetto che avrebbe voluto sentire.

Lupin si schiarì la gola e fece un passo in avanti:

« Però, Harry, avremmo deciso anche un’altra cosa. »

Vide l’amico scrutare l’uomo con aria circospetta.

« Cioè? »

« Cioè che prima di portarvi con noi in missione faremo passare un po’ di tempo. »

« Come?! » Esclamò Harry allibito.

« Abbiamo le nostre ragioni, ragazzo. » Sostenne burbero Moody.

« E quali sarebbero? » Domandò impetuosamente Harry. Le spalle nuovamente tese. L’espressione nuovamente contratta. Gli occhi duri come il ferro, che sfidavano con irriverenza l’uomo di fronte a lui.

« Perché non ti siedi. » Propose Lupin cercando evidentemente di eludere l’argomento. « Così possiamo parlarne con più calma. »

« Non voglio sedermi! » Insistette Harry con una voce impercettibilmente più acuta. « Voglio sapere perché non posso venire in missione con voi! »

« Abbassa la voce, ragazzo. » Sentenziò seccamente Moody, impedendo a Lupin di prendere nuovamente la parola. Anche se, per quel che gli riguardava, sarebbe stato meglio se l’avesse lasciato continuare. Aveva un tipo di approccio migliore… E Harry stava già arrivando al limite della sopportazione. « E’ una decisione che abbiamo preso tutti insieme. »

« E io voglio sapere perché! » Ribadì alterato il ragazzo.

« Perché non avete abbastanza esperienza. »

Ahia…

Lupin si portò una mano sugli occhi e scosse lentamente il capo. Gli altri trattennero il respiro. Harry, invece, rimase semplicemente impietrito.

« N-non abbiamo abbastanza esperienza?! » Replicò incredulo dopo un brevissimo attimo di totale smarrimento. Stridè in una mezza risata strozzata: « S-state scherzando, vero? » Sperò anche lui che fosse così, altrimenti non sapeva cosa sarebbe potuto accadere. Ma non stavano scherzando. E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. « Voi non potete dire sul serio! Questo non può essere possibile! »

« Harry, calmati… » Gli mormorò, afferrandolo per un braccio.

Il ragazzo si divincolò facilmente dalla presa. Uno strattone violento. Uno sguardo di fuoco. Un sibilo gelido:

« Tu sta’ zitto. »

E lui tacque.

« Harry… » Soggiunse incerto Lupin, facendosi coraggio. « Cerca di capire: siete appena usciti dall’accademia. Vi hanno addirittura fatto fare selezioni che abitualmente avreste potuto fare solamente al termine della scuola. E ora vi prendiamo nell’Ordine. Almeno per le missioni sul campo preferiremmo che aspettaste. »

« Io di missioni sul campo ne faccio da quando avevo 11 anni. » Gli fece astiosamente presente Harry, scoccandogli un’occhiata rovente. « E se non ve ne siete accorti, sono sempre sopravvissuto! »

« Ce ne siamo accorti, Harry. » Assicurò Lupin con intensità. « Solo che… »

« Solo che, cosa? » Lo interruppe furioso il ragazzo.

« Adesso calmati, Harry. »

Una richiesta che gli era già stata posta diverse volte, ma a cui questa volta non poté sottrarsi.

Perché l’unico uomo che riusciva ancora a tenergli testa era Albus Silente. Ed era stato Albus Silente che aveva parlato per ultimo.

Era sbucato alle spalle di Lupin, improvvisamente. Ma non doveva essere lì da poco. Probabilmente, anzi, aveva preso parte alla riunione che si era tenuta per decidere per la loro ammissione nell’Ordine. I suoi genitori avevano preferito non esserci: avevano già espresso la loro opinione su quella faccenda. Silente, invece, evidentemente era stato di tutt’altro avviso. Infatti né Lupin, né Moody, né nessun altro sembrava sorpreso dal suo arrivo. Solo lui e Harry ci erano rimasti di sasso.

Anche perché, infondo, non lo vedevano da almeno tre mesi.

« Ti prego di avere fiducia in noi, Harry. » Aggiunse poi placidamente il preside, facendosi lentamente ma inesorabilmente avanti. « Sei un membro dell’Ordine, adesso. Devi fidarti dei tuoi compagni e delle loro decisioni. »

Lo disse gentilmente, con quella sua voce flebile. Stemperata. Un poco rauca forse. Che però lasciava andare con forza. Quella voce che imponeva obbedienza. A chiunque. Anche a Harry. E infatti a Harry non riuscì altro che obbedirle, e calmarsi. E decise anche che non aveva più nulla da dire, così se ne andò. Sconfitto.

Supponeva che probabilmente, ancora per un po’ di tempo, sarebbe stato quello l’esito degli scontri tra il suo migliore amico e Albus Silente. Il che, lo ammetteva, gli procurava un certo sollievo.

Anche Lupin e Moody se ne andarono, dopo essersi scambiati un’occhiata d’intesa e aver salutato cortesemente Silente. Non salutarono anche lui. Si erano come dimenticati della sua presenza mentre stavano discutendo e se ne stavano dimenticando anche a quel punto, che era davanti ai loro occhi. Perché era come invisibile per loro.

Silente invece gli si avvicinò. Ma non gli parve strano: Silente si avvicinava sempre alle persone che sembravano invisibili.

« Signor Weasley! Buongiorno! » Lo salutò cordialmente.

« Salve Professor Silente… » Ricambiò il saluto, chinando un tantino il capo. Era un riflesso incondizionato. Che però non aveva niente a che fare con la soggezione.

« Ah, Signor Weasley, temo che lei non possa più chiamarmi in quella maniera. » Esclamò sorridendo affabilmente il preside. « Non è più un mio studente. »

Ricambiò l’ampio sorriso che gli veniva rivolto con un sorriso stentato.

« Ha ragione, mi scusi. » Non era più un suo studente.

Non lo sarebbe mai più stato.

« Allora, Signor Weasley… » Gli si rivolse con genuino interesse Silente. « Come sta? »

« Bene, grazie. » Rispose timidamente. « E lei? »

« Oh, benissimo. » Replicò il preside, mentre una scintilla briosa gli ravvivava lo sguardo ridente. « Ho un po’ di dolori alla schiena, nell’ultimo periodo, ma in fin dei conti non mi posso lamentare. Anche perché… » Aggiunse in confidenza, gongolando un poco. « … la Professoressa Sprite mi ha garantito un farmaco speciale per rimettermi completamente in sesto! »

« Sono contento per lei. » Asserì sinceramente. Silente meritava tutto il bene del mondo. Lo meritava davvero. Come, forse, nessun altro.

Ad ogni modo, a quel punto il preside cominciò a dilettarlo con l’enumerazione dettagliata degli elementi che componevano quel “farmaco speciale”. E mentre li enumerava, gli occhi gli brillavano. Perché parlava anche della scuola. Della sua scuola. Di Hogwarts. E dei suoi studenti. Di come molte delle erbe che servivano le avessero curate loro durante le ore di Erbologia. E lui lo ascoltava attentamente, senza perdersi una parola. Incantato. Pendeva dalle sue labbra, quasi. Perché era veramente qualcosa di unico sentir parlare di Hogwarts da Albus Silente.

Tutto quello però gli fece anche venire in mente una cosa importante. Una cosa che voleva chiedergli. Che voleva sapere. Su cui si informava periodicamente. Con solerzia. In effetti l’aveva già domandato a Ginny, qualche settimana prima, ma era passato un po’ di tempo e voleva sentirselo dire di nuovo. Aveva bisogno di sentirselo dire di nuovo.

« Ehm, Professor Silente… » Esordì incerto. Sentì una vampata di calore espandersi rapidamente per tutto il corpo.

« Si? » Lo sollecitò con curiosità il preside.

« … ma secondo lei… » Trasse un lungo sospiro. Il cuore pompante. Le mani umide. Sudate. « Secondo lei a scuola sanno già che io e Harry non frequenteremo… insomma… l’ultimo anno? »

Silente non rispose subito.

Lo guardò, prima, con intensità e gli rivolse un piccolo sorriso. Un sorriso po’ diverso dagli altri, a dire il vero. Che aveva qualcosa di strano. Di tremendamente strano. Un sorriso che non seppe, né volle decifrare. Che lo rendeva nervoso.

Poi però gli rispose con gentilezza, come al solito, dicendogli proprio le parole che voleva sentire:

« No, credo proprio di no, Signor Weasley. »

Annuì leggermente, scacciando dalla mente l’immagine scomoda di quel sorriso e concentrandosi solamente su quanto gli era stato detto. Perché quella era una delle cose che più lo tormentavano: che si spargesse per la scuola la voce che loro non sarebbero più tornati. Ma quando si sentiva dire che era ancora tutto a posto si tranquillizzava. Perché dopotutto lui avrebbe persino voluto che non lo sapesse mai nessuno. Anche se era proprio impossibile come cosa, avrebbe voluto che nessuno pensasse o dicesse niente. Avrebbe voluto, quasi, che nessuno si ricordasse della loro esistenza.

Sì, sarebbe andato bene. Così nessuno avrebbe potuto chiedere di loro.

Perché non avrebbero chiesto a Ginny. Non a Dean. Non a Neville. Non a Seamus. Né tanto meno ad Hagrid.

« Oh, mi scusi Signor Weasley, ma adesso devo proprio andare. »

« Ah… d’accordo. »

No… non avrebbero chiesto a nessuno di loro.

« Comunque per me è stato un vero piacere incontrarla, Signor Weasley. »

« Sì… anche per me. »

Non a loro…

« Allora arrivederci! E in bocca al lupo per il suo nuovo lavoro! »

« Sì… grazie. »

… ma a lei.

A lei… anche se stava già soffrendo abbastanza.

Avrebbero chiesto a lei, ricordandole perché stava soffrendo. E per chi. E l’unica cosa che poteva fare era sperare che nessuno si accorgesse di niente. Ma la verità era che era solo questione di tempo.

Magari era stato proprio quello il significato di quel piccolo sorriso rivoltogli da Silente. Che era solo questione di tempo. Che prima o poi qualcuno gli avrebbe detto che a Hogwarts tutti sapevano quello che lui non avrebbe mai voluto far sapere. E che lei, perciò, sarebbe stata nell’occhio di un ciclone che non avrebbe saputo gestire.

E a quel punto non avrebbe più potuto far intervenire Silente. Non avrebbe più potuto chiedergli di non dire niente. O di inventare una scusa. Perché non avrebbe funzionato come all’inizio dell’anno.

Non ci sarebbe stato più nessuno che avrebbe potuto aiutarla.

E, magari, nessuno si sarebbe accorto di niente…

Magari, nessuno si sarebbe preoccupato…

Per lei…

Che gli mancava…

Che gli mancava veramente…

Che gli aveva sempre parlato di tutto. Che aveva sempre trovato il modo di litigare. Anche per le cose più insignificanti. Che l’aveva sempre fatto sentire stupido, ignorante, gretto, insensibile… ma non invisibile. Mai invisibile. Che era sempre stata oppressiva e pedante. Che l’aveva sempre rimproverato per un sacco di cose. Che l’aveva sempre chiamato con insistenza. Che l’aveva sempre sgridato per tutto. Che aveva pianto per le cose più sciocche. E gli aveva sempre tenuto un posto vicino a lei. Con un sorriso.

Un sorriso tutto speciale.

Solo per lui.

E lui…?

Lui … cosa aveva fatto?

Lui cosa… si era permesso di fare?

Se n’era andato. Semplicemente. L’aveva lasciata indietro. Semplicemente.

Semplicemente… si era permesso… di lasciarla indietro…

Sentì gli occhi gonfiarsi.

Maledizione…

*** *** ***

Venerdì 15 Novembre. Ore 14.14
Hogwarts. Sala Grande.

« L’avete sentito anche voi?! » Strepitò in un grido debitamente soffocato una voce eccitata. « Ma allora è vero! »

« Certo che è vero! » Bisbigliò prontamente un’altra voce.

« E’ una cosa veramente incredibile. » Si unì al brusio un altro sussurro. « Chi l’avrebbe mai detto… »

« Io lo sapevo. » Intervenne qualcuno saccente.

« Lo sapevi?! » Fecero in coro tre o quattro voci, sbalordite.

« Beh… » Esitò un po’ meno spavaldo chi aveva appena parlato. « … lo immaginavo. »

« E perché? » La incalzarono curiose le altre voci.

« Ma, su, voi non ve ne siete accorte?! »

« No! » Negarono interessatissime, cercando – ormai invano – di mantenere un tono controllato.

« Harry Potter faceva di tutto per farsi notare. » Spiegò petulantemente chi pareva saperne più di tutti lì dentro. « Così gli avrebbero permesso di diventare Auror prima del tempo. E con la popolarità di cui gode non dev’essere stato difficile ottenere il consenso del Ministro della Magia. »

Mmh… ma non hanno nient’altro da fare, queste qui?!

« Cosa?! » Squittì acutamente tutto il resto della comitiva.

« Anche io ho sentito qualcosa del genere! » Proruppe una nuova voce. « Mi hanno anche detto che li hanno fatti diventare Auror… » Abbassò un poco il proprio tono. « … senza una regolare selezione. »

« Ma questo non è giusto! » Si indignò qualcuno, evidentemente punto sul proprio senso dell’equità e della giustizia. « Non possono sempre favorirlo solo perché si chiama Harry Potter. »

Beh, più che ingiusto quello non era proprio vero. La selezione l’avevano fatta eccome! Diamine, li aveva accompagnati lei!

« E Ron Weasley? » Domandò ad un tratto una timida vocina. « A me non sembrava che tentasse di farsi notare. »

« Quello è perchè i Weasley non riescono a farsi notare. » Commentò sfacciatamente la stessa voce che aveva snocciolato la ovvia spiegazione della situazione. « A meno che non si parli dei loro problemi. »

Noi Weasley cosa faremmo?!

Cercò di mantenersi calma. Cercò di non starle a sentire.

« E Hermione Granger? »

Si levò uno sciame di acutissimi gridolini.

Infondo era lei il vero argomento di discussione. La vera protagonista del gossip scolastico. Un gossip che, per altro, era stato appena sussurrato solamente la sera prima, dalle schiere dei Serpeverde, ma che si era diffuso facilmente, come un morbo epidemico, e aveva già infettato tutta Hogwarts. Quella mattina, infatti, tutti avevano dimostrato di conoscere almeno quindici versioni diverse della storia. Ed erano tutte versione piuttosto colorite e discordanti. C’era solo un punto in comune tra tutte le varianti: la commiserazione forzata o accorata di un’Hermione caduta in disgrazia.

Di un’Hermione lasciata sola.

Ed era questo che non sopportava: potevano accanirsi con Harry e Ron fino allo sfinimento. Tanto meglio! Era quello che voleva! Era la giusta punizione per quello che avevano fatto! Non erano certo degni di venir difesi! Ma con questo Hermione non aveva niente a che fare! E non sopportava quel chiacchiericcio insulso come non sopportava che le persone avessero la sfacciataggine di chiedere spiegazioni proprio a lei! Come a colazione, per esempio, quando almeno una decina di persone le si erano affiancate con questo scopo. Quella gente non aveva neanche un minimo di sensibilità!

« Oh! Hermione, poverina! » Gemette una voce strozzata. « Io ho sentito che ha rivelato a Harry di essere innamorata di lui e che gli ha detto che aspetterà fino a che lui non avrà sconfitto Colui-che-non-deve-essere-dominato! Che coraggio! »

« No! Ma cosa dici?! » Smentì subito qualcuno. « Guarda che lei è innamorata di Ron Weasley! Lo sanno tutte! »

Di fantasia, invece, a quanto pareva ne avevano a sufficienza.

« E allora l’avrà confessato a lui il suo amore, no? » Concluse pratica un’altra voce.

« Ma no! » Contestò fervidamente chi aveva sostenuto per prima una teoria sulla Grifondoro. « Lei ama Harry! »

« E’ vero! » La sostenne una compagna. « L’hanno detto anche a me! Ma ho sentito che Harry l’ha rifiutata! »

Santo cielo…

« No! Ma dai?! » Esplosero dirompenti tutti i presenti.

« Ma sì! Vi dico di sì! » Ribadì con convinzione chi era intervenuta. « Le ha detto che non poteva amarla perché era la sua migliore amica. Anzi… » Cambiò improvvisamente idea. « le ha detto che non poteva amarla perché non voleva che Ronald Weasley, che era innamorato di lei, ne soffrisse. Perché per lui la loro amicizia era la cosa più importante del mondo. »

« Oh, che dolce! » Sospirò qualcuno in adorazione.

No, non era dolce… era vomitevole! Ma come potevano dire certe cose?!

« Voi non avete capito proprio niente. Né di Hermione Granger. Né di quello che è successo. »

Trasse un lungo profondo respiro: conosceva quell’insopportabile voce da serpente. Ci mancava solo che quella lì! Cercò di non prestarle attenzione: se non l’avesse fatto non sarebbe riuscita a trattenere l’istinto di prenderla a sberle.

« Lo volete sapere o no come sono andate veramente le cose per quel trio di falliti? » Chiese dunque Pansy Parkinson, senza preoccuparsi di abbassare la voce e ottenendo un vivido consenso dalla folla.

Calma Ginny. Devi stare calma.

« La verità è che della Mezzosangue e di Lenticchia allo Sfregiato non glien’è mai fregato niente. »

Un fremito di rabbia la scosse da capo a piedi. Va bene che Harry e Ron meritavano di essere insultati, ma non in quel modo! E non da lei! No! doveva stare calma. Doveva essere superiore. Doveva fingere che nessuno stesse dicendo nulla.

« La verità è che lo Sfregiato ha sempre avuto in mente solo di fare l’eroe e non appena ha potuto ha cercato di liberarsi dei pesi morti che si portava dietro qui dentro. »

Superiore. Io sono superiore a tutto questo.

« Ma Lenticchia gli è rimasto appiccicato. Per elemosinare un po’ della sua fama. Perché infondo elemosinare è la cosa che gli riesce più naturale considerando che proviene da una famiglia di pezzenti. »

Serrò la mascella e il palmo della mano. La piuma che aveva tra le dita si spezzò.

« Ginny, stai calma… » Le sussurrò Dean prontamente.

« Invece la Granger non c’è riuscita. »

Sentì un brivido gelido salirgli infidamente lungo la schiena.

« A restare appiccicata all’idolo dei perdenti, intendo. Perché la cara Mezzosangue non è stata abbastanza convincente e non le hanno neanche fatto fare la selezione. E’ stata scartata a priori.» Sebbene non potesse vederla, le parve di scorgere il ghigno maligno di Pansy allargarsi su quell’insopportabile faccia da schiaffi. « Infondo essere scartati è il massimo che può aspettarsi da questo mondo. »

Vipera…

« E infatti anche i suoi cari amichetti l’hanno scartata. »

Vipera!

« Perché lei è uno scarto! »

Sbatté violentemente una mano sul tavolo e scattò in piedi. Fu questione di un secondo. Anzi, di una frazione di secondo. E Pansy si ritrovò puntata contro una bacchetta. La sua bacchetta, per la precisione.

Tutta la Sala Grande si ammutolì.

« Prova a ripeterlo. » Ringhiò a denti stretti. Sentiva il corpo tremare dalla rabbia. Una rabbia incontenibile. La sua mano destra però restava saldamente serrata attorno alla bacchetta. Serrata e ferma: se si fosse ancora permessa di insultare Hermione le avrebbe scagliato addosso la magia più potente che conosceva. L’avrebbe fatto. Le conseguenze non le importavano. « Prova a ripetere quello che hai detto, se ne hai il coraggio. »

« Cosa c’è, Weasley? » La provocò stranamente temeraria Pansy, con l’aria trionfante di chi non può essere scalfito da nulla. « La verità fa così male? »

« Te la sei cercata, Pansy! » Esclamò Ginny furiosa, rinsaldando con forza la presa sulla bacchetta.

E avrebbe fatto ben altro che quello se solo, dalle sue spalle, non fosse sopraggiunta la voce inquisitoria di Minerva McGranitt:

« Cosa sta succedendo qui? »

Non fece neanche in tempo a capire cosa stava succedendo, che Pansy strillò acutamente:

« Professoressa! Mi aiuti! La Weasley è impazzita di colpo e vuole colpirmi con un incantesimo! »

Le scoccò uno sguardo sgomento: che razza di faccia tosta! Che razza di infida bugiarda! E le aveva anche dato l’aria di una persona temeraria! Quella lurida vigliacca! L’indignazione spaventosa che provò in quell’istante verso quella sottospecie di arpia dalla lingua biforcuta fu tale da paralizzarla. Non fu però tale da paralizzare la McGranitt, che, al contrario, con un cipiglio inarrestabile avanzava verso di loro, alla ricerca di una visione precisa della situazione.

Tutti i ragazzi che si erano addensati intorno a loro si dileguarono immediatamente, mentre lei uscì dal suo immobilismo troppo tardi per fare qualsiasi cosa. E quel “qualsiasi cosa” comprendeva sia rimediare al casino che stava per creare alla propria casa, sia completare l’opera iniziata, e cioè mettere fuori gioco Pansy Parkinson – nel peggior modo possib ile, tra l’altro – mettendo così nei casini la propria casa per una buona ragione. Ci fu però chi parve registrare la situazione giusto un attimo prima di lei. Sentì infatti che qualcuno le sottraeva la bacchetta di mano e che la gettava con rapidità sotto il tavolo. Il tutto, schermato dai corpi ben allineati di due complici con una stazza utile.

« Signor Finnigan! Signor Paciock! » Eruppe infastidita la professoressa, trovandosi di fronte una specie di muro umano. « Vi spiacerebbe spostarvi? »

« Stanno solo cercando di distrarla, professoressa! » Gracchiò Pansy con fervore, additandoli uno per uno freneticamente.

« Questo lo vedo anche da me, Signorina Parkinson. » Commentò acida la McGranitt. « E ora fuori dai piedi, voi due. » Ordinò poi irremovibile. « E’ con la Signorina Weasley che voglio parlare! »

Neville e Seamus si scambiarono una breve occhiata d’intesa con Dean, che l’aveva affiancata e che dallo sguardo forzatamente innocente sembrava colui che aveva fatto volare via la sua bacchetta. Dopodiché aprirono un reverenziale varco tra di loro.

La McGranitt li superò senza troppi complimenti. Non li guardò neanche in faccia. Anche perché non c’era affatto bisogno che quella donna incentivasse il suo severo disappunto con un’occhiata. Era letale il suo solo invincibile incedere a testa alta. L’espressione era un specie di bonus che riservava per tutt’altra risma di gente, non certo per loro. Un po’ come i suoi rarissimi sorrisi. Quelle curiose incurvature della lastra di marmo grigio misteriosamente arricciata che aveva al posto della bocca, riservate solamente all’intelligenza brillante di Hermione.

« Allora, Signorina Weasley? » La inquisì la McGranitt, dall’alto della sua invalicabile risolutezza. « Stava per caso cercando di lanciare un incantesimo alla Signorina Parkinson? »

« Con quale bacchetta? » Intervenne prontamente in sua difesa Dean, con una sfacciataggine che gli costava davvero molto. Non era il tipo da forzare la furbizia per affrontare un professore. Se doveva, preferiva essere diretto. Ma le era anche troppo affezionato per gettarla in un casino solo per tenere fede al suo modo di essere.

La McGranitt non fece neanche in tempo a dirgli di occuparsi dei propri affari che Pansy decise che non aveva fatto abbastanza la stronza per quella mattina:

« L’hanno gettata sotto il tavolo, professoressa! » Squittì acutamente, lanciando un’occhiata piena di perfidia in risposta alla sguardo fulminante di Ginny. « L’ho visto io! Con questi occhi! »

Ma non solo Ginny parve non gradire l’intervento della Serpeverde. La stessa professoressa McGranitt, infatti, tradì per un attimo un’espressione di autentica insofferenza. Tuttavia, sopprimendo il tremito che avrebbe voluto scuoterla, si girò lentamente verso di ragazza e le domandò con evidentissimo sarcasmo:

« Pensa di proporsi come mia assistente, Signorina Parkinson? »

« Io volevo solo darle una mano, professoressa. » Si giustificò altezzosamente Pansy, facendo finta di indicare per caso una parte imprecisata del tavolo, in modo che non si perdesse di vista ciò verso cui doveva dirigere la sua attenzione di insegnante.

« Me la dia se gliela domando. » La freddò spiccia la professoressa. « E adesso vada pure, penserò io a parlare con la Signorina Weasley e ad appurare se è impazzita o se voleva davvero ucciderla. »

« Vorrei assistere! » Obiettò pedante e solerte Pansy.

« Ma non assisterà. » Ribadì semplicemente la McGranitt, che poi ordinò nuovamente: « E ora vada. »

E nemmeno Pansy Parkinson aveva il potere di opporsi a Minerva McGranitt, così se ne andò.

Del resto, neanche lei aveva quel genere di potere e, qualsiasi cosa i suoi amici si inventassero per risparmiargliela, la sua parte di predica non avrebbe potuto che prendersela. Con l’aggiunta di una sonora punizione, per altro.

« Non mi interessa come e perché quella bacchetta dalla sua mano è finita sotto il tavolo, Signorina Weasley! » Sbottò infatti irritata e irremovibile la professoressa. « Sappia solo che se la trovo ancora una volta in questa sala con quella bacchetta alzata non mi limiterò a togliere 30 punti alla sua casa! »

Ci fu un attimo di silenzio generale, dopodiché Seamus, cauto e un po’ perplesso, si fece coraggio e osservò:

« Ehm… professoressa… 30 punti non saranno un po’ troppi? »

« Non sapevo che il posto di assistente fosse così ambito! » Gracchiò ferocemente la McGranitt.

E Seamus affermò con consistente convinzione che 30 punti in meno a Grifondoro erano una punizione addirittura fin troppo caritatevole per quell’incresciosa situazione. In pieno accordo con questa sua ultima dichiarazione, la professoressa schiodò i piedi da terra e proseguì a passo deciso e inarrestabile verso quello che doveva essere il suo principale itinerario, al cui termine riluceva imperioso il tavolo degli insegnanti.

Si rilasciarono tutti in un sospiro di sollievo: a parte gli scherzi, se l’erano proprio cavata con poco.

« La prossima volta che vuoi fare una stupidaggine assicurati che non ci sia nessun professore nei paraggi. » Commentò con irritata rassegnazione Dean, chinandosi a sufficienza per recuperare la sua bacchetta, e porgendogliela.

« E’ che non c’è l’ho fatta a trattenermi! » Ribatté con vigore Ginny, in un tono che avrebbe voluto di scuse ma che in realtà apparve ancora leggermente alterato, afferrando con un gesto secco ciò che le veniva teso e sedendosi con i compagni sulle panche del tavolo di Grifondoro. « L’hai sentita anche tu, no?! Ha detto un sacco di cattiverie! »

« Proprio perché erano cattiverie avresti dovuto ignorarle. » Precisò risoluto il ragazzo. « Mi sembrava avessimo deciso così. »

« Infondo sapevamo che sarebbe successo questo. » Intervenne in una svogliata alzata di spalle Seamus. « Voglio dire, il fatto che il famoso Harry Potter e il suo migliore amico abbiano lasciato la scuola per diventare Auror non è una cosa che può passare inosservata. » Prese a grattarsi pigramente la nuca e a rivolgerle lo sguardo ancora un po’ assonnato. « Se poi si considera che fino ad adesso Silente li aveva coperti dicendo che erano bloccati in Romania con i tuoi fratelli più grandi… »

« Gli è stato chiesto di non dire niente proprio perché così tutti avrebbero potuto abituarsi a non vederli in giro! » Sbottò acida Ginny, infastidita dall’indolenza dell’amico, che sembrava un po’ troppo menefreghista per i suoi gusti. Si trattava dei loro amici, diamine!

« Qualunque sia stato il motivo, il suo intervento non ha sortito l’effetto sperato. » Si intromise pacato ma deciso Dean. « Tutti vogliono sapere come sono andate le cose. E soprattutto tutti vogliono sapere perché Hermione non è andata con loro. E’ naturale. »

« E’ vero, Ginny. » Biascicò sconfortato Neville. Pallido in viso e visibilmente dispiaciuto. « Perché loro tre stavano sempre insieme. »

« Esatto. » Convenne inesorabile Dean. « Ed è anche naturale che i Serpeverde ci vadano a nozze con una situazione del genere. Non potevamo certo sperare che le avrebbero risparmiato un simile supplizio. Sapevamo già come sarebbe finita: lo stavamo solo aspettando. » La sua espressione si fece un po’ più cupa. « E anche Hermione lo stava solo aspettando »

Si morse il labbro inferiore e strinse con forza i pugni intorno alla stoffa della gonna.

Aveva ragione. Eccome se aveva ragione! Hermione aveva aspettato quel momento dall’inizio della scuola. Perché non era stupida, non era come quello stupido di suo fratello, che si angosciava per una sua scelta e poi si preoccupava perché qualcuno avrebbe potuto chiedere di loro a lei! Altro che chiedere! Non era solo quello: era tutto quello che le persone non avevano chiesto e avevano inventato. Tutto quello che avevano pensato. E Hermione lo sapeva. Perché era così intelligente…

Così buona…

Si era preparata a sopportare senza mai dare la colpa a nessuno. Aveva cercato di non dar mai a vedere niente. Anche quando ne aveva parlato con loro era stato così. E ricordava che non si era mai sentita così arrabbiata e depressa in tutta la sua vita!

Almeno, mai fino a quel momento.

Perché si sentiva così impotente! Di fronte ad una situazione che nemmeno una persona forte come Hermione avrebbe mai potuto gestire. Di fronte ad una situazione che soprattutto una persona sensibile come Hermione non avrebbe potuto gestire… lei non poteva fare assolutamente niente.

Se ci pensava le veniva da piangere.

Come avevano potuto! Come avevano potuto non coinvolgerla in una cosa così importante! Come avevano potuto lasciarla indietro in una maniera così fredda, così egoista! Per gli studenti di quella scuola quella era solo la fine di un’amicizia come un'altra, ma per Hermione non era così. Per Hermione loro erano così speciali! Se solo quella gente gretta avesse visto quanto male c’era stata … da sola… oh, se solo l’avessero visto! Anche se erano così gretti avrebbero capito quanta sofferenza doveva sopportare! Invece chi aveva capito più di tutti era chi era stato contento della sua sofferenza.

Era così ingiusto. Così dannatamente ingiusto!

« Voi avreste… » Proruppe in un sussurro strozzato, più rivolto a sé stesso che a chiunque intorno a lei. « Voi avreste dovuto vederla… questa mattina, a colazione… con tutte quelle persone che parlavano. E’ rimasta zitta, senza dire niente… » La sua voce si incrinò. « … ma era così pallida. »

Sentì la mano di Dean che si appoggiava sulla spalla, per confortarla.

Pallida e triste.

Pallida e sola.

Sola…

Soprattutto sola.

E né lei, né Hagrid, né Dean, né Seamus, né Neville, come nessun altro lì, ormai, avevano assolutamente il potere di colmare quella solitudine. Che andava espandendosi… con la vergogna, con il disagio, con il dolore… con la malinconia. Che andava espandendosi con un ritmo che le sembrava addirittura inarrestabile.

*** *** ***

Venerdì 15 Novembre. Ore 17.47
Hogwarts. Secondo piano.

Dio, quanto gli faceva male la testa!

Quella diavolo di notte qualcuno gli aveva senz’altro lanciato un incantesimo per fargli venire quel dolore spaventoso! Era come se il cranio gli si spaccasse in due! Era allucinante! Quel pomeriggio non ce l’avrebbe assolutamente fatta a studiare. Sufficienza o non sufficienza in pozioni!

Arrancò faticosamente per i corridoi e per le scale del secondo piano: doveva avvisare la sua aguzzina che per quel giorno non se ne sarebbe fatto nulla. La ragione era presto detta: se non gliel’avesse detto quell’arpia sarebbe stata capace di cercarlo per tutta Hogwarts e trascinarlo a studiare. Cosa che preferiva evitare. Preferiva dirglielo, magari mandarla al diavolo se gli avesse fatto storie, e poi andare a dormire, senza il timore che una pazza scatenata lo interrompesse. Quella, in quel momento, era la sua massima ambizione.

Mosso da questi pensieri, dunque, avanzò con fatica sino alla Stanza delle Necessità. Era lì che erano andati a studiare le ultime due volte, perché quell’imbecille di un Mezzogigante doveva spulciare la sua sudicia casupola in vista dell’inverno. E meno male, anche! Così non aveva dovuto usare un intero barattolo di bagnoschiuma per togliersi di dosso quell’odore disgustoso che gli si era appiccicato ai vestiti e alla pelle. Dio, che schifo!

Sentì una fitta alla testa e barcollò.

Fortunatamente, però, con un ultimo sforzo, allungò l’ultimo passo che lo separava dalla Stanza in questione, si aggrappò alla maniglia e la spinse. La porta si aprì. Di fronte a lui, dietro ad una piccola scrivania, Hermione Granger sembrava immortalata in un’immagine che avrebbe dovuto essergli famigliare. Sommersa da una montagna invalicabile di libri e manuali delle più assurde materie. China su un foglio di pergamena che stava riempiendo di una fitta miriade di parole incomprensibili. Con i voluminosi capelli crespi illuminati dalle ultime luci del giorno. Lo sguardo assorto. La fronte corrugata dalla concentrazione.

Eppure… c’era qualcosa di diverso.

L’invalicabile montagna di libri e manuali delle più assurde materie che la sommergeva, in effetti, era più smisurata del solito. E lei era molto più china di quanto era mai stata su quel foglio di pergamena. I voluminosi capelli sembravano molto più crespi del giorno prima. La fronte era molto più corrugata dalla concentrazione. E lo sguardo era molto più assorto. Era tutto, insomma, molto più di quello che avrebbe dovuto essere. E nell’insieme gli sembrava davvero un po’ troppo strano.

Ma, infondo, oltre a incuriosirlo, gli importava?

No.

Questa fu la rassicurante e rasserenante risposta che si diede. Un senso di benessere lo invase. Era sostanzialmente meraviglioso sentire quanto splendidamente poco gli interessasse di tutto all’infuori di se stesso. Con rinnovato sollievo, quindi, annunciò:

« Granger, oggi non sto bene perciò non se ne fa niente. Non venire a disturbarmi. »

Si sarebbe aspettato una scenata o una puntualizzazione tagliente; al contrario la risposta della ragazza si risolse in un grave silenzio. Le diede un po’ di tempo per realizzare cosa aveva detto e, quanto meno, annuire. Lei però persisté immobile, in una staticità scioccante ed estremamente irritante.

« Ho detto che non se ne fa niente. » Ribadì a voce alta, stizzito. « Hai capito? »

Hermione restò zitta.

Questa qui lo fa apposta!

Rinnovò questa dichiarazione una seconda volta, più acidamente, ma ancora non sortì alcun effetto. La terza volta, ormai oltremodo seccato, fece un passo in avanti e ci aggiunse anche un’opzionale:

« Ehi, hai sentito quello che ho detto? O oltre ad essere odiosa sei anche sorda? »

Questa volta l’effetto si fece sentire.

« Ah. » Mormorò la ragazza lentamente, sollevando il capo con un movimento febbrile del capo. Un capo che, in quel momento, gli parve in qualche modo spettrale. « E quindi… io sarei odiosa? »

Certo che, come effetto, era un tantino assurdo. Avrebbe preferito scadere nella banalità per quel giorno: qualche frecciatina, sguardi offesi, orgogli feriti e via dicendo. Come al solito. Non avrebbe retto di più con l’emicrania che a intermittenza gli frantumava il sistema nervoso. Cercò, perciò, di riportare la conversazione su note ordinarie:

« Come ti pare, basta che adesso posso andarmene. »

Ma quella conversazione sarebbe stata tutto fuorché ordinaria.

« Certo! » Scattò Hermione, balzando in piedi, come punta da un’ape, e fissandolo improvvisamente con astio. « Come mi pare! La verità è che lo dite di continuo! E magari pensate che sia successo tutto quanto per questo, vero? Perché sono odiosa, insopportabile e noiosa, vero? »

Eh?

Si era perso qualcosa.

« Dillo Malfoy. » Lo incitò con rabbia Hermione, impedendogli di riflettere. « Siccome non vedi l’ora di dirlo, come tutti i tuoi stupidi amichetti. Dillo che è perché sono odiosa che mi hanno lasciato qui! Dillo che me lo merito! »

Arretrò di un passo, basito.

Ma che diavolo sta dicendo?!

Se solo non fosse stato tanto occupato a restare lucido pur con quella terribile emicrania, probabilmente avrebbe capito cosa stava dicendo. E probabilmente si sarebbe anche accorto di cosa stava succedendo. E, magari, siccome sensibile proprio non lo era, ma vantava una certa capacità di analisi e intuizione, sarebbe potuto arrivare anche a comprende che non era solo una questione di rabbia, quella. In ogni caso, sicuramente, anche in quel caso, non gli sarebbe comunque importato.

Perciò, forse, era proprio destino che, aggredito in quel modo, Draco si accanisse a sua volta contro di lei, scandalizzato:

« Ma che diavolo ti prende, sei forse impazzita? »

La ciliegina sulla torta.

Hermione vibrò.

Afferrò tra le mani un grosso libro rilegato in cuoio e glielo scagliò addosso. Il volume lo colpì in piena fronte e poi ricadde pesantemente sul pavimento. Il suono sordo che ne scaturì si perse nel silenzio vuoto di quella stanza.

Rimase immobile, per un attimo incapace di parlare, con la mano sulla fronte: gli aveva tirato addosso un libro.

Sollevando lo sguardo, sgomento, gli parve di notare che gli occhi di Hermione erano diventati un po’ più lucidi. E la voce con cui riprese a parlare, seppur sempre alta e rabbiosa, gli parve leggermente incrinata.

« Non sono impazzita! Non lo sono, capito? E non sono neanche scema! E’ tutto il giorno che non fate che dire cose assurde! Che non mi hanno più voluta con loro! Che era ora che si liberassero di me! Perché ero solo un peso! Ma non avete capito niente! » Afferrò un altro libro e lo scagliò di nuovo, con violenza. « Niente! »

La sagoma famigliare che si avvicinava a velocità considerevole contro di lui lo risvegliò dallo stato di smarrimento in cui era caduto. La schivò miracolosamente, balzando di lato. Lanciò un breve sguardo sconvolto al pavimento, dove la seconda arma letale si era accasciata inerme, e poi le gridò addosso:

« Ma sei fuori di testa?! Prima mi hai fatto un male cane! »

Gli occhi di Hermione si dilatarono.

« Va’ al diavolo, Malfoy! »

Prese un altro libro e glielo tirò. Poi gliene tirò un altro. E un altro ancora. E di nuovo un altro. Mentre lui si schermava il viso con le mani, sconvolto. Che diavolo stava succedendo?

Che diavolo le stava succedendo?!

« Siete voi quelli che fate male agli altri! » Strillò Hermione, isterica. « Tu e tutti quelli come te! Siete di mostri! Vi detesto! Non fate altro che usare il dolore delle persone per far loro del male! E vi inventate tutto quanto! » Nel tentativo di schivare un bel manuale di almeno qualche centinaio di pagine, non udì il groppo che le si strinse in gola, soffocandole la voce. « Harry e Ron mi hanno lasciato qui perché avevano delle ragioni! Non significa niente! Non potrebbe mai significare niente! Loro mi volevano bene! Loro mi vogliono bene! »

« E chi se ne frega se ti vogliono bene! » Urlò lui sconcertato. Era per quelle sue assurde paturnie mentali che lo stava lapidando con dei libri?! Ma porca miseria! Era lei che doveva andarsene al diavolo, proprio come aveva deciso nel suo progetto originario! « Per quel mi che riguarda possono anche sposarti! Anzi… » Gracchiò stridulamente. « … perché non crepate tutti insieme per spirito di solidarietà! Basta che mi lasci fuori dalle tue scenate isteriche! Non mi interessa niente della tua situazione! Io voglio solo andarmene a letto e dormire! Di te e di quei due idioti non me ne frega niente! »

Hermione si bloccò di colpo.

Forse anche perché erano ormai finiti i libri e quelli precedenti vigevano tutti supini e sconfitti ai suoi piedi. Comunque si bloccò. E quello dovette sbrigliare definitivamente quei nervi che si erano davvero ingarbugliati, durante il giorno, per renderla in quello stato. E naturalmente, come per ogni femmina che si rispetti, questo coincise esattamente col suo crollò fisico e mentale.

Gli occhi cominciarono a diventare lucidi. Il suo gracile corpo rovinò su se stesso. Si nascose dietro le braccia.

Iniziò a piangere.

E che palle! Non anche questo!

Non le bastava averlo riempito di botte! No, adesso doveva pure opprimerlo con quel lamento insopportabile! Con le braccia gonfie e doloranti si portò una mano sulla fronte, esasperato: tutto quello era davvero troppo per lui.

Sarebbe stato splendido se non avesse avuto il mal di testa. Prima di tutto perché le avrebbe reso pan per focaccia. In secondo luogo perchè l’avrebbe sfottuta a morte, per tutta la vita, sia per aver pianto davanti a lui, sia perché Potter e Weasley l’avevano abbandonata come una scarpa vecchia. Anche perché, quando gliel’aveva detto Blaise, il giorno prima, la prima cosa che gli era venuta in mente era stata di fargliela pagare per tutto quello che aveva dovuto sopportare a causa sua. Ma l’emicrania aveva vanificato i suoi piani.

Questo non significava che rinunciava ai suoi propositi: il giorno dopo avrebbe attuato la vendetta più grandiosa che mente umana avesse mai concepito. Ma in quel momento, senza nulla togliere alle sue aspettative più remote, era l’aspettativa più prossima di un comodo letto ad allettarlo veramente. Insomma, schiacciare Hermione Granger era qualcosa di estremamente piacevole. E anche vederla arricciarsi come un verme, proprio come in quel momento. Ma se stava male e non poteva goderselo a pieno non era mica colpa sua!

L’ennesima fitta lo colse in un dolore lancinante alle tempie. Quella razza di cretina! Doveva sdraiarsi da qualche parte. Anzi, doveva sdraiarsi nel suo letto. Decise, quindi, che aveva sentito abbastanza singhiozzi e lamenti per quel giorno.

Fece dunque per andarsene.

Ma a quel punto…

Beh, a quel punto accadde qualcosa di strano…

Accadde che mentre stava girando la maniglia della porta, Hermione lo chiamò. Fu un “Malfoy” quasi incomprensibile, racchiuso in uno dei lunghi gemiti che la scuotevano. Un richiamo che lo fece cautamente girare. Aveva paura che volesse ricominciare il “lancio del libro”. La trovò invece sempre rannicchiata tra le proprie braccia, con il viso coperto. Le spalle che fremevano a intermittenza. Le domandò sgarbatamente:

« Che diavolo vuoi? »

E fu a questo punto che accadde quella cosa…

Che aveva un suono così strano…

E che era piccola…

Sottile…

Che non fu più di un sussurro.

« … scusa… »

Da-dan!

Ok, i ringraziamenti li metto questo pomeriggio, o domani… vedo cosa riesco a fare. Adesso vi saluto e fuggo via.

Un grande abbraccio
by Silverwings

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Capitolo 4
*** Unica ***


Ah

Ah! Sono migliorata! Oggi solo 45 (come dice il mio computer) minuti di ritardo! Prima o poi riuscirò ad essere puntuale! Me lo sento!

Ribadisco i diritti d’autore che ho presentato all’inizio del capitolo precedente, e di quello precedente ancora, ma non vi annoio più rispetto alla lentezza di questa fanfiction: ormai penso che l’abbia afferrata! Direi che a questo punto chi è rimasto è perché l’ha accettato, suppongo. Tra l’altro, guardandola da questo punto di vista… il numero dei recensori si è assottigliato. Mumble. Mumble. Purtroppo, anche pensandoci e ripensandoci non penso che troverò mai il modo di cambiare in meglio questa storia, proprio perché io non ne sono in grado.

Facciamo così: quando diventerò una scrittrice e un essere umano migliore, se me lo chiederete proverò a riscrivere The Draco and Hermione’s Opera! Eh?! Che ne dite?

Piccola e unica anticipazione del capitolo: Draco sclera.

Direi che dice tutto, no? ^_-

The Draco and Hermione’s Opera

capitolo.
Unica

*** *** ***

When there's no one else
Look inside yourself
Like your oldest friend
Just trust the voice within
Then you'll find the strength
That will guide your way
If you will learn to begin
To trust the voice within

Quando non c'è nessun altro
Guarda dentro di te
Come il tuo più vecchio amico
Credi semplicemente alla voce interiore
Allora troverai la forza
Che ti guiderà lungo la strada
Se imparerai a iniziare
A credere alla voce interiore

(A voice within – Christina Aguilera)


*** *** ***

Sabato 16 Novembre. Ore 7.24
Hogwarts. Dormitorio femminile dei Grifondoro. Camera di Hermione.

« Sei sicura di star bene? »

Lavanda e Calì la guardavano scettiche.

Probabilmente se anche l’avesse giurato dopo aver ingurgitato litri di Veritaserum non ci avrebbero comunque creduto. Supponeva che fosse merito del proprio aspetto. Essendo le sue compagne di stanza delle strenue sostenitrici del culto della bellezza e della perfezione estetica il fatto che la sua figura fosse stata irrimediabilmente sfigurata da una notte totalmente insonne doveva averle messe davvero in allarme. Ed effettivamente aveva delle occhiaie terrificanti. Non si era guardata allo specchio, ma ne sentiva il gonfiore. E con l’esperienza che poteva vantare da esso sapeva facilmente dedurne la grandezza.

Una grandezza mirabilmente ragguardevole, doveva ammettere.

Senza contare che Lavanda e Calì, per quanto superficiali, non sarebbero mai potute restare indifferenti di fronte a qualsiasi genere di problema sentimentale. E, naturalmente, per loro, il problema legato a Harry e Ron era un problema di natura puramente sentimentale.

Facevano parte della fazione di ragazze che appoggiava la versione del “triangolo amoroso”.

« Sono sicura, andate pure. »

Potere di convincimento: 0.

Abitualmente arrivava ad essere anche sgarbata pur di liberarsi di loro, ma quella mattina aveva un umore troppo particolare per essere più diretta di così. E “così” era davvero troppo poco per arrivare a persuadere Lavanda e Calì a lasciar perdere.

« Herm. » Proruppero infatti. E lo fecero con un tono vagamente propagandistico. Le parve lo stesso che usavano quando volevano consigliarle una marca di make-up. « Secondo noi non è buono che tu stia chiusa qui tutto il giorno. » Le lanciarono un’occhiata quasi incoraggiante, dopo essersi scambiate tra loro un inquietante sguardo d’intesa. « Perché non esci un po’? Ti farebbe bene. »

Le fissò con le sopracciglia inarcate, non capendo.

« Certo che uscirò. Oggi c’è lezione, no? » Due ore di Pozioni e due ore di Erbologia. E per tutto il pomeriggio era previsto un ripasso completo per il test di Trasfigurazione di lunedì.

« Ecco… » Esitò Lavanda, cauta ma abbastanza convinta per metterla vagamente in allarme. « … per “uscire” noi non intendevamo esattamente “andare a lezione”. »

« E a proposito di quello… » Tagliò corto Calì, con fare più pratico. « … secondo noi sarebbe davvero molto meglio se oggi non ci venissi proprio. »

Registrò puntualmente le parole che le erano state rivolte. Quando le intese, il suo umore non le impedì di scandalizzarsi:

« Mi state dicendo che dovrei saltare la scuola?! » Frastornata dal solo pensiero che una tale eventualità potesse concretizzarsi nella mente di uno studente, e, soprattutto, punta nel suo orgoglio di prefetto, Hermione si indurì. « Mi auguro che non mi stiate davvero dicendo di fare una cosa simile! »

« Il nostro è un consiglio. » Fece con sufficienza Calì, la cui espressione aveva ormai perso ogni apparente inclinazione di dolcezza e comprensione. « Tu puoi fare tranquillamente tutto ciò che ti pare. »

Questa sua acida conclusione e le sfuggevoli occhiate di disappunto che le riservò Lavanda mentre seguiva l’amica fuori dalla stanza le fecero comprendere che non aveva scelto le parole giuste per aiutare la sua reputazione. Pensò che si sarebbero sparse nuove voci sul suo conto. E pensò anche che ciò che aveva pensato non sarebbe stato molto lontano dalla verità.

Della serie: “Hermione Granger, dopo la più cruenta delusione sentimentale di tutta la sua vita, si getta fanaticamente nello studio e chiude i rapporti con tutti i caritatevoli viventi che tentano di darle una mano. E, per inciso, quelle caritatevoli persone sarebbero state loro due.

Ad ogni modo non tentò di fermarle: non avrebbe comunque saputo dire niente per migliorare la sua situazione. Perché era decisamente incapace da quel punto di vista.

Trasse un lungo respiro rassegnato: le cose non sarebbero andate meglio tanto facilmente. A dire il vero non era neanche sicura che fosse passato il peggio. Forse era solo l’inizio. Magari col passare del tempo sarebbe stato sempre più difficile. Non era certo una prospettiva da escludere a priori. Ma anche in quel caso lei doveva comunque imparare ad essere paziente.

Sarebbe stato decisamente ora.

La porta scricchiolò di nuovo.

Timorosamente si girò verso di essa: aveva paura che fossero ancora le sue temibili compagne di stanza. Ma non fu la voce insistente di Calì o quella squillante di Lavanda a giungerle prepotentemente, in un altro bieco tentativo di farla simpatizzare con i loro metodi antidepressivi, bensì quella lieve di Ginny. Le giunse in un sussurro appena udibile:

« Hermione… posso? »

Le scappò un piccolo sorriso. Perché c’era una dolcezza, in quella voce, che non aveva proprio niente di propagandistico.

« Certo, entra. » La invitò gentilmente, facendole un piccolo cenno con la mano.

La rossa fece qualche passo in avanti e si richiuse la porta alle spalle. Il suo piccolo schiocco fu l’unico suono che accompagnò la comparsa di Ginny. Persino il movimento che fece nel girarsi verso di lei fu così tenue che non ne venne alcun rumore. E anche la sua espressione, per quanto incerta, aveva in sé una delicatezza indicibile.

Le forzò un sorriso.

Non le uscì bene. Però sapeva che neanche i sorrisi che lei aveva rivolto a Ginny e tutti i suoi amici in quei mesi erano stati molto meglio.

Infondo, solo le eroine riescono a fingere un bel sorriso.

Con i loro bei denti bianchi e dritti. Con le loro belle labbra morbide. Con la loro tempra morale indistruttibile. Ma i suoi denti erano un po’ più grossi del normale e non erano proprio drittissimi. E le sue labbra sicuramente non erano come avrebbero dovuto essere. In quanto alla tempra morale, inoltre, non c’era neanche da parlarne. In poche parole le mancavano i requisiti principali per essere un’eroina. E lo stesso valeva anche per Ginny. Con la sola differenza che Ginny non ci provava neanche, ad esserlo, mentre lei ci aveva provato per tutti quei tre lunghissimi mesi.

Aveva fatto quella che “stava bene”.

E non solo. Aveva anche imposto agli altri di rispettare la sua decisione. La sua era stata una pretesa. Alla stregua di una qualsiasi pretesa di un egoista qualunque. E loro l’avevano assecondata. Avevano accettato di non fare quello che lei non voleva che facessero, senza mai sapere cosa avrebbero potuto fare per farla stare meglio. Si erano sforzati di recitare la loro parte nella maniera migliore. Avevano assecondato il regista in ogni suo capriccio.

Con la preoccupazione, con il disagio, con la tristezza, Ginny, Dean, Neville, Seamus e Hagrid avevano dovuto fare i conti ogni giorno. E la sensazione di impotenza che avevano provato non era mai diventata meno opprimente.

Avrebbero potuto evitarselo, certo. Avrebbero potuto andarsene. Sarebbe stato semplice.

Invece avevano scelto di restare.

E, sostanzialmente, l’avevano fatto per lei.

« Ah. » Esclamò ad un tratto Ginny, sinceramente incuriosita dal calderone che Hermione aveva davanti. A dispetto della curiosità, comunque, la sua voce non aveva niente del suo solito entusiasmo. « Stai facendo un compito? »

« Sì. » Rispose pacatamente. Il suo era un compito.

« Non… » Eccepì cautamente la rossa. « … non è un po’ presto per farlo? »

« E’ un compito un po’ particolare. » Ammise, piano.

« E sei… sei rimasta tutta la notte in piedi? Per finirlo? » Chiese timorosamente Ginny, indugiando insistentemente sul suo viso. Le giustificò l’insistenza poiché presumibilmente le sue occhiaie si erano ulteriormente scurite e gonfiate. Mentre i capillari degli occhi con ogni probabilità erano esplosi.

« E’ una pozione un po’ lunga da preparare. » Rispose, rivolgendole un debole sorriso.

Ginny trasse un lungo respiro e si accovacciò accanto a lei. La sua espressione era esitante, preoccupata, stanca, ma la morbidezza delle sue parole rese la sua voce pacata quanto l’espressione che avrebbe voluto rivolgerle:

« Come stai? »

Restò immobile per qualche attimo, scrutando a lungo negli occhi blu cobalto dell’amica.

Stava bene?

Se lo chiese a se stessa, prima di tutto, e la risposta che si diede fu quella che diede a Ginny, senza cambiarla di una sola sillaba:

« Meglio. »

Stava meglio.

Del giorno prima. Della settimana prima. Di tre mesi prima. Stava meglio. Non era come dire che stava bene, ma non era neanche come dire che stava male. Era dire semplicemente come si sentiva. Ovvero l’unica cosa che poteva permettersi di dire senza mentire ad uno dei suoi migliori amici. Voleva provare ad essere sincera. Era l’unica maniera di essere “pazienti” che avesse un senso. L’unico modo di vivere quella situazione che sarebbe stato giusto per tutti. Che avrebbe avuto un significato per tutti. E soprattutto che ne avrebbe avuto uno anche per lei.

Perché quanto vide Ginny rimanere a fissarla, stranita, quasi sorpresa, fu lei quella contenta. Contenta di sapere che dopo tre mesi passati a darle fastidi e preoccupazioni, almeno era anche capace di sorprenderla in una maniera che non poteva definirsi brutta. Contenta di sapere che in qualche modo avrebbe ancora potuto rimediare.

E quello era un inizio.

Era poco, certo. Perché per ancora molto tempo i suoi amici avrebbero continuato a tormentarsi per lei. Ma c’era tempo per mettere a posto tutto quanto.

E quello, per quanto poco, era comunque un inizio.

« Stai parlando sul serio? » Le domandò ansiosamente Ginny, guardandola titubante. « Stai meglio davvero? Non lo stai dicendo per tranquillizzarmi? »

« No. » Asserì sorridendo. « Sto dicendo sul serio. »

« Eppure ieri… » Esitò l’amica, mordicchiandosi il labbro inferiore. « … ieri sono successe un sacco di cose. E tu stavi così… così male. »

Ieri…

Si, erano successe un sacco di cose. Ma il più di queste Ginny neanche se le immaginava.

« Ieri… » Proruppe in un lieve ma deciso sussurro. « … sono io che ho esagerato. »

Riuscì a definire nitidamente l’attimo in cui Ginny vacillò, basita. Si riprese stoicamente e contestò mortificata, inarcando le sopracciglia con ardente disappunto:

« Ma questo non è vero, Hermione! Assolutamente! »

« E invece sì. » Ribadì con calma. Era vero, che lei lo accettasse o meno. Perciò avrebbe provato a rimediare. E anche se era certa che ci sarebbe riuscita solamente con Ginny, Dean, Neville, Seamus e Hagridcomunque ci avrebbe provato anche con tutte le altre persone che aveva coinvolto.

E, perciò, anche con lui.

« Oh che sciocchezza! Sei tu quella che è rimasta ferita in tutta questa storia! » Si incaponì l’amica con testardaggine, mentre per il nervosismo le si inumidivano gli occhi.

« Forse. » Le concesse Hermione, con un tono di voce più morbido. « Ma, comunque, non è neanche giusto che io, per questo, ferisca gli altri. »

Tirare addosso a Malfoy quei libri… era stata una cosa sbagliata.

Era stato un errore. Chi lui fosse, cosa lei avesse provato… questo, in ogni caso, non le permetteva di fare quello che voleva. Perché una ferita non ne giustifica un’altra. E il dolore non deve ingannare. E’ solo dolore. Non voleva essere una persona che lo usava come scusa. Voleva essere una persona che sapeva rispettarlo. Quello degli altri. E il suo.

Perciò quello che aveva fatto era solo sbagliato.

« Stai dicendo cose troppo strane… » Mormorò Ginny, perplessa e confusa. « Smettiamo di parlarne. Si, basta, andiamo a fare colazione! » Si alzò in piedi, cercando di trasmetterle un poco di energia. « Scommetto che hai fame! »

« A dire il vero non molta. » Mentì, portandosi una mano allo stomaco nel disperato tentativo di reprimere il concerto di gorgoglii che vi sinfoneggiava all’interno.

« Eh no, non esiste! » Controbatté l’amica aggrottando la fronte. « Non puoi non avere fame! Su, vieni. Andiamo di sotto, faremo in un attimo. »

« D’accordo, farò colazione. » Accondiscese Hermione, cedendo un poco di fronte alla rivolta della propria pancia di fronte al suo rifiuto. « Ma più tardi: prima vorrei finire qui. »

« Mh! E va bene! Fa’ come vuoi! Però intanto adesso ti porto qualcosa da mangiare! » Esclamò Ginny gesticolando ampiamente con le mani e scotendo il capo, rassegnata.

Fu un gesticolare molto più composto e una rassegnazione molto più avvilita di quando si arrabbiava di solito con le altre persone. Ma le parve un buon segno comunque. Perché non aveva mai gesticolato con lei, da qualche mese a quella parte, e non aveva mai neanche scosso il capo con rassegnazione.

Decisamente, quello era un buon inizio.

« D’accordo, allora ti aspetto qui. » Annuì lei, salutandola con un piccolo ma estremamente affettuoso movimento della mano.

E così Ginny andò alla porta, la aprì e la richiuse dietro di sé.

Sentì i suoi passi scendere velocemente le scale. Probabilmente sarebbe tornata subito con qualche fetta di pane e qualche brioche. Avrebbe abbondato. Ne era certa. E sorrise al pensiero: la sua generosità era rasserenante. Come anche la sua gentilezza in ogni gesto. E l’impeto con cui la difendeva in ogni situazione. E il trasporto stesso con cui viveva.

Tutto era rasserenante di Ginny. E anche molte altre cose di un sacco di altre persone. Persone che c’erano ancora. Persone che, probabilmente, non se ne sarebbero andate. Perché non tutti se ne vanno.

Perché qualcuno resta.

Anche se…

Anche se chi se ne va è insostituibile.

Il calderone che aveva davanti emise un piccolo borbottio.

Trasse un lungo e profondo respiro – l’ennesimo di quella mattina – e si tirò su le maniche della camicia che erano riscese sulle mani: doveva muoversi a finire l’infuso. E infondo non mancava molto. Non appena il rosso tenue di quel liquido inquietante e scoppiettante sarebbe diventato più intenso… sarebbe stato pronto.

*** *** ***

Sabato 16 Novembre. Ore 8.19
Hogwarts. Sotterranei. Aula di Pozioni.

Semplicemente, non lo accettava.

Non accettava che proprio il giorno in cui avrebbe potuto prendersi un’apocalittica rivalsa sulla sua nemica naturale gli fosse venuto il più feroce mal di testa della storia del mondo magico. Non accettava che quella maniaca depressiva lo avesse riempito di macchie violacee perché i suoi nervi non sapevano sopportare la pressione dell’essere costantemente al centro dell’attenzione. E non accettava di aver passato un’intera notte insonne a causa del dolore atroce proveniente precisamente da quei regalini colorati che quella sottospecie di strega gli aveva caritatevolmente marchiato sulla pelle.

Ma soprattutto, sopra ogni altra cosa, non accettava che lei gli avesse chiesto scusa.

Questo… proprio non lo accettava.

Scese velocemente i freddi gradini che conducevano ai sotterranei. Li calpestò senza foga. Uno dopo l’altro. Con movimenti lenti e cadenzati. Con eleganza. Il viso disteso. L’espressione del viso incolore. La mascella proprio si una linea straordinariamente morbida. Per chiunque l’avesse visto, in effetti, sarebbe sembrato il Draco Malfoy dei suoi anni d’oro. Quello impeccabile e altezzoso. Quello talmente sicuro di sé da apparire impassibile a qualsiasi reazione esterna.

Per contro i suoi nervi erano tesi nel medesimo verso e prontissimi a spezzarsi.

« Ehm… Malfoy? »

Crack.

Fu agghiacciante la velocità con la quale riconobbe quella voce. Ma ancora più agghiacciante fu quella con cui tutta la sua figura reagì a quel richiamo. Scattò di lato. I muscoli si contrassero in una sola volta. L’espressione divenne di pietra e i suoi occhi scolpiti nel ghiaccio scoccarono uno sguardo che avrebbe potuto penetrare la carne con la facilità di un bisturi. Fu molto simile ad un colpo di frusta. E Hermione Granger vibrò come percossa da quel colpo, ma non indietreggiò.

Un’impertinenza imperdonabile.

La sua seconda impertinenza imperdonabile.

« Se ti avvicini di un altro passo giuro che ti frantumo le ossa. » Sibilò caustico. Le labbra vibrarono impercettibilmente. Negli occhi si dilatò una astio violento.

Ce l’aveva con lei come non ce l’aveva mai avuta. E per la prima volta lo disturbava per essere quella che era. Per essere se stessa. Non il tappetino di Potter. O la regina dei Grifondoro. O la cocca dei Professori. No: per essere solo e semplicemente lei.

« Io… » Ingoiò Hermione, annaspando all’indietro, in difficoltà. Nella mano destra qualcosa che stringeva con forza.

« Zitta. » La freddò serrando la mascella, feroce.

Perché lei?

Chiedere scusa a chi si ferisce è una cosa a cui i bambini vengono abituati. Ma lui non aveva neanche mai pensato di poterselo sentir dire. Mai. Le ferite non avevano mai avuto bisogno di essere cicatrizzate da delle scuse. Avevano fatto male e poi erano sempre sparite da sole. Era sempre stato così. Era sempre andato bene.

E invece a quel punto…

Perché una cosa così piccola, così sciocca, riusciva a scavare così in profondità?

Perché riusciva a sconvolgere tutto il suo universo in quella maniera?

E perché a sussurrargliela non era stato chiunque altro sulla faccia della terra, con un motivo più valido, che avrebbe potuto capire… giustificare?

Perché lei?

La vide farsi coraggio, per una volta piccola, veramente piccola di fronte a lui, ma strenuamente resistente. Come suo solito, del resto: fastidiosa come una minuscola spina in un fianco che non si riesce mai a togliere. La vide guardarlo negli occhi, timorosa ma decisa. Inesorabile.

La sentì ripetere lentamente:

« Mi dispiace. »

Perché doveva essere lei?

Perché lo stava facendo di nuovo?

Perché?!

« Vai a quel paese! Sei insopportabile! Ti detesto! » Veleno. Voleva sputare veleno. Per risvegliare in lei la rabbia e l’odio. Per impedirle di scuoterlo così violentemente dicendo qualcosa cosa che neanche riusciva a spiegare. « Si può sapere che diavolo vuoi da me? Si può sapere perché continui ad assillarmi?! »

Lei non c’entrava niente con lui. Non c’entrava assolutamente niente. Era qualcuno di così lontano. Di così diverso. Non c’era niente che potesse anche solo lontanamente piacergli di lei.

Niente.

Eppure…

« Perché volevo darti questo… » La vide porgergli quello che teneva in mano. Una boccetta piena di un liquido rossastro. « E’ un anti-dolorifico. » Un pausa infinitesimale. « Va bene anche per il mal di testa. »

Eppure lei era stata la prima.

… l’unica.

Che gli avesse chiesto scusa.

Che si fosse preoccupata di non badare al suo nome. Che avesse guardato solo il suo volto. Che avesse ammesso di aver sbagliato… e avesse cercato di rimediare. La prima, che avesse fatto anche un po’ di più di quello che per la gente comune sarebbe bastato.

E non solo.

La vide avanzare, tendendogli la boccetta.

La prima ad avvicinarsi senza che qualcuno l’avesse costretta.

« Non osare fare un altro passo! » Le intimò sbottando in un grido isterico, mentre un gelo indescrivibile si irradiava negli occhi grigi.

Hermione ritornò rapidamente sui suoi passi, turbata. Chinò il capo sulla boccetta, se la rigirò tra le dita, indecisa. Poi si abbassò e la depose a terra. Quando si rimise in piedi e sollevò nuovamente lo sguardo, per cercare i suoi occhi… la sua espressione ritraeva un rammarico così profondo che gli salì un groppo in gola.

La rabbia crebbe esponenzialmente.

« La lascio qui. » Mormorò Hermione con una voce quasi soffocata.

E detto questo se ne andò in classe.

Restò immobile a fissare la pozione deposta a terra.

Cominciarono ad arrivare altri ragazzi. Alcuni Grifondoro. Alcuni Serpeverde. La boccetta ancora in mezzo alle scale. Il tappo di sughero infilato nella canna. Il liquido rosso che ancora si agitava. Qualche bollicina che scoppiettava. Il vetro un poco opaco nel punto in cui le dita di lei l’avevano tenuta in mano per tanto tempo. Con eccessiva apprensione.

La raccolse.

« Cosa aspetta ad entrare in classe, Signor Malfoy? »

Naturalmente Piton.

Con la sua puntualità disarmante. I suoi lineamenti coriacei. Il suo sguardo bieco. La sua voce aspra e inalterabile. Una maschera di freddezza e rigore, inacidita dall’insoddisfazione. Indurita dalla rabbia.

« Nulla. »

Superò il professore e oltrepassò l’ingresso che conduceva ai sotterranei. Si sedette il più lontano possibile da Hermione e attese. Il suo sguardo seguì con attenzione i movimenti della mano di Piton. Ampi cerchi. Righe dritte. Linee corte. Il gesso disegnava lettere e componeva parole. Un quadro perfetto e bianco impresso sulla lavagna nera: “Veritaserum. 2 ore.”

Iniziò senza aspettare il via di Piton.

Lui detestava quella ragazza.

Che fosse per pregiudizio o per orgoglio, a lui Hermione Granger stava sui nervi. Con quella sua aria da oracolo, con quella sua arrogante coscienza di sapere tutto. Con quel suo stacanovismo insopportabile. Con quella sua sciocca convinzione che l’impegno fosse indispensabile, e fosse tutto. Non c’era niente che gli piacesse di Hermione Granger. E avrebbe gioito per molti dei suoi mali.

Avrebbe davvero gioito.

Avrebbe gioito se avesse preso una T in Trasfigurazione. Se l’avessero cacciata dalla scuola, se l’avessero umiliata pubblicamente. Avrebbe gioito persino se avesse perso fiducia in se stessa, e forse, addirittura, sarebbe stato capace di essere felice se avesse perso qualcuno di importante.

Perché la detestava.

Non c’erano proprio vie di mezzo: era solo così.

Però…

« Cominciate. » Piton diede il suo via.

Però tutto quello che lei diceva aveva una logica stramaledettamente perfetta.

Forse non c’entrava niente, ma era vero. E sapeva anche perché era così: perché lei sapeva tante cose. E perché sapeva dirle in maniera perfetta, con parole giuste per chiunque. E le sapeva spiegare. Oltre a renderle di una facilità estrema, ovviamente. Che lo fossero o meno, non aveva importanza: lei, quando parlava, le rendeva tutte tali. Perché era maledettamente brava a parlare. E a persuadere, con le parole. E a convincere, con le parole. E anche a far valere le sue idee, con le parole.

Le parole, per lei, erano come pezzi di un puzzle da incastrare perfettamente le une con le altre secondo un soggetto già estremamente chiaro in partenza.

E per quanto potesse negarlo a se stesso, quello non era neanche il suo punto forte. Lo era studiare, al massimo. E lo era insegnare, sicuramente.

Non aveva mai fatto una prova pratica per il Veritaserum, ma era tranquillo: sapeva tantissime cose.

Per la precisione, anzi, sapeva tutto quello che lei gli aveva detto di ricordare.

E naturalmente… quello bastava.

Aggiungere un po’ di questo, un po’ di quello, in quel momento, per quei minuti, mescolare in senso orario, amalgamare con cura. Sembrava la ricetta per una torta, se ci pensava. Invece erano passaggi meravigliosamente calibrati di una pozione tra le più difficili del programma di tutti e sette gli anni di scuola.

Perché sapeva anche farsi ascoltare, quella lì.

A suon di frustate, certo, ma sapeva farsi ascoltare.

Chi altri aveva ascoltato così, come ascoltava lei? In tutta la sua vita chi aveva ascoltato per poi aver saputo ripetere con parole sue la stessa cosa, sapendo di averla capita, oltre che imparata? Se c’era stato qualcuno, lui, comunque, non se lo ricordava. Come non ricordava nessuno così dannatamente intelligente. E così orribilmente leale. Talmente leale da non permettersi mai di ricattarlo. E se era vero che Hermione aveva saputo giocare bene le sue carte, era anche vero che era talmente onesta che non avrebbe mai saputo veramente vincere una partita contro di lui. Non in condizioni normali, almeno. E non aveva mai riso per il fatto che lui avesse bisogno di ripetizioni. Non si era mai dimostrata soddisfatta dai suoi insuccessi.

Se l’era addirittura presa a cuore.

Quella situazione. Quel suo compito. Aveva persino riscritto i suoi appunti apposta per lui. Era stato un gesto a cui non aveva minimamente dato peso. Semplicemente, non ci aveva badato. Ma a quel punto ci badava: badava a quella sottigliezza che lo travolgeva al pari di una valanga. Perché lei si era presa a cuore il fatto che lui riuscisse. E non si era mai lamentata della sua scelta. Non si era mai lamentata con lui dicendo che doveva solo ringraziare perché lo aiutava. Non gli aveva mai chiesto di non insultarla: si era presa le sue responsabilità. Se l’era prese… con orgoglio.

E poi…

« … scusa… »

Che senso aveva?

Lei che, nell’alzarsi dalla sedia, alla fine del test, sollevava furtivamente lo sguardo per controllare la ferita sulla su fronte, per lo più coperta dai folti capelli biondi. Lei che faceva tardi ad una lezione di Erbologia, per controllare i lividi sulle sue braccia. Lei che lo seguiva premurosamente per i corridoi, sino alla classe di Trasfigurazione, per accertarsi che andasse tutto bene. Lei che – lo notava solo in quel momento – si procurava delle occhiaie sensazionali per fare in una sola notte la pozione che gli aveva dato un paio d’ore prima.

Lei che… chiedeva scusa.

Che senso aveva?

Dopo sei anni odio, dopo sei anni di insulti, che senso aveva che lei desse più importanza a una piccola ferita piuttosto che al suo orgoglio, o all’opportunità di sopravanzarlo, o a quella di ferirlo con maggior forza?

Lui l’avrebbe fatto.

Per lei, addirittura, più che per chiunque altro, lui l’avrebbe fatto. Avrebbe sfruttato quell’occasione magnifica, avrebbe inferto più dolore possibile. Avrebbe colpito senza rimorso.

Per questo non riusciva a farsi una ragione di quello che stava succedendo. E provava rabbia. Rancore.

Perché non riusciva a capire come fosse possibile che la prima cosa che in tutta la sua vita gli era sembrata addirittura bella… gliel’avesse detta Hermione Granger.

In mezzo a fiumi di parole sferzanti, maliziose e offensive. In mezzo a stralci di complimenti, di adulazioni e di riguardi. In mezzo a mormorii scomposti e distorti di disapprovazione, vergogna, e malevolenza… quella era stata l’unica diversa. L’unica chiara, nitida. Senza sbavature o fraintendimenti. Quella era stata l’unica parola improvvisa e inaspettata, che era suonata in modo differente alle sue orecchie abituate alla monotonia di un ronzio continuo e opprimente.

Ed era stata lei l’unica persona capace di dirgliela.

Osservò l’espressione incolore della McGranitt congedare i suoi studenti e invitarli a esercitarsi nella trasfigurazione. Si alzò meccanicamente dalla propria sedia, pallido in viso.

Una mattinata intera trascorsa in una manciata di secondi.

Si mise quasi a correre verso la Sala Comune dei Serpeverde.

Qualcuno lo salutò:

« Ehi, ciao Draco! »

« Non mi parlare. » Disse con voce strozzata e si dileguò dietro la porta di quercia della sua stanza.

Non voleva più restare ad ascoltare.

Nessuno.

Voleva chiudere tutto, anche la mente. Voleva coprire tutto con un grande coperchio e dimenticare. Dimenticare quella parola. Dimenticare chi gliel’aveva detta. Dimenticare i suoi pensieri. Dimenticare quella mattina. E soprattutto dimenticare quella voce dentro di lui che, inesorabilmente, sussurrava:

… l’unica.

Da-dan!

Come vi sembra? Io direi che in questo capitolo c’è tutto il materiale per presupporre un cambiamento decisivo in meglio. Voglio dire, un cambiamento decisivo in peggio c’è già stato e qui se ne vedono i risultati: Draco praticamente la odia. Del resto è un odio particolare: è un odio da cui può nascere qualcosa. Completamente diverso dall’odio che nutriva precedentemente.

E a questo proposito vorrei puntare l’attenzione sull’unica espressione in grassetto che fino ad ora mi sono permessa di inserire nella mia fanfiction: penso che quella, più di tutte le altre, possa accendere la speranza per un futuro migliore.

Ok, detto questo, essendo che non ho rispettato la promessa di riportare i ringraziamenti specifici per i commenti del secondo capitolo mi sono sentita in dovere di condensarli qui di seguito insieme a quelli per i commenti del terzo.

Non vogliatemene: sono veramente dispiaciuta per non aver mai tempo e, sapendo che è anche un po’ per colpa mia, mi sento veramente scoraggiata ogni volta che arriva l’una di notte e improvvisamente mi vengono in mente le mille cose che non ho fatto e avrei dovuto fare.

Infondo, qualsiasi cosa faccia… resterò sempre una persona irrecuperabile!T_T

Chiedo perdono! Chiedo perdono! Chiedo perdono al mondo interooo!

(Indiscutibilmente by me, prestata da Ritsu Soma, Fruits Basket, Volume 8)

Meiko89. Ehm… io veramente non frequento il Beccaria. Probabilmente, presa dall’entusiasmo, ho scritto a sproposito e mi sono espressa in un modo fraintendibile. E poi penso anche di aver sbagliato a non specificare che il mio sogno non prevede il Liceo, bensì l’istituto penale minorile. Ad ogni modo, tralasciando questo equivoco, sono contenta che tu, a dispetto delle tue solite abitudini, abbia deciso di recensire la mia fanfiction. Ne sono davvero onorata. Spero che continuerai a farlo!

FraFra. Ho risposto alla tua unica curiosità? Ora sai dove sono Harry e Ron, però se io fossi in voi lettori mi metterei le mani tra i capelli pensando che, in fin dei conti, sapere dove questi due cretini siano non svela assolutamente perché Hermione si sente così mortificata e avvilita. Comunque mi piacerebbe che non sembrasse che tra Draco e Hermione ci sia un rapporto di sottomissione. Probabilmente appare così perché è lei a gestire le lezioni… ma vi prego di tener conto che dal mio punto di vista Hermione è assolutamente incapace di essere la vera padrona delle situazioni. Senza contare che lezione e rapporto hanno un significato nettamente differente.

Sabry. La scala di importanza dei personaggi di questa fanfiction deve rimanere ancora ragionevolmente occultata nella mia testa malata, purtuttavia posso anticipare senza timore che Theodore e Blaise saranno personaggi con una certa rilevanza. Perciò tranquilla! Devo anche dirti che anche io non nutro particolare affetto per Ginny e Dean, ma non mi piaceva l’idea di lasciare veramente sola Hermione nel suo settimo anno di scuola, principalmente per il fatto che secondo me non sarebbe stata assolutamente capace di sopportarlo. E poi, infondo, non è che abbiano quel gran ruolo, ti sembra? Grazie mille per la delucidazione su OOC: mi fa enormemente piacere che tu pensi che io abbia tenuto fede al carattere dei personaggi. E’ una cosa a cui tengo molto. Per quanto riguarda la recensione al terzo capitolo concordo in pieno col fatto che Harry è sufficientemente insopportabile: mi sono impegnata per presentarlo in modo che lo sembrasse!

Giugizzu. Draco non è semplicemente antipatico: Draco è un autentico stronzo! Del resto, come hai detto tu, è così che ci piace. Purtroppo come hai potuto constatare non ho potuto aggiornare questo lunedì. Mi dispiace veramente moltissimo… del resto la vita di una ragazza di diciassette anni con un lavoro e un fratello che ha appena finito la maturità è chiaramente problematica. Spero comunque che aspetterai sempre pazientemente. Comunque lo so: avevi ragione! Su Harry e Ron, intendo. Avrei voluto dirtelo prima ma dovevo trattenermi. Era una questione fondamentale non potevo assolutamente farmi sfuggire nulla! Neanche su quanto e soprattutto come Draco si addolcirà posso dire nulla: ho la bocca ermeticamente chiusa! Per le scene osè invece temo avrai una delusione: essendo assolutamente estranea a questo genere di esperienze mi trovo nella posizione di una persona che non desidera scriverne né avrebbe mai la capacità di farlo. In un certo senso sono abbastanza ignorante da quel punto di vista… ma comunque ho ancora diciassette anni! C’è tempo per apprendere tutto nella vita, no! ^_^

JessicaMalfoy. Bene: abbiamo definitivamente appurato che il lunedì è un buon giorno per aggiornare. Il verdetto perciò è definitivo. La seduta è tolta. Per il Veritaserum temo avrai una – l’ennesima – delusione, però: ho scelto una pozione a caso che potesse risultare credibile per un compito di Pozioni; non ha nessun altro fondamento particolare la mia decisione. E sinceramente l’idea di far dire a Draco qualcosa mediante una pozione mi sembra tanto azzardato quanto inutile: il cambiamento, secondo me, deve essere volontario e deve partire dall’interno. Un interno che non sia l’intestino, ecco.

Dana. Ehm, dolce Harry… simpatico Ron. Caspita… A meno che non fosse ironia, la tua, immagino che io e te abbiamo idee piuttosto discordanti sulla faccenda. Non che io non creda che Harry sappia essere dolce e Ron sappia essere simpatico. Assolutamente, questo no! Solo che credo anche che dopo il quinto libro siano altri gli aggettivi adatti a loro. E dopo aver letto questo capitolo, se mai lo leggerai, immagino che realizzerai anche tu il mio punto di vista. Ad ogni modo potrei anche aver preso un abbaglio: magari, in realtà, hai proprio ragione tu e io ho torto marcio. Possibilissimo. Comunque,il punto focale del tuo commento, identificabile con l’atroce dubbio che Hermione e Draco possano attrarsi a vicenda, necessità di una risposta. E la risposta è: si, possono. Personalmente credo sia veramente difficile, quasi impossibile. Quasi, però. Come era quasi impossibile che io riuscissi a capire certe cose di questo mondo e riuscissi a vivere più serenamente… del resto è successo. Non si può parlare di cose impossibili quando ad agire sono le persone. E non si può neanche dire che non possa esistere la felicità quando a cercarla è una persona triste. Perciò, se si riescono a vedere Draco e Hermione come persone tristi – e già, comunque, per questo bisogna creare l’occasione – e se si riesce a fare in modo che, col tempo, ai loro occhi, un’amicizia, la loro amicizia, possa essere la strada per raggiungere la felicità… beh, allora è possibile che le loro strade si incrocino. In questo modo potrebbero anche incontrarsi. E se avviene un incontro… può accadere di tutto, no?

Hermione. Hai ragione, Pucey è stato soggetto ad atroci discriminazioni. Del resto, voglio dire, con quel nome… Comunque, lungi dal partecipare a questa ignobile crudeltà, ho deciso di riservargli un ruolo nella mia fanfiction! Sono stata brava, eh? Felicissima che ti piacciano tanto il mio stile e la mia storia, mi spiace solo che siamo tutti così scettici su Draco e Hermione insieme… del resto ti rimando a qualche riga sopra, e più precisamente alla risposta che ho dato a Dana: troverai il mio punto di vista sulla faccenda. Volevi la risposta alle scuse di Hermione… Eh Eh Eh! (risatina stupida) Uh Uh Uh! (risatina sadica)… eccotele qui in questo quarto mirabolante capitolo! Che ne pensi? E’ una “risposta” da Draco Malfoy?

Bimba88. Oh, siamo coetanee! Che bello! Beh, comunque qui, pronto per te, per quando tornerai, c’è un nuovo capitolo che ti aspetta. Spero che ti piacerà tanto quanto quelli precedenti! E nel frattempo… passa delle splendide vacanze! ^_^

Sahm. Davvero ti ha dato l’idea di un Draco pigro e scocciato? Cioè, no, aspetta: pigro e scocciato sicuramente un po’ lo è, ma mi sembrava che fosse anche abbastanza stronzo e altezzoso. Mi impegnerò con tutta me stessa per dargli un’immagine più giusta e delineata! Promesso! Sono contenta che, comunque, ti sia piaciuto molto questo “inizio” e spero che con eguale trasporto sarai felice di constatare che anche questo terzo capitolo esordisce con una delle canzoni con il senso più bello che abbia mai ascoltato e, a questo punto, letto.

Super gaia. Estremamente concisa, estremamente gentile. Ti ringrazio molto per il tuo commento. Fa sempre piacere sentirsi dire quel genere di cose!

Bellatrix Lestrange. Allora vado così? Alla grande? E continuo presto? Sì! Andrò così! Alla grande! E continuerò presto! No, scusa… non voglio prenderti in giro, anzi: la tua recensione mi ha dato la carica! Mi è piaciuto leggere “massacriamolo allegramente”, o anche che ho “centrato in pieno” il carattere di Harry. E anche che Hermione è un “povero tesoro”… mi ha ricordato tanto quando io racconto il capitolo in anteprima a La Demenza e ci inserisco tutti questi commentini pucciosissimi e faccio un sacco di facce strane esprimendo le mie varie emozioni con scatti di rabbia o attacchi di pianto e depressione improvvisi. Insomma, tutto questo per dire che credo di aver appresso completamente il tuo commento e ne sono stata davvero molto felice! ^_^

Emmawatson4ever92. L’hai lasciata a metà, eh… Oh, come ti capisco: anche io sto lasciando in sospeso (non in eterno, si intende) quello che per ora è il mio master(and only)piece – per tutti quelli che se lo stanno chiedendo, I Live for you non è considerato neanche un mio piece… è semplicemente una pseudopiece. Che peccato, però! Perché non continui la tua fanfiction? Sicuramente hai delle ragioni per non averlo fatto o non volerlo fare, ma se trovassi tempo e magari ti dovesse frenare solo qualche motivo senza troppa rilevanza allora sarebbe bello se tu la continuassi, no? Comunque, nel caso in cui riuscissi a finire questa fanfiction con successo e fossi capace di cimentarmi in una nuova impresa concentrata su questo pairing sarei felice di ricevere una tua recensione. Intanto, in ogni caso, sono contenta di averne ricevuta una adesso!

Mikki. Che meraviglia! Sono così contenta di ciò che mi hai lasciato scritto! Trovo bellissimo che tu sia rimasta affascinata dal titolo: come ho spiegato a più di uno ci tenevo molto a trovarne uno appropriato e la tua è stata l’ennesima e più esplicativa conferma che ho fatto bene a scegliere The Draco and Hermione’s Opera! Sono veramente, veramente felice di questo! Ma anche di tutti gli altri generosissimi complimenti che mi ha elargito! Insomma, non so da che parte cominciare per esprimerti la mia gioia! Nel senso… ti piace il mio stile, lo trovi piacevole, scorrevole, lineare, e trovi la storia straordinaria, la caratterizzazione dei personaggi azzeccata e… brillante? Posso dedurre che la trovi brillante da quello che hai scritto e sto solo volando con la fantasia? Beh, in ogni modo, tutto quello che hai scritto renderebbe chiunque al settimo cielo, e sicuramente è così anche per me! Sei stata davvero gentilissima a lasciare un commento così esauriente, spero davvero che recensirai ancora tante altre volte – ma non necessariamente con commenti extra-lunghi… va benissimo anche qualche parola! Ne sarei comunque davvero contenta! ^_^

Nightmare… La Demenza… PERDONATEMI! Non riesco fisicamente a stare più alzata di così: devo dormire! Però vi voglio bene, davvero, e sono contentissima di aver ricevuto i vostri commenti. Per la mia doverosissima ma purtroppo mancata risposta a questi mi sottoporrò ad un durissimo digiuno! E naturalmente mi lascerò bacchettare senza riballarmi! Giuro su Sally (il mio vecchio portatile! Un cimelio di guerra!) e su Allyson (il mio nuovo portatile! Il nuovo padrone di casa!) che la mia colpa troverà una punizione adeguata! E dopodichè sconterò il resto della pena a rimuginare sui miei sbagli e a scrivere un ringraziamento degno di voi! Come garante della mia ferrea decisione, vi affido rispettivamente anima e neuroni: fatene ciò che volete!

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Capitolo 5
*** Un dolore vissuto con amore ***


Oggi sono stata proprio brava, mi congratulo con me stessa: ho rispettato ampiamente le scadenze

Oggi sono stata proprio brava, mi congratulo con me stessa: ho rispettato ampiamente le scadenze! Sto proprio migliorando!

Questo era quello che avevo scritto ieri sera alle 23.14, prima che un violento uragano si abbattesse su casa mia e noi dovessimo spegnere qualsiasi apparecchio elettronico per paura che potesse fondersi. E in effetti la scorsa volta il computer fisso di casa mia ha fatto più o meno quella fine…
Sul serio: questa mattina non andava più una bega di niente! Neanche il telefono! Nel panico, abbiamo chiamato fastweb con un cellulare e siamo riusciti a far funzionare tutto.

E dire che io ero già rassegnata al peggio…

Ad ogni modo, dopo avervi messo a parte delle mie vicende serali e mattutine (quelle notturne sono stata completamente occupate da un sonno profondo) passiamo a ribadire i diritti d’autore di J.K.Rowling e a proporvi un piccolo riassunto di questo ennesimo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera: dopo un piccolo approfondimento sul carattere di Theodore e Blaise, ci viene finalmente spiegato cosa successe il lontano giorno in cui Harry, Ron e Hermione hanno smesso di essere il Fantomatico Trio. E nel frattempo Draco cerca di conoscere se stesso… venendo naturalmente ostacolato dalla sua stupidità!

Per tutto il resto, vi invito alla lettura!

The Draco and Hermione’s Opera

5° capitolo.
Un dolore vissuto con amore

*** *** ***

I was waiting for so long
For a miracle to come
Everyone told me to be strong
Hold on and don't shed a tear

Sono
stata ad aspettare così a lungo
per l'arrivo di un miracolo
tutti mi dicevano di essere forte
aspettare e non versare una lacrima

(A new day has come – Celine Dion)

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*** *** ***

Sabato 16 Novembre. Ore 12.24
Hogwarts. Sotterranei. Aula di Pozioni.

« Ehi, ciao Draco! »

Theodore l’aveva salutato vivacemente, ma naturalmente Draco non aveva trovato niente di meglio da dire che:

« Non mi parlare. »

E si era dileguato.

Se solo non avesse saputo che lo stato catatonico di smarrimento in cui era caduto il compagno di casa in seguito a quel fortuito incontro gli avrebbe impedito di intendere nitidamente il suono della sua voce, allora avrebbe pronunciato con ogni tranquillità:

Favoloso.

Perché non c’era niente di meglio, al mondo, che essere presenti all’incipit della più poderosa crisi esistenziale di Draco Malfoy. Niente a parte partecipare al coinvolgimento emotivo – inevitabile - di Theodore, naturalmente.

Restò immobile, stravaccato sul divano, con le mani nel mantello e gli occhi fissi sul ragazzo di fronte a lui, in attesa che questi si ridestasse e decidesse di metterlo a parte delle sue considerazioni. Cosa che, di certo, non avrebbe mancato di fare. Renderlo partecipe di quanto accadeva, nel vano tentativo di fargli capire l’importanza della preoccupazione per gli altri, era un compito che quel ragazzo si era accollato deliberatamente, e che portava avanti instancabilmente.

« Sembrava sconvolto. » Farfugliò Theodore, quando trasalì. I suoi occhi grandi e chiari erano spropositatamente dilatati. Il suo viso, una divertentissima maschera di angoscia e agitazione.

Decisamente, favoloso.

« Probabilmente allora lo era, no? » Suggerì trattenendo a stento un ampio sorriso soddisfatto, e alzando pigramente le spalle.

« Parli come se ne fossi contento. » Lo rimproverò acidamente il compagno, inarcando le sopracciglia e fissandolo con un’espressione piena di biasimo. Come se il suo biasimo potesse indurlo a redimersi! Invero, tuttavia, non c’era niente di Theodore che fosse sufficientemente minaccioso che potesse portare qualcuno in quella direzione. Era decisamente troppo buono. Troppo drammaticamente altruista e generoso. Troppo disperatamente atto al perdono.

L’esatto contrario di lui.

« Allora probabilmente lo sono, no? » Lo provocò nuovamente, con un occhiata beffarda accompagnata da un sopracciglio ironicamente inarcato.

« Oh, ma piantala! » Esclamò scocciato Theodore, che riprese immediatamente a struggersi per l’originario motivo del suo nervosismo: « La situazione peggiora di giorno in giorno! »

« La situazione di chi, scusa? »

« Di Draco, no? » Scattò il compagno, alterandosi. « Di cosa stiamo parlando?! »

Assolutamente favoloso.

Theodore era in assoluto la persona più divertente che conoscesse.

Tralasciando Draco, naturalmente.

Ma Draco lo era per tutto quello che gli accadeva intorno. Per tutta la sua situazione che era sempre stata ad un passo dal cambiare, perché in bilico su un filo, e che presto sarebbe cambiata. Per tutto quello che aveva dentro e che non era mai riuscito a capire. Per la semplicità con cui si facevano cadere i suoi castelli di sabbia. Quei castelli che, in fin dei conti, fino a quel momento erano stati tutta la sua vita. Una persona del genere, per quanto noiosa, non può non divertire. Mentre Theodore era divertente proprio per com’era. Perché era il tipo di persona ultra sempliciotta che i tipi come lui si mangiavano a colazione. E perché era l’unica nel suo genere che lo prendeva costantemente sul serio, sebbene si sforzasse strenuamente di non farlo in modo da non cascarci sempre come una pera cotta.

Decisamente, Theodore era l’eroe delle sue cacce al tesoro e giochi dell’oca. Partecipava sempre: non riusciva a tirarsi indietro. Era più forte di lui. E giocava con assoluta serietà, anche.

Uno spettacolo vivente, in poche parole.

« Pensavo avessimo finito di parlare di lui. » Si giustificò, guardandolo con fasulla innocenza.

« Ma neanche per sogno! » Si incaponì il compagno, squisitamente preso dagli eventi e, inconsapevolmente, ancora una volta goffo giocatore di uno dei suoi percorsi a ostacoli. « Io sono preoccupato! »

« Perché tu ti preoccupi troppo per tutto. » Commentò Blaise, in un sospiro tediato.

« Questo non è vero. » Contestò puntandogli il dito contro, con un fare vagamente accusatorio. « Al massimo sei tu che non ti preoccupi per niente! »

Dovette trattenersi per non ridere.

Non si poteva neanche dire che Theodore fosse ridicolo, infondo. Avrebbe detto tenero, più che altro.

Come un peluche.

« Guarda che io mi preoccupo per un sacco di cose. » Lo informò, infondendo alla propria voce un tono pacato e compito.

« Sì, ma che riguardano solo te stesso! » Sbottò esasperato il compagno di stanza, visibilmente sfibrato da quella situazione.

Gli concesse uno sguardo paziente, e lo istruì:

« Come fanno tutti, Theodore. »

« No! Non è vero! » Strillò additandolo con foga e annuendo con forza, come se avesse improvvisamente ritrovato il suo vigore. Ne riconobbe il suo curiosissimo modo di coglierlo in flagrante. « Questa è solo una tua assurda convinzione! Non tutti sono come te! »

« E’ vero. » Convenne con voce ridente. « Tu non lo sei. » Equivocare apposta le geniali intuizioni di attacco di Theodore era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti. C’era qualcosa di toccante nell’espressione che abitualmente ne conseguiva:

« N-no, non solo io! » Incespicò Theodore, infatti, quasi arrossendo per l’inevitabile viaggio mentale che gli aveva fatto fare.

Povero, povero Theodore! Quale grande fardello era essere tanto ingenui e innocenti! Quale responsabilità doveva pesare su quelle gracili spalle!

Decise che avrebbe infierito su quella faccenda non appena ne avesse avuto l’occasione.

« Non stavamo parlando di Draco? » Domandò poi improvvisamente, fingendo un provvidenziale e solenne – quanto falsissimo – attacco di nostalgia per quanto stavano precedentemente dicendo.

« Sì, giusto. » Aggrottò le sopracciglia Theodore, preso alla sprovvista. « Di Draco. » Si grattò la nuca con una mano. La fronte corrugata nella concentrazione e tutto il suo essere inequivocabilmente teso verso un unico assillante pensiero: « E della sua situazione. »

« Che secondo te peggiora di giorno in giorno. » Lo aiutò a ricordarsi, incrociando le braccia sul petto e annuendo.

« Come “secondo me”? » Sbottò il ragazzo, perplesso, puntandogli gli occhi in faccia. « Secondo te no? »

« Mah, in effetti no. » Rispose tranquillamente, stringendosi nelle spalle. « Secondo me migliora. »

« Si, ma migliora per te! » Stridé sull’orlo di una crisi di nervi Theodore. Gli occhi stravolti iniettati di sangue nello sforzo sovrumano che gli costò quell’esclamazione. « Perché ti diverte! »

Questa volta fu davvero difficile trattenere le risa.

« Beh, sicuramente mi diverte. » Ammise, cercando disperatamente di darsi un tono. « Ma in questo caso non migliora solo per me. »

Theodore aggrottò le sopracciglia, confuso, e chiese:

« E per chi? »

« Per Draco, no? Di chi stiamo parlando? » Lo apostrofò, schioccando ogni parola con profondissimo sarcasmo. Certi piaceri non li avrebbe scambiati con niente al mondo. E, per inciso, quello era uno di quei piaceri.

« Sei odioso quando fai così. » Soffiò Theodore tra i denti, riducendo gli occhi a due sottili fessure e stringendo con forza le mani tese lungo i fianchi.

« Grazie. » Disse, rivolgendogli un ampio sorriso.

« Guarda che non è un complimento! » Sbottò con insofferenza e frustrazione il suo esausto interlocutore. « E per tornare alla faccenda di Draco… » Aggiunse mostrandosi teneramente risoluto. « … gradirei che mi dicessi se pensi veramente che possa migliorare la situazione. »

« Lo penso veramente. » Rispose, serio.

Ed era veramente serio.

Andava precisato perché era facilissimo fingere, per lui. E Theodore era così in buona fede, innocentemente in buona fede, inevitabilmente in buona fede, che gli dava sempre credito. Quella volta, tuttavia, disse una cosa che pensava.

Il compagno di stanza parve pensarci su attentamente e poi scuotere il capo e concludere dubbioso:

« … secondo me non può. »

« Beh, è perchè tu non guardi la cosa in prospettiva, Theodore. » Spiegò, guardandosi le unghie delle dita con scarso interesse.

Era una cosa che non si poteva acquisire con l’esperienza: essere in grado di rivolgere il proprio sguardo nel tempo era una specie di qualità innata. La si aveva dalla nascita, oppure ce la si poteva scordare. E per una persona come Theodore il solo concetto di “prospettiva” era lontano. Infatti in ogni suo gesto o parola non c’era alcuna premeditazione.

Da quel punto di vista avrebbe anche potuto definirlo un individualista. Del resto sapeva con assoluta certezza che non c’era niente di più lontano dalla verità.

« Che intendi? » Domandò perplesso Theodore, inarcando le sopracciglia.

Non fece in tempo a rispondere – e comunque non l’avrebbe fatto – che qualcuno li salutò:

« Theodore! Blaise! Ciao! »

Naturalmente solo Theodore si volse per rispondere ai saluti.

Si trattava del suo modo di essere cortese. E riusciva ad esserlo splendidamente. In effetti, non c’era nessuno, a Serpeverde, gradevole quanto il suo tenero peluche. Lui, invece, non salutò nessuno e, anzi, trovò l’occasione perfetta per defilarsi: aveva detto anche troppo. Se avesse detto di più avrebbe dato troppi indizi. Invece il gioco era appena iniziato e il percorso era ancora molto, molto lungo.

Si alzò perciò dal divanetto e si diresse verso l’uscita della Sala Comune.

« Ah, ciao Eloise! » Sentì dire dolcemente da Theodore verso la Serpeverde appena sopraggiunta e poi, verso di lui, con un tono di voce più alto e vagamente più aspro: « Ehi Blaise fermati! Non abbiamo ancora finito di parlare! »

« Guarda in prospettiva, Theodore. » Gli rispose alzando il braccio e scotendolo con indolenza, mentre scompariva dietro l’uscio. « Guarda in prospettiva e tutto ti sarà chiaro. »

Ci sarebbe stato da divertirsi quella volta.

Aveva sempre saputo che, a lungo andare, Draco sarebbe riuscito a rallegrare quel lungo e noiosissimo soggiorno a Hogwarts. Ci aveva messo sei anni per far accadere qualcosa di estremamente interessante, questo era vero. Ma probabilmente l’attesa sarebbe valsa lo spettacolo.

Draco Malfoy e Hermione Granger.

Ci sarebbe stato da divertirsi.

Veramente da divertirsi.

*** *** ***

Domenica 17 Novembre. Ore 15.20
Hogwarts. Secondo piano.

Non era ancora riuscito a calmarsi.

La lontananza da Hermione Granger aveva permesso alla rabbia di diminuire notevolmente. Ma restava il fastidio per quella situazione che non sapeva ignorare, e tanto meno riusciva a spiegare. E restavano l’irritazione e la preoccupazione per non essere in grado di mettere fine a qualcosa di così scomodo come quella sensazione indefinibile di precarietà e disagio che l’aveva investito. Quella sensazione che non lo faceva sentire libero di scegliere per conto proprio. Che gli dava l’idea di non poter muoversi in nessuna direzione. Come se, dopo uno scossone violento, nella sua vita avesse cominciato a regnare la staticità più assoluta. E lui non fosse assolutamente capace di farci qualcosa.

Era anche peggio che sentirsi arrabbiato o in dovere di esserlo.

Guardava il giardino di Hogwarts dal porticato interno, e non sentiva niente. Guardava i ragazzi e le ragazze parlare, muoversi, ridere, e si sentiva lontano anni luce da loro. Guardava i loro colori e li invidiava. Guardava i propri… e vedeva grigio.

Se, finita la rabbia, era quello che doveva sentire. Se era quel vuoto immenso, quella sensazione terribile di grigiore, inattività maniacale, allora preferiva di gran lungo la rabbia. E preferiva non aver mai conosciuto quella parola così diversa dalle altre, che gli aveva sconvolto l’esistenza.

« Ehilà. »

Si voltò indolentemente verso sinistra, in cerca della persona che l’aveva chiamato. Quando la scorse un’espressione di velata insofferenza e palese stanchezza si dipinse sul suo viso. Rivolse nuovamente lo sguardo a dove l’aveva costantemente tenuto puntato, e rispose spiccio al saluto:

« Blaise. »

Quel ragazzo era esattamente l’ultima persona che voleva vedere in quel momento.

Del resto il Serpeverde gli si era già accostato. Aveva già imposto la sua presenza con una prepotenza placida ma inesorabile. E lui era dannatamente conscio di quanto fosse impossibile sfuggirgli.

« Comincia a far freddo, vero? » Domandò Blaise, anch’egli volgendo lo sguardo al giardino. Il suo tono di voce sembrava essere l’emblema della normalità. Ma Draco vi intuì distintamente il preludio della fine.

Una domanda normale per introdurre il gioco, e poi…

… un lunghissimo percorso ad ostacoli e penitenze.

Il rituale preferito da Blaise Zabini. Un ragazzo dotato di una raffinatezza di lineamenti e maniere da far invidia al più regale dei re. A dispetto di quanto sporchi fossero i suoi scopi e i suoi stessi mezzi per raggiungerli, i suoi modi di fare possedevano uno stile e una grazia a dir poco folgorante. Supponeva che si trattasse di una delle tante qualità innate di Blaise. Una delle miriadi qualità innate di Blaise. Tutte premurosamente atte a porre gli altri un gradino sotto di lui.

Prerogativa fondamentale perché il ragazzo decidesse di intraprendere con loro una qualche conversazione.

« Siamo a Novembre, se non te ne fossi accorto. » Grugnì scorbuticamente, inarcando un sopracciglio con fastidio. « Sarebbe strano se non lo facesse. »

In quel momento non gli faceva piacere intendere il divario qualitativo tra la sua persona e quella di qualcun altro. E considerando il soggetto che aveva davanti, meno che mai si sentiva ben disposto nei suoi confronti.

Eppure, a dispetto di tutto, in quel mondo capovolto… persino Blaise aveva qualcosa di diverso.

Qualcosa di meno inquietante, per la precisione. Di meno pericoloso. Era semplicemente irritante. Beh, forse dire “semplicemente” era un po’ restrittivo, ma non avvertiva alcun brivido gelido percorrergli la schiena. E nessun nodo gli si era ancora formato in gola, benché fossero passati addirittura una trentina di secondi dalla sua comparsa.

E quello era già qualcosa.

« Hai ragione. » Convenne ridacchiando il compagno, questa volta scoccandogli un’occhiata furtiva. Furtiva, non perché il ragazzo avesse sperato che lui non intendesse lanciargliela, quanto più perché era una di quella da “toccata e fuga”, che lo sono perché basta un istante per colpire nel segno. E, in effetti, quell’occhiata gelidamente infida lo perforò completamente e raggiunse il bersaglio. Qualsiasi esso fosse.

« Immagino di sì. » Resistette laconico. Non avrebbe permesso ad una sola occhiata di Blaise Zabini di sconfiggerlo!

« I tuoi due subalterni mi hanno detto che questa notte sei finalmente riuscito a dormire. »

Finalmente?

C’era qualcosa in quella parola. Qualcosa che era molto peggio di un’occhiata. E ne dedusse che quella doveva aver qualcosa a che fare con la chiave di lettura di quel suo nuovo giochetto. Ce n’era sempre una. Era “lo scopo ultimo”. Era il perché si era attardato a parlare con lui. La cosa divertente che l’aveva spinto a farlo.

« Si, ho dormito. » Confermò, guardandolo con sospetto e malcelata inquietudine. Se poteva, voleva essere pronto a parare i colpi di Blaise.

Giusto per ritardare la resa.

« Niente più incubi? » Chiese con falsissima sorpresa il compagno, lanciandogli uno sguardo tagliente di palpabile commiserazione. Gli occhi crudeli che graffiavano il suo orgoglio. Volutamente.

« Non ho mai avuto incubi. » Masticò caustico, mentre la mascella si serrava in una morsa ferrea.

« Ah no? » Domandò innocentemente Blaise, inarcando le sopracciglia, ostentando stupore.

Gli lanciò uno sguardo stizzito, sgradevolmente seccato. E Blaise gli regalò il suo primo sorriso appagato, ma non infierì ulteriormente.

Trasse un lungo respiro e scosse il capo, febbrilmente.

« Oggi non è proprio giornata, Blaise. »

« Non lo era neanche ieri. » Si lamentò con uno sbuffo annoiato il Serpeverde, accostandosi alla finestra di schiena. « Con te sembra non esserlo mai. »

« Anche se uno ti chiede qualcosa per favore, con te non c’è verso, vero? » Proferì tetro, in una mezza smorfia.

« Non me l’hai chiesto per favore. » Gli fece notare pacatamente Blaise.

« Allora per favore… » Tentò, sapendo di compiere uno sforzo inutile. « … potresti lasciarmi in pace? »

« Mh… » Finse di pensarci su Blaise. « Direi di no. »

Chinò il capo cupamente, in attesa dell’ennesima battuta sferzante. Ma questa non venne, e cadde invece il silenzio.

Si sentivano solo le risa dei ragazzi di fuori.

La sua diversità lo colpì di nuovo, con violenza.

Oltre che meno pericoloso, anche Blaise sembrava molto più colorato di lui. Non aveva bisogno di girarsi, per vederlo. Era una cosa che si sentiva. I suoi capelli nero corvino, in perfetta linea con gli occhi leggermente a mandorla, scuri come la pece, avevano una lucentezza quasi abbagliante. La pelle un poco olivastra aveva un colore che sembrava catturare l’oro dei raggi del sole. La divisa verde e argento risaltava con grazia e splendeva con alterigia. E la voce che si era sollevata nell’aria, quando il compagno aveva parlato, gli era parsa colorata di un ammaliante e misterioso blu notte.

La sua si era dispersa tutto intorno… incolore.

Lo avvolgeva il grigiore.

Lo opprimeva il grigiore.

Non era né bianco, né nero.

Solo grigio.

« Blaise? » Lo aveva chiamato quasi inconsciamente.

« Sì? »

« Tu non hai mai sentito… come se la tua vita, improvvisamente, venisse… insomma… »

Il Serpeverde concluse per lui:

« … completamente stravolta? »

Convenne che stravolta era decisamente la parola giusta per illustrare perfettamente cosa intendeva. Perciò annuì, ancora una volta senza guardarlo in faccia. Solo attendendo una risposta, addirittura fiducioso.

Una risposta che giunse senza indugio a demolire le sue aspettative:

« No, naturalmente. »

Naturalmente.

Sospirò profondamente: la peggior idea che potesse venire nella vita di una persona era aspettarsi qualcosa da Blaise. Qualcosa che non fossero offese o giochi.

« Ma deve essere irritante, no? » Considerò ad un tratto il Serpeverde che gli era di fianco, con una certa noncuranza, curvando un po’ la testa nella sua direzione.

« Cosa? » Chiese confuso, aggrottando le sopracciglia.

« Vedere che tutto cambia. » Rispose Blaise, stringendosi nelle spalle. « Non pensi? »

Si astenne dal rispondere, ma si girò finalmente verso di lui, leggermente turbato, e questo dovette essere una dimostrazione di attenzione sufficiente per il Serpeverde.

« Insomma… » Riprese improvvisamente Blaise, volgendosi ancora verso il giardino, con lo sguardo che vagava senza meta, mentre quello che stava dicendo cominciava lentamente a designarsi nella sua mente. « … guardi il giardino della tua scuola, vedi gli altri giocare, sorridere, muoversi… e invece tu non ti senti più in grado di farlo. » Un tu generico che aveva qualcosa di personalissimo. « E’ come se qualcosa avesse scosso tutto e te l’avesse portato via. »

Si sentiva brutalmente tirato in causa. Tirato in causa e messo a nudo. Era sempre più sorprendente comprendere le capacità intuitive e deduttive di Blaise. In qualunque maniera fosse messo il mondo circostante, qualcosa di tremendamente spettrale quel ragazzo l’avrebbe sempre avuto. E la sua espressione ne avrebbe sempre risentito parecchio. Come anche il suo colorito, del resto. Si sentiva addosso un pallore sciupato. Avvertiva un’ansia fastidiosa che gli formicolava la pelle. E il cuore pareva irrequieto.

Draco si rese improvvisamente conto che il “perché” di quella conversazione, che si era per un attimo dimenticato di cercare e da cui per un attimo si era dimenticato di difendersi, cominciava a prendere grottescamente forma.

« O magari è molto più semplice… » Proseguì Blaise. Non notò l’impercettibile flessione delle labbra del compagno protendere verso l’altro, ma vibrò ugualmente, come percosso da un fremito. « Magari lo scossone è stato solo un istante. » Deglutendo si sentì la gola secca. « Ti sfiora e poi se ne va, lasciando tutto uguale. Solo che tu non te ne accorgi. »

Tutto uguale…

Le pupille di Blaise, in quel momento cangianti, vennero puntate dritte nelle sue.

Si sentì andare a fuoco.

« O magari non te ne vuoi accorgere. » Un colpo sordo nel petto. « Perché scopri che il tuo mondo è sempre stato vuoto. »

E “vuoto” voleva dire “grigio”.

Si sentì contrarre lo stomaco. Gli parve come se le sue gambe non fossero più in grado di sostenerlo. Scoprì le palpebre dilatate, che gli facevano male. Gli occhi bassi.

« In quel caso, al massimo, è divertente, vero? »

Sentendosi interpellato sollevò leggermente lo sguardo. Finalmente notò la smorfia divertita di Blaise. Come smarrito, si perse nel suo sguardo enigmatico e profondo.

« Una persona che arranca nel mare pensando di non poter più respirare, quando invece ha la testa fuori dall’acqua… è uno spettacolo che farebbe divertire chiunque, non trovi? »

Non rispose, lo guardò soltanto. Annuì per riflesso… ma dentro quello sguardo non c’era niente.

« Ehi, Blaise, puoi venire un attimo? »

Il Serpeverde si staccò pigramente dalla balaustra. Con una lentezza esasperante gli pose una mano sulla spalla. Con una voce monotona dichiarò:

« Devo andare. »

E passò dopo passo si allontanò. Quando però fu a metà strada, si voltò verso di lui.

« Ah, Draco. »

Cercò smarrito i suoi occhi.

Vi vide un sorriso.

« Continua a farmi divertire, ok? »

*** *** ***

Lunedì 18 Novembre. Ore 15.35
Giardini di Hogwarts.

Faceva caldo quel pomeriggio.

Benché fosse Novembre inoltrato faceva ancora piuttosto caldo. Naturalmente non si poteva pretendere di andare in giro solamente in maniche di camicia, ma era decisamente presto per i maglioni di lana di sua madre – cosa per cui era profondamente grata. C’era da dire, inoltre, che di indossare una bella gonna corta se ne sarebbe ancora potuto parlare. Naturalmente le calzamaglie di lana sarebbero state d’obbligo, ma erano un compromesso accettabile per far morire Dean d’invidia.

E magari anche di qualcos’altro…

Un raggio di sole filtrò tra i lunghi rami dell’albero sotto cui si trovava accidentalmente in quel momento. Il raggio di un sole che bisognava godersi senza pensarci due volte. Perché sarebbe stato difficile vederne uno simile persino in primavera. Bisognava farne tesoro, come anche di quei pomeriggi di pace in cui ci si poteva dilungare in tranquille passeggiate per i deliziosi giardini di Hogwarts.

Sbirciò al suo fianco: Hermione camminava con lei.

Non aveva capito bene cosa fosse successo in quei giorni. E questo anche se l’amica le aveva fatto qualche accenno al riguardo. In ogni caso, non aveva potuto non accorgersi del suo cambiamento. Perchè era evidente. Come Hermione avesse mutato atteggiamento in così poco tempo. Come ci fosse riuscita senza sforzarsi, era decisamente evidente.

Il viso sciupato, ma disteso. Gli occhi stanchi, ma vivaci. L’espressione tormentata, a volte, ma tranquilla. Quieta.

Aveva ancora molte preoccupazioni per la testa, si vedeva. E tra l’altro era normale: quella era Hermione. Dentro di lei scalpitavano sempre tantissimi pensieri. Progetti che si accavallavano gli uni sugli altri. Immagini da ordinare. Idee da mettere in pratica. Riflessioni da definire. Numeri da calcolare. C’era sempre stato tutto questo e molto altro nella sua testa, e, probabilmente, in quel momento c’erano anche tanti sentimenti ed emozioni dolorosi.

Ma c’era anche serenità… Una serenità che non le vedeva da tantissimo tempo.

Non stava dicendo che Hermione stava bene. Perché Hermione non stava bene. Ma stava meglio. Come le aveva detto. Perché non rideva spesso, ma quando rideva, se rideva… rideva davvero. E questo, sinceramente, era un progresso in cui non aveva neanche sperato.

« Ginny... » Esordì ad un tratto l’amica, riportandola gentilmente alla realtà. « … io e te non abbiamo mai parlato di quello che è successo, vero? » Fece una piccola pausa. « Mai parlato veramente, intendo. »

Non si stupì per quella domanda, ma la guardò attentamente, con un’espressione sospesa: in qualche maniera era riuscita a capire che prima o poi Hermione avrebbe detto qualcosa del genere. Perché l’Hermione che aveva davanti stava cercando di ritrovare anche il suo coraggio, oltre alla sua serenità. Gliel’aveva già letto in viso, quella mattina, quando si era sorpresa davvero della sua risolutezza, delle sue parole. Gliel’aveva letto dentro, e per un attimo ne era rimasta affascinata. Perché era meraviglioso che Hermione stesse cercando di ricordare tutto quello che aveva dimenticato. La determinazione. L’allegria. L’entusiasmo… Il coraggio. Quel coraggio che a quel punto lei le leggeva negli occhi.

Quel coraggio che le permetteva di affrontare il dolore, senza dover dimostrare niente a nessuno. Solo per portare rispetto alla sua dignità.

E lei, se Hermione stava facendo questo, se stava cercando se stessa, se stava miracolosamente reagendo, voleva essere capace di sostenerla anche solo un poco. Perché c’erano stati giorni in cui aveva pregato che succedesse. Per un sacco di motivi. A quel punto stava accadendo. E piagnucolare, esitare, o anche solo tentare di frenarla, per impedire che si facesse del male… sarebbe stato solo stupido.

Perché nessuno può fermare Hermione Granger.

Anche se di fronte a lei c’è un muro di pietra, tentare di farlo, anche solo pensare di farlo, per impedirle di andarci a sbattere contro, era un’offesa imperdonabile nei confronti della sua forza e della sua testardaggine. Se non, addirittura, del suo intero essere.

Scosse perciò il capo con decisione. I suoi lunghi capelli rossi volteggiarono attorno a lei.

« No, non ne abbiamo mai parlato. »

« Già. » Asserì Hermione, smettendo di camminare. Si fermò anche lei e la guardò negli occhi. Questi velati di tristezza. La tristezza pervasa di irremovibilità. « Anche se è passato così tanto tempo, non ne abbiamo mai parlato. » Le scappò uno sbuffo auto-ironico e confessò: « Lo trovo paradossale. » Paradossale le piacque. Era un termine che solo Hermione poteva adoperare al momento giusto. Suo fratello l’avrebbe usato per dire qualcosa di intelligente. Ma paradossale sarebbe suonato bene solamente detto da lei. « Ero così abituata a parlare con Harry e Ron che non mi è neanche passato per la testa che avrei potuto parlare di qualcosa con qualcun altro. » Socchiuse pacatamente le palpebre, abbandonandosi in un sospiro. « E poi pensavo che non ci fosse niente da dire. »

« Adesso pensi che ci sia? » Domandò, senza smettere di guardarla.

Hermione pensò attentamente alla sua risposta. Prima di parlare, in quegli ultimi giorni, ci pensava sempre. Era come se cercasse di dire la parole giuste, nella maniera giusta. In maniera che fossero vere e che anche lei potesse capirle. Alla fine si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio e ammise pacatamente:

« Sì, penso che ci sia molto da dire. »

« D’accordo... » Replicò piano, poi sollevò lo sguardo inghiottì sonoramente l’aria e fece uno stentato passo in avanti. « Ma se… » Si fermò un secondo, impacciata. « Se questo è il tuo modo di rimediare, Hermione, per quello che pensi di aver fatto, prima che tu dica qualsiasi cosa… io voglio assicurarti che non devi scusarti di nulla. »

Hermione che si scusava… anche quello era paradossale.

Lei non era stupida: aveva capito cosa aveva voluto dire Hermione affermando che ferire gratuitamente gli altri non ha senso. E aveva anche capito che tra quegli altri aveva incluso anche lei, Dean, Neville e Seamus. Aveva dovuto pensarci, per capirlo, ma l’aveva capito. E sapeva anche che aveva ragione, in qualche modo, e che, per questo, non avrebbe mai ascoltato ragioni al riguardo. Però le sarebbe piaciuto pure farle capire che in parte aveva anche torto.

Per quanto quel ragionamento apparisse privo di logica, le cose stavano in quella maniera. Perché, forse… Hermione era stata egoista.

Mai cattiva, ma forse egoista sì. Per un istante sì.

Però la debolezza di un istante non fa una persona. Hermione era solo Hermione. E Hermione e l’egoismo erano due cose diverse. Hermione e la cattiveria erano a due lati opposti del mondo. Hermione andava a pari passo con la determinazione, con l’ardore, con l’intelligenza. Quell’intelligenza che le permetteva di cogliere tutto quello che poteva accadere in un istante. Quell’intelligenza che la rendeva speciale. Che, combinata con la sua sensibilità, la rendeva capace di capire quegli istanti meglio di chiunque altro.

E, infondo, ammetteva che questo era meraviglioso. Che questo, benché alle volte l’avesse fatta star male, benché le avesse fatto credere di essere in dover chiedere scusa, senza che invece ce ne fosse bisogno… era importante.

Perché infondo le sue scuse facevano sentire gli altri importanti.

Come avevano fatto con lei.

« Non è così. » Mormorò Hermione. La sua voce sottile risuonò nel vento. E il suo sorriso riempì l’aria di tenerezza. Il suo sorriso sincero. Meraviglioso. Rivolto solo a lei, per dire qualcosa di bellissimo, con una dolcezza toccante: « E’ che tu sei la più cara amica che abbia mai avuto. Per questo vorrei parlarne con te. » Una dolcezza che scaldava il cuore. « Vuoi? »

Le parve quasi un onore.

« Sì. » Rispose piano, mentre le si inumidivano gli occhi.

Una risposta importante… che apriva una porta segreta.

« E’ successo ad Agosto, se non sbaglio. » Iniziò Hermione, congiungendo le mani, come se potesse aiutarla a ricordare meglio.

« In realtà… » La corresse lentamente lei. « … è iniziata a Luglio. »

« Si, è vero, la selezione c’è stata a Luglio. » Concordò la bruna, annuendo ripetutamente. Le lanciò uno sguardo consapevole, in cui tuttavia non vi erano tracce di biasimo, o accusa. « Li hai accompagnati tu, vero? »

« Sì, con Bill. » Rispose, traendo un profondo respiro. Un giorno, dal nulla, aveva visto Ron, Harry e Bill in procinto di uscire di casa. Aveva insistito per andare con loro. L’aveva fatto senza sapere assolutamente niente di quello che sarebbe successo. « Non sapevo davvero cosa volessero fare al Ministero della Magia, ci sono andata perché credevo sarebbero andati a fare una passeggiata. La mamma invece credo lo sapesse… » Aggiunse sicura. « … e infatti non era di buon umore. » Era sempre agitata. Andava su e giù per la casa, come se non potesse fare altro. Era più acida del solito con i gemelli. Più dolce del solito con lei. Si sentiva nell’aria che qualcosa non andava come doveva.

« Immagino che fosse in pensiero. » Commentò Hermione.

« La mamma è sempre stata apprensiva. » Si ritrovò a dire, affettuosamente.

Hermione le rivolse un sorriso molto dolce e annuì.

« Già. »

Cadde per qualche attimo il silenzio.

Si decise a interromperlo solo quando pensò che sarebbe riuscita a controllare la voce, dandogli un inclinazione sostenuta. Tuttavia quando lo fece le parve di sentire che in realtà era molto più pesante di prima. Come se fosse in procinto di spezzarsi.

Ugualmente decise di non interrompersi: per quanto avrebbe cercato di far apparire la sua voce normale, sicuramente, per dire quello che doveva dire… non ci sarebbe mai riuscita.

« Io non… non ho assistito alla selezione, ma mi sono accorta di quello che accadeva guardandomi intorno. » Si passò le dita tra i lunghi capelli rossi. Delle dita sudate per il nervosismo. « Ho pensato subito che era strano che tu non ci fossi. E penso che sia stato in quel momento che ho capito perché mio fratello diventava strano quando si parlava di te. Quando ho capito che non ne sapevi niente. » Guardandosi sfuggevolmente la mano che scendeva per tornarle lungo il fianco notò che il colore della sua pelle era un po’ sbiadito. « Perché tu ci saresti stata di sicuro, se solo l’avessi saputo. »

« Perciò mi hai mandato quella lettera. » Continuò Hermione per lei. Inspirò a lungo e recitò: « “Harry e Ron hanno fatto una selezione per diventare Auror”. » Sorrise mestamente. Un sorriso lieve, che la colpì. Un sorriso affranto, che la ferì. « E’ stato uno dei momenti più brutti di tutta la mia vita. »

Si sentì uno schifo.

« Io non… non sapevo cosa scriverti. » Squittì, pallida in viso, con la voce tremula. Il senso di colpa opprimente. « Non ne avevo idea. »

Lei era stata presente.

Aveva visto tutto, li aveva persino accompagnati là, e una volta giunti, non aveva fatto niente. Era stata solo capace di mandarle una lettera. Era solo riuscita a spezzarle il cuore. Si era sentita stupida e sciocca. Si era sentita…

… colpevole.

Hermione però le sorrise di nuovo. Un sorriso diverso da prima, il sorriso di una persona che sa distinguere i sentimenti. Il sorriso di una persona che riesce a comprendere le cose. Che riesce a darci importanza, anche se apparentemente non ne hanno. E le sue parole, nella loro semplicità, nel loro candore, sciolsero ogni cosa:

« Tu hai pensato a me. Io… ti ringrazio soltanto per averlo fatto. »

A una persona che era capace di vedere le cose belle, in quelle brutte… magari non subito, ma che era capace di trovare il tempo di pensarci, per trovarle… a una persona così, come si poteva far del male?

A una persona del genere… suo fratello e Harry come avevano potuto far del male?

« … avrebbero dovuto essere loro a scriverti. » Proruppe, smorzando la voce poco prima che questa potesse svelare il rancore che vi vibrava all’interno, e chinando il capo celando gli occhi carichi di sdegno. Non voleva dire che sarebbe stato sufficiente scrivere. Non voleva dirlo, perché in realtà credeva che niente sarebbe mai stato sufficiente. Ma sarebbe sembrato meno crudele. Quello sì. Meno crudele sì.

Spendere almeno un paio di parole, prima di distruggere tutto quello che avevano costruito insieme, in sei anni… sarebbe sembrato meno crudele.

« Sarebbe stato bello. » Confessò Hermione, con un po’ di timidezza nella voce sottile, impregnata di malinconia. « Ma alla fine abbiamo potuto parlare lo stesso. E’ stato il giorno in cui hanno appeso i risultati. Me lo ricordo… » Fece un debole pausa. « … ci siamo incontrati. »

« Mio fratello non ha mai voluto dirmi cosa vi siete detti quel giorno… » Esitò, stropicciandosi con foga le dita tra di loro, nel vano tentativo di calmarsi e ignorare le lacrime che premevano contro i suoi occhi. Non era proprio il momento di piangere, quello! « …ma so che la mamma ha smesso di parlare con lui e Harry per una settimana. »

« Beh, questo è proprio da Molly. » Ridacchiò Hermione. Una risata priva di allegria, piena di tristezza. Le si strinse il cuore sentendola.

« Oh, Hermione, cosa ti hanno detto? » Domandò accorata, avvicinandosi a lei, prendendole le mani tra le sue, guardandola con comprensione e affanno.

Sebbene più o meno sapesse cosa fosse successo, lo chiese. Sebbene li avesse già condannati per quello che non avevano detto, lo chiese.

« Non è stata colpa loro, Ginny. » Replicò Hermione decisa, come leggendole nel pensiero, mentre sottraeva cortesemente le proprie mani dalla morsa delle sue. Cercò di leggere cosa dicevano i suoi occhi. Vi lesse solamente un contegno avvilente. « Le cose dovevano andare così. Io ho chiesto che mi facessero un esame seduta stante, per essere ammessa insieme a loro. Non è stato possibile, ma anche se me l’avessero concesso non sarei mai riuscita a superarlo. » Trasse un lungo, esasperante sospiro, per poi proseguire con voce ormai innegabilmente strozzata da un nodo formatosi in gola: « E poi ho chiesto a Harry di dire qualcosa. »

Le parve di sentire il cuore di Hermione dilatarsi dentro di lei, togliendole il respiro. L’espressione del suo viso si contrasse.

Ed eppure, appena prima di parlare, solo per un attimo prima, incomprensibilmente… quell’espressione le parve splendente.

« Ha solo detto… »

« Torna a Hogwarts. »

L’aveva guardato negli occhi. Smarrita. Mortificata... Stravolta. Si era sentita venir meno. La vista annebbiata. Un ronzio ossessionante nella testa. Chiuse e riaprì gli occhi più e più volte. Ma quelli di Harry, ogni volta che sollevava le proprie palpebre, erano sempre invalicabili, inaccessibili. Sempre freddi. Una lama d’acciaio che sfregiava il volto. Un guanto di metallo che penetrava nel petto.

« No, Harry io... » Provò debolmente a obiettare, ma venne subito interrotta:

« Io e Ron abbiamo già preso la nostra decisione. »

Udì quelle parole distintamente, ma comprese altro. Mentre la terra sembrava sgretolarsi sotto i suoi piedi. Mentre il cuore cedeva sotto i suoi battiti frenetici. Mentre ogni cosa svaniva, la consapevolezza che il resto della loro vita non la riguardasse più la investì con inaudita violenza.

« Non avrebbe senso che tu lasciassi la scuola. » Proseguì Harry, impassibile.

Era come dire: “non abbiamo più bisogno di te.”

« Torna a Hogwarts. »

Era come dire: “addio.”

Il suo cuore si spaccò in due in quell’istante.

Sentì una lacrima scenderle lungo la guancia.

Una lacrima sola… per un dolore infinito.

« Ron non ha detto una parola per tutto il tempo. » Aggiunse infine, in un soffio. Gli occhi umidi. Le mani non più giunte, ma serrate in una morsa. « Harry se n’è andato subito dopo aver finito di parlare. » La vide socchiudere le palpebre, sofferente. « Non si sono girati indietro neanche una volta. »

Rimase di fronte a lei. Affranta. Restò a fissarla. Allibita. Con il viso segnato dall’incredulità. Il corpo scosso dalla mortificazione.

« Io avrei dato… » Esalò Hermione in un sussurro soffocato. « … avrei dato qualsiasi cosa pur di restare con loro. » La vide trattenere le lacrime, strenuamente, disperatamente… mentre quelle le avevano già rigato le guance. E la vide sorridere, anche. In un modo tristissimo. In un modo struggente. In un modo… bellissimo. Mentre mormorava con tutto l’affetto e il sentimento di cui era capace: « Perché loro sono sempre stati prima di tutto per me. »

Mi dispiace…

Riuscì solo a pensarlo, pianissimo… ma non fu capace di dirlo.

« Era una cosa che doveva succedere. » Mormorò Hermione, annuendo ripetutamente, cercando di convincerla che era così. Cercando di convincersi che era così. Ma non smetteva di piangere. E non smetteva di sorridere. « Harry ha fatto tutto questo perché doveva, per se stesso. Ci sono cose, nella sua vita, che io sapevo che prima o poi avrebbe dovuto sistemare. » Prese fiato, quasi ansimando, scossa da singhiozzi rotti che tratteneva nel petto.

« Però… » Gemette con forza dopo qualche attimo, mentre la sua espressione si incrinava precipitosamente. Mentre si apriva una ferita.

Mentre ne sgorgava dolore.

« Però io penso che Ron sia stato fortunato ad apparirgli utile. »

Un dolore vissuto con sentimento.

« Per lui... per Harry... »

Un dolore vissuto con passione.

« ... avrei voluto esserlo anche io. »

Un dolore vissuto con amore.

*** *** ***

Lunedì 18 Novembre. Ore 16.57
Hogwarts. Primo piano.

Grigio.

A quanto pareva, quello era il suo colore.

Era stato a dir poco scioccante apprenderlo da Blaise. Tanto più che se mai fosse esistita una persona più abile di lui nel distruggere psicologicamente le persone, sicuramente questa sarebbe stata un suo clone. Ad ogni modo ci aveva pensato su, attentamente, e aveva convenuto che, per quanto inaccettabile gli fosse sembrato da principio, le cose stavano in quella maniera.

Come quadro generale non era proprio il massimo.

Era soprattutto tetro pensare che era sempre stato così, per quanto lui non se ne fosse mai accorto. Ed era lugubre concepire un futuro simile a quel presente. Se non altro, averne preso coscienza, avrebbe potuto scongiurare quella prospettiva. E se era riuscito a prenderne coscienza lo doveva principalmente al fatto che gli era stato chiesto scusa. Anche se supponeva che non sarebbe mai riuscito ad accettare che fosse Hermione Granger la persona da ringraziare per questo. Preferiva considerare quelle parole un patrimonio che la collettività gli aveva lasciato anonimamente. E preferiva anche soprassedere sui ringraziamenti. Ammettere l’importanza dell’evento in sé era il massimo che poteva concedere.

Ed era già parecchio, a suo avviso.

Un rumore di passi proveniente dalla sua destra attrasse la sua attenzione. Quando scorse la persona che lo aveva provocato una smorfia di disgusto gli si dipinse sul viso, mentre l’abituale sensazione di impellente rigetto fisiologico verso quella presenza risaliva rapidamente il suo esofago.

« Signor Malfoy! Salve! » L’euforia del saluto di Albus Silente coinvolse nella sua reazione anche tutto l’apparato nervoso e gran parte di quello respiratorio.

Sostenne con fastidio lo sguardo in quella direzione. Il preside gli sorrideva affabilmente e avanzava con un aria di contagiosa felicità verso di lui, fissandolo attraverso quegli antiestetici occhiali a mezzaluna. Con una barba di almeno un paio di centimetri più lunga e ispida del giorno prima e una faccia ancora più rugosa.

Nel complesso, in sostanza, quel fanatico sembrava sempre più vecchio ogni giorno che passava.

« Professor Silente. » Grugnì seccato, rivolgendogli una smorfia di saluto.

« Il Professor Piton mi ha detto che vorrebbe parlarle per una questione importante. » Riferì entusiasta il preside, quando gli si fu affiancato. Inorridì nell’appurare l’aura di beatitudine e inalterabilità che emanava quell’uomo.

Lasciando il gravoso compito di considerare questi pensieri alla parte destra della sua testa, soppesò con quella sinistra l’annuncio di Silente riguardo quello che gli era stato mandato a dire da Piton: la questione importante era senz’altro il compito di pozioni. Era andato da cani? Obbiettivamente non lo sapeva. Naturalmente non lo sperava. C’era un limite al peggio, infondo: cadere definitivamente in disgrazia anche a scuola non era esattamente la sua massima aspettativa.

« Vado da lui. » Replicò con convinzione, deciso ad accorciare il più possibile le sue sofferenze.

« Oh, ma non c’è fretta! Non c’è fretta! » Lo trattenne il preside con voce ridente. « Sono sicuro che al professor Piton non dispiacerà se resta un attimo a farmi compagnia! »

E’ una minaccia?

« D’accordo. » Indugiò, non sapendo se gli conveniva acconsentire o meno.

« Allora, Signor Malfoy, ha fatto amicizia con qualche bella ragazza in questi mesi? »

Era una minaccia.

Perché non era fuggito via? Perché?! Tralasciando il senso di perversione che gli suscitava che un vecchio bavoso spronasse un ragazzo di diciassette anni a “fare amicizia” con le belle ragazze, forzò una risposta che riuscisse a non far trasudare all’esterno l’astio violento che provava in quel momento:

« No. »

« Mh. » Si impensierì Silente, con fare meditabondo. « Peccato, sa? La vita offre un sacco di opportunità! » Gli si rivolse, sorridendo affabilmente, cercando probabilmente nella sua espressione un riscontro a quanto stava dicendo. Suppose che, tuttavia, vi trovò solamente un certo ribrezzo. In ogni modo parve non badarci e proseguì. « Sarebbe un peccato non coglierle! » Prese ad annuire come un povero deficiente e considerò con solennità: « Per esempio, io non vivrei senza il mio sorbetto al limone. »

Quel discorso gli parve la dimostrazione inoppugnabile dell’abissale stupidità di quell’uomo.

« Immagino la tragedia. » Commentò sarcastico. Mentre una parte di lui era straordinariamente felice della prospettiva di togliersi dai piedi Silente.

« Si, una tragedia immensa perdere il sorbetto. » Convenne con trasporto Silente. Figurandosi la catastrofe e venendo traumatizzato da quella visione.

Veramente io dicevo la tua morte.

Ma con la capacità di voluto travisamento di cui poteva occasionalmente avvalersi il vecchiaccio era meglio non correggerlo.

« Comunque anche il sorbetto al mandarino, non è male. » Aggiunse inspiegabilmente ad un tratto il preside, annuendo convinto.

L’apoteosi dell’assurdo.

Stava in mezzo ad un corridoio vuoto a parlare con Albus Silente dell’importanza del sorbetto al limone. Che vergogna…

« Il mondo sarebbe peggiore se non ci fossero cose da considerare belle, non trova? »

Rispose con impassibilità, quasi svogliatamente:

« Trovo. »

Ma si concesse una risposta per se stesso: si concesse un “si” ragionato. Un assenso vero. Perché nel grigio intorno a lui, qualche colore, anche se a stento, in verità poteva intravederlo ancora: l’arancio della marmellata, l’azzurro del cielo quando vi galleggiava sulla sua scopa. E secondo un tipo di ragionamento parallelo, probabilmente, Albus Silente avrebbe detto che si trattava di quelle cose belle che esistevano nella vita. Il paragone lo mise per un attimo dell’idea che lui e il vecchiaccio rugoso fossero sullo stesso piano.

Un brevissimo attimo, fortunatamente.

« Vado dal professor Piton, arrivederci. » Si congedò concisamente, dandogli le spalle.

Sentì il preside che lo salutava con lo stesso entusiasmo con cui l’aveva salutato quando era sopraggiunto:

« Oh si! Arrivederci Signor Malfoy! »

A mai più rivederci, vecchiaccio …

Percorse l’intero corridoio, svoltò a destra e cominciò a scendere indolentemente i gradini del sotterraneo. Si ritrovò ben presto di fronte all’ufficio di Piton. Non appena vi bussò dall’interno pervenne un invito ad entrare decisamente seccato. Deglutì: tutto ad un tratto non si sentivo più così ansioso di conoscere il fatidico verdetto. Si fece ugualmente coraggio e spinse in avanti la maniglia.

« Voleva vedermi? » Domandò avanzando di qualche passo, senza però chiudere del tutto la porta dietro di sé. Senza, cioè, privarsi dell’unica via di fuga di cui avrebbe potuto disporsi qualora le cose si sarebbe volte al peggio. Prospettiva che non era da escludere considerando l’espressione minacciosamente tetra che Piton possedeva quando, con uno sguardo torvo, sbottò:

« Alla buon ora, Signor Malfoy. »

Il bello era che a Piton non si sarebbe dispiaciuto se avesse tenuto compagnia a quel preside degenere.

Silente, sei un deficiente!

« Non si accomodi. » Lo freddò il professore notando con la coda dell’occhio che aveva fatto istintivamente un passo verso la sedia. « E’ una cosa veloce. »

Si immobilizzò immediatamente, mentre anche la parte meno perspicace del suo cervello concretizzava la consapevolezza che Piton non sembrava molto contento.

E se Piton non era molto contento, supponeva che il suo compito non doveva essere andato quel granchè bene. Si mantenne impassibile, cercando di non avere l’espressione di uno che è nato apposta per far impietosire gli altri. Cercando, in una parola, di non sembrare Ronald Weasley. E, naturalmente, lanciando uno sfuggevole sguardo verso lo spiraglio che aveva lasciato per garantirsi un’eventuale evasione.

« Certo, mi dica. » Dichiarò quindi ostentando disinvoltura. La distensione era la chiave per uscire vivo da quell’ufficio. L’aveva sperimentato a suo tempo.

« Il compito di Pozioni... » Iniziò Piton, sfogliando delle carte che aveva tra le mani con un’espressione irritata. Fece una pausa, aggrottando la fronte alla vista di qualcosa di abbastanza sgradevole. Che il suo voto facesse così schifo che ogni volta che lo si guardava gli veniva la nausea e faceva quelle smorfie?

Brutale presentimento.

« E’ andato male? » Tentò di indovinare, titubante.

« Male? » Domandò interdetto il professore, gettando via quello che aveva in mano con una stizza tale che gli salì l’angoscia. « Non direi male... »

Se era una di quelle situazione in cui la frase terminava in un « direi peggio » decise che sarebbe tornato da Silente e l’avrebbe insultato, giusto per il gusto di farlo.

« ... direi piuttosto bene invece. »

Niente insulti…

Peccato.

« B-bene? » Farfugliò, sbalordito, assolutamente incapace di credere alle proprie orecchie. Era andato addirittura “piuttosto bene”? Inspiegabile.

« Si, ho testato io stesso la sua pozione… su Silente. » Piton parve contrariarsi al pensiero. « Sì è, come dire, offerto volontario. Ieri più o meno. Infondo la sua pozione aveva un colorito abbastanza corretto » Un colorito corretto? Beh, in effetti, sebbene sul momento non gli fosse importato, ricordava vagamente qualcosa del genere. « E poi secondo lui aveva un buon odore. »

« Ah. » Esclamò incerto e leggermente perplesso: decisamente, Silente era un imbecille.

« Beh, per andare sul sicuro gli ho chiesto qualcosa di semplice. »

Se gli piaceva il sorbetto al limone?

« Ha risposto correttamente, ma poi ha continuato a ripeterlo per circa un quarto d’ora, a chiunque incontrasse. » Disse annoiato il professore. In quell’istante notò a terra il foglio che aveva gettato via: il risultato dei G.U.F.O. di 3 anni prima di Neville Paciock. La testimonianza definitiva che non aveva più nulla di cui preoccuparsi. « Immagino che lei abbia messo troppe code di salamandra essiccate. » Continuò, sempre piuttosto seccato. « Comunque penso di dovermi congratulare con lei. »

« ah... sì? » Domandò, trattenendo a stento un ampissimo sorriso.

« In una classe di D e S, lei è stato l’unico a prendere O. » Confermò il professore porgendogli una pergamena arrotolata senza neanche degnarsi si sollevare lo sguardo per cercare il suo.

Oh.

« Oh. » Ripeté, non più a se stesso ma ad alta voce, stordito, afferrando il foglio con mani tremanti e srotolandolo febbrilmente. Di tutto quello che c’era scritto, l’unica cosa che riuscì a leggere e gli parve logica fu una grande O sul lato in alto a destra. Si soffermò per ancora qualche attimo su di essa, sbalordito, dopodiché sollevò lo sguardo sul professore e, con l’espressione più solenne di questo mondo, domandò: « E’… è davvero vero? »

« Se preferiva una D anche lei avrebbe dovuto dirmelo prima. » Tagliò corto Piton infastidito, lanciandogli un velocissimo sguardo insofferente e poi tornando di nuovo a sfogliare le sue carte. « E questo è tutto quello che volevo dirle, perciò può andare. »

Non se lo fece ripetere due volte. Principalmente perché riuscì a intendere cosa gli sarebbe capitato se fosse rimasto: l’espressione facciale di Piton avrebbe avuto il potere di smuovere anche il più grande idiota di Hogwarts. Per dirla in termini semplici: persino Neville Paciock avrebbe capito che eclissarsi dalla vista del professore sarebbe stata una mossa alquanto tattica per garantirsi la salvezza. E andava considerato che Paciock stordito lo era per natura, e di certo non aveva bisogno di un voto strepitoso che gli facesse girare la testa rendendolo incapace di intendere e di volere. C’era infatti da dire che i suoi organi sensoriali sembravano tutto fuorché funzionanti, in quel momento. Cosa che non era necessariamente un male: si sentiva straordinariamente più leggerlo. Straordinariamente più felice. E del resto aveva preso O. Era un evento così sensazionale che l’avrebbero inciso sulla sua lapide! E sicuramente l’avrebbero scritto negli annali di Hogwarts. Anzi no! L’avrebbero tramandato nei secoli dei secoli e tutti, nessuno escluso, avrebbero riconosciuto quanta saggezza, e intelligenza, e accortezza erano stati infusi nel suo meraviglioso essere!

Si, sarebbe andata senz’altro così!

Perché lui… aveva preso O!

Solo quando si trovò sulle scale, tuttavia, lo folgorò la vera magnificenza di quella notizia.

Un ghigno malefico si dipinse sul suo viso: già, aveva preso O, il che significava che Il Momento era finalmente giunto.

Hermione Granger, le avrebbe pagate tutte.

Gliel’avrebbe stampata nel cervello, quella O! Gliel’avrebbe sbattuta in faccia! Gliel’avrebbe fatta ingoiare! E tanto meglio se avesse fatto indigestione! Senza contare che, a giudicare da quanto sapeva essere servizievole e remissiva in quegli ultimi giorni, probabilmente si sarebbe inchinata ai suoi piedi. E quello sarebbe stato il momento in cui l’avrebbe finalmente schiacciata per terra, come un misero insetto.

Magnifico.

E mentre correva alla ricerca della sua nemesi naturale per eccellenza… una O rossa scintillante pervadeva i suoi ancora grigi pensieri.

Il primo luogo dove pensò di cercarla fu la Biblioteca. Al contrario, la fortuna volle che lui scorse a metà del corridoio del primo piano, in giardino, a parlare con un’inequivocabile testolina rosso fuoco. Grandioso! Avrebbe preso due piccioni con una fava! Perché non vedeva nessun motivo per cui non avrebbe dovuto far notare la sua superiorità anche agli esseri inferiori che ospitava Hogwarts! Il che significava tutti gli studenti, tranne lui. E gran parte del corpo docenti.

Corse giù per le scale, uscì dal porticato e si gettò in una corsa frenetica nella loro direzione. Mentre nella sua testa si figurava l’incredulità di Hermione, che, guardando il voto del suo compito, si sottometteva a lui dicendo:

« Non potrò mai competere con te, Malfoy. » E poi ancora, con accorata reverenza: « Perdonami per tutto quello che ti ho fatto. » E infine, ormai in lacrime: « Potresti insegnarmi le vie della forza? »

Magnifico!

Quando fu in prossimità di raggiungere le due Grifondoro rallentò il passo. Si mise a posto il mantello, si sistemò la camicia, la cravatta, e si tirò indietro i capelli, con nonchalance. Quello era il suo grande momento: voleva esserci al meglio!

Avanzò deciso, vittorioso. Ventre in dentro. Petto in fuori. Sul viso, un’espressione di completo appagamento. Quando fu a un passo da loro, notò il lieve rossore attorno agli occhi di Hermione e i suoi, di riflesso, si illuminarono improvvisamente di gioia: il cielo aveva scelto di far avvenire il suo trionfo quando lo stato emotivo di Hermione Granger era già in pezzi!

Apprese che nulla avrebbe potuto guastare quel momento straordinario.

Si schiarì la gola, facendo notare al propria presenza. Ginny Weasley si girò e emise un gemito soffocato nel vederlo, Hermione Granger perse un po’ di colore e si fece prodigiosamente piccola di fronte a lui.

« C-cosa diavolo vuoi, Malfoy? » Gli domandò scioccata e nervosa la rossa, facendo gravitare lo sguardo da lui alla bruna, in apprensione.

« Ho qualcosa da dire alla tua amica. » Fece, calmo, scoccandole lo stesso sguardo che un re rivolgerebbe ad un piccolo e inutile scarafaggio nero. Perché lui era un re. E lei, per diretta conseguenza, era uno scarafaggio.

Lo sguardo della Weasley andò a soffermarsi in agitazione su Hermione, che però scosse il capo e si fece avanti, coraggiosamente, domandando con voce rauca e stanca:

« Cosa c’è? »

Ponderò attentamente cosa avrebbe potuto dirle. Infine, senza nulla toglierle alle sue doti di strabiliante oratore, optò per la cosa più semplice in assoluto. Vibrò per l’emozione e l’eccitazione, tirò indietro il capo, sorrise estatico e socchiuse gli occhi. La mano si mosse verso di lei, porgendole la prova schiacciante del suo successo.

« Ho preso O nel compito di Pozioni! »

Udì nitidamente il gemito di orrore e inevitabile stupore di Ginny Weasley, mentre avvertì che Miss Ero-la-migliore-ma-ora-non-lo-sono-più afferrava con una presa tremolante il foglio che le porgeva. La udì trarre un lunghissimo sospiro.

« Malfoy… »

Attese il suono del suo trionfo.

« Tu sei… »

Un figo?

« … un imbecille! »

Eh…?

Vacillò.

Spalancò gli occhi.

Aggrottò la fronte.

Eh?!

« Imbecille! » Ripeté Hermione. Il fuoco negli occhi, l’espressione di pietra. Nella mano destra, sgualcito incautamente ai bordi e mosso senza rispetto su e giù, il preziosissimo esito del suo test. « Sei un grandissimo imbecille, Malfoy! »

« M-ma come ti permetti?! » Replicò attonito, assolutamente sconcertato per quello che stava accadendo. « Io ho preso O! » Starnazzò con orgoglio, indicandogli il foglietto che aveva in mano. Lo scarafaggio, lì vicino, si era ritratta spaventata. « Significa Oltre ogni Immaginazione! »

Per tutta risposta Hermione lanciò uno sguardo di assoluto disprezzo a ciò che aveva tra le dita e lo accartocciò senza pietà.

Sentì le ossa accartocciarsi dolorosamente con esso.

« Lo so benissimo cosa significa, deficiente. » Ruggì Hermione imponente, sovrastandolo e freddandolo con lo sguardo glaciale. « Ma io non ho perso i miei pomeriggi per una misera O! »

M-misera?!

Avrebbe voluto gridarle in faccia che non era misera! Che era grandiosa! Ma temette che nel caso in cui l’avesse fatto, quella persona, che mai come in quel momento emanava un’aura di purissima energia negativa, gli sarebbe saltata addosso e gli avrebbe staccato le braccia e le gambe a morsi.

« Non accetterò una O anche nel prossimo compito! » Tuonò minacciosa.

Non osò farsi coraggio per risponderle a tono. Purtuttavia, il suo inconscio intervenne spontaneamente per lui:

« Guarda che io ho seguito alla lettera quello che tu avevi detto! »

Compresa la veridicità di quelle parole, e rinvigorito quindi dalla ragione, proseguì a spada tratta, a quel punto conscissimo delle proprie parole. Pochi attimi più tardi, tuttavia, proprio quando ormai non c’era più possibilità di ritrattare ciò che la sua stupidità gli fece dire, si sarebbe amaramente pentito delle sue parole. Al contrario, quando pronunciò:

« Perciò è colpa tua! »

Era straordinariamente soddisfatto di se stesso.

Da parte sua, Hermione inserì la modalità “Dead Angel”.

« Bene. » Stridé sferzante. Il suo sguardo infiammato da iridescenti lampi rossi. « Vorrà dire che la prossima volta non correremo rischi. » Gli occhi scintillanti emisero un malvagio raggio accecante nella sua direzione. « Puoi pure scordarti i tuoi allenamenti di Quidditch, Malfoy. »

« Cosa?! » Strillò scandalizzato, con la bocca spalancata per l’inaccettabilità della cosa. Era intollerabile! Improponibile! Imperdonabile! In…

« Hai forse qualcosa da ridire? » Lo freddò aggressivamente Hermione.

Agghiacciato, ingoiò la voce che gli si bloccò precisamente a metà della gola.

« No… » Rispose con voce strozzata. Non avrebbe avuto mai più nulla da dire, da quel momento in poi.

« Ottimo. » Sibilò spietata Hermione. « E tanto che ci sei scordati anche il tuo letto e il tuo cuscino. » Concluse crudelmente. « Perché avrai davvero pochissimo tempo da dedicargli. »

Si sentì veramente venir meno: l’immagine del suo letto a baldacchino con le tendine verdi e argento si allontanava nostalgicamente dalla sua mente.

Il Lato Oscuro aveva preso il sopravvento.

Devo dire che non sono molto soddisfatta di me stessa…
Ho riletto questo capitolo almeno dieci volte, ho cercato metterlo a posto in tutti i modi possibili, sono rimasta persino alzata fino alle due di notte tutta la settimana pur di avere più tempo da dedicare a ogni frase, eppure…
Eppure non so neanche io cosa non vada… T_T

Andando avanti di questo passo penso che rinuncerò definitivamente ai miei sogni di gloria (come scrittrice, intendo).

Ah! Wait! Non voglio interrompere The Draco and Hermione’s Opera! No, questo mai! Però sicuramente ci penserò due volte prima di impegolarmi in progetti assurdi come libri o robe varie. E anche di scrivere altre fanfiction, ecco.

Terminato il mio sfogo personale – che potete tranquillamente ignorare, dato che come massimo tra un paio di minuti tornerò a fare la spavalda – ho il piacere di presentarvi i miei ringraziamenti.

Ma prima… dubbio esistenziale n° 1619: quale parola è sottintesa dall’In… della lunga lista di aggettivi che dovrebbero presentare il modo di pensare di Hermione visto dagli occhi di Draco (Ultimo pezzo del capitolo)? La risposta giusta è Inammissibile!

Supergaia. Grazie Mille! Indubbiamente, sui tuoi commenti-flash, apprezzatissimi dalla sottoscritta anche perché giungono praticamente un nanosecondo dopo che ho aggiornato, si può sempre contare! E grazie anche per fiducia sulla mia puntualità… T_T Alla fine anche questo capitolo l’ho aggiornato in ritardo…

Clo87. Credibile e interessanti sono due aggettivi che mi piacciono davvero moltissimo! Decisamente, sai come lusingarmi! Intendiamoci, non è che tutti quelli che mi scrivono tutti quei favolosi complimenti come “bellissima”, “favolosa”, “incredibile” mi facciano proprio schifo, eh! (la frase va letta con una nota di fervente ironia.) Del resto io ho ideato questa fanfiction sperando esattamente che fosse credibile e interessante, perciò non posso che ringraziarti in tutti i modi per avermi arrecato una simile gioia, ti pare?!

Ithil. E così attendi nuovi e succulenti cambiamenti, eh? Beh, in questo capitolo per Draco cambia tutto, ma probabilmente è un tutto differente da quello a cui auspichiamo. Per dirne una, Hermione c’entra poco e niente con questo suo cambiamento. Ciononostante è un cambiamento davvero enorme e significativo. Nel prossimo (che ho appena finito di stendere in brutta) ho però il piacere di informarti che Draco arriva ad ammettere grandi verità sul conto di Hermione. E, miracolosamente, finirà per accettarle. Direi che è un bel passo in avanti, eh? Ah! Ma non posso proprio dire altro! Altrimenti di brucio la sorpresa! Tu però attendi, eh! E poi dimmi cosa ne pensi, ok? Non vedo l’ora di sentire una tua saggia opinione al riguardo!

Bimba88. G-R-A-Z-I-E! Dio mio, sono proprio irrecuperabile… sembra quasi che vi prenda sempre in giro! Ma non c’è niente di più falso! E’ solo che io sono sempre stata il tipo che se si commuove o è contenta deve dire o fare qualcosa di estremamente stupido (vedi Chendler di Friends, se ce l’hai presente). Ad ogni modo il mio 7 scarso in italiano si sente commosso dalla tua altissima considerazione di lui (ora si sente decisamente un 10+!^_^)! Tanto più che anche tu ci sei andata già pesante con le lusinghe, cosa che naturalmente mi rende immensamente felice. Ma ti adoro anche perché mi hai fatto delle domande: io adoro rispondere alle domande! (E questa si chiama sindrome da maniaca depressiva – oh, questa me la segno!) Dunque, adesso ti spiego il processo evolutivo di questa fanfiction: inizialmente dovevano essere 17 capitoli, ma la storia era molto meno completa, perciò il progetto è stato scartato. Seconda versione: una venticinquina di capitoli. Questa volta una trama abbastanza completa, abbastanza convincente. Piccolo problema: i capitoli erano di 30 pagine l’uno e tu capisci bene che gli aggiornamenti sarebbero sì stati di lunedì, ma con una distanza di un mese ciascuno. Terza versione (più o meno l’attuale): un numero di capitoli non ancora del tutto stabilito (supereranno la trentina quasi sicuramente), per una trama decisamente più completa delle versioni precedenti e un grado di soddisfazione personale decisamente maggiore. Morale della favola: qui ci stiamo in ballo come minimo un anno, a questo ritmo (che prego di essere in grado di tenere!). Seconda domanda: mi hai chiesto ogni quanto ci saranno gli aggiornamenti… beh, io pensavo di averlo detto, ma forse l’ho scritto solo nei singoli ringraziamenti (e in quel caso sarei davvero una cretina) in ogni caso ogni lunedì (massimo mezzogiorno del martedì dopo) io metto on-line un nuovo capitolo. Faccenda ben diversa è quella delle mie vacanze: teoricamente il mio Agosto era consacrato alla zona di Cervinia, dove per me sarebbe impossibile aggiornare o anche solo portarmi avanti nella scrittura. In verità non so quante settimane potrò fare, ma la cosa non mi rende più facile rispettare le mie scadenze: essendo che in Agosto siamo un po’ tutte via, a lavoro ci siamo messe d’accordo con dei turni che mi vedono lì 6 giorni su 7 a sgobbare tutto il pomeriggio. In più – e no! Non è finita! – ho scoperto che devo anche organizzarmi per farmi qualche giorno in Toscana (in realtà questo lo sapevo già) e qualche giorno in Germania, da una mia carissima amica. Ora, io non so cosa riuscirò a fare di tutto questo. Quello che è certo è che Agosto per me è off. Amo The Draco and Hermione’s Opera ma dopo luglio vedrete un aggiornamento esclusivamente a Settembre. Oh, sono stata esauriente, vero? Ti ringrazio anche per avermi tranquillizzato a proposito delle recensioni: sei un vero angelo!^_^

Nightmare. La tua sorellina acquisita è felice di informarti che il tuo commento, come al solito, le hai toccato il cuore! Mi avevi già detto che ti era piaciuto da morire il quarto capitolo, ma leggere un tuo commento al riguardo… beh, è tutt’altra cosa. Principalmente perché definire quello che mi hai scritto una semplice “recensione” è forse eccessivamente ridutti. Voglio dire, l’eroismo di Hermione, come anche il suo non-eroismo, tu non li hai solo commentati, capendo il mio punto di vista tu li hai rivissuti dal tuo punto di vista. Direi che questo è estremamente stimolante per uno scrittore: leggere i sentimenti e i pensieri dei lettori e paragonarli ai propri. Intendiamoci, quello che faccio dire a Hermione, Draco, Ginny, Ron e tutti gli altri, non coincide necessariamente con il mio modo di pensare: cerco di far dire quello che direbbero loro, non quello che vorrei che loro dicessero. Hermione è solo Hermione (e chissà dove l’avrai già sentita questa frase!^_^) non una pallida imitazione di me. E’ sicuramente vero che in quello che scrivo una parte di me ce la metto, ma cerco di non farlo nei personaggi: significherebbe contaminarli, non credi? Ugualmente, io mi faccio un’idea riguardo ciò che scrivo: è giusto, è sbagliato, non sono d’accordo, sono d’accordo, posso accettarlo, non posso accettarlo, non posso assolutamente accettarlo, mi piace, mi incuriosisce, mi annoia… e questi pensieri tu rispondi con le tue sensazioni. Mi piace molto questo confronto, mi piace vedere come si possa equivocare tutto. Non nel senso cattivo del termine: io volevo che le mie parole comunicassero qualcosa, mentre loro hanno detto altro. Ti hanno parlato di un’Hermione stanca, rassegnata, quando invece a me l’hanno mostrata come una persona che possiede una forza da titano, perché è una persona capace di rimediare, quando spezza qualcosa. Ma il punto è proprio questo: è come io intendo la forza, come io intendo il coraggio, come io intendo una lacrima, come io intendo una persona che ama incondizionatamente qualcosa, o qualcuno, anche se fa male da morire. E come tu li intendi. L’Hermione nella mia testa non è stanca, l’Hermione nella mia testa è viva e intensa. Perciò, l’Hermione nella mia testa non mi rende triste, ma, piuttosto, mi commuove. Non significa che tu hai sbagliato a vedere. Significa che i tuoi occhi vedono questo. E io questo lo trovo interessante. Solo una cosa mi sento in dover di dirti: non è finito niente. Hermione non ha messo la pietra sopra su niente, questo no. Su niente. E questo è la chiave di tutta la storia. Su quello che hai detto su Draco, invece, non ho nulla da dire: è così. La rabbia, il rancore, la consapevolezza ed eppure l’impossibilità di accettarla… è esattamente quello che sente, senza vie di mezzo. Ma Hermione è ostinata: sono sicura che riuscirà a fare qualcosa, anche senza rendersene conto.^_^ Beh, credo di essermi lasciata andare fin troppo… facciamo che concludo qui e poi riprendo quando avrai recensito questo capitolo. Proseguiamo questa “conversazione” con sentimento, al ritmo di questa storia: vorrei continuare a vedere la “mia” Hermione anche con i tuoi occhi, ok? Ti voglio bene, Fede.

Meiko89. Giurin Giuretta, non la interrompo! Non interromperei mai The Draco and Hermione’s Opera! Magari vi dirò di aspettare due settimane piuttosto di una (a parte per Agosto, ma quella faccenda la esporrò a tutti quando arriverà il momento… infondo si tratta delle mie vacanze!T_T) ma comunque andrò avanti. Perché io per prima amo questa storia. La amo con tutta me stessa. Non potrei davvero interromperla, neanche sotto tortura. E sono contenta che tu continuerai ad aspettare, capitolo, per capitolo, il seguito di questa fanfiction!

Sabry. Si si! Draco ha dannatamente ragione! Per trattare Hermione anche peggio di quanto non abbia fatto Draco, basterebbe essere orgogliosi e irascibili solo metà di quanto lo è lui e prendersi un libro in testa – esperienza traumatica, assicuro per esperienza diretta!^_-. Ad ogni modo anche tu hai dannatamente ragione: i sentimenti di Draco e Hermione stanno lentamente cambiando e, altrettanto lentamente, Draco sta riuscendo – contro la propria volontà, per altro – a cambiare idea su Hermione. E una cosa ancora molto vaga, ma noi aspettiamo fiduciosi, vero? ^_^ Al contrario, Hermione non sta cambiando idea: per lei Draco Malfoy è solo Draco Malfoy. Se riesce ad essere così aperta di vedute, persino con lui, è solo ed esclusivamente imputabile al suo carattere. E proprio questo suo carattere, del resto, le permetterà di stravolgere il suo punto di vista su Draco in seguito ad un singolo avvenimento. Diciamo pure che mi sono messa in particolar modo a lavorare su Draco perché per far capire a sto’ zuccone qualcosa ho bisogno di quattro, cinque capitoli, mentre per farla capire a lei, di mezzo capitolo in croce. Eh! Che ci vogliamo fare! In sensibilità e intuitività – e in moltissimi altri campi – noi donne siamo decisamente superiori! (E faccio notare che sta parlando un anti-femminista incallita!)

Emmawatson4ever92. Oh, capisco. Intendo, il fatto che, non essendo andate come volevi le cose – molto spesso le storie vanno dove vogliono, da sole, e noi poveri autori non possiamo farci niente!^_^ - hai deciso di plutonizzare (un termine bellissimo, non trovi?) la tua fanfiction. E come sta andando questa tua nuova fanfiction? Sta proseguendo bene?

Mikki. Oh oh oh! ^O^ Quanti complimenti! Quindi trovi che la psicologia del personaggi sia ben espressa? Beh, questo mi fa davvero felice! Specialmente rispetto a Draco e Hermione: loro due spero di riuscire sempre a descriverli come personaggi a tutto tondo, con uno spessore particolare. In modo che siano persone “profonde” anche quando mostro solamente il loro lato stupido (cosa che accade più per Draco, che per Hermione! ^_^). E spero anche di riuscire a presentarli, poco per volta, come due figure abbastanza simili ma al contempo complementari. Cosa che, come hai giustamente detto tu, non attraversa neanche lontanamente la mente della Rowling. E dire che, anche dal mio punto di vista, è davvero uno spreco: due personaggi che avrebbero potuto essere meravigliosi, se approfonditi un po’ di più, e che avrebbero potuto esserlo insieme, se messi di fronte a situazioni particolari, sono invece tenute a distanza e sviluppate come semplici appendici. Questo mi dispiace davvero molto. Sulla questione della complessità dei personaggi, devo dire che Ron mi sembra semplice almeno quanto Hermione. Sempre che lo siano davvero, semplici. Infondo l’animo umano non può essere davvero semplice, e sono sicura che se una persona con un certo talento stilistico e una certa finezza emotiva si mettesse lì e tentasse di mostrarceli come persone complesse ci riuscirebbe appieno. Come anche sarebbe possibile mostrare Draco non come una persona dalle mille sfaccettature ma come un ragazzo con un solo volto. E’ possibile tutto, secondo me. Però è vero che senza parlare a livello trascendentale scrivere una Ron/Hermione, almeno anche dal mio punto di vista, è decisamente più semplice di scrivere una Draco/Hermione. Su questo sono assolutamente d’accordo! E per questo mi sento felice come una pasqua al pensiero che secondo te questa fanfiction stia uscendo (Sott. Dalla mia mente) “meravigliosa” benché questo non fosse per niente scontato! E ti ringrazio per questi tuoi commenti straordinariamente esaurienti! Insomma, sono veramente contenta! Piccola ed ultima precisazione: ne ho 17, di anni!^_^

FraFra. Ah! Quella ruga! Se solo rovinasse il bel faccino di Draco più spesso! Ma senza lasciar galoppare l’ottusità e pensando invece a cose serie! Sono convinta che a questo punto saremmo tutti molto più felici e lui e Hermione sarebbe un bel pezzo più avanti nel loro rapporto! Al contrario, siamo ancora in alto mare! Che vergogna, eh? Tra l’altro, lo sai che hai azzeccato il tema del sesto capitolo? Incredibile! E’ precisamente la gentilezza di Hermione. Brava! Veramente. Per Harry e Ron in questo capitolo ho spiegato le cose un po’ meglio: non è che lei non è stata scelta… purtroppo… Beh, l’avrai letto, no? E’ inutile che lo ripeto. In ogni caso sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto: ero così in ansia pensando che potesse non piacere! Sai, tutto incentrato su pensieri abbastanza contorti… E invece ti è piaciuto! Sono veramente felice!^_^

La Demenza: Sii! Siamo partiti! Sei emozionata quanto me, vero? Infondo aspettiamo entrambe questo momento da… quanto? Uno, due anni? Si, due anni… ho ancora gli appunti dell’ottobre del 2003 in cui per una delle prime volte ti avevo raccontato la prima versione della trama di “The Draco and Hermione’s Opera”, che ancora neanche si chiamava così. E’ passato così tanto tempo… e ora tutto sta prendendo forma… e proprio nel modo in cui speravamo! Perché infondo io speravo di poter scrivere una miriade di parole “giuste” – per quel giusto che intendiamo noi – su una coppia così interessante, e in mezzo a queste parole speravo di poter lasciare delle frasi importanti, che da sole raccontassero tutto, delle frasi che tu potessi cogliere. E tu hai colto “Perché qualcuno resta…” e hai colto “Eppure… l’unica…”. Le hai colte con facilità, anche perché più di tutti gli altri sai cosa “significano”. E non ti sei neanche lasciata sfuggire il senso della descrizione di Piton. Del resto, come potresti mai lasciarti sfuggire simili “indizi”? Sarebbe imperdonabile, da parte tua. ^_^ E comunque adesso staremo a vedere cosa succederà: quei due stanno per incrociarsi sul serio e chissà che non accada “un altro” miracolo. E tu sai perfettamente, il primo, a chi si riferisce…

Gochinko the sword-dancer. Idiosincrasia… aahhh (sospiro estatico al ricordo di Colui che ci ha trasmesso la Conoscenza). Nietzke sei per noi un faro di luce nella tempesta! Bene, ritorniamo a noi, prima di tutto devo sottoporti ad una tortura mentale per il tuo imperdonabile ritardo, perciò… ZUM ZUM ZUM (suono dei violini). VENI VENI VENIAS, NE ME MORI FACIAS. (x2) .Focalizza la mente su questo suono e su quanto esso ti rammenta e… SOFFRI! (Sir Onion Knight lancia Idroga sul nemico ma il nemico è protettetto da attacchi elementali) (Rikku usa transfert e manda Auron in turbo) (Auron, semplicemente, attacca – rendendo vano lo sforzo di Rikku) (Ultracidio da 99.999) (Il nemico perisce) (Ta-ta-ta-taaa-ta-taa-tata) (Il tuo party ha ottenuto 1 passasfera livello 4!) Ok… it’s enoght (by Auron)… questi erano gli scleri da crisi d’astinenza da Final Fantasy, ma, dopo essermi sparata il trailer di FF XII e FF Avent Children, il mio animo nostalgico si è plac- ENTUAS INTERIUS IRA VEHEMENTI. ENTUAS INTERIUS IRA VEHEMENTI. SEPHIROTH! Oh, scusa, ultimo strascico di follia. Dicevo che mi sono placata… posso finalmente cominciare a scrivere il ringraziamento al tuo favoloso commento. E dire favoloso è usare un indecoroso eufemismo, direi. Il tuo PH oscillante è ostinatamente rimasto bloccato ad un valore eccessivamente basico (15) per tutto il tempo in cui hai scritto la recensione… non sei mai stato tanto dolce in 17 anni di forzata convivenza! Ti voglio tanto tanto bene fratellino (Gipple arranca per trovare un catino e vomitarci dentro, ma è troppo tardi… Gipple muore in preda a convulsioni e ripetuti attacchi cardiaci.) Ma essere così generica sarebbe indegno, perciò entriamo nello specifico. Prima di tutto apprezzo che tu abbia ammesso che, seppur sotto lo spessissimo strato di adamantio, Hermione sia sostanzialmente una brava persona. Un tempo non avrei mai creduto possibile che saresti arrivato a dichiarare tanto! Ed eppure oggi vi siamo giunti! Ringraziamo Nietzke per questo: il Grande Maestro (non “quel” grande maestro) ti ha messo sulla retta via. E poi apprezzo enormemente che insulti pesantemente Harry. Direi che è mostruosamente giusto. Ed è straordinariamente perfetto la modalità con cui dovrebbe giungere alla morte. Approvo e mi offro volontaria… dammi solo il tempo di recuperare una vecchia smemoranda appuntita che gli buco la colonna vertebrale esattamente all’altezza delle vertebre dorsali. E tu “sai” che io “posso”! Per quanto riguarda il rapporto tra Draco e Hermione – e quello tra Harry e Hermione – tu hai parlato seriamente, sforzandoti di non dar eccessivo spazio alla demenza (andando perciò contro la tua stessa natura) e io, davvero, per questo ti ringrazio tantissimo. Ti ringrazio tantissimo per aver cercato di capire cosa volevo dire su di loro e sulla loro storia, per non aver dato per scontato niente, per avermi chiesto sempre le cose che non capivi e aver cercato di farti un quadro generale sulla storia di Harry Potter per essermi d’aiuto. Per tutte queste cose e anche per essermi sempre stato vicino, io ti ringrazio tantissimo. E per la cronaca, tutto quello che scrivi non potrebbe mai farmi schifo… principalmente perché attraverso te io assumo la Conoscenza del Grande Maestro (non “quel” grande maestro. New Version.) ma anche perché so quanto ti sforzi di fare per rendermi felice. E, credimi…credimi: ci riesci egregiamente…

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Capitolo 6
*** Il Quidditch, che passione! ***


Ebbene, eccomi qui…

Ebbene, eccomi qui…

Non so se devo definirmi in ritardo di una o due settimane, in ogni caso… sono in ritardo!
Il punto è che sono un tipo particolarmente emotivo, per certi punti di vista (per altri sono talmente cinica che mi faccio schifo da me) e dunque quando, nei primi tempi che avevo messo on-line il capitolo precedente, mi è parso che ci fossero poche persone interessate… beh, ho pensato di smettere di fare le ore piccole pur di finire in una settimana una capitolo.

Mi son detta: “Devi lavorare, devi fare i compiti, devi stare al mondo… almeno dormi quello che ti spetta e prenditela comoda con gli aggiornamenti!”

Non è che io volessi interrompere The Draco and Hermione’s Opera. No, no: semplicemente, siccome molti di voi erano in vacanza (e lo sono ancora) e io stavo deperendo fisicamente e mentalmente per mantenere un ritmo assurdo… beh, ho pensato di rallentare un attimo.

Ma una cosa è certa: mi scuso profondamente per quelli che invece hanno commentato e si aspettavano un aggiornamento lunedì scorso (qualcosa come un lontanissimo 25 Luglio), non trovandolo e non sapendo come interpretare la cosa.

Chiedo venia!

Spero che perdonerete i miei infantili capricci. ^_^

Nota importante: l’aggiornamento del prossimo capitolo slitta al primo settembre. Non un giorno in più, ma neanche uno in meno. Questione: vacanze in montagna.

The Draco and Hermione’s Opera

6° capitolo.

Il Quidditch, che passione!

*** *** ***

Hard times flowing
My eyes couldn’t see stars shining
My heart couldn’t feel the beauty of the rising sun
And I’m lost like a bottle that floats in the sea for ever
Will somebody pick up my hope?
Will somebody try?
Will I realize?

Un periodo difficile stava scorrendo
I miei occhi non riuscivano a vedere le stelle brillare
Il mio cuore non riusciva a sentire la bellezza del sole che sorgeva
E sono perso come una bottiglia che galleggia nel mare… per sempre
Qualcuno raccoglierà la mia speranza?
Qualcuno ci proverà?
Me ne renderò conto?

(Broken - Elisa)
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*** *** ***

Mercoledì 27 Novembre. Ore 22.44
Hogwarts. Stanza delle necessità.

« No. » Gli intimò duramente. « No! » Ripeté. « Le zampe di rospo vanno aggiunte alla fine!» Si portò una mano sulla fronte e prese a scuotere il capo con piccata rassegnazione. « Perché sei così ottuso! »

Lo sguardo di Draco Malfoy dardeggiò nella sua direzione, furente.

« Non rompere! » Inveì rabbioso. « Se non mi dici le cose come diavolo pensi che io possa saperle! »

« Infatti te l’ho detto ieri. » Gli ricordò incisiva, sostenendo il suo sguardo con un’espressione di assoluta superiorità.

« Avresti dovuto ripetermelo anche oggi! » La aggredì aspro, cercando goffamente di togliere le zampe di rospo che avevano fatto in tempo a cadere nel miscuglio verdognolo che borbottava nel calderone.

« Avrei potuto. » Puntualizzò asciutta. Non c’era niente che avrebbe mai dovuto fare se dal suo modesto punto di vista minava il loro percorso didattico. E trattarlo come un decerebrato incapace di trattenere i concetti nella mente rientrava precisamente nella lista di cose che l’avrebbero irrimediabilmente minato. « Se continuassi a ripeterti quello che devi fare non riuscirai neanche a svolgere uno dei mille passaggi di questa pozione. E al test finirai per ottenere un risultato mediocre come la scorsa volta. »

« O non è mediocre! » Sibilò Draco tra i denti, serrando la mascella fulmineamente, e diventando livido per la collera. Assumendo, perciò, quel vago colorito da prugna gialla rinsecchita di cui soleva appropriarsi piuttosto spesso in quel periodo.

« Devi memorizzare quello che ti dico. » Lo ignorò risoluta, proseguendo nel suo ammonimento con tono severo: « Questa volta possiamo fare più pratica, ma se tu non impari subito la teoria possiamo anche evitarci la fatica. »

« O è un voto grandioso! » Ribadì il Serpeverde, soffiando tra i denti e sventolando per aria il cucchiaio che aveva in mano, con scatti bruschi e minacciosi.

« E è un voto grandioso. » Lo zittì secca, sporgendosi verso di lui e strappandogli di mano il cucchiaio, senza troppi complimenti. « E ora smettila di parlare e continua la pozione.

Draco fu scosso da un tremito di incontrollabile e incontenibile astio. Si limitò però a scoccarle un’occhiata fiammeggiante, con la faccia di uno che le stava augurando di morire in quell’istante per un infarto fulminante. Non fece altro. E si rimise ad aggiungere i vari ingredienti.

Era la seconda volta che rifacevano quella pozione. Ci avevano messo poco a imparare tutte le sue fasi, ma perché avesse effetto doveva essere lasciata a riposo per due giorni. La prima volta che avevano finito di prepararla, tre giorni prima, Draco doveva essersi dimenticato di chiuderla ermeticamente. Indi, aveva preso aria. Indi, era andata buttata.

Mentre lo osservava mescolare burberamente ma correttamente il miscuglio fu contenta di considerare per l’ennesima volta che la pozione restringente non era poi così difficile. Un po’ lunga, forse. Ma fortunatamente non così difficile. Sarebbero infatti riusciti a finirla l’indomani. In questo modo, per sabato sarebbe stata pronta. E se anche allora Draco avrebbe avuto dei problemi o delle incertezze… beh, allora avrebbe usato metodi drastici! In ogni caso, entro domenica sera avrebbe debellato il germe del dubbio dalla sua testa. E lunedì avrebbero avuto il test.

Un test che non sarebbe potuto che andare magnificamente.

Chissà che non riusciamo a finirla addirittura oggi, la pozione…

Si rimangiò il pensiero non appena vide il Serpeverde afferrare di nuovo le zampe di rospo.

« Va bene, basta così. » Lo fermò prima che lui potesse lasciarle cadere nel calderone.

Draco sollevò lo sguardo lentamente, guardandola con le sopracciglia inarcate e un’espressione sconvolta stampata sulla faccia.

« Hai detto… basta? » Domandò incredulo, restando con la mano pericolosamente a mezz’aria.

« Sei stanco, no? Basta così. » Confermò inspirando profondamente, in tono conciliante. E si sporse nuovamente in avanti, per prendergli dalle dita le zampe di rospo prima che queste potessero cadere nel calderone. Ma questa volta lo fece con estrema gentilezza. Non gliele strappò di mano: gliele tolse delicatamente. Quando si ritrasse, notò appena lo sguardo che Draco le lanciò. Ancora più sorpreso. Ancora più perplesso. E senza acidità o austerità, ma con disponibilità, aggiunse: « Ci vediamo domani pomeriggio per finire la pozione, alla solita ora. »

A queste parole, il ragazzo parve riprendersi facilmente dallo smarrimento improvviso che l’aveva sorpreso – inspiegabilmente, tra l’altro. Dunque la informò seccamente:

« Domani ho gli allenamenti. »

Risedendosi compostamente sulla propria sedia, aggrottò la fronte, risentita: era da una settimana che non andava agli allenamenti. Cosa gli veniva in mente in quel momento? Non avrebbe dovuto neanche pensarci. Un fondo di rigida disapprovazione colse il suo sguardo: avrebbe dovuto pensare solo alla scuola. Tanto più che era stata chiara quando lo aveva avvertito che non sarebbe più stata elastica riguardo certe questioni: avevano una E da prendere! Non c’era proprio tempo per altri sciocchi pensieri.

Per i suoi allenamenti, poi, meno che mai.

« Mi spiace per te ma dobbiamo lavorare. » Tagliò corto con fare spicciolo, evidenziando più che poté la proprio inflessibilità al riguardo. Cosa che non le fu difficile, tra l’altro, siccome il suo umore assunse l’indifferenza necessaria grazie alla rifiuto che nutriva verso il Quidditch.

Cosa aveva di entusiasmante il Quidditch?

Capiva che “Draco Malfoy il megalomane” vi fosse particolarmente propenso. Ma perché proprio il Quidditch doveva alimentare il suo già piuttosto corposo ego? Perché non il reddito scolastico? Perché non un fan club in suo onore? Avrebbe potuto chiedere a Pansy Parkinson di fondarne uno, no? E siccome avevano dato sfoggio delle loro qualità di fabbricatori di spille, durante il quarto anno, ogni membro del club non avrebbe potuto indossare la propria, per rendere omaggio alla grandiosità di Sua Maestà Draco Malfoy? Così non avrebbe neanche dovuto sforzarsi, no? Era, allora, una questione di smanie di potere? Forse brandendo una scopa si sentiva particolarmente potente. Del resto c’era un limite a tutto, persino alla presunzione di un uomo, no? O si trattava piuttosto di ottusità? In quella Draco Malfoy non era secondo a nessuno. Forse, uno come lui avrebbe anche potuto pensare di essere il padrone del mondo solo stando a cavalcioni di una scopa.

Qualcuno, un giorno, le aveva detto che il Quidditch era meraviglioso semplicemente per le sensazioni che faceva provare. Ma come ipotesi, dal suo punto di vista, andava scartata a propri. Perché lei non trovava per niente emozionante volare.

Non che quello che fai tu sia proprio volare, Hermione.

Zittì la sua fastidiosa voce interiore: lei sapeva volare! Era la sua stupida scopa che non ne aveva mai la benché minima intenzione! Si sollevava appena da terra, quella sciocca! Ed eppure era migliorata in quegli anni: esercitarsi da sola aveva permesso al suo record personale di crescere da 73 a ben 89 cm! Piccoli passi verso un grande traguardo, naturalmente. Un traguardo siglato: 1 m.

Sicuramente un giorno l’avrebbe raggiunto.

Giacché, fino a prova contraria, si chiamava Hermione Granger.

« Scordatelo! » Si ostinò Draco grugnendo e incrociando le braccia sul petto con fare irremovibile. « Abbiamo una partita tra meno di una settimana! »

Quel tono quanto mai irritante e arrogante, apparve alla sue orecchie di una pericolosa serietà. E la serietà era sempre stata il suo punto debole.

Fece roteare gli occhi al soffitto e scosse il capo, traendo un lungo sospiro, in presa ad un improvviso travaglio interiore. Una travaglio che sapeva benissimo come sarebbe finito…

Di quello che stai per fare te ne pentirai amaramente, Hermione.

« Va bene, ho capito. » Gli concesse stringendosi fiaccamente nelle spalle e ignorando ostinatamente quella saggia vocina dentro di lei che la avvisava di non fare quello che stava facendo. « Vai pure a questi benedetti allenamenti. »

Infondo, permettere a dei deficienti di coltivare la loro assurda passione per il Quidditch, mettendo da parte le sue priorità e i suoi progetti, era la storia della sua vita, no?

Uno in più, uno in meno, che differenza faceva?

« Sul serio? » Domandò sconvolto il ragazzo, strabuzzando gli occhi e ritraendosi leggermente per la sorpresa.

Inarcò un sopracciglio con fare stizzito. Pensava forse che avrebbe dovuto pregarla in ginocchio?! Offesa per la scarsa considerazione che quell’idiota aveva per la sua intelligenza, cominciò a sistemare le sue cose. E cominciò anche a raccattare i suoi libri sparsi sul tavolo, mettendoseli sotto braccio. Incastrandoli in una composizione perfetta e bilanciata che le permetteva di tenerli portentosamente in equilibrio. Miracoloso gesto che lasciò ancora più sbalordito il ragazzo ancora seduto di fronte a lei.

« Se anche venissimo qui, la tua testa sarebbe comunque al campo. » Si giustificò distrattamente, prima di precederlo verso la porta. Quando vi fu giunta, lo salutò con un breve gesto del capo. « Questa sera continua a studiare “L’unico manuale per maghi autodidatti”. A domani. »

E varcò la soglia della Stanza delle Necessità, richiudendosi la porta alle spalle.

Da quel momento, se la prese estremamente comoda per raggiungere la Sala Comune.

Mise un passo dietro l’altro con tutta la calma di cui disponeva. Prendendosi tutto il tempo che poteva per sollevare da terra ogni piede che vi premeva sopra. Sembrava quasi rilassante. O almeno lo sarebbe sembrato se non avesse avuto appresso il peso di una decina di volumi da 800 e passa pagine. Non che fossero davvero pesanti. Era solo che alle dieci e mezza di sera persino un fermaglio per capelli poteva risultare insopportabilmente gravoso da portare. Specie quando era stravolta.

E lei era stravolta.

Giunse comunque sana e salva di fronte al ritratto della Signora Grassa, a cui non sfuggì di chiederle la parola d’ordine. Non appena disse:

« Frappè alla banana con panna montata. »

Il quadro ruotò sui cardini e le permise di entrare.

Quando varcò la soglia dell’ingresso, del resto, ad attrarre la sua attenzione non fu la porta quanto mai invitante del dormitorio femminile, bensì la sagoma inconfondibile di Neville, seduto su uno dei divanetti davanti al fuoco con in mano un grosso volume – probabilmente di Erbologia – che sfogliava nervosamente. Quando il ragazzo sollevò lo sguardo e la vide, abbozzò un sorriso stupito, in saluto e, timidamente, ammise:

« Oh, ciao Hermione. Non pensavo di vederti a quest’ora… »

« Ero a prepararmi per il test di lunedì di Pozioni. » Replicò fiocamente, afflosciandosi su una delle poltrone di fronte a Neville. La sensazione improvvisa di essere sostenuta da qualcosa che non fossero il suo scheletro osseo e i suoi muscoli si rivelò qualcosa di libidinosamente appagante.

« Eri… ehm… con Malfoy? » Bofonchiò il compagno, cercando di non incrociare il suo sguardo. Per non mostrarle, probabilmente, la già più che evidente avversione che gli procurava il solo pronunciare il nome del Serpeverde.

Neville non era il tipo di persona che nutriva rancore ingiustificato per una persona. Quello che nutriva per Draco, infatti, era ampiamente plausibile. Con quella sua ultima uscita un mesetto prima quel cretino si era definitivamente guadagnato l’astio di una delle persone più dolci sulla faccia della terra. E comunque, ben gli stava! Sapeva giustificare tutto. Tutto. Ma non una qualsiasi delle sciocche ragioni che avevano spinto Draco Malfoy a prendersela con Neville!

« Già, con Malfoy. » Sospirò sommessamente, riavviandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie. C’era un solo giorno della sua vita non speso a studiare insieme a quel ragazzo, nell’ultimo periodo? No. Ma questo era ovvio. Perché, per quanto fosse imperdonabile e arrogante, Malfoy andava assolutamente messo in riga con un giusto metodo di studio. « Nell’ultimo compito ha preso un voto scandaloso. Studiando di più stiamo cercando di raggiungerne uno soddisfacente. »

« Oh, e cosa ha preso? » Chiese Neville, ritornando a cercarla con gli occhietti scuri, grandi e curiosi.

« O. »

« Ah. » Proruppe solo il ragazzo, in una voce vagamente smorzata, ritornando a puntare lo sguardo in qualsiasi direzione tranne che nella sua. Anche più ostinatamente di prima, se possibile.

Lo scrutò attentamente, non capendo. Notato il rossore sulle sue guance, si affrettò immediatamente a spiegarsi meglio:

« Oh no, Neville! Guarda che O non è un voto brutto. E neanche A e S sono… ehm… » Cercò il termine più adatto, indicendo una lotta brutale contro se stessa. « … così brutti. » Scosse il capo e le mani con decisione, cercando di apparire il più convincente possibile. Ma l’imbarazzo del compagno era addirittura palpabile. Trasse dunque un lunghissimo sospiro e aggiunse, con enfasi: « E neanche D. »

Beh, insomma, D fa un po’ schifo…

Fece violenza su di sé per non dire quello che la sua ignobile mente stava pensando.

Se anche era vero che dal suo punto di vista D non era neanche considerabile un voto prendibile, era comunque vero che c’era solo una persona oltre a Hagrid che gli sembrava più giusto misurare con un altro metro. E questa era Neville. Perché lui aveva un’intelligenza tutta sua. Lui, con quella goffa gentilezza che si scioglieva nell’aria come un odore di pane appena sfornato. Lui, che era forse l’unica persona, oltre ad Hagrid, appunto, che si permetteva di vedere completa anche senza che dovesse occuparsi troppo dello studio. Ma forse era così anche perché Neville non aveva mai rinunciato a dimostrare quanto si potesse riuscire, seppur goffamente, a ottenere qualcosa.

Per quanto riguardava Malfoy, invece, l’avrebbe misurato col suo metro finché sarebbe campato!

« Oh… no… » Cercò di dire Neville sforzandosi enormemente per sembrarne assolutamente convinto. E, ne convenne, riuscendoci. Almeno nel suo immaginario. « Hai ragione tu… ti impegni così tanto… lui dovrebbe cercare di andare meglio. »

« E’ esattamente quello che intendevo! » Convenne con trasporto, quasi frastornata dall’idea che qualcuno potesse comprendere la sua visione delle cose. L’aveva detto che Neville aveva un intelligenza tutta sua! « E’ una cosa lampante, ti sembra? »

« C-certo. » Balbettò il Grifondoro, piuttosto impacciato, prendendo ad annuire meccanicamente.

No, decisamente non comprende la mia visione delle cose…

Il suo piccolo sogno si infranse ancora prima di aver preso concretezza. Nell’atto di chinare il capo in un singhiozzo sconsolato, notò finalmente il tavolino ingombro di libri che li separava. E improvvisamente il senso di orgoglio per averlo visto leggere un libro a dispetto dell’orario si tramutò in un terribile presentimento.

D’altro canto, prima che lei avesse potuto chiederne conferma, si sentì il ritratto della signora grassa sollevarsi e in quell’istante la voce sarcastica di Ginny dire:

« Dopo di lei, vostra grazia. »

Udì Dean risponderle in tono vividamente seccato:

« E piantala con questa storia! » E poi lo vide entrare per primo nella sala, pesantemente, con un’espressione cupamente irritata e tutti gli abiti infangati.

Un sopracciglio si prese la libertà di inarcarsi alla vista del sudiciume che il ragazzo lasciava sul pavimento e sui tappeti ad ogni passo. Tuttavia, prima che anche le sue corde vocali decidessero di vibrare per lui, in un concerto di aspro rammarico, Dean sollevò una mano davanti a sé, scosse il capo, e grugnì:

« Niente prediche, Hermione. »

Questo bastò per far cessare qualsiasi atto autonomo da parte di qualsiasi parte del suo corpo.

In compenso, prima di dileguarsi sopra le scale che conducevano al dormitorio maschile di Grifondoro, Dean lanciò uno sguardo molto poco lusinghiero all’indietro, da Ginny. Come per farle sapere che, qualsiasi cosa fosse successo, la parte lesa e offesa era indubbiamente lui. Di tutt’altro avviso le parve l’amica, quando si diresse con lo sguardo perplesso verso di lei. La rossa era infatti rimasta in piedi, a pulirsi freddamente il fango dalla faccia. Con un’espressione di inquietante ostinazione e visibile tensione dipinta sul viso contratto.

Dopo aver accortamente appreso da un svelta occhiata che Neville non avrebbe mai spezzato il silenzio opprimente che si era venuto a creare nella sala – e che era intervallato solo dai suoni stagnanti del fango che veniva schizzato ovunque – seppe con precisione che il gravoso compito sarebbe spettato a lei.

Esitò per qualche attimo, pensando a cosa dirle. Dunque, cautamente, le domandò:

« Ehm… che è successo? »

Ginny lasciò perdere la pulizia nel giro di un nanosecondo e le lanciò uno sguardo che definire corrosivo sarebbe stato un indebito eufemismo. Trovò molto difficile non sciogliersi al calore rovente delle fiamme che gli occhi vagamente blu della ragazza presero a emanare:

« Avevi proprio ragione, Hermione! I ragazzi diventano tutti dei grandissimi idioti quando si parla di Quidditch! »

« Ah… si? » Si lanciò uno sguardo di intesa con Neville, che lo accolse con complicità, avendo tuttavia la grazia di non sentirsi tirato in causa. Si sollevò al pensiero che, fortunatamente, al mondo non tutti erano tanto egocentrici da pensare che ci si stesse necessariamente rivolgendo a loro.

Fu invece in qualche modo assolutamente certa che se ci fosse stato Draco Malfoy questi avrebbe anche avuto il coraggio di sentirsi interpellato in prima persona.

« Sì! » Sbottò alterata Ginny, sedendosi pesantemente accanto a lei. « Oggi agli allenamenti ci hanno detto che la partita che avremmo avuto tra un mese contro Tassorosso è stata anticipata tra neanche due settimane! E quel cretino…. » E con cretino intese perfettamente a chi si stava riferendo. « … mi ha costretta a stare fino ad adesso ad allenarmi! » Il processo di surriscaldamento dell’ambiente circostante aumentò di pari passo al processo di autocombustione cui in quel momento era soggetta Ginny. « Ma non è finita! » Stridé infatti istericamente la rossa. La sua faccia spaventosamente bordeaux. Le gote quasi violacee. « Ha avuto pure il coraggio di dirmi che se vogliamo vincere devo impegnarmi di più, perché così come sono possiamo anche scordarcela la coppa! » Ci fu un picco di rabbia e sdegno incredibilmente violento. « Ha detto a me di impegnarmi di più! Ha detto a me che non vado bene! Che razza di essere sfacciato, arrogante, presuntuoso e stupido! Che razza di idiota! »

Quando ebbe terminato di definire il suo ragazzo, Ginny aveva il fiatone.

« Certo, hai perfettamente ragione. » Le posò prontamente una mano sulla spalla, in segno di assoluta comprensione. Dentro di sé, del resto, liquidò la questione come già vista e già sentita. Perché aveva qualcosa di straordinariamente famigliare quell’immagine. Nella sua testa, in effetti, ce n’era una uguale che aveva come protagonista Oliver Baston. E questo dovette contribuire non indifferentemente ad essere un po’ troppo magnanima nell’elargire a Dean la giusta accusa: « E’ stato proprio uno sciocco. »

« E’ stato molto peggio di uno sciocco! » Schioccò con la lingua Ginny, lanciandole un’occhiataccia. E poi, con un’immensa sofferenza dipinta sul viso, volgendo gli occhi al soffitto, esclamò con teatrale disperazione: « Ma perché, perché sto con un simile pezzo di deficiente! »

Non che una simile domanda richiedesse una risposta. Egualmente, Neville pensò fosse doveroso dargliene una:

« Perché ti piace molto? »

Ginny divampò come un calderone, mentre lei sorrise impercettibilmente.

Solo quando il calore che le imporporava le guance diminuì un poco, ebbe la forza di storcere le labbra in una smorfia, tra l’imbarazzato e lo stizzito.

« Parlare con voi di queste cose è avvilente… » Mugugnò sommessamente.

« H-ho detto qualcosa di sbagliato? » Si preoccupò Neville non sapendo bene come interpretare quell’affermazione. Qualcosa di sbagliato? Ah no, proprio no, non c’era nulla di più giusto.

« No, è che… » Brontolò Ginny incrociando le braccia sul petto con aria ostentatamente offesa. « … dicendo così, mi fai scappar la voglia di essere arrabbiata con lui. »

« Ed è… un male? » Esitò Neville, confuso, con la fronte corrugata nello sforzo di comprendere la situazione assolutamente inesplicabile.

Il suo sorriso si allargò sul viso, mentre Ginny scuoteva il capo vergognosamente.

Naturalmente era un male. Lavanda e Calì le avevano insegnato un sacco di cose sulla vita di coppia tra un ragazzo e una ragazza. La parte del litigio era fondamentale per assaporare il brivido di avere il coltello dalla parte del manico e partire all’attacco con spietati piani d’assalto. Gelosia in primis. All’inizio aveva pensato che potesse trattarsi di mancanza di autostima e ricerca continua di capricciose attenzioni. Quando avevano negato, indignate, se ne era proprio convinta. Del resto Ginny era troppo onesta con se stessa per svilire una simile frivolezza.

Fatta da lei, per dirla tutta, le sembrava solamente molto dolce.

« Va beh… » Sospirò ad un tratto Ginny, profondamente, sollevandosi dalla sedia indolentemente e rivolgendo ad entrambi un debole ma vivo sorriso. Uno di quelli che solo Ginny Weasley riusciva a mostrare. Tra la concretezza e il sentimento. Tra l’ironia e la delicatezza. Uno di quei sorrisi che facevano necessariamente nascere un sorriso a loro volta. « Io me ne vado a letto. Voi che fate? »

Cercò di scambiarsi un’occhiata con Neville, ma questi la scansò. Fece allora inevitabilmente cadere gli occhi sul tavolo di fronte a lei, ancora coperto da pergamene e libri dei più svariati generi. Il tragico presentimento che l’aveva scossa poco prima si rifece nuovamente vivo.

« Noi veniamo tra un po’. » Rispose istintivamente, facendo cenno a Ginny di salire per prima.

La ragazza se ne andò stringendosi nelle spalle, senza questionare oltre. E non appena fu scomparsa, lei si sporse verso il tavolo pieno di libri e di pergamene, e ne presa una in mano. Intuì che il brevissimo gesto del braccio di Neville, in sua direzione, rappresentava un segno di dissenso. Si prese tuttavia la premura di ignorare la propria acutezza mentale, e, con essa, anche il debole tentativo di rifiuto del ragazzo. Srotolò dunque la pergamena. Quello che si trovò davanti, naturalmente, furono i compiti del giorno dopo per Trasfigurazione.

Infatti…

Sollevò lentamente gli occhi, alla ricerca di quelli di Neville. Questi, impacciato, tenendo i propri puntati sul pavimento, si affannò disperatamente nel giustificarsi:

« E’-è che non ho fatto in tempo a finirli. »

Ritornò a osservare la pergamena e ne lesse silenziosamente una frase. Quel tanto bastò per farle prendere coscienza dello scempio di quel compito.

« E’ tutto sbagliato, vero? » Domandò scoraggiato il ragazzo. Non gli disse nulla, ma temendo che il suo sguardo gli rivelasse i suoi più sinceri pensieri lo tenne ostinatamente premuto sul compito.

Del resto, magari non era tutto sbagliato.

Magari…

« Ti manca solo Trasfigurazione? » Domandò sapendo perfettamente che non era così, considerando quante pergamene erano sparse sul tavolo.

« Mi mancano anche Storia della Magia ed Erbologia. » Mormorò mortificato. Il colorito del viso sbiadito e le mani tremule.

La voce della sua coscienza non avrebbe avuto niente da ridire se gli avesse augurato buona fortuna e se ne fosse andata a letto in quel preciso istante. Obbiettivamente, era stravolta anche lei. E la sua vocina interiore la avvisò per la seconda volta di non fare quello che stava per fare. Ma, per la seconda volta, lei decise che era meglio non ascoltarla.

Rivolse un sorriso amorevole al proprio compagno di Casa, e prese in mano una delle penne sparse sul tavolo, intingendola dal calamaio.

« Tu te la puoi cavare da solo a Erbologia, vero? »

« Oh no… » Biascicò Neville, scotendo il capo. « No, non devi aiutarmi! »

« Io voglio aiutarti. » Lo corresse prontamente. Proprio perché Neville era il tipo che non gliel’avrebbe mai chiesto, ma che, in una situazione come quella, avrebbe trovato alzato nel vano tentativo di rimediare alle proprie mancanze, lei voleva assolutamente aiutarlo. « E poi faremo in fretta. Sono sicura che qui non c’è poi molto da correggere. » Mentì indicando la pergamena di Trasfigurazione. « E storia della magia la faremo insieme. »

« Oh, ma tu sembri così stanca… » Gemette Neville, quasi sull’orlo di una crisi di pianto. Si chiese se fosse perché, probabilmente, neanche se fossero rimasti alzati tutta la notte sarebbero riusciti a finire tutto quello che c’era da fare. O se piuttosto fosse perché si sentiva commosso.

Da parte sua, stanca lo era sul serio.

Del resto, per quanto sfibrante fosse dare lezioni a Draco, non era comunque avvilente: a dispetto di quanto potesse sembrare strano, lui non era così stupido. Era particolarmente ottuso, ma si poteva quasi dire che le cose le capiva quando gliele si diceva.

Era, forse, intelligente. Cosa che le impediva di raggiungere davvero la soglia dell’esaurimento nervoso e fisico. Era, quasi, addirittura più appagante che provare a far capire le cose a qualsiasi altro. Qualsiasi altro che non le avrebbe capite, forse, come le capiva lui.

Era sicura che se l’avesse detto a Ginny non avrebbe per niente approvato. Avrebbe detto che sembrava quasi che non si stesse riferendo a Malfoy. Eppure lei non ci poteva fare niente. Se una persona è intelligente non lo si può negare, no? Anche se è un Serpeverde, cosa cambia? Nessun Serpeverde della scuola era fatto in serie. Per esempio, Malfoy aveva un arroganza insuperabile da chiunque. E Pansy Parkinson aveva la prerogativa di essere l’essere più sciocco e irritante della scuola. Ma anche Lavanda e Calì si impegnavano spesso per essere stupide. Insomma, le persone erano fatte di decine di sfaccettature diverse. Se Malfoy aveva quella dell’intelligenza… per quanto questa fosse limitata dalla sua grettezza mentale, dai suoi pregiudizi, dai sul orgoglio, dal suo ego, dalla sua presunzione, dalla sua arroganza, dal suo modo di fare, dalla sua idiozia e dalla sua ottusità… beh, lei non poteva negarlo.

E’ una questione di equità.

A ognuno andavano riconosciute le proprie qualità.

« Oh, avanti, finiremo senz’altro prima di mezzanotte! » Esclamò energicamente, rivolgendo a Neville uno sguardo incoraggiante, senza lasciargli il tempo di replicare, e scongiurando mentalmente le sue palpebre di non giocarle brutti scherzi.

Dopodiché si misero a studiare.

A mezzanotte, naturalmente, il tema per Ruf era composto ancora da una lunghissima pergamena bianca.

*** *** ***

Giovedì 28 Novembre. Ore 15.30
Hogwarts. Giardino.

Come fosse riuscito a strappare a Hermione Granger il consenso di partecipare all’allenamento di Quidditch, questo era ancora un mistero per lui.

Del resto, più ci rifletteva, più si convinceva che gran parte del merito fosse dovuto al carattere di quella ragazza. Un carattere che definire solo odioso, a quel punto, non era più sufficiente. Era, forse, anche bizzarro. Anzi… principalmente bizzarro. Sicuramente odioso, ma principalmente bizzarro. Una cosa che non necessariamente doveva essere positiva. Anzi, considerando il soggetto in questione, assolutamente non lo era. La sua capacità di fargli saltare i nervi con la stessa facilità con cui Piton avrebbe tolto punti a un Grifondoro restava immutata. La sua stessa faccia aveva ancora qualcosa di inopinatamente rivoltante.

Ugualmente, quel suo carattere incomprensibile gli pareva in quel momento principalmente bizzarro.

« In questi giorni ti trovo meglio, sai! » Considerò ad un tratto Theodore, mentre si incamminavano insieme verso il Campo di Quidditch.

Si girò a guardarlo, contrariato.

« Prego? » Domandò inarcando le sopracciglia, leggermente risentito.

Il compagno, probabilmente non capendo la sua sorpresa, cercò di spiegarsi:

« Beh… mi sembri meno intrattabile… »

« E quando mai sarei stato intrattabile? » Domandò innervosendosi, inarcando le sopracciglia e guardandolo in tralice. Lui? Intrattabile?

« Direi almeno tutto questo ultimo mese. » Rispose spontaneamente Theodore, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni, e stringendosi nelle spalle.

« Ti è sembrato male! » Dettò caustico, lanciandogli un’occhiata indispettita. Lui non era intrattabile! Al massimo, la costante vicinanza con Hermione Granger lo aveva reso un tantino irascibile. E comunque, se anche fosse stato vero, certo non era a causa del suo carattere!

« D’accordo. » Gli concesse Theodore senza questionare oltre ma senza neanche sforzarsi di sembrarne convinto. « Mi sarà sembrato male. »

Non fece in tempo a indispettirsi per l’atteggiamento del compagno che un ragazzo con evidenti doti da teleporte gli comparve improvvisamente al fianco, mormorando bassamente:

« Allora, oggi ancora ripasso per la pozione restringente? »

Lanciò un’occhiata infastidita a Blaise, che lo fissava con il suo sguardo pungente e sgradevolmente ironico.

« Non la vedi la scopa? » Replicò acido, sventolandogli la sua Firebolt nuovo modello davanti alla faccia. La sua meravigliosa Firebolt nuovo modello. Più leggera. Più affusolata. Più maneggevole. In una parola: il meglio.

« Oh, già! » Esclamò Blaise con un sorriso innocentemente fasullo. « Hai pure indosso quella ridicola divisa. Avrei dovuto accorgermene. »

« Non è ridicola! » Gracchiò brusco, ritraendo la mano e stringendosi al petto la sua adorata scopa. Firebolt e divisa da Quidditch non andavano derise. E neanche la marmellata all’arancia!

« Beh, comunque mi fa piacere: a quanto pare Hermione Granger ha allentato un po’ il cappio. » Rincarò Blaise, lanciandogli una sfuggevole occhiata di languido compatimento.

Socchiuse gli occhi a due sottili fessure, lanciandogli uno sguardo glaciale.

« Prova un po’ a ripetere quello che hai detto. »

Blaise, con una calma e una naturalezza agghiaccianti, cominciò a ripetere tranquillamente quanto aveva detto, lettera per lettera:

« A quanto pare Her- »

« Era per dirti di tacere! » Stridé con i nervi già rovinosamente in pezzi, masticando le parole con tutta la brutalità con cui avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. Quanto era insopportabile quel ragazzo! Quanto!

Blaise da parte sua si zittì, regalandogli in cambio un sogghigno estremamente divertito.

Hermione Granger non gli aveva messo nessun cappio intorno al collo! Se, e andava sottolineato, se mai qualcuno gli aveva messo un cappio intorno al collo, quello era stato lui stesso! Di sua spontanea volontà! Per una serie di ragioni private che non avevano nulla a che vedere con al prepotenza di quella fanatica!

« Quell’isterica non ha alcun potere su di me! » Si ritrovò a puntualizzare con fervore, pestando i piedi in terra con più foga.

« Ma dai, Draco, non dirmi che ce l’hai ancora con lei! » Intervenne Theodore, spalancando gli occhi per la sorpresa.

« E perché non dovrei?! » Hermione Granger restava il primo nome sulla sua lista nera! L’arpia che lo aveva schiavizzato! Anche se, naturalmente, era stato lui che gliel’aveva lasciato fare.

« Oh, Draco! » Sbuffò con esasperazione Theodore, gesticolando ampiamente con le mani. « Ti ha lasciato andare agli allentamenti! E’ stata gentile! »

« Assolutamente no! » Smentì con impeto, indignato. Gentile? Quella lì? Quella sottospecie di irritante maniaca depressiva? Quel mostro travestito da sgorbio? Ma assolutamente no!

Theodore però sembrava particolarmente deciso a farlo simpatizzare con quell’idea. Con una perseveranza quasi ammirevole tentò infatti di convincerlo del proprio pensiero, accompagnandolo sin sotto le mura del campo da Quidditch. Di tutto quello sforzo, tuttavia, solo Blaise parve trarne qualche vantaggio. Arrivò infatti agli allenamenti con la testa spaccata in due dal buonismo e dalla testardaggine di Theodore. Una combinazione assolutamente. Theodore, per contro, tornò al castello sconsolato e abbattuto. Mentre Blaise, appunto, vi tornò particolarmente divertito.

Per un attimo rimpianse di aver incaricato Tiger e Goyle di stargli lontani fino a contrordine.

Quando finalmente raggiunse l’interno del perimetro del campo di Quidditch, però, si sentì finalmente risollevato: al suo interno era al sicuro. Al sicuro da Blaise, che se ne teneva lontano quanto più poteva. Al sicuro da Theodore, che, inspiegabilmente, stava discretamente sempre con Blaise. Al sicuro da Silente, che era troppo occupato per recarsi lì in visita – anche se forse, in un picco di acuta follia, avrebbe potuto decidere che un po’ d’aria fresca non gli avrebbe fatto male.

Ma soprattutto al sicuro da Hermione Granger, che mai nella vita avrebbe deciso di introdursi in quel luogo senza i suoi stupidi compagni di casa.

Già, mai nella vita!

« Oh, Draco, non ci crederai! »

Ed ecco Adrian Pucey che senza vergogna gli sorrideva con aria disponibile. Si chiese dove quel ragazzo trovasse la forza di alzarsi al mattino, sapendo che la gente l’avrebbe guardato in faccia durante la giornata. Non si sentiva tremendamente depresso al pensiero?

« A cosa? » Domandò distrattamente senza neanche sforzarsi di mostrare interesse per quanto gli aveva detto.

Che interesse poteva mostrare per un essere insulso come quel ragazzo, quando era a pochi attimi dallo spiccare il volo? Cosa avrebbe mai avuto da dire di rilevante quella presenza trascurabile che di buono nella sua vita aveva solo acconsentito a non sostituirlo nella partita contro Corvonero qualora fosse riuscito ad andare a quell’allenamento?

« Hermione Granger è qui! »

Per poco non si strozzò con l’aria che, improvvisamente, si era solidificata in ghiaccio nella sua gola. Quando sollevò lo sguardo, scandalizzato, la Grifondoro troneggiava sorridente al fianco di Adrian Pucey.

« E-e tu cosa ci fai qui? » Balbettò atterrito, additandola con una mano tremante e indietreggiando di un passo, istintivamente. Cosa ci faceva lei, lì?!

Hermione parve non farsi minimamente toccare dal suo atteggiamento e rispose tranquillamente:

« Ho chiesto al tuo capitano se potevamo ripassare mentre giocavi e… »

« … e io ho detto di sì. » Concluse orgogliosamente Pucey.

L’unico luogo in cui sentiva veramente in pace col mondo, in quella scuola… era stato impudentemente infestato!

« Ma quale sì’! Brutto idiota! » Strillò allibito. Come diavolo gli era venuta in mente una simile idea? Come?! Per quanto fosse un grandissimo imbecille, non avrebbe mai pensato che avrebbe avuto il coraggio di raggiungere quel livello di demenza mentale! E lo diceva pure con orgoglio!

« Sarà un buon esercizio per la tua concentrazione. » Spiegò pratico Pucey, incrociando le braccia sul petto e venendo accompagnato dai gesti di partecipe assenso di Hermione.

Un buon esercizio per la sua concentrazione?! Rafforzò la sua presa attorno alla Firebolt. Le nocche delle mani divennero viola per la forza che ci mise. La sua sopportazione stava raggiungendo il limite. Non appena l’avrebbe superato, non ci sarebbe stato più nulla che avrebbe potuto salvare quell’incompetente fallito dalla sua atroce vendetta. E naturalmente non avrebbe risparmiato neanche Hermione! Anzi, sarebbe stato più spietato!

Tanto più che con lei aveva diverse vendette arretrate da portare a termine.

« Allora? » Lo riportò bruscamente alla realtà il capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, guardandolo con un’espressione addirittura entusiasta di quell’idea.

« Allora cosa? » Si infiammò all’istante. « Non farò assolutamente nulla di quello che voi due… » Passò con lo sguardo da Hermione a Adrian, con disprezzo. « … avete osato pensare con il vostro cervello muffito! » La fessura che le palpebre lasciarono agli occhi si assottigliò fino quasi a non fargli vedere più niente. « Toglietevelo dalla testa! »

Hermione lo guardò senza scomporsi, con un’espressione assolutamente indifferente sul viso. Dopodiché, alzando le spalle, dichiarò:

« Ah, d’accordo. »

D’accordo?

Per un attimo si concesse di sentirsi sollevato.

Un errore imperdonabile: quando le cose sembrano troppo belle per essere vere, semplicemente, non lo sono.

« Prendi le tue cose: andiamo a finire la pozione al castello. » Aggiunse infatti pacata la ragazza, facendo un passo in direzione dell’uscita.

« Cosa? » Proruppe pietrificato.

« Beh, o qui o al castello, decidi tu. » Fece in risposta Hermione, traendo un sospiro tediato. Le lanciò uno sguardo rovente per strapparle dalla faccia quell’espressione odiosa, e ringhiò:

« Non se ne parla: io oggi devo allenarmi! »

« Oh, non fare tante storie. » Si spazientì immediatamente Hermione, la cui espressione permase immutata, incrociando le braccia sul petto e picchiettando con un piede per terra. « Sai bene come andrà a finire questo discorso, perciò non essere testardo. » Sbuffò con fastidio e aggiunse: « … in più che puoi decidere. »

« Già, Draco, in più che puoi decidere. » Concordò Adrian assolutamente coinvolto nel discorso e visibilmente dalla parte della Grifondoro.

« Tu stanne fuori, Pucey! » Inveì minacciosamente contro di lui, mentre il suo sguardo dardeggiava equamente tra Hermione e quel deficiente.

« Allora, Malfoy: qui o al castello? » Lo incalzò lei con uno sguardo di impenetrabile fermezza.

Un sguardo che conosceva perfettamente.

Significava: “Io non capitolerò mai.” O, in alternativa: “Il lato oscuro è più forte.” E il succo della cosa era che o si scordava gli allenamenti, o accettava le sue ignobili condizioni. E poteva farsi tutti i viaggi mentali che voleva. Poteva continuare a fingersi l’indiscusso padrone della situazione. Poteva ripeterlo sia di fronte agli altri, che di fronte a se stesso. Per mantenere intatta la sua autostima. Ma la verità era che, di fronte a quello sguardo, qualsiasi suo tentativo di salvaguardarla diveniva vano e quella si sgretolava pietosamente.

Ormai, non c’era altro da fare che arrendersi.

« … qui. » Mugugnò flebilmente, senza riuscire a reprimere l’astio profondo creato dallo scontro del loro orgoglio, conclusosi vergognosamente con la sconfitta del suo.

« Ok. » Disse semplicemente Hermione. « Allora io vado alle tribune, tu mettiti pure d’accordo con Pucey per decidere dell’allenamento: io mi regolerò di conseguenza. »

Disse così e non infierì oltre.

Perché lei non infieriva. Non lo risparmiava. Non capitolava. Non perdeva. Ma non infieriva. E non era una questione di gentilezza: non esiste la gentilezza in uno scontro. Era una cosa che aveva a che fare con il suo essere bizzarro. Qualcosa che sapeva rendere le sue vittorie estremamente pulite. Naturalmente se c’era un vincitore, c’era anche uno sconfitto: questo era già un punto di partenza umiliante per qualcuno. Ma era inevitabile. La stranezze di Hermione Granger consisteva nell’evitare l’umiliazione evitabile. Era non fare danno se non ce n’era assoluto bisogno. Era non infierire su un ferito. Era non farlo proprio perché non ne sentiva la necessità. Realizzare la sua vittoria schiacciando l’avversario, sentirsi appagata nel farlo… queste cose probabilmente non avevano mai neanche sfiorata la sua mente.

La osservò scomparire verso le tribune, con un’espressione indecifrabile.

Per quanto gli riguardava, quel ragionamento era incomprensibile: per lui uno scontro non era concluso fino a che non si schiacciava del tutto l’avversario. Per questo una sua vittoria non avrebbe mai potuto essere pulita.

Anche perché c’era da dire che era stato educato a renderla il più sporca possibile.

E invece Hermione Granger no. Hermione Granger avrebbe lasciato vivere i suoi nemici anche se questi si sarebbero alzati e avrebbero attaccato di nuovo. Anche se questi, un giorno, l’avrebbe senz’altro portata alla sconfitta.

Un comportamento degno di lei. Degno del suo carattere.

E in quell’istante convenne che, ormai, il senso di “odioso”, attribuito proprio a quel carattere, era molto più metaforico che altro.

Ugualmente, il senso di “isterico, irritante e insopportabile” era estremamente concreto.

Ignorò ancora per qualche minuto le direttive di Pucey, che parlava a vanvera di strategie e gioco di squadra. Ah! A lui tutte quelle assurdità non interessavano: voleva solo spiccare il volo. E quando lo fece, quando finalmente, facendo leva sulle gambe, a cavalcioni della sua scopa, si sollevò da terra, tutto scomparve. Hermione Granger. Le sue vittorie. Le sue sconfitte. Adrian Pucey. I suoi consigli. E forse, addirittura, la marmellata d’arancia. Tutto scomparve in un istante, trattenute dal terreno. Si sentiva libero. Anzi, si sentiva l’unico essere libero sulla faccia della terra. E anche questo era meraviglioso, come il pizzicore dell’aria ormai sufficientemente fredda da poterla definire pungente. Nulla sotto di sé. Niente che avrebbe potuto tenerlo legato. Solo il vuoto immenso di una stanza azzurra senza un soffitto e delle mura. Solo un oceano d’aria e correnti da cui farsi cullare e da sfruttare. Solo un enorme e neanche troppo accogliente titano avvolto da un manto azzurro cielo, che aveva le sue armi e la sua rabbia. Solo quello e lui.

Solo lui.

Neanche i compagni di squadra che galleggiavano nell’aria, per conto loro.

Solo lui.

« Malfoy! Malfoy, mi senti? » La voce di Hermione Granger, amplificata di almeno una decina di volte da un incantesimo, ebbe la grazia e l’accortezza di destarlo da uno dei momenti più meravigliosi della sua vita. « Cominciamo con la prima domanda. » Proseguì la ragazza senza aspettare neanche un suo breve cenno di assenso.

« No, aspetta! » Cercò invano di fermarla, non sapendo assolutamente cosa fare e cercando di vedere se in giro c’era il boccino. Perché, di solito, era quello che doveva fare un cercatore su un Campo da Quidditch, durante le ore di allenamento o di partita. E non, per esempio, stare a sentire le domande di Hermione Granger sulla pozione restringente. « Non sono pronto! »

Gli diede ascolto?

E perché avrebbe dovuto! Infondo, lei era Hermione Granger. A chi mai dovrebbe dare ascolto! Chi mai avrebbe potuto dire qualcosa che potesse intaccare la sua irraggiungibile e inafferrabile figura leggiadra?!

« Quale degli ingredienti permette la conservazione della pozione restringente? » Chiese con il tono neutro di un’esaminatrice fiscale.

Bella domanda, comunque. A cui naturalmente non sapeva rispondere. Mentre svolazzava intorno, alla ricerca del boccino d’oro, azzardò una risposta priva di qualsiasi consapevolezza, giusto per farla stare buona:

« Ehm… ehm… gli occhi di pipistrello? »

Come tentativo non era male.

Non, certo, per farla incazzare come una iena:

« Non parlare a vanvera, idiota! » Urlò furiosa, mentre la sua voce, come se fosse un ultrasuono, gli perforava i timpani e scalpellava il cervello, facendolo quasi cadere dalla scopa. « Se non sai rispondere non dire la prima cosa che ti passa per la testa! »

Leggermente stordito e con gli occhi vagamente strabici per lo scossone nervoso appena ricevuto, ebbe ugualmente la forza di ribattere con sufficiente ardore e stizza:

« Non darmi dell’idiota! »

« Draco, il boccino! » Gridò un suo compagno di squadra particolarmente misericordioso, indicandogli un punto abbastanza preciso del cielo. Udì un ronzio sulla sinistra e si voltò appena in tempo per vedere un bolide arrivare a gran velocità verso di lui - poiché per gli allenamenti venivano lasciati liberi e i battitori se li lanciavano in continuazione. Virò velocemente e si abbassò appena in tempo.

Quel movimento gli permise di vedere anche il boccino.

Si gettò alla sua ricerca volteggiando su stesso per prendere una posizione decente, mentre la voce ritornata leggermente più pacata di Hermione lo ossessionava nuovamente:

« Seconda domanda: quale elemento reagisce con le squame di serpente? »

« Non lo so! Non mi distrarre! » Strillò con tutta la voce che aveva in corpo, mentre un sorriso grande come il mondo si allargava sulla faccia: avrebbe preso il primo boccino della giornata. Non c’era niente di tanto appagante! Allungò la mano, vicinissima alla piccola sfera. La sfiorò, quasi. Ma proprio un attimo prima di chiudere il palmo della mano attorno al boccino udì un notissimo schioppo esplodere a un palmo da lui. Si aggrappò alla scopa indignitosamente per non cadere rovinosamente al suolo.

Si girò scandalizzato verso Hermione, la quale con tutta la tranquillità di questo mondo, stava armeggiando con la propria bacchetta, guardandolo tetramente. Le lanciò un’occhiata allucinata:

« Che diavolo fai?! » Si scoprì con un nodo in gola e la voce spezzata. Era semplicemente a un passo dal piangere. « Potevo morire! »

« Non dire assurdità. » Pronunciò serafica. « Avevo tutto sotto controllo. E comunque… » Fece acida. « … la prossima volta cerca di restare concentrato su quanto ti chiedo e rispondi alle domande. Se mi hai già fatto perdere la pazienza è solo perché mi hai sdegnato con la tua ignoranza. »

Ah, beh! Allora si spiegava tutto! Se era sdegnata allora si spiegava perché aveva tentato di ammazzarlo!

Straordinariamente, però, Pucey gli svolazzò al fianco, sofficemente, apposta per interloquire:

« Veramente, Draco: sono cose che sanno tutti. »

« Che cosa?! » Stridé con disperazione, in preda ad una crisi isterica. La indicò con un’espressione sconvolta sul viso sbiancato: « Quell’essere ha tentato di uccidermi! »

« Se tu fossi stato concentrato, non ne avrei avuto bisogno. » Si giustificò in tono apatico e addirittura annoiato Hermione, lasciandosi andare in un cinematografico sospiro.

« In effetti… » Si intromise nuovamente Pucey, meravigliosamente propenso ad appoggiare Hermione. « … se solo tu sapessi concentrarti di più non avresti neanche lasciato andare il boccino. »

Cosa?! Ma io questo lo ammazzo!

Ma non fece in tempo a fare nulla, che il suono deleterio della voce di Hermione ristagnò nell’aria circostante:

« Terza domanda. »

« No! » La fermò tremante, sempre arpionato alla sua scopa, ma meno indignitosamente di prima. Questa volta, del resto, si preoccupò di dire qualcosa di vagamente intelligente. Sempre aspramente, comunque: « Come pensi che possa fare a concentrarmi su più di mille cose contemporaneamente! E’ impossibile! Questo allenamento e questo ripasso sono assurde! »

Impassibile. Hermione Granger rimase impassibile.

« Le cose di cui ti devi occupare sono solo due: il boccino e le mie domande. » Dalla sua distanza, gli parve quasi che l’espressione si increspasse per un attimo, per la pena. « Non mi sembrano molte neanche per te. »

« E dove li metti i bolidi, stupida?! » Strillò acutamente, piccatissimo dal fatto che in quella situazione di estremo pericolo lui dovesse addirittura cercare delle scuse per giustificare la sua mancanza di concentrazione.

Perché Hermione Granger era così… potente?!

« Silenzio! » Sentenziò severa la ragazza. « Hai scelto di stare qui, assumitene le responsabilità. Perciò fai attenzione a quel benedetto boccino, alla mie domande e ai bolidi. » Abbassò lo sguardo sul foglio che aveva in mano. « E ora… » Un pausa brevissima. « Terza domanda! »

Mmmhhhh!

« Quale parte degli Schiopodi Sparacoda utilizziamo per la pozione? »

Ok, doveva riflettere.

Potrei sgozzarla mentre dorme…

Non su quello! Doveva riflettere sulla risposta! E anche su dove poteva essere il boccino! Ma era stramaledettamente difficile badare a tutto! Quasi nel panico più totale, cercò di concentrarsi solo sulla prima delle sue preoccupazioni.

« Il… il fegato! » Azzardò timorosamente.

« Plausibile… » Considerò con aria meditabonda Hermione. « … ma sbagliato: la risposta giusta è escrementi. »

Panico, stizza, rabbia, terrore e rancore si dissolsero per lasciare spazio al… disgusto!

« Che schifo! »

« Che c’è? » Domandò stranita la Grifondoro.

« Mi hai fatto toccare fino ad adesso escrementi di Schiopodi Sparacoda! » Rispose scandalizzato. E poi ribadì, inorridito, la massima espressione del suo stato d’animo: « Che schifo! »

« Sei talmente stupido che alle volte mi sembri indecente. » Considerò piattamente Hermione. « Non li hai ancora neanche toccati: vanno aggiunti verso la fine della pozione. Per la precisione… » Aggiunse poi puntualmente. « … li aggiungerai domani. »

Le lanciò uno sguardo sconcertato e puntualizzò con voce tremante:

« Io non farò proprio niente domani! »

« Piuttosto che pensare che quello che pensi che non farai domani… » Fece con noncuranza la ragazza, indicandogli un punto sopra la sua spalla. « … pensa al boccino: era appena comparso dietro di te. »

Si girò su se stesso con uno scatto e dei riflessi davvero esemplari.

« Cosa? Dove? » Domandò freneticamente, strappandosi il collo pur di arrivare con lo sguardo in qualsiasi punto del cielo alla ricerca di un minuscolo puntino dorato.

« Troppo tardi. » Sospirò Hermione apaticamente. Solo per aggiungere subito dopo, con praticità, il suono della sua inevitabile condanna:

« Quarta domanda. »

E così avvenne per molte, molte altre volte ancora…

Dieci anni dopo, Draco Malfoy si sarebbe ricordato di quella giornata come della più umiliante della sua vita.

« Complimenti, Malfoy. Non hai risposto a 30 domande su 30, veramente complimenti. » Lo schernì Hermione con un fondo indulgente di compassione e un decisamente meno vago sentimento di disapprovazione e disappunto, dopo due ore di incessanti torture.

Stravolto, con un totale di 0 boccini presi e un autostima molto più bassa di quanto non fosse mai stata, ebbe ugualmente il coraggio di apparire lo scontroso, burbero e irascibile deficiente che, probabilmente, la ragazza si aspettava di sentirsi rispondere:

« Sono le tue domande che fanno schifo! »

« Non scaricare la colpa su di me. » Fece calma lei, straordinariamente resistente nella sua maschera di impassibilità. La lieve insofferenza che si sarebbe aspettato di vederle in viso non aveva ancora scalfito la sua imperturbabile espressione.

« Giusto, Draco, prenditi le tue responsabilità: non hai neanche mai preso un boccino. » Disse Pucey in appoggio per la centesima volta alla Visio Mundi di Hermione.

« E tu taci, maledizione! » Ruggì furibondo, scoccandogli uno sguardo omicida. « Fatti gli affari tuoi! »

« Trentunesima domanda. » Proclamò solennemente Hermione, fregandosene nettamente sia di Pucey, che di lui. Cosa che, obbiettivamente, lo mandava in bestia. Era però talmente traumatizzato e sfiancato da quella giornata che con un latrato supplichevole gemette:

« Bastaaa! »

Il suo disperato grido di aiuto trovò in risposta solamente una domanda. Anzi, La Domanda:

« Qual è l’ingrediente che va aggiunto per ultimo alla pozione restringente? »

Rassegnato a sbagliare. Rassegnato a perire. Rassegnato a capitolare. Rassegnato a vedere il suo ego rimpicciolirsi e squagliarsi al punto da diventare un pallido esempio di caccole di Troll marcite, lasciò che il suo inconscio avanzasse la risposta con, probabilmente, l’ultimo barlume di ragionevolezza e forza che aveva in quel corpo e in quella mente stremati:

« Le zampe di rospo… »

Si levò un grido.

Ma era un grido… completamente diverso dai precedenti.

E lui si girò a guardare Hermione Granger più sbalordito che allucinato.

E quando la scorse, vide che si era alzata scompostamente dalle panche disposte sulle tribune. Che aveva lasciato cadere a terra i fogli che aveva sempre tenuto in mano. Che strillava, con quella sua voce tonante amplificata dall’incantesimo, parole che gli parvero per un attimo prive di senso:

« Bravo! E’ giusto! E’ giusto! Hai risposto correttamente! »

Quelle parole erano per lui? Quelle parole pronunciate senza vergogna, che riecheggiavano per tutto lo stadio, dette con quello sguardo incomprensibile, che riluceva sfolgorante tanto era intenso e luminoso, erano proprio per lui?

Seppe dubitarne per un attimo. Seppe non esserne convinto per un momento. Ma il sorriso che le vide sulle labbra, che rischiarava tutto il suo volto… spazzò via ogni incertezza.

Nella sua stranezza assoluta. Nella sua sincerità travolgente… quel sorriso rivolto a lui per la prima volta… spazzò via ogni incertezza.

« Draco, attento! »

Il tempo di girarsi sulla destra, ancora mezzo intontito, e vide un bolide sparato a grandissima velocità contro la sua faccia. Fece appena in tempo a spostarsi per non prenderlo direttamente sul naso. Ma non fu abbastanza veloce da scansarlo.

Udì il suono dell’impatto e un dolore atroce scaraventarsi su di lui.

Già ovattate, lontanissime, mentre neanche si rendeva conto di precipitare, sentì le urla dei suoi compagni di casa:

« Santo cielo! Draco! »

E poi tutto divenne nero.

E nero ci rimase a lungo, indubbiamente. Anche se a lui non parvero più di una manciata di secondi quelli che passarono da quando aveva avuto gli occhi aperti per l’ultima volta e da quando li riaprì faticosamente, ritrovandosi in un posto completamente diverso ma comunque inconfondibile. L’atmosfera che non sarebbe mai riuscita a sembrare asettica dell’infermeria sarebbe comunque sempre parsa abbastanza accogliente da fargli indovinare al volo quel genere di cose.

Scongiurati dunque i classici cliché del “Dove sono?” “Che posto è questo?” “Sono morto?”, passò alla seconda fase. Quella del:

Che diavolo ci faccio qui?

Un flash gli mostrò gli ultimi avvenimenti nella sua mente e un dolore distinto alla spalla gli ricordò l’ultimissimo di questi. Concorde con se stesso, decise di attribuire ogni colpa a Hermione Granger. Perciò, non appena avrebbe potuto alzarsi, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata prenderla a sberle. Non importava se avrebbe dovuto setacciare tutta Hogwarts per trovarla, o avrebbe dovuto schiantare prima quei deficienti dei suoi amichetti effeminati – o quella piattola ambulante della Weasley, che definire effeminata sarebbe stato un complimento un tantino esagerato. Avrebbe sfondato qualsiasi ostacolo tra lui e quella ragazza e, alla fine, l’avrebbe presa a sberle. E se sul momento gli fosse sembrato poco virile, allora alternativamente l’avrebbe presa a cazzotti. O a calci, se proprio sarebbe stato in vena. Tanto di rispettare il gentilsesso non gliene fregava un tubo. E poi Hermione non era propriamente una gracile fanciulla indifesa. Tutto sommato, se avessero fatto a botte, consapevolezza certa era che almeno un paio di colpi se li sarebbe buscati anche lui.

Solo un paio?

Decise di alzarsi per ignorare quello sciocco pensiero: un paio erano più che sufficienti. Già, tre avrebbero fatto vacillare nuovamente la sua autostima. La quale era miracolosamente tornata ad avere la consistenza di un biscotto secco, piuttosto che di uno sciolto nel latte.

Faticosamente, dunque, cercò di sollevarsi, facendo leva sulle mani. Ma quando lo fece si accorse che in quella stanza apparentemente vuota c’era un’altra persona. E, considerando la mole spropositata di capelli irti e cespugliosi sotto cui la testa era celata, appoggiata alle braccia incrociate sul fianco del letto, apprese che non avrebbe dovuto girare tutta la scuola per cercare la causa di tutti i suoi mali.

Hermione Granger, infatti, dormiva beatamente proprio lì a fianco.

Anzi, non a fianco.

A fianco era anche il letto alla sua destra, e anche quello alla sua sinistra, distanti però entrambi un paio di metri. A fianco era anche la porta all’ingresso. A fianco era anche la stanza adiacente. E lei non era semplicemente a fianco.

Lei era… vicino.

“Vicino” era un termine particolare. “A fianco” era generico. Una persona che gli era di fianco avrebbe potuto essere in infermeria per un qualsiasi motivo sulla faccia della terra. Una persona che gli era vicina era lì per lui. Non era una situazione – anzi una posizione – equivocabile. Era un’altra di quelle cose non fraintendibili e assolutamente chiare e limpide che il carattere di Hermione Granger era solito fare o dire. Una delle sue bizzarrie. Come il chiedere scusa. Come il lasciarlo andare agli allenamenti – per poi seguirlo e, naturalmente, cercare di accopparlo. Come il sorridere in maniere assurde.

E il trovarsi china sul suo letto dell’infermeria, addormentata, in attesa che lui si svegliasse.

La guardò con un’espressione sospesa, quasi enigmatica: il tepore della sua testa, sulla sua gamba, la sua presenza accesa, vicino a lui, erano l’essenza di un gesto che non aveva niente di brutto. Niente di triste. Niente di sgradevole.

L’essenza di un gesto che lo faceva anche un po’ arrabbiare. Sempre per la solita storia: era Hermione Granger. Di quel genere di cose, da lei, avrebbe volentieri fatto a meno. Ma era un rabbia molto più vaga. Molto più sottile. Perché si era distratto un poco e si era fatta strada in fretta, nella sua mente, la consapevolezza che lei, probabilmente, sarebbe stata l’unica persona tanto bizzarra da sbilanciarsi in quelle assurdità anche con lui… anche per lui.

Ciononostante avrebbe continuato a dire “Assolutamente no” a un sacco di cose ancora su di lei.

Per esempio al fatto che non necessariamente quello stato delle cose cambiava qualcosa. E questo perché non aveva reale bisogno di nulla che quella ragazza gli dava gratuitamente. Era la verità: quando ci si abitua per diciassette anni a non ricevere certi tipi di attenzioni se ne può farne a meno anche per il resto dei proprio giorni. Si sopravvive comunque.

Si va avanti comunque.

Le cose belle che Hermione Granger era capace di fare, in fin dei conti, a quel punto… erano solo e semplicemente inutili.

Le lanciò uno guardo furtivo, abbastanza riluttante e sufficientemente seccato: quella razza di cretina si era addormentata proprio sulla sua gamba! Pensò con estrema perfidia che se l’avesse mossa l’avrebbe svegliata di soprassalto.

Il ghigno malefico che avrebbe dovuto dipingersi sulla sua faccia non fece però in tempo a comparire, che lei cominciò a russare.

Aborrito, spalancò gli occhi dall’incredulità. Non avrebbe mai creduto che potesse esistere un’esponente del sesso femminile capace di emettere suoni tanto grotteschi. Anzi, non avrebbe mai creduto che potesse esistere un esponente dell’intero genere umano capace di emettere suoni tanto sconcertanti. Pulcioso Mezzogigante compreso.

La scosse bruscamente, cercando di far terminare quel supplizio immediatamente.

« Sveglia Granger! » Tuonò imperativo, considerando poi con una nota di profonda avversione: « Sei insopportabile anche quando dormi! »

Hermione, scossa dalla sua mano, si svegliò rapidamente. Si sollevò un po’ intontita, stropicciandosi gli occhi con le mani, spaesata.

« Ah… Malfoy… » Farfugliò con voce assonnata, dopo aver fatto evidentemente mente locale. « Ti sei svegliato… »

« Da un po’. » Le rimbeccò acido. « Mentre tu russavi usando la mia gamba come cuscino. » Insolito anche quello, come qualsiasi suo altro atteggiamento. Quale altro essere umano si sarebbe adagiato su un ginocchio per riposare?!

E, soprattutto, quale mai potrebbe riuscirci…

« Oh, scusa. » Mugugnò mentre aveva la santa decenza di celare un enorme sbadiglio dietro il palmo di una mano. Dopodiché, con tutta la naturalezza di questo mondo, mentre i suoi occhi acquisivano una lucidità che lo colse di sorpresa, eruppe: « Ma a te come va il braccio? »

Si sarebbe mai abituato a questo?

Che lei, per dire, si preoccupasse per lui a dispetto di tutto. Che i suoi occhi castani fossero puntati come fanali, su di lui, senza neanche l’ombra di ostilità, o disprezzo, o rancore. Che gli apparissero limpidi. Che non sembrassero neanche un po’ sgradevoli.

A tutto questo si sarebbe mai abituato?

Forse no… ma che importava?

Assolutamente nulla…

« Hermione! Ma allora stai bene! »

Si accorse solo in quel momento che un gruppo di quattro studenti, inconfondibilmente Grifondoro era entrato in infermeria.

Primo personaggio. Gambe lunghe, indecorosamente storte e probabilmente a tratti depilate. Espressione da “Non c’è Potter? Tranquilli: ci sono io!” Fisico vagamente maschile.

Inconfondibilmente Dean Thomas.

Secondo personaggio. Capelli vergognosamente rossi e lucenti, e stinchi da giocatore da football. Espressione da “Me la faccio con il sostituto di Harry-Potter-il-re-dei-perdenti!”. Fisico probabilmente femminile.

Chiaramente Ginny Weasley.

Terzo personaggio. Magro come solo un femmina avrebbe avuto il coraggio di essere. Espressione. da “Sono amico del sostituto di Harry-Potter-il-re-dei-perdenti!” Fisico indubbiamente femminile.

Nettamente Seamus Finnigan.

Quarto personaggio. Corporatura da Neville Paciock. Espressione da Neville Paciock. Fisico da Neville Paciock.

Inequivocabilmente… Neville Paciock.

Mancava solo Hermione Granger a quel quadro di dementi. Ed eppure quella ragazza aveva qualcosa di più dignitoso di quei quattro. Qualcosa di vago, forse. Ma ce l’aveva.

« E voi che diavolo ci fate qui?! » Grugnì sbalordito e orripilato insieme. Passi l’origine dei suoi mali. Passi l’essere che per natura si sentiva doverosamente atta all’ansia e la preoccupazione. Passi una persona come Hermione Granger. Ma loro! Lì! No: era intollerabile!

« Ragazzi, che ci fate qui? » Domandò anche Hermione, sapendo probabilmente che l’avrebbero ignorato, sorpresa almeno quanto lui ma visibilmente contenta di vederli. Ovvio! Erano suoi simili! « E… » Aggiunse poi, interdetta. « … perché non dovrei stare bene? »

Giusto: perché? Non era lei quella che si era presa un bolide in testa!

I quattro avanzarono incuranti di lui, concentrandosi solo su Hermione. Cosa assolutamente imperdonabile! Non che volesse che loro si concentrassero su di lui. Per carità! Ma che loro non lo ignorasse era davvero il minimo!

« Oh, niente. » Rispose Thomas quando le furono vicini, sbandierando la sua calma e inalterabilità apposta per mettersi in mostra con la piattola in calore. Alias Ginny Weasley. « Ci avevano detto che eri in infermeria e pensavamo che stessi male. »

« Invece qui il malato sono io. » Puntualizzò acre, sprezzante oltre ogni misura. « E gradirei non dover sopportare la vostra presenza: mi rende difficile la guarigione. »

« E allora vattene, Malfoy. » Gli rispose a tono, Dean, lanciandogli uno sguardo di granito. « Nessuno ti chiede di restare. »

I suoi nervi si incrinarono terribilmente. Gli parve di sentirne il suono acuto scricchiolare per la stanza. Non fece però in tempo a esplodere che l’avanzo degli avanzi si esibì in una scena oltremodo rivoltante:

« Meno male che stai bene. » Mormorò infatti Paciock a Hermione, guardandola con gli occhi quasi lucidi, sull’orlo di una crisi di pianto.

Dio mio!

Come se per una come la Granger si potesse temere il peggio fino a quel punto! Ma per favore! Quella lì in confronto a loro era mille volte più resistente! Loro erano le quattro stupide principesse sui quattro stupidi piselli! La Granger era una killer professionista con manie di persecuzione derivate da anni di onorevole servizio nella squadra dei Delta Force del Mondo Magico, addestrati nelle trincee e torturati dai nemici.

« Grazia, Neville, sto benissimo… » Lo tranquillizzò amorevolmente la ragazza.

In confronto a loro Hermione era molto più resistente.

« Oh, e… Hermione, ancora grazie per ieri. » Continuò disgustosamente dolce quella sottospecie di botte ambulante. Mettendolo a rischio di diarrea e nausea fulminanti!

Molto più intelligente.

« Figurati, Neville… » Scosse il capo la bruna, sorridendogli.

Molto più perspicace.

« Ieri che è successo? » Domandò la Weasley curiosa come una suocera ultracinquantenne.

Molto più…

« Ieri Hermione mi ha aiutato con i compiti… » Spiegò timidamente Paciock. « Siamo rimasti svegli fino alle tre. »

… gentile?

« Ecco perché erano tutti giusti! » Si indignò Finnigan, superando ancora una volta il suo precedente record di idiozia.

Si girò verso di lei, che ancora sorrideva. Che sorrideva sempre per qualcuno.

Era forse gentile una persona che, appena dopo aver finito di ripassare pozioni col suo acerrimo nemico, decide – per pietà o cos’altro – di aiutare un povero stupido nei suoi compiti? Si chiamava davvero gentilezza? Lui non si preoccupava dello stato fisico e mentale di Hermione, ma era certo che anche lei non sprizzava vitalità da tutti i pori dopo che avevano finito di studiare. Si stancava anche lei. E, stanca, decideva di fare elemosina prestando i suoi neuroni per quella che, sicuramente, dal suo punto di vista era una giusta causa.

Questo poteva chiamarsi gentilezza?

« La prossima volta voglio che aiuti anche me! » Continuò insistentemente a protestare l’incompetente per eccellenza.

« Avanti, piantata Seamus… » Sospirò scotendo il capo con stupida rassegnazione Miss piattola-man.

Mentre la modalità modesta di Hermione negava di essere gentile, alla rossa più mascolina di Hogwarts venne improvvisamente in mente una cosa importante:

« Ah, Hermione! Volevo anche ricordarti che domenica c’è la partita contro Tassorosso! »

Domenica…

Com’era che quel giorno gli sembrava decisamente brutto per ospitare una partita?!

« Oh, Ginny, mi spiace. » Si scusò sinceramente la bruna. « Domani devo finire la mia ultima prova della pozione restringente e sarà pronta domenica. »

Ecco! La pozione! Si ritrovò angosciato al pensiero di cavarsela da solo contro una pozione da testare. Ebbe l’assurdo impulso di proibire a Hermione di andare a quella stupida partita: lei doveva aiutarlo!

« Ma te l’avevo detto anche ieri sera! » Protestò vagamente risentita la Weasley.

Ieri sera…

Ebbe una specie di flash. Se gliel’aveva detto ieri sera, lei avrebbe fatto in tempo a dire che quel giorno avrebbero dovuto finire la pozione. Se gliel’aveva detto ieri sera… lei avrebbe potuto imporgli di finire la pozione.

Cercò il suo volto.

Cercò il suo risentimento nei suoi confronti. Cercò l’astio. Cercò il rancore.

Non trovò nulla.

« Mi dispiace, lunedì abbiamo un compito importante. »

Aiutare un cretino a non sprofondare nella propria ignoranza non significava che lei era gentile. Ma avergli dato la possibilità di scegliere, senza poi essersene pentita… quello sì.

Quello sì…

Si riscosse dai suoi pensieri quando vide i quattro perdenti uscire dall’infermeria, e quando Hermione, ancora seduta accanto a lui, gli domandò:

« Allora, come stai? »

« Sto bene per essere uno che si è preso un bolide addosso. » Considerò altezzosamente, incrociando per quanto poté le braccia sul petto.

« Si? » Domandò speranzosa la ragazza. Un ottimismo che avrebbe quanto meno dovuto metterlo in allarme.

Si trattava di Hermione Granger, infondo.

« Certo. »

Doveva per forza esserci sotto qualcosa.

« Perfetto, allora! »

E qualcosa c’era, infatti.

« Trentaduesima domanda! »

Decisamente, quello fu il giorno più umiliante e faticoso della sua vita. Trascorso in compagnia di un’arpia, saccente, insopportabile, presuntuosa, bisbetica, isterica e fanatica. Che, aveva modi bizzarri. Che aveva modi inesplicabili.

Che aveva modi… gentili.

Ma che, comunque, non era assolutamente sopportabile!

Ah, piccola precisazione sugli stinchi di Ginevra Weasley: lui non gliel’aveva mai guardati.

Come vi sembra questo capitolo?

Personalmente ho una passione per la profonda stupidità di Draco, indi l’ho trovato a dir poco illuminante! Del resto abbiamo fatto anche spaventosi passi in avanti, non trovate?

Ma è meglio che non mi dilunghi troppo in considerazioni inutili.
Infondo avete appena finito di leggere: tutto quello che posso dirvi su ciò che accadrà, senza però rischiare di svelarvi troppo, immagino l’abbiate già intuito da voi.

Passiamo dunque a ringraziare chi di dovere:

Maryon. Grazie mille per i complimenti! Beh, in effetti ho sempre trovato particolarmente empirico il fatto che una folgorazione improvvisa riuscisse a sanare quattro, cinque o, eventualmente, sei anni di odio profondo. In ogni modo, sono veramente contenta che la mia fanfiction ti piaccia. Spero che continuerai a seguirla e a commentarla e, naturalmente, spero che continuerà a piacerti.

Gipple the cynic spirit. Solo per il fatto che, con grandissima magnanimità, mi avresti concesso di rimandare a tempo indeterminato il mio ringraziamento al tuo commento… io ho eroicamente deciso di non avvalermi di questo privilegio. Inoltre, rileggendo la tua recensione, mi sono ricordata che ti sei alzato alle 8 e mezza, quella lontana mattina del 20 Luglio, e hai scritto per ben 2 ore ininterrotte, apposta per risollevarmi il morale che in quelle quarantotto ore era pressoché a terra. Posso essere davvero così irriconoscente da non concederti almeno un po’ del mio tempo? No, decisamente. Anche se sono stronza quasi quanto Blaise (un complimento insperato, il tuo! ^_^) sarebbe stato davvero imperdonabile da parte mia. Perciò, tiriamoci su le maniche e cominciamo! Innanzi tutto, mi fa piacere che tu abbia così apprezzato il mio zelo riguardo la lunghezza del capitolo: sarai contento di sapere che questo è lungo tre pagine in più dello scorso! ^_^ E poi non dire che non penso a te! In ogni modo sapevo che avresti gradito l’espediente dei “colori”, come sapevo che avresti finito per odiare Blaise: diciassette anni di convivenza aiutano, se non altro, a conoscere una persona molto meglio di chiunque altro, ti pare? O magari, non di chiunque altro… ma di un bel po’ di altre persone si, direi. In ogni caso devo dirti che non hai c’entrato il punto della questione: Blaise ha un’altissima coscienza della sua vita. Per lui non è affatto un gioco. Quella degli altri, in compenso, si. Ma comunque la questione è molto più complessa: Blaise non è un tipo leggero. A livello mentale è di una profondità allucinante, e questo, più avanti, darà i suoi frutti. Se in bene o in male… devo ancora deciderlo. ^_- Sono felicissima del fatto che ti sia piaciuta la parte più intensa e grave del capitolo: come ben sai sono il tipo di persona che in quel genere di pezzi ci mette tutta l’anima. Ma a dire il vero per quelli mi rivolgo di più a Bianca: lei è più romantica, più sentimentale… più emotiva. Se lei piange o si emoziona, per me è una garanzia che quelle date parti vanno bene. In compenso la sua demenza alle volte è talmente abissale e mostruosa che non posso fidarmi completamente del suo giudizio quando voglio testare la mia demenza. Il punto è che la nostra stupidità quotidiana è molto più grezza (come si può appurare proprio qui sotto) di quella che inserisco in The Draco and Hermione’s Opera, che al contrario è più… come dire… raffinata? Si può dire? Beh, ad ogni modo, per questa ragione tu mi sei assolutamente indispensabile. Ti considero la Suprema Autorità a livello di ironia, sarcasmo e demenza mentale – anche perché tu sei il mio intermediario con il Grande Maestro (non quel Grande Maestro). Indi, aver ricevuto il tuo apprezzamento su Silente e sulla parte finale del capitolo, anche per la posizione in cui li ho riportati, oltre che per il contenuto in sé, è stato per me fonte di grandissimo orgoglio! ^_^ Bene, direi che posso anche concludere qui il mio commento al commento, esprimendo i miei auspici affinché il prossimo stupidissimo capitolo possa essere di Suo gradimento.

Il contenuto delle prossime righe è consigliato ad un pubblico minore di quattro anni.

La Demenza. Sono le 23.51 minuti. Il mio cervello ha avuto un tracollo un’ora fa (mentre, contemporaneamente vedeva la fine di Fantozzi e rispondeva ai vostri commenti). Non credo di aver più abbastanza facoltà mentali da scrivere qualcosa con un minimo di senso… per questo ho deciso di stendere qualche riga per l’unica persona che avrebbe potuto capirla, nella sua raccapricciante illogicità. Naturalmente mi sto riferendo a te: giovenca dai piedi d’argilla (e qui tu sai cosa vuol dire!)! La tua abissale stupidità ti ha fatto apprendere la Somma Conoscenza su Theodore e Blaise, nostri grotteschi replicanti in quel mondo ideale chiamato fanfiction… o cacca di mulo, come preferisci. E ti ha fatto apprezzare profondamente il loro io più nascosto e lepriforme (un nuovo termine coniato con tutto il affetto, appositamente per te). Ah! La luna brilla in cielo, in questo istante! E un odore nauseabondo trasuda dai miei piedi saturando questa stanza e appestando questa casa! Zombie! Zombie! Che combattono nella mia testa e gridano: - Susanna! Susanna! Il Formaggino! Ahhh! Il Formaggino! – Ahhh! Susanna! Susanna e Draco sono uguali: hanno entrambi i capelli biondi. D’ora in avanti, Draco si chiamerà “Susanna” e Hermione si chiamerà “Giasone”! Harry avrà il nome di “Barbagianni” e Ron “Palloncino”! Ah, si! Un palloncino! Un palloncino! Ci sono arrivata: tu odi il libro Harry Potter perché è come un palloncino! E così, vero, Muflone dalle zampe arcuate? Me l’hai tenuto nascosto per tutti questi anni, ma finalmente l’ho scoperto! Non puoi più negarlo: sei stata tu a cancellare la cassetta su cui avevo registrato la puntata di Beautiful in cui Ponte (alias Bridge – alias Ridge) e Brocca (alias Brock – alias Brooke) si mettevano insieme! E’ stata tutta colpa tua! Idiota! Hai guardato in tutte le culle! Dovevi guardare in tutti i cessi! In sedici anni quella cretina sarà pur andata al cesso, ogni tanto, no? Se anche era stitica, una mega-cagata all’anno doveva pur farsela, no? Ormai anche l’ultimo barlume di sanità mentale se n’è andato nel pensare che mi sono commossa per il fatto che la frase che ha dato il titolo allo scorso capitolo era addirittura degna dei nostri gridolini. Da adesso in avanti non credo che le mie dita pigeranno più i tasti seguendo i deboli imput dei mio cervello. Credo che non ne uscirà altro che qualcosa di mostruosamente deleterio: è finita. E’ l’Armageddon! Non ci sarà pietà per nessuno! Ahhh! Ahhhhh! Fuggi! Fuggi! Cresceranno McDonald sugli alberi e ci saranno Autogrill senza bagni! Le strade si spaccheranno e Scar sarà re! E allora leoni e iene lavoreranno insieme per costruire un grande e glorioso futuro! Faremo in modo che Bob non si incazzi perché lo fanno vestire da donna e faremo in modo che i Pokemon digievolvano tutti insieme e poi deperiscano per un attacco improvviso di squaraus. Lo squaraus si diffonderà per le strade. Tremende epidemie decimeranno la popolazione e sature emissioni di gas distruggeranno l’ecosistema terrestre! E nel mondo non esisterà più nessuna forma di vita pensante.

Morale della favola: io e te sopravvivremo.

P.s: tutto ciò che è contenuto nel paragrafo dedicato a “La demenza” è stato scritto da una persona con uno stato mentale instabile e con un’evidente bisogno di dormire, mangiare e riposare. Cosa che, alla bellezza dell’una meno un quarto, quella persona – la sottoscritta – sta andando a fare.
Se dopo aver letto quanto avete letto avete deciso che, per l’incolumità del vostro cervello, è meglio non avere più nulla a che fare con me… beh, fatelo! Siete ancora in tempo! Intanto che le spore di stupidità non vi hanno ancora contaminato, fuggite il più lontano possibile!

Chiedo pubblicamente scusa per il linguaggio scurrile… sono veramente rozza. -_-

P.s II La vendetta: credo che a quest’ora della mattina (le dieci) io possa permettermi di aggiungere qualcosina di più gratificante, al commento scritto poco sopra… dunque, ti ringrazio infinitamente di esistere, Bianca (e per non essere una forma di vita pensante – così sopravvivrai pure all’Armageddon). Tanto, chissene frega se sei un’idiota! Le persone migliori di questo mondo non sono più intelligenti di un fico marcio. Non hai nulla di che invidiare a chiunque, tu. Sei solo infinitamente stupida… Ma non preoccuparti: è stato proprio per compensare questa tua abissale mancanza sono stata creata io! ^_^

Super gaia. Prima di tutto, penso di dover specificare una cosa: non volevo assolutamente offenderti definendo “commenti-flash” le tue recensioni. Davvero, era l’ultima cosa che mi passava per la testa. Anzi, come ti ho detto, le apprezzo tantissimo. Spero tu non abbia frainteso e capito il contrario. Ah, e per quanto riguarda la storia: mi sforzerò con tutta me stessa per rendere i prossimi capitoli migliori dei precedenti! Spero che continuerai a dirmi cosa ne pensi! ^_^

Nightmare. Tu sei uno stronzo perché sai perfettamente come prendermi. Questo è il succo di questo mio ringraziamento, ma ora scendo nei particolari: tu mi riempi di complimenti favolosi, a stento comprensibili da mente umana; mi esalti come se fossi un dio della scrittura (facciamo una dea, su: accresciamo la mia autostima gratificando un poco la mia ignota femminilità); mi consideri un essere coltissimo e intelligentissimo; mi, dici, addirittura, che arrivi a nutrire dei complessi di inferiorità nei miei confronti, e poi… e poi mi distruggi in una partita a dama! Ma porca vacca! Sono io che nutro dei complessi di inferiorità nei tuoi confronti! Perché tu hai il talento necessario per diventare molto più bravo di me a scrivere: hai tutto il tempo occorrente per far sì che avvenga e anche tutta la passione necessaria. Mentre la mia logica resterà sempre più asciutta di una prugna secca (questo termine ti ricorda qualcosa?)! E’ per questo che sei uno stronzo! E quello che mi fa arrabbiare è che ti voglio anche un sacco di bene, quindi non riesco a detestarti davvero! E, comunque, anche se ci riuscissi, basterebbe leggere i tuoi commenti per farmi subito cambiare idea… veramente, è a me che non vengono le parole adatte per dirti, quanto, ogni volta, tu riesca a rendermi fiera di me stessa, di come sono, di quello che so in grado a fare. Tu mi dai… si, mi dai una continua ed eterna fiducia nelle mie capacità. E non solo! Non solo questo: è come se, solamente perché tu lo pensi, io diventi una persona un pochino migliore. E anche se non lo sono… il fatto che tu ne sia assolutamente convinto rasserena molte delle mie giornate. Per me, Fede, tu sei e sarai sempre un barlume di speranza. E un giorno vedrò di ricambiare il favore, in qualche modo. ^_^

Sabry. Considerando l’affetto incontrollabile che nutri nei confronti di Harry, ti farà piacere sapere che nella stesura originaria sia lui che Ron erano entrambi deceduti molto prima che la storia iniziasse. Del resto, ho pensato che potessero essermi utili… e in effetti più avanti avranno un ruolo decisamente attivo. Inoltre Ron, tutto sommato, a me piace discretamente. Anzi, a ben vedere, è uno dei miei personaggi preferiti. Harry no. Harry proprio no: Harry resta vivo solo perché è una personaggio abbastanza interessante e abbastanza utile ai fini della storia. Se non fosse per questo la sua sorte, da parte mia, almeno, sarebbe irrimediabilmente segnata. Questo sempre per l’avversione profonda che nutro verso di lui da quando ho letto il Quinto libro. C’è anche da dire che voci di corridoio affermano che nel sesto migliora… Mah, chissà! Aspettiamo e speriamo. Tornando a noi, sono felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto, specie considerando tutti i motivi per cui ti è piaciuto. E a proposito di uno di quelle, posso permettermi di anticiparti in esclusiva che Hermione avrà altre occasioni per complimentarsi con Draco e, in molte di quelle, lo farà senza riserve. Per quanto riguarda i cambiamenti tanto attesi… beh, già in questo capitolo ne abbiamo uno sostanzioso. Ma non preoccuparti: quando arriva qualcosa a sconvolgerti la vita l’effetto valanga è assicurato. Penso proprio che molto presto Draco si renderà conto di non poter far a meno di venirne travolto. E a quel punto… beh, a quel punto iniziano i giochi, no? ^_^

Electra 36. Allora… per cominciare apprezzo la sincerità. Non posso dire di aver gradito eccessivamente il commento, anche perché sinceramente non ho capito molto bene cosa volessi dire, ma sicuramente apprezzo la sincerità. Comunque una spiegazione mi sembra d’obbligo: hai detto che le date e l’orario confondono. Beh, può essere. Voglio dire: è relativo. Comprendo perfettamente che possano avere quel tipo di effetto, ma in certe parti mi sono enormemente utili. C’è anche da dire che questa storia in particolare la volevo scrivere con uno stile e un metodo completamente diversi dal mio, che trova la sua esasperazione in You are my angel. Ad ogni modo terrò presente il tuo punto di vista la prossima volta che deciderò di scrivere una fanfiction. Secondo punto che posso comprendere: ti aspettavi una storia d’amore. Lo capisco. Una Draco/Hermione fa’ presupporre una storia d’amore, e, tra l’altro, la mia fanfction lo è. Ma io ho ribadito tantissime volte che per farla ingranare ci sarebbe voluto tempo. L’ho ripetuto fino allo sfinimento. Se, pur sapendo questo, ti aspettavi comunque una storia d’amore sin da subito palese ed esplicita… beh, non posso che dire che mi dispiace. Gli altri due punti purtroppo sono quelli che mi hanno impedito di apprezzare il commento in sé. Non intendo dilungarmi eccessivamente per spiegartene la ragione, dico solo che non mi serve un motivo per decidere quando e dove inserire certi capitoli che renderanno la mia storia legittimamente una NC17. E se con incompleta intendevi inconcludente, allora posso solo dire che l’ho concepita in un insieme: può darsi che i singoli capitoli non portino a nulla e, forse, questo è un errore. Anche io in certe mie storie ho cercato di dare un senso a se stante in ogni capitolo. Per questa non è così… se ti aspettavi che lo fosse, allora posso dire con rammarico di averti delusa. Se con incompleta intendevi precisamente incompleta… allora mi sembra non ci sia nulla da dire, dal momento che mi trovi d’accordo: siamo solo al sesto capitolo, la fine è ancora lontana. Nel caso in cui deciderai di continuare a leggere questa storia e troverai da biasimarmi altre cose, non avere timore o remore di farlo; del resto, io mi prenderò il diritto di risponderti. Spero che la prossima volta, se ci sarà, il tuo commento sarà costruttivo dal punto di vista di entrambe.

Clo87. Già, cominciamo a svelare i primi misteri! Sono anche io piuttosto elettrizzata dalla cosa! ^_^ Per quanto riguarda Harry e Ron, ti capisco perfettamente: si sono comportati veramente da cani. O meglio, ho fatto in modo che si comportassero veramente da cani… non posso certo spogliarmi della mia parte di colpa: in quanto autrice, ho almeno il 50% della responsabilità. Ma l’altro 50% è tutto loro! E comunque non preoccuparti: avranno quello che si meritano. Eh eh. Ih ih. Ok, basta: anche io devo proibirmi di viaggiare con la fantasia. Altrimenti succede una catastrofe! Per quanto riguarda Hermione, invece, la questione è un po’ più complicata e si svelerà un po’ più avanti. Per ora si può solo aspettare.

Mikki. Credo che esistano poche cose al mondo che mi mettano di buon umore come leggere i tuoi commenti! Veramente: è qualcosa di estremamente confortante e straordinariamente rilassante! A parte il fatto che mi riempi di complimenti (il più dei quali ingiustificati, tra l’altro – ma graditissimi dalla mia autostima! ^_^) scrivi sempre delle cose meravigliose su tutto quello che scrivo. Ma, devo dirtelo, la cosa che mi ha fatto più piacere del tuo ultimo commento è stato il tuo apprezzamento nei confronti di Blaise. Sei proprio una gran donna! (Passami l’espressione piuttosto grossolana, ti prego.) Hai capito esattamente il suo carattere, e questo è oggettivamente ammirevole, ma dal mio punto di vista è ancora più ammirevole – oltre che assolutamente strabiliante – che tu l’abbia trovato esilarante! Per me è stata una grande vittoria morale: ci ho scommesso un po’ sul suo personaggio e sono felicissima di averlo fatto, se questo è il risultato. Se, cioè, ne viene fuori un commento come quello che gli hai riservato. Per il suo ruolo nella vicenda, posso dirti che esso avrà grandissima attinenza col suo carattere: Blaise è chiaramente un manipolatore, un ragazzo scaltro, ma insensibile, di eccezionale perspicacia, ma scarsa profondità di sentimenti. Da una parte è estremamente ricco di tutto, dall’altra è estremamente povero. Se vogliamo, è straordinariamente equilibrato. Del resto è anche ambiguo. E ambiguo lo rimarrà anche in quanto guida: sarà, come è già stato, indispensabile per far sì che si solidifichi l’amicizia tra Draco e Hermione, questo è vero. Ma ricordiamoci che è Blaise Zabini. Da lui, ci si può aspettare qualsiasi genere di sorpresa. Silente secondo me è favoloso e Draco, volente o nolente, per lo meno apprenderà che è un po’ più di un vecchio rugoso… anche se un vecchio rugoso lo resterà comunque! ^_^ Felicissima che le parti “malinconiche” ti questo capitolo ti abbia emozionato: ci tenevo tanto. Infondo, se vogliamo, è attorno a certe questioni che qui sono state accennate che ruota tutta la storia e sapere che colpiscono, che emozionano, rende orgoglio di se stessi, non ti pare? Mi hai fatto anche altre importantissime domande, ma mi riservo di risponderti più avanti: specie a te e a quelli che come te riescono a intuire già da ora parecchie chiavi di lettura interessanti, non voglio proprio rivelare più dello stretto indispensabile. Ti dico solo che hai centrato il punto. Se riesci a capire cosa intendo, potresti anche essere a un passo avanti a me, che, per dirla tutta, sotto certi punti di vista è talmente confusa che non sa più come raccapezzarsi in questa valanga di sentimenti e emozioni che ha messo in messo!

Blackmoony. Oh, come capisco la tua sofferenza! Rivivo nelle tue pene le mie! Sento nei tuoi confronti un moto di comprensione e solidarietà immenso: se avrai bisogno di piangere per tutto il dolore che quell’oggetto magnifico e terribile (e spastico, naturalmente) chiamato “computer” ti provoca… ti assicuro che avrai la mia spalla. Non potrei mai negare conforto ad un essere umano che conosce il mia stessa angoscia! T_T Ok, detto questo, posso cominciare ad adorarti perché apprezzi il titolo che ho scelto per questa fanfiction! E’ semplicemente meraviglioso! E altrettanto meraviglioso è che anche tu gradisci Blaise! Non oso dirti quanto questo possa farmi piacere! Per non parlare del fatto che dici di aver cominciato ad apprezzare il pairing Draco/Hermione da questa fanfiction… insomma, una gioia immensa! Immensa! E poi, e poi: Jane Austen! Mi piace tantissimo e sono onorata, veramente onorata, di averti ricordato per un attimo il suo stile. Non è la mia autrice preferita, ma l’ho sempre ammirata per il suo modo di scrivere. Ah, e poi hai ragione tu, assolutamente: è Oltre Ogni Previsione. Non appena avrò un po’ di tempo correggerò tutto quanto. Ti ringrazio moltissimo anche per la fiducia e la tua considerazione per il mio stile (mi sono commossa, davvero): mi piacerebbe tantissimo diventare una scrittrice. Sarebbe bellissimo se ci riuscissi, ma penso che sarebbe ancora più bello se ci riuscissimo tutte e due. Che ne dici? E’ una bella immagine per il futuro, no? ^_^ Ah, e sono così contenta che trovi azzeccate le scelte delle canzoni a inizio capitolo! Ci metto notti intere a sceglierle! Ci sono dei momenti che è frustrante, perché mi sembra quasi che non potrei mai trovare una singola strofa adatta, ma poi, improvvisamente, ne trovo una che è talmente perfetta che penso che sia stata scritta su misura per quel preciso capitolo. Per concludere, vorrei dirti che non hai idea della gioia che mi ha procurato il tuo commento e spero che recensirai anche questo, il prossimo, quello dopo e quello dopo ancora… insomma, spero che mi seguirai nella scrittura di questa storia. Mi farebbe veramente smisuratamente piacere! ^_^

Dana. Draco fa quell’effetto anche a me! Alcune volte muoio dal ridere mentre scrivo certi pensieri… quell’ultima frase del quinto capitolo, per esempio, mi ha lasciato piegata in due per un paio d’ore. Giuro, una cosa incredibile! Temevo che fosse un’ironia incomprensibile, e invece, per esempio, a te piace. Sono proprio contenta! Ah, e poi anche io ero sull’orlo di una crisi di pianto quando ho scritto quello che Harry aveva detto a Hermione… veramente, mi si stringeva il cuore! T_T Ma non ti preoccupare: tutti i nodi vengono al pettine e Harry avrà molto più di quello che si merita. Mi assicurerò personalmente per far sì che avvenga! Oh, e mi dispiace tantissimo di non aver aggiornato tanto presto! Tra l’altro, non lo farò neanche per tutto Agosto, come ho spiegato all’inizio di questo capitolo. Spero comunque che commenterai, quando metterò on-line il prossimo capitolo. E anche questo, si intende: ho dato particolarmente sfogo alla mia demenzialità. Penso che apprezzerai! ^_^

Mel-chan. E’ così anche io e te abbiamo un sogno in comune! Mi fa enormemente piacere! Ma io non sono affatto così brava come dici! Assolutamente! Ed eppure penso proprio che non riuscirò mai a mantenere il mio proposito di non scrivere più fanfiction o storie di alcun genere: credo che sarebbe proprio impossibile, per me. ^_^ Perché, anche se in quel momento lo pensavo, non esiste niente che mi faccia stare bene quanto scrivere… niente. Comunque sono davvero, davvero contenta che trovi i miei pensieri tanto profondi quanto interessanti: è una cosa molto importante per me. E sono anche contenta nell’annunciarti che suppongo che il tuo desiderio di veder ammorbidirsi il rapporto tra Draco e Hermione si sia in parte concretizzato in questo capitolo. In parte, ti annuncio, si concretizzerà nei prossimi. E poi verrà anche l’amicizia, sicuramente: questo posso anticiparlo senza problemi. Dovete perdonarmi la nebulosità sulla faccenda “amore”: resto sul vago per pure ragioni scaramantiche. Come ho già detto un sacco di volte, infatti, neanche io so perfettamente come potrebbero andare le cose. D’altro canto posso anche assicurarti che Hermione e Draco vivranno un rapporto intenso, che non smusserà affatto il loro carattere, ma che permetterà molti di quei – come li chiami tu – rari momenti in cui i pensieri dell’uno verso l’altra siano di entità diversa dall’odio più profondo. E, magari, altri che invece siano addirittura vicini all’affetto. ^_^ Spero che saprai pazientare – ne sono sicura! – e quando li leggerai mi lascerai una tua impressione! ^_^

Bimba88. Ma non devi assolutamente scusarti! Commentare, prima di tutto, è un diritto, non un dovere: è già tanto, per me, che tu decida di farlo. E puoi permetterti di farlo quando vuoi! E poi sei sempre così gentile… sia nei miei specifici confronti che nei confronti della mia fanfiction. Sono veramente felicissima che ti piaccia e, all’occorrenza ti faccia ridere! ^_^ Per quanto riguarda Harry, come ho continuato a ribadire per tutte queste 4 lunghissime – e graditissime – pagine di risposta alle vostre recensioni, riceverà tutto quello che ha dato, con in più un bel po’ di interessi. E in quel momento esulteremo insieme! ^_^ Ah, e ti ringrazio moltissimo anche per aver difeso così strenuamente anche tu la mia storia. Sul serio… mi hai commosso! T_T In ogni caso, scusami per non aver aggiornato tanto presto: me la sono presa un po’ troppo comoda e a questo punto il settimo capitolo lo metterò a Settembre… mi spiace veramente. Cercherò, da quel momento in poi, di farmi perdonare. Ah, a proposito: com’è andata la famosa festa? Ti sei divertita?

Ithil. Oh, un’altra persona che apprezza Blaise! Fantastico! Ah, e poi ti sono piaciute molto alcune frasi in corsivo del dialogo tra Hermione e Ginny… bene, bene: siccome non ce ne sono poi molte ho capito più o meno a quali ti riferisci – credo – e mi ha fatto molto piacere leggerlo dal tuo commento. Infondo, per molte di quelle di sono stata su giorni interi! Più o meno da suicidio, si. E naturalmente sono felice del fatto che approvi la revisione che Draco fa della sua vita, sebbene tu preferisca un Draco meno… stupido? Beh, anche se non hai detto proprio questo, ho capito cosa intendevi e ti capisco. In un certo senso, spero di riuscire a mettere il Draco che dici tu un po’ più avanti, anche se naturalmente non sarà mai troppo sarcastico siccome in questa fanfiction il personaggio che possiede questa caratteristica in quanto principale è Blaise. Forse è anche per questo che ho deciso di dare un’inclinazione diversa al carattere di Draco: non volevo doppioni troppo evidenti. Del resto, per quanto ti possa sembrare strano, io sono abbastanza d’accordo con te sul fatto che Draco Malfoy stia decisamente bene quando indossa le vesti dell’altezzoso e sarcastico ragazzo strafottente. Mah, vedremo cosa ne verrà fuori da tutti questi propositi! Per concludere posso dirti che di dialoghi tra Draco e Silente ce ne saranno altri, e cercherò di renderli tutti esilaranti come hai trovato quello nello scorso capitolo. Dunque, grazie mille per i complimenti! E in bocca al lupo con la lettura di Harry Potter and the Half-blood Prince! ^_^

E… Marilia. Non so cosa dire. Potrei cominciare dicendo che non ho ricevuto tutte le tue e-mail (ne ho poco più di un paio nella mia cartella di posta) e quelle che ho ricevuto sono di… non lo so… quattro? Cinque mesi fa? Ma non è comunque questo il punto: il punto è che, come ho scritto proprio all’inizio di questo capitolo, per certi versi sono una persona discretamente cinica e immagino di apparire anche abbastanza fredda ne confronti degli altri. Perciò, sapendo questo di me, capisco che tu abbia pensato che io non ti abbia mai considerato mia amica. Però, vedi, le cose non stanno così. Sarebbe bello essere un tipo di persona che non ha bisogno di specificarlo, ma siccome non lo sono, sono pronta a specificarlo tutte le volte necessarie affinché i miei amici comprendano la loro importanza per me. Dico sul serio, Marilia, non è esistito un solo momento da quando mi hai contattato la prima volta in cui non ti ho considerato mia amica. Come non ne è esistito uno in cui non ti ho voluto bene. A dire il vero penso che sarebbe impossibile… mi hai sempre sostenuta, mi hai sempre incoraggiata, mi hai sempre resa orgogliosa di quello che scrivevo. Non vedo come potrei non volerti bene. Mi dispiace che tu abbia dovuto dubitarne e anche di non essermi fatta viva: anche se non ho ricevuto le tue e-mail avrei potuto comunque mandartene io qualcuna, per sentire come stavi. Spero che tu legga queste poche righe e accetti le mie scuse. In ogni caso, ancora una volta, grazie per essere presente. Per essere qui, insomma, ancora una volta, a leggere quello che scrivo. Sono davvero felice che la mia storia ti piaccia molto e, quando avrai tempo di commentarla, sarò davvero felice di leggere la tua recensione.
Spero di ricevere presto tue notizie, anche se in poche righe.
Un abbraccio forte, forte
La tua Silverwings

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Capitolo 7
*** Quello che tu vuoi darmi ***


Capitolo 7

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 7. Quello che tu vuoi darmi

 

*** *** ***

I know I felt like this before
But now I’m feeling it even more
Because it came from you
Then I open up and see
The person fumbling here is me
A different way to be

Lo so che mi sono sentito così anche prima di adesso
Ma ora lo sento anche di più
Perché viene da te
Allora apro gli occhi e vedo
che la persona che va alla cieca sono io,
un modo differente di essere

[Cranberries – Dreams]

*** *** ***

Lunedì 2 Dicembre. Ore 12.15
Hogwarts. Aula di Pozioni.

Perfetto.

Doveva aggiungere esattamente quel numero di occhi di tritone. Doveva mescolare in senso orario. Ecco, ecco, così. Poi qualche manciata di corteccia di quercia triturata. E altri due… anzi tre cucchiai di sciroppo di Mandragola. Si, tre potevano andare bene. No, un quarto sarebbe stato decisamente eccessivo. Tre, era perfetto. Ottimo. Ottimo. E ora… oh! Quante storie! Doveva metterli e basta! No. No. No. Un po’ di più. Un po’ di più. Ancora un po’ di più. Basta. Perfetto! E anche gli escrementi di Bubotubero erano andati.

A questo punto mancavano soltanto due ingredienti per concludere la pozione.

I tanto temuti ultimi due ingredienti.

Ma lei non dubitò di Draco Malfoy. Sebbene mille e mille volte quel ragazzo avesse dato prova della sua abissale stupidità, lei credette ciecamente che non l’avrebbe delusa. Credette fermamente che non avrebbe avuto alcun dubbio su quale ingrediente scegliere. Ci credette con tutta se stessa… almeno sino a quando non lo vide prendere in mano le zampe di rospo.

Allora, non poté che impallidire.

No! No!

Scosse il capo freneticamente, in un silenzio imposto che le costava enormemente.

Vide il Serpeverde aggrottare la fronte guardando ciò che aveva in mano, in un inconsapevole riflesso che gli impediva di vanificare completamente tutti gli sforzi di quelle lunghissime due settimane di studio.

Sì! Sì!

Annuì ripetutamente, ritrovando un po’ di colore. E si compiacque dell’espressione di Draco, contratta nello sforzo di concentrarsi e riflettere profondamente sulla cosa.

Rifletti! Rifletti!

Ma ogni suo slancio di entusiasmo si spense miseramente quando il Serpeverde alzò indegnamente spallucce, in un’espressione di inevitabile rassegnazione, e avvicinò lentamente le zampe di rospo al calderone.

No…

Si contorse nell’angoscia.

No.

Impresse le mani nel tavolo, con una forza tale che le fece rientrare le unghie nella carne.

No!

La mano di Draco fece per schiudersi.

E le sue corde vocali gridarono con tutta la loro voce l’esclamazione della più totale, assoluta, implacabile, affranta, smarrita costernazione:

« NO! »

Sistematicamente, più di una ventina di persone sollevarono, scioccate, gli occhi dai loro calderoni, per appoggiarli, basiti, su di lei. E tra questi occhi figuravano anche quelli di Severus Piton, che in uno slancio di magnanimità inspiegabile le consentì un'unica, devastante occhiata, che la fece semplicemente accartocciare su se stessa.

Sotto il peso di quello sguardo, il suo capo si abbassò pesantemente in una massima espressione di prostrazione. Ciononostante, nel chinarlo, notò e trovò di buono che da quella sua orrenda figura Draco Malfoy, cinque banchi più avanti, avesse carpito la quintessenza del suo errore, e, in un istinto incondizionato dettato dal suo inconscio, avesse ritratto la mano dal calderone, sventando la catastrofe.

Esausta, stravolta e leggermente umiliata, Hermione riuscì comunque a finire la sua pozione. La mise in una boccetta. Si trascinò poi in passi rapidi ma comunque estremamente pesanti verso la cattedra, e lì la posò. Piton, seduto appena dietro il grande tavolo di quercia, si soffermò a guardarla per non più di un secondo. Quello bastò a dare il colpo di grazia al suo intestino, deturpato dall’emanazione velenosa che quello sguardo sprigionava. Purtuttavia il professore si limitò a quello, e poi decise che era molto più interessante studiare qualsiasi altra cosa intorno a lui piuttosto che lei. E a questo punto lei trovò faticosamente la forza di trainarsi sino alla porta e, finalmente, uscirvi.

Il senso di gratificante liberazione che le lambì dolcemente la mente non appena mise un piede fuori dai sotterranei venne sbriciolato completamente da quello di assoluta angoscia per quanto avrebbe potuto fare Draco, di sbagliato, pur con un unico ingrediente a sua disposizione. Tremò, per un attimo, al pensiero. Dovette persino sorreggersi la fronte con una mano, poiché questa era improvvisamente, di nuovo, sprofondata in avanti. In un senso di pesantezza opprimente.

« Ciao Hermione! » La salutò però una voce squillante, di contagiosa allegria.

Quando si volse verso la rampa di scale che conduceva al secondo piano, trovò Ginny Weasley di fronte a sé. Trotterellava nella sua direzione. Spensieratamente. Il viso gioviale, acceso dall’entusiasmo e dalla contentezza. Le guance teneramente imporporate per la gioia. Le labbra riverse in un sorriso splendente.

« Ciao Ginny. » Ricambiò, più compostamente, ma con lo stesso trasporto. Con lo stesso affetto.

« Hai saputo di ieri?! » La incalzò, euforica, l’altra, con la testolina rossa che si agitava e le mani che la cercavano, in un contatto frenetico ma sempre gentile. Mai eccessivo. Mai oppressivo.

« Certo. » Le rispose, pacatamente. Non si poteva non venire a sapere che Grifondoro aveva stracciato Corvonero a Quidditch. Era praticamente impossibile. C’era in ballo l’orgoglio dell’intera squadra de “Il pettegolezzo – la notizia siamo noi”. « Congratulazioni, veramente: sono sicura che vincerete La Coppa. »

« Oh, si, possiamo farcela di sicuro! » Esclamò Ginny con una convinzione indistruttibile.  

« So che poi tu sei stata bravissima. » Aggiunse, mentre cominciavano ad avviarsi verso la sala comune di Grifondoro. Glielo disse sorridendo, sentendosi piena d’orgoglio. Un orgoglio che però prescindeva dall’appartenenza alla stessa casa. Ed era invece tutto per Ginny.

Del resto non c’era nessun cercatore come Ginny. Nessuno con la stessa abilità di dare il meglio anche sotto pressione. Nessuno con la stessa capacità di accettare una sconfitta con sportiva dignità, nello stesso modo in cui sapeva esultare per una vittoria senza prepotenza. E, checché ne dicessero gli altri, nessuno con lo stesso talento.

Nessuno a parte Harry, naturalmente.

Ma quella era un’altra cosa…

Ad ogni modo Ginny prese a scuotere il capo, mentre un guizzo di vitalità le attraversava lo sguardo.

« Ma no! » Esclamò, sempre contenta. « Non io! »

La franchezza di Ginny la rendeva ben lontana dalla modestia, e altrettanto lontana dalla vanità. Quando parlò, infatti, non c’era l’ombra né dell’una né dell’altra. C’era invece molta sincera eccitazione per l’unica persona che le sarebbe mai parsa veramente bravissima.

« E’ stato Dean quello fantastico! » Esclamò infatti la rossa, ridendo.

E in quella spontaneità, lei vi lesse l’essenza dell’affetto.

Avrebbe potuto essere il peggior giocatore in campo. Avrebbe potuto essere la persona meno preparata del mondo ad affrontare la vita. Avrebbe potuto fare una marea di sbagli. E avrebbe potuto farle tanto male da farla piangere per giorni interi. Ma, per Ginny, Dean sarebbe stato comunque il migliore di tutti.

L’unico eroe di quei giorni spensierati che viveva con tutta se stessa.

« Immagino. » Mormorò, sinceramente. Dolcemente.

« La prossima volta devi venire assolutamente! » La avvisò Ginny lanciandole uno sguardo ammonitore, ma ancora molto sereno. Ancora molto contento.

« Ci sarò. » Garantì in un sorriso, mentre il corridoio che stavano percorrendo cominciava a riempirsi di studenti che avevano finito le lezioni.

« Oh! » Esclamò ad un tratto Ginny, sbattendosi una mano sulla fronte come se si fosse improvvisamente ricordata di una cosa importante. « Ma tu oggi avevi un test! »

« Beh si. »

Ginny stette per chiederle qualcosa al riguardo, ma un ragazzo che arrivava dalla parte opposta la indusse a spiccare una corsa in avanti, per poi ritornarle di fianco, dall’altra parte. Nel seguirla con lo sguardo, però, in quel movimento circolare e fin troppo rapido, lei sentì un improvviso senso di nausea. E le ritornò all’istante quella pesantezza che aveva attribuito esclusivamente alla frustrazione.

« Allora? » Domandò Ginny, che non si era accorta di nulla. « Com’è andato? »

Scosse un attimo il capo, per riprendersi, e cercò di parlare:

« E’ andata… » Ma dovette fermarsi.

E dovette anche smettere di camminare. Perché la testa aveva preso a girare e lo stomaco si era come rivoltato su se stesso. Mentre un fastidioso formicolio le era salito lungo le gambe, a quel punto tremolanti. Era come se i muscoli non fossero più capaci di reggere la spossatezza accumulata in quei giorni.

« Hermione? »

La voce di Ginny la fece riprendere.

Si volse dunque verso l’amica. Notò allora che il sorriso, sul viso di questa, si era spento completamente. E che le sue mani la sorreggevano, senza che lei se ne fosse accorta, facendole appoggiare un braccio su di loro. Mentre i suoi occhi la guardavano allarmati, in apprensione.

« Sto bene. » Cercò di tranquillizzarla, ritornando ad una posizione completamente eretta e completamente autonoma. Era stato solo un attimo. Non c’era bisogno di allarmarsi

« Che hai? » La ignorò irrequieta Ginny, aggrottando la fronte, mentre la sua espressione preoccupata la studiava attentamente, inducendola a constatare: « Sei pallida… »

Le osservazioni di Ginny vennero immediatamente catalogate come fantasie da troppa apprensione. Una forma di schizofrenia – che, tra l’altro, a lei piaceva particolarmente – ereditata da Mamma Weasley. Una specie di gene mutante che si manifestava più o meno nell’adolescenza, insieme all’istintiva ricerca del nocciolo di ogni questione.

E fu cercando questo nocciolo che Ginny provò ad indovinare il problema:

« Quanto hai dormito ieri? »

Fece per aprire la bocca, convinta che quello che le sarebbe venuto in mente di dire sarebbe stata una replica perfetta. Compreso invece che non aveva proprio nulla da replicare – perché non aveva dormito per nulla, il giorno prima – comprese che nel suo puntare il dito sulle opzioni Ginny aveva indovinato sul serio.

La fortuna del principiante?

No, l’esperienza del veterano.

Unita alla conoscenza ormai perfetta del suo stile di vita. Ad una capacità di deduzione tutta particolare. E ad una logica assolutamente ineccepibile.

Automaticamente, gli occhi che la guardavano insistentemente e in apprensione si spalancarono, increduli, seccandosi in un’espressione esasperata.

« Non posso crederci! »

« Dovevo studiare! » Provò a giustificarsi, immediatamente. Non era mica colpa sua! Dormire le avrebbe fatto perdere troppo tempo!

« Oh, ma per favore! » Le rimbeccò la rossa, con un’evidente nota di rimprovero. « Tu studi continuamente! »

Arricciò le sopracciglia e storse il naso, indispettiva. Offesa, quasi. Certo che studiava continuamente. Bisognava studiare continuamente. Per restare al passo con i compiti e mantenere in esercizio la mente.

« Io studio quanto è necessario! » Sostenne risoluta, stringendosi al petto i libri che portava in un gesto istintivo, mentre Ginny, con le braccia incrociate, l’ascoltava con pedante impazienza. « E comunque di solito dormo! » Si sentì in dovere di dire, per difendersi dalle accuse. Che per lei restavano comunque insensate. « E’ solo che oggi avevano un compito molto- »

« Importante? » Concluse la rossa per lei, inarcando le sopracciglia in un’espressione torva.

Le lanciò uno sguardo incredulo.

« Lo dici tutte le volte. » Dichiarò con fermezza la rossa, per sostenere, probabilmente, la giustezza del suo comportamento.

« Perché è vero! » Dichiarò con enfasi e trasporto. « E poi Calì aveva bisogno di una mano! » Aggiunse, con irremovibile convinzione. Se qualcuno le chiedeva qualcosa lei cosa poteva farci?!

« Oh Santa pace ci manca solo Calì! » Strepitò con voce insofferente Ginny, sollevando gli occhi al cielo. Tornando a guardarla dopo un attimo, con uno sguardo che si sforzò di mantenere il più serio e calmo possibile, esordì: « Ascoltami bene, Hermione: non puoi aiutare tutti. »

La guardò perplessa, non capendo.

« Ma io non aiuto tutti. » Fece, titubante. « Aiuto Neville. » Certo, avrebbe mai potuto non aiutarlo? « Aiuto Seamus. » Beh, si, lui si. Se era necessario. Infondo erano amici da tanto. « Aiuto Dean. » Era ovvio, no? Era anche il ragazzo della sua migliore amica. « E poi aiuto Calì, se me lo chiede, e Colin e David, e Draco, e… »

E la lista sarebbe andata avanti, se Ginny, improvvisamente sbiancata, non l’avesse fermata in un fioco e tremolante sussurro:

« Cosa hai detto? »

« … ho detto che non aiuto tutti. »

« No! » Esalò Ginny, allibita, con gli occhi spalancati tanto da farle male. In un atteggiamento che non le aveva mai visto prima. « No! » Ripeté, smorta e sgomenta. « No, tu hai detto Draco… »

Oh.

Aggrottò la fronte, leggermente perplessa.

« E allora? » Pronunciò, stringendosi nelle spalle. Adesso era diventato proibito anche il nome di Malfoy? E come avrebbe dovuto chiamarlo: Colui-che-è-talmente-idiota-da-non-dover-essere-nomitato?

Mh, gli sarebbe calzato, però.

Ginny, con una mano sul cuore, come se le fosse venuto un infarto, esclamò traumatizzata:

« Per tutti i goblin, Hermione! Adesso lo chiami pure per nome? »

Goblin?

Tutta la sua attenzione venne magicamente assorbita da quella parola. Oddio! Goblin! Oddio! Storia della magia! Oddio! Lavanda! Era in un abominevole ritardo per aiutare Lavanda con Storia della magia!

« Ginny, scusa, devo andare! » Esclamò sbrigativamente. Che mancanza imperdonabile, la sua! Essersi dimenticata così scioccamente di una cosa così importante! « Lavanda vuole che la aiuti con una cosa! » Prese a correre verso la sala comune, come un fulmine, mentre gridava, con sincero dispiacere: « Sul serio scusa, ci vediamo presto! »

E prima che Ginny avesse potuto fermarla, lei era già a metà del corridoio. Ad una distanza inverosimilmente eccessiva per poter anche solo pensare di raggiungerla.

« Hermione, fermati! » Le gridò dietro Ginny, cercando di fermarla. Ma lei era troppo in ritardo per fermarsi.

Rapida, rapida, rapida…

« Hermione, dormi! » Udì ancora, non intendendo, però, il tono disperato con cui la rossa tentava disperatamente di farsi ascoltare.

Come ho potuto ritardare così!

« E mangia! »

Per rimediare dovrò saltare il pranzo.

« E riposa! »

E poi devo anche studiare Aritmanzia.

« E lascia perdere chiunque sulla faccia della terra abbia bisogno di aiuto! »

E devo anche guardare il tema di Colin sugli unicorni.

« E soprattutto… »

Rapida!

« … NON CHIAMARLO COL SUO NOME! »

*** *** ***

Mercoledì 4 Dicembre. Ore 15.15
Hogwarts. Giardino.

Stava seduto su di una panchina, con la sciarpa verde e argento ben avvolta attorno al collo e il giubbotto ben chiuso. Faceva un freddo cane! Ma sarebbe stato sopportabile se solo non avesse avuto di fianco Tiger e Goyle in versione “tirapiedi senza prezzo”. E, soprattutto, se la loro flaccida mente non fosse stata così abilmente circuita da una persona che – lo ammetteva – non aveva creduto abbastanza intelligente da circuirla.

Per dire: quando si era liberato della loro presenza spingendoli verso un’altra eventuale vittima da annientare con la loro stupidità, al suo posto, non gli era neanche passato per la testa che Pansy potesse operare una così profonda suggestione psicologica da indurli ad una tale reticenza mentale.

Ma il suo era stato un gravissimo errore di valutazione.

E per quell’errore era iniziato qualcosa di terrificante che gli si era ritorto fatalmente e irrimediabilmente contro…

Il regime Parkinson.

« Pansy ha detto che lunedì avete avuto il compito di Pozioni! » Starnazzò Tiger con la voce corpulenta. Rilasciandosi in un sorriso ossequioso nel pronunciare il nome di Pansy.

« Già… » Biascicò, svogliatamente.

« Ha detto anche che era molto difficile. » Continuò Goyle, orgogliosamente convinto di dire qualcosa di assolutamente indispensabile.

« Ma va… »

« Ma ha detto anche che a lei è andato bene. » Intervenne prontamente Tiger. Lungi dal lasciare che qualcuno intorno a lui potesse anche solo arrivare a pensare il contrario.

« Beata lei… » Mugugnò, con una certa insofferenza. Mentre restava con lo sguardo ostinatamente puntato dalla parte opposta dei due Serpeverde.

« Si! » Esclamò, fieramente Goyle, annuendo. « Perché lei ha un talento naturale per Pozioni! »

Talento… naturale?

Si schiaffò un mano sulla fronte, allibito.

La reginetta del mercato nero di cosmetici di Hogwarts. La persona con una voce di dodici none più elevate della soglia consentita per non costituire un pericolo pubblico. La banshee dalla forchetta d’oro. Quella che aveva scambiato un pezzo di carota lessa per un occhio di salamandra. Lei aveva un talento naturale per pozioni?

Ma in che mondo? In che assurdo universo? In quale indecente visione delle cose?!

Dio mio! Quale orrendo plagio psichico aveva potuto renderli capaci di affermare simili turpitudini?

« Al contrario di Hermione Granger! » Aggiunse in quell’istante Goyle.

Il suo sguardo si indurì improvvisamente.

Non più vagamente spazientito da quell’ondata di scemenze, ma visibilmente seccato, aggrottò la fronte con una nota di evidente disappunto.

Beh, che Pansy si mettesse a sbandierare al mondo la sua superiorità su Hermione Granger era veramente assurdo! La Grifondoro poteva essere insulsa e insopportabile finché volevano, ma se c’era qualcuno che poteva dirsi avesse talento in qualcosa che riguardasse la magia, quella era lei.

E poi, ad essere completamente franchi, a chi importava se era una Serpeverde! Pansy era fin troppo odiosa persino per essere umana! Non proprio come Ginny Cozza Weasley, naturalmente… ma ci erano molto vicini! Si atteggiava in tutti i modi possibili! Era egocentrica e irritante! E ogni volta che apriva bocca se ne usciva con un ultrasuono che sembrava fatto apposta per trapanargli il cervello di cretinate!

« Sì, Pansy dice che la Granger è un’incapace! »

Ed ecco l’ennesima cretinata!

« Non voglio parlare di Hermione Granger. » Sbottò, infastidito, prima di accorgersene.

Ma anche quando se ne accorse, non gliene importò: non la stava difendendo, né le stava attribuendo i giusti meriti. Stava semplicemente ribadendo un concetto in cui non vedeva nulla di strano: Pansy Parkinson era una piaga per l’intera umanità. Hermione Granger, invece, era sufficientemente meno distruttiva da essere una piega per la sola Hogwarts.

Ma restava sempre l’essere più odioso che avesse mai conosciuto.

A parte Pansy, appunto.

E a parte la Weasley, naturalmente.

E quell’oca della Habbot.

Si, decisamente: Anna Habbot era insoffribile. Strabica. Altezzosa. Irritante. Insignificante. Tetramente stupida. Un mix agghiacciante infuso in una figura altrettanto raccapricciante. Per non parlare poi di tutti gli altri suoi amichetti di Tassorosso: smidollati, insopportabilmente placidi e rammolliti. Senza nessun senso dell’orgoglio. Andavano in coppia con quei falliti dei Corvonero. Santo cielo, che facce insopportabili! Li aveva sempre detestati! Gli facevano venire i nervi! Ma neanche i Serpeverde erano tanto meglio, eh! Bastava guardare Pucey Davis e quelle pallide imitazioni di minorati mentali che aveva davanti.

Si salvavano giusto Theodore e Blaise, ma tutti gli altri… bah! Tutti rifiuti!

Nel complesso quindi…

Quindi…

Si bloccò all’istante.

Un senso indefinito d’angoscia gli salì dallo stomaco lungo la gola. Nella sua testa, un’idea apparentemente malsana si dipanò leggermente.

Ma che Hermione fosse, in effetti, la persona migliore che avesse conosciuto, Draco Malfoy non fece in tempo a capirlo che Tiger lo riportò brutalmente alla dura e cruda realtà.

« Sì, capo. »

Si girò lentamente verso il Serpeverde, con uno sguardo allucinato stampato in faccia e mormorò, esterrefatto:

« … capo? »

« Pansy dice che tu sei il leader di noi Serpeverde, capo! » Dichiarò allegramente Goyle.

Quella deficiente...

Ma gli sguardi ansiosi dei due compagni di casa, che sembravano pendere completamente dalle sue labbra, gli istigarono nella mente una sfumatura della faccenda che poteva in qualche modo tornare a suo vantaggio. Inebriandolo, tra l’altro, anche di un discreto senso di potere.

Gradevolissimo, naturalmente.

« Se io sono il vostro capo…» Esordì, lentamente.  « …voi dovete rispettare le mie regole, giusto? »

I due Serpeverde si guardarono ancora negli occhi, titubanti, e poi dichiararono:

« Ehm… si capo. »

« Bene » Fece allora lui, risoluto. « Regola numero uno: non chiamatemi mai più capo. »

Ecco il fondamento del regime Malfoy. Ecco l’inizio del suo trionfo!

« Ma capo… » Tentarono di obbiettare i due, desolati.

« Regola numero due. » Li interruppe immediatamente, serafico. « Le regole entrano in vigore dall’istante in cui vengono emanate. » Dalle loro facce comprese che non avevano capito diverse parti della sua frase. Vigore. Emanate. Istante. In. Sono. Tutti ammassi di lettere un po’ troppo difficili per essere compresi. « Dovete rispettare le regole. » Gliela fece semplice, per poi aggiungere, tradendo un luccichio inquietantemente compiaciuto nello sguardo: « Subito e per sempre. »

« Ma Pansy dice che… »

« Regola numero tre: tutto quello che dice Pansy è una stupidaggine a meno che non lo dica io. » Replicò seccamente, in un raptus di fastidio convulso verso Pansy.

Se possibile, la sopportava sempre meno ogni minuto che passava!

Tiger e Goyle, distrutti dalla notizia, privati dei cardini fondamentali della loro esistenza, acconsentirono con facce stravolte:

« D’accordo… »

Lui invece, estremamente soddisfatto, ritornò a godersi il silenzio e la tranquillità di quel pomeriggio di dicembre.

« Draco? »

Lanciò uno sguardo seccato in direzione di Tiger e della sua indelicatezza, e grugnì:

« Regola numero quattro: quando sono occupato non voglio essere disturbato. »

« Ma non stai facendo niente. » Deglutì Tiger, perplesso.

« Sto pensando! » Esclamò spiccio lui, dandogli di nuovo le spalle.

L’altro esalò un piccolo sospiro smorzato, in segno d’intesa. Ma probabilmente non doveva aver capito molto di quanto gli era stato detto. Tant’è che cinque secondi dopo pensò che fosse assolutamente improrogabile interromperlo nuovamente:

« Draco? »

Ma perché non puoi esserci un solo attimo di silenzio? Perché?!

Frustrato, portandosi pesantemente una mano sulla fronte, si rilasciò in un soffio sfibrato:

« … che c’è? »

« Ehm… Hermione Granger sta per buttarsi dal secondo piano. »

Eh?

Spalancò inconsciamente gli occhi e in uno scatto improvviso si girò verso la facciata di Hogwarts che stava di fronte a lui. Con un nodo in gola che non seppe spiegarsi, ingoiò il vuoto per un attimo, vedendo la Grifondoro praticamente riversa da una delle finestre e a stento in equilibrio sul cornicione.

Che cosa stava facendo?

Spiccò una corsa verso la folla di gente che si era appressata a lei dal giardino. E non diede troppo peso al delirio che lei snocciolava, freneticamente:

« Non l’avete visto! Siete sicuri! E’ importante! Devo parlargli! »

Perché i capelli le coprivano la faccia, e dalla voce stridula avrebbe potuto essere un ultimo addio al mondo. Una sorta di testamento eterno. Un specie di disperato tentativo di lasciare un’ultima traccia di sé. Il ché avrebbe significato che quella deficiente voleva ammazzarsi sul serio! Oh, ma andiamo! Hermione Granger, ammazzarsi? Che scemenza! Quell’isterica aveva persino troppo senso del dovere per liberare il mondo della sua stupida presenza!

Ne aveva troppo… vero?

Accelerando senza neanche rendersene conto, vide però una delle persone proprio sotto di lei che lo indicava a Hermione, dopo averlo scorto.

Rallentò di colpo, aggrottando la fronte.

Ma che diavolo…?

La Grifondoro, seguendo il dito della ragazza che lo stava indicando, sollevò un po’ la faccia, sempre tetramente coperta dei cespugliosi capelli castani. E dopo averlo distinto in mezzo al groviglio immenso della voluminosa chioma riccia, lanciò un gridolino soffocato, che gli fece quasi venire un colpo secco.

Per poi dire qualcosa che invece un colpo glielo fece venire davvero…

 « Oh, Draco! Ti ho trovato! Ti ho trovato! »

… Draco?

Arrancò all’indietro, terrificato, col cuore che pompava a mille per lo shock.

« N-non chiamarmi per nome, cretina! » Balbettò, traumatizzato, col viso smorto. Draco? Draco?! DRACO?!

« Draco, non ci crederai! Non ci crederai mai! » Sembrò ignorarlo lei, cercando buffamente di mettersi i capelli spettinati dietro le orecchie, per poterlo guardare in viso.

« Ma la vuoi smettere?! » Esclamò angosciato, senza neanche ascoltare quello che aveva da dire: come potevano essere cose sensate?! Lo stava chiamando per nome! Per tutti i Troll!

E aprì la bocca cercando di nuovo di farla stare zitta, ma quando fece per parlare Hermione riuscì a liberarsi del groviglio di capelli che le si era creato davanti alla faccia, e prese a gridare entusiasticamente, in un’esplosione di grida ardenti:

« Hai preso E! Ce l’hai fatta! Nel compito… hai preso E! »

E allora non poté che stare zitto.

Ma non per quello che lei disse. Quello, lui, neanche lo sentì. Quella “E” straordinariamente insignificante non fu altro che un sottofondo senza importanza. Un retrogusto che avrebbe assaporato solo dopo. Dopo… Dopo aver guardato attentamente quello che l’aveva ammutolito. Quello che gli aveva fatto morire in gola la voce con cui aveva pensato di parlare. Quello che l’aveva asciugata… esplodendo in una vampata di calore bruciante…

dolce.

Quel sorriso rovente, che si era espanso non solo sul viso di Hermione. Che si era espanso di più. Che aveva inondato tutto. Che aveva illuminato… tutto.

Quel sorriso che diceva: “Hai fatto qualcosa di straordinario”. E non ammetteva repliche. E non aveva bisogno di conferme. Quel sorriso che gli dava l’illusione… la certezza… che lei fosse sinceramente felice per qualcosa che aveva fatto lui.

Il primo sorriso…

Il primo sorriso di una persona orgogliosa di lui.

No, anzi…

Anzi…

… la prima persona

Il sorriso della prima persona orgogliosa di lui…

*** *** ***

Giovedì 5 Dicembre. Ore 15.46
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.

« Hermione si sta distruggendo. » Commentò cupamente, completamente abbandonata sul soffice velluto della poltrona su cui era seduta.

Dean, seduto di fronte a lei, sollevò quasi distrattamente lo sguardo dal libro che stava leggendo.

« In effetti… » Ci pensò su il ragazzo. « … oggi mi è sembrata un po’ pallida. »

Mi è sembrata un po’ pallida?

« Era molto pallida. » Lo corresse prontamente, masticando le parole con un certo fastidio. Non aveva avuto per niente un bel colorito. Checché lui ne dicesse con quel fare da imbecille! E in più quella mattina si era presentata in Sala Grande con gli occhi grandi come due noci di cocco! Senza contare che Seamus aveva avuto persino il coraggio di chiederle come si facessero gli incantesimi di appello, siccome lui se n’era completamente scordato!

Scosse nervosamente il capo cercando di calmarsi.

E siccome era una cosa che le premeva particolarmente – calmarsi, cioè – Dean si preoccupò sollecitamente di impedire che avvenisse.

« Però a me sembra abbastanza serena… » Considerò infatti con una certa leggerezza.

Gli lanciò uno sguardo truce.

« Questo l’ho notato anche io. » Replicò, seccata dalla sua superficialità. « Se però deve rimanerci secca se permetti preferisco che si angosci! »

« Non so, Ginny… » La contraddisse placidamente Dean, ignaro del pericolo a cui stava incorrendo. « Può darsi che non sia così grave come pensi. »

Si trattenne strenuamente dal mollargli uno schiaffo in piena faccia.

Eccola lì, tutta la sua sensibilità! Eccola lì, tutta la sua attenzione! Palle, ecco cosa erano! Tutte palle! I ragazzi non avrebbero mai capito un tubo di niente! Ecco cos’era vero: la loro ignoranza era vera. Ignorante Seamus. Ignorante Dean. E ignorante Malfoy. Ignoranti tutti! Che si impiccassero una buona volta!

Se ce n’era uno che si salvava, quello era Neville!

« Solo perché non sviene di colpo di fronte a te non significa che non sia grave. » Pronunciò acida, lanciandogli uno sguardo feroce che Dean accolse con un’espressione immensamente comprensiva:

« Non ho detto questo. »

« No, ma è come se l’avessi detto! » Lo freddò altera, senza permettergli di fare la parte del ragazzo tollerante. Poteva anche essere più responsabile degli altri, ma, comunque, viveva con due fette di prosciutto perennemente appiccicate sugli occhi! Non si accorgeva mai di niente. E non era una sua mancanza. Era pigrizia. Pura pigrizia! Ron non aveva mai saputo prendere Hermione perché non ci aveva mai provato sul serio! E la stessa cosa valeva per quello smidollato che aveva davanti e per tutti gli altri imbecilli che conosceva. Questa era la verità. E mentre loro avrebbero evitato di cercare di comprenderla, Hermione avrebbe continuato a vivere col suo orgoglio e la sua testardaggine! « Lei non ammetterà mai che ha bisogno di riposo. Almeno, non sino a che per qualche malore dovrà saltare delle ore di scuola! »

« Anche questo è vero… » Le concesse Dean, sempre con quel tono vagamente ragionevole che le faceva saltare in nervi.

« Appunto! » Masticò aspra e concisa, con gli occhi lampeggianti che gli sputavano in faccia tutte le cose poco lusinghiere che avrebbe voluto dirgli.

Dean a quel punto colse nitidamente quanto stesse rischiando la vita e infatti si affrettò a mostrarsi più interessato. Il che, comunque, non coincise affatto con una produzione di ragionamenti più intelligenti.

« E cosa pensi si debba fare? Legarla e trascinarla in infermeria? »

Gli scoccò un’occhiata gelida, riducendo gli occhi in due sottili fessure, come in una muta sfida che si concretizzò quando stridé, acutamente.

« Potrebbe essere un’idea. »

« Non è più necessario… »

Sollevò lo sguardo sopra la spalla di Dean e vide Seamus e Neville avanzare verso di loro. L’uno con un’espressione leggermente accasciata, ma pur sempre velata della sua proverbiale pigrizia. L’altro assolutamente scosso.

Dean, riconoscendo la voce del compagno di stanza, si girò su se stesso, sorpreso nel vederlo.

« Seamus? »

« Non è più necessario cosa? » Lo incalzò invece lei, leggermente allarmata dall’espressione prostrata di Neville.

« Hermione ha avuto un calo di zuccheri in corridoio, dieci minuti fa… » Disse, Seamus, senza mezzi termini, grattandosi la nuca con una mano. Ma, probabilmente, vedendola sbiancare di colpo, si affrettò ad aggiungere anche: « ... ma non è svenuta e adesso sta bene: la professoressa Sprite l’ha portata in infermeria. » Si fermò per una frazione di secondo, come ricordandosi di una cosa che lo lasciava leggermente confuso. « Anche se per farlo ha dovuto minacciarla di togliere punti a Grifondoro…. »

« Oh mio dio… » Esalò, con le gambe molli per lo spavento. « Ma sta bene sul serio? »

« Sta bene, sta bene…» La tranquillizzò indolentemente, trattenendo uno sbadiglio che le fece rammentare velocemente il fastidio convulso che nutriva per loro. Uno sbadiglio?! Uno sbadiglio quando Hermione era in infermeria?! Stavano superando ogni limite! « Ha avuto solo un mancamento, e poi Madama Chips ha detto che appena le sarà passato un po’ la nausea potrà imbottirla di cioccolata. »

« L’abbiamo fatta stancare troppo… » Mormorò a quel punto Neville, con la voce spezzata dalla mortificazione e dall’ansia.

E lei colse quest’ultima uscita per esprimere il suo colorito punto di vista.

« Esatto! » Inveì, scattando in piedi e scoccando un’occhiata rovente a Dean, che si ritrasse istintivamente, un po’ impaurito. « Dovete smetterla! » Aggiunse muovendosi svelta verso l’uscita della sala comune. I tre la seguirono, obbedendo all’implicito ordine di seguirla mandato sotto forma di onde alfa che avevano imparato a captare. « Lo sapete com’è fatta! » Rincarò in corridoio, sbattendo i piedi sulla pietra con tutta la sua stizza. « Dovete imparare ad arrangiarvi da soli! »

« E’ inutile che ci dai la colpa. » Cercò di difendersi Seamus, col tono di voce leggermente infastidito dalla facilità con cui sembrasse disposta a puntargli il dito contro. « Hermione ha sempre dato una mano a tutti e non le è mai successo di svenire. »

« E allora siccome non è mai successo aspettiamo che succeda! » Sbraitò furibonda, serrando la mascella in uno scatto di rabbia. L’apice della grettezza mentale! Ecco cosa stavano raggiungendo!

Insieme al limite della sua sopportazione.

Seamus ingoiò il rospo, rinunciando a replicare, ma grugnì un mugugno abbastanza seccato, che indusse Dean a correre valorosamente in suo aiuto:

« Non se lo aspettava nessuno, Gin. »

E no, eh! Questo no!

Non gli avrebbe permesso di schiaffarci in messo anche la sua proverbiale solidarietà maschile!

Frenò di colpo, girandosi in uno scatto verso i tre che la seguivano. Neville, poco più indietro, per poco non inciampò nei suoi piedi per lo spavento. Seamus deglutì solamente. Dean impallidì un poco, ritraendosi – di nuovo – istintivamente di un passo.

Li incenerì con uno sguardo e tuonò, furibonda:

« Ah no? Non se lo aspettava nessuno? Chissà perché invece io me lo aspettavo! Se non ve ne foste accorti Hermione quest’anno deve sopportare anche Malfoy! »

E puntualmente, un voce melliflua giunse strisciando dalle sue spalle.

« Stai parlando di me, stracciona? »

Un brivido le percorse la schiena.

Ma non era propriamente paura

« Tu! » Stridé acutamente, girandosi verso Draco Malfoy, che si accompagnava nella sua lieta passeggiata pomeridiana con quel demente di Blaise Zabini. Le salì il sangue alla testa non appena incrociò il suo sguardo strafottente e sprezzante. E in aggiunta all’umore nero che aveva, sentì che quel famoso limite di sopportazione veniva distrutto impunemente da una manica di crude e violente percosse.

« Idiota! » Ruggì, furiosa, avanzando minacciosamente di un passo, col fuoco negli occhi.

« Ginny… » Tentò di fermarla Dean.

Invano.

« Deficiente! » Continuò, implacabile, con i pugni stretti lungo i fianchi che si stringevano ancora di più, fino a farle diventare bianche le nocche delle mani. « Imbecille! »

« Ginny, calma. » Intervenne anche Seamus, probabilmente pensando che non appena Malfoy si sarebbe riscosso da quello stato di catatonico smarrimento che l’aveva improvvisamente impietrito come minimo l’avrebbe torturata a morte.

Ma a lei non gliene fregava proprio un bel niente! Che Malfoy ci provasse soltanto! E se anche ci riusciva… beh, sarebbe andata all’altro mondo sapendo di avergli detto, una volta per tutte, tutto quello che gli pulsava dentro da quando l’aveva conosciuto! E tutta la rabbia immensa che aveva provato nell’ultimo mese a vedere la sua migliore amica distruggersi per stare dietro ai suoi capricci! Gliel’avrebbe detto e, parola sua, gliel’avrebbe fatto capire anche se avesse dovuto imprimerglielo nella testa con uno schiaffo.

« Decerebrato! » Continuò quindi, con più foga, con più impeto, trascinando con sé tanta di quella tensione da sollevare un’aura di energia intorno a lei. « Cafone! »

« Ginny, per favore… » Piagnucolò Neville, angosciato, tirandola debolmente per una manica, temendo anche lui l’espressione sconcertata di Malfoy, che a poco a poco diventava fosca e truce.

Si volse verso Neville, staccandosi con uno strattone secco, e i suoi occhi emanarono saette luccicanti. Poi tornò su Malfoy, il cui viso era ormai contratto da una rabbia incontenibile. Deformato da un odio convulso. Oscurato da una lugubre impazienza. Con le labbra semi aperte e le orecchie fumanti.

Ma quello che quella faccia le mise in mente di dire furono tutt’altro che delle scuse convincenti…

« Razza di fallito! Razza di bambino capriccioso e arrogante! Razza di stupido cretino! Spero che tu sparisca dalla faccia della terra il più in fretta possibile! » Trasse un profondo respiro. Trasse un respiro per poi gridare, con tutta la sua voce: « Ma prima che tu lo faccia spero che in quel carattere marcio che ti ritrovi tu riesca a provare anche solo un minimo senso di colpa per il tuo atteggiamento! »

E poi crepa!

Questo fu quello che Ginny Weasley trovò giusto dire – e pensare – a e di Draco Malfoy.

Per il corridoio del secondo piano. In mezzo ad una folla non indifferente di gente, che osservava la scena in un misto di ammirazione e timore.

E, messo in ridicolo, umiliato, preso a insulti, deriso, il Draco Malfoy che le rispose possedeva tutta la gloriosa sprezzante, velenosa e pomposa prepotenza dei suoi tempi migliori:

« Brutta stracciona, pezzente e nevrotica! Come diavolo ti permetti?! »

Ma lei restò salda, con i piedi coraggiosamente piantati nella pietra, più convinta che mai. Se era con quelle ridicole offese che tentava di farla stare zitta, allora il Draco Malfoy dei suoi tempi migliori non valeva che un soldo di cacio bucato!

« Mi permetto eccome! » Urlò ancora più forte, per sovrastarlo con la voce, mentre la fronte aggrottata le faceva persino male per la forza con cui era contratta. « Hermione è finita in infermeria perché oltre ad aiutare i suoi amici deve aiutare anche te, e questo la sfinisce! » Pronunciò le ultime parole con una vaga nota spezzata, nella voce. Con una vaga nota dispiaciuta, affranta da un singhiozzò nervoso, che però venne pervasa da una rabbia che la rese di nuovo compatta, indistruttibile… affilata. « E tu non hai niente di meglio da fare che renderle il tutto il più pensante possibile! Con i tuoi capricci! Con le tue assurde pretese! Spero che quando si riprenderà ti pianterà in asso! » Gli augurò, in un urlo possente. « E se non dovesse riprendersi come si conviene…»

Gli lanciò un ultimo sguardo.

Letale.

« … prega che io non ti trovi! »

*** *** ***

Giovedì 5 Dicembre. Ore 16.33.
Hogwarts. Stanza di Draco.

Nella lista delle persone che avrebbe dovuto ringraziare per avergli reso una giornata tanto più gradita di quanto non fosse parsa da principio non avrebbe mai creduto che sarebbe figurata anche Ginevra Weasley. Grifondoro da prima di essere concepita. Weasley dalla nascita. Inutile da quando aveva cominciato ad avere una coscienza che la rendesse uguale agli altri, al posto di darle un’identità. E decisamente e doverosamente insignificante a priori e a prescindere da tutto.

Eppure era stata lei ad avergli reso quella giornata tanto più bella di quello che aveva immaginato quella mattina.

« Un bel caratterino la Weasley, eh. » Commentò, mentre restava appoggiato allo stipite della porta della camera di Draco, e lo osservava attentamente mettere a soqquadro la stanza in scatti d’ira furibondi.

In preda a questa stessa rabbia, il Serpeverde si girò verso di lui, e sbraitò, con voce stridente:

« Che crepi, quell’isterica psicotica! »

Trattenne a fatica un sorriso svagato, soddisfatto: avrebbe proprio dovuto ringraziarla, quella Weasley.

« Strano che tu la chiami così. » Disse poi, con un tono estremamente insinuatore, mentre Draco raccoglieva da terra altre cose appositamente per lanciarle in giro. « Infondo non ha detto niente di strano. »

Il ragazzo di fronte a lui alzò sistematicamente il capo nella sua direzione, con un diavolo per capello.

« Non rompere, Blaise! » Ringhiò armeggiando minacciosamente con un maglione che volò sistematicamente dall’altra parte della stanza. In uno degli ultimi spazi lasciati liberi da quello che aveva preso a far volare in giro non appena ci avevano messo piede, dopo la sfuriata della Grifondoro. « Una Weasley è psicotica per principio! » Gracchiò stridulamente, inviperito. « E poi hai visto come diavolo si è alterata?! »

« Hai mandato la sua migliore amica in infermeria. » Osservò con studiato disinteresse. Mentre si chinava per raccogliere qualcosa per cui – non appena ne lesse il titolo – il suo viso non poté che rilasciarsi nel sorriso poco prima trattenuto.

« Io non ho mandato nessuno in infermeria! » Grugnì bruscamente Draco, alzandosi in piedi e fronteggiandolo con uno sguardo molto più convinto di prima. Molto più serio.

Molto più falso.

Non appena incrociò i suoi occhi ne lesse distintamente quel senso di colpa che Ginny Weasley aveva sperato di risvegliare. L’incertezza. L’errore… il bisogno di negarlo, per non dover rimediare. Si agitava tutto così chiaramente dentro quel ragazzo che oltre ad essere divertente quella situazione era diventata addirittura interessante. Non che non l’avesse messo in conto dall’inizio. Piuttosto, non avrebbe creduto neanche lui che i tempi sarebbero stati così brevi.

Ma siccome lo erano stati e Draco sembrava non riuscire a starci al passo, era probabilmente opportuno dargli una piccola spinta.

Ancora una volta.

« Sicuro? » Domandò dunque, lanciandogli addosso il quaderno che aveva raccolto, con fare volutamente casuale.

Draco prese al volo quell’oggetto senza pensarci. Con le sopracciglia ancora orgogliosamente inarcate. Che tracciavano una linea contorta sul viso pieno di sentimenti contrastanti. Che lo rendevano agitato e irrequieto. Quando però ne lesse sbrigativamente il contenuto… la sua espressione si spezzò. Nitidamente.

Lo vide stringere forse con rabbia, forse con avvilimento, forse con frustrazione, ma sicuramente con foga quel quaderno, e dirigersi verso la porta, per oltrepassarla senza una parola.

« Dove stai andando? » Domandò, sorridendo.

« Agli allenamenti. » Grugnì Draco da dietro le spalle, prima di scomparire.

Una smorfia di compiacimento si dipinse sul viso: ah, Draco Malfoy… che mente straordinaria! Così abituata ad essere orrenda da non riuscire a convivere con la prova che non lo era per niente.

« Blaise, scusa. » Lo fermò per le scale Theodore. « Sai dov’è Draco? »

Si volse verso il compagno di stanza. E il suo sorriso divenne ancora più ampio.

Molto più ampio…

« In infermeria. »

*** *** ***

Giovedì 5 Dicembre. Ore 16.53.
Hogwarts. Stanza di Draco.

Hermione Granger era in infermeria? Hermione Granger stava male perché aveva deciso di diventare l’eroina dei suoi amici deficienti? Hermione Granger pagava le conseguenze della sua stupida e insulsa personalità? Hermione Granger sveniva come una pera cotta davanti a tutti perché non sapeva reggere il passo con il suo incessante e opprimente ego, che le imponeva uno stile di vita assurdo per qualsiasi altro essere umano? O, in alternativa, non sveniva ma comunque rischiava di svenire – il ché per il suo orgoglio doveva essere lo stesso?

Beh… tanto meglio!

Ecco, questo era quello che avrebbe dovuto pensare in quella situazione!

Non: “è anche a causa mia”. E ancora meno: “è anche a causa mia e questo non mi rende felice”. Avrebbe dovuto essere fiero di sé, se mai il pensiero – comunque poco probabile – che fosse stato merito suo gli avesse attraversato il cervello. Avrebbe dovuto essere così contento da non riuscire a far altro che vantarsi di quella che sarebbe stata etichettata come una grandiosa opera di bene.

E invece nel suo cervello quello che aveva fatto era stato etichettato in modo molto diverso…

Raggiunse a grandi passi le scale che conducevano al secondo piano del castello, e le sorpassò a grandi falcate impazienti. E forse anche un po’ già spazientite. Con un impeto che era solo vagamente arrabbiato. Ed era invece molto più ansioso. Molto più, semplicemente, scosso. Scosso per la meta verso cui andava. Scosso per la ragione che l’aveva spinto a cercare la meta. Scosso per la facilità con cui tutto era cambiato da un istante, per lui. E per un istante, in lui.

E scosso per non poterci fare assolutamente niente…

Quando varcò l’entrata dell’infermeria, dunque, la sua espressione inquieta, imperlata di sudore per la corsa, non poté non rilasciarsi un poco. Come non riuscì a non infrangersi di nuovo quando la vide seduta sul letto, a guardare fuori dalla finestra un tramonto che dorava la stanza d’un rosa luccicante, dipanandosi sulla pelle pallida della mano di lei, afflosciatale in grembo con una spossatezza innaturale.

La Grande Regina degli Instancabili e Ardimentosi Grinfondoro… esausta.

Sentì lo stomaco contrarsi sotto il peso soffocante di qualcosa che preferì non chiamare con il suo nome.

Non ancora.

« Ti atteggi tanto a donna dalle mille risorse ma alla fine crolli come una fallita… » Esordì bruscamente, per attirare su di sé l’attenzione di Hermione, che non doveva averlo udito entrare, siccome persisteva voltata verso la finestra.

Quando, al contrario, la ragazza si girò verso di lui, Draco notò le guance un po’ più scarne dell’ultima volta che le aveva viste. Anzi, dell’ultima volta che ci aveva fatto caso. E il colorito del viso molto più sbiadito. Notò il segno delle ore insonni. Dello studio. Del digiuno forzato senza senso. Notò quella figura differente dal solito… esattamente come l’aveva vista anche un’altra volta. Quando ancora non gli era importato.

Quella volta da cui tutto era cominciato a cambiare…

Ed eppure l’Hermione Granger che aveva davanti, nella sua figura differente dal solito, possedeva comunque gli stessi occhi di sempre. Era tutta diversa. Ma gli occhi no.

Gli occhi… erano identici.

Limpidi… senza una sola sbavatura.

Luminosi.

« ... Draco? » Mormorò in quel momento lei, inarcando le sopracciglia, sorpresa.

« Ti ho già detto di non chiamarmi col mio nome. » Cercò di sbottare burberamente. Gli uscì invece un grugnito controllato, che si perse nella stanza. Che non arrivò nitido a lei, ancora distante.

« Eh? » Mormorò debolmente Hermione, portandosi una mano sulla fronte in un gesto lento e stanco. « Cos’hai detto? »

Malata, lo guardava con i suoi occhi senza paura, senza timore. Lo guardava aspettando. Senza neanche essersi resa conto di aver distrutto un muro che sembrava essersi rafforzato negli anni. Senza pensare di sbagliare nel chiamarlo col suo nome. Senza neanche immaginare quanto potesse essere imprevedibile un simile gesto.

Semplicemente ignara. O semplicemente incurante.

Semplicemente lei. Spontanea oltre la misura consentita dalle regole. Oltre i limiti imposti dall’odio. Oltre il rancore e la consapevolezza. Semplicemente libera di scegliere un nome piuttosto di un cognome. Semplicemente emanando un calore che le persone non sempre conoscono. Semplicemente con una mente che non accettava nessuna sbarra, nessuna costrizione…

Semplicemente migliore di tanti altri.

« Niente… »

Semplicemente migliore… di tutti.

« Ah, allora… ehm… cosa c’è? » Farfugliò allora lei, fiocamente, con la voce di solito potente, insistente, che si proponeva con più fragilità. Le si avvicinò di un passo. Per accorciare la distanza… per poter accogliere le parole che lei pronunciava. Per non perderle. Per non perderne neanche una. « Cioè… » Ritrattò, perplessa Hermione. « … non hai gli allenamenti? Non avevamo deciso che potevi andarci? »

La ignorò, con fastidio. Gli faceva venire in mente Blaise, e quella squilibrata della Weasley, che gli dicevano cosa doveva fare.

« Io faccio quello che mi pare. » Grugnì quindi sprezzante.

Hermione emise un sospiro esausto, e mormorò:

« Non intendevo quello… »

E lui notò ancora la stanchezza che la appesantiva. Che la pervadeva. Ma sovvenne, in quell’istante, che per quanto fosse esausta… lei appariva sempre e comunque più viva che mai.

« Tieni. » Esclamò, lanciandogli il quaderno che aveva in mano con una delicatezza che neanche lui pensava di poter avere.

Una delle tante cose che lei voleva dargli… così, semplicemente

« ... oh, il mio quaderno? » Domandò lei, rigirandoselo tra le dita. Trattandolo come un tesoro prezioso, con cura. Con le mani che lo cercavano con tanta apprensione. Un altro tesoro che nella sua gentilezza… nella sua generosità, lei sapeva condividere con tutti. Anche con lui. « Non hai capito qualcosa? » Continuò, disponibile. « Vuoi che te lo rispieghi? »

« Non è chiaro. » Fece spiccio, senza la gentilezza che però sentiva scaldarlo. Senza quella pacatezza e soffice delicatezza che si sentiva dentro. Burbero per natura. Sprezzante per orgoglio. Ma dentro rivoltato completamente… da una ragazzina. « Non è per niente chiaro quello che hai scritto sulle pustole. » Continuò laconico, lanciandole sguardi svogliati, pigri, che nascondevano tutta la pienezza, tutta la gentilezza che quel viso facevano germogliare in lui. « Non si capisce niente. »

Hermione lo guardò senza rimprovero, senza angoscia. Lo guardò nel viso esausto, ma sorridente, ancora una volta… per lui.

« ... allora, se vuoi, posso spiegartelo adesso. » Sussurrò poi gentilmente.

Le rivolse uno sguardo insondabile…

Senza alcuno sforzo, lei era entrata nel suo mondo e l’aveva sconvolto.

Con la disponibilità con cui si metteva sempre in difetto nei confronti degli altri, senza alcuno sforzo, aveva tentato di rendere migliore quel mondo. E l’aveva reso, migliore. Senza alcuno sforzo, aveva reso scontate cose che lui neanche conosceva. Senza alcuno sforzo, senza alcuna pretesa, dolcemente… si era fatta spazio per aiutarlo. Per chiamarlo per nome.

Senza alcuno sforzo, lei era restata se stessa per risplendere.

Disponibile. Gentile. Generosa. Con un’aura di beatitudine tutto intorno a sé. Con quell’espressione che diceva che non c’era niente di troppo brutto, in nessuno. E perciò valeva la pena sorridere… a tutti.

E non c’erano tranne da aggiungere.

Nemmeno per lui.

Si girò senza una parola, mettendosi a camminare verso l’uscita. Solo ad un passo da essa se ne uscì sbrigativamente dicendo:

« No, adesso non ho tempo: sono venuto per dirti che questa settimana sono occupato per la partita e quindi non studieremo insieme. » Rallentò, invece di accelerare. « E per riportarti quello. » Aggiunse, con un tono di voce molto più basso. Molto più incerto. Molto più cauto. « Servirà a te, no? »

Il tesoro prezioso che lei gli offriva, spontaneamente… lui… lui glielo restituiva.

« Draco... » Lo chiamò una voce sottile, gentile, che lo costrinse quasi prepotentemente a girarsi.

« Che c’è? »

« ... grazie. »

Ma gli restituiva solo quello.

Non gli restituiva tutto il resto. Non gli restituiva la gentilezza. Non gli restituiva la cura. Non gli restituiva la preoccupazione. Non gli restituiva la voce, i sorrisi, gli occhi, l’orgoglio, la fierezza… il calore.

Per poterli vivere.

Solo per un po’, non per tanto: solo finché sarebbe durato. Quando sarebbe finito non avrebbe preteso niente. Perché non gli interessava poi così tanto. Ma se lei voleva dargli quelle cose, lui poteva anche prendersele, no? Gliele offriva così, senza farne pagare il prezzo. Poteva anche sfruttarle per un po’. Tanto per quello che gli importava… per quello che valeva. Era solo per stare un po’ meglio.

Solo per vivere un po’ di più quelle cose superflue che lo inondavano gentilmente.

Che lo cullavano… teneramente.

Rimase immobile sulla porta, senza girarsi verso di lei. E parlò da lì. Dandole le spalle. Ma questa volta, a dispetto della distanza, lei sentì quello che lui le disse. Perché lui fece in modo che lei lo sentisse. Perché lui voleva che lei lo sentisse.

« Prego… » Disse, e non aggiunse nient’altro.

Non le avrebbe mai detto grazie. Non le avrebbe mai chiesto scusa. A Hermione Granger. Grifondoro e Mezzosangue. Petulante e cocciuta. Caparbia e sfrontata. A Hermione Granger. Titano e bambina. Avrebbe detto prego, solamente.

Racchiudendo nel sussurro che può svanire in un attimo l’inizio di qualcosa che, forse, senza che lui lo sapesse… sarebbe durato per sempre.

 

 

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Capitolo 8
*** Unicorni, scimpanzé e piovre giganti ***


Capitolo 8

Sapendo che “le disgrazie non vengono mai da sole” niente scuse per i ritardi e niente promesse per il futuro: i capitoli sono stati scritti di recente (e verranno scritti in futuro) quando è stato possibile (e sarà possibile) scriverli. Molti di voi, oltre ad essere stati pazienti sino ad adesso sono stati anche molto gentili e io li ringrazio. Per la comprensione e tutto il resto.

Per tutti gli altri che magari si sono stufati di ricevere continue proroghe e giustificazioni mi dispiace: li capisco, ma non so comunque cosa farci. Vorrei, sinceramente, essere più costante, ma siccome non è possibile… beh, questo è ciò che passa in convento (se conoscete il detto).

Spero anche che capiate se ogni tanto salto il commento al commento. Anche per quello è questione di forza maggiore.

Comunque ho da sottolineare un paio di punti fondamentali.

Primo: ho leggiucchiato qualcosa del sesto libro di Harry Potter e ho compreso una grande verità, ovvero che se qualcuno dovesse leggere dal nulla la mia fanfiction – senza sapere che, per esempio, ho iniziato a scriverla una volta finito di leggere il quinto libro – credo che rimarrebbe leggermente perplesso da un po’ di cose. Per esempio, dal fatto Harry non ha un gran bel ruolo in questa storia. Non è che dal quinto libro emergesse proprio una figura così distorta di quell’imbecille, eh. Diciamo che ci ho messo molto del mio: mi è venuto in antipatia quando ha gioito del fatto che Hermione venisse beccata da quell’idiota di un gufo all’inizio del quinto libro. Da lì, basta. Odio vicendevole tra me e Harry Potter. Magari un giorno riuscirò a fare una storia in cui non sia così snaturato. Per ora, e in particolare in questa fanfiction, il mio Harry ha l’immaturità e la rabbia repressa che aveva già dimostrato nel quinto libro, più qualche mia personale e non molto lusinghiera distorsione.

Secondo: verissimo, Hermione nel quarto libro sfoggia una capacità di assembramento del proprio vestiario ammirevole. Da qui se ne deduce che sebbene io abbia a cuore la caratterizzazione dei personaggi, qualche piccola alterazione me la permetto. Pur che sia fine allo scopo, si intende. Mi serve che Hermione non abbia senso estetico: anche se non è proprio così, non importa. Spero di aver dato una mezza motivazione accettabile alla cosa.

Terzo (ed ultimo): in questo capitolo e in generale anche negli altri capitoli ci sono varie citazioni o comunque espressioni che magari non tutti conoscono e delle quali se ne potrebbe quindi equivocare l’autore. Sono parecchie, anche solo accennate e non sto’ a citarle tutte, però ci sono: seppiatelo. E per tutte quelle ribadisco i diritti d’autore.

Bene, buona lettura.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 8. Unicorni, scimpanzé e piovre giganti

 

*** *** ***

I'll give you countless amounts of outright acceptance if you want it
I will give you encouragement to choose the path that you want if you need it
You can speak of anger and doubts your fears and freak outs and I'll hold it
You can share your so-called shame filled accounts of times in your life and I won't judge it

Ti darò spontaneamente immensa e assoluta comprensione, se lo vuoi
Ti incoraggerò a scegliere il cammino che vuoi, se ne hai bisogno.
Puoi parlare di rabbia e dubbi, delle tue paure e delle tue crisi ed io lo sopporterò
Puoi condividere i cosiddetti resoconti vergognosi dei momenti della tua vita ed io non giudicherò.

[Alanis Mourisette – You owe me nothing in return]

 

*** *** ***

Sabato 7 Dicembre. Ore 21.45
Hogwarts. Stanza delle necessità.

« Spiegamelo di nuovo… » Biasciò con voce strascicata il ragazzo che le stava di fronte, con la mano tremolante che gli sorreggeva febbrilmente la fronte. « Spiegamelo, ti prego… » Sollevò gli occhi su di lei in uno sguardo logorato. « Spiegami perchè adesso non sono nel mio letto, a dormire, in vista della partita di domani, e invece sono qui. Con te. » Trasse un profondo respiro: « A parlare di un compito che si terrà tra più di un mese»

« 28 giorni. » Rettificò solenne Hermione Granger, per poi aggiungere, con l’espressione più quieta che una persona possa avere: « E sei qui perché l’altro ieri mi hai detto che non avevi capito alcune cose. »

« No! » Sbottò secco Draco Malfoy, drizzandosi sulla schiena e aizzandosi contro di lei. « Ho detto che non si capiva niente di quello che tu avevi scritto sul tuo assurdo quaderno! » L’additò minacciosamente, con la fronte aggrottata al limite della sopportazione. « E’ molto diverso! »

« Il mio quaderno non è assurdo. » Dettò lei con severa calma. Fulgido esempio di imperturbabilità morale. « E comunque voglio solo essere sicura che tu non resti indietro. »

« Ho un mese di tempo per non restare indietro! » Le rimbeccò acido il ragazzo, sbattendo una mano sul tavolo.

La zittì con un’occhiata omicida quando lei fece per aprire la bocca e rettificare nuovamente sull’esattezza matematica della sua affermazione. Ma non riuscì a zittirla in alcun modo quando lei, senza scomporsi, con quel tono estremamente dotto e placido che tanto spesso sapeva avere, lo riprese compostamente:

« Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. »

« Appunto. » Stridé Draco, mettendosi le mani nei capelli. « Oggi potrei dormire. »

« Non fare il bambino. » Lo riprese in tono serio e inflessibile. « Stiamo parlando della tua formazione scolastica: è importante occuparsene con la dovuta cura. E ora dimmi quale parte della spiegazione sugli ingredienti della pozione non hai capito. »

« Nessuna! » Gracchiò il ragazzo, al limite della sopportazione. « Ho capito tutto degli ingredienti e ho capito tutto del procedimento! » Esasperato, gemette istericamente: « Te l’ho appena detto! »

Si bloccò un secondo, sorpresa.

« Sei già arrivato al procedimento? »

Lo vide trarre un lungo, infinito, mortificato respiro.

« Certo… » Emise. « Proprio per questo… » Ripeté, stridulo, con gli occhi iniettati di sangue che la fissavano tetramente e delle enormi borse viola sotto gli occhi. « … gradirei infinitamente che tu mi lasciassi andare a DORMIRE! »

Ma lei non lo stava ascoltando.

Lo scrutava invece con un disappunto meravigliato. Intenta a pensare dietro a quanti capricci era nascosta la vera personalità di Draco Malfoy.

Ed era un ragionamento che prescindeva in qualche modo dal fatto che la pozione che lui così facilmente stava studiando era la più complessa di tutto il programma dell’anno prima. Era, piuttosto, un ragionamento che riguardava quel “prego” che le aveva detto due giorni prima, in infermeria. E che ci fosse andato, in infermeria. E, anche, per esempio, che lui non decidesse di andarsene e, semplicemente, se ne andasse… ma aspettasse che lei glielo permettesse.

« Va bene… puoi andare a dormire. » Mormorò.

Aggrottando la fronte e assottigliando le palpebre, coscienziosamente circospetto, il ragazzo domandò:

« Cosa? »

« Se hai capito tutto mi sembra giusto che ti riposi. » Abbozzò un sorriso tenue, ma che effondeva comunque calore. Un sorriso denso di una cura rara: « So che si è sempre nervosi prima di una partita. »

Attese qualche attimo, aspettando dunque che lui se ne andasse.

Eppure, anche dopo aver ricevuto il suo benestare, il ragazzo non si mosse. E anche quando lei riabbassò lo sguardo sul libro che stava leggendo, pensando di dimostrargli in quella maniera che il suo era un consenso autentico, lui rimase fermo. Restando a fissarla. Con la persistenza pressante di un ragazzino un po’ viziato, forse. Con l’insistenza assillante di un bambino, quasi. Che nel suo chiederle:

« E tu che fai? »

… le parve cercasse soltanto un pretesto per restare.

« Ehm… io rimango ancora un po’ a studiare Trasfigurazione. » Rispose, esitante.

Il Serpeverde cominciò a dondolare svogliatamente sulla sua sedia, e considerò, con leggerezza:

« Puoi studiare domani: è domenica. »

« Non rimandare a dom- »

« Ho capito! Ho capito! » La troncò immediatamente Draco, alzando gli occhi al cielo.

« E poi domani non posso studiare. » Aggiunse lei.

Draco la guardò contrariato.

« E perché? »

Sollevò gli occhi su di lui, con un’espressione altrettanto contrariata.

« Non c’è la partita, scusa? »

Il Serpeverde rimase sospeso a mezz’aria, tra lo schienale della sedia su cui si appoggiava alternativamente e da cui alternativamente si staccava.

« Verrai… a vederla? » Chiese, guardandola in una maniera che lei non riuscì a decifrare.

« Mi sembra il minimo. » Pronunciò risoluta, assentendo con il capo con una certa convinzione. « Abbiamo saltato un sacco di lezioni perché tu andassi agli allenamenti in vista di questa partita: voglio vedere se ti sono serviti o meno. »

Le pareva un ragionamento logico.

Eppure, pur nella sua inappellabile logicità, portò uno strano silenzio della stanza. Un silenzio tranquillo. Pacato. Che Draco infranse per un attimo appena, rilasciandosi andare di nuovo sullo schienale della sedia. E poi, solo qualche istante dopo, nel fruscio quasi impercettibile che produsse nel volgere il capo in direzione del libro che lei aveva davanti, e rimanervi con lo sguardo.

Dopo qualche secondo in cui il ragazzo non accennava né ad andarsene, né a dire qualcosa, lei si convinse a chiedergli, un tantino perplessa:

« Guarda che se sei stanco puoi davvero andare… »

« Mi hai fatto passare la stanchezza. » Grugnì Draco, un po’ scocciato, senza neanche sollevare lo sguardo su di lei.

Che la stesse però accusando per l’ennesima volta di qualcosa che, evidentemente, non aveva nulla a che fare con lei. Che si stesse deresponsabilizzando come suo solito. Che, ancora, non facesse che cercare disperatamente di non dimostrarsi una persona matura e responsabile. Non le fece nessun effetto. Non le sembrò brutto. Non le parve fastidioso. Poteva anche darsi che dipendesse dall’ormai quotidianità della cosa – giacché, invero, Draco l’aveva resa quotidiana. O poteva anche darsi di no. Lei in realtà non lo sapeva con certezza.

Ma, infondo, neanche le importava.

« Allora vuoi che studiamo Pozioni? » Domandò, però, di riflesso. Eternamente mossa dalla sua regola numero uno: usare in modo saggio e coscienzioso ogni singolo attimo della sua vita.

Il ragazzo scosse il capo e poi mormorò, pigramente:

« No, tu fai quello che vuoi. » Lanciò uno sguardo un tantino repulso al Manuale per Maghi Autodidatti, e poi riprese, con fare annoiato: « Io mi leggo da solo quella roba. »

« ... puoi farlo anche nella tua sala comune, se vuoi. » Intervenne prontamente lei. « Così se ti riviene la stanchezza puoi andare a dormire. »

« Ti ho detto che non sono stanco. »

Ti ho detto che resto ancora un po’.

Ancora ripetuto con la supponenza e l’arroganza che lo rendevano lui, Draco non sprecò una parola in più per dissuaderla dal chiedergli perché non se ne andasse. E lei lo lasciò restare. Non ebbe paura di mettersi il cuore in pace al riguardo. Non ebbe paura di rivolgergli un piccolo disponibile sorriso, che lui in apparenza scacciò scorbuticamente, ma che lei, comunque, non ritrattò.

Perché, infondo, non le dispiaceva che lui restasse a farle un po’ di compagnia. Anzi… ne era contenta. E anche se era sciocco pensare che Draco Malfoy potesse desiderare una cosa del genere o lei potesse accettarla, che differenza faceva?

Stava comunque accadendo…

« E’ così interessante la trasfigurazione animale? » Domandò ad un tratto Draco.

La sua domanda, sebbene risultasse evidentemente retorica e le facesse capire che il Serpeverde non intendeva usare saggiamente il proprio tempo, studiando il Manuale, in lei accese un vivo e autentico entusiasmo:

« Oh si! Tantissimo! E’ un argomento così interessante! Non crederesti mai quanto possa essere ampio e vario! » Gli si rivolse, speranzosa: « A te non piace? »

Draco, senza farsi troppi problemi, in una mezza smorfia disgustata, replicò, aulico:

« No. »

Gli rivolse uno sguardo deluso.

« Non sarà ancora per la storia del furetto, vero? »

« Ovviamente no, Granger. » La contraddisse altezzosamente il ragazzo, con le mani piantate in tasca a fare le tende e il naso rivolto all’insù con insolita insistenza.

« Beh… però almeno… » Lo incalzò lei, recuperando a forza un po’ del perduto trasporto: « … almeno ci sarà un animale in cui ti piacerebbe essere trasfigurato. »

Era ovviamente un’affermazione che presupponeva una domanda, che a sua volta presupponeva una risposta. E c’era chi pensava che non ci sarebbe stata alcuna domanda di Hermione Granger a cui Draco Malfoy avrebbe risposto se non fosse stata prettamente necessaria. Al contrario, a quella risposta così apparentemente inutile, lui non ci mise molto a rispondere:

« Beh, direi… un serpente. »

Oh.

Prima ancora di rendersene conto, di nuovo sgonfiata nel suo entusiasmo, asserì sconsolata e depressa:

« Sei sicuro? »

« Come prego? » Grugnì scorbuticamente Draco. Lanciandole uno sguardo inviperito, per l’appunto.

« E perché non… un falco? » Insistette lei, ripresasi di nuovo stoicamente dallo sconforto e mettendosi a riflettere su cosa sarebbe potuto andare bene per lui. « O una lince? » Soggiunse, interiormente esilarata all’idea di acquattarsi tra la neve elaborando una tattica di assalto. « O un unicorno? » Tentò infine.

Perchè, infondo, gli unicorni erano molto belli e quindi probabilmente anche a Draco sarebbero piaciuti, no?

Ovviamente no.

« Un unicorno? » Inveì infatti Draco, inarcando le sopracciglia e ritraendosi all’indietro con schizzinoso disgusto. « Orrido! »

« Gli unicorni non sono orridi! » Sentenziò offesa, aggrottando la fronte e lanciandogli uno sguardo sdegnoso. Gli unicorni erano aggraziati e bellissimi. Solo un gretto avrebbe potuto dire che erano orridi! Ergo: Draco Malfoy era un gretto.

Anzi, era Il Gretto.

« Vorresti che ti trasformassero in un unicorno? » La apostrofò Il Gretto con un tono mezzo sarcastico e mezzo nauseato.

« Beh, non mi dispiacerebbe! » Cigolò altezzosamente lei, ritraendosi e atteggiando le spalle in una posizione fieramente eretta. Solo qualche attimo dopo, in uno slancio di orgoglio particolarmente forte, ebbe anche il glorioso coraggio di aggiungere: « Anche se preferirei essere trasfigurata in una piovra gigante. »

Vide Draco impietrirsi in un’espressione di puro stupore.

« Una piovra gigante? » Le domandò incredulo, una volta riacquistata la facoltà di parola.

« Certo. » Esclamò con ferma convinzione e un certo tono altero. Che verté in una significativa praticità. Tipicamente sua, tra l’altro. « Non ti sei mai chiesto come sarebbe poter fare dieci cose alla volta? Se avessimo tanti tentacoli potremmo farlo. »

Draco rimase in silenzio per diversi secondi, squadrandola con uno sguardo allucinato.

« Ma non puoi desiderare di diventare animali più normali?! » Sbottò infine, allibito.

Si ritrasse aborrita, con gli occhi socchiusi e la bocca semi-aperta per lo sdegno. Ma perché ogni giorno almeno una persona si metteva a dubitare della sua sanità mentale o della sua normalità?!

« Se la metti così mi piacerebbe essere trasformata in un mucchio di cose normali! » Sbottò, dunque, offesa.

« Per esempio? » La provocò Draco.

« Per esempio uno scimpanzé! »

« Ah, evviva la normalità! » Gridò il ragazzo incrociando le braccia sul petto, con una smorfia turbata e stupefatta sulla faccia.

« Con i delfini sono tra gli animali più intelligenti al mondo! » Gli rimbeccò lei, rossa in viso.

« Sono brutti e pulciosi. » Ribatté convinto Draco, sporgendosi sul tavolo verso di lei.

« Non è vero! » Lo zittì stizzosamente. Gli scimpanzé non erano brutti! E non erano neanche pulciosi! Magari ogni tanto erano poco puliti! Ma in ogni caso non avevano le pulci! E anche se per caso le avessero avute, comunque non sarebbe stata una tragedia! Anche sua zia aveva avuto le pulci! E lei da piccola aveva avuto i pidocchi! « E comunque se proprio vuoi la normalità, mi piacerebbe anche essere trasformata in una… »

Ma non concluse subito la sua frase. E ci fu prima una pausa quasi impercettibile. Un cambio di tono netto. Un importantissimo, impalpabile, evidente punto di non ritorno… che la sua voce raggiunse per un istante, prima di aggiungere…

« … civetta. »

Una civetta.

Una civetta che porta messaggi. Che vola di notte. Che ha una vista acuta. Che è intelligente. Che è importante per qualcuno. Che cerca una spalla su cui posarsi. E ha una spalla che la aspetta.

… una civetta bianca.

« Una civetta…? » La fece trasalire Draco, frastornato.

Lei non disse nulla.

Rimase in silenzio ancora per qualche istante. Rimase, per ancora qualche istante, smarrita in quello stralcio di sogno e tormento che la tratteneva a sé con salda insistenza. Incapace di dire qualsiasi cosa.

Ma quando lui disse, schifato:

« Ma è … stupida. »

Le parve un’affermazione talmente assurda e inaccettabile che non poté non riscuotersi dal suo smarrimento. E non infiammarsi per contraddirlo:

« Ma non è vero! »

« Sì, invece. » La rimbeccò aspro.

« E invece no! » Ribatte convinta lei.

E andarono avanti tutta la notte a discutere su cosa facesse schifo e cosa non lo facesse. Ritornando ovviamente sulla questione degli unicorni più e più volte.

Un discorso sfinente. Sostanzialmente da dementi. Che non ebbe vincitori e che sognò di proseguire una volta addormentatasi nel suo letto. Solo le prime luci dell’alba le portarono consiglio, ribadendole il concesso che qualsiasi cosa potesse dire, pensare o fare Draco Malfoy, chi avrebbe avuto ragione al riguardo sarebbe sempre stata in termini generali lei.

Purtuttavia sarebbe andata a vedere la sua partita. Nonostante, cioè, lui fosse un cerebroleso con il tonno – al naturale – al posto dei neuroni. E quando si accorse di essere in ritardo e Ginny le domandò:

« Hermione, dove vai? »

Le rispose solo con uno sbrigativissimo:

« Alla partita! »

Fortunatamente quando arrivò scoprì con enorme conforto di essere puntuale.

Le tribune infatti si erano già riempite di gente, ma i giocatori non erano ancora entrati in campo. Un paio di ragazze di Corvonero che conosceva la chiamarono non appena la videro e lei decise di sedersi vicino a loro. Dall’altra parte degli spalti, i Serpeverde erano schierati con le sciarpe verdi e argento strette attorno al collo. Mentre sopra di lei il cielo si prospettava gelido, ma sereno. Si scoprì sollevata del fatto che Draco non dovesse sopportare una partita in condizioni disagevoli e non potesse ammalarsi.

Ne andava delle loro lezioni private!

Dopo circa dieci minuti, quando ormai Capricorno si spostava nel decimo meridiano e agli antipodi di Gerusalemme il cielo imbruniva, i giocatori fecero il loro ingresso in campo. Apparvero a tutti dei goffi fagotti di vestiti. Le divise, infatti, per quanto imbottite, non erano sufficientemente pesanti per tamponare il freddo di dicembre. E sotto di esse si scorgevano le maglie e i maglioni in cui i ragazzi e le ragazze si erano infilati per non congelare. Draco, che fu l’ultimo ad entrare in campo, era forse l’unico giocatore che aveva vagamente la forma di un essere umano. Ed era inconfondibile a causa dello sguardo sprezzante che gli attribuiva l’abituale aria di supponenza con cui si poneva di fronte al mondo.

Ad un tratto, vide il ragazzo cercare qualcuno tra le tribune. Ebbe inoltre ragione di credere che questo qualcuno fosse – stranamente – proprio tra le tribune di Corvonero. E tra l’altro in una zona non molto distante da quella in cui si trovava lei. Questo, dato che lo sguardo del Serpeverde le parve posarsi nella sua direzione. Perciò, mentre Madama Bumb fece sollevare in volo i giocatori, lei rivolse curiosi sguardi intorno a sé, tentando di indovinare chi Draco avesse cercato.

Ma ben presto si udì un fischio spacca-timpani dettare l’inizio della partita. E il gioco, già da primi attimi attivissimo, trascinò su di sé l’attenzione di chiunque fosse in prossimità del campo.

« Bluffa ai Serpeverde! » Gridò lo speaker, vedendo David Duglass e Pucey Davis sfrecciare verso i cerchi di Corvonero passandosi la palla in un 1-2 impeccabile. « Duglass-Davis! Davis-Duglass! Duglass-Davis! Wow, ragazzi, che sciogli-lingua! E che gran passaggi!  »

Al di là del commento grammaticale, anche lei ritenne che come tattica di gioco non fosse male. Specie l’ultimo passaggio, con tanto di capriola e rapida virata da parte di Pucey, con cui quello si portò a pochi metri dalla porta. Ma un bolide volò nella sua direzione. Il capitano della squadra di Serpeverde sterzò allora di lato, acconsentendo un po’ di distanza tra sé e il suo obbiettivo pur di non venir colpito. Cercò anche Duglass o un altro dei suoi compagni sulla destra, ma erano tutti marcati stretti. Decise allora di provare a segnare da quella distanza. E dato che infondo non c’era più che un portiere a dividere Pucey dalla porta. Così, i primi dieci punti della partita furono suoi. Con un lancio preciso ed estremamente corretto che mandò in visibilio la tifoseria Serpeverde e zittì i già silenziosi Corvonero.

Lo speaker, da parte sua, era esilarato:

« Strepitoso, ragazzi! 10 a 0 per Serpeverde! Si prospetta una grandiosa partita! »

Lei, per conto proprio, non era una grande estimatrice del Quidditch. Poteva obbiettivamente dire che i Serpeverde erano stati bravi, certo. Come lo furono segnando il 20 a 0, cinque minuti dopo, con la stessa tattica. Del resto non era lì per tifare per nessuno: era lì in veste di esploratrice. E tra l’altro in modo specifico del solo Draco, che svolazzava con una certa malavoglia sopra le teste degli altri e che era la pressoché perfetta personificazione del tedio. Cosa evidente anche dalla sua lontana visuale. E che fu tanto celere a costernarla che neanche a volerlo il suo viso si contrasse autonomamente in una smorfia di acuta disapprovazione. Del resto la partita era ripresa piuttosto rapidamente e richiese di nuovo tutta la sua attenzione.

La palla era dei Corvonero, nelle mani di Morgan Samson, ma non ci rimase per molto:

« Samson tira a McNeil, ma Duglass devia la bluffa! Bluffa in mano ai Serpeverde! » Gridò lo speaker con foga. «E di nuovo Duglass e Davis ricompiono la loro magia! »

Beh, insomma, magari magico no.

Notevole, però, senz’altro.

Duglass-Davis. Davis-Duglass. Duglass-Davis. Tre passaggi e dieci punti in più sul cartellone. Di nuovo ovazioni strepitanti dalla folla disposta proprio di fronte, e silenzio intorno a lei. Un silenzio piuttosto avvilente: di solito nelle partite contro Serpeverde ci si poteva indignare per la loro mancanza di correttezza. In quella erano stati al massimo meravigliosi. E tutt’altro che scorretti. Pucey Davis in primis. Era un elemento eccellente, sia come capitano e coordinatore dell’azione, sia come giocatore, e Hermione gli riservò uno sguardo piena di stima.

Ma Serpeverde era Serpeverde. E quelli di Corvonero che speravano non si smentisse – per non dover restare solo in silenzio ma poterlo almeno insultare – non rimasero affatto delusi.

Quando Samson finse di passare la bluffa a Katy Anderson, e la passò invece ad Alan Crowe, considerato il miglior cacciatore dell’anno precedente, questi sparò un tiro favoloso da metà campo, centrando esattamente nel mezzo l’anello laterale di sinistra. Malva Istburg, controfigura irrobustita di Millicent Bulstrode, non ebbe neanche il tempo di muovere un muscolo.

Ma 30 a 10 era ancora sopportabile per l’orgoglio smisurato della squadra di Serpeverde.

Però Alan, in acrobazie strabilianti, e sostenuto dall’appoggio di due battitori molto presenti nel gioco – e facilitato dal fatto che gli altri due battitori presenti in campo, invece, avevano lo stesso atteggiamento annoiato di Draco – pareggiò i conti in una decina di minuti.

Lo speaker continuava ad esultare:

« Spettacolare! S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E! Che partita! Che gioco! »

E i Serpeverde cominciavano a seccarsi.

Notò che Pucey li riuniva a spiegava loro un paio di manovre. Ma notò anche che David Duglass e Susan Morrigan si scambiavano un’occhiata d’intesa con Draco.

Non comprese subito cosa ciò potesse voler dire.

Quando però Duglass tirò ad Alan una gomitata così forte da disarcionarlo, quasi, dalla scopa, e Draco gli rivolse uno sguardo compiaciuto, lei finalmente comprese ogni cosa: era iniziata la fase del “giochiamo a chi fa il fallo migliore”. La sua disapprovazione nei confronti di Draco non era mai stata così profonda. Le sue vicine non se ne accorsero per la semplice ragione che avevano già dato per scontato la cosa. Comunque, la sua disapprovazione crebbe ancora di più quando non solo Alan venne di nuovo fatto oggetto di un bel calcio su uno stinco – sempre celato a Madama Bumb – ma anche quando Katy venne fatta letteralmente cadere dalla scopa, appena prima di ricevere la bluffa che avrebbe con ogni probabilità dettato il 40 a 30.

« Ehi! Malva Istburg ha scaraventato a terra la Anderson! » Si indignò lo speaker. « E’ fallo! »

Ma Madama Bumb non aveva visto il fallo e non poté fischiarlo. Fischiò, invece, gli altri tre goal vincenti – e assolutamente fallosi – da parte di Duglass.

Con assoluta mortificazione Pucey Davis guardava incredulo e impotente lo sfacelo della sua indecorosa squadra. Mentre lei, allibita e furente, cominciava a pensare che Draco avrebbe potuto scordarsi di dormire per almeno una settimana. Quel pezzo di fetente non avrebbe avuto un solo attimo di tregua!

I Corvonero, da parte loro, cominciavano decisamente a scaldarsi.

« Non è possibile! E’ indecente! » Gridavano in molti.

« Madama Bumb faccia qualcosa! » Sentì strillare impetuosamente da una ragazza seduta approssimativamente a due posti da lei.

« E’ Fallo! FALLO! » Berciò un vocione potente da qualche panca più indietro.

E così via discorrendo.

Tutto ciò, comunque, senza considerare che il bello doveva ancora venire…

« Un momento, ragazzi! » Gridò lo speaker infervorato. « Malfoy e Duke si sono mossi! E’ apparso il boccino! »

Rivolse immediatamente lo sguardo a Draco. Sfrecciava dietro a Johnatan Duke, che lo distanziava di una decina di metri e già si protendeva verso uno scintillio dorato che però continuava a sfuggirgli.

Si sentì col cuore in gola quando Duke guadagnò abbastanza terreno sul boccino da permettersi di allungare il braccio e sfiorarlo. Ma tutta la tensione e l’ansia che l’avevano vista tendersi spontaneamente a favore di Draco si tramutarono di nuovo in indignazione quando lo vide ammiccare verso Susan, che era a pochi metri di distanza da entrambi, e che sferrò un tiro potentissimo contro un bolide che andò a colpire in pieno lo stomaco di Johnatan.

« Ma non è possibile! » Gemette in un grido strozzato Mandy Brocklehurts, accanto a lei. « L’ha fatto apposta! »

Lo Speaker era d’accordo con lei:

« Eh no! Questo è proprio scorretto! Non è così che si gioca! »

Ma Draco sembrava fregarsene in assoluto di quello che sentiva, e anzi scocciarsi del fatto che, sebbene avesse disarcionato Duke, non avesse potuto prendere il boccino. Giacché questi era di nuovo sparito. E le parve anche di vederlo rivolgersi un attimo nella sua direzione, probabilmente cercando ancora quella fantomatica persona su cui suppose stesse cercando di fare colpo. Ritenne che fu un peccato che in quella stupida ricerca gli occhi di Draco non incontrarono i suoi: la folgore divina che vi si annidava all’interno era assai più letale dello sguardo di qualsiasi Basilisco.

La partita venne interrotta e Duke rimpiazzato. Misero in campo Percy Durran. Un ragazzino del quarto anno, che non appena incrociò la sola ombra di Malfoy sbiancò visibilmente. A questo punto fu molto chiaro chi avrebbe vinto la partita. In ogni caso Pucey fece altri 30 bei punti, portando la squadra a quota 70. Duglass comunque volle arrivare a quota 90, e ci riuscì dando di nuovo prova della sua scorrettezza. E di quanto questa gli uscisse piuttosto bene e naturale.

« Duglass scarta Anderson, Samson e Crowe! Anzi no! » Rettificò sconvolto lo speaker. « Colpisce Crowe! L’ha colpito! Madama Bumb! DANNAZIONE, L’HAI COLPITO IN PIENA FACCIA CON UN PUGNO! »

Questa volta il livido immenso sulla guancia di Alan Crowe fu la testimonianza sufficiente per ammonire David Duglass, che ricevette i complimenti di Draco – ovviamente – e prima della fine della partita riuscì a fare altri due falli piuttosto pesanti, per cui non venne penalizzato.

Lei, da parte sua, ardeva di rabbia: quello non era giocare. Quello era barare! Il suo senso di giustizia era profondamente disgustato per ciò a cui stava assistendo. E non era completamente da escludersi che al quel punto la famosa folgore avrebbe potuto eroicamente colpire chi di dovere. Del resto, il boccino ricomparve e, folgore o non folgore, l’attenzione di tutti fu sua.

Anche questa volta, comunque, la piccola e velocissima sfera dorata era più vicina al cercatore di Corvonero, che partì immediatamente all’inseguimento.

Egualmente immediato, Draco gli fu dietro.

Questa volta però tutti i battitori e i cacciatori erano impegnati o lontani. Draco dovette quindi sbrigarsela da solo. E, lo ammise, se la sbrigò splendidamente. Ad un tratto un bolide si scaraventò su di lui e le venne quasi un colpo pensando che si sarebbero schiantati l’uno con l’altro. Ma non accadde: Draco, che avrebbe potuto frenare ma perdere terreno prezioso, e avrebbe potuto abbassarsi ma rischiare comunque di venir colpito, fece invece una manovra spettacolare. Aggirò la Torre di Grifondoro presso cui stava volando scartando all’ultimo lato l’ostinato bolide, e dribblò le intelaiature lignee che si anteponevano al campo irrompendovi ad una velocità strabiliante.

Quando si rimise in linea con Durran, gli era a meno di un metro di distanza.

Sì!

« No, non è caduto! » Esclamò delusa Mandy. « E’ dire che ci mancava così poco! »

Hermione le rivolse uno sguardo leggermente infastidito.

« Gli sarebbe stato proprio bene! » Infierì infervorata l’altra sua vicina. « Due settimane in infermeria con le ossa rotte non possono che fare bene a quel pallone gonfiato! »

Ehi.

Si trattenne dall’esprimere il suo disappunto verbalmente, e si limitò a pensare a quando fossero fuori luogo quelle battute. Del resto la sua mente era quasi completamente assorbita dai movimenti di Draco, che fluido ed estremamente rapido, si portò persino dinnanzi a Percy. Questi, disorientato, dovette fermarsi in una brusca frenata alla prima sbandata causata dalla loro vicinanza. Ma lei non scorse niente di falloso nell’atteggiamento del Serpeverde.

Piuttosto, vi lesse una qualche certa apprezzabile presenza di spirito e decisamente ammirevole sangue freddo.

Del resto, il boccino sembrò letteralmente scomparire qualche decina di metri più avanti.

« Ehi! Dov’è finito il boccino?  » Esclamò lo speaker, tenendosi la testa tra le mani, in ansia e totalmente preso dal gioco.

A questo punto le sue vicine si sarebbero di certo messe a esultare per lo smarrimento che aveva appena colto Draco se solo non avessero dovuto partecipare alle ovazioni che si sollevarono da tutta la tifoseria di Corvonero quando Percy intravide un riverbero dorato proprio dietro a Draco, e sfrecciò nell’aria per raggiungerlo. Il cercatore di Serpeverde però non riusciva proprio a vederlo, giacché questo gli stava accortamente dietro, in una posizione leggermente spostata a destra. Le grida di tutti i tifosi, inoltre, sembravano confonderlo.

Fu allora un riflesso incondizionato.

Si alzò dalle tribune.

Si sporse dalle transenne.

Trasse un lunghissimo respiro e…

« A destra! » Gridò, con tutta la voce che aveva in corpo: « DRACO, E’ A DESTRA! »

Non seppe come le uscì. Non seppe neanche come la guardarono le due vicine di Corvonero quando la videro alzarsi e urlare ciò che aveva urlato. E non seppe se Draco si girò proprio verso destra perché aveva capito cosa gli aveva detto.

Però si girò. Vide il boccino. E lo afferrò.

E la partita finì.

« Ragazzi, Malfoy prende il boccino! » Gridò lo speaker in modo sfrenato. « Malfoy prende il boccino e Serpeverde vince per 240 a 30! »

Tutte le tribune scoppiarono. Ognuno per la propria ragione. E la squadra di Draco Malfoy si affrettò dal suo cercatore per portarlo in trionfo. Quello, però, prima di farsi trascinare via, ritornò a cercare la persona che si era messo a cercare prima e durante la partita.

E Hermione Granger, pur nella sua immensa intelligenza, non riuscì ancora a capire di essere proprio lei.

*** *** ***

Domenica 8 Dicembre. Ore 11.56
Hogwarts. Campo di Quidditch.

Avevano stravinto.

Il senso più che palpabile del trionfo era decisamente impagabile. E il fatto che tutti i Serpeverde fossero propensi ad abbracciarlo e ringraziarlo per la sua impresa eroica fu alla base dell’impennata vertiginosa che subì la sua già eccessivamente ampia autostima. Obbiettivamente, riteneva di meritarselo. Non c’era neanche l’ombra di una vaga modestia. Era semplicemente un cercatore grandioso, ed era contento che tutti se ne rendessero conto. O che tutti insistessero perché lui ci fosse alla festa della vittoria, quella sera. E, considerato il suo ego, sarebbe rimasto volentieri a crogiolarsi in quelle ovazioni più che volentieri.

Almeno, se solo non gli fosse premuto di più qualcos’altro.

Riguardo a ciò, sebbene fosse strano – sempre considerato il suo ego – quello che gli premeva di più era sostanzialmente ricevere i complimenti da una sola persona.

Se ne uscì dagli spogliatoi ancora vestito e straimbottito e si diresse con finto disinteresse – neanche troppo studiato, a dire il vero – verso il fazzoletto di giardino che circondava l’ingresso per gli spalti destinati alla tifoseria di Corvonero. Naturalmente neanche il suo stato di assoluto e inattaccabile appagamento seppe spingerlo ad abbassarsi ad andare direttamente dalla persona che in realtà non aveva smesso un secondo di cercare. La sua intenzione era piuttosto quella di trovarsi lì per caso. E per caso incontrarla.

Contro ogni aspettativa, Hermione Granger era esattamente nel luogo dove lui aveva progettato di aspettarla.

Evitò di creare un altro brillantissimo piano per camuffare le sue intenzioni. Troppo complesso. Troppo dispendioso di energie e tempo. Troppo in generale. Per quel che gli riguardava lei era già molto fortunata del fatto che potesse allietarsi della compagnia di un campione della sua risma.

Non capita tutti i giorni, obiettivamente.

Gonfiò con estrema soddisfazione il petto. Si riempì di sé al punto che gli parve quasi di risplendere.

Si appressò poi a lei con tutta la non-chalance possibile. E tutta la sicurezza di cui disponeva. Poiché certo che la situazione non si sarebbe rivolta come al tempo del suo primo compito di Pozioni. Prima di tutto perché non voleva schiaffarle in faccia la sua vittoria per umiliarla: voleva semplicemente che lei evidenziasse la sua grandezza. In secondo luogo perché Hermione quella volta non avrebbe potuto che riconoscere l’evidenza assolutamente inopinabile della sua sublimità.

Disse dunque:

« Abbiamo vinto. »

Con un sorriso compiaciuto stampato in faccia. E una voce chiara e netta, piena di orgoglio. E la Grifondoro, che non si era ancora accorta della sua presenza, finalmente si girò verso di lui. Draco Malfoy ebbe quindi l’onore di assistere all’imitazione più riuscita della Minerva McGranitt più orrendamente indignata che si fosse mai vista.

Promotrice: Hermione Jane Granger.

Che per quell’anno si guadagno l’Oscar grazie all’unica, incisiva e quanto mai gloriosa battuta con cui lo contraddisse:

« Avete barato! »

Per un attimo interdetto, aggrottò la fronte confuso. Pensò, poi, che lei non avesse ben capito ciò che aveva detto. Dunque, dando prova di insolita pazienza, scadendo una ad una le proprie parole, le fece nuovamente presente:

« Ma abbiamo vinto. »

« Ma avete barato! » Gli rimbeccò irritata lei, picchiettando un piede per terra e rinsaldando la presa delle mani sui fianchi su cui erano appoggiate.

Le lanciò uno sguardo astioso, e dichiarò, ostile:

« Il fine ha giustificato i mezzi. »

« Il fine non giustifica mai i mezzi! » Protestò alterata Hermione.

Con le guance pallide che si tingevano di un tenue rosino, per la rabbia, le gridò addosso alzando la voce:

« Se la pensi così avresti anche potuto evitare di dirmi dov’era il boccino! »

Hermione restò a fissarlo con le sopracciglia inarcate e uno sguardo di assoluta disapprovazione.

« Quella è un’altra faccenda. » Disse, spicciola. « Il punto è che non dovevate barare. » Ribadì severamente. « Avreste vinto comunque: i tuoi compagni sono comunque bravissimi giocatori e tu eri comunque il migliore in campo! »

A questo seguirono una serie di insulti così finemente intrecciati in altrettanti – e sinceri - complimenti che anche se lui si fosse soffermato ad ascoltarli di almeno la metà non ne avrebbe compreso il senso.

In ogni modo, lui non si soffermò ad ascoltarli. Infatti, mentre Hermione continuava a imprecare contro di lui, additandolo come un criminale. E mentre i capelli elettrostatici di lei si gonfiavano sempre di più, minacciosamente. La sua fronte si distese. E i suoi nervi si rilassarono.

Di fronte a lei, sempre pronta a dire quello che lui voleva sentire. Ma non perché lui voleva sentirle. E neanche nel modo in cui avrebbe voluto che gliele comunicasse. Facendo tutti i suoi ragionamenti da Grifondoro, prima. Facendo prima tutte le sue dichiarazioni da grande idealista. Ma poi parlando tanto sinceramente e con tanta convinzione da fargli pensare che non ci fosse niente di più importante al mondo che restare ad ascoltarla.

Si dimenticò allora che era quasi maturato in lui un reale desiderio di ucciderla. Si ricordò, invece, perché aveva desiderato andare da lei. Perché, rispetto a tutti, aveva preferito sentire ciò che lei aveva da dire.

Perché, rispetto a tutti… aveva preferito lei.

E automaticamente gli venne in mente anche un’altra cosa…

« … senti…  » Disse, spostando gli occhi da un’altra parte e interrompendo l’ancora inarrestabile fluire di insulti che fuoriuscivano dalle labbra della Grifondoro. « ... questa sera faremo un festa. »

Hermione gli scoccò un’occhiata basita e – senza neanche prendere fiato – imprecò, al culmine della disperazione:

« E’ contro il regolamento! » Si tirò come una corda di violino, guardandolo con angoscia: « Non dovreste fare queste cose! »

« Si, certo. » Tagliò corto lui, ignorando completamente quella che con ogni diritto si poteva chiamare “crisi di panico”. Ovviamente, quella ragazza aveva seri problemi psichici. Necessitava di cure mediche e se ne era assuefatta al punto che quando non ne prendeva scattava la crisi. Con conseguente incapacità di percezione del senso del limite e della decenza. « Comunque c’è questa festa… »

« E’ contro il reg- » Provò di nuovo a obbiettare Hermione, scabrosamente zelante.

Ma lui non la lasciò finire:

« Dovresti farti trovare davanti all’ingresso della torre sud per le undici. »

L’espressione che lei fece a questo punto fu molto buffa.

Perché c’era il sostrato di disperazione che le segnava gli occhi. La sfumatura di indignazione per l’ingiustizia a cui diceva di aver assistito marcata sulle labbra. E poi quel buffissimo barlume di sbigottimento e sconcerto che si era appena delineato nelle sopracciglia. Era un’espressione indefinibile, che trovava la sua apoteosi nel dito ancora sollevato a puntato contro di lui che restava sospeso in una rigida immobilità.

« Infondo se non mi avessi detto dov’era il boccino non l’avrei trovato. » Si spiegò con finto disinteresse. « Intendo, non così facilmente. » Si corresse immediatamente dopo, pensando che la sua prima dichiarazione gli togliesse un po’ troppi meriti.

« B-beh… » Balbettò assolutamente perplessa la Grifondoro, le cui guance sembravano molto più rosse del solito. « Ma che c’entra?! »

« Significa che non ci vuoi venire? » La interruppe seccamente. « Se non ci vuoi venire non girarci attorno e dillo chiaramente. »

Non è che gli importasse poi molto che lei ci andasse, intendiamoci. Non è che il suo era proprio un invito. Più che altro, ci teneva che lei avesse più tempo per pensare alla partita e ricredersi sul fatto che lui fosse un cercatore meraviglioso che aveva giocato meravigliosamente.

Presa in contropiede, arrancando all’indietro per la sorpresa, Hermione disse la prima cosa che le venne in mente:

« C-ci saranno solo Serpeverde… »

« Ci vuoi venire o no? » Tagliò corto lui. Impaziente di sentire la sua risposta. Ma non disposto a dubitare di ciò che avrebbe sentito da lei. Perchè Hermione avrebbe fatto esattamente la cosa che nessuno si aspettava da lei come Grifondoro. E avrebbe detto quello che, infatti, alla fine disse:

« … sì, vengo. »

Con un po’ di imbarazzo e contrarietà. Con un po’ di stupore. Con un po’ di tenerezza. Senza smettere di guardarlo negli occhi con disappunto.

E lui, prima di andarsene, le rivolse uno sguardo molto più soddisfatto di quando aveva vinto la partita. Simile, a dire il vero, a quello che gli si era dipinto sul viso quando l’aveva sentita gridare che il boccino era a destra.

*** *** ***

Domenica 8 Dicembre. Ore 22.34
Hogwarts. Stanza di Hermione.

Gonna nera, camicia blu e scarpe rosse?

Si guardò allo specchio. Con una mano teneva la gonna. Con l’altra, la camicia. Mentre con un piede tratteneva tra il pollice e l’indice una delle scarpette rosse laccate che si era trovata nel guardaroba.

Ovviamente – nell’insieme come nelle singole parti – l’abbinamento risultò sconcertante.

Gettò via gli abiti e ne agguantò a caso degli altri. Ma i risultati non furono migliori. Ci furono poi un secondo e un terzo tentativo, nella speranza di un miracolo. Al quarto tentativo, ogni speranza si fece da parte. Supponeva che il suo problema nel vestirsi era che non aveva – e non avrebbe mai avuto – tattica. Del resto, si rifiutava di fare come Lavanda e Calì, che disponevano a strati magliette, camicie, gonne, pantaloni, scarpe e scarponcini (più le addizionali borsette e cappellini) per poi abbinarli uno per uno davanti allo specchio. Cioè, era obbiettivamente inumano, no?

No, questo completo è inumano.

Gettò via anche i pantaloni marroni e il maglione fucsia che aveva agguantato. E lasciò cadere sul pavimento lo scarponcino beige e le calze bordeaux che era riuscita inspiegabilmente a sollevare insieme a tutto il resto. Depressa, rimase a fissare lo specchio per diversi minuti. In quel lasso di tempo, udì qualcuno che bussava alla porta.

« Hermione, sono Ginny. Posso entrare? » Disse la voce dell’amica. Stranamente energica e impetuosa.

Entrare?

Si guardò un attimo in giro, allarmata. Ma non c’era via di scampo al disordine che regnava incontrastato nella stanza. E la bacchetta era introvabile in tempo utile. Dunque, rassegnata a far entrare la sua migliore amica in quella trincea, mormorò dimessamente:

« Si, certo… »

Vide Ginny irrompere nella stanza con meno reticenza del solito, avanzando a testa bassa di qualche passo e sbattendo dietro di sé la porta della camera. Con un cipiglio notevole, iniziò anche quello che sembrava un discorso piuttosto gravoso:

« Hermione, scusa ma devo p- » Dovette del resto istantaneamente interrompersi. Si accorse infatti del disordine abominevole che le attorniava. A bocca aperta, Ginny fece gravitare gli occhi per la stanza, per poi sbottare sconcertata: « Che cos’è successo qui? »

Imbarazzata, passandosi nervosamente una mano tra i capelli cespugliosi – in cui le dita rimasero puntualmente ingarbugliate – rispose:

« Mi stavo vestendo. »

« Per andare dove?! » Domandò la rossa, sbigottita.

« Ehm… ecco… » Esitò, mentre cercava disperatamente di togliersi le dita dai capelli. Con uno strappo secco riuscì nel suo epico intento. Ma insieme alle dita estirpò dalla cute anche una matassa enorme e informe di grinzosi capelli. Il dolore folle che le triturò i nervi si espresse in un grugnito animalesco a stento trattenuto in gola, che rilasciò con sé anche la risposta all’ostica domanda della rossa: « … alla festa organizzata per la vittoria di Serpeverde. »

Ginny Weasley perse colore. Raggiunse il verdolino pallido del maglioncino che indossava. In compenso lo riprese rapidamente poco dopo. E con gli interessi, anche.

« Che cosa?! » Stridé infatti bordeaux, con voce strozzata.

« Lo so! » La interruppe, mettendo le mani avanti a sé. « Lo so! » Ripeté, scuotendo il capo in segno di resa. « Non c’è bisogno che tu me lo dica… » Si rilasciò in un sospiro mortificato: « … so che è contro le regole di Hogwarts fare festini. »

Capiva perfettamente l’indignazione di Ginny. E si sentiva veramente una persona tremenda per sovvertire alle regole di Hogwarts per ragione così futili. La sua coscienza l’aveva ripetutamente diffidata dal cedere a un così basso capriccio. E se solo non fosse stata contraria alla violenza (se non per ragioni di improrogabile autoconservazione – in cui rientrava anche la possibilità di ammortizzare all’eventualità Pansy Parkinson e chi per lei potesse minacciare l’intera comunità con la sua sola presenza) una parte di sé  avrebbe volentieri cercato di autoflagellarsi per espiare a una siggrande colpa.

La rossa però riteneva che lei non avesse esattamente centrato il punto della questione.

« Ma che dici?! » Inveì infatti Ginny, in uno scroscio di acuti assolutamente scandalizzato. « Non è quello il punto! Noi ne abbiamo sempre fatti! »

Ritrasse un attimo il capo. Ricomponendosi e lanciandole uno sguardo un tantino rigido.

« Ah si? »

« Hermione. » La ignorò l’amica, zittendola con un deciso e leggermente nervoso gesto della mano. « Non puoi andarci. E non è una questione di regole. »

Notò in quel momento la convinzione e la disapprovazione latente che emanava il suo sguardo. E ne rimase confusa. Aggrottando la fronte, le domandò, contrariata:

« Ginny che c’è? »

« C’è che tu non sei una Serpeverde! » La riprese bruscamente la rossa. Con un impeto istintivo e ormai alterato. Ma ancora estremamente lucido. « Sei una Grifondoro! »

« Ginny, senti… » Tentò di dire, per calmarla.

Ma la rossa la interruppe immediatamente…

« No, senti tu. » Proruppe, secca. « E’ ora di finirla. »

« Finire cosa? » Le domandò di rimando, perplessa.

« Non usare quel tono, Hermione! » La riprese impetuosamente. Mentre un fervore cocente le infiammava le guance, e gli occhi. Non dolci. Né timidi. Vividi, però. E soprattutto densi di un rancore cocente ormai lasciato libero di sfogarsi. « Veramente, adesso basta! »

Tacque, dimessamente, non capendo. E Ginny la incalzò con un tono ostile, gesticolando ampiamente con le mani:

« Il fatto che ti metti a dare lezioni a Malfoy lo si può anche capire, perché tu ti metti a fare la buona samaritana con tutti. Però poi arrivi anche a chiamarlo per nome. » Si inasprì. « Per nome, Hermione. Vai a vedere le sue partite, ci ridi e ci scherzi e ti metti pure ad andare alle sue feste! » Le lanciò uno sguardo fiammeggiante. « E’ ora di finirla con questa scemenza! »

« Non è una scemenza, Ginny. » Si oppose fermamente, aggrottando la fronte risentita. « E né lui né io stiamo facendo niente di male. » Chiamare per nome una persona era una cosa così incivile se quella era Draco Malfoy? Cercare di stargli dietro dopo essersene presi la responsabilità era una cosa così indegna? Andare alle sue partite e accettare un invito, se proposto, era così terribile?

Ma quello che disse dovette sembrare talmente inconcepibile che la rossa esplose, furibonda:

« Ma come puoi parlare così?! Ha passato sei anni a cercare di renderti la vita un inferno! Non ricordi più quanto hai pianto per tutto quello che ti diceva?! »

Quanto ho pianto…

Pianto…

Quella parola… le smosse il cuore.

« Ho pianto molto di più per Harry e Ron che non per Draco. » Mormorò, in un soffio spezzato. Con la voce trattenuta in gola. Con il petto aperto in due e la testa spaccata in mille. Con gli occhi contratti. E con la consapevolezza pulsante che il tempo passato con Harry e Ron era molto più pesante di quello passato con Draco. Perché Draco non aveva contato niente, fino a quel momento.

Mentre Harry e Ron avevano contato tutto.

La rossa le rivolse uno sguardo smarrito. In bilico tra l’affranto e il frastornato. Lei le rivolse solo una sfuggente, densa occhiata stanca, e poi prese un maglione a caso tra la massa di vestiti e uscì dalla stanza.

Un giorno loro due avrebbero parlato.

Del fatto che probabilmente non c’è niente di completamente sbagliato al mondo. Come forse non esiste niente di completamente giusto. Del fatto che non è detto che le cose cambino, ma comunque alle volte può succedere. Del fatto che qualcosa non lo si può che perdere, ma qualcosa magari resta. E avrebbero potuto anche dirsi cosa era stato perso e cosa invece era rimasto.

Un giorno, forse, avrebbero davvero parlato di tutto questo. E avrebbero scoperto, senz’altro, che tra tutte le cose rimaste c’era anche la loro amicizia. Allora avrebbe potuto confessarle che quella sera lei non se n’era andata perché si era sentita offesa o avvilita da ciò che lei aveva detto.

Ma solo perché, infondo… c’era una festa che l’aspettava.

Perché lei e Draco si erano detestati per sei anni. Ma lui le aveva chiesto di parteciparvi, e lei si era sentita talmente contenta che aveva accettato. Dopo mesi di depressione, tristezza, avvilimento… si era sentita talmente contenta che era stata pronta a credere che niente fosse più importante di trovare un vestito decente per andare a quella festa.

Vide Kevin Whitby, un giovane Tassorosso, sbucare da due corridoi più avanti e sgusciare silenziosamente nella sala di fronte. Molto acutamente, comprese che doveva essere alla ricerca della festa di Serpeverde, considerando che si trovavano nei pressi del luogo che le aveva indicato Draco quel pomeriggio. Con furtiva grazia, dunque, pedinò il ragazzino sino al punto esatto in cui si stava svolgendo la festa.

Lo vide bussare ad una porticina dimessa e, da dietro essa, comparire William Warrington. Questi si guardò intorno con fare circospetto prima di fare entrare il ragazzino, ma non guardò molto bene. Infatti, per esempio, non si accorse di lei, che dovette farsi coraggio e farsi avanti da sé. Saltellò di qualche metro in avanti e si schiarì la gola di fronte al Serpeverde, che stava per richiudere la porta dietro di sé. Quando questi si volse e la vide, le parve chiaro che ci rimase di stucco.

« … G-granger? » Balbettò Warrington, istintivamente sconvolto.

Deglutì per istinto e gli rivolse una specie di smorfia, mentre si portava nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il pensiero che Ginny non avesse avuto tutti i torti a cercare di dissuaderla dal presentarsi di fronte ai suoi acerrimi nemici le pervenne lentamente ma con assoluta precisione. E si dipanò con sempre maggior intensità nella sua mente quando dietro a William, ancora attonito per averla vista e fisso con una mano sulla porta, comparve Pansy Parkinson.

Quando questa la notò, il presentimento della catastrofe era vicino.

E quando la Serpeverde, leggermente allarmata, le domandò:

« E tu cosa ci fai qui, Granger? »

E lei rispose, esitante:

« Ehm… sono venuta per la festa. »

Il presentimento della catastrofe smise di essere solo un presentimento.

Perché, in effetti, avrebbe anche potuto trovarsi lì per caso. E decidere di denunciare la festa al preside, per esempio. Come ci si sarebbe dovuti e potuti aspettare dal prefetto più zelante e puntiglioso che Hogwarts avesse mai avuto. Probabilmente era infatti questo che Pansy aveva pensato vedendola in quel luogo e si era giustamente messa in allarme. Tranquillizzandola invece sulla ragione della sua venuta, lei aveva semplicemente firmato la sua condanna a morte.

Del resto, Ron glielo diceva sempre che aveva manie suicide.

« Tu? » Stridé in una risa starnazzante e divertita Pansy. « Tu, alla nostra festa? » Scosse il capo, con uno scintillio negli occhi che le fece credere che probabilmente quella ragazza non era mai stata più felice di vederla. « E chi ti avrebbe invitato? »

Deglutì una seconda volta. Ormai consapevole di essere in territorio nemico, ebbe la brutta idea di risponderle con sincerità:

« Ehm… Draco… »

Ah, la sincerità!

Che cosa orrenda.

La reazione di Pansy e di quelli che le si erano appressati e avevano cominciato a ridere di lei fu quella di arrivare alle lacrime. E suppose che non fosse perché li aveva commossi.

Ne fu certa quando Pansy riprese ad esplicarle quanto fosse assolutamente piacevole umiliarla pubblicamente.

« Draco?! Adesso ti metti pure a chiamarlo per nome? Non ti sarai presa una cosa, eh, Granger?! E a chi vuoi darla a bere? » Squittì con tutta malizia e la crudeltà di cui era capace. Vipera dalla lingua biforcuta. « Draco non ti avrebbe mai invitata! »

Ma Pansy Parkinson, contro ogni aspettativa, si sbagliava.

« E’ vero… » Comparve Draco dalle sue spalle, dopo essersi fatto largo tra la folla. « … gliel’ho detto io… »

E qui Hermione non comprese fino a che punto si sarebbe protratta la catastrofe.

Non notò, infatti, l’espressione di Pansy congelarsi improvvisamente in una maniera molto differente dal solito. Affilarsi su Draco, che rimase impassibile. E poi spostarsi su di lei. Straripando di un’ira gelida che le indurì ancora di più le iridi acquose degli occhi. E le strinse la pupilla nera. Ma Hermione, che era sensibile e intelligente, ma era anche una persona semplice, il sentimento così contorto che in quella pupilla si celava non seppe neanche minimamente coglierlo. Non perché la gelosia in generale sia contorta. Ma piuttosto perché quella di Pansy Parkinson lo era.

E in seguito qualcuno ne avrebbe pagato le conseguenze.

Mentre la folla creatasi intorno a Pansy, Draco e lei si erano zittita al cambiamento di atteggiamento della Serpeverde, questa fece un deciso passo in avanti, avvicinandosi a Draco.

« Beh… » Esordì velenosa e tagliente contro di questi. « Lei qui non ci può stare… »

A dispetto di quanto realmente potesse significare quella dichiarazione, vide Draco non scomparsi minimamente di fronte a Pansy. Non scagliò nessun dardo in sua difesa. Né con un gesto, né con uno sguardo. Non rispose a quella vipera, zittendola. Non le disse niente. Lo vide solo stringersi con noncuranza nelle spalle. Non fu neanche certa che le rivolse quella sfuggevole occhiata insondabile che le parve di cogliere. Fu certa solo di vederlo rientrare alla festa senza voltarsi.

Sentì un colpo sordo in qualche parte nascosta del petto. A sinistra. E forse un po’ di delusione non riuscì a non trapelare nell’espressione del suo viso.

Ma lei rimase zitta.

Rimase zitta a pensare ai Serpeverde che l’avevano attorniata e la deridevano. A William Warrington che le lanciava uno sguardo commiserante. A Ginny e a quello che aveva detto. A Pansy che aveva sulla faccia il ghigno più soddisfatto e nello stesso tempo più gelido che le avesse mai rivolto in sei anni e tre mesi di conoscenza. E al fatto che, in effetti, lei lì non c’entrava niente.

Non è che non lo sapesse. Non è che per lei fosse importante. Non è che se la prese con Draco perché se ne stava andando.

E’ che si sentì sciocca perché in effetti aveva voluto andare alla festa pensando che non sarebbe stato brutto passare tutta la sera a parlare del fatto che lui era un gretto siccome non gli piacevano gli Unicorni…

Nel suo sguardo assente, fisso su dove prima aveva visto Draco, e quindi fisso nel nulla, Pansy vi lesse forse una mortificazione tale che le venne naturale rincarare, squittendo:

« Nessuno vuole che tu stia qui. » Lo sguardo aspro le schioccò contro tutta la sua soddisfazione. « Vattene nella tua topaia, Mezzosangue. » Aggiunse serafica e malevola, mentre richiudeva alle sue spalle la porta della stanza. « Qui posto per te non ce n’è. »

*** *** ***

Domenica 8 Dicembre. Ore 23.03
Hogwarts. Sala destinata alla festa di vittoria di Serpeverde.

Theodore gli si avvicinò amichevolmente. Notò però con accortezza che nell’espressione del Serpeverde, aperta verso di lui, pulsava rifulgente l’altruistica apprensione più disinteressata e intensa che avesse mai mosso a pietà quel ragazzo.

Trasse dunque internamente un profondissimo sbuffo.

« Ehi, ciao. » Lo salutò il Serpeverde con un cenno della mano e una voce apparentemente casuale.

La verità era che non c’era nulla di meno casuale degli interventi di Theodore.

« Ciao. » Gli rispose, atono, calpestando per l’ennesima volta la sciarpa lillà caduta ad una ragazzina di Corvonero.

« Ti stai annoiando? » Gli chiese cautamente il ragazzo che gli si era appena avvicinato.

Si mise le mani in tasca, e ribatté, caustico:

« Sì. »

Theodore rimase per qualche secondo in silenzio, grattandosi la nuca mentre lui si sentiva sprofondare in un vortice di tedio abissale.

Primo valido motivo: era immerso nel casino immondo di una festa idiota. Secondo valido motivo: era ubicato in un angolo sperduto di una sala esponenzialmente grande in cui tutti i suoni sembravano amplificati del 20%. Terzo valido motivo: era posizionato dinnanzi ad un tavolo maleodorante completamente rivoltato da una bolgia di morti di fame. Quarto, ultimo ed infinitamente valido motivo: era situato al fianco di un ragazzo che nel giro di dieci secondi avrebbe detto qualcosa di profondamente stupido.

Fedele ad ogni aspettativa, Theodore al nono secondo di silenzio introdusse le ragioni della sua caritatevole venuta.

« Senti… » Cominciò con serietà. « … tu lo sapevi che non l’avrebbero fatta entrare. L’hai invitata per umiliarla? »

Si girò verso di lui e replicò, impassibile:

« No. »

E forse Theodore a questo si sarebbe aspettato di sentire perché allora l’aveva invitata. Ma lui non lo disse. Perché non c’era una ragione per cui l’aveva invitata. Nessuna ragione improrogabile, almeno. Non aveva fatto progetti, gli era venuto in mente, e gliel’aveva chiesto.

Per esempio, forse, non sarebbe stato male passare la serata a convincerla di quanto fossero orrendamente avvilenti gli unicorni. O a quanto fosse orrendamente avvilente il suo modo di vestire. La divisa della scuola, abbinata ad un paio di scarpe rosso laccato e una maglia di lana viola marcio. E c’era da notare che quella ragazza era l’unico essere umano su cui il viola poteva sembrare davvero marcio. I capelli erano poi un castigo divino. Non è che l’avesse guardata bene, eh. Ma quei pochi secondi sinceramente gli erano bastati.

Ecco… avrebbe potuto passare la serata a discutere con lei su tutto quello che c’era di sbagliato nel mondo che per lei era puntualmente giusto.

E non sarebbe stato male…

No… anzi…

Sarebbe stata una bella serata…

« Se anche fosse entrata, Draco… » Lo ammonì ingenuamente Theodore, con un tono straordinariamente indulgente. « … probabilmente non si sarebbe molto divertita. »

Rimase in silenzio per qualche secondo.

« Lei… » Gli rispose con un tono sufficiente, ma vagamente meno aspro. « … si sa divertire con poco. »

Una persona che si esaltava per la Trasfigurazione animale era una persona che si divertiva con poco, no?

« Allora forse avresti dovuto insistere con Pansy per farla restare. » Si sentì suggerire da Theodore.

« Io non avrei dovuto fare proprio niente. » Lo zittì secco, scoccandogli un’occhiata corrosiva.

« D’accordo, come non detto… » Si zittì Theodore, immediatamente.

Lui cosa avrebbe dovuto fare? Per lei? Se quella sottospecie di strega non voleva più dargli retta solo perché lui giustamente non aveva avuto voglia di prendersi la briga di aiutarla, non gli premeva. Hermione era una presenza superflua nella sua vita. Forse divertente. Forse gentile. Forse buona. Forse, addirittura, migliori di tanti. Forse, persino, migliore di tutti. Va bene, e allora? Aveva e avrebbe preso tutto quello che lei gratuitamente gli dava, proprio perché era gratuito. Nell’istante in cui sarebbe costato qualcosa già non avrebbe più voluto niente: si sarebbe tenuto ciò che aveva ottenuto e basta. Tanti auguri e figli maschi. E, per inciso, rientrava nel “costo” qualsiasi cosa che non avesse voglia di fare o che magari avrebbe anche voluto fare, ma richiedeva uno sforzo fisico e mentale pari o maggiore al grattarsi la testa svogliatamente – che è ben diverso dal grattarsela attentamente perché si usa molta meno energia.

Ecco, per riassumere, non avrebbe mai fatto nulla per lei.

« Ad ogni modo hai ragione: è un po’ noiosa questa festa. » Sentì dire ad un certo punto da Theodore, che intanto aveva preso in mano qualcosa che Draco scoprì essere una bandierina tutta verde scuro, con ricami d’argento. « Anche se queste bandierine sono carine, non trovi? »

Draco restò a fissare distrattamente una bandierina identica abbandonata al centro del tavolo che aveva di fronte.

No, non avrebbe fatto nulla per lei…

*** *** ***

Domenica 8 Dicembre. Ore 23.27
Hogwarts. Stanza di Hermione.

Voleva fare qualcosa per lei.

Per questo le stava sistemando la camera. Perché voleva fare qualcosa per lei. Perché voleva scusarsi per come aveva alzato la voce. Per come l’aveva assalita. Non si sarebbe mai perdonato per la maniera in cui si era permessa di dirle che stava sbagliando tutto.

Scosse il capo, portandosi una mano sulla faccia.

Sono un’idiota…

D’accordo che l’aveva fatto per lei, ma probabilmente non ci sarebbe stato modo di dirglielo peggiore. Senza contare che tra tutto il resto l’aveva fatta passare per quella colpevole, quando, in realtà, di colpe, Hermione proprio non ne aveva. Certo che però andare ad una festa di Serpeverde! Scosse nuovamente il capo per scacciare quel pensiero dalla testa e si rimise a piegare e infilare nell’armadio dell’amica i vestiti prima sparsi per la camera e a quel punto relativamente raggruppati e ordinati. Il punto era che era preoccupata per lei. Era preoccupata perché Hermione Granger e Draco Malfoy erano una combinazione inaccettabile. Perché lei era un gioiello. Un gioiello raro, come pochi se ne trovano in giro. Davvero. Mentre lui era tutto ciò che si potesse pensare di un pezzo di carbone.

Non dovevano stare insieme, punto. In nessun modo possibile.

Perché le voleva bene, e invece non ne voleva a lui. Perché voleva che lei fosse contenta, ma non gliene fregava niente se quel cretino sguazzava nella più tetra disperazione. E anche perché si sentiva ancora tremendamente in colpa per aver lasciato che la sua migliore amica soffrisse come un cane perché suo fratello era un debole, e perché Harry era un egoista.

Hermione era un gioiello.

E, sinceramente, era stanca di vederla con persone che non se la meritavano.

Sentì un rumore provenire dalla porta della stanza e rimase sorpresa di vedervi entrare niente meno che l’oggetto dei suoi pensieri, che rimase sulla soglia, anch’essa probabilmente sorpresa di vederla lì.

« Ma cosa…? » Esordì perplessa Hermione, lanciandole una breve occhiata e poi scostando lo sguardo ovunque per la stanza. Stupita, probabilmente, di vederla in ordine.

« Ehi, è successo qualcosa? » La incalzò invece lei allarmata, non dimenticando dove l’amica avrebbe dovuto essere in teoria in quel momento e soprattutto scorgendo nel fondo della sua espressione una profonda delusione.

« Beh… » Rispose Hermione, in un mezzo sorriso stentato. « … a dire il vero non mi hanno fatta entrare. »

“Te l’avevo detto” non le passò neanche per la testa.

Di tutte le cose che avrebbero potuto venirgli in mente, quella proprio non le passò neanche per la testa. Non di fronte ad una persona che considerava straordinariamente speciale e che era stata mortificata, ancora una volta, dalla grettezza di un cretino. Avvicinandosi a lei e mettendole una mano sul braccio le rivolse uno sguardo profondamente dispiaciuto ed esclamò d’impulso, con trasporto:

« Adesso vado io a parlarci con quegli idioti! »

E nel frattempo tiro un paio di sberle a quel demente.

Hermione la fermò immediatamente.

« No, non è niente Ginny. Lui non ha fatto proprio niente. » Trasse un lungo respiro. « Per favore, lascia stare… »

Vedendola oltre che depressa anche piuttosto stanca, evitò di insistere sull’argomento. Le chiese, invece, apprensiva:

« Vuoi che resti ancora un po’? »

Hermione scosse ancora il capo, rivolgendole uno sguardo di sincera gratitudine.

« Direi che hai già fatto abbastanza. Va’ pure a dormire. »

Esitò un attimo sul viso sciupato dell’amica. Pallido non nel colore, ma nell’espressione. Sempre meno convinta, cercò di farsi promettere:

« Però tu riposa, va bene? »

Hermione annuì, rivolgendole un piccolo sorriso tirato in segno di conferma. Lei allora, dopo essersi trattenuta ancora qualche attimo a guardarla, impensierita, si girò e si diresse verso la porta. Non è che quella mezza smorfia fosse una garanzia. Tutt’altro, sapeva che il giorno dopo l’avrebbe trovata con due borse enormi sotto gli occhi e un colorito talmente smunto da fare invidia a Gaza. Del resto non poteva neanche farle bere un sonnifero o una pozione che le sgombrasse la mente da qualsiasi pensiero. Principalmente perché non si fidava assolutamente di quello che sarebbe potuto essere l’esito finale, giacché non era proprio pozioni il suo forte. E in secondo luogo perché il problema era alquanto immediato e una pozione non era preparatile in tempo utile.

Pensando a qualche insperabile soluzione, aprì distrattamente la porta e per poco non calpestò il fogliettino ripiegato che vi era stato lasciato davanti…

« Hermione? » La chiamò mentre si chinava per raccoglierlo, incuriosita. « C’è qualcosa qui per terra… »

La bruna la raggiunse e lei aprì il foglietto.

La festa fa schifo: ti autorizzo a denunciarla a Silente
purch
é tu non faccia il mio nome.
                                                                                             Draco

E ripiegata nel bigliettino c’era una buffa bandierina verde scuro ricamata d’argento.

Giratasi istintivamente verso l’amica per chiederle cosa fosse, non riuscì invece a spiccicar parola. Sorpresa e in qualche modo perplessa, rimase in silenzio a osservare il sorriso autentico e meraviglioso che si era aperto sul suo viso… ridandogli in un attimo tutto il suo colore e la sua luce.

Ginny Weasley successivamente si sarebbe interiormente preoccupata per gli sbalzi d’umore che Hermione Granger avrebbe potuto subire frequentando un ragazzo così problematico come Draco Malfoy. Processo che già temeva inarrestabile, comunque. In quel momento, però, ritenne solamente che un sorriso del genere non lo vedeva sul viso della sua migliore amica da più di quattro mesi.

 

*** *** ***

E questo è quanto. Piaciuto?

P.s. Non so se ci sono errori… ho fatto qualche modifica appena prima di postarlo, perciò è altamente possibile (per non dire probabile). Magari lo rileggerò in questi giorni e correggerò quello che va corretto. Nel frattempo, passateci sopra se potete. Grazie.

 

 

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Capitolo 9
*** Tra il prima e il poi [Parte Prima] ***


Il nono capitolo mi veniva qualcosa come 26 pagine, e va bene che tutti siete contenti perché faccio dei capitoli belli lunghi, ma era davvero troppo lungo… infondo si sarebbero anche persi i punti focali

Il nono capitolo mi veniva qualcosa come 26 pagine, e va bene che tutti siete contenti perché faccio dei capitoli belli lunghi, ma era davvero troppo lungo… infondo si sarebbero anche persi i punti focali. Perciò qui ci sono le prime 12 pagine e nel prossimo capitolo le altre 13. Spero vada bene.

Riguardo la scarsissima frequenza dell’aggiornamento, lo so che è seccante vedere che un’autrice ci mette mesi, e mesi, e mesi a mettere on-line un misero capitolo di 12 misere pagine. Lo so che uno si annoia. Lo so, anche perché mi annoio anche io. Poi ci sono stati problemi con il sito e col fatto che ultimamente sono anche particolarmente svogliata per un po’ l’ho usata come scusa per prendermi il mio tempo.

Beh, se lo volete sapere non me lo sono neanche preso… Va beh, spero che a chi leggerà questo capitolo, la storia continui comunque a piacere.

Nota tecnica: ho apportato alcune modifiche ai dati di D&H Opera. Tanto per cominciare la fanfiction non sarà per gli “ultra-diciassettenni” fino al momento in cui i capitoli non diventeranno un po’ più crudi – e credo sarà molto più avanti. Inoltre ho ridotto il numero dei personaggi e dei generi… credo che la storia ne comprenda parecchi, ma rispetto a ciò di cui tratta ho sottolineato i tre aspetti principali (nella mia ottica) e ho lasciato un generico “un po’ tutti” per i personaggi che non siano i due protagonisti. Non mi viene in mente altro di saliente, ma può darsi che in giro ci sia qualche cambiamento.

Nota affettiva: io apprezzo veramente i commenti lasciati da tutti i recensori, anche se non posso più rispondere ad ognuno nello specifico, né a tutti, in modo generico, in una maniera più che dignitosa. Vi prego di capire i miei disagio rispetto al tempo, all’umore e a certi altri fattori personali.

Un bacio, e – spero – buona lettura.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 9. Tra il prima e il poi [Parte Prima]

*** *** ***

E se non volessi fare alcuna mossa
Se mi piacesse così
Voglio restare così, per un po'... per sempre
Lasciami solo sdraiare vicino a te
Non voglio lasciarti andare, non voglio lasciarti andare

What if I don't wanna move on
If I like it as it is
Wanna keep it like this, for a while...forever
Just let me lie close to you
Don't wanna let you go, don't wanna let you go

[Lene Marlin – What If]

*** *** ***

Lunedì 9 Dicembre. Ore 16.37
Hogwarts. Stanza delle necessità.

La festa per la gloriosa vittoria di Serpeverde era stata un colossale disastro.

A prescindere dalla presenza di alcune delle menti più logorroiche mai esistite, il catastrofico fallimento era dovuto al fatto che vi avevano preso parte anche diversi Tassorosso. Per inciso, se fossero stati presenti unicamente in quanto oggetto di scherno, inumani insulti e brutali gomitate nel costato, non sarebbe sussistito alcun problema. Giacché quello era lo scopo a cui il cielo li aveva destinati. Viceversa, quelle sottospecie di embrioni mononeurali avevano partecipato alla festa in quanto invitati con pieno diritto di ergersi orgogliosamente in piedi tra la folla e ridere come ebeti senza essere presi a bastonate. Il punto era che da quando Eloise Midgen (Serpeverde onoraria) e Justin Flinch-Fletchley (infimo Tassorosso) avevano ufficializzato la loro inspiegabile attrazione segreta, molti piccoli idioti dei primi anni di entrambe le case avevano avuto l’assurda idea di prendere la loro unione a modello.

Era dunque iniziato il Grande Esodo di Tassorosso tra le fila, le panche e le feste di Serpeverde. E accoppiamenti quali Kevin Whitby e Susan-Anne Pecks erano ormai diventati all’ordine del giorno.

Resisteva, strenua, solo un’ultima santa alleanza anti-tassorosso. E lui, in quanto membro ad honorem, si era convinto da ormai diverse settimane che era arrivato il momento di porre fine a quella catastrofica e impunemente traviante situazione. Avrebbe ridato orgoglio ai Serpeverde. Li avrebbe depurati del morbo dell’indulgenza e della comprensione! Li avrebbe rimessi in riga, estirpando quella gioventù indecente di acciughe-umane maleodoranti (cioè i Tassorosso)! Avrebbe sollevato l’ascia di guerra per tingerla di sangue!

A morte i Tassorosso e il loro costato!

Questi erano i sanguinari pensieri che attraversavano una parte del suo cervello.

L’altra parte era invece concentrata su ben altre faccende.

E, come era usuale da qualche tempo a quella parte, quelle faccende ruotavano vorticosamente attorno ad una sola persona…

Svoltò nel corridoio a lato e cominciò a salire le scale che l’avrebbero condotto alla stanza delle necessità. L’espressione vagamente impensierita. Le dita nervosamente attive. E il passo insolitamente indeciso. Quasi pesante. Come se avesse un blocco di cemento al posto di ognuno dei piedi. Tant’è che ci mise ben cinque minuti a fare gli ultimi gradini della scalinata. Inoltre, una volta giunto di fronte alla porta ci volle altrettanto tempo per decidere se aprirla o meno. La sua mente esercitava infatti una strana influenza contrastante sul suo braccio destro: da una parte lo spronava a sollevarsi sulla maniglia, dall’altra lo minacciava di non farlo. Quando finalmente venne unanimemente deciso di aprire la porta, i due schieramenti neuronali che popolavano la sua mente si scontrarono su un dubbio iperbolico: entrare o non entrare?

In realtà, sebbene tutta la faccenda apparisse – e fosse, sostanzialmente – estremamente demenziale, Draco Malfoy vigeva in uno stato di reale ansia.

Tuttavia, quando l’insofferenza di restare immobile di fronte ad una porta divenne insopportabile e lui vi sbirciò quanto meno dentro… il principe di Serpeverde si ritrovò improvvisamente tranquillo nel vedere Hermione Granger china in mezzo ad una muraglia infinita di libri e, come al solito, persino troppo concentrata per accorgersi subito di lui.

C’è…

Non è che pensasse di aver fatto qualcosa di male per cui lei avrebbe potuto non esserci, eh! Assolutamente no! Obbiettivamente parlando, lui era del tutto innocente!

Però, magari, nell’immaginario contorto dei Grifondoro era una cosa orrenda lasciare che una persona se la sbrigasse da sola contro la peggiore delle arpie di Hogwarts dopo avere invitato la suddetta persona alla festa organizzata dalla suddetta arpia. Perciò, siccome quella ragazza malauguratamente era una Grifondoro, allora magari se l’era presa a male…

Riflettendo su questo, aveva pensato che lei potesse esserne rimasta offesa al punto da non presentarsi neanche più alle loro lezioni private.

Del resto, a mente fredda, si rendeva altresì ben conto che avrebbe dovuto scartare a priori quell’ipotesi.

Dedita al lavoro. Incline naturalmente a farsi carico di ogni incombenza – e più era pesante meglio era! E soprattutto consacrata al senso di responsabilità. Quella ragazza era una virtuosa paladina in crociata contro l’ozio e non si sarebbe mai sottratta a qualsiasi cosa considerasse un dovere.

Perciò, anche a costo di morire dalla rabbia, si sarebbe presentata in quella stanza.

Però forse non vorrà più parlarmi…

Scosse il capo, aggrottando la fronte.

Perché non avrebbe dovuto? Non l’avevano fatta entrare alla festa, ma non era dipeso da lui. Era stato deciso da Pansy. Lui non c’entrava niente. Senza contare che la festa aveva fatto decisamente schifo. Alla fine ci aveva unicamente guadagnato. Anzi, avrebbe dovuto prendersela lui perché lei gli aveva permesso di rimanere! Era lui che doveva ritenersi offeso dal suo comportamento disinteressato!

Aggrottando le sopracciglia, forte di questa nuova, ineccepibile convinzione, fece un deciso passo in avanti, spalancando la porta con fermezza e richiudendola dietro di sé con altrettanta fermezza.

Tuttavia, nell’istante immenso che Hermione usò per sollevare il capo su di lui – al suono della porta che si richiudeva – la sua inespugnabile convinzione decise magicamente di svanire, lasciandolo solo con il suo stomaco e lo strato di cemento che lo aveva rapidamente rivestito.

In compenso, quando lei sollevò il viso su di lui, sia stomaco che cemento fecero la stessa fine della sua convinzione…

Stranamente, da quel giorno, quello fu l’effetto che i sorrisi di Hermione Granger ebbero su di lui.

« Ciao. » Lo accolse calorosamente la ragazza, con un gran sorriso, appunto, stampato sulla faccia. « Grazie per la bandierina. »

La bandierina…

Per un attimo completamente perplesso, le rivolse uno sguardo tra l’incredulo e l’allucinato.

Specificando, quest’effetto invece era regolare: potenzialmente, ogni cosa detta da Hermione Granger sapeva essere sconvolgente. E nel tempo la sua reazione sarebbe sempre stata un attimo (o più) di assoluto smarrimento.

« Non era un regalo. » Le rimbeccò comunque in un riflesso incondizionato, ancor prima di aspettare che lo stordimento svanisse e decisamente prima di riavvertire la percezione dello stomaco. Innanzitutto preoccupato di restare acidamente se stesso. « Siccome non mi piaceva ho pensato di dartela. »

Ma Hermione si strinse nelle spalle, ancora contenta.

« A me è piaciuta. » Disse, anzi, ampliando il sorriso.

Perché lei non si lasciava scoraggiare. Da niente. Sapeva resistere all’orgoglio a cui lui cedeva sempre. Salvava sempre tutto quello che c’era da salvare tra loro. Tutti i silenzi che non erano silenzi. Tutti gli insulti che non erano insulti. Tutte le scuse che non erano scuse. Tutti i regali che per lui non sarebbero mai stati regali, ma che agli occhi di lei avrebbero rifulso di luce, quasi come cosparsi d’oro.

Salvava tutto. Considerando tutto importante…

Avanzò di qualche passo – ancora un po’ stordito – ma decisamente tranquillo. Come se non ci fosse niente che potesse andare male in quel momento. In quel luogo. Con quella persona. Lei che, naturalmente, avrebbe rimproverato con odiosa puntigliosità tutte le insensatezze che da parte sua avrebbe trovato in lui e nel suo modo di fare, non avrebbe mai veramente giudicato niente. Non avrebbe mai veramente condannato nessuno. E di tutte le cose sciocche che potevano esistere, persino quelle più sciocche lei le avrebbe accolte con un sorriso.

Per questo, per la prima volta in vita sua si sentì libero di guardare fuori dalla finestra, e dire, per nessuna ragione al mondo:

« Ieri ha nevicato parecchio. »

Perché sapeva già che lei gli avrebbe risposto, sorridendo:

« Si, è rimasta giù un sacco di neve. »

E la sensazione di serenità appena accennata che inconsapevolmente lo riempiva, si espanse.

Del resto, siccome Hermione Granger qualcosina di maniaco depressivo ce l’aveva, sapeva anche che avrebbe aggiunto, inspiegabilmente allegramente:

« Allora, cosa vuoi studiare oggi?»

Storse il naso verso di lei.

A dire il vero, studiare era l’ultima delle ragioni per cui era andato in quella stanza. In effetti, non aveva davvero voglia di passare le seguenti due ore e mezza a riflettere su quanto pozioni potesse essere una materia stramaledettamente noiosa. Sollevò dunque leggermente il capo sulla testa riccioluta che aveva di fronte e poi rivolse nuovamente il capo fuori dalla finestra. Non aveva neanche voglia di stare in quella stanza, per dirla tutto. E forse avrebbe anche potuto alzarsi e andarsene.

Forse lei non l’avrebbe fermato.

Ma non l’avrebbe neanche seguito…

In ogni modo, essendo che non era della scuola “se non puoi superare un problema, aggiralo”. Ma era di quelli: “se non puoi superare un problema, ingannalo”… beh, aveva una mezza idea di come cavarsela in quella situazione. Andava detto, infatti, che benché Hermione Granger fosse quasi inattaccabile quando entrava nello studentessa ultra-modello mode, aveva comunque un enorme, spropositato punto debole.

« Pensavo che il campo di Quidditch sarà proprio pieno di neve. » Proruppe dunque con finta casualità, dondolandosi sulla sedia.

Scorse, con la coda dell’occhio, la fronte di lei corrugarsi per il disappunto.

Senza staccare lo sguardo dalla sua pergamena e continuando a scrivere con un automatismo straordinariamente preciso, Hermione lo riprese prontamente:

« Non è il momento di pensarci, Draco. » I suoi occhi guizzavano vivacissimi da una parte all’altra del foglio. « Devi impegnarti nello studio. »

« Ho lasciato il coso al campo. » Disse di rimando, senza seguire alcuna apparente logica.

La Grifondoro trasse un breve respiro. Smettendo di scrivere, incrociò le braccia davanti a sé e le appoggiò sul tavolo. Infine, con provata pazienza ribatté secca:

« Qualsiasi cosa sia il coso, dimenticalo. » L’espressione tutt’altro che indulgente lo fissava con rigore e serietà. « La tua unica priorità dev’essere il prossimo compito di pozioni. »

Finemente ostinato – ignorandola completamente – buttò lì, in un alzata di spalle:

« Anche se il “coso” è quell’orrendo manuale che mi hai dato? »

Come previsto l’espressione di Hermione Granger si dilatò in risposta ad istantaneo allarme mentale.

« Che cosa? » Presa istantaneamente dal panico dopo aver realizzato pienamente la tragicità dell’annuncio, si mise le mani nei capelli e si sollevò dalla sedia in uno scatto convulso e del tutto irrazionale. « Ma sei impazzito?! Con tutta l’umidità che c’è tutte le pagine si saranno sciupate! E con tutta la neve che è venuta giù non è escluso che non ne sia rimasto nulla! » Scolorì, affranta. « Nulla! »

Angosciandosi, col fiato corto per la mancanza improvvisa d’aria, Hermione Granger si sforzò visibilmente di mantenere regolare la sua respirazione e tenendosi il petto con la mano cercò di mantenersi calma. Ma gli occhi stravolti tradivano l’immensa prostrazione per quanto stava avvenendo.

E tutto per un libro.

Impose al suo sopracciglio destro di non corrugarsi con pungente cinismo. Se cinismo si può definire il sentimento di puro disinteresse che si può nutrire per un libro. Tra sé e sé ritenne che Hermione, in effetti, più che cinismo l’avrebbe chiamata eresia.

« Devo andare a prenderlo? » Domandò comunque, proseguendo col suo brillantissimo piano.

Hermione gli scoccò un’occhiata bieca.

« Da solo? » Squittì aspra, in uno sprazzo di immediato rancore. « Non se ne parla proprio! Avanti, muoviti: ti accompagno! » Agguantò il giaccone, i guanti e la sciarpa e se li mise in tempo di record, con un cipiglio inarrestabile. « Sei un irresponsabile! Se lascio fare a te non ritroverò mai il mio libro! E a questo proposito prega che sia in un posto riparato! » Terminato lo sprazzo di rancore, assunse nuovamente un’espressione lacerata, e gemette, isterica: « Oh, ma come hai potuto?! »

A capo chino, si tuffò dunque in una missione di salvataggio in pieno stile Granger.

Con un piccolo ghigno sulle labbra, si alzò indolentemente dalla sedia, prese il proprio giubbotto e le andò dietro.

Missione: brillantemente compiuta.

Essendo che di mattina si erano svolte regolarmente le lezioni ed era una periodo in cui anche i più lavativi dovevano occupare almeno la prima parte del pomeriggio nei compiti, ben pochi studenti si erano arditi a uscire per giocare a palle di neve. E comunque non in quel tratto di giardino che conduceva al campo di Quidditch. Dunque i trenta centimetri di neve che si erano depositati durante la notte, lì erano rimasti. In un soffice manto ininterrotto e ancora intatto che rendeva a lui e a Hermione più difficoltosa la lunga traversata. Inoltre, l’aria era impregnata di un gelo pungente, e non era da escludersi che ben presto avrebbe ricominciato a nevicare.

Ciononostante Hermione Granger incedeva con determinazione in direzione del Campo di Quidditch. E lui, proprio accanto a lei, riusciva a starle dietro solamente grazie ai quindici centimetri di differenza che la natura gli aveva concesso in altezza. Quel dislivello gli permetteva anche di procedere con l’insofferenza spontanea che lo pervadeva a causa del fastidio che gli procurava la frenesia con cui lei si struggeva per il libro andato perduto.

Che poi, solo un idiota avrebbe davvero creduto che quel libro fosse al campo e non piuttosto nella sua stanza.

Dove, logicamente, era.

« Non ti ricordi dove l’hai lasciato? » Chiese irrequieta Hermione, giunti all’ingresso del campo.

Scosse il capo.

« No. » Negò, noncurante. E, in effetti, non ricordava bene in quale dei cassetti del proprio comodino l’avesse messo.

Hermione trasse un grande sospiro. Poi, accesosi lo sguardo di rinnovata fiducia, propose:

« Allora proviamo negli spogliatoi. E speriamo ci siano, che è riparato. »

No, negli spogliatoi no.

Tiger e Goyle ogni volta che ci entravano per cercarlo ci lasciavano sempre un sacco di avanzi e schifezze. Che muffivano, puntualmente. E Pucey Davis riteneva che fosse onorevole che i giocatori pulissero. I membri della squadra invece ritenevano onorevole che lui tacesse e andasse a quel paese. David Duglass, Susan Morrigan e lui in primis. La morale era che quel poco che Pucey riusciva a pulire non aiutava a rendere più profumato quel piccolo stanzino.

Tenendosi le mani in tasca, la fermò, serafico:

« Non l’ho lasciato lì. »

Hermione, incrociando autorevolmente le mani sul petto, gli rimbeccò, indispettita:

« Avevi detto che non ricordavi dove l’avevi lasciato. »

« Infatti non lo ricordo. » Fece, laconico. « Ma ricordo che non l’ho lasciato negli spogliatoi. »

« Allora, mettendosi insieme tutti i posti dove non puoi averlo lasciato, dove potresti averlo lasciato? » Gli domandò indispettita la ragazza, guardandolo in tralice.

Bella domanda. Dove?

Beh, un posto vale l’altro.

« Sotto le banche. » Inventò, con tono disinteressato. « Di solito li mettiamo lì i libri. »

Mai esistito.

In tutta la storia di Hogwarts non era mai esistito che uno studente andasse ad un campo di Quidditch portandosi dietro un libro di generica entità. Men che meno un libro scolastico! E che poi lo tenesse sotto le panche, per giunta, era davvero fuori dal mondo. Ma quella che aveva davanti probabilmente era l’unica persona sulla faccia della terra che avrebbe potuto crederci.

E crederci con un certo entusiasmo, anche. Ritenendo ammirevole che qualcuno fosse tanto affezionato alla cultura.

Infatti, rapida, avviandosi verso gli spalti adibiti a Serpeverde, dispose:

« Allora tu và a vedere là in alto mentre io cerco nella fascia più bassa. »

Svogliatamente, imboccò la strada che conduceva al secondo anello degli spalti. Tenendo le mani in tasca, con passo cadenzato e del tutto privo di entusiasmo, fece uno dopo l’altro i gradini che lo avrebbero condotto sin in cima sbirciando casualmente in giro. Arrivato nel punto più alto e rivolgendo il suo sguardo in basso, scorse Hermione che trotterellava imperterrita su e giù per le banche e si chinava per vedere se sotto di esse ci fosse il manuale.

Restò a fissarla da quell’altezza per qualche minuto.

Prima di tutto perché quella ragazza indossava una gonna e fuori c’erano come minimo 4 gradi sotto zero – e aveva ragione di credere che non sentiva freddo perché tutte le sue energie erano convogliante nella frenetica ricerca del suo preziosissimo libro. In secondo luogo perché quello che stava facendo era allucinante anche per la sola modalità in cui lo faceva. Giacché vi serbava una tale solerzia che la portava a guardare sotto la stessa panca tutte le volte che le capitava sotto lo sguardo.

Era straordinariamente buffa.

Non un buffo cattivo. Non uno sciocco. Un buffo assurdo. Divertente. Le sue impronte segnavano percorsi contorti e tratteggiati, che nel candore che la attorniava facevano risaltare le idee strambe che aveva nel cervello. In quel momento la vide giust’appunto battere per la decima volta il suo primo percorso. E istintivamente gli spuntò un piccolo ghigno derisorio sulle labbra.

Quella ragazza era l’essere più assurdo che esisteva sulla faccia della terra.

L’essere più assurdo, davvero.

« Hai trovato qualcosa? » Gli gridò Hermione esasperata, dopo essersi guardata intorno con smarrimento all’idea che le sue ricerche non stessero dando alcun frutto.

Si strinse nelle spalle, senza smettere di sogghignare.

« Non stringerti nelle spalle e dimmi se hai trovato qualcosa! » Gli strillò contro lei, in preda al panico, impuntandosi con i piedi e stringendo lungo i fianchi le proprie mani.

Dopo averle gridato di no – e di non rompere – si fece un piccolo giretto distensivo in giro per le panche, fingendo con malavoglia un interesse autentico per quell’assurda ricerca. Poi scese la scalinata raggiungendo il termine della prima fascia di spalti. E si rimise a guardarsi intorno. Era una giornata strana: non aveva voglia di fare niente. Era quasi più svogliato degli altri giorni. Ma stava bene. E il biancore tutto intorno a lui lo metteva quasi di buon umore.

E dire che non aveva mai avuto voglia di uscire quando c’era la neve.

A pensarci, in effetti, non gli era mai piaciuta troppo.

« Non hai trovato niente? » Gli chiese Hermione dalla prima panca, dirigendo gli occhi in alto, verso di lui.

« No. » Disse, secco.

Hermione scosse il capo con un cipiglio drammatico e gli puntò il dito contro.

« Draco, ti avverto… » Lo avvisò ostile, con la faccia che era una maschera di dolore mentre metteva un piede sul gradino di fronte a sé. « … se non lo troviamo io ti ammaz- »

Ma non fece in tempo a finire la frase che il piede le scivolò sul ghiaccio creatosi sotto la neve e lei rovinò a terra. Con un botto sordo.

Non cercò neanche lontanamente di trattenersi dallo sfotterla. Né volle impedirsi di aprire la propria espressione in un ghigno spavaldo e sprezzante, il quale accolse con profondissima derisione la ragazza che si sollevava sul busto, completamente coperta dalla neve.

Solo che lei non dovette prenderla troppo bene, perchè lui si vide arrivare addosso una palla bianca che si infranse sulla sua faccia.

« Così impari a ridere! » Gli gridò contro Hermione, rialzatasi. Rossa in viso un po’ per la vergogna. Un po’ per la soddisfazione.

« Ah si? » Vibrò, alterato, pulendosi il viso dalla neve con i guanti.

Rapidamente prese un po’ di neve da terra e gliela tirò addosso. La prese alla spalla, ma la neve si infranse e le coprì tutta la faccia. Pulendosi anche lei, Hermione, agguantò un altro po’ di neve e glielo lanciò, ma lui lo schivò abilmente, scansandosi di lato e rilanciandole rapidamente un altro po’ di neve. Che la prese nuovamente in piena faccia.

« Sei lenta. » La sbeffeggiò pavoneggiandosi.

E l’oltraggio risultò troppo grande per l’orgoglio di Hermione.

Fu allora inevitabile lo scoppio della più grande e strana battaglia a palla di neve che si fosse mai combattuta a Hogwarts tra gli spalti deserti di Serpeverde.

« Dobbiamo cercare il Manuale! » Gridava ogni tanto la Grifondoro, mentre gli tirava addosso altra neve e ne scansava a sua volta, goffamente, tanta altra.

Scocciato e ostinato, puntualmente le rinfacciava, acido:

« Allora piantala! »

E puntualmente lei rispondeva:

« Piantala tu! »

« Non ci penso neanche! » Berciava abbassandosi per schivare l’ennesima palla di neve.

Non somigliava proprio a un balletto il loro. Non certo, tra gli insulti che si tiravano e soprattutto la decisamente scarsa eleganza con cui Hermione si muoveva. Senza contare che i capelli di lei sembravano la chioma irriverente di un albero su cui era caduta neve da almeno una decina di inverni.

Eppure, anche senza essere uno spettacolo di grazia e buone maniere, era comunque molto divertente.

E non solo per lui. Stranamente anche lei, che di neve ne prendeva più di tutti e due, sembrava divertirsi molto. E non demordeva mai, neanche quando lui gongolava della sua goffaggine con particolare entusiasmo e sprezzo. Ostinata, si alzava, scivolava, gridava come una vacca inacidita, e riprendeva, con estrema onestà, a cercare di fargliela pagare. Non riuscendo a trattenere, a volte, un sorriso enorme sulla faccia.

Nel vederla arrancare con il fiato corto per lo sforzo immane di strascinarsi per gli spalti deserti ma poi raddrizzarsi con epica ostinazione, qualcosa che di molto simile ad un sorriso gli si mosse da dentro verso le sue labbra. E, questa volta, quando gli si dipinse sul viso, si rivelò per qualcosa che non era semplicemente molto simile a un sorriso… ma che lo era davvero.

Ma non c’era nessuno specchio che poteva mostrarglielo. Nessuno specchio che potesse fargli capire.

Senza contare che di lì a qualche attimo sarebbe stato occupato da ben altre faccende.

Infatti Hermione, coltolo scioccamente distratto, esclamò soddisfattissima:

« Ah! Beccati questo! »

E lui non vide l’ennesima palla di neve arrivargli direttamente il faccia.

Appena un secondo prima dell’impatto, pensò che infondo una palla in più non faceva poi molta differenza. E poi le avrebbe restituito tutto con gli interessi! Però quando la palla lo colpì fu come se un sasso l’avesse colpito in piena fronte. E lui proruppe in un grido straziante arrancando all’indietro per il dolore.

A questo punto le possibilità erano due: o Hermione Granger nascondeva la forza titanica di un golem di roccia. Oppure Hermione Granger era un golem di roccia travestito da smilza diciassettenne.

Per quanto la seconda ipotesi sembrasse alla sua mente la più accreditata, il sasso che intravide per terra vicino a lui mentre si teneva la testa dal dolore gli rivelò l’agghiacciante verità: Hermione Granger, smilza diciassettenne – e non purtroppo golem di roccia – gli aveva inavvertitamente tirato un sasso in testa.

« Oddio! » Strillò Hermione, correndo verso di lui. Vedendolo con il viso e la fronte coperti da entrambe mani, chiese, allarmata: « Draco stai bene? »

Quando gli fu abbastanza vicina, senza togliersi le mani dalla fronte, lui le scoccò uno sguardo di profondo astio.

« Bene un corno! » Sbraitò, furibondo. Bene?! Come faceva a stare bene?! « Mi hai tirato un addosso sasso! » La accusò istericamente senza smettere di tenersi la fronte con una mano « Ma sei cretina?! »

Hermione, che guardava la fronte di lui con aria colpevole, gli rimbeccò, con voce rauca:

« Non l’ho fatto apposta! » E poi tentò di togliergli la mano per vedere come stava veramente.

Si ritrasse istantaneamente, ma venne di nuovo pragmaticamente riacciuffato.

« Ehi, lasciami! » Tentò di dirle, alterato e agitato. « Potresti riaprire la ferita! »

Rafforzando la presa sul suo braccio e sollevando gli occhi al cielo Hermione gli rispose, sempre con aria colpevole, ma comunque esasperata:

« E’ solo una botta, Draco. »

« Fa male! » Gemette lui, lottando strenuamente contro Hermione. « Fa malissimo! » Gracchiò con strilli acuti, cedendo infine alla forza con cui la ragazza tentava di sottrargli la mano – forza che riaccese in lui la speranza che lei effettivamente fosse un golem di roccia. Comunque, quando lei finalmente riuscì nel suo intento, lui si accorse di una minuscola macchietta rossa che sbavava un po’ il rosino della mano e colse l’occasione per concludere, tragico: « E sanguino! »

« Oh, smettila di urlare. » Lo zittì Hermione leggermente infastidita.

« Ahh! » Strillò, ignorandola, mostruosamente acuto e mostruosamente teatrale. « Non vedo niente! Il sangue mi ha coperto gli occhi! » E in effetti una parte destra del suo occhio sinistro non riusciva a vedere del tutto l’incavo del pino al limitare della tenuta di Hogwarts. A circa 300 metri di distanza. « AH! » Gridò, più forte che poteva. « AHH! SONO DIVENTATO CIECO! »

« Vuoi smetterla di urlare?! » Tentò di fermarlo Hermione, mettendosi le mani sulle orecchie.

Ma lui non smetteva. Allora lei lo agguantò saldamente per un polso e lo trascinò verso Hogwarts. Naturalmente lui oppose resistenza, imprimendo le caviglie nelle nave e possibilmente nella terra sotto le neve. E proprio nell’opporgliela ad un tratto finì per darle le spalle e guardare dietro di loro.

Le grida si smorzarono in quel momento.

Dietro di loro, due strisce tratteggiate d’impronte si incrociavano e a volte sovrapponevano, proseguendo insieme.

Ah…

Ecco perché.

Non gli era mai piaciuta la neve perché era bianca e lui invece era un puntino nero. E non era mai stato bello girarsi per vedere solo se stesso risaltare sulla neve. Solo le sue impronte. Solo la sua realtà. Solo la sua solitudine. Era sempre stato così. Che tutto fosse grigio o tinto di colori non veri. Che lui ne fosse consapevole o meno, era sempre stato così.

Ma non tutto resta uguale.

E dietro di loro la neve per una volta non era tanto brutta.

Ma la differenza tra il prima e il poi. La differenza tra quello che aveva in quel momento e quello che non aveva mai avuto, era un tormento pressante. Qualcosa che restava chiuso in una scatola tenuta il più infondo e lontano possibile.

Qualcosa che rischiava di sconvolgere troppe cose troppo in fretta se solo fosse uscito.

« Sembra che qualcuno le abbia tirato un sasso, Signor Malfoy. » Gli disse Madama Chips quando furono in infermeria, mentre gli scostava i capelli e gli imprimeva un fazzoletto di stoffa sulla fronte.

Scoccando un’occhiata velenosa all’indirizzo di Hermione, seduta di fronte a lui con un’espressione un po’ orgogliosa, un po’ colpevole e un po’ apprensiva sulla faccia, grugnì acido:

« E’ esattamente così, infatti. »

« Comunque non è niente di grave. » Fece Madama Chips alzandosi e mettendo a posto alcune bende. Gli si rivolse poi, con strascicato sarcasmo: « Stia a riposo e vedrà che non morirà. »

Lanciò uno sguardo tagliente e indignato verso l’infermiera, che sembrava non volersi più prendere cura della sua immensa ferita e che anzi si era già dileguata dietro la porta. Incrociando le braccia sul petto, con una smorfia scocciata e alterata sulla faccia, impose un silenzio monumentale nel piccolo antro occupato ormai solo da lui e Hermione.

Dopo qualche attimo, però, la Grifondoro trovò il coraggio di chiedergli un po’ timorosamente:

« Vuoi che ti porti qualcosa? »

Le scoccò un’occhiata penetrante e arcigno la freddò:

« No. »

« Vuoi che dico a qualcuno che sei qui? »

« No. » Ribadì sprezzante.

A questo punto, Hermione, facendosi nuovamente coraggio, con il tono di una persona che sta offrendo la cosa più bella al mondo, gli chiese:

« Vuoi studiare? »

Le lanciò un’occhiata allucinata e con autentica incredulità gridò:

« No! Ma come ti viene in mente?! Io- »

« Vuoi che me ne vada, allora? » Lo interruppe però lei, in tono sincero.

E anche un po’ speranzoso a dire il vero.

Speranzoso, nel senso che probabilmente sperava che quello potesse servirgli. Che in qualche modo potesse farlo contento. Restò zitto a guardarla per alcuni attimi. Nel suo protendersi autentico verso di lui. Nel suo aprire le sopracciglia in un’espressione totalmente comprensiva. Che in qualsiasi modo si sarebbe rivolta, sarebbe stata indulgente con lui. Sempre, gentile.

Con un tono molto meno aspro, ma ostinatamente sprezzante, le disse:

« … non mi interessa. » Ma poi immediatamente aggiunse: « Ma non puoi lasciarmi qui con quella donna. »

E per quella donna non si intendeva necessariamente Madama Chips.

Non era nessuno, in verità. Era qualsiasi cosa che potesse significare “non puoi lasciarmi qui da solo”. O “non te ne andare” nel vocabolario di Draco Malfoy e nel linguaggio di quell’accordo stranissimo tra loro due. Che non si erano mai detti. Che non avevano mai definito. Ma che si era definito da solo.

E che fece dire a lei, sorridendo:

« D’accordo. »

Ritornò allora il silenzio. E lui, con un braccio appoggiato ad una finestra e la testa abbandonata sul polso della mano, si mise a guardarvi fuori, mentre lei, più composta, faceva altrettanto. Entrambi straordinariamente tranquilli seppur protagonisti di una scena anormale proprio nella sua generica normalità.

Ognuno ad un lato della finestra, Hermione Granger e Draco Malfoy che vedevano scendere la neve…

« Ha ripreso a nevicare. » Mormorò ad un tratto la ragazza, con voce un po’ sconsolata. « Chissà che fine ha fatto il Manuale per Maghi Autodidatti… »

A quelle parole qualcosa si mosse dentro di lui: il timore, forse, che lei potesse uscire e andare a cercare quello stupido manuale da sola. E fu istintivo lo slancio di aprire la bocca per impedirglielo, dicendole che quel coso era nella sua stanza. Ma lei si girò improvvisamente verso di lui, con un cipiglio e uno scintillio di pura determinazione negli occhi, ed esclamò:

« Che ne diresti di andarne a comprare un altro quando andremo a Hogsmean? »

Preso alla sprovvista ed esterrefatto, si trovò a replicare:

« Io e te in giro ad Hogsmean? »

« Solo per il tempo di andare a comprare il Manuale per Maghi Autodidatti. » Si spiegò con praticità Hermione. « Sarà questione di pochi minuti. » Rincarò risoluta. « Ma devi esserci anche tu perché così puoi scegliere tu quale versione prendere. »

Lo stava… invitando?

Fu stranissimo. Una cosa del genere era già successa in termini simili anche un mesetto prima. Ma aveva avuto un seguito molto diverso da quello che ebbe quella volta, perchè non provocò in lui alcun genere di sdegno, di disgusto.

« Se proprio devo. » Rispose infatti, senza neanche preoccuparsi troppo di fare il disinteressato. Tanto ormai aveva capito che non era poi così importante la sua reazione. Sia che fosse stato irriverente, offensivo, acido, o odioso lei non si sarebbe comunque lasciata condizionare. E con entusiasmo – esattamente come fece quella volta – avrebbe replicato:

« Benissimo! Dove ci troviamo? »

Si strinse nelle spalle, indisponente di natura.

« Dove ti pare. »

« Mielandia? » Propose Hermione. « Alle tre? »

« Ok. » Annuì.

E quando tornò nella sua stanza, circa una mezz’oretta dopo, bruciò con un incantesimo il Manuale per Maghi Autodidatti. L’unica prova esistente che avrebbe potuto impedirgli di avere una scusa per andare a Hogsmean con Hermione Granger.

*** *** ***

Sabato 14 Dicembre. Ore 17.37
Hogsmean. Libreria.

Poteva sopportare che lui la riprendesse per essere arrivata in ritardo quando era semplicemente che lui era arrivato con 15 minuti d’anticipo e lei con soli 5. Poteva anche sopportare che lui decidesse che tutti i libri che leggeva lei fossero a prescindere da tutto delle noiosissime stupidaggini. Poteva persino sopportare che lui l’avesse costretta – a pagamento del presunto ritardo – ad accompagnarlo in un negozio di articoli per il Quidditch ritardando di un’ora e mezza il loro tour per la libreria. Che però lui si mettesse a contestare su qualsiasi sua decisione in merito al nuovo manuale che avrebbero comprato questo non lo sopportava!

« Secondo me questa è migliore. » Ribadì Draco per l’ennesima volta con convinzione, appoggiato allo stipite di uno degli scaffali, guardandola con un sopracciglio inarcato e tenendo in mano un libro marroncino, rilegato finemente.

Gli scoccò un’occhiata indispettita, chiudendo con uno sciocco secco il libro che stava sfogliando.

« Perché, scusa? » Lo interrogò severamente e sollevando il naso all’insù. « In questo c’è anche una sezione aggiuntiva sulla materializzazione. » Con una mano che accarezzava con estrema delicatezza la copertina del libro che aveva tra le mani, gli chiese, secca: « Quello che ha? »

« Una copertina migliore, per cominciare… » Rispose superiore il Serpeverde. Poi, annusandolo con fare meditabondo definì, molto chiaramente: « … e un odore migliore, per finire. »

Assottigliò l’espressione del viso su di lui e grugnì, acida:

« Mi sembrano criteri un po’ futili per decidere quale dei due manuali sia il migliore. »

« Perché? » Le rimbeccò altrettanto acido. Quasi, acido nello stesso identico modo. « Decidere quale sia il migliore in base ad una stupida sezione aggiuntiva ti sembra sensato? »

Ovviamente, stupido ignorante.

Questo era quello che avrebbe voluto rispondergli sulla spinta del nervoso che le veniva guardando quella stupida faccia idiota. Ma decise di essere matura e responsabile. Decise di essere straordinariamente paziente. Ed eccezionalmente comprensiva.

« Tu non sai ancora materializzarti. » Puntualizzò, dunque, petulante. « Potrebbe esserti utile, no? »

Draco le rivolse uno sguardo a dir poco commiserante, dopodiché puntualizzò caustico:

« Io so già materializzarmi. »

Oh.

Detto ciò, lasciandola perplessa e con assolutamente nessuna obiezione da rivolgergli, si staccò dallo scaffale e andò al banco dove una strega stava svogliatamente sfogliando un opuscolo su come trasfigurare le sue rughe. Lo raggiunse proprio quando disse, secco e sprezzante:

« Questo. » E appoggiò sul bancone il libro.

La strega dietro la cassa sollevò appena lo sguardo dal proprio opuscolo. Ritornando poi nuovamente su di esso, disse, pigramente:

« 3 Falci. »

Sentito ciò, prima che il Serpeverde potesse pagare, lei frugò nelle proprie tasche ed estrasse qualche falce, mettendone sul bancone tre e rimettendo le altre in tasca.

Vide Draco guardarla in un modo stralunato.

« Che fai? » Le chiese, indignato. « Non sono mica un morto di fame. »

« No, ma te lo regalo. » Gli disse, tranquilla, con estrema naturalezza. « Tra poco è Natale, no? »

Lo vide restare per qualche attimo in silenzio, a guardarla con un’espressione strana. Per quei 5 soliti secondi in cui ogni tanto si interrompeva qualsiasi cosa tra loro. E prendeva a regnare un silenzio importantissimo.

Su quei silenzi… si era edificato qualcosa che nessuno dei due capiva ancora.

Comunque, dopo quei 5 soliti secondi, tutti e due si riprendevano molto bene e abitualmente una delle sopracciglia di lui si dilatava un po’, con estrema indignazione.

« 3 Falci non sono un regalo. » Definì infatti sdegnato. « E’ elemosina. »

Mise le mani sui fianchi e rettificò aspra:

« 3 Falci non sono elemosina. » Dopodiché, scuotendo il capo con una qualche certa contrariata rassegnazione, aggiunse: « E comunque il regalo sarebbe il libro. »

Non sapeva per quale strana legge fisica nell’immaginario di Draco si fosse subito delineata l’idea dei soldi associata a quella del regalo. C’erano ben tre possibilità. Prima: due passaggi logici erano troppi per il suo cervello. E perciò i soldi non potevano corrispondere al libro che a sua volta corrispondeva regalo, ma i soldi dovevano necessariamente corrispondere direttamente al regalo. Seconda possibilità: lui era abituato a ricevere denaro al posto di regali. Terza: più in generale, Draco non era proprio abituato a ricevere regali.

In realtà la questione era ben diversa. E il Serpeverde, che la guardò con aria vivamente contrariata e assolutamente esterrefatta, le delucidò il concetto, aspro:

« Cosa stai dicendo? Neanche un libro è un regalo. »

Inarcò un sopracciglio, con esasperazione, e scosse un poco il capo traendo un rassegnato sospiro, mentre Draco, davanti a lei, assumeva tratti sempre più ovviamente inorriditi di fronte all’idea che un libro potesse essere considerato un regalo.

A quello spettacolo la strega dietro alla cassa aveva assistito – e stava assistendo – con una certa strascicata insofferenza, e, pragmatica, colse quegli attimi di silenzio per prorompere:

« Allora…? »

Hermione, stringendosi nelle spalle, rivolse a Draco uno sguardo impazientemente interrogativo e questi, altezzosamente, definì con superiorità:

« Ormai hai tirato fuori i soldi, no? »

E ti pareva!

Tirando un profondo sbuffo, mise sul bancone i soldi e prese in mano il libro .Quando però si girò per consegnarlo a Draco, questi si era già avviato alla porta. Traendo un altro sbuffo, lo raggiunse appena in tempo per sentirlo annunciare, serafico:

« E’ tardi. » E poi, girandosi seccamente verso di lei: « Muoviti: torniamo a Hogwarts. »

« Insieme? » Domandò sorpresa.

Lui le lanciò uno sguardo ovvio e superiore:

« Mi hai fatto perdere tutto il pomeriggio in quella libreria pulciosa. Come minimo adesso mi porti le borse. » E le porse le due borse piene di dolciumi e assurdità presi durante la mattinata.

Lo guardò sconvolta.

« Che cosa?! Ma sono pesanti! »

Piegata in due sotto il peso di tutte le borse che aveva preso in un riflesso incondizionato, sperò che lui si rendesse conto di quanto realmente pesanti fossero. Non voleva impietosirlo, intendiamoci. Voleva farlo giungere al buon senso!

Per deduzione, possibilmente.

Per parte sua, Draco le rivolse uno sguardo dall’alto in basso, e ordinò:

« Avanti, muoviti. »

E senza neanche attendere che lei obiettasse, si girò seccamente e cominciò a camminare.

Assottigliò lo sguardo sulla schiena di lui, con astio.

Mostro!

Fece il primo passo con fatica e guardò con aria contrariata le borse che a stento teneva sollevate da terra. Ma che diavolo aveva preso?! Pesava tutto un quintale! E che diamine! Trascinò i piedi per la strada innevata, continuando a guardare con astio il Serpeverde che con estrema calma e disinteresse andava da una vetrina all’altra, illuminato a sprazzi dalla luce giallognola dei lampioni. Ad un certo punto notò che Draco si soffermava più a lungo di fronte ad una vetrina sulla destra, ma non ci diede troppo peso. In effetti era talmente concentrata a progettare una punizione abbastanza crudele nei riguardi di quel brutto imbecille che non solo liquidò la cosa con sufficienza, ma anche finì per inciampare in una sporgenza di cemento che la neve aveva coperto.

Per non cadere del tutto riuscì ad aggrapparsi al muretto che attorniava un’aiuola provvidenzialmente vicino a lei.

Draco, richiamato dal rumore che la caduta aveva generato, si volse verso di lei.

Con assoluta superiorità esclamò, asciutto:

« Sei proprio un’impedita. »

Sollevò su di lui gli occhi fiammeggianti e con una voce resa stridula dal freddo e che giunse a lui quasi isterica, gridò:

« Pesa! » E precedendolo nel tentativo di sminuire la cosa, si lagnò con fastidio: « Pesa sul serio! »

Quando lo vide trarre un sospiro e lanciarle uno sguardo commiserante, pensò che si sarebbe rigirato e le avrebbe ribadito di muoversi. Invece, lui si mosse – se pur indolentemente – verso di lei. E a giudicare dall’espressione seccata che il ragazzo aveva sulla faccia non c’era certo da stupirsi che a questo punto lei temesse che lui, una volta chinatosi, l’avrebbe derisa e offesa.

Invece lui le tolse le borse dalle mani.

Senza aggiungere altro che un:

« Non si può dire che tu abbia il fisico per certe cose. »

Immersa nella neve. Nel vederlo rialzarsi sostenendo le borse che poco prima le aveva affibbiato. Lo guardò sorpresa.

Esterrefatta.

Perché la stessa cosa l’avrebbe fatta anche Dean. L’avrebbe fatta Neville. L’avrebbero fatta certamente anche Ron e Harry. Magari chiunque di loro l’avrebbe anche aiutata ad alzarsi. Ma lui non era loro. Lui era Draco Malfoy. E nonostante questo l’aveva invitata ad una festa. Si era preoccupato della sua salute. Le aveva fatto un regalo. Aveva girato per un’ora intera tra gli scaffali polverosi di una libreria.

E l’aveva appena aiutata a portare delle borse che pesavano come macigni.

E poco importava se quelle borse lei non avrebbe dovuto portarle da principio. O per principio. Davvero, poco importava.

Anzi… non importava proprio niente.

Lo vide voltarsi, infastidito, spronandola arcigno:

« Allora, ti muovi?! »

Scosse il capo, ritornando rapidamente alla realtà.

« Ah, si! » Replicò, sollevandosi da terra e facendo qualche passo in avanti, verso di lui.

Nel farlo, mentre lui riprendeva a camminare, passò accidentalmente davanti alla vetrina su cui lui si era soffermato. E la sua attenzione venne subito catturata da un oggetto particolare: un ciondolo d’argento con una piccola pietra verde scuro abbracciata da due serpenti che si intrecciavano tra loro.

Fu come un lampo. Un pensiero improvviso ma importantissimo.

20 Falci.

Non sarebbe elemosina…

Senza rifletterci un secondo di più, si schiarì sonoramente la gola.

« Ah, ehm! » Esclamò, in grido acuto e decisamente poco studiato.

Draco si girò verso di lei, a questo punto con gli occhi assottigliati in un’espressione affilata e tagliente.

« Cosa? » Le chiese, caustico.

Si strinse nelle spalle, ridendo come un’ebete e inventò con finta non-chalance:

« Ehm ho… ho lasciato una cosa in libreria. » Nel vederlo lanciarle uno sguardo assolutamente furioso, lo precedette, mettendo avanti le mani e rivolgendo le gambe già indietro: « No, no, tu va avanti. Io ti raggiungo dopo! »

E il Serperverde non se lo fece ripetere due volte a precederla imprecando come un matto contro di lei e contro i Grifondoro in generale.

Lei, invece, fece solo un paio di passi indietro. E quando lo vide girare l’angolo sgusciò nell’ingresso a fianco alla vetrina illuminata…

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Capitolo 10
*** Tra il prima e il poi [Parte Seconda] ***


Thanks to everyone

Thanks to everyone

Per il supporto, per i complimenti, per l’assiduità con cui seguite questa altalenante storia a puntante. E’ di rito ribadire l’impossibilità di garantire più frequenza: posso solo e sempre promettere che non verrà mai del tutto interrotta.

Buona lettura a tutti.
Spero che questo capitolo sia in grado di piacervi e coinvolgervi.

Le cose cominciano a muoversi…

… ma non come tutti sperate.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 10. Tra il prima e il poi [Parte Seconda]

I thought the world of you
I thought nothing could go wrong
But I was wrong
I was wrong
If you, if you could get by
Trying not to lie
Things wouldn’t be so confused
And I wouldn’t feel so used

Pensavo che eri tutto il mondo
Pensavo che niente potesse andare male
Ma mi sbagliavo
Se tu, se tu potessi farcela provando a non mentire
Le cose non sarebbero così confuse
E io non mi sentirei così usato

[CranberriesLinger]

*** *** ***

Domenica 15 Dicembre. Ore 15.37
Hogwarts. Un corridoio a caso.

Non si è fatta vedere…

Sconvolgente, quella considerazione turbava profondamente tutto il suo essere. Tanto da indurlo a calpestare con aria oltraggiata il pavimento dei corridoi di Hogwarts, sfogando l’irritazione su di esso in attesa di poterlo sfogare sulla persona che così sconsideratamente gliel’aveva causata. E, per inciso, non appena l’avrebbe trovata, prima di disintegrarla con un raggio laser o decapitarla con un calcio rotante, l’avrebbe messa a parte del fatto che in tutta la giornata non si era fatta vedere neanche una volta!

Lo trovava inconcepibile!

La fronte aggrottata e lo sguardo tagliente vagavano corrucciati da uno studente all’altro, cercando la chioma riccioluta di quella cretina che l’aveva esentato dallo studiare, quel giorno, e l’aveva mollato come un idiota senza nulla da fare!

Non è che lui prendesse ordini da lei, eh! La questione era molto differente!

Per quel che lo riguardava era altresì ben ora che lei si rendesse conto di quanto lui le fosse superiore! Del resto, riteneva oltremodo indegno che una persona si prendesse la responsabilità della sua specifica istruzione e vi si sottraesse con tutta quella leggerezza! Se fosse stata l’istruzione di Barile/Botte Paciock avrebbe trovato giustamente indegno il contrario, ovviamente. Ma si trattata della sua istruzione! Del suo futuro! Del perno di tutta la sua vita!

O per lo meno di quello che avrebbe dovuto essere.

E per quanto non lo fosse, trovava doppiamente indegno che quell’ignobile persona non lo considerasse tale, mancando di fiducia nel fatto che un giorno avrebbe potuto esserlo!

Nello svoltare per entrare nel porticato del cortile interno di Hogwarts, però, lo raggiunse una voce famigliare:

« Draco! »

Inconfondibilmente Hermione Granger.

Trovata!

Si girò seccamente verso dove era arrivata la voce, psicologicamente pronto a urlarle addosso tutto il giustificatissimo rancore per averlo tanto impudentemente ignorato per tutto il giorno. E non crediate: non è che quando se la vide arrivare in una corsa sgraziata, sorridente nel suo solito modo assurdo, con i capelli che ondeggiavano crespi al vento, lui pensò che le avrebbe risparmiato qualcosa.

Eh no!

Anzi, a maggior ragione l’avrebbe ripresa perché ingiustificatamente felice!

Perciò, assolutamente sicuro di sé, dilatò le narici, inspirò profondamente, aprì spropositatamente la bocca, gonfiò ancora di più il petto e-

« Draco, finalmente ti ho trovato! »

E flop.

Il fastidio si afflosciò.

Ma non perché era contento che lei l’avesse cercato, eh!

A lungo, comunque.

Certo, ovviamente doveva essere stato a lungo. Non c’erano possibilità che non lo fosse, altrimenti non avrebbe detto “finalmente”. Ed era indubbio che se invece avesse iniziato a cercarlo poco prima e accidentalmente trovato presto – o, peggio, se proprio si fossero incontrati per caso e proprio in quell’istante lei si fosse accorta che avrebbe dovuto cercarlo - sicuramente non sarebbe stata graziata del raggio laser o del calcio rotante. Del resto, raziocinando con estrema obiettività, ritenne che il fatto che l’avesse cercato – e cercato a lungo (magari addirittura dalla sera prima, non lo escludeva affatto, infondo lui si sarebbe cercato dalla sera prima se se ne fosse venuta a creare l’occasione) potesse rendere un poco più perdonabile la sua comunque scorretta e deplorevole attitudine irresponsabile.

Con una disposizione d’animo molto più indulgente aspettò dunque che lei si avvicinasse ancora di qualche metro. Lo fece guardando attentamente la goffaggine con cui sgambettava in modo assolutamente ridicolo verso di lui.

E, si, a quel punto si sentì disposto a risparmiarle un po’ tutto quello che aveva progettato di infliggerle.

Gli venne anche quasi voglia di rivolgerle una specie di smorfia derisoria.

Qualcosa che a un sorriso ci sarebbe anche assomigliato, magari. E, forse, i molti che intorno a lui stavano notando, perplessi, che il Draco Malfoy sempre corrucciato, arrogante e sprezzante di sempre in quel momento aveva qualcosa di molto diverso dal solito si sarebbero infine convinti che non fosse davvero solo un’impressione.

Che più sereno di tanti lo fosse diventato sul serio.

D’altro canto non appena si rese visibile, appena dietro a Hermione, un’inconfondibile testolina scarlatta, il suo umore capitolò rapidamente.

E tornò il caro vecchio, cupo e aspro, odioso e collerico Draco Malfoy che tutti conoscevano.

Riaggrottando la fronte che si era appena rilasciata, concluse rapidamente che l’indifferenza e la sciatteria con cui Hermione Granger l’aveva ignorato per almeno tutta la mattina – composta da ben cinque ore, 300 minuti e ben 18.000 secondi - trascorrendola viceversa con quella sottospecie di piattola ambulante era decisamente imperdonabile!

Altero, persino marmoreo nella sua nuova veste di giudice supremo, accolse Hermione assottigliando lo sguardo e ribattendo seccato:

« Che c’è? »

Ginny Weasley gli scoccò un’occhiata fulminante, come per dirgli di tacere immediatamente e non rivolgersi ad una sua amica in quel modo.

Gli saltarono subito i nervi.

Da quando in qua quel Piattolame Strisciante pensava di valere tanto da prendersi il diritto di opporsi ad un suo modo di fare?! L’idea che lo pensasse da sempre unita all’immagine della loro più recente, furiosa discussione – in cui l’aveva apostrofato in mille indignitosissimi modi – diede fuoco a tutti i nervi rimasti.

Le rilanciò uno sguardo cocente.

Hermione, invece, ignorando completamente qualsiasi fattore esterno – preda, solamente, di una fervente eccitazione – esclamò:

« Volevo chiederti come andava il Manuale! E’ da ieri che ci penso! Com’è? Abbastanza chiaro? Scorrevole? Interessante? »

« Quale Manuale? » Domandò in tono inquisitorio la sorella del bifolco più bifolco della famiglia più bifolca del mondo del bifolchi. Squadrando con sospetto e un qual certo istintivo orrore l’espressione contenta dell’amica.

Da parte sua, lui le lanciò un altro sguardo assolutamente inequivocabile.

Di un’irritazione molto diversa dalla precedente, però.

Perché, più di tutto, non trovava legittimo che quell’isterica e insignificante ragazzina se ne stesse lì, con quell’espressione da schiaffi, a partecipare ad una cosa che non la riguardava. Certo, era odiosa anche solo per il fatto di esistere, anche solo per essere nata sotto lo stesso tetto di Ronald Lenticchia Weasley, Zerbino tutto fare e senza prezzo… ma restava tutto sommato sopportabile finché non interveniva in qualcosa che, obiettivamente, non c’entrava proprio niente con lei.

Per la precisione, quando Hermione Granger parlava con lui, i suoi stupidi amichetti non dovevano intromettersi. Niente perché. Niente ma. Niente obiezioni. Niente di niente.

Era così e basta.

Per questo replicò aspramente molto prima che potesse farlo Hermione:

« Nulla che possa interessarti, Weasley. »

Un lampo passò negli occhi acquosi di Ginny. Che subito scoccò a Hermione, accanto a lei, uno sguardo triplamente inquisitorio.

Caschi male, stracciona, nessuno ti dirà niente.

« Un Manuale che abbiamo comprato ieri a Hogsmean. » Disse al contrario Hermione, spensieratamente. In un gran sorriso che lui ritenne ebete in una maniera a stento concepibile.

Le lanciò un’occhiata tra lo sconvolto e l’indignato, sbottando con voce acuta:

« Perché gliel’hai detto?! »

« Siete andati a Hogsmean insieme?! » Stridé invece Ginny, con voce ancora più acuta, e ancora più sconvolta.

Nell’istante esatto in cui Hermione scostò il capo per raccontare all’amica le loro vicissitudini, lui aggrottò la fronte con profondo risentimento.

Perché aveva risposto prima a lei? Perché si stava rivolgendo a quell’essere inutile quando lui era presente? E perché le parlava come se fosse un essere utile?! Il fatto che fossero sempre state grandi amiche non gli sembrava una motivazione sufficiente!

Ma alla fine Hermione sorrise anche a lui. Ancora entusiasta. Ancora eccitata alla sola idea di quell’insulso manuale. Ancora ridicolmente contenta.

E lui se ne dimenticò…

Si dimenticò che aveva pensato che esistessero affari solo loro. Si dimenticò che Hermione aveva impunemente prestato prima attenzione a Ginny Weasley piuttosto che a lui. Si dimenticò che esisteva Ginny Weasley.

E la corresse, aspro per la necessità di essere se stesso, con una smorfia sul viso che non era solo una smorfia:

« Comunque è uno stupido manuale. »

Hermione inarcò le sopracciglia, ritraendosi con sdegno e dando definitivamente a Ginny le spalle e la chioma riccioluta. Cominciò allora a rinfacciargli che non era affatto stupido. E tanto più lui le rinfacciava che invece lo era, tanto più lei si ostinava.

Per qualche minuto gli piacque notare come Miss Migliore Amica venisse tenuta da parte. E poco importava se non era tanto per lui quanto per un libro – che comunque apparteneva a lui.

Per il resto del tempo, comunque, per quanto splendidamente cupa potesse diventare la Blatta, le uniche cose che vide furono le espressione corrucciate, offese, arruffate e splendenti di Hermione.

E quando si separarono, Ginny Weasley era una maschera di disapprovazione e lugubrità che si riduceva ad una macchia inutile su un pavimento.

Mentre loro due erano semplicemente loro due.

Nelle loro versioni migliori.

Ma questo per qualcuno era un po’ davvero troppo…

Tornò tranquillo nella sua sala comune.

Guardando fuori da una delle finestrelle che davano sul cortile gli parve che stesse per ricominciare a nevicare.

Si sentì pieno di un luminoso senso di aspettativa.

Perché se avesse di nuovo nevicato lui e Hermione avrebbero di nuovo fatto a palle di neve. Era quasi sicura che ci sarebbe stata occasione senza andarla troppo a cercare. Ma se mai non ci fosse stata, riteneva comunque che non sarebbe stato troppo difficile crearla. Infondo, lui non era per niente una persona distratta, ma Hermione era abbastanza credulona da poterlo pensare se glielo si fosse fatto credere.

Perciò sarebbe bastato poco per convincerla che aveva di nuovo dimenticato un qualche manuale al campo di Quidditch. Da lì, poi, tutto sarebbe stato semplice. Un’offesa inventata. Una palla di neve lanciata. Qualche scivolone e qualche corsa tra le panche.

E se proprio sarebbe venuta troppo presto l’ora di rientrare al castello, avrebbe comunque potuto fingere che lei gli avesse tirato un sasso in testa. Così, di certo, se anche fossero rientrati, sentendosi colpevole lei non se ne sarebbe tornata dai suoi stupidi amici ma sarebbe rimasta a vegliare sulla sua ferita.

Davanti ad una finestra.

Aspettando la prossima nevicata.

E pensando che la primavera era ancora molto, molto lontana. Pensando a un numero probabile di volte che avrebbe davvero potuto nevicare. Una smorfia soddisfatta gli illuminò non lo sguardo, ma proprio tutto il viso.

Era quello il suo limbo.

In cui pensava di poter restare ancora a lungo. In cui pensava di poter decidere cosa fare, quando farlo, con chi farlo, condizionando tutto e tutti e non venendo condizionato da nessuno. Era quello il limbo in cui si sentiva libero di fare qualunque cosa e di star bene, alle sue condizioni, finché ne avesse avuto voglia.

Inutile dire che arriva per tutti, prima o poi, un momento per capire come vanno realmente le cose…

« Ti diverti? »

Si girò verso l’ingresso della sala comune, stranamente vuota a quell’ora del pomeriggio. A pochi passi dalla soglia, una Pansy Parkinson straordinariamente al peggio di sé lo scrutava con stampata in viso una smorfia scolpita nelle pietra. Le braccia incrociate sul petto. Le pupille già fiammeggianti.

« Come? » Le domandò, subito inacidendosi.

« Ti ho chiesto se ti diverti. » Ripeté lei, schioccando le parole con un tono tagliente, mentre gli occhi azzurri lo fissavano con un’espressione strana.

Un’espressione di fronte a cui, per dirla tutto, gli andò subito il sangue alla testa.

Perché Pansy lo guardava quasi come se lui fosse un Corvonero. Anzi, peggio! Un Tassorosso! E oltre a Lady Polpaccio-da-Macho Weasley che si intrometteva nei suoi affari, ciò che odiava più al mondo era Pansy Parkinson che lo guardava come se fosse un Tassorosso!

Inarcò le sopracciglia, altamente seccato.

« A fare cosa? » Schioccò, acido.

« A farti mettere sotto da quella sciacquetta della Granger. » Sibilò, velenosa, Pansy, con un lampo crudo che le sfrecciò negli occhi.

Lo sguardo gli si acuì a sua volta, infiammandosi rapidamente.

« Io non mi faccio mettere sotto da nessuno! » Sbottò, indignato. Da nessuno, in generale. E meno che mai Hermione Granger! Che una sciacquetta non lo era, comunque. « E ora, io andrei, se non dispiace a te e ai tuoi scatti isterici! » Aggiunse caustico, pensando che in quel modo avrebbe brillantemente chiuso quella stupidissima conversazione.

Beh, Draco Malfoy, di donne, non ne capiva un’h.

« Mi stai dando dell’isterica, Draco? » Vibrò Pansy, cominciando a fissarlo con uno sguardo da indemoniata.

Si ritrasse di un passo, perplesso.

E adesso che le prende?

Le aveva fatto qualcosa? Non gli sembrava. L’aveva offesa in qualche modo che si meritava? Probabile, ma comunque se lo meritava. L’aveva offesa, allora, in qualche modo che non si meritava? Improbabile: che insulto non si meritava? Forse, essendo lui molto bello… no, anzi, essendo lui eccezionalmente bello, Pansy era gelosa del fatto che per lui non fosse più importante della cicca sputata da Goyle e appiccicata da Tiger sotto la cattedra della McGranitt giusto due giorni prima.

Quando la vide avanzare, a pugni stretti, e intravide un libro appoggiato sul comodino vicino, un improvviso dejaveu gli balenò nella testa.

E tutto d’improvviso le guance gli si incassarono, impallidendo.

Oh porca vacca…

Cominciando a sudare freddo e ad un passo dall’essere preso dal panico, afferrò stoicamente il vago sprazzo di lucidità che ancora possedeva e osò il tutto per tutto. In un gesto fulmineo, avanzò, agguantò il libro con una mano e ri-indietreggiò di due passi, per estrema precauzione.

Gettando un’occhiata rapida a Pansy notò che questa aveva assottigliato ancora di più lo sguardo e dilatato le narici del naso in una maniera eccezionalmente minacciosa. Ma, del resto, sentendosi il libro tra le mani, le sue guance tornarono del bel bianco-verdastro di sempre, ri-ingrassando di qualche grammo.

Infondo – anche se obiettivamente non era il suo punto migliore - ci teneva alla sua fronte. E senza libro, per quanto folle, Pansy gli sembrava a quel punto relativamente innocua.

Decisamente, Draco Malfoy, delle donne, non ne capiva un’h.

« Cosa… » Pronunciò con voce strozzata Pansy, mentre lo scintillio nei suoi occhi acquisiva una più tetra e nello stesso tempo più intensa luminescenza: « Si può sapere cosa diavolo ti affascina tanto di lei?! »

Ed ecco il momento esatto in cui Draco Malfoy ebbe il suo momento di gloria come replica perfetta dell’Urlo di Munck.

Perché non si ammutolì, semplicemente, traumatizzato. Non spalancò semplicemente gli occhi in risposta ad uno sgomento che gli sorgeva direttamente dall’anima a quel punto straziata. No, in quel momento tutto il suo essere acquisì le tonalità drammatiche di un cadavere che ha avuto una vita piena di tanta, tanta sofferenza.

Ritornare alla realtà, dopo l’attimo di vuoto assoluto che si era impadronito della sua mente provata, non fu d’aiuto.

Io affascinato… da CHI?

« Ho bisogno d’aria… » Biascicò, atterrito, facendo un passo incerto verso le scale e scostando gli occhi al pavimento. Lottando strenuamente per non accasciarsi al suolo, preda di violenti sbalzi di temperatura e di un vorticoso capogiro.

Hermione Granger era una persona intelligente?

Va bene, era intelligente. Era, inoltre, tutto sommato, generosa e gentile? Va bene, tutto sommato lo era. Ed era divertente? Oh si, lo era eccome. Di un ridicolo allucinante, da piegare in due la persona più cinica e indifferente della terra. Ed aveva l’aspetto di un essere umano? … ok, magari non ad una prima occhiata, ma infondo si poteva definire una pianta o un animale? No, perché anche se i suoi capelli erano un po’ come la chioma del Platano Picchiatore comunque aveva due mani con cinque dita ciascuna. Il che implicava che fosse per lo meno un animale. E del resto, se lo fosse stato avrebbe dovuto necessariamente essere una scimmia – sempre per la questione delle dita. Ma lei era una scimmia?

Una scimmia, eh…?

No… ok, non era una scimmia. Va bene! Era un essere umano! Lo era! E va bene! VA BENE! OGNI TANTO SEMBRAVA PURE UNA RAGAZZA! SI! Si, per dio, lo ammetteva!!

Ma… affascinante?

Travalicava a stento i limiti della decenza.

E senza scomodare tutto il resto, sarebbero bastati i capelli ad annichilire ogni minimo dubbio al riguardo.

Incurante dello stato spaesato e puramente sconvolto in cui versava in quel preciso momento, distrutto psicologicamente dall’idea che qualcuno lo credesse capace di rimanere affascinato da Hermione Granger, Pansy gli si avventò addosso, facendolo ritrarre istintivamente di un altro passo.

« L’hai già dimenticato, Draco? » Gli gridò, alterata, tesa come una corda di violino per ragioni che lui, sinceramente, avrebbe fatto fatica a capire persino se fosse stato lucido. E per di più – a causa di quella pazza! – non era mai stato in uno stato più confusionale di quel momento! « Hai già dimenticato tutto quello che rappresenta?! Quello che lei, semplicemente, incarna! » Aggrottò le sopracciglia, turbato. Ma che diceva? Incarnare? Ma stavano parlando di cibo? E perché proprio di carne? A lui non piaceva. Gli piaceva la marmellata all’arancia, invece. E comunque cosa c’entrava il cibo?! « Hai già dimenticato quante volte hai pensato che saresti stato contento che non esistesse?! » Che non esistesse chi? Cosa? La carne? La marmellata all’arancia? « Quante volte lei, Draco, quante volte la Granger ha desiderato che tu non esistessi?! »

Pur nella confusione mentale di quel momento, quelle parole Draco le intese nitidamente.

E in un gesto inconscio, secco e rapido, allontanò la mano che Pansy aveva teso verso di lui nella foga del momento. E la guardò inconsapevolmente serio. Con qualcosa nello sguardo che era insieme lacerante e lacerato.

E per quanto Pansy sarebbe impallidita, dalla rabbia, dall’angoscia o dal terrore, da quel momento in avanti chi avrebbe perso veramente colore, tra i due… sarebbe stato lui. Mentre il tono della conversazione che fino a quel punto gli era sembrata un gioco – pur di pessimo gusto – acquisì qualcosa di così amaro da fargli salire un conato di vomito in gola.

« E se anche fosse? » Ribatté, cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla mente. Ma con la fronte talmente aggrottata da fargli male.

« Credi davvero che per lei non sia più così? » Gli domandò fremente Pansy. Con le membra tremanti. Con la voce stridula che gli parve così acuta che le orecchie cominciarono a fischiargli. « Credi davvero che lei abbia improvvisamente messo tutto da parte? Credi davvero che voglia stare con te?! »

« Che diavolo stai dicendo?! » Replicò, con lo sguardo che lottava per non apparire contratto da un’improvvisa mancanza d’aria.

Che diavolo stava dicendo?

Una persona che correva in quel modo così stupido. Che rideva in quel modo così ridicolo. Una persona che si impegnava in quella maniera così maniacale. Che detestava il Quidditch ma avrebbe inforcato una scopa per dimostrare di saperci andare. Una ragazza che andava in giro con quel tipo di capelli senza vergognarsene. Che capeggiava guerre contro gli Elfi Domestici e si entusiasmava per un libro.

Una persona che sapeva essere orgogliosa di tutti…

Una persona così valeva mille Pansy Parkinson. Una persona così poteva essere gentile col suo peggior nemico. Una persona così poteva sorridere a chiunque. Vivere nel suo limbo lasciando che lui decidesse tutte le regole. Una persona così poteva… poteva…

Cancellare sei anni d’odio?

Si, Hermione Granger l’aveva fatto! Era strano? E allora? Lei era strana!

Lei l’aveva fatto!

Oppure…

Oppure…

Oppure aveva ragione la voce che stava disfacendo il suo cervello.

La voce che ancora non ascoltava. La voce a cui non aveva dato importanza, fingendo che non ne avesse. A cui aveva sempre guardato con supponenza, pensando di poterselo permettere. Una voce che parlava di un’idea che una persona che ha visto anche solo per un momento quanto in basso possano cadere le persone, ha, almeno una volta, per chiunque lo circondi.

L’idea che sei anni di odio non si cancellano.

L’idea che Hermione Granger, per quanto potesse essere speciale, non sarebbe mai potuta, comunque, essere così impeccabile…

Fu strano…

… impercettibile, quasi…

… ma in quel momento sentì qualcosa spezzarsi.

« Tu sei stato solo il meno sveglio! » Urlava Pansy, invece, sconsideratamente. Persino, quasi con disperazione. « Tu sei stato solo quello che si è lasciato ingannare dai sorrisi! Dagli sguardi! Per questo lei è rimasta con te fino a questo punto! »

La sua espressione si deformò, spaccandosi come quello che si era appena spaccato dentro di lui. In frantumi, un senso agghiacciante di frustrazione e cocente vendetta lo invase. E gli occhi gli si dilatarono, mentre la fronte gli si contrasse.

« Quando guardava te, i suoi occhi non vedevano te! »

E il libro che le dita tenevano a stento divenne improvvisamente impossibile da sostenere…

« Quando guardava te, i suoi occhi vedevano- »

Uno screzio acutissimo mozzò in gola la voce di Pansy.

Il libro che aveva tenuto tra le dita vigeva sul pavimento, dopo avervi cozzato e aver prodotto uno screzio che era echeggiato, breve, per le mura di pietra.

La sua mano restava ancora mezza sollevata. Stretta in una morsa brutale che ne sbiancava le nocche e ne faceva tremare le ossa.

Pansy Parkinson, invece, restava in piedi, pietrificata e ammutolita, di fronte allo sguardo incredibile di un ragazzo che conosceva da anni e di cui sino a pochi giorni prima avrebbe detto di conoscere ogni espressione come le sue tasche. Del resto, come non gli aveva mai visto il sorriso che lui aveva rivolto a Hermione Granger, poco prima, e per cui aveva voluto farlo pagare… non gli aveva neanche mai visto lo sguardo con cui la fissava in quel momento.

Quel rancore che serrava i denti, per far uscire non un grido… ma un singhiozzo spezzato.

*** *** ***

Domenica 15 Dicembre. Ore 18.37
Hogwarts. Sala Comune di Grifondoro.

Ginny Weasley, abbandonata su una delle morbide poltrone di velluto rosso che troneggiavano nella stanza, fissava il camino con bieche occhiate di profondo risentimento. Avendo da molto rinunciato a lanciarle alla persona che le sedeva nella poltrona vicina e minimamente le aveva dato retta, assorta nella lettura di un enorme volume di Aritmazia.

Dopo alcuni attimi riempiti solo dal rumore scoppiettante dei lapilli del fuoco, Ginny si decise infine a mugugnare, tetramente:

« Ancora non posso credere che tu sia andata con lui a Hogsmean, Hermione… »

Sollevò gli occhi arzilli su di lei, guardandola con un’innocenza disarmante.

« Come? » Le chiese, inarcando le sopracciglia limpidamente.

« Niente. » Borbottò Ginny, sprofondando mollemente nella poltrona. « Ho detto che non posso credere che inizino le vacanze. »

« Vero? » Assentì con aria corrucciata, chiudendo con contrarietà il libro di Aritmazia. « Anche secondo me è troppo presto. »

In effetti, avevano fatto davvero pochi compiti. Pochi test. Trovava persino più opportuno che per il settimo anno venissero abolite tutte le vacanze.

Sarebbe stato senz’altro più funzionale.

Vide Ginny mettersi una mano sulla fronte, scuotendola con rassegnata esasperazione.

« Io intendevo che sono felice che siano iniziate. »

« Oh. » Esclamò, sorpresa e in qualche modo risentita.

« Va beh, comunque martedì facciamo la festa per l’inizio delle vacanze. » La incalzò Ginny con un po’ d’indolenza. « Ci vieni, no? »

In uno slancio istintivo di trepida disapprovazione per il sovvertimento delle regole per mere ragioni di ricreazione comune, si frenò appena prima di aprire la bocca. Riafflosciatasi cupamente sulla sedia, in preda al tormento che le recava aver voluto partecipare ad una festa sovversiva – vedi, quella per la vittoria di Serpeverde – troncò la disapprovazione, offesa con se stessa per non essersi permessa di mantenersi una studentessa onesta.

Rispose con un sommessissimo e profondissimo:

« … si. »

Ginny inarcò un sopracciglio, più soddisfatta.

« Bene. » Disse quindi, ritirandosi un po’ su sulla sedia, con qualche più vigoroso sospiro. « Sarà una bella festa, vedrai, ti divertirai. »

Oh beh, allora erano a posto!

Fissava ombrosa il fuoco scoppiante cercando una punizione abbastanza cruenta per il suo comportamento orribilmente irresponsabile. L’idea che si sarebbe divertita partecipando ad una festa che per la sua più aurea quintessenza violava una tra le più importanti regole di comportamento di Hogwarts non sapeva certo consolarla!

Maledetta Festa di Serpeverde!

Come le era venuto in mente di andarci?!

Ah già, Draco mi aveva invitata…

… ehi, un momento…

Un’idea che le sembrò subito incredibilmente geniale le attraversò il cervello e le schiarì il viso cupo in un’espressione folgorata.

« Senti, Ginny… » Esordì, persin sconcertata da se stessa da siffatta grandezza di pensiero.

Ginny si girò verso di lei, tranquilla.

« Cosa? »

« Posso portare Draco alla festa? »

« Prego? » Proruppe Ginny assottigliando lo sguardo su di lei con minaccioso sconcerto.

« Beh, ecco… lui mi aveva invitato alla festa di Serpeverde, quindi… » Cercò di dire, esitante, con gli occhi che restavano speranzosamente riflessi in quelli dell’amica.

Lasciò le parole sospese, fiduciosa del fatto che Ginny avrebbe infine compreso la sua buona fede. Infondo era solo una festa. E lui l’aveva invitata a quella di Serpeverde. Senza contare che, pur in una maniera alquanto atipica, Draco aveva avuto verso di lei qualche sorta di premura.

Non è che fosse in debito, o che volesse ricambiare. Era una specie di definitivo accordo di tregua.

Una specie di suggello di amicizia?

Nel pensarlo le venne in mente un sorriso.

Era quello che erano diventati.

Qualcosa di molto simile a quello, comunque. E la cosa, impossibile un tempo, la rendeva invece in quel momento molto felice.

Draco era un cretino, d’accordo. Ma anche Ron era un cretino.

E non significava che li stesse mettendo sullo stesso piano. Non li stava tanto meno paragonando. Il modo in cui Ron le era stato amico… il modo in cui Ron le era amico, era un modo che non cercava in nessun altro e non aveva mai neanche visto riflesso in Draco. Quando guardava Draco, a dire il vero, vedeva sempre un tipo di cretino molto differente da Ron.

Per quanto intensamente cretino allo stesso modo.

« Dimmi che stai scherzando, Hermione. » Riprese Ginny, criptica e perentoria nel tono di voce cadaverico.

Deglutì, nascondendosi inconsciamente dietro il libro di Aritmazia e osando ammettere, con voce fioca:

« … ehm… no… »

Vide Ginny socchiudere le palpebre e trarre un profondo sospiro per mantenersi calma. L’espediente riuscì. Se non forse per i tremiti scomposti che cominciarono scuoterla ad intermittenza facendola pensare che sarebbe rimasta ferrea e nauseata in una disapprovazione granitica. Esordendo in un “no”, secco, a cui, infondo, era pronta anche a rimettersi.

Al contrario, in nome della loro amicizia, Ginny Weasley e i suoi principi morali capitolarono dopo quindici secondi esatti.

Con una sofferenza che le segnava il pallido viso e le contorceva lo stomaco in nodi allucinanti. Che le faceva salire conati di vomito lungo la trachea – e c’è da notare che generalmente passano dall’esofago, il ché dava l’idea di quanto tutti il suo apparato digestivo potesse non digerire la cosa - Ginny esordì con voce strozzata:

« Se… »

« Si? » Saltò su, guardandola con un gran sorriso.

Intuì il conato di vomito brontolare nella gola di Ginny all’arcuarsi del tutto involontario della sua bocca, mentre quasi soffocandosi nel dirlo l’amica soffiava tra i denti:

« Se, per esempio, si togliesse dalla faccia quella sua insopportabile aria superiore… »

Facile.

Potrei trasfigurare la sua faccia.

« Se non mostrasse troppo le sue insane passioni per ciò che riguarda i Serpeverde… »

Mh, già più difficile.

Ed era mezza sicura che quando lui si sarebbe messo a discutere sul fatto che gli unicorni facevano schifo e i serpenti erano belli – argomento che nel suo immaginario sarebbe senz’altro saltato fuori – non avrebbe potuto addurre come scusa che non è scientificamente provato che i serpenti sono una passione ineluttabilmente legata ai Serpeverde.

Però potrei sempre tirargli un calcio sugli stinchi.

Certo, quello sicuramente avrebbe spostato l’argomento su altro.

« Se non mostrasse troppo di essere Serpeverde… » Continuava Ginny, impallidendo attimo per attimo.

Ahia. Altro difficile problema.

Trasfigurare i suoi vestiti non sarebbe stato sufficiente. E non avrebbe potuto tirargli un calcio sugli stinchi perché non sarebbe cambiato nulla.

Però una gomitata nello stomaco magari avrebbe fatto la differenza.

« Se, insomma, potesse riuscire ad essere meno se stesso … »

E qui non gli venne in mente nessun espediente violento o pacifico per ovviare al problema.

Del resto, nel tentativo di non svenire dalla vergogna e dal senso di colpa per il tradimento che sentiva stesse compiendo nei confronti di tutti i suoi più alti ideali, Ginny terminò, in un sospiro pesantissimo:

« … forse… potrebbe venire. »

E la gioia fu così immensa che, quasi luminescente, saltò giù dalla sedia incurante di tutto. Vibrante dall’eccitazione. Stringendo tra le proprie le mani fredde e pallide di Ginny.

« Grazie! Grazie! » Gridò, estatica, prima di correre via.

Spezzato il respiro a metà gola, Ginny osservò sconvolta le sue mani. Poi, ancor più atterrita, il libro di Aritmazia rivoltato indignitosamente per terra, con tutte le pagine spiegazzate che nell’euforia non si era accorta di aver fatto cadere.

Tornò però indietro appena pochi attimi dopo, con aria corrucciata. Si chinò sul libro. Lo chiuse. Ne appiattì molto bene tutte le pagine. E solo dopo averlo deposto con infinita cura sul divanetto, ritornò sui suoi estatici passi.

E Ginny Weasley tornò gloriosamente a respirare.

Sicura, almeno, di una cosa: che Hermione Granger restava e con ogni probabilmente sarebbe restata, sempre e comunque, Hermione Granger.

Ma la verità era che felice, Hermione, lo era tornata come non lo era tanto…

Nello svoltare, frettolosa ed eccitata, l’angolo dell’ennesimo corridoio si trovò di fronte niente meno che Draco Malfoy.

I loro sguardi si incrociarono da lontano.

Il suo si illuminò.

Quello di lui si contrasse. Ma Hermione non lo vide, come non vide quanto crudamente la guardava mentre si avvicinava.

… era talmente contenta che non lo vide.

E lo salutò, piena di spensieratezza:

« Draco! Ciao! »

Per la troppa foga, incappò anche nell’unica pietra messa male di tutti i pavimenti di Hogwarts e cadde carponi a terra, sbattendo le ginocchia sul pavimento.

Ahia!

Si rialzò faticosamente, mettendo le mani sulle gambe e facendo una smorfia nel sentire le ossa doloranti.

Ma nella sua testa non cambiò nulla.

E quando la risollevò – pur più contrariata – aveva ancora l’espressione di una persona che ha tanto di quello che avrebbe voluto avere. Che è felice di tante delle cose che le erano capitate.

… che una di quelle cose, infondo, ce l’ha davanti…

Nel gelo che l’accolse, nello sguardo vitreo di Draco, rimase imprigionata e, subito, ferita.

« Non chiamarmi più col mio nome. » Masticò il ragazzo, con gli occhi assottigliati, pulsante dalla rabbia. L’espressione le si infranse addosso. « Stammi lontana. » Ringhiò gelido, ancora, il Serpeverde, fissandola con un astio profondo. Con le mani che gli tremavano. « Non voglio più avere niente a che fare con te. Mai più, mi hai capito? »

Cosa…?

Non fece in tempo a riprendersi che Draco le aveva già dato le spalle.

Cosa aveva detto? Cosa era successo?

Lo seguì ammutolita, solo con lo sguardo.

Non poté obiettare, contrastarlo, fermarlo. Non poté nemmeno muoversi per qualche attimo. Nella mente, solo il vuoto. Nella gola, solo un respiro che faticava a deglutire. Negli occhi, solo un’angoscia improvvisa. Ma dentro di sé nessuna domanda.

Non se ne fece.

E neanche dopo ore cercò un senso a niente… perché l’aveva guardata in una maniera che non lasciava spazio a niente. Uno sguardo diverso da qualsiasi le avesse mai rivolto.

Un rancore vero.

Che aveva radici molto più profonde di quello generato dall’illusione di una nobiltà di sangue mancata…

E mentre dentro di sé sapeva che quella era la fine di qualsiasi cosa ci fosse stata, si sentì per un attimo come se gli occhi le si sarebbero riempiti di pianto…

*** *** ***

Lunedì 16 Dicembre. Ore 10.37
Hogwarts. Ingresso.

Certo, non dover dire a Dean che aveva permesso a Hermione di invitare Draco alla festa dei Grifondoro l’aveva fatta sentire molto meglio.

Sul momento, anzi, non le era importata una bella cippa che Dean l’avesse fermata ancora prima di iniziare a rotolarsi per terra supplicandolo di perdonarla, dicendole che Hermione lo mandava a dire che per la festa non se ne faceva niente. Aveva chiesto, ammutolita, il perché. Dean, altrettanto ammutolito, aveva detto che aveva visti incrociarsi Hermione e Draco e gli era sembrato che la temperatura fosse scesa molto sotto lo zero assoluto.

Scioccata, l’ombra di un sorriso si era impadronita del suo viso.

Avevano litigato?

Tanto meglio!

Non è che smaniava all’idea di trovarsi accidentalmente di fronte Draco Malfoy ad una festa dove si supponeva non ci fosse nessuno a cui voler spaccare la faccia. Certo, a Lavanda e Calì un bello schiaffone ogni tanto le veniva di darlo, ma da lì a risvegliare seri istinti sanguinari, pieni di squartamenti e cruente lapidazioni c’era un passo piuttosto lungo.

Beh, oddio… forse non così lungo, infondo.

Ma comunque se si parlava di Malfoy, nello specifico, lo diventava! Ed era stata veramente contenta di sapere che il pericolo di vederlo alla festa era stato scongiurato – anche se poi un improvvisa lettera mandata da Mamma Weasley l’aveva rivoluta a casa giusto per quel giorno, e quindi buona notte e suonatori alla festa di Grifondoro. E, parliamoci molto chiaramente, quando Neville, quella mattina a colazione, aveva detto che credeva che le cose tra Hermione e Draco fossero andate male, il ché – nessuno pareva ricordarselo – era come erano andate esattamente per sei anni, aveva ringraziato il cielo in olandese perché aveva esaudito le sue preghiere!

Mai avrebbe sperato in qualcosa di meglio, ecco.

E comunque qualcosa di meglio era perfino successo!

La cara Narcissa Malfoy, che per quel che le riguardava avrebbe dovuto seguire il marito in qualche posto poco meritevole, aveva fatto recapitare al figlio le stesse sollecitazioni della sua. Tralasciando l’avversione intestinale che gli mettevano quelle coincidenze che in qualche modo li accomunavano. Tralasciando la repulsione convulsa con cui per un attimo aveva ringraziato quell’arpia con una qual certa reverente gratitudine. Tralasciando tutto il resto, insomma si era preparata a partire in fretta e furia pensando che tutto sarebbe tornato alla normalità.

E per l’Hermione che non aveva visto dal giorno prima riteneva che il modo migliore per iniziare quel periodo di catarsi fosse vedersi strappata dal fianco la spina fastidiosa di quello che credeva di poter chiamare, nuovamente, con assoluto, incredibile, appagante e inimmaginabile orgoglio, la persona che sulla faccia della terra avrebbe avuto meno rapporti amichevoli al mondo con lei e le persone a lei care.

Draco Malfoy, i tuoi giorni di gloria sono finiti!

Si, era questo che aveva pensato.

Quando però era scesa all’ingresso di Hogwarts, trascinandosi dietro le valigie, e l’aveva visto accidentalmente incappare in Hermione e cercare di scansarla, pur non riuscendoci, le era parso che l’espressione di Draco fosse di un gelo innaturale.

Che, infondo, lo ammetteva, aveva comunque sorpreso anche lei.

Ma di Draco se n’era subito fregata.

Quella che aveva fatto crollare tutte le sue speranze era stata invece Hermione…

« Draco, senti… » L’aveva sentita esordire, con una voce che le era sembrata subito un po’ meno vivace del solito.

Aveva visto Malfoy ritrarsi brusco, dando le spalle a lei, che guardava.

« Ti ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te. » L’aveva sentito soffiare tra i denti, con un tono di un’asprezza corrosiva. « Non farmelo più ripetere, Mezzosangue. »

Ehi, ma che diavolo gli prende?!

L’aveva pensato.

Quasi in un moto contrariato, quasi pensando – pur non volendo accettarlo – che si era abituata che le cose non andassero più in quel modo. E si era offesa, forse, non perché lui avesse parlato tanto male, ma perché lui non le avesse più parlato bene.

Ma anche di quello se n’era poi dimenticata.

Perché nel ritrarsi di Hermione, dandole modo di vederla in viso, un’immagine terribilmente evocativa si era sovrapposta quasi perfettamente a quello che vedeva.

Lo scambio di battute che era seguito, l’aveva poi raggelata.

« Io… » Aveva detto nervosa e incerta Hermione. « Io… ecco… ti volevo dare questo. »

E aveva tirato fuori un pacchetto.

Un regalo, ne era sicura. Da come Hermione l’aveva guardato. Da come l’aveva tenuto. Da come gliel’avrebbe dato, sa solo lui avesse voluto prenderlo. E, certo, un moto di incredibile disapprovazione l’aveva travolta alla sola idea che Hermione avesse speso una sola falce per quell’idiota. Ma a farla star male non era stato quello…

Draco aveva lanciato uno sguardo tagliente all’oggetto.

E poi uno brutale a Hermione.

Secco, quasi fremente, aveva sibilato:

« Non lo voglio. »

Era stato solo un attimo, solo uno, ma le era parso che lui stesse per sollevare un braccio tremante, e colpire Hermione. Si era scoperta avanti di un passo, preoccupata. Ma se avrebbe colpito lui per aver colpito la sua migliore amica, o sostenuto la sua migliore amica per essere stata colpita da lui quello in quel momento aveva capito di non saperlo.

E la differenza era sottile, ma c’era.

Quello che invece era certa di sapere, era che l’espressione un po’ sofferente di Hermione, ferita a quelle risposte, l’aveva colpita in una maniera che quasi aveva fatto soffrire anche lei.

« Allora… ehm… te lo lascio qui. » Aveva mormorato Hermione, con un tono di voce sempre molto fievole.

« Fa come diavolo ti pare. » Aveva sentenziato Malfoy, impenetrabile. Impassibile. « E ora puoi anche andartene. »

E non aveva aspettato che Hermione rispondesse qualcosa per fare i primi gradini verso l’esterno. Ma fu certa che Draco avesse sentito l’amica quando questa, da lontano, con una nota nostalgica terribilmente bassa, gli aveva mormorato:

« Buon Natale. »

E lui a quel punto forse l’avrebbe picchiata davvero.

Forse a quel punto uno schiaffo furente, vibrante, gliel’avrebbe impresso in viso come si imprime un marchio, col fuoco.

Perciò era stata contenta che Malfoy se ne fosse poi, invece, andato, ignorando con sprezzo il regalo lasciato per terra.

Era stata contenta e non aveva perso un secondo per raggiungere Hermione, che era tornata all’interno della scuola.

L’aveva chiamata.

Hermione si era fermata. Si era girata. E l’aveva aspettata qualche metro più avanti.

Avvicinarsi non era stata una buona idea.

Hermione sorrideva. Non era un bel sorriso. Ed eppure per quanto poco bello, per quanto stanco, la smorfia tra le due la fece lei.

« Auguri per la partenza. » Le aveva detto l’amica, sinceramente.

Tanto sinceramente da rendere la sua smorfia ancora più contratta e i suoi occhi, nell’osservarla, ancora più preoccupati.

« Già, la mamma ha chiamato all’improvviso. » Aveva risposto, inventando una risatina che era risultata priva di qualsiasi genere di allegria. « Quindi niente festa o cose così, solo a Natale dalla famiglia. »

Hermione le aveva sorriso ancora, dicendo:

« A Dean sarà dispiaciuto. »

E lei si era stretta nelle spalle, scostando lo sguardo da un’altra parte.

Cercò di trovare il coraggio di chiederle perché Draco avesse cambiato così improvvisamente umore, ma sapeva che avrebbe dovuto anche trovare il coraggio, poi, di guardarla negli occhi quando le avrebbe risposto.

E quello non l’avrebbe avuto.

Allora, pur sentendo un peso sul cuore all’idea di lasciarla, l’aveva salutata:

« Allora adesso io vado. »

Hermione aveva annuito, salutandola a sua volta.

L’aveva chiamata solo pochi attimi dopo, quando già lei le aveva voltato le spalle.

« Ah, Ginny? »

« …si? » Le aveva chiesto, girandosi con fatica verso di lei, temendo che accadesse qualcosa di brutto. Come se davvero potesse succedere. Come se davvero quell’immagine che non le aveva lasciato la mente e si era confusa con la realtà potesse essere un presagio terribile.

Quello che invece Hermione le aveva detto le aveva dato speranza…

« Salutami Ron e Harry. »

L’aveva detto dolcemente.

E in quel momento lei era lì, a guardare Hermione Granger che nonostante tutto aveva superato una crisi terribile. Che ne era uscita. Che sapeva ancora prendersi cura delle cose importanti e considerare tutto importante.

Ma comunque non riuscì a sorridere quando le garantì, con una convinzione che risultò quasi grave:

« Senz’altro. »

Perché per quanto avesse capito che si trattasse di una situazione differente, aveva comunque sperato che non ci sarebbe più stati quei giorni. Quelli in cui Hermione era un solo pallido esempio di sé. Certo, non così pallido come dopo quell’estate. No, certo che no… ma anche se era sciupata solo un po’, sapeva che quando sarebbe tornata dalle vacanze Hermione avrebbe avuto gli occhi incassati nelle cavità oculari. Delle borse bluastre sotto di essi. L’aspetto di una persona abituata ad essere stanca e triste.

Hermione, che di energie ne aveva sempre avute. Che aveva una tempra morale e una fibra indistruttibile. Un orgoglio incancellabile.

Stanca.

No… non sarebbe sembrata più lei.

E tutto per colpa di Malfoy…

L’espressione le si indurì, ritornando al pensiero di lui che così tranquillamente cambiava umore, che così tranquillamente distruggeva Hermione.

E, si, le faceva rabbia.

Avrebbe voluto che lui non fosse mai entrato nella vita dell’amica. E un paio di settimane prima avrebbe anche fatto di tutto per farlo uscire. Ma dentro di sé, giunti a quel punto, sperò che le cose si sistemassero. Che lui si voltasse, tornasse indietro, che non la guardasse più in quella maniera orribile. La disturbava l’idea di pensarlo! La disturbava terribilmente! La disturbava l’idea di dover rischiare di nuovo la sua sanità mentale e calpestare ogni suoi più alto principio morale per dire a Dean di aver lasciato che Hermione portasse Draco ad una delle loro feste!

Ma l’avrebbe fatto.

Per Hermione, giunti a quel punto, l’avrebbe fatto.

Perché a quel punto le cose non stavano come aveva sperato. Non stavano che Hermione si fosse sobbarcata di una responsabilità che doveva portare avanti e che stava portando avanti sino alle più radicali conseguenze. Non stavano che a Hermione sarebbe passata in fretta. Non stavano che Hermione avrebbe potuto trovare qualcun altro con cui passare il tempo, una volta che le fosse passata.

Non che “tanto era Draco Malfoy” e quindi non c’era niente da perdere con lui.

Né che una persona simile non sarebbe mai potuto diventare importante per nessuno.

No.

Anzi…

.. stavano che Hermione aveva di nuovo perso qualcuno che, importante, lo era già diventato

*** *** ***

Lunedì 16 Dicembre. Ore 10.37
Hogwarts. Sala Comune di Serpeverde.

Theodore Nott si girò dietro di sé con uno sguardo atterrito.

E lui, Blaise Zabini, accolse la cosa come un fausto presagio.

« Che c’è? » Gli chiese, con infinita tranquillità.

Prima di rispondere, Theodore sprofondò, teso come la corsa di un violino, nella poltrona accanto a lui, e trasse un paio di profondissimi sospiri, con gli occhi che fissavano il pavimento pieni di solenne angoscia.

Rettifico.

“Fausto” non era sufficiente. Miracoloso era decisamente più appropriato per definire quel presagio.

I due profondissimi sospiri nel vocabolario di Theodore erano di rito per le catastrofi. E per quanto bene si fossero messe le cose il giorno prima, con l’improvvisa intrattabilità di Draco, non aveva neanche sperato che potessero mettersi tanto bene da guadagnare i due chimerici sospiri.

« L’ha trattata malissimo. » Disse infine Theodore, prostrato, con lo sguardo vacuo e sgomento.

« Chi ha trattato chi? » Domandò con falsissima innocenza, trattenendo il senso infinito di compiacimento nel veder Theodore vibrare, davanti a lui, appena prima di esplodere, zampillante d’angoscia:

« Draco e Hermione Granger, Blaise! »

Ah, quanto era servito annoiarsi per ben sei anni, solo in attesa di quell’ultimo settimo! Quanto!

« Beh, si sono sempre odiati, no? » Specificò, con l’abituale flemma, scotendo lentamente il capo. « Mi sembra più che normale. »

Guardando l’espressione di Theodore corrucciarsi vividamente, in un trasporto altruistico di immense proporzioni, con insito all’interno un rimprovero di straordinarie potenzialità paradigmatiche, la sua espressione rimase come rapita da quell’assoluto e limpido sgomento.

Quanto meritava l’ingenuità di Theodore?

« Piantala! Lo sai benissimo che le cose erano cambiate nell’ultimo periodo… Era questo quello che intendevi dicendomi di guardare in prospettiva, no? » Si oppose quasi in un bisticcio di parole il compagno, con le sopracciglia tanto aggrottante da fargli certamente male. « Pensavi che lui e la Granger potessero andare d’accordo! Ecco! »

Si portò una mano davanti al viso, dietro alla quale nascose il sorriso arcuatosi in una smorfia subdola e incredibilmente cinica.

10 e lode.

Ecco quanto meritava l’ingenuità di Theodore.

Non meno. Mai meno.

Semplicemente, il massimo su qualsiasi scala.

Un ragazzo che pensava che la massima prospettiva per Draco Malfoy ed Hermione Granger fosse l’andare d’accordo e lo affermava con tanta convinzione e trasporto – ed era tanta, meravigliosamente tanta – meritava persino la lode.

Ci volevano più persone come Theodore al mondo.

Per il suo divertimento, personalmente, ne bastava uno. Ma in uno slancio particolarmente altruistico pensò che avrebbe potuto elargirne almeno uno a tutti i suoi parenti nel massimo nome dell’affetto famigliare. Uno a ciascuno. Da spupazzare. Irridire. Umiliare. E da cui farsi comunque riverire.

E poi, una volta stufatisi, da fare a pezzi arto dopo arto.

Già, sarebbe stato altresì buono che per ognuno di quei “Theodore” ci fosse una famiglia abbastanza ricca da poter pagare una bella lapide per i figli.

Che certamente sarebbero morti presto.

Magari raggomitolandosi a terra in contorsioni e sofferenze sconosciute. Giacché erano talmente generosi che probabilmente vi si sarebbero prestati prima di morire. Si sarebbero spenti pietosamente. Nel tormento della loro coscienza. Magari affannandosi persino a perdonare i loro carnefici. E perciò una bella lapide era doverosa, perché in tutta quella vita di sacrifici e tormenti sarebbe stata l’unica prova della loro bontà e l’unico – e per l’altro non godibile – merito che avrebbero ricevuto.

E poi, come tutti gli altri, buoni o cattivi, sarebbero diventati solo cibo per i vermi.

« Mi stai ascoltando o no? » Lo riprese in ansia Theodore, con gli occhi stravolti dal senso incalzante dei problemi, delle tragedie, della sofferenza altrui. E di tutto quello che c’era di doloroso nel mondo.

Il sorriso gli tornò. Più tranquillo e ilare.

Scacciò con entusiasmo il cinismo e il realismo. E scacciò anche l’altruismo. Che delle loro noie, delle loro lapidi e dei loro giocattoli se ne occupassero gli altri. Parenti o non parenti. Che il mondo decadesse o marcisse come meglio credeva.

Lui, il suo Theodore ce l’aveva.

Ed era anche convinto che con ogni probabilità non si sarebbe mai stufato di lui.

« Sì, sì. » Gli rispose, blando, fintamente accondiscendente nel tono e nello sguardo sottile. Intenzionato con gioia a proseguire quella conversazione fino in fondo. E a lasciare fuori dalla mente la realtà quanto più possibile. « Ti sto ascoltando. Ed è proprio come dici tu. »

« Eh! » Esclamò teso Theodore, indicando in un gesto quasi isterico la finestra della sala comune. « Però adesso lui non la vuole più vedere! L’ho visto proprio un attimo fa che le diceva di andarsene! »

Incrociò le braccia sul petto, caricando di criptica serietà lo sguardo.

« La cosa può significare solo una cosa. » Replicò, fissando Theodore profondamente negli occhi.

Quegli lesse in quella profondità una solennità e una gravità che lo fecero impallidire.

« Cioè? » Chiese il Serpeverde, quasi sgomento all’idea che potessero presagire qualcosa di veramente drammatico.

« Che tu li hai spiati dalla finestra. » Concluse, invece, lui, pacato. Fissandolo placido.

« Oh, Blaise! » Sbottò Theodore con sfibrata durezza. Ma subito sciogliendosi in una più rimproverante ed esasperata contrarietà: « Vuoi essere serio per una volta! »

Gli rivolse uno sguardo straordinariamente ed eccezionalmente irritante. E schioccò, inarcando le sopracciglia con lenta e suadente precisione:

« Ma io sono sempre serio. »

Theodore lo guardò quasi affranto, riprendendolo ancora, impazientemente – e in realtà con una pazienza spropositata:

« Blaise! »

Ma lui non faceva che sorridere. Ridere, quasi.

Perché poteva sopportare tutto con la più autentica impenetrabilità. Tutto. Ma non Theodore che per l’ennesima, la centesima, la millesima volta, credeva, ciecamente, nella sua più assoluta partecipazione. Non l’innocenza con cui Theodore lo trattava come se non fosse il guerrafondaio che scatenava la guerra per cui lui cercava sempre una soluzione.

Tutto, veramente. Ma non quello.

Per cui alle volte si dimenticava persino del copione da seguire.

« Draco Malfoy non abbandonerà mai Hermione Granger. » Disse, traendo un sospiro e guardando Theodore in un modo che parve tranquillo e non eccessivamente studiato.

La realtà era che non esisteva sguardo più studiato di quello che non appariva eccessivamente studiato. Ma del resto questo lo sapevano lui e la coscienza che aveva bruciato anni prima proprio in cambio di quella brillante intelligenza con cui così facilmente sapeva indurre gli altri a offrirgli svaghi nella vita monotona di Hogwarts.

Theodore, per parte sua – rischiando di farlo sorride un’altra volta allo scoccargli del tutto inutile di uno sguardo sospettoso – domandò, con aria guardinga:

« E… e come fai ad esserne così sicuro? »

Decise di ignorare il modo assolutamente ridicolo con cui il compagno gli chiedeva, infondo fiducioso del suo giudizio, seppur diffidente della sua persona, di qualcosa per cui lui si preoccupava solo come fonte costante di divertimento. E che d’altro canto in quel momento occupava tutto l’essere convulsamente partecipe di Theodore.

« Pansy avrà graffiato un nervo scoperto, no? » Spiegò, tranquillamente. Quasi svogliatamente sul finire della frase. Perché a parlare di cose ovvio ci si annoia con una rapidità impressionante.

E quello era ovvio. Anzi, scientifico.

Era scientifico che le gatte morte graffino e gli esseri umani sciocchi e stupidi si facciano graffiare. E se Theodore non fosse stato intento ad ascoltare, a pendere dalle sue labbra per cercare conforto e speranza in una situazione per lui irrisolvibile, si sarebbe forse accorto di quanto profondamente agghiaccianti fossero gli occhi e le smorfie di Blaise quando il cinismo e il realismo nel pensare agli esseri umani riempivano la sua espressione di raggelante freddezza…

« Ma Draco infondo sa quanto Hermione Granger sia l’unica che può farlo stare veramente bene. » Riprese del resto con una più soffice espressione di superiore finezza, tornando a parlare del mondo dei suoi giochi. Più bello. Più vario. Più colorato. « E’ piuttosto ottuso… » Aggiunse, in un sorriso particolarmente ilare nel riflette su quanto Draco fosse, effettivamente, ottuso. « … ma questo infondo lo sa benissimo. »

Theodore inarcò un sopracciglio, perplesso.

« … e allora perché ha rifiutato il suo regalo? » Domandò, non capendo.

Blaise allargò il sorriso, appollaiandosi sulla sedia con maggior distensione. E con un’enigmatica ma ridente, e assolutamente compiaciuto espressione sul viso, ribatté, in tono fintamente interrogativo:

« L’ha rifiutato? »

« Che vuoi dire? » Chiese Theodore, ritraendosi sulla sedia in un attimo di pura confusione.

Mentre, spronato dal dubbio e dallo sguardo ironico che gli veniva rivolto, il compagno si affacciava alla finestra che dava sul cortile, Blaise Zabini ampliava il sorriso sul suo viso.

E Theodore Nott vedeva che il regalo “lasciato” in realtà non c’era più…

« Voglio dire che un graffio non può cancellare quello che ti dà il calore umano. »

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Capitolo 11
*** Strappi ***


Avrei voluto farvelo come regalo di Natale, che sia come regalo di Buon Anno Nuovo

Avrei voluto farvelo come regalo di Natale, che sia come regalo di Buon Anno Nuovo.

Vi risparmio le solite scuse/raccomandazioni e salto subito, velocemente, a dirvi la cosa più importante (prima di torturarmi con il libro di diritto pubblico e le norme del codice civile): io apprezzo davvero molto le persone che continuano a seguire questa storia nonostante la lunghezza infinita degli aggiornamenti, e apprezzo chi trova la forza di lasciarmi un commento, una recensione, nonostante le speranze di vedere un nuovo capitolo propendano in modo consistente verso la dissoluzione totale.

E’ per queste persone così fiduciose e così assidue che ho anche detto che finirò questa fanfiction, dovesse essere l’ultima cosa che faccio; è per loro che anche questa volta ho messo da parte il resto degli impegni e mi sono messa a finire questo infinito capitolo. Non solo perché un anno è davvero un po’ troppo da lasciarvi in sospeso, ma soprattutto perché se una storia è desiderata… beh, viene anche il desiderio di scriverla, sapete?

Per questo ringrazio (come non facevo da troppo) in particolar modo…

Mikki ti chiamerò l’intramontabile, posso? Vorrebbe essere un complimento, davvero… anzi, vorrebbe essere proprio un ringraziamento incondizionato. Credo che dacché esiste DHO esisti tu a recensirlo… e come lo recensisci? Non so come riesci sempre a trovare un aggettivo diverso per dirmi quanto apprezzi me e la mia fanfiction… E per me il tuo apprezzamento è un po’ come una garanzia: se tu, che mi segui tanto assiduamente, riesci ancora ad appassionarti allora vuol dire che ha un senso continuare non solo DHO, ma anche tutti quei progetti che ho in testa come “scrittrice”. Ho sempre molta paura di non essere più in grado di trasmettere le giuste emozioni, di non riuscire a scrivere nel modo migliore per far sì che prendano intensità nella testa di chi legge… e certe volte mi sembra di non riuscirci più… ma anche considerando questo, lo sai, questa storia avrà una fine. Ci sono parecchi punti che vanno ancora sbrogliati: quando leggerai questo capitolo (e spero davvero, davvero, davvero tanto che lo leggerai e mi dirai cosa ne pensi) capirai che uno è già andato, e forse era lo scoglio più grosso. Ma manca la questione Ron. Manca la questione Harry. E manca la questione ancora tutta da imbastire su come da un’amicizia si crea un amore. Perché non è mai stato un segreto che questa sarà la conclusione: Hermione e Draco insieme, dopo un percorso che non sembri campato per aria… in fondo, è un po’ come voler dare loro una base solida per avere una relazione solida. Insomma, vedi quanto sono sentimentale?! E’ che voglio a entrambi bene! E ne voglio anche a te, davvero. Ancora grazie. Davvero grazie.

Mearmind esterrefatta per DHO? Formidabile come scrivo? Personaggi completamente identici agli originali? E tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti complimenti a me?! Ma tu mi vuoi far piangere!! Sei stata generosissima nel coprirmi di elogi, e mi spiace davvero che dopo esserti letta tutta la fanfiction non abbia potuto leggere questo capitolo prima di adesso (ammesso che lo leggerai, considerando che sono passati… 10 mesi – che vergogna) Comunque ci hai proprio azzeccato: quando il regalo di Draco viene scartato è un momento clou per tutta la storia. Si può dire che è il consapevole inizio della storia, addirittura. Spero in un commento, ma ti ringrazio tanto già solo per il precedente!

Melchan grandissima!! E’ pura commozione quella che ho provato nel leggere che ti stai appassionando al rapporto che stanno avendo Draco e Hermione in questi ultimi capitoli. E’ ovvio che una persona che voglia solamente vederli insieme a baciarsi appassionatamente e superare ogni ostacolo nel nome del loro amore non segue la mia fanfiction… però, da qui a seguire una storia che strascica in modo così lento e forse esasperante il loro rapporto ce ne passa. Io poi sono come te: amo esattamente come sono, in ogni capitolo, anche se mi rendo conto che sono sempre differenti. E amo anche letteralmente scrivere delle piccole cose a cui Hermione arriva tipicamente cinque capitoli prima di Draco (capirai cosa intendo quando avrai finito di leggere questo capitolo). Arrivare, dopo un centinaio di interminabili pagine a concludere un aspetto lasciato aperto … sentire che ogni piccolo tassello si sta incastrando in un quadro più ampio in cui Hermione e Draco sono davvero protagonista e davvero stringono un legame che mi sembra quasi concreto, è un’emozione senza pari. Capisci cosa intendo? Da quello che mi scrivi so che è così. In attesa di una tua recensione, ti mando un grande bacio e un grande “grazie”

Oh Merryluna, Merryluna! Neanche il tempo di scoprire la storia che già subito te la pianto lì per 11 mesi senza un aggiornamento… sono proprio da fustigare! Sei stata oltretutto gentilissima nella tua recensione. Sono rimasta senza parole per quanti complimenti mi hai fatto! Solo su una cosa dissento: Theodore! Io adoro Theodore, e nei capitoli finali di questa fanfiction, oppure chissà quando – ma spero che un giorno, sicuramente, accada – vedrai quanto sarà importante. E non tanto per Draco e Hermione, quanto più per Blaise stesso. In fondo, anche i burattinai sono esseri umani, no? E spero ci sarai quando scriverò e posterò un particolare capitolo in cui avremo faccia a faccia Blaise e Hermione: l’esito è un po’ in bilico, non trovi? Io penso che ce ne saranno delle belle. Draco è decisamente immaturo! E lo resterà, dio piacendo, per tutta la fanfiction! Ha 17 anni, ed è un ragazzo! In più è sempre stato viziato… anche se come leggerai ha avuto una bella batosta in quest’ultimo capitolo. Beh, comunque sono felice ti faccia ridere ^^ rido un sacco anche io quando scrivo di lui e dei suoi pensieri. Spero riderai sempre tanto leggendo questa fanfiction (a parte nei momenti toccanti, in cui se ridi vuol dire che ho fatto un cattivo lavoro!) Ah, e, per ultimo, spero questo: che come hai provato una pugnalata tu stessa quando Hermione è stata ferita da Draco, così spero che anche tu abbia potuto provare quello che ha provato lei alla fine di questo capitolo. Non ti anticipo niente perché non voglio rovinarti la lettura, ma spero davvero che tu, dopo tanto male, l’abbia provato.

Marykotter ma come hai ragione! Vorrei vivere solo per scrivere, guarda… niente maturità, niente università, niente ragazzo… no, bugia: questo no! ^^ Però poter passare tutto il resto del tempo a scrivere sarebbe come il paradiso per me. Peccato non si possa, eh eh. Stupendamente infinita, eh? Con questo capitolo non avrai cambiato idea, mi sa, considerando che è il più lungo che abbia mai scritto! Ma spero ti piacerà! Grazie mille per la recensione!

Larya, primo commento poliglotta! Fantastico: dà un senso di stima tutto particolare, sai? ^^ Sono contenta che la fanfiction ti emozioni e che ti piaccia come scrivo. Spero continuerà ad essere così!

Janet addirittura un genio?! Ma no, dai! ^^ Solo un’umile scrittrice di fanfiction che è felicissima che la propria storia e il proprio stile piacciano a tante persone così tanto. Grazie davvero!

Lady_Crystal e Cassie chan… orca miseria!! *_* la più bella fanfiction che avete mai letto su Draco e Hermione?? Ehm… mai sentito parlare di Original Sin di Savannah? No, va beh, a parte gli scherzi (e non sto parlando di Original Sin – che è davvero un capolavoro) siete carinissime. Spero che il modo di scrivere continui a piacervi: sinceramente, molto spesso fatico a finire i capitoli temendo che sia caduto di tono… spero di essere all’altezza della vostra fiducia, e che vi piaccia comunque sempre.

White_tifa con questo capitolo sarò riuscita a trasmetterti le emozioni che ti ho trasmesso con i capitoli precedenti? Spero di si. Che quanto meno riuscirai a leggerlo – dopo un anno chissà se ancora sarai nei paraggi! Sarebbe bello se potessi vedere quanto il Draco che adori e l’Hermione che ti piace, anche lei, tanto, abbiamo superato il secondo grande ostacolo che li aspettava nella lunga strada che li condurrà sempre più vicini.

Claheaven Oh! Un’ammiratrice di Blaise! Siamo in due, eh? ^^ Beh, io lo adoro anche perché so che ruolo avrà anche d’ora in avanti e spero che tu sia curiosa di scoprirlo insieme a me. Anche Theodore avrà un ruolo importante, sai? Ora, non vorrei mettere troppa carne al fuoco ma ovviamente nella mia testa DHO è davvero una storia infinita pertanto un’idea di come potrebbe essere in un sequel fuori da Hogwarts io ce l’avrei, e Theodore e Blaise non scomparirebbero affatto dalla scena. Comunque, questa è un’altra storia. Sei stata la primissima ad aver commentato il capitolo, e hai amato la mia Hermione. Anche solo per questo ti meriteresti baci e ammirazione… essere tra i tuoi preferiti, è stato il colpo di grazia alla commozione! Grazie!

Sally90 altra ammiratrice di Hermione! I tuoi complimenti sulla completezza del personaggio di Hermione li accolgo col cuore, ma davvero devo togliermi meriti: la Rowling secondo me non ha fatto un cattivo lavoro con lei… nel senso che gli elementi c’erano tutti per renderla una personaggio fantastico. Ma le è mancata la scena: qui è la protagonista che doveva diventare dal mio punto di vista. Comunque, che agli occhi di chi legge la mia Hermione sappia trasmettere fondamentalmente umanità, è una delle cose di cui vado più fiera. Perciò ti ringrazio tanto. ^^

Shizuka che è invece una seguace di Blaise! (Grandissima!) E sono felicissima che ti sia piaciuta la parte su Pansy e Draco: è stato difficile scriverla, me lo ricordo… figurati! Un trauma cercare di non far perdere a Draco la sua proverbiale assurdità e indisponenza, ma soprattutto il suo orgoglio di ferro, lasciando però intendere che qualcosa almeno inconsciamente lo stava capendo. Un trauma, giuro. Questo capitolo che spero leggerai è stato un altro trauma… risponderà alle aspettative? Spero me lo dirai… ma già essermi guadagnata addirittura la “perfezione” per il capitolo precedente è stato toccante. Ti ringrazio sul serio: troppo buona, ma davvero molto apprezzata.

Ale… ehm… non ci ho messo 6 mesi, hai visto? Ce ne ho messi 12!! Ragazzi, a me spiace, lo sapete – spero, almeno, lo sappiate. Ce l’ho in ballo da due anni questa fanfiction e la adoro con ogni fibra del mio essere, oltre al fatto che ce l’ho davvero tutta in testa. Però lo vedete anche voi: questo capitolo doveva essere lungo 20 pagine ed è diventato lungo 30 pagine. Ridendo e scherzando, per una persona che davvero riscrive i capitoli 15 volte prima che le vadano bene (e non sto scherzando) pensate a quanto ho scritto… Vorrei avere 3 ore in più, in una giornata: le userei tutte per scrivere DHO. Posso solo giurarvi che non la lascerò in conclusa: se avrete la pazienza di seguirmi fino alla fine spero di premiare l’attesa con una bella storia.

Sweet_puffola_pigmea. È lusinga pura un paragone con Savannah, Ovviamente, lei è su un livello inarrivabile per me – oltre al fatto che questo abbiamo due stili molto differenti (almeno, considerando DHO) e ciononostante sono stata davvero contenta del tuo interesse e del fatto che The Draco and Hermione’s Opera ti piaccia tanto. Io spero che continuerai a seguirla e a dirmi cosa ne penserai… anche se gli aggiornamenti sono così saltuari. Purtroppo quando non aggiorno non è perché non voglio, ma perché non ho finito di scrivere/rileggere/riguardare il capitolo… per postare questo capitolo, per esempio, per una settimana sono stata sveglia fino alle due per trovare il tempo di mettere a posto quelle parti che non mi convincevano. Perché è implicito, ovviamente, che pubblico solo quello che mi convince. E comunque volevo sapessi che l’ho postato adesso per merito tuo. Sul serio: leggere la tua recensione mi ha convinta a mettermi d’impegno – e rubare tempo ad altro – perché davvero ho sentito che era desiderato da voi almeno quanto lo era da me. E mi sono innamorata di te (tranquilla, è metaforico) per due motivi: 1) il tuo nick! E’ fantastico! 2) il fatto che consideri – e per questo adori – i miei personaggi perfettamente calzanti nel loro ruolo, cioè, assolutamente non OCC, che per come sono fatta io è il male incarnatosi, praticamente. Riguardo alla fanfiction su Harry e Hermione che ho scritto anni fa, invece, l’ho tolta io personalmente dal mio account, perché non mi piaceva più. Dopo i tanti commenti e le tante critiche, mi sono accorta che quelle persone che avevano considerato del tutto AU e OCC la fanfiction avevano ragione… e se c’è una cosa che non tollero da parte mia, è proprio l’OCC, come ti ho detto. Se, nonostante ti possa garantire non sia nulla di che, vuoi ugualmente leggere You are my Angel, scrivimi pure un’e-mail (leona_darkangel@hotmail.com... spero di non aver infranto qualche regola lasciando il mio indirizzo) e te la invierò molto volentieri.

Ovviamente, l’e-mail è ad uso collettivo: chiunque volesse scrivermi – niente offese, please… critiche costruttive si, ma insulti no – è davvero ben accetto ^^

E ora, con tutto il cuore per tutti voi, l’undicesimo capitolo di The Draco and Hermione’s Opera.

*** *** ***

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 11. Strappi

And now I tell you openly, you have my heart so don't hurt me.
You're what I couldn't find.
A totally amazing mind, so understanding and so kind;
You're everything to me.

E ora ti parlo apertamente
Hai il mo cuore, quindi non ferirmi
Tu sei quello che non ho mai saputo trovare.
Mente sorprendente
Così comprensiva e così gentile
Sei tutto per me

[Cranberriesdreams]

*** *** ***

Lunedì 16 Dicembre. Ore 16.02
Tana.

La Tana era quello che un qualunque mago purosangue – che non facesse appunto parte del circuito Weasley – avrebbe tranquillamente potuto definire il baratro prima della più nera disperazione. E questo un po’ a prescindere dal fatto che trasudasse di babbanerie di ogni specie: era semplicemente assolutamente lampante che la famiglia Weasley avesse subito un declassamento tale per il quale tanti dovevano avere ragione a ritenere i Malfoy nel giusto, quando ne parlavano come un insulto all’onore che davano per scontato appartenesse all’elite del Mondo della Magia.

Per quel che la riguardava, era in primo luogo tutto da dimostrare che l’elite del Mondo della Magia avesse un qualche onore da difendere.
Secondariamente, era abbastanza orgogliosa di essere proprio una Weasley, e non – per dire – una Patil, una Brown, una Hossas… una Paciock

Tutta brava gente, eh: nulla da ridire.

Sarebbe semplicemente stata un po’ troppo sfacciata in alcuni casi, e decisamente troppo impacciata in altri.
Al che preferiva essere povera, ma mantenere un briciolo di intelligenza e di disinvoltura.

E poi la Tana non era così male.

Le piacevano i gingilli con cui suo padre riempiva ogni angolo della casa. Le pareti color ocra e le strettissime scale a chiocciola che congiungevano i due piani su cui si ergeva la casa. Le piaceva l’atmosfera accogliente che impregnava ogni stanza. E le piacevano le persone che ci abitavano – famigliari o meno che fossero, all’occorrenza.

Aveva sempre pensato che fosse perché in fondo ci aveva vissuto da quando era nata. O quanto meno perché a legare tutti i membri di quella famiglia ci fosse almeno tanto affetto da farle pensare di essere straordinariamente fortunata ad esserci capitata in mezzo. Ma metterla in quei termini avrebbe anche voluto dire che di valore oggettivo, per il Mondo Magico, i Weasley ne avessero in realtà poco.
Che, cioè, vero o meno che fosse che l’elite di onore non ne aveva, tanto meno ne avevano loro, in ogni caso.

E in questo, per esempio, Hermione non era mai stata d’accordo.

Aveva sempre sostenuto con convinzione – e un qual certo cipiglio – che lei ammirava gli abitanti di quella casa perché vi trovava un’integrità morale ineccepibile. Che di onore ce ne fosse ancora molto nel Mondo Magico proprio perché la famiglia Weasley ne portava abbastanza anche per quell’elite che meritevole forse non lo era nemmeno mai stata.

E se per qualche tempo aveva pensato che ci fosse davvero poco di obiettivo in quel giudizio, negli ultimi anni, quando era stato richiesto di scegliere se nascondersi, piegarsi o resistere, si era resa conto che non esistevano maghi e streghe più in gamba e di cui essere più fieri dei suoi genitori e dei suoi fratelli. Perché tutti quanti si erano schierati in prima linea con coraggio.

Perché tutti avevano scelto di resistere.

Perciò, si, era orgogliosa di essere una Weasley.

Ma da qui a voler passare le vacanze di Natale alla Tana ce ne passava parecchio!

Anche e soprattutto considerando che era stata richiamata all’ordine a pochi giorni da una delle feste più sensazionali mai organizzate da Grifondoro con la semplice, deprimente scusa che…

« Oh, Ginny, tesoro! Ci mancavi così tanto! Non potevamo festeggiare senza di te! »

Si lasciò stritolare dalle micidiali spire di sua madre, rispondendovi con cupa immobilità. Borbottò tetramente un saluto – che sua madre, inspiegabilmente, recepì come entusiasta – e poi, ombrosa, si mise a trascinare con svogliata lentezza la valigia sino alla tromba delle scale.

Giustamente, la placcarono i gemelli.

Non fece in tempo ad alzare gli occhi al cielo con già stracciata pazienza che George le ammiccò giocondo:

« Ti abbiamo rotto le uova nel paniere, eh, Gin? »

« Dean ci sarà rimasto male, povera gioia. » Rincarò Fred imitando qualcosa che assumendo espressioni di disumana sofferenza arrivava ad avere un orrendo viso deforme.

Comprese senza troppa difficoltà che nella mente malata del deficiente che aveva davanti quella dovesse assomigliare molto all’espressione di Dean, piangente e sconsolato per la sua dipartita improvvisa. Cosa che le fece inarcare una delle spigolose sopracciglia con aria scocciata.

« Piantatela. » Grugnì secca.

I due si scambiarono un’occhiata teatralmente sbigottita. Copertisi poi coreograficamente le bocche con le mani, si chiesero candidamente l’un altro:

« E’ di cattivo umore, George? »

« Ne sai il motivo, Fred? »

Mmh

Fece roteare lugubremente gli occhi sotto di sé, rimanendo immobile di fronte a loro con funerea impassibilità. Ci mancavano solo quei due cretini a fare dello spirito…

D’altronde, una voce straordinariamente gradita sopraggiunse provvidenziale e inaspettata a tagliar corto:

« Lasciatela in pace, ragazzi, su. »

Si voltò.

Trovò a guardali un ragazzo poco più basso dei gemelli, ma dall’aspetto nitidamente più maturo. Con dei begli occhi grandi e profondi: di un intenso verde muschio, incastonati intorno a folte sopracciglia rossastre e una miriade quasi indistinta di lentiggini. E aveva una struttura solida, ma snellita, molto diversa dall’impalcatura ossea dinoccolata di molti membri della famiglia…

Se solo non fosse stato uno dei suoi fratelli più grandi sarebbe forse arrivata a dire che era diventato molto più bello dall’ultima volta che l’aveva visto.

E poi dicevano che vivere tra i draghi faceva male!

« Charlie! » Si illuminò, correndo ad abbracciarlo, mentre George e Fred se ne andavano con le mani intrecciate dietro la nuca, lagnandosi con voce annoiata del guastafeste che li aveva interrotti.

« Ciao piccola. » Ricambiava intanto Charlie, seguendo con lo sguardo tranquillo i gemelli che si allontanavano, e nello stesso tempo stringendola a sé con dolcezza.

Si lasciò cullare in quel calore che le era, in fondo, un po’ mancato.

Ed ecco perché, dopotutto, non era così brutto tornare a casa…

Perché a Hogwarts non c’era il fratello maggiore che tornava inaspettatamente dalla Norvegia per salutarli – e che contingentemente poteva abbracciarla senza notare che la sua vita cominciava ad accumulare spessore.

« Che bello vederti... non sapevo saresti tornato. » Gli disse sorridendo, staccandosi lentamente dall’abbraccio.

« La mamma ha insistito. » Spiegò Charlie, con semplicità, aggiungendo poi sorridendo: « Ed era da un po’ che non vedevo Harry. »

Harry?

Si ritrasse, spiazzata.

« Harry è… è qui? » Chiese sbattendo più volte le palpebre, come se il gesto potesse farle prendere più consapevolezza della cosa. Harry…? In quella casa? Aveva detto a Hermione che le avrebbe salutato Ron e Harry, ma in realtà l’idea di incontrarli non le era davvero passata per la testa.

Charlie scosse il capo, scambiando per sorpresa quella che era in realtà smarrito sgomento.

« Non ancora: Bill, Percy e papà sono andati a prendere lui e Ron. » Disse, e dal fondo della sala fecero in coro i due gemelli, che stavano giocando a far levitare oggetti di vetro molto cari a mamma Weasley:

« Ma passerà le feste da noi, Gin! Il tuo vecchio primo amore, eh?! Non cornificarci Thomas, però! La porta per la sala comune è troppo stretta per un alce! »

Harry…

Abbassò il capo ignorando la provocazione dei fratelli – che avrebbe comunque squartato quanto prima – e si lasciò sfuggire un pesante e sommesso:

« Oh. »

« Oh? » Ripeté Charlie chinando il capo in modo da arrivare all’altezza degli occhi di lei, e fissandola a quel punto con risoluto interesse, percependo finalmente la stranezza della sua reazione.

Scostò il viso da un’altra parte, deglutendo e non sapendo come rispondere. Sentiva la pressione degli occhi del fratello su di lei, ma cosa avrebbe potuto dire? Che non era preparata a vederlo? Che al contrario di tutto il resto della famiglia, lei non aveva dimenticato quello che era successo d’estate? E che comunque, sapeva bene che non erano mai stati abbastanza amici da potergli rompere l’anima come avrebbe voluto per quello che aveva fatto? Perché se a Ron non avrebbe risparmiato meno che fissarlo negli occhi e cercare di trasmettergli con tutta l’ostilità possibile quanto pensava si fosse comportato da schifo, a Harry, davvero, non aveva mai pensato cosa poter dire.

Cominciò a stropicciarsi le dita tra loro: non sapeva nemmeno lei che reazione avrebbe avuto di fronte a lui.

Gli occhi di Charlie continuarono a insistere sul suo sguardo celato anche quando dall’ingresso sopraggiunse il commosso saluto di sua madre:

« Eccoli! »

Charlie le vide le spalle irrigidirsi all’istante. E, anche senza vederla, l’espressione disorientata e rigida spalancarsi di più. Ripeté, allora, più convinto:

« Oh? »

Scosse il capo nervosamente, facendo una smorfia che al posto di apparire disinteressata come avrebbe voluto risultò ancora più tesa.

« No, niente. » Strascicò con voce sottile. E sapendo di non averlo affatto persuaso lo superò rapidamente per andare ad abbracciare suo padre, che la salutava da fondo sala con Bill e Percy.

Si mosse solo per fuggire.

Si era sempre aspettata che la resa dei conti sarebbe arrivata in una maniera epocale: con Hermione al fianco. Qualcosa di struggente e drammatico insieme.
Un’immaginazione molto cinematografica…

In cui il finale, però, non sapeva più bene nemmeno lei quale avrebbe dovuto essere…

Ed d’altronde, quando sulla porta vide Ron, l’inconsistenza dei suoi sentimenti si cristallizzò per un istante in una stranissima sensazione.

Una malinconia pungente che era tra il dolce e l’amaro… nel realizzare una lontananza che dopo tanti anni di vita insieme si faceva sentire prepotente. Un legame mai spezzato le pulsò nel petto. Incontrollabile, per un attimo… il desiderio di abbracciarlo le fluì nel sangue più vivo della rabbia.

E per quell’attimo, ebbe il timore lacerante che nell’istante in cui i loro sguardi si sarebbe incontrati la nostalgia le avrebbe giocato un brutto tiro… e al posto di restare salda, di fronte a lui, si sarebbe piegata.

E avrebbe sorriso

Eppure, non appena Ron incrociò il suo sguardo fu lui a sfaldarsi per primo.

E lui non sorrise.

« G-ginny… » Farfugliò infatti, sgranando gli occhi. Sorpreso e sconvolto insieme, nel vederla.

« Ti avevo detto che ti avremmo fatto una sorpresa, figliolo! » Esclamò il padre dandogli una piccola pacca sulla spalla, facendolo quasi cadere in avanti. « Ginny passerà le feste qui con tutti noi, Ronald. »

L’irascibile fratello che era sempre stato meno disinvolto di lei – anche ai tempi d’oro della sua timidezza. Che la diplomazia non sapeva nemmeno cosa fosse. Che quando faceva qualcosa di male reggeva al suo peso solo per orgoglio… ma non ci credeva nemmeno un po’ nemmeno lui. Il fratello cui bastava una pacca sulla spalla per vacillare.

Fu quasi desolante, per lei, ricordarsi che proprio quel fratello, tra tutti gli altri, l’aveva delusa così tanto…

« Come il nostro Harry. » Aggiunse però Arthur, scostandosi e rendendo visibile anche un'altra persona…

Su quella, fu invece lei a sfaldarsi.

Su Harry, ogni proposito di fermezza cadde come su un tappeto di seta. Senza rompersi. Con un solo tonfo sordo che venne attutito dalla stoffa morbida.

Non nella desolazione, ma nel silenzio, ogni rumore venne sbiadito sino a scomparire.

Su quel tappeto, ogni tragedia venne avvolta da ampissimi lembi d’aria.

E di vuoto.

« Ciao Gin. » La salutò Harry, appoggiando gli occhi su di lei con una lentezza che le parve esasperante… proprio perché le sembrò così matura.

« Ciao… » Ricambiò lei, disorientata da una sensazione impalpabile che le si attaccò addosso con un’invadenza sfiancante.

« Su su, Charlie, fai vedere a Harry la sua stanza. » Esortò Molly verso il ragazzo, intromettendosi prepotentemente tra loro senza rendersi conto di nulla.

« Credo che ormai sappia dov’è, mamma. » Sentì Bill commentare cordiale, mentre Harry ringraziava e la superava senza un’esitazione.

« Harry, tesoro, segui Charlie. » Lo sollecitò Molly, ignorando bellamente il figlio.

Mentre Harry ringraziava e la superava senza un’esitazione, lo accompagnò con lo sguardo assorto che rimase immobile nel punto in cui il ragazzo sparì.

Tutta la sua famiglia sapeva cosa era successo tra Ron, Harry e Hermione, ma tutti si erano anche resi conto che Ron e Harry avevano scelto una via che li metteva in pericolo abbastanza da lasciar cadere ogni accusa di amicizia tradita.

E col tempo forse, tra le tensioni per le missioni, tra l’ansia per quelli che forse erano davvero come due figli o due fratelli, avevano anche dimenticato quello che poteva essere il motivo della distanza nebbiosa e un po’ triste che regnava su tre persone che avevano passato 6 anni della loro vita ermeticamente insieme.

Perché, in fondo, era solo un’amicizia.

Quanto poteva valere?

Una sensazione lacerante le strinse il respiro in gola. Negli anfratti del cuore in cui la volontà di arrabbiarsi non giungeva all’improvviso: in quella parte di sé che nel rivedere Harry e Ron era rimasta ossidata per un attimo in bilico tra il sollievo e la malinconia … tutto era diventato piccolo.

Mentre l’Harry che avanzava sicuro, che si era attardato da lei solo per salutarla e non per sentirsi giudicato. Che per anni aveva avuto bisogno della forza che Hermione gli aveva dato, e che forse, qualche mese prima, ancora immaturo era stato… a quel punto era invece cresciuto. A quel punto era diventato grande.

Un ragazzo che voleva forse avanzare solo.
Che, forse, poteva anche riuscirci.

In questo, poteva esserci una colpa?

Lei non lo sapeva.
Ma sapeva… che Hermione avrebbe detto di no…

« Non sapevo… ehm, non sapevo che… » S’intromise nei suoi pensieri Ron, passandosi nervosamente una mano tra i capelli e balbettando a voce così bassa che erano più udibili persino i complimenti che si dispensavano a Harry dal secondo piano. « … che, beh, saresti tornata a casa per le feste. »

Si girò lentamente verso di lui.

Non sapevo che saresti tornata a casa per le feste…

Le palpebre le si strinsero sugli occhi. Con uno sguardo sospeso, quasi come stranito, prese a fissarlo intensamente.

Perché quello era proprio… tipico suo.

Dire una frase fatta che era quanto di più cretino si potesse dire nello specifico contesto, era proprio tipico di quel ragazzo impacciato e con la sensibilità relegata nelle punte dei piedi. Era proprio tipico suo non capire proprio niente, o capirlo ma non saper mai cosa dire o fare. Specialmente per quelle cose che lo toccavano profondamente…

Ron, negli anni, non era cambiato.

E per lui, quella piccolissima tragedia… continuava ad avere un senso enorme.

« Già, nemmeno io. » Replicò atona dopo diversi istanti di silenzio, restando insistentemente ferma sullo sguardo.

« Ron! RON! » Gridò mamma Weasley da sopra le scale. « AIUTA HARRY A TOGLIERE LE COSE DALLE VALIGIE! »

Ron faticò a risponderle, sotto lo sguardo pressante che gli rivolgeva. Lo vide esitare, e poi replicare, incerto:

« … SI! »

Ma rimase fermo.

Rimase a fissarlo prepotentemente, con un’impazienza pericolosamente vicina all’insofferenza.

Avanti, dì qualcosa.

« Ginny, senti… » Cominciò Ron, deglutendo, ma non poté dire nulla che la madre tuonò, minacciosa e impaziente:

« RON! »

Suo fratello esitò per qualche attimo, incerto.

Poi… le rivolse un sorriso che, per quanto debole, aveva in sé un’ilarità mai dimenticata.

Il marchio che trasmettono degli anni di convivenza: un’espressione lanciata per qualcosa di già visto e già sentito che solo chi l’ha già visto e già sentito nello stesso modo, per le stesse volte, può cogliere e replicare.

E che viveva nel monito che Mamma Weasley non la si doveva far arrabbiare, per esempio. Come anche in tutti quegli altri piccoli gesti che tutti facevano quando Papà Weasley portava a casa un altro gingillo babbano. Che potevano essere far ruotare gli occhi, gettarli al soffitto o assentire meccanicamente con il capo. Non prima di aver scollegato la spina del cervello, ovviamente.

L’emblema di qualcosa che andava ben oltre la complicità.
Il simbolo di una fratellanza che faceva male rifiutare…

Ma che lei, quella volta, rifiutò.

Quando a quell’ilarità rispose con durezza, dunque, scorse nitidamente un lampo di amara delusione sfrecciare negli occhi di Ron. L’espressione le si affilò su quella delusione, acquisendo in disapprovazione e biasimo. Di fronte a quelli, lo vide muoversi verso il secondo piano con passi indecisi ma rapidi, scossi dallo smarrimento.

Lo seguì con lo sguardo ferreo e inesorabile: nel cuore, un desiderio bruciante che le serrava la bocca per non farla urlare.

« Parla! »

Avrebbe voluto imporglielo.

Perché era sciocco, ma non era un cretino cronico: doveva capire. Doveva imparare. Lui, che se anche era cresciuto, non aveva evidentemente potuto dimenticare. Lui, per cui Hermione non era stata solo un’amica da cui attingere soltanto comprensione e coraggio. Lui, che qualcosa di male sentiva di averlo fatto, e a cui dirlo non sarebbe andato sprecato, doveva ascoltare.

Perché così forse…

Forse…

*** *** ***

Martedì 17 Dicembre. Ore 12.34
Villa Malfoy. Sala da Pranzo.

Villa Malfoy era quello che un mago purosangue avrebbe tranquillamente potuto definire il paradiso. E questo un po’ a prescindere dal fatto che trasudasse di pregiati cimeli storici appartenuti ad una delle stirpi (di purosangue) che più ne poteva vantare: era semplicemente assolutamente lampante che la famiglia Malfoy avesse conosciuto un’ascesa inarrestabile di rango nell’immaginario collettivo. Un’ascesa tale per la quale tanti ritenevano che gli Weasley non sbagliassero a considerarsi un insulto all’onore che si dava per scontato appartenesse all’elite del Mondo della Magia di cui proprio i Malfoy rappresentavano uno dei vertici più alti – ed era implicito, ovviamente, che gli Weasley pensassero questo di se stessi.
Se così non fosse stato sarebbe stato davvero orribile: significava che non erano nemmeno consapevoli della loro condizione!

E persino gli Weasley non potevano essere così spaventosamente stupidi da non rendersi intimamente conto della loro assoluta inutilità!

D’altronde sono Weasley…

Beh, comunque, a lui Villa Malfoy non piaceva poi così tanto.

Con tutte quelle guglie nerastre sulla cima delle torrette. Con quei corridoi infiniti e alti quattro metri e mezzo, come se dovessero abitualmente passarci dei Troll di montagna (che tra l’altro come diavolo facevano a entrarci considerando che le porte sfioravano a malapena i due metri?!) Con quelle stanze dove di luce sembrava non filtrarne mai nemmeno d’estate. Con tutta quell’ombra… e quelle sale in cui si poteva anche essere in duecento, ma tanto ci si sarebbe comunque sentiti tremendamente insignificanti…

Alzò con svogliato fastidio il cucchiaio, fissandone il contenuto molle con malcelato disgusto. Fece per chiamare l’elfo domestico che l’aveva portato e dirgliene quattro, quando udì una voce dall’altra parte della lunga tavolata che gli fece dimenticare i suoi propositi…

« Mi hanno detto… » Esordì la voce. Il timbro basso e lento, quasi suadente, ma per lo più vibrante nella sua glaciale freddezza. « … che frequenti gente poco consona. »

Sollevò il capo verso la madre.

Le lanciò uno sguardo scocciato e sbottò:

« Tipo? »

« Amicizie discutibili. » Specificò Narcissa Malfoy, impassibile.

Riabbassò cupamente gli occhi, tornando a fissare la sua zuppa: quella donna aveva un modo di fare assolutamente impenetrabile. Il bel viso pulito ed esangue sembrava sempre perfettamente rilassato, come se nulla sapesse sfiorarle mai nemmeno il pensiero. Ed eppure gli occhi taglienti sembravano non essere mai stati rilassati in vita loro. Poteva avvertirne il taglio affilato anche da una distanza in cui era persino difficile distinguerne il colore.

Vacui sarebbe stata la parola più adatta se solo non fosse esistito il termine “sgradevoli”.

Che nervi…

Aggrottò la fronte con tirata pazienza. Sembravano giudicare dall’alto di chissà quale autorità divina, che solo per il fatto di non esprimersi mai ma di rimanere sempre implicita nella voce o negli occhi aveva una qual ché di preminente e inattaccabile. S’irritò al solo pensiero che un qualunque scontro con quella donna finisse puntualmente con la capitolazione con resa incondizionata. Anche solo semplicemente perchè sembrava di parlare con una statua.

Di porcellana, certo: non di rude roccia.
Ma pur sempre una statua.

D’altronde la spossatezza fastidiosa di quei giorni, e l’inguaribile boria che fomentava il suo spropositato ego (oltre alla rabbia per il pensiero a cui potesse riferirsi quella donna – qualcosa che era diventato un tabù con una facilità sorprendente) gli diedero il giusto acume per fare dell’ironia.

« I tuoi informatori hanno fatto un cattivo lavoro: ti conviene licenziarli. »

Ma Narcissa non era nemmeno una statua di porcellana.

Al massimo, era di adamantio.

« La madre di Pansy dice che hai avuto contatti con la Granger. » Ingiunse imperturbabile, con una voce che nella sua esilità avrebbe potuto dissolversi nell’aria molto prima di raggiungerlo.

Eppure, fu quasi trascendente nel schiaffeggiarlo con un colpo vibrante e secco, pregno di freddezza.

Inalterabile.
Intoccabile.

Il muscolo della mascella si serrò di riflesso al pronunciarsi di quel nome, il sedere gli scivolò più giù e la testa si incassò un po’ più nelle spalle: un adombrarsi generale dominò la sua figura, ma le labbra schioccarono acri una rivendicazione profonda e prepotente:

« Per Pozioni. »

Solo per Pozioni.

Sua madre ribatté, sempre statica negli occhi – ma con un’intensità particolare nella voce:

« Ho sentito che siete amici. »

« Sempre da Miss Sherlock 2000? » Grugnì irritato. Proprio tale madre tale figlia, eh! « Consiglierei una visita dall’oculista… » Fece una smorfia di disgusto al solo pensiero di Pansy & famiglia che confabulavano sui suoi affari, e si corresse istintivamente in un sibilo: « … o dallo psichiatra. »

Allora, Narcissa Malfoy depose il suo cucchiaio.

Cacchio.

Mentre il suono metallico della posata echeggiava nel silenzio dell’ampio salone, la sua sedia indietreggiò di mezzo metro senza un rumore, grazie ad una tecnica affinata negli anni che consistenza nel farla scivolare sul marmo sollevandola appena di pochi millimetri. Il fatto che la sedia in questione pesasse circa una sessantina di chili non era assolutamente importante. Quando Narcissa Malfoy deponeva il cucchiaio – e non un forchetta, o un coltello, o qualunque altra posata, ma proprio un cucchiaio – era lecito venir assaliti dal terrore. E, nel suo caso, alla minima percezione del panico che ne scaturiva, l’istinto di sopravvivenza sbaragliava ogni limite fisico o psicologico che gli impedisse di mettere quanta più distanza possibile tra sé e quella donna.

Non bisognava mai sottovalutare la deposizione di un cucchiaio.

Portava con sé la Diamonds Dust.

« Hermione Granger non è una persona con cui tu debba avere a che fare, Draco. »

Scandite da un gelo siberiano, affilate come stalattiti di ghiaccio destinate a conficcarsi nella carne: le parole perentorie dell’autorità.

Ma questa volta, anche della verità.

Le stalattiti la sua carne la squarciarono per raggiungere il cuore.

Un brivido ci fu di nuovo. Ma di denti serrati con forza gli uni contro gli altri. Di nodi che si stringono. Di rancori che esplodono.

« No, non lo è. » Ringhiò tra i denti. « Non vale niente. » Assottigliò lo sguardo indurito in un’espressione impenetrabile, relegandolo al pavimento. Non lei… non quella miserabile ragazzina. « Ed è per questo che io e lei non abbiamo mai avuto niente a che fare. »

Mai.

Quando non sentì sua madre ribattere, fu convinto che fosse perché aveva riconosciuto in lui un tale odio per Hermione Granger dar non aver più nulla da chiedere per far luce sul loro legame.

Giacché quello, semplicemente, non esisteva.

Ma se Narcissa non ebbe più nulla da dire, fu solo perché per una delle prime volte in vita sua non le vennero le parole per domandare come era stato possibile che suo figlio, che non aveva mai avuto legami con nessuno, ne avesse stretto uno talmente profondo da saperlo scuotere così tanto …

*** *** ***

Mercoledì 18 Dicembre. Ore 2.42
Tana.

Che razza di dementi…

Scese le scale sbadigliando seccata: per quale oscura ragione doveva avere due gemelli cretini come vicini di stanza?! Si mise una mano sulla testa scuotendo il capo con fastidio. Santa pace… che casino immondo che erano capaci di fare.

Si trascinò in cucina, tutta intorpidita dal sonno.

Ma la sonnolenza le andò via in un attimo quando trovò di fronte al frigo, intento a prendere un cartone di latte, niente meno che Ron.

Sussultarono entrambi. Entrambi senza darlo a vedere.

Un attimo di sorpresa: un tempo infinito di tensione.

In quei giorni, complice il numero spropositato di persone presenti in quella casa, non si erano mai trovati soli. E l’essere faccia a faccia e lontani da orecchie o sguardi indiscreti era una condizione necessaria per affrontare qualunque tipo di discorso. Fondamentalmente perché erano entrambi consapevoli che il primo dei tanti discorsi da affrontare sarebbe andato a parare a Hermione alla velocità della luce. E alla velocità della luce avrebbe fatto scintille, fulmini e saette.

Almeno, lei era convinta che Ron lo sapesse.

E per quel che la riguardava, se fossero venuti anche lingue di fuoco e maremoti senza precedenti non ne avrebbe fatto di certo una tragedia.

« Ehi. Ehm… » Bofonchiò Ron, con una mano ancora stretta intorno alla maniglia del frigorifero aperto, mentre con l’altra teneva a mezz’aria il cartoccio di latte. Gli occhi incerti e ansiosi su qualunque cosa tranne che su di lei. Un attimo di silenzio in cui non fece che guardarlo pressante, sapendo che per quanto i loro sguardi non si stessero incrociando, Ron quella pressione la stava sentendo. « … fame? »

« No. » Rispose laconica.

Lui ci mise un minuto a trovare la forza per chiudere il frigorifero. Dopo che l’ebbe fatto, esalò con una voce indecorosamente flebile:

« Ah. »

Ah?

Incredibile come suo fratello sapesse innervosirla.

Avvertì pressante l’urgenza di cancellare dalla sua faccia il disinteresse per niente riuscito dietro cui trincerava senza successo l’espressione in realtà colpevole e inquieta.

Perché Ron lo gnorri non lo sapeva fare.

E quella non era strafottenza, ma proprio vigliaccheria.

Fu con sferzante durezza che proferì:

« Ti saluta, sai? »

Sferzanti e dure, quelle parole cariche di sdegno s’infransero non più in basso del petto, né più in alto del collo: precisamente, lo colpirono al cuore.

Ci fu un tremito. Lo vide chiaramente.

Ed eppure nel breve attimo in cui lo colse non seppe dire se fosse stato solo per il dolore… o anche per il sollievo.

« Ah… oh… » Biascicò Ron, pallido. Si passò nervosamente una mano tra i capelli arruffati e dopo alcuni attimi trovò il coraggio di domandare, debolmente: « E’… ehm, è rimasta a scuola? »

« Già. »

« E… sta bene? »

Scosse il capo brevemente.

« Non tanto. »

Un colpo che andò più a segno degli altri: un lampo visibile di preoccupazione e colpevolezza.

Che annegò di nuovo nella debolezza…

« Ah… »

Ridusse gli occhi a due fessure, con le fiamme che vi fuoriuscivano cangianti.

Ah?!

Sapeva ancora dire soltanto: “ah”?!

Se avesse avuto un’ascia bipenne tra le mani gliel’avrebbe lanciata a due centimetri dalla faccia. E se proprio la sua scarsa mira le avrebbe fatto sbagliare bersaglio… tanto meglio!

Ma davvero che l’ascia ce l’avesse o no, non fece differenza. La voce con cui scattò fu comunque abbastanza affilata da ferirlo…

« Non pensare che sia per te. Non lo è. Non questa volta. »

Ron si ritrovò a deglutire, e come se in gola ci fosse un’ostruzione o roba simile avvertì un dolore piuttosto intenso nel farlo. Glielo lesse nella smorfia contratta che fece. Mentre nell’espressione spezzata negli occhi smarriti lesse la desolazione e lo smarrimento che probabilmente lo stavano dominando. Forse, si stava chiedendo se lo stava accusando. Se fosse giusto accusarlo. Se poteva sentirsi sollevato…?

Con quel suo pigiama troppo corto e quei capelli scompigliati, sotto cui gli occhi verdi puntellati di nero lottavano tra lo spegnersi prostrarti e scintillare vivi, al richiamo di un ricordo che gli muoveva il cuore…

E in quel momento chiedevano forse un po’ di pietà?

Non gliela diede.

Trattenne il fuoco in un respiro, solo per essere gelida ancora una volta.

« C’è un’altra persona che Hermione… beh, hanno litigato. Nel senso che lei ci teneva, ma questa persona l’ha, come si suol dire, mollata. »

Il termine lo scelse con cura, e vide Ron reagirvi davvero, per la prima volta: una rigidità fulminea nel tono e nell’espressione.

« Chi? » La incalzò brusco.

Un disappunto imperativo, forse un fastidio insopportabilmente pungente gli aveva serrato la mascella e il pugno abbandonato al fianco.

Il turbamento sopraffatto dalla risolutezza.

… e se solo non fosse stato l’inguaribile Ron, se solo non fosse stato l’insopportabile beota che doveva sempre convincersi che le cose non potevano andare male – e che comunque, se anche andavano male, non lo toccavano davvero più di tanto – non si sarebbe messo a fingere un disinteresse che gli occhi accesi, fissi su di lei, tradivano alla grande. Né si sarebbe messo a sorseggiare il latte con gesti noncuranti. Né avrebbe aggiunto in un risolino che doveva sembrare divertito, e invece, comunque, parve isterico:

« Lavanda? Calì? Oppure… Nevil- »

« Draco Malfoy. »

Colpito…

… e affondato.

Nel latte, in quel caso.

Ron per poco non si soffocò con quello che stava bevendo, e quello che non tossì fuori di bocca in preda a delle specie di convulsioni se lo rovesciò puntualmente sul pigiama.

« Cosa?! » Strillò scioccato, quando ebbe finito di rischiare la vita per soffocamento.

« Si, Draco Malfoy. » Ripeté, caustica.

Reagisci, idiota.

Ron stridé scandalizzato, con voce strozzata:

« Non è possibile! Stai scherzando! »

« Assolutamente. » Negò, inflessibile, in una maschera di inespressività fatta di un bronzo particolarmente malleabile.

Non era stata inespressiva quando Hermione le aveva candidamente detto che avrebbe voluto Malfoy alla festa di Grifondoro. E non era nemmeno lontanamente tranquilla all’idea di ciò che stava dicendo.

Avrebbe voluto che le cose andassero diversamente.

E avrebbe voluto poter dire che “Draco Malfoy ed Hermione Granger” era davvero uno scherzo di cattivo gusto. Un’assurdità inventata da un pazzo che aveva bevuto litri di alcool ed aveva anche seri scompensi mentali.

Ma quella era la sagra delle assurdità.

E quel binomio agghiacciante che l’aveva tormentata giorno e notte non aveva fatto tanto peggio di tutte le altre cose illogiche per cui aveva pensato di poter mettere una mano sul fuoco, senza paura di ustionarsi, e che invece quella mano gliel’avevano cotta come se fosse uno spiedo.

Su Ron e Harry che portavano con loro Hermione, poi, di mani ne aveva messe anche due.

E tutte e due ne erano uscite carbonizzate.

« Non ci credo! » S’impuntò Ron cominciando a scaldarsi, pestando animosamente le mani in aria e fissandola con un’aria indignata e alterata insieme.

Ecco…

Era quello il Ron che avrebbe detto a Hermione di piantarla immediatamente.

Era quello il Ron che non c’era stato per bastarle.

« E’ Draco Malfoy! Un figlio di mangiamorte! » Continuava a tuonare il fratello, con assoluta e imperativa convinzione. Con un cipiglio da record, persino per Ronald Weasley. La faccia, tutta contratta e partecipe nel tentativo di esprimere tutta la disapprovazione che poteva esistere. Le orecchie in fiamme. La faccia gonfia. Le lentiggini di fuoco. Dimenticando i mesi di lontananza. Dimenticando, come faceva quando erano a Hogwarts, che Hermione non era di nessuno: rivendicando di decidere con chi lei dovesse o non dovesse stare. Il Ron che aveva sempre mandato Hermione su tutte le furie, perché si era sempre messo in mezzo come un pulce in tutto quello che le riguardava. Sempre pronto a pretendere un posto privilegiato. Sempre pronto a volerlo… « Non posso credere che Hermione possa anche solo avvicinarsi a lui! Che diavolo le salta in testa?! Non fa per lei, per tutti i Troll! »

Il Ron che non c’era stato.

I nervi le si spezzarono in un picco di rabbia delirante.

« E chi fa per lei? » Lo incenerì con uno sguardo incandescente. « Comincio a pensare di non saperlo troppo dire, sai? » Masticò ogni parola con uno sdegno tale da farlo quasi barcollare « L’ultima volta mi sono sbagliata di grosso. »

E non c’era solo rabbia nell’ammetterlo…

Infatti non fu quella a fare male. Fu, invece, l’esasperazione che impregnò il silenzio che venne a crearsi.

Un’esasperazione ferita… e disarmata.

Le orecchie di Ron quasi si carbonizzarono per quella benedizione concessa e mancata in una sola volta. Per quella frase che svelava un segreto che in sei anni il suo orgoglio aveva murato dietro chili di cemento. Ma il viso tornò pallido. E gli occhi si dilatarono dolorosamente in un’espressione che era insieme frustrata e mortificata.

La chiarezza di quell’accusa gonfia di risentimento ma scevra di inutili tentativi di rinsavimento, che da lei era davvero uscita meno feroce di quanto avrebbe voluto, e solo più stanca, lo lasciò disfatto di fronte a lei.

Gli lanciò uno sguardo pesante. Rassegnato e umiliato insieme.

E se ne andò senza voltarsi, con un nervoso che cominciò a gonfiarle gli occhi. Un labbro che a morsicarselo così forte faceva male. Delle dita piantata nella carne al punto da farle diventare bianche le nocche.

Perché anche se il limite Ron l’aveva superato davvero, e forse non quella notte, in cui più delle parole erano stati i suoi silenzi a stremarla, lei ancora non lo sapeva accettare…

Che Ronald Weasley non sapesse scegliere Hermione Granger.

Non ci riusciva.

Perché loro erano, semplicemente, la coppia di cretini più sfottuta di Hogwarts.

Ma era mai esistito qualcuno che trovasse più naturale stare insieme?
O qualcuno che, da vedere, facesse così bene al cuore?

Perché fa bene al cuore vedere come certe volte si è fatti ad incastro, e che trovare l’altra parte che se si attacca non scivola via, perché è fatto per restare esattamente lì, non è così impossibile.

E se loro non riuscivano a trovare una soluzione, se loro non sapevano ritrovarsi: se per orgoglio, o per paura, o per un qualunque altro motivo, non sapevano rimediare agli strappi della loro vita, ricucendo insieme una strada per rincontrarsi… allora, chi mai avrebbe potuto?

*** *** ***

Sabato 23 Dicembre. Ore 16.47
Villa Malfoy. Stanza di Draco.

Quando cominciò a nevicare erano quasi le cinque del pomeriggio.

Quando, circa cinque minuti dopo, si udì un tonfo secco e un grido acuto echeggiare per tutte le mura di Villa Malfoy, tutti i suoi abitanti seppero che il giovane rampollo della famiglia se n’era accorto. E che con ogni probabilità se l’era presa con qualcosa di molto grosso che se l’era a sua volta preso col suo piede.

L’avversione per la neve del Signorino Malfoy era sempre stata manifesta. E anche se non aveva mai avuto la necessità di uccidere o deturpare qualcosa o qualcuno nel momento in cui la vedeva, era risaputo anche che ultimamente fracassare le cose era la sua più alta dimostrazione di fastidio. E per la precisione negli anni lo erano state, in ordine, schiantare le statue della villa, squarciare le tende nelle camere e distruggere le porte.

… che in effetti era sempre una questione di fracassare qualcosa.

Dunque, per quanto gli elfi domestici che si affaccendavano in cucina non potevano sapere che il Signorino avesse preso a calci la scrivania col preciso intento di sfasciarla - e che con un altrettanto forte istinto omicida il volume di Storia della Magia che ci stava sopra era capitolato sul suo piede sinistro – ma poterono ampiamente immaginarlo quando lo udirono imprecare con odio contro un cespuglio rachitico con un liuto da gran ranger in mano e un onere da miope.

Cosa fossero i ranger, loro, davvero, non lo sapevano. Ma dovevano avere a che fare con qualche gruppo di musicisti di vecchio stampo, sicuramente. Né sapevano cosa fosse un miope, comunque, o che grave onere dovesse gravare sui rachitici rami della pianta, e verso chi quell’onere fosse. Era però assolutamente chiaro che un tal cespuglio musicante avesse un conto in sospeso con il Signorino Malfoy.

Quando poi il Signorino Malfoy ripeté l’insulto senza mangiarsi le parole e senza intervallarle con latrati selvaggi in risposta al dolore folle che sentiva, le cose si fecero più chiare:

« Brutto cespuglio rachitico! Rifiuto umano! TI ODIO HERMIONE GRANGER! »

Beh, dai, ci erano andati vicini.

Ignaro delle elucubrazioni dei suoi servitori su quanto stava avvenendo, Draco era invece intimamente convinto di una cosa: che fosse stata Hermione Granger a far nevicare.

Col preciso intento di indurlo a scatenare quell’infinita sequela di eventi che gli aveva tumefatto il piede, ovviamente!

Maledetta, maledetta, MALEDETTA!

Si fece cadere sul letto stringendo il piede pulsante tra le dita e serrando i denti in una smorfia di dolore. Non fece nemmeno in tempo a toccare il materasso, però, che avvertì praticamente la colonna vertebrale rientrare facendo della sua schiena una specie di angolo retto.

Cacciò un altro acuto urlo e si alzò di scatto – facendosi un male cane al piede che aveva pestato per terra e che riprese quasi subito in mano.

Puntò gli occhi sgranati contro il letto, pronto a far implodere qualunque cosa vi si fosse attardata volontariamente sopra.

La tempia destra palpitò in un tic che gli deformò la faccia.

Sul letto, il Manuale di Pozioni comprato con lei.

Io la ammazzo…

Completamente immerso in macabre fantasie su come avrebbe finalmente portato a compimento un progetto durato sei anni della sua vita, si vide attraverso il vetro della finestra di fronte a lui, che rifletteva la sua eccentrica immagine ricurva sul piede e sostenuta da una sola delle due gambe.

Una specie di deforme fenicottero, insomma.

… con un’espressione piena di puro rancore sul grugno.

Perché si era arrabbiato così tanto?

Perché si è presa gioco di me, mi sembra logico.

E nessuno poteva prendersi gioco di Draco Malfoy.

Esatto! Nessuno può permettersi di raggirarmi per i suoi scopi!

Men che meno una Mezzosangue qualunque.

Men che meno! Parole Sante!

Esatto.

Quindi, dunque… perché si era arrabbiato così tanto?

L’ho già detto perché! Per tutti i Troll!

Scostò con rabbia le tendine della tenda, scoccando uno sguardo accigliatissimo alla sua immagine riflessa nel vetro rimasto visibile. Eccheccavolo: era da mezz’ora che diceva perché era così arrabbiato! Allora, le cose erano due: o quella voce fastidiosa che gli tampinava il cervello recepiva, o quella voce e lui avevano un bel problema! Oltretutto, gli pareva di un evidenza di proporzioni elefantiache le ragione per cui era furibondo e monumentalmente incazzato!

Perché l’aveva usato da rimpiazzo! Perché aveva cercato di plagiarlo, manipolarlo!

Perché aveva fatto nevicare!

Perché…

« Lei di te non sa che farsene. »

Lo sguardo perse in rabbia e acquisì in durezza: si assottigliò sul vetro, ma andò molto al di là di esso. Penetrò nella pupilla riflessa come quelle parole gli penetrarono nella testa. In un scatto violento tirò un pugno all’intelaiatura di legno della finestra.

Un suono acuto, di vetri scossi, si diffuse per la stanza e i corridoi vicini.

E si spense in un silenzio in cui quelle parole sembravano rimbombare.

L’aveva preso in giro. L’aveva usato.

Per questo era così arrabbiato.

Si…

… ma perché la odiava, anche, così tanto?

Sollevò gli occhi ancora una volta sul vetro, e per quanto tornato in una posizione eretta si vide ricurvo… e col viso ancora contratto come se la fitta al piede non fosse sparita, come invece era. Tetro nel guardarsi… pieno di risentimento nel pensare che non era per il sangue. Che non era per la casa cui appartenevano l’uno o l’altra, non era per gli amici che quell’egoista non aveva più, né per quelli che aveva. Non era per la sua stupidità. Né per il suo egoismo, soltanto. O per il suo opportunismo, soltanto.

Gli occhi gli si strinsero in un picco di rabbia particolarmente acuto.

Al diavolo!

Imprecò al niente, ma nel gettare occhiatacce tutto intorno a sé si trovò di nuovo a guardare verso la finestra… e vi si fermò, stranito.

Aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi lentamente al vetro e cercando di mettere a fuoco le molte macchie scure che si avvicinavo al grande cancello di Villa Malfoy.

Ma che…?

I suoi occhi si dilatarono.

Quelli che scesero… gli sembrarono Auror.

Un lampo gli attraversò lo sguardo.

Uscì dalla stanza e percorse a passo svelto il corridoio.

Perchè erano lì?

Udì il campanello e accelerò il passo.

Perché?

Sbucò sulle scale che conducevano all’ampio ingresso e avanzò sino alla balaustra. Dalla cima li vide. Due Auror sulla porta. Altri, dietro di loro.

Sua madre… davanti a loro.

Altera e immobile, come in ogni attimo della sua vita. Una creatura eterea, che sembrava fatta di solo ghiaccio. Di sola aria, certe volte. Tanto che quando, quando era piccolo, avrebbe voluto abbracciarla… non l’aveva mai fatto per paura che gli si dileguasse tra le dita.

La mano che si mosse a stringerle il braccio senza riguardo, e che l’afferrò come avrebbe fatto con il braccio di qualunque altro essere umano… sembrò entrargli nel petto e serrargli il cuore in una morsa così dolorosa che glielo distorse.

« Narcissa Malfoy, deve venire con noi. » Disse l’uomo che l’aveva presa per il braccio.

Vide sua madre restare immobile, senza sottrarsi ma senza fare nemmeno un passo. La sentì rispondere, serafica:

« Perché? »

Ma pensò che, come lui, anche lei sapesse prima di udirla la risposta che venne:

« Questo è un mandato del Ministero della Magia. E’ stata accusata di complicità con il Signore Oscuro. I capi d’accusa le saranno rivelati una volta che saremo arrivati al dipartimento. Pertanto, deve venire con noi. »

No…

Gli nacque dentro un desiderio disperato.

Senza accorgersene aveva guardato la scena con un’espressione trasfigurata dall’angoscia. Senza accorgersene aveva portato una mano alla bacchetta.

Un gesto folle… per una persona che non aveva mai fatto nulla per lui.

Un gesto folle per proteggere l’ultima cosa che gli era rimasta.

Ma Narcissa sollevò lo sguardo.

Come se avesse sempre saputo che era lì, lo diresse verso di lui senza alcuna esitazione. Lo guardò dritto negli occhi con la fermezza con cui aveva sempre vissuto, con la severità con cui l’aveva sempre educato. Ferrea ma pallida. Fredda come l’aurora d’inverno.

Inappellabile.

Ed eppure… con uno sguardo vivo.

Tolse lentamente la mano dal fianco dove stava la bacchetta e la lasciò cadere al fianco, ammutolito.

Tra tutti gli addii e i bentornato che c’erano e non c’erano stati, quella fu l’unica volta che, senza dire niente, quella donna gli disse qualcosa di importante…

… e dolce.

*** *** ***

Mercoledì 25 Dicembre. Ore 8.11
Hogwarts. Sala Comune

« Buon Natale, Hermione! »

La faccia pasciuta di Neville la accolse con allegria.

Le guance spruzzate di rosso e l’espressione che non si capiva bene perché, ma sapeva proprio di Natale, le sorridevano raggianti dalla sala comune, dove un bell’alberello agghindato di rosso, verde e oro troneggiava ridente nella calda e accogliente atmosfera che quel luogo assumeva in quel particolare momento dell’anno.

Le occhiaie che le segnavano gli occhi fecero ben tre rughe sotto le ciglia quando osò arcuare le labbra in un sorriso.

Ma le venne davvero da cuore di fronte a lui.

« Buon Natale, Neville. » Replicò piano, quando gli fu vicina.

« Guarda! Guarda! » Esclamò eccitato l’amico, frugandosi nelle tasche e poi mostrandole un orologio da tasca. « E’ bello, no? Me l’ha mandato mia zia! »

Annuì piano. Sorridendo piano.

Non le riuscì di più.

Ma a Neville non importò: la prese per un braccio conducendola a forza fuori dalla Sala Comune senza smettere di emanare allegria intorno a sé, e per poco non facendole sbattere la testa contro il vano dell’uscita. Doveva essere davvero impaziente di andare a fare colazione… e considerando che non c’era nessun altro dei loro amici, non aveva che potuto aspettare lei per andarci.

E già. Perché del settimo anno di Grifondoro, strano ma vero, erano rimasti solo loro due.

La festa grandiosa che era stata organizzata per la sera prima era saltata a poche ore dalla sua magniloquente riuscita. Una torma di lettera dall’aspetto minacciosamente materno era planata dal cielo sulle loro teste: un colorato stormo di gufi era comparso a colazione del 21 dicembre come messaggero di sventura. Le tavolate di studenti avevano tremato. Ma alla virata rocambolesca dei pennuti verso l’angolo del settimo anno della Casa di Grifondoro – con profondo sollievo di tutti gli altri – un attacco viscerale di panico aveva colto quegli infelici nella massima presa di coscienza della loro insindacabile condanna.

Conta dei feriti: 23.

Innominabili e vigliacchi.

Avevano ceduto alla coercizione senza nemmeno combattere. Le madri avevano parlato: loro avevano ubbidito. “Meglio la schiavitù che la morte” questo era il loro indegno motto.

Conta dei morti: 4.

Valorosi ma fatui.

Seamus. Colpito al cuore dall’invito della zia Marjory. Conosciuta come la Donna-dallo-Stufato-Fatale: porri, cipolle, manzo, peperoncino, zucca, senape, mostarda. Burrobirra.

Calì. Meno furba della gemella che non aveva aperto la busta giunta sofficemente di fronte a sé e dall’aspetto meno costrittivo di tutte le altre: catapultata da un’ingegnosa passaporta che aveva lasciato di lei solamente il cianciante ricordo.

Jalice. Rovesciata a terra da un improvviso malore. Schiumante alla bocca: non si era capito se avesse avuto un attacco epilettico per le luci folgoranti che illuminavano indefessamente il biglietto rosa e profumato che le era stato recapitato. O se piuttosto un picco glicemico fulminante si era innalzato rampante sotto i colpi sferzanti dell’inappellabile: “Ci manchi troppo, patatina: torna a casa a farti coccolare per le feste”

E Adrian.

Il più odiato dagli dei.

Aveva visto Itaca di lontano, lui: ignorato da tutti i gufi, aveva forse creduto di essersi salvato, e una Penelope prodigiosamente somigliante ad una grande burrobirra corretta aveva forse pervaso la sua testa di dolci fantasie. Ma Telemaco non aveva fatto in tempo ad assumere alcuna strana forma spumeggiante che un boato aveva invaso la sala e un gufo di proporzioni mastodontiche aveva sfondato il vano della finestra da cui aveva preteso di passare.

Dimensioni: 1,5x1,5x1,5… metri.
Peso: un cubo di non meno di 80 Kg.
Velocità acquisita nella picchiata contro l’impavido e inerme Odisseo: 57 nodi (circa 100 Km/h).
Possibilità di sopravvivere all’impatto: 0,1%.

E Itaca era tornata nostalgicamente lontana.

Quarto ragazzo che non ce l’aveva fatta.

Quarto compianto la cui salma era stata sottratta alle onorificenze dovute agli eroi. Arpionata a sbatacchiata orrendamente di qua e di là era stata condotta via dall’imponente gufo grigio. Contro cui nessuno aveva osato levarsi, stoico, in difesa dell’amico.

Anche semplicemente pensando a cosa doveva essere la madre dell’amico per tenere a bada una sì tenera bestiolina.

Secondo motto degli innominabili: “Non importa di chi sia la madre, l’importante è sottomettersi – specialmente se ha un animale domestico che potrebbe maciullare indegnamente un uomo adulto in ottime condizioni fisiche e forse anche munito di bacchetta”

Comunque, conta dei sopravvissuti: 2.

Lei e Neville.

I suoi erano alle Bahamas e non si sarebbero mai sognati di usare un gufo come mezzo di posta. E i genitori di Neville… beh, purtroppo non erano in condizioni di mandargli lettera da molto tempo…

Così, erano rimasti in due.

A vagare per Hogwarts in mezzo agli altri piccoli Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde che le feste le avevano dovute o potute passare tra quelle magiche mura. Che in quell’atmosfera calda e zuccherata, fatta di camini, addobbi e dolci, sapeva di Natale molto più di qualunque altra casa.

Anche perché, in fondo, una casa doveva esserlo per molti, comunque, diventata.

L’aria pungente dell’esterno li raggiunse ancor prima che potessero varcare la soglia per il porticato che dava sul giardinetto interno. Le scompigliò la folta chioma ribelle e la fece stringere nel pesante maglione di lana che la avvolgeva, in un tremito. Neville invece sembrava quasi non sentirla nemmeno. Non faceva che canticchiare accanto a lei, intramezzando strane intonazioni con commenti del tutto incoerenti sul suo nuovo orologio e su quanto pan di zenzero avrebbe di lì a poco continuato a comparire davanti ai loro occhi ogni volta che l’avessero finito.

In risposta, lei ogni tanto sorrideva lievemente, ma per lo più si guardava intorno con aria assorta.

I corridoi vuoti. Gli arredi natalizi. La musica che si sentiva ogni tanto provenire dai biglietti di Natale che venivano aperti per i corridoi...

Il suo sguardo scuro si perse nei ricordi…

Quanti Natali passati con Harry e Ron?

Un principio di malinconia le lambì la mente dove si ricamarono immagini e parole come su un lungo telo bianco che drappeggiava nel vento.

« Hermione, non posso credere che tu sia ancora lì a studiare! E’ Natale! »

Non essere ridicolo Ronald…

« Non essere ridicolo, Ronald. Se non mantengo la testa allenata, non posso pensare di superare l’anno. »

Forme di libri e scacchiere.
Forme di biglietti di Natale e regali.

« Sul biglietto ho scritto solo ‘Mione perché tutto intero non ci stava! Non farla troppo lunga: sei tu lo stesso! »

Forme di arrabbiature per delle scemate.
Di sguardi lanciati.
Di sorrisi rubati…

« E ti pareva che era un libro… »

Mai una volta che quell’idiota non dovesse puntualizzare sui suoi gusti.

Le venne quasi da scuotere il capo a pensare a quanto stupido potesse essere Ron. Aggrottò le sopracciglia inconsciamente contrariata: oltretutto, quello che gli aveva regalato era un bel libro sul Quidditch. Si chiamava…

Si chiamava… ma si, insomma, si chiamava…

Si fermò, abbassando il capo con un incerto disappunto.

Non lo ricordava.

Che libro gli aveva regalato…? E si era arrabbiata molto per la sua totale mancanza di tatto e sensibilità? Avevano cominciato a litigare? Avevano passato un bel Natale?

E quanti anni prima era stato?

« Hermione? » La richiamò festosamente Neville.

Lo guardò per qualche attimo stando ferma dov’era, e accorgendosi solo a quel punto di essersi fermata. Ma quando l’espressione di Neville cominciò ad aggrottarsi, si ridestò, e scuotendo il capo riprese a camminare.

Non lo ricordava, già.

Forse, il telo si arricciava in qualche punto rendendo a tratti invisibili i suoi ricami. O forse, semplicemente, mentre il ricamo s’infittiva in alcuni punti, in altri non c’era proprio più niente. Forse… uno strappo aveva spezzato irreparabilmente i suoi ricordi.

« Ehi Hermione! »

Chi mi chiamava?

Un ago per ricucire…

« Hermione! »

Ron?

Un ago per ricordare tutto…

« Hermione? »

Harry… ?

… poteva esistere?

« Oh, guarda, nevica! »

« Granger! »

Draco.

Si fermò di nuovo, spalancando gli occhi in un respiro che scoprì di aver trattenuto.

Sospesa da qualche parte, lentamente, percepì un insinuarsi doloroso di china nera, acquarelli, tempere… un mescolarsi di colori intensi, su una tela pesante che non si sgualciva né si piegava. Che non si strappava. Un passato più recente che riaffiorava con nostalgica insistenza.

Draco…

Filtrata da una nebbia opaca che le copriva gli occhi, la malinconia le si sciolse davanti assumendo le forme del piccolo cortile bianco puntellato di piedini che si vedeva dalla finestra…

Le si strinse il cuore.

Si voltò di più, per impedire a Neville di guardarla. Perché lui era davvero troppo gentile. Perché vederle gli occhi gonfi di lacrime non avrebbe aiutato a rendere speciale quel Natale. Strinse di più i libri al petto e trasse con forza un respiro. Poi deglutì, per ricacciare nello stomaco il nodo che le si era formato in gola, e continuò a camminare al fianco di Neville.

Chissà cosa gli ho fatto…

Abbassò lo sguardo mentre procedeva.

Il perché Draco si fosse messo a odiarla in quella maniera, all’improvviso, non lo sapeva. Però, si era convinta di aver capito perché prima o poi sarebbe comunque dovuto succedere…

Ci aveva pensato tanto: ci aveva pensato davvero. Ed aveva capito almeno una cosa: che sentirsi dire “Hermione Granger e Draco Malfoy” non era come sentirsi dire “Hermione Granger, Ronald Weasley e Harry Potter”

Hermione e Draco… così suonerebbe meglio?

Le salì un sorriso colpevole sulle labbra… ma si smorzò subito, dolorosamente.

Perché era stata proprio per quell’ostinazione a farla cadere nell’errore: l’ostinazione di pensare che siccome per lei non cambiava niente, allora non cambiava niente per nessuno.

Invece, due cognomi molto spesso cambiano tutto…

Lei neanche ci aveva pensato: neanche se n’era preoccupata. Neanche si era chiesta se fosse giusto o meno: aveva semplicemente pensato che fosse incredibile con quanta facilità avesse preso E ad un compito. E quanto bravo fosse stato a vincere una partita di Quidditch. A quanto fosse stato carino ad andarla a salutare in infermeria.

A quanto divertente giocare a palle di neve?

Non era che Draco Malfoy non l’avesse mai chiamata Mezzosangue o non l’avesse mai voluta morta… solo, non era nemmeno che qualcuno si sarebbe aspettato che Harry Potter e Ronald Weasley l’avrebbero lasciata a Hogwarts da sola.

Quello che le persone fanno resta. Sempre.

In bene o in male, segna.

Però… esistono cose che segnano di più.

E sei anni d’odio forse valgono meno di un solo sorriso.

E se anche era vero che Draco non gliene aveva fatto nemmeno uno… era anche vero che alcune volte l’aveva trattata come se non avessero fatto altro che sorridersi da sempre…

Il viso le si contrasse in una smorfia: di nuovo delle lacrime le bussarono agli occhi.

Il relativismo sapeva perfettamente cosa fosse. E avrebbe dovuto sapere che per quanto le cose potessero avere un dato valore per lei, per quanto le cose potessero renderla davvero felice, non era scontato che avessero lo stesso effetto per gli altri.

L’aveva offeso dando per scontato che fossero diventati amici? Si era, forse, sentito insultare quando l’aveva chiamato per nome? Era rimasto disgustato nel momento in cui aveva cercato di coinvolgerlo nella sua vita più di quanto le lezioni di pozioni richiedessero?

Senza accorgersene… aveva pensato cose che non avrebbe mai dovuto pensare di loro due. E a quel punto? Poteva scusarsi? L’avrebbe ascoltata?

Avvertì un nodo stringerle la gola.

Pensava solo che se solo avesse saputo come rimediare, avrebbe voluto…

Per Draco Malfoy.

Strano davvero… ma vero davvero.

Per chi magari se l’era anche comprata l’ammissione alla squadra di Quidditch, ma che poi era diventato un giocatore eccezionale. Per chi era così collerico e insensibile da averla sempre saputa offendere come nessun altro, ma che le aveva anche dato una mano a portare i sacchetti con i regali di Natale. Per l’aveva voluta uccisa da un Basilisco, ma che poche settimane prima era rimasto a insultare gli unicorni di fronte a lei, piuttosto che andare a dormire.

Per Draco Malfoy, il re dell’orgoglio e la stupidità fatta uomo.

Per le bandierine che gliel’avrebbero sempre ricordato…

No, devo smetterla.

Di cercare un ago che non sarebbe servito a niente, doveva smetterla. Perché un ago per ricucire serve soltanto se si ha qualcosa da ricucire…

E tra lei e Draco Malfoy, evidentemente, non c’era mai stato niente…

E adesso basta.

Riaprì gli occhi che aveva stretto con forza, determinata.

e li volse a Neville, che si era messo a fischiettare allegramente: davvero, basta.

Qualcuno se ne andava.

Quello che andava fatto, certe volte, era solo lasciarlo andare.

Si voltò verso Neville, che ancora fischiettava felice, e si sciolse in un piccolo sorriso.

Quante volte ancora avrebbe dovuto impararlo, prima di accettare che separarsi spesso era indispensabile anche semplicemente per dare un valore a chi non se ne andava?

« Andiamo a mangiare? » Le domandò lui, voltandosi in quel momento e scambiando per fame – e non si sapeva bene come – la dolcezza insita in quel suo sorriso pacato.

Le uscì un sbuffo divertito.

« Prima devo fare una cosa, scusami. »

L’allegria di Neville si sciolse in un’espressione sofferente.

« Adesso? » Domandò provato.

All’idea che lo lasciasse solo o che non potesse subito mangiare?

« Ci metto dieci minuti. » Garantì dolcemente, e si volse verso il portone d’ingresso.

« Allora… allora ti aspetto a mangiare! » Si sentì gridar dietro da Neville, con una voce dilaniata dal senso di colpa.

Perché stava rinunciando al cibo o perché stava per cedervi?

« Hermione! » Gridò Neville dopo qualche attimo, colmo di pentimento: « RIPENSANDOCI FORSE INCOMINCIO! »

Perché stava per cedervi. Decisamente.

Sorrise al niente davanti a sé e gridò, prima di uscire verso la Capanna di Hagrid:

« SI! »

Ma era certa che Neville non aveva aspettato il suo assenso per correre dal pan di zenzero.

Quando bussò alla porta della casupola del MezzoGigante, udì tutti i rumori che un uomo delle dimensioni di Hagrid poteva causare agitandosi in una quindicina di metri quadri di spazio – i cui 4 metri e mezzo non occupati da lui erano irrimediabilmente pieni di ferrarglia e latta: tanti tintinni, tanti grugniti e un lungo e straziante latrato di Thor, forse perché il padrone gli aveva schiacciato la coda.

Sorrise prima di vederlo comparire sulla porta.

Solo allora, però, amabilmente, gli augurò:

« Buon Natale! »

« Ah, Hermione… » Mugugnò Hagrid, sulla soglia, cupo. « Ciao, Buon Natale… »

Ma che ha?

« C’è qualcosa che non va? » Gli domandò subito, allarmata. Hagrid non era il tipo da rabbuiarsi per niente.

Hagrid grugnì senza rispondere. Lanciò un’ultima, grave occhiata in giro e poi le fece spazio nel vano della porta per farla entrare.

Prima ancora che lei potesse ripetersi, in ansia, Hagrid appoggiò sul tavolo la copia di un giornale.

« Toh. »

« Cos’è? » Domandò con febbrile incuriosita. Incapace di dominarsi di fronte a carta stampata che avesse nere su bianco delle parole fini – e tanto più erano fini, tanto più ne rimaneva affascinata.

« L’anteprima della Gazzetta del Profeta. »

Gazzetta… del Profeta?

Negli occhi sgargianti scintillò qualcosa di molto simile alla commozione.

« Non posso crederci… » Trattenne il respiro, sinceramente toccata, incapace di trattenere l’emozione. Era incredibile! Che avesse una copia il giorno di Natale… Che esistesse una copia per il giorno di Natale… Che Hagrid leggesse! « E’ fantastico! »

In uno slancio di profondo orgoglio gli riservò uno sguardo di scintillante ammirazione.

Sapevo che sapevi leggere, Hagrid. Io lo sapevo.

Hagrid però scosse il capo, rabbuiandosi ancora di più.

« Leggi. » Reagì brusco.

Hermione si ritrasse sostenuta, non capendoci niente: l’aveva appena sinceramente ammirato per aver dato fondamento a tutte le più alte aspettative che aveva riposto in lui quegli anni! Non era proprio il caso di essere così scorbutici.

Si sistemò con calma sulla sedia, raddrizzandosi sul busto con fare piccato, e si mise a leggere fingendo totale calma e noncuranza.

Ma non appena la sua mente registrò il titolo dell’articolo in prima pagina s’irrigidì all’istante.

Un lampo ancora.

Ancora negli occhi.

Di preoccupazione pura

« Doveva succedere. » Commentò il MezzoGigante, scotendo il capo.

Lasciarlo…

Strinse tra le mani il giornale, accartocciandone i bordi tra le dita.

« Hagrid… » Si sentì mormorare con un filo di voce tremante.

« Che c’è? »

… andare.

« Ho bisogno che mi porti in un posto… »

*** *** ***

Mercoledì 25 Dicembre. Ore 11.57
Hogwarts. Sala Comune

Che schifo…

Si riguardò tra le mani il regalo di Hermione Granger.

Al solo sovvenirgli di quel nome l’orgoglio cacciò lampi di collera selvaggia. Quello stupido scarafaggio insignificante. Quella sottospecie di stecca con in testa una siepe. Rigida e stupida. Isterica e insopportabile. Anche più piattola di Piattola-Weasley! Petulante, puntigliosa, sciatta, indisponente!

Ed era così svampita che nemmeno si accorgeva di quanto sapesse essere davvero ripugnante…

Così svampita che “cretina” non le suonava nemmeno bene!

Invece cretino suonava bene su di lui.

Serrò la mascella impietosamente forte. E un’ombra gli scese sugli occhi glaciali: a ricordarsi per quante volte aveva pensato che in quella persona risiedesse del valore gli veniva l’incredibile desiderio di prendersi a sberle.

In mancava della sua faccia da So-Tutto da trivellare con un trapano!

Si, la odiava per quello.

Perchè era Hermione Granger.

E avrebbe dovuto essere diversa, e invece non lo era.

Avrebbe dovuto un corno!

Imprecò mentalmente contro se stesso.

Ma porca vacca! Per tutte le Piovre Giganti della Terra! Anzi, per tutti i Serpenti Velenosi del Pianeta! Ecchecacchio! Al diavolo tutte le creature del mondo in cui avrebbe voluto trasformarsi quell’idiota! E al diavolo direttamente quell’idiota! Che non avrebbe dovuto proprio una bega di niente! Mamma che nervoso! Ed era lì: era lì che aveva sempre sbagliato e continuava a sbagliare lui! Era per quello che era un cretino impenitente: a dare meriti a qualcuno che non li meritava! A paventare anche solo la vaga possibilità che non fosse indegno considerare Hermione Granger completamente priva di qualunque cosa che non ispirasse vergogna, ignominia, infamia, disprezzo e orrore!

E l’aveva difesa!

Sentì come di avere delle spire che gli cacciarono sulla punta della lingua litri di veleno da sputarle in faccia. Le ciglia assottigliate quasi da non vederci più e i pugni stretti lungo i fianchi che vibravano d’odio.

Contro Pansy Parkinson, porca vacca! Contro Pansy Parkinson! Che, d’accordo, un po’ spostata lo era. E anche maniacale, nessuno diceva di no. E sicuramente megalomane – inquietante, gli balenò nella mente il Regime Parkinson. E con il senso del bello simile a quello di un procione cieco.

Tutto vero. Tutto verissimo.

Ma almeno non era così… così…

Così meschina.

Gli salì in gola un disgusto tale che fece una smorfia come se davvero stesse per vomitare.

Hermione Granger lo faceva vomitare.

E perché l’aveva raccolto, quel regalo del cavolo, nemmeno lo sapeva più!

Forse per il piacere di bruciarlo?

Mh… Si! Bello!

Doveva essere stato per quello!

Si compiacque per quell’idea geniale. Un’espressione strana s’impadronì del suo viso: un misto di trionfo e convinzione.

Un trionfo, si…

Un trionfo isterico. L’autentica stretta in fondo allo stomaco di un laccio che gli serrava impietosamente le membra: un nodo che non si scioglieva e il vomito glielo faceva venire sul serio. L’espressione che s’incrinava travolta da un’ondata di sconforto desolante.

Di delusione bruciante.

Che non doveva spegnersi.

Si voltò di scatto, alla ricerca ossessiva di qualche pezzo di legno con cui fare un enorme falò. Un falò di quelli colossali, terrificanti, che rischiano anche di bruciare quello che c’è intorno… si guardò intorno: vide Villa Malfoy. Lo sguardo vi si perse dentro, nelle sale che conosceva a memoria. Vi si perse dentro con un distacco impermeabile dentro cui divampava un grido cangiante, di sogni spezzati e solitudine stridenti. Vitreo in quell’argento sbiadito e opaco.

Nei ricordi di una vita che lo colmavano sino a fargli scoppiare la testa.

Nei ricordi di una padre che non c’era mai stato.
Di una madre che non c’era più.

Si, poteva bruciare anche quella casa…

In un grande falò, insieme a tutto quello che non aveva più senso.

Avrebbe attizzato un grande fuoco! E non avrebbe mai lasciato che si spegnesse! Non avrebbe mai lasciato che lasciasse dietro di sé solo cenere… e quel tormento degenerato e malinconico che affondava le unghie nel suo petto.

Strinse tra le mani il regalo che aveva in tasca. Lo accartocciò con rabbia, con lo sguardo che si contraeva dolorosamente in un desiderio di fare pulizia di quello che non doveva più esistere. Abbassò lo sguardo e trovò un legnetto, gli occhi vi si assottigliarono sopra, si chinò e lo afferrò di scatto, con le mani nude che affondavano nella neve che in quei giorni si era posata soffice sul giardino intorno alla villa.

E poi un altro legnetto. E un altro. E un altro ancora.
Stringeva quegli arbusti secchi e gelati tra le dita violacee, con un’ostinazione furiosa e selvaggia.

Li accatastò in qualche modo su un lembo di terra su cui aveva rimosso la neve. E non era importante se erano pochi. Avrebbe fatto una grande magia, una grandissima magia: avrebbe fatto bruciare tutto. E poi finalmente non ci sarebbe più stato niente.

Niente sulla faccia della terra che potesse sbiadirgli lo sguardo di quello che in quel momento era tremendamente simile a delle lacrime…

Ma non lo erano! Non gliene fregava niente! Non si sentiva solo! Non si sentiva abbandonato! Da nessuno! Né da suo padre! Né da sua madre! Né dal mondo intero! Né da…

Da…

NO!

Si impuntò furibondo, con un cipiglio che in quel momento più che in qualsiasi altro parve disperato. Prese dalla tasca il regalo di quella stupida e lo gettò in mezzo ai legnetti. Quella ragazzina egoista. Quell’opportunista non l’aveva abbandonato! E lui non ci si sentiva perché lei non era niente. Niente! Perciò non gliene fregava niente se lei non c’era più. Era stato un attimo, uno stupido errore pensare qualcosa di diverso!

E oltretutto non ci aveva nemmeno pensato lucidamente!

Guardò con odio il pacchetto davanti a sé. Estrasse la bacchetta, la puntò contro il piccolo mucchietto, lo fissò come se tutto ciò che era rappresentasse quello che doveva sparire, fece per pronunciare una formula magica e…

Un puntino di freddo si sciolse sulla guancia calda.

Un disturbo convulso gli contrasse le membra.

Un altro puntino.

E poi un altro.

E un altro ancora.

Piccolo fiocchetti di neve fina cominciarono a danzare soffici su di lui ed intorno a lui, puntellando di bianco le sue impronte scure in mezzo alla neve, e il mucchietto di legno che aveva ai suoi piedi.

Chiuse gli occhi al limite della sopportazione.

Ecco, perfetto…

Addio falò, con quella neve di mezzo!

Io odio la neve.

La odiava!

In un tremito di rabbia e frustrazione, quando un fiocco più grande degli altri gli si posò sul naso, tirò un calcio contro il mucchietto di legna. Un calcio così forte che tutto volò per aria. Un calcio così forte che le dita dei piedi si incassarono nelle scarpe e lui cacciò un gemito dal dolore, piegandosi su se stesso e imprecando.

Un calcio così forte… che il regalo di Hermione volò diversi metri più in là…

Un grido straziante gli sorse in gola ma si asciugò prima di uscire dalla bocca aperta.

Perché…?

Perché… aveva dovuto essere lei?

Perché diavolo nel suo opportunismo, nel suo egoismo di riempire semplicemente un vuoto non aveva finito anche per volergli anche solo un po’ bene per quello che era…?

Accettarlo… per quello che era…

Si contrasse in una smorfia lacerata, sfinita, furiosa…

Si guardò le mani tremanti, gelide, e se ne portò una alla testa pulsante, comprendo un poco il viso contratto e scosso da singulti ingoiati per orgoglio.

Perché, semplicemente, anche per un motivo futile non le era diventato caro… almeno quanto lo era diventa lei per lui? Almeno da sentirsi abbandonata da lui, almeno quanto lui, nel profondo… si sentiva abbandonato da lei…?

Sollevò lo sguardo spezzato, stanco di non piangere… e poco più in là lo vide…

Come un piccolo miracolo sporco e ormai mancato: un regalo che si era scartato da sé, nell’aria. Lasciato. Raccolto. E poi lanciato via… aveva voluto aprirsi…

Al solo scorgerlo di lontano avvertì una stretta al cuore.

Qualcosa di rotto che si sigillava insieme di nuovo… solo per rompersi, di nuovo.

Una speranza spezzata due volte.

Nell’avvicinarsi lento… nel raccoglierlo trovando nell’inerzia l’unica spinta per avvicinarsi. Mortificato e solo, al limite della rassegnazione, con uno sguardo disperato, si trovò a fissare un piccolo ciondolo a forma di serpente.

Quello che si era fermato a guardare a Hogsmean, quando ci erano andati insieme…

La confusione e la tristezza che lo colmarono in quel momento furono talmente profonde, gli gonfiarono il cuore con talmente tanta veemenza che in un soffio tutte le lacrime che poterono uscire, uscirono, senza un rumore… e tutte le tante altre si spensero dentro gli occhi sgomenti…

« Tu sei come sei. »

Quel serpente sembrava dire questo.

E l’Hermione che gli aveva lasciato quel regalo, sembrava dirgli che l’aveva sempre saputo.

Sempre…

E sempre… sempre… accettato.

Con un sorriso.

Si coprì gli occhi con le mani, nascondendo una smorfia distrutta.

Lo voleva vedere ancora quel sorriso…

Voleva essere perdonato.

Anche se non avrebbe chiesto scusa nemmeno fosse cascato il mondo, voleva disperatamente essere perdonato per averla lasciata indietro… prima che lei potesse farlo con lui

Essere perdonato per aver pensato che l’avrebbe gettato via come uno straccio vecchio quando si fosse accorta di non poterlo cambiare.

Essere perdonato da quella sua gentilezza che sapeva davvero superare sei anni di odio: accettare un affetto. Custodire con calore.

Che l’aveva fatto sperare.

Sperare… che un po’ di speranza ci fosse, in fondo, per tutti.

… anche per lui

Essere perdonato per non aver saputo ammettere di fronte a nessuno, nemmeno a se stesso, che era diventata così preziosa… così importante che la sola idea di non essere niente, per lei, non aveva solo ferito il suo orgoglio… ma anche disfatto il suo cuore.

La voleva vedere…

Negli anfratti di sé, in quelle cose buone che lei aveva visto. In quelle che lei aveva forse creato, semplicemente credendoci… voleva trovare un ago con cui ricucire lo strappo che aveva provocato nella loro vita.

Per potersi incontrare ancora.

Non per andare verso di lei… perché non era così buono, non era così bravo.
Ma per permettere a lei di venire verso di lui, si. Quello si.

Perché lei, invece, così buona lo era sempre stata.

« Draco! »

Gli parve persino di sentirla… con quella sua voce assurda che si preoccupava per un niente, e quando era in apprensione per qualcosa diventava stridula e terrificante come il vagito di un ippogrifo.

« DRACO! »

Sotto le mani che ancora gli sostenevano la fronte pesante, inarcò le sopracciglia contrariato.

… perfetto, adesso ho pure le allucinazioni… sono proprio un demente…

Scosse il capo con stanca insofferenza, e l’orgoglio intramontabile che lo accompagnava seppe persino indurlo ad arrabbiarsi all’idea di essere caduto così in basso da sentire la voce stridula di quella comunque insoffribile stracciamaroni della Granger che lo chiamava – insultarla gli faceva bene, si convinse.

Come se davvero potesse essere Hermione Granger quella che, sollevato lo sguardo, vide scendere da una motocicletta guidata ad un ispido MezzoGigante infagottato, e superare la soglia del grande cancello rimasto aperto da quando avevano portato via sua madre.

Gli venne un colpo quando riconobbe che nemmeno un’allucinazione poteva avere quei capelli così dannatamente cespugliosi.

Sbalordito e sconcertato, Draco Malfoy comprese che la persona che stava correndo verso di lui era proprio Hermione Granger.

Nella confusione totale e nel principio di assurdo sollievo contro cui non voleva combattere gli venne da stridere con voce rotta, pericolosamente incline al pianto:

« C-che cosa diavolo ci fai qui?! »

D’altronde Hermione sembrò ignorarlo completamente (cosa per la quale ci sarebbe stato un lungo discorso) e si precipitò letteralmente da lui.

Pallida, quasi smorta, con un fiatone da nonna di ottont’anni che ha appena finito una maratona di 20 chilometri (numero metri che aveva percorso correndo = 46 e mezzo) e uno sguardo alienato.

Con un principio di embolia, cominciò un’infinita sequela di parole assurde:

« Stai bene? Ho letto di tua mamma! Io lo so che non volevi. Ma poi ho visto il giornale… E quindi ho temuto… » Si fermò solo per spalancare gli occhi in modo disumano, diventando quasi agghiacciante, e per aggiungere mortalmente costernata: « Lo so che non volevi… »

E poi riprese orrendamente a parlare, traendo respiri profondi ogni cinque minuti – e per tutti gli altri rischiando la vita in una drammatica apnea.

Mentre lui…

Beh, lui la guardava ammutolito.

Ad un tempo sconvolto per il suo arrivo improvviso. Traumatizzato per quanto poteva diventare oscena all’incassarsi continuo di polmoni, guance e occhi. E incredulo per quanto poteva essere assurda in quell’evidente tentativo di suicidio che per lei doveva essere praticamente un’esigenza per come non smetteva minimamente di parlare.

Ma le sopracciglia aggrottate e perplesse che si erano arricciate con incredulo sgomento, cominciarono presto a rilasciarsi lentamente… il sollievo quasi gli fece male negli occhi e nella mente: lo sforzo di sciogliere tutto il rancore, tutta la sofferenza, in un istante, gli strappò un dolore lancinante che durò però solo per un attimo…

L’espressione contratta cominciò a rilassarsi con le spalle, mentre una mezza smorfia che di rassegnato aveva forse, soltanto, un autocritica commossa, gli si disegnava sulle labbra.

Non era nessun altro che lei.
Orribile, inquietante e isterica…

Disarmante…

… per quanto sapeva essere commuovente.

Il tipo di persona che sapeva preoccuparsi da morire per chiunque.

L’unica, che sapeva farlo per lui.

E l’aveva sottovalutata ancora una volta.

Pensando che servisse per forza un ago per ricucire tutto.

Quando, invece, semplicemente, bastava lei

« … scusami… »

Gli uscì in un sussurro prima ancora di rendersene conto, ma non se ne pentì…

E dire che non stava neanche cadendo, il mondo…

Ma in fondo non era poi così importante rispettare una promessa stabilita con sé stesso, no? Tanto nessuno avrebbe saputo che non l’aveva rispettata. E al massimo sarebbe stato in seguito attanagliato da indicibili rimorsi e dolorosissime convulsioni.

Abbozzò una smorfia auto-ironica.

Ci poteva anche convivere, in fondo.

Se solo lei avesse sorriso, era certo che avrebbe potuto riuscirci.

Hermione però non sorrise.

Ebbe invece una reazione strana.

Sbiancò ancora di più, e senza aprirsi in alcun sorriso lo guardò in un modo ancora più terrificante… come se stesse davvero per morire, insomma. Con gli occhi che stavano per rivoltarsi, le guance che non esistevano praticamente più tanto erano incassate e la bocca essiccata in una smorfia raccapricciante.

Fu quasi sul punto di sentire la preoccupazione vincere l’orrore… ma poi vide Hermione riempirsi di lacrime e cominciare a singhiozzare a dirotto, e non gli passò nemmeno per la testa che quello non fosse un pianto commosso.

E allora sorrise.

Decisamente, ci poteva convivere.

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Capitolo 12
*** Oltre il vero ***


Beh, eccomi qui…

Beh, eccomi qui…

Incipit difficile, questa volta.

 

Più di quanto non sia stato le volte precedenti ribadire le mie scuse per i ritardi, e sottolineare che comunque il mio impegno in questa fan fiction è assoluto, nella misura in cui il tempo per lo studio, per il lavoro e per poche altre cose oggettivamente più importanti, me lo permettono.

Più difficile perché non sono mai arrivata al punto di dover dire che, comunque, scrivere è e dev’essere – almeno secondo la mia opinione – un piacere.

E un piacere principalmente per chi scrive, non solo per chi legge.

Dico questo non per difendermi da chissà quale accusa, perché non me ne sono state rivolte: è stato anzi molto apprezzato il vostro continuo ricordarmi che c’era ancora qualcosa da scrivere in questa fan fiction, qualcosa che era tanto atteso da non potersi attendere per un (altro) anno, e come sempre sono estremamente grata a tutti voi che avete commentato ancora assiduamente, ancora con entusiasmo, la mia storia.

Dunque, dico questo per contestare solo una piccolissima parte delle vostre opinioni: perché no, io non vi sto mancando di rispetto.

 

Posso capire la delusione di non trovare un capitolo, e l’esasperazione nel pensare che la mia promessa di finire la fan fiction probabilmente implica tempi biblici, ma questo non significa che, ribadire la mia promessa e continuare a scrivere nei tempi che mi sono possibili, sia irrispettoso.

Non finirla, dopo avervi detto che l’avrei fatto, sarebbe irrispettoso.

E tutt’al più non aver mai detto che l’attesa sarebbe stata lunga – cosa che viceversa ho sempre detto – sarebbe stato irrispettoso.

Ma io scrivo, per me e per voi, tutte le volte che posso, ci metto impegno, e, di sicuro, tolgo tempo ad altre cose che sicuramente mi piacerebbe ugualmente fare.

E soprattutto nessuno obbliga nessuno a seguire questa fan fiction, specialmente se questo gli procura fastidio – e sto sempre parlando di un fastidio legato alla più che giustificabile esasperazione e rassegnazione per la lentezza infinita degli aggiornamenti, perché so che è di quello che si parla.

 

E, ripeto, so cosa vuol dire sentirsi un po’ delusi di fronte ad una storia mai aggiornata, mai finita, che si desidera molto vedere conclusa o continuata, ma penso comunque che non sarei mai stata giustificata nel ritenere irrispettoso l’autore che ne era “responsabile”.

Non era un suo dovere.

E ad ogni modo penso che non fosse così contento di non avere tempo o persino voglia di finire qualcosa che aveva iniziato, perché in fondo si sarebbe trattato di non continuare una cosa per cui del tempo l’aveva già speso (e generalmente è tanto tempo).

 

Detto questo, se è vero che scrivo per me e anche per voi, è anche vero che metto on-line le mie storia per lo più per voi (ovviamente, non nel senso che lo faccio a vostro esclusivo piacere e in me non c’è nessuna pretesa egoistica: sono contentissima all’idea di ricevere i vostri commenti, e per questo posto volentieri).

Dunque se tutti pensate che questo non vi crea più piacere, che questo sconclusionato modo di andare avanti implichi tutto sommato un gioco che non vale la candela, io posso smettere di postare la storia, o eventualmente scrivere un capitolo finale alternativo, che concluda un po’ le vicende fino a questo punto narrate, cosicché non abbiate aspettato per nulla.

Nel frattempo posso andare avanti a scrivere la mia storia, per come l’avevo immaginata e continuo a immaginarla, per me e per gli amici più stretti a cui posso mandarla via e-mail o comunque che possono averla disponibile senza passare da internet (che comunque richiede altro tempo ed energia quanto meno per rileggere e risistemare quello che non va più che bene)

 

Ve lo scrivo, con assoluta e totale disponibilità, con l’intenzione di sdebitarmi per l’incredibile gratificazione che ho avuto, grazie a voi, alla vostra partecipazione e al vostro apprezzamento, nel scrivere questa fan fiction fino a questo punto.

La mia e-mail è scritta sul mio profilo, ma in generale per quelli che avevano già intenzione di commentare il capitolo lasciando su EFP una recensione o che avranno questo desiderio nel corso della lettura (e spero siano tanti ^^) vale la regola che mi si può lasciare lì un brevissimo appunto, purché non mi sia scritto solo quello e purché sia davvero un appunto brevissimo: è importante, va rispettato il regolamento del sito.

 

 

The Draco and Hermione’s Opera

 

Capitolo 12. Oltre il velo

 

We have got through so much worse than this before
What's so different this time that you can't ignore?
You say it is much more than just my last mistake
And we should spend some time apart for both our sakes

 

Abbiamo passato tempi peggiori di questi
Cosa c’è di così diverso questa volta che non puoi ignorare?
Dici che è molto di più che solamente il mio ultimo errore
E che dovremmo separarci per il nostro bene

 

[Snow Patrol – Make this go on forever]

 

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.10
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy

Aveva lui mai detto che avrebbe potuto convivere con l’onta e la convulsioni generate dallo scusarsi sommessamente con quella deficiente cosmica di Hermione Granger?!

Per la verità, si.

Soffiò tra i denti del veleno puro, cacciandolo contro lo specchio nel tentativo di corrodere l’immagine ignominiosa che stava riflettendo di sé. Ma non poté far altro che piegarsi in due per i dolori atroci che gli strinsero impietosamente lo stomaco.

Sollevò faticosamente lo sguardo stravolto e imperlato di sudore. In una smorfia di trattenuto dolore, con le fitte che gli falcidiavano gli organi interni e con gli occhi ridotti a due sottili fessure, fece echeggiare per i sotterranei di Serpeverde un ululato incontrollabile e minaccioso, e tutta la scuola seppe che Draco Malfoy – l’impenitente, orgoglioso, collerico e lunatico, Draco Malfoy – aveva contratto una fulminante diarrea.

Un tizio di nome Sigmund aveva proposto una teoria interessante rispetto all’educazione dei così detti sfinteri, dando un ruolo cardine a quello proverbialmente posto nel popò. Attorno a questo sfintere aveva fatto tutta una serie di elucubrazioni confortanti sul senso del dono che ne proveniva e su come esso fosse un profumato investimento affettivo che non si volesse essere così disposti a rilasciare, almeno non nei primi mesi di vita. Un trauma di un qualche tipo in teoria avrebbe potuto impedirne la sua giusta regolazione… e in pratica avrebbe fatto nascere categorie concettuali altamente edificanti come: stitichezza, sindrome del colon irritabile, costipazione e la già citata diarrea, detta anche in gergo squisitamente medico “scariche di caghetta liquida

Partendo da questi presupposti, a giudicare dalla quantità di doni che sembrava possedere il suo intestino, e dalla frequenza con cui sentiva improvvisamente la necessità di espellerli, sarebbe stato giustificabile far risalire il suo disturbo a un trauma infantile di devastante entità.

Naturalmente, lui era di tutt’altra opinione.

Imputava infatti la sua condizione alla maledizione che i suoi avi avevano presumibilmente scagliato su di lui per quello che aveva fatto alla casata dei Malfoy pronunciando ignominiose parole di scuse. Per di più a una creatura completamente indegna persino di essere salutata.

Maledizione che aveva cagionato i suoi ripetuti tete-a-tete col water.

Ma non era colpa sua l’aver pronunciato ciò che aveva pronunciato. Era questa la ragione del suo colossale malumore!

Qualcuno gli aveva fatto un incantesimo! Qualcuno aveva architettato una vendetta contro di lui! E quel qualcuno con ogni buona probabilità e logica era Hermione Granger!

E a quel punto lui, innocente, ne stava pagando indebitamente le conseguenze!

Poco in portava se qualche esimio medimago avrebbe forse avvalorato l’ipotesi che mangiare due chili di marmellata alle arance e poi prendere freddo allo stomaco potesse in qualche modo incidere sulle abitudini intestinali di un qualunque individuo. E questo persino a prescindere da incantesimi o maledizioni. Per quanto fosse un fatto che di traumi infantili lui ne avesse certamente avuti, e di proporzioni indubbiamente devastanti.

D’altra parte, Draco Malfoy era tornato Draco Malfoy, e nessuno gli avrebbe tolto l’inguaribile desiderio di incolpare Hermione Granger di tutti i mali di questo mondo.

Dandole ovviamente un ruolo del tutto elitario per quello che riguardava i suoi, di mali.

Le cui proporzioni nell’ultimo quarto d’ora si erano ingigantite in modo spropositato, oltretutto.

Complice, sicuramente, il fatto che l’unico Serpeverde del suo stesso anno rimasto a Hogwarts per Natale sembrava essere Pucey Davis. E la cosa era pregnante se non altro per la semplice ragione che la possibilità di sfogare sugli altri il suo – costante – malumore era in linea di massima proporzionale al malumore stesso: non avere nessuno pronto ad ascoltare i vituperi che uscivano a fiume dalla sua bocca era strettamente connesso con l’impennata presa dal peso dei suoi mali.

E per quanto riguardava Pucey Davis, era semplicemente fuori discussione un qualunque contatto che non prevedesse esclusivamente un calcio negli stinchi.

Le parole non servivano con i traditori di Serpeverde.

E che Pucey Davis lo fosse – un traditore, intendo – era uno dei massimi credo di vita di Draco Malfoy.

Secondo, probabilmente, solo alla profonda convinzione che Hermione Granger dovesse essere accoppata.

Forte di questa schiacciante e indiscutibile verità, si trascinò verso l’infermeria con indiscussa grazia: rantolando e gemendo il più acutamente possibile, in versi straziati e strazianti. Il tutto al primario scopo di ragguagliare una creatura – non precisamente umana e non meglio specificata – che prima di morire doveva quanto meno espiare quella parte di colpe che l’avrebbe salvata dalla dannazione eterna e che guarda caso potevano essere suppergiù scontate dimostrandosi sufficientemente dispiaciuta per la sua condizione.

Draco Malfoy, dispensatore di indulgenze, era caritatevole fino a questo punto, si.

E cretino molto oltre qualunque punto, anche. Considerando che la Torre in cui si presumeva fosse colei a cui doveva giungere il suo urlo disumano era l’estremità fisica più lontana da dove si trovava in quel momento.

Priorità principe era ugualmente raggiungere l’infermeria.

Almeno prima che la drammatica verità della sua condizione si rivelasse in tutta la sua forza dirompente.

Almeno prima di scoprire l’imbarazzante essenza dell’incontinenza…

… senza avere un bagno a portata di mano.

Madama Chips lo accolse con una sorpresa che, a tratti, sotto i colpi sferzanti delle coliche renali, gli parve stramaledettamente divertita.

« Signor Malfoy? Ma cos’ha? » Domandò con la vocetta rachitica, senza però muovere un solo passo verso di lui.

Le lanciò uno sguardo carico di angoscia, stringendosi con vigore la pancia.

« Secondo lei?! Al posto di restare lì a fissarmi non potrebbe darmi qualcosa!? »

« Moderi il tono, Signor Malfoy. » Lo ammonì acidamente la medimaga, aggiungendo spicciola: « E si sieda. »

Con un’indifferenza da manuale che la fece arrivare alla sua credenza delle meraviglie in tempi immani, Madama Chips si mise svogliatamente a cercare una medicina tra le molte boccette piene di pozioni.

Mentre lui, sulla scia di un improvviso movimento intestinale, fece un balzo sulla sedia più vicina. Spinto in parte dal panico. In parte dalla lucida consapevolezza che la priorità fosse solo una.

Tapparsi.

Quando vide che Madama Cips non aveva ancora smesso di cincischiare in mezzo a quelle stramaledette boccette, le ringhiò astiosamente tra i denti:

« Si vuole muovere?! »

La medimaga gli lanciò uno sguardo di sufficienza e poi afferrò una boccetta che all’interno aveva un liquido verdognolo. Gliela passò, dettando laconica:

« Ecco: trangugi. »

« Trangugi? » Ribatté in un soffio strozzato, disdegnoso e circospetto – e sempre tutto raggomitolato in se stesso, stando ben attendo a non aprirsi troppo nell’afferrare l’ampolla.

Esitò a prenderne un sorso, ma i crampi erano talmente forti che decise di ignorare il pessimo presentimento che aveva rispetto a quella pozione.

Si accorse però immediatamente, che andando avanti di sorso in sorso sarebbe morto molto prima di guarire.

Soffocato nel vomito con cui avrebbe inondato la stanza.

« Dio! » Strillò, inorridito. Ritrasse il capo con una smorfia molto più che disgustata. « Che schifo! »

« Trangugi, trangugi. » Ribadì Madama Chips, che, prima di andarsene chissà dove, gli diede due pacche sulle spalle che celavano nel tocco una qual sorta di gongolante soddisfazione.

Ma Draco Malfoy aveva ben altre gatte da pelare in quel momento. Molto più urgenti di mutilare orrendamente la medimaga. Come per esempio far risalire tutta la faringe all’ultimo trangugio che gli si era mozzato tra i denti, e che gli aveva strappato il colorito più rosato che si fosse mai visto sul suo viso.

O, piuttosto, come far fronte ad una conseguenza, di tutto quello che era successo, che i crampi allo stomaco avevano relegato fino a quel momento negli angoli più nascosti della sua mente…

« Guarda chi c’è? Il figlio dei due mangiamorte più famosi dell’Inghilterra. »

Si volse lentamente verso destra.

E non fu uno sforzo immane, per lui, solo perché la pancia continuava a dolergli ad ogni minimo movimento…

Un ragazzino di Corvonero, probabilmente in infermeria a causa del suo braccio destro – penzolante quasi fosse stato incantato da quel depravato di Allock – lo fissava avidamente, con bramosa insistenza.

E i suoi occhi recavano al loro interno qualcosa di così nitidamente trionfante, e nello stesso tempo sfinito e sfinente, che sarebbe bastato davvero solo quello, e non anche le parole che disse, per fargli comprendere davvero molto di quello che sarebbe venuto… 

Il Corvonero saltò giù dal suo lettino con incauta urgenza. E vacillò per qualche momento prima di assestarsi in piedi.

Basso e pallido, persino sofferente a giudicare dalla smorfia che faceva ad ogni ondeggiamento di quel suo arto martoriato, appariva eppure così imponente di fronte a lui.

A lui, che nell’istante esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva capito che la sua strada, che forse un bivio lo era sempre stata, a quel punto cominciava ad andare solo e semplicemente avanti, in una sola direzione. Dritta e larga.

Scoperta.

Senza più un albero sotto cui riposarsi, senza più i mille sentieri da prendere per fare un po’ quello che voleva. Senza più discese, salite, scorciatoie: solo una lunga strada vuota.

Sotto il sole, il vento e la pioggia che sarebbero venute giù da cielo.

E l’aveva saputo all’improvviso, ma nitidamente, che quello era vento di tempesta…

« Che fai, Malfoy? » Riprese con cupa soddisfazione il Corvonero, facendo un passo barcollante verso di lui, e continuando a soffiargli tra i denti tutto il suo risentimento: « Non reagisci? Non hai niente da dire? »

Non ne aveva, infatti.

Perché l’unica cosa che gli appariva adatta, per lo strano giro degli eventi, non l’avrebbe ridetta una seconda volta.

Si rigirò sulla sedia, con movimenti nervosi e insofferenti. Avrebbe semplicemente voluto tornare nella sua stanza, e non uscirne per molto tempo. Avrebbe semplicemente voluto non dover dire niente. Ma dovette sforzarsi di rispondere, raccogliendo tutto il fastidio di cui era capace in quel momento:

« Gira a largo, ok? »

« Quanto tempo ci vorrà prima che ti sbattano ad Azkaban con i tuoi genitori? » Ringhiò invece il Corvonero, sempre più infervorato.

« Ti avverto, se non la smetti… »

« Cosa vuoi farmi? » Lo provocò l’altro, con gli occhi fiammeggianti e il respiro affannoso, per il trasporto con cui lo fronteggiava. « Uccidermi come un vero mangiamorte? »

Reagì d’impulso.

Nel ricordo di un sé ormai perduto, seppur in così breve tempo.

Reagì scattando in piedi e serrando tra le dita la propria bacchetta. Ma negli occhi non c’era orgoglio. Né ardente fiducia in un credo che negli anni qualcosa di amaro, qualcosa di marcio l’aveva lasciato. Negli occhi: una desolazione lancinante. Ardente. Smarrita.

Una rabbia verso qualcuno di indefinito che assomigliava molto a se stesso…

E quello che esalò, come se fosse una minaccia, lo sentiva così falso che gli salì la nausea solo a pronunciarlo:

« E se lo facessi? »

« Lei non farà proprio niente, Signor Malfoy. » Lo corresse frigida e altera Madama Chips, comparendo all’improvviso, e guardandolo prima lui e poi sovrastando il Corvonero con l’asciutta figura nodosa: « E lei la smetta di far penzolare in giro il suo braccio, se non vuole che rimanga per sempre così. »

Solo dopo essersi assicurato di non poter continuare a insultarlo, il ragazzino ricadde sul lettino e si rannicchiò sotto le coperte. Il viso ancora un po’ deformato dal fervore, e stravolto dal male al braccio che doveva essere divenuto insopportabile da quando aveva cominciato ad agitarsi.

Madama Chips disse allora a lui di tornare al suo dormitorio. Lo guardò insistentemente, scandendo ogni parola con profondità. Con l’integrità inattaccabile di chi, quando arriva il momento, si schiera persino con i colpevoli se questi sono diventati i più deboli.

Un’ammissione che nell’autostima che gli era rimasta lo colmò di frustrazione.

Fece per andarsene.

Andare avanti. Fosse anche per pagare. Ma almeno avanti… almeno per non dover ammettere che l’unica cosa che gli rimaneva era davvero quel muro impietoso di lucente determinazione. Lì a difenderlo solo perché non si infierisce su un nemico già vinto…

Il Codice d’onore dell’Esercito di Silente.

Strinse i pugni lungo i fianchi, cercando di scacciare i pensieri che gli affollavano la testa. Ma oltre il braccio arcuato delle medimaga, vide qualcosa che fermò i pensieri dov’erano: che fermò tutto il suo mondo dov’era.

Lentamente, lo bloccò, incastonandolo in quel momento.

In quel momento in cui i passi slanciati si fermarono come se non avesse più forza per trascinarli. In cui gli occhi gli rimasero incollati allo sguardo contrito… Umido. Sorridente di un sorriso penoso… che il giovane Corvonero relegava al calore gentile del suo cuscino.

Non lo udì veramente: non era possibile da quella distanza. Non era possibile per la voce sottile con cui venne mormorato.

Eppure, in qualche modo lo sentì.

Un singhiozzo silenzioso e contratto, che sembrò liberare il petto di chi lo lasciò andare:

« Finalmente un po’ di giustizia… »

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.15
Hogwarts. Corridoio davanti all’Ufficio di Silente

Bussò cercando di darsi un tono.

Non troppo forte, ma nemmeno in modo timoroso. Con toccate ferme: non secche, ma nemmeno morbide.

Voleva dare l’impressione di essere assolutamente tranquilla e convinta di ciò che aveva fatto.

E lo era, certo.

Ecco perché la spilla appuntata al suo petto, di solito fulgente di luce argentea, le sembrava orrendamente nera.

Riflesso del suo cuore, anch’esso ovviamente nero. Orribile. Efferato. Contaminato. Quasi Naraku l’avesse impregnato con la sua solita, cara, vecchia aura malefica che appesta sempre tutto quello che trova a meno che nei paraggi non si aggiri Kikyo, risorta per la trecentoventisettesima volta, cecchino scelto della S.W.A.T. nonché Mastrolindo Miko Version, che fa tornare tutto perfettamente luminoso e pulito.

Ed ecco perché si era resa inesorabilmente conto che, per lei e solo per lei, la “P” marchiata a fuoco sul suo glorioso stemma non voleva più dire “Prefetto”, ma ovviamente “Peccatrice”.

E sempre per la medesima ragione, ovvero il fatto che era e si sentiva innocente e calma, forte della sua moralità e dei motivi che l’avevano indotta a infrangere le regole – questo solo pensiero le causò un breve mancamento -  si trovava a traspirare copiosi litri di sudore gelido. E aveva mandato una lettera a Oliver Baston per chiedergli in prestito la frusta con cui tutti sapevo aveva allenato la sua squadra di Quidditch negli anni addietro, e con la quale aveva già programmato i giorni della settimana con cui flagellarsi atrocemente.

Ovviamente, aveva anche rispolverato un vecchio leggio grazie a cui, nel flagellarsi, avrebbe potuto contingentemente anche studiare.

Va bene espiare… ma un minimo di diletto voleva tenerselo!

Il punto era: quando la porta si aprì senza preavviso, Hermione Granger si decise ad avanzare solamente per due ragioni.

La prima: il dovere di essere corretta pur nella sua imperdonabile mancanza. Ovvero, ammettere l’errore prendendosi le sue responsabilità.

La seconda, e più importante: il vago ricordo di una vecchia clausola mai esplicitamente abrogata – ed era controversa la questione della sua abrogazione tacita o implicita - all’articolo 2117 comma 84bis del regolamento di Hogwarts, la quale considerava un’infrazione svenire davanti all’Ufficio del Preside, ostruendo così il passaggio ad altri studenti bisognosi.

Per questo e solo per questo, Hermione Granger ebbe la forza di andare a far fronte alle sue innegabili colpe. Sussurrando mentre sgusciava velocemente all’interno, con un filo di voce:

« Permesso… »

Da dietro la scrivania, un fiotto di luce accecante e purissima la annegò in tutta la sua immacolata beatitudine. E una voce che recava in sé infinita gentilezza – poiché la più grande punizione per il Maligno è mostrargli quanto gli è superiore la magnificienza del Giusto – l’accolse nauseabondamente dolce:

« Signorina Granger! Prego! Entri pure! Che piacere vederla! »

Deglutì, facendo un passo in avanti che non seppe davvero come le riuscì.

Forza Hermione, puoi farcela.

« Salve Professore, scusi se la disturbo… » Farfugliò con un fil di voce, stropicciandosi le dita le une con le altre.

« Nessun disturbo, nessuno! » Scosse allegramente il capo il Preside, facendole segno di avanzare verso di lui. « Stavo giusto per bere una tazza di te. Vuoi favorire? » Le allungò sul tavolo una tazzina, sorridendole dietro la barba. « Assicuro che è delizioso. »

Continuando a sudare freddo si sedette sulla sedia, mentre biascicava brevi negazioni e partecipatissimi ringraziamenti, scuotendo con movimenti meccanici e nervosi il capo cespuglioso.

Non l’avrebbe detto, ma tutto quel rituale doveva fare un gran ridere.

Altrimenti Silente, che era una così brava persona da tramutare una risata in un sorriso intenerito, non l’avrebbe guardata così affettuosamente.

Ma Silente era Silente.

E un po’ dell’ansia che l’aveva accompagnata, si era già dissolta.

E persino il silenzio che per un po’ si venne a creare, mentre il Preside sorseggiava sereno il suo the, non parve così pesante come forse lo sarebbe sembrato se al suo posto ci fosse stato chiunque altro…

Per quanto ugualmente difficile fosse tentare di imbastire un discorso articolato contro il pressante desiderio di togliersi la spilla, riconsegnarla per indegnità, e inginocchiarsi ai piedi di Silente domandando perdono.

Cosa che, tutto sommato, il suo spropositato orgoglio le faceva apparire ancora non del tutto consona.

Il Preside le tolse il pensiero di cominciare a scusarsi, esordendo per lei:

« Ho sentito… » Pausa. Pallore. Sudore. Unghie nei braccioli della sedia. « … da fonti che ritengo attendibilissime… » Hagrid. Maledetto. Traditore. Omicidio. « … che è stata fatta una missione di salvataggio ieri. »

Ok, ho capito.

Fece per alzarsi e tirare indietro la sedia.

Le serviva più spazio per prostrarsi.

Ma si fermò a mezz’aria quando udì Silente dire vividamente:

« Un’idea sorprendentemente previdente, considerando che una missione simile era stata programmata da me per quest’oggi. »

Aggrottò le sopracciglia, sorpresa.

« Come…? »

Silente annuì con convinzione un paio di volte, mentre lei si risedeva lentamente sulla sedia, fissandolo perplessa.

« Ovviamente, Signorina Granger, è dovere di ogni Preside assicurarsi che i suoi studenti passino delle belle feste di Natale. E non possono certo nemmeno dispiacersi se una loro studentessa li precede in intenti così meritevoli di lodi. »

Si risistemò del tutto sulla sedia, abbassando un poco il capo. Questa volta più che per il senso di colpa, per l’imbarazzo che le imporporava un poco le guance.

« Sicché converrà con me che, se fosse venuta solamente per scusarsi di non avermi chiesto il permesso di aver ricondotto qui il Signor Malfoy, il suo tempo sarebbe stato ingiustamente utilizzato. » Continuò pacatamente il Preside, con un guizzo speranzoso che gli attraversò lo sguardo nell’allungarle ancora una delle tazze: « A meno che non voglia prendere questo the insieme a me. »

La tazza fumante aveva un’aria così invitante, e quel luogo trasmetteva una sensazione così famigliare e intima, che questa volta non poté rifiutare. E nemmeno poté privarsi di confessare timidamente tutti i timori che in quelle ore l’avevano assiduamente accompagnata:

« Io… mi chiedo cosa succederà… »

Sollevò lo sguardo verso il Preside, che in quel momento sorseggiava il suo the con il viso leggermente incupito.

Era certa che Silente avrebbe capito.

Difatti, quello, scuotendo il capo con una certa amara consapevolezza, mormorò:

« Quello che immagina, temo… »

L’avevo immaginato, infatti.

Si disse sconfortata, presagendo quello che sarebbe venuto.

« La panna cotta verrà brevettata dai cinesi. » Dichiarò il Preside rammaricato.

Ok, non si erano capiti.

Si schiarì la gola un paio di volte, prima di biascicare, vagamente interdetta:

« No… ehm… intendevo… rispetto a Draco Malfoy. »

Silente la guardò per un attimo perplesso. Poi, come capendo improvvisamente, esclamò:

« Oooh, certo! Certo! » E, stranamente, quello che continuò a dire al riguardo, lo disse assai serenamente: « Allora, vede, sarebbe assai strano se, a parità di interesse degli studenti per la Gazzetta del Profeta, i loro genitori per una volta non abbiano profuso i loro sforzi per un rapido acculturamento. Cosa di cui sono sicuro che sia io che lei, fuor dal contesto, siamo molto felici. E’ che, Signorina Granger, trovo la notizia di Narcissa Malfoy incarcerata un po’ troppo maligna perché non venga subito diffusa come dovrebbe convenirsi invece per le belle notizie. »

Decise che non smettere di guardare intensamente il the era la cosa migliore da fare.

Più che altro per non dover dar spiegazioni della sua espressione afflitta.

Draco non avrebbe potuto contare su niente se non sulla certezza che, da quel momento in avanti, l’odio e il disprezzo celati contro la sua famiglia, e ciò che la sua famiglia rappresentava, l’avrebbero accompagnato per sempre.

Anche se quelle colpe, lui, personalmente, non le aveva.

Era solo un ragazzino… che chiamare Harry “Lo Sfregiato”, e lei “Mezzosangue” era forse davvero il massimo male che aveva fatto nella sua vita.

E per quello, non si condanna…

Immersa in quei pensieri che le velavano il viso di tristezza, trasalì quando udì Silente aggiungere:

« Però posso dirle per certo almeno una cosa, Signorina Granger, che spero davvero la consolerà. » Lo trovò a guardarla dolcemente. E, a dire il vero, si sentì anche solo per questo un po’ consolata… « Non c’è protezione più grande, per chiunque, della cura degli altri. » La fissò ancora più profondamente, senza però metterla a disagio. E, per un attimo, le parve quasi fosse per ringraziarla. « E perciò anche io mi sento molto più tranquillo, dopo questo nostro incontro, perché comprendo che il Signor Malfoy sarà abbastanza protetto da qualunque cosa »

Ma Hermione Granger non si trovò per la seconda volta ad abbassare il capo, nel tentativo di nascondere un poco del rossore che avrebbe potuto imporporarle nuovamente le guance.

Forse perché le sue riflessioni sulla sorte di Draco si erano fermate molto prima di quel punto. Forse perché aveva sempre pensato che più che riportarlo indietro, lei non avrebbe potuto fare molto altro per lui. Non lo detestava, e lui non la odiava, certo… ma Hermione Granger e Draco Malfoy in fondo rimaneva Grifondoro e Serpeverde senza possibilità di redenzione, no?

In fondo, sembrava normale, per lei, per tutti, pensare che se Draco fosse rimasto a Hogwarts, sarebbe rimasto solo.

Eppure non era così.

Eppure quel piccolo passo, quella piccola pretesa di conoscere cosa avrebbe desiderato quando sua madre era stata portata via: quello che le aveva fatto pensare di andare a riprenderlo… quello diceva qualcosa di diverso, che nemmeno lei aveva mai ammesso ad alta voce.

Ma sentirlo pronunciato da qualcun altro fu un po’ come renderlo vero per la prima volta.

Ma anche renderlo vero per sempre.

Fu come sentirsi improvvisamente abbastanza coraggiosi e forti da fare da scudo a qualcuno semplicemente per il desiderio di difenderlo.

Fu come sentirsi troppo convinti per imbarazzarsi.

E proprio perché capì cosa Silente le voleva dire, non schivò i suoi occhi chiari e profondi, che la osservavano affettuosamente.

Ma ci fu una cosa che viceversa non riuscì davvero a capire…

Quello che Silente disse subito dopo.

« Lo sa, Miss Granger? Ho avuto una conversazione simile con un altro studente poco tempo fa…» Le rivolse un piccolo sorriso, nascosto sotto la lunga barba bianca. «  Si trattava di uno studente veramente dispiaciuto di non avere più con sé una persona veramente speciale per lui. »

« Che studente? » Domandò con discrezione, ma alquanto incuriosita.

Silente sorrise ancora, ma a quella domanda, quasi come se non ce ne fosse bisogno, decise di non rispondere.

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.13
Hogwarts. Sala Comune

« Narcissa Malfoy marcirà ad Azkaban per tutta la vita. » Esclamò in un tremito di gioia e soddisfazione Justin Flich Fletchley, che quasi fece una capriola per l’ilarità che quella esclamazione gli comportava.

Hanna Habbot ridacchiò di una risatina breve e più composta, ma ugualmente soddisfatta.

« C’era da aspettarselo, eh? » Domandò, in sua direzione, e lui attese qualche attimo prima di assentire.

Ma lo fece.

In qualche parte profonda di sé, non riusciva a privarsi di quella sensazione di sollievo e speranza che il poter apertamente rivendicare la giustezza di com’erano andate le cose generava in lui. E questo, nonostante in fondo al cuore sapesse che qualcosa di non perfettamente giusto stava accadendo.

Perché era sciocco, ma non così sciocco da pensare che si può accusare qualcuno solo perché si ha finalmente una scusa per farlo.

Ciononostante assentì.

Perché anche lui, dopo tutto, aveva perso troppo per stare a pensare sempre e solo a cosa fosse giusto.

E perché a Draco Malfoy, in fondo, lui non doveva niente.

« Narcissa Malfoy non è stata portata ad Azkaban, ma al Ministero per essere processata. »

Hermione Granger, che continuava a leggere tranquillamente il giornale su cui la grande notizia era stata trascritta nero su bianco, sfogliando le pagine con attenzione, rimase ad ascoltare il silenzio che avevano procurato le sue parole.

Poi alzò il capo, chiuse il libro lentamente, e con una tranquillità senza sbavature, impeccabile nel tono calmo, aggiunse:

« E noi non possiamo sapere se è colpevole o innocente. »

Rimase a fissarla attonito.

Come la maggior parte degli altri studenti intorno a lui, quella pacatezza e quell’integrità sembrarono un rimprovero inaccettabile che Justin non osò prendere in nessun altro modo se non come scherzo di pessimo gusto.

« Scherzi, Granger? » Domandò il Tassorosso ridacchiando. Ma la voce gli tremava, e le sopracciglia inarcate disegnavano un di disappunto quasi bruciante.

E anche lui, inconsciamente, si trovò ad inarcare le sopracciglia con crescente disagio e un nocciolo di duro rimprovero.

Ma di fronte alla disapprovazione che si celava nella sorpresa nervosa di Justin, e che diede avvio a decine di altre critiche verso quello slancio apparentemente ingiustificato di democrazia, Hermione ribatté senza problemi, sempre con calma:

« Spero che tu lo stia facendo, Fletchley. »

E anche se quelle parole non erano contro nessuno, in molti sentirono che da qualche parte avevano colpito.

« Hermione… » La richiamò a quel punto, in un ammonimento strisciante e rauco.

Quando si rese conto di aver parlato non riuscì ugualmente a nascondere l’espressione distorta con cui forzatamente la guardava, con palese malessere.

Lei gli rivolse uno sguardo profondo, e qualcosa della sua impenetrabile determinazione si ammorbidì.

« Non sarebbe la prima volta che il Ministero accusa persone innocenti. » Si spiegò, più dolcemente. Rivolgendosi a lui come si sarebbe rivolta ad un amico.

Perché loro lo erano.

Amici.

Da sempre.

E forse lo erano diventati anche perché anche lei aveva perso tanto in quella guerra. Perché anche lei aveva dato abbastanza da non dover più niente a nessuno. Eppure lei, quell’odio e quel rancore che si erano liberati in lui alla notizia portata dalla Gazzetta del Profeta, sembrava non averli…

« E’ la moglie di un mangiamorte che ha tentato di ucciderti. Di uccidere tutti i tuoi amici. » Balbettò, scuotendo il capo con movimenti pieni di nervosismo, e una voce sempre più incrinata. « Non è… non va bene, Hermione… »

Non andava bene.

Perché in quel momento, erano così lontani che se si fosse sforzato di riconoscerla al di là di quella immensa distanza, sentiva che avrebbe finito per non riconoscere più se stesso… Che avrebbe finito per rendersi conto che quella distanza era un po’ come il muro che separava due schieramenti molto precisi, sulla cui appartenenza non aveva mai avuto, in fondo, alcun dubbio.

… invece loro erano sempre stati dalla stessa parte.

Erano sempre stati dalla parte giusta.

Ma ora…

« Scusa, Neville. » Gli mormorò dispiaciuta, sfiorandogli il braccio con delicatezza quando fu costretta ad alzarsi e andarsene a causa dell’infervorarsi delle persone intorno a lei. « Ma io credo che sia giusto così. »

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.33
Hogwarts.

Aprì la porta lentamente, in un breve rumore.

Ma nel silenzio luminoso della biblioteca, si udì chiaramente quel suono che andò a increspare solo per un attimo la solitudine pesante che vi governava all’interno.

E per un attimo, nell’attimo che la sua mente ci mise a elaborare quello che vedeva, l’abbandono con cui Draco sedeva su una sedia, col capo chino, le parve così disarmante da farle pensare di fare un passo indietro.

La mente la costrinse a rimanere.

Ma quando lui alzò lo sguardo verso di lei, fu il cuore a farla avanzare.

E con tutta la tristezza e la durezza che possono convivere in uno sguardo lontano, Draco continuò a fissarla anche quando gli si fermò dinnanzi, senza dire una parola.

Strinse maggiormente al petto i libri che teneva, e non seppe con che espressione ebbe il coraggio, o la presunzione di dire:

« Ho sentito che tua madre verrà processata tra due mesi. »

Ma lo disse con una voce che nel momento stesso in cui uscì le parve più chiara e nitida di quanto non avrebbe creduto.

Draco non reagì.

Se non per l’attimo sfuggente in cui qualcosa di assurdo e tragico si intravide oltre il vetro delle sue iridi sbiadite. Così rapido, così veloce, che non avrebbe saputo essere sicura di averlo visto.

Ma dopo quell’attimo, ancora il nulla.

« Così pare… » Mormorò poi, lui, distante, mentre si alzava.

Fece il giro del tavolo e si fermò davanti a lei, con gli occhi rivolti per terra.

Non la guardò.

« Ho mal di testa. » Disse, sempre impassibile.

E la superò senza attendere una risposta, uscendo dalla stanza.

Non cercò di fermarlo, non gli disse nulla. Né gli andò dietro… Ma guardò la porta oltre cui lui si era dileguato con lo sguardo di qualcuno che ha capito che esistono altre strade, oltre a quelle segnate e calcate da mille passi.

Che esistono altre ragioni dalla parte di cui stare.

Quello era il momento.

Il momento in cui non avere paura di oltrepassare l’ultimo confine.

Un confine che innanzitutto, un paio d’ore più tardi, le si poneva come una rediviva Pansy Parkinson che le puntò addosso gli occhi scioccati quando la vide oltrepassare la soglia della sala comune di Serpeverde.

« Granger? » Biascicò assolutamente basita. « Ma come diavolo…? »

Era sicura che Miss Serpeverde, già di ritorno dal suo breve viaggio natalizio, non volesse sapere come era riuscita a passare il ritratto posto a guardiano della loro sala comune. Nonostante ritenesse fosse stata particolarmente astuta, certo.

Per questo disse subito, senza troppi convenevoli:

« Sono qui per Draco. »

Un inizio col botto, non c’era che dire.

La risata gracchiante di Pansy, un po’ stralunata un po’ divertita dalla sua richiesta apparentemente assurda, si disperse per la sala dove Serpeverde più piccoli si erano silenziosamente messi in ascolto di quello che si preannunciava uno scontro tra titani.

La mangusta e il serpente.

Qualcuno allungò un galeone nelle mani di qualcun altro, per scommettere sul morto, ma il radar di prefetto di Hermione li sgamò alla grande, e le bastò lasciare una brevissima occhiata insindacabile oltre alla spalla della rivale per farli desistere dall’azzardo.

Occhiata che le fece guadagnare la fiducia dei molti che al di là dell’orgoglio di appartenenza alla propria Casa avevano fiuto per il guadagno.

Era in effetti implicitamente data 5 a 1 la vittoria del mammifero sul rettile.

« Ah si? » Grugniva intanto con velenosa ilarità Pansy, tra un sogghigno e l’altro, « E chi te l’ha chiesto, Granger? »

Hermione si schiarì la gola.

Una gola che, a dire il vero, non era nemmeno così secca come avrebbe pensato:

« Nessuno. Ma vorrei parlare con Draco, perciò se puoi spostarti… » E mentre lo diceva fece qualche passo in avanti, in direzione di quello che sapeva essere il corridoio dove si trovava la stanza di Draco.

La sua decisione dovette spiazzare il suo avversario, che non seppe reagirvi.

Sfortunatamente, Pansy notò in quel momento la boccetta che teneva in mano, rimastale nascosta per caso. Cosa che la riscosse alquanto velocemente. Le si parò dunque di nuovo, burberamente davanti, stridendo con un ardimentosa foga:

« Gli vuoi rifilare un filtro d’amore, eh?! » Lo sguardo stravolto da cupe ombre d’isteria repressa venne attraversato da una folgorazione improvvisa. Cosa che le fece presagire il ringhio corrosivo e fremente che seguìrovi: « Draco ti odia, in questo momento come  mai. E’ colpa di quelli come te se si trova solo, adesso. Ti odio, Granger. Ti odierà per sempre! »

Per sempre…

Rimase lungamente a guardare Pansy negli occhi.

Lungamente, rimase a guardarla senza dire o fare nulla.

L’ultimo confine…

Era quello.

Quel velo di certezze che c’era sempre stato.

Scontato e magnificamente semplice da immaginare, da pensare. Da creare. E che tutti avevano contribuito a creare…

Non guardò la Serpeverde con freddezza. Né con severità, o fastidio. O con il cipiglio ardente e appassionato che si ha nel rivendicare una conquista difficile… la guardò come una persona normale che parla del suo mondo più scontato

E nello stesso modo la contraddisse, scuotendo leggermente il capo:

« No, non mi odia… noi non ci odiamo… anche se tu, o chiunque altro, volete continuare a pretendere che sia così, non lo è. »

Gli voleva bene.

In qualche modo che ancora non era riuscita a capire, aveva finito per volergli bene.

E ci sarebbe stata, semplicemente per questo.

Draco non era solo.

Hermione Granger che scostava il velo della differenza…

Questo fu quello che accadde.

« Ma chi… chi ti credi di essere?! » Strillò con un disprezzo balbettante e irato la Serpeverde, mentre le strattonava il braccio con così tanta aggressività che la boccettina le rimase in mano solo perché trattenuta dalla prontezza della punta delle sue dita.

Un tic nervoso le fece fremere impercettibilmente la tempia destra, mentre si riassettava in piedi.

Inspirò profondamente, e scandì con caustica lentezza:

« Stavi quasi per farlo cadere. »

Uno. Due. Tre… Dieci.

Calma, doveva stare calma…

Pansy si mise a urlare senza contegno, inviperita al punto che ben presto ciò che le uscì dalla bocca non era più voce ma ultrasuoni:

« E chi se ne importa! Tanto meglio! Non vi odiate?! Sei impazzita?! »

E intanto faceva oscillare il capo maniacalmente avanti a indietro. 

Come un serpente pronto a colpire.

Come un aquila che cerca la preda.

Come un coccodrillo che ha appena visto a pochi metri da sé un sociologo che si avventura a studiare il numero di alghe che vanno a costituire un fenomeno sociale.

O un piccione che pensa intensamente:

« Quello è un chicco di mais: voglio un chicco di mais. Dammi un chicco di mais: non toccare il mio chicco di mais. »

Si, certo: poteva capire Pansy Parkinson… Che, poverina, non riusciva a fare a meno dell’odio, e del disprezzo, per stare al mondo. Certo, la compativa. Certo, non aveva bisogno di risponderle per sapere di aver ragione.

Certo…

Però poteva anche smetterla di trapanarle i timpani con quei suoi strilli allucinanti che le sputavano addosso tutti gli insulti che le venivano in mente!

« Non hai il fegato di ribattere, eh, Granger?! » Continuava imperterrita Pansy, con gli occhi completamente dilatati che le davano l’aria di una vecchia invasata – e il capo sempre più oscillante, il chicco di mais sempre più vicino.

Hermione, non ne vale la pena…

« Sei solo una sporca! »

Lasciala perdere.

« Insulsa! »

Stai calma.

« Lurida! »

CALMA.

« Mezzosan- »

« Pietrificus Totalus! »

Imperante, come solo chi ha in mano l’ascia di un baby menù medievale può essere, Hermione Granger fissò con onnipotente superiorità la sagoma pietrificata che permaneva immobile ai suoi piedi. E acquisendo in altezza qualche significativo centimetro, per un attimo a qualcuno parve di vedere dietro di lei l’immagine di un uomo molto preciso quando, con voce sorprendentemente baritonale e profetica, echeggiò glaciale:

« Non accetto insulti da una persona che ha il nome di un morbo »

E nonostante l’imprevedibilità intrinseca di quella scena, una muta standing ovation si diffuse tra i Serpeverde.

Il chicco di mais era stato vinto.

Hermione Granger era il suo nuovo padrone.

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 18.02
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy

Bussarono alla sua porta.

Lanciò svogliatamente uno sguardo all’ingresso. Non avrebbe aperto. Nemmeno per 1000 galeoni. Nemmeno per l’abolizione di Grifondoro. O di Corvonero… o persino di Tassorosso.

Nemmeno se avessero continuato a insistere a oltranza, accanendosi su quella porta solo come lui si sarebbe accanito su Pucey Davis.

Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. TOC-TOC.

Ma porca!

Si alzò di scatto dal divano e in uno slancio furente spalancò la porta, berciando:

« Chi diavolo… »

La fine della frase se la perse scoprendo che la persona di fronte a lui, altri non era che Hermione Granger.

« Ti ho portato qualcosa per il mal di testa… » Gli disse.

E quella volta, non gliel’avrebbe lasciato ai piedi.

Non sarebbe stato in grado di dire perché, ma in qualche modo lo sapeva.

Come non sarebbe stato in grado di dire come Hermione fosse riuscita ad entrare nella sua Sala Comune, e poi raggiungere lui, ma nello stesso tempo non poteva pensare ad una cosa così sciocca che lei non fosse in grado di fare…

Quella piccola creatura sorprendente che, ancora una volta, lo guardava in attesa, in apprensione. In quella preoccupazione un po’ impacciata che, ormai, sentiva di conoscere bene.

Era così rassicurante… che per un attimo si dimenticò di ogni cosa.

Ma fu lei a riportarlo bruscamente indietro, a guardare in faccia ad una realtà che anche lei sembrava vedere bene:

« Tua madre verrà processata tra un paio di mesi. »

E di nuovo, uno squarcio nella sua espressione rimescolò i suoi sentimenti facendo uscire l’angoscia profonda che l’aveva ferito.

Dovette obbligarsi a girarsi. Perché, anche se fu per un attimo, e anche se avrebbe potuto essere qualunque cosa, e non angoscia, aveva la sensazione un po’ assurda e un po’ vera, che lei potesse vedere tutto esattamente per quello che era.

« L’hai già detto, mi pare. » Commentò, cercando di essere serafico, ma in realtà sapendosi la fronte imperlata di un sudore freddo e denso. La voce lontana che si impose di non tradire alcuna emozione.

E che non l’avrebbe tradita mai.

Con nessuno.

Poteva sentirla dietro di sé, sospirare, e forse guardare in basso, tentennare: poteva sentirla giocare con quel filo su cui si sentiva in equilibrio per miracolo.

E lo sapeva, quella volta lo sapeva che non ne era consapevole: che non voleva fargli del male, che voleva semplicemente capire più a fondo qualcosa che era sempre stata parte del suo mondo. Capire dove stesse la colpa, e punire.

Hermione Granger era buona: i suoi insulti, lei gli aveva dimenticati.

Ma un marchio, è qualcosa che non si può dimenticare. Perciò sapeva che quello che avrebbe voluto più di ogni altra cosa, non poteva chiederglielo. Sapeva che il prezzo da pagare per poter non essere solo, era il più alto che gli si potesse essere richiesto…

« Finalmente un po’ di giustizia… »

Un prezzo troppo alto.

« Draco, tu… tu credi che sia innocente? »

Si volse repentinamente verso di lei. Con uno sguardo così affilato e fiammeggiante che ferì prima di tutto se stesso, le rigettò addosso violentemente:

« E tu cosa credi? »

Troppo alto, ormai.

Perché ormai lui non poteva più fingere che quella che tutti chiamavano giustizia, per lui lo fosse davvero.

Hermione lo fissò sorpresa, come se non capisse cosa stava dicendo.

Una prostrazione profonda, rabbiosa, lo vinse. E il viso si irrigidì lugubremente sul pavimento, mentre, in una smorfia dolorosa, tutte le ragioni per cui sapeva che Hermione non avrebbe potuto sostenerlo in quella che per lui era, in fondo, una flebile, preziosissima speranza, gli salirono sulle labbra inflessibili e impietose:

« Mio padre ti ha quasi ucciso una volta… » Strinse i pugni lungo i fianchi, continuando a fissare ossessivamente in basso, con un’ombra sul viso. « E poi… sai, anche mia madre se avesse dovuto ti avrebbe uccisa. Si… se avesse potuto»

Non avrebbe voluto continuare, non con quel viso così miseramente contratto oltre i capelli scombinati che gli erano caduti davanti, e le mani rattrappite in pugni tremanti. Non con quell’aria così disperata che in fondo si rendeva conto di avere sul viso smunto.

Perché anche se ormai non poteva più tornare indietro: anche se per la prima volta aveva davvero scelto da che parte stare… l’idea che non l’avrebbe più avuta con sé era anch’essa insostenibile.

Ma per qualche ragione non riuscì a fare altro che guardarla mentre esalava, quasi gemendo:

« Però lei… lei… »

Hermione rimase immobile per qualche minuto. Sul viso non si leggeva altro che confusione, una confusione mortificante che lo fece sentire completamente vuoto.

… e triste.

Lei sembrò riscuotersi un poco in quel momento, ma rimanere sempre piuttosto perplessa. Poi fece quello che faceva sempre: razionalizzò. Per un attimo, quel suo arcuare le sopracciglia per riflettere e puntualizzare… per dare un ordine alle cose, e saperle così valutare, gli mise addosso così tanta nostalgia, che, per un attimo… pensò di non potercela fare.

« Si, mh, ho capito. E anche tu avresti voluto… giusto? » Definì infine Hermione, grattandosi incerta la fronte.

Rimase sconvolto a guardarla.

Perché sembrava tranquilla nel dire quello che stava dicendo? Perché era così indifferente? Perché doveva ancora arrivare a dubitare che a lei importasse qualcosa di lui?

Mortificato, frustrato, disperato, deluso scosse il capo nervosamente: voluto cosa?

Perché parlava di quello come di un compito di Pozioni di cui non riusciva a capire il procedimento?

« Intendo che avresti voluto che io morissi… » Gli spiegò Hermione, che doveva aver capito il suo sconcerto.

In compenso a lui si gelò il sangue nelle vene…

Nel tornare a guardarla, non seppe vederla bene oltre la coltre di pianto che gli schermava gli occhi almeno da dentro, ma la intuì con ancora la mano sulla fronte, e l’aria di qualcuno che è arrivato alla soluzione di un calcolo nemmeno troppo difficile.

Si sentì improvvisamente male.

Ma poi…

« E io avrei voluto che tu restassi furetto. »

Si passò una mano sugli occhi, per scacciare le sue lacrime invisibili: per poterla vedere meglio.

E se ne accorse: si accorse che aveva un sorriso che nessuno avrebbe detto vedendo l’inclinazione impercettibile delle labbra… ma che lui vedeva aleggiare su tutto il viso. Con quel misto di ironia e tenerezza che sembrava dilagare ovunque.

Con tutta la semplicità di uno scherzo, di una cosa buffa, lei aveva pronunciò quelle parole con la naturalezza che si ha nel parlare di qualcosa che, davvero… non ha più alcuna importanza.

Fu come se gli abbracciasse i muscoli tesi: del collo, delle braccia, delle mani, del viso… e glieli rilasciasse.

Avrebbe voluto trovare un modo per guardarla di più negli occhi.

Un modo per avere di più da quel momento: imprimerlo ovunque, per non dimenticare come lo guardasse con le sopracciglia vagamente aggrottate vicino al centro della fronte, come se non capisse fino in fondo cosa aveva voluto dimostrare, dicendole quelle cose, come se quel suo calcolo mentale non le tornasse più di tanto… ma in ogni caso andasse bene.

Perché tanto il Basilisco non l’aveva uccisa, e Malocchio Moody l’aveva ritrasformato in un essere umano.

Perché era sua madre: e se la voleva salva, lei lo capiva.

Ricadde sul letto pesantemente, chinando il capo e i capelli argenti con sfinitezza.

Una colpa troppo grande…

« Finalmente un po’ di giustizia… »

… una colpa che aveva pensato davvero troppo grande per essere pronunciata di fronte a chiunque.

Ma non a te…

« Io non lo so… se è innocente… »

Lo mormorò, pur nel sollievo che l’aveva colto qualche attimo prima, con una tristezza che non credeva avrebbe mai potuto provare, e mai pronunciare…

Aggrottò le sopracciglia ancora di più, senza avere nemmeno la forza di impedire alle mani di andare a coprire la faccia contratta. L’espressione tormentata che non sapeva rassegnarsi.

Avrebbe voluto gridarlo al mondo.

Gridare che lei lo era, innocente.

Che non era giusto.

Avrebbe voluto poterlo dimostrare… non per salvare lui dalle parole degli altri.

Ma per salvare lei.

A cui era bastato un attimo per essere madre. Per dargli l’illusione di esserlo sempre stata.

Uno solo per dargli la certezza che l’unica dolcezza di cui era stata capace…  era stata per lui.

Come una carezza, non come uno schiaffo, gli aveva sciolto il cuore in una commozione distrutta e sconvolgente. Che l’aveva lasciato lì, nel nulla, in un luogo senza tempo dove sembrava che il dolore l’avesse sempre aspettato.

Dove sembrava che niente potesse accadere…

Eppure, qualcosa era accaduto.

Hermione Granger, era accaduta.

E accadde ancora: avvertì una mano che si posò sulla sua spalla.

Sollevò lo sguardo disorientato.

Hermione lo sfiorava appena, guardandolo contratta a sua volta, in tanta tristezza.

Com’era possibile che accettasse di portare con lui il fardello dell’incertezza? Della pretesa di rivendicare una salvezza per qualcuno, non perché lei era certa che se la meritasse, ma semplicemente perché sua madre?

Com’era possibile che una persona così triste sapesse dare così tanto conforto?

Se lo chiese dominando l’espressione che voleva rompersi in un pianto nervoso che rimase a filargli, questa volta visibilmente, la parte bassa degli occhi.

Perché lei c’era.

Vedeva le sue colpe e sapeva perdonarle: vedeva le sue speranze, quelle contro cui combatteva tutto il mondo a cui lei apparteneva, e le viveva con lui

E quello che era davvero commovente, era che lui riusciva a capirlo.

Che riusciva ad accettarlo.

E quello che fu davvero commovente, fu che non gli parve più nemmeno così strano che, al posto di ritrarsi infastidito, l’istinto che aveva represso era stato quello di aggrapparsi a lei in quello che, un abbraccio, forse, lo sarebbe sembrato.

Draco Malfoy ed Hermione Granger…

Le pretese degli altri non contavano più niente.

Perché se dietro quel velo c’era stato dell’odio, tra loro due, di esso non rimaneva più nulla.

 

*** *** ***

Le angoscie sono finite, almeno per un po’.

I nodi sono stati sciolti, almeno tra loro due.

E questo è quello che conta: ci sarà un salto che mostrerà quello che succede a Hermione e Draco in un momento che non ho ancora deciso… dipenderà, come ho scritto, anche da quello che mi direte rispetto alla storia, e a come dovrebbe proseguire.

Se cioè questo salto sarà di giorni, mesi o anni, mi riservo il diritto di deciderlo a breve, ma non ora.

Quello che è certo, è che tutto quello che è ancora da risolvere verrà risolto, foss’anche a condizione che io scriva il doppio delle pagine per il prossimo capitolo, se fosse quello conclusivo.

Per voi, sono anche disposta a farlo ovviamente.

 

Torno a studiare per l’esame di diritto di enti locali, che prego veramente mi vada bene nonostante io abbia speso l’ultima settimana a mettere a posto il capitolo!

Ne approfitto anche per giustificarmi: non l’ho riletto tutto intero, perciò potrebbero esserci sconnessioni – minime, spero – tra qualche parte.

Il concetto generale però è assolutamente quello.

Un bacio grande ^^

 

 

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Capitolo 13
*** Il massacro di San Valentino ***


Siccome sono passati più di due anni – e non “solo” un anno – dall’ultima volta, ho pensato di postare due capitoli (insieme)

Certo, un attesa così lunga non potrà essere mai del tutto ripagata, tuttavia chi scrive sa che è tutta una questione di ispirazione: per DHO ho avuto enormi problemi a capire come desideravo sul serio che andasse avanti la storia… in ogni caso non volevo interromperla perché la amo molto, e così non ho potuto che attendere di avere una qual sorta di epifania.

E in qualche modo l’ho avuta.

Volevo postarlo proprio a San Valentino, perché mi sembrava appropriato, ma sono rimasta bloccata a casa del mio ragazzo a discutere amabilmente (alias: lanciarci piatti, sedie e altri oggetti contundenti)

In ogni caso, questo capitolo è per voi.

Per tutti voi che rimanete a distanza di tempo e continuate ad appassionarvi a questa storia. Per quelli che non hanno perso la speranza di vedere che fine faranno i nostri eroi. Per quelli che si fidano del fatto che Draco ed Hermione si meritano un finale degno dello sforzo che hanno fatto per arrivare fin qui insieme.

E ve lo meritate anche voi, per lo sforzo che fate a seguirmi.

Per cui, con il cuore e il solito affetto, ecco un nuovo capitolo dalla vostra silverwings.

Un capitolo che non conclude questa storia, ma che ci mostra un altro piccolo passo verso quello che spero sarà un gran finale.

Coerente, divertente e felice.

Ps. E per chi si chiede quando sarà, non so dirlo in termini di tempo. Ma parlando di capitoli, non so se arriveremo ai 20.

The Draco and Hermione’s Opera

Capitolo 13. Il massacro di San Valentino

Venerdì 14 Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande

« Così, non sei mai stato al mare. »

Prese nota.

« E nemmeno ci vorrei andare! »

« Certo, certo… e in montagna? »

« A fare cosa? Assiderare?! »

Prese nota.

« Giusto, giusto… voi non sciate »

« Sci-cosa? »

« No, niente, uno sport. Dove andavi in vacanza, quindi? In campagna? »

« Vuoi scrivere la mia biografia, per caso? » Le rimbeccò infastidito Draco Malfoy, stravaccato su mezza panca e mezzo tavolo della biblioteca, a quell’ora ormai praticamente vuota.

« Non ci andavi? » Continuò serrata, staccando lo sguardo dal foglio e piantandoglielo direttamente in faccia, ignorando bellamente le sue ingiunzioni.

Il metodo migliore per farlo arrabbiare.

« Adesso basta! » Ringhiò lui, sbattendo una mano sul tavolo e aggrottando la fronte con così tanto disappunto che sembrava quasi che lo stesse insultando. Cosa che per altro si sarebbe meritato, considerando tutto! « Non ho alcuna intenzione di rispondere oltre a queste tue domande idiote! Chissene frega se non scivolo in montagna! »

Scio.

« O se mi piace giocare alle piglie in spiaggia! »

Biglie.

« O se la mia casa in campagna ha la terevisione! »

Ecco, appunto: il metodo migliore per farlo arrabbiare, e per farlo rispondere.

« Ah, ok ok… ti piace la campagna, dunque, bene… bene… » Commentò con tono distratto, mentre tornava a scrivere avidamente.

E comunque, si dice televisione.

Con la coda dell’occhio notò Draco andare in escandescenza, alzandosi e cominciando a gesticolare freneticamente, ma cercò di non badarci.

Se non altro perché, nel momento in cui si fosse messo a gettare all’aria dei libri, Madama Pince l’avrebbe fustigato a dovere in sua vece.

Ormai accadeva da giorni.

O almeno da quando Draco si era reso conto che lei si ritagliava sempre più momenti di solitudine, e non gli dedicava più tutta l’attenzione che lui riteneva di meritare, riversandola invece su chilometriche e misteriose pergamene.

Tutti quei sotterfugi e quell’improvvisa necessità di mantenere più spazi privati avrebbero immediatamente messo sul chi vive una persona intelligente. In poco tempo, una persona intelligente avrebbe potuto effettivamente scoprire che lei stava facendo qualcosa che lo riguardava e che doveva assolutamente tenergli nascosto…

Ma, fortunatamente, Draco Malfoy dimenticava veramente spesso di essere una persona intelligente.

Chiaramente il mentirgli e il tenerlo all’oscuro la facevano sentire in colpa ogni tanto. Ma il più delle volte, fondamentalmente, riteneva che fosse soltanto un emerito cretino, e che se solo lui avesse avuto un po’ più di pazienza e calma lei avrebbe potuto evitarsi l’ulcera che con ogni probabilità le stava scavando lo stomaco!

Naturalmente comprendeva – in qualche modo – la sua acidità. Non era proprio con investigativa accortezza che cercava di estorcergli informazioni sulla sua vita. Né con particolare tatto che talvolta gli diceva di sloggiare perché all’improvviso si rendeva conto di aver altro da fare.

D’altra parte, anche a costo di sentirsi rispondere di essere una deprivata mentale, qualunque cosa Draco credeva volesse dire – e dubitava che fosse il vero significato del termine – aveva e avrebbe continuato a restar vaga sui suoi affari, e ad impedirgli di ficcarci il naso adducendo scuse sceme come l’aumento improponibile di compiti, certa del fatto che per la semplice ragione che si trattava di compiti Draco se ne sarebbe tenuto alla larga.

Tattica fino a quel momento rivelatasi estremamente vincente.

Udì la voce acuta di Madama Pince frustare l’aria con una fattura.

Trasse un sospiro.

Come da copione, ecco la fustigazione.

 

*** *** ***

Domenica 16 Gennaio. Ore 19.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Le vacanze erano finite, e Ginny Weasley era tornata a Hogwarts…

Benché ciò che la univa a quel luogo fosse anche un legame triste, fatto di banchi e letti ormai vuoti, appartenuti a persone importanti di cui non rimaneva altro se non un’assenza ingombrante. Benché la vita si fosse rivelata difficile entro quelle mura assai più che nella sua casa dell’infanzia, tana caotica ma sempre accogliente. Benché avesse compreso cos’era il dolore, e persino la morte, solo da quando Hogwarts l’aveva ospitata nelle sue alte torri… benché tutto questo fosse vero, ogni volta che se n’era andata, foss’anche per una breve giornata ad Hogsmean, l’idea di tornare le aveva sempre trasmesso un senso di sollievo.

Il punto era che a Hogwarts non c’era mai stato e mai ci sarebbe stato nulla di prevedibile, ma non l’aveva mai abbandonata la certezza che tutto fosse superabile.

Come se in qualche modo, qualunque cosa avesse dovuto affrontare, in quella scuola avrebbe trovato la forza e il coraggio per uscirne intera.

Per la prima volta, invece, varcando le alte arcate dell’ingresso di Hogwarts, e poi la stretta cornice del ritratto della Signora Grassa, aveva percepito un po’ di inquietudine dentro di lei…

E questo perché Draco Malfoy continuava a mettere in discussione, ogni volta di più, i piccoli frammenti di concessioni che gli accordava per amor di onestà… o semplicemente per amor di Hermione.

Chissà perché, infatti, leggendo della cattura di Narcissa Malfoy l’avevano colta, nello stesso momento e con la stessa intensità, un senso di paura e rivendicazione: aveva dato fiducia a quel Serpeverde per avere in cambio la certezza che una delle persone da cui traeva quel coraggio e quella forza potesse rimanere al suo fianco. Non aveva dato un out-out a Hermione per non rischiare di essere l’out scartato, e aveva pensato che quello sarebbe bastato a far sì che Hermione restasse anche con loro. Invece i disastri che continuavano a travolgerlo non facevano che rendere sempre più instabile l’equilibrio che si era sempre sforzata di creare intorno a loro.

E quei sentimenti ingarbugliati non l’avevano abbandonata nemmeno quando era venuta a sapere che era stata proprio Hermione Granger a riportare Draco Malfoy a Hogwarts…

Non l’aveva sorpresa che il litigio tra loro due fosse finito: ricordava che quando era iniziato aveva sperato che accadesse. Tuttavia, il fatto che Hermione si fosse precipitata da lui l’aveva un po’ turbata, come se si fosse resa conto solo in quel momento che, anche se aveva riportato Draco a Hogwarts, prima o poi non avrebbe più potuto farlo.

E a quel punto? Se si fosse piombata a salvarlo, e una volta lì avrebbe scoperto che non poteva riportarlo indietro? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata indietro? Oppure non avrebbe saputo abbandonarlo al suo destino?

Queste domande le pesavano sullo stomaco al punto che il bel viso latteo aveva fatto un grande sforzo per apparire naturale di fronte alla sua migliore amica, la quale, accortasi che qualcuno era entrato nella stanza, aveva sollevato lo sguardo luminoso dalla pergamena ch stava scrivendo.

« Ciao Ginny! » Aveva esclamato, festosa, alzandosi per andarle incontro ed abbracciarla « Mi sei mancata! Andate bene le vacanze, si? »

« Si, bene, bene… » Aveva risposto sciogliendo lentamente l’abbraccio, e abbozzandole uno stentato sorriso. « E tu? »

Hermione allora le aveva rivolto uno sguardo lento, profondo, diretto.

« Hai sentito di Draco, vero? » Aveva domandato dopo qualche attimo, senza l’ombra di un cruccio a increspare quella fronte pensosa che abitualmente si indignava per tutte le ingiustizie della terra. Senza un fondo vibrante di stizza o di rabbia nella voce ferma e distinta.

Erano sole, eppure a Ginny era parso di udire un ronzio di voci insistenti nella sua testa.

Perché se Hermione Granger non si indignava, né provava rabbia, significava soltanto che aveva già pensato a qualcosa.

« Si… si l’ho sentito… » Aveva risposto, vagamente a disagio.

Non aveva potuto negare nemmeno a se stessa di aver sperato che Hermione lo lasciasse sprofondare solo, e non tentasse di salvarlo. Non per poi scoprire che forse avrebbe dovuto usare qualunque mezzo per riuscirci.

« Ginny » L’aveva richiamata l’amica, gli occhi lucenti che la guardavano senza sosta e che lei faceva di tutto per evitare.

« Starai dalla sua parte, lo so già » Si era ritrovata a rispondere, forse per chiudere quel discorso che era stato un po’ troppo veloce per il suo stato d’animo.

« Non ci sono parti, Ginny » L’aveva subito corretta Hermione. Calma, ed eppure incalzante. Specialmente quando aveva ripetuto, di nuovo: « Ginny, ascoltami »

I suoi occhi blu avevano cercato di girare dappertutto tranne che nel punto in cui avrebbero incontrato quelli dell’amica. Aveva avuto il presentimento pulsante che se vi si fosse soffermata sarebbe accaduto qualcosa di terribile.

O, semplicemente, qualcosa che avrebbe cambiato di nuovo molte, troppe cose.

Non fu così, invece.

« Ginny » Aveva ripetuto per l’ennesima volta Hermione, con forza, costringendola infine a guardarla « Ginny, avrei bisogno che tu mi faccia un favore… »

Ed era stato così che dopo tantissimo tempo, Hermione Jane Granger, senza un’ombra, senza un rimorso, senza un dubbio, solo con l’accenno di un breve sorriso, le aveva chiesto qualcosa.

Di fronte a questo, Ginny Weasley aveva forse pensato di piangere.

« Tutto bene, Gin? » La richiamò dai suoi pensieri Dean, seduto accanto a lei nella lunga tavolata dei Grifondoro, in quel momento intenti a pasteggiare.

Scosse meccanicamente il capo, annuendo un paio di volte senza però riuscire a trovare qualcosa da dire. Era passato qualche giorno dal suo ritorno, e le sue ansie si erano sciolte nella quotidianità delle lezioni, delle scaramucce tra compagni, nelle lotte tra Case… ma il senso più profondo della conversazione con Hermione, e soprattutto di come si era conclusa, avevano aperto un solco profondo nella sua testa.

Così, in attesa che qualcosa lo riempisse, non poteva far altro che rimuginarci sopra.

Le spiegazioni che il suo mite ma attento ragazzo avrebbe probabilmente richiesto a seguito del suo mutismo persistente vennero però nuovamente posticipate.

E questa volta, proprio dall’improvvisa comparsa di Draco Malfoy.

Pericolosamente vicino al tavolo dei Grifondoro.

Seamus, che stava raccontando con orgoglio della sua ultima esplosione, girandosi in direzione di molte paia di occhi allibiti si ammutolì all’istante nel vedere il Serpeverde fermo a un paio di metri di distanza, con aria profondamente scossa e la bocca storta in una smorfia devastata.

Sta male?

Con la fronte aggrottata, per un attimo fu incerta se gioirne o preoccuparsi.

«  … Mi sono avvicinato al tavolo di Grifondoro… » Lo sentì sussurrare, lo sguardo fisso davanti a sé mentre assentiva in modo ebete, come se stesse provando a convincersi del fatto che ciò che stava facendo non corrispondeva ad una condanna a morte. Ma non vi stesse riuscendo.

Nel silenzio spiazzato che si era venuto a creare a causa dell’apparente mongolismo del loro peggior nemico, quello stesso nemico, alzando lo sguardo come folgorato da una capitale rivelazione, esalò:

« Non posso avanzare più di così… non devo… potreste infettarmi con i vostri germi da Grifondoro…  »

L’improvviso desiderio di invertirgli l’angolo dei gomiti per un attimo colmò il solco che Ginny aveva in testa.

Altri Grifondoro, di pretese mentali assai meno alte delle sue, probabilmente pensarono che, benché meno raffinato di invertire l’angolatura naturale delle braccia, fosse ugualmente incisivo fargli notare:

« Se non volevi avvicinarti perché l’hai fatto?! »

« Già, sloggia Malfoy! »

« Se non le vuoi prendere, è meglio che ti allontani! »

Draco si voltò verso di loro, il viso pallido e gli occhi sbarrati.

E lei ebbe l’orrida impressione che stesse per dire qualcos’altro di immensamente idiota.

Difatti, con aria grave gemette:

« Il trauma me lo impedisce… »

Da encefalogramma piatto, praticamente,

Cosa, precisamente, Hermione trovava in quello squilibrato?

Ginny Weasley se lo chiese mentre con uno sguardo al limite della sopportazione e dell’incredulità osservava la connaturata spossatezza con cui il Serpeverde arrivava a tenersi la fronte con le mani, afflitto dalla sua stessa ammissione, dandole la netta impressione che non avrebbe dovuto minimizzare le voci di corridoio che lo volevo addirittura peggiorato nella sua deficienza.

Quando infatti le avevano detto che Hermione era diventata ossessionata – più del solito! – dalle sue pergamene, e che Draco Malfoy, a digiuno dalle sue attenzioni, era diventato un po’ più pazzo di quello che era prima di Natale, non ci aveva dato troppo peso. Non è che si potesse superare una certa soglia di pazzia, no?

Evidentemente si…

Nel chinarsi prostrato, lo sguardo di Draco dovette però incontrarsi con quello di Neville…

« Che vuoi Paciock? » Si trovò a domandare contrito lo stesso Malfoy, impreparato allo sguardo pieno di disagio e afflizione con cui il Grifondoro lo fissava.

Neville parve trasalire e impallidire allo stesso tempo.

Scosse il capo nervosamente un paio di volte.

« Tutto bene? » Gli domandò Dean, con il tono cauto di chi sa di parlare con qualcuno che da qualche giorno si comporta in modo decisamente strano.

« Ehi? » Tentò Seamus, più brusco, dandogli uno scrollone.

Neville continuava però a fissare Draco, dando l’impressione di non aver udito una sola parola. Provò forse a replicare, aprendo e chiudendo la bocca, come se boccheggiasse. Poi, semplicemente, serrò la mascella con aria scossa, e se ne andò via senza una parola, ondeggiando visibilmente.

« Ehi, Neville?! » Provò a richiamarlo Dean, allarmato.

Non ottenendo alcun risultato, lanciò un’occhiata d’intesa a Seamus, che gli corse dietro.

Lei per parte sua rimase zitta. E d’altra parte né Dean né Seamus le coinvolsero in quella faccenda. Non a fronte dello scarso trasporto con cui aveva cercato di capire lo stato distratto e iperteso in cui avevano trovato Neville al ritorno dalle vacanze.

Seamus se l’era un po’ presa a male per il suo apparente distacco verso le afflizioni dell’amico. O almeno, questo era quello che aveva potuto capire da certi suoi sguardi disapprovanti. Dean invece aveva rispettato il suo atteggiamento.

Forse, pur nella sua connaturata insensibilità maschile, il suo ragazzo era riuscito a capire, senza parlarne, che non era affatto questione di disinteressarsi del loro comune amico. Semplicemente, era estremamente cosciente che non c’era poi molto che lei potesse fare per Neville in quel momento.

Non tanto perché non lo capisse… anzi.

Forse, semplicemente, anche lui aveva un solco in testa.

Per questo si era convinta che l’unica cosa che avrebbe potuto aiutarlo era che qualcuno o qualcosa glielo riempisse, così come pensava che fosse necessario per lei…

« Non li hai sentiti? » Continuavano intanto altri Grifondoro sopraggiunti, incuriositi dalla presenza del Serpeverde in quell’ostile parte della Sala Grande.

« Te ne vai a o no? Senza mangiamorte stiamo benissimo! »

« Già, non tutti sono disposti a lasciar correre i tuoi sbagli, sai? »

« Vattene, non vogliamo futuri assassini al nostro tavolo! »

« Potrai esserti ingraziato la Granger, Malfoy, ma noi non-»

« Ingraziato? »

Malfoy uscì dal torpore inerme in cui era scivolato e con cui aveva stupito i presenti che lo conoscevano come il più irascibile dispensatore di insulti immotivati.

Con una nota di stridulo panico fece tirare un sospiro di sollievo proprio a quelli che avevano pensato che la terra avrebbe presto preso a girare al contrario se un Malfoy, e a maggior ragione quel Malfoy, aveva il buon senso di non rispondere a tono a simili oltraggi:

« Il mio trauma è già abbastanza esteso senza insinuare che abbia fatto qualcosa di così disgustoso come ingraziarmi quella stupida! »

« Ma come ti permetti?! » Strillò indignata lei, sbarrando gli occhi incredula. Ma che diavolo stava dicendo?!

« Non parlare in questo modo di Hermione! » La appoggiò Dean, accigliato.

Per tutta risposta Draco, si sedette al posto vuoto di Hermione e si mise a mangiare a caso quello che trovava.

… forse in segno di spregio alla legittima proprietaria?

Ginny Weasley non si prese la briga di rispondersi, e, sbattendo un mano sulla tavola e mandando lampi saettanti verso di lui, gli ordinò furiosa:

« E non mangiare la sua roba! »

Non venendo ascoltata, si alzò con l’intento di fermarlo, imbracciando per sicurezza anche la bacchetta. A questa azione il Serpeverde reagì infilzando con enfasi un pezzo di patata imburrata, e schioccando acido:

« Calma piattola, o ti si alza la pressione »

Dean allora si alzò al suo fianco, ad un tempo sicuro, ad un tempo tranquillo.

« Hermione non c’è, ok? Per cui vattene »

Draco sollevò il capo verso di lui, ingoiando l’ultimo boccone con incredulità.

Cosa per la quale lei si ritrasse in un misto di diffidenza e sorpresa.

Che Malfoy si fosse redento? Che avesse solo bisogno di qualcuno che gli parlasse senza insultarlo o imbracciare armi per massacrarlo? Che la presenza di Hermione avesse avuto una qualche positiva influenza su quell’essere demenziale senza apparente possibilità di appello fino al punto che persino i suoi amici, Grifondoro convinti, potevano avere la speranza di avere una conversazione civile e costruttiva con lui?

Che il suo encefalogramma non fosse poi così piatto?

« Dio, Thomas… » Farfugliò invece Draco, le sopracciglia arricciate sulla fronte e gli occhi deformati da una profonda angoscia « Il cappello parlante deve aver fatto una fatica immensa a non spedirti dai Tassorosso… »

A molti sfuggi il significato di quella frase, ma come per renderla più chiara, Draco prese a guardarsi attorno con orrore, continuando a balbettare agghiacciato:

« Al tavolo di Grifondoro… con uno che sembra Tassorosso! Devo andarmene il più presto possibile da qui! »

Con la coda dell’occhio lei osservò che Dean faceva molta fatica a contare fino a 10. Mantra che gli permetteva di stare calmo anche in situazioni come quella.

Lo ammirava per quello, ovviamente.

Per quel suo modo di affrontare con maturità la vita, i conflitti, i litigi. Per quella sua magnifica capacità di superare la propria rabbia e convivere con uno stato di pace imperitura degna di un eremita. Per la grazia innata con cui la notte prima del 21 dicembre 2012 avrebbe raggiunto la pace dei sensi in una grotta sperduta nei boschi del Canada, aspettando la fine senza rimpianti. Per la lealtà imprescindibile con cui aveva accolto, meglio di tutti gli altri, e persino di lei, che Hermione Granger tenesse, in qualche modo, a Draco Malfoy.

Si, lo ammirava.

Ma, certamente, se i gomiti di Draco Malfoy si fossero improvvisamente rivoltati e il suo ragazzo ne fosse stato responsabile l’avrebbe ammirato infinitamente di più.

Cosa MAI quella dannata testa da 1000 galeoni di Hermione poteva trovarci in quel deficiente patentato?

Cosa?!

C’erano confini oltre i quali anche lo spirito di sacrificio non poteva, non doveva arrivare!

E per l’attaccamento della sua più cara amica a quella creatura fuori da ogni logica non poteva esserci nessun’altra ragione oltre allo spasmodico desiderio di immolarsi!

Ma l’avrebbe persuasa.

Si, l’avrebbe persuasa che c’erano modi più nobili di sacrificare la sua vita per un idiota! O comunque che c’erano idioti più meritevoli di quel mentecatto irascibile e cretino che nemmeno la rispettava! Che nemmeno la conosceva! Che persino Ronald Weasley, per quanto impenitente, poteva essere recuperato al confronto con Malfoy!

Forse.

« Ci stai ignorando, Malfoy? » Continuava minacciosa un altro Grifondoro, ciondolando sui due piedi: « Non ti conviene, sai? Non c’è più nessuno qui disposto a pararti le spalle »

Al di là di ogni pensiero, Ginny Weasley percepì chiaramente una nota di cattiveria in quella voce… una nota che la urtò leggermente in qualche parte della pancia, e non avrebbe saputo davvero dire quale.

Ma non ebbe tempo di rifletterci, perché una voce conosciuta si intromise nella discussione:

« Che succede? »

Un libro sotto braccio. I capelli arruffati. Un’aria tranquilla. E negli occhi, nessuna sorpresa.

Il tono quasi incuriosito di una bambina che assiste ad un gioco a cui le piacerebbe tanto partecipare – se solo non avesse un sacco di compiti da finire, naturalmente.

Ecco Hermione Granger, che li guardava come se non ci fosse nulla di sbagliato.

Nemmeno nel trovare lei e Dean in piedi, visibilmente schierati contro Malfoy. Nemmeno trovarlo seduto al suo posto, uno scempio al posto della cena e una forchetta impugnata come un’arma da taglio molto pericolosa. Nemmeno nel trovare qualcuno che lo insultava.

Nulla di diverso dal fatto che non si può apprezzare tutti, ma non è nemmeno detto che un Serpeverde e un Grifondoro debbano detestarsi.

Per un attimo, Hermione le parve così inattaccabile che non fece fatica a capire come mai i due Grifondoro più infervorati se ne andarono, mentre gli altri si voltavano senza troppi complimenti.

Un’autorità che non aveva avuto nemmeno quando camminava insieme a Ron e Harry…

Ecco quello che aveva Hermione in quel momento.

« Ma che fai?! » Sibilò per tutta risposta Draco, isterico. « Se fai così penseranno che io ti abbia ingraziato! »

« Ingraziato? » Domandò Hermione con aria interrogativa, non capendo bene il punto della questione; solo per poi aggiungere stringente, con un grande bagliore negli occhi: « Andiamo a studiare, comunque? »

Il punto importante n° 1, appunto.

« Puoi scordartelo! » Soffiò tra i denti lui. Gli occhi asserragliati dietro le palpebre che la fissavano con collerico astio. « Mi hai fatto di nuovo aspettare! E per di più in mezzo ai tuoi amici deficienti! Io non mi muovo! »

Hermione lanciò uno sguardo e un’alzata di spalle verso lei e Dean, come per dire: “evitate di ascoltarlo, è un po’ nervoso”; dopodiché tornò a guardare Draco e con grande pazienza cercò di blandirlo:

« Si, ok. Ora però andiamo? »

« No! Io non me ne vado! » Ringhiò furibondo Draco, lanciandole uno sguardo dardeggiante e puntando la forchetta contro di lei come se potesse maledirla: « Tu vattene! »

E per sottolineare la questione, ingurgitò in un sol colpo, con aria di sfida fiammeggiante, tutte le aringhe che riuscì a infilzare con la forchetta brandita con ferocia, lanciandole un’ultima trionfante occhiata, mezzo ingozzato e mezzo agonizzante.

In un altro mondo, un valoroso guerriero alzava il capo e fiutava la presenza di un degno avversario.

Lei invece avvertì un grande senso di desolazione.

La stessa avvilente sensazione che doveva provare sua madre quando suo padre portava a casa palline anti-stress babbane pagate con il proprio stipendio.

Degli ultimi 6 mesi.

Dopo diversi attimi di raccapricciato silenzio, Draco Malfoy dovette rendersi conto, di fronte allo sguardo del tutto impassibile di Hermione Granger, che lei non aveva alcuna intenzione di andarsene. Che lui era ancora al tavolo dei Grifondoro. E, soprattutto, che era in atto una crisi respiratoria acuta che con molta probabilità lo avrebbe reso incosciente in pochi secondi se solo non avesse fatto qualcosa per impedirlo.

Ciò fu finalmente sufficiente a farlo alzare e arrancare via.

Lei e Dean si voltarono tombali verso Hermione, ma lei anticipò i loro dubbi scotendo il capo sconsolata, ma anche vagamente intenerita:

« E’ il suo modo di dire “andiamo”, capite? »

Capiva, certo.

Eccome se capiva.

Capiva che doveva essere dura per una madre aver concepito un ragazzo che a 17 anni aveva l’età mentale di un neonato!

Tutt’un tratto il fatto che Narcissa fosse una mangiamorte assunse un significato differente nella sua testa: avere un figlio simile doveva far uscire di testa…

Siccome continuava a guardare Hermione in un modo assolutamente attonito e Dean, che probabilmente non era nelle condizioni psicologiche per compatire la Signora Malfoy, viceversa aveva la faccia di uno che pensava intensamente a quale reparto del San Mungo chiamare per chiedere un tempestivo intervento a bonifica di tutti i germi di stupidità che l’avevano appena travolto, Hermione si strinse un po’ nelle spalle, con aria incoraggiante.

« E’ solo un po’ isterico in questi giorni, capite? Perché dice che non lo sto abbastanza a sentire » E aggiunse, in un sorriso un po’ abbacchiato, ma anche un po’ divertito. « Che ci si può fare? »

Dean evidentemente non poteva farci nulla, perché tacque.

Con l’aria di chi non ha intenzione di parlare più per parecchio tempo.

 

*** *** ***

Martedì 19 Gennaio. Ore 15.22
Hogwarts. Campo di Quidditch

Al campo di Quidditch c’era solo una certezza quel giorno.

Che Draco Malfoy sarebbe stato ancora più irascibile del solito.

Il motivo?

Frasi come questa, per esempio:

« Oh, Draco, quel tiro era proprio penoso, davvero… »

Questo era ciò che Hermione Granger, mortificata e un po’ avvilita, dispensava ad ogni tiro monco del più scorbutico cercatore della storia del Quidditch, mentre continuava a compilare una fitta pergamena – dando ai più l’impressione di non star facendo abbastanza compiti considerata la mole immensa di pagine scritte ogni giorno dalla Grifondoro.

« Ma vuoi stare zitta?! E smettila di chiamarmi Draco! » Replicava generalmente lui, spesso brandendo minacciosamente contro di lei le mazze dei battitori che intimoriti non potevano far altro che cedergliele. Salvo poi cercare di trattenerlo per evitare l’irreparabile.

Ovvero che Hermione Granger mettesse fuori gioco il loro unico cercatore con una fattura.

A circa metà allenamento, quando un saggio boccino d’oro decise di volare molto lontano dagli spalti, portando con sé anche Draco, i suoi insulti e i rammarichi di Hermione, a quest’ultima si avvicinò l’improbabile capitano della squadra Serpeverde di Quidditch, che dopo un tentennante saluto, si decise a chiederle cautamente:

« Sicura che Draco può allenarsi? Non deve studiare? »

Ecco il genere di domande a cui Hermione Granger avrebbe preferito non rispondere.

Perché l’ordine logico e d’importanza di “quidditch” e “studio” non era realmente invertibile nella sua volubile mente.

« Ma certo, siete in vista di una partita, no? » Rispose dunque con cordiale e infiocchettata dolcezza, e la più finta convinzione di ciò che stava dicendo.

Vedendo il capitano poco persuaso – poiché era impossibile esserlo di fronte all’evidente incomprensione del quidditch – ammise con più brutale semplicità, gli occhi che lanciavano un piatto sguardo di fronte a sé:

« E comunque studierà questa notte. »

Pucey Davis, in sella alla sua Nimbus, sgranò lo sguardo verso di lei.

« Sono sorpreso… Draco si è davvero molto responsabilizzato da quando siete amici »

Hermione Granger fece tanto di occhi.

« Davvero? »

Questa le era nuova.

Pucey raddrizzò un po’ le spalle, riassestandosi più comodamente sulla sua Nimbus e assentendo con incoraggiante solidarietà maschile.

« Io penso che sia da persone responsabili non voler mettere nei guai la propria squadra al prezzo di studiare la nottata »

Hermione Granger fece nuovamente tanto di occhi.

« Ma lui non lo sa, ovviamente » Rispose stupita. « Se lo sapesse tenterebbe di uccidermi… »

Con fatture che probabilmente non gli riuscirebbero…

Concordò con se stessa in uno sconsolato sospiro: perché doveva avere quel grado di incompetenza?

Eppure se si fosse applicato forse sarebbe anche riuscito a vincere in uno scontro magico con lei.

Forse.

Il sospiro di cui sopra, comunque, inesplicabilmente, fece mormorare a Pucey, ammirato:

« Sei un’ottima insegnante »

Hermione Granger fece per la terza volta tanto di occhi.

Anche questa le era nuova.

Ma un timido accenno di rosa le puntellò le guance nel replicare, in un farfuglio inspiegabilmente vergognoso:

« … ma dai, non è vero! »

D’altra parte Hermione Granger avrebbe dovuto convincersene davvero.

La dimostrazione arrivò dall’ultimo compito di pozioni, alla fine di gennaio, quando Draco Malfoy prese un’altra fiammeggiante O.

Naturalmente, la giovane reginetta di Grifondoro ebbe una sincope quando si ravvide che nemmeno con tutti i suoi sforzi il suo sconsiderato allievo era riuscito a raggiungere l’eccellenza, ma dovette arrendersi ed ammettere il “discreto risultato” ottenuto. Accettabile di fronte all’impegno profuso nella partita di Quidditch – persa per un soffio – che aveva immancabilmente guastato i suoi programmi di studio intensivo (18 ore su 24, 7 giorni su 7).

Fu con queste stesse parole che pochi giorni più tardi, nella gufiera, si espresse con Ginny Weasley.

La rossa più rossa di Hogwarts commentò con aria fiacca e vagamente piccata:

« … guarda che qui sei l’unica che crede che per Malfoy una O in pozioni sia un traguardo misero » E poi aggiunse, con un pizzico di rivendicazione e più fiero risentimento: « Non è certo il Quidditch quello che lo rovina »

E Hermione sapeva che Ginny avrebbe voluto finire quella frase con “è solo il suo cervello”.

Questo, inspiegabilmente, la rasserenò un pochino.

Puntò la bacchetta contro la pergamena che aveva in mano, che venne avvolta da una luce azzurro cielo.

« Sei sicura che quell’incantesimo sia sufficiente? » Sentì domandare l’amica.

Il tono dubbioso aveva qualcosa di troppo pressante per essere solo preoccupazione, o incertezza. Tuttavia non alzò nemmeno gli occhi dalla pergamena per rispondere, nonostante sentisse quelli penetranti di Ginny fissarla intensamente.

« E comunque sei sicura di quello che stai facendo? » Continuò dopo un momento l’altra, ancora una volta con un’insistenza poco dissimulata nella voce.

Si girò verso Ginny, che la guardava con l’espressione di una persona che non può smettere di chiederlo, anche se un po’ si sente in colpa nel farlo.

Le sorrise.

« Sei davvero la migliore amica che ho »

E questo, che fece sentire ancora più in colpa Ginny Weasley, la fece anche sospirare rassegnata, e la indusse a mettersi a cercare il gufo più prestante che la scuola potesse mettere a loro disposizione, per permettere alla chilometrica pergamena di raggiungere il lontano destinatario.

Tuttavia anche lei se l’era chiesto, all’inizio.

Se era sicura di quello che stava facendo, e del modo in cui lo stava facendo.

Ogni volta si era però risposta di esserlo.

E quando vide il gufo prendere il volo non c’era niente nel suo cuore se non la certezza assoluta che quello era davvero il minimo che potesse fare.

 

*** *** ***

Domenica 1 Febbraio. Ore 10.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Era una calma giornata di febbraio quando Blaise Zabini si era alzato dal suo letto con la precisa sensazione che si sarebbe trascinato addosso, per tutta Hogwarts, un logorante senso di noia.

Da quando Draco Malfoy aveva smesso di andare fuori di testa semplicemente se qualcuno gli ricordava che Hermione Granger lo aiutava in pozioni. Da quando le – poche – capacità mentali del suddetto Serpeverde erano riservate alla suddetta Grifondoro e non potevano più essere convogliate seriamente nella campagna anti-Tassorosso – che Blaise aveva personalmente incoraggiato. Da quando Hogwarts era dunque tornata quasi tranquilla, un malumore nefasto era sceso nella sua vita, e lui aveva preso a trascinarsi per quella noiosa scuola con la sola speranza che qualcosa di orribile vivificasse le sue giornate.

Cosa poteva fare? Come poteva arginare quella sensazione deprimente di pace assoluta in cui tutti era troppo felici e troppo contenti per divertirlo discutendo, ferendosi, uccidendosi?

Rimpiangeva la presenza di Harry Potter: ecco quello che era arrivato a pensare. Con orrore, si era trovato a sperare che Harry Potter tornasse a Hogwarts a inscenare lotte di quartiere contro i proseliti di Salazar Serpeverde, riuscendo a vedere intrighi e cospirazioni ovunque. Lui, che riusciva a rischiare di morire e sovvertire l’ordine cosmico anche se nessuno cercava di accopparlo o di invertire il ciclo dei pleniluni.

Che tristezza…

Sospirò e scosse il capo, indolente: gli serviva qualche disastro da ingigantire, qualche guerra a cui fare da spettatore. Cosa bisognava fare per passare il tempo in quella placida, pacifica, nausente scuola…?

Arrivato in sala grande un volantino sembrò attirare la sua volubile attenzione.

Dalla sommità del foglio, una scritta sbarluccicante e tintinnante brillava a intermittenza citando:

La festa che fa per te! Non mancare!”

Mh.

Si avvicinò.

Alle feste, la gente si ubriacava, si picchiava. Alle feste, la gente lanciava bicchieri, e con un po’ di fortuna, qualcuno si faceva male.

Forse c’era del potenziale.

“La sera del 13 febbraio ti aspettiamo in Sala Grande per festeggiare San Valentino!”

Interessante.

San Valentino: il giorno degli innamorati e della pazzia più sfrenata.

L’ultima volta che era andato ad una festa di San Valentino, un ragazzo aveva quasi fatto una maledizione senza perdono ad un altro, scatenando una guerra tra bande nel nome di una ragazza che alla fine era scappata con un terzo.

Col suo pronto intervento, la guerra aveva continuato a prescindere da questo piccolo inconveniente.

Proseguì ancora nella lettura, fiducioso.

“Anche se non hai ancora incontrato la tua anima gemella, non preoccuparti: porta un amico! San Valentino si festeggia in coppia!”

Gli occhi scintillanti vennero attraversati da lampi nefasti.

Due nomi comparirono immediatamente nella sua mente, araldi del suo buon umore. Un sorriso si disegnò sul viso di Blaise Zabini mentre il suo machiavellico cervello cominciava già a sfornare macabre idee.

Una di quelle fu promossa a pieni voti e senza indugi.

Con candore prese il volantino e si diresse con passo festoso verso il dormitorio di Grifondoro, dove era quasi sicuro che casualmente avrebbe incontrato Hermione Granger.

« Ehilà Granger » La salutò allegramente, quando la vide provvidenzialmente uscire dal ritratto della Signora Grassa.

« Zabini? » Replicò la Grifondoro, stupita. « E’ una sorpresa vederti da queste parti… »

Si soffermò solo per un momento a osservare i calzini spuri che Hermione indossava, e ricacciò la smorfia esilarata che gli era balenata sulle labbra dietro la sua maschera di elegante educazione.

« Andato bene il compito di Draco? » Le chiese, con finta casualità.

La Grifondoro, probabilmente toccata nel vivo dell’incompetenza del suo allievo prediletto, lasciò cadere la questione della sua presenza lì, e ammise di malavoglia, storcendo il naso:

« E’ stato alquanto mediocre, in effetti. Ha preso di nuovo O »

Ecco quello che gli piaceva di quella ragazza.

Le sue priorità.

Oltre al suo gusto nel vestire, naturalmente.

« Ma ha avuto anche il Quidditch, giusto? » Infierì, sempre più candidamente, gli occhi verdi splendidamente puntati su di lei.

« Già, il Quidditch » Commentò freddamente Hermione Granger, la voce congelata e gli occhi induriti in un caustico rancore: « Malefico Gioco »

Già, malefico.

Ricacciò indietro anche le risa, e continuò a contemplare la latente ferocia che la Grifondoro aveva nel fondo della voce inveendo contro il Quidditch, cercando di dimostrare con molto raziocinio che era uno sport veramente infelice. Nel frattempo, seriamente addolorato per non poter ascoltare pienamente quella tirata, da cui uscivano perle del tipo “Dovrebbero abolirlo per il bene dell’istruzione”, lui cercò di capire quale fosse il momento migliore per convincerla che la McGranitt aveva espresso degli apprezzamenti sul fatto che lei partecipasse, insieme a lui, alla festa di San Valentino di sabato 13 febbraio.

Tuttavia, un commento inaspettato di lei lo indusse a frenare il suo intento.

« Ma Pucey Davis è un capitano molto assennato »

Assentendo con il capo ma non potendo che guardarla sospeso, ripeté anche lui con finta convinzione:

« Certo, Davis è un capitano molto assennato »

« Già » Proseguì Hermione, assentendo viceversa realmente convinta, il cipiglio da so-tutto-io interrotto da un moto di stima. « Ed è stato molto gentile con me l’altro giorno »

« … ah si? E’ stato molto gentile con te? » Ripeté ancora lui, lentamente, con il presentimento che i suoi piani nulla fossero al confronto di ciò che avrebbero potuto essere dopo quelle capitali scoperte.

Hermione Granger continuò ad assentire e tessere le lodi di un capitano di Quidditch che comprende le esigenze dello studio: Oliver Baston – disse – non aveva certo avuto quella incredibile integrità etica ai suoi tempi. Era stato disinteressato nei confronti delle necessità scolastiche di Harry Potter, e l’aveva probabilmente condannato da quel punto di vista. La Grifondoro, risentita e quasi rammaricata, definì persino crudele il fatto che Baston avesse troncato in questo modo i fasti scolastici del Bambino sopravvissuto.

Blaise si annotò che in caso di noia e in mancanza di feste sarebbe stato sufficiente parlare con quella ragazza per riscoprire quanto poco ci volesse a discendere negli abissi della più vera ed esilarante pazzia.

Ma il cielo l’aveva premiato, e quel giorno aveva avuto sia la festa, sia lo squilibrio mentale.

Di meglio non si poteva proprio chiedere.

Continuò ad assentire, con apparente maggior attenzione: in realtà, aveva sentito più che abbastanza. Colse l’occasione di sganciarsi quando lei, incuriosita, domandò cosa fosse il volantino che aveva in mano:

« Cosa c’è lì? »

« Oh nulla. Solo una festa »

« Davvero? »

« Già, già » Tagliò corto lui, solo per poi ripensarci, in un lampo di genio improvviso, e aggiungere: « Draco non te l’ha detto? Andrà con una lontana cugina che deve ancora ambientarsi »

« Carino da parte sua » Commentò genuinamente Hermione, con un pizzico di basita ammirazione nello sguardo bruno. Forse sorpresa che Draco Malfoy potesse avere una slancio di caritatevole generosità verso qualcuno come una lontana cugina.

E in effetti, anche lui dubitava che l’avrebbe avuto.

Se mai avesse avuto una cugina.

« Molto carino » Concordò con autentica dolcezza, prima di congedarsi allegramente: « Arrivederci Granger! »

E la lasciò.

Rifece al contrario il percorso dell’andata. Allegro al punto che non si negò dei piccoli balzelli di felicità. Ma, di fronte al portone che dava sul cortile esterno, una voce allarmata e alta almeno due ottave sopra la norma lo bloccò con un urlo felino:

« FERMATI! »

Se non si fosse trattato di Theodore non si sarebbe affatto fermato.

Ma trattandosi di lui, lo fece.

Lo vide avanzare verso di lui con grandi falcate e il fiato corto.

« Ti ha visto di sfuggita Eloise! Perché eri con la Granger? E ora dove stai andando? E perché saltellavi allegramente? Cosa vuoi fare? »

« Conosci Pucey Davis, Theodore? » Ribatté per tutta risposta lui.

Pucey Davis, la sua nuova musa.

« Il capitano della squadra di Quidditch? » Replicò perplesso l’altro, ancora affannato per la corsa e col viso trasfigurato dal sospetto.

« Proprio lui »

Pucey Davis, il suo terzo Serpeverde preferito.

« E cosa vuoi da Pucey? » Domandò sempre più circospetto Theodore, probabilmente sudando freddo.

Gli rivolse un sorriso a 32 bianchissimi denti.

« Voglio fare un esperimento per rivalutare la sua utilità »

Pucey Davis, la sua nuova cavia.

Vide Theodore impallidire, e Blaise Zabini confermò a se stesso che Pucey non avrebbe potuto guadagnarsi il primo posto nel suo volubile cuore.

Nessuno era come Theodore, dopotutto.

Rispetto a scavalcare Draco, invece, se quest’ultimo avesse mai messo la testa a posto, forse c’erano speranze per diventare il suo secondo Serpeverde Preferito.

Non aveva riserve in merito.

Proprio in quel momento un loro compagno di casa chiamò Theodore per qualche questione, e questo diede a Blaise l’occasione di proseguire nel suo percorso verso il campo da Quidditch. Era infatti certo che il suo più stretto amico non avrebbe potuto ignorare qualcuno che domandava il suo aiuto. Non prima di essersi accertato che non fosse grave, che non fosse assolutamente necessario il suo intervento, che nessuno sarebbe morto per il suo diniego.

Più o meno, non prima di un paio d’ore.

Ma a quell’ora il suo malefico piano e il suo probabile effetto valanga sarebbero stati già azionati da un pezzo, e con un po’ di fortuna, non avrebbero più potuto essere fermati da nessuno.

Volteggiò all’esterno della scuola, ispirando una buona dose d’inebriante aria invernale, e raggiunse il campo di Quidditch proprio quando vide Pucey Davis che avanzava verso di lui con la sua bella scopa in spalla.

Fece forza su se stesso per non ricominciare a saltellare felicemente.

Comparendo dinnanzi a Pucey con la grazia di un Dissennatore, gli fece scivolare una mano sulla spalla con aria falsamente bonaria. Lo sentì raggelarsi per un momento sotto quel tocco, mentre lo salutava con un tipico tono da confratello:

« Davis, amico mio »

Questo dovette però essere troppo persino per Pucey, che, vagamente a disagio – ma troppo Tassorosso nell’anima per scostargli la mano – domandò d’istinto:

« Zabini… hai bisogno di qualcosa? »

« Informarti della festa del 13 febbraio, naturalmente » Rispose candidamente lui, senza lasciarsi minimamente scoraggiare dal fragile muro della sua diffidenza.

Diffidenza che per altro cadde miseramente di fronte al prospettarsi del gaio evento.

« Festa? » Replicò infatti Pucey, sorpreso.

« Già: festa » Confermò sorridendo smaliziato. « Abito lungo » Aggiunse lanciandogli uno sguardo che doveva simulare una certa intesa. « Si va in coppia »

Il Serpeverde in realtà a questo punto parve un poco sconsolato nel comunicargli:

« Ma io… ehm, non ho nessuna da- »

Ignorando completamente Pucey e il suo avvilimento, come se fossero entrambi del tutto superflui in quella conversazione – e lo erano! – Blaise si guardò intorno con aria estremamente innocente e casuale.

« C’era qui Hermione Granger? »

« Come? » Domandò perplesso Pucey, al quale sfuggiva qualcosa.

Cosa non strana, né poco frequente.

Era anzi sicuro che spesso gli sfuggisse persino il suo nome.

« Dico, è qui? » Insistette, tacendo quei pensieri nel fondo della sua anima oscura. Allargando il sorriso, aggiunse poi in tono lusinghiero: « Non sarebbe così strano, del resto, non è vero? »

« Perché? »

Altro nesso che doveva sfuggire all’acuto capitano di Quidditch di Serpeverde.

« Sai, per quello che si dice in giro » Riprese con assoluta leggerezza, come se stessero parlando di qualcosa di talmente ovvio che era persino inutile continuare. E per rimarcare il concetto, finse di preoccuparsi di uno sbuffo di polvere che scacciò con dolcezza dalla spalla di Pucey, il quale domandò di rimando:

« Ah, di lei e Draco? »

Blaise Zabini percepì una nota di sconforto.

Una evidente nota di sconforto.

Le sue sonde maligne si impennarono all’impazzata nel decifrarla: sempre attente a carpire ogni cosa, recepirono quel commento con così tanta gioia che il suo desiderio di approfondire il possibile rapporto tra Hermione Granger e Pucey Davis auto-fomentò la sua impazienza di mettere in atto il suo piano. Che certo avrebbe avuto maggior effetto se non fosse stato lui a portare Hermione Granger al ballo, e invece l’avesse fatto proprio quell’ibrido di Serpeverde capitato tra le loro fila perché di fronte alle richieste del Cappello Parlante aveva detto che gli piaceva il verde.

Ottimo modo di scegliere la propria casa.

Ed era estremamente serio, nel pensarlo.

« Ma certo che no, Davis! » disse emulando una sorpresa infinita, di una frivolezza tale che Calì e Padma Patil sarebbero state orgogliose di lui, e l’avrebbe eletto loro capo e maestro: « Di te e lei »

Nessuna reazione.

L’ebetismo è una malattia comune in questa scuola.

Senza voler appurare se ci fosse o ci facesse, decise di essere più esplicito:

« State insieme, no? » Domandò con fermezza e, per sicurezza, accompagnò queste parole con una leggera gomitata al braccio più vicino di Pucey.

Fu quasi certo che quel colpetto fu determinante.

Una vampata di calore abbrustolì il viso di Davis.

Questa volta non riuscì davvero a mascherare un ghigno mellifluo mentre il compagno di casa cominciava a balbettare nervosamente, grattandosi la nuca così forte da farsela diventare tutta rossa:

« N-no, cioè… lei e Draco… io e lei… insomma, lei… IO? Ah ah ah! »

Il trionfo.

Mentre continuavano i risolini isterici, a Pucey cominciarono a venir fuori lentiggini così appariscenti che lui seppe che era il momento di buttare l’amo, insinuando con voce carezzevole:

« Eppure da come lei parla di te, sai… »

Hop.

Il pesciolino saltò freneticamente sull’acqua, e chiuse la bocca intorno all’esca come una preda che crede di essere il cacciatore. La velocità con cui Pucey Davis andò incontro alla sua fine gli sembrò veramente commovente, almeno quanto l’ottuso imbarazzo che aveva disegnato una smorfia felice sul suo viso asciutto e abbronzato.

« Beh, fa nulla! Fa nulla se mi sono sbagliato! » Esclamò allegramente Blaise Zabini, incapace di controllare la sua gioia e marcando le parole con un disinteresse così plateale che sarebbe parso evidente a chiunque che erano studiate.

Ma non a Pucey Davis, perso nei meandri delle sue speranze e sogni.

Nell’andarsene, Blaise Zabini fece solo molta attenzione a voltarsi e ricordandogli raggiante:

« Comunque, non scordare la festa! »

 

*** *** ***

 

Well they're packed pretty tight in here tonight
I'm looking for a dolly who'll see me right
I may use a little muscle to get what I need
I may sink a little drink and shout out "She's with me!" 

Bene, si è tutti ammassati qui questa sera,
Io sto cercando la ragazza che mi troverà giusto per lei
Potrei usare anche la forza per ottenere quello di cui ho bisogno
Potrei essere un po’ brillo, e gridare “Lei è con me!”
 

[Elton John - Saturday Night’s Alright to Fighting]

 

*** *** ***

Sabato 6 Febbraio. Ore 10.02
Hogwarts. Sala Grande

 

Chissà perché da qualche giorno Hogwarts era praticamente sottosopra.

Cercava di raccapezzarsi in quel mistero mentre camminava perplessa per i corridoi dove a riempire l’aria c’era ogni genere di sospiro e bisbiglio incantato. Ma, considerando che non c’era nessun compito importante all’orizzonte, non c’era proprio alcuna ragione per cui tutti quegli studenti – e, guarda il caso strano, specialmente le studentesse – dovessero avere quei moti emotivi.

A meno che io non lo sappia, e domani c’è un compito di Trasfigurazione.

La possibilità la fece per un attimo sudare freddo.

Era possibile che con tutte le cose a cui stava pensando avesse dimenticato un compito? Raccapricciata dall’ipotesi, fu solo con grande presenza di spirito che si disse che era impossibile, e che non sarebbe andata dalla professoressa McGranitt a supplicarla di perdonarle la dimenticanza e dirle su cosa era quel maledetto compito.

La verità era che se anche a Hermione Jane Granger avessero spiegato che tanti moti emotivi erano solo per una stupida festa di San Valentino, lei non ci avrebbe comunque creduto.

Fu dunque con un peso nel cuore, e una preoccupazione crescente che proseguì nel suo incedere verso la casa di Hagrid.

Qui incontrò il vecchio amico per cui aveva lasciato a Draco il giorno libero.

Per inciso: i compiti di Pozioni per cui era stata “ingaggiata” all’inizio erano finiti, tuttavia ne mancavano ancora molti in cui aveva messo in chiaro sin dall’inizio di gennaio che non avrebbe permesso al Serpeverde di sprofondare nell’abisso della sua ignoranza caprina. Considerando che gli aveva fatto questa tirata lontano dal resto della scuola, lui l’aveva solo mandata a quel paese augurandole di fondersi il cervello, e in questo modo acconsentendo nitidamente al fatto che i loro incontri proseguissero.

Le si dipinse un pigro sorriso sul viso.

Ormai decriptava i suoi insulti come se fossero la sua seconda lingua.

Faceva molta più fatica a capire il perché di certi sguardi risentiti. Come quello che le aveva rivolto solo il giorno prima, quando gli aveva annunciato che l’avrebbe lasciato libero dal suo torchio severo. Forse l’idea che lei andasse da Hagrid l’aveva indispettito al solo ricordo di quanto fosse stato cretino il terzo anno con Fierobecco.

Un giorno dovrò dirgli che l’ho liberato io…

Il pensiero le accarezzò il cervello insieme alla consapevolezza che avrebbe potuto usarlo come minaccia per farlo studiare di più: avrebbe potuto dirgli che l’Ippogrifo era sotto il suo controllo, e che spesso le faceva capire che desiderava mangiare furetti per cena.

Il che per altro era vero. Almeno per l’ultima parte.

In ogni modo, meglio che credesse che si vedeva con Hagrid.

Cosa anch’essa vera solo in parte.

La verità da rivelare sarebbe stata probabilmente intollerabile per Draco.

Passò nella sua casupola tutta la mattina, poi si diresse con passo incerto per sentieri più deserti che conosceva: c’erano molti pensieri, dopo quell’incontro, a riempire il gran cervello che ospitava la sua generosa scatola cranica.

Ed erano pensieri così complessi che non avrebbe potuto pensare lucidamente ad altro.

Forse per questo avvenne ciò che avvenne, e cioè ciò che Blaise Zabini aveva così fortemente desiderato.

Una voce infatti la chiamò, al limitare del lago nero, con un’insolita solennità balbettante:

« G-granger? »

Con sua somma sorpresa, mentre la sua mente vagava per decisamente altri massimi sistemi, un rossissimo Pucey Davis le comparve di fronte, con l’aria di un soldato che prima di andare ad affrontare una missione suicida ha una gran voglia di dire qualcosa a qualcuno.

Si sarebbe perciò aspettata che lui le chiedesse un’informazione. Tipo, dove fosse una qual tizia di cui difficilmente gli avrebbe saputo dire qualcosa.

Quello che le domandò fu invece di ben altra natura.

Hermione Jane Granger strabuzzò gli occhi diverse volte prima di comprendere appieno quello che lui, sfregandosi nervosamente le mani sudate sul proprio giaccone, cercò di domandarle con voce agitata:

« So che è una cosa improvvisa… sicuramente avrai ricevuto la proposta di Draco. Ma se non fosse così: il prossimo sabato c’è una festa di San Valentino. Si va in coppia… ma non è specificato se la coppia è… insomma… è di due che… beh, hai capito. Anzi! C’è proprio scritto che si può anche essere due amici… o conoscenti… o penso che voglia dire anche compagni di scuola! Comunque, beh… ecco: sarei felice di accompagnarti, perché ti trovo davvero una ragazza intelligente e carina, e mi farebbe piacere »

Hermione Jane Granger rimase a fissare Pucey Davis con gli occhi sgranati per diversi interminabili attimi.

Sotto quello sguardo del tutto inopportuno, il povero buon vecchio Pucey cominciò a sentirsi per la prima volta il perfetto idiota che tutti pensavano.

Sennonché, proprio quando ogni speranza sembrava perduta, Hermione ritenne di aver finalmente afferrato il nocciolo della questione, e smise di guardarlo come se non capisse bene se fosse un broccolo oppure uno studente.

Va detto, prima di rivelare la risposta della nostra giovane eroina, che al contrario di quanto tutti pensavano, alla nascita lei era diventata blu per un paio di minuti.

Cioè: nonostante tutti ritenessero che il suo cervello fosse in perfette condizioni, una parte di esso, e specialmente la parte di decodifica dei sentimenti romantici nei suoi confronti, non aveva ricevuto ossigeno per quei sacri e inestimabili attimi.

Così, anche quando Viktor Krum le aveva bruscamente domandato, con la sua baritonale voce e il suo gutturale accento bulgaro, se voleva andare con lui al Ballo del Ceppo, Hermione Granger aveva pensato anzitutto alla cooperazione dei maghi tra le scuole. Si era detta che non poteva far male che lei desse il buon esempio.

E, ugualmente, quel giorno di febbraio accettò l’offerta di Pucey nel nome della stima che provava per lui come capitano di Quidditch impegnato nel “comitato per la promozione dei diritti degli studenti giocatori”. E a pro dell’indecente speranza che potessero arrivare a concordare, in quella festa, un programma integrato per lo studio di Draco.

Se Blaise Zabini fosse stato presente, e le avesse letto nella mente, le avrebbe dato una medaglia.

E poi avrebbe abbracciato Pucey Davis, che era così imbecille e cavalleresco da pensare che prima di poter invitare ad un appuntamento una ragazza doveva invitarla come “compagna di scuola” – e poi come “conoscente” e infine come “amica” – cosa che certamente aveva reso molto più semplice ad Hermione Granger accettare il suo invito. Nonostante qualunque persona sulla faccia della terra avrebbe potuto farsi un’idea diversa della questione.

Comunque, Hermione aveva accettato. Pucey aveva rifulso di una luce accecante e pura. E il danno era fatto.

Il Serpeverde, volteggiando come una Veela, si era dileguato dandole appuntamento per la festa.

Lei si era stretta nelle spalle, ed era tornata al castello. Dove, di nuovo, si chiese perché diavolo tutti bisbigliassero in quel modo.

Forse dovrei andarci dalla McGranitt…

« Granger! » La chiamò in quel momento la voce aspra e già seccata di Draco Malfoy, con la solita inflessione volubile che ormai era diventata come il suo pane quotidiano.

Si voltò verso di lui con aria interrogativa.

« Il mio vestito è blu » Disse soltanto, lui, a bruciapelo, avanzando con una luce scintillante negli occhi. « Ti prego di sforzarti di comprendere cosa significa »

E la superò senza un’esitazione, impettito e gioioso.

Lo seguì con gli occhi spalancati.

Questa volta, al contrario della precedente, avvenuta solo pochi minuti prima, Hermione Jane Granger aveva davvero l’impressione di non aver afferrato il nocciolo della questione.

Ma siccome ormai era abituata alla follia dei Serpeverde, e in particolare a quella di Draco Malfoy, si strinse di nuovo nelle spalle e riprese a camminare senza l’ombra di un pensiero.

Pensò solo che la prossima volta che gli avesse dovuto fare un regalo, avrebbe preso qualcosa di blu.

Evidentemente gli piaceva.

*** *** ***

 

Sabato 6 Febbraio. Ore 11.22
Hogwarts. Sala Grande

 

Era da qualche tempo che ogni volta che Hermione Granger si girava, dandogli le spalle, un nodino gli si arrotolava nello stomaco.

Per la precisione: era da quando, un mesetto prima, era diventata così ossessionata dai compiti di scuola da non dedicare più tutte le sue energie nel colmare le sue immense lacune formative, quella sua schiena ossuta e ingobbita gli dava un fastidio tremendo.

Il fatto era che non trovava proprio giusto che lei si prendesse del tempo per se stessa. Per cui si era detto che quel maledetto nodino doveva essere indignazione profonda per la sua scarsa responsabilità nei suoi confronti.

Non aveva ancora saputo rispondersi, invece, sul perché quel tal nodino si srotolasse quando, ogni volta che la vedeva e la chiamava, lei si girava verso di lui.

Non sapeva proprio perché… ma così avvenne anche quella volta.

« Granger! »

Distratta dal suo continuo rimuginare, si volse verso di lui.

Mentre avvertiva chiaramente il nodino srotolarsi, e la bocca dello stomaco stringersi, Draco Malfoy avanzava verso di lei rendendosi conto che nonostante sembrasse più frastornata del solito, dietro le labbra le si fosse formata l’ombra di un sorriso nel riconoscerlo.

Nel notare quel sorriso, il suo viso divenne più luminoso.

« Il mio vestito è blu » Le disse soltanto. « Ti prego di sforzarti di comprendere cosa significa »

E senza aspettare di verificare che l’espressione ebete che si era disegnata sul viso di lei svanisse, a dimostrazione che almeno qualcosa l’avesse compreso, se ne andò impettito e gioioso.

Blaise era stato utile, per un volta: era andato da lui e gli aveva fatto vedere il volantino della festa. E lui subito ci aveva pensato: subito il pensiero meraviglioso di invitarla aveva invaso la sua mente.

Si.

Perché sarebbe stato estremamente divertente farla inciampare e ruzzolare giù dalle scale. O vederla camminare su dei tacchi a spillo con la grazia di un Troll. Poi forse avrebbero anche dovuto danzare, giusto per non essere proprio i soli a non farlo… ma sì, per farle giusto qualche sgambetto, o calpestarle i piedi, avrebbe anche potuto invitarla a ballare.

Magari avrebbero anche dovuto posare per le foto ricordo.

Certo, poteva anche rifiutarsi.

Ma poteva anche acconsentire, tutto sommato.

Certo, tutto sommato potrei.

Un vago senso di preoccupazione gli assalì lo stomaco.

Pregò che Hermione sapesse davvero che cosa significava che il suo vestito fosse blu: nella foto sarebbe venuta orrenda con lei vestita, per dire, di verde scuro.

Ma forse non avrebbero ballato, e nemmeno fatto foto…

Un pensiero lugubre gli corrucciò il viso.

Forse lei avrebbe continuato a fargli tutte quelle domande incomprensibili che ultimamente continuava a fargli. O forse sarebbe stata zitta a scrivere in un angolo quelle sue pergamene fittissime e incomprensibili che aveva sempre da fare.

Un altro pensiero gli illuminò nuovamente il viso.

Dopotutto era un mago. E quindi, anche se si fosse seduta su una sedia isolata ne avrebbe fatta comparire un’altra.

Vicina a lei.

Non troppo vicina, naturalmente.

Diciamo, abbastanza vicina…

Ma non troppo!

… ma abbastanza.

 

*** *** ***

Venerdì 12 Febbraio. Ore 15.29
Hogwarts. Sala Grande

 

Era una questione di karma, Ginny Weasley ne era convinta: lei adorava la sua migliore amica. Davvero. Ma nella sua vita passata doveva essere stata davvero un’idiota fotonica a giudicare da come attirava idioti di proporzioni galattiche.

Per la legge del Contrappasso, doveva per forza essere andata così.

Ma non c’era nessuna legge cosmica che potesse giustificare il presagio che Seamus le aveva profetizzato la sera prima.

E nonostante generalmente non desse alle sue supposizioni nemmeno il peso che dava a quelle di Ron, nelle ultime 24 ore ad attanagliargli lo stomaco erano state proprio le sue profetiche parole:

« Scommetto tutto quello che ho, più le mutande di Neville, che Malfoy alla festa ci andrà con Hermione »

Lei e Neville l’avevano guardato come se, se l’avesse ripetuto, l’avrebbero bruciato nel camino.

… d’accordo, forse solo lei aveva pensato questo.

O forse anche Neville, per via delle mutande.

Comunque Seamus aveva ipotizzato che Draco l’accusasse di essere stupida e che per questo le avrebbe fatto il dono di andare con lei alla festa, per salvarla dalla solitudine. Aveva anche aggiunto che Hermione, forse nella folle idea di farlo studiare anche alla festa, avrebbe potuto accettare.

O forse avrebbe potuto accettare e basta, siccome ormai era data per spacciata e impazzita anche da lui.

Questa ipotesi era così assurda che si era convinta che sarebbe andata esattamente così.

Era dunque da tutto il giorno che tentava di organizzare un piano alternativo. Neville sarebbe stato un candidato perfetto per farle da cavaliere se solo non gravitasse ancora in quel famoso stato comatoso. Per cui doveva solo cercare di convincere Seamus ad accompagnarla – anche se questi era sempre stato vagamente intimidito da Hermione.

Dentro di sé era pronta a cederle persino Dean: non le importava. Purché Hermione non andasse insieme a Draco ad una festa in cui fiumi di alcol, vestiti svolazzanti e atmosfere magiche potessero indurli a credere di poter essere più che amici.

Il pensiero la fece rabbrividire, ma quella sera dovette far fronte all’atroce verità.

Che era ben più terribile di quello che aveva profetizzato Seamus e di quello che aveva temuto lei.

«Ginny. » La chiamò Hermione, con aria meditabonda, sollevando all’improvviso lo sguardo dalla sua pergamena.

« Mh? »

« Secondo te, cosa vuol dire “il mio vestito è blu”? »

Strinse gli occhi sull’amica, inarcando un sopracciglio.

« Come? »

Hermione scrollò le spalle, come se non fosse altro che un pensiero sciocco, e poi le domandò, con un sorriso:

« Andrai con Dean alla festa, vero? »

Sbiancò all’improvviso, e un tick nervoso le fece mettere dietro l’orecchio per cinque volte una ciocca di capelli.

La stessa ciocca di capelli.

Hermione sapeva della festa? Hermione sapeva, e chiedeva del suo cavaliere? Hermione forse aveva già un cavaliere?

QUEL CAVALIERE ERA DRACO MALFOY?

2000 campanelli d’allarme le suonarono in testa.

Si avvicinò di più al tavolino dove l’amica stava facendo i compiti e col tono più finto e più casuale che riuscì a simulare mentre era divorata dall’ansia le domandò:

« Mh, si. E tu… con chi… beh, con chi andrai alla festa? »

Hermione ampliò il sorriso con naturalezza, come se quello che stava per dire fosse una piacevole novità. Tipo che avevano aumentato i compiti di due pergamene e mezzo ma che lei era già a buon punto.

Avvertì di nuovo l’orrido presentimento che sarebbe accaduto qualcosa di terribile, e che lei avrebbe avuto un attacco ischemico letale.

E di solito i suoi presentimenti non facevano cilecca due volte nello stesso mese.

« Con Pucey Daves. Lo trovo un ragazzo molto intelligente. »

Niente attacco ischemico.

Semplicemente, un aneurisma grosso come una noce le si formò all’istante nella parte destra della testa ed esplose.

Boom.

E i suoi neuroni cominciarono letteralmente a marcire.

« Con chi? » Strillò con voce strozzata. Incapace di dire altro. Incapace di pensare.

Qualcuno si girò verso di loro, ma lei lo fulminò con lo sguardo inducendolo a farsi gli affari suoi.

Si rigirò verso Hermione con il viso agghiacciato. Se fosse andata alla festa con uno di loro, forse Draco l’avrebbe risparmiata da tutte le sue colossali idiozie. Ma Pucey Davis… cosa avrebbe potuto fare, sapendolo?

« E’ il capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde. » Le stava intanto rispondendo con tono puntiglioso Hermione. « L’hai visto un sacco di volte, sai? »

Scosse furiosamente il capo.

« Si, so chi è! Intendevo: com’è possibile? »

« Me l’ha chiesto ieri. Sai… non me l’aveva ancora chiesto nessuno, quindi… »

«Malfoy non… non ti ha invitato? » Domandò, scrutandola avidamente con gli occhi sporgenti fuori dalle orbite e il viso trasfigurato in una smorfia.

« Perché anche tu pensi che avrei dovuto andare con Draco? » Domandò con autentico stupore Hermione. « Anche Pucey me l’ha detto. Che strano… »

Strano?

La parte del suo cervello che era ancora inspiegabilmente funzionante dopo l’aneurisma esploso, avrebbe voluto prenderla a pungi.

Che strano sto’ gran ca**o! Era colpa sua se tutto il settimo anno di Grifondoro scommetteva su quell’evento con orrore: era lei che aveva reso normale pensare che avrebbe potuto invitarla! E anzi! Che avrebbe preteso di andare con lei!

Ma si contenne, distese il pugno destro e si passò la mano sudata sulla gonna: quello non era un discorso che era pronta ad affrontare, e soprattutto, era fondamentale capire ben altro.

« E cosa pensi di fare con Malfoy? » Le chiese, con la voce che usciva arida perché in gola non aveva neanche una goccia di saliva.

Era assolutamente certa che lui non lo sapesse già, appunto. Perché il castello era ancora in piedi, e perché Hermione non aveva l’aria di un animale braccato da un idiota che non avrebbe mai avuto il cuore di mandare a quel paese.

D’altra parte, aveva forse intenzione di dirglielo?

Hermione si strinse nelle spalle.

Lei ebbe un tremito orribile: perché si stringeva nelle spalle mentre lei si faceva sanguinare il cervello per quella cosa?!

« Intendi se gliel’ho detto? Non ricordo, sono stata molto presa con lo studio… però lui va con un’altra »

Oh.

Si fermò.

Respirò.

La guardò.

Era tranquilla, e serena. E Draco Malfoy andava con un’altra… forse era stato tutto un sogno? Forse la sua migliore amica non aveva mai e poi mai fatto amicizia con il Serpeverde.

Incerta se aggrapparsi a quella speranza, o lasciarsi dominare da un improvviso, terzo presentimento di angoscia, Ginny Weasley fu decisamente sul punto di avere anche un infarto, quando Hermione, con aria saputa a intelligente, orribilmente ebete in quel momento, le spiegò:

« Zabini me l’ha detto. Draco va con sua cugina »

Fu il colpo di grazia.

« Zabini…? » Sussurrò in un filo di voce, come se dirlo a voce più alta potesse uccidere qualcuno.

E poteva, maledizione!

Se si trattava di Zabini, poteva!

« Ehi Ginny! Ho bisogno di una mano! » La chiamò Calì con voce cinguettante.

«Aspetta! » Strillò con angoscia.

Hermione inizialmente la guardò, e non capendo bene a cosa fosse dovuta la sua angoscia pensò di sorridere.

Di nuovo l’impulso di prenderla a pugni stava per prendere il sopravvento, quando la vide alzare gli occhi sull’orologio della Sala Comune, ed esclamare, in un terrificante perentorietà:

«Oh caspita com’è tardi! Devo proprio andare »

«No! Hermione aspetta! » Tentò di fermarla, disperata.

Venne però immobilizzata da un quarto, folgorante, raccapricciante presentimento…

« Cosa c’è? » Domandò Hermione un po’ impaziente, fermatasi dal raccattare i libri solo perché Ginny sembrava davvero più morta che viva.

Effettivamente cadaverica, Ginevra Weasley si sporse ancora di più sul tavolo, le guance incavate dal terrore e dallo sfinimento, gli occhi scintillanti per una rabbia ancestrale, le spalle scosse da tremori irreprimibili.

« … è stato Malfoy a dirti che il suo vestito è blu? » Soffiò tra i denti con voce tiratissima

Hermione la guardò.

Candidamente.

« Si, perché? »

« GIIIINNYYYY! » Cantilenò in un cinguettio grazioso Calì, alzato di due ottave e lanciato nell’aria con l’evidente intenzione di rompere diversi timpani. Tra cui certamente anche il suo.

« ASPETTA! » Ruggì, voltandosi solo per un secondo fatale in cui Hermione, richiamata dall’appello solenne dei compiti, se ne fuggì velocemente via, scusandosi per la fretta.

Rimasta sola, a Ginevra Weasley non restò che imprecare in modi che non verranno qui ripetuti.

Al posto di andare verso Calì, imboccò velocemente il foro del ritratto con l’intenzione di scovare Draco Malfoy.

Forse avrebbe fatto in tempo.

Forse, se avesse detto a Draco Malfoy che Hermione non aveva capito un emerito ca**o, avrebbe potuto scongiurare di far diventare quella festa di San Valentino un massacro!

Quando, dopo ben due ore, vide Blaise Zabini aggirarsi nei pressi della Sala Grande si avventò su di lui come un’arpia, con tutta l’intenzione di strappargli un braccio per farlo confessare su dove fosse quel beota cronico di cui era alla ricerca!

« ZABINI! FERMATI IMMEDIATAMENTE! »

« Weasley! » La sua faccia contorta dalla rabbia e dal terrore sembrarono essere come balsamo per le sue arrugginite giunture maligne. « Che bello vederti. Ho la sensazione che mi porti buone nuove. »

« Dov’è Malfoy? » Ruggì digrignando i denti.

Le parve di vedere un sorriso dietro la maschera di educazione che ostentava di fronte a lei, mentre le rispondeva, lento e flemmatico:

« Perché lo cerchi? »

Fu solo per miracolo che non gli azzanno la faccia deturpandolo per sempre.

« Devo parlargli! »

« E perché gli devi parlare? »

« Affari miei! » Berciò con poca grazia.

« Se non me lo dici, non te lo dico » Cantilenò Blaise Zabini allegro. Estremamente allegro.

« Sta zitto, idiota! E’ tutta colpa tua! E non giurerei nemmeno che non sia colpa tua anche il fatto che Malfoy abbia chiesto a Hermione di andare alla festa! »

Zabini sembrò perplesso.

Ginny Weasley non poteva sapere che Blaise Zabini era andato da Draco, informandolo della festa, e dicendogli espressamente che Hermione Granger gli aveva parlato dando per scontato che sarebbero andati insieme alla festa di San Valentino. Si era assicurato di blandirlo il più possibile, nel timore che la sua somma idiozia e soprattutto il suo fenomenale e abnorme imbarazzo potesse portarlo da lei e urlarle con mala grazia che poteva scordarselo che sarebbero andati insieme alla festa: gli aveva detto che lo trovava maturo, essendo loro amici. Che forse lei voleva farsi perdonare per il poco tempo che gli dedicava. Che avrebbe potuto farla inciampare e tutto il resto, e prenderla in giro per il colore del suo vestito, che sicuramente non sarebbe stato appropriato.

Così, Draco Malfoy, un po’ inebetito, un po’ stupidamente convinto di non aver dato a vedere la sua gioia per l’essere il cavaliere di Hermione, non avrebbe davvero avuto alcuna ragione né per andare da lei a urlarle che era deficiente, né per andare a invitarla.

Ma se Draco era andata ad invitarla e Pucey Davis non aveva ancora provveduto a farsi avanti, Hermione Granger sarebbe andata con il più sveglio dei due Serpeverde e avrebbe rifiutato il meno sveglio, rovinando tutto il suo malefico piano.

E questo era oltremodo ingiusto!

Mai Blaise Zabini mostrò un’espressione così frastornata a dispiaciuta.

« … allora gliel’ha chiesto… questo non l’avevo previsto… » Mormorò, affranto.

Ginny Weasley, intimamente stupita per quell’espressione, si riprese in tempo record e puntandogli un dito in piena faccia, tuonò:

« Beh, notizia dell’ultima ora! L’ha fatto! E lei non ha capito, anche perché tu le hai detto che lui va con una cugina! Così Draco non sa che lei ha già detto di sì a Davis! »

Mai Blaise Zabini mostrò un’espressione così felicemente stupita.

« Dici sul serio?! »

« Tu non hai idea di che cosa hai fatto. » Ringhiò tra i denti lei, stringendo i pugni lungo i fianchi e vibrando dalla rabbia.

« Credo sinceramente di non averla avuto fino in fondo, si »  Ammise lui, in preda ad un’ondata di felicità. « Ma se dici che è andato tutto così bene » Digrignò anche lui i denti, come una belva feroce. « Allora posso dirti senza dubbio che Draco a quest’ora è agli allenamenti » allargò il famelico sorriso. «  Con Pucey Davis, naturalmente. »

Un urlo terrificante, convulso e strozzato giunse in quel momento alle loro orecchie, qualcosa di molto simile a:

« TU HAI INVITATO CHI? E LEI HA DETTO COSA? »

Blaise Zabini esalò l’aria inebriato.

Ginny Weasley perse 10 anni di vita.

Il famoso aneurisma grosso come una noce, che le aveva fatto marcire tutti i neuroni della parte destra del cranio e che miracolosamente non l’aveva uccisa, esplose. Di nuovo.

Il fatto era che Ginny Weasley avrebbe davvero preferito che almeno quel secondo colpo apoplettico andasse a buon fine, siccome nei giorni seguenti visse col terrore di una preda braccata che Draco Malfoy sbucasse da ogni angolo per ucciderli tutti.

Accompagnò Hermione a comprare il suo vestito, a un giorno dalla festa, temendo che dietro ogni porta di Hogsmean si celasse il Serpeverde con una clava o chissà cosa in mano, pronto a trucidarle.

Non riusciva davvero a spiegarsi come Hermione potesse stare tranquilla, anche se non aveva avuto il cuore di spiegarle cosa le stava capitando.

Non aveva avuto il cuore nel senso che il suo cuore non avrebbe retto.

Chiaro è che quando Hermione mise gli occhi su un vestito blu il suo sguardo non era mai parso così luminoso e sereno, e in quel momento le augurò con tutto il cuore di avere la stessa gastrite che i suoi gusti in fatto di amici le stavano procurando!

In ogni modo, se anche Ginny Weasley aveva temuto fino all’ultimo che la scenata di Draco Malfoy si sarebbe consumata in pubblico, in un certo senso si sollevò quando scoprì, proprio la mattina dopo, che qualcuno aveva rubato il pacchetto accuratamente chiuso e curato in cui era stato riposto il vestito di Hermione – con un bel biglietto su cui lei aveva scritto a Calì e Lavanda di non metterci su le loro manacce.

Hermione per altro non sembrava così sconsolata, e si era persuasa a cercare qualcosa di adatto nel suo armadio. Inspiegabilmente, mentre aveva la sua testa ficcata all’interno, specificò in un brontolio scomposto che aveva certamente qualcosa di blu.

Considerando la tranquillità con cui Hermione aveva preso la cosa, Ginny fu quasi persuasa a sua volta di non andare da Draco Malfoy a dirgli che solo lui poteva essere così abissalmente cretino da fare una cosa simile. Poi però vide che cosa precisamente Hermione aveva deciso di mettersi in sostituzione del suo precedente vestito da sera, e, agghiacciata, Ginny Weasley si decise, pur con la sensazione che la sua gastrite stesse peggiorando, di andare a recuperare il vestito.

« Apri Malfoy. » Dettò dunque fuori dalla porta della sua camera, dopo aver schiantato un po’ di Serpeverde che ostacolavano la sua marcia.

Nessuna risposta.

« Subito. »

Nessuna risposta.

« Immediatamente. »

Draco Malfoy finalmente socchiuse l’uscio della sua porta e dallo spiraglio la osservò con astio.

Le parve che avesse gli occhi iniettati di sangue e l’aria di un folle che non dorme da giorni.

Per un attimo si dispiacque per lui.

« Che vuoi? » Ringhiò poi il Serpeverde, acido.

E così smise di dispiacersene.

« Sapevo che eri un cretino, ma non immaginavo così tanto » ribatté altrettanto acida. « Ridammi quel maledetto vestito! »

« Fatti gli affari tuoi! » Sputò lui, caustico, e un guizzo di febbrile, infantile orgoglio gli attraverso gli occhi azzurri iniettati di sangue.

« Senti chi parla! » Rimbeccò sarcastica lei, incapace di trattenersi. « Non sono nemmeno affari tuoi con chi va Hermione alla festa se non la inviti! »

« Ha detto a Blaise che era contenta di venire con me! » Strillò Draco, un poco più isterico di quanto probabilmente si rendeva conto. « E comunque era sottointeso che nessuno l’avrebbe invitata e che quindi le avrei fatto il piacere di accompagnarla! » E qui il guizzo d’orgoglio divenne quasi stoico « Ha approfittato indebitamente della mia bontà! »

La folla che si era riunita attorno a loro ebbe un attimo di straniamento di fronte a quello sproloquio. Ginny Weasley, però, era così provata dalla sua gastrite che non era più disposta a rimanere sorpresa di fronte alla sua demenza.

Però ci tenne a precisare:

« Tu sei malato! »

« E lei è senza vestito! » Rimbeccò lui trionfante, con un cipiglio folle.

« Stai delirando?! » Urlò a sua volta, dimenticando per un momento di dover sembrare alquanto ridicola a litigare con la fessura di una porta. « Sei arrabbiato perché ci va con un altro! Ecco la verità! »

« Sono disgustato perché ci va con l’essere più simile a Ronald Weasley che questa scuola abbia mai avuto! » Le rispose a tono la fessura « Il tappeto del mio bagno ha più dignità di quel beota di Davis! » La fessura sembrò estremamente provata e disgustata nell’ammettere: « E persino il tuo tappeto ce l’ha! Era deciso che saremmo andati insieme! »

« Nella tua testa bacata, forse! » Ruggì lei.

Evitò di ricordarsi che anche secondo il suo modestamente più saggio e sensato punto di vista era abbastanza scontato che ci sarebbero andati insieme. Decise di concentrarsi solo sul fatto che Malfoy fosse uno spocchioso imbecille con il cervello fatto a cubetti di paglia!

Un orgoglioso incredibile, e perfetto, insensato, colossale, RON.

« Non andrà alla festa! » Stridé solenne Draco, sollevando un po’ il mente ed ergendosi dietro la porta con tutta l’altezza che aveva.

Ma non aveva capito bene, evidentemente.

Non aveva capito che non si stava macerando l’intestino per non ottenere niente.

Si avvicinò di un passo verso di lui, gli occhi incollati alla sua faccia pallida. Una strana aura onnipotente che la attorniava. E qualcosa di inquietante e spettrale nella sua faccia deformata dal malfunzionamento di metà dei suoi apparati.

« Provo a dirtelo con le buone, e spero che tu capisca » ma le avrebbe anche fatto tanto piacere che non lo capisse, così avrebbe potuto farglielo capire con altre maniere. « Dopo mio fratello speravo che Hermione avesse la decenza di scegliersi gente meno idiota e invece pare che perseveri. Non importa. Resta solo un fatto, per quel che mi riguarda: se Hermione non vede il suo abito questa sera… tu non vedrai l’alba domani mattina. »

E siccome non era sicura che Draco avesse capito quanto era seria, diede uno spintone alla porta, ignorando i suoi lamenti inconsulti, individuò il pacchetto sul letto, lo afferrò, e tenendo Draco sotto tiro con la bacchetta tesa, per dissuaderlo a fare solo un passo verso di lei, fuggì via.

Ormai certa che quella festa sarebbe stata una monumentale tragedia.

 

*** *** ***

Sabato 13 Febbraio. Ore 21.00
Hogwarts. Sala Grande

 

Hermione Granger, vestita di tutto punto per la festa di San Valentino e puntuale come un orologio svizzero, sospirò ai piedi della scalinata.

Con sua somma sorpresa, Draco non si era più fatto vedere, ed era successa una cosa strana quella mattina in dormitorio: qualcuno aveva rubato il suo vestito per il ballo. E poi Ginny era ricomparsa con il pacco che lo conteneva, ma non aveva voluto dirle dove l’aveva trovato. E d’altra parte lei non aveva insistito, e si era messo l’abito.

Era un vestito molto bello: con maniche a tre quarti, uno scollo a V non troppo pronunciato, e un’elegante svasatura che partiva dai fianchi. Aveva delle decorazioni argentate sui bordi, ma per lo più era inderogabilmente e indubitabilmente blu.

Come i suoi fermagli. Come le sue scarpe. Come la sua borsa. Come i suoi orecchini.

Tutto blu.

Sorrise inconsciamente al nulla davanti a sé: chissà come sarebbe stato sorpreso Draco nel vederla.

« Davis non arriva… »

Si voltò verso Ginny, che aveva un bellissimo vestito rosso scuro ma l’aria di un’anima in pena. Continuava a sussurrare frasi incomprensibili. Gliene aveva anche chiesto il motivo, ma aveva avuto l’impressione che ce l’avesse un po’ con lei, e che non volesse proprio dirglielo.

« Spero per Malfoy che non abbia fatto scherzi… » la sentì di nuovo sussurrare, e con grande cautela e gentilezza le chiese:

« Cerchi Dean? »

Ginny scosse meccanicamente il capo.

« No. » rispose inquieta, senza smettere di guardarsi in giro.

La imitò anche lei, e all’improvviso vide Draco comparire dall’ingresso della Sala Grande.

« Oh, ecco Draco! » Esclamò, gioiosa. « Draco! » Lo chiamò sbracciandosi per farsi vedere.

Sentì un peso trascinarle giù il braccio, e si accorse che Ginny gli si era avventata addosso e la guardava scioccata.

« Abbassa quella mano! » Esclamò in un filo di voce, come se fosse terrorizzata da qualcosa.

Da cosa, però, lei non lo sapeva.

Stette per metterle una mano sulla spalla, e garantirle che l’avrebbe aiutata qualunque fosse la questione che l’angustiava. Ma non poté farlo, perché prima che potesse chiederle quale fosse il suo problema, Draco Malfoy le raggiunse e si parò loro davanti.

Hermione Jane Granger rimase per un momento senza molte parole.

Davanti a lei c’era un Draco diverso da quello che conosceva.

Fu strano rendersi conto che, anche se l’abito non fa il monaco, quell’abito da sera blu notte, fatto su misura ed estremamente elegante, metteva in luce qualcosa che forse era sempre rimasto nascosto dietro la divisa da quidditch e l’uniforme della scuola.

Si rese conto che presto Draco Malfoy sarebbe diventato un adulto.

Che la persona che gli stava davanti in quel momento era un ritratto fedele di chi sarebbe arrivato di lì a pochi anni.

I capelli così biondi e così lisci. Gli occhi di ghiaccio misteriosi ed affascinanti. Alto ed elegante al di là dell’abito che avrebbe indossato. Con quel mento sempre un po’ più su del dovuto. E quell’aria da schiaffi che, però, alle volte, avrebbe regalato piccoli, preziosi sorrisi a chi avesse avuto la pazienza di aspettare che lui si aprisse.

Si sentì invasa da un senso di aspettativa per il futuro senza precedenti.

Come se l’orgoglio di potergli stare al fianco e vederlo maturare nella mente come nell’aspetto, fosse tanto grande quanto la felicità di aver sfidato ogni convenzione per diventargli amica ed essersi guadagnata un posto speciale nel suo futuro, per poter vedere quei sorrisi.

E improvvisamente si accorse anche di un’altra cosa.

Che gli era mancato per tutti i giorni in cui non si erano visti.

E che se quel ballo fosse stato diverso, se avesse dovuto portarci un compagno scegliendolo tra tutti gli altri al di là di ogni criterio, quel compagno non avrebbe potuto essere altri che Draco.

Pensava a questo così intensamente che non si accorse che Draco la guardava con così tanta aperta irritazione che tutti i presenti si erano allontanati da loro, e Ginny, coraggiosamente, aveva fatto un passo avanti prendendo mano alla bacchetta nascosta nella manica del bel vestito che indossava, pronta a ingaggiare un duello con lui per difenderla.

Si accorse che qualcosa non andava solo quando Draco soffiò tra i denti, con astio:

« Questa me la pagherai davvero cara… »

Strabuzzò gli occhi.

« Ma cosa stai dicendo? »

Non aveva idea di cosa gli passasse per la testa, ma fu estremamente chiaro che qualunque cosa fosse non migliorò dopo quella risposta, perché le parve che le vene verdastre che si vedevano sulla pelle lattea del Serpeverde cominciarono a pompare sangue al cervello con un ritmo inquietante. Gli occhi sempre fissi su di lei che la scrutavano avidi ma disturbati, come se non volessero davvero guardarla ma non potessero farne a meno.

Fece un passo avanti, e con la stessa voce cauta e gentile che aveva usato con Ginny, tentò di indovinare il motivo del suo malumore:

« Tua cugina non c’è? E’ stata male? »

Le spalle di Ginny tremarono, come scosse da un brivido.

Da quello, Hermione Granger avrebbe dovuto dedurre che il suo tentativo non aveva fatto che peggiorare di nuovo la situazione.

Ci pensò Draco a sottolineare la cosa, ringhiando:

« Vuoi proprio litigare?! »

« Non è colpa sua, cretino! » la difese Ginny, avanzando di un altro passo.

Colpa sua per cosa? E perché Ginny sembrava saperlo e non gliel’aveva detto?

« Taci! » La gelò però Draco, schioccando le parole con ancora più rancore del solito « Fatti gli affari tuoi! E questa volta sul serio! »

« C’è qualcosa che non so? » domandò, un tono un po’ più freddo e contrariato di quello che si sarebbe aspettata.

Ginny si girò verso di lei, agghiacciata.

Gli occhi quasi fuori dalle orbite e tutta l’aria di volerla pietrificare.

Ma non ne ebbe il tempo.

« Qualcosa che non so? » Le fece il verso Draco, e non si capiva se era più indignato o più scioccato. Ancora una volta, il ragazzo le tolse ogni dubbio: « Sono disgustato! »

La musica cominciava ad alzarsi nella sala. Intorno a loro, alcune coppie cominciavano a muoversi. Altre si avvicinarono al buffé. Altre ancora osservavano un diverbio che si stava consumando tra il Serpeverde e la Grifondoro più discussi della scuola. Se si fossero soffermati a guardare con più attenzione, avrebbero visto Blaise che si era riservato un posto d’onore non molto lontano, e, mangiando con discrezione qualche tartina, aveva gli occhi bramosi fissi su di loro. Al suo fianco c’era Theodore, che osservava la scena visibilmente preoccupato.

Mentre comparivano all’ingresso Seamus, Neville e Dean, tutti scompigliati e tesi, ma soprattutto ignari di quanto stava succedendo, lei sbarrò gli occhi per l’ennesima volta, e domandò sconcertata:

« Da cosa? »

Ginny fu scossa dall’ennesimo tremito, mentre Draco, al culmine dello sdegno e dell’esasperazione, urlò:

« Da te! »

Senza parole, rimase risentita a guardarlo.

« Pucey Davis! » Continuò Draco avanzando di un passo, e gesticolando in modo scomposto e confuso, come se anche quello che si agitava dentro di lui fosse piuttosto scomposto e confuso. Una cosa però era estremamente chiara in lui: « Persino Paciock sarebbe stato meno umiliante! »

« Cosa?! » Ribatté, facendo a sua volta un passo in avanti allo steso modo, al punto che le loro facce erano a una spanna sola di distanza.

Si guardavano in cagnesco, come se fossero pronti a darsele da un momento all’altro. In quell’idillio, Colin Canon si intromise col suo sorriso ingenuo e sfavillante, e domandò con gioia:

« Una foto ricordo?! »

I due si girarono all’unisono, e ruggirono:

« Sloggia, Canon! »

E Colin Canon, tutto mogio, se ne andò a fotografare qualche altra idilliaca coppia.

 

*** *** ***

Sabato 13 Febbraio. Ore 23.23
Hogwarts. Aula di Trasfigurazione

 

Il fatto che Hermione fosse una cretina era dimostrata dal fatto che il cappello parlante, tra tutti i posti in cui avrebbe potuto mandarla, aveva scelto la Casa dei Grifondoro.

Detta anche, in gergo comune, la Casa dei Cretini.

Per cui era chiaro che non era proprio una persona a posto.

Ma accettando l’invito di Pucey Davis, aveva superato ogni limite consentito di cretineria, e lui, Draco Malfoy, era lì pronto a perdonarla e riprendere a parlarle.

E per perdonarla e lasciarsi quella spiacevole questione alle spalle, non chiedeva molto. No: chiedeva solo di udire dalla bocca di Hermione stessa che era stata così stupida che non osava nemmeno chiedergli di perdonarlo. Che Pucey Davis era stato un madornale sbaglio. Che anche Victor Krum lo era stato – meglio abbondare, intanto che sarebbe stata in vena di scuse. Che la sua vita era senza senso da quando aveva pensato di andare a quella festa con un altro. E che poteva anche non parlargli per anni, ma lei avrebbe continuato a sperare in una loro riconciliazione.

Solo questo, e poi l’avrebbe perdonata.

Draco il Misericordioso, l’avrebbero chiamato i romani. Altro che Commodo.

Quando però aveva visto Hermione in fondo alla sala, aveva dimenticato tutto… e l’unica cosa che aveva ardentemente desiderato era di vomitarle addosso tutta la cieca rabbia che gli era montata dentro.

E, possibilmente, rompere qualcosa.

Sarebbe stato Draco il Misericordioso solo dopo.

Prima avrebbe spaccato qualcosa.

Hermione doveva averlo capito, perché dopo essersi scambiata con lui altri insulti, l’aveva trascinato via dalla Sala Comune, in un’aula vuota, dove, ansimante, bellicosa e basita, lo osservava a un paio di metri di distanza.

Ad un tratto, gli domandò, sconvolta:

« Qual è il tuo problema? »

E lui lo sapeva… lo sapeva eccome qual era.

Ma in quel momento in cui erano soli preferiva spiegare al mondo e a lei qual’era il problema di Pucey Davis:

« E’ turpe! »

« Draco! »

« Non difenderlo! » Inveì, alterato. « Che è? Ti piace?! Quella sottospecie di arredo pulcioso da bagno!? »

Sconvolta e arrabbiata a sua volta, Hermione tentò di nuovo di fermarlo:

« Draco! Smettila! »

Smetterla?!

« Ma ti senti?! » Urlò al culmine del raccapriccio. «  E’ un tappeto! »

« E tu sei l’essere più abissalmente cretino che io abbia mai conosciuto! »

« Almeno non puzzo! »

« Neanche lui puzza! »

« Certo che puzza! » La contraddisse caustico, la faccia trasfigurata dalla rabbia « Tutti i tappeti puzzano! Perché ci si pesta sopra i piedi! »

« Pucey non- »

Draco sbarrò gli occhi, inorridito.

« Adesso ti metti pure a chiamarlo per nome?! »

« Io l’ho sempre chiamato per nome! » Gridò Hermione, e ansimando per lo sforzo di continuare a stargli dietro. « E non capisco perché fai così: mi ha invitato, e io ho detto di si! Sapevo che tu ci andavi con tua cugina! »

« Silenzio! » La zittì furibondo. « Non c’entra niente questo! C’entra il fatto che sono allibito che tu sia caduta così in basso da farti accompagnare da un fallito! Un monumentale fallito! »

« Sempre meglio che essere degli stupidi ignoranti che giudicano le persone in base ai loro soldi! » Strillò Hermione, quasi disperata.

« E chi ha parlato di soldi?! » Ribatté allucinato, anche lui con un fondo di disperazione nella voce « Aiuta i Tassorosso quello! »

Hermione batté le mani sui fianchi una volta. E poi un’altra volta.

Sul viso un’espressione sconvolta, attonita, quasi smarrita.

Provò a dire qualcosa prima di richiudere la bocca e guardarlo come se non trovasse parole per ribattere. Lui ne fu certo: non trovava parole perché si stava rendendo conto che non si poteva obiettare al fatto dei Tassorosso. Ciò significava che presto si sarebbe scusata. Che si stava rendendo conto di quanto era stata stupida, di quanto era stata una donnicciola sciocca a lasciarsi andare un uomo baldo, valoroso e Serpeverde quanto lui.

Si stava rendendo conto di tutta la sua cretineria.

L’accenno di un sorriso soddisfatto si stava dipingendo sul suo viso, al pensiero di quanto sarebbe stato misericordioso a concederle il tanto desiderato perdono, quando la udì esclamare con una qual sorta di esasperata rassegnazione:

« Ma sei un vero deficiente! »

Il sorriso si gelò sul suo viso prima di formarsi.

Assottigliò gli occhi in due fessure così sottile che non si vedevano più nemmeno le pupille.

« … sai che ti dico? »

Hermione lo guardò un po’ sconsolata, come se non ci fosse niente che potesse dirle per farle cambiare umore.

In realtà, c’era eccome.

« Che Davis lo è. » sibilò, e lampi d’orgoglio ferito e rivendicazione cocente scintillavano dalla fessura sottilissima dei suoi occhi « E che formate proprio una bella coppia! Di deficienti! »

E in effetti dopo queste parole Hermione non sembrava più molto sfiduciata.

« Ah si? » Vibrò anzi, come se stesse trattenendo in gola tutta la sua rabbia.

Un tic nervoso cominciò a gonfiarle la palpebra più bassa dell’occhio sinistro. Le narici si dilatarono al punto da renderle il naso molto simile a quello di un toro incazzato. E i pugni si strinsero in modo così serrato lungo i fianchi che le nocche cominciarono a scrocchiare. Deglutì inconsciamente, perché sapeva che non era un buon senso. Ma siccome non c’erano libri nei dintorni, osò confermare, spavaldo:

« Si! »

« Bene. » Disse, con la stessa, pericolosa calma trattenuta.

« Bene! »

« Bene. »

« Ben- »

« Stupeficium! »

« Protego! » Strillò stridulo, non sapendo bene dove trovò tutta quella prontezza.

E scattò di lato, col cuore in gola.

Udendo il suono di qualcosa che si sfracellava, si girò e sbiancò di fronte alla sedia maciullata che si era schiantata contro il muro al suo posto.

Così strillò di nuovo, ancora più stridulo:

« Ma che fai?! »

Hermione aveva una risposta molto ragionevole:

« Stupeficium! »

« Protego! » Urlò atterrito, puntando la bacchetta davanti a sé.

« Stupeficium! » Continuava a incalzarlo Hermione, l’aria da assatanata e i capelli ridotti ad uno scempio. Un’altra sedia prese il suo posto e venne distrutta nella furia assassina di quella pazza scatenata- « Stup- »

« Expelliarmus! »

E incredibilmente fu più veloce: la bacchetta di Hermione volò dall’altra parte della stanza, e lui, ancora la bacchetta puntata, accarezzò per un attimo l’idea di schiantarla. Quando lei lo sconsigliò molto vivamente, sibilando, verde di rabbia:

« Non oserai! »

« Tu l’hai appena fatto! » le fece notare allucinato, il braccio sempre teso e pronto.

« Te l’eri meritato! » lo zittì lei, gli occhi ridotti a due sottili e funeste fessure che lo fissavano con tanta irritazione e rabbia che sembrava stesse recitando un’oscura maledizione mentale.

E Draco Malfoy conosceva Hermione Granger abbastanza bene da sapere che averla privata della sua bacchetta non era sufficiente per mettersi al riparo dalla sua follia.

Decise infine che, per fugare ogni dubbio, era davvero meglio schiantarla.

Senonché dall’uscio, giunse loro una voce:

« Ma qui che succede? »

Ed ecco l’oggetto del contendere comparire nell’arena.

La donzella in difficoltà che il Drago voleva accoppare, e difesa da un cuore ardimentoso.

Nel solo guardare Pucey Davis che li fissava con un’ aria del tutto innocente ed ebete, provò l’insano desiderio di prenderlo a sprangate.

« Malfoy? » Domandò lo sveglissimo principesso. « Ma che fai? »

« Stanne fuori, stuoia! » ringhiò, minaccioso. E avrebbe volentieri puntato la bacchetta contro Pucey se solo Hermione non gli avesse ricordato la sua presenza, urlando ormai quasi sull’orlo delle lacrime:

« Smettila Draco! »

Ed era molto meglio continuare a tenere lei sotto tiro.

« Stuoia? » Ripeté invece Pucey, smarrito.

Abbassò la bacchetta e puntò un dito contro il nuovo arrivato, guardando però Hermione con l’aria di uno che le sta mostrando la dimostrazione assoluta della propria ragione.

« E poi sarei io l’imbecille?! » La accusò indignato. « E’ più lento di Weasley! »

Il principesso sembrò aver capito tutto e chiese, in tono perspicace:

« Lento…? Stiamo parlando di Quidditch, vero? »

Cercò di tendere ancora di più il braccio e il dito, già piuttosto tesi. E cercò di spalancare ancora di più le palpebre, come se volesse che Hermione notasse la devastazione nei suoi occhi, mentre ripeteva:

« Visto? »

E non era davvero possibile che non vedesse.

Per l’ennesima volta, Hermione tentò di aprire la bocca, ma non riuscì a dire nulla. Doveva vederlo anche lei che razza di idiota si era scelta! Doveva vedere come aveva messo in imbarazzo anche lui, esponendolo alla derisione di tutti quelli che in eterno gli avrebbe rinfacciato che qualcuno aveva preferito Pucey Davis a lui! Era una questione d’orgoglio, maledizione!

E a quel punto, nemmeno lei non poteva davvero ignorare il suo monumentale errore e chiedergli come una gnorri quale diavolo fosse il suo problema!

Perché ormai era davvero troppo evidente quale fosse!

« Forse… forse dovrei lasciarvi soli… » Buttò lì Pucey, vedendo che la situazione, non appena calava il silenzio, era tesa come una corda di violino. « Ti aspetto in Sala, ok, Hermione? Sai, la festa è appena iniziata, in realtà… »

Infatti, il suo problema era evidente…

Il suo più grande problema…

Le guance di Hermione.

Quelle guance rosse che risaltavano sulla pelle chiara. O i suoi capelli. Che dire dei suoi capelli? Di quelle ciocche scomposte che sfuggivano dalle forcine. E che dire degli occhi? Così scintillanti quando l’avevano salutato. E non poteva dimenticare il vestito. Non avrebbe mai potuto dimenticare quel vestito che le calzava troppo bene ed era troppo blu per non ricordargli che l’aveva messo per qualcun altro.

Ecco i suoi più grandi problemi.

Sin dal primo momento che l’aveva vista, dal fondo della sala, si era dimenticato l’orgoglio e la derisione degli altri: si era solo reso conto, anche lui come lei, che Hermione sarebbe cresciuta. Sarebbe diventata una pallida imitazione di donna, ma pur sempre una donna. E forse qualcuno sarebbe stato così pazzo da invitarla a uscire. E, come stava accadendo anche in quel momento, l’aveva assalito la sensazione contorcente, avvilente e insopportabile che lei potesse essere felice di fargli un po' di posto accanto a sé.

Potesse essere felice di far occupare a qualcun altro il posto più vicino a lei per sentirla straparlare, per farle gli sgambetti, per tirarle palline di carta per essere notato.

E quello era intollerabile per un milione almeno di motivi. 

Tutti superflui e tutti capitali nello stesso tempo, su cui nemmeno voleva discutere con se stesso.

L'unica cosa importante su cui riflettere era che sarebbe stato Draco il Misericordioso soltanto dopo.

In quel momento, voleva solo spaccare qualcosa e spiegare a Pucey Davis di di levarsi immediatamente da quel posto, perché se non si fosse levato, avrebbe spaccato lui.

« Avresti dovuto sin dall’inizio non intrometterti » Disse quindi, con un astio e una cattiveria tali da zittire la risposta di Hermione sulle sue stesse labbra, e indurre sia Hermione che il suo cavaliere per la serata a guardarlo basiti. « Solo perché ti ha detto che viene con te alla festa ti sei montato la testa » Continuò, velenoso e sapendo di esserlo. Che lo capisse. E lo capisse bene quell’idiota che cosa era stato: « Ma adesso che ci sono io non servi più. Per cui sciò, vattene! »

Che capisse che lui, Draco Malfoy, non l’avrebbe mai invitata ad un ballo. Avrebbe forse accondisceso ancora ad accompagnarla - ma questa volta avrebbe preteso che firmasse un contratto scritto in cui si impegnava a farlo - ma l'avrebbe fatto per bontà e per divertirsi alle sue spalle. In ogni caso non l'avrebbe mai invitata, ma poteva star certo che non avrebbe lasciato che qualche altro imbecille lo facesse.

Che Davis capisse di essere il terzo incomodo lì.

E non gli importava nemmeno molto come era capitato: se Blaise gli aveva detto una cavolata, se Hermione non aveva capito niente, o chissà cos’altro. Non stavano parlando di quello: per quello, semplicemente, Hermione l’avrebbe pagata cara per poter espiare tutte le sue colpe.

Ciò che era importante far capire, ciò di cui stava parlando, era che Pucey Davis era l'ultimo intruso che avrebbe tollerato. Perchè quel posto non era in vendita, e, per quel che gli riguardava, nemmeno Hermione poteva decidere di farlo occupare da qualcun altro. Non senza sapere che sarebbe stato immediatamente schiantato. E, a buona posa, che anche lei si sarebbe presa la sua dose di incantesimi. Ecchediamine!

E quei pensieri erano così veri e imperativi, nella sua testa, che la sua espressione era divenuta limpida e altera. Era così certo di quello che aveva detto che il suo tono di voce era calmo e fiero. Era così sicuro di sé che il suo mento era sparato in alto, con tutto l’orgoglio e la vanità possibili stampati sul viso.

Si voltò verso Hermione.

La certezza assoluta che lei, a quel punto, l’avrebbe adorato come un dio.

Se vi state chiedendo se Draco Malfoy aveva mai sentito parlare di emancipazione femminile, di lotta contro l’oggettivazione delle donne, di rivendicazione del diritto sacrosanto di scegliere se accettare o meno le avance di un uomo. Se insomma vi state chiedendo se Draco Malfoy sapeva che il patronus di Hermione era il simbolo per eccellenza di “potere femminile” e quei pensieri non erano altro che la letterale espressione del giogo paternalistico del maschilismo. E se infine vi state chiedendo se Draco Malfoy si era accorto che in tutto quel discorso Hermione ne usciva come una specie di donna scarlatta, frivola e sciocca che pur di avere un partner per una festa accettava di andarci con chiunque… vi posso dire che effettivamente no, Draco Malfoy era del tutto ignaro a questi fatti.

Per questo fu piuttosto scioccato quando si voltò verso di lei e la trovò con due pezzi di marmo al posto delle mascelle. L’espressione glaciale. E gli occhi penetranti che gli promettevano qualcosa di molto doloroso, lento e sanguinolento.

Avrebbe potuto essere la morte, ma se non poteva mettere la mano sul fuoco che fosse la cosa peggiore augurabile a qualcuno, non poteva essere certo che si trattasse proprio di quello.

« Accio Bacchetta » scandì Hermione, netta.

Fu strano rendersi conto che il riflesso condizionato di brandire la propria bacchetta per difendersi non si attivò. Ma fu ancora più strano vedere che Hermione gli diede semplicemente le spalle.

La calma prima della tempesta.

Questo era l’avvertimento della sua saggia voce interiore.

Voce che lui subito zittì, sprezzante.

« Vieni via » Disse Hermione a Pucey, afferrandolo per un braccio e così riscuotendolo dal torpore che l’aveva colto. Poi, sempre senza voltarsi, aggiunse serafica rivolta a Draco: « Ti consiglio di non seguirmi. »

« Altrimenti? » La provocò lui, altero. Pronto a ribattere ad ogni insulto con uno peggiore.

Che capisse bene anche lei che se voleva perseverare nella sua demenza, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara. Che se prendeva le parti del Paladino dei Tassorosso avrebbe iniziato con lei una lotta senza quartiere che l’avrebbe indotta alla resa. Che se era così sciocca da non inchinarsi immediatamente al suo regale cospetto la sua ira sarebbe stata così grande che avrebbe scatenato tuoni e fulmini contro di lei. Che l’aver messo quel vestito blu per Pucey Davis e non per lui, non sarebbe mai e poi mai stato dimenticato.

Che capisse bene anche lei che non avrebbe ricavato altro che pane per la sua focaccia.

Con questo umore e questo proposito Draco Malfoy attese la furia di Hermione Jane Granger.

Lei però non disse una parola.

Si voltò soltanto verso di lui, e una lingua di fuoco le uscì dagli occhi, carbonizzando ogni cosa.

E addio al pane, alla focaccia, e alla sua faccia.

 

*** *** ***

E insomma, eccoci qua.

Di nuovo in guerra. Ma una guerra diversa, non vi pare?

Ne deve passare ancora un po' di acqua sotto i ponti perchè quei mille motivi superflui e capitali vengano rivelati a Draco dalla sua voce interiore. Ma c'è speranza.

Se le daranno di santa ragione, ma posso assicurarvi che anche questo servirà ad avvicinarli ancora di più.

Ps: potrei aver fatto qualche sbaglio con le date. In realtà le metto ancora perchè non voglio cambiare stile narrativo, ma vedetele più che altro come una traccia superflua.

Pss: mi sono resa conto che è passato un messaggio sbagliato, e ho modificato delle frasi sul finale: non vorrei mai che si pensasse che adesso Draco pensa di sposare Hermione. Lui pensa semplicemente a fare piazza pulita di quelli che le si avvicinano, ma è ancora nella fase in cui la maggior parte degli insulti che le fa in fondo un po' li pensa. Mi sembrava d'obbligo specificarlo.

Besos!

 

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