AAA CERCASI FIDANZATO MOMENTANEO

di samy88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


aaa 1 CIAO MIEI CARI,
SE VI STATE CHIEDENDO SE SONO IO.... SI SONO PROPRIO IO.
LO SO, HO APPENA CONCLUSO FATE OF LOVE, HO AMORE PLATONICO IN CORSO,  E GIA' MI CIMENTO IN UN'ALTRA.
MA QUESTO CAPITOLO ERA PRONTO E PURTROPPO HO DATO RETTA A LUISINA (ho sognato -.-) ED E' USCITA QUESTA STORIA DIVERTENTE. IO VOLEVO FERMARE IL MIO CERVELLINO PAZZO MA NON SO DOVE POSSO COMPRARE UN SEMAFORO PER LA MIA TESTA...
I PERSONAGGI SONO TUTTI UMANI.
SPERO SOLO CHE POSSIATE TROVARLA INTERESSANTE.


VOLEVO COMUNICARE INOLTRE CHE L'IMMAGINE BELLISSIMA DELLA STORIA L'HA CREATA LA MIA CUCCIOLA SPECIALE LAU_TWILIGHT. GRAZIE TESORO, SENZA DI TE NON SAPREI COSA FARE.













CAPITOLO 1

 



Pigiai il pulsante di richiamo per l’ascensore nell’atrio condominiale. Finalmente rincasavo dopo un’intensa giornata lavorativa. Adoravo ardentemente il mio lavoro di giornalista per uno dei più ricercati quotidiani di tutto lo stato di Washington, il Daily Sun. Avevo lavorato duramente come semplice stagista per i primi due anni. Ora, invece, ero una delle reporter più citate e famose di tutta Seattle. Le porte dell’ascensore scivolarono lateralmente. Vi entrai e premetti il numerino cinque per salire al quinto piano. Con un sottile scampanellio le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente rivelando ai miei occhi un pianerottolo caratterizzato da muri giallognoli. Avanzai fermandomi innanzi alla porta del mio appartamento. Abbassai il capo cercando all’interno della mia borsa – molto simile a quella di Mary Poppins- le chiavi di casa. Nel frattempo che la mia mano vagava all’interno col tentativo di portare a termine quell’ardua impresa, sebbene fosse un gesto quotidiana, il mio sguardo si posò sulla piantina posta accanto alla porta di casa: un regalo di Renèe. Aveva le foglie gialle e secche. Da quanto tempo non la innaffiavo? Scossi il capo sconsolata: non mi sapevo prendere cura nemmeno di una semplice piantina. Ero priva di pollice verde. Finalmente trovai le chiavi. Inserii la più grande nella serratura e dopo una lotta all’ultimo scatto la porta si aprì.
Accesi la luce dall’interruttore e lanciai la borsa sul divano. Avanzai verso il tavolo da pranzo poggiando su di esso la posta ma uno spicchio rosa pallido catturò la mia attenzione. Spostai le altre lettere prendendo tra le mani quella intenzionata. L’aprii estraendo un foglio color avorio. Era ruvido al tatto; sembrava carta di riso. Lo schiusi.
 
 
Kate Denali         -        Garrent Nomadi
Annunciano il loro matrimonio
Che si terrà il 17 Luglio,  2009
Alaska, Anchorage

 
 
Strabuzzai gli occhi quasi fuori dalle orbite. Sotto in matita c’era una piccola, dannata nota che mi fece quasi uscire di senno.
 
Cuginetta cara, naturalmente tu sarai una delle damigelle per cui, ci vediamo tra due giorni. Baci, le tue adorate cugine.
 
Adorate… sì, così ‘adorate’ da rovinarmi ogni periodo estivo per diciannove anni della mia vita.
Forse stavo sognando; questo doveva essere senza ombra di dubbio uno dei miei peggiori incubi. Chiusi gli occhi auspicando con tutta me stessa che nel riaprirli dopo avrei trovato tra le mie mani una bolletta. Avrei accettato gioiosamente anche la più salata con un importo composto da ben tre cifre. Ero disperata. Totalmente disperata. Schiusi lievemente un occhi riducendolo ad una piccola fessura. Abbassai timorosa il capo in direzione della lettera e…
“Diamine!” Imprecai ad alta voce. Cosa avevo fatto di tanto sbagliato nella mia vita per ricevere una cosa simile?! C’era una solo cosa da fare. Avevo bisogno di una consulenza professionale.
Afferrai le chiavi dal tavolino costeggiante il corridoio principale ed uscii repentinamente di casa chiudendomi la porta alle spalle. Guardai la spia luminosa dell’ascensore: era fermo al pianerottolo. Non potevo aspettare così tanto tempo. Scesi velocemente le varie rampe di scale evitando per miracolo dei ruzzoloni. Arrivai trafelata e ansante al secondo piano. Respiravo con fatica. Mi ritrovai innanzi ad un porta in legno massello. Su di essa vi era una targa con su scritto ‘Cullen’. Mi attaccai impetuosa al campanello. Poco dopo la porta si spalancò.
“Che diamine-“ Edward si bloccò sgranando gli occhi notando il mio affanno. Perché questo ragazzo diveniva ogni giorno sempre più… più… più di tutto?! Ogni volta che intaccavo nei suoi occhi verde smeraldo il mio cuore perdeva un battito e in quel momento, totalmente boccheggiante, non era affatto una gran cosa. “T-tua sorella?” Balbettai con l’effimero fiato restatomi nei polmoni. Indicò con un cipiglio dubbioso in viso la cucina. Ringraziai col capo precipitandomi nella stanza indicatami. Alice, la mia migliore amica formato folletto, era impegnata in una comunicazione telefonica e, dal tono mieloso adottato, dall’altro capo doveva esserci senza ombra di dubbio il suo fidanzato Jasper. Si accorse della mia presenza e con una mano mi liquidò indicandomi una sedia. Mi accomodai gettando, probabilmente con troppo vigore, la lettera sul ripiano della cucina. Stesi le braccia sul tavolo e vi nascosi il viso. Perché capitavano tutte a me?!
“Si, amore… stasera ci vediamo.” Pigolò Alice dolcemente. Improvvisamente cacciò un urlo disumano. Sobbalzai scattando su il capo spaventava. Ma era forse impazzita?!
No, fortunatamente no. Il suo gesto era stato assolutamente legittimo. Tra le mani aveva l’invito di nozze. Al sol pensiero venni interamente percorsa da brividi di disgusto. Ci mancava solo la nausea.
“Jazz, ti richiamo tra poco. Ho un piccolo problema con Bella.” Disse Alice chiudendo direttamente la conversazione, probabilmente senza ascoltare la risposta del povero fidanzato.
L’espressione del suo viso era di mero sbigottimento eco della mia. “Kate e Garrent?” chiese storcendo il naso disgustata.
“Alice…” piagnucolai disperata.
Lei continuò a leggere l’invito e rigirarsi la lettera tra le mani. “Cribbio! Sei una delle damigelle!” Gettai mollemente il capo sul tavolo battendoci con la fronte. Avrei preferito andare mille volte al patibolo.
“Bella.” Quel suo tono fu alquanto preoccupante. “Hai letto il retro della lettera? Cosa hanno scritto nella parte indirizzata al nome del destinatario?” Sbuffai sonoramente. “Il primo dispetto di una lunga serie scrivendo il mio nome per intero aggiungendo inoltre anche il secondo, giusto?”
Alice scosse il capo. “Isabella Marie Swan e…” tirò un grosso respiro, …‘fidanzato’”
“Merda!” Esclamai scattando in piedi.
“Chi è questo fantomatico fidanzato del quale la tua migliore amica non è a conoscenza?”
“L’avevo inventato.” Sbuffai facendo roteare gli occhi verso l’alto. “Ero andata a trovare Renèe e misteriosamente c’erano anche loro. Mi avevano insultato tante di quelle volte affibbiandomi il nomignolo di ‘zitella acida’ che per disperazione ho mentito dichiarando di avere un compagno.”
Alice si passò una mano tra i capelli. “Sai cosa vuol dire questo?”
“Che darai la triste notizia della mia morte prematura?”        
Dalle labbra della mia amica sfuggì una risata amara. “Che hai l’obbligo di andare con il tuo ‘fidanzato’”
Aggrottai la fronte. “Alice, vorrei ricordarti che questo fidanzato non esiste.”
Lei di rimando sbuffò come se fosse lei quella in difficoltà, e non la sottoscritta. “Bella, hai una vaga idea di cosa possa accadere se non ti presenti a quel matrimonio con un ragazzo?”
In quel preciso istante ebbi un’irrefrenabile voglia di urlare. “E cosa dovrei fare, eh?” Replicai infervorata. “Dovrei pubblicare un annuncio sul Daily Sun, AAA CERCASI FIDANZATO MOMENTANEO?”
“Perché, ci sono anche questi annunci su quel quotidiano?”
La voce inaspettata di Edward mi fece sobbalzare; il cuore parve schizzare fuori dal petto. Alzò un sopracciglio. “Sono così brutto da spaventarti?”
Edward Cullen: bello, affascinante, estroverso e… ahimè, maledettamente strafottente. Dal nostro primo incontro aveva sempre avuto questo atteggiamento nei miei confronti: affabile e strafottente all’ennesima potenza. Spesso, anzi molto spesso, ci stuzzicavamo.
“Bella, l’idea non è male.” Rispose Alice con un ghigno divertito.
“Sono disperata.” Biascicai poggiando la fronte allo stipite della porte. “Pagherei perfino mille dollari per trovare una soluzione.” E purtroppo questa non c’era. Dovevo andare a quel dannato matrimonio e subire le ingiurie delle mie cugine.
“Ho un idea.” Esclamò guardando prima me, poi il fratello. Cosa diamine aveva in mente? Allungò le braccia con i palmi della mani all’insù facendole oscillare dall’alto verso il basso per tutta la lunghezza del corpo scultoreo di Edward, come se stesse mostrando ad alcuni acquirenti la bellezza di un prodotto in vendita.
Oh, no. No, e ancora no.
Portai un dito all’altezza della tempia. “Ti sei lambiccata il cervello?” Scossi il capo risoluta. “No, assolutamente no.”
“Potrei capire anch’io se non vi dispiace?” Disse Edward ignaro della mente subdola della sorella.
Mimai in direzione di Alice una chiusura lampo sulle labbra; una lampante minaccia della quale se ne infischiò deliberatamente. “Abbiamo trovato il fidanzato momentaneo.”
“Congratulazioni.” Disse Edward. “E chi sarebbe il fortunato?” continuò con una punta di ironia.
Alice ignorando i miei gesti omicidi mimati, come lo sgozzamento o lo strangolamento a mani nude continuò imperterrita a parlare. “Tu.”
Un monosillabo che fece quasi tremare il pavimento sotto i miei piedi. Aspettai invano che si aprisse mostrandomi un fossa nella quale avrei potuto nascondermi per il resto dei miei giorni.
“Cosa?” Esclamò Edward stralunato. A quanto pareva, non ero l’unica a vedere il lato negativo in quella scelta.
“Suvvia, Edward. Tu sei perfetto per questo ruolo.” Disse con ovvietà. “Bella è l’unica soluzione. Preferisti qualcun altro? Jacob, per esempio?”
A quel nome rabbrividii. Jacob, o Jake come diavolo voleva essere chiamato, era l’amico insistente, fastidioso, logorroico, di Edward che, ogniqualvolta lo incontrassi, tentava inutilmente in tutti i modi di spuntarmi una serata insieme. La mia metodica risposta? Neanche morta!  
“Alice ribadisco fermamente che è una pessima idea. Edward tutto potrebbe sembrare tranne il mio fidanzato.” Dichiarai risoluta. Che assurda situazione!
Il fratello, punto in viso dalla schiettezza delle mie parole incrociò le braccia al petto osservandomi con un cipiglio contrariato. “Cosa vorresti insinuare con questo?”
Il punto debole degli uomini: l’orgoglio. Rilasciai una leggera risatina divertita. “Edward, date le tue esperienze, non credo che tu possa essere definito un perfetto fidanzato” Mimai delle virgolette per sottolineare l’ultima parola.
Alice batté le mani felice come una pasqua. “Hai visto? Bisticciate già come una coppia di perfetti neosposini.”
Alzai di scatto una mano mostrandole il palmo. “Ehi, non esageriamo!”
“Se la tua è una sfida…” Edward fece una pausa. “l’accetto volentieri.”
Cosa?! Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Edward che acconsentiva? Doveva assolutamente esserci un inghippo.
“E chi mi assicura che non mi pianti in asso davanti a tutti?”
“Mille dollari.” Rispose Alice con nonchalance. “In cambio della prestazione gli darai mille dollari, altrimenti caccerà lui la somma come pena.”
“Lui non accetterebbe mai.” Dichiarai con uno sbuffo stringendomi nelle spalle. Volsi il capo nella direzione di Edward. Sul suo viso c’era un sorriso di autentica sfida. Tese la mano verso di me. “Mille dollari.” Dichiarò risoluto con quel sorriso sghembo da mozzafiato. Lo guardai per un attimo interminabile. Era la mia unica soluzione? Sì, purtroppo sì.
Strinsi la mia mano nella sua come a sancire un patto. “Mille dollari.” Ripetei.
Ridacchiò. “Sarà divertente”
Sarà un disastro. Replicai mentalmente.
“In che data verranno celebrate le nozze?” Chiese alla sorella.
“Il diciassette luglio.”
“Perfetto.” Mi lasciò la mano incedendo verso l’uscita della cucina. “In quel giorno sarò il prefetto fidanzato.”
Pensava davvero che fosse così semplice? Risi amaramente. “No, amore” il mio tono si incrinò a quel mieloso appellativo. “Noi partiamo tra due giorni. Sono una delle damigelle ed è mio dovere trascorrere del tempo con l’adorata sposa.” Il sarcasmo era palpabile.
Edward si bloccò sull’uscio della porta. Incedette nella mia direzione, mi afferrò un braccio e tastò le vene. “Hmm. La vena ironica pulsa più delle altre.”
Mi liberai dalla sua presa. “Medico da strapazzo!”
Puntò i suoi occhi nei miei. “Quindi per poco più di una settimana dobbiamo comportarci come una coppietta felice?” E figuriamoci che ero io quella con la vena sarcastica pulsante!
“Esatto. Credi ancora che sarà divertente?”
Edward ridacchiò beffardo. “Oh si, ancor di più.”
Avevo finalmente trovato la soluzione al mio problema o ne avevo inconsciamente creato un altro?  







COM'E' STATO??


RAGAZZE/I ADESSO ENTRATE IN GIOCO VOI.
HO BISOGNO DI QUANTI PIù NOMIGNILI POSSIBILI TRA FIDANZATI, SOPRATTUTTO QUELLI FASTIDIOSI, ODIOSI...  LI INSERIRò NEI VARI CAPITOLI. BUON DIVERTIMENTO.

GRAZIE ANCORA PER ESSERE ARRIVATI FIN QUI E PER AVER LETTO UN'ALTRA DELLE MIE PAZZIE.
        

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2 SALVE RAGAZZE…
O MIO DIO!! QUANTI, PREFERITI, SEGUITI… IO SONO DAVVERO COME RINGRAZIARVI. I VOSTRI COMMENTI MI HANNO FATTO LETTERALMENTE SBELLICARE DALLE RISATE E GONGOLARE DI GIOIA. GRAZIE MILLE DAVVERO PER TUTTI I NOMIGNOLI CHE MI AVETE DATO… SENZA DI VOI NON SAPREI COSA FARE… GRAZIE MILLE DAVVERO. PIAN PIANO VEDRETE CHE LI INSERIRò NEI CAPITOLI.
IN QUESTO CAPPY, I DUE NEOFIDANZATINI DOVRANNO CONOSCERSI UN PO’ MEGLIO E SCOPRIRE MEGLIO LE SFACCETTATURE DEI LORO CARATTERI… E POTRETE VOI ALMENO IN PARTE CAPIRE COSA ACCADRA’ NEI PROSSIMI.
 
DEDICO QUESTO CAPITOLO A: A l y s s a; Kumiko_Chan_, Luis, JessikinaCullen
Nel prossimo altre dediche per ringraziarvi per tutto il sostegno.
 

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CAPITOLO 2

 



Il giorno successivo trascorsi gran parte del mio tempo al telefono. Chiamai Reneé, per accertarmi della sua assenza al matrimonio ed evitare così qualche spiacevole episodio scaturente dal mio finto–fidanzato-insopportabile (mia madre era priva di tatto e, in particolar modo, di memoria). Prenotai un volo immediato per l’Alaska da Seattle in modo tale da arrivare in serata nella casa pullulata da oche starnazzanti. Adottai la mia arma migliore con il direttore del Daily Sun per ottenere le ferie estive con un netto anticipo; rasentai perfino un atteggiamento seducente abdicato dal tono di voce cinguettante molto simile a quello della sua segretaria-oca Jessica Stanley; il suo cervello le permetteva esclusivamente di battere la tastiera con le sue unghie laccate di un rosso cremisi e accavallare le gambe mostrando uno spacco da far invidia al vestito rosso fuoco di Jessica Rabbit. Stesso nome, stesso seno rifatto, stesse labbra prorompenti siliconate.

Di conseguenza, fu proprio Alice a prepararmi la valigia per il viaggio. Tuttavia, sapevo di non poter riporre piena fiducia nelle sue mani, sebbene fosse una delle stiliste più rinominato dell’intero Stato di Washington; conoscevo perfettamente i suoi gusti: erano quasi totalmente contrastanti con i miei e se nel mio armadio vi erano alcuni abiti estremamente seducenti era solo opera sua. Pertanto, le imposi di introdurre solo capi d’abbigliamento consoni privi di fronzoli e scollature provocanti. Mi accorsi perfino che uscì dal mio appartamento per rientrare poco dopo con una busta gigantesca dalla quale traboccavano a penzoloni maniche e spicchi di stoffe di vario colore. Purtroppo non potei ispezionare il lavoro di Alice per mancanza di tempo.
 
Entrai nella mia stanza scorgendo la figura della mia amica combattere con la cerniera della valigia. Mi accigliai osservandole con un cipiglio contrariato. “Alice, lo sai che se supero il peso massimo consentito devo pagare un supplemento?”
“Sono tutte cose indispensabili, di vitale importanza.” Lei sbuffò chiudendola definitivamente. Mi inquietai più del dovuto. Cosa diamine aveva messo lì dentro? La valigia sembrava scoppiare da un momento all’altro. Il mio sguardo si posò su beauty ancora aperto poggiato sul mio letto.
“Il bagnoschiuma alle noci?” Domandai incrociando le braccia sotto al seno.
“C’è quello alle fresie. Edward è allergico alle noci.” Rispose ostentando indifferenza.
Arcuai un sopracciglio. “Lo so, e allora? Tuo fratello ha qualche disturbo mentale derivante dall’ingurgitare bagnoschiuma?”
“Quando mi implorerai di lambire la tua pelle con le mie labbra in ogni punto del tuo corpo non vorrei avere uno shock anafilattico.” Quel fioco ed eccitante soffio sul mio orecchio mi scaturì brividi lungo tutta la schiena. Volsi il capo verso l’origine di quella voce maledettamente sensuale. Mi imbattei immediatamente in due occhi verdi e un sorriso altamente strafottente.
Troppo strafottente.
“Potresti avere lo shock per altri motivi, fidati.” Al sol pensiero delle sue morbide labbra sul mio corpo… un calore divampò infuocandomi di desiderio. Scossi furiosamente il capo. Non potevo assolutamente iniziare quest’avventura con certi pensieri. “Hai preparato tutto?” Gli domandai col tentativo di sviare il discorso in altre strade meno tortuose.
“Si, zuccherino mio. Tu sei, pronta?” Zuccherino mio?! Roteai gli occhi al cielo indispettita. Mi aveva scambiata per un pasticcino? Lanciai un’occhiata all’orologio da muro: segnava le diciotto in punto.
“Prontissime!” Rispose Alice chiudendo anche la cerniera del beauty. “Su, forza piccioncini! Avete un aereo da prendere!” Mosse entrambe le mani in avanti in segno di sollecitamento. “Andiamo.” Mormorai più a me stessa per infondermi un po’ di pazienza che in presenza dei fratelli Cullen, come per magia, svaniva del tutto.
 
__________
 
 
“Perché abbiamo preso la mia Mercedes, Alice?” Chiese Edward con un cipiglio alquanto contrariato in viso. Lui e la sua maledetta sontuosa auto!
La sorella lo ignorò bellamente continuando a canticchiare una canzone degli anni ’60 riprodotta dalla radio.
Giungemmo poco dopo all’aeroporto di Seattle. Trascinai la valigia sino al check-in. Poggiai la valigia sulla bilancia: pesava dieci chili in più rispetto a quello consentito. Lanciai un occhiataccia ad Alice che mi rispose alzando le spalle. Pagai il supplemento e mi accomodai nella sala d’aspetto accanto ad Edward. Il mio sguardo si posò per un attimo sulla borsa in pelle ai suoi piedi: quella professionale da medico. Le puntai un dito contro. “Perché hai portato con te, quella cosa?”
Ridacchiò scompigliandosi i capelli. “Anche in vacanza sono un medico.”
“Io odio i medici.” Borbottai infastidita. Odiavo l’ospedale con tutti i suoi annessi e connessi. Anche se molto spesso avevo immaginato Edward in camice e… Scossi la testa per ridestarmi da quei pensieri poco innocenti.
“Ma, tesoro mio, tu non dovresti amarmi perdutamente?”
Poggiai teatralmente la mano sul cuore e sbattei velocemente le palpebre. “Certo, tesoro mio.” Marcai con la voce il vezzeggiativo utilizzato da lui stesso. “Ti amo alla follia.”
“Voi due!” Disse Alice lanciandoci un’occhiataccia. “Sembrate cane e gatto. Non potete assolutamente comportarvi così. Dovete tenervi per mano.” Afferrò furiosamente le nostre mani intrecciandole. “Dovete sussurrarvi parole d’amore e.” Mi lanciò uno sguardo eloquente. “baciarvi.”
Sobbalzai lasciando repentinamente lasciando la mano di Edward. Baciarmi? Con lui che mi guardava con quel sorriso strafottente da capogiro? Fortunatamente dall’altoparlante chiamarono il nostro volo interrompendo quell’imbarazzante discorso. Alice sbuffò alzando gli occhi al cielo. “Tenetemi aggiornata soprattutto sul catering e sul vestito della sposa.”
Salutammo quel piccolo demonio formato nana ed incedemmo nella sala di imbarco.
Entrammo nell’aereo occupando due sedili imbottiti adiacenti ad un oblò. Edward al mio fianco era particolarmente tranquillo, io invece, tremano e mi torturavo le mani nervosa. Non avevo mai preso l’aereo e solo l’idea di stare a migliaia mi metri per aria, staccata dal terreno mi faceva letteralmente sudare freddo. Sullo schermo comparve un filmato esemplificativo di come allacciare le cinture. Le hostess mimarono le azioni. Mi allacciai la cintura con fatica a causa del tremore impossessatosi delle mie mani. Edward si voltò di scatto aggrottando la fronte. “E’ la prima volta che prendi l’aereo?”
Annuii timidamente. Non potevo negare di fronte all’evidenza. Mi porse il palmo della mano. “Stringi la mia mano.”
Le mie braccia parevano imbalsamate. Le mie mani erano ancorate alla cintura vicino al grembo; Edward allungò un braccio e ne afferrò una stringendola con veemenza. “Fidati di me.”
L’aereo decollò: io strinsi la sua mano con forza, quasi a fargli male e serrai gli occhi. Poco dopo percepii un piccolo suono acuto e spalancai gli occhi spaventata. Edward ridacchiò sfiorando il dorso della mano con il pollice. “Siamo in volo, ora dovresti essere più tranquilla.” Lasciai la sua mano congiungendola nuovamente sul mio grembo all’altra. Non avevo smesso un istante di tremare. Un’hostess si chinò mostrando il suo decolté prorompente. “Posso portarvi qualcosa?”
Scossi il capo furiosamente. Edward rispose per entrambi. “No, grazie.” La ragazze sorrise cordiale e lanciò un’occhiata alquanto languida al mio finto - fidanzato. Potevo percepire una finta – gelosia?
Lui si slacciò la cintura. “Sfruttiamo queste ore per conoscere i gusti e le preferenze dell’altro. Se ci fanno delle domande dobbiamo essere preparati.”
Feci scattare il gancio con due dita. Io sapevo quasi tutto di lui pertanto questa conoscenza sarebbe stata alquanto unilaterale. Tuttavia, scossi il capo in segno di assenso.
“Da cosa vogliamo iniziare?” Sorrise sghembo portandosi una mano al mento. “Piatto preferito?” Chiese puntando i suoi bellissimi occhi verdi nei miei. Rilasciai un ghigno. “Mio o tuo?”
Arcuò un sopracciglio. “Sai qual è il mio?”
“Lasagne con poco sugo, molto formaggio filante e leggermente rosolate in superficie.”
Strabuzzò gli occhi sorpreso. “Come dia-“
Lo bloccai prontamente. “Credi davvero che sia tua sorella a cucinare?”
I suoi occhi uscirono quasi fuori dalle orbite. “S-sei tu che cucini?”
Ridacchiai divertita dalla sua espressione. “La maggior parte delle volte, sì.”
“Assurdo!” Si passò una mano tra i capelli incredulo. “Il tuo piatto preferito?”
“Ravioli ai funghi.” Risposi con ovvietà.
“Gusti musicali?” Chiese curioso.
“Stranamente ascoltiamo la stessa musica.”
Sorrise storcendo il labbro di sbieco. Quel sorriso mi aveva sempre affascinato.
“Fiore preferito?”
“Edward.” lo ripresi bonaria. “Non ricorderai mai tutto.”
Sul suo viso spuntò un sorriso di sfida. “Mettimi alla prova. Fiore?” Ripeté determinato.
Sbuffai facendo roteare gli occhi. “Rosa.”
Continuammo così per circa un’oretta di volo. Mi fece una miriade di domande ed io risposi  sciogliendogli qualunque curiosità. Non era così difficile parlare con lui anche se spesso e volentieri il suo lato strafottente veniva a galla con troppa facilità. Grazie a quello scambio di parole mi rilassai e non potei che essergli grata. Mi aveva distratta. In seguito tornò perfino l’appetito e di conseguenza l’hostess con la nostra cena .
“Cucini meglio tu!” Disse Edward portando alle labbra un altro pezzo di carne. 
Sogghignai divertita. “Dobbiamo però preoccuparci di cosa mangeremo in Alaska.”
Si pulì la bocca con un tovagliolo. “Come si chiamano le tue cugine?”
“Kate, Irina e Tanya Denali.”
Improvvisamente si fece pensieroso. Una piccola ruga gli increspò la fronte. “Tanya Denali?”
Sbiancai portandomi una mano alla fronte. “Ti prego, non dirmi che sei stato con Tanya.” Volsi lentamente il capo. Si grattò a nuca imbarazzo. “Abbiamo avuto un contatto piuttosto ravvicinato al college.”
“Tanya al college?” Domandai stranita. Quell’oca–cugina era anche istruita?
“Diceva di studiare lingue.” Alzò le spalle.
“Lingue di vari universitari, casomai. Te compreso” Mi passai una mano sul viso infastidita. “Edward se mi fai passare per la stupida della situazione ti ammazzo con le mie stesse mani.”
“In questi giorni sarò solo tuo.” Mi afferrò una mano baciandone il palmo. Quel contatto scaturì un potente scossa elettrica. Avrei retto in quel modo per una settimana? Probabilmente, no.
 
 

LO SO, LO SO… SEMBRO UNA DEGENERATA. MA L’IMMAGINE DI EDWARD IN CAMICE MI FA SBAVARE IN UN MODO ASSURDO.

E A VOI?
 
 PS: IL CAPITOLO DI AMORE PLATONICO ARRIVERA’ A GIORNI, PROMESSO. HO GIA’ INIZIATO A SCRIVERLO.
(HO AGGIORNATO IL 14/11/2009 SE PER CASO QUALCUNO NON SE NE FOSSE ACCORTO).    

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3 *SAM ENTRA IN PUNTA DI PIEDI, CLICCA L’ICONA “Aggiungi un nuovo capitolo”  E SCAPPA VIA A GAMBE LEVATE … POI, SI PENTE E DICE:
“No, non sono una codarda! Mi ammazzeranno per il ritardo ma ho scritto 9 pagine di word per farmi perdonare…” *
 
SAAAAAALVE….
Sì, QUELLO ERA PROPRIO IL MIO TEATRINO. SONO CONSAPEVOLE DI ESSERE IN RITARDO. SONO PASSATI BEN SETTE GIORNI DALL’ULTIMO CAPITOLO E VI CHIEDO SCUSA MA HO AVUTO QUALCHE PROBLEMUCCIO. SE VOLETE LANCIARMI DEI RAZZI… ASPETTATE ALMENO CHE MI RIPARI IN UN BUNKER.

 
AVVISO IMPORTANTE: HO CREATO UN BLOG ^^ DOVE PUBBLICHERò TANTI SPOILER E TEASER PER NUTRIRE LA VOSTRA CURIOSITA’.
MI SPIEGO MEGLIO: I CAPITOLI LI CREO SUL TEMPO, NEL SENSO CHE NESSUNO E’ Già SCRITTO O PROGRAMMATO PERTANTO, OGNI VOLTA CHE NE CONCLUDO UNO, NE INZIO SUBITO UN ALTRO.

IN CONSEGUENZA DI CIO', TENETE SOTTO CONTROLLO IL BLOG ALMENO DUE GIORNI DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO… TUTTAVIA, VI PROMETTO CHE INIZIALMENTE PUBBLICO UN TEASER, IN SEGUITO LO SPOILER VERO E PROPRIO. (*me adora gli spoiler*)
 
VORREI RINGRAZIARE I 21 ANGIOLETTI CHE HANNO COMMENTATO LO SCORSO CAPITOLO… GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE DAVVERO.
INOLTRE VORREI RINGRAZIARE ANCHE I PREFERITI, SEGUITI, CHI LEGGE SILENZIOSAMENTE E CHI CLICCA ANCHE PER ERRORE.
 
PS: LUSINA MI HA FATTO UNA DOMANDA ALLA QUALE NEANCHE IO SO RISPONDERE CON PRECISIONE: ‘QUANTI CAPITOLI SARA’ LA STORIA IN TOTALE’…
FORSE 15, CAPITOLO MENO, CAPITOLO Più. DIPENDE DA COSA GENERA QUESTA MIA TESTOLINA PAZZA.
 
Ps2 (che non significa play station 2 ma POST SCRIPTUM 2… ahahahah): in questo capitolo capiremo cosa ha messo Alice nella valigia. C'è da preoccuparsi??? Ditemelo voi... :-)

VORREI DEDICARE QUESTO CAPITOLO A:
@BARBYEMARCO (tesoro sono 9 pagine di word)
@RODNEY
@COSTANCE_FRY
@JORDY KLEIN




CAPITOLO 3

 


Dopo due ore di volo giungemmo a destinazione: Anchorage, una bellissima cittadina dell’Alaska caratterizzata da un paesaggio alquanto suggestivo in particolar modo all’imbrunire; le luci artificiali -che illuminavano la città intera- e le montagne alte e verdeggianti riflettevano sul golfo dell’Alaska. Osservavo attraverso i vetri dei sedili posteriore del taxi giallo i grattacieli; Edward, occupava il lato totalmente opposto al mio. Volsi il capo osservando con circospezione quel vuoto che ci separava. Non sembravamo affatto due fidanzati. Il nostro era sempre stato un rapporto
quasi fraterno: ci punzecchiavamo assiduamente in ogni circostanza. ‘Quasi’… perché non lo avevo mai considerato come un fratello. Inizialmente avevo avuto la presunta ‘cotta per il fratello della tua migliore amica’. Mi aveva letteralmente affascinata. Impossibile da evitare a causa della sua innata bellezza. Un infatuazione che fortunatamente assopii col passare del tempo.
Edward, di sorpresa, si schiarì la voce e puntò i suoi occhi verde nei miei. “Tesoruccio, come dobbiamo comportarci davanti alle tue cugine?”
Feci roteare gli occhi spazientita. “Come due perfetti fidanzatini?” Ribeccai retorica.
“In altre parole… dobbiamo tenerci per mano, stare costantemente l’uno attaccato all’altra e scambiarci tenere effusioni e baci passionali?”
Le ultime due parole mi fecero rabbrividire e purtroppo non fu una scossa di terrore, bensì di piacere. “Si, e cercare di battibeccare il meno possibile.”
Scosse vigorosamente il capo. “Questo non posso assicurartelo.”
Aggrottai la fronte. “Edward, sai che faranno di tutto per dividerci e, in particolar modo, di scoprire se la nostra storia è una farsa?”
“Sono così sanguinarie?” Chiese divertito.
Incrociai le braccia sotto al seno pensando a cosa avrei dovuto subire in quella settimana. “Non immagini neanche quanto.”
Ridacchiò accorciando la distanza tra noi. “Non sarebbe meglio collaudare il bacio?” Soffiò a qualche centimetro dal mio viso. Quella vicinanza mi stordì leggermente.  
Arcuai un sopracciglio scettica. “Ti serve un collaudo? Non hai baciato abbastanza ragazze da poterti definire perfino ‘esperto’?” Il mio tono fu alquanto ironico e probabilmente acido ma ricordavo nitidamente tutte le volte che avevo aperto la porta di casa Cullen per far entrare una ragazza che sfrontatamente, pigolano il suo nome, entrava nella sua stanza senza batter ciglio.
“Effettivamente…” Edward sorrise sfacciato; si avvicinò maggiormente sfiorandomi una guancia con un polpastrello. “Ma, non ho mai baciato te.” Il suo respiro entrò nella mia bocca lievemente dischiusa: un sapore fresco e zuccherino che scaturì un languore all’altezza dello stomaco. Fremetti  inumidendomi le labbra. Sfoggiò un sorriso sghembo; non sapevo per quanto avrei retto ancora. Le mie guance andarono a fuoco.
“Ha ragione lui. Il bacio deve essere collaudato.” Esordì il conducente del taxi osservandoci dallo specchietto retrovisore.
Maledetta coalizione maschile!
“Però devo darvi una brutta notizia. Siamo arrivati a destinazione.” Concluse spegnendo il motore dell’automobile.
Volsi il capo di scatto osservando attraverso il vetro la maestosa villa Denali. Puntai nuovamente lo sguardo su Edward. “S-scendiamo?”
Annuii sogghignando divertito. Discesi repentinamente dall’auto beandomi della fresca brezza estiva sulle guance roventi. Edward prese le valigie dietro al portabagagli del taxi, pagò il conducente e mi affiancò osservando con circospezione la villa. “Questa è casa Denali?” Assentii inerme mordendomi il labbro inferiore. “Accidenti! E’ enorme!”
L’agitazione mi pervase totalmente. Non potevo fingere una malattia rara cosicché da evitare questa farsa?
Guardai il viso di Edward col timore di scorgere un barlume di incertezza nel suo sguardo, ma vi trovai solo stupore. In lontananza  intravidi una figura femminile incedere velocemente nella nostra direzione. Ancheggiava a destra e a manca, occupando quasi tutto il marciapiede, facendo oscillare di proposito la sua ondulata chioma bionda. Sbuffai energicamente alzando gli occhi al cielo. “Che ti prende, micettina mia?”
“Sta arrivando la moglie del diavolo.” Abbassai lo sguardo incontrando quello confuso di Edward. “Irina. Sta arrivando Irina.” Ripetei con l’irritazione alle stelle.
Fulmineo, cogliendomi di sorpresa, mi circondò la vita con un braccio ravvicinandomi a lui con impeto ed infilò una mano nei miei capelli all’altezza della mia nuca. I nostri visi erano l’uno ad una spanna dall’altro e fissavo le sue labbra con una strano desiderio. “Rediamo ufficiale questo nostro fidanzamento.” Soffiò prima di posare le sue labbra sulle mie. Mi irrigidii all’istante letteralmente spiazzata da quel gesto. Mi morse con delicatezza il labbro inferiore. Una scarica intensa mi lambì la schiena. Sentii il suo sapore nella mia bocca e mi ritrovai improvvisamente a bramare un contatto ancor più intenso.
Quelle labbra morbide, calde, carnose erano terribilmente eccitanti. La mia smania venne esaudita senza remore: il bacio si fece più intenso, impetuoso, travolgente. Mi lasciai andare totalmente in balia di quelle nuove sensazioni. Le nostre lingue si accarezzarono e si desiderarono con passione, ardore e bramosia. Mi strinse con maggior vigore a sé accarezzandomi la base della schiena con una mano; i nostri corpi erano spasmodicamente l’uno attaccato all’altro. Potevo perfino percepire la consistenza dei suoi possenti pettorali premuti sul mio seno. Le mie chiusero a coppa il suo viso per poi scivolare lentamente e perdersi nei suoi setosi capelli. Se quella era finzione, potevamo entrambi intraprendere la carriera di recitazione. Possedevamo un talento innato!
“Isabella?” Continuavo a lambire la bocca di Edward ignorando bellamente quella voce stridula, molto simile al verso di una gallina strozzata.
“Isabella?!” Il tono di voce questa volta fu più alto. “Hmm…” Mormorai mordendo il labbro inferiore di Edward. Lui si stacco leggermente sorridendo sghembo sulle mie labbra. Strabbuzzai gli occhi imbarazzata. Forse, mi ero lasciata andare più del dovuto. Percepii il sangue ribollire nelle guance.
“Isabella!” Starnazzò nuovamente quella barbie-formato-gigante. Naturalmente, utilizzò il mio nome per esteso per arrecarmi irritazione ma il suo sguardo fu impagabile e sul mio viso affiorò inevitabilmente un sorriso vittorioso: i suoi occhi erano quasi fuori dalle orbite e non mi sarei affatto sorpresa se la sua mandibola avesse toccato a momenti il marciapiede per quanto fosse spalancata.
“Ciao, cara cugina Irina.” Sì, in quel momento volevo essere io la cugina maligna. Edward si posizionò alle mie spalle circondandomi la vita con entrambe le braccia. Tutto sommato, come finto–fidanzato non era affatto male.
Irina alzò un sopracciglio portando una mano al fianco. “E lui chi è?” Chiese con tono alquanto scettico.
Edward tese la mano mantenendo tuttavia la stessa posizione. “Il fidanzato. Piacere, Edward Cullen.”
Lei ci squadrò alternando lo sguardo ad entrambi con occhio clinico. Strinse la mano di Edward diffidente. “Piacere.” Continuò ad osservarci con circospezione. Mi agitai più del dovuto. Quasi certamente, dubitava della nostra unione. Probabilmente anch’io lo avrei fatto. Edward incrementò la stretta percependo il mio disagio. Di sorpresa, mi posò un bacio dietro l’orecchio. Un’altra potentissima scossa mi fece tremare perfino le gambe.
“Entriamo, Isabella?” Esordì Irina. Utilizzò nuovamente il mio nome di battesimo ma non mi scalfì minimamente. Tra le braccia di Edward poteva affibbiarmi qualunque nome, perfino Gioconda; le mie terminazione nervose erano attratte solo ed esclusivamente dal mio finto-fidanzato ed ignoravano deliberatamente il resto. Ci precedette varcando l’ingresso della grande villa. Una donna indaffarata, con un grande grembiule legato in vita uscì dalla cucina: zia Carmen. “Bella!” Mi corse incontro stringendomi in un caloroso abbraccio che ricambiai con affetto. I miei zii erano le uniche persone cordiali in quella famiglia, il resto, a parer mio, poteva essere deliberatamente gettato nella spazzatura. Mi scostò tenendo le sue mani ferme sulle mie spalle. “Quanto sei cresciuta. Sei diventata una bellissima donna.”
Percepii una risatina isterica e derisoria alle mie spalle. Ah, come avrei voluto assestare un pugno in pieno viso ad Irina deformandole quel finto e costoso naso.
Mia zia strabuzzò gli occhi osservando compiaciuta Edward. “E questo bel ragazzo?”
“Il mio fidanzato.” Affermai risoluta con tono alto affinché potesse udire anche mia cugina. La bocca di Carmen si chiuse formando una piccola ‘o’ muta di stupore. Tese la mano verso Edward mostrando un sorriso radioso. “Caro, piacere di conoscerti e benvenuto nella nostra casa.”
Le strinse la mano elargendole uno di quei suoi sorrisi da cardiopalma. “Il piacere è mio, signora.”
“Bella, avete fame? Vi preparo qualcosa? Volete riposare? Avete fatto un lungo viaggio, sarete stanchi.” Disse zia tutto d’un fiato esibendo involontariamente il suo dolce lato materno.
“Effettivamente siamo un po’ stanchi.” Guardai Edward che annuii concorde alla mia scelta.
Ella, di rimando, assentì comprensiva. “Allora non esitate un attimo a rintanarvi. Fate come se fosse a casa vostra.”
“Kate e Tanya, non ci sono?” Domandai più per cortesia che per mero interesse; il mio stato di allerta doveva essere perennemente attivo.
“Kate è uscita con Garrent; torna in tarda serata per cui credo che vi vedrete direttamente domani mattina. Tanya, invece è in viaggio. Tra un paio di giorni sarà di ritorno.”
Solo due giorni! Eppure, non potei evitare di festeggiare tacitamente di quella breve assenza di entrambe le cugine. Per la prima volta, la fortuna, sembrava dalla mia parte. “Irina, accompagnali al secondo piano nella stanza degli ospiti.” Indispettiva la figlia girò il capo incedendo ai piani superiori.
“Buonanotte, zia. E  grazie.” Le diedi un bacio sulla guancia ed aiutai Edward con le valigie. Una volta giunti al piano superiore, Irina si fermò innanzi ad una porta in legno massello mostrando uno sorrisetto strano, alquanto preoccupante.
“La mia stanza, e laggiù, l’ultima porta a destra.” Lanciò uno sguardo languido ad Edward; dopodiché si voltò ravvivando i capelli con una mano ed attraversò il corridoio ancheggiando vistosamente. Era così sfacciata da provarci con il mio fidanzato? Assolutamente sì. L’avevo provato duramente sulla mia pelle nei tempi addietro.
Edward sogghignò divertito intuendo immediatamente quell’invito provocatorio. Abbassai la maniglia della porta varcando la soglia della ‘nostra’ stanza. Come c’era da aspettarsi, era una camera ampia costituita da un grande letto a due piazze, un armadio in ciliegio adiacente al muro ed una poltrona in pelle bianca. L’arredamento, molto probabilmente scelto da zia Carmen avente gusti molto raffinati ed eleganti, era tutto in stile rigorosamente moderno. Tuttavia, il mobilio che mi suscitò preoccupazione fu proprio il letto ‘matrimoniale’. Non avevo alcuna intenzione di dividerlo con Edward. Eravamo in estate: il pavimento sarebbe risultato per lui molto più che comodo e rinfrescante.
Posammo le valigie sul letto, tutto in religioso silenzio, probabilmente scaturito dal precedente momento imbarazzante. In fondo al lato destro della stanza una porta molto simile a quella dell’entrata attirò la mia attenzione. Mi avvicinai spalancandola. Un sontuoso bagno si mostrò ai miei occhi costituito da un box doccia in vetro, un’ampia vasca  e sanitari in ceramica bianca. Uno stile moderno e impeccabile. Una doccia rilassante era proprio quel che ci voleva per distendere totalmente i miei nervi in tensione. Tornai nella stanza scorgendo Edward combattere con il cellulare vicino alla grande vetrata della stanza.
“Siamo in periferia e la ricezione è pessima.” Dissi ancor prima che potesse farmi qualche domanda a riguardo.
“Volevo avvisare Alice.” Soffiò infastidito facendo scorrere il dito sul vetro touchscreen del suo IPhone.
Tentai di aprire la cerniera della valigia con scarso risultato. Sembrava incastrata. Edward mi affiancò sogghignando divertito. “Vuoi una mano?” quel suo atteggiamento strafottente mi mandava fuori di senno!
“No, grazie. Non ho bisogno del tuo aiuto.”
Tirai con più forza il gancio della cerniere spostandolo solo di qualche millimetro. Maledii mentalmente Alice e la sua ossessione per lo shopping.
Un ghigno alle mie spalle. Mi girai di scatto fulminandolo con lo sguardo. “Smettila di ridere. Si è impigliata e neanche tu ci riusciresti.”
Sorrise sghembo incrociando le braccia al petto. “Scommetti?” Si avvicinò alla valigia, ignorando le mie proteste: chiuse quella piccola parte di cerniera precedentemente aperta da me con certo sforzo e la tirò dal lato opposto con un gesto secco.
“Dicevi, micetta mia?” Quell’appellativo smielato mi irritava più del dovuto!
Aprì la valigia rivelando in superficie una serie di capi succinti in pizzo, seta e velo particolarmente trasparente. Edward ne afferrò uno mostrando un babydoll color pesca con rifiniture in pizzo e fiocchettini neri. Cosa diamine aveva messo Alice in quella valigia?! Avvampai all’instante a disagio. Afferrai l’indumento, lo infilai nella valigia e la richiusi velocemente parandomici davanti. Lo sguardo di Edward era scettico e al contempo sbigottito. “T-tu indossi quelle cose?”
Arrossii maggiormente. “Vorrei farti notare che la valigia me l’ha preparata Alice.” Punta in viso continuai con tono austero cercando, tuttavia, di celare l’imbarazzo che percepivo sino alle punta delle dita dei piedi. “E anche se fosse?”
Alzò le mani mostrando i palmi in segno di difesa. “Nulla in contrario.”  Quel maledetto sorriso sfrontato spuntò sul suo viso. “Anzi…” quella frase, lasciata così in sospeso mi suscitò maggiore imbarazzo. Afferrai la valigia e con un certo sforzo la trascinai nel bagno. Una volta dentro serrai la porta girando la chiave nella toppa. Abbassai la maniglia per verificare l’efficienza della serratura e… la porta si aprì placidamente. Riprovai girando la chiave più volte ma il risultato fu lo stesso. “Accidenti!” Imprecai con tono alto. Mi sedetti sulla valigia poggiando il mento sui palmi delle mie mani. In quel momento decifrai quel sorriso impertinente sul viso di mia cugina Irina. Lo aveva fatto sicuramente di proposito. 
La testa di Edward sbucò dalla porta. “Che succede?”
“La serratura è rotta!” Esclamai inviperita.
“E allora?” Chiese lui con indifferenza.
“E allora?!” Ripetei scettica. “Non posso chiudere la porta del bagno a chiave e tu non ci trovi nulla di assolutamente problematico?”
Si strinse nelle spalle. “Siamo fidanzati. La doccia possiamo farla assieme.”  
Mi coprii il volto maledicendo il sangue che man mano si propagò sulle mie guance. “Maledetta Irina.”
“Però…” Esordì d’un tratto Edward. “Non mi avevi detto che la cugina era così carina.”
Quella frase mi fece ribollir il sangue, e non per l’imbarazzo, bensì per l’irritazione. Edward aveva la capacità di suscitare in me troppe emozione; alcune totalmente contrastanti tra loro. Urgeva una vendetta.
“Edward, se avevo una minima intenzione di fare la doccia con te… questa è svanita grazie a questa tua ultima osservazione.”
Mi compiacqui nel notare i suoi occhi spalancarsi, quasi fuori dalle orbite. “Bella, stai scherzando vero?” Chiese in un sussurro.
Ah, gli uomini. Tutti con lo stesso pensiero. Edward compreso, naturalmente. Mi rizzai in piedi afferrando la maniglia della porta. “Chissà…” mormorai con tono suadente. Notai, all’altezza del suo collo, il pomo d’Adamo scendere e salire con fatica in un evidente segno di deglutizione di saliva. Spinsi Edward dalle spalle fuori dal bagno. Gli puntai un dito contro minacciosa. “Non posso chiudere la porta a chiave, pertanto non approfittarne. Non entrare per nessun motivo.” 
Si strusciò le mani assumendo ancora una volta quell’aria strafottente. “E se improvvisamente ti sentissi male? Sono un medico. Potrei salvarti la vita.”
Simpatico! Davvero simpatico!
“In quel caso, lasciami morire.” Affermai prima di concludere definitivamente quel discorso chiudendo la porta del bagno. Vi spinsi la valigia bloccandola in parte; era pesante ma non così tanto da impedirgli l’accesso. Afferrai il beauty e mi accinsi a bearmi di una doccia calda e rilassante.
 
______
 

Trovare in quella maledetta valigia qualcosa di consono per la notte fu piuttosto difficile. Vi erano all’interno solo indumenti seducenti ed estremamente provocanti. Non avevo mai indossato cose del genere… e poi chi avrei dovuto sedurre?!

Setacciai tutta la valigia in cerca di qualcosa decente e, per quanto possibile, coprente. Sforzo totalmente inutile. Non vi era neanche una comoda tuta ginnica da poter utilizzare come pigiama! Perché avevo affidato ad Alice l’incarico di preparare la valigia?! Eppure ero stata tremendamente categorica sugli abiti da immettere!
Maledizione! Al ritorno le avrei inveito contro con tutta la forza in mio possesso.
L’acqua calda scrosciante mista al profumo di fragola del mio bagnoschiuma ebbe un esito altamente narcotico sul mio corpo, tanto che mi dimenticai perfino che avrei dovuto dividere un letto matrimoniale con Edward. Tuttavia, quell’effetto svanì nel preciso istante in cui dovetti indossare il pigiama più pudico tra tutti quelli vigenti: una succinta sottoveste in raso blu -che a stento copriva metà coscia- con rifiniture in pizzo sul seno. Mi guardai allo specchio tirando in giù i lembi della sottoveste tremendamente provocante. Maledizione! Era raso: non poteva allungarsi.
Due tocchi alla porta mi fecero rinsavire e sussultare spaventata. “Hai bisogno di un medico? Io sono a tua completa disposizione.”
“Edward, saresti così gentile da fare un favore alla tua fidanzata?” Balbettai mordendomi il labbro inferiore.
“Bella, stai bene?” Chiese con tono leggermente preoccupato.
“Sì, sto bene.” Tirai un grosso sospiro. “Eviteresti di commentare il mio ‘pigiama’?” Era inutile imporgli di chiudere gli occhi: non l’avrebbe mai fatto.
“E’ così brutto?” Chiese con tono divertito.
“Hmm…” Mormorai stendendo meglio la stoffa sul ventre. “Prometti che eviti commenti?”
Dall’altra parte della porta percepii un sonoro sbuffo. “D’accordo. Però se non esci tu, entro io.”
Scostai la valigia; inspirai a pieni polmoni ed aprii lentamente la porta. Edward, addossato allo stipite, sgranò gli occhi facendo vagare il suo sguardo dall’alto verso il basso.
“B-brutto?” Chiese in un sussurro deglutendo rumorosamente. Continuò ad osservarmi con circospezione. Mi avvolsi il busto con un braccio e gli puntai un dito contro. “Niente commenti, ricordi?”
Annui umettandosi le labbra. Solo in quel momento mi resi conto che lui indossava un accappatoio blu notte legato in vita da una fusciacca in spugna dello stesso colore. Dall’apertura sul petto potei intravedere una canotta candida in cotone tremendamente aderente. Arrossii vistosamente chinando lo sguardo imbarazzata. La situazione era alquanto strana. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Il bagno è tutto tuo.” Mi allontanai lasciandogli libero accesso. Si passo una mano tra i capelli. “Ho decisamente bisogno di una doccia.” Entrò chiudendosi la porta alle spalle.
Tirai di nuovo i lembi della sottoveste. Accidenti ad Alice!
Vagai con lo sguardo nella stanza e notai gli indumenti di Edward piegati con estrema accuratezza sulla sua valigia. Era molto ordinato per essere di sesso maschile: su questo non c’era alcun dubbio. Mi accinsi a preparare il letto matrimoniale solo da un lato posando i cuscini da arredo sulla poltrona. Schiusi le ante dell’armadio tirando fuori un paio di coperte. Le stesi accuratamente ai piedi del letto poggiandovi sopra un lenzuolo candido ed un soffice guanciale. Come letto improvvisato era perfetto!
“Hai intenzione di dormire sul pavimento?” Chiese Edward sbucando dal bagno. Indossava una canottiera bianca tremendamente attillata –tanto da lasciar correre poco l’immaginazione- ed un pantalone ginnico molto largo. Indossava quegli stessi indumenti per dormire anche a Seattle ma, ogni volta, era una visione estatica per i miei occhi. E naturalmente non riuscii ad esimermi dal fare una minuziosa radiografia al suo corpo. Perché doveva essere sempre così maledettamente sexy?!
Mi spostai i capelli da un lato. “Veramente… questo è il tuo letto.”
Si passò una mano tra i capelli bagnati scompigliandoli. “Perché? Non possiamo dormire nello stesso letto?”
Mi sfuggì una risatina. “Direi proprio di no.”
Incrociò le braccia al petto facendo di conseguenza contrarre i muscoli del petto e delle braccia. “Perché no? Siamo fidanzati.” Dichiarò con un sorriso.
“Finti fidanzati.” Precisai compassata.
“Perché tu dovresti essere l’unica a dormire comodamente su un letto matrimoniale? E’ troppo grande per te.”
Mi avvicinai lentamente adagiandomi sul materasso, e accavallando istintivamente le gambe. Allungai il busto all’indietro sorreggendomi sui gomiti. “Perché sei un gentiluomo e come tale concedi questo piccolo privilegio ad una fanciulla indifesa.”
Edward mi squadrò nuovamente attentamente da capo a piedi. Deglutì a vuoto. “Indifesa.” Ripetè sommessamente. “Forse è meglio così. La doccia non ha sortito affatto l’effetto desiderato.” Si allontanò sprofondando sul letto improvvisato.
Aggrottai la fronte perplessa. “Quale effetto?” Domandai scostando le lenzuola.
“Niente, niente.” Mormorò stendendosi completamente poggiando il capo sul guanciale. Non compresi affatto la sua risposta. E dicevano che eravamo noi donne ad essere complicate! mi coprii le gambe col lenzuolo candido.
“Ah… Edward?” lo chiamai dopo aver spento la luce dell’abatjour. 
“Hmm?” Un mugugno come risposta.
“Grazie per oggi… fuori… quando è arrivata Irina all’improvviso.” Le parole si concatenarono fra loro rendendo la mia affermazione disconnessa e poco chiara, ma fortunatamente, Edward capì ugualmente. “Di niente. Ma…” fece una piccola pausa. “Non merito il bacio della buonanotte?”
Ridacchiai divertita avvinghiandomi al cuscino. “’Notte Edward.” Chiusi gli occhi, e stremata, mi addormentai all’istante.


_____


 

“Bella!”
“Bella?!”
Percepivo degli schiamazzi al di fuori della stanza e un incessante e fastidioso picchio alla porta. Schiusi con fatica un occhio guardando i numerini luminosi della radiosveglia: ore 3:45. Chi era quella squilibrata da svegliarmi nel cuore della notte?
“Bella?!”
Accidenti! Quella era la voce di Kate e sapevo che se non avessi aperto la porta a momenti sarebbe stata capace anche di sfondarla … ma se l’avessi fatto avrebbe notato Edward sul pavimento.
Maledizione!
Mi alzai repentinamente dal letto districandomi da quell’aggroviglio di lenzuola. Mi precipitai ai piedi del letto e scrollai Edward dalle spalle. “Edward!”
Niente.
Lo squassai con più vigore. “Edward, svegliati.”
Mugugnò qualcosa in protesta. “Edward, maledizione alzati.”
Sollevò una mano sventolandola lentamente. “Mamma, voglio dormire un altro po’.”
Non riuscii a trattenere un sorriso. Quel ragazzo era incredibile.
“Bella, mi apri?”
Ancora Kate! Lo scrollai ancora una volta con maggior vigore. Schiuse lentamente un occhio. Gli tirai con forza un braccio. “Vatti a mettere nel letto. Ora!”
Si alzò con estenuante lentezza e con pigrizia si avvicinò al letto matrimoniale. Borbottò qualcosa infastidito. Credeva di essere stato l’unico ad essere stato svegliato nel cuore della notte?! Per affrettare i tempi lo spinsi dalle spalle: si lasciò andare gettandosi a peso morto sul letto. Spinsi le coperte poggiate sul pavimento sotto al letto. Mi accinsi ad aprire la porta e schiuderla leggermente. Assunsi un’aria assonnata. Non che non fossi stanca, ma quel trambusto mi aveva letteralmente scombussolata. “Kate, sei tu?” Mormorai osservando la figura di mia cugina con gli occhi ridotti a due fessure.
Lei di rimando sfoderò un sorriso sardonico e poggiò una mano sulla porta. “Quando ho saputo che eri arrivata ad Anchorage non ho atteso un attimo in più. Non sono riuscita a trattenermi. Dovevo assolutamente salutarti.”
Che cara cugina! Si era ‘letteralmente’ precipitata. Eppure, ci avevo impiegato meno tempo io ad arrivare da Seattle. Che quella sera fosse stata in quale locale all’altro capo del mondo?!
“So che sei venuta con un ragazzo.” Disse con tono sprezzante, quasi incredulo.
“Fidanzato.” Ribeccai per sottolineare il concetto di proprietà privata. Con forza, spinse la porta sino a ritrovarsi all’interno. Osservò Edward con attenzione. Lui era accoccolato al centro del letto e dormiva beatamente. Che ghiro!
“Come vedi Edward, sta dormendo. Pertanto, ci vediamo domani mattina. O forse dovrei dire fra qualche ora?”
Percependo l’acidità nel mio tono si girò sui tacchi ed uscì dalla stanza mormorando, “A domani cuginetta cara.”
Sì, cara un corno! Chiusi nuovamente la porta a chiave. Mi sedetti sul bordo del letto osservando i lineamenti distesi del viso di Edward: aveva un espressione totalmente pacata. Mi sentii improvvisamente in colpa: mi dispiaceva svegliarlo di nuovo ed obbligarlo a dormire nuovamente sul pavimento.
Mi adagiai di nuovo nel letto –tirandomi fin sotto al mento il lenzuolo- invadendo il minimo indispensabile, lasciando un vuoto tra noi sperando di non essere -se non altro- io ad invaderlo nel resto della notte.  
 

PIGIAMA BELLA

BAGNO

CAMERA DA LETTO

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4 SE PER LO SCORSO CAPITOLO SONO ENTRARE IN EFP IN PUNTA DI PIEDI, BEH.. QUESTA VOLTA, DOVREI USARE IL MANTELLO DELL’INVISIBILITA’ DI HARRY POTTER O DOVREI DIVENTARE IMPROVVISAMENTE “LA COSA” PER PATIRE I POMODORI SUL MIO CORPO (LI MERITO, LO SO). SOB.
 
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE.
COME HO Già SPIEGATO NEL BLOG HO AVUTO QUALCHE PROBLEMINO… FORTUNATAMENTE QUASI TUTTI RISOLTI.
SOLO UNO PERSISTE: MIA MADRE E LA SUA INDOLE ASSASSINA NEI MIEI CONFRONTI E IN QUELLI DEL MIO POVERO PC!
 
COSA POSSO DIRVI RIGUARDO AL CAPITOLO: BEH, CREDO CHE TUTTE ABBIATE CAPITO CHE SI TRATTA DEL RISVEGLIO… E NON SOLO! VI DICO SOLO UNA COSINA: NON SOTTOVALUTATE LE OCHE.
A QUANTO HO POTUTO NOTARE,  L’ARRIVO DI TANYA E’ STATO MOTIVO DI SCALPORE PER MOLTE DI VOI… NON SAPETE COSA HO IN SERBO… MUAAAA (RISATA DIABOLICA). TUTTAVIA, SPERO VIVAMENTE CHE QUESTO CAPITOLO NON SIA NOIOSO E CHE RIUSCIRETE A LEGGERLO FINO ALLA FINE PRIMA DI SBATTERE CON LA TESTA SULLA TASTIERA ADDORMENTATE.
 
RINGRAZIO IMMENSAMENTE I PREFERITI, SEGUITE, CHI LEGGE SILENZIOSAMENTE E SOPRATTUTTO… ALLE ANIME PIE CHE COMMENTANO. QUANDO HO VISTO QUEI DUE NUMERINI, 35, MI E’ VENUTO UN INFARTO.
NON MI DILUNGO TROPPO.
 
PICCOLA NOTA:
PER COMPRARE UN REGALO DI NATALE C’E’ MASTECARD,
PER AVERE EDWARD CULLEN NEL PROPRIO LETTO PURTROPPO NON BASTA MASTERCARD,
MA… COMPRENDERE DI ESSERE TRA GLI AUTORI PREFERITI DI BEN 48 PERSONE… NON HA PREZZO.
GRAZIE, GRAZI, GRAZIE.
 

DEDICO IL CAPITOLO A:

ELI87
WHITEROSE
SHINALIA (che pazientemente segue ogni mia pazzia)
YLE_CULLEN
 
Ps: vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto l’extra di FATE OF LOVE; mi avete reso immensamente felice.

ps2: HO PUBBLICATO UNA ONE-SHOT: PERICOLOSI DESIDERI UMANI! SE LA LEGGETE E INFINE PERCEPITE UNO STRANO DESIDERIO OMICIDA NEI MIEI CONFRONTI... VI CAPISCO MA CERCATE DI REPRIMERLO PER IL MIO BENE!  


 

 




CAPITOLO 4

 



Un soffice raggio di sole mi accarezzò il viso. Strinsi con maggior vigore quella fonte di calore che percepivo nettamente a contatto con le mia pelle nuda.

“Bella?”
Una voce vellutata e roca giunse alle mie orecchie come il dolce infrangersi delle onde sulla riva. Istintivamente piegai la gamba sinistra strusciando la coscia su qualcosa di morbido rivestito dal cotone liscio e stranamente caldo. Un gesto abituale che facevo ogni mattina nel dormiveglia beandomi di quel momentaneo tepore.
“B-Bella?”
Quel richiamo era ovattato e non individuai subito a chi appartenesse talmente priva di forze in quel momento. Ero nel confort più assoluto. Strinsi tra le mani un lembo di stoffa. Mossi nuovamente la gamba su e giù; il materasso sembrava stranamente più morbido di quanto ricordassi. Allentai la presa lisciando la stoffa con i polpastrelli delle mie dita. Al tatto percepii una superficie morbida e soda al tempo stesso. Seguii le delicate curve soffermandomi maggiormente nelle infossature. Spostai la mano poggiandovi il capo.
Tum… tum… tum…
Sembrava il battito cadenzato di un cuore eccitato.
Pian piano, riacquistai lucidità ed una consapevolezza si fece spazio prepotentemente nella mia mente.
Cuore? Calore? Superficie morbida e… soda? Mossi leggermente la gamba piegata; al di sotto potei percepire qualcosa di duro.
Mi irrigidii all’istante. L’unica plausibile e spaventosa giustificazione era che…    
“Micetta, sei sveglia? O forse dovrei chiamarti orsetta marsupiale?” L’imbarazzo si fece strada strisciando lungo tutto il mio corpo come un serpente.
Strabuzzai gli occhi trovandomi il viso di Edward ad una spanna dal mio. Accidenti! Ero totalmente avvinghiata al suo corpo. Sobbalzai spaventata e sbilanciandomi caddi rovinosamente all’indietro sul pavimento. Gemetti dolorante massaggiandomi un fianco. Edward alzò di scatto il busto piegandosi in avanti in preda dalle risate.
Non solo la legnata; perfino la beffa!
“La smetti di ridere?” Lo rimproverai tirandogli addosso la coperta che casualmente mi ero trascinata sul pavimento. Quella fu una mossa maledettamente sbagliata: la mia sottoveste in raso era totalmente sollevata da un lato esibendo una mia gamba nuda per intero; si intravedeva perfino una misera porzione dello slip in pizzo blu. Arrossii vistosamente all’istante. Mi alzai repentinamente in piedi dal pavimento tirando i lembi della sottoveste verso il basso. Edward spalancò gli occhi; deglutì a fatica e mancò poco che si strozzasse con la sua saliva stessa. Fu il mio turno di ghignare. Una piccola vendetta tanto involontaria quanto efficace.
Rimuginai qualche secondo sulla caduta, in particolar modo, dal lato cui essa aveva avuto luogo. Ricordavo perfettamente che la notte precedente avevo occupato il fianco sinistro del letto. Cosa ci facevo al lato opposto?
“Come mai ero qui?” Domandai indicando con una mano una piccola porzione di materasso alla sua sinistra.
Rise nuovamente, “ Sei un ciclone mentre dormi. Fai dei monologhi assurdi e ti muovi continuamente.” Imbarazzata, arrossii di nuovo conscia di quei miei piccoli problemi notturni. “Stanotte ti sei aggrappata al mio braccio come un koala e stamattina, alle prime luci, mi hai sovrastato con il tuo corpo. Non avevo neanche intenzione di spostarti, giuro. Ma sei scivolata lateralmente, rimanendo tuttavia appigliata alla mio pigiama e…” si lasciò sfuggire un ghigno impertinente. “…al mio fianco con una gamba.”
Il rossore sulle mie guance aumentò, incerta in quell’istante se fosse dovuto all’irritazione o all’imbarazzo. Probabilmente da entrambi.
Dovevo assolutamente arginare l’impaccio del momento altrimenti non sarei mai riuscita a tenergli testa. Mi avvicinai ostentando un passo sensuale; gli delineai il contorno del viso con le dita. “Hmm, a quanto ho potuto capire, non ti è affatto dispiaciuto.”  
Si umettò le labbra. “Probabilmente avrei preferito fare altro stanotte anziché ascoltare i tuoi discorsi sconnessi.” Era maledettamente bravo a provocare; molto più di me ma non per questo mi sarei arresa. Mai.
Gli diedi un colpetto sulla fronte con il palmo della mia mano. “Vado a farmi una doccia.” Aprì la bocca ma prontamente gliela richiusi con due dita bloccandogli le parole sul nascere. “No, non voglio la tua compagnia.”
Sbuffò arricciando il labbro inferiore. Mi prese delicatamente il polso e con garbo scostò la mia mano dal suo viso, poi non abbandonando, tuttavia, la presa. Rimasi per qualche secondo affascinata dai suoi occhi verde smeraldo: erano bellissimi.
Arcuò un sopracciglio. “Cosa ci facevo nel letto? Non mi ero addormentato sul pavimento che gentilmente avevi allestito come letto-improvvisato?” Potei percepire nettamente dal tono di voce una sfumatura ironica.
Mostrai un espressione alquanto scettica. “Non ricordi nulla?”
Scosse il capo stringendosi nelle spalle. Quello era certamente un punto a mio favore: perché non divertirmi e prenderlo in giro?
“Volevo la tua compagnia stanotte; ti sei perfino alzato ma una volta raggiunto il letto ti sei addormentato all’istante.” Feci spallucce con indifferenza. Edward aggrottò la fronte assumendo un’aria perplessa, talmente buffa ai miei occhi che non riuscii a trattenere le risate. Spalancò la bocca conscio della presa in giro. Cogliendomi di sorpresa mi afferrò dai fianchi portandomi incredibilmente sotto di lui. Il suo corpo mi sovrastava completamente; potevo distintamente percepire le sue anche premere contro il mio bacino. Un contratto piuttosto intimo e, purtroppo, tutt’altro che sgradito. 
“Posso rimediare subito, se vuoi.” Soffiò a qualche centimetro dalle mie labbra. Il suo alito entrò nella mia bocca e inevitabilmente la mia mente volò al nostro primo, travolgente bacio. Ah, come avrei voluto avvertire nuovamente quelle sensazioni. Mi venne l’acquolina in bocca neanche fosse un dolcissimo pasticcino ricoperto interamente di glassa. Le mie guance si imporporano tradendo le mie stesse emozioni.

Quel solito sorrisetto sfacciato spuntò sul suo viso resosi conto della mia debolezza per quelle labbra tentatrici. Ebbi l’istinto mordace di mordergliele con forza sino a fargli male.  
Un idea balenò nella mia testa: alzai entrambe le gambe circondandogli la vita, ignorando la vista delle mie cosce totalmente denudate e con una spinta, dallo sforzo non indifferente, ribaltai le posizione portandomi di conseguenza a cavalcioni su di lui seduta, fortunatamente, sullo stomaco, così da trovarmi io nella posizione predominate: potevo alzarmi vincitrice dal suo corpo senza alcun problema. I suoi occhi si aprirono e le sue mani, arpionate ancora alla mia vita, tremarono leggermente.
Non potei fare a meno di notare che la nostra posizione risultasse alquanto ambigua, ai miei occhi perlomeno. Il suo respiro era accelerato e lo stomaco si alzava e si abbassava frenetico muovendo anche me di conseguenza. Uno strano calore divampò nel mio corpo impedendomi, in quell’attimo, di pensare e agire lucidamente. Ero attratta dal suo corpo scultoreo ed avvertivo l’irrefrenabile desiderio di sentire le sue mani sulla mia pelle nuda. Essere in preda dall’ecc-
Scossi impercettibilmente il capo. Cosa andavo farneticando?!
Mi alzai di scatto ricevendo un mugolio di disappunto da parte sua. “Io stavo comodo.” Replicò strafottente e roco quasi allo stremo.
Giunsi davanti al bagno percependo ancora quel calore ardere nel mio corpo e sulla mia pelle. “Vado a farmi una doccia.”
“Sicura di non voler compagnia?” Mi chiese incrociando le braccia dietro al nuca.
“Ma tu non ti arrendi mai?!” Entrai nel bagno chiudendomi la porta alle spalle udendo per ultimo un ghigno divertito.
___
 
Purtroppo la scelta dell’abbigliamento giornaliero fu difficile quanto quello inerente alla notte. Come sospettato, nella valigia non vi erano pantaloni, neppure dal taglio elegante e femminile. Essa conteneva solo vestiti di varie lunghezze e ben quattro paia di scarpe perfettamente abbinabili a ciascuno di essi.
Guardai la mia immagine riflessa nello specchio: l’abito nero che avevo scelto mi fasciava completamente il corpo, dalle spalle alle gambe. Esso era senza maniche con un’ampia scollatura a V che esibiva il taglio delicato del mio decolté, mentre la gonna sfiorava il ginocchio; l’angolo sinistro era leggermente arricciato mostrando una piccola porzione di coscia. Tutto sommato non era male, né tanto provocante quanto avrei creduto. Lasciai ricadere i miei boccoli castani lungo la schiena.
Una volta terminati i preparativi, uscii dal bagno. “Edward, io h-“
Le parole mi morirono in gola scorgendo Edward dormiente sul letto matrimoniale; di nuovo. Sul suo viso era dipinto un sorriso ingenuo, semplice. Un diavoletto dalle fattezze angeliche. Lo lasciai dormire ancora un po’ dato l’ora prematura, e già consapevole di ciò che avremmo dovuto sorbire quella mattina alle prese con le mie cugine.
Discesi le rampe di scale varcando poi la soglia della cucina.
“Isabella.” Esclamò Irina scrutando oltre le mie spalle. “Il tuo fidanzato?”
“Sta dormendo.” Risposi con tono fermo e deciso.
Kate incurvò le labbra. “Non vedo l’ora di conoscerlo.”
“Siete stati molto silenziosi questa notte. Timidi?” Proferì la sorella con noncuranza sorseggiando il suo caffè.
“No, educati a differenza di altre persone” Replicai saccente. Irina era priva di pudore e questo era ben risaputo, probabilmente in tutto lo stato di Washington.
“Bella, oggi dobbiamo fare tantissime commissioni.” Esordì Kate esibendo un finto sorriso benevolo.  
Quel plurale mi inquietò. “Anche io?”
Mia cugina imbronciò il viso. “Certo, anche tu. Altrimenti che damigella saresti?”
Una damigella costretta? Quell’ultimo pensiero, seppur veritiero, non uscì dalle mie labbra.
“E naturalmente verranno con noi anche gli uomini. E’ incredibile che tu abbia trovato un fidanzato.” Continuò aggiungendo un piccola risata isterica altamente irritante.
Versai il caffè in due tazze pulite poste sul grande tavolo da pranzo. Una per me, una per Edward. “Beh, Kate… se perfino tu hai trovato una persona disposta a sposarti…” Con quella frase lasciata volutamente in sospeso abbandonai il fronte di guerra sicura che, entrambe,  avrebbero impiegato molto tempo per comprendere il nesso delle mie parole. La materia grigia, purtroppo, non era l’elemento predominante tra le mie cugine.
Con il gomito piegai la maniglia aprendo la porta della nostra camera da letto. Mi bloccai sull’uscio stordita e abbacinata. Edward era in piedi, intento a cercare qualcosa nella sua valigia poggiata sul letto, con indosso solo un asciugamano a coprirgli la parte inferiore del corpo, dalle anche in giù sino alle ginocchia. Ma gli uomini non utilizzavano gli accappatoi?!
I suoi capelli grondavano d’acqua e tante piccole perle ricadevano giù, lungo il collo, indugiando più del dovuto nei solchi dei pettorali scolpiti e degli addominali a tartaruga. Come in un deserto, tormentata dalla seta, bramavo quelle goccioline. Quell’immagine sembrava così maledettamente irreale: un miraggio dannatamente attraente nel mio deserto sperduto di cupidigia. Il calore che divampò nel mio corpo fu un inezia comparato ai gradi sopraelevati del Sahara. Due volte in un giorno; anzi, in una sola mattinata. Preoccupante? Assolutamente sì.
Deglutii a vuoto e con fatica. In quel momento, l’idea perversa di fare la doccia insieme non mi risultò poi così tanto spaventosa.
Edward si voltò di scatto: dai suoi capelli bronzei, resi più scuri dall’acqua, schizzò qualche gocciolina sul pavimento. Mi squadrò da capo a piedi. “Mi hai lasciato dormire?”
Annuii nell’assoluto mutismo, porgendogli una tazza di caffè che avevo tra le mani. La prese sorseggiandone un po’. Quelle impertinenti goccioline continuavano imperturbabili la loro discesa e…
Scossi la testa con tentativo di scacciare dalla mia testa quei pensieri tutt’altro che casti. Edward posò la tazza sul comodino. “Hai incontrato le tue cugine di sotto?”
Storsi il naso infastidita. “Purtroppo sì. Non vedono l’ora di conoscerti.” Arcuai un sopracciglio. “Ah, dimenticavo: hanno detto che stanotte siamo stati fin troppo silenziosi.”
Un sorrisetto malizioso spuntò sul suo viso. “Rimedieremo.” Un’altra fiammata di calore.
Cacciò dalla valigia un jeans scuro ed una camicia bianca. “Dici che sospettano qualcosa?”
Sospirai profondamente. “Mi preoccuperei maggiormente se fosse il contrario.”
Rilasciò una risatina divertita. “Qualche programma in particolare per oggi?”
“Tantissime commissioni.” Enunciai imitando Kate in tutto e per tutto: dalla voce stridula alle mani congiunto sul petto.
Edward entrò nel bagno ridendo divertito. Perché quel ragazzo non mi prendeva mai sul serio?!
 
 
Una volta pronti e abbigliati, scendemmo al piano di sotto. Entrammo nel soggiorno trovando i futuri sposini l’uno avvinghiato all’altro. Altro che pudore!
“Buongiorno Edward.” La voce di Irina alle mie spalle fu come una ventata gelida.
Kate si staccò di malavoglia volgendo il suo sguardo nella nostra direzione. Sgranò gli occhi dallo stupore scrutando attentamente Edward da capo a piedi.
“Edward Cullen?” Chiese d’un tratto il fidanzato, nonché povero futuro marito, aggrottando la fronte.
Sul viso di Edward spuntò un sorriso estatico. “Garrent!” Cogliendo tutti di sorpresa, si abbracciarono calorosamente. “Brutto volpone.”
Mi schiarii la voce attirando la loro attenzione. “Vi conoscete?” 
Edward assentì. “Abbiamo frequentato la stessa università.”
Non sapevo se gioire di quella notizia o preoccuparmene.
“Com’è piccolo il mondo.” Disse Kate osservando i due uomini con aria furba. Quasi certamente avrei dovuto preoccuparmene. “Allora, andiamo? Non vorrei arrivare in ritardo.”  
“Andiamo.” Le fece eco Irina entusiasta. Entrambe?! Una non bastava?
Entrammo in auto, nonostante la meta distanziasse solo qualche isolato dalla villa: gli uomini alla guida, noi ragazze nei sedili posteriori (precisamente, io tra le mie due care cugine).
“Edward, in cosa sei laureato?” Esordì cinguettante Irina durante il tragitto.
“Medicina.” Rispose fiero. “Sono uno dei migliori medici del Providence Hospital di Seattle.”
“Sempre modesto, eh?” Lo derise Garrent divertito.
“Sempre.”
Irina puntò i suoi occhi azzurri nei miei. “Dove vi siete conosciuti?”  
Mi mordicchiai il labbro nervosa. Non avevo preordinato nessuna risposta in merito alle sue domande, nonostante fossi già a conoscenza della sua indole invadente. Tuttavia, optai per la verità. “E’ il fratello della mia migliore amica.”
“Sai, è strano vederti fidanzato.” Inevitabilmente raggelai sul posto. “Eri l’ultima persona, di tutto l’intera università, portato ad avere storie serie.” Le due arpie, mi fissarono con un cipiglio contrariato in viso rimuginando su quell’ultima affermazione di Garrent. La situazione non era delle migliori; potevo perfettamente leggere l’incertezza nei loro occhi. Strinsi a pugno le mani sulle mie gambe.
Con mio grande stupore, Edward tese una braccio nella mia direzione carezzandomi un ginocchio. “Ho trovato finalmente la persona giusta.”  La sua mano salì sino a raggiungere una mia e stringerla sciogliendone lo spasmo. “Anche tu, a quanto vedo.”
Dal canto mio, non proferii parola inerme a quella sua affermazione sebbene essa fosse comunque di circostanza.
Irina osservò l’intreccio delle nostre mani aggrottando la fronte. La scollatura del mio vestito attirò il suo sguardo. “Isabella, non credevo indossassi certi abiti.”
Sospirai frustata; ero il loro bersaglio, questo lo avevo capito fin da subito.
“E’ bellissima, vero?” Disse Edward ricevendo ben tre espressioni di stupore; da me compresa. Lo avevo sottovalutato. Era un eccellente attore, valente sia nelle parole che nei gesti.
Scendemmo dall’auto una volta giunti al Westfileld South Mall: un centro commerciale dalla struttura mastodontica. Garrent fu trascinato dalle mie cugine sino a ridosso di una gioielleria quasi appiattendo i loro nasi sulla vetrinetta delle collane in oro bianco in esposizione.
Camminai a rilento nell’androne con le braccia conserte al petto. Edward, repentinamente mi cinse la vita cosicché da trovarci uno di fronte all’altro.
“Bella.” Dal tono di voce potei notare una nota di ammonimento. “Devi essere più rilassata.”
“Sono rilassata.” Borbottai sfuggendo al suo sguardo.
Mi prese il mento con due dita. “Bugiarda.”
Gli posai le mani sul petto con l’intento di spingerlo via ma lui intensificò la stretta alla mia vita così da impedirmi qualunque movimento. Ero nervosa; maledettamente agitata consapevole che le mie cugine avevano ormai intuito qualcosa di losco e l’arrivo di Tanya avrebbe solo peggiorato ulteriormente la situazione.
Edward mi accarezzò una guancia. “Non dare conto a quello che ti dicono.”
Sbuffai chiudendo gli occhi. Poco dopo, percepii un tocco lieve sulle mie labbra. Qualcosa di morbido, umido e delicato. Erano quelle  di Edward. Probabilmente il motivo di tale gesto fu proprio la presenza delle mie cugine alle nostre spalle. Ma non me ne curai ricambiando ugualmente quel bacio che sembrava talmente delicato da stordirmi: lievi morsi, morbide carezze e miscela di sapori. La sua bocca sapeva di menta piperita: dolce e rinfrescante. I brividi mi lambirono nuovamente la pelle allo stesso modo della prima volta. Pensavo che una volta provato, l’intensità e le emozioni sarebbero mutate, più attenuate; ma mi sbagliavo. Erano quasi quadruplicate.  Ciò nonostante, fui io ad interrompere il bacio. Aprii gli occhi scorgendo un sorriso mai visto prima sul viso di Edward: sembrava tremendamente dolce.
Mi toccò appena una guancia con il dorso della mano. “Un po’ ti sei rilassata.” Le mie guancie si colorarono e, di rimando, chinai la testa imbarazzata. Avevo appena scoperto che Edward fungeva anche da distensivo, oltre ad essere una alta fonte di tensione. Due elementi totalmente contrastanti tra di loro.
Mi allontanai dal suo corpo, volgendo il capo in direzione delle mie cugine: Kate aveva gli occhi quasi fuori dalle orbite; Irina, invece, aveva il viso corrucciato e livido dall’invidia.  Me ne compiacqui. Le raggiunsi esibendo un sorriso estremamente positivo; in effetti ero più rilassata. “Quali sono le commissioni, Kate?”
Si ricompose sbattendo velocemente le palpebre. “Noi andremo a scegliere tutto l’arredo necessario per il banchetto: tovaglie, bicchiere in cristallo, posate in argento, fiori e candela da mettere ovunque, statue di giaccio, bomboniere in Swarovski e tantissime altre cose.” Trasudava estrosità da tutti i pori.
“Nulla di sfarzoso, eh?” Domandai ironica. Edward al mio fianco a stento trattenne un ghigno. Mi circondò la vita baciandomi la spalla scoperta. Le mie gambe divennero instabili; fortunatamente ci fu lui a sorreggermi. “Noi cosa dovremmo fare?”
Un sorriso sardonico spuntò sul suo viso. “Avrei un appuntamento alle diciotto e trenta al negozietto ‘Not Only Wedding’. Devono solo riferire il budget riassuntivo della lista di nozze. Non credo di farcela; non ho molto tempo a disposizione.” Esibì un espressione dispiaciuta e supplichevole. “Potreste andare voi al posto mio?”
“Tutto qua?” Perché avevo la sensazione che non sarebbe stato affatto così facile?!
Sorrise prendendo a braccetto Irina. “Tutto qua.”
Non mi sentivo affatto fiduciosa; ciononostante non potei affatto rifiutare. Ero una delle damigelle, e come tale ero obbligata, volente o nolente,  a prestare il mio aiuto alla sposa.
 
***

Trascorrere l’intero pomeriggio in compagnia di Edward fu incredibilmente divertente. Odiava lo shopping almeno quanto me e provavamo una reciproca compassione: entrambi soggetti alle manie ossessive di Alice.  

Ciò nonostante, visitammo ciascun negozio nel centro commerciale curiosando dalle vetrine o perfino all’interno di qualcheduno stesso. Negozi di calzature, abbigliamento tra cui uno di biancheria intima. Quello fu il momento più imbarazzante in quanto, il manichino in esibizione, rotava su se stesso esibendo lo stesso baby-doll rosa che Edward trovò in superficie nella mia valigia la sera del nostro arrivo a casa Denali, e casualmente lo riconobbe all’istante. Per una buona manciata di minuti mi incoraggiò ad indossare il medesimo capo d’abbigliamento intimo cosicché da permettergli un’accurata valutazione data dal paragone del mio fisico con quello del manichino. Pazzo.
Visitammo perfino il mio negozio preferito di erboristeria. Riconobbi dal barattolo tondo la mia crema per il corpo alle noci e la feci annusare ad Edward; arricciò il naso sfregandosi la base con un dito a causa dell’allergia. Ghignai di fronte alle sue smorfie. Esilaranti e indimenticabili.
Assaggiammo una quantità industriale di dolciumi: gommosi, colorati, ricoperti di zucchero, e così via. Non avrei mai contato che dietro quella facciata strafottente ci fosse un ragazzo così divertente e maledettamente affascinante. O meglio, lo sapevo… solo che non volevo realmente crederci. Stranamente mi piacque più del lecito girovagare per negozi.
Pervenuto l’orario prestabilito, adoperammo le scale mobili per giungere  al terzo piano. Ciò che si parò davanti ai nostri occhi, una volta arrivati, ci lasciò senza fiato. Il negozietto -così definito da Kate- Not Only Wedding occupava l’intero piano. Esso era costituito da un’ampia vetrata dalla quale si potevano intravedere, oltre agli oggetti in esposizione, molteplici scaffali di varie dimensioni. Tirai un sospiro di sollievo: fortunatamente la lista di nozze era già stata fatta. Nell’istante in cui varcammo la soglia una signora con indosso un elegante tailleur grigio ci travolse come un fiume in piena. “Denali?” Chiese con fare concitato. Scossi il capo in segno di assenso.
“Finalmente!” Esclamò alzando gli occhi al cielo. “Vi aspettavo nel primo pomeriggio.”
Aggottai la fronte perplessa. “Ver-“
“Sì, sì. Lo so, le varie preparazione al matrimonio portano via molto tempo.” Si avvicinò al bancone per pretendere due oggetti bianchi. Guardai Edward con aria leggermente preoccupata.
“Questi sono i vostri lettori ottici.” Proferì porgendoci gli oggetti in questione. “Su ciascun display elettronico è indicato il budget da voi richiesto e, ad ogni oggetto selezionato, l’importo verrà detratto.”
Scrutai il lettore ottico con un cipiglio contrariato in viso. “Ma noi-“
Mi interruppe, ancora. “Sì. signorina Denali. Ricordo perfettamente ciò che mi avete detto questa mattina al telefono: non volete alcuna interferenza dalle commesse pertanto, vi lascio liberi.” Un sorriso le spuntò sul viso. “Buon divertimento, futuri sposini.”
Si allontanò da noi così in fretta che non potei controbattere. In effetti, non mi aveva dato alcun modo di risponderle.
Un risolino alle mie spalle mi fece voltare di scatto. “Ci hanno fregati.”
“Ma noi non siamo gli sposi.” Esclamai risentita. Osservai l’importo sul display e per poco non ebbi un collasso. “Ti prego, dimmi che il tuo totale è composto da meno di cinque cifre.”
Edward rise di nuovo scuotendo il capo. “E’ lo stesso.”
“Io la ammazzo.” Sibilai stringendo i pugni così forte da far diventare le nocche bianche. Probabilmente in quel preciso istante avrei trucidato Kate con le peggiori torture.
“Non termineremo mai in tempo.” Mi lagnai quasi sul punto della disperazione più totale. Quella mattina, mi era parso davvero strano che mia cugina fosse stata così gentile nei miei confronti: avrei dovuto sospettare subito di un inganno pianificato nel minimi dettagli.
Edward mi sfiorò un braccio con una mano. Imbracciò il lettore ottico come se tra le mani avesse una pistola. “Io un’idea ce l’avrei.”
Arcuai un sopracciglio. “Fuggiamo?”
Ridacchiò divertito. “Non possiamo tirarci indietro ma…” mi puntò il lettore allo stomaco. “Possiamo divertirci.”
“E come?” Domandai scettica.
“Sergente Swan, è pronta a rischiare la propria vita per combattere il crimine?”
Mi portai una mano alla bocca trattenendo un risolino. “Tenente Cullen, perdoni la mia inettitudine, i criminali dove sono?”
Un sorriso pericolosamente furbo sbocciò sul suo viso. “Nel negozio, naturalmente; dovrai colpire solo oggetti orrendi. La nostra piccola vendetta, no?”
Probabilmente la cara e dolce Kate, consapevole della mia indole fin troppo altruista e del mio buon gusto – anche se quest’ultimo non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura-, aveva creduto che, senza batter ciglio, le avrei creato l’intera lista di nozze. Ma non avevo tenuto conto di Edward e del suo furbo ingegno. Gli puntai il lettore ottico sotto al mento felice di poter attuare l’inesorabile piano. “Sai tesoro, questo tuo lato sadico mi eccita più del dovuto.”
“Micetta,  è rischioso provocarmi.” Mi avvertì con voce roca.
Impugnai il lettore con entrambe le mani posizionandolo al’altezza del mio viso. Alzai il mento con un sorriso. “Adoro il rischio.” E adoravo in particolar modo provocarlo.
Scosse il capo divertito. “Pronta?”
“Assolutamente sì.”
 
____
 
In quell’arco di tempo, il nostro lato bambinesco emerse involontariamente con estrema facilità. Edward si nascondeva dietro gli scaffali e sbucava da essi all’improvviso spaventandomi. Sembrava un bambino in preda alla frenesia nel negozio più grande di giocattoli mai esistito. Selezionammo quanti più oggetti possibili ed immaginabili all’interno del negozio: porcellane, ceramiche, servizio di piatti, servizi da The e da caffè, pirofile, bicchieri in vetro, servizi in acciaio inox da tavola, utensili da cucina, vasi di varie forme e colori, orologi da parete, arredamento, elettrodomestici piccoli e grandi; tutti oggetti rigorosamente diversi e contrastanti tra loro per modello e colore; alcuni selezionati perfino più volte. Se mi avvicinavo a qualcheduno leggermente più carino, Edward mi gettava di peso su una poltrona motivandolo come un gesto di salvataggio. Nel reparto pelletteria, mi fece provare un infinità di cappelli ridendo ad ogni mio piccolo défilé scegliendo oltretutto quelli che, a suo parere, Kate avrebbe disprezzato con tutta sé stessa. Decisamente, una vendetta perfetta.
Tuttavia, l’importo di base era così alto che faticammo ben tre ore, senza sosta, a selezionare i vari oggetti. Mi gettai stremata su un divano ad arco in pelle bianca in stile moderno –troppo carino per essere presente nella nostra originale lista di nozze. Chiusi gli occhi tirando un profondo respiro. Inaspettatamente percepii delle labbra calde, carnose e vellutate premute con delicatezza sulle mie. Aprii gli occhi proprio nel momento in cui Edward si distaccò.
“E questo?” Domandai leggermente intontita.
“E’ il bacio di addio.” Disse ostentando un tono drammatico. “Stavi morendo, no?”
Alzai un sopracciglio. “E non cerchi neanche di salvarmi?”
Ridacchiò scuotendo il capo. “No, ci impiegherei troppo tempo.”
Gli diedi uno scappellotto alla nuca fintamente indignata. “Scemo.” Stesi le dolorosa membra delle gambe e delle braccia. “Abbiamo terminato?”
“Sì, finalmente.” Asserì afferrando entrambi i lettori ottici. Tese un braccio in segno di aiuto nella mia direzione. “Posiamo le armi e torniamo a casa, sergente.”
Mi alzai dal divano afferrando la sua mano. “Andiamo.”
Attraversammo a ritroso i vari reparti. Giunti al bancone, cercammo con lo sguardo la commessa notando che il negozio era fin troppo silenzioso. Sembrava deserto. “C’è nessuno?” La mia voce riecheggiò come in un tunnel vuoto. Un tremendo dubbio proruppe improvvisamente nella mia testa. “Edward, che ore sono?”
Lanciò uno sguardo al suo orologio da polso. “Le ventuno e quaranta.”
“Cosa?” Sbottai incredula.
Edward strabuzzò gli occhi colto da un’improvvisa illuminazione. “A che ora chiude il centro commerciale?”
Sbiancai all’istante reggendomi a malapena al bancone. “Alle ventuno.”
Accorsi all’entrata principale del Not Only Wedding seguita da Edward. Dal negozio, benché fosse costituito principalmente da vetrate, potei notare perfettamente la desolazione nell’immenso androne del centro commerciale stesso. Abbassai la maniglia e spinsi con forza la porta in vetro. Riprovai molte volte ottenendo sempre il medesimo risultato: la porta era serrata. Un senso d’angoscia misto all’irritazione mi investì come un fiume in piena.  Volsi totalmente il busto rivolgendo lo sguardo ad Edward quasi con disperazione. “Siamo rimasti chiusi dentro.”
 
 

ABBIGLIAMENTO BELLA (PER DARVI UNA PICCOLA IDEA)


IL CENTRO COMMERCIALE ESISTE, IL NEGOZIO NO E RINGRAZIO IMMENSAMENTE BIGIA PER AVER TROVATO IL NOME... LA MIA FANTASIA MOLTE VOLTE FA CILECCA.
FORTUNATAMENTE HO LEI, FONTE DI IMMENSA ISPIRAZIONE.

PS: SE FOSSI RIMASTA IO CHIUSA NEL NEGOZIO CON EDWARD CULLEN, LO AVREI VIOLENTATO SEDUTA STANTE. 

VOI? 

  


  

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5
MANCANO SOLO DUE GIORNI A NATALE… IL TEMPO E’ LETTERALMENTE VOLATO.
PRIMA DI LASCIARVI AL CAPITOLO VORREI RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE HANNO LETTO L’ULTIMO AGGIORNAMENTO DI AMORE PLATONICO: so che lo avete già letto ma il pov di edward è davvero importante; molto più di quello di Bella.
 
RINGRAZIO CHI MI HA RICORDATO DA QUALE FILM IL MIO CERVELLINO BACATO HA TRATTO LA SCENA DELLA LISTA DI NOZZE. SAPETE CHE NON LO RICORDAVO E VOLEVO RIVEDERMI QUEL FILM? GRAZIE A TUTTE… IL MIO CERVELLO MOLTO SPESSO FA CILECCA.
 
RINGRAZIO PREFERITI, SEGUITE, CHI LEGGE SILEZIOSAMENTE E CHI LASCIA GENTILMENTE UN SEGNO CON UN COMMENTO. MI SENTO LUSINGATA E GONGOLO DI GIOIA OGNI VOLTA (34 PERSONE… UN BACIO E UN ABBRACCIO STRITOLATORE A CIASCUNO DI VOI).
MOLTE SI SONO DOMANDATE DEL COMPORTAMENTO DI EDWARD… MMM… SAMANTINA VOSTRA NON VI DICE NULLA, E NON PERCHè SIA CATTIVA SEMPLICEMENTE PERCHE’ NON VUOLE TOGLIERVI LA SORPRESA.
PS: SE LA STORIA DIVENTA NOIOSA NON ESITATE A DIRMERLO… CERCERò IN TUTTI I MODI DI RIMEDIARE.
 
MI SPIACE MA PRIMA DI NATALE NON RIUSCIRò A PUBBLICARE L’ALTRO CAPITOLO DI AMORE PLATONICO. MI SPIACE DAVVERO TANTO MA E’ UN PASSAGGIO DAVVERO IMPORTANTE E NON VORREI ROVINARLO CON LA FRETTA.
 
AUGURO A TUTTI VOI UN NATALE FELICE E CHE POSSA PORTARVI GIOIA NEL CUORE. VOI SIETE PORTARI DI GIOIA PER ME.
GRAZIE.
 
DEDICO QUESTO CAPITOLO A:   
@ PG (che commenta costantemente il mio BLOG e mi fa arrossire ogni volta per le bellissime parole.)
@ VAMPIRETTAFOLLE (mi hai fatto morire dal ridere)
@ MR DARCY
@ ALYSCULLEN
 
 
 
 

 

CAPITOLO 5

 


Fantastico!

Chiusi in quel maledetto negozio per matrimoni! La porta era serrata ermeticamente e non dava alcun segno di cedimento. Spingevo e tiravo la maniglia con foga, forza e disperazione. L’androne del centro commerciale era completamente vuoto, deserto. Non mi sarei affatto sorpresa se avessi intravisto il groviglio di polvere passare inaspettatamente come accadeva spesso nei film ambientati nel Far West. Una chiara dimostrazione che la follia stava subissando quel poco di raziocinio, in me, stranamente ancora presente.
Spinsi ancora la porta con forza; altro inutile tentativo. La mano di Edward si posò sulle mie frenando quel gesto disperato.
“Bella, è inutile che ti sforzi. È chiusa e in questo modo fai solo scattare l’antifurto.” Disse con calcolata tranquillità. Fin troppa, a parer mio.
“Meglio. Così viene qualcuno a tirarci fuori.” Continuai a spingere e tirare contemporaneamente.
“Bella.” Mi girò di peso accostandomi con la schiena sul vetro della porta. Le sue mani erano sulle mie spalle e il suo viso non era poi così lontano dal mio. Il suo respiro mi solleticava il naso e i suoi occhi mi mandarono totalmente in confusione. “L’allarme avvisa direttamente la polizia. Ci prenderebbero per ladri, non credi?”
“Ma se non ho mai rubato neanche una caramella?” Replicai, arcuando un sopracciglio.
Sogghignò divertito passandosi una mano sui capelli. Con l’altra invece, mi sfiorò l’osso sporgente della mia clavicola. Una carezza maledettamente rilassante.
“Hai un cellulare con te?” Mi chiese allontanandosi totalmente dal mio corpo che reclamava un contatto molto più profondo di quello precedente.
Mi scagliai il palmo della mia mano sulla fronte. Il cellulare! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Mi precipitai al bancone afferrando frettolosamente la borsa. Passai al setaccio trovando poco dopo il mio cellulare. Stranamente era spento. Pigiai il tasto di accensione: il display lampeggiò mostrando una batteria scarica e poi si spense.
“Maledizione!” Imprecai trattenendomi dal lanciare in malo modo quell’apparecchio elettronico sul pavimento. Guardai Edward emettendo un sonoro sbuffo tanto forte da far alzare un ciuffo ribelle sceso davanti al mio viso. “È scarico.” Mi passai stancamente una mano tra i capelli. “Edward, ti prego, dimmi che hai con te il tuo cellulare.”
Si lasciò sfuggire un ghigno divertito. “No. L’ho lasciato in camera.”
Allungai le braccia sul bancone poggiandovi sopra la testa. Ero disperata. Possibile che Kate avesse messo in conto anche questo?
Sentii la risata di Edward echeggiare nel negozio. Alzai il capo fulminandolo con lo sguardo. “Lo trovi così divertente?”
Si avvicinò con quel sorriso impertinente in viso. “Beh, un po’ sì. E’ la prima volta che mi capita una cosa del genere.” Sghignazzò nuovamente incrementando notevolmente la mia tensione. Possibile che non comprendesse la gravità della situazione? “Edward, ti rendi conto che usciremo domani mattina?”
Annuì convinto con un guizzo malizioso negli occhi. “Naturalmente.” Si posò una mano sul mento con fare pensoso. “Dobbiamo trovare un modo per ammazzare il tempo.”
Io in quel momento l’unica persona che volevo ammazzare nel peggiore dei modi era ben lontana, e fortunatamente per lei, al sicuro in casa Denali.
Fece scoccare due dita della mano. “Ho un idea.”
Sfuggì al mio sguardo inoltrandosi tra i vari scaffali del negozio.
“Edward.” Lo chiamai leggermente preoccupata di ciò che potesse avere in mente. Sbuffai maledicendo mentalmente le mie cugine in tutte le lingue che conoscevo –ahimè, non erano poi neanche molte.
Percepii da lontano un leggero rumore elettrico molto simile ad un motorino, bensì più debole e sottile. Notai la figura di Edward, in fondo al corridoio, a bordo di un bicicletta elettrica rossa. Frenò strisciando le ruote sul pavimento lucido.
“E questa?” Domandai con un cipiglio divertito in viso.
Pigiò il clacson emettendo un suono stridulo e poco morbido. “Sali.” Disse con quel sorriso sghembo da cardiopalma.
“Ma il principe azzurro non dovrebbe salvare la fanciulla in sella ad un cavallo bianco?” Posai entrambe le mani sui fianchi. “E il salvatore non dovrebbe essere biondo con gli occhi azzurri?”
Edward ridacchiò passandosi una mano tra i capelli. “Occhi verdi, chioma ramata. Va bene lo stesso?”
Annuii col capo con finto rammarico. “Dovrò accontentarmi.” Con un po’ di difficoltà a causa del vestito, mi sedetti a cavalcioni sul sellino posteriore.
“Dove andiamo?”
“Ora te lo mostro.” Schiacciò due volte il clacson e s’avviò percorrendo gli scaffali dei vari reparti. Si fermò in quello intitolato ‘Svago e tempo libero’. Quel reparto comprendeva vari passatempi e giochi da interno e da giardino.
Cosa stava frullando nella sua mente?
Edward scese dalla bicicletta spingendosi fino ad un tavolo di pingpong verde scuro dotato perfino di rete. Prese una racchetta al lato nello scomparto apposito e me la lanciò; per miracolo non cadde dalle mie mani. Prese una pallina bianca, la strinse tra due dita osservandola con circospezione.
“Edward, cosa dovrei fare con questa?” Domandai leggermente spaesata. Non ero mai stata portata per lo sport, neanche al liceo.
Impugnò la sua racchetta costringendo la pallina in una mano.”Facciamo una partita, no?”
Mi imbronciai avvertendo un po’ di imbarazzo. “Non so giocare a pingpong.”
Tesoruccio, non è difficile.” Utilizzò uno degli appellativi tremendamente fastidiosi. “O devo pensare che sei una di quelle ragazze che teme di spezzarsi un’unghia?”
Se il suo intento era quello di provocarmi, ci era riuscito alla perfezione. “Muoviti, finto fidanzato.” Calcai l’aggettivo e ottenni da parte sua un sorrisetto piuttosto scaltro e al contempo divertito.
I primi tiri furono un disastro; o meglio, io fui una vera catastrofe. Lanciavo la pallina ovunque fuorché sul tavolo da tennis. Edward fu il mio bersaglio prediletto; accolse molte palline, alcune tirate perfino di proposito. Tuttavia, con un po’ di pratica fui capace di controbattere e, addirittura, segnare qualche punto.
Edward prese una pallina dalla tasca dopo l’ennesimo suo colpo vincente. La batté facendola ribalzare sul tavolo. Era in vantaggio, ma non così tanto da poter gioire anticipatamente della vittoria. “Micettina mia”
Risposi alla battuta con più forza leggermente irritata da quel nomignolo ormai divenuto abituale. “Dimmi orsacchiotto.”
“Ehi, sei tu quella che stanotte si è avvinghiata come un koala.” Obiettò con un ghigno. Al ché, risposi al colpo con molta più forza scagliando la pallina sul tavolino; essa rimbalzò sino a finire dritta dritta nel suo stomaco.
Punto mio. Parità. Probabilmente mi aveva regalato molti punti, lo aveva definito ‘un gesto cavalleresco’, ma non per questo mi sarei arresa.
Tossicchiò, colto di sorpresa. “Vedi perché ti chiamo micetta? Spesso cacci le unghie.”
“Sì, ma non miagolo.” Replicai saccente.
Ultima tiro. Battuta mia.
Edward reagì al colpo con quel solito sorriso strafottente e maledettamente malizioso stampato in viso. “Beh, questo è ancora da scoprire.”  
Imbarazzata all’inverosimile, dall’alluce sino alle punte dei capelli, arrossii all’istante e mi distrassi cosicché da non prendere la pallina e cedergli bellamente la vittoria.
Rise alzando la racchetta vittorioso. “Ho vinto.”
Mi imbronciai. “Mi hai distratta. Non è giusto.”
Sorrise malizioso. “In guerra e in amore, tutto e lecito.”
Afferrai quattro palline scaraventandogliele addosso. Rise, nascondesi sotto il tavolo.
“Brutto imbroglione!” Aggirai il tavolino da pingpong. Gli picchiai la spalla, più volte, con la racchetta. “Sei un doppiogiochista approfittatore.” Inizialmente, si curò solo di proteggersi dai colpi, poi di soppiatto, mi afferrò dalle gambe issandomi sulla sua spalla.
“Sono solo furbo e… non così scemo da farmi volontariamente picchiare da una donna.”
Gli gettai qualche pugno sulla schiena, maledettamente muscolosa. In quell’istante l’immagine di Edward fasciato solo da un asciugamano in vita balenò d’improvviso nella mia mente. Ebbi perfino l’idea perversa di esplorare con le dita il dorso, le spalle, l’incavatura della schiena,i fianchi…
Possibile che dovessi fare pensieri così poco casti in sua presenza? L’influenza di Edward era prettamente negativa sulla mia mente e, perché no, anche sul mio corpo ormai in fuoco per quel contatto.
“Edward, mettimi giù.” Mi lagnai scalciando all’aria le gambe.
“Okay.” Rispose con noncuranza. Okay? Si arrendeva così facilmente?
Mai cantar vittoria troppo presto. Inaspettatamente, mi gettò in avanti come un semplice sacco di patate; un gridolino isterico fuoriuscì dalle mie labbra ma, fortunatamente percepii a contatto con la mia schiena un materasso. Nell’azione, si sbilanciò in avanti ricadendo a peso morto sul mio corpo ma l’impatto non fu irruento giacché si resse con le braccia inclinate all’altezza del mio viso. Come un dejà vu, fui sovrastata dal suo corpo effluvio di calore e profumo muschiato. Il mio petto si muoveva su e giù, come un forsennato, nonostante quella vicinanza non fosse così nuova per noi. I nostri respiri si mescolavano, gli occhi erano incatenati e le labbra prossime a sfiorarsi. In quel momento, non era presente nessuna delle mie cugine; un bacio sarebbe stato fin troppo insensato. Eppure… bramavo intensamente quella fonte di tentazione perenne. Possibile che fossi l’unica a percepire quel folle desiderio? Edward era attraente. Maledettamente attraente.
“Ehi voi!” Girammo il capo di scatto colti alla sprovvista da una voce maschile. “Cosa ci fate qui dentro?”
L’uomo in questione indossava un’uniforme blu, avente una cinta in vita munita di chiavi, manganello e trasmettitore; era nerboruto con un addome piuttosto sporgente. All’incirca, della la stessa età di Charlie.
Edward s’alzò tendendomi un braccio in segno di aiuto. Afferrai la sua mano alzandomi a mia volta dal materasso. Mi sistemai la gonna del vestito stranamente alzata sino a metà coscia.
“Siamo rimasti chiusi dentro.” Rispose Edward con tono deciso.
L’agente, inarcò un sopracciglio scettico e incredulo. Pensava davvero che fossimo dei ladri?
“Se vuole, può anche controllare sullo schedario del negozio. Abbiamo compilato una lista di nozze.” Replicai con leggero scetticismo. Aveva mai visto un ladro con ai piedi dei sandali col tacco?
Il vigilante notturno si lisciò il pizzetto pensieroso. Ci scrutò per qualche secondo; lanciò un’occhiata al letto matrimoniale sul quale eravamo stesi e annuì convinto da chissà quale congettura mentale. “Venite, vi faccio uscire.”
Tirai un grosso sospiro sollevata. Non eravamo destinati a trascorrere l’intera notte in quel negozio per matrimoni.
Ci fece strada sino all’uscita di sicurezza. Aprii leggermente la porta. “Da qui arrivate direttamente al parcheggio.”
Un sorriso spontaneo spuntò sul mio viso. “Grazie.”
Ci accingemmo ad uscire dal centro commerciale quando la voce del vigilante ci arrestò. “Ah, ragazzi… anche se siete soli in un negozio, trattenetevi dal fare certe cose. Le telecamere di sicurezza non vengono mai spente.”
Le mie guance raggiunsero una tonalità di rosso e un calore mai visti prima. Le mie gote erano in fiamme, nel senso letterale della parola. Edward si lasciò sfuggire una risatina e gli strinse cordialmente la mano. “Grazie, ne terremo conto la prossima volta. Buon lavoro.”
La prossima volta? Quale prossima volta?!
Valicammo la soglia dell’uscita di sicurezza chiudendocela alla spalle. Sbucammo sulle scale antincendio del terzo piano. Il tempo non era uno dei migliori: pioveva a dirotto e sferzava un vento piuttosto freddo. L’aria era umida derivante dalla brezza marina del golfo dell’Alaska.
Il mio telefonino era spento, di conseguenza ci attendeva un tragitto sotto la pioggia scrosciante sino a casa Denali. Questa me l’avrebbero pagata cara!
Mi cinsi il busto con le braccia rabbrividendo leggermente. “Anche il tempo è dalla nostra parte.” Mormorai con pungente ironia.
“Già.” Disse Edward con voce stranamente tremante. Incuriosita da tale tono volsi il capo nella sua direzione. Era letteralmente avvinghiato alla porta di sicurezza e teneva il capo all’insù, puntando lo sguardo al cielo scuro ricoperto dalle nuvole.
“Edward, tutto bene?”
Scosse il capo tremolando. Accentuò la presa sull’impugnatura. Le nocche delle mani per poco non divennero bianche. Tirò due grossi respiri. “S-soffro di vertigini.”
Spalancai la bocca incredula: una debolezza di Edward Cullen. Mi sporsi in avanti dalla balaustra analizzando l’altezza. “Edward, siamo al terzo piano. Non è molto alto.”
Abbassò il capo puntando i suoi occhi nei miei e vi potei scorgere tutto il terrore del momento. Non era finzione. Mi avvicinai e posai la mia mano sulla sua. “Non possiamo restare qui. Dobbiamo scendere.”
“Sai, la prima opzione non è poi così male.” Constatò con ansia malcelata.
La medesima situazione in aereo con parti invertite: Edward mi aveva aiutato a superare quella paura ed ora toccava a me fare lo stesso con lui.
Sciolsi quella presa ferrea dall’impugnatura dalla porta e strinsi le sue mani nelle mie. “Scendiamo insieme. Un gradino alla volta. Non guardare assolutamente giù. Guarda sempre e solo me.”
Edward mi strinse le mani con veemenza esibendo un espressione tremendamente tenera, quasi puerile. “Non lasciare le mie mani.” Asserii con più determinazione di quanto io stessa credessi di possedere.
“Non possiamo tornare indietro?” Chiese facendo un piccolo passo per poi bloccarsi all’istante.
“Se lo facciamo, il vigilante ci arresta sul serio. Anche se non facciamo certe cose.” Ridacchiai tentando di stemperare leggermente la tensione. “Ah, inoltre tu devi spiegarmi a quale  prossima volta ti riferivi.”
Un sorriso tirato spuntò sul suo viso e iniziò a camminare. Scese i primi scalini con lo sguardo puntato sul mio viso. “Non ho mai fatto certe cose in un negozio. È normale che ora sia curioso di provare.”
“Sei sempre il solito.” Risi divertita. Non perdeva mai l’occasione di spuntare con quel suo modo di fare impertinente e, - ahimè - maledettamente sexy. A Seattle era un punzecchiamento continuo ma stranamente non così malizioso.
Chiacchierando, ridendo, dopo molto più tempo di quanto avremmo dovuto normalmente impiegare, discendemmo le varie rampe della scala antincendio. Edward mi tenne costantemente stretta la mano, ma non così tanto da provare dolore. Si fermava di tanto in tanto per riprendere fiato e coraggio; sembrava un bambino bisognoso d’affetto e di calore materno. Una volta toccato l’asfalto con i nostri piedi Edward strabuzzò gli occhi ed un sorriso raggiante sbocciò sul suo viso. “Ce l’ho fatta.”
Nonostante la pioggia funse da collante per i capelli sul mio viso, e il vestito sul mio corpo come una seconda pelle, non potei fare a meno di sorridere serena di essergli stata d’aiuto. Avevo ricambiato il favore e ne ero felice.
“Ce l’hai fatta.” Gli feci eco affascinata dal colore bronzeo dei suoi capelli reso talmente scuro dall’acqua quasi da diventare nero e dalla sua camicia bianca divenuta trasparente e maledettamente aderente. Ad occhio nudo erano perfettamente visibili i suoi muscoli tonici e scolpiti al punto giusto.
Un vento freddo mi sferzò la pelle nuda ed un brivido mi colse di sorpresa. Edward aggrottò la fronte e mi scrutò con occhio clinico. “Hmm… andiamo, altrimenti ti prendi un bel raffreddore.”
Inaspettatamente, mi cince le spalle con un braccio attirandomi a se in una stretta protettiva.
 
***
 
Giungemmo a casa Denali completamente fradici d’acqua come due pulcini. Suonammo al campanello. I brividi mi avevano fatto compagnia lungo il tutto tragitto intensificandosi ad ogni folata di vento gelido.
Irina spalancò la porta di ingresso esibendo un’espressione sorpresa talmente finta da far invia al suo seno siliconato. “Isabella, dove siete stati?”
“In giro, sotto la pioggia. Sai, amo prendere freddo e inzupparmi da testa a piedi.”
Colse la punta di acidità nel tono della mia voce perché fece una smorfia di disappunto. “Noi pensavamo che foste andati via dal centro commerciale. Non vi abbiamo più visti.”
Pensava davvero che fossi così tonta da bermi quest’assurda scusa? Non ci avevano affatto cercati e probabilmente se avessero potuto, avrebbero chiuso solo me in quel maledetto negozio.
Sbuffai, troppo stanca per controbattere. Avevo freddo e volevo solo rintanarmi e indossare qualcosa di asciutto.
“Noi andiamo in camera, sei pregata di non disturbare fino a domani mattina. Vorrei trascorrere del tempo sola con Edward.” Sorrisi sbattendo più e più volte le ciglia. Congiunsi le mani al petto. “Notte cuginetta.” Irina alzò il mento austera incrociando persino le braccia al petto. Che talento: sapeva fare due cose contemporaneamente.
Agguantai la mano di Edward e salii ai piani superiori. Nel mentre, il mio finto fidanzato sghignazzò della mia scenetta dovuta all’irritazione. “Credo che micetta sia ormai riduttivo.”
Assottigliai lo sguardo riducendo gli occhi a due fessure. Aprii la porta della nostra stanza con uno sbuffo.
Presi il cambio e quella maledetta sottoveste in raso blu e mi accinsi a entrare in bagno per una sana e rilassante doccia calda.
“Panterina” Esordì d’un tratto Edward. “Credo che panterina ti si addica di più.”
Entrai nel bagno maledicendo ogni singola lettera di quel nuovo nomignolo affibbiatomi.
_____
 
Purtroppo l’acqua bollente e scrosciante della doccia non sortì affatto l’effetto desiderato. I tremolii dovuti al freddo non svanirono, anzi,si intensificarono. La testa pulsava dolorosamente e tiravo su col naso continuamente.
Aspettai che Edward uscisse per decidere insieme la suddivisione del letto matrimoniale. Ero intenzionata a creare una barriera al centro esatto del materasso con una fila di cuscini ma mi sentivo tremendamente spossata, priva di forze; pertanto tralasciai, sicura che per quella notte, data la stanchezza, nel letto non avrei mosso neanche un muscolo.
Edward uscì dal bagno con indosso i soliti pantaloni della tuta ed una canottiera grigia aderente. Non sentiva freddo?
“Devo crearmi il letto sul pavimento?” Chiese Edward con tono stranamente cordiale. Mi squadrò da capo a piedi accarezzando il mio corpo con lo sguardo. Un brivido mi percosse la schiena e non seppi definire lì per lì se fosse dovuto all’intensità dei suoi occhi o al freddo. “Adoro quel pigiama.” Continuò con noncuranza, come se avesse appena detto una cosa banale, ovvia.
Strinsi i lembi della mia sottoveste imbarazzata. “Da quale lato preferisci dormire?”
Un dolce sorriso gli si disegnò in viso. “Non ho preferenze. Un posto vale l’altro.” A quel punto mi accostai al lato sinistro del letto scostando le coperte e il lenzuolo da sotto al cuscino.
“Anche se credo che sia inutile dividerlo. Stanotte ti avvinghierai al mio braccio, ne sono sicuro.” Affermò con un risolino.
Sobbalzai imbarazzata rivivendo in quel preciso istante con la mente la situazione piuttosto ambigua di quella stessa mattina. “Cercherò di non avvicinarmi, promesso.” Mormorai timidamente.
Sorrise sghembo separando il lenzuolo dalle coperte. “Non mi dai fastidio.”
Tentai di rimediare, mossa dalla sua strana affabilità. “Se vuoi posso stare sopra-“
Non mi lasciò terminare la frase. “Non male come idea. È la posizione che preferisco, sai?” Sghignazzò divertito dall’allusione assolutamente maliziosa e imbarazzante.
“Edward.” Lo ammonii con voce stridula, quasi isterica. Volevo solo esporgli che potevo dormire anche al di sopra delle lenzuola così da impedire un contatto fisico.
Ciononostante, il problema maggiore fu proprio l’effetto che scaturì quell’ultima sua affermazione: un inesplicabile calore e un accecante desiderio divamparono nel mio corpo come fuoco ardente. Celai quelle nuove e bizzarre sensazioni lisciandomi il  raso della succinta sottoveste.
Edward esplose in una fragorosa risata piegandosi in due, reggendosi l’addome con le mani e ritrovarsi perfino le lacrime agli angoli degli occhi.
Incrociai le braccia al petto fulminandolo con lo sguardo. L’idea di strangolarlo durante il sonno mi allettava e non poco.
Alzò la mano mostrandone il palmo “Okay, la smetto.” Tossicchiò celando in malo modo un sorriso. “Puoi anche attaccarti al mio braccio, al mio bacino, alle mie gambe, al mio collo… ovunque. Non mi da’ fastidio.”
Con un sospiro rumoroso e le guance in fiamme mi sedetti al bordo del letto trattenendo con le mani i lembi della sottoveste affinché questa non si alzasse. Mi uscì improvvisamente uno starnuto e un brivido mi scosse il corpo.
“Ti senti bene?” Chiese Edward infilandosi sotto le lenzuola.
Annuii poco convinta sdraiandomi a mia volta. Poggiai la testa sul cuscino rannicchiando le gambe al petto. Avevo freddo; fin troppo. I tremori non mi abbandonarono neanche quando avviluppai interamente il mio corpo nella coperta. Emisi un nuovo starnuto. Mossi le gambe e sbadatamente toccai le gambe calde di Edward con le dite dei miei piedi congelati.
“S-scusa.” Balbettai e nel frattempo rabbrividii.
Edward accese l’abatjour sul comodino dal lato suo raddrizzando il busto. “Bella, ma sei congelata.”
“U-un p-p-po’.” Fu tutto quello che riuscii a dire; i denti battevano tra loro come una mitragliatrice. Forse, non stavo poi così tanto bene.
Sentii la mano di Edward posarci dolcemente sulla mia guancia. “Stai tremando.” Salì sino a posarla sulla mio fronte. Emisi l’ennesimo starnuto.
“Sei bollente.”
Si alzò repentino dal letto avvicinandosi alla sua valigetta in pelle da medico. Strabuzzai gli occhi spaventata. “Cosa v-vuoi fare c-con q-quella?”
Vi frugò all’interno ignorando deliberatamente la mia protesta. Mi sedetti poggiando la schiena alla testiera del letto. Mi portai la coperta sin sopra al naso. “Odio gli ospedali. Odio i dottori e odio le siringhe.”
Edward sorrise mostrandomi un termometro al mercurio. “Non ti porterò in ospedale e non posso farti una puntura per la febbre. Vorrei solo che controllassi la temperatura con questo.”
Scossi il capo con fermezza. “Non è vero. Hanno sempre utilizzato questa scusa i dottori per farmi le punture.”
Edward rise. “Sai, le bambine che ho in cura mostrano più coraggio.” Si avvicinò porgendomi il termometro. “Provati la febbre.”
Con uno sbuffo degno di una bimba di poco più di cinque anni, incrociai le braccia petto stringendo con veemenza la coperta. Non mi fidavo dei dottori, e benché meno di Edward. Mi infilò di soppiatto il termometro nella bocca. “So che ti risulta difficile, ma non parlare.”
Grugnii in risposta inetta di poter parlare in quel momento.
Frugò nuovamente nella borsa tirando fuori una scatola di compresse. “Aspirina.” Disse prima che io potessi formulare una domanda con i gesti.
Dopo alcuni minuti mi sfilò il termometro dalla bocca. Lo mosse per vedere meglio la posizione del mercurio. Sospirò profondamente. “E’ alta. Trentanove e due”
Posò una mano sulla mia fronte. Sembrava un genitore apprensivo alle prese con la figlia febbricitante. Un altro tremore mi percosse il corpo. “Hai qualcosa di più coprente nella valigia?”
Alzai un sopracciglio esibendo un espressione alquanto scettica. “Secondo te, se in quella maledetta valigia ci fosse stato un pigiama anche leggermente più consono di questo non lo avrei indossato?” La voce fortunatamente non tremò ma conclusi il tutto con un sonoro starnuto che riecheggiò nella mia testa.
Edward s’avvicinò alla sua valigia tirando fuori una tuta blu notte. Me la porse con un sorriso. “Indossala; intanto io ti prendo un bicchiere d’acqua.”
Spalancai gli occhi sorpresa e leggermente intontita. Abbassai il capo intimidita e colpita da tale premura. “Grazie.”
Edward entrò nel bagno e nel mentre io indossassi quella tuta così grande da poterci stare entrambi; era così profumata da stordirmi i sensi. Portai un braccio al naso aspirando profondamente. Ah, che buon odore.
Il mio dottore personale – vero, odiavo i medici, ma al sol pensiero di vederlo in camice un calore divampava incredibilmente nel mio corpo – riapparve con un bicchiere di vetro in mano colmo d’acqua; me lo porse insieme a due compresse. Ingoiai l’aspirina e bevvi l’acqua tutto d’un sorso.
“Ti fa male la testa?” Chiese lisciandomi con delicatezza i capelli. Mi sentii un perfetta bambina di cinque anni. Assolutamente patetica.
“P-poco.” Mormorai stringendomi meglio il busto con le braccia.
“Vedrai che domattina starai meglio.” Aggirò il letto, spense l’abatjour e si coricò coprendosi con le lenzuola.
Mi rannicchiai sul materasso in posizione fetale portandomi le coperte sino alla gola. “Edward” Mormorai con un tremolio. “G-g-grazie.”
Di sorpresa, percepii le sue mani ancorarsi ai miei fianchi ed attirarmi a lui sino a ritrovarmi con la schiena attaccata al suo petto. Mi cinse le spalle con le braccia in un morsa confortevole. Un dolce tepore mi invase. “Così non tremi più. Non approfitto, parola di scout.”
“Grazie.” Sussurrai, di nuovo, impercettibilmente. Mi strinsi più a lui godendo appieno di quelle nuove sensazioni. Che strana e magnifica situazione!
Io tra le braccia di Edward… da non credere!
Il mio corpo inerme si rilassò stremato e appagato. Stranamente non c’era imbarazzo né tensione. Il sonno mi stava soggiogando e tirando a sé con una lentezza inesorabile.
Percepii un dolce bacio alla nuca appena accennato… quasi certamente, un gesto sognato.
 
 
 
RAGAZZE…
NEL PROSSIMO ARRIVERA' LA NOSTRA CARA, AMATA, E DILETTA CUGINA “TANYA”. SECONDO VOI COSA FARA’? COME AVVERRA’ LA SUA COMPARSA?
PENSATE, PENSANTE, PENSATE DI TUTTO… VEDIAMO CHI ARRIVA A CIO’ CHE LA MIA TESTOLINA HA MACCHINATO.
PS: OGNI PARTICOLARE NON E’ MESSO A CASO. TUTTO SERVIRA’.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6 SALVE MIE CARI PRODI. Sì, SIETE DEI PRODI, O COME SI SUOL DIRE CORAGGIOSI, PERCHE’ LEGGETE I MIEI DELIRI.
ECCOMI QUI CON UN NUOVO CAPITOLO (DI BEN 10 PAGINE DI WORD E CHIEDO UMILMENTE SCUSA PER LA LUNGHEZZA).
OGGI STRANAMENTE SONO PRIVA DI PAROLE (EHI, TI HO VISTA SAI? NON ESULTARE TROPPO!!!)
SONO IN RITARDO MA HO AVUTO UN PICCOLO BLOCCO A CAUSA DI DUE LIBRI (E’ ASSURDO, LO SO, MA SONO TROPPO EMOTIVA).
AVETE MAI LETTO DI NICHOLAS SPARKS:
@IL POSTO CHE CERCAVO
@OGNI GIORNO DELLA MIA VITA?
SONO DUE LIBRI STUPENDI. MI HANNO PRESO QUANTO LA SAGA DI TWILIGHT, ED E’ TUTTO DIRE. VE LI CONSIGLIO VIVAMENTE.
 
 
RINGRAZIO COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE SEGUITE, PREFERITE E LE 90, E RIPETO 90, PERSONE CHE MI HANNO INSERITA TRA GLI AUTORI PREFERITI. UN BATTITO MANCATO AL MIO CUORICINO A CIASCUNO DI VOI.
 
RINGRAZIO LE 38 PERSONE CHE HANNO COMMENTATO: IO VI ADORO. HO LETTO OGNI SINGOLA RECENSIONE CON UN SORRISO SULLE LABBRA. RINGRAZIO LE NUOVE, LE ABITUALI… TUTTI. GRAZIE DI VERO CUORE.
ALCUNE DI VOI MI HANNO FATTO DOMANDE IN MERITO AI SENTIMENTI DEI PROTAGONISTI… SAM CHIUDE LA SUA BOCCUCCIA PER NON ROVINARE LA SORPRESA.
 
IMPORTANTISSIMISSIMO: IO E LA BRAVISSIMA, BELLISSIMA E TALENTUOSA SHINALIA ABBIAMO INTRAPRESO LA STRADA SCONOSCIUTA E TORTUOSA DELLA SCRITTURA A QUATTRO MANI. OH YEAH!
ABBIAMO PUBBLICATO IL PRIMO CAPITOLO DI UNIVERSITY LIFE (CLICCATE PER VEDERE).
SPERO DAVVERO CHE POSSA PIACERVI!!
 
IMPORTANTISSIMO: DUE BRAVISSIME RAGAZZE HANNO CREATO UN BLOG NEL QUALE CONSIGLIANO LA LETTURA DI ALCUNE STORIE TRA CUI LE MIE (ALTRI BATTITI PERSI… NE SONO ONORATISSIMA). PER DARCI UN’OCCHIATINA CLICCATI QUI.
 
ALLORA, RIGUARDO AL CAPITOLO POSSO DIRVI SOLO CHE ARRIVA TANYA… E ASPETTO CON ANSIA LE VOSTRE CONSIDERAZIONI. SECONDO VOI, DOBBIAMO PREOCCUPARCI DEL SUO ARRIVO????
 
 
ED ERO SENZA PAROLE, FIGUARIAMOCI!
VI LASCIO AL CAPITOLO.
UN BACIONE SAM
 
 


CAPITOLO 6

 



Il mio corpo era sovrastato da quello di Edward. Entrambi eravamo totalmente in preda a una frenesia assoluta, eccitante, erotica quasi allo stato puro. Le nostre bocche erano incollate l’una all’altra, perlustrate dalle rispettive lingue. Edward continuava a lasciare scie di fuoco con la mano sulla mia pancia, sui miei fianchi, sulle mie cosce. Ero aggrappata al suo bacino con le gambe e con i talloni lo attiravo a me smaniosa di un intimo contatto. Con l’altra mano mi carezzava sensualmente il seno destro, disegnandone la tonda circonferenza. La sua bocca si fece strada sul mio collo, e morì giù sul mio petto. Gemiti incontrollati uscirono dalle mie labbra, smorzati da lui stesso. Il suo viso fu nuovamente all’altezza del mio. Ci sfiorammo intimamente consapevoli di ciò che sarebbe accaduto da lì a poco e…

 
Drin… Drin…
Spalancai improvvisamente gli occhi svegliata dal suono acuto e fastidioso del mio cellulare. Accidenti! Non l’avevo spento il giorno prima? Mi strofinai gli oggi afferrando quell’aggeggio elettronico. Osservai il display luminoso solo con un occhio ridotto ad una fessura.
 
Amante del Diavolo
 
Perché diamine mi telefonava Irina se eravamo sotto lo stesso tetto? Cosa voleva alle…
Lanciai un rapida occhiata alla radiosveglia sul comodino: ore 8:30.
Pigiai il tasto rosso del telefonino rifiutandole la chiamata per ben due motivi: primo, ero in vacanza - se così questa si poteva definire (almeno non lavoravo) - e non avevo la benché minima intenzione di svegliarmi presto nonostante l’ora segnata dalla radiosveglia non corrispondesse proprio all’alba; e secondo, aveva interrotto bruscamente il mio fervido e passionale sogno.
Spensi il cellulare per precauzione. Chiusi nuovamente gli occhi accucciandomi meglio contro qualcosa di morbido e duro al tempo stesso. Le scene del sogno tornarono come per magia vivide nella mia mente.
Sgranai gli occhi.
Oddio! Avevo sognato di far l’amore con Edward?! Il suo aitante corpo nudo, le sue mani esploratrici, la sua bocca infuocata, il suo sguardo eccitato…
Improvvisamente mi venne l’affanno. Il mio petto si gonfiava ad un ritmo frenetico. Mi strofinai una mano sulla fronte: era fredda e madida di sudore. In tutto quello almeno una nota positiva c’era: la febbre era completamente svanita.
Un soffio caldo sul mio collo mi fece rabbrividire. Alzai di poco la coperta scrutando la posizione del mio corpo, pressoché comoda: la mia vita era stretta in una morsa d’acciaio dalle braccia di Edward, la mia schiena aderiva totalmente al suo petto e le nostre gambe erano intrecciate – con esattezza, costringevo una sua tra le mie incrociate (una posizione alquanto assurda). Percepivo il suo respiro pensante e regolare, chiaro segno che stesse ancora dormendo, decedere sulla mia nuca provocandomi altri brividi. Maledetti punti deboli!
Sentivo un calore divampare in tutto il mio corpo. Quella vicinanza era tutt’altro che salutare. Mi dovevo assolutamente allontanare prima che la lucidità prendesse la via del non ritorno… e mancava poco, davvero poco.
Mi girai su me stessa, lentamente col timore di svegliarlo, ritrovandomi poi il suo viso ad una spanna dal mio.
Mossa sbagliata Bella, mossa sbagliata.
Il suo respiro, in quel modo, mi solleticava le labbra e mi stimolava un certo languore allo stomaco. Osservai per un istante il suo viso, stregata dai quei lineamenti squadrati, virili… alla Edward Cullen. Con un dito tratteggiai, leggera come una piuma, la sua mascella scoprendola leggermente ruvida a causa della barba.
Non potei fare a meno di rimuginare sull’atteggiamento adottato da lui stesso il giorno prima, specie la sera. Nei miei confronti era stato dolce e premuroso, come non mai. Che cosa strana. Edward, probabilmente, mi aveva sempre visto come la migliore amica – qual ero - della sua sorellina minore, e nulla più. Eravamo sempre stato dediti a stuzzicarci, a prenderci in giro reciprocamente, la tipica coppia cane-gatto. Un modo di fare e di agire, dato inizio dalla sottoscritta. Ero sempre stata attratta da lui, fin dal nostro primo incontro. E chi non lo era?
Edward, non aveva mai mostrato alcun interesse nei miei confronti pertanto punzecchiarlo era l’unico modo scelto, quasi istintivo, per tenerlo vicino.
Sfiorai, presa da una strana frenesia, le sue labbra con un dito designandone il contorno. Mi morsi il labbro inferiore con i denti reprimendo, in quel modo, l’assurdo impulso di baciarlo. Dovevo allontanarmi da lui e covare quel poco di lucidità in me, ancora persistente.
Mi liberai dalla sua stretta con un certo sforzo. Quando scivolai giù dal letto, la coperta scese in basso scoprendo totalmente il suo busto. Con delicatezza mi avvicinai coprendolo nuovamente fin sopra le spalle. Era un gesto dovuto, no?
Entrai in bagno chiudendomi la porta alle spalle. Il pigiama – o meglio, la tuta di Edward – aderiva al mio corpo e non perché fosse un modello presumibilmente attillato; ero sudata e necessitavo di una doccia. Il mio sguardo si posò sulla piccola Jacuzzi in ceramica bianca. Quale modo migliore per distendere i nervi se non con un bagno caldo e rilassante?
 
***
L’aria era intrisa di fragola, l’aroma del mio bagnoschiuma preferito, secondo solo a quello alle noci lasciato purtroppo a Seattle. Una risatina leggera mi sfuggì al ricordo. Forse Alice non aveva avuto tutti i torti ad impedirmi di portarlo.
Scivolai più in fondo poggiando la testa all’indietro sull’asciugamano piegata a mo’ di cuscino. Era ammollo da mezzora, forse un’ora. La pelle delle dita era leggermente raggrinzita ma non me ne curai. L’acqua stranamente era ancora calda e mi copriva fin sopra al petto. La superficie era ammantata da una schiuma vaporosa e profumata. Probabilmente avrei trascorso l’intera giornata in quel piccolo e apparente geyser di paradiso. Totalmente rilassata e custodita da una bolla di tepore.
«Che ci fai qui?»
Sobbalzai e strabuzzai gli occhi spaventata. «Edward!» Meccanicamente piegai le gambe e mi coprii il petto con le braccia nonostante il livello dell’acqua fosse alto e la schiuma alquanto compatta da velare il mio corpo nudo. «Io? Piuttosto, tu. Che ci fai qui?! Non si usa bussare?”
Edward alzò le mani in segna di difesa. Fortunatamente i suoi occhi erano puntati nei miei. «Ehi, io pensavo che fossi scesa al piano di sotto per fare colazione.» Il suo sguardo cadde in basso, ma presto lo riportò al mio viso.
Avvampai all’istante: le mie guance divennero rosso porpora. Anche il mio sguardo era alto: notavo il suo petto e le sue spalle nude.
Edward riprese a parlare. «E’ venuta tua cugina Irina. Io non le ho aperto la porta ma ha parlato ugualmente. Ha detto qualcosa dei tipo: ‘Edward, scendi a fare colazione? Ti ho preparato dei biscotti con le mie mani.’ Ha chiamato solo me per questo pensavo che fossi già scesa.»
Ridacchiai dal tono utilizzato: aveva imitato la voce di Irina quasi alla perfezione. «Con ‘ho preparato dei biscotti’ voleva naturalmente dire che si è svegliata presto questa mattina, è andata in pasticceria, ha acquistato i dolci e li ha posti in un vassoio ‘con le sue mani’.»
Edward incrociò le braccia al petto divertito. Notai il guizzo di un suo bicipite. «Non sa cucinare?»
«Ha le stesse doti culinarie di Alice.»
Scosse il capo sogghignando. «Povero Jasper.»
Calò uno fitto silenzio profondamente imbarazzante. Mi imposi di tenere lo sguardo verso l’alto.
Non guardare in basso, mi ripetevo come un mantra; ma, come se i miei occhi fossero dotati di autonomia propria, inesorabilmente scesero lentamente accarezzando ogni misera parte del suo corpo latteo. Dalle spalle larghe e robuste, il petto atletico con quelle incavature da farti nascere il desiderio di toccarle con le dita, gli addominali a tartaruga – anche quelli con le dita, e non solo –, le anche visibili anche ad occhio nudo che formavano una ‘V’ da urlo, e infine…
ODDIO!
Mi bloccai per un attimo con gli occhi sbarrati quasi fuori dalle orbite.
Edward era… era… nudo. Beh, non esattamente. Aveva indosso solo dei boxer neri aderenti. Sì, maledizione erano aderenti! E che aderenza!
Probabilmente le mie guancie raggiunsero una tonalità di rosso mai visto prima, e purtroppo, Edward se accorse e sghignazzò divertito. Alzai di scatto il capo, leggermente stordita. Ebbi, lì per lì, il timore di aver assunto uno sguardo famelico.
Mi imposi calma, concentrazione e soprattutto disciplina. Ma che disciplina! Edward era quasi nudo davanti ai miei occhi, io totalmente davanti ai suoi… dovevo ammettere che era una situazione, imbarazzante da un lato, ed eccitante – estremamente eccitante – dall’altro. Improvvisamente balenarono nella mia mente, come una diapositiva, le immagini del sogno.
Accidenti! Ecco, che inesorabilmente tornava l’affanno.
«Bella, stai bene?» Chiese Edward con un cipiglio curioso in volto.
«Mmm?» Fu maledettamente difficile destarmi dai quei pensieri.
«Stanotte ti ho sentita… gemere. Avevi ancora l’emicrania?»
Ennesima figuraccia imbarazzante! Fortuna che una scusa plausibile l’aveva già fornita lui. «Sì, poi è passato, però.» Non potevo certo dirgli che quei mugolii fossero causati dal fantasticare proprio le sue mani e la sua bocca sul mio corpo, no?
Ammantai con la mano un po’ di schiuma. «Edward, farei volentieri conversazione con te ma la situazione è un po’ strana. Sono nuda, nella vasca e se non esci dal bagno non posso coprirmi con l’asciugamano.» Le parole uscirono sconnesse a causa dell’imbarazzo.
«Sicura di non volere un po’ di compagnia?»
Assottigliai lo sguardo. «No. Volevo dire… sì, più che sicura. Ma, grazie lo stesso.»
Non mi provocare Edward… oggi potrei cedere prima di quanto tu stesso possa immaginare. 
Edward rilasciò una risatina divertita. «D’accordo. Se cambi idea…» Si girò di spalle e s’accinse ad aprire la porta. Esitò qualche istante e i miei occhi piombarono in basso, attratti da una strana forza di gravità. Accarezzai nuovamente il suo fisico; dall’alto verso il basso.
Oh. Mio. Dio!
Probabilmente ero morta annegata nella vasca da bagno e quello era il paradiso – o l’inferno a seconda dei punti di vista. Qualcosa attirò la mia attenzione. Mi soffermai più del dovuto sul suo fondoschiena: tondo, muscoloso, il cosiddetto sedere a mandolino ricoperto da quel sottile strato di stoffa nera in microfibra. Che fondoschiena!
Edward uscì dal bagno lasciandomi lì, in balia di una strana sensazione, identificata poi come… pura eccitazione.
 
***
Il bagno non fu affatto ristoratore; direi l’esatto contrario. Sciogliere il mio imbarazzo plasmatosi nel bagno, e protratto poi nella camera da letto fu maledettamente difficile. Fortunatamente Edward entrò nel bagno nell’istante stesso in cui io venni fuori avvolta da un asciugamano - rivolgendomi tuttavia il suo solito sorriso sfrontato - cosicché da permettermi di indossare qualcosa di più consono. Ciononostante, l’imbarazzo aveva persistito e se tuttora incrociavo lo sguardo di Edward, inevitabilmente diventavo paonazza e nascondevo il viso dietro la tazza. Poggiata al piano cottura, sorseggiai ancora un po’ di caffè.
Edward non poté mangiare i biscotti ‘preparati’ da Irina: fortunatamente, in tempo, mi accorsi che tra gli ingredienti vi erano anche le noci alle quali era allergico. In quegli anni avevo imparato a conoscerlo quasi sotto ogni punto di vista, specialmente in materia di gusti: Edward adorava lo zafferano e il cioccolato. Su un articolo del Daily Sun, tempo fa vi era stato scritto un articolo nel quale, secondo alcune analisi, quei due ingredienti erano stati denominati come ‘afrodisiaci puri’. Tipici di Edward; non poteva essere altrimenti.
«Tra un po’, dovrebbe arrivare Tanya» Esordì Irina lanciandomi uno sguardo molto allusivo. «Sei contenta, Isabella?»
Bevvi un altro sorso di caffè. «Da morire.»
Ironica? Assolutamente sì.
Se Irina e Kate potevano essere definite rispettivamente l’amante e la moglie del diavolo, Tanya era la figlia di Satana in persona, sangue del suo stesso sangue. Era meno stupida e più machiavellica di entrambe le sorelle messe insieme – non che quest’’unione fosse così rilevante: due galline con un cervello solo.
«Non vedo l’ora. Sprizzo gioia da tutti i pori, non si vede?»
Edward colse all’istante la vena ironica; celò un sorriso divertito dietro una tazza fumante di caffè non prima di avermi lanciato un occhiata fintamente contrariata. Inaspettatamente, il campanello suonò echeggiando in tutta la casa.
«Isabella, puoi andare tu?» Il tono che utilizzò fu sardonico e calcolatore. Ebbi lì per lì il timore di andare alla porta. Pensai perfino che avessero ingaggiato un cecchino. Non erano così cattive, no?
Tirai un grosso sospiro incedendo verso l’ingresso di casa. Non guardai neanche attraverso lo spioncino, spalancai direttamente la grande porta in legno.
Sgranai gli occhi, totalmente sbigottita. La gola divenne secca e smisi di respirare. Avrei preferito mille volte trovarmi dinnanzi il cecchino - pronto ad uccidermi – piuttosto che…
«Mike?» Domandai con un filo di voce. Cosa diamine ci faceva il mio ex ragazzo sull’uscio della porta di casa Denali? Ciò nonostante, lo sguardo che mi rivolse fu sorpreso almeno quanto il mio. Una ragazza - dai lunghi capelli biondi, due iridi azzurre e un corpo da modella - lo affiancò: Tanya.
«Ciao Isabella, è un piacere rivederti.» Un sorriso finto le si dipinse sul viso. «Conosci già Mike? Il mio fidanzato?»
Fidanzato? Tanya e Mike? Non che la cosa mi disturbasse, ero stata io stessa a porre fine alla nostra storia ma tutto mi risultava alquanto strano. Erano più di tre anni che non vedevo Mike e, a quel che ricordavo, non ci eravamo proprio lasciati in modo idilliaco.
«Tanya! Finalmente!»
Kate mi travolse gettandosi tra le braccia della sorella. La strinse spasmodicamente sussurrandole qualcosa all’orecchio. Al che Tanya, puntò i suoi occhi nei miei palesando il suo stupore. Mike continuava a guardarmi tra un misto di stupore e rammarico.
«Si può sapere dove hai lasciato il telefono? Sono giorni che cerco di chiamarti.» Esordì Irina - giunta dalla cucina - a braccia conserte. Notai Edward addossato al muro, scrutare la scena con occhio alquanto curioso.
«Ho perso il telefono.» Rispose Tanya quasi con disperazione. Il suo sguardo si posò su Edward; sbarrò gli occhi e potei notare in questi un luccichio di malizia. «Non posso crederci: Edward Cullen.»
Il mio fidanzato sorrise sghembo. «In carne ed ossa.»
Tanya gli si avvicinò con passo altamente suadente, posando un bacio sulla sua guancia, quasi all’angolo della bocca. Sentii la rabbia montarmi dentro. «Da quanto tempo non ci vediamo. E’ un piacere incontrarti di nuovo.»
Dovevo assolutamente fare qualcosa. Raggiunsi Edward, toccandogli un braccio con la mia mano. «Conosci già Edward? Il mio fidanzato?»
Stesse parole, stesso tono allusivo. Un combattimento ad armi pari.
Anche Mike ci raggiunse scrutando Edward da capo a piedi. Allungò un mano nella sua direzione. «Mike Newton.»
Edward strinse la sua mano lanciandogli un occhiataccia. «Edward Cullen.»
«Ragazze, abbiamo un appuntamento all’atelier. Dobbiamo rimandare questi convenevoli a dopo.» Disse Kate con tono concitato.
Un sorrisetto spuntò sul viso di Tanya. «Non vedo l’ora.»
 
Avevo uno strano presentimento: l’idea di restar sola, con le tre care cugine, non mi allettava affatto. Incedetti al piano superiore seguita da Edward.
Entrai nella nostra camera sbattendo la porta con forza. Grugnii qualcosa di incomprensibile, persino alle mie orecchie, sbollendo la rabbia soffocata nell’atrio. Tanya non aveva mai avuto una storia seria né al liceo e né all’università – almeno, da quel che ricordavo. Ero sicura di non poter gioire di questo suo inaspettato fidanzamento con Mike; nulla le avrebbe impedito di mettere in atto i suoi diabolici piani e probabilmente se avesse appreso prima della presenza di Edward, non sarebbe mai venuta con un altro uomo.
«Sai, il suo viso non mi è nuovo.» Esordì Edward con un dito sotto al mento. «Quel damerino non abita nella nostro palazzo, vero?»
Aprii la valigia con un gesto deciso, decisamente nervoso. «E’ impossibile che tu te lo ricordi. Saranno passati più di tre anni.»
«Da cosa?»
Afferrai una borsa ed una giacchettina in cotone.«Dall’ultima volta che è venuto a casa mia. Probabilmente l’avrai notato in quell’occasione.»
S’accigliò esibendo un espressione scettica. «E cosa ci faceva a casa tua?»
Celai un sorriso, generato dalla sua assurda curiosità. Avevo elaborato, alcuni anni primi, un articolo sul Daily Sun nel quale esponevo uno dei principali difetti maschili da poter utilizzare a vantaggio femminile: l’innato desiderio di conoscere. L’uomo è prettamente curioso delle donne, in special modo se si tratta della ‘sua’ donna, e arriverebbe ad utilizzare qualsiasi mezzo pur di soddisfare la sua curiosità: controllando le chiamate e i messaggi sul telefono ricevuti ed effettuati, studiando ogni suo cambiamento – dal taglio di capelli ad un acquisto di un abito nuovo- e arrivare perfino a pedinarla. Pertanto, la curiosità spesso è sintomo di gelosia, ma sapevo perfettamente che non era questo il caso. Edward era solo curioso.
Il mio finto fidanzato arcuò un sopracciglio, dato il mio voluto silenzio. «E’ un imbianchino? Un elettricista? Un…»
Bloccai il suo flusso di parole alzando una mano; probabilmente, di quel passo avrebbe elencato tutti i lavori possibili ed immaginabili. «E’ il mio ex ragazzo.»
«Il tuo ex ragazzo?» Ripeté con tono quasi scettico. «Quanto tempo siete stati insieme?»
«Edward, sbaglio o sei curioso?» Beh, ogni tanto potevo anch’io divertirmi a punzecchiarlo. Non avevo ancora dimenticato la sconfitta al pingpong.
Si passò una mano tra i capelli. «Devo essere preparato se mi trovo a parlare con lui, non credi?»
«Hai ragione.»  Concordai. «Quattro anni.»
Edward sbarrò gli occhi. «Quattro anni?»
Rilasciai una risatina. «Sì, precisamente tre anni e mezzo. Tanti, eh?»
Edward si lisciò il mento con fare pensoso. «Sono tre anni e mezzo che non frequenti un uomo?»
Ahi, tasto dolente. Una cruda realtà. Indossai una maschera divertita celando la mia autocommiserazione. «Beh, non proprio. Sono due anni che siamo fidanzati, o sbaglio?»
Edward rise di gusto ritrovandosi quasi le lacrime agli occhi.
Lo guardai con un cipiglio contrariato. «Sono troppi per te, vero?»
Mi sorrise sghembo, allo stesso modo da tre anni a questa parte. «Non abbastanza da sopportarti.»
Ecco l’Edward Cullen che conoscevo. Schietto, pungente e, perché no, persino divertente. Gli feci una linguaccia fintamente risentita. Mi infilai la giacchetta in lino bianco.
«Non vedevi l’ora di trascorrere del tempo sola con le tue cugine, vero?»
Mi avvicinai con passo lento e sensuale. Gli afferrai un braccio e con leggerezza gli tastai le vene. Quel contatto mi provocò un leggero brivido. «La tua vena ironica pulsa più delle altre.»
Mi cinse la vita con un braccio attirandomi a se. «Che fai, mi rubi le battute?»
Sorrisi. «Tu mi rubi lo spirito ironico. E’ uno scambio equo, non trovi?»
La mano di Edward era salda sulla base della mia schiena e con un dito sfiorava un lembo della mia pelle scoperta. I suoi occhi sembravano più luminosi.
La porta della nostra camera improvvisamente si spalancò rivelando la figura di Tanya. «Isabella, sei pronta?»
Sbuffai allontanandomi da Edward. Raggiunsi mia cugina, che osservava me quasi con fare cospiratorio ed un sorriso di ‘chi la sa lunga’. Sembrava soddisfatta di qualcosa a me ancora ignoto. Meditai per un attimo.
Compresi tutto all’istante. Con un gesto fulmineo tornai da Edward. Gli accarezzai una guancia ispida con le dita.
«Non me ne volere.» Sussurrai prima di posare le mie labbra sulle sue. Ciò che mi sorprese fu la sua reazione: mi strinse a se in modo spasmodico premendo il palmo della mano sulla mia schiena. Mi carezzò la nuca provocandomi una pioggia di brividi lungo tutta la spina dorsale. Le mie mani, come se possedessero volontà propria, si persero nei suoi capelli ramati setosi. Ricambiò il bacio in tutto e per tutto, prendendo persino l’iniziativa di approfondirlo. Come il primo giorno, le nostre lingue umide si accarezzarono ma, non più con timore, bensì con desiderio e frenesia. Le sue labbra erano morbide, succose. Edward mi morse con i denti quello inferiore un paio di volte, ma non mi fece assolutamente male.
Tanya tossicchiò richiamando la nostra attenzione. Mi allontanai di malavoglia dalla sua bocca. Le sue mani rimasero per un po’ ancorate alla mia schiena. «Grazie» Sussurrai a corto d’aria.
Edward sorrise obliquamente. «Peccato che tu non abbia voluto compagnia questa mattina nella vasca da bagno.»
Ridacchiai percependo solo adesso le guance andate in fiamme. «Peccato che tu non abbia insistito.»
Mi allontanai definitivamente da Edward con un sorriso vittorioso. La sua espressione sbigottita fu impareggiabile. Credeva realmente di essere più scaltro della sottoscritta?
 
- - -
 
Giunte all’atelier più famoso di Anchorage, una giovane donna in tailleur grigio, munita di cartellina e occhiali sottili molto simili a quelli indossati da molte segretarie, ci accolse con uno sguardo contrariato.
«Gianna!» la salutò Kate con entusiasmo.
«Finalmente siete arrivate.» Lanciò uno sguardo all’orologio alle nostre spalle. «Siete in ritardo di ben venti muniti. Su, ora sbrighiamoci. Abbiamo molto lavoro da fare.» Una commessa veloce ed efficiente.
Ci precedette convogliandoci in un’ampia sala molto luminosa: le pareti erano interamente sostituite da specchi; alcuni lati erano costeggiati da stand con abiti appesi. «La sposa andrà nell’altra stanza per provare l’abito.» Kate annuii con entusiasmo. Gianna le indicò la porta dalla quale uscì una donna bionda e formosa. «Salve ragazze. Bentornate. Io mi dedicherò interamente alla sposa. Kate, vogliamo iniziare? La sarta è già munita di spilli, ago e filo. Spero che tu non sia dimagrita.» Mia cugina, saltellando raggiunse la donna chiudendosi la porta alle spalle. Fuori una.
«Allora, eravate certamente al corrente che le damigelle devono essere minimo tre. Qui però, leggo i nomi solo delle sorelle Denali. Dov’è la terza?»
Ecco svelato il primo mistero: il motivo per cui ero stata nominata anch’io damigella. Due non bastavano.
Irina mi indicò con un dito, quasi con disprezzo. «E’ lei. Si chiama Isabella Swan. E’ nostra cugina.»
Gianna si sistemò gli occhiali guardandomi con occhi critico. «Ma è totalmente diversa da come me l’avete descritta.» Mi girò intorno scrutandomi da capo a piedi. «Sarà come minimo tre taglie in meno rispetto a quella che voi mi avevate detto.»
Lanciai un occhiataccia alle mie cugine. Osservavano la scena con un sorriso compiaciuto in viso. Che stronze!
«Comunque, credo di avere la taglia adatta.» Gianna batté un paio di volte le mani con fare sbrigativo. «Spogliati, così verifichiamo subito.»
Sospirai pesantemente. Avrei preferito mille volte fare shopping con Alice che subire volontariamente questa tortura ma, purtroppo, ero obbligata. «Dove posso cambiarmi?»
Gianna ridacchiò, al che una leggera irritazione mi sfiorò la pelle. «Qui naturalmente. Hai problemi? Siamo tutte donne.»
Era una congiura? Quasi certamente; non c’era altra spiegazione. Ero molto schiva sul mio corpo: non avevo un fisico da modella ma se credevano di intimidirmi in quel modo, si sbagliavano di grosso. Isabella Swan non si faceva intimorire da niente e nessuno. Avevano trovato pane per i loro denti.
Mi sfilai dapprima la camicetta, poi la gonna in jeans rimanendo quindi in abbigliamento intimo giallo coordinato, l’ennesimo regalo di Alice.
La signora Gianna mi si avvicinò con un vestito viola – quasi cipolla – tra le mani; mi scrutò nuovamente da capo a piedi. «Un fisico notevole, non c’è che dire. Forse supera anche il tuo Tanya, sai?»
Il mio petto, inconsciamente, si gonfiò compiaciuta da tale complimento. Ero uscita vincitrice da uno scontro tête à tête con Tanya. Da non credere. Ma la gratificazione durò poco, data la sfrontatezza delle mie cugine.
«Il seno è rifatto, si vede.»
Aggrottai la fronte infastidita. «Il mio seno non è rifatto.»
Gianna mi aiutò ad infilare lo strano abito dai piedi. «Tesoro, non c’è nulla di male ad ammetterlo.»
Con un occhiataccia incenerii cugine e non. «A differenza vostra sono contro la chirurgia estetica e il mio seno non è rifatto.» Ripetei con tono alquanto tagliente. Mi stavano accusando ingiustamente. Al diavolo le buone maniere! Gianna tirò su la cerniera del vestito. Guardai la mia immagine riflessa nella specchio con un certo disgusto: sembravo una di quelle bambole in porcellana abbigliate con succinte vesti colorate e pompose piene zeppe di fronzoli. Il vestito era senza spalline, stranamente privo di scollatura volgare; esso era costituito interamente da tulle e seta violacee cucite tra loro con balze voluminose e giungeva sin sotto i piedi – un vero attentato alla sottoscritta data la scarsità di equilibrio di cui ero dotata sin dalla nascita. 
«Non sapevo tu fossi fidanzata.» Esordì Tanya indossando lo stesso mio vestito.
«Le tue sorelle non ti hanno avvisata?» Domandai con finto stupore, rigirandomi su me stessa. Quel vestito era orrendo!
«Purtroppo ho perso il cellulare. Sai che io e Edward siamo stati insieme all’università?»
Irina spalancò la bocca sorpresa. La sorella probabilmente desiderò la medesima reazione da parte mia, ma velai la rabbia con un sorriso piuttosto tirato. «Tanya, so tutto di Edward.»
Lei sorrise in modo scaltro. «Sicuramente. Però mi sembra molto strano che tu abbia un fidanzato. Ho sentito zia Renée la settimana scorsa e non mi ha detto nulla in merito.»
Tanya era molto brava a minare la mia parvenza di pazienza. Mi agitai leggermente. Calma, Bella. «Mia madre non ne è al corrente.»
«Capisco.» Quel suo tono mostrò più consapevolezza di quanta volesse celare. «Non vedo l’ora di poter parlare con Edward e ricordare i bei vecchi tempi. Non è cambiato affatto. Spero che non sia cambiato anche in altre cose.» La sua irritante ed allusiva risata echeggiò nell’ampia sala; fu così acuta che ebbi il timore che potesse infrangere gli specchi. Trattenni l’impulso romperli io stessa con il suo viso strappandole i lunghi capelli biondi. Sapevo che l’arrivo di Tanya avrebbe comportato svariati problemi e questa ne era la prova. Mi avrebbe portato alla pazzia pur di sapere la verità tra Edward e me. Nella mia mente si insinuò un dubbio: quanto ancora sarei riuscita a sopportare?
 
- - -
 
Entrai nella camera sbattendo con forza la porta. Edward era sul nostro letto e sobbalzò spaventato da tale irruenza. «Ciao.»
Grugnii qualcosa di incomprensibile come risposta. Avevamo trascorso l’intera giornata in quella maledetta boutique tra vestiti, rifiniture, tulle e quant’altro di estremamente fastidioso noto al mondo. Naturalmente, io ero stata il loro bersaglio preferito: avevano parlato di me come se io non fossi presente e si accorgevano della mia presenza solo per pormi domande assurde. I loro discorsi erano sempre stati completamente incentrati su cose frivole, superficiali. Nonostante il vestito da damigella fosse già stato scelto da tempo, avevano avuto la brillante idea di  provare ugualmente tutti gli abiti presenti nell’Atelier.
Puro divertimento, a detta loro.
Pura disperazione, a detta mia.
Ero completamente sfinita.
«Pensavo che fossi tornata a Seattle a mia insaputa.» Continuò Edward.
Accidenti! Era un idea favolosa, peccato che non l’avevo proprio presa in considerazione. Lanciai la borsa sul letto.
Edward ridacchiò. «Ti sei divertita?»
Lo guardai trucemente. «Mi chiedi se mi sono divertita? Se mi sono divertita? Sono distrutta e non parlo solo a livello fisico. Vorrei frantumare qualcosa o avere un saccone da box a disposizione in questo momento.»
Edward mi scrutò con un sorriso beffardo. «Ho il timore che tu possa avere un eccesso di rabbia. Cosa ti hanno fatto?»
Sbuffai; mi tolsi le scarpe con le punte dei piedi lanciandole sul pavimento. «Cosa non hanno fatto, vorrai dire.» Sfilai il primo bottone dall’asola della camicetta. «Il vesto da damigella è orrendo. Sembro una cipolla o quei batuffoli di velo che contengono i confetti.» Ne sfilai altri due. «E’ lunghissimo pertanto al matrimonio cadrò.» Sfilai gli ultimi tre bottoni. «Ah, dimenticavo.» Mi tolsi la camicetta gettandola sul pavimento rimanendo in reggiseno. «Mi hanno accusata di essermi rifatta il seno. Loro sono siliconate da testa a piedi… e hanno avuto il coraggio barbaro di insinuare falsità sul mio conto.»
Edward mi fissava con un sopracciglio alzato e le braccia conserte. Alternava lo sguardo dal mio viso al mio petto. «Edward, mi stai ascoltando o cosa?»
Un sorrisetto spuntò sul suo viso. «A dir la verità, sto controllando. Sai, è vero, non sembrano reali: la grandezza è perfetta e sono tonde al punto giusto.»
Aggrottai la fronte. «E tu come fai a saperlo?»
Indicò la mia figura con la mano spostandola dall’alto verso il basso e viceversa. Curiosa, abbassai lo sguardo rendendomi finalmente conto di essermi spogliata ed esser rimasta in biancheria intima davanti ad Edward. Fortunatamente la gonna c’era ancora. Afferrai un guanciale e lo utilizzai per coprirmi il petto. Le mie guance si imporporarono all’inverosimile.
«Edward! Perché non mi hai detto niente?!»
«Ti stavi spogliando… non pensavo fossi incosciente in quel momento.» Lui rise di gusto gettandosi di schiena sul letto.
«Lo faccio con Alice, la maggior parte delle volte quando torno da lavoro, per questo non ci ho pensato.» Tentavo di giustificarmi e neanche io sapevo il motivo.
Edward sì alzò esibendo un sorriso da furbetto. «Il cognome è lo stesso.»
Gli lanciai con forza il guanciale che avevo tra le mani. «Peccato che il cervello sia diverso.»
Edward fermò il cuscino in tempo e mi scrutò da capo a piedi. «Il reggiseno a balconcino è quello che preferisco, sai? Ed è la prima volta che ti vedo con una minigonna di jeans.»
Solo allora mi resi conto del secondo errore: ero rimasta di nuovo in reggiseno davanti ai suoi occhi. Mi coprii con le braccia, tuttavia, con scarso risultato. «Sono imprevedibile e piena di sorprese.» Incedetti verso il bagno con le guance totalmente in fiamme. Addossai le spalle alla porta chiusa tirando un grosso sospiro. Fu maledettamente difficile trattenermi dal chiedergli se quello fosse un modello indossato da Tanya.


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SIAMO GIUNTI ALLA FINE.
SIETE PREOCCUPATI DI TANYA???? MUAAAAAAAH (RISATA LEGGERMENTE SADICA!)

[Il prossimo aggiornamento sarà sempre di AAA dato che ho aggiornato due volte consecutivamente AP... (ah, dimenticavo: grazie a tutti per il sostegno mostrato nell'ultimo capitolo)]

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7 SALVEEEEEE….
ECCOMI CON IL NUOVO CAPITOLO.
ALLORA… COSA DIRE OGGI?
PER PRIMA COSA RINGRAZIO CHI HA TANTO INSISTITO AFFINCHE’ AGGIORNASSI ENTRO BREVE (NON VI AMMAZZO, NON VI PREOCCUPATE. NON MI SONO AFFATTO OFFESA, L’HO PRESO IN SIMPATIA). RICORDO COMUNQUE CHE I MIEI CAPITOLI NON SONO AFFATTO PREPARATI… NON HO NEMMENO UNO SCHEMA O UNA BOZZA SU CUI BASARMI PERTANTO, OGNI VOLTA NON E’ FACILE CREARE IL TUTTO (PER QUESTO MOTIVO NECESSITO DI COSì TANTI GIORNI PER PUBBLICARE).
 
SONO FELICISSIMA CHE IL CAPITOLO SCORSO VI SIA PIACIUTO (PURTROPPO LA SCENA DELLO SPOGLIARELLO FINALE DI BELLA E’ REALE… NEL SENSO CHE IO L’HO FATTO DAVVERO… GETTIAMOCI UNA PIETRA SOPRA). ANCHE QUESTO, AHIME’, E’ DI 9 PAGINE ED E’ SOLO AL 50%... L’HO DIVISO (NON POTEVO CERTO PUBBLICARE 20 PAGINE ANCHE SE L’ALTRA META’ NON E’ ANCORA SCRITTA).
 
RINGRAZIO CHI HA INSERITO LA MIA STORIA TRA LE PREFERITE, SEGUITE, E CHI LEGGE SOLAMENTE.
 
ABBIAMO SUPERATO LE 100… VI RENDETE CONTO? PIU’ DI 100 PERSONE MI HANNO INSERITO TRA GLI AUTORI PREFERITI. SONO SENZA PAROLE… E SENZA FIATO. CERCHERO’ DI FARVI UN REGALINO… MMM… FATEMI PENSARE.
 
IMPORTANTISSIMO: ACCANTO A “STORIE SCELTE” HANNO INSERITO ANCHE “STORIE POPOLARI”. EBBENE SI’, AAA. E’ TRA LE 15 STORIE CON PIU’ RECENSIONI PER CAPITOLO E  QUESTO E’  SOLO GRAZIE A VOI…
SI VOI CHE AVETE COMMENTATO… CHE AVETE LASCIATO UN SEGNO… UN DOLCISSIMO SEGNO AL VOSTRO PASSAGGIO. GRAZIE INFINITAMENTE!!!
 
RINGRAZIO IL MIO NEURONE… AVEVO UN PROBLEMA CON QUESTA STORIA E L’HA RISOLTO IN UNA NOTTATA INSONNE (SCUSATE ME SE NON LO RINGRAZIO PUBBLICAMENTE SI OFFENDE)!!!!
 
 
DEDICO QUESTO CAPITOLO A:
@MIRYA
@JAZZINA_94
@13_FOREVER
@BELLA_KRISTEN
@ALICEUNDRALANDI
 
 
ANCHE OGGI HO TERMINATO CON IL MIO SPROLOQUIO.
VI LASCIO AL CAPITOLO.
 
PS: SIETE CONTENTE DELL’ARRIVO DI TANYA?? FARA’ QUALCHE DISPETTO? SI VEDRA’.
 
 


CAPITOLO 7
 

La doccia sortì un effetto alquanto positivo: il getto caldo funse da emolliente sul mio corpo teso come una corda di violino, facendo sì che perfino tutta l’irritazione accumulata nell’intera giornata, si dissolvesse come vapore acqueo disciogliendo del tutto le mie terminazioni nervose. Tuttavia, come di consueto, in seguito a quell’eclissi momentanea dei sensi, subentrò la spossatezza. Un ciclo divenuto ormai quotidiano nella mia vita a Seattle: rientro da lavoro, cena, doccia rilassante – in alternativa ad un bagno caldo -, e infine riposo. Di rado uscivo la sera; un po’ per noia, un po’ per compagnia. Indiscutibilmente adoravo Alice e Jasper – l’uno completava l’altro - ma non ero mai stata propensa ad essere il loro terzo incomodo; ero solo d’impiccio nonostante affermassero l’esatto contrario. Non mi ero mai resa realmente conto di quanto fosse monotona la mia vita; priva di sfaccettature e di attimi eclatanti.
Uscii dal bagno dopo ben quarantacinque minuti, complice di tale indugio la scelta del pigiama da indossare quella  stessa notte. Avevo optato per una sottoveste in pizzo nero, abbastanza lunga a dire il vero, con lievi aperture laterali e dolcemente trasparante sulle gambe e sul decolté. Probabilmente era fin troppo elegante e seducente per quell’occasione ma era l’unica decorosa presente nella valigia, successiva a quella in raso blu indossata nelle due notti precedenti.  [veste da notte]
Edward era sul letto matrimoniale in posa relax: ad occhi chiusi, con le mani dietro la testa, la schiena poggiata alla testiera e le gambe incrociate; sul suo viso c’era ancora quel sorriso strafottente e maledettamente sexy. Uditi i miei passi, aprì gli occhi puntando il suo sguardo nel mio. I suoi occhi si allargarono e con la bocca spalancata mi scrutò da capo a piedi carezzando ogni mia forma. Deglutì rumorosamente prima di parlare. «Nero?»
«Nero.» Concordai portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Un altro regalo di Alice.» Occupai il lato sinistro del letto abbandonandomi completamente alle mercé dei cuscini; i miei capelli si aprirono a ventaglio. Mi stiracchiai volgendo poi il capo nella sua direzione. «Almeno questa è più lunga, no?»
Edward annuii, deglutendo ancora una volta. Ridacchiai. «Hai perso la voce?»
Scosse il capo con un mezzo sorriso. «No, stavo solo pensando.»
Mi girai su un fianco; piegai un braccio poggiando il capo sul palmo della mia mano con un sorriso. «Ah, sì? E a cosa pensavi?»
Il verde dei suoi occhi in quell’istante parve ardere. «Che il nero ti dona quanto il blu.»
Il mio cuore perse alcuni battiti. Rimuginai sulle sue parole: il nero ti dona quanto il blu. L’avevo immaginato? Quella frase era davvero uscita dalle sue labbra? Forse voleva prendermi in giro, come il suo solito; non vedevo altra spiegazione. Non poteva pensarlo davvero. Nonostante ciò, percepii il sangue fluire velocemente sulle mie gote tingendole irrimediabilmente di rosso. Diressi il mio sguardo sulle lenzuola lattee disegnando sfaccettati ghirigori con le dita. Non ero abituata ai complimenti, specie da lui.
«V-voi ragazzi, invece? Co-cosa avete fatto?» Mormorai – rasentando un balbettio sconnesso- nel tentativo di stemperare quell’atmosfera imbarazzante venutasi a creare.
«Garrent ha provato lo smoking per il matrimonio.»
Ridacchiai adorando il suo volto designato da un sorriso. «Avete atteso molto?»
Scosse il capo. «No, è stato abbastanza veloce. Non è pignolo come…»
«Te?» Conclusi io per lui.
Mi rivolse un sguardo divertito. «Veramente volevo dire ‘come Alice’.» Un barlume di consapevolezza balenò nei suoi occhi. «Ehi! Io non sono pignolo.»
Dissentii, convinta più che mai. «Oh, sì invece.» Mi sedetti sul letto a gambe incrociate pronta ad esporre la mia tesi. «Impieghi più di venti minuti per sistemarti i capelli ma alla fine ci rinunci perché sai che sono indomabili» mi allungai scompigliandogli la chioma ribelle, erano morbidissimi. «Impieghi altri venti per la cravatta, quando la indossi: sciogli e rifai il nodo almeno cinque volte.» Portai una mano al mento con finto fare pensoso; poi, scoccai rumorosamente due dita. «Rimani impalato davanti al tuo armadio per più di mezzora per scegliere gli abiti da indossare. Tiri fuori prima i pantaloni, poi come minimo tre camice da poter abbinare.» Alzai una mano facendola roteare con ovvietà. «E dopo svariati minuti di contemplazione ti vesti.» Conclusi la mia arringa, pienamente soddisfatta con un sorriso vittorioso in viso. Solo allora mi accorsi dell’espressione del suo volto: era sbigottito e stranamente imbronciato. Avvicinai cautamente un mia mano alla sua fronte sfiorando con un polpastrello la sottile ruga tra le sopracciglia. «Questa si forma quando ti soffermi a riflettere su qualcosa.»
Mi prese delicatamente il polso costringendolo nella sua mano. «Come fai a sapere tutte queste cose?» Il suo sguardo era curioso, intenso e… tremendamente dolce.
Mi mordicchiai il labbro nervosa. «Sono una buona osservatrice.»
Aprì la bocca per replicare quando il mio cellulare squillò bloccandogli le parole sul nascere: avviso di un messaggio ricevuto. Allungai un braccio afferrandolo dal comodino.
Un sorriso spuntò sul mio viso al sol nome del mittente: Alice.
«Chi è?» Chiese Edward curioso.
«Tua sorella.»
 
Siete due fidanzati ingrati. E’ incedibile che io non abbia ricevuto neanche una telefonata da mio fratello, né da mia cognata. Ah, faremo i conti quanto tornerete a casa, vedrete!
 
«Cosa dice?»
Ridacchiai divertita. «Che siamo due ingrati perché non le abbiamo telefonato e al ritorno ci attende una lunga e stressante sfuriata alla Alice Cullen.»
«Ahia. Saranno dolori.» Scherzò Edward sogghignando. «E poi?»
Commentai il resto del messaggio ad alta voce. «Spera che ci stiamo comunque divertendo.» Lo guardai con un sorriso di sbieco. «Gentile da parte sua, non credi?» Il mio tono naturalmente fu ironico. Riposi nuovamente l’attenzione sul display del mio cellulare. «Questo è indirizzato a me: ‘Bella, ricordati che l’omicidio è un reato penale…’» Pensava forse che avrei messo del cianuro nei pasti delle mie cugine? Vero, quell’idea aveva sfiorato la mia mente, ma non l’avrei mai messa in atto. Non ero poi così cattiva.
Continuai a leggere. «’… e riferisci a Edward di non togl-‘» Mi fermai in tempo; per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Annaspai in cerca d’aria. Mi ripresi inspirando profondamente un paio di volte. Ma come le veniva in mente di scrivere certe cose?!
«Allora?» Mi incitò Edward con un sopracciglio inarcato. «Cosa non dovrei fare?»
Deglutii rumorosamente. «N-nulla di importante.»
Edward s’avvicinò di qualche centimetro. «Bella…»
«Sul serio, non è nulla di importante. Non mi credi? » Mi alzai dal letto lottando invano con i tasti del cellulare.
«No, non ti credo. Finisci di leggere il messaggio?» Gattonò invadendo il mio lato del letto matrimoniale. Mi portai il telefonino dietro la schiena. «Assolutamente no.»
Un sorriso furbo, alquanto inquietante, spuntò sul suo viso. «Okay. Vuol dire che mi prendo direttamente il cellulare.»
Gli puntai un dito contro spostandomi quatta lateralmente. «Non ci provare.»
Scattò velocemente in piedi e nel mentre aggirai il letto ritrovandomi al lato opposto. «Sai che prima o poi ti acchiappo, vero?»
Alzai la mano con il cellulare verso l’alto. «Lo cancello.»
Fece qualche passo nella mia direzione. «Stai fermo lì altrimenti lo cancello.» Lo avrei già volentieri cancellato dal primo momento che lo avevo letto, se solo fossi riuscita a pigiare i tasti giusti: le apparecchiature elettroniche mi odiavano. Fece altri piccoli passi e si fermò alzando due dita della sua mano. «Sono magnanimo. Ti offro due possibilità: uno, mi consegni il cellulare di tua spontanea volontà e non ti faccio nulla; due…»
«La numero uno non mi piace.» Dichiarai con un broncio. Mi trattenni dal ridergli in faccia: la situazione era divertente e non potevo certo esimermi dal stuzzicarlo, no?
«Fidati… neanche la due ti piace.» Fece un altro passo nella mia direzione.
Alzai la mano verso l’alto. «La terza però sì.»
Sogghignò disinibito. «Non mi sembra di aver detto che ci fosse anche una terza.»
Feci un passetto verso il letto combattendo ancora con i tasti del cellulare dietro la mia schiena. «Certo che c’è.» Chiusi la mano a pugno mostrando solo tre dita. «Tre: lo cancello subito e facciamo finta di niente.»
«Non sai contrattare, lo sai?» Altro passo e ghigno di Edward. «Facciamo così. Conto fino a tre. Allo scadere del tempo se non vieni tu, vengo io»
Mi imbronciai incrociando le braccia al petto. «Questo è un ricatto bello e buono. Non mi piace.»
«Uno…»
Mi avvicinai ancora al letto. «Possiamo provare a contrattare di nuovo?»
«Due…»
«Edward, è un messaggio stupido… sai com’è tua sorella…»
«Due e mezzo…» Quei numeri mi davano alla testa e generavano adrenalina nel mio corpo. Un volta sfiorato il letto con il polpaccio, mi impuntai assumendo un’aria testarda. «E’ inutile. Non te lo consegno.»
Un sorriso vittorioso comparve sul viso del mio bellissimo rivale. «Okay, vengo io.»
Salii con i piedi sul letto sormontandolo, pedinata da Edward. Gli girai ancora una volta attorno salendoci nuovamente sopra. Correvo, per quanto mi fosse permesso nella stanza, e ridevo: era inconcepibile il mio comportamento… ma mi stavo divertendo, fin troppo per smettere. Dopo il terzo giro compreso di arrampicata, Edward mi raggiunse cingendomi di scatto la vita con le sue braccia. Cademmo entrambi a peso morto sul letto. Alzai la mano col tentativo di allontanare il cellulare da Edward ma fu totalmente inutile perché mi prese i polsi bloccandoli con una mano sola al di là della mia testa. Con le gambe calciai cercando di liberarmi ma Edward mi sovrastò impedendomi ogni sorta di movimento. Soffiai indispettita sul suo viso come una bambina.
«Non puoi più muoverti.» Dichiarò vittorioso e sorridente. Accidenti, era bello anche nei momenti in cui mi sconfiggeva.
Con l’altra mano prese il mio cellulare e lesse il restante del messaggio: «’… riferisci a Edward di non toglierti l’intimo con i denti perché sono capi delicati di alta sartoria. Si rovinano!’»
Le mie guance si tinsero nuovamente di un rosso brillante. Maledetta Alice!
Edward gettò il telefonino sul materasso. «Mmm… sai che non ci avevo pensato?» Liberò le mie mani dalla sua stretta; le sue, le puntellò sul materasso in prossimità delle mie tempie. Il suo calore era piacevole a contatto con il mio corpo e il suo profumo muschiato era maledettamente seducente.
«A cosa?» Mormorai frastornata dalle molteplici sensazioni.
Chinò il capo sulla destra sino a trovarsi con le labbra in prossimità del mio orecchio. «A utilizzare i denti» Un potente brivido mi scosse totalmente il corpo. Mi venne la pelle d’oca. In una frazione di secondo la ragione si spense dando libero sfogo alla fantasia. Per quale assurdo motivo avvertivo l’irrefrenabile bisogno di sentire i suoi denti e le sue labbra sulla mia pelle? Era un’idea folle e… piacevole, fin troppo allettante. Volevo perdere la via del ritorno e volevo farlo con lui. I suoi capelli ramati solleticavano la mia guancia; sprigionavano un odore tale da inebriarmi totalmente i sensi. La mia mente era offuscata da una fitta nebbia privandomi perfino di una parvenza di lucidità. Le mie mani erano ormai libere, riuscivo persino a muovere le gambe: potevo sfuggire ma… non volevo farlo, non volevo allontanarmi da lui.
Alzò il capo ritrovandosi ad una spanna dal mio viso. Le sue labbra erano dischiuse, come le mie d’altronde; i nostri respiri erano mischiati in quella misera area a dividerci. «Ti avevo già detto che è pericoloso sfidarmi, no?»
D’istinto le mie mani si poggiarono sulle sue coste: una scarica elettrica mi pervase la pelle. Avvertii il calore della sua pelle e la consistenza del suo busto tramite la sua maglietta. Presi perfino in considerazione l’idea di spogliarlo.
«Può darsi. Devo subire delle conseguenze?» Mormorai con tono fin troppo seducente. Lo stavo provocando e ne ero maledettamente consapevole; non potevo e non volevo farne a meno. Le punte dei nostri nasi si sfiorarono appena. Volevo saggiare ancora una volta la sue labbra, quel sapore che era migliore di quanto io stesso avessi in precedenza immaginato. Ma volevo che ciò accadesse perché desiderato e non dovuto a causa della presenza della mie cugine.
«Mi spiace, credo proprio di sì.» Soffiò sulla mia bocca. L’intensità dei suoi occhi mi inchiodò all’istante facendomi irrimediabilmente vibrare di desiderio.
Forse non ero l’unica a percepire quella sfrenata cupidigia che sentivo crescere ad ogni frazione di secondo.
Forse desiderava me un briciolo di quanto io stessa desideravo lui.
Forse era solo una mia impressione e mi stavo illudendo, ancora una volta.
Troppi forse, poche certezze. Eppure… le sue labbra erano così prossime alle mie da farmi credere l’opposto, quantomeno in parte.
«EDWARD!»
La porta si spalancò rivelando un’oca starnazzate a corto di fiato: Irina. Il mio fidanzato non si scompose; mi rivolse un mezzo sorriso. «Non hai chiuso la porta a chiave, vero?»
Accidenti alla mia continua disattenzione!
Volsi il capo verso mia cugina. Ridacchiai notando la sua postura: pupille un po' dilatate dallo stupore, bocca imbronciata da evidente gelosia con labbro superiore leggermente vibrante, mani ancorate in vita costrette dalla rabbia.
«Vi ho disturbato?»
Crucciai il viso. Decisamente…
«Concordo con te» Sussurrò Edward guardandomi intensamente con quel suo solito sorriso sghembo, rispondendo a ciò che avevo pensato, come se mi avesse letto nella mente.
«Dimmi, Irina.» Chiese, ancora sdraiato su di me. Poggiò una mano sul mio fianco lisciandolo con le dita, facendomi inevitabilmente fremere di desiderio.
Smettila Edward…
«Kate si è tagliata un dito. Siamo preoccupate; il taglio ci sembra profondo. Potresti venire a darle un’occhiata?» Sporse il labbro inferiore in avanti cercando di intenerirlo. Davvero cercava di abbindolarlo in quel modo?
«Vengo subito.» Rispose Edward con tono gentile. All’istante s’alzò dal letto liberandomi dal suo peso. Mi puntò un dito contro con un sorriso malizioso, prima di uscire definitivamente dalla stanza. «Non ti addormentare… non ho ancora finito con te.»
Una volta che fu fuori, tirai un grosso respiro a pieni polmoni. Mi passai una mano tra i capelli; con l’altra mi sfiorai le guance: erano calde e quasi certamente arrossate. Chiusi gli occhi e inevitabilmente un sorriso spuntò sul mio volto generato da quell’assurda felicità momentanea.
…Edward…
 
 
Percepii un persistente ticchettio leggero e ovattato. Non sapevo precisamente da dove provenisse, ma risuonava nella mia testa ed era alquanto irritante. Serrai gli occhi stringendo il cuscino con veemenza. Li schiusi lentamente: prima un occhio, poi l’altro. Notai la figura di Edward semisdraiata al mio fianco intento con un libro tra le mani.
«Ciao.» Biascicai in un sbadiglio sonoro.
Volse di scatto il capo nella mia direzione. «Ciao. Ti sei svegliata, finalmente.»
Mi strofinai le palpebre con il dorso della mano. «E’ tardi?»
Rise leggermente. «No. Ma credevo sinceramente che non smettessi più di russare.»
«Ehi! Io non russo.» Mi lamentai flebilmente. Ed era vero: a volte parlavo nel sonno; ma non avevo mai russato. Tastai il materasso accorgendomi solo allora di ritrovarmi sul lato destro. Sorse un terrificante dubbio: lo avevo sormontato anche quella notte? «Come mai, mi trovo in questo lato del letto?»
Edward chiuse il libro posandolo sul comodino di fianco. «Quando sono tornato eri lì, già nel mondo dei sogni. Non ti ho voluta svegliare.»
Accidenti! Edward mi aveva detto non di addormentarmi prima di uscire dalla nostra stanza, ed io - seppur inconsciamente - lo avevo fatto.
Brava Bella, i miei complimenti.
«Quindi non mi sono avvinghiata a te durante la notte?»
Scosse il capo con un sorriso divertito. «Stranamente no. Hai preferito il cuscino a me. Poi te l’ho detto: russavi»
Con un movimento veloce, lo colpii sul petto con il guanciale. «Non russo.»
Poi, improvvisamente sovvenne un’atroce consapevolezza: la notte ero in uno stato d’incoscienza e non potevo davvero sapere se russavo. Guardai nuovamente Edward con preoccupazione. «Davvero russo?»
Alla mia domanda esplose in una fragorosa risata deridendomi di proposito. Mi aveva preso in giro. Che brutto imbroglione! Gli scagliai il cuscino addosso più e più volse ottenendo da parte sua solo altre risate. D’improvviso, sentii nuovamente quei colpi fastidiosi giungere dall’esterno. «Cos’è questo rumore?»
Si riprese inspirando profondamente celando un’ulteriore risata con un colpo di tosse. «Stanno ricoprendo una parte del giardino con delle assi in legno. Ho notato anche un gazebo bianco. Faranno qui il matrimonio?»
Mi strinsi nella spalle ignare sulle decisione prese dalle mie cugine. «Come si è tagliata Kate?» Domandai più per curiosità che per reale preoccupazione.
«Con le forbici.»
«Era profondo?»
Mi fissò con uno sguardo eloquente, come se io già dovessi sapere la risposta. «E’ uscita solo una goccia di sangue. Il taglio non era neanche mezzo centimetro.»
Ridacchiai. Aveva ragione! La risposta era alquanto ovvia. C’era da aspettarselo. Dei colpi alla porta mi fecero quasi sobbalzare. «Vado io.» Mi alzai dal letto – rischiando perfino di ruzzolare sul pavimento - giungendo alla porta sana per miracolo. La spalancai ritrovandomi il mio ex ragazzo sull’uscio della stanza. Mike mi guardò con un sopracciglio alzato, nulla a che vedere col gesto abituale di Edward. «Scusa, pensavo fosse la stanza di Irina.» Mi squadrò da capo a piedi sgranando gli occhi quasi fuori dalla orbite. Solo allora mi accorsi di avere indosso ancora la succinta veste nera presumibilmente da notte. Quel suo sguardo, pressoché insistente mi infastidì leggermente: sembrava quasi affamato;non mi aveva mai guardata in quel modo, o almeno non da quello che ricordavo. Tanya non nutriva il suo cagnolino? Di per sé, il mio risentimento non era nei confronti di Mike, ma della sua padrona. Purtroppo li riversavo anche sulla sua persona; un po’ questo mi dispiacque.
«La stanza di Irina e quella in fondo al corridoio.» Mormorai, risolutiva.
«Oh!» Mike deglutì a vuoto come se non avesse ascoltato affatto ciò che avevo appena detto. «Accidenti! Non avrei mai creduto che… Bella sei…»
Due braccia calde e rassicuranti mi circondarono la vita. Percepii direttamente il calore della pelle di Edward sulle mia pelle scoperta. Inaspettatamente, mi baciò una spalla scoperta alzandomi la sottile spallina casualmente scivolata sul braccio. La mia pelle vibrò a contatto con le sue labbra. «…incredibilmente bella, non trovi?» Concluse al posto suo, con tono vigoroso.
Mi abbandonai sul petto di Edward, facendomi cullare dalle sue parole. Era assodato: come fidanzato era a dir poco perfetto ed io ero totalmente succube di lui.
Sia fatta Santa Alice Cullen. 
Mike grugnì qualche monosillabo in risposta e si diresse verso la stanza precedentemente da me, indicatagli. Chiusi la porta, espirando profondamente. Edward mi lasciò la vita avvicinandosi poi alla sua valigia.
«Grazie.» Mormorai riconoscente.
Mi sorrise dolcemente. «Sai, quell’Einstein non mi piace.»
Ridacchiai divertita. «Newton.»
Si rizzò tenendo tra le mani gli indumenti da indossare. «Cosa?»
«Si chiama Newton.»
Arcuò un sopracciglio: sì, indubbiamente quel gesto apparteneva solo ed esclusivamente ad Edward. «Newton, Einstein… non mi piace lo stesso.» Mike aveva talento in questo: si faceva odiare da tutti (compreso Charile), perfino dal mio attuale fidanzato, seppur questo fosse comunque finto.
 
***
 
Edward era in bagno. Beato lui! Io invece, sorbivo, sull’uscio della mia camera da letto, lo sproloquio senza fine delle sorelle Denali  sull’ “allettante” programma del giorno: cura del corpo.
«… dobbiamo andare al centro estetico per la manicure, pedicure… poi dal parrucchiere…»
Probabilmente le avrei suggerito una cura per la mente, ma sapevo ormai da tempo che non c’era modo di intervenire. Sogghignai come una perfetta scema, della mia stessa battuta mentale. In compenso, ricevetti ben tre sguardi incuriositi, uno perfino infastidito.
«Scusate, dato che non ho bisogno di queste cose… potrei esservi utile in qualcosa di più costruttivo?» Le avevo già sopportate l’intera giornata precedente alla sartoria; non avrei resistito anche quell’oggi.
«Giusto. I trattamenti con te sarebbero sprecati.»
A causa della mia inestimabile bellezza e perfezione cutanea? No, probabilmente il motivo era esattamente l’opposto, nonostante la mia fosse una constatazione autoironica. A quanto pareva, non ero l’unica a fare pensieri maligni sulle cugine. Quindi non si creavano sensi di colpa: la cosa era reciproca.
«Una cosa la potresti fare, sai?» Esordì Kate con tono stranamente amichevole scambiandosi uno sguardo eloquente con Tanya. «Potresti andare a ritirare le fedi nuziali alla gioielleria.»
«Perfetto.» Dichiarai con un sorriso stranamente sincero.
Tutto, tranne la loro compagnia.
«A dopo, allora.» Si dileguarono muovendo le anche da una parte all’altra. In quel momento compresi il motivo per cui non vi fossero presenti tavolini con vasi preziosi nei corridoi: avrebbero rischiato di cadere ad ogni loro passata.
Entrai in camera chiudendomi la porta alle spalle. Iniziai a rassettare la stanza.
Stavo rifacendo il letto matrimoniale, quando squillò il telefono a rete fissa posto su un mobile in ciliegio accanto alla grande vetrata. Strano, non aveva mai suonato. Alzai la cornetta. «Pronto?»
«Isabella, sono Tanya. C’è una chiamata per te.» Chi poteva mai telefonarmi in Alaska? Mi venne in mente solo un nome: Charlie.
«Scendo subito.» Risposi con vivacità, felice di poter sentire mio padre.
«Non ce n’è bisogno. Puoi rispondere anche con quello; ti passo io la telefonata. Riattacca e schiaccia l’ultimo tasto verde in basso, sulla destra.»
Il tono di mia cugina era stato stranamente gentile e cordiale, come se in fondo tramasse qualcosa di losco.
«Grazie.» Risposi con una certa titubanza.
«Per te questo ed altro, cuginetta.» Chiuse la connessione lasciandomi basita. Cuginetta? Cosa diamine aveva in mente?
Riposi la cornetta e pigiai il tastino verde del telefono. Una voce squillante tutt’altro che maschile proruppe dall’apparecchio propagandosi in tutta la stanza. «Bella? Bella, tesoro ci sei?»
Mia madre! E quello era il tasto per il vivavoce. Brutta megera di una cugina! Pigiai frettolosamente, svariate volte, il tasto verde con scarso risultato. Probabilmente era difettato. «Bella? Bella?»
«Ciao mamma.» Risposi con un sbuffo. Edward uscì dal bagno intanto che si strofinava i capelli con un asciugamano. Gli feci segno di tacere poggiandomi il dito indice sulla bocca.
«Oh, tesoro finalmente. Da quanto tempo non ci sentiamo. Come stai, piccola?» Renée mi telefonava di rado, all’incirca una volta al mese. Quella telefonata risultava ovviamente strana: ci eravamo già sentite a luglio. «Sto bene mamma.»
La sua risata impertinente risuonò nell’aria. «Non ne dubito.»
Il suo comportamento era schivo e alludente. La conoscevo: mi stava nascondendo qualcosa. «Mamma, perché questa chiamata?»
«Ma non sono stata io a telefonare. L’ha fatto tua cugina, Tanya. Che cara ragazza. Mi ha invitata di nuovo al matrimonio, ha insistito così tanto, quasi da implorarmi… ma, tu lo sai tesoro che non posso muovermi. Phil ha un importantissima partita di baseball e devo stargli accanto. Non posso lasciarlo solo.»
Che cugina infame! Lo sapevo che dietro a quel tono gentile di Tanya ci fosse qualcosa di vile. Mi limitai a sbuffare. Edward mi guardò con un sorriso di rassegnazione. Si sedette sul bordo del letto intento ad ascoltare la nostra conversazione in religioso silenzio.
«Bella.» Serrai le palpebre. No, quel tono no. Renèe riprese a parlare. «Possibile che io debba venire a conoscenza da tua cugina che sei fidanzata? E che lui è con te al matrimonio?»
Tanya era un’emerita stronza! Questa me l’avrebbe pagata cara!
Mi mordicchiai nervosa il labbro inferiore. «Te lo avrei detto in un secondo momento.»
«Sei tornata con Mike? Quel ragazzo mi è sempre piaciuto, ti aveva anche…»
«A me no» Sbottai infervorata bloccandole quelle parole indesiderate. Edward poggiò il capo sulla mano, il braccio puntellato sulla sua coscia. Mi osservava con un sopracciglio alzato.
«Allora è uno nuovo! Chi è? Come si chiama? Che lavoro fa?»
Sospirai pesantemente con rassegnazione. Ero in trappola: mia madre avrebbe insistito finché non le avessi rivelato il nome del mio nuovo fidanzato. «E’… è Edward, mamma. Edward Cullen.»
Udii un gridolino di stupore. «Il fratello di Alice? Il ragazzo da urlo con i capelli rossi?»
«Sono ramati, non rossi.» rispose Edward accigliandosi contrariato.
Mi gettai le mani sulla faccia. Cielo! Era giunta la nostra fine.
«Edward, sei tu? Oh… che bella voce. Così sensuale. Piacere io sono la mamma di Bella. Puoi chiamarmi Renée.»
Ci mancavano solo le presentazione via telefono.
«Piacere mio, Renée.» Rispose il mio ragazzo con disinvoltura.
Dovevo assolutamente mettere in chiaro un particolare. «Mamma, tu non vieni al matrimonio vero?»
«Tesoro, lo sai che per me il matrimonio all’età vostra è un oltraggio alla gioventù.»
Sospirai di sollievo appoggiandomi al mobile. Un problema in meno. Le volevo bene, su questo non c’era alcun dubbio, ma con lei in circolazione tutto sembrava più difficile. «Bella, mi stavo chiedendo… quando termina il matrimonio, non puoi venire qui in Florida con il tuo fidanzato a trovare la tua vecchia mammina?»
Si dichiarava vecchia solo quando le faceva comodo. Assolutamente no! «Mamma, mi spiace ma non posso. Devo tornare subito a lavoro.» In parte, ero vero. Edward mi guardò con uno strano sorriso. Mi sforzai perfino di ricambiare con scarso risultato; al termine di questi giorni, purtroppo, ognuno sarebbe tornato alla propria vecchia vita. Accantonai questi mesti pensieri; non era il momento adatto per crogiolarsi in quelle elucubrazioni mentali.
«Va bene.» Concluse Renèe con voce mesta. Quel tono con me non attaccava; i nostri ruoli erano ormai da  troppo tempo invertiti e quando voleva qualcosa piagnucolava, nello stesso modo in cui una bimba lo fa con la propria madre allo scopo di ottenere la bambola tanto desiderata. «Però vi aspetto a Natale.»
Appunto. Possibile che dovesse sempre trovare una soluzione a sua vantaggio?  
«D’accordo, mamma. Però, ora devo andare. Devo fare molte commissioni.»
«Allora, ti lascio andare tesoro. Salutami Edward. Ti voglio bene.» Gracchiò dall’apparecchio telefonico.
«Anch’io te ne voglio.» Riattaccai ponendo fine a quell’inaspettata telefonata.
Quello era il primo  tiro mancino di Tanya.
 
- - -
Poco dopo, scendemmo al piano inferiore. Entrammo nella cucina scoprendola del tutto vuota. Le care cugine erano andate al salone di bellezza. Inspirai profondamente godendo appieno di quella pace momentanea. Probabilmente avrei perfino vissuto in quella casa senza loro. Era molto spaziosa e l’arredamento mi piaceva; particolarmente sofisticato e moderno. 
Notai un foglietto bianco sul tavolo da pranzo fermato con un paio di chiavi. Edward le prese tra le sue mani; le osservò con attenzione e gli sfuggì una risatina divertita. «Queste chiavi mi ricordano qualcosa.»
«Qui invece c’è l’indirizzo della gioielleria. Dobbiamo ritirare le fedi nuziali.»
Risposi dopo aver letto ciò che c’era scritto del post-it. «E dice anche che possiamo utilizzare il mezzo di trasporto che c’è nel garage»
Edward strinse le chiavi in una mano. «Andiamo, micetta
 
 



SECONDO VOI DI QUALE MEZZO SI TRATTA??? MUAAAAAAAAH….

ALLA PROSSIMA, CARE!!!
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


8 SALVE A TUTTI.
ALLORA… (OGGI SONO PRIVA DI PAROLE, SARA’ IL LEGGERO MAL DI TESTA).
IN QUESTO CAPITOLO VEDREMO COSA CENTRANO LE FEDI… E SOPRATTUTTO LO SPOILER E IL TEASER CHE HO LASCIATO SUL BLOG.
PER QUANTO RIGUARDA IL MEZZO… SOLO UNA DI VOI SI E’ AVVICINATA (brava Irenucciola Cullen!!!). VEDRETE, VEDRETE COSA HA IN MENTE SAM.
 
RINGRAZIO COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE PREFERITE, SEGUITE E… ME TRA GLI AUTORI PREFERITI.
RINGRAZIO I 48 ANGELI CHE HANNO COMMENTATO (leggo i vostri commenti sempre con un sorriso sulle labbra… siete divertenti, spontanee e tremendamente simpatiche. Ahimè, faccio così tanti errori che spesso non me ne accorgo; un immenso grazie anche a chi mi corregge. Grazie di cuore a tutti.)
 
 
AVVISO PER AMORE PLATONICO: IL CAPITOLO E’ IN FASE DI SCRITTURA. SCUSATE QUESTA PAUSA PROLUNGATA MA DOPO IL “BACIO”… NON AVEVO NULLA DI PROGRAMMATO. ED HO CREATO UNA SCALETTA PER ORDINARE LE IDEE. SCUSATE ANCORA.
 
 
 
DEDICO QUESTO CAPITOLO A: LUISINA, BIGIA E LAU_TWLILGHT che mi spronano continuamente. Senza voi sarei persa.
UN ABBRACCIO SPECIALE A MICHI88.
 
 




CAPITOLO 8
 

Quella mattina l’aria era frizzante e piacevolmente fresca. Non vi erano nuvole nel cielo; i raggi del sole sfioravano la mia pelle con delicatezza sprigionando un fievole calore. Scioccamente, avevo accettato l’alternativa al centro estetico senza pensare alle possibili conseguenze. Eppure, avevo già avuto l’esperienza in merito: il negozio “NOT ONLY WEDDING” n’era stata la prova fin troppo tangibile. Ma solo l’idea di restare sola, in loro compagnia, con degli strani miscugli appiccati sul viso e vari prodotti applicati sui capelli… mi faceva inorridire quasi di puro terrore. Tramavano segretamente qualcosa, ne ero sicura ma era un impresa titanica scoprire il loro intento. Pertanto l’unica soluzione plausibile, era di predisporsi, perlomeno mentalmente, così da prevenire un’ipotetica crisi isterica. 
Edward sollevò l’imposta in ferro del garage. Spalancai la bocca sconcertata. L’unico mezzo di trasporto nell’interno era una Vespa 125 bianca. Era un vecchio modello dal colore sbiadito; presumibilmente, poteva avere la mia stessa età, e il che era tutto dire. Tentavo di trovare una spiegazione a quel piccolo problema: probabilmente le chiavi non erano per noi; era un’idea pressoché assurda guidare quel ‘coso’ a due ruote. Edward s’avvicinò ed infilò la chiave nel nottolino della Vespa; con uno scatto rumoroso entrò perfettamente come a confermare i miei timori. «L’ultima volta che ho guidato uno scooter avevo diciotto anni.»
Strabuzzai gli occhi. «Io non salgo su quel coso.» Dichiarai con tono deciso. Le ruote non sembravano così sicure da reggere una persona, figuriamoci due! Era un suicidio vero e proprio.
Edward montò lo scooter; con qualche sbuffo il motore prese vita. «Il carburante c’è.» Mi guardò con un sorriso quasi elettrizzato. «Può essere divertente.»
Scossi il capo. «No. No e ancora no.»
«Però sei salita sulla bicicletta elettrica nel centro commerciale.» Mi sbeffeggiò avvicinandosi con quell’ammasso di ferraglia.
«Appunto. Eravamo in luogo chiuso. Non ti terrorizza l’idea di guidare una Vespa malridotta in mezzo al traffico?»
Mi sorrise. «Se devo essere sincero, no.» Puntò quello sguardo verde nei miei occhi con un intensità da far vacillare le mie gambe. «Non ti fidi di me?»
Sbuffai alzando gli occhi verso l’alto. «Non si tratta di fiducia.»
Costrinse il mio mento fra due dita ravvicinando il mio viso al suo. «Bella, ti fidi di me?»
Mi morsi il labbro inferiore. «Mmm…»
Storse il labbro sensualmente. «Dovrei offendermi?» Afferrò una mia mano. Il calore che ne scaturì fu qualcosa di estremamente travolgente e piacevole. «Su fifona, sali. Ti ricordo che sono un dottore.»
Montai la Vespa, con totale rassegnazione, cingendogli il busto con veemenza. «E questo dovrebbe rassicurarmi?»
Lo sentii ridacchiare. «Forse.»
Uscì speditamente - per quanto la Vespa potesse permettere - dal garage. Fortunatamente, le strade non erano sovraffollate di auto: un problema in meno. Raggiungemmo perfino i sessanta chilometri orari; un vero e proprio record dato il mio scetticismo. Edward destreggiò il manubrio, al primo momento con un po’ di tentennamento poi, con agilità divincolandosi tra le poche auto come una biscia. I miei gridolini di paura lo divertivano tanto che slittava molto spesso
di proposito. Fu maledettamente difficile indicargli le vie da percorrere per giungere alla gioielleria. Ero avvinghiata al suo busto: il mio petto aderiva totalmente alla sua atletica schiena, quasi certamente percepiva la forte pressione del mio seno; con le dita gli sfioravo gli addominali e la loro consistenza era ben lungi da ciò che la mia mente aveva immaginato. In una mano stringevo il foglio con le indicazioni tutt’altro che facili da leggere. Temevo che se avessi fatto un movimento, seppure minimo, la Vespa avrebbe sbandato; per cui, l’unico mio compito, era quello di stendere il foglio affinché lui potesse lanciarvi una fugace occhiata. E quando questa indugiava più del dovuto con l’unico scopo di farmi agitare, gli pizzicavo l’addome. In compenso? Una risata da parte sua, un senso di frustrazione e frenesia da parte mia. A causa del vento, i lembi della camicia – l’intermezzo da un bottone all’altro – si aprivano; lo percepivo sotto il palmo della mia mano e molte volte mi trattenni dall’intrufolare le dita allo scopo di carezzare con i polpastrelli la sua pelle e verificarne la morbida consistenza. Sembravo una bambina intenta a raggiungere in tutti i modi possibili ed immaginabili la scatola di biscotti al cioccolato posta appunta in alto dalla mamma per non poter essere afferrata da una piccola golosa. Perché io purtroppo ero golosa. Ma non di biscotti al cioccolato, bensì di lui.  
Giungemmo dopo svariati minuti alla gioielleria – le indicazione erano tutt’altro che chiare (c’era da aspettarselo!). Stentavo a credere di essere giunti a destinazione. Ero ancora avvinghiata al suo corpo e non volevo separarmi per nessun motivo. Edward spense il motore. «E’ impossibile che il tuo seno sia rifatto.» Dichiarò improvvisamente. «E’ troppo morbido.»
Finsi di ignorare la sua frase solo per via del tremore che si era impossessato del mio corpo; con un’esplicabile tentennamento, dovuto sia alla vicinanza che alla paura, discesi dalla Vespa poggiando sull’asfalto prima un piede, poi l’altro. Le gambe mi tremavano; non ero abituata ai mezzi a due ruote, neanche se questi superavano a malapena i cinquanta chilometri orari. Odiavo perfino correre in bicicletta, forse per paura di cadere; era una vera e propria fobia! E questo naturalmente le sorelle Denali lo sapevano. Più i giorni in Alaska andavano avanti, e più comprendevo la loro perfidia nei miei confronti. Ma ormai ci avevo fatto l’abitudine e come di consueto, cadevo sempre nel loro tranello. Ma l’indifferenza è il maggior disprezzo, naturalmente finché la pazienza lo permette. Ora, questa viaggiava sul filo del rasoio pronta ad essere recisa da un momento all’altro, e quando ciò fosse accaduto avrei messo in atto la mia vendetta ancora, per adesso, in fase astratta di creazione. Non ero mai stata una persona vendicativa, ma la vita riserva molte sorprese.
«Non hai risposto, è strano.» Edward, percepito il mio tremore, mi tenne per la vita in una morsa salda. «Ti gira la testa?» Annuii impercettibilmente socchiudendo lievemente gli occhi. Non avevo fatto neanche colazione, il che non giovava affatto al mio stato fisico attuale. Edward mi spinse delicatamente all’indietro finché non mi appoggiai sulla sella in pelle di quella maledetta Vespa. «Le due ruote non ti piacciono, vero?»
«No.» Biascicai atona. Mi sfiorò la fronte con il dorso della sua mano; era stranamente fredda - forse a causa della vento che aveva sferzato sulla pelle quando eravamo in movimento – e mi diede all’istante un po’ di sollievo. «Va meglio?»
Aprii gli occhi ritrovandomelo a pochi centimetri dal mio viso. Le mie guance inevitabilmente si imporporarono. «Sì, grazie.» Un brontolio piuttosto rumoroso giunse dal mio stomaco. Maledetta fame! Edward lanciò un occhiata alle mie spalle. Un sorriso spuntò sul suo viso. «Hai voglia di fare colazione?»
Incredibile! Mi aveva letto nel pensiero.
 
- - -
 
Sedevamo ai tavolini del bar proprio di fronte alla gioielleria. Fortunatamente il clima ci permise comodamente di occupare quelli esterni. Il cameriere, in breve tempo, venne con le nostre ordinazioni: caffè per Edward, cappuccino per me. Alla vista della spuma di latte, la mia età inesorabilmente si dimezzava. Amavo quella schiuma bianca e corposa cosparsa leggermente di cacao.
«In questo momento somigli molto ad Alice quando vede il gelato al limone. Entrambe golose.» Esordì Edward con ghigno.
Gli feci la linguaccia non riuscendo comunque a trattenere un sorriso. Ridacchiò. «Molto maturo.»
Indugiai qualche attimo con la tazza calda tra le mani. «Edward, ricordi in quanto tempo ti spazzolasti l’intera torta al cioccolato?»
Mi portai la tazza alle labbra bevendone un piccolo sorso per saggiarne l’iniziale gusto. «Tu non sei goloso, vero?» Ricordavo perfettamente la fine di quella povera torta: l’aveva divorata in meno di un’ora. Bevvi di nuovo, però con più voracità. Il latte caldo mischiato al caffè scese caldo lungo la gola; sulle labbra percepii la consistenza morbida della schiuma al latte. Era buonissima.
«Ma quella era una signora torta.» Rispose con finto tono indispettito.
Poggiai la tazza sul piattino. «E questo è un cappuccino. La schiuma è la parte migliore.»
«La schiuma…» Mormorò pensieroso.
Annuii con un certo timore. Edward incentrò lo sguardo sulle mie labbra con un sorriso. Allora capii probabilmente di avere i cosiddetti “baffi” da latte. Sorrisi impacciata. «Sono sporca, vero?»
Alzai un dito con l’intento di pulirmi ma lui mi fermò il polso con la mano. «C’è il rischio che adesso possa passare una delle tue cugine?»
Dove voleva andare a parare? «C-credo di sì.»
«Allora non puoi pulirti.» Si fece più vicino. I suoi occhi erano intensi all’inverosimile. «Devo farlo io.»
Alzai entrambe le sopracciglia frastornata. «Cosa?»
Edward s’avvicinò ancora di qualche centimetro. Era vicino, troppo vicino. «Sono o non sono il tuo fidanzato?»
«Finto?» Rèplicai con fioca convinzione, quasi nulla. Ero disorientata, stordita… a stento ricordavo il mio nome. Sogghignò leggero, divertito. «Finto ma pur sempre fidanzato.» Chiusi gli occhi timorosa di ciò che mi attendeva. Avevo un vaga idea di cosa lui avesse in mente, ma… sembrava fin troppo improbabile ai miei occhi. Ma, le mie considerazioni stranamente furono esatte. Sentii la sua bocca a lieve contatto con la mia e la sua lingua scorrere appena al di sopra del mio labbro superiore ripulendolo dalla schiuma. Le nostre labbra si erano sfiorate stentatamente in un leggero e sensuale soffio. Inspirai profondamente col naso beandomi del suo profumo: il suo dopobarba mi confondeva i sensi… e purtroppo non solo quello. Ah, quanto desideravo approfondire quel contatto. Aprii gli occhi ritrovandomi due smeraldi a poca distanza. «Sai, credo che la prossima volta prenderò anch’io un cappuccino.»
Mi inumidii le labbra. Il suo sapore era leggero, ma lo sentivo. Solo in quel momento, percepii il calore sulle guance. Possibile che Edward dovesse sempre trovare un modo per mettermi in imbarazzo?
«Il vostro resto.» Sobbalzai all’improvvisa comparsa del cameriere. Poggiò sul nostro tavolino lo scontrino ed alcune monete. Edward le prese tra le mani gingillato dal tintinnio.
«Andiamo a ritirare le fedi?» 
Mi alzai dalla sedia mettendo in ordine la mia camicetta. Tenevo ancora lo sguardo basso a causa dell’imbarazzo. Tirai un grosso respiro intriso di coraggio e puntai il mio sguardo su Edward. Le sue labbra erano curvate da un mezzo sorriso. Il solito strafottente!
«Andiamo prima che esca un imprevisto.»
Attraversammo nuovamente la strada entrando nella gioielleria. Era un negozio molto ampio strutturato in modo elegante e raffinato. le pareti erano costeggiate da vetri con gioielli costosissimi in esposizione: perle, diamanti, anelli, parure di collane, ciondoli con pietre raffinate.
È inevitabile che una donna passi indifferente davanti ad un gioiello; un rapido sguardo lo deve gettare comunque.
Un signore brizzolato in completo gessato ci accolse con un gran sorriso. «Salve, posso esservi d’aiuto?» Il tono di voce era morbido e da lusinghiere.
Ricambiai mostrando un espressione alquanto cordiale. «Sì. Dovremmo ritirare le fedi nuziali a nome Denali.»
Al che, alternò lo sguardo meravigliato da me a Edward. «Siete i futuri sposi?»
Perché tutti giungevano alla medesima conclusione? Non eravamo neanche fidanzati sul serio.
Un sorriso tirato incurvò le mie labbra. «No, sono una delle damigelle.»
«Allora, devi essere la brillante Irina.»
Arcuai un sopracciglio. Brillante? Non era proprio l’aggettivo che le si addiceva. «No.»
Mi squadrò da capo a piedi. «Che sciocco a non accorgermene subito. Sei la bellissima Tanya. giusto?» Sbaglio o questo commesso era un po’ troppo ruffiano? «Ha chiamato prima la signorina Denali avvertendomi del vostro arrivo.»
Ah, ora si spiegava tutto. Scossi il capo. «A dire il vero, il mio nome è Isabella Swan. Sono la cugina delle signorine Denali.»
Il commesso spalancò la bocca studiandomi ancora una volta, bensì con molta più attenzione. «Me lo lasci dire: le sue cugine non hanno assolutamente una buona percezione di voi, signorina Isabella.» Sorrise appena. «Ora, scusatemi un attimo. Vado a prendere le fedi.» Si allontanò borbottando qualcosa tra sé.
Edward ridacchiò sommessamente. «Le escogitano tutte, eh?»
Scrollai le spalle. «Ormai ci ho fatto l’abitudine. Questa volta almeno ho ricevuto persino un mezzo complimento.»
«A me non sembrava mezzo complimento.» Edward arcuò un sopracciglio. «Ti hanno fatto altri simili dispetti?»
Gli lanciai uno sguardo eloquente. «Non immagini neppure quanti.»
 
- - -
 
Dopo la gioielleria, in breve tempo rientrammo a villa Denali. Il viaggio di ritorno fu più breve e meno movimentato dell’andata. Una volta giunti nella nostra camera da letto, Edward uscì sul terrazzo nel vano tentativo di ricevere almeno un po’ di ricezione telefonica per chiamare Alice. Mi accomodai sul letto e tirai fuori dalla borsa la piccola scatola in velluto blu custodenti le fedi nuziali. Accarezzai il coperchio prima di aprirlo con tremore. Osservai gli anelli in oro estasiata e non per il loro fulgore, bensì dell’inestimabile valore che rappresentavano: amore, passione, famiglia… tutti principi, dei quali ne percepivo un strano bisogno. Forse era l’età o qualche sogno utopistico prettamente femminile. Sfilai la fede più piccola dal gancetto rimirandola tra le mie mani. Il mio sguardo si alternava da quella fascetta in oro e il mio anulare sinistro. Anelavo ardentemente di percepire, seppure in minima parte, l’emozione di avere la fede al dito. Presi l’anello tra il due dita e lo infilai nell’anulare sinistro. Era leggermente più piccolo della mia misura ma con un po’ di pressione giunse alla base, probabilmente il tutto dovuto all’agitazione. Alzai la mano considerando quel nuovo cambiamento alquanto affascinante. Lanciai un’occhiata al terrazzo e sospirai profondamente. Era solo un sogno, un illusione. Non ero io la donna in procinto di sposarsi con l’uomo di cui era perdutamente innamorata e che lui ricambiava con lo stesso ardore; pertanto quell’anello non mi apparteneva in alcun modo. Per la prima volta provai invidia verso una della mie cugine. Che assurdità!
Portai le dita all’anulare sinistro per sfilarlo ma… non ci riuscivo.
Accidenti, sembrava incastrato. Tirai con più forza ma provai solo dolore nel distendere la pelle.
«Sì, Alice, ti chiamo anche domani. Promesso.» Disse improvvisamente Edward in procinto di concludere la telefonata con la sorella.
Oh cielo! Non potevo fare l’ennesima figura da stupida. Ci mancava solo questo al mio repertorio: inguaribile zitella sognatrice! Tirai nuovamente l’anello con le dita fino allo stremo delle forze.
«Ahia!» Il dolore era lancinante.Alzai la mano: il dito sembrava perfino più gonfio.
Ponderai tutte le eventuali soluzioni da poter attuare in quell’istante. Poi ricordai all'improvviso un aneddoto di bambina in una situazione analoga a questa. «Ma certo! Il sapone.»
Entrai in bagno aprendo velocemente il rubinetto. Gettai sulla mano una grossa quantità di sapone liquido. Insaponai per bene l’anulare. Tirai l’anello ma… niente.
«Bella?»
Maledizione, Edward non poteva parlare ancora con Alice? L’ansia crebbe sino a diventare quasi panico. Riprovai svariate volte ottenendo sempre lo stesso risultato nullo.
«Accidenti!» Imprecai al limite della sopportazione.
«Bella, tutto bene? Posso entrare?»
M’accasciai sul pavimento ormai priva di forze mugugnando una risposta positiva. Non potevo nasconderlo per molto. Ero disperata.
Edward varcò la soglia del bagno e scorgendomi semidistesa sul pavimento,  con i lembi della camicia bagnata e la fronte imperlata dal sudore, si precipitò al mio fianco prendendo subito il mio polso tra le sue mani per sentire le pulsazioni del mio cuore, sebbene io le percepissi perfino nelle orecchie. Probabilmente risuonavano anche nel bagno. Strano che lui non le sentisse.
«Bella, ti senti male? Cosa è successo?»
Mi bendai gli occhi con una mano. Che assurda situazione! E pensare che questa volta non c’era stato nemmeno bisogno dello zampino delle cugine per rendermi ridicola.
«Hai avuto un attacco di panico?» La sua voce era agitata seppur sempre professionale. Io odiavo i dottori!
«Ho un problema.» Mormorai con un filo di voce guardandolo finalmente negli occhi.
Posò la sua mano fresca sulla mia fronte. «Che tipo di problema?»
Con timore alzai la mano sinistra stretta a pugno aprendola poi con estrema lentezza. Edward notò subito l’anello; allontanò la mano dalla mia pelle e deglutì rumorosamente. «Sei sposata?»
Tutti quel giorno giungevano a quella conclusione: ero la futura sposa o ero già sposata. «Edward, perché non capisci?»
«Cosa c’è da capire?» il tono fu tagliente, duro.
Gli lanciai un occhiataccia. «Non sono sposata.» Mi mordicchiai il labbro. «Ho provato l’anello di Kate e si è incastrato.»
Varie emozioni trapassarono il viso di Edward: smarrimento, stupore, liberazione e infine rabbia. L’ultima mi fece fremere. «Tu hai avuto un attacco di panico per questo motivo? Mancava poco che ti sentissi male…» alzò la mano con la fede. «…per questo?»
Sospirò forte facendo roteare gli occhi. Aprì la bocca ma optò per il silenzio. Strabuzzai leggermente gli occhi interdetta dal suo strano atteggiamento. «Che c’è?»
«Niente. Lascia stare.» Liquidò il discorso. «Hai provato con il sapone?»
Annuii cercando ancora di sfilare quell’ anello. Altro che valori importanti: era una vera e propria maledizione. Mi prese la mano lasciandosi andare in una risatina liberatoria. «Vieni, proviamo con i rimedi naturali.»
 
- - -
 
Rimedi naturali un corno! Avevamo provato con l’acqua calda quasi scottante mischiata al detersivo per i piatti, col ghiaccio, con l’olio, col burro… una miscela a dir poco disgustosa. E con quale risultato? Quel maledetto anello non si era sposato neanche di un millimetro e il dito si era ineluttabilmente gonfiato. Ecco perché ora sedevamo nella sala d’aspetto del pronto soccorso dell’Alaska Regional Hospital di Anchorage. Io odiavo gli ospedali ma a detto di Edward, era l’unica soluzione, la cosiddetta ultima spiaggia. Ma questo mio problema non era di per sé urgente, e pertanto erano ben venuti che attendevamo la chiamata di un paramedico. E quelle sedie verdi in plastica erano davvero scomode!
Edward si schiarì la voce. «Sai, sono curioso. Come mai…»
«Edward, ti prego, potresti evitare di fare domande?» La situazione era già imbarazzante senza che lui proferisse parola; mi guardava con quello strano sorriso altamente irritante.
Sogghignò divertito. «Come vuoi.» Si passò una mano tra i capelli. «E pensare che questa volta le cugine non centrano nulla.»
Gli lanciai un occhiataccia carica di saette. «Smettila di parlare!»
Ridacchiò sommessamente simulando il tutto con colpi di tosse. Trovava quella situazione così divertente?
Dalla grande porta in vetro, uscì un paramedico in camice. «Isabella Swan?»
Lo raggiunsi, accompagnata da Edward. Ci fece strada tra i corridoi dell’ospedale sino a fermarsi davanti ad una porta bianca a battente. All’interno, dietro una scrivania vi era seduto un dottore anch’egli in camice bianco con uno stetoscopio al collo: sul lato destro del petto vi era un targhetta con su scritto il ‘Dottor Gerandy’. Percepivo già un’innata incompatibilità nei suoi confronti. «Salve. La signorina con l’anello bloccato, giusto?»
Avvampai imbarazzata. Ero già diventata la barzelletta dell’intero ospedale? Mi si avvicinò con un cordiale sorriso. «Non si preoccupi. Sono cose che capitano. Posso vedere?» Mi porse gentilmente la mano. Inconsciamente posai la mia destra. «Oh, mi scusi.» Quell’oggi, le magri figure erano all’ordine del giorno. La ritrassi immediatamente porgendo la sinistra. Studiò attentamente il dito rigonfio. Scosse il capo sospirando. «Purtroppo dobbiamo tagliarlo.»
Sbiancai all’istante. La gola divenne improvvisamente secca. Sogghignò notando la mia espressione. «L’anello ovviamente, non il dito.»
Questa seconda opzione era più terrificante della prima. Non potevano tagliare la fede. Cosa avrei detto a Kate?
Qualcuno bussò alla porta. Una giovane donna in completo verde ospedaliero varcò la soglia. «Dottor Gerandy, chiedono di lei nel reparto pediatria. È urgente.»
«Torno subito» Disse il dottore uscendo velocemente dalla stanza.
Lo sguardo della dottoressa si posò su Edward e un sorriso stupito spuntò sul suo viso. «Edward, che piacere rivederti.»
«Angela.» Disse Edward ricambiando il sorriso. «Cosa ci fai qui?»
«Hanno trasferito mio marito Ben qui ad Anchorage per lavoro; fortunatamente ho ottenuto il trasferimento in questo ospedale in neonatologia.» Infilò una mano nella tasca del camice verde. «Ho saputo della tua promozione. Congratulazioni. Sei già qui?»
Parlavano come non io fossi presente. Erano molto in confidenza ma non me preoccupai.
Edward scosse il capo leggermente impacciato. «No, a dire il vero abbiamo un piccolo problema.» Mi prese la mano sinistri esibendo la fede al mio dito.
Angela mi squadrò da capo a piedi con un sorriso raggiante. «Ti sei sposato?»
Edward ridacchiò. «No, si è incastrato l’anello. Lei è Bella.»
«Piacere di conoscerti, Bella.» Sorrise dolcemente prima di osservare con attenzione la mia mano sinistra. «Dovete tagliarlo, giusto?»
Edward si grattò la nuca. «Questo finesettimana abbiamo un matrimonio e purtroppo l’anello è della futura sposa.»
«Mmm… un vero problema.» Angela si lisciò il mento con fare pensoso. Poi scoccò due dita rumorosamente. «Ho io la persona che fa al caso vostro.»
 
La dottoressa Angela ci condusse nel reparto di neonatologia. Sembrava una donna simpatica e particolarmente dolce. Giunse davanti ad una porta bianca bussando appena. «Doris, abbiamo bisogno del tuo aiuto.» Dalla stanza uscì una signora corpulenta, bionda con due guancie rosee: la caposala. Le spiegammo il problema e con molta pazienza si mise all’opera.
Avvolse del tutto il mio dito gonfio con un filo di sutura così da renderlo più sottile e uniforme.
«Sai cara, anch’io sono sposata. E quando da giovane litigavo con mio marito, per ripicca mi toglievo la fede. Ma questa non è affatto una soluzione ai problemi, te lo dico per esperienza.» Disse mentre pian piano faceva risalire l’anello a spirale.
Sembravo così tanto una donna sposata?
«Hai sentito, amore?» Esordì improvvisamente Edward trattenendo le risate.
Ma che grandissimo imbroglione! Possibile che dovesse sempre prendermi in giro?
Guardai l’infermeria leggermente impettita. «Nemmeno se fa il filo ad un’altra donna?»
Doris lanciò un’occhiataccia ad un Edward sbalordito.
Occhio per occhio, dente per dente amore; no?
«Non ho fatto il filo a nessuna. Sei gelosa, tesoro, è naturalmente in una coppia; non puoi fartene una colpa.»Replicò il mio finto fidanzato preso in contropiede. «Vedi poi cosa ti succede se ti arrabbi? Si gonfia la mano e in quel modo si congestiona il dito.»
La donna ridacchiò ricevendo ben due sguardi sconcertati. «Io non credo che sia stato il nervosismo a gonfiare la mano.»
«Ah no?» Chiesi al’unisono con Edward.
Ci mostrò un sorriso eloquente. «Molto probabilmente è in arrivo una cicogna.»
Mi avevano scambiata per una futura sposa, per una donna già sposata e infine per una in stato interessante. Beh, quest’ultima mi mancava! Sbuffai ponendo lo sguardo su Edward che sogghignava sommessamente.
Perché le cose più assurde mi capitavano sempre con lui?
 
- - -
 
In breve tempo, tornammo a casa Denali. Le care cugine non si erano affatto impensierite per quella nostra assenza prolunga. Ah no, che sciocca: certo che si erano preoccupate, ma solo per Edward. Lo avevano coccolato con stucchevoli moine e stridule risatine. Oche!
Consegnai gli anelli a Tanya liberandomi da quella maledizione mentre Edward simulò un colpo di tosse per celare un risata. Che simpatico.
Sarcastica? Assolutamente sì.
Era ormai sera inoltrata e dato che gli zii erano fuori per lavoro, la cena non era stata ancora preparata. Avevano utilizzato tutte la stessa scusa: le unghie appena smaltate possono rovinarsi.
Un vero e proprio problema di Stato!
 Questo commento purtroppo non lo esposi.
Tuttavia, un idea balenò nella mia mente come un fulmine a ciel sereno. Avevo trovato un modo per ringraziare le care cugine per l’ospitalità data.


UNA PICCOLA VENDETTA CI VUOLE, NO?

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


9 SALVE A TUTTE/I…
SONO DI PASSAGGIO… VELOCE COME UN FULMINE PERCHE’ MI STO PREPARANDO LA VALIGIA (PARTO PER TRE GIORNI CON LA MIA MIMMINA PER ASSISI).
SONO FELICISSIMA CHE IL CAPITOLO PRECEDENTE VI SIA PIACIUTO  (lo ammetto; mi sono divertita a scriverlo).
TUTTE LE SCENE LE HO RITENUTE UTILI PER UN AVVICINAMENTO TRA EDWARD E BELLA. COME SI DICE: I PROBLEMI SPESSO FANNO AVVICINARE DUE PERSONE. MAL COMUNE MEZZO GAUDIO.
 
1.QUALCUNO DI VOI MI HA CHIESTO COME IO ABBIA FATTO A TROVARE TUTTI QUEI MODI PER TOGLIERE UN ANELLO DA UN DITO: RICERCHE E RICERCHE. PER QUESTO RINGRAZIO INTERNET. I LOVE IT.
 
2.MI AVETE CHIESTO ANCHE DI MIKE: LA RISPOSTA E' IN QUESTO CAPITOLO.
 
 
INFORMAZIONI: PER QUESTO CAPITOLO INVECE VEDREMO UN MIX DI EMOZIONI… POTETE ANCHE DEFINIRLE VOI. (SONO PROPRIO CURIOSA DI VEDERE COSA HASCATENATO IN VOI).
NELL’ULTIMA PARTE, PROBABILMENTE IL COMPORTAMENTO DI BELLA SARA’ STRANO, FORSE SEMBRERà ANCHE UN PO’ PAZZA… PERò LA SUA LASTRA DI GHIACCIO SI STA SCIOGLIENDO E SE SI SCIOGLIE… (
MI TAPPO LA BOCCA). IN OGNI CAPITOLO SI CAPISCE QUALCOSINA IN PIù SUI SUOI SENTIMENTI.
RIGUARDO ALLA VENDETTA NON HO DATO MOLTO SPAZIO NEL CAPITOLO IN QUANTO A NOI INTERESSA IL RAPPORTO TRA I DUE PICCIONCINI E NON LE CUGINE.

AVREI VOLUTO CON TUTTO IL CUORE AVVELENARLE CON IL CIANURO O QUALCOS’ALTRO DI SIMILE… MA SEMBRAVA TUTTO IRREALE. MI AVETE FATTO MORIR DAL RIDERE CON LE VOSTRE VENDETTE. WOW. SIETE MITICHE.
 
AVVISO: NEI PROSSIMI CAPITOLI SI CAPIRA’ TUTTO. E RIPETO: TUTTO. IL COMPORTAMENTO DI BELLA, I SUOI SENTIMENTI (ANCHE SE PIAN PIANO LI STO SNOCCIOLANDO); QUELLO DEL NOSTRO DOTTORINO (IL PIU’ IMPORTANTE, A PARER MIO). MOLTE DI VOI HANNO GIà CAPITO QUALCOSINA. MANCANO SOLO DUE GIORNI AL MATRIMONIO; SONO IMPORTANTISSIMI!
 
RINGRAZIO I NUOVI RECENSORI, I VETERANI, CHI MI HA FATTO PUBBLICITA’ TRA LE AMICHE (ODDIO, CERTO MI FA PIACERE), CHI HA INSERITO LA STORIA NELLE PREFERITE, SEGUITE, ME NEGLI AUTORI PREFERITI, I LETTORI SILEZIOSI E CHI SOPRATTUTTO HA COMMENTATO.
AD OGNI COMPLIMENTO, LE MIE GUANCE SONO DIVENTATE VERMIGLIE (GRAZIE GRAZIE GRAZIE ANCHE SE NON MERITO COSì TANTO).
RINGRAZIO LE SEDICI PERSONE CHE HANNO COMMENTATO IL BLOG (WOW. WOW. WOW) GRAZIE ANCHE PER QUEL SUPPORTO. DAVVERO, NON CREDEVO CHE MI SEGUISTE ANCHE Lì.
MI HA SORPRESO IL COMMENTO DI UNA RAGAZZA, NON POSSO DIRE CHI… LO DIRò A TEMPO DEBITO. POSSO SOLO DIRE CHE E’ STATA INCREDIBILMENTE FANTASTICA. PROMETTO CHE IN SEGUITO LO DIRò (SAM, NON DIMENTICA NULLA)
 

BEH… VI LASCIO AL CAPITOLO. SE AVETE QUALCHE DUBBIO FATEMI LE DOMANDE: ANCHE SE NON RIPONDO ALLE SINGOLE RECENSIONI, NON E’ DETTO CHE NON POSSA RISPONDERE ALLE VOSTRA PERPLESSITA’ ANZI, LO FARò E VE LO PROMETTO… ANCHE PERCHè SE NASCONO PURTROPPO E’ COLPA MIA.

NELLA PRIMA PARTE C’è UNA SPIEGAZIONE: E’ VERA. ALTRA RICERCA.
GRAZIE INTERNET.
GRAZIE ANCORA A TUTTI VOI.
 
DEDICO IL CAPPY A:  SWEET_APPLE_LOVE
 


CAPITOLO 9

 


Il peperoncino piccante è una delle spezie maggiormente utilizzate fin dai tempi antichissimi. Molte tradizioni popolari lo usano come rimedio medicinale. Grazie ai suoi principi attivi, ha un forte potere antiossidante, nonché antitumorale. Inoltre, si è dimostrato utile nella cura di malattie da raffreddamento. Esso favorisce anche la digestione e può essere usato anche come antidolorifico. Il peperoncino è una delle piante più adatte a stimolare il desiderio sessuale e predisporre l’essere umano a soddisfarlo pienamente. In fin dei conti, non sembrava una rivalsa così cattiva da adoperare per le mie cugine (mi preoccupavo perfino per la loro salute) - anche se l’ultimo punto non giovava a mio favore, almeno non del tutto.

Entrai in cucina tirandomi su le maniche della camicetta. Era giunto il momento di mettersi all’opera. Appeso ad un apposito gancio accanto al frigo notai il grembiule di zia Carnen: fortunatamente un modello semplice privo di disegni imbarazzanti, totalmente differente da quelli regalatami da Renèe ora nascosti e relegati in un cassetto.
«Cosa hai in mente?»
La voce inaspettata di Edward mi fece sobbalzare dallo spavento. Portai il grembiule avanti, feci un paio di giri intorno al mio busto con i nastri data la loro eccedente lunghezza. Edward sovvenne in mio aiuto realizzando un nodo compreso di fiocco alla base della mia schiena. Afferrai il fermaglio stretto ad un lembo del grembiule e raccolsi i miei capelli in una svelta crocchia dalla quale cadde sulle spalle qualche ciuffo ribelle. Edward osservò ogni mio gesto con un sorriso impresso sul viso. Poggiò i gomiti sull’isola da cucina. «Non vuoi avvelenarle, vero?»
Ridacchiai aggrottando lievemente la fronte. «Non sono così perfida.» Aprii l’anta del frigorifero. «Edward, mangi messicano?» Avevo imparato da zia Carmen una buonissima ricetta dai sapore leggero e stuzzicante: riso piccante alle erbe aromatiche. Se non altro perfetta per ciò che avevo in mente.
La sua leggera risata echeggiò nella stanza. «Io sì. Loro?»
Alzai le spalle. «Sinceramente non lo so.» Tirai fuori il limone e le foglie di menta fresca, le osservai quasi ipnotizzata: erano identiche agli occhi di Edward. Lo stesso verde intenso.
Portai la menta dapprima al mio naso, poi a quello di Edward affinché ne percepisse l’aroma fresca. Lui inspirò profondamente ad occhi chiusi. Era incredibilmente bello quando era concentrato.
«Sarà tutto commestibile, vedrai.» Mormorai sorridendo. «Non necessiteranno di un intervento medico. Sei in vacanza, non ho intenzione di farti lavorare.»
Aprii il pensile delle spezie; ricordavo ancora i luoghi ove zia serbava i vari cibi. Se ero brava in cucina, era tutto merito suo. Renèe era in grado solo di riscaldare cibi precotti nel microonde; le sue doti culinarie erano tutt’altro che esemplari.
Tirai fuori vari barattoli: quello di erba cipollina, maggiorana e peperoncino piccante. L’ultimo, il mio obbiettivo primordiale. Quello essenziale.
«Sai che il peperoncino ha moltissime proprietà benefiche?»
Edward sorrise beffardo. «Ho letto anch’io quell’articolo sul Daily Sun.» Si alzò dalla sedia e mi raggiunse. Si posizionò alle mie spalle; il suo respiro mi carezzava la nuca generando piccoli e piacevoli brividi sulla pelle. «Ricordo una in particolare.» Mi sfiorò una mano per prendere una foglia di menta e portarla alla bocca addentandone una piccola parte.
Deglutii la saliva a vuoto. «A-ah, si? Quale?»
Rispose con un’altra domanda. «Sicura di voler utilizzare il peperoncino?» Sembrava più un avvertimento. Forse quella del messicano non era poi un’idea così brillante. Eppure… non potevo far a meno di constatare che quella situazione mi eccitava, più del lecito.
«Ad essere sincera, non l’ho mai comprovato.»
Edward portò la foglia di menta alle mie labbra. Andai quasi in iperventilazione. Lì per lì, mi paralizzai dalla sorpresa; poi agii di istinto e morsi dove poco prima lui aveva fatto il medesimo gesto. Non seppi definire esattamente il gusto della menta perché i miei sensi erano totalmente rivolti al mio finto fidanzato, che mi osservava con fin troppa attenzione; l’unica cosa che saggiai con fine gusto, fu la sua saliva a ridosso della fogliolina. I suoi occhi erano lucidi e tremendamente intensi, molto probabilmente specchio dei miei.
«Edward, ti va una partita a scacchi?» Sobbalzammo entrambi dalla voce inaspettata di Garrent. Edward si riprese scrollando leggermente la testa.
Prima di rispondergli, mi rivolse uno sguardo. «Ti serve una mano?»
Di rimando, gli sorrisi riconoscente - non prima di aver ripreso un briciolo di lucidità che stranamente in sua presenza sfumava. «No, grazie. Non vorrei che le tue doti culinarie rassomigliassero quelle di Alice.» Corrugò la fronte divertito. Continuai a parlare. «In fondo, il cognome è lo stesso.»
Rise captando la natura della mia frase: avevo utilizzato le sue stesse parole con lo scopo unico di prenderlo in giro. Guardò per un attimo Garrent. «Vengo subito. Preparati perché non sono affatto magnanimo.»
L’amico sorrise furbamente. «Vedremo.»
Edward rivolse nuovamente il suo sguardo nei miei occhi. «Contieniti col peperoncino.» Chinò il capo; percepii un soffio sulla mia nuca. «Soprattutto se le proprietà  stimolanti sono reali.»  Depositò un bacio sul mio collo e uscì dalla cucina lasciandomi lì, stordita con un’incessante pioggia di brividi lungo tutto il mio corpo.
Tanya fece la sua comparsa recuperando una bottiglia di vino dal frigo. Mi fissò con un sopracciglio alzato. «Sai cucinare?»
Annuii con alterigia. In quel frangente, potevo permettermi il lusso di esibire un briciolo di orgoglio. «Me lo ha insegnato tua madre.»
«Già.» Sputò tra i denti. Alle mie cugine, non era mai andato a genio il rapporto instaurato con mia zia; era sempre stata come una mamma per me, forse molto più di Renèe stessa.
«Mike non c’è?» Domandai più per predispormi sulle porzioni da preparare che per reale interesse.
La gallina bionda sbatté velocemente le palpebre. «Ne senti la mancanza?»
Sospirai trattenendo l’impulso di lanciarle del cibo addosso. «Senti Tanya, se questo è il tuo intento…»
Mi bloccò all’istante. «No, certo che no. Non sapevo neanche che fosse il tuo ex fidanzato.»
Alzai un sopracciglio. Pensava davvero che credessi a quell’assurda fandonia? Credeva che fossi stupida fino a quel punto? Le mani mi tremavano: con un morso trattenni il fuoriuscire di parole alquanto incivili. Rispettavo i miei zii e sapevo perfettamente quanto ci tenessero alla mia presenza a questo matrimonio, e a maggior ragione una lite era proprio da evitare.
Mi rivolse quasi un sorriso di trionfo. «Vado ad apparecchiare il tavolo nella sala da pranzo.»
Iniziai a sminuzzare le foglie di menta per scaricare la tensione; non era affatto un bene accumularla. Prima o poi, sarebbe esplosa e mancava poco che perdessi totalmente il controllo.
«Ah, Isabella…» Esordì Tanya prima di uscire dalla cucina. «…Mike è andato a New York per una questione di lavoro. Ma torna domani, non ti preoccupare.»
Se ne andò ghignando.
Oca irritante! Provava indubbiamente gusto ad alterare i miei nervi. Era viscida e meschina come una vipera. Guardai il barattolo del peperoncino: un sorriso spuntò sul mio viso.
Ridi ora Tanya; dopo ti ritroverai con le lacrime agli occhi.
 

E così fu, solo per le mie cugine naturalmente. Sottrassi a quella punizione anche Garrent: sopportava Kate da molto tempo… era già un pena abbastanza dolorosa per lui. Le nostre pietanze furono altrettanto piccanti, ma mai quanto le loro. Ingurgitarono il cibo con le lacrime agli occhi, il viso leggermente imporporato e un bicchiere colmo d’acqua ad ogni piccola porzione ingerita. Edward le inculcò a mangiare il tutto garantendo che quella pietanza era un vero e proprio tocco magico per la pelle. Se lo diceva un medico non poteva che essere che veritiero. Trattenni a stento in quei momenti le risate. Mi aspettavo di tutto, benché meno che Edward assecondasse questa mia piccola vendetta nei loro confronti.

Cionondimeno accolsi dagli uomini, con mio sommo stupore e imbarazzo, i complimenti inerenti alla pietanza messicana. Garrent aveva perfino insistito affinché insegnassi alla sua futura sposa l’arte culinaria. Un impresa pressoché ardua anche per lo chef migliore al mondo dotato di infinita pazienza.
Al termine della cena fu proprio Kate a preparare il caffè - se così quella miscela colorata poteva definirsi – probabilmente per dimostrare al suo futuro marito che possedeva anch’ella un briciolo di dote.
Dopo poco tempo, gli uomini porsero nuovamente l’attenzione sulla partita di scacchi precedentemente cominciata. Tanya stranamente sparì, le due restanti cugine, nel mentre, osservavano una rivista di moda. Per un attimo, sul divano bianco del salotto chiusi gli occhi portando la testa dietro allo schienale, rilassandomi quasi completamente – i miei sensi erano comunque allerta.
Era stata una giornata piuttosto movimentata; le mie forze erano quasi al limite ed ero sopraffatta dalla spossatezza.
«Scacco matto!» Esclamò Edward d’un tratto allegramente.
Garrent scosse il capo seccato. «Ahh, è impossibile! Anche al college vincevi sempre tu!».
«Stai attento. Lui imbroglia molte volte.» Lo avvertii con un risolino.
Edward incrociò le braccia al petto e assunse un’aria altamente imbronciata. «Non è vero.»
«Tesoro, non fare quella faccia.» Lo ribeccai scompigliandogli i capelli. «Nell’ultima partita hai cercato di imbrogliare come minimo tre volte. E nonostante tutto ho vinto io.»
Garrent sbarrò gli occhi sorpreso. «Hai vinto a scacchi contro Edward Cullen?»
Feci spallucce. «Sì e non solo una volta.» Il mio finto fidanzato digrignò i denti irritato dalla consapevolezza delle mie parole. Ogni volta era una battaglia per lui persa in partenza: intanto che Alice si preparava per la maratona di shopping – dalla quale purtroppo non potevo esimermi - Edward mi trascinava nel salotto nel quale sul tavolino basso in vetro posto al centro della stanza vi era già predisposta la scacchiera con le pedine già ordinate per una partita lampo. Poverino: con me aveva trovato pan per i suoi denti fin dall’inizio.
Garrent lanciò un’occhiata alquanto eloquente al mio finto fidanzato. «Edward, allora devi sposarla.» Si lisciò il mento. «Ricordi cosa dicesti al college?»
Edward rise passandosi una mano tra i capelli. «Dio mio! Come fai a ricordarlo? Lo avevo dimenticato?!»
Li guardai incuriosita. «Cosa?»
«Che se avesse trovato una donna in grado di batterlo a scacchi, l’avrebbe sposata senza alcuna esitazione. E da quel che ricordo, almeno ai tempi del college nessuno ha mai vinto contro di lui.»
«E’ l’unica.» Confermò Edward specchiandosi nei miei occhi.
Emisi alcuni colpi di tosse e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Ma che diamine di sciocche scommesse facevano al college? Cercai di ribattere ma la voce squillante di Tanya mi interruppe. Comparve nel salotto con uno scatolo sotto un braccio, e una foto tra le mani nella quale erano ritratti alcuni ragazzi ricoperti di schiuma da capo a piedi. «Guardate cosa ho trovato?»
Edward e Garrent sbarrarono gli occhi. «Non puoi avere ancora quelle foto.»
Tanya ridacchiò. «Sì, e ne ho tante altre.» Si accomodò sulla poltrona porgendo la foto ad Edward.
Quest’ultimo rise divertito. «Guarda i miei capelli: erano pieni di schiumi e arruffati in modo assurdo.»
Tanya estrasse dalla scatola altre foto e piccoli oggetti con lo stessa di Harvard. «Oh, ma lo sono sempre stati. Credi davvero che adesso siano in ordine?» Squittì con tono stranamente dolce.
Edward si passò una mano tra i capelli quasi a confermare la sua teoria.
Gli porse un’altra foto. «Guarda questa: ci siamo tutti e tre. Sono trascorsi molti anni da allora.»
Analizzarono i vari oggetti per svariati minuti.
I vecchi amici del college si erano riuniti dopo diversi anni e ridevano sulle varie ragazzate fatte assieme. Edward sembrava felice e sorrideva ad ogni aneddoto rimembrato da Tanya. Questo era un punto nettamente a mio sfavore: sull’attualità potevo giocare la carta della conoscenza di alcune cose che lo caratterizzavano; ma sul passato… ero totalmente impreparata. A differenza di Tanya non sapevo nulla. Mi sentii irrimediabilmente sola ed esclusa.
Mi allontanai dal salotto preoccupata delle nuove sensazioni che percepivo: rammarico e, più di ogni altra cosa, delusione sebbene non fosse accaduto nulla di eclatante. Entrai in cucina notando le varie stoviglie sporche accumulate sul tavolo da pranzo. Dovevo tenere la mente occupata e quello sembrava l’unico appiglio al quale potevo aggrapparmi.
 
***

«Perché sei andata via?» La voce di Edward mi fece rinsavire da quel momentaneo stato di trance. Mi ero persa nei miei pensieri ancora una volta nonostante avessi fatto di tutto affinché ciò non accadesse. Alzai le spalle nell’assoluto mutismo.

Lo sentii avvicinarsi. Allungò le braccia tirando su le maniche della camicetta che si stavano irrimediabilmente bagnando. Avevo le mani e i polsi totalmente immersi nell’acqua colma di schiuma.
«Mi hai lasciato solo nella gabbia dei leoni.» Disse quasi con accusa. Cosa avevo fatto? La rabbia prevalse su ogni emozione. Mi girai di scatto con sguardo truce e al contempo beffardo. «Se non erro non stavi morendo sbranato. Tu sei l’addestratore, non la carne per sfamarli.» Mi girai nuovamente nonostante le sue braccia non mi permettessero movimenti ampi. «O forse preferisci essere entrambi.» Mormorai con voce bassa. A quanto pareva, non gli dispiaceva essere al centro dell’attenzione. E chi ero io per impedirglielo? Nessuno, appunto.
Questa volta fu lui a prendermi per i fianchi e farmi girare totalmente, sino a quando non mi scontrai sul suo petto. «Sei gelosa.» Dichiarò con un sorriso sornione.
Incrociai le braccia sotto al seno indispettita. «Assolutamente no.»
Edward lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi; si portò una mano dietro la nuca grattandosela. «Ah. Beh, se non sei gelosa non ti spiace se accetto l’invito di Tanya.»
Afferrai uno strofinaccio asciugandomi le mani. La curiosità è femmina, ma l’orgoglio prevale quasi sempre su tutto. «Fai ciò che vuoi.»
Alzò un sopracciglio. «Quindi questa notte la trascorro con Tanya?»
Brutta stronza! La rabbia all’istante mi accecò. Avvertii i nervi tendersi all’unisono pronti a scattare. I pugni serrati lungo i fianchi. «Cosa ha fatto quella? Io la strangolo a mani nude…»
Cercai di farmi spazio per raggiungere la mia cara cugina e darle ciò che le spettava ormai da troppo tempo: una tirata di capelli, un pugno sul nasino perfezionato dalla chirurgia ed un ridimensionamento totale del corpo: sgonfiamento del seno e dilatazione del corpo a partire dai fianchi. «Calmati Bella.» Edward con leggerezza mi prese per i fianchi e mi fece sedere sul mobilio della cugina mentre mi dibattevo dalla rabbia con tutti arti contemporaneamente. Mi fermò i polsi. Con delicatezza me li accarezzò con le dita per farmi calmare. «Bella, stavo scherzando.»
Gli rivolsi un’occhiataccia di fuoco. Che stupido scherzo!
Era posizionato esattamente tra le mie gambe e le sue mani erano scivolate sui miei fianchi. Ne alzò una portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «e… ti ho semplicemente dimostrato che ho ragione: sei gelosa.»
«Edward, vai al dia-» Mi chiuse le labbra con due dita sogghignando divertito.
«Edward.» Tanya comparve nella cucina con la scacchiera tra le mani. Forse la presenza di Mike non era poi così sgradita; quantomeno la teneva a bada.
«Non ti ho mai battuto. Posso ritentare?» Squittì dolce, fin troppo per i miei gusti. Alle mie orecchie la sua voce giunse fastidiosa come un potente e incessante antifurto innestato da troppo tempo.
Guardai il mio finto fidanzato con un finto sorriso. «E’ maleducazione rifiutare, no?»
Edward sospirò lisciandomi una guancia. «Mi fai compagnia?»
Era per caso impazzito? Neanche se mi avesse pagato a peso d’oro sarei restata. «No, la compagnia già ce l’hai. Io torno in camera.» Scesi dal mobiletto indispettita più che mai. Era un comportamento infantile, ne ero maledettamente consapevole ma ero nervosa e in quel momento volevo solo restare sola. «Falla vincere, così te la sposi.»
Al diavolo lui e l’oca.
 
- - -
 
Uscii dal bagno ravvivandomi i capelli con un pettine dai denti larghi. Mai pettinare i ricci - stretti o larghi che essi siano - con una spazzola; l’avevo provato una sola volta ottenendo come risultato un consistente e gonfio panettone di Natale. Assolutamente terrificante!
Ridussi la luce dell’abatjour sul comodino e mi coricai nel letto trovandolo stranamente scomodo e più duro del consueto: la consistenza del cuscino sembrava roccia e il materasso pareva ricoperto interamente di grattugia. Ero arrabbiata. Arrabbiata con Tanya perché aveva troppa confidenza con Edward. Arrabbiata con lui perché le dava corda. E, infine, arrabbiata con me stessa per questo mio modo di reagire del tutto sconclusionato.
Percepii la porta della stanza aprirsi e chiusi all’istante le palpebre fingendo di dormire. «So che sei sveglia.»
Percepii il fruscio degli abiti che ricadevano con un tonfo sordo sul pavimento. Si cambiava così, allo scoperto? Con me in camera? Beh… in fondo stavo dormendo o perlomeno, era quello che fingevo di fare. Dopo breve, sentii l’altro lato del letto piegarsi dal suo peso. «Vuoi sapere come è andata?»
Rimasi in  silenzio.
«Non vuoi sapere se ho vinto?»
Ancora silenzio - anche se fu maledettamente difficile tacere.
«Neanche la data del matrimonio?»
«Non mi interessa.» Mi morsi la lingua all’istante. Boccaccia mia! Ma il cervello lo avevo abbandonato sotto la doccia o per la strada durante il viaggio sulla Vespa?
Rise e inaspettatamente mi afferrò per i fianchi. Con un movimento veloce mi trovai piacevolmente schiacciata dal suo corpo. «Allora sei sveglia.»
Mi diede un buffetto sul naso. «E a quanto pare… ancora arrabbiata.»
«Non sono arrabbiata» Sbottai infastidita. Avevo risolutamente intrapreso la via della negazione. Decisamente infantile. Sorrise sornione. «Ah, e perché non lo sei?»
«Perché Edward se mi vuoi rendere ridicola-»
«Non mi sto comportando bene?» Chiese, quasi con tono dispiaciuto. Si formò la ruga tra le sopracciglia.
Ti prego, quell’espressione mi uccide.
Aveva ragione. Non aveva sbagliato nulla e non mi aveva nemmeno resa ridicola. Ero paranoica! E stavo riversando ingiustamente la mia rabbia su di lui.
Mi sentii tremendamente in colpa. «Scusa, non volevo prendermela con te.» Mormorai abbassando gli occhi.
«Non fa niente.» Percepii la sua mano calda e morbida sulla mia guancia. Impulsivamente, chiusi gli occhi beandomi di quell’inaspettata carezza. «I miei complimenti, signorina Swan. L’idea del peperoncino è stata geniale.»
Lo osservai riconoscente. In quel modo aveva voluto alleggerire l’atmosfera tesa che io stessa avevo creato e mentalmente lo ringraziai. Come personale sedativo era indiscutibilmente perfetto. In fondo, in cosa non lo era?
Ridacchiai appena, rammentando la strana cena di quella sera. «E tu scemo che mi hai assecondato.»
S’imbronciò teneramente. «Ehi! Io sono stato sincero.»
Iniziò a solleticarmi i fianchi ma rotolai lateralmente liberandomi da quella tortura. Ritornai prona sul lato opposto del materasso.
Assunse poco dopo un’aria impensierita lasciando tuttavia quel suo solito sorriso sghembo sul suo volto. Lo adoravo.
«Mmm… sbaglio o a loro la quantità era maggiore?»
«Un po’» Soffocai una risata sul guanciale. «Se le proprietà del peperoncino sono reali, il mio gesto è stato molto altruistico.»
«Certo, molto altruistico.» Mi prese in giro con uno sbadiglio rumoroso. L’ultima vocale fu molto ampia.
Una reazione più che ovvia data la giornata particolarmente stancante per entrambi, sebbene per me ora il sonno stesse pian piano scemando. Lo avevo sballottato da un parte all’altra per tutto il giorno. Il riposo era più che meritato.
Spensi la luce dell’abatjour. «Credo che se continuiamo a parlare, presto mi ritroverò a fare un monologo.»
Edward sorrise debolmente. In quei momenti sembrava così indifeso, docile come un agnellino. Pareva tenero, e ancor più bello per quanto questo fosse possibile. Quante volte, a sua insaputa, lo avevo ricoperto con una plaid dopo che si era addormentato sul divano di casa Cullen. Erano sempre stati piccoli gesti silenziosi e inconfessati, dei quali neppure Alice era a conoscenza.
Edward chiusi gli occhi placidamente disteso sul fianco destro. Accostai le miei labbra alla sua fronte. Lo sentii inspirare profondamente. «‘Notte, Edward.»
«Buonanotte, micetta
Sorrisi a quel suo usuale pseudonimo: cominciava sul serio a piacermi.
 
- - -

Torsione sul fianco destro.

Torsione sul fianco sinistro.
Posizione supina.
Rapido sguardo alla radiosveglia con led luminoso: ore 4:02 del mattino. Sbuffai portandomi le mani nei capelli. Accidenti, non ero riuscita ad addormentarmi in nessun modo, in alcuna posizione. Il materasso pungeva ancora e il cuscino era duro. Troppo duro. Mi tolsi le lenzuola con le gambe, ma dopo poco mi coprii di nuovo. Gettai alcuni pugni sul materasso strisciando col mio corpo a destra e a manca in cerca di un punto comodo. Balzai seduta sul letto scompigliandomi ulteriormente i capelli. Ah, non riuscivo a prendere sonno, maledizione!
Guardai ancora una volta la radiosveglia: 4:05.
Perché il tempo scorreva così lento?  
Ero agitata, esaltata e… maledettamente eccitata. Sentivo un fuoco divampare in tutto il corpo: dal collo scendeva giù sul petto e si concentrava nel ventre. La pelle era rovente ovunque, tranne sulla fronte e ciò significava che non avevo la febbre. Era un calore nettamente diverso. In questi casi, la doccia fredda era utile solo al genere maschile? Lanciai un occhiata ad Edward: dormiva come un angioletto. Beh, almeno non lo avevo svegliato.
Possibile che la causa di tutto fosse proprio l’aroma dalla molteplici proprietà? Maledetto peperoncino piccante!
Portai il cuscino sulle gambe e gettai pugni a non finire, come se sotto le mani avessi un bonghetto africano -  fortunatamente silenzioso, altrimenti avrei svegliato perfino i vicini – e nel mentre, sbuffavo come una locomotiva.
Percepii improvvisamente la mano di Edward poggiarsi sul mio ginocchio; mancò poco che lanciassi un urlo. «Bella.» Impastò assonnato strofinandosi con il dorso della mano le palpebre.
Brava Bella, ci sei riuscita.
«Scusa, ti ho svegliato.» Borbottai rammaricata.
Schiuse un solo occhio. «Che succede?»
Mi portai una ciocca dietro i capelli, imbarazzata dalla situazione. «Il mio cuscino è duro.»
Tastò il guanciale con la mano. «Ma è in piuma d’oca come il mio.»
Mossi i piedi, infastidita. «Oh, quanto mi dispiace. Hanno spennato le mie cugine.»
Edward ridacchiò sommessamente. «Sei ancora arrabbiata?»
Incrociai le braccia al petto. «No, non riesco a dormire. Sembra tutto duro e scomodo.»
Inaspettatamente, mi afferrò il polso e mi attirò a sé. Andai felicemente a sbattere sul suo petto. Il suo profumo mi stordì la mente.
«Ti sembro più comodo?» Mormorò fievolmente.
Strofinai la guancia sulla sua canotta bianca così tremendamente stretta al suo busto. Il calore aumentò. Chiusi gli occhi ed inalai aria nel tentativo di calmarmi ma in quel modo aspirai maggiormente la sua fragranza mascolina che mi portò il corpo in ebollizione.
Digrignai i denti. «Maledetto peperoncino!»
«Il peperoncino? Centrano per caso le sue proprietà stimolanti?» Nonostante l’oscurità della stanza, scorsi da suo tono di voce un sorriso piuttosto pronunciato.
Un brivido mi scosse interamente il corpo. Arrossii maggiormente. «Zitto e dormi!»
Ridacchiò ancora una volta; portò una mano alla base della mia schiena. «’Notte.» Mi lasciò un bacio sulla fronte.
Gli diedi mentalmente dello stupido: in quel modo non era affatto di aiuto; alimentava il tutto che con quel semplice gesto! Alzai leggermente la coscia avvolgendo una sua gamba e con le dita cominciai a disegnare ghirigori sul suo addome duro e sodo. Sembravo una maniaca squilibrata! In ogni caso, era un passatempo piuttosto delizioso.  
Edward mi fermò una mano. «Bella, la cosa non mi dispiace ma il mio autocontrollo non è illimitato.»
Grazie a quell’ultima sua affermazione un’idea balenò nella mia mente. E al momento, non c’era cosa che desideravo fare più al mondo se non quella di raffreddare i miei bollori. La causa, in fin dei conti, era sua.
Su Bella, folle fino in fondo.
Mi rizzai con le ginocchia sul materasso. Edward mi squadrò con occhio clinico. «Hai bevuto alcolici a mia insaputa?» Probabilmente una bottiglia intera di vodka avrebbe fatto meno effetto.
«No, non reggo l’alcol.» Mi morsi il labbro. «Edward… posso fare una cosa? Però non fraintendere.»
Con uno sbuffo si sedette poggiando la schiena sulla testiera del letto. Sbadigliò aprendo totalmente la bocca. «Ti concilierà il sonno?»
Mi avvicinai «Si, ma ho bisogno di te.»
Aprì le braccia in un chiaro invito. «A tua disposizione.»
Indecisa, nel buio della notte, racchiusi il suo viso nelle mie mani e gli sfiorai le labbra con le mie con piccoli tocchi delicati. La ragione era svanita come fumo al vento sin dal momento in cui ero approdata sul suo corpo. In un primo momento Edward fu sorpreso dal mio avventato gesto, poi ricambiò il bacio con ardore attirandomi a sé con le mani premute sulle mia schiena. Era pur sempre un uomo; come poteva sottrarsi ad un istante passionale? 
Quando assapori la punta di un pasticcino inevitabilmente fremi di poter averne ancora fino soddisfare del tutto quell’appetito. Fremevo e desideravo baciarlo da sempre e la consapevolezza di essere già a conoscenza di quanto fosse bello appartenergli, non era affatto di aiuto. Non avevo mai desiderato baciare con tale passione un uomo; Edward mi mandava in confusione e mi faceva perdere la il lume della ragione. E sapere che quel bacio era voluto, e non dovuto a causa della presenza di un qualche mio familiare mi eccitava terribilmente.
Quasi certamente il peperoncino non aveva nulla che fare con il mio stato d’animo attuale, o perlomeno non del tutto. Sì, la particolarità di stimolare il desiderio sessuale in qualche modo centrava, ma era altresì vero che ero attratta da Edward da fin troppo tempo per riuscire a trattenermi.  
Le nostre lingue si accarezzano con frenesia, dolcezza. Esplorò il mio palato, così come io feci con lui. Le sue labbra erano morbidissime, il suo sapore era sublime, il suo alito fresco e zuccherino. Un mix che in un attimo mi portò all’apice della pura follia. E solo in quell’istante recepii l’ eccessiva impulsività del mio gesto. Ma che diamine stavo facendo?!
Come una molla tesa tirata alle due estremità di cui uno lasciata all’improvviso, la ragione tornò restituendomi un barlume di lucidità atta a separarmi dal suo viso. Boccheggiai in cerca d’aria con la fronte poggiata sulla sua. Il calore si era concentrato nel basso ventre e con un dolce languore si era insediato perfino nello stomaco. Quello era il richiamo di sensazione provate pochissime volte, in dimensione nettamente ridotte; queste erano più potenti di quanto io stessa avessi mai agognato. Sapevo che se avessi continuato a baciarlo con quell’intensità probabilmente quella sera avrei condiviso il letto con Edward in un modo totalmente diverso. Quello era un limite che mi ero preposta ancor prima di partire per l’Alaska, che non dovevo valicare in nessun modo.
«Va maglio?» Annaspò Edward penetrandomi con lo sguardo che nella notte riluceva di proprio riverbero. Sembrava confuso dal mio gesto. E chi non lo sarebbe stato? Io stessa, a stento lo comprendevo.
Annuii mordendomi il labbro inferiore con i denti. La sua saliva era ancora sulla bocca. Sentivo le gote in fiamme e probabilmente i miei occhi erano lucidi. Avevo dato sfogo alla mia rabbia repressa e altresì ad un effimera parte di eccitazione persistente nel mio corpo. Mi allontanai da lui imbarazzata dalla punte dei piedi,  fin sopra alla radice dei capelli.
Aveva agito d’istinto ancora una volta. E ancora una volta mi ero mostrata stupida ai suoi occhi. Ma…
Edward mi sorprese, alla sprovvista come ero divenuto ormai suo solito fare. Dopo che fu steso, mi attirò a se con le sue braccia portandomi accanto a lui con il capo poggiato sul suo petto. «Non avevi detto che il tuo guanciale era scomodo?» Mormorò stranamente roco e dolce.
Strofinai il viso sulla sua maglietta e gli circondai istintivamente il busto con un braccio. «Hai ragione.»



RINGRAZIAMO IL PEPERONCINO?
BELLA SI STA SCIOGLIENDO!! CHI LE DICE CHE SE SI ACCUMULA (ANCHE IL DESIRIO), PRIMA O POI ESPLODE?
ASPETTO CON ANSIA LE VOSTRE RECENSIONI.

CASA DENALI: CUCINA
LA RICETTA: RISO PICCANTE ALLE ERBE AROMATICHE


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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10

SALVE RAGAZZUOLE (CI SONO ANCHE RAGAZZI???)
ECCOMI QUI CON IL NUOVO CAPITOLO.
IN QUESTO CAPIREMO ALCUNE COSE IMPORTANTI (TUTTO IN PICCOLE PARTI) COME I SENTIMENTI DI BELLA, LA PRESENZA DI MIKE E L’ODIO DELLE CUGINE NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA EROINA.
IO DIREI CHE QUESTO E’ UN CAPITOLO DI TRANSIZIONE.
NEI PROSSIMI 2/3 SI SCIOGLIERANNO TUTTI I DUBBI DI BELLA (PROMESSO).

RINGRAZIO
CHI HA INSERITO LA STORIA TRA I PREFERITI, SEGUITI E… ME, NEGLI AUTORI PREFERITI. WOW. SIETE INCREDIBILMENTE TANTI.

IO VI RINGRAZIO DI VERO CUORE PER I COMMENTI… GRAZIE A VOI SONO LA PERSONA PIU’ FELICE DEL MONDO E NON SCHERZO. SONO COMPLETAMENTE SINCERA.
I VOSTRI COMPLIMENTI SONO… TROPPI, DAVVERO… NON MERITO COSì TANTO MA NON POSSO FARE A MENO DI DIRVI GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE ALL’INFINITO.
RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE MI HANNO SOSTENUTA NELLA MINICHAT CHE HO INSERITO ALL’INTERNO DEL BLOG. GRAZIE PER LA FIDUCIA (VI RICORDO SEMPRE CHE POTETE PORMI QUALUNQUE DOMANDA!!).
DOMANI PUBBLICHERò UN TEASER.

QUALCUNO DI VOI MI HA DOMANDATO SE MAI FARO’ LA STORIA DAL PUNTO DI VISTA DI EDWARD: POTETE TROVARE LA RISP QUI.
 
ANTICIPAZIONE: SE E’ NOIOSO… LANCIATEMI ORTAGGI POSSIBILMENTE NON TROPPO DURI.
 
DEDICO QUESTO CAPITOLO A GRAZIA DELLA MINICHAT: NON SO QUALE SIA IL TUO NICK SU EFP, MA CREDO TU ABBIA CAPITO UGUALMENTE (SEI IL MIO GURU!).
 
PS: LA CONCLUSIONE DEL CAPPY ME L’HA ISPIRATA FALLSOFARC, UNA GRANDISSIMA AUTRICE DI STORIE ORIGINALI COSì BELLE DA FARMI RESTARE SVEGLIA TUTTA LA NOTTE PER DIVORARLE TUTTE INSIEME.


NON MI RESTA CHE AUGURARVI BUONA LETTURA (spero davvero che non faccia lo stesso effetto di un sonnifero).

 
 


CAPITOLO 10

 

Sospirai profondamente.

L’alba era sorta da un po’ rischiarando fiocamente la stanza con i suoi deboli raggi. Quella notte avevo dormito poco e niente sebbene la mia posizione risultasse alquanto calda, comoda e confortevole. Ero rimasta tra le sue braccia inerme fluttuando in un leggero dormiveglia.
Sapevo perfettamente che tutto ciò che era accaduto in quella notte non era dovuto assolutamente al peperoncino. Era assurdo anche solo al pensiero.
Una spezia non poteva certo rendermi un’ossessa, perché in fondo e quasi certamente, ero sembrata proprio quello. Una ragazzina in balia dei propri ormoni concitati, ecco.
Il tutto, era stato naturalmente scaturito da quegli attimi di adiacenza col suo viso e il suo corpo. Quando mi era vicino fremevo dal desiderio di poter essere coccolata anche con semplici carezze. Ma quando mi provocava percepivo un fuoco ardere nel mio essere come la scintilla innesca lo scorrente bruciare della scia di polvere da sparo sino al barilotto pieno pronto all’esplosione. Ogni debole sfioramento, ogni sussurro poco pronunciato, ogni bacio negato era un tratto di polvere in più bruciato, e un tratto in meno da impiegare per raggiungere la pericolosa meta.
Tutte occasioni che mi mandavano letteralmente in confusione: la sua stretta protettiva al cospetto di Mike accentuata dal bacio sulla mia spalla nuda, il suo viso in prossimità del mio sullo scooter, la sua lingua a ripulire il mio labbro dalla schiuma di latte, le sue frasi sensuali sussurrate sul mio collo… come potevo restare lucida in questo modo? Dove avrei racimolato la forza per evitare tutto questo?
Ero attratta da ogni cosa che lui facesse, come se gli gravitassi attorno e pendessi da ogni suo gesto e questo, di conseguenza, ne precorreva uno mio. Una catena immaginaria mi aveva ineluttabilmente legata a lui.
Tuttavia, ciò si era creato solo in seguito a questa strana avventura intrapresa da poco meno di una settimana – il matrimonio di mia cugina -  perché, in tutti quegli anni avevo adottato l’indifferenza spegnendo quella cotta, ai miei occhi alquanto banale, nei suoi confronti. Ma adesso, come potevo essergli indifferente?
Semplice: non potevo.
Le mie forze erano state definitivamente annullate dal nostro primo bacio: il cosiddetto pericoloso innesco.
Sospirai profondamente ancora una volta.
Avevo il capo poggiato sul petto di Edward e potevo distintamente sentire i battiti cadenzati del suo cuore e il suo respiro profondo e regolare.
Con lo sguardo cercai il suo viso: gli  occhi erano chiusi, la fronte distesa senza quella piccola ruga ad incresparla, l’espressione rilassata. Stava serenamente dormendo.
Leggera come una candida piuma, gli sfiorai con un dito il profilo della mascella spigolosa percorrendola in tutta la sua lunghezza. Era ruvida a contatto con la mia pelle a causa di una leggere ispida barba cresciuta nella notte. Era ancora più bello.
Continuai la mia esplorazione e con il polpastrello, con estrema delicatezza, gli accarezzai le labbra morbide, vellutate e piene al punto giusto. Un gesto inconsapevole dettato dall’impulsività e da una parvenza di lucidità, perché se quest’ultima fosse stata totalmente assente, probabilmente avrei sfiorato direttamente la sua bocca con le mie labbra al limite della follia.
Considerai che, quasi certamente, Edward era ormai a conoscenza della mia più che evidente attrazione nei suoi confronti. E questo, di per sé, non era affatto a mio favore.
Or ora, tuttavia, l’importante era nascondere i miei sentimenti: qualcosa di nettamente più profondo di una semplice attrazione.
Edward si mosse leggermente e aggrottò le sopracciglia presumibilmente infastidito dal mio tocco.. Ritrassi all’istante la mano e trattenni il respiro timorosa di esser stato io la causa del suo risveglio. Ma nulla accadde. La fronte si distese di nuovo e il respiro tornò profondo e rilassato.
A malincuore, riuscii ad allontanarmi dal suo corpo sgusciando via dalle sue braccia così maledettamente calde e protettive. Tornai nuovamente sul lato opposto del letto, quello mio che in quel momento era più freddo di una pista in ghiaccio di pattinaggio.
Possibile che già percepissi la mancanza del suo calore?
Esalai un sospiro lungo e profondo coprendomi il viso con entrambe le mani facendole poi scivolare nei capelli arruffati. Non potevo e non dovevo rimuginare su certi pensieri inconsistenti e futili.
Assolutamente no! Non era il caso, il luogo né il momento appropriato per farlo.
Mancavano due giorni al temine di questa assurda quanto fantastica farsa. Solo due maledettissimi giorni al matrimonio di Kate. Ero così agitata da sembrava io la futura sposa. In realtà, ero solo una semplice damigella innamorata da sempre del suo finto fidanzato momentaneo.
 
***
Eravamo tutti in giardino per le prove. I lavori erano quasi terminati; per la cerimonia tutto sarebbe stato perfetto. Era stata allestita una pista da ballo sulla destra con assi in legno chiaro affiancata da numerosi tavoli rotondi. Ai lati, piantati nel pavimento ergevano alte pertiche in ferro battuto, le quali facevano da fondamenta ad uno scheletro di un grosso gazebo da rivestire. Sulla sinistra invece era stato pavimentato una sentiero in pietra bianca costeggiato da varie file di sedie in plastica. Poco più avanti di questo, un arco dalla spessa larghezza composto da rami intrecciati.
Il tutto forse un po’ troppo sfarzoso per i miei gusti, ma nel complesso molto sofisticato e grazioso.
«…Garrent, nel momento in cui vi dichiarerò marito e moglie potrai baciare Kate; non prima.»
Tutti pendevano dalle labbra del pastore che spiegava meticolosamente, passo dopo passo, il susseguirsi della cerimonia. Era un uomo paffuto e panciuto, sembrava avesse ingoiato un anguria intera.
Mostrava ai futuri sposi ogni più piccolo e irrilevante dettaglio, dalla posizione delle mani a quella del corpo, come se al momento clou della funzione fossero in grado di pensare. Ero più che sicura che l’emozione avrebbe sopraffatto entrambi.
Sebbene il mio rapporto con Kate fosse alquanto conflittuale era impossibile non accorgersi dell’amore che provava verso Garrent. Forse, tra le tre era la cugina che più tolleravo; il nostro rapporto era meno puntiglioso.
Adesso mi trovavo tra Irina e Tanya con in mano un finto bouquet di fiori: la disposizione da utilizzare durante la cerimonia.
In quel momento mi pentii amaramente, in maggior misura di quanto non avessi già fatto in precedenza, del mio consenso dato.
Gli occhi di tutti gli invitati sarebbero stati puntati sugli sposi, cosa alquanto ovvia, e ineluttabilmente anche sulle damigelle poste sul lato destro della sposa in bellavista. Non sopportavo l’idea di essere al centro dell’attenzione. A volte ero goffa nei movimenti, specie in presenza delle mie cugine e l’idea di avanzare la navata anticipando la sposa con quell’orrido vestito indosso creato appositamente per farmi cadere e rendermi in oltre modo ridicola agli occhi degli invitati, non mi allettava minimamente. Anzi, mi suscitava quasi panico allo stato puro.
La situazione era più problematica di quanto pensassi!
Spostai ancora una volta il peso da una gamba all’altra con le braccia incrociate sotto al seno – i fiori spostati lateralmente -, mio chiaro e consueto segno di nervosismo. Edward occupava una sedia nelle ultime file scrutando la scena con un sorriso divertito. O meglio, guardava me e rideva sommessamente, quasi di nascosto. Stentava a trattenersi divertito dal mio nervosismo.
Che mascalzone!
Il mattino ero scesa a far colazione ancor prima che lui si svegliasse. Non sapevo cosa aspettarmi, cosa lui avesse inteso dal bacio e cosa dire in proposito. Avevo avvertito l’esorbitante imbarazzo finché lui non mi aveva tolto dalle mani una tazza fumante di caffè con quel suo solito sorriso strafottente in viso.
Doppio mascalzone!
Portai una mano davanti alla bocca nel vano tentativo di celare uno sbadiglio.
Fortunatamente mancava poco al termine delle prove. Tra i risolini e le raccomandazioni del pastore stavo quasi spazientendo del tutto. La mia più che consueta abbondante pazienza, in quel periodo stranamente s’era ridotta. Dovuto alle cugine Denali? Oh sì, su questo non c’era dubbio.
Irina mi sfiorò un braccio con un dito. «Isabella, più tardi arriveranno gli abiti da damigella.»
Il tomo che utilizzò mi inquietò, e non poco. Fu fin troppo gentile e quel sorriso e quello sbattere frenetico di ciglia sarebbe risultato alquanto preoccupante persino ad un cieco.
 
Al termine delle prove, rincasammo. Attesi qualche attimo e, come promesso purtroppo, il vestito arrivò celato fortunatamente in una custodia per abiti nera alquanto rigonfia. Lo portai in camera e lo gettai in malo modo sul letto.
«Isabella, così l’abito si rovina.» Mi sbeffeggiò Edward imitando Irina in tutto e per tutto: dalla voce squillante e isterica alle mani giunte sul petto.
Non riuscii a trattenere una risata sebbene lui trovasse sempre gusto a prendermi in giro.
«Che sbadata.» Mormorai con finto dispiacere. «Dovevo gettarlo direttamente sotto il letto.»
Edward rise apertamente avvicinandosi quatto alla custodia. Captai le sue intenzioni e lo fermai ancor prima che potesse avvicinarsi definitivamente. Mi parai davanti al letto con le braccia stese lateralmente. «Non ci pensare nemmeno.»
Arcuò un sopracciglio. «Perché no? Sono solo curioso e non credo che sia poi così male.»
«Perché se apri quella maledetta cerniera, alla vista di quel “coso” rischio di perdere le staffe e straparlo a morsi.» Era la pura e schietta verità.
Incrociò le braccia al petto e sorrise. «Mmm… è preoccupante come cosa. Necessiti di un’iniezione antirabbia?»
Sbuffai poggiando le mani sul suo petto con l’intento di spingerlo via. «Avrai il piacere di vederlo, te lo assicuro. Ma… cerca di capirmi. Sto sperando con tutta me stessa che lo abbiano cambiato da un momento all’altro per un capriccio con un nuovo abito da damigella più semplice. Fammi fluttuare in quest’illusione ancora per un po’.»
Rise circondandomi la vita con le sue braccia possenti. Quel contatto generò altri brividi sull’epidermide delle braccia e della schiena. Non ero abituata alla sua pelle, al suo calore e probabilmente mai lo sarei stata.
La porta della nostra camera dopo due tocchi si aprì. Kate varcò la soglia, con un sorriso smagliante, senza attendere un consenso ad entrare che probabilmente, da parte mia, mai sarebbe arrivato. «Bella, sei pronta?»
Guardai mia cugina, confusa ed accigliata. «Per andare dove?»
Rise coprendosi la bocca con una mano. «Sarà una sorpresa.»
Perché suonava più come una condanna?
Mi lanciò un occhiata che non seppi definire. «Ci vediamo tra venti minuti giù.»
Kate uscì sorridente, chiudendosi la porta alle spalle. Tramava qualcosa, ne ero più che certa.
«Cosa avrà in mente tua cugina?» Chiese Edward con tono divertito ormai conscio dei loro subdoli tentativi di mettermi in imbarazzo. Ero ancora tra le sue braccia; percepivo un vago senso di pienezza.
«Non è ho la più pallida idea.» Risposi tentando di capire quale fosse la sorpresa.
Assunsi una finta espressione sofferente. «Dottor Cullen, non mi sento affatto bene.» Edward sorrise sghembo alle mie parole. «Può diagnosticarmi una malattia che mi costringa al riposo assoluto?» Conclusi sporgendo il labbro inferiore in avanti.
Lui rise lisciandomi con le dita la base della schiena. Mi baciò la fronte. Il suo odore mi perforò le narici con prepotenza stordendomi i sensi. «Mi spiace signorina Swan, ma sono in vacanza.»
 
 
m«Il ballo intensifica considerevolmente il legame di una coppia. Si instaura complicità, fiducia, affiatamento e passione.»
Una donna, all’incirca sulla quarantina, era in piedi al centro della sala da ballo ed esponeva i suoi pensieri, il suo lavoro, la sua passione con eccezionale disinvoltura.
Ebbene sì, le care cugine mi avevano trascinata in una scuola di ballo pur essendo già da tempo a conoscenza del mio precario equilibrio. Che bisogno c’era di coinvolgere anche noi nell’ultima lezione prematrimoniale?
Non ero mai stata portata per la danza: né da bambina quando Renèe mi aveva letteralmente obbligata a seguire dei corsi per un intero disastroso anno, né ai balli scolastici durante l’adolescenza, e nemmeno attualmente alle feste o alle serate che trascorrevo nei discopub. Non ballavo, punto. Stentavo a camminare senza apparire goffa, figuriamoci a danzare e muovere le anche a tempo di musica.
In quel momento eravamo tutti in semicerchio ad ascoltare l’insegnante: Edward, io, Mike, Tanya, Kate, Garrent e Irina che lanciava occhiate abbastanza languide ad un ballerino in fondo alla sala.
Sì, purtroppo Mike era tornato. Sentivo, ogni tanto il suo sguardo addosso, anche attraverso i grandi specchi che rivestivano tutte le pareti, ma cercavo di ignorarlo ed evitare di incrociare, anche erroneamente, i suoi occhi.
«Non importa quale sia il motivo della vostra presenza in questa sala: per passatempo, dovere, invito, per puro e semplice piacere o, come nel vostro caso» l’insegnante si lasciò sfuggire una risatina divertita, «per un imminente matrimonio. Ma tutto questo è secondario. Ora siete qui e dovete ballare. Ci sono svariati tipi di balli in cui potete cimentarvi: il merengue, la rumba, il mambo, il cha cha cha, il tango, e così via. Non potete restare fermi. Ricordatevi, ognuno di voi ha un ballo prediletto nell’anima che attendo solo di venir fuori.»
Le sue parole erano vere e penetravano la pelle sino a scuotere l’animo di tutti i presenti. Perfino la mia persona che detestava fortemente il ballo. Ma ciò allentava solo in minima parte la mia riluttanza. Il divanetto intagliato e foderato in velluto rosso nascosto in un angolo della sala da ballo accanto all’attaccapanni, richiamava ineluttabilmente la mia attenzione; avrei preferito mille volte assistere a quella lezione che esserne partecipe.
L’insegnante si avvicinò allo stereo impugnando un arma quasi letale: il telecomando. «Noto con piacere che oggi abbiamo altre persone oltre ai futuri sposi.» Ci scrutò con un sorriso radioso e altamente compiaciuto, ignara certamente della mia goffaggine – altrimenti, mi  avrebbe rivolto solo uno sguardo contrito. «Ora formate le coppie. Inizieremo con un ballo semplice e divertente: il mambo.»
Prese di sorpresa la mano di Garrent e lo trascinò al centro della pista. «Facciamo vedere cosa hai imparato, futuro sposo.»
Con un certa titubanza Garrent poggiò la mano sul fianco della donna e iniziò ballare con piccoli passi e ampie piroette, il tutto senza musica con lo scopo di mostrarci gli esatti movimenti del mambo. Dovetti ammettere che non era affatto male, anzi era abbastanza aggraziato per essere un uomo.
«Vedete? I movimenti sono semplici: un passo in avanti ed uno indietro. È come se il piede del vostro compagno vi spingesse a muovervi. Come due calamite aventi lo stesso polo. Sembra che si attraggono, invece si respingono.»
Si girò nella nostra direzione con sguardo fiducioso. «Ora provate voi e cercate di divertirvi.» Azionò lo stereo e una musica latina si diffuse nella sala.
Sbuffai infastidita. Sì, divertirmi, forse con il sedere sul pavimento.
Notai tutti prendere posizione perfino Mike e Tanya. Lui aveva sempre cercato di convincermi a ballare – invano, naturalmente. Mia cugina invece era portata per queste cose. Sinuosa e sensuale in ogni movimento.
Edward, al mio fianco, si schiarì la voce. Non mi ero certa dimenticata di lui, cosa credeva; cercavo solo di ritardare il più possibile quel momento.
Volsi il capo nella sua direzione con infinito imbarazzo scorgendo il palmo della sua mano proteso e un sorriso ammiccante ad illuminare il suo volto. «Mi concedi questo ballo?»
Istintivamente, avvolsi il mio busto con le braccia in segno di protezione. «Non so ballare.»
Mi prese una mano lisciandone il dorso con il pollice.«Io sì.»
«Buon per te.» Mormorai con una punta di sconforto. «Ma io non ballo.» Mi girai con l’intento di allontanarmi e nascondermi nell’angolo più remoto della sala, ma lui mi tirò a sé tanto che i nostri petti si scontrarono. Il suo profumo muschiato giunse dolcemente alle mie narici.
«Non puoi lasciarmi qui solo.» Il suo fioco sussurro mi accarezzò la fronte.
«Edward te lo ripeto: non so ballare.»
Posizionò una mano sul mio fianco. «Per questo siamo ad una scuola di ballo. Non è una gara e non credere che io sia questo grande ballerino.» Mi afferrò la mano libera stringendola con fermezza e delicatezza al tempo stesso. «Possiamo comunque divertirci.»
Con un sospiro presi anch’io posizione sciogliendomi solo un po’. «Spero che le scarpe che hai ai piedi non siano le migliori e neppure troppo costose. Le schiaccerò tante di quelle volte che probabilmente non avrai più sensibilità alle dita dei piedi.»
Mi sorriso sghembo causandomi una leggera tachicardia. «Rischierò. Adoro il pericolo.»
Feci il primo passo in avanti e sfiorai il suo piede, rischiando di poco a pestarlo completamente. Ridacchiò. «Non dovrebbe condurre l’uomo?»
Aprii la bocca per replicare ma mi bloccai all’istante quando percepii il peso di una mano estranea sulla mia spalla: l’insegnate. «La samba è sentore di fantasia. A differenze di altri balli, la donna può essere forte dominante quanto l’uomo.»
Fece il giro sfiorando la spalla in Edward; quel gesto un po’ mi irritò ma ben presto lo interpretai come un cenno di incoraggiamento. «Devi sorprenderla.»
Piegai il capo lateralmente confusa. «Quindi?»
Edward mi spinse in avanti e di sorpresa mi fece fare una piroetta. «Quindi… conduco io.»
 
La lezione proseguì stranamente in piacevole armonia. Difatti, il ballo – la samba, per ora - non era poi così male con Edward escludendo le svariate piroette che mi causavano fin troppi giramenti di testa. Eppure, non riuscivo a smettere di sorridere. In fondo, era divertente, più di quanto avessi mai immaginato. Mi ero perfino dimenticata di trovarmi in una sala da ballo in presenza delle mie cugine e del mio ex fidanzato.
I passi non erano difficili: uno avanti, uno indietro con spostamento di bacino. Gli avevo pestato i piedi un paio di volte, ma stranamente non si era lamentato e non aveva fatto neanche una battuta spinosa in merito. Anche lui rideva e pareva spensierato.
Edward mi fece fare l’ennesima giravolta e mi ritrovai con le schiena addossata al suo petto. Avevo ponderato intensamente, sin dal mio risveglio, l’idea di scusarmi per il bacio di quella notte e la prospettiva di farlo senza guardarlo negli occhi, come in quell’istante, parve l’ideale.
«Edward, io… io volevo chiederti scusa per stanotte.» Esitai per un attimo inspirando profondamente. «A dire il vero, non so cosa mi abbia preso.»
Mi fece fare un’altra giravolta e sfortunatamente mi ritrovai faccia a faccia con lui, al che arrossii violentemente. Ero tremendamente imbarazzata e il suo sguardo mi metteva in soggezione.
Mi strinse leggermente un fianco. Incatenò i suoi occhi ai miei. «Perché ti scusi?»
Deglutii rumorosamente con fatica. «Perché… è stato un momento di debolezza, ecco.»
Un piccolo sorriso gli increspò il viso. «Se fossi un bravo ragazzo dovrei rassicurarti dicendoti che non è accaduto nulla e che non dovresti preoccuparti…» Fece una piccola pausa tale da incutermi un leggero terrore.
«Ma?» Lo incitai perplessa, con una certa titubanza.
Mi sorrise alzando un solo lato delle labbra piene e morbide. Adoravo terribilmente quel sorriso. «Mi ritieni un bravo ragazzo?»
«Lo sei?»
Ridacchiò divertito. «Forse.»
Quella solita piccola ruga gli increspò la fronte. «Di una cosa in particolare sono dispiaciuto.»
Una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco: ansia mista a rancore. Maledissi mentalmente la mia impulsività in tutte le lingue di mia conoscenza. Che stupida che ero stata!
Mi fece girare di nuovo così da ritrovarmi ancora una volta contro il suo petto. Percepii il suo respiro morire sulla mia guancia. «Mi spiace di essermi fermato; non puoi immaginare quanto sia stato difficile farlo.»
Un brivido d’eccitazione allo stato pure mi fece vibrava totalmente incentrandosi nel basso ventre. Improvvisamente le sue mani poggiate sui miei fianchi sembrarono ardere sulla mia pelle nonostante vi fosse il vestito a dividerne il contatto.
Non lo volevo. Non volevo quello strato di stoffa. Volevo sentire le sue mani direttamente sulla mia pelle scoprendo ogni lembo del mio corpo, anche la parte più nascosta.
Non riuscivo a credere a ciò che aveva appena detto. Forse mi stava prendendo in giro: l’attrazione non poteva essere reciproca, o perlomeno non a pari intensità. Era un pensiero assurdo. Totalmente assurdo.
Anche se… era un uomo e come tale aveva particolari esigenze ed io in quei giorni non avevo fatto altro che provocarlo.
La prospettiva di andare oltre il bacio aveva affiorato la mia mente fin troppe volte. Era un desiderio represso intriso in ogni molecola del mio corpo che attendeva solo un segnale o un momento di cedimento per esplodere.
Ma mi ero fermata. Effettivamente non sapevo se era un bene o meno. Stranamente in quel momento riuscivo a pensare tutt’altro che lucidamente.
«Stai scherzando?» Mormorai con un filo di voce.
Posò le sue mani sui miei fianchi e mi girò letteralmente nella sua direzione. I suoi occhi erano luminosi e maledettamente intensi. «Tu cosa vorresti?»
Alzai leggermente un sopracciglio. «Oggi sei molto enigmatico.»
Sogghignando, mi fece face l’ennesima piroetta. Di quel passo non avrei retto ancora per molto. La sala vorticava velocemente.
«E’ colpa tua.» Mi accusò.
Lo guardai stralunata. «Mia? E perché?»
Di sorpresa sentii qualcuno battere le mani e girai di scatto il capo verso la fonte avvistando l’insegnante ferma di fianco allo stereo. «Siete stati bravissimi.» Esordì compiaciuta osservando tutti i presenti. «Ora faremo un piccolo esperimento: proveremo a cambiare i partner. Scegliete qualcun altro con cui ballare.»
Sospirai alzando gli occhi al cielo. Già era difficile ballare e prendere confidenza con Edward, figuriamoci con una persona diversa da lui. Non avrei ballato; poco ma sicuro. Avrei osservato gli altri ballare comodamente seduta sul tanto agognato divanetto posto in fondo alla sala da ballo.
«Bella» Un moto di ira giunse come un uragano al sentir di quella voce. Incrociai le braccia al petto scrutando con astio mia cugina.
Tanya posò una mano sulla spalla del mio ragazzo. «Dobbiamo scambiarci.» Cinguettò stridula sbattendo le ciglia.
L’insegnante ci scrutò soddisfatta a distanza. «Vedo che abbiamo già cambiato i partner. Quindi possiamo iniziare.»
Stranamente era tornata la mia totale avversione per il ballo. Tanya prese per mano Edward distanziandosi di qualche passo. Poi se la poggiò sul fianco sorridendo rallegrata. Le avrei mozzato tutti gli altri se avessi potuto.
Avvistai una mano tesa nella mia direzione, totalmente differente da quella afferrata in precedenza. Avevo notato che le mani dei medici sembravano più grandi, le dita più lunghe quasi da rassomigliare quelle dei pianisti e il tocco era estremamente fermo, deciso e incredibilmente delicato.
Quelle dei commercialisti, invece… 
Afferrai la mano di Mike mal celando uno sbuffo irritato. Che assurda situazione!
«Da quando tu balli?» Mi chiese portando la mia mano sulla sua spalla.
Feci roteare gli occhi infastidita. «Dal momento in cui sono stata obbligata.»
Iniziammo a muoverci lentamente. Questa volta l’insegnate aveva inserito una musica lenta, meno movimentata di quella precedente; forse un valzer, non che ciò mi destasse molto interesse.
«Hai trovato qualcuno, a quanto pare.» Esordì con un sorriso piuttosto tirato.
«Come te, d’altronde.» Replicai secca e diretta.
Lanciò una fugace occhiata a Tanya. «Stiamo insieme da un paio di settimane.»
«Dove vi siete conosciuti?» Domandai curiosa. Il loro incontro sembrava tutto fuorché fortuito.
Mike fece un mezzo sorriso. «A New York. Ci siamo incontrati per caso. Ero appena uscito dal mio studio e lei era sul marciapiede a parlare con un’amica.»
Ecco che sorgevano i primi dubbi. Alzai un sopracciglio scettica. «Non eri a conoscenza della nostra parentela?»
«No.» Rispose sincero, o almeno così parve dall’azzurro dei suoi occhi. «Ma sono felice di averti rivista. E’ passato molto tempo dall’ultimo volta.»
Sospirai. «Abbastanza.»
Continuammo a muoverci lentamente, dondolando da un lato all’atro. Avevo preferito non porgli altre domande per non sembrare troppo interessata all’argomento.
Vagai con lo sguardo per la sala intravedendo Edward e Tanya ballare e sorridere: potevano sembrare quasi Ginger Rogers and Fred Astaire. Una coppia perfetta.
Percepii una fitta al petto e una morsa allo stomaco. Perché la gelosia doveva essere così maledettamente dolorosa? Eppure io non dovevo esserlo. Non ne avevo il diritto.
«E’ quello giusto?»
La domanda improvvisa quanto schietta di Mike mi fece rinsavire. Lo guardai per un istante stordita e confusa. Non sapevo cosa rispondere; non volevo essere sincera ma neanche mentirgli. Optai per il mio solito.
«E’ quella giusta?» Ribattei con un sorriso.
«Vedo che il vizio è rimasto. Replichi con una domanda quando non vuoi mentire perché sai di essere una pessima bugiarda.»
Ero sorpresa: Mike in quei quasi tre anni passati assieme aveva capito qualcosa della sottoscritta. Da non credere.
Gli diedi un buffetto sulla spalla sogghignando leggermente. «Non sono una pessima bugiarda. E poi, anche tu non hai risposto alla mia domanda.»
Tirò un grosso sospiro. «No, non credo che sia quella giusta.» Un piccolo sorriso mesto affiorò il suo viso. «Tu lo eri.»
Chiusi gli occhi per un attimo. Era passato troppo tempo; non potevamo tornare sull’argomento così di punto in bianco. Era tutto finito.
«Mike, io non…»
Ma lui non mi lasciò finire e sorrise affabilmente. «Bella, non ti preoccupare. Non ho detto nulla.»
Abbandonai le braccia lungo i fianchi. No, non era affatto un discorso da rispolverare sebbene sapevo che con quel “nulla” lui avesse voluto far intendere molte cose. Lo conoscevo fin troppo bene: sapeva rigirare per bene le cose a suo vantaggio; non lo faceva con cattiveria, bensì con astuzia. In questo modo aveva sempre ottenuto ciò che voleva; probabilmente ero stata io quella troppo accondiscendente nei suoi confronti ma alla fine, in un modo o nell’altro, mi ero fatta rivalere.
Improvvisamente, un braccio mi avvolse il busto. Una piccola trazione e mi ritrovai a sentire il petto di Edward a contatto con la mia schiena. Avrei riconosciuto il suo profumo ovunque. «Sei stata troppo tempo lontana da me.» Soffiò al mio orecchio.
Alzai leggermente il capo di lato ritrovandomi così a qualche centimetro dal suo viso. «Non ti sei divertito?»
Sorrise stringendomi maggiormente la vita. Mi era mancata la sua stretta protettiva, la sua pelle calda e profumata, i suoi occhi tremendamente intensi. Com’era possibile?
«Non molto.» Mi portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio la mano libera. «Tu, invece?»
Con un movimento lento e paradossalmente sensuale mi voltai e gli cinsi il collo con le mie braccia. «Decisamente, preferisco il ballerino precedente.»
La sua mano scese lentamente lungo la mia spina dorsale stanziandosi alla base della mia schiena. «Ti ho vista sorridere.»
Ridacchiai divertita. «Abbiamo parlato un po’. Per caso sei geloso?»
Accostò le labbra al mio orecchio. Andai quasi in iperventilazione. «Forse.»
La frequenza dei battiti del mio cuore accelerò. «Mi stai prendendo in giro, vero?»
Mi fece fare una piroetta – no, quelle non mi erano proprio mancate – spingendomi poi verso il parquet: un casché improvvisato e spaventoso. «Forse.»
Non ebbi il tempo di lamentarmi perché mi tirò su così velocemente da ritrovarmi pressata quasi totalmente al suo corpo. «La smetti di dire forse?»
Alzò una mano sfiorandomi la guancia rossa a causa del movimento brusco. «Te l’ho detto: sei tu che mi rendi enigmatico.»
Respirai con più affanno: eravamo troppo vicini e l’impulso di gettarmi sulle sue labbra spingeva quasi con violenza. «Ah. E… perché?»
Col la punto del naso disegnò il profilo della mia guancia. «Questo non te lo dico.»
 
- - -
 
Mi trascinai per le rampe al piano superiore con passo lento e pesante. La lezione di ballo era finalmente terminata e i muscoli erano intorpiditi e assurdamente doloranti. Non avevo mai fatto così tanto movimento e le scarpe col tacco avevano nettamente influito in modo tutt’altro che positivo.
Tuttavia, di una cosa ero ormai certa: per il mio matrimonio, quando e se fosse avvenuto, non avrei seguito alcun corso di ballo prematrimoniale.
Giunta a destinazione, aprii la porta della stanza agognando il letto quasi con disperazione. La prospettiva di dormire per tutto il resto della giornata era altamente allettante. «Sono sfinita.»
Alle mie spalle Edward sogghignò. «Si vede.»
Una volta dentro, percepii improvvisamente lo scatto della serratura giungere dal bagno, il che risultava alquanto strano dato che era rotta già dal nostro arrivo.
La porta lentamente si aprii quasi con un cigolio da suspense come spesso accadeva nei film horror. «Hai sempre odiato ballare.» Mormorò una voce gutturale e roca dal bagno. Sapevo a chi apparteneva. Poco dopo, sbucò dall’apertura la testa di uomo biondo e brizzolato.
«Zio!» Accorsi speditamente e mi tuffai tra le sue braccia che mi accolsero con calore e amore familiare. Quanto mi ero mancato.
Mi strinse più forte carezzandomi la schiena. «Ciao, bambina mia.»
Eleazar e Carmen erano per me dei secondi genitori sempre premurosi e gentili nei miei confronti, sin dai tempi dei gattoni. Avevo trascorso molte vacanze estive in loro compagnia. Erano parte vitale della mia famiglia.
Continuò a vezzeggiarmi come suo solito. «Non sei venuta più a trovarmi. Sei arrabbiata con me?»
Alzai il capo e scorsi nel suo viso un barlume di tristezza. I sensi di colpa giunsero come un’impetuosa folata di vento. «Certo che no. Sono stata impegnata a causa lavoro. Mi sei mancato.»
Un dolcissimo sorriso sbocciò sul suo viso leggermente ispido dalla barba e increspato da alcune rughe formate dal tempo. «Anche tu. Sei diventata una bellissima donna, lo sai? Ho sempre detto a tuo padre che avresti avuto tantissimi corteggiatori ai tuoi piedi.»
A malincuore slegai l’abbraccio per dargli un buffetto sulla spalla. Sentii il sangue scorrere sulle mie guance e colorarle di roseo imbarazzo. Quando Charlie e Eleazar erano insieme divenivo insopportabilmente protettivi e gelosi.
Zio squadrò Edward con meticolosa attenzione. «E deduco che lui è riuscito a conquistarti.»
Il mio fidanzato gli si avvicinò con un sorriso in viso porgendogli educatamente la mano. «Piacere di conoscerla, Signore. Edward Cullen.»
L’afferrò con vigore. «La stretta è forte. Ci conosceremo meglio dopo alla cena.»
Ridacchiai e quando metabolizzai le sue parole sbiancai di colpo. «Quale cena?»
«La cena di prova di stasera.» Molto probabilmente zio Eleazar percepì la confusione sul mio viso. «Non ti hanno detto nulla?»
Scossi il capo con un sospiro lungo e pesante. «No.»
Sapevo perfettamente che quella cena equivaleva ad una gara di tiro con l’arco e, naturalmente, il bersaglio in questione ero io; le attive arcieri, le mie care cugine.
«Dovevo immaginarlo.» Mi diede un bacio sulla fronte. Alzò una mano mostrandomi una chiave. «La serratura ora è funzionante.»
Fece per uscire ma si fermò sull’uscio della porta con la mano sul pomello in ottone. «Ragazzo, Bella è come una figlia. Falla soffrire e te la vedrai con me.»
Edward deglutì rumorosamente. «Sì, signore.»
«A più tardi.» Zio Eleazar sorrise di mero trionfo e uscì dalla stanza lasciandoci soli.
Sentii uno sospiro rumoroso alle mie spalle. Ruotai il capo scorgendo il mio finto fidanzato più cereo del normale con una mano ferma sul petto.
Rilasciai una risatina. «Incute terrore, vero?»
Edward fece un mezzo sorriso tirato. «Un po’.»
Mi sfilai le scarpe dai piedi. «E siamo fortunati che Charlie non verrà al matrimonio. Insieme sono insopportabili.»
Un sorriso dolce e tremendamente bello gli illuminò il viso. «Lo fanno perché ti vogliono bene.»
«Già.» Mormorai. Alzai una mano mostrando, stretta tra due dita, la chiave della serratura. «Ora non potrai più entrare mentre faccio il bagno.»
«Peccato.» Sorrise sghembo, alzando solo un lato delle labbra.
Mi portai una mano tra i capelli scompigliandoli. «Ho un bisogno spasmodico di una doccia calda.»
Edward incrociò le braccia al petto e s’accostò con la schiena alla cassettiera in legno scuro. «Vuoi compagnia?»

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11 SALVE A TUTTI/E.
ECCOMI… SONO TORNATA.
VI E’ MAI CAPITATO DI NON SAPERE COSA SCRIVERE? ECCO… ADESSO NON SO COSA SCRIVERE EPPURE QUESTA E’ SOLO UNA PICCOLA INTRODUZIONE.
ANDIAMO PER ORDINE… ANZI OGGI, UTLIZZO I NUMERINI (IL CAFFE’ DEL POMERIGGIO MI FA MALE!!):
 
1. HO VISTO CHE L’INTERRUZIONE DEL CAPITOLO HA SUSCITATO UN CERTO SCALPORE (AHAHAHAHAH). TUTTI AVETE VOTATO PER LA DOCCIA INSIEME? E SAM… COSA HA FATTO???? BELLA DIRA’ Sì? NO?? FORSE?
MUAHHHH… LO SCOPRIRETE SOLO LEGGENDO.
 
2. IN QUESTO CAPITOLA SI SNOCCIOLERANNO TANTISSIME COSE… SOPRATTUTTO ANEDDOTI VECCHI…
 
3. NON POSSO FARE ALTRO CHE RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE HANNO COMMENTATO IL MIO BLOG E MI SOSTENGONO CON LA MINICHAT… SIETE INCREDIBILI RAGAZZE. PER ME E’ UN ONORE CONOSCERVI!!!
 
4. GRAZIE A TUTTI COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE PREFERITE E SEGUITE E ME TRA GLI AUTORI PREFERITI. AUMENTANO SEMPRE PIU’ ED IO MI SENTO EMOZIONATA, IMBARAZZATA E FELICISSIMA COME UNA PASQUA (CI AVVICINIAMO A QUESTO PERIODO E MANCA SOLO CHE DIVENTO UN UOVO DI CIOCCOLATO).
 
5. RULLO DI TAMBURI…. QUANTI COMMENTI!!! MIO DIO, SONO TANTISSIMI!!! SIATE SINCERI: VI PIACE CHE PER CIASCUNO DI VOI, IO PERDA UN BATTITO DI CUORE??? MA VE LO MERITATE… E NON CREDO CHE I MIEI GRAZIE SIANO ABBASTANZA PER MOSTRARVI LA MIA GRATITUDINE. ALIMENTATE SEMPRE. DI VOLTA IN VOLTA, LA MIA VOGLIA DI CONTINUARE ED IMMERGERMI SEMPRE Più IN QUESTA STORIA. IO NON MERITO COSì TANTO. LI RILEGGO SEMPRE E COTINUAMENTE.
MI FATE RIDERE, ARROSSIRE… E VI DICO SOLO CHE, SECONDO IL ROSSO DI CASA (MIO FRATELLO), SONO LETTERALMENTE USCITA FUORI DI SENNO. E LUI… HAIME’, HA QUASI SEMPRE RAGIONE.
GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE!
 
6. PERMETTETEMI DI DEDICARE QUESTO CAPITOLO ALL’UNICO RAGAZZO CHE HA LASCIATO UN COMMENTO E SEGUE LA MIA STORIA:
IULIUSCAESAR… Fabio, non sai quanto mi hai emozionato. Grazie davvero. Questo capitolo è tutto tuo.
 
7. VI RICORDO CHE MANCA UN SOLO GIORNO AL MATRIMONIO E TUTTO STA INESORABILMENTE SALENDO A GALLAENTRO LA FINE DI QUESTA GIORNATA CI SARA’ IL TEASER NEL BLOG.
 
GRAZIE ANCORA A TUTTI DI VERO CUORE.
BUONA LETTURA
 


CAPITOLO 11

 


Inerme nella sua posizione con le braccia conserte al petto, addossato al mobile accanto alla portafinestra, mi fissava con quel suo solito sorriso maledettamente strafottente e sexy. Perché in fondo, quel sorriso era sexy, fin troppo per i miei ormoni stranamente sovreccitati. La prospettiva della doccia insieme era…  tremendamente invitante tanto da farmi avvampare e annaspare in cerca d’aria solo al pensiero. Il desiderio di lasciarmi andare era prepotente ma non così forte da riuscir a subissare quel poco di raziocino ancora persistente.

Ridacchiò divertito riducendo di poco lo spazio a dividerci. «Hai perso la voce?»
Un mezzo sorriso spuntò sul mio viso. «No, preferisco lasciarti nel beneficio del dubbio.»
Si fermò a pochi centimetri dal mio corpo, tanto da percepire il suo calore a quell’effimera distanza. «Gentile da parte tua.»  
Scrutai il suo viso con attenzione: la parte inferiore era ricoperta da un’incolta barbetta ramata più lunga del solito. Spinta dalla curiosità, gli sfiorai il profilo della guancia con le dita, nel stesso modo in cui avevo fatto al mio risveglio con la sola differenza che, ora, era perfettamente sveglio e cosciente. Percorsi con i polpastrelli in tutta la sua lunghezza la mandibola squadrata e ispida al contatto, sino alla punta del mento spigolo. Aveva un’aria leggermente trasandata che stranamente lo rendeva ancora più affascinante.
Sorrise alzando l’estremo del labbro verso la mia mano. «E’ lunga, vero?»
Sogghignai leggera di rimando. «Un po’.»
Ma … mi piace.
Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli ulteriormente. «Non puoi immaginare quanto sia noioso radersi.»
Una idee folle quanto allettante prese forma nella mia mente. «Quanto manca alla cena di famiglia?»
Edward lanciò un’occhiata alla radiosveglia sul comò alle mie spalle. «All’incirca un paio d’ore.»
«Perfetto. Vieni con me.» Gli afferrai la mano con un sorriso furbo e lungo da orecchio a orecchio e lo trascinai di peso in bagno.
 
- - -
«Bella, io-»
«Sshh!»
«Ma-»
«Sshh! Sshh »
Alzò le mani in segno di resa. «Va bene, ho capito. Mi arrendo.»
Finalmente! Sorrisi con entusiasmo. Avevo la strana sensazione di smania e felicità al tempo stesso come quando, da bambina, tocchi per la prima volta l’impasto per i biscotti. È una circostanza nuova che alimenta notevolmente la curiosità senile. Solo che in quel momento tra le mani, a differenza dell’impasto al profumo di cannella, avevo la schiuma da barba bianca e spumosa come la neve. Era soffice e profumava al mentolo; una fragranza talmente frizzante da stuzzicarmi il naso e generare un certo languore allo stomaco. Quella fragranza che molto spesso mi destabilizzava i sensi e la ragione, e alimentava l’olfatto e l’eccitazione. La gradevole fragranza che rispecchia la virilità dell’uomo. Una potente calamita per le donne, almeno per la maggior parte di loro.
Con due dita raccolsi un po’ di schiuma dalla mano e continuai a spargergliela sulla guancia destra ancora del tutto pulita. L’altra era totalmente immacolata e imbiancata. Edward era comodamente seduto sul bordo della vasca con le braccia poggiate ai lati per non cadere.
«Dall’espressione del tuo viso sembri una bambina.» Mormorò puntandomi addosso quello sguardo verde intenso.
Sorrisi ancora prendendo un’altra piccola porzione. «Lo so.» Ne ero felicemente consapevole.
Mi fermò il braccio con una mano. In viso sempre un espressione sorridente. «Adesso mi dici come ti è venuta quest’idea.»
Finii di coprire tutta la parte inferiore del viso. «Quando Charlie si radeva l’osservavo attentamente di nascosto dietro la porta del bagno. Mi piaceva il profumo che aleggiava nell’ambiente, il rumore della barba a contatto con la lama e soprattutto,» ridacchiai sciacquandomi le mani sotto il getto d’acqua fresca del lavandino, «la schiuma. Amo la schiuma da sempre e non sai quante volte avrei voluto toccarla.»
«Perché Charlie non viene al matrimonio?»
Presi il rasoio blu dal suo beauty. «Difficilmente papà si allontana da Forks. La carica di sceriffo lo tiene molto occupato e poi… odia la confusione.»
Un sorriso mesto affiorò il mio viso. «In alcuni versi, siamo molto simili.»
Edward mi accarezzò delicatamente un braccio. «Ti manca?»
Annuii leggermente sorpresa dalla sua perspicacia e alzai le spalle lasciando in quel modo cadere il discorso. Avvicinai il rasoio al suo viso e lo poggiai delicatamente sullo zigomo.
Edward mi prese inaspettatamente la mano e la portò al lato opposto, in basso sulla mandibola. «Devi andare nel verso contrario della barba altrimenti non tagli nulla.»
«Okay.» Con sguardo deciso e tocco delicato percorsi la guancia dal basso verso l’alto ma il rumore fu decisamente differente da come lo ricordavo. Edward rise apertamente stringendomi il polso delicatamente. «Bella devi metterci un po’ più di forza. Affonda maggiormente.»
Mi imbronciai, preoccupata. «E se ti graffio?»
Scosse il capo con un dolce sorriso. «Non mi graffi.» Questa volta, fu la sua mano ad accompagnare la mia dall’alto verso il basso spingendo più in profondità. Sentii il rumore della barba tagliarsi a contatto con la lama. Un rumore così familiare da farmi tornare indietro nel tempo con la mente.
Il rasoio lasciò una scia liscia e rosea senza la minima traccia di schiuma, né di barba; la sforai con un polpastrello per saggiarne il risultato: morbida e levigata al contatto. Un sorriso raggiante spuntò sul mio viso e battei le mani felice del mio operato. «Ci sono riuscita.»
Edward scosse il capo incredulo. «Non puoi essere entusiasta per questo.»
Gli feci la linguaccia risciacquando la lama. «E invece sì.»
«Sei incredibile.» Sogghignò incentrando lo sguardo nel mio.
La seconda volta fu più facile e veloce data l’esperienza della prima. «No, sono solo altruista. Tu ti scocciavi a raderti, ed io mi sono offerta di farlo al posto tuo.»
Feci entrambe le guancie, il mento e al di sopra delle labbra. Tuttavia, il compito non era ancora del tutto concluso. Vi erano alcune piccole parti di pelle ancora incolte da una leggere barba più resistente. Spruzzai altra schiuma sulla mano.
Edward rise notando probabilmente il sorriso con il quale avevo compiuto quel semplice gesto. Amavo indiscutibilmente quella sostanza corposa.
«Non è altruismo, tu ti stai divertendo.»
Storsi il naso infastidita e al contempo divertita. Aveva ragione. Presi la schiuma tra le dita e ricoprii prima le pelle ispida poi, cogliendolo di sorpresa, gli imbrattai la fronte e la punta del naso. «Ehi!»
Una linguaccia da parte mia. «Così impari a non apprezzare un gesto generoso.»
Si alzò repentinamente in piedi e prese dalla mia mano la restante schiuma. «Sai, anch’io mi sento generoso in questo momento.»
«No!» Mi girai di scatto per fuggire al di fuori del bagno ma Edward fu più veloce e mi cinse la vita con un braccio. Con l’altra mano, quella colma di schiuma, mi imbrattò totalmente il viso tanto che dovetti serrare contemporaneamente occhi e labbra per non essere accecata o avvelenata. Ero totalmente ricoperta e sentivo il mentolo forte e diretto alla base del mio naso.
«Ecco; credo che così possa bastare.» Esordì Edward girandomi di peso nella sua direzione. Al che, afferrai repentinamente lo spray e gli cosparsi i capelli di schiuma.
Mi lasciò fare assumendo un’espressione pericolosamente scaltra. «Sai che in questo modo hai apertamente dichiarato guerra?»
Fu inevitabile esplodere in una fragorosa risata. Sembrava un pupazzo di neve profumato al mentolo cosparso di schiuma bianca dalla punta dei capelli alla base della gola. Prese la schiuma dal suo capo fissandomi con sguardo sadico.
Gli puntai un dito contro. «Non ci provare. Mi hai sporcato il viso e siamo pari.»
Inaspettatamente mi accarezzò i capelli con le mani imbiancate. «Ora siamo pari.»
Mi toccai il capo con una smorfia di disgusto; i capelli erano appiccicosi. Mi ripulii le mani sulle sue braccia e gli alzai il bordo della maglietta per pulirmi il viso. Trattenni l’ennesima ondata di risa. Per lui, invece, non fu altrettanto facile. «Non hai ancora finito?»
Feci spallucce. «Mi devo pulire, cosa credi. Adesso profumo di mentolo.»
Edward alzò un sopracciglio. «Non hai detto che ti piaceva?»
«Sì certo, ma addosso a te, non a me.»
Mi morsi all’istante la lingua. Avevo detto troppo. Mancava solo che gli dichiarassi che in quel momento avevo immagini nella mia mente tutt’altro che pudiche, e avrei completato la figuraccia in grande stile… sebbene avrei sempre portato nel cuore quei piccoli momenti insieme, relegati e disegnati solo per noi, lontani da tutti.
Edward mi scrutò con quello sguardo così intenso da rendere le mie gambe molli. «Adesso credo di avere anch’io bisogno di una doccia.»
Raggiunse il box doccia e aprì rubinetto affinché uscisse l’acqua calda.
«Ehi, ho la precedenza.» Sbottai con tono autoritario incrociando le braccia al petto.
Edward aprì le braccia lateralmente mostrandosi. «Mi vedi?»
Lo vedevo, eccome se lo vedevo. La sua maglietta azzurra era così zuppa da aderirgli totalmente al petto e divenire quasi trasparente… era tremendamente attraente.
«Sono più sporco di te. Hai perso la precedenza nel momento in cui mi hai sporcato anche la maglietta.»
Sbuffai infastidita… odiavo quando aveva ragione! Accidenti all’orgoglio!
Poi una strana consapevolezza mi piombò addosso. «Come mai non fai la tua solita domanda? Perché non mi chiedi di farla insieme?»
Un sorriso trionfante gli illuminò il viso. «Perché l’ho fatto troppe volte. Ora tocca a te.»
Sussultai leggermente meravigliata e incredula. «Tocca a me?»
«Sì, il testimone è passato nelle tue mani.»
Percepii le gote accalorarsi. «Cosa dovrei fare?»
«Da ora in poi, dovrai essere tu a chiedermi se voglio fare la doccia con te o, come in questo caso, se voglio la tua compagnia.»
Era impazzito? Ma dove le trovava certe idee? Se ne usciva sempre con un nuovo folle stratagemma alla Edward Cullen.
Incrociai le braccia con un gesto secco di fermezza alzando la mia dignità a livelli sopraelevati. «Impossibile. Non lo farò mai.»
«Va bene, come preferisci.»
Inaspettatamente prese il bordo della sua maglietta bagnata e con nonchalance se la sfilò dal capo restando a petto nudo davanti ai miei occhi. Gettò l’indumento sul pavimento. Sgranai gli occhi sorpresa e ammaliata. La determinazione vacillò come le mie gambe inverosimilmente cedevoli in quell’istante e un brivido di pura frenesia strisciò lungo le vertebre della mia schiena. Se quello era un modo per provocarmi…
Accidenti! Non poteva comportarsi in quel modo. Era un autentico richiamo alla perdizione dei sensi. Era bello e questa sua cognizione portava a conferirgli un aspetto strafottente che stranamente, molte volte, rasentava un sfumatura di dolcezza. Com’era possibile che due atteggiamenti così contrastanti tra loro fossero presenti in una sola persona? Il suo sorriso sghembo trasudava una sfacciataggine incredibilmente affascinante, mentre gli occhi… sembravano dolci nel taglio, nel colore e nell’intensità. Un miscuglio che mi rendeva totalmente assuefatta dalla sua presenza. Ero maledettamente e totalmente dipendente da lui.
Ma lo conoscevo e questa mia consapevolezza mi portava ad erigere un muro di difesa nei suoi confronti. Era solito prendermi in giro; si divertiva, ci prendeva realmente gusto.
Chiusi gli occhi inspirando profondamente. Il mio desiderio di abbandono era incalcolabile, immenso e lui non poteva nemmeno immaginare quanto. Schiusi lentamente le palpebre e solo in quell’istante mi resi conto di avere il labbro inferiore costretto dai denti; un modo per frenare ogni mio impulso.
La sua bocca era ancora incurvata; i suoi occhi incatenati ai miei. Portai una mano sulla mia guancia scoprendola estremamente bollente. Maledetto imbarazzo!
Dovevo allontanarmi da lui, all’istante altrimenti nessuno mi avrebbe trattenuto dal saltargli addosso .
Infilai la mano nella tasca dei jeans tirandone fuori la chiave in ottone della serratura del bagno. Edward parlò ancor prima che io potessi fare alcun movimento. «Non mi serve; la puoi tenere tu.»
«Allora io…uhm … vado.» Mi accinsi ad uscire quando la sua voce roca e sensuale giunse alle mie orecchie come un balsamo al profumo di mentolo – il bagno ne era ancora pregno. «Bella?»
Girai solo il capo nella sua direzione restando con il busto ancora verso l’uscita.
Sorrise ancora una volta provocandomi palpitazioni frenetiche. «Nulla è impossibile.»
 
- - -
 
Ravvivai i capelli con le mani e pizzicai i boccoli con le dita. Detestavo le acconciature sofisticate, le avevo sempre odiate, sin da bambina. Preferivo tenerli sciolti e liberi sulle spalle come una sorta di scudo protettivo.
Stirai con le mani l’abito sulle gambe e sul ventre: il fondo era in lucido raso nero ricoperto da uno strato sottile in velo dello stesso colore. La spalla destra era totalmente scoperta e priva di manica compensata dal lato opposto con una avente un bordo eccessivamente ampio molto simile ad una calla rovesciata. L’abito scendeva morbido sulle curve dei fianchi e terminava poco prima del ginocchio. L’ennesimo regalo di Alice: elegante ma non in modo eccessivo.
Tuttavia, ciò che mi terrorizzava maggiormente erano le scarpe: nere, rifinite in argento con un tacco esageratamente alto. Fortunatamente era solo una cena e ciò avrebbe comportato solo di stare seduta garbatamente ad un tavolo; il rischio di cadere era minimo.
Avevo un certo timore a mostrarmi in quel modo ad Edward sebbene il mio fosse, tuttavia, un abbigliamento semplice e poco provocante. Non avevo il portamento sensuale di Tanya, né la sua bellezza quasi eterea. Incarnavo la semplicità, o meglio dire… l’autentica banalità.
Quando Edward era uscito dal bagno, avvolto da un accappatoio bianco, io vi ero sgusciata all’interno come una ladra sfuggendo al suo sguardo.
Maledetto imbarazzo da adolescente!
Tirai un grosso respiro ed aprii la porta del bagno. Neanche io avevo utilizzato la chiave. Stranamente non avevo trovato un concreto motivo per farlo.
«Wow!»
L’esclamazione di Edward mi fece sobbalzare e girare di scatto il capo nella sua direzione. Era in piedi accanto al letto intento ad abbottonarsi un polsino della camicia. Mi stava studiando con attenzione vagando con lo sguardo su tutto il mio corpo. Avevo forse esagerato?
Incerta, mi portai una ciocca dietro l’orecchio. «E’ troppo?»
Edward sbatté velocemente le palpebre un paio di volte. «No… sei perfetta.»
Abbassai lo sguardo mordendomi le labbra con un accenno di sorriso. «Grazie.»
Mi si avvicinò e tese una mano quasi a sfiorarmi un braccio. «Sei pronta?»
Un sospiro lungo e profondo. «Sono pronta. Andiamo.»
 
- - -
 
Ci accomodammo su uno dei tanti tavolini posti fuori in giardino per il matrimonio, sulla piattaforma in legno chiaro. L’ambiente era illuminato da piccoli fari smorzati e sparsi sul terreno; la luce protraeva verso l'alto quasi da sembrare una leggera foschia. La serata era iniziata incredibilmente nei migliori dei modi: Edward, al mio fianco, scambiava qualche parola con Garrent; io, invece, mi intrattenevo con zia Carmen enunciandole la buona riuscita della sua ricetta messicana provata la sera prima. La carezza e lo sguardo carico d’orgoglio che mi rivolse fu più di quanto io stessa potessi desiderare da un genitore.
Le mie cugine invece cincischiavano sulle bomboniere e quant’altro fosse pertinente al matrimonio. Forse mi ero fasciata la testa ancor prima di essermela rotta; forse non avevano alcuna intenzione di rendermi ridicola davanti a tutti, come loro solito. Ma nella vita avevo imparato che non bisogna mai cantar vittoria troppo presto.
Avevano incaricato, per quella sera, lo stesso servizio di catering per il giorno del matrimonio. Inizialmente portarono ben due antipasti che trangugiai quasi con voracità. La lezione di danza mi aveva portato via fin troppe energie.
Kate aveva optato per un menu totalmente italiano e, proprio per questo motivo, i primi piatti erano tre e rispecchiavano i colori della bandiera dell’Italia – dove per l’appunto, i neosposi, avrebbero trascorso il viaggio di nozze.    
Pertanto, la portata seguente fu rossa: un ricco piatto di spaghetti ai pomodori di San Marzano.
«Papà, lo sai che Edward è invincibile con gli scacchi?» Esordì Tanya alternando lo sguardo dal mio fidanzato – l’aggettivo finto non mi andava poi molto di utilizzarlo – a zio Eleazar. Quest’ultimo mi rivolse uno sorriso furbo. «Sul serio?»
Accennai una risatina. «Non è invincibile.»
Zio sospirò scuotendo il capo. «Una soddisfazione: l’allievo che supera quasi il maestro.»
Edward mi scrutò con un cipiglio curioso. Sciolsi i suoi dubbi prima che potesse pormi qualsivoglia domanda in merito. «Credo che tu abbia capito che è stato lui il mio mentore: mi ha insegnato a giocare a scacchi.»
Edward deglutì alzando le sopracciglia. «Quindi è colpa sua se tu riesci a battermi?»
Sorrisi. «Assolutamente sì.»
«Hai mai vinto contro di lui?»
Zio anticipò la mia risposta. «Ci è andata vicino.»
Gli puntai un dito contro briosamente. «Un giorno ti batterò, stanne certo.»
Eleazar rise diverto. «Dici sempre così, Bella. Questa volta però voglio proprio vedere di che pasta è fatto il tuo fidanzato. Ci stai, Edward?»
Edward ricambiò lo sguardo di sfida. «Assolutamente. Non mi tiro mai indietro, signore.»
Tanya rise civettuola. «Hai trovato uno nuovo sfidante, papà?»
Zio bevve un sorso di vino rosso. Quella volta risposi io al suo posto. «Io direi un nuovo perdente.»
Edward mi pizzicò un fianco. «Ehi, tu dovresti tifare per me.»
Gli feci una linguaccia. «Se con me perdi che sono l’allieva, quale pensi che sia la tua riuscita contro il maestro?»
Ci pensò su qualche secondo e la consapevolezza gli fece trasfigurare il viso in una smorfia.
«Non posso più ritirarmi, vero?» Sussurrò in prossimità del mio orecchio sfiorandomi quasi il lobo.
Girai il viso verso il suo. «No, credo proprio di no.» Gli toccai il mento liscio con un polpastrello. «Però, in compenso, posso consolarti.»
Con la punta del naso mi sfiorò una guancia inspirando profondamente. «Sai che profumi ancora di mentolo?»
Sorrisi. «Anche tu.»
La seconda portata – bianca: gratin di gnocchi al formaggio - mi fece allontanare dal suo viso e solo allora mi accorsi degli occhi puntati su noi: chi sorridente e chi infastidito. Inconsapevolmente, più cercavo un modo per non attirare la loro attenzione e più lo facevo. Ma succedeva così ogni volta che ero con Edward: mi estraniavo da tutto ciò che mi circondava e non vedevo altro che lui.
«Nella settimana prossima farò un book fotografico a New York oltre ad una sfilata di moda.» Disse Tanya carezzando la mano di Mike sul tavolo.
Zia Carmen le sorrise amorevolmente. «E’ fantastico, tesoro.»
«Che lavoro fai, Mike?» Domandò curioso l’ispettore-zio- papà- protettivo.
L’interessato gonfiò il petto. «Sono un commercialista. Ho uno studio tutto mio a New York.»
Zio annuì per poi puntare lo sguardo sul mo fidanzato. «Tu, Edward?»
Edward si pulì con un tovagliolo e rispose con nonchalance. «Sono un cardiochirurgo del Seattle Grace Hospital.»
Poteva certamente anche lui gonfiarsi di orgoglio, ma con mio sommo stupore non lo fece.
«Ma non eri tu quella che sveniva alla vista del sangue?» Mi chiese Irina sogghignando in modo altamente irritante. Ah, naturalmente questi suoi ricordi erano dovuti ai vari dispetti inflittomi da bambina.
Alzai le spalle. «Non lavoro mica con lui.»
Edward al mio fianco rise sommessamente. Zio si allontanò dal tavolo con Garrent per fumare una sigaretta. Non era mai riuscito a smettere nonostante le nostre continue pressioni.
«Ah no? E dove lavori?»
Le mie cugine non si erano mai realmente interessate di cosa io facessi nella vita;  tutta questa nuova curiosità mi metteva in soggezione. Mi torturai le mani ferme sul mio grembo. «Lavoro per un giornale.»
Tanya rise in modo così pernicioso da farmi credere che realmente fosse la figlia del diavolo in persona. «Cosa fai? Temperi le matite? Distribuisci caffè o sei l’addetta alle fotocopie?»
Inaspettatamente Edward mi prese una mano, la strinse e poggiò il nostro intreccio in bellavista sul tavolo. «A dire il vero, è la migliore giornalista di tutta Seattle. Anzi, dell’intero Stato di Washington.»
Sorrisi grata a quel suo intervento così bello e inaspettato da farmi arrossire delicatamente.
«Washington?» Proruppe Mike con tono sorpreso. «Hai rifiutato il New York Times?»
Tutti gli occhi del tavolo si incentrarono sulla mia figura. Ecco, quello era uno degli argomenti che preferivo non dissotterrare. Mike era l’unico a sapere determinate cose e avrei indiscutibilmente preferito tenere un certo riserbo sulla mia vita privata scorsa e attuale.
«Sì.» Un monosillabo debole e poco determinato.
Mike imperterrito continuò. «Perché? Eppure era quello che avevi sempre desiderato.»
«Si vede che non era all’altezza.» Insinuò Tanya versandosi altro vino nel bicchiere.
Sentivo lo sguardo di Edward addosso probabilmente curioso quanto gli altri di sapere il motivo del mio rifiuto.
Tirai un grosso respiro e presi tra le dita lo stelo del bicchiere in cristallo. «Il motivo è un altro» Guardai di sottecchi il mio fidanzato: aveva le sopracciglia aggrottate e la solita ruga era comparsa sulla sua fronte.
«Non volevo allontanarmi da Edward.»
Percepii la stretta della sua mano nella mia intensificarsi. Neanche lui era al corrente del vero motivo; nessuno lo era, neppure Alice. Io ero l’unica persona a saperlo.
E prima ancora che potessero pormi altre domande imbarazzanti, alle quali non volevo certo rispondere, mi alzai dalla sedia. «Scusate. Torno subito.»
 
Mi precipitai nel bagno del piano inferiore. Girai la chiave nella toppa della serratura che con due scatti si chiuse e appoggiai la fronte sul vetro freddo della porta.
Stupida Bella! Stupida!
La situazione stava decisamente precipitando e le mie difese si stavano sgretolando come un muro rivestito da un intonaco formato da sabbia e grassello che ad ogni piccola percussione si sbriciola. Tutto, ineluttabilmente, mi stava scivolando dalle mani senza che io potessi realmente impedirlo. Lentamente, stavano emergendo tutte le scelte che avevo rilegato in un cassetto nell’angolo più recondito della mia memoria. Come una clessidra - un po’ particolare nella sua specie caratterizzata da una metà in vetro trasparente, l’altra totalmente nera dalla quale non si può vedere assolutamente nulla - dal cui foro scende a rilento la sabbia, i miei pensieri scendevano nella metà trasparente rendendosi inevitabilmente visibili a tutti. Dovevo solo tener duro fintantoché non fossi tornata alla mia solita vita e avrei girato nuovamente la clessidra ricominciando tutto daccapo. Forse non era realmente quello che volevo ma mi sarei accontentata, come sempre d’altronde.
Ero scappata perché non volevo approfondire certi argomenti ma non potevo certo restare per un tempo indefinito nel bagno per eludere le loro domande impertinenti. Avrei destato loro solo sospetti – purtroppo – fondati. Avrei indossato la solita maschera sorridente celando – forse in malo modo – l’ansia e l’agitazione che spesso mi attanagliavano lo stomaco.
Non era affatto il momento di avere una crisi emotiva.
Mi sciacquai i polsi sotto il getto d’acqua fredda del lavandino in marmo. Tirai un grosso respiro ed uscii dal bagno.
Una volta giunta al tavolo, presi nuovamente posto accanto a Edward che mi scrutò con occhi clinico e stranamente preoccupato. Mi prese una mano sfiorandone il dorso con il pollice. «Tutto bene?»
Feci un cenno d’assenso mostrando un mezzo sorriso. Tutto era tornato ad una normalità apparente e sembrava che nessuno si fosse accorto della mia breve assenza. Giunse anche la terza portata italiana: verde, orecchiette condite con pesto alla genovese.
Tutti iniziarono a mangiare, meno la sottoscritta. Si era creata una morsa allo stomaco che mi aveva spento del tutto l’appetito.
«Bella, tesoro non mangi?» Il tono di zia Carmen fu velato da una preoccupazione così materna da stringermi il cuore.
Le rivolsi un sorriso di riconoscenza. «Non sono abituata a mangiare così tanto.»
Non mangiai molto, ma in quella piccola porzione ingerita – più per cortesia che reale appetito - notai uno strano retrogusto di frutta secca.
Edward al mio fianco tossì raschiandosi la gola. Portò una mano dietro l’orecchio sfregandosi la pelle laddove notai un leggero rossore.
Fu inevitabile preoccuparmi. «Ti senti bene?»
Fece un leggero accenno di assenso con capo e tossì ancora. No, non stava affatto bene.
Sulla lingua percepivo ancora il sapore del pesto italiano e non mi sembrava che vi fosse un ingrediente particolare…
… retrogusto di frutta secca …
«Accidenti!»
Iniziai a respirare con affanno. Un moto d’ansia mi investì come un fiume in piena e mi rivolsi a zia Carmen con tono concitato. «C’era della frutta secca nel pesto italiano?»
Lei parve pensarci più del dovuto rivolgendo lo sguardo per un attimo al piatto imbrattato di verde. Poi alzò gli occhi mostrandomi un espressione altamente confusa. «Sì, ci sono le noci.»
Accidenti!
 

Mi diressi velocemente al piano superiore mettendo a soqquadro la camera da letto in cerca della borsa contente i vari documenti di riconoscimento e quant’altro potesse essere utile per raggiungere l’ospedale nell’immediato.

Ma la fretta rende ciechi ed io stavo letteralmente uscire fuori di senno.
Ma dove diavolo l’avevo messa?
«Maledizione!»
L’ansia aveva preso ormai il soppravvento e la respirazione era divenuta concitata e secca, a spezzoni. Vagavo nella stanza da un estremo all’altro gettando alla rinfusa sul pavimento tutto ciò che mi capitasse sotto mano, dai guanciali agli indumenti.
«Bella.»
Girai di scatto il capo scorgendo la figura di Edward ferma sull’uscio. Le orecchie sembravano infuocate: il rossore scendeva dai lobi sino alla base del collo. Le labbra erano tumide e vermiglie.
No, non andava affatto bene ed io stavo letteralmente morendo di paura.
«Dobbiamo andare subito in ospedale.» Ripresi con maggior fervore la mia ricerca. «Forse è meglio chiamare un ambulanza.» Un pensiero tanto fulmineo quanto doloroso mi gelare il sangue. Gli puntai gli occhi addosso in preda al panico. «E se ti causa uno shock anafilattico?» Mi portai le mani alla testa. «E’ tutta colpa mia.»
Percepii il peso di due mani sulle mie spalle. «Bella»
Sentivo gli occhi pungere ai lati. Le lacrime erano salite con una velocità incredibile e aspettavano un nonnulla per traboccare. «E’ colpa mia. Sono io che ti ho trascinato qui in Alaska.» Scossi il capo furiosamente.
Dalle mie labbra fuoriuscivano balbettii disconnessi e privi di significato. I sensi di colpa, la paura, mi stringevano dolorosamente lo stomaco provocandomi, quasi, veri e propri conati di vomito: una crisi di panico in piena regola. Ero realmente preoccupata.
Maledizione, perché ero stata così distratta e non avevo controllato prima?
«Io… tu… se ti succede qualcosa io…»
Edward mi scosse le spalle con forza affinché incentrassi lo sguardo su di lui. «Bella, calmati!»
«M-ma…»
I suoi occhi bruciavano d’intensità. «Calmati. Ora prendi dei profondi respiri.» La sua voce non era altro che un flebile sussurro roco e privo di tono. Probabilmente, gli costava un certo sforzo parlare.
Come poteva pretendere che in una situazione del genere mi calmassi? Avevo perfino dimentico come si respirasse!
«Non mi succederà nulla. Ne ho mangiato pochissimo. Con una semplice iniezione di cortisone in meno di un’ora tutto passa.»
No, era impossibile. Non gli credevo. Sapeva tanto di attenuante, molto simile a quella che si racconta ai bambini per non farli agitare.
«Ma … quindi dobbiamo a-and»
Edward sogghignò. «Da nessuna parte. Sono premunito. Ce l’ho in quella valigetta che tu tanto detesti.» E la indicò con uno sguardo.
«Non mi stai prendendo in giro, vero?»
Mi sorrise dolcemente. «No, sono sincero.»
Una lacrima – ricca di tensione - sfuggì al mio controllo; il peso che precedentemente si era formato sullo stomaco sparì lasciando un leggero senso di intorpidimento. In quel piccolissimo arco di tempo avevo accumulato un’incredibile tensione.
Edward mi asciugò la guancia teneramente con il pollice. «Sei una sciocca.»
Inspirai profondamente un paio volte; l’ansia restante mi suggerì di impormi in quell’istante più di quanto fosse desiderato da entrambi. Non mi sarei rilassata finché non fosse tornato tutto alla normalità. «Allora muoviti. Fai questa iniezione, subito!»
Sogghignò, divertito dal mio repentino cambio di personalità. Si passò la lingua sul labbro inferiore ed una piccola smorfia attraversò il suo viso.
Gli accarezzai una guancia con apprensione e calore. «Ti bruciano le labbra?»
Lasciò andare il capo sulla mia mano inclinandolo dolcemente di lato. «Fanno leggermente prurito, tutto qua.»
Poggiai con estrema delicatezza un dito sulle sue labbra gonfie e rosse avvertendo sul polpastrello il calore fin troppo eccessivo. «Vado a prendere del ghiaccio.»  
 
***
Le due dita della mia mano –l’indice e quello opponibile – erano del tutto congelate e intorpidite, ma poco m’importava. Feci scorrere per l’ennesima volta da un lato all’altro del suo labbro inferiore il cubetto di ghiaccio che a contatto col calore si liquefaceva e le goccioline d’acqua ricadevano lungo il mio braccio. La sua bocca era meno tumida; le orecchie e il collo avevano perso quel colore rosso intenso. La sua pelle aveva riacquistato il suo naturale candore.
La frenesia di baciarlo era lieve, assopita da quella preoccupazione senza precedenti. Non mi era mai capita una situazione del genere.
Edward aveva gli occhi chiusi e respirava più lentamente. «Stai dormendo?»
Un mezzo sorriso gli increspò il viso, ma non rispose. Allontanai leggermente il cubetto dalle sue labbra. «Come ti senti?»
Emise un leggero sospiro caldo sulle mie dita così prossime alle sue labbra. «E’ la quinta volta che me lo chiedi.» Schiuse un solo occhi penetrandomi con quel faro verde. «In venti minuti.»
Chinai il capo imbarazzata e imbronciata. Non potevo farne a meno. Pretendeva forse indifferenza da parte mia?
La sua risata cristallina e gioiosa irruppe nell’aria. Rideva e sussultava si gusto talmente forte quasi da versare lacrime. Si riprese a malapena inspirando. «La tua faccia era troppo buffa.»
Gli sferrai un pugno leggero sul petto. «Ed io che mi preoccupo per te.» Portò una mia mano vicino alle sue labbra baciandone finemente le nocche.
«Grazie.»
Boccheggiai e arrossii. «Hai bisogno di altro ghiaccio?»
Scosse il capo. «E’ passato il prurito. Come sapevi che quello era un rimedio?»
Posai il cubetto nel bicchiere in vetro sul comodino. «Dottor Cullen, mi sorprende. Ed io che credevo che lei fosse un medico di successo.» Quando da bambina qualche insetto mi pungeva, il ghiaccio attenuava sempre il prurito.
Afferrò il mio polso approssimandomi maggiormente al suo viso così da avere gli occhi incatenati l’un l’altro. «Io sono un medico di successo.»
«Lo so. Eppure a tavola lo hai detto con leggerezza.» Replicai spinta dalla sincerità e dall’incredulità di tanta sua inusitata riservatezza.
«Sono discreto. Non mi piace vantarmi.» Alzò il braccio libero accarezzandomi una guancia. «Come te, d’altronde.»
«Come me.» Confermai persa in quell’oceano verde.
«Posso farti una domanda?» Sussurrò fiocamente e non potei fare a meno di assentire; ero balia di un serpente incantatore.
«Perché hai rifiutato il New York Times?»
Sobbalzai e mi allontanai repentina dal suo viso. Più eviti una cosa, e più questa ti ripercuote contro.
Alzò un sopracciglio ramato palesemente incuriosito. «Allora?»
Alzai un piede sfilandomi un sandalo nero reduce ancora della cena. Sapevo che non avrebbe desistito ed optai per una mezza verità. «Pensavo che era ciò che desideravo di più al mondo, ma mi sbagliavo… ed ho rifiutato.»
«Posso farti un’altra domanda?»
Ridacchiai. Questo suo lato curioso mi era nuovo. «Sì, ma non ti assicuro alcuna risposta certa.»
«Quella precedente non era affatto certa. Direi più, vaga.»
Se n’era accorto? Che uomo perspicace!
«Preferivi una scena muta?»
Alle mie spalle lo sentii sogghignare. «No, le tue risposte contorte mi piacciono.»
Mi sfilai l’altro sandalo. «Allora, qual è l’altra domanda?»
Si schiarì la voce prima di parlare. «Perché tra te e Einstein è finita?»
M sfuggì un sorriso al nomignolo di Mike, naturalmente affibbiatogli non per dimenticanza ma per divertimento, ma si spense poco dopo aver appreso la natura della sua domanda. Sapevo che quell’argomento inevitabilmente prima o poi sarebbe riaffiorato. «E’ una storia lunga…»
Mi sorrise in modo dolce. «Abbiamo tempo.»
«… e complicata.» Conclusi con l’amaro in bocca.
Accentuò il sorriso. «Cercherò di capire. Sono o non sono un medico di successo?»
L’espressione del mio viso fu abbastanza tirata. Era giunto il momento di sganciare la bomba, perlomeno in parte. «Abbiamo frequentato lo stesso College. Mike dopo la laurea fece uno stage a New York, io invece al Daily News di Seattle. Dopo alcuni mesi, mi propose di andare a vivere con lui nella Grande Mela.» Ispirai e ripresi a parlare. Sguardo sul pavimento. «Ma non ero ancora pronta per compiere un passo del genere, volevo più tempo ma lui non fu d’accordo. Con il suo ultimatum tutto finì.»
«Ultimatum?» Chiese Edward con tono stranito.
Gli rivolsi uno sguardo eloquente. «Sì, pretendeva che io andassi a vivere con lui a New York altrimenti … avrebbe troncato lui per entrambi. Forse voleva intimorirmi, spronarmi… ma io ho ceduto.»
Mi scrutò attentamente tanto da suscitarmi un leggero imbarazzo. Sembrava che volesse leggermi nella mente e scovare quei punti – decisamente importanti – che avevo deliberatamente omesso.  «Non mi hai detto tutto, vero?»
Ecco, appunto.
«Hai detto che adori le mie risposte contorte.»
«Sì.» Confermò, accigliato. «Ma in questo modo mi fai diventare pazzo.»
Sogghignai portando una mano davanti alla bocca. «A dire il vero, pensavo che tu fossi già pazzo.»
Cogliendomi di sorpresa, mi agguantò i fianchi trascinandomi letteralmente di schiena sul materasso. Lui mi sovrastò completamente solleticandomi i fianchi con le mani.  Mi dimenavo come un’ossessa.
«Edward, smettila!» Era impensabile trattenere le risa. Tentai di pizzicargli i fianchi con le dita. «Questa me la paghi, medico da strapazzo.»
Mi fermò i polsi sopra la testa.  Era leggermente ansante, naturalmente non quanto la sottoscritta.  «Non credo che tu nella giusta posizione per minacciarmi.»
«Tu dici?»
Alzai velocemente il capo e gli morsicai leggermente una spalla in prossimità del collo. Pensava davvero che mi sarei arresa così facilmente?
Si ritrasse sogghignando divertito. Improvvisamente fece una faccia buffa: si imbronciò mostrando una finta espressione dolorante. «Ah!»
Sciolse  la presa sulle mie mani e si lasciò andare lateralmente sul materasso tenendosi una mano sulla parte lesa e gli occhi serrati. Lo colpii sul petto con il palmo. «Che melodrammatico. Non ti ho fatto nulla.»
Schiuse un solo occhio scrutandomi. «Mi hai morso. Non ti basta?»
Sbuffai con finta noia avvicinandomi maggiormente al suo corpo. Gli posai un bacio a fior di labbra direttamente sull’epidermide, tra l’incavo del collo e della spalla. Vibrò a quel contatto, e lo feci anch’io drogata dal profumo al mentolo che sprigionava la sua pelle. Edward emise un soffio prorompente; lo sguardo allucinato fisso al soffitto.
«Passato?» Gli chiesi con voce afona.
Sobbalzammo colti alla sprovvista da alcuni tocchi inaspettati sulla porta.
«Vado io.»
Mi alzai dal letto sopraggiungendo alla porta. La spalancai ritrovandomi sull’uscio la figura di zia Carmen con sguardo tirato e colmo d’apprensione.
«Tesoro, come sta Edward?»
Il mio fidanzato al suono della sua voce mi raggiunse rivolgendole un sorriso di gratitudine. Era venuta per sincerarsi della sua salute.
«Benissimo, signora Denali. E’ passato tutto.»
Mia zia sospirò di sollievo. «Scusami caro, non sapevo della tua allergia.»
«Oh, non si preoccupi. Nessuno lo sapeva.» Rispose Edward.
«Ma io sì.» Ribattei con tono mesto.
Lui mi lanciò uno sguardo eloquente. «Ma non è colpa tua, sono cose che capitano.»
Carmen sorrise in modo così materno da riscaldarmi il cuore. «Sono contenta che tu stia bene.»
Sentii delle voci concitate giungere dal soggiorno e alzai un sopracciglio. «Cosa sta facendo lo zio?»
«Oh Bella, dovresti saperlo: sta giocando a scacchi, naturalmente.» Mi diede un bacio sulla fronte e discese la rampa di scale.
Guardai Edward con un sorriso furbo molto simile a quelli che lo caratterizzavano. Beh, in quel frangente me lo potevo permettere.  «Tu non hai una sfida in sospeso con lui?»
Mi circondò la vita con un braccio e mi rivolse il suo solito sorriso sghembo. «Sei ancora disposta a consolarmi in caso di sconfitta?»
Avvampai e le mie guancie si colorarono. «S-si… » 
Accostò le labbra al mio orecchio. «Allora... non vedo l’ora di perdere.»



PS: L’IDEA DEL MENU ITALIANO E’ NATA COSì PER CASO. SEMBRA ASSURDA, LO SO.

PS2: IO ADORO LA SCHIUMA DA BARBA, CREDO CHE SI SIA NOTATO.
PS3: LA DOCCIA VI PROMETTO CHE NON MANCHERA’ (e che promessa!!!).

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12 *AHI!*
MI E’ APPENA ARRIVATO UN BROCCOLO IN FRONTE… ME LO MERITO PER IL RITARDO, LO SO, PERTANTO SE VOLETE HO A DISPOSIZIONE ALTRI PARTI DEL CORPO CHE ATTUTISCONO MAGGIORMENTE I COLPI, PERFINO QUELLI Più DURI.
 
BENE, BENE…
ECCO FINALMENTE IL NUOVO CAPITOLO.
SEMBRA PROPRIO CHE OGGI IO SIA DI POCHE PAROLE… SPERO COMUNQUE CHE SIANO BUONE.
 
QUESTA VOLTA AVREI VOLUTO RISPONDERE A CIASCUN COMMENTO MA COSì AVREI TARDATO ANCOR DI Più LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO E HO PREFERITO NON FARVI ATTENDERE.
TUTTAVIA, NON POSSO FARE A MENO DI DIRVI GRAZIE PER OGNI DOLCE, SIMPATICA PAROLA CHE AVETE AVUTO NEI MIEI RIGUARDI. MI FATE ARROSSIRE IN UN MODO INCREDIBILE. RILEGGO COSì TANTE VOLTE I VOSTRI COMMENTI DA IMPRIMERLI NELLA MIA MENTE.

QUINDI GRAZIE DI CUORE A: Sognatrice85, grepattz, Serena Van Der Woodsen, Geo88, ChiaraBella, Lizzie95, ila_cullen, ross_ana, Ladycate95, chiara84, love_vampire, _BellinA_, Crazyangel84, SASA 89, annaritaa86, lilly95lilly, chi61, crista, SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate, SCD71001, crivri, serve, rodney, iuliuscaesar, FunnyPink, luna09, Shinalia, luis, LittleWithAngel, mo duinne, Lau_twilight, Semolina81, samy90, Delilah_, piccolinainnamora, Lullaby89, serinetta, manuelitas, Sognatricecoipiediperterra, butterfly88, luna89, Punphin_Cullen, LaFedy, Bella_kristen, Elesunny30, barbyemarco, xsemprenoi, lorenzabu, Miss Simy Pattinson, Eli87, fabiolina, Ros_Ros, MartinaAlfia, mitikayo, simo87, MisaCullen, marikina, lisa76, lampra, keska, yara89, lovekiss90.

 
Un grazie speciale va anche a Mirya.
 
VI PROMETTO CHE NEL PROSSIMO CAPITOLO RISPONDERO’ PERSONALMENTE A TUTTI/E (CHE BELLA QUELLA ‘I’ *_*). (NON MI FATE TROPPE DOMANDE… PERCHE’ SONO UN PESCE PALLA!!! AHAHAHAH) 
 
RIGURDO AL CAPITOLO: POSSO ANTICIPARVI SOLO CHE IN QUESTO TROVERETE RISPOSTE, PURTROPPO NUOVE DOMANDE, E DECISIONI IMPORTANTI. 
NELLO SCORSO HO CREATO UN GIGANTESCO PUNTO INTERROGATIVO SULLA QUESTIONE DEL NEW YORK TIMES DI BELLA. NON LASCERO’ NULLA AL CASO, SU QUESTO POTETE STARE TRANQUILLI.
 
L’INSICUREZZA MI HA PRESO PER MANO; FORSE HA UTILIZZATO DELL’ATTACK, FATTO STA CHE NON RIESCO Più A SCOLLARMELA DI DOSSO. QUINDI SE VI SEMBRA NOIOSO, TROPPO SDOLCINATO, O INCOERENTE IN ALCUNI PUNTI NON ESITATE A DIRMELO. LE CRITICHE SERVONO PER MIGLIORARE E CORREGGERE GLI ERRORI E LE VOSTRE SON PER ME DI GRANDE AUSILIO.
 
 
TEASER: AVEVO LASCIATO DUE TEASER NEL BLOG…  IL PRIMO E’ A METà IN QUESTO CAPITOLO VERSO LA FINE, MENTRE IL SECONDO AVVERA’ DEL TUTTO NEL PROSSIMO CAPITOLO. MI SPIACE MA NON POTEVO METTERE TUTTO IN QUESTO. COME SEMPRE MI SONO LASCIATA ANDARE E HO SCRITTO UN CAPITOLO ABBASTANZA LUNGO. NON RIESCO Più A CONTENERMI. PERDONATEMI.
 
AVVISO: LA NOSTRA CHIARA HA CREATO UN BELLISSIMO GRUPPO IN FACEBOOK EFP – DIPENDENTI.
E’ IL SEGNO CONCRETO CHE QUESTO NON E’ SOLO UN SITO DI FF… RAPPRESENTA UNA GRANDE FAMIGLIA VIRTUALE DELLA QUALI TUTTI NE FACCIAMO PARTE ED E’, A MIO AVVISO, UNA COSA STUPENDA. NOI VI ASPETTIAMO, ANCHE IL Più PICCOLO VOSTRO SEGNO E’ IMPORTANTE.

 
VORREI DEDICARE QUESTO CAPITOLO A FALLSOFARC. HO TROVATO UN’AMICA. UNA DI QUELLE VERE PRONTE AD ASCOLTARTI NEI MOMENTI DI BISOGNO E SFORNARE CONSIGLI D’ORO COME I VECCHI DEI TEMPLI ANTICHI. MI TRASMETTE UNA FORZA FUORI DAL COMUNE. GRAZIE TESORO.
E’ UNA AUTRICE CON LA "A" GIGANTESCA DEL FANDOM ORIGINALE/ROMANTICO. DIRE BRAVISSIMA E’ UN EUFEMISMO.
VI COSIGLIO TUTTE LE SUE STORIE (Alcune concuse, altre in corso). IO NON Più POSSO FARNE A MENO.


 
PICCOLO APPUNTO: NELLE MIE STORIE QUASI OGNI SITUAZIONE, OGNI SCESA DESCRITTA E’ FRUTTO DELLA MIA REALTA’, DELLA MIA VITA. SONO QUASI TUTTE ACCADUTE REALMENTE E SONO FELICE DI POTER CONDIVERLE CON VOI.
SONO CERTA CHE IN OGNI FF CI SIA GRAN PARTE DELL’ANIMA DELL’AUTORE!!
 
ORA CREDO CHE POSSO LASCIARVI DIRETTAMENTE AL CAPPY.
GRAZIE A TUTTI.
UN BACIONE GRNADISSIMO, VOSTRA SAM


VILLA DENALI
 


CAPITOLO 12

 


Data l’originale forma dell’abito, lo sfilai dall’unica spalla coperta facendolo scivolare dal mio corpo e ricadere dolcemente sul pavimento rimanendo con solo la biancheria intima indosso. Dalla portafinestra perveniva una brezza estiva e fresca che mi fece leggermente rabbrividire. Il cielo era disseminato da una moltitudine di stelle dalle più svariate dimensioni e tonalità di luce. Alcune grandi e smorzate, altre piccole e folgoranti.

Aprii la valigia scrutandone il contenuto solo con lo sguardo. Uno sbuffo contrariato fuoruscì dalle mie labbra. Ero rimasta sola nella stanza e presto avrei raggiunto Edward nel soggiorno al piano inferiore se avessi trovato qualcosa di più comodo da indossare rispetto ad un vestito, a parer mio fin troppo elegante per una cena in famiglia, e un paio scarpe pericolosamente analoghe a trappole mortali.
Ormai avevo nozione del contenuto della valigia e non vi era nulla di “comodo e pratico”. Probabilmente Alice nemmeno conosceva quei due termini.
Mi ero appena sfilata un abito, non potevo certo indossarne un altro.
Se fossi stata nella mia casa a Seattle avrei indossato certamente una comoda tuta ginnica o un paio di pratici pantaloni corti con una magliettina sbrindellata dalla taglia nettamente superiore alla mia; un abbigliamento al quale Alice inorridiva alla sola vista.
Probabilmente in sua presenza, al mio ritorno, avrei indossato solo quelli: la prima di una serie di vendette conseguenti alla valigia preparatami da lei, certamente non per mio volere ma per effettiva mancanza di tempo.
Guardai la camicia da notte in pizzo nero a ridosso della poltroncina in pelle bianca. Era un capo fin troppo intimo da mostrare pubblicamente: un conto era Edward che ormai doveva averci fatto l’abitudine a vedermi con indosso certe vesti; un altro, Mike o Garrent ignari, specialmente il primo, che possedessi indumenti così… provocanti.  
Mi imbarazzava ed Alice purtroppo non aveva provveduto ad inserire nella valigia una vestaglia con cui potermi coprire probabilmente conscia che l’avrei indossata perfino durante la notte sopra uno di quei succinti pigiami. Quel folletto malefico ne sapeva una più del diavolo.
Istintivamente afferrai il telefonino e velocemente le digitai un messaggio intimidatorio con minacce non indifferenti e poco velate.
Amica avvisata, mezza salvata.
Sorrisi e lo poggiai nuovamente sul comodino immaginando il suo visino alla vista di quel messaggio: ciglia aggrottate e labbra corrucciate in un tenero broncio. Una bimba capricciosa alla quale è stato negato un giocattolo troppo costoso; era così diversa da Edward che stentavo a credere che fossero realmente consanguinei.
Sbuffai gettando un’occhiataccia alla valigia come se fosse quella la causa di tutto. Dovevo trovare assolutamente qualcosa da indossare. Setacciai la stanza con lo sguardo finché questo non ricadde su alcuni indumenti accuratamente piegati e poggiati sul ciglio del letto. Quella era sicuramente opera di zia Carmen: evidentemente aveva fatto il bucato.
Allungai un braccio afferrandoli con le mani: una maglietta bianca a mezza manica ed un pantalone della tuta, quello che Edward mi aveva imprestato la notte in cui ero stata febbricitante. Li rigirai per un attimo tra le mani. «Mmm…»
 
***
Discesi a piedi nudi le rampe. Entrata nel soggiorno notai Edward e zio Eleazar, l’uno di fronte all’altro, entrambi con lo sguardo concentrato sulla scacchiera posta al centro di un tavolino. Le mie cugine sfogliavano animatamente una rivista semisdraiate sul tappeto rosso mentre Garrent e Mike parlottavano in un angolo nei pressi di una finestra.
Edward si accorse della mia comparsa e girando il la testa mi scrutò da capo a piedi con un sopracciglio levato per poi abbozzare un sorriso divertito. «Quegli indumenti hanno un’aria familiare.»
Certo che avevano un’aria familiare: erano suoi e perfino un estraneo avrebbe notato che la taglia fosse nettamente superiore alla mia.
La maggior parte della maglia, così lunga da sembrare pressoché un corto vestito, era nascosta nei pantaloni - nei quali potevo perfino piroettarvici all’interno - fermata dal grosso elastico posato sui fianchi, anche se in quel modo terminavano oltre la caviglie fin sotto i talloni. 
Lo raggiunsi e ridacchiando mi raggomitolai al suo fianco sul divano piegando lateralmente le ginocchia. Posai il capo sulla spalla. «Sarà solo una tua impressione.» Fu il suo turno di ridere sommessamente.
Sbadigliai coprendomi la bocca con una mano. «Come procede la partita?»
«E’ un osso duro.» Rispose zio celando un sorrisetto compiaciuto.
«Ma non sto messo bene.» Continuò Edward lanciando uno sguardo eloquente al suo rivale. Osservai la scacchiera e la posizione delle sue pedine: erano meno in confronto a quelle di Eleazar e c’erano poche probabilità di vittoria. Conoscevo le varie tattiche di gioco di mio zio e con un po’ di movimenti forse avrei potuto migliorare la situazione del mio fidanzato.
Allungai una mano sfiorando il cavallo con il dito indice. Era l’unica pedina poco prevedibile che poteva muoversi soltanto formando la lettera ‘L’. «Non spostare il cavallo di due caselle in avanti, ma solo di una e successivamente due al lato destro.»
«Ehi, piccola furbetta! Non suggerire.» Mi riprese bonariamente zio. Un sorriso furbo gli affiorò il viso. «Potrebbe anche essere sbagliata la tua mossa.»
Gli feci la linguaccia. «Potrebbe, ma non lo è.»
Edward per un attimo mi guardò, poi mosse il cavallo come da indicato mangiando l’alfiere tanto amato da zio. Quest’ultimo mi lanciò un’occhiataccia. «Tu ora stai buona buona e zitta come un pesciolino.»
Ghignai aggrappandomi maggiormente al braccio di Edward che sorrise vittorioso a sua volta.
«Mi spiace tesoro, ma non posso più aiutarti.» Gli sussurrai divertita.
«Non preoccuparti, amore.» Rispose, poi con tono basso e maledettamente sensuale aggiunse: «non ambisco alla vittoria.»
Arrossii violentemente nascondendomi maggiormente dietro le sue braccia floride e lisce. Perché doveva sempre mettermi in imbarazzo? Socchiusi gli occhi celando la mia vista, altrimenti difficilmente avrei trattenuto l’istinto di intromettermi nella loro partita.
Purtroppo, la mia indole fin troppo combattiva primeggiava sin dai tempi di bambina quando zio Eleazar pazientemente mi spiegava le basi fondamentali del gioco degli scacchi e le varie tecniche da adottare. Mentre le mie cugine giocavano con ninnoli prettamente femminili, come bambole o prodotti di bellezza di vario genere, io preferivo assimilare l’importanza nel difendere il re in una partita di scacchi o imparare a cucinare con zia Carmen. Forse erano questi i motivi principali per i quali le miei cugine mi vedevano con avversione e insofferenza. Avevo trascorso quasi ogni periodo estivo con Renée lontano da Charlie e Forks, qui in Alaska. Mia madre affermava di voler trascorrere un po’ di tempo con la sorella e desiderava che instaurassi un bel rapporto con le mie cugine; solo in seguito capii che in tutto quello c’era un secondo fine: ad Anchorage aveva conosciuto Phil, il suo nuovo attuale marito. Non avevo mai avuto risentimenti nei suoi confronti anche se non condividevo affatto la sua scelta di abbandonare Charlie.
Strofinai il naso sul braccio nudo di Edward inspirando profondamente. Quel suo dolce profumo mi sedava i sensi. Sapeva di buono. Mi induceva quasi a morderlo. Chissà com’era il sapore della sua pelle; quello delle labbra era sublime e solo al ricordo si accendeva quel caldo languore allo stomaco.
Trattenni un mugolio di disapprovazione beandomi momentaneamente solo del suo odore.
Di sorpresa sentii muovere il braccio sotto la mia testa e mi strofinai gli occhi alzando il capo temendo, lì per lì, di esser stata fin troppo fastidiosa ma lui mi circondò le spalle attirandomi a sé con fermezza. Mi ritrovai con il capo poggiato sul suo petto atletico. In quell’istante fu impossibile trattenere un mugolio di piacere. Poco dopo percepii le sue labbra calde e corpose sulla mia fronte. «Così stai più comoda.» Un brusio dolce e sottile sussurrato al mio orecchio.
Sorrisi o forse pensai solo di averlo fatto. Le sue dita, forse in gesto totalmente involontario, presero a lisciarmi delicatamente i capelli. Un atto che mi rendeva letteralmente succube, soggiaciuta completamente al suo volere. Poco dopo sentii un torpore caldo prendermi e tirarmi giù negli abissi più profondi dell’obnubilamento.  
 
- - -
«Bella.»
Un angelo dalla voce morbida e sensuale pronunciava il nome alla stregua di una dolce melodia. Ero morta e mi stava conducendo in paradiso?
«Bella.»
Eppure quella voce sembrava così simile a quella di Edward…
«Si è addormenta.» Mormorò probabilmente rivolto a qualcheduno.
Percepii un leggero sogghigno. «Certe abitudini restano.» Rispose una voce roca, più profonda. «Anche da bambina molte volte si addormentava sul divano e sebbene fosse quasi del tutto addormentata, trovava sempre quel poco di forza per protestare.» Un’altra leggera risata sommessa. «Non voleva farsi prendere in braccio per non mostrarsi debole o seccante. Ma non mi ha mai seccato farlo.»
Solo allora riconobbi quella voce affettuosa: apparteneva a zio Eleazar. Un piccolo sorriso spontaneo mi increspò le labbra.
«Resto qui… divano… piace.» Mugugnai sottovoce probabilmente solo a me stessa strofinando la guancia sullo schienale fresco del divano. Era comodo anche se sentivo la mancanza del calore e del profumo di Edward.
«Non ti lascio dormire qui.»
D’improvviso mi sentii sollevare e, con mio sommo piacere e stupore, tutto ciò che mi era mancato mi avvolse come un mulinello di vento il cui epicentro era il mo corpo.
«Giù.» Mugugnai con tono impastato e poco convincente persino alle mie orecchie, forse dovuto al sonno o alla mia poca forza di volontà. Alzai le braccia circondandogli il collo avvicinandomi con maggiore intensità al suo corpo ispirando profondamente. Accidenti, mi faceva impazzire anche in quei momenti!
«Certo.» Mi schernì lui. La risata che ne conseguì gli sconquassò leggermente il petto «Quando dormi sei poco imperiosa.».
Uno soffio lontanamente rassomigliante ad uno sbuffo uscì dalle mie labbra tremolanti ma non ebbi la forza di controbattere. Il dormiveglia nel quale ero caduta era fin troppo piacevole per essere abbandonato per un motivo tanto futile.
Non badai a nulla durante il tragitto su per le scale verso la camera da letto; i miei sensi intorpiditi erano, per quanto possibile, incentrati in quelle braccia forti che mi sostenevano con estrema facilità neanche se il mio peso corrispondesse a quello di una piuma. Dopo pochi istanti sentii sotto il peso del mio corpo l’aggravarsi del materasso. Allentai mollemente la presa attorno al suo collo trovando una benessere mai ricercato, ma incondizionatamente gradito.
Ricaddi fiaccamente in quella dolce sonnolenza precedentemente affiorata.
 
- - -
 
Un brivido.
Una leggera folata di vento fresco mi penetrò la pelle entrando perfino nelle ossa. Rabbrividii raggomitolandomi maggiormente fra le lenzuola tirandole su in modo tale da coprirmi anche il naso.
Mi portai una mano sugli occhi serrati stropicciandoli leggermente. Schiusi un occhio con una certa difficoltà. La stanza era fiocamente illuminata da una luce naturale pallida che tendeva su una tonalità di giallo molto chiaro. Il preludio dell’alba.
Chiusi nuovamente le palpebre e allungai un braccio stirando i tessuti muscolari; mi sentivo ancora intorpidita e fu difficile rammentare il modo in cui fossi giunta a letto. Mi ero addormentata sul divano mentre Edward disputava la partita di scacchi e giunto al termine mi aveva preso in braccio e portata a letto proprio esattamente alla stregua di una bambina. Avevo ormai perso il conto delle mie figure imbarazzanti in sua presenza. Forse lui ci aveva fatto l’abitudine.
Tuttavia, in fin dei conti, non era stato affatto spiacevole. La sua stretta attorno al mio corpo era stata ferma, sicura, calda e tremendamente protettiva.
Tastai con una mano il tessuto fresco delle lenzuola e fui sorpresa di non toccare erroneamente il corpo di Edward come ormai capitava ogni mattina. Non che lo facessi di proposito, ma la sua presenza al mio fianco era divenuta quasi essenziale. Aprii gli occhi e lo sgomento raggiunse l’apice nel trovare l’altro lato del letto – il suo – totalmente vuoto. Le lenzuola erano aggrinzite e sfatte segno che comunque vi si era poggiato, forse addirittura appisolato. Ma questa sua assenza era strana. Un moto d’ansia mi piombò addosso e un grosso nodo si formò alla gola. Dov’era andato Edward?
Mi rizzai con la schiena e nel movimento le lenzuola ricaddero silenziosamente sulle mie gambe. In quel modo le mie braccia vennero del tutto scoperte e percepii un’altra folata di vento infrangersi sulla mia pelle nuda. Girai il capo verso la fonte e trovai la portafinestra semiaperta. Intravidi, oltre la grande vetrata, una sedia a sdraio in legno chiaro dal cui lato sbucava un piede a penzoloni; alcuni ciuffi ramati spuntava al di sopra dello schienale. Per quale motivo Edward era fuori al terrazzo a quell’ora del mattino?
Mi districai dalle lenzuola e poggiai i piedi nudi sul pavimento lucido e freddo. Al contatto un brivido prese il via dalle caviglie e si propagò in tutto il corpo, provocandomi la pelle d’oca. Avvolsi il busto con le braccia strofinando le mani sulle pelle nuda e silenziosamente mi avvicinai al terrazzo.
Edward era disteso con le mani dietro la testa; aveva gli occhi chiusi e un’espressione stranamente pensierosa in viso, più tesa di quanto potesse sembrava ad occhi altrui. Quella solita ruga era presente lì sulla sua pelle a increspargli la fronte.
Cosa ti preoccupa, Edward?
Un’altra raffica di vento fresco mi penetrò la pelle. Sentii la bruttissima sensazione, quel fastidioso prurito al setto nasale che non presagiva nulla di buono. Portai due dita a tapparmi il naso ma fu impossibile trattenere uno starnuto e palesare in quel modo la mia presenza.
Al che Edward alzò la schiena piegando in un gesto automatico le gambe e volse il capo nella mia direzione. Sul suo volto spuntò un sorriso obliquo. «Ehi, sei già sveglia.»
Mi passai una mano tra i capelli scarmigliati. «Già, anche tu. Che ci fai qui fuori?»  
Batté una mano sulla sedia a sdraio sul davanti e invece di rispondere mi porse a sua volta una domanda. «Vuoi farmi compagnia?»
Sorrisi entusiasta e felice per tale invito, ma prima di avvicinarmi alzai una mano mostrandone il dito indice. «Aspetta un attimo.»
Entrai nuovamente nella stanza e sradicai le lenzuola dal letto con un po’ di forza; in quel modo avremmo evitato un congelamento o, nella peggiore delle ipotesi, un raffreddore. Andai nuovamente fuori sul terrazzino rischiando perfino di ruzzolare sul pavimento a causa del lenzuolo incappato nel mio cammino data l’estrema lunghezza.
Edward appena mi vide rise scuotendo il capo, come se la scena fosse alquanto scontata e comica. «Hai freddo?»
Alzai le spalle. «Perché, tu no?»
Gli porsi un lembo di lenzuolo ma lui, con uno scatto repentino, me lo sfilò totalmente dalle mani portandoselo dietro alle spalle come un mantello. Scettica, alzai un sopracciglio. Ero io quella infreddolita, non lui.
Lui rise notando la mia espressione. «Non guardarmi in quel modo, non voglio rubarti nulla.»
In fondo, senza realmente rendersene conto, qualcosa l’aveva già rubato…  
Mi accomodai ove dai lui precedentemente indicato ma Edward mi afferrò i fianchi attirandomi a lui, tra le sue gambe in modo tale da ritrovarmi poggiata con la schiena sul suo petto. Trattenni il respiro dallo stupore e arrossii leggermente quando il suo braccio mi avvolse totalmente la vita attirandomi maggiormente a lui; nel movimento piegai le ginocchia al petto.
Questi suoi strani gesti mi mandavano letteralmente in confusione il cervello, e non solo quello. Quasi mi stordivano.
Lasciò la mia vita afferrando i due lembi del lenzuolo e li portò davanti. «Tieni.»
Li afferrai con le mani tremolanti e li tirai in avanti sino a coprire le gambe rannicchiate. Eravamo un unico bozzolo di lenzuolo bianco.
«Visto? Così riusciamo a coprirci entrambi.» Sussurrò quella frase tra i miei capelli. Le sue braccia tornarono intorno alla mia vita strappandomi un altro anelito di respiro. «Perché sei già sveglia?»
Nel letto ho percepito la tua assenza… e ritrovandomi sola al risveglio mi son fatta prendere dall’ansia.
Scossi leggermente la testa. No, non potevo certo rispondergli in quel modo.
«Non riuscivo a dormire.» Mormorai con un filo di voce, poco credibile perfino alle mie orecchie.
Edward rise in modo allusivo. «Eppure ieri sera non hai mangiato peperoncino.»
«Idiota.» Un po’ risentita, un po’ divertita lo spinsi all’indietro con una spalla. Andò a finire con la schiena sulla spalliera della sedia trascinandomi con se mediante il braccio attorno al mio busto. E rideva, rideva di gusto.
«Sai, ho qualche dubbio sulla tua età. Sicuro di avere quasi trent’anni? »
Mi diede un pizzicotto sul fianco ma rimase comunque steso. «Sì, ho solo uno spirito ancora giovanile.»
Mi accoccolai meglio sulla sua schiena; ormai l’idea di alzarsi era pressoché irrealizzabile. Non me ne dava atto e la voglia era nulla. «Ma ieri sera, mi hai portato tu sopra in camera?» Ne avevo un vago ricordo; non poteva esser stato un sogno.
«Sì.»
«Qualche dolore alla schiena?»
Rise. «A dire il vero no. Sicura di mangiare abbastanza?»
«No, cucino solo per te.» Lo schernii dandogli una leggera gomitata nello stomaco.

«La tua torta al cioccolato mi piace.»
Sorrisi. «Lo so.»
«E’ la mia preferita.»
«So anche questo.»
Le sue dita si posizionarono sotto il mio mento girandomi il viso nella sua direzione. Incatenò i suoi occhi verdi ai miei castani. Sorrideva ma quello sguardo era maledettamente intenso. «C’è qualcosa che non sai?»
Tante, tantissime cose. Le più importanti a dire il vero, avrei voluto rispondergli ma non lo feci e deviai il discorso su qualcosa di più futile di poca importanza.
«Sì, non so l’esito della tua partita a scacchi contro mio zio.»
 Fece una smorfia. «Ne ho perse due. Inizialmente sembrava quasi che avessi la vittoria in tasca poi…»
«…poi ti ha letteralmente schiacciato come una formica.» Conclusi al suo posto. «Ne so qualcosa.» Abbandonai il capo all’indietro sulla sua spalla. Lui mi sfiorò la guancia con la punta del naso. «Non dovrei essere consolato?»
«In effetti…» Girai leggermente la testa ostentando l’espressione più beffarda del mio repertorio e con finta disinvoltura alzai un braccio portando la mia mano a scompigliargli i capelli. Erano morbidi e tra le dita sembrava una cascata di fili di seta, così delicati da catturare la mia totale attenzione. Quella chioma ribelle era per me una potente calamita dalla quale difficilmente mi sarei allontanata. Quel gesto in principio carico di scherno e privo di malizia, si era man mano trasformato, seppur involontariamente, in una carezza audace e sensuale. Sentivo sotto i polpastrelli la morbidezza del suo cuoio capelluto e, tra le dita, la consistenza vellutata delle ciocche. Era una totale fonte di perdizione… e solo dopo mi accorsi del suo sguardo intenso e piacevolmente lucido.
Considerata la posizione strana nella quale eravamo, i nostri visi erano l’uno quasi all’altezza dell’altro tanto che il suo respiro si infrangeva sulle mie labbra schiuse. Alternavo lo sguardo dalle sue labbra alle sue iridi, e viceversa; un po’ per desiderio, un po’ per imbarazzo.
Lentamente mi avvicinai, e cogliendolo impreparato, aggirai la sua bocca posando un bacio leggero a labbra dischiuse sulla sua guancia. Mi scostai rilasciando un ansito, e un sorriso divertito. «Questo vale come consolazione?»
A quanto pareva, non era del mio stesso avviso ma fui piacevolmente compiaciuta della sua correzione. Sorridendo sghembo e beffardo come un diavolo tentatore fu lui a cogliermi impreparata afferrando il mio mento tra due dita cosicché da attirare la mia bocca sulla sua. Quando le nostre labbra entravano a contatto scollegavo perfino quel mimino di senno che perdurava in sua presenza.
Ormai mi ero arresa: non m’importava più quali fossero le cause e le conseguenze di tutto ciò che mi accadeva. Volevo essere incosciente e agire puramente d’istinto per una volta nella mia vita.
Perché perdere tempo a porsi domande alle quali difficilmente trovi un’autentica risposta quando puoi godere di una realtà che appare ai tuo occhi così dolce ed appagante? Avrei pagato le conseguenze dopo… quando avrei poggiato nuovamente i piedi sul terreno, riacquistando il contatto con la realtà.
Edward mi blandì le labbra quasi con finta determinazione come se si aspettasse da un momento all’altro un mio rifiuto, come se io ne fossi stata capace, come se io non avessi voluto tutto quello. Che sciocco.
Pertanto, fu impossibile non rispondere al bacio e crogiolarsi in quelle mirabolanti sensazioni. Mi aggrappai alla sua nuca con una mano stringendo tra le dita i suoi setosi capelli quando approfondì il bacio insinuando la sua lingua nella mia bocca. Avevo perso ormai ogni barlume di ragione scordandomi perfino di respirare. Mi allontanai ansante annaspando in cerca d’aria. Sicuramente le mie guance era diventate rosse sia per quella mia stupida dimenticanza che per la sua incredibile intraprendenza. I polmoni bruciavano e tiravano ossigeno concitatamente. «Credo di aver dimenticato di respirare.»
Inizialmente percepii il suo petto vibrare, poi esplose in una fragorosa e rumorosa risata. E per quanto fosse fastidiosa… era bello sentirlo ridere.
Tirò un grosso respiro cercando invano di contenere le risa. Ora era lui quello a corto di fiato. «Sei incredibile»
Imbarazzata, lo colpii con un pugno sull’addome e spinsi una spalla sul suo petto. La sua risata scemò lasciandogli un sorriso sulle labbra e uno sguardo vivo e intenso che stranamente, poco dopi istanti, tornò pensieroso. A quanto pareva, quelle riflessioni a me ignote non lo avevo ancora del tutto abbandonato. Quanto avrei voluto sapere ciò che lo preoccupava.
Mi passai la lingua sulle labbra percependovi ancora il suo sapore. «Quello valeva come consolazione?»
Tornò sorridente. «Forse sì.» Si passò una mano tra i capelli e assunse la sua solita espressione strafottente. «Ma ho perso due partite.» E sottolineò sul quantitativo cardinale.
Che mascalzone!
«Non è colpa mia se non sai giocare a scacchi.» Mi portai una mano al mento fintamente pensosa. «Mmm… ma ora dovresti sposare zio Eleazar o gli uomini sono esclusi?»
Nell’istante in cui terminai la frase, mi pizzicò i fianchi con le mani. Mi ritrovai così nuovamente poggiata sul suo petto a ridere e contorcermi sino allo spasmo, come due adolescenti intenti a stuzzicarsi l’un l’altro. Riuscii ad afferrargli le mani e serrarle attorno al mio busto; per quanto mi fosse possibile (erano nettamente più grandi) le racchiusi nelle mie a pugno. La sua forza era chiaramente superiore alla mia e se avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi tranquillamente. Ma non lo fece. Anzi, si rilassò abbandonandosi totalmente - trascinando anche me di conseguenza - contro lo schienale della sedia.
Dovetti ammettere che quella posizione era piuttosto comoda: sembrava che il suo petto si modellasse a contatto con le mia schiena e la sua spalla accoglieva perfettamente il mio capo. Esalai uno sbadiglio alquanto rumoroso.
Sentii il fiato di Edward infrangersi sulla mia testa, fra i miei capelli. «Hai sonno?»
«Già.» biascicai socchiudendo le palpebre. «Se sono sveglia a quest’ora è solo colpa tua.»
Soffocò una risata. «Mia? Non avevi detto che non riuscivi a dormire?»
«Appunto. Perché tu non c’eri»
Verità.
Ormai non riflettevo più su ciò che dovevo omettere o potevo dire in sua presenza: le parole uscivano senza che io potessi più impedirlo. Per la prima volta ero stata totalmente sincera.
Edward, in tutta risposta, accentuò la stretta attorno alla mia vita.
 
- - -
 
«Io davvero non riesco come tu abbia potuto dimenticarlo.»
«Ma non l’ho dimenticato.»
«A no? Allora il tuo smoking si è volatilizzato?»
Edward inchiodò i piedi, scoccandomi un’occhiataccia. «Oggi sei fastidiosamente più ironica del tuo solito.»
Mi portai una mano al petto fintamente lusingata. «Lo so. Tuttavia, resta il fatto che tu hai dimenticato lo smoking a Seattle.»
Sbuffò sonoramente e alzò le braccia al cielo in un gesto esasperato. «Ti ripeto: non l’ho dimenticato. Alice ha sostituito la mia custodia nera con una seconda grigia che contiene un abito femminile. Forse per te.»
Sgranai gli occhi. «Cosa ha fatto Alice?» Arricciai il naso infastidita. Ancora? «Non le bastava la mia valigia?»
Non aveva sommerso di abiti solo la mia valigia, anche quella del fratello. Quella ragazza non era dotata neppure di un senso minimo di contenimento. Esagerava in tutto ciò che faceva e naturalmente non dovevo certo sorprendermi dei suoi astuti sotterfugi.
Edward posò una mano sulla mia spalla e iniziò a ridere sommessamente. Era ilare e non sembrava affatto infastidito da quella situazione. Alzai un sopracciglio rivolgendogli uno sguardo incuriosito. Si riprese mostrandomi un sorriso sghembo. «Sei bella quando ti arrabbi.»
Arrossii violentemente e puntai lo sguardo altrove. Si era sempre preso gioco di me ma mai in questo modo e non ero affatto abituata a nascondere le reazioni naturali. Inaspettatamente un brontolio giunse dal mio stomaco sul quale poggiai la mano al fine di contenerlo. Ma fu del tutto inutile perché Edward mi osservò sorridendomi divertito. «Non abbiamo fatto neanche colazione.»
«Questa mattina siamo fuggiti come due evasi.» Confermai ricambiando il sorriso. Fortunatamente avevamo incrociato in cucina solo zia Carmen che, spiegandole l’imprevisto, ci aveva dato senza esitazione le chiavi della sua auto affinché la usassimo per raggiungere il centro commerciale. Le cugine e i rispettivi compagni ronfavano ancora nelle loro stanze. Eravamo stati piuttosto mattinieri.
«Però non mi sarebbe dispiaciuto utilizzare di nuovo la vespa.»
Gli lanciai un’occhiataccia. «A quest’ora staresti girovagando solo nel centro commerciali.» Un altro brontolio dallo stomaco.
Improvvisamente, dalla mia borsa, sentii il mio cellulare trillare. Lo tirai fuori e dopo aver letto il suo mittente accettai la chiamata.
«Sai che il tuo armadio è in pericolo?»
Una risata argentina giunse al mio orecchio. «Dovresti ringraziarmi invece.»
«Per cosa? Per la valigia manomessa?»
Edward comprese subito chi fosse il mittente; scosse il capo con rassegnazione. Mi sfiorò una guancia con due dita. «Torno subito.»
Si allontanò lasciando una scia bollente come lava sulla pelle.
«Bella? Bella mi senti?»
«Mmm?» Ero ancora un po’ stordita. Sbattei le palpebre velocemente. «Il tuo armadio è in serio pericolo.»
«Bando alle ciance, signorina. Voglio sapere come procede il matrimonio.»
Sospirai. «Abbastanza bene. Hanno montato un gazebo in giardino, poi-»
«Bella.» Mi interruppe Alice ridendo. «Queste cose non le voglio sapere adesso, mi racconterai tutto in modo dettagliato al ritorno.»
Mi accigliai. «E allora cosa…»
«Voglio sapere come va tra te e Edward e soprattutto come si sta comportando il mio fratellone.»
«Ah.» Involontariamente arrossii. «Va bene.»
«Non puoi rispondere solo con un ‘va bene’» Sbuffò infastidita. «Voglio i dettagli.»
«Hai detto al mio ritorno, no?»
«No. Questo voglio saperlo adesso.» Asserì determinata; probabilmente stava battendo la punta delle sue ballerine sul pavimento.
«Mi spiace, ma dovrai attendere.» La mia piccola prima dolce vendetta. «Ti avverto: se speri che con questa telefonata la mia sete di vendetta si plachi, ti sbagli.»
«Allora non ti faccio fare la damigella d’onore.» Disse con voce quasi contenuta.
Spalancai gli occhi. «Cosa?»
Si schiarì leggermente la voce come se fosse pregna di emozione e cercasse di contenerla. Cosa alquanto strana per la piccola Alice. «Ieri Jazz mi ha chiesto di sposarlo.»
Le mie labbra si distesero mostrando un sorriso quasi sproporzionato. Era una notizia sorprendente, una di quelle capaci di colmarti il cuore di gioia. «Alice, ma è fantastico.» Aspettava quel momento da così tanto tempo che aveva avuto perfino il timore che lui non volesse fare con lei il grande passo. Ma tutti sapevamo che Jasper, essendo un uomo molto timido, stava aspettando solo il momento più opportuno.
«Quindi… mi farai da damigella?» Domandò di getto, esagitata.
Ridacchiai felice. «Non dovresti neanche dubitarne, Alice.»
La sentii sospirare di sollievo. «Edward è lì con te?»
Mi guardai attorno in cerca della sua figura. «A dire il vero no. Non so dove sia andato.»
«Allora gli telefono più tardi. Ora purtroppo devo andare a lavoro.»
«D’accordo.» Presi posto sulla panchina. «E Alice, non strapazzare troppo il povero Jasper.»
Lei ridacchio in modo sagace. «Tu invece strapazzalo come si deve, in tutti i sensi.»
«Alice!» La ripresi arrossendo.
«Ciao Bella.» Chiuse la telefonata con la sua leggera risata argentina. Scossi il capo ormai consapevole della sua indole prettamente esuberante. L’idea di affrontare un altro matrimonio come damigella stranamente non mi turbava, forse perché la sposa in questione era Alice e la sua felicità era un mio desiderio primordiale. Ma non avrei avuto bisogno di un finto fidanzato e questo lo avrei sicuramente rimpianto.
La finzione era divenuta oramai così bella da offuscare la dura realtà.
«Jasper le ha fatto finalmente la proposta?»
Girai di scatto il capo, un po’ spaventata, rischiando perfino un torcicollo trovando Edward comodamente seduto sulla panchina rivolta oppostamente alle mie spalle.
«E tu come fai a saperlo?»
Sospirò piegando la testa all’indietro. Ora la sua visuale era al contrario. «Jazz ha programmato tutto due settimane fa. E se conosco almeno un po’ mia sorella, posso giurare che aveva sicuramente già intuito qualcosa in anticipo.» Si portò una mano nei capelli. «E’ impossibile farle una sorpresa.»
Sogghignai. «Hai ragione.»
Si addrizzò e con un gesto secco posò sulla spalliera un bicchiere di carta. «Cappuccino.» Asserì con ovvietà.
Spalancai gli occhi sorpresa e mi mordicchiai le labbra per reprimere un sorriso fin troppo gioiosa che avrebbe certamente reso il tutto più imbarazzante.
«Grazie.» Il mio non fu che un sussurro.
Presi il bicchiere e lo portai alla bocca gustandone la miscela calda. La schiuma di latte venne a contatto con le mie labbra. Sembrava che avesse un sapore diverso, più dolce. Una mia sciocca impressione.
Edward si alzò e aggirò la panchina. «Andiamo?»
Quando mi sollevai lui mi guardò e a trattenne stentatamente una risata, quasi per cortesia. Allora capii di essermi sporcata ancora una volta. «Dì la verità: ti diverti a vedermi imbrattata di cappuccino.»
Sorrise beffardo. «Lo ammetto: mi diverto.»
Mi passai velocemente la lingua sul labbro superiore pulendolo con la mia saliva. Mi guardò per un attimo spaesato poi si imbronciò. «Ehi, quello era compito mio.»
Lo superai con il mento al’insù e un sorrisetto vittorioso. Gli lanciai un occhiata divertita. «Mi spiace per te, ma hai perso quel diritto nel momento in cui hai ammesso che ti diverti a mio discapito.»
Mi raggiunse velocemente e con uno scatto repentino mi avvolse il busto pizzicandomi un fianco. «E poi sarei io quello perfido.»
 


E’ SORTO QUALCHE ALTRO DUBBIO?

VE NE HO SCIOLTO QUALCHEDUNO CON QUESTO CAPITOLO?
 
 

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 13 ***


13 SALVE A TUTTI.
LO SO, SONO IN RITARDISSIMO, SONO Più DI VENTI GIORNI CHE NON AGGIORNO. E PER QUESTO VI CHIEDERò SCUSA ALL’INFINITO.
 
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE.
 
HO AVUTO ALCUNI PROBLEMI IN FAMIGLIA. FORTUNATAMENTE NULLA DI IRRISOLVIBILE MA CHE CREA COMUNQUE PREOCCUPAZIONE (AHIMè, IO SONO UNA PERSONA ALQUANTO ANSIOSA!!)
RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE MI HANNO SOSTENUTA NEL BLOG, PRIVATAMENTE E NEL GRUPPO SU FACEBOOK.
Sì, QUELLA DOLCE PAZZA DI CHIARA MI HA CREATO UN GRUPPO SU FACEBOOK. BEH… SE VOLETE PRESENTARVI, FARE UNA CHIACCHIERATA O FARMI DOMANDE SU QUALSIASI COSA IO CI SONO. ^^
 
VI AVEVO PROMESSO CHE AVREI RISPOSTO ALLE VOSTRE BELLISSIME RECENSIONI (SIAMO ARRIVATI A 600!!!!)… MA NON HO POTUTO FARLO, O MEGLIO, HO TERMINATO IL CAPITOLO POCO FA E RISPONDERE SIGNIFICAVA PUBBLICARE DOMANI. E NON VOLEVO FARVI ATTENDERE OLTRE. VI CHIEDO UGUALMENTE SCUSA.
PERò POSSO DIRVI CHE LE LEGGO SEMPRE, ANZI… LE RILEGGO PER IMPRIMERMI LE VOSTRE DOLCI PAROLE.
LE VOSTRE RIFLESSIONE SU EDWARD MI HANNO AFFASCINATA; ALCUNE DI VOI HANNO PERSINO COLTO NEL SEGNO. COMPLIMENTI!!!!
VEDRETE CHE TUTTO SI SCIOGLIERà, PROMESSO.
 
VORREI RINGRAZIARE CHI HA SEGNALATO QUESTA STORIA PER LE SCELTE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE. E’ PASSATO MOLTO TEMPO DA ALLORA E CREDO CHE NON SIA STATA RITENUTA “ADATTA”… MA VI RINGRAZIO LO STESSO, IL MIO CUORE SI E’ SCIOLTO SOLO PER VOI.
RINGRAZIO ANCHE CHI HA SEGNALATO I MIEI PERSONAGGI PER IL CONCORSO NONOSTANTE  IL VOTO IMPLICHI SOLO QUELLI ORIGINIALI. GRAZIE MILLE ANCORA.
MI AVETE FATTA DIVENTARE UN POMODORO MATURO.
NON MERITO TUTTO QUESTO DA VOI!
 
RIGUARDO AL CAPITOLO PRECEDENTE…. CREDO CHE SI SIA CAPITO DA DOVE NASCE L’ASTIO DELLE CUGINE PER BELLA. ERA A QUELLO CHE MI RIFERIVO QUANDO ALLA FINE VI HO CHIESTO SE QUALCHE DUBBIO SI ERA SCIOLTO.
 
QUESTO CAPITOLO: ESSO E’ COMPOSTO DA QUATTRO PARTI. HO VOLUTO MOSTRARE L’INSICUREZZA DI EDWARD. E’ UN ESSERE UMANO ANCHE LUI, E COME TALE… IN DETERMINATE OCCASIONI E’ INSICURO.
PER QUANTO RIGUARDA I SUOI PENSIERI INVECE, NON POSSO INSERIRE UN POV MASCHILE PERCHE’ ALTRIMENTI SVELEREI TUTTO. LUI E’ MOLTO PENSIEROSO ANCHE IN QUESTO… MA BEN PRESTO CAPIRETE PERCHE’ (CREDO MASSIMO DUE CAPITOLI).
PER L’ULTIMA PARTE INVECE… HO PRESO ME COME ESEMPIO. HO SPULCIATO NELLA MIA MENTE ALLA RICERCA DI QUEI RICORDI NEI QUALI ERO “DECISAMENTE” POCO LUCIDA. NON TUTTI REAGISCONO ALLO STESSO MODO ALL’ALCOL, FORTUNATAMENTE. LO AMMETTO: NELL'ULTIMA PARTE MI SONO DIVERTITA. :-)


VORREI FARE UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A FALLSOFARC CHE MI HA AIUTATA IN ALCUNE DOMANDE DELLE DENALI. E' LA REGINA SADICA DELLA MALIZIA (LEGGETE lezione di seduzione e capirete a cosa mi riferisco!!!!).
 
 
HO BLATERATO FIN TROPPO.
SPERO CHE POSSA PIACERVI. ADORO LE VOSTRE RECENSIONI E SE VOLETE SCRIVERMENE UNA NELLA QUALE MI EVIDENZIATE QUALCOSA CHE TROVATE DI INCOERENTE, UNA CRITICA… CHE BEN VENGA. MI AIUTERA’ SOLO A MIGLIORARE.
 
VORREI DEDICARE QUESTO CAPITOLO A MIO FRATELLO MARCO
(ignaro del mondo di EFP) AL QUALE DAREI LA MIA STESSA VITA, OGGI E’ IL SUO ONOMASTICO. TI VOGLIO BENE, AMORE MIO.
 
VI RINGRAZIO ANCORA.
BUONA LETTURA, VS SAM

 
CAPITOLO 13

 


«Sei sicura che questo colore vada bene?»
Ridacchiai poggiando la schiena sulla spalliera della poltrona e accavallai le gambe.  «Di che colore era lo smoking che avevi messo nella valigia?»
«Nero.»
«Allora sono più che sicura che questo sia perfetto.»
Edward era nel camerino e stava indossando, per l’appunto, uno smoking nero – con particolari rifiniture in raso - di Giorgio Armani, un noto stilista italiano. Nel centro commerciale avevamo trovato uno dei più famosi e rinominati negozi di abbigliamento maschile dalle firme più svariate e conosciute in tutto il mondo; Alice sarebbe stata profondamente e indubbiamente fiera della mia scelta.
«Quindi mia sorella si sposa.» Il suo tono, seppure leggermente precluso dalla cabina, era incerto con una leggera sfumatura di preoccupazione. «Come ti è sembrata al telefono?»
Sorrisi intenerita. «Conosci Alice. E’ sempre piena di vita. Era letteralmente su di giri.»
«Ehm… già.» Tossicchiò piano. «Ne sei sicura?»
Ridacchiai sottovoce, un po’ divertita. Non avevo mai visto questo lato del suo carattere decisamente  geloso e protettivo verso la sua unica sorellina; insomma, un atteggiamento più che ovvio ma ne ero rimasta piacevolmente sorpresa.  «Edward Cullen, sbaglio o è preoccupazione quella che sento?»
Di sorpresa, spalancò la tendina del camerino mostrasi imbronciato e... vestito solo per metà: la camicia bianca dal rigido colletto sollevato era totalmente sbottonata esponendo la bellezza del suo busto nudo e muscoloso dalla pelle chiara e liscia come il marmo; invece, la patta dei pantaloni fortunatamente era chiusa ma quel taglio elegante valorizzava indiscutibilmente le sue gambe atletiche.
«Non sono preoccupato.» Affermò risoluto. «Non ce n’è motivo perché conosco Jasper dai tempi del liceo, so che la rispetta, che la ama e che non le farebbe mai mancare nulla…»
Nel mentre di quel suo discorso affrettato ed agitato, mi alzai dalla poltroncina e lo raggiunsi. Era accigliato e leggermente teso.
«Se non sei preoccupato, per quale motivo ti stai giustificando?» Replicai con un sorriso.
Era affezionato ad Alice e difficilmente l’ostentava. Edward aveva abbassato il capo, incapace – o rifiutandosi -  di replicare, impelagato nelle sue stesse parole; cercava disperatamente di infilare i bottoni della camicia nelle rispettive asole. Era nervoso, lo si notava specialmente dai movimenti delle sue mani e quei piccoli bottoncini sembrava proprio che ce l’avessero con lui.
Mi sentii un po’ in colpa: non era quello il mio intento. Ero, sì, divertita e intenerita dal quel suo atteggiamento ma non era affatto mia intenzione deriderlo su una questione così delicata e personale. Non lo avrei mai fatto, perlomeno non volontariamente.   
Accorciai all’istante le distanza tra noi e sostituii le sue mani con le mie spostandogliele lateralmente con delicatezza. «Lascia… faccio io.»
Edward alzò il capo puntando lo sguardo altrove lontano dai miei occhi. La sua mascella era un po’ contratta e muoveva nervosamente le sue mani lungo i fianchi stringendole a pugno e sfregando le dita tra loro. Era la prima volta che lo vedevo così teso e imbarazzato.
Dovevo assolutamente dire qualcosa, chiarire l’equivoco e alleggerire quella situazione spiacevole che avevo involontariamente creato.
Gli abbottonai il colletto. Tirai un grosso sospiro prima di parlare. «Edward, è normale essere preoccupati.» Di scatto lui abbassò la testa abbagliandomi con le sue iridi verdi e profonde.
Continuai ad infilare il resto dei bottoni nelle asole sfiorando la pelle calda del suo addome. «Mi meraviglierei del contrario.» conclusi sorridendo.
«Sei una strega.» Mi accusò dolcemente. «Guai a te se riferisci qualcosa alla nana.»
Teatralmente mi serrai la bocca con una cerniera lampo. «Sarò muta come un pesce.»
Velocemente si infilò la camicia bianca nei pantaloni; prese la giaccia nera dello smoking e la indossò. Afferrò la cravatta nera e, cogliendomi di sorpresa, me la porse. Era tornato sul suo viso quel sorriso obliquo e malandrino.
Cercai di prenderla ma la tirò subito indietro alzando contemporaneamente un sopracciglio. «Di che colore è il tuo vestito da damigella?»
«Per quel che io sappia viola.» Rabbrividii visibilmente al ricordo: una gigantesca cipolla, ecco cosa sarei sembrata. L’abito era ancora nella sua custodia – avevo un certo timore a calare quella lunga cerniera lampo -  e speravo vivamente che le sorelle Denali non avessero apportato nessuna modifica per ‘migliorarlo’.  
Edward si portò un dito al mento. «Credi che la mia cravatta debba essere in tinta?»
Ridacchiai sfilandogliela dalle mani.  «Credo proprio di no. Secondo me il viola non di donerebbe come colore.»
Tirò verso l’alto le punte del colletto della camicia. «Dubiti del mio fascino? Io sto bene con qualsiasi cosa.»
Il solito sbruffone: un eterno diciassettenne. Tenendo stretti i due lembi della cravatta con entrambe le mani, con un gesto veloce la portai oltre la sua testa e lo tirai leggermente in avanti dalla nuca, come le redini di un cavallo, in modo tale da sciogliergli la posa da finto presuntuoso. «Pecchi di megalomania, dottor Cullen?»
Mi colse letteralmente alla sprovvista mozzandomi il respiro dalla sorpresa: mi cinse la vita con un braccio e mi attirò a sé con decisione. «Avresti qualcosa in contrario?»
Gettai il lembo destro della cravatta sulla spalla opposto, come una sciarpa. «Non mi permetterei mai.»
Rise divertito scuotendo la testa; allentò la stretta attorno alla mia vita ma non l’abbandonò. Indicò con una mano la cravatta attorno al suo collo. «Devo indossarla così?»
Gli abbassai il colletto della camicia stirandolo elegantemente sulla giaccia nera. Era sexy con lo smoking; più del consentito per il mio precario autocontrollo. «Per te sarebbe più facile, così non perderesti tutto quel tempo a fare il nodo.»
Sorrise ampiamente mostrando la sua dentatura bianca e brillante. «Vuol dire che domani me lo farai tu.»
E te lo scioglierò anche, se vorrai. No, quello decisamente non era un pensiero da esporre a voce alta.
«Potrei avere l’istinto di strozzarti.»
Avvicinò il suo viso al mio. I nostri nasi quasi si sfioravano. «Correrò il rischio.»
«Avete trovato l’abito adatto?» Al suono stridulo della voce del commesso sobbalzai leggermente ma non mi girarmi, le braccia di Edward mi impedivano qualsivoglia movimento. Probabilmente ci aveva preso gusto ad arginarmi in quel modo. Ed io, in fondo, non ero nessuno per lamentarmi.
«Se mi permette signore, quello le calza a pennello.»
Il commesso aveva pronunciato quella che sembrava più una lusinga stranamente lasciva che una frase standard per ciascun cliente, con un tono stranamente acuto, in alcuni tratti perfino femminile.
Edward fece una smorfia ed io appoggiai la testa sulla sua spalla ridendo sottovoce. A quanto pareva il mio fidanzato non affascinava solo il gentil sesso.
Non riuscii proprio a trattenermi da sussurrargli: «A quanto vedo hai fatto conquiste. Ho un piccolo dubbio: in questi casi dovrei mostrarmi gelosa?»
Risentito, mi pizzicò il fianco con le dita. «Sei proprio una strega… altro che dolce fidanzata.» 
E ancora una volta, risi leggera e disinvolta.
Avrei dato qualunque cosa per bloccare il tempo in quell’istante.
 
 
 
 
Eravamo seduti l’uno di fronte all’altro in un ristorante italiano situato non molto lontano dal centro commerciale. Un consiglio di zia Carmen, che, ancora una volta, mi aveva dimostrato di conoscere perfettamente i miei gusti. L’ambiente era molto intimo, poco affollato e semplice nel mobilio, nulla di particolarmente lussuoso.
Un cameriere in camicia bianca e pantaloni neri con un palmare elettronico tra le mani attendeva la nostra ordinazione. Edward sbirciò il menu per poco tempo, poi lo chiuse e lo posò sul tavolo. «Ravioli ai funghi» Mi guardò con un mezzo sorriso sfacciatamente consapevole. «Per due.»
«Vi porto del vino?»
«Sì, rosso. Grazie.» Rispose con disinvoltura.
Il cameriere assentì, recuperò i menu e si allontanò dal nostro tavolo.
Alzai un sopracciglio, un gesto a metà tra il sorpreso e lo scettico. «Come facevi a sapere cosa avrei ordinato?»
Accentuò il suo sorriso sghembo. «E’ il tuo piatto preferito, no?»
Ero sempre più confusa. «Si ma…»
«Me lo hai detto tu stessa in aereo, non ricordi?» L’espressione altamente scettica che ricevette da parte mia lo fece ridere di gusto; non si era offeso. Anzi, sembrava piuttosto divertito.
«Ah Bella… mi hai sottovalutato.»
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio imbarazzata. «Decisamente.»
Chinò  leggermente il capo in avanti scrutandomi con sguardo beffardo. «Per cui… possiamo dire che sono riuscito a sorprenderti.»
Nulla di più veritiero. Sorrisi arrendevole. «Abbastanza.»
Mi fissò con un cipiglio divertito in viso. «Anche come fidanzato?»
Soprattutto.
«Mmm… forse. Ma devi superare ancora la prova più difficile.» Il mio tono fu derisorio, quasi ironico ma pochi istanti dopo abbassai lo sguardo sul tovagliolo ripiegato accuratamente sul piatto – sembrava un fiore, una calla color avorio – mentre un senso di malinconia s’aggravò sulla mie spalle. Mancava un solo giorno alla termine della nostra permanenza in Alaska; una volta giunti a Seattle, tutto sarebbe tornato come prima. Due vite separate. La mia e la sua.
«Il matrimonio?» Precisò Edward ridestandomi leggermente dai quei pensieri poco allegri.
«Già.» Un magone di formò all’altezza dell’esofago.
«Il volo del ritorno è previsto per dopodomani a mezzogiorno.» Lo rassicurai atona, con voce incolore.
Improvvisamente, mi prese la mano giocando con le mie dita. Alzai di scatto la testa.
Anche lui aveva lo sguardo basso, precisamente sullo strano intreccio delle nostre mani al di sopra del tavolo. «E’ incredibile che sia passata già una settimana.» Sussurrò con sguardo pensieroso.
«E’ stato peggio di quanto ti aspettassi?» Lo punzecchiai pervasa dai rimorsi. Poverino, Alice lo aveva letteralmente trascinato in quella farsa sfruttando il suo tallone d’Achille: l’orgoglio.
Alzò il capo e sorrise. «No, direi proprio di no. Anzi… » Lasciò la frase in sospeso.
Ebbi perfino l’istinto di spronarlo a terminare ciò che aveva iniziato ma giunse il cameriere con la bottiglia di vino rosso tra le mani, e ci rinunciai. Stappò il tappo in sughero, versò un po’ di quel liquido rosso nei nostri calici e serbò la bottiglia nel glacette in acciaio con ghiaccio. Come primo appuntamento sarebbe stato perfetto.
Edward mi porse il bicchiere. «Direi di brindare.»
Afferrai il calice dallo stelo. «Vino rosso? Vuoi per caso farmi ubriacare?»
Anche Edward, ridacchiando, prese tra le mani il bicchiere con vino. «No… almeno per il momento.»
Che affascinante sbruffone. «Allora, a cosa brindiamo?»
Ci pensò su qualche istante, poi alzò il capo incatenando i suoi occhi ai miei. Mi guardò con un’intensità tale che le pulsazioni del mio cuore accelerarono. Le sue iridi ardevano di una ragione, purtroppo, a me del tutto sconosciuta. Effettivamente, sapevo poco di lui; unicamente le cose più futili, di meno importanza.
«Alle persone che ci sorprendono.»  Disse Edward facendo scontrare delicatamente i nostri calici. Il tintinnio del cristallo si propagò nell’aria.
Entrambi alzammo i bicchieri verso l’alto prima di portarli alla bocca.
 A te…
 

***
 

Tornammo a casa Denali nel primo pomeriggio dopo aver pranzato in quel ristorante dalla squisita cucina italiana; eravamo stati entrambi attenti sugli ingredienti delle portate scelte, sincerandoci dell’assenza di noci in ognuna di queste.
Quella della sera precedente, era stata un’esperienza che difficilmente avrei dimenticato. La paura che potesse succedere qualcosa a Edward aveva preso il sopravvento con talmente tanta facilità che io stessa, in seguito al recupero di quel poco di lucidità necessaria, me ne meravigliai. Difficilmente perdevo la calma e non avevo mai avuto, sino ad allora, crisi di panico.
Sfortunatamente, Edward era in grado di farmi saggiare tutte quelle sensazioni mai provate che, data la mia inesperienza sul come dovessero essere affrontante, mi mettevano irrimediabilmente in imbarazzo sia a livello fisico che psicologico.
Sensazione per me del tutto nuove in quanto mescolate, incentrate tutte sulla sua persona: panico, gelosia, concitazione, smania di possesso, perdizione dei sensi… e quel maledetto bisogno fisico che percepivo ogni qualvolta che i nostri corpi entravano in contatto.
Avevo scioccamente pensato che col passare del tempo l’infatuazione nei suoi confronti sarebbe finalmente scemata. Che stupida. Mai sottovalutare un’attrazione, specialmente se questa poi si trasforma in qualcosa di più profondo.
Sistemai meglio il computer portatile poggiato sulle mie gambe leggermente ripiegate. Avevo la schiena comodamente poggiata alla testiera del letto matrimoniale.
Sfiorando il cursore ottico del mio notebook passai alla pagina successiva del file di scrittura. Avevo ricevuto una mail da Jessica Stanley, la segretaria personale del dirigente del Daily News, la quale mi incaricava di stilare una recensione obbiettiva in merito al libro di una famosa scrittrice: Twilight di Stephanie Meyer, la saga più in voga del momento.
La scadenza dell’incarico prevedeva ben due settimane dall’arrivo dell’e-mail; infatti, ero in vacanza e pertanto non avrei dovuto lavorare. Ma Tanya, per quella sera, aveva organizzato l’addio al nubilato per Kate ed io non avevo alcuna intenzione di andare in qualche nightclub per ballare sfrenatamente – senza tralasciare la mia avversione per il ballo – e bere alcolici per diletto. Preferivo di gran lunga lavorare ed incentrarmi sull’incarico assegnatomi dal giornale.
Edward rientrò dopo un lungo confabulare nel corridoio con i ragazzi; anche loro avevano preparato qualcosa per Garrent e dubitavo che si trattasse di una serata ‘tranquilla’ tra gentiluomini. L’addio al celibato era la prima cosa che gli uomini organizzavano quasi il giorno stesso in cui lo sposo faceva la proposta di matrimonio alla propria findanzata.
Uomini, tutti uguali.
Edward si sedette sul ciglio del letto davanti alle mie gambe rannicchiate. «Sembri concentrata.»
Gli lanciai una rapida occhiata. «Sto leggendo un romanzo. Una storia d’amore tra un vampiro e un’umana.»
Afferrò la mia caviglia muovendo il circolo il pollice sull’osso sporgente.«Ma i vampiri non dovrebbero nutrirsi di sangue umano?»
Mi strinsi nelle spalle, cercando di tenere salda la mia attenzione sullo schermo del notebook anziché sulle sue dita a contatto con la mia pelle. «Non credo voglia farle del male. Lui sembra quasi innocuo
«Forse sta aspettando solo il momento più adeguato.» Rispose con voce leggermente roca.
Scossi il capo da un lato all’altro in disaccordo.«Non credo. Sembra perfino intento ad instaurare un dialogo con l’umana. Adesso sono a pagina cinquanta e stanno facendo un esperimento di biologia.» Sorrisi al ricordo dei tempi del liceo. «Era una delle mie materie preferite, sai?»
«Anche delle mie.» Rispose Edward chinando il capo.
Gli feci una linguaccia. «Ti avrei dato comunque del filo da torcere.»
Mi sorrise sghembo e dolcemente arrendevole. Con me era una lotta continua.
«Come mai ti sei dedicata alla lettura?»
Chiusi per metà il monitor del notebook. «Il giornale mi ha incaricato di redigere una recensione per questo libro.»
Edward aggrottò la fronte; il suo viso era accigliato. «Fammi capire. Stai lavorando?»
Non avevo compreso del tutto il significato della sua domanda perché la risposta sembrava fin troppo ovvia.
Con leggere titubanza risposi: «Teoricamente sì.»
Praticamente, invece leggevo un romanzo per diletto come spesso mi capitava di fare nella mia casa a Seattle nel tempo libero. Leggere era uno dei miei passatempi preferiti.
Lui scosse il capo stranamente afflitto. «Non va bene. Non va proprio bene.»
Allungò una mano e con un gesto secco richiuse il notebook. Me lo sfilò dalle mani e lo lanciò senza garbo al lato opposto del letto.
«Ehi!» Mi lamentai risentita. A carponi cercai di recuperarlo, ma prontamente Edward mi afferrò dai fianchi e mi ritrovai in pochi instanti incredibilmente supina sul materasso col suo corpo che sovrastava piacevolmente il mio. Il suo viso era ancora accigliato.
«Quello,» esordì indicando il notebook con il capo «resterà spento sino al nostro ritorno a Seattle.»
Lo guardai in tralice.«E di grazia, potrei saperne il motivo?»
Esibì un espressione vincente, come se avesse in pugno la vittoria. Si sistemò meglio sul mio corpo in modo tale da non pesarmi.
«Sono comoda?» Domandai con malcelata ironia. Certo, non mi dava alcun fastidio, ma stuzzicarlo era per me un dovere, oltre che un piacere.
Sorrise furbamente come un adolescente. «Non sai quanto.»
Percepivo il calore della sua pelle a contatto con le mie braccia nude. Il suo petto comprimeva il mio, non in modo eccessivo; era una pressione piuttosto piacevole. Non era la prima volta che ci ritrovavamo in quella posizione, ma l’attrazione sembrava accresciuta così tanto che l’istinto di alzare le gambe e circondargli la vita era divenuto prepotente. Non andava bene.
Inspirai profondamente assimilando la straordinaria aroma del suo profumo; il mio prediletto afrodisiaco naturale. Edward posò la mano sul mio fianco, il pollice delicatamente poggiato tra due costole; quel gesto mi fece riprendere una leggera cognizione della realtà e perdere un ulteriore brandello di me stessa.
«Punto primo,» iniziò Edward premendo il dito sul mio fianco suscitandomi una risatina. «Sei in vacanza e ciò significa niente lavoro. Secondo…»
«Hai due motivazioni? Addirittura?» Lo bloccai con tono strafottente. Ero succube, impossibilitata nei movimenti ma potevo utilizzare comunque altri modi per ribeccare e indispettirlo; le parole facevano proprio al caso mio.
Ad ogni modo, come suo solito, non si scompose; continuò a sorridere privandomi di quella piccola soddisfazione di essere riuscita nel mio intento. Era una roccia impenetrabile di sfacciataggine.  
«Secondo,» ripeté alzando l’angolo destro delle labbra, «dovresti pensare più al tuo fidanzato anziché lavorare.»
Oh, ma che simpatico. Sempre pronto a ribattere sfrontatamente con la sua solita nonchalance.
Alzai le mani e gli poggiai i palmi sui fianchi. Con i pollici, involontariamente, sfiorai l’incavo delle sue anche. Pelle liscia come seta e tirata alla stregua di una corda di violino. Quella, era la parte maschile che più adoravo, incredibilmente sensuale ed eccitante.
Edward trasalì avventatamente e me ne compiacqui. Certi tocchi non potevano certo essergli indifferenti.
«Ma il mio fidanzato sa adattarsi.» Replicai sorniona. «Sbaglio o stasera è invitato ad una festa per soli uomini?»
«Anche tu hai una festa.» La sua voce era divenuta roca e gutturale.
Scossi il capo con fermezza. «No, io non ci vado.»
Alzò un sopracciglio. «Perché no?»
Alzai le spalle. «Non ne ho voglia.» Sperai che con quella mia risposta il discorso fosse chiuso ma il suo sguardo si fece serio.
«Bella. Non puoi non andarci.» Mi stava chiaramente rimproverando.
Sapevo cosa sarebbe accaduto se fossi uscita quella sera con le mie cugine: domande in rapida successione, balli sfrenati obbligatori e alcolici a sbafo.    
Sbuffai alzando gli occhi al soffitto. Negli addii le bevande alcoliche erano letteralmente obbligatorie; era un modo per brindare. Non potevo certo ordinare un bicchiere di Coca in presenza delle mie cugine. Sarei già stata al centro della loro attenzione per tutta la serata e meno gaffe facevo, meglio era. 
Mi morsi il labbro inferiore con nervosismo e reticenza. «E se mi fanno domande mentre sono brilla?»
Lui sogghignò divertito.«Hai intenzione di ubriacarti?»
Avevo già avuto un esperienza con l’alcol, al college una sola volta per essere precisi, tutt’altro che salutare e gaia. In quel frangente avevo comunque esagerato.
Sbuffai sonoramente gonfiando persino le guance. «Quando bevo alcolici tendo a svelare cose che non dovrei mai dire.»
Nascose il capo nell’incavo del mio collo, trattenendo l’esplosione di una più che fragorosa risata. Ma, per sua sfortuna, lo sentivo ugualmente.
«Edward!» Lo ripresi con lo stesso tono che aveva utilizzato lui per ammonirmi.
«Okay, la smetto di ridere.» Alzò il capo mostrandomi un espressione totalmente ilare. «La soluzione è semplice: ad ogni domanda che ti fanno rispondi con il nome di una qualsiasi cosa che ti viene in mente.»
Alzai un sopracciglio. «E questo stratagemma…?»
Sorrise birichino. «Bazzicavo nelle feste di alcune confraternite nel college.»
«Ah.» Dovevo immaginarlo. «Comunque non berrò, nessuno mi obbliga.»
Annuii concorde. «Esatto.» Dal tono non mi sembrava molto convinto. Di nuovo, tratteneva le risate.
«Però è anche vero che nessuno mi obbliga ad andare all’addio di Kate.»
Mi lanciò un’occhiataccia. «Però tu ci andrai.»
«Non ho alternativa, vero?»
Mi sorrise di nuovo, nel profondo dei suoi occhi notai un barlume di ironia. «Direi di no.»
Sbuffai, ma questo volta gli soffiai l’aria sul viso. «Ti odio.»
Accostò le sue labbra al mio orecchio. «Farò finta di crederci.» La mia pelle vibrò al suo sussurro. La scossa si propagò in tutto il corpo incentrandosi al centro esatto del mio addome.
Nella mia mente aveva vagato un’alternativa piuttosto piccante: avrei voluto proporgli di restare in quel letto, certo non per dormire, piuttosto che andare rispettivamente agli addii dei futuri sposi. In fondo, la mia alternativa non era poi così maligna. Forse era quel poco di vino in circolo nel mio sangue a far generare certe pensieri; o forse la causa diretta era proprio lui schiacciato in quel modo sul mio corpo che sfiorava il mio collo con la punta del suo naso e soffiava fiato caldo. La mia pelle vibrava e si surriscaldava sempre di più; perfino la frequenza dei battiti del mio cuore era accelerata.
Chissà se lui lo percepiva.
«Ma io ero curiosa di sapere come andava a finire il romanzo.» Sussurrai in preda all’estesi. Qualunque cosa pur di non andare alla festa di Kate.
Sentii le sue labbra umide posarsi in quella parte tenera del mio collo,  precisamente sotto l’orecchio. Poco dopo sussurrò: «Secondo me alla fine la morde.»
E morsicò delicatamente la base mio collo improvvisando un vampiro sanguinario.
 

- - -

 

Mi sentivo leggera, fin troppo sinceramente. Avevo la strana sensazione che se avessi preso a sbattere le braccia lateralmente mi sarei perfino alzata in volo. Tuttavia, non comprovai questa mia nuova tesi. Le cugine non mi avrebbero sicuramente vista di buon occhio.
Il locale in cui avevamo festeggiato l’addio al nubilato si era presentato esattamente come lo avevo immaginato: una pista centrale da ballo con un palco da defilé, tavoli tondi disposti a semicerchio lungo le pareti, musica ritmata e luci soffuse che rendevano l’atmosfera particolarmente calda.
Ahimè, forse la luce non era la sola fonte di calore: i ballerini, o meglio dire “gli spogliarellisti”, e i camerieri sexy difficilmente passavano inosservati.
Eravamo pur sempre ad un addio al nubilato. Scrutare qualche bel fusto era d’obbligo.
Non avevo ballato, ero rimasta tutto il tempo seduta al tavolo. Le cugine Denali si erano alternate e non certo per farmi compagnia, ma per pormi per ognuna una moltitudine di domande, purtroppo, tutte con un perno costante: il mio rapporto con Edward.

Tu ed Edward vivete insieme?
Limone, sale e giù il primo bicchiere dall’apparenza piccolo ma dalla sostanza piuttosto forte…
Avete intenzione di sposarvi?
Boom. Boom. E giù il secondo…
Ti ha già presentato alla sua famiglia?
Boom. Boom. Il terzo…
Quando ti ha detto Ti amo la prima volta?
Boom. Boom. Il quarto…
Com’è a letto?
Boom. Boom. Il quinto…
Preferisce stare sopra o sotto?
E così via sino a perdere completamente il conteggio dei bicchierini trangugiati.
La gola tuttora bruciava così come lo stomaco che sembrava letteralmente in fiamme. Tornammo alla villa in taxi sapendo perfettamente che gli uomini erano in condizioni peggiori delle nostre, tutt’altro che idonei a guidare un' auto. E non solo quello.
Varcammo la soglia di ingresso trovando incredibilmente le luci ancora accese.
Oh. Oh. Qualcuno era sveglio.
Dalla cucina sbucò quel qualcuno che , con mia somma felicità, si rivelò proprio Edward. Le mie labbra si distesero lateralmente, da orecchio a orecchio. I muscoli facciali quasi dolevano per lo stiramento eccessivo.
«Ciao Edward!» Esclamai con voce squillante.
«Basta!»  Esclamò Irina sfinita poggiandosi al muro con le spalle. «E’ tutta la serata che ti nomina; non ha fatto altro che ripete “Edward, Edward, Edward”.» Si portò le mani nei capelli biondi. «Non ne posso più.»
Ed io che pensavo di aver adottato il mutismo per l’intera serata!
Il mio fidanzato rise scrutandomi divertito. «Mi hai preso in parola, eh?»
«Come mai sei già di ritorno?» Domando Tanya in uno sbadiglio. Io continuavo a guardare Edward sempre con lo stesso sorriso, come se avessi una paresi facciale.
«Mike si è sentito male, ha vomitato. Probabilmente ha bevuto a stomaco vuoto. È di sopra, gli altri invece stanno ancora festeggiando.» Il tono era stato professionale. Che dottore sexy!
Lanciai uno sguardo altamente disgustato a mia cugina. «Non vorrei essere nei tuoi panni, papera bionda.»
Scrutai i capelli di Irina. Non li ricordavo così chiari; sembravano quasi bianchi. «Ma sei ossigenata oltre che siliconata?» Le chiesi realmente curiosa. All’istante sogghignai felice per la rima appena fatta.
Edward trattenne a stento una risata. L’aveva notata anche lui! Che bravo! Mi lanciò un sguardo divertito. «Credo sia ora di andare in camera.»
Annuii con vigore e mi avvicinai alla rampa di scale: ondeggiavo un poco da un lato all’atro, come se fossi a bordo di una nave, ma non barcollavo eccessivamente; questo era un punto a mio favore. Edward tese le braccia nella mia direzione. «Ti serve aiuto?»
Voleva per caso prendermi in braccio?
«Non mi faccio prendere da te.»Portai un dito davanti al suo viso e lo feci oscillare da una parte all’altra. Accelerai il movimento così da poter avere una visuale migliore del suo bellissimo volto. «Se mi porti come un sacco di patate vomito e se mi porti come una scimmia cadiamo. Quindi, salgo a piedi.»
Aggrappata al corrimano, oltrepassai il primo gradino della rampa di scale prima col piede sinistro, poi con quello destro.
Edward rise per nulla irritato. «Sì, così arriviamo domani mattina.»
Gli feci segno di tacere svolazzando una mano in aria. Improvvisamente mi cince la vita con un braccio. Volsi lo sguardo per un’ultima volta verso le mie cugine, col migliore sorriso che avessi mai mostrato loro. Le indicai con la mano facendo un leggero inchino.  «Voi tre, a mio avviso, per una buona volta, dovreste andare proprio a …»
«A DORMIRE.» Concluse Edward al posto mio prendendomi rapidamente in braccio. Iniziò a salire in fretta le scale.
«Ehi.» Sussurrai con tono arrochito. «non volevo dire quello.»
Quel bel mascalzone rise. «Lo so, ma è meglio se certe cose le dici a mente lucida. Fidati.»
Mi accucciai meglio sul suo petto marmoreo. «Okay, domani lo farò.»
Sogghignò ancora. Il suo profumo entrò nelle mie narici, prepotente, dolce e afrodisiaco per i sensi.
Giunti al piano superiore, mi consentì di poggiare i piedi sul pavimento ma le sue mani restarono ancorate sui miei fianchi. «Non ti ho mai visto ubriaca.»
«Non sono ubriaca!» Obiettai rifilandogli una linguaccia con le mani sui fianchi, sopra le sue, come mamma Weasley in Harry Potter. «Ho bevuto solo un po’.»
Entrammo nella nostra stanza e la prima cosa che feci fu togliermi le scarpe maledette e gettarle malamente sul pavimento.
Odiavo le scarpe e quelle mi avevano fatto male i piedi per tutta la serata. Cattive!
Edward si sbottonò la camicia e l’appoggiò sul letto. Strabuzzai gli occhi.
Accidenti, che fisico! Avevo un desiderio quasi maniacale di affondare le dita negli incavi dei suoi muscoli e mordere quei quadratini sull’addome. Mi attiravano come il miele per le api. No, come il miele per gli orsi. Le api fanno il miele e gli orsi lo mangiano.
Guardai Edward con un sopracciglio alzato. Sei lui era il miele… «Secondo te io sono un orso?» In quell’istante, anche l’idea di ricoprirlo di miele e ripulirlo con la lingua non era poi così male.
Lui esplose in una fragorosa risata. Beh, almeno ero divertente. «Come mai proprio un orso?»
Ignorai la sua domanda. Ci avrei impiegato troppo tempo per spiegargli l’intero concetto. «Cosa avete fatto di beeello, stasera?» Avevo cambiato repentinamente discorso e atteggiamento.
Edward recuperò il pigiama al di sotto del cuscino. «Ho solo scambiato qualche parola con Newton prima che si sentisse male.»
Alzai un sopracciglio. «Newton, il fisico?»
Rise. «No, Mike il commercialista.»
E allora perché aveva quel cognome se non era un fisico? Non feci caso neppure a quella domanda. Non era l’ora adatta per certe elucubrazioni mentali.
Edward era intento ad abbottonarsi la giaccia del pigiama quando mi sfilai il vestito dalle spalle. Ricadde silenziosamente sul pavimento e rimasi in biancheria intima nera. 
Non potevo certo andare a dormire con quell’abito in seta. Si sarebbe sgualcito e Alice non mi avrebbe mai perdonata.
Edward alzò lo sguardo e fermò all’istante la sua operazione. I bottoni all’altezza del petto erano fuori dalle asole. «E’ un vizio il tuo quello di spogliarsi mentre si chiacchiera, vero?»
Aggirai il letto matrimoniale e presi la sua camicia tra le mani. Infilai le braccia nelle maniche e con i lembi ancora aperti, azzerai le distanze tra i nostri corpi, posando le mani sul suo petto. Sfiorando la sua pelle con i polpastrelli, allacciai i bottoni del pigiama sul petto. Lasciai sbottonata l’altra metà per carezzare dolcemente l’addome con le dita. Era liscio e perfetto, proprio come lo avevo immaginato.
«Sei una tentazione.» Sussurrai estasiata.
Edward serrò gli occhi. «Anche tu…» Scosse furiosamente il capo. «Accidenti a te, Bella!» Alzò lentamente le mani e serrando gli occhi iniziò ad abbottonare la camicia che indossavo. Inspirò profondamente e spalancò le palpebre abbagliandomi con le sue iridi verde smeraldo. «…ma non approfitterò di te.»
Piegai la testa di lato.  «Perché?»
Finì di abbottonare tutta la mia camicia, perfino gli ultimi bottoni; tuttavia le gambe restavano scoperte. Avevo sempre sognato di dormire con quell’indumento maschile.  Un sorriso felice spuntò sulle mie labbra e feci un giro su me stessa. Ciondolai da un lato all’altro. Edward mi fermò afferrando le mie spalle e con un espressione maliziosa mi sfiorò una guancia con il dorso del dito indice. «Solo perché sei ubriaca.»
Maledetto alcol! Io non ero ubriaca.
Sbuffando, mi gettai sul  letto matrimoniale e rotolai nel lato opposto del materasso. Poggiai la testa su un braccio piegato. «Cosa ti ha detto Mike?»
Edward mi scrutò per un lungo istante, poi borbottò qualcosa tra sé come “era meglio se anch’io stasera avessi bevuto” e si stese sul materasso a debita distanza. Era troppo lontano per i miei gusti.
«Mi ha parlato di te.»
«Di me?»
«Sì, esattamente della tua decisione riguardo al New York Times.» Anche lui si sistemò sul fianco. «Secondo lui qualcuno ti ha influenzata.»
Alle volte delle persone ci sorprendono. Mike era una di queste. Mi grattai la tempia con un dito. «Allora non è così tonto come credevo.»
Edward aggrottò la fronte curioso. «Chi ti ha influenzato?»
Mi gettai supina sul letto e alzai un braccio osservando le dita sfocate della mia mano. «Mi ha influenzata Alice; in modo indiretto, naturalmente. Avevo appena trovato una vera amica e sarebbe stato fin troppo doloroso distaccarmene.» Gli lanciai uno sguardo divertito. «A tua sorella Mike non è mai piaciuto. Non sai quante volte lo ha preso in giro.» Ridacchiai al ricordo di Alice che imitava Mike in tutto e per tutto; dalle movenze da finto snob al tono di voce basso e professionale.
Edward scosse il capo con espressione quasi stralunata. La solita ruga insita di elucubrazioni, era lì presente sulla sua fronte. Quel ragazzo pensava troppo!!
Sbadigliai sonoramente. L’euforia stranamente stava svanendo; mi sentivo sempre più stanca e la testa incominciava a pesare.
Mi girai su un fianco, e strascicando sul materasso mi avvicinai ad Edward, rannicchiando poi le gambe al petto. Sfioravo appena la sua anca con il mio ginocchio.
«Posso avvcinarmi a te?» Il mio fu un sussurro timido e impacciato. «La mattina mi ritrovo avvinghiata al tuo corpo, ma non lo faccio di proposito, davvero.»
Edward rise dolcemente. «Lo so.»  Alzò un braccio ed io velocemente strusciai sino a ritrovarmi al suo fianco. Mi rannicchiai sul suo petto ascoltando i battiti del suo cuore. Quella melodia era un calmante per le tempie della mia testa che iniziavano a pulsare.
Socchiusi gli occhi, or ora tranquilla.«Anche tu sei comodo.»
Sentii sulla fronte le dita di Edward che, delicate,  mi portavano via dal viso alcune ciocche sbarazzine. Era dolce come il miele. Ed io ero l’orso.
Il suo petto si muoveva con una cadenza lenta e costante. Anche lui sembrava rilassato. La stanchezza ormai aveva preso il sopravvento e l’idea di addormentarmi in quella posizione pareva ai miei occhi così affascinante che per nessun motivo al mondo mi sarei spostata. Se non altro, lo avrei fatto solo nel momento in cui fosse stato lui ad allontanarmi.
Non respingermi.
«Mi sembra così strano.» Nel tono di voce c’era ancora quella sfumatura di incredulità. «Quindi è Alice la persona che ti ha influenzata. E’ per lei che hai rifiutato il New York Times.» Sussurrò mentre mi sfiorava dolcemente i capelli con una mano.
Sbadigliai ancora una volta sul suo petto, tirando i muscoli delle braccia attorno al suo busto. «Beh, Alice è la seconda.» Mormorai con occhi chiusi.
Sorrisi nel dormiveglia prima di sussurrargli: «La prima persona… sei tu.»
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14 Blog, Gruppo FB
 
Ma salveeeeee a tutti.
Come state? Io leggermente incasinata (lo so, questo non giustifica affatto il mio ritardo! mi dispiace! :-(
Il mese di maggio è ladro; tra feste, anniversari e quant’altro mi ha portato via un mucchio di tempo. E, a questo proposito, volevo ringraziarvi dal più profondo del cuore per gli auguri che mi avete lasciato su FB… non è mai ricevuti così tanti ed è stato davvero sconvolgente.
GRAZIE INFINITE A TUTTI!
 
1. RINGRAZIAMENTO RECENSIONI: io ho avuto un infarto perché ho ceduto un battito ad ognuno di voi! Ho ricevuto ben 93 recensioni!!! Io non so davvero come ringraziarvi. Non avrei mai creduto di raggiungere un tale traguardo, veramente non credevo nemmeno che ne avrei superate 20 a capitolo, figuriamoci!! Non ci sono abbastanza parole per ringraziarvi. Mi sento inadeguata e lusingata allo stesso tempo. E’ una strana ma piacevole sensazione.
GRAZIE, GRAZIE DAVVERO!
Ho letto ciascuna recensione almeno un paio di volte e le vostre parole mi hanno veramente segnata. Parole gentili, dolci, divertenti… non merito così tanto.
Ma non posso fare a meno di apprezzarle.
“Benvenuti” ai recensori nuovi.
“E’ un piace rivedervi” a quelli veterani.
E un “Grazie” profondamente sentito a TUTTI voi.
Lo so, non vi ho ringraziato abbastanza ma non potete immaginare il mio imbarazzo in questo momento. Sono un timido puma.
 
2. RISPOSTE ALLE RECESIONI: Bravissime! Molte di voi avevano già capito da tempo la scelta di Bella riguardante il NY Times. I miei complimenti. Forse era scontata, ciò nonostante spero apprezzabile.
*Ho terminato il capitolo in un punto critico, ne sono consapevole. Sono stata cattiva??? Non aggiungete tutte quelle ‘O’ al vostro “NO” perché vi sento!!! Ma è tutto calcolato, o meglio, programmato.
*Alcune di voi mi hanno chiesto di Amore Platonico. La risposta è QUI. Avevo pubblicato tempo fa un post in merito sul blog.
*Per quanto riguarda la fine di questa storia la mia risposta è No, non terminerà col matrimonio. Assolutamente! Ho in mente altri capitoli, care!!! La mia testolina frulla continuamente!!
*Invece per chi mi ha fatto la domanda sul perché io abbia scelto Twilight come libro e soprattutto come farà Bella a non notare le somiglianze: il libro nella storia ha un’utilità marginale (verrà citato solo un’altra volta, sempre in modo superficiale).
Mi è servito solo per mostrare un lato di Bella e, perché no, anche di Edward. Bella non ha mai nominato i personaggi proprio appunto per non creare confusione. Diciamo che ho voluto sdrammatizzare il tutto col morso vampiresco. :-P
 
3. IN QUESTO CAPITOLO: troverete alcune risposte alle vostre domande.
Il perché dell’astio con le cugine.
Se Bella ricorderà qualcosa.
La reazione di Edward.
Qui vi sarà solo la prima parte del matrimonio e l’entrata di James. Vi avviso che avrà un ruolo diverso da quello di Twilight. TOTALMENTE DIVERSO. Forse, addirittura lo amerete.

IN QUESTO CAPITOLO, VERSO LA FINE, BELLA FA CIO’ CHE IO AVREI FATTO. PROBABILMENTE NON TUTTI LO CONDIVIDERETE… SAPPIATE ACCETTO OGNI CRITICA, MI FANNO CRESCERE.

 
 
4. VORREI FARE UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A:
@Lu persemprenoi: la mia nuova manager che mi spronerà giorno per giorno a scrivere i capitoli con mazzate, legnate, frustate, ecc
@Elesunny30: che mi fa sempre diventare un peperone! E’ la persona più dolce che io abbia mai conosciuto.
@Shinalia: perché con le tue storie mi fai sempre emozionare!
@Luis: grazie a FB ti ho conosciuto di “persona” e sei un’amica stupenda!!!
@Lisa76: Sei una persona stupenda, è bello poter parlare con te!
@Mirya: la tua recensione racchiude tutta questa storia, mi hai emozionata. Grazie!
 
 
5. CONSIGLI: nel gruppo di FB ho creato un’area nella quale consiglio alcune storie: QUI.
Vorrei farlo anche qui, anche perché alcune autrici purtroppo non le conosco di persona e di conseguenza non ho potuto chieder loro il permesso per farlo:
@NIENTE E’ IMPOSSIBILE di Lau_: una oneshot originale bellissima e toccante. Vale la pena di leggerla.
@DON’T LEAVE ME ALONE di SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate: aspetto con ansia il nuovo capitolo!!! L’autrice è bravissima!!
@RICOMINCIARE A VIVERE di CONGY: estremamente toccante.
@FORKS, STATO DI WASHINGTON di ANALCOLICOBIONDO: una sola parola FAVOLOSA!
 
 
6. PER IL RITARDO: sono perennemente in ritardo, ne sono consapevole. E' brutto andare ogni volta a rileggere la parte finale del capitolo precedente per riprendere quello nuovo, so anche questo. Ma io ce la metto tutta. Lo giuro.
Cerco di essere più veloce, di scrivere tutto ciò che sento affinché il capitolo piaccia ma non riesco a velocizzare di molto i tempi. Mi dispiace davvero tanto per il ritardo. Vi chiedo ancora una volta scusa.


Credo che sia tutto per oggi.
Non mi resta che augurarvi buona lettura.
Au revoir.
 
 
 


CAPITOLO 14

 


Qualcuno - indubbiamente dall’indole sadica e disperatamente perversa - mi stava comprimendo il cranio con un gigantesco schiaccianoci per puro e cruento divertimento. Quella sembrava l’unica spiegazione plausibile alla pressione costante che sentivo in quel esatto momento in ogni punto del mio capo specie alle tempie che, in aggiunta, pulsavano dolorosamente.
Forse ero stata investita in pieno da un camion.
Forse ero inciampata e avevo ruzzolato giù, lungo tutte le rampe di scale di casa Denali.
Forse avevo ricevuto di soppiatto una legnata dietro la testa dalle mie cugine ed ero svenuta.
In effetti, erano tutte supposizioni più che valide, tranne quella del camion naturalmente.
Non mi ero addormentata sul pavimento né al di sopra di una superficie dura, questo perlomeno era sicuro; la prova tangibile era la consistenza soffice del cuscino che percepivo a contatto con la mia guancia pressata su di esso – sì, probabilmente avevo anche un macigno sulla testa. Tuttavia, quella strana sensazione sembrava più fastidiosa che dolorosa.
«Sta ancora dormendo.»
E la voce di Edward al mio udito, stranamente, non era poi così piacevole come la ricordavo. Sembrava un fastidiosissimo ronzio tutt’altro che sibilato, come un’ape che ronza vicino ad un megafono supponendo stupidamente che i fori del microfono siano le celle di un alveare in forma ridotta.
Avevo un vago ricordo di api, miele e orsi.
«Ma i preparativi sono già iniziati.»
Se la voce di Edward era un ronzio, quella di mia cugina Irina era uno stridio di mille auto contemporaneamente. Decisamente più sgradevole.
«A che ora verrà celebrata la cerimonia?»
«Nel primo pomeriggio.»
«Quindi è ancora presto. Sono solo le otto.» Esitò lui per un attimo. «Quanto ha bevuto ieri sera?»
Bevuto? Avevo bevuto?
La risata di Edward che seguì la domanda fu tutt’altro che confortante e mi indusse a pensare al peggio.
«Sinceramente non lo so. E’ rimasta tutto il tempo seduta al tavolino, non ha voluto nemmeno ballare.» Irina fece una pausa per me oltremodo benefica. Poi sbuffò. «D’accordo. Torno dopo.»
Lo schiocco della porta ora richiusa risuonò nella mia testa come un eco lontano. Mi girai faticosamente supina nel letto portando entrambi i palmi delle mie mani sulle palpebre chiuse. Cercai di riepilogare con la mente l’antecedente giorno provando a sbrigliare la matassa che avevo attualmente nel cervello: lo smoking, il ristorante italiano, il manoscritto e… l’addio al nubilato di Kate!
«Dannazione!» Mi lamentai con voce arrochita e impastata, con la consapevolezza che non purtroppo non era dovuta solo al sonno.
Ricordavo vagamente di essere andata al locale e aver bevuto tequila. Il resto era grosso buco nero. Un vuoto incolmato, o meglio, colmato dal superalcolico. In fondo, una cosa positiva c’era: finalmente avevo capito perché avevano aggiunto alla tequila il sostantivo Boom Boom: quello era l’attuale frastuono che sentivo nella mia testa.
Che accidenti avevo combinato?!
«Ehi! Ti sei svegliata.»
Mi alzai di scatto portandomi una mano alla tempia sentendo il saluto di Edward piuttosto allegro. Il movimento brusco mi portò un senso di vertigini che mi fece ondeggiare avanti e indietro. Edward mi afferrò prontamente dalle spalle evitandomi un’ulteriore ricaduta sul cuscino.
Avevo ancora gli occhi chiusi, impiastricciati, incollati dal torpore. Feci scivolare una mano sulle palpebre e le stropicciai con forza. La camera era nella penombra, le tende bianche erano tirate e il sole filtrava con leggeri sbuffi corposi. Fortunatamente non dava fastidio alla vista.
Sollevai la testa con estrema lentezza, timorosa di ritrovarmi puntato addosso uno sguardo accusatore, deluso, perfino arrabbiato. Ma una volta alzata non vidi nulla di tutto ciò. I suoi occhi verdi erano sorridenti, luminosi complici di quelle labbra curvate all’insù.
Abbozzai un mezzo sorriso, incoraggiata. «Ciao.»
Si accomodò sul ciglio del letto, in prossimità delle mie gambe coperte dal lenzuolo. «Ciao.»
Mi portai nuovamente il palmo alla tempia premendo energicamente. Fu come se quel semplice saluto, formato da una sola parole, l’avesse gridato a squarciagola direttamente nei miei timpani. «Non hai urlato, vero?»
Rise sottovoce. «No, direi proprio di no.» Alzò la mano e mi sfiorò la guancia con il rovescio di due dita «Come ti senti?»
Corrugai la fronte. «Mi sembra di avere tanti chiodi conficcati nel cranio e che qualcuno li stia pressando con un martello pneumatico. E’ possibile?»
«Beh… sì, se ieri sera hai bevuto tanto.» Aveva abbassato il tono di voce, probabilmente ora stava bisbigliando. Si sporse in avanti allungando un braccio; dal comodino accanto al letto prese un bicchiere colmo d’acqua e due compresse di aspirina. «Nella tua testa non ci sono chiodi quindi come neurochirurgo servo a ben poco. Però puoi prendere queste. Vedrai che in un paio d’ore il dolore passa.»
Ingoiai le pastiglie e tracannai l’acqua tutta d’un sorso percependo solo allora l’insopportabile secchezza della mia gola. Al seguito, tossicchiai infastidita.
Riposai il bicchiere sul comodino. Mi passai una mano tra i capelli annidati. «Sono un mostro, vero?»
Mi lisciò ancora una volta il viso. «Un bellissimo mostro.»
«Che simpatico.» Lo ripresi con ironia.
«Cosa hai bevuto ieri sera?» Domandò con il suo solito sorriso.
Feci una smorfia. Purtroppo in bocca ne avevo ancora il sapore amarognolo. «Tequila.»
Sogghignò. Si stava divertendo, e pure tanto. «Quanta?»
«Tanta…» Un vuoto di memoria. «… almeno credo.»
Non ricordavo neanche quanto avessi bevuto; di bene in meglio. A quanto pareva la mia sopportazione dell’alcol non era poi così elevata come avevo ipotizzato. Anzi, forse per poco non potevo ritenermi astemia.
Edward alzò un sopracciglio mostrando un espressione chiaramente perplessa. «Non ricordi nulla?»
Scossi il capo lentamente memore di dover evitare movimenti bruschi. «Nulla di ciò che è accaduto dopo la sbronza.»
La mia risposta lo sorprese, e non poco. Immediatamente mi preoccupai per le azioni e lo cose dette senza rendermene realmente conto sotto l’effetto dell’alcol. Spalancai la bocca coprendola con una mano. «Ho detto qualcosa di stupido?»
L’espressione del suo viso si addolcì e mi guardò intensamente. «Nulla di stupido.»
Per un attimo aprì la bocca ma la richiuse poco dopo muovendo il capo da un lato all’altro. La sua risposta contraddiceva il gesto appena compiuto.
«Allora ho fatto qualcosa di stupido?»
Gli sfuggì improvvisamente una risatina. «Non è esattamente il termine che io avrei utilizzato.»
Alzai un sopracciglio. Che accidenti voleva dire e soprattutto… che accidenti avevo combinato?! Si accorse della mia espressione scettica e con una mano indicò il mio busto.
Sbiancai all’istante terrorizzata! Rimasi pietrificata, immobile nella mia posizione e inabile nel verificare.
Edward scoppiò a ridere fragorosamente e, come se mi avesse letto nella mente, sciolse il mio più grande timore. «Non ti preoccupare, non sei nuda.»
Tirai un sospiro di sollievo. Un – grosso - problema in meno. Se non ero nuda cosa…
Finalmente abbassai lo sguardo. Una camicia bianca, ecco cosa indossavo. Al petto era larga e solo adesso notavo le maniche arrotolate fino ai gomiti. Le srotolai: oltrepassavano perfino le mani. Decisamente la camicia non era della mia taglia.  Se non era la mia…
Lanciai uno sguardo rassegnato ad Edward. «E’ tua, vero?»
Annuì cercando invano di trattenere le risa.
Mi liberai dalle lenzuola e mi alzai dal letto stiracchiando ogni lembo muscolare intorbidito. Mi sorse un dubbio più che lecito. «Perché indosso una tua camicia?»
«Vuoi davvero saperlo?»
Storsi le labbra. Esaminai il mio abbigliamento, se così poteva esser definito, e notai solo allora la trasparenza della stoffa bianca sul petto fortunatamente coperto da un reggiseno nero – beh, almeno sotto non ero nuda.
Anche se, in effetti, una parte del mio corpo era denudata: le gambe erano totalmente scoperte e dal taglio laterale sfiancato della camicia si intravedeva la mia culottes in pizzo nero.
Mi strinsi le braccia intorno al busto avvampando. Stranamente la preoccupazione maggiore non era lo stato attuale ma la conseguenza di questo. Perché indossavo una sua camicia? «Cosa ho fatto?»
Fece qualche passo nella mia direzione. «Ti sei spogliata e l’hai indossata.» Lo disse con ovvietà.
Il sangue fluì furiosamente sulle mie guance. Deglutii rumorosamente. «Quindi nulla di preoccupante.»
Lui rise e ciò mi imbarazzò maggiormente. E pensare che la sera precedente, prima di uscire, avevo perfino deciso con anticipo di non bere alcolici all’addio al nubilato di mia cugina. Mi ero auto imposta di non fare niente di stupido.
Sono stata proprio di parola, non c’è che dire.
Sospirai pesantemente. La peggiore consapevolezza era che non ricordavo proprio nulla. Neppure le più piccole cose e se mi sforzavo di farlo il dolore alla testa tornava prepotente a tormentarmi.
Pertanto optai per la fuga: decisi di rifugiarmi in bagno e schiarirmi le idee, per quanto fosse possibile, con l’acqua fredda. Inoltre l’imbarazzo attuale non aiutava in alcun modo.
«Forse è meglio se vado a farmi una doccia.» Incedetti verso il bagno ignorando lo sguardo divertito di Edward.
«Lo hai fatto in mia presenza. Ti ho abbottonato io la camicia.» Mi bloccai di spalle a quella sua precisazione maliziosa. Voleva provocarmi e prendermi in giro?
Lo guardai con disinvoltura, con scarso risultato naturalmente perché il colore delle mie guance palesava ogni mia parvenza di emozione «Non è la prima volta che lo faccio, no?»
Rise in quel suo modo arrogante e maledettamente attraente. «No, ma è la prima volta che provi a sedurmi.»
Raggiunsi il limite dell’imbarazzo. «Cosa ho fatto?» Domandai con voce stridula.
Rise apertamente. Sembrava più allegro del solito. «E’ vero. Non ti sto prendendo in giro.»
Mi rabbuiai. Deve essere stato piuttosto facile per te non cedere alle mie lusinghe.
Lui si accorse del mio cambiamento e improvvisamente il suo sguardo mutò, divenendo più sicuro, come se volesse scrutarmi oltre.
Assunse la sua solita postura: appoggiato alla cassettiera con le braccia incrociate al petto e quell’espressione sfacciata in viso. E sebbene ciò comportasse divertimento, i suoi occhi brillavano di insita determinazione. «La risposta a quello che stai pensando è no
Ridussi gli occhi a due fessure. «Come puoi sapere ciò che sto pensando?»
«Conoscendoti… non è poi così difficile da capire.»
«Non ne puoi essere certo.»
«Hai ragione, non posso.» Infilò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni sportivi. «Allora perché non me lo dici tu cosa hai pensato?»
Per quale motivo?
Perché avrei dovuto sotterrarmi dall’imbarazzo se quel suo no pronunciato non avesse corrisposto alla mie riflessioni e avrebbe solamente confermato ulteriormente le mie insicurezze? Insicurezze che nel profondo quasi tutte le donne hanno: che alcuni atteggiamenti sembrino goffi piuttosto che seducenti e, di conseguenza, di essere poco attraenti agli occhi dell’uomo che incondizionatamente si desidera. In poche parole inadeguate.
Il primo impulso fu quello di sfilarmi la sua camicia di dosso solo per sincerarmi della sua reazione e cogliere anche la più piccola traccia di emozione. Ma il coraggio non era una delle mie principali virtù pertanto aprii la porta del bagno desistendo da quel folle proposito. «Perché preferisco andare a farmi una doccia.»
Edward mi sfidò con lo sguardo. «Codarda.»
Gli feci una linguaccia ed entrai in bagno. Mi chiusi la porta alle spalle e tirai un lungo e profondo sospiro.
Codarda … e dove sarebbe la novità?
 
***
 
Agganciai le grucce, con gli abiti ancora chiusi nelle custodie, al bordo alto dell’armadio. Una argentata ed una nera. La seconda corrispondeva alla mia pena capitale, o morte come dir si voglia; non potevano scegliere colore più adatto.
Con una curiosità piuttosto insolita rispetto alla mia naturale indole, aprii per metà la cerniera di quella che conteneva l’abito inseritomi da Alice nella valigia del povero malcapitato Edward. Dall’apertura intravidi un tessuto blu oltremare, intenso e raffinato. Infilai una mano e delicatamente ne tirai fuori un po’ di stoffa. Al tatto era morbidissima: probabilmente di chiffon, alla luce solare sembrava più traslucida.
Le capacità artistiche di Alice erano senza uguali. Sapeva che il blu era il colore che più mi piaceva indossare. Mi faceva sentire a mio agio e, in qualche modo, bella.
Peccato che non fosse quello l’abito che avrei dovuto indossare.
Con un sospiro pesante, colmo di eccezionale coraggio, aprii l’intera cerniera di quella nera. Dall’apertura spuntò della stoffa violacea e con un po’ di sforzo sfilai del tutto la custodia da esso. Fu come un’esplosione: il vestito era stato letteralmente pressato e, una volta fuori, si era gonfiato come pane lievitato. Era in tulle, per cui meno morbido e poco cedevole rispetto all’altro abito, interamente ricoperto di balze. Un cipiglio contrariato si formò sul mio viso: non ricordavo che erano così tante. Ne avevo aggiunte sicuramente altre.
Che gesto premuroso.
«Wow.»
Spaventata dall’esclamazione improvvisa, mi girai di scatto: Edward era alle mie spalle con una tazza di caffè tra le mani che scrutava attentamente l’abito da damigella.
Feci una smorfia. «Spaventoso, eh?»
Lui rise. «Un po’. Sembra…»
Gli sfilai la tazza dalle mani. «Una gigantesca cipolla?» Sorseggiai un po’ di caffè.
Incrociò le braccia al petto e mi lanciò un’occhiata divertita. «Non sei solo una ladra di camicie. Mi rubi pure il caffè e l’accappatoio.» Accompagnò l’ultima parola abbassandomi il cappuccio dell’indumento da me rubato e indossato. Mi ero resa conto di aver dimenticato nella stanza il mio di accappatoio solo mentre ero già sotto la doccia. Avevo immaginato che quell’unico presente in bagno fosse suo. Ne avevo avuto la conferma una volta indossato: era pregno del suo profumo.
«E’ tuo?» Domandai con finta ingenuità. Lui alzò un sopracciglio.
«Scusa.» Mormorai e celai un sorriso dietro la tazza.
Edward me la sfilò velocemente dalle mani prima che potessi bere ancora un po’ di caffè. «Che bugiarda. Non sei per niente dispiaciuta.»
Risi divertita indisponendolo maggiormente; la prese come una sorta di sfida. Come avrebbe fatto ogni uomo, d’altronde.
«Ti diverti a prendermi in giro, eh?»Appoggiò la tazza sulla cassettiera e con un gesto secco e inaspettato afferrò i bordi della mia cintura in spugna stretta in vita attirandomi a sé.
«Sai, potrei riprendermelo all’istante se volessi.»
Sbiancai sul momento strabuzzando gli occhi. Se avessi avuto qualcosa addosso al di sotto dell’accappatoio probabilmente lo avrei fatto io stessa per reagire alla sua provocazione ma… diamine, ero appena uscita dalla doccia e sotto ero nuda!
Edward rise bello e sfrontato, divertito per un qual strano motivo. «Dalla faccia che hai fatto sembra che tu non abbia nulla sotto.»
Senza rendersene conto, aveva colto nel segno. Se ne accorse probabilmente dal mio viso, ancora impietrito e imbarazzo.
Lui deglutì a vuoto la saliva scrutandomi dall’alto verso il basso. «Ah.»
«Già.» Risposi con una leggera nota trionfante nella voce. Non era rimasto indifferente a quell’osservazione, e se da un lato provavo imbarazzo, dall’atro ero leggermente compiaciuta. Non era certamente facile cogliere Edward di sorpresa. «Sono appena uscita dalla doccia, è normale che io sotto sia nuda.»
Ed era ancora più difficile cavalcare quell’onda più del tempo concesso. Ti concedeva solo di alzarti in piedi sulla tavola da surf, perché il mare in poco tempo ti avrebbe comunque travolto.
Edward era l’onda, io la povera surfista desiderosa di dominarlo sino alla riva.
Quel sorriso furbo che gli era spuntato sul viso, purtroppo, ne era la prova inconfutata.
«Se vuoi posso aiutarti a vestirti… come dovrebbe fare un bravo fidanzato.»
Che scaltro e sexy provocatore. Alzai un sopracciglio. «E sentiamo, cos’altro dovrebbe fare un bravo fidanzato?»
Ondeggiò il capo da un lato all’altro facendo una smorfia. «Per esempio baciare più spesso la propria compagna.»
Lo sbuffo scocciato da parte sua che ne seguì mi fece arricciare le labbra, offesa. Si sentiva obbligato? Lo riteneva un supplizio?
Incrociai le braccia al petto più indispettita di quanto volessi realmente dimostrare. «Non devi…»
Troncò le mie parole tirandomi a sé energicamente. Mi circondò la vita con un braccio sollevandomi di qualche centimetro dal pavimento. Mi si spezzò il fiato in gola quando mi ritrova il suo viso ad una spanna dal mio.
Sorrise dopo aver intrufolato una sua mano nella mia chioma bagnata. «Credo proprio che oggi lo farò.» Prima che potessi ribattere o rifilargli un pugno per l’insulto, le sue labbra furono sulle mie con voracità. Si modellarono perfettamente alla mia bocca. Erano morbide e deliziose come un dolce muffin al cappuccino, sapevano di caffè. Accentuò la stretta attorno alla mia vita con un braccio arpionando una mano al mio fianco, l’altra invece scivolò sulla mia nuca sospingendo il mio capo per un contatto più profondo.
Ormai non comprendevo più la natura di quei suoi gesti inaspettati - se avessero un significato di fondo o fossero solo frutto di un desiderio momentaneo - né mi preoccupavo di rifletterci sopra più del dovuto.  Avevo già deciso di godermi i momenti e le emozioni così come si fossero presentate e nulla mi avrebbe fatto cambiare idea.
Tuttavia, le nostre lingue non si incontrarono perché prima che ciò potesse accadere gli morsi il labbro inferiore con forza; il desiderio era tanto ma se avessi approfondito quel bacio difficilmente avrei trovato la forza per fermarlo.  
Allontanò velocemente le sue labbra dalle mie non lasciando comunque la presa sui miei fianchi. Si passò la lingua sul labbro segnato dai miei denti e sorrise.
«Ero sicuro che in modo o nell’altro me l’avresti fatta pagare.»
Ignorai quella sua frase beffeggiatrice. «E questa cos’era, una prova?» Domandai col fiato corto.
Mi massaggiò la nuca con tocchi leggere e circolari, provocandomi una pioggia di brividi.
Accostò le sue labbra alle mie. «Sì ma credo di averne bisogno di altre.»
La porta della nostra stanza fu improvvisamente spalancata. Edward mi lasciò la vita permettendomi di poggiare nuovamente i piedi sul pavimento. Mi girai lentamente scorgendo sull’uscio la figura di mia cugina Irina con le braccia incrociate sotto al seno e tanti bigodini in testa. «Allora sei sveglia.»
«Sono sveglia.» Mi sistemai l’accappatoio dal quale si intravedeva leggermente la base del mio collo e un po’ di decolté. La scena ai suoi occhi doveva sembrava piuttosto indecente e ciò mi fece sogghignare.
Alzò il mento indispettita come una pianta di cactus. «Allora muoviti, non c’è tempo da perdere.» Uscì dalla stanza a passo di marcia.
Lanciai un’occhiata obliqua ad Edward. «Sembra più stizzita del suo solito, non trovi?»
Lui rise. «Forse perché ieri le hai detto che oltre ad essere siliconata è anche ossigenata.»
Spalancai gli occhi . «Sul serio?»
Annuì, anche lui divertito. «Sì e hai anche dato della papera a Tanya.»
Esplosi in una fragorosa risata sotto lo sguardo disorientato di Edward. L’idea di aver schernito in quel modo le mie cugine mi rallegrava in un modo piuttosto bizzarro e pressoché assurdo. Dovevo essere pentita o almeno dispiaciuta, ma l’unica cosa di cui sinceramente mi rammaricavo era che purtroppo non ricordavo nulla di quanto era accaduto.
Tutto sommato, a quanto pareva, la serata non era andata poi così male.
 
***
 
Temevo che se fossi rimasta sola sotto le mani esperte delle mie cugine, in un modo o nell’altro, si sarebbero vendicate. Ma la tensione nella stanza della futura sposa era così alta e palpabile nell’aria che non si accorsero nemmeno del mio arrivo. Tanya smaltava le unghie alla sorella Irina mentre un’acconciatrice si occupava di Kate, imbalsamata su una sedia posta di fronte alla specchiera. Era visibilmente nervosa: gli occhi erano leggermente sgranati, seguiva distrattamente l’operato della parrucchiera, inspirava ed espirava con bocca e naso, come insegnano alle donne incinte in un corso pre-parto.
Fortunatamente le mani che si occuparono della sottoscritta furono quelle di zia Carmen, come ai vecchi tempi. Anche lei era nervosa - d’altronde, era normale per la mamma della futura sposa – e, a detta sua, quei piccoli incarichi erano un’immensa fonte di distrazione. Sfruttava il tempo come meglio poteva.   
Arricciò ogni ciocca dei miei capelli con infinita pazienza. Al termine li raccolse lateralmente con svariate forcine impreziosite con perline bianche e turchesi; i boccoli ricadevano morbidi sulla schiena. Un’acconciatura semplice e raffinata. Ebbe perfino la pazienza di truccarmi il viso con colori tenui e naturali. Nulla di eccentrico.
Quindi l’unica pecca era il vestito che, attualmente, stavo cercando disperatamente di abbottonare. Già era stato difficile infilarlo dalle gambe perché ogni balza era un intralcio, e sebbene dall’apparenza sembrasse ampio la fodera interna era piuttosto stretta, figurarsi chiudere la cerniera lampo sulla schiena. Il tulle si incastrava tra i denti di sutura bloccandone la salita.
Ero nel bagno della mia camera da letto, non potevo chiamare nessuno perché erano tutti intenti ad ultimare i preparativi. Ma inaspettatamente la porta del bagno si aprì e spuntò il mio salvatore. Edward si bloccò sull’uscio guardandomi con un cipiglio indefinito in viso.
Aveva indosso solo la camicia la cui parte inferiore era nascosta nei pantaloni; e sebbene mancasse ancora la giacca appariva già altamente elegante. La cravatta era sciolta e penzolante al collo.
Era bello, e sexy.
«Grazie al cielo.» Sospirai, sollevata.
Alzò un sopracciglio. «Tutto bene?»
Arrossii leggermente quando appresi la mia attuale condizione davanti ai suoi occhi: sorreggevo il vestito dal seno mentre le mie spalle – e giù fino a metà fondoschiena – erano del tutto scoperte. «Mi… mi potresti aiutare ad alzare la cerniera? Da sola non ci riesco.»
Edward sorrise. «Ai suoi ordini.»
Mi si posizionò dietro e con fare delicato tirò su la cerniera sfiorando ripetutamente la mia pelle con le dita. Trattenni il respiro per tutto il tempo.
«Lingerie blu?» Chiese in un sussurro una volta che ebbe terminato.
Arrossii maggiormente. Come biancheria intima avevo scelto un corpetto in pizzo blu privo di spalline, di media lunghezza che sfiorava solo la parta alta dello stomaco, e una culottes molto sgambata dello stesso colore.  
«Era in un sacchetto, all’interno della custodia che Alice ha nascosto nella tua valigia.» Chiarii. «In questa settimana tua sorella ha volutamente compromesso la mia pazienza, ne sono più che certa.»
Nel frattanto presi una collanina dal piccolo portagioie da viaggio. Era un regalo di Alice per il mio compleanno: un girocollo in oro bianco di Tiffany con cinque pietre azzurre in zircone. Sottile ed elegante, per nulla appariscente.
«Io credo che abbia voluto compromettere più il mio autocontrollo. » Ribatté pensieroso.
La sganciai e la portai dietro al collo quando Edward sostituì le mie mani. «Lascia, faccio io.»
«Grazie.» Sussurrai.
Poi gli lanciai uno sguardo malizioso. «Perché, necessitavi di autocontrollo?» E nel frattempo indossai gli orecchini.
Edward agganciò la collana, poi si inclinò lasciando un fugace e morbido bacio sul collo. «Più di quanto tu possa immaginare.» Mi venne la pelle d’oca. Dal riflesso dello specchio del bagno notai l’inclinarsi delle sue labbra in un sorriso colmo di consapevolezza. «Anche se credo di averlo definitivamente perso.»
Presi anche il braccialetto e con un sorriso ne approfittai facendomi agganciare anche quello.
Edward rise leggermente divertito. «Servizio completo, eh?»
«Sei o non sei un bravo fidanzato?»
Lui alzò gli occhi infiammandomi con il suo sguardo. «Hai ragione.»
Nel momento in cui concluse il suo piccolo incarico, impugnai i lembi della sua cravatta nera ed iniziai ad annodarla. Incrocio, giro e intreccio. Era come andare in bicicletta; una volta che impari non lo dimentichi più.
Edward  mi lasciò fare scrutando il mio viso. E nonostante fossi concentrata sulla cravatta sentivo quel suo sguardo addosso bruciare come fuoco. «Ti sei truccata. Stai bene.»
Oltremodo imbarazzata e forse anche un po’ lusingata, tacqui e tirai verso l’alto il nodo e lo posizionai perfettamente al centro del colletto.
Lui poggiò le sue mani sui miei fianchi, sorridendo. «Nessuno strangolamento?»
Gli lisciai la cravatta sul petto con una mano. «Per adesso no. Magari più tardi.»
Uscii dal bagno al seguito di Edward e mentre lui si infilò la giaccia io indossai dei semplici sandali argentati fortunatamente dal tacco non esageratamente estroso.
Quando alzai lo sguardo Edward fece un giro su se stesso a braccia aperte. «Come sto?»
Aggrottai la fronte. Era quasi perfetto: mancava l’ultimo tocco femminile.  
Alzai la mano sotto il suo sguardo curioso. «Aspetta.»
Sfilai una piccolissima orchidea dal buchette da damigella. Feci il grossissimo errore di velocizzare il passo per raggiungerlo; inciampai nel vestito ma prima ancora che potessi toccare il pavimento con il viso, le braccia di Edward prontamente mi sorressero. Così mi ritrovai avvinghiata al suo petto; il suo profumo mi invase le narici. Fu intenso e piacevole.
Mi drizzai con una smorfia di disappunto. «Cadrò un infinità di volte prima della fine di questa giornata.»
Edward rise divertito deridendomi ulteriormente. Non potevo certo biasimarlo; in fondo, anch’io avrei riso se non l’avessi visto come un vero e proprio problema.
Gli sistemai l’orchidea nell’apposita asola del risvolto. Successivamente gli stirai la giaccia con le mani. «Ora sei perfetto.»
Si distanziò di qualche centimetro dal mio corpo e mi osservo da capo a piedi. «Anche tu.»
Ah ah.
«Sì, certo. Come una perfetta cipolla.» Sbuffai agguantando il buchette. «Andiamo prima che cambi idea e me la svigni come una ladra.»
Edward mi porse elegantemente un braccio come un uomo d’altri tempi. Mi aggrappai osservandolo con un sopracciglio inquisitorio. «Non mi farai cadere, vero?»
«Per adesso no. Magari più tardi.»
Stesse parole. Stesso tono beffardo. Stesso sorriso.
 
***
 
Il corridoio era in delirio. Zia Carmen lo attraversava frettolosamente invertendo più volte la rotta, come se soffrisse di amnesia a brevissimo termine e dimenticasse continuamente la sua meta. Irina, invece era appostata davanti alla stanza di Kate. Sembrava nervosa: sbuffava e sbatteva continuamente la punta del piede sul pavimento.
Qualche secondo dopo, dalla camera uscì Tanya, un po’ agitata e pensierosa. Le raggiunsi analizzando attentamente i loro abiti. Erano dello stesso identico colore del mio, un viola piuttosto accesso - che con la loro chioma bionda si sposava perfettamente a differenza della mia castana - ma si differenziavano tra loro per alcune particolarità alquanto rilevanti.
L’abito di Irina aveva una sola spallina e le balze erano almeno la metà di quelle presenti sul mio vestito; quello di Tanya invece, aveva due spalline sottili e pochissimi strati di velo, ancora meno della sorella. Avevano graduato gli abiti per spalline e balze, rifilando alla sottoscritta quello più agghiacciante dei tre. In fondo, quelli da loro indossati non erano poi così sgraziati anche se il colore non rientrava propriamente nei miei gusti.
Incrociai le braccia al petto e lanciai loro un’occhiataccia gelida. «Mossa astuta, i miei complimenti.»
Tanya accennò un mezzo sorriso poi si rivolse alla sorella. «Io vado ad avvisare il pastore di ritardare la funzione di qualche minuto, tu cerca di convincerla.» Si allontanò senza degnarmi di un ulteriore sguardo.
«Cosa è successo?» Domandai ad Irina.
Lei sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Non lo so. All’improvviso Kate si è agitata e si è chiusa in camera.»
«Forse è solo un po’ d’ansia.» Le feci notare. Probabilmente era in preda al panico per il matrimonio; un particolare che d’altronde accomuna molte donne.
«Può darsi, ma sta di fatto che non vuole uscire.» Incalzò con fin troppo foga. Afferrò la maniglia aprendo leggermente la porta. «Ora mi sente.»
Le strinsi prontamente un braccio strattonandola lontano dalla porta. «Irina, in questo modo non l’aiuti per niente.»
Mai cugina era letteralmente priva di tatto; avrebbe peggiorato solo le cose adirandosi con la sorella. Kate aveva bisogno che qualcuno la rasserenasse, e la incoraggiasse a compiere un passo così importante. Era perfettamente giustificato il suo stato, ed io non riuscivo proprio a gioirne. Mi rammaricava perché, nonostante i dispetti ricevuti, quello era un giorno magnifico, considerevole che avrebbe sempre ricordato nella sua vita, e per nulla al mondo doveva essere rovinato. In fondo, Kate era parte della mia famiglia.
Tirai un grosso sospiro. «Lascia provare me.»
Irina mi rivolse un espressione scettica alzando un sopracciglio. «Tu?»
«Certo. Io.» Sostenni il suo sguardo. «Tu invece cerca di essere utile una buona volta; scendi al piano inferiore e tranquillizza i tuoi genitori. Io parlerò con tua sorella.»
La lasciai lì, immobile e un po’ sconcertata dal mio tono piuttosto autoritario, e senza attendere una sua replica entrai nella camera da letto di Kate chiudendomi la porta alle spalle.
Mia cugina era in piedi nella sua posa rigida davanti ad uno specchio da terra con rifiniture in ferro battuto come la struttura del suo letto molto più fiabesco di quanto ricordassi. Le braccia erano piegate e perfettamente saldate sul bustino candido che indossava.  Costretta in quell’abito da sposa sembrava una grossa meringa: la gonna era incredibilmente voluminosa, a doppio strato, di cui quello superiore raccolto a mezza altezza con fiori rosa pallido che richiamavano le rifiniture del bustino al di sotto del seno.
L’espressione del suo viso delicatamente colorito dal makeup era indecifrabile: fissava la sua immagine riflessa nello specchio ma sembrava distante, persa in chissà quale pensiero.
«Kate» la richiamai cauta, facendo qualche passo nella sua direzione.
«Non sono pronta.» Il suo fu solo un sussurro debolissimo e tremolante. «Non sono pronta.» Ripeté ancora una volta.
«Kate, è naturale che tu sia ansiosa.»
Lei mi guardò dal riflesso dello specchio. «Tu cosa ne sai di matrimoni?»
Sorrisi mestamente. «Mia madre si è risposata; ero presente il giorno del suo matrimonio.» Il mio tono fu più amareggiato di quanto volessi realmente mostrare. Col matrimonio di Renée erano crollate tutte le mie speranze di rivedere insieme i miei genitori. Quel giorno fui combattuta dalla felicità ritrovata di mia madre e la tristezza interiore che covavo ormai da tempo. Ero solo un adolescente, ma ricordavo tutto, perfino lo sconforto negli occhi di Charlie nei giorni a seguire.
Kate si girò lentamente. Sembrava angosciata. «Com’è stato?» Mi chiese gentilmente.
Mi accomodai sul ciglio del letto. «Direi strano.»
«Perché si sono separati?»
«Zia Carmen non te ne ha mai parlato?»
Mi raggiunse accomodandosi al mio fianco. «A dire il vero, non le ho mai domandato nulla in proposito.»
Iniziai a parlare. «Erano troppo giovani quando si sono sposati. Hanno avuto me neanche dopo un anno di matrimonio.»
«E cosa è successo dopo?»
«Semplice: Renée ha capito che quella non era la vita che voleva condurre ed è andata via da Forks portandomi via con se, lasciando Charlie da solo.» Verso la fine, il mio tono involontariamente si indurì perché non condividevo e giustificavo affatto il nostro abbandono improvviso nei confronti di mio padre. Non lo meritava.
«Mi dispiace.» Sussurrò Kate. «Non è stata una buona madre?»
Giocherellai con il bracciale al mio polso. Non era un discorso che mi piaceva affrontare. «Diciamo che non è stata molto presente. Ha un modo tutto suo di fare la mamma.»
Mia cugina si torturò la mani strette in grembo, con aria in pena. No, non potevo gioire del suo stato. Non era la Kate che conoscevo e, in quel momento, sembrava scoperta, senza difese. Con un po’ di coraggio le presi le mani, un gesto mai fatto che la sorprese non poco.
«Cosa ti preoccupa?»
Lei si morse fortemente il labbro. «E  se Garrent un giorno si rendesse conto di non amarmi più e aver commesso il più grande errore della sua vita sposandomi? E se sarò una pessima madre per i nostri figli? Se…»
«Kate. Kate calmati.» Si stava agitando; aveva iniziato a respirare affanno. Incrementai la presa sulle sue mani. «E’ normalissimo avere delle incertezze sul futuro. Nulla è prestabilito o certo nella vita.»
Lei strabuzzò i suoi lucidi occhi azzurri. «Ma-»
«Ma non per questo devi fermarti.» Le accarezzai le mani e le sorrisi dolcemente. «Ed io non credo proprio che tu possa dubitare dell’amore di Garrent. E’ completamente pazzo di te.»
Fece una smorfia. «Ma non so cucinare.»
«Imparerai. Hai una madre che è una cuoca straordinaria, io ho imparato da lei.»
Mi guardò intensamente. «E’ stata una seconda mamma per te, vero?»
Sorrisi. «Sì. Ogni qualvolta che Renée usciva di casa per incontrare, a suo tempo, il misterioso Phil, zia Carmen mi insegnava sempre qualcosa di diverso.»
«Mi dispiace.» Sussurrò di nuovo, spiazzandomi completamente: sembrava così sincera. «Sai, da bambini si tende ad arginare e proteggere l’affetto dei propri genitori. È una sorta di gelosia che poi si protrae nel tempo.»
Le sorrisi più che ricocente. «Non fa niente. In fondo, tra cugine i dispetti sono più che normali. Accade perfino tra sorelle.»
A quell’ultima affermazione lei rise ricordandosi forse di qualche bisticcio avvenuto con Irina e Tanya.
Lo sguardo mi cadde sull’orologio a cucù appeso al muro. Era tardi. Tutti al piano inferiore aspettavano l’entrata in scena della sposa. «Ora credo che sia giunto il momento di percorrere la navata e raggiungere il tuo uomo.»
Kate inspirò profondamente un paio di volte. Sembrava più calma. «Ho la gola secchissima.»
«Aspetta, ti prendo un bicchiere d’acqua.» Mi alzai di scatto dal letto e mi diressi verso il tavolino ma nel tragitto inciampai ancora una volta nel vestito e rischiai di cadere. Mi aggrappai, fortuitamente, alla sedia. «Accidenti!»
Kate rise. «Quel vestito non ti permette molti movimenti.»
Mi raddrizzai lisciando, per quanto fosse possibile, la stoffa. «No, direi proprio di no. Questa è la seconda volta che rischio di cadere.»
«E non potrai nemmeno ballare con Edward.» Si alzò velocemente dal letto e mi raggiunse. Con una smorfia, mi toccò l’abito. «Ha troppe balze.»
Non potevo essere più che concorde. Alzò lo sguardo sfoggiandomi un sorriso nuovo, mai visto. «Cambialo.»
Strabuzzai gli occhi. «Cosa?»
«Hai portato con te un abito elegante?»
«Sì, ma non è dello stesso colore.» Risposi con leggera titubanza.
«Oh, ma non fa niente!» Si strinse delicatamente nelle spalle.. «Almeno, sei io fossi in te lo cambierei.»
«Grazie.» Recuperai il suo bouquet dalla scrivania e glielo porsi. «Ora però sbrighiamoci, non vorrei che lo sposo avesse un attacco di panico non vedendoti.»
Lei rise leggera. «Ne dubito. Gli uomini sono emotivamente più forti.»
«Io non ci giurerei.»
 
Finalmente, uscimmo insieme dalla stanza. Per me quella rappresentava una piccola e piacevole vittoria. Probabilmente una vera e propria svolta.
Al di fuori, nel corridoio, ci attendeva una concitata zia Carmen che non appena ci vide si aprì in un meraviglioso sorriso. Le lasciai parlare ed io intanto mi diressi nella mia stanza per cambiare l’abito da damigella. 
In pochissimo tempo mi infilai quello confezionatomi da Alice. Era proprio come lo avevo immaginato: lungo fino ai piedi dal bordo svasato e delicatamente rifinito, dalla morbida stoffa blu e cedevole sulle curve, impreziosito da una semplice fascia in argento che cingeva il mio busto al di sotto del seno e saliva coprendo una sola spalla, lasciando l’altra totalmente scoperta. Mi sentivo a mio agio in un vestito elegante. A dir poco incredibile.
Afferrai il bouquet di orchidee dal letto e uscii frettolosamente sopraggiungendo nell’affollato corridoio, quando al suono di una voce tremendamente familiare alle mie spalle, mi fermai in cima alle scale mentre un sorriso incurvava le mie labbra.
«E pensare che tu eri quella che odiava i vestiti eleganti.»
Mi gettai all'istante fra le sue braccia che prontamente mi strinsero trasmettendomi un ineguagliabile calore familiare.  
«James!»
Dio, quanto mi era mancato.






RINGRAZIO INFINITAMENTE LA MIA SORELLINA LAU_TWILIGHT PER QUESTA BELLISSIMA IMMAGINE
(IL SET DI BELLA):





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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


15  
 
PORGERVI LE MIE SCUSE SAREBBE BANALE, INUTILE, FIN TROPPO SCONTATO E SPECIALMENTE NOIOSO MA, PURTROPPO, NON POSSO FARE ALTRIMENTI.
MI AFFOGHEREI NELLA CENERE SE POTESSI… NE RACIMOLERò UN PO’ PER SICUREZZA.
SONO IN RITARDISSIMO, NE SONO CONSAPEVOLE PERO’ PURTROPPO PER ME GLI IMPEGNI SI AGGIUNGONO SEMPRE:
COME PER ESEMPIO…
- GUARISCE IL FRATELLO E SI AMMALA IL MOROSO. NON SO COME HA FATTO, E’ STATO UN MESE INTERO  IN CASA, ED IO CON LUI A FARGLI COMPAGNIA, CON LA BRONCONPOLMITE. D’ESTATE!!!
- L’IDEA FOLLE DI FARE A SETTEMBRE IL TEST PER L’UNIVERSITA’ (nonostate io mi senta incompatibile con lo studio)
- L’ASSENSA DEL MIO PC A CAUSA DI RISTRUTTAZIONI A CASA (GIUSTO LA MIA STANZA NON DOVEVA ESSERE FUNZIONATE, E CHE PIFFERO!)
- L’INSICUREZZA IN TUTTO Ciò CHE SCRIVO. QUESTA PURTROPPO MI LOGORA.
 
E PROPRIO PER QUESTO VOLEVO RINGRAZIARE:
-CHI MI HA SOSTENUTA IN TUTTI I MODI POSSIBILI (TWITTER, MSN, FB);
-CHI HA SOPPORTATO OGNI MIO SCLERO;
-CHI HA MOSTRATO NEI MIEI CONFRONTI UNA COMPRENSIONE DEGNA DI SANTIFICAZIONE;
-CHI MI HA MANDATA GIUSTAMENTE A FANCULO (A VOCE, A MENTE PERFINO CON LE BAMBOLINR VUDOO)
-CHI MI HA STROZZATA MENTALMENTE E VIRTUALMENTE OGNI GIORNO PER IL MIO RITARDO.
-CHI CONTINUERA’  A SEGUIRMI NONOSTANTE TUTTO.


UN GRAZIE SPECIALE A Ladycate95 E Marikina. 

 
 
ENTRO MARTEDì PROSSIMO PUBBLICHERO’ UNA SORPRESINA PER FARMI, IN PARTE PERDONARE, E IL PROSSIMO CAPITOLO ARRIVERà PRESTO. E’ GIA’ IN FASE DI STESURA E NON SARA’ MOLTO LUNGO. NON VI FARO’ PIU’ ASPETTARE COSì TANTO TEMPO… A COSTO DI RIMANERE SVEGLIA TUTTA LA NOTTE PER SCRIVERE.
 
GRAZIE A TUTTI PER I BELLISSIMI COMMENTI. SONO PER ME UNA FONTE IMMENSA DI GIOIA. LI LEGGO TUTTI, UNO AD UNO. GRAZIE!!!! SIETE TUTTE RAGAZZE SIMPATICISSIME E SONO FELICISSIMA QUANDO MI PARLATE DI VOI (FEBBRE, SITUAZIONI SIMILI AL CAPITOLO E IMPEGNI COMPRESI).
 
AVVISO IMPORTANTE:
NON SONO AL MIO PC E IL BLOG MI HA DATO ALCUNI PROBLEMI (PURTROPPO NON RIUSCIVO A LASCIARE POST), COSì COME LA MINICHAT CHE SI E’ CANCELLATA. ENTRO QUESTO FINE SETTIMANA METTERò TUTTO DI NUOVO IN ORDINE.
 
NESSUNA ANTICIPAZIONE SUL CAPITOLO.
SPERO DI NON AVER ESAGERATO CON LO ZUCCHERO.
 

 
PS: verso la fine del capitolo troverete un suggerimento musicale. io ve lo consiglio. per me quella canzone è peggio di un afrodisiaco *me che alza ritmicamente le ciglia verso l'altro in segno allusivo*

VI LASCIO ALLA LETTURA.
 



CAPITOLO 15

 


Kate discese lentamente le scale, passo dopo passo, sorretta da un padre dagli occhi incredibilmente lucidi, preda dall’emozione, eco di una madre ad attenderla nell’atrio dell’ingresso di quella casa addobbata a festa. Il passamano in legno chiaro era avvolto da un nastro in velo bianco intrecciato a sua volta da strisce di tessuto rosa pallido in organza. Alla balaustra in ferro battuto erano appigliate bellissime ghirlande di svariate rose bianche e color cipria, così chiare da sembrare quasi trasparenti, identiche al bouquet - che la sposa stringeva convulsivamente nella mano sinistra - differenzialmente impreziosito da lunghi steli dalla punta perlata. L’intera casa profumava di fiori: un aroma leggera e delicata che accarezzava deliziosamente l’olfatto senza mai infastidirlo. Ad ogni angolo addobbato su cui Kate poggiava lo sguardo arrossiva e incurvava dolcemente le labbra.

Era la prima volta che assistevo ad un scenario simile: l’emozione traspariva ovunque e da chiunque, niente e nessuno escluso.
Sfortunatamente però, come ero certa di aspettarmi, le altre due cugine-damigelle non apprezzarono affatto il mio vestiario, forse perché era completamente diverso da quello che loro mi avevano rifilato per rendermi ridicola agli occhi di tutti, o semplicemente perché per la prima volta non ritraevo la figura del brutto anatroccolo.
Non era certo con un dispetto inutile ed infantile – come ad esempio valorizzare una pietanza con una quantità estrema di peperoncino o rifilare una scooter come unico mezzo di trasporto – che avrei ottenuto la mia rivincita. Tutt’altro.
La vera nobiltà consiste nell’essere superiore al te stesso precedente.
La parte di me più nobile era felice e compiaciuta per ciò che era accaduto con Kate; probabilmente con quel gesto, avevo appena creato le fondamenta per una nuova e ritrovata amicizia. L’altra invece, quella decisamente meno nobile, ghignava sfrontata e soddisfatta per le reazioni di Irina e Tanya alla vista di quella mia incredibile variazione: il mio cambio d’abito.
Entrambe mi avevano guardato con astio, squadrandomi da capo a piedi come se fossi interamente ricoperta di panna montata di un bruttissimo verde acido. Probabilmente, se avessero potuto, si sarebbero mangiucchiate le loro unghie laccate e fresche di manicure, le mani e gomiti compresi. Non volevo peggiorare la situazione ma trattenere un riso compiaciuto fu estremamente difficile.
Irina aggrottò le fronte così tanto che le sopracciglio per poco non si unirono; decisamente poco elegante per una signorina raffinata come lei. «Il vestito da damigella?»
Mi strinsi nelle spalle. «Un cambio all’ultimo minuto. Una piccola variazione.» Lanciai uno sguardo sorridente a Kate che ricambiò con altrettanta complicità.
Irina inalberò un sopracciglio. «Ma-»
Fu zio Eleazar ad interromperla, questa volta. «Non abbiamo più tempo per quisquilie, Irina.» Tirò un grosso respiro. «La mia prima bambina si deve sposare.» Dal tono sembrava ancora incredulo. Forse non aveva preso ancora la completa cognizione di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.
Kate gli strinse la mano e gli rivolse uno sguardo emozionato. «Papà, non sono più una bambina.»
Lui storse il labbro e una smorfia di imbarazzo gli deformò il viso. «Per me lo sarai sempre.»
Non ero mai stata una vera e propria amante dei matrimoni, non volevo incolpare Renée per questo perché, dopotutto, era pur sempre mia madre ma senza ombra di dubbio, ciò che era accaduto nella mia famiglia mi aveva in qualche modo condizionato inducendomi a valutare il matrimonio con una certa prudenza.
Ogni matrimonio è diverso dall’altro in tutte le sue caratteristiche, pertanto, non è detto che tutti debbano finire prima del tempo; solo un amore vero può attribuire una maggiore percentuale di conservazione all’unione.
E proprio per questo motivo avevo negato un mio futuro con Mike. Mio, non nostro. L’idea della convivenza mi aveva letteralmente spaventata perché sembravamo ad un passo dalle nozze: non ero pronta  per compiere quel passo perché sapevo di non amarlo abbastanza.
Ad ogni modo, a dispetto di questa mia reticenza, stranamente mi sentivo emozionata all’idea di vedere Charlie nelle vesti di papà agitato della sposa. Non era poi così diverso da zio Eleazar, forse più riservato e molto più impacciato nei gesti. Ma lo amavo soprattutto per questo: la sua riservatezza era solo sintomo d’affetto puro nei miei confronti.
Una dolorosa morsa di malinconia mi strinse il petto e mi contorse lo stomaco. Quel dolce quadretto familiare mi faceva sentire ancor più di quanto io stessa già non soffrissi di mio, la mancanza di mio padre.
«Bella?»
Mi ridestai, come da un lungo sonno, al suono della voce smorzata di Kate. Il suo sguardo era lievemente preoccupato. Allungò una mano sfiorandomi un braccio. «Stai bene?»
Mi scrutò attentamente il viso e solo allora mi accorsi di avere le gote umide da calde lacrime. Mi asciugai velocemente le guance con una mano. «Sì, sto bene.»
Ora anche zio Eleazar mi guardava con fare circospetto. Mi schiarii la voce un paio di volte. «Sbrighiamoci prima che venga un collasso allo sposo.»
Dopo una breve esitazione, padre e figlia annuirono tirando un profondo sospiro contemporaneamente. Sorrisi. Non sapevo chi dei due fosse più emozionato.
 
***
Sotto i raggi del sole pomeridiano di luglio, una fanfara accompagnò la nostra marcia lungo la navata in pietra costeggiata da sedie ricoperte in raso e fiori, occupate da numerosi invitati. Colei che l’aprì fu Tanya, io al suo seguito ed Irina al mio. Un anemone tra due viole.
Garrent era sotto un baldacchino, un arco intrecciato da rami spinosi di rose bianche candide come la neve.
Lo stelo: il matrimonio.
Le spine: le difficoltà da affrontare.
Il bocciolo: le soddisfazioni tanto attese.
Lo sposo era agitato; altroché se lo era. Spostava il peso da un piede all’altro e con gli occhi, alzandosi quasi sulle punte, tentava di guardare oltre noi damigelle alla ricerca della sua futura compagna. Fu lampante il momento in cui la vide perché si aprì in uno sfavillante sorriso che coinvolse anche gli occhi pece velati da una struggente emozione.
Raggiunto l’arco, ci posizionammo ai lati di Kate consegnata a Garrent da un padre, se possibile, ancora più commosso.
I due sposi, l’uno accanto all’altro, sembravano perfetti, complementari. Ebbi il timore che se avessi continuato a guardali, avrei invaso la loro intimità, nonostante gli sguardi degli invitati fossero puntati tutti su di loro.
Tutti eccetto uno: quello di Edward. Quando vagai col mio in cerca di una testa rossa lo scoprii a fissarmi intensamente, quasi mettendomi a nudo, con un cipiglio indefinito in viso.
Percepii le guance surriscaldarsi dall’imbarazzo e alzai inconsapevolmente una mano per cogliere una ciocca e fissarla dietro l’orecchio, un gesto abituale, sfortunatamente dimentica di avere già i capelli raccolti in un’elegante acconciatura. Mi imbarazzai maggiormente quando mi resi conto di afferrare solo il vuoto.
Anche lui se ne accorse e incurvò solo da un lato quelle labbra piene e morbide, nel modo in cui tanto mi piaceva. Tuttavia, continuò a guardarmi senza mai distogliere i suoi occhi da miei, legati da un filo invisibile.
 
La cerimonia proseguì, tra le parole del pastore, le promesse scambiate degli sposi e qualche altro sguardo incrociato con Edward.
Nel momento in cui gli sposi pronunciarono il fatidico sì fu inevitabile piangere. Piccole lacrime calde scivolarono sulle mie guance, forse a causa dell’aria satura da un’incredibile emozione o dai singhiozzi di zia Carmen che si era ripromessa tantissime volte a cui resistere o dal quel primo bacio intriso d’amore che i novelli sposi si scambiarono.
La folla esplose in un boato di applausi e presto Garrent e Kate furono travolti da quasi tutti gli invitati propensi a congratularsi con loro. Mi rintanai in un angolo aspettando il momento più propenso per porgere le mie di congratulazioni, finché non fu proprio Kate a raggiungermi e stingermi in un primo caloroso abbraccio colmo di una complice gratitudine silenziosa. Le parole non furono necessarie.
«Mi scusi, mi sa dire dove posso trovare Miss Swan, quella inflessibile ai matrimoni?»
Lasciai Kate che intanto raggiunge lo sposo sorridendo alle mie spalle. Mi voltai repentinamente asciugandomi una guancia con il palmo di una mano. «Ti prego, non infierire.»
Edward era a braccia conserte sul petto, sorridente e bello come una divinità Greca. Nella sua espressione non c’era alcun segno derisorio: il sorriso era genuino, sincero.
Mi scrutò attentamente da capo a piedi; la stessa espressione del primo sguardo scambiatoci al mio arrivo. «Ti sei cambiata.»
Assentii e con le mani indicai l’abito indossato. « Beh, con questo non dovrei sembrare più una cipolla.» Lui non accennò alcuna risposta; continuava solamente a guardarmi. Mi sentii un po’ a disagio e ricominciai a parlare, stile mitragliatrice incallita. «Forse è troppo estroso, troppo appariscente, ecco; forse avrei dovuto tenere l’altro; forse…»
«E’ perfetto.» commentò Edward bloccando finalmente quel mio flusso spropositato di parole. Tuttavia, fui stordita e disorientata. Il suo non era stato un vero e proprio complimento, aveva semplicemente apprezzato l’abito scelto e confezionatomi da Alice.
Ma mi sbagliavo.
«Sei splendida.» Sussurrò con tono quasi rapito sfiorandomi una guancia con due nocche.
Questo era decisamente un complimento che stordiva e rendeva le gambe molli.
Le mie guance si tinserò di rosso acceso. «Grazie.» Abbassai il capo con un imbarazzo quasi adolescenziale. Sdramatizzai nel tentativo di smorzare un poco la mia tensione. «Credo che il vestito viola popolerà i miei peggiori incubi.»
Un sorriso divertito gli incurvò le labbra. «Come sei riuscita a cambiarlo?»
«Una lunga storia.»
«Abbiamo tempo.»
Mi sfiorai con le dita il lobo dell’orecchio destro come se sentissi la mancanza di qualcosa e mi accorsi che effettivamente avevo perso un orecchino. Abbassai lo sguardo in cerca del gioiello finchè non vidi una testa bionda piegarsi sulle ginocchia per raccoglierlo da terra e porgermelo con un sorriso radioso.
«Sei sempre la solita smemorata.» Mi accusò James, dolcemente.
«E tu sei sempre pronto a ricordarmelo.»
Mi si avvicinò e con mani gentili lo fissò nuovamente al mio lobo.
«Grazie.» Mormorai sfiorandogli un braccio con una mano.
James posò subito uno sguardo piuttosto curioso su Edward che ricambiò pienamente allo stesso modo. Mi ridestai dimentica che erano due perfetti sconosciuti e che l’unico loro punto in comune fossi io. Restai tra i due senza avvicinarmi realmente né all’uno né all’altro, ma mi concentrai principalmente sul mio bellissimo accompagnatore.
«Edward, lui è…»
«Allora lui è il famoso Edward.» Fulminai James con lo sguardo per l’interruzione.
«Piacere, sono James. Un amico di questa bellissima fanciulla.» E allungò educatamente una mano.
Gli scoccai un’occhiataccia. Si era definito amico. Che diavolo aveva in mente?
Di soppiatto mi fece un occhiolino rendendomi ancora più confusa.
Edward senza esitazione alcuna gli strinse la mano. Le labbra erano stranamente inespressive e la solita ruga persierosa sulla fronte era già comparsa al suo arrivo.
Gli occhi di James improvvisamente si spalancarono per poi velocemente stringersi, come se avesse appena avuto un’illuminazione divina. Mi parve quasi di vedere una lampadina accendersi sulla sua testa. Un sorriso per nulla promettente gli disegnò le labbra. «Mi ricordo di te.»
Spostavo lo sguardo alternativamente sui due umoni che si guardavano in modo inspiegabilmente contrastante. L’uno sorridente ed irrisorio, l’altro serio e inflessibile.
«Vi siete già incontrati?» Domandai, ma non ricevetti alcuna risposta. Continuarono ad ignorarmi.
«Sei di Seattle, vero?» Chiese ancora James con tono quasi impertinente. Poi scoccò due dita e accentuò il sorriso. «Tu sei quello in pantaloncini a cui ho aperto la porta a casa di Bella.»
Edward indurì la mascella. «Esattamente. Tu invece quello in asciugamano.»
Ero sempre più dubbiosa. Spintonai leggermente il braccio di James palesandogli la mia presenza. Sembravano intenti in una conversazione mentale, alla quale naturalmente io non avevo alcun accesso, se non quello visivo in quel momento privo di utilità.
«Quando?» Domandai e riuscii finalmente a catturare l’attenzione di James.
«Tempo fa.» Mormorò sventolando una mano sottolineando la superficialità della mia domanda. «Tu eri sotto la doccia e gentilmente ho fatto io le veci di casa tua.»
E solo adesso si ricordava di riferirmelo? Gli scocciai un’occhiataccia di disappunto. «Figurati! E la smemorata sarei io.»
Avevo ospitato felicemente James per una settimana a Seattle ma, a quanto pareva, aveva combinato più danni di quanto mai io avessi immaginato. Edward non aveva mai bussato alla mia porta, nemmeno in casi estremi o necessari, e proprio per questo motivo quella constazione suonava strana alle mie orecchie.
Edward in quel momento era strano: rigido nella postura e insondabile nell’espressione. Oltre la sua figura incrociai gli occhi seri di Mike. Quelle sue iridi azzurre mi avevano sempre affascinata e ammaliata nei primi tempi: sembrava che in certo modo volessero silenziosamente comunicarmi qualcosa. Come in quel momento.
Provai una strana sensazione perché quel suo sguardo, or ora, sembrava fin troppo intimo date le circostanze.
James si accorse di quello strano scambio di sguardi. Sbarrò leggermente gli occhi e mi fissò quasi stralunato.
«Ma quello è Mike?»
Mi morsi le labbra con i denti. «Ehm… sì.»
«Quel Mike?»
«Quel Mike.» Confermai con riluttanza.
«Ed è l’accompagnatore di Tanya?»
«Esatto.» Cofermai.
«E perché non me lo hai detto?»
«Tu non me lo hai chiesto.»
«Come avrei potuto immaginare una cosa del genere?» Il mio sgurdo fu più che eloquente: sopracciglio alzato e labbra serrate. Conosceva perfettamente Tanya, meglio della sottoscritta.
Lui infatti ridacchiò. «E’ vero, c’era da aspettarselo.» Tuttavia, tornò per un attimo serio rivolgendogli uno sguardo poco socievole. «Quel ragazzo mi è sempre stato sulla punta del…»
«James!» Lo rimproverai. Mi sembrava di esser tornata indietro nel tempo, quando lo sgridavo per le sue marachelle sebbene lui fosse più grande di me. Sorrisi internamente.
Fece un espressione fintamente indignata. «Bella! Mi meraviglio di te. Io intedevo dire sulla punta del… naso.» E pizzicò la punta del mio naso.
Sì, proprio quello intendeva.
Garrent lo chiamò da lontano sbracciandosi ulteriormente per farsi notare oltre la folla di invitati. James sbuffò sistemandosi il colletto della camicia. «Devo andare, il dovere mi chiama. Sono una persona piuttosto ricercata.»
Mi prese velocemente uno mano imitando un perfetto baciamano. «Dopo balli con me? Non accetto rifiuti.»
«E allora perché me lo hai domandato?»
«Per sembrare quantomeno educato anche se so che certe cose bisogna importele.»
Rivolse un fugace sguardo al mio accompagnatore in smoking. «E’ stato un piacere Edward.» Si allontanò salutando con allegria ogni invitato che incrociava nel suo cammino, conoscenti e non. Questo era James: un ragazzo spigliato e maliziato costretto in un corpo da trentenne.
«Siete affiatati.»
Quella di Edward non era una domanda, ma una mera constatazione. In effetti, non c’ero nulla di più veriterio.
Sospirai perdendomi nelle sue pozze verdi, più profonde di un mare limpido alle prime luci estive del mattino. «Gli sono molto affezionata.»
«Lo vedo.» Rispose lui con tono incolore, privo di alcune inflessione. Poco dopo storse le labbra disgustato da qualcosa, o qualche suo pensiero. Poi scosse il capo, in un chiaro segno di incredudilità. «Però! Stranamente abbiamo una cosa in comune.»
Mi aggrappai al suo braccio destro percendo la consistenza dura del suo avambraccio, sebbene ci fossero ben due strati di stoffa a coprirlo.
«Come dici?» Gli domandai sorridendo.
Sospirò. «Anche a me Mike sta sulla punta del…»
«Edward!»
Mi rivolse uno dei sorrisi più maliziosi del suo repertorio. «Quanto sei maliziosa, Bella. Anch’io intendevo la punta del… naso! »
A differenza di James, anziché pizzicare la punta del mio naso, la baciò.
 
***
Fu il momento del buffet.
I festeggiamenti si spostarono sulla piattaforma in legno sul lato destro dell’immenso giardino. Lo scheletro del gazebo in ferro battuto era stato rivestito da dappri in raso bianco che ricadevano dolcemente ai lati, raccolti debolmente e fissati con ganci fioriti alle varie pertiche. I tavoli erano ricoperti da tovaglie candide addobbate da nastri e centrotavola colmi di fiori freschi.
Edward mi porse una flûte di spumante. Afferrai lo stelo del bicchiere in cristallo con titubanza.
«Con quello che è successo ieri, oggi vorrei decisamente evitare di bere alcolici.»
Lui sorseggiò elegantemente il suo. Le sue spalle tremavano convulsamente allo stesso modo di chi sta trattenendo un riso solo ed esclusimente per educazione. Infatti, non riuscì a trattenersi e poco dopo scoppiò in una risata aperta, quasi liberatoria.
Con i pugni puntati sui fianchi lo fissai truce in volto. «Ero così divertente?»
«Non puoi nemmeno immaginare quanto.» Tossichiò per riprender fiato. «Comunque puoi stare tranquilla, oggi ti controllo io.»
In quel momento, forse più per provocazione che per altro, sorseggiai un po’ del mio spumante. «A cosa devo questo tuo interesse?»
Con passo felpato e deciso mi si avvicinò poggiando leggero una mano sul mio fianco. «Ieri ho resistito.» Il suo sguardo era intenso, caldo; il tono roco e privo di alcuna incertezza. «Sono un gentiluomo ma non so se riuscirei a farlo una seconda volta.» Aggiunse, lasciandomi letteralmente con la gola così secca che fu per me enormemente difficile deglutire e assimilire appieno quelle parole. Una fitta mi colpì lo stomaco ma fu stranamente piacevole.
"Sei una tentazione.
Anche tu. "
Come una leggera folata di vento, quelle frasi mi avevo attraversato la mente. L’insieme di un un ricordo piuttosto sfocato, dalla scarsa attendibilità. Forse erano parole che avevo pronunciato durante il mio stato di ebrezza, ma come avrei potuto accertarmene?
Come appurato in precendenza, non ricordavo nulla di ciò che avevo detto in quella notte e quella strana sensazione di imbarazzo mi impediva di porgergli qualsivoglia domanda in merito. L’idea di aver detto qualcosa di inappropriato mi terrorizzava. 
Fui felicemente sviata da quei pensieri dal leggero strato di barba ramata sul suo viso. Così attraente e così tremendamente sensuale. Erano trascorsi solo un paio di giorni ed era già cresciuta di poco. Ero maledettamente consapevole di essere incoerente con i miei stessi pensieri perchè non sapevo se lo preferivo con o senza.
Non mi accorsi nemmeno di aver alzato la mano quando l’appoggiai a palmo aperto sulla sua guancia. Solleticava piacevolmente la mia pelle. Edward inclinò il capo lateralmente intensificando così il contatto e continuò a scrutarmi in viso, cercando i miei occhi, nonostante il mio sguardo fosse concentrato altrove, esattamente sulla sua guancia così ruvida e morbida allo stesso tempo.  
«Oggi non hai fatto la barba.» Osservai sfiorandogli la mandibola con il pollice. «Aspettavi forse me?»
Edward sorrise portando una sua mano a coprire la mia.  Sospirò. «Quando scopri qualcosa che ti in particolar modo ti piace, che ti fa star bene…»
«…la desideri ancora finchè non comprendi che non puoi più farne a meno.» Terminai al posto suo, senza rendermene realmente conto, e  dall’espressione che fece compresi che le mie parole rispecchiavano esattamente ciò che lui avrebbe detto se non lo avessi interrotto.
Spostò leggermente la mia mano verso l’interno del suo viso finchè le sue labbra non si posarono dolcemente sul mio dito. Una scarica elettrica si sprigionò da quel punto.
«Tu, Bella, di cosa non puoi fare a meno?» Il mio nome rotolò dalle sue labbra come lava incadescente, più morbido e più caldo di un soffice muffin appena sfornato.
Di cosa non potevo fare a meno?
Dei suoi baci. Delle sue carezze. Delle sue mani sul mio corpo. Di quelle piccole cose che avevo scoperto di lui, e di quelle che ancora dovevo e volevo scoprire.
Ma non erano queste le parole che potevo pronuciare, seppure veritiere quanto il sole che sorge ad Est, in quanto il che avrebbe significato varcare quella linea sottile di confine, al di là della quale c’è l’imbarazzo e ci si imbatte in faticosi chiarimenti che spesso portano all’allontanamento se i sentimenti non sono neppure lontamente ricambiati.
Il suo comportamento spesso mi mandava in confusione: se da un lato sembrava da me attratto, dall’altro non faceva nulla per mostrarmi che di fondo ci fosse qualcosa di più profondo.
L’adolescenza l’avevo oltrepassata ormai da tempo, ma ero una donna priva di tempra e di invidiabile coraggio incapace di ostentare apertamente neppure un quarto dei propri sentimenti. Tremavo all’idea di perderlo.
Mi morsi il labbro e tacqui per qualche istante incapace di trovare al momento una risposta quantomeno accetabile e più lontana possibile da quella reale.
Edward per un attimo fu distratto da alcuni invitati, o volle semplicemente allentare la tensione che rispecchiava sul mio viso. Fu proprio lui a cambiare discorso e gliene fui profondamente grata. «Devo preservarti da altri invitati, o sono tutti tuoi parenti?»
Che assurdità! Non potevano certo essere tutti miei parenti.
Ridacchiai, meno tesa di prima. «No, non tutti.» La sua fronte aggrottata mi indusse a continuare per vedere fin dove il suo disappunto sarebbe arrivato. «A dire il vero, credo che prima, Laurent, il testimone di Garrent, mi abbia fatto gli occhi dolci.»
Finalmente, la consueta ruga si disegnò sulla sua fronte, oltre ad un sopracciglio alzato. Con lo sguardo setacciò l’ambiente in cerca di qualcuno, forse il testimone, finché una voce, morbida e calcolatrice lo indusse a girare il viso e posare l’attenzione altrove, su a chi questa appartenesse.
«Credo che sia impossibile non fare gli occhi dolci ad una creatura simile. Decisamente difficile da ignorare.»
La persona che si era avvicinata a noi con un silenzio ed una discrezione quasi da mettere i brividi addosso, era un uomo in smoking grigio fumo, probabilmente sulla sessantina, dall’aspetto elegante e in uno strano modo affascinante. Il viso, disegnato e smunto da piccolissime rughe, era diafano, quasi traslucido ed era inconiciato da lunghi capelli neri legati elegantemente alla nuca.
I suoi occhi scuri come la pece si concetrarono su Edward esibendo un sorriso difficilmente decifrabile. «Tu devi essere il famore dottor Cullen, iunior naturalmente.» Allungò una mano in segno di cortesia. «Aro Volturi, il…»
«…il direttore del Providence Alaska Medical Center di Anchorage.» Concluse Edward stringendo la sua mano, pur non mostrando alcun sorriso.
«Vedo che mio fratello ti ha messo al corrente.» Il tono era da confidente, come se si conoscessero da diversi anni. « Marcus dice che oltre ad essere un ottimo neurochirurgo sei anche una persona molto intelligente e perspicace.»
«Vostro fratello mi elogia troppo.» Rispose Edward mostrando un comportamento educatamente circospetto e distaccato.
Aro sorrise di traverso come a constatare qualcosa di particolarmente interessante. «Perfino modesto, meraviglioso.» Poi il suo sguardo incrociò il mio e il suo sorriso si allargò. «E quest’incantevole creatura?»
«Isabella Swan.» Rispose Edward in tono sicuro lanciandomi un occhiata, come se cercasse il mio consenso per ciò che avrebbe aggiunto dopo. «La mia fidanzata.»
Con quella sua precisazione, il mio cuore perse un battito. Era la prima volta che uscivano quelle parole dalle sue labbra e sebbene fossero frutto di una finzione l’effetto fu ugualmente sconvolgente.
Aro mi prese una mano sfiorandone il palmo con le labbra.«Meravigliosa.»
Mi accostai al fianco di Edward, cercando un vano senso di protezione; lui presto mi circondò calorosamente la vita arpionando una mano sul mio fianco. Mi aggrappai alla sua spalla e poggiai il mio palmo destro sul suo petto. Non fu nulla di fittizio o pragrammato; solo istintivo.
Aro riprese a parlare. «È da molto tempo che non vedo Carlisle. Gli somigli molto.» Osservò scrutandolo con particolare attenzione. «Dove lavora adesso?»
«Nell’ospedale di Forks. Sì è trasferito da poco in quella cittadina.» Rispose Edward in tono cordiale.
L’uomo di fronte scosse il capo con leggera riluttanza. «Che spreco.» Sospirò e aggiunse: «Mi è stato riferito che la tua ultima operazione era piuttosto complicata ma è riuscita nel migliore dei modi. Hai asportato un tumore, vero?»
Edward annuii, un assenso modesto e privo di alterigia. «Sì, al cervello di un bambino di otto anni naturalmente in collaborazione con altri ottimi medici di rianimazione pediatrica.»
Le mie gambe si fecere incredibilmente tremule e prive di stabilità a quelle parole. Difficilmente sopportavo la vista del sangue e, a quanto pareva, non riuscivo neppure a sentirne parlare.
Ebbi lì per lì il terrore che volessero approfondire quell’argomento pertanto quando vidi James farmi segno da lontano affinchè lo raggiungessi, fu per me una manna dal cielo.
«Vogliate scusarmi.» Proruppi prima che potessero aggiungere altro.
Edward mi guardò per un attimo disorientato, con un sopracciglio levato. Gli lasciai un leggero bacio sulla guancia in prossimità della sua bocca. «Torno subito.»
Accentuò per un istante la presa attorno alla mia vita. «D’accordo.»
 
***
«Dove hai lasciato il tuo fidanzato?»
Feci una piccola smorfia, lanciando un rapido sguardo alle mie spalle. «Sta chiacchierando con Aro Volturi.»
James storse il naso. «Quell’uomo non mi è mai piciuto.»
Una ragazza dalla selvaggia capigliatura rossa lo affiancò baciandogli una guancia. «Per fortuna. Altrimenti, tesoro, mi sarei dovuta meravigliare e preoccupare del contrario, non credi? »
James le sorrise dolcemente. «Come siamo spiritose.»
Non conoscevo quella donna, indubbiamente bella e affascinante, che mostrava un legame assai profondo con la persona a cui ero più affezionata.
James l’avviluppò in un abbraccio protettivo e mi lanciò uno sguardo sorridente. «Bella, lei è Victoria, purtroppo la mia futura moglie.»
Lei, fintamente indignata gli colpì un braccio. «A quanto pare non sono l’unica ad essere spiritosa.» Poi mi guardò. «Finalmente conosco la famigerata Bella. James non fa altro che parlare di te. Credo che sia in un certo modo ossessionato.» Si portò una mano sulla pancia, che solo allora notai in leggero rigonfiamento. «Probabilmente anche quando nascerà nostro figlio saprà già di sei.»
Strabuzzai gli occhi, felice come non mai di quella lieta e improvvisa notizia. Non riuscivo ad emmetere neppure una piccola sillaba. Non solo avevo scoperto che James era prossimo alle nozze, ma altresì che aspettava un figlio. Era una sorpresa a dir poco incredibile.
James le baciò il collo. «Bambina, amore. Sarà femminuccia:. la mia piccola Bree.»
Victoria gli scoccò un’occhiataccia. «Ti ripeto per l’ennesima volta che sarà un maschio e si chiamerà Riley.»
Dietro ogni parola pronunciata dall’una o dall’altro si nascondeva una certa tenerezza. Una morsa di pura felicitazione mi strinse lo stomaco.
James mi fissò aggrottando le sopraccuglia. «Bella, ti prego non piangere.»
«Non sto piangendo.» Mormorai con un filo di voce già incrinata dall’emozione.
Lui sbuffò e guardò Victoria. «Amore, mi permetti un ballo con questa finta dura?»
Lei gli lasciò un bacio a fior di labbra. «Vai pure, Riley mi terrà compagnia.»
James mi prese la mano e in un istante si fermò con un cipiglio pensieroso dopo aver recepito le parole di Victoria. Mi guardò sicuro che la sua futura moglie stesse in ascolto. «Spero tanto che la mia Bree non sia così testarda come la mamma.» Girò il volto, le fece una linguaccia e mi trascinò ad un lato della pista, così vicino ad Edward che per poco non recepivo il suo discorso con Aro.
James mi fece fare una giravolta e presto mi attirò a sé poggiando una mano alla base della mia schiena, mostrandomi un sorrisetto furbo, quasi da ragazzaccio
Come un lampo, mi venne in mente ciò che aveva detto prima a Edward, o meglio, come si era definito. «James, amico mio, ma il nostro grado di parentela è sparito o l’hai gettato alle ortiche?»
Lui ridacchiò divertito.« Non ho detto nulla di sbagliato.»
Levai un sopraciglio verso l’alto. «James Denali,» lo ripresi quasi con tono materno. «hai omesso volutamente il tuo cognome»
«Ah, quello? Beh, sono tuo cugino, ma sono pur sempre tuo amico» Replicò stringendosi nelle spalle con nonchalance.
Aggrottai entrambe le sopracciglia. Non me la contava giusta.
Sbuffò notando il mio sguardo indagatore. «E va bene, volevo solo provocare il tuo fidanzato.»
Gli pizzicai il fianco. «Ah! Lo sapevo. Non sei cambiato per niente.»
Sorrise e mosse ritmicamente le sopracciglia in un gesto piuttosto allusivo. «Ci sono riuscito?»
Feci una smorfia, una pallida imitazione di un vera espressione gioiosa. «Direi proprio di no. Hai fatto un bel buco nell’acqua.»
«Ma…»
James fece per replicare ma lo precedetti continuando a parlare. «Non siamo fidanzati. E’ tutta una finzione.»
«Cosa significa?»
«Significa che ho chiesto a Edward di fingersi mio fidanzato. Non stiamo insieme.» Ad ogni mia parola, i suoi occhi si allagavano sempre un po’ di più mostrando il suo stupore, ed il mio cuore si stringeva gradualmente con dolore.
Sapevo di poter contare sulla fedeltà di James, non avrebbe raccontato nulla ad anima viva, probabilmente neppure alla sua futura moglie. In tutta la mia vita non mi aveva mai tradita, in nessun modo e in nessuna occasione. Era alla stregua di un fratello, mi aveva sempre difesa contro le malefatte delle sue sorelle sgridandole a fin di bene, anche se ciò le portava a continuare. Eravamo stati compagni di giochi, sebbene lui prediligesse per quelli maschili ed io mi accontentavo sempre pur di stare in sua compagnia. E nel tempo, maturando nel carattere e negli anni, nel periodo adolescenziale e oltre, eravamo diventati e lo ervamo tuttora amici e confidenti.
Per questo non mi fu difficile decifrare quel suo sguardo accigliato. Era visibilmente scettivo e pensieroso.
«Non ti sto prendendo in giro. Non lo farei mai, lo sai.»lo rassicurai sfiorandogli una guancia con le dita. «Non a te, almeno. Le tue sorelle stranamente hanno abboccato con estrema facilità.»
«Forse perché lui è un bravo attore.» Replicò James lanciando uno sguardo alle mie spalle. «Uno dei migliori.»
«Conosco questo tuo tono.» Gli feci notare arcuando un sopracciglio. «Credi davvero che sia geloso?»
«Bella, le soluzioni sono due e piuttosto semplici: o il caro Edward è geloso, o fulmina la gente per hobby . E adesso il suo obbiettivo sono io, se non l’hai ancora capito.»
Scrollai il capo con una strana sensazione addosso. «Forse sta fingendo o forse è solo una tua impressione.»
«Bella sei sempre la solita ingenua. Non vedi l’ovvio.»
«Forse perché non c’è niente da vedere.» Sussurrai fissandogli i bottini della camicia scura. Se mai il suo sguardo avesse incontrato il mio avrebbe certamente notato la sofferenza che dentro vi aleggiava.
Tutto quel mio rifuto era dovuto alla paura di un’illusione devastante già alimentata da qualla messinscena del fidanzamento.
Presto mi ritrovai col capo sul petto del mio eterno protettore, coccolata e vezzeggiata dalle sue mani che in dolci movimenti circolari carezzavano la mia schiena.
Mi morsi con forza le labbra trattenendo con i denti l’impulso di piangere. Con James era sempre stato facile cedere alle lacrime; lui conosceva la Bella triste che da bambina si nascondeva in un angolo e accarezzava delicatamente con le dita la foto che ritraeva la sua famiglia al completo – Charlie alle spalle di Renée che stringeva al petto un fagotto di appena un mese di vita; la Bella timida che in età adolescenziale, con le guance imporporate, gli aveva confidato che il suo primo bacio non era stato proprio come se lo era aspettato; la Bella giovane e gioviale che con un sorriso raggiante aveva alzato il pollice in segno di vittoria dopo aver conseguito una laurea in giornalismo a pieni voti; e infine la Bella adulta confusa e indecisa sul suo futuro da condividere con un uomo che in fondo lei non amava.
James era sempre stato parte di me. Ricordavo perfettamente il giorno in cui lui aveva pianificato la sua vita: da single e da esploratore del mondo dedito al lavoro per quel quanto che poteva bastargli a sopravvivere.
Ridacchiai con sorpresa mista a felicità. Era drasticamente cambiato.
«Perché ridi?» mi chiese allentando di poco dalla sua stretta.
«Perché penso a te e alla vita che avevi pinificato.»
James rise con leggero imbarazzo. «Beh… ho decisamente modificato i miei piani.»
«Esatto. Ora sei fidanzato, quasi marito e quasi padre.» Poggiai una mano a palmo aperto sulla sua guancia. «Sei felice?»
Piantò i suoi occhi azzurri nei miei. «Sì.»
Fece per parlare ma lanciò un rapido sguardo alle mie spalle un sospiro profondo fuoriuscì dalle sue labbra. «Finalmente quel vecchio avvoltoio se n’è andato.»
«Chi?»
«Aro, ovviamente! E visto che adesso ho la totale attenzione del tuo finto fidanzato… ci divertiamo un po’»
E prima ancora che potessi formulare o proferire la più piccola protesta, mi afferrò per la vita e girammo in tondo come un’unica trottola monita dei bei vecchi tempi.
 
***

Una volta terminate la canzone e la nostra scatenata perfomance al limite del ridicolo, tra piroette e strette piuttosto affettuose, James insistette per riaccompagnarmi lui stesso dal mio accompagnatore. Il suo sorriso non si era spento un attimo. Era piuttosto divertito. Stava tramando qualcosa. Era pur sempre un Denali. L’arte dei dispetti era intrisa nel loro DNA.

Edward era in piedi poggiato rigidamente al nostro tavolo con le braccia strette al petto. Una posa rigida. Forse un po’ di gelosia da parte sua c’era, o almeno speravo che fosse quella la causa del cipiglio scuro che aveva in volto. Lo sguardo che rivolse a James fu tutt’altro che amichevole o meglio, simpatizzante.
Mio cugino invece continuava a sorridere in un modo così strafottente che mi fece sorridere. Sembrava un ragazzino irriverente.
Una volta giunti, James mi circondò la vita con un braccio e mi posò un bacio sulla guancia.. Alle sue spalle giunse una cipollina bionda tutta in ghingheri. Irina si aggrappò al suo braccio. «Fratellino, balli con me?»
James le sorrise non prima di aver lanciato un’occhiata curiosa a Edward che in quel momento aveva alzato un sopracciglio dubbioso. «Vengo subito.» Disse pazientemente alla sorella.
Poi guardò nuovamente Edward. «Ti lascio la mia cuginetta ma ti conviene attenzione: mi ha schiacciato i piedi per ben tre volte.»
Dopo un rapito saluto e un sorriso colmo di malizia, si allontanò raggiungendo Irina in pista.
Edward invece sembrava disorientato e piuttosto pensieroso. Pareva non essersi affatto accorto della mia presenza neppure quando lo affiancai sfiorandogli il braccio con una mano.
«Edward, ti senti bene?»
Il suo capo fece un giro veloce. Puntò i suoi occhi verdi nei miei. «Cuginetta?»
Mi morsi le labbra. «Sì, è mio cugino.»
«Tuo cugino.» Ripetè assorto. Il cipiglio si accentuò.
Annuii. «Esatto. Il primogenito di zio Eleazar e zia Carmen.»
Si portò una mano al viso stringendo con due dita la base del suo naso. Una smorfia gli sfigurò le labbra. Imprecò sottovoce.
Dalle mie labbra sfuggì una leggera risata nonostante avessi fatto di tutto per trattenerla e, di conseguenza, non irretirlo ma Edward, a discapito di ogni mio pronostico, sorrise.
«Ho fatto la figura dell’idiota, vero?»                                                   
Gli accarezzai una guancia ispida. «No, non da idiota.» Da fidanzato. «James è fatto così. Voleva solo provocarti.» Aggiunsi e inevitabilmente risi ancora. Edward mi prese per la vita spostandomi di peso davanti a lui. Ora non c’era più distanza tra i nostri corpi. Le mie mani, in un gesto automatico, finirono sul suo petto.
«E tu ti sei divertita.» mi accusò con tono fintamente duro.                                                                       
«Un po’.» Sorrisi lisciandogli la piega della sua giacca nonostante fosse già perfettamente a posto. «Però potresti sempre rimediare.»
Edward curvò lateralmente le labbra. «Hai ragione.» Prese a lisciarmi debolmente con i pollici le anche su cui le sue mani erano poggiate. «Balla con me.»
Trattenni bruscamente il fiato. «E’ un invito?» Gli chiesi con tono leggero e volutamente strascicato.
«Non proprio.» Mi lasciò un fianco e per un attimo temetti di aver esagerato, ma presto mi prese per mano trascinandomi lentamente in pista. «Perché se così fosse avresti avuto la possibilità di rifiutare.»  
Mi fece fare un giravolta prima di attirarmi a sé con possessione chiudendomi nella dolce e forte morsa delle braccia. Premette una mano alla base della mia schiena. Probabilmente con le dita poteva sfiorare e sentire attraverso il vestito la mia biancheria.
«Hai uno strano modo di invitare le persone a ballare, dottor Cullen.» Mi aggrappai con una mano alla sua spalla. «Accetto solo perché non vorrei sembrare maleducata.»
Eravamo quasi totalmente attaccati. Tra noi intercorreva solo un misero spiazio per un granello di polvere. L’elettricità era forte, lui era la mia forza di calamità. Forse c’erano altre persone in pista, forse eravamo soli, forse tutti erano magicamente andati via; in ogni caso, non mi importava. Io vedevo solo lui.
Mi accese i sensi con quello sguardo magnetico. Si abbassò accostando le labbra al mio orecchio. Il suo respiro mi solleticava e surriscaldava la pelle. «Ed io che pensavo che avessi ceduto al mio fascino.»
Il nostro era un lento strusciarsi sensuale di bacini e lenti passetti laterali. Il mio seno sfiorava il suo petto così come la mia ampia gonna frusciava da un lato all’altro sfiorando le sue gambe che, ad ogni mezzo giro, si allargava per un attimo ritornando poi ad avvolgerlo in un abbraccio di chiffon blu. La sua mano tornava, come inesorabilmente attratta, sui miei reni al limite del fondoschiena. Stavo andando a fuoco, e le mie guance stranamente questa volta non erano rosse. Non c’era imbarazzo ma solo un maledetto desiderio che mi stava divorando il ventre.
Scivolai con la mano dalla sua spalla su fino al colletto della sua camicia. Mancava davvero poco che sfiorassi il suo collo candido; era maledettamente difficile e doloroso sopprimere il desiderio di immergere le mie dita tra i suoi capelli e sfiorargli collo con lente e dolci carezze.
Edward lasciò la mia mano posando anche l’altra dietro la mia schiena. La mia invece la portai sulla sua spalla. Alzai gli occhi notando solo allora che il suo sguardo era concentrato sulle mie labbra. «Non cedo così facilmente.» Sussurrai con un filo di voce.
Edward premette una mano sulla mia schena, mentre l’altra saliva e si fermava al centro esatto della schiena. Con entrambe, a palmo aperto, mi spinse verso di lui annullando anche quell’effimero spazio che ci divideva.
«Allora credo che dovrò proprio impegnarmi.» mormorò Edward con fare provocatorio.
Questa volta non trattenni alcun desiderio e portai entrambe le mie mani dietro la sua nuca, tra i suoi capelli ramati morbidi e setosi come cascate di sorgente fresca.
«Sei incredibile… mi fai diventare pazzo. Riesci a rendermi difficile ciò che sembra facile.» disse Edward socchiudendo leggermente gli occhi.
I nostri visi era l’uno ad una spanna dell’altro, il suo respiro moriva sulle mie labbra generando piccoli gorgoglii di languore nel mio stomaco.
Bloccai le mie dita sulla sua nuca quando finalmente riuscii a capire le sue parole. «Dovrei scusarmi per questo?»
«Nemmeno per idea.» Sussurrò prima di posare la sua bocca sulla mia già schiusa pronta per accogliere quel suo sapore tanto agognato. Mi mordicchiò il labbro inferiore con i denti, come se necesitassi di tempo per abituarmi a quel contatto vecchio e nuovo. Che sciocco.
Scivolai con le mani dal colletto della sua camicia, sfiorando con la punta delle dita il suo collo caldo e setoso, al suo viso racchiundendolo con entrambi i palmi affiché intensificasse il bacio. Fu inizialmente preso in contro piedi, ma presto Edward si riprese accentuando la stretta attorno alla mia vita. Fece scivolare una mano lungo la mia schiena fino alla mia nuca e l’arpionò mentre la sua lingua si faceva spazio nella mia bocca richiamando a sua volta la mia per lisciarla, accazzarla e saggiarla nel più sensuale dei modi. Le note dell’orcherstra ci cullavano sebbene avessimo interrotto il nostro ondeggiare già da tempo ben concentrati su altro. Solo ed esclusivamente su noi stessi.
Non vedevo altro che lui. Racchiusi in una linea dal cui confine si ergeva un recinto alto e imponente attraverso il quale nulla era visibile agli altri. Forse gli occhi erano puntati più su noi due che sulla novizia coppia di sposi. Ma non mi interessava. Ignorare altro che non riguardasse noi due non mi era sembrato mai così facile.
Indifferenza.
Edward si staccò lentamente e piantò i suoi occhi stralunati nei miei lucidi e languidi di desiderio. Nessuno tra i nostri baci dati era paragonabile a questo. Era stato intenso, dolce, al limite dell’erotismo.
Lui aveva baciato me. Io avevo baciato lui. Nulla di più semplice.
Cosapevolezza.
Notai alle sue spalle, con mio grande disappunto, che i miei dubbi era più che fondati. Molti occhi erano puntati su di noi. Parenti, amici e sconosciuti. Chi sorridente, chi turbato, chi soprerso e chi consapevole di qualcosa ormai palesato; James era parte di quest’ultima categoria.
Avevamo dato spettacolo. Ora sembravamo davvero una coppia di fidanzati. Per un attimo pensai che anche quel bacio fosse stato una delle motivazioni del suo gesto.
Dubbio?
Edward col fiato un po’ corto, mi lisciò una guancia col dorso della sua mano. Mi sfiorò l’angolo della mia bocca con le sue labbra morbide e umide. Quel bacio mi sembrò quasi più intimo del precendente.
«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»
No, certezza.
 
 


**************************************


 

 
CITAZIONE: La vera nobiltà consiste nell’essere superiore al te stesso precedente.
Questa frase è deliberatamente presa dal libro “Un giorno in più” di Fabio Volo.


 
HO SCRITTO DI JAMES PENSANDO AI MIEI FRATELLI CHE AMO SOPRA OGNI COSA. SPERO CHE IL SUO RUOLO, COSì STRANO RISPETTO A QUELLO DATOGLI DALLA MEYER, NON SIA STATO PER VOI UNA DELUSIONE.
HO SCRITTO DI VICTORIA PENSANDO A DUE MIE AMICHE CHE SONO IN DOLCE ATTESA E PROSSIME AL MATRIMONIO.
SE NEL CAPITOLO VI SONO PARTI ZUCCHERATE, QUESTE SONO INTERAMENTE DEDICATE A MIRYA.
E UN GRAZIE A QUELLA STRONZA ALTA QUANTO UN METRO E UN TAPPO DI BOTTIGLIA CHE HA AVUTO LA PAZIENZA DI SPRONARMI OGNI SANTO GIORNO. NON POTREI CHIEDERE UNA MANAGER MIGLIORE.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


c16


 

NOTE INIZIALI ( rosso perchè si avvicina natale, avete già fatto i regali? io sono ancora in panne!)


Non sono mai stata brava nelle note, e benché meno nel farmi perdonare.
Trovo una difficoltà immensa nel scrivervi questa nota, quasi quanto per scrivere questo capitolo. Ho scritto tempo fa un avviso nel mia pagina di FB e riporto alcuni punti solo perché non trovo le parole giuste per scusarmi: lì sono stata sincera e mi sembra corretto continuare ad esserlo.
Sono passati quattro mesi dalla mia ultima pubblicazione, tralasciando il missing moment della raccolta che era già per metà scritto. Non voglio parlare di blocco dello scrittore perché non sono affatto uno “scrittore”. Sono semplicemente una persona a cui piace scribacchiare e buttare su Word tutte le idee che mi frullano nella testa.
Chi scrive, o scribacchia come nel mio caso, sa che c’è il rischio di imbattersi in un periodo NO nel quale sembra difficile persino scrivere una recensione con un minimo di senso logico, figurarsi un capitolo intero.
Abbozzi una frase, la rileggi, non ti piace ma decidi ugualmente di lasciarla e magari revisionarla in un secondo momento. Quando poi la rileggi, la cambi totalmente, così ti fermi sempre e solo su quella. Questo è capitato a me. Cancellavo e riscrivevo sempre le stesse cose. Ogni santissimo giorno. Non andavo mai avanti. Ed è per questo che non ho messo un vero avviso in cui sospendevo questa storia, perché di fatto non l’avevo sospesa. Speravo ogni giorno di portare a termine il capitolo e pubblicare con la solita ansia mista all’euforia.
Perché da lettrice so quanto è grande l’impazienza di leggere un nuovo aggiornamento.
 
Quindi vi chiedo scusa per questo mio mancamento, non era mia intenzione spondere la storia
Vi chiedo scusa, se potessi moltipicandolo all’infinito,  per questo mio ritardo e per avervi fatto attendere così tanto tempo.
Ringrazio Marika per avermi spronata OGNI GIORNO, ‘meglio’ di uno STALKER. Grazie davvero!! Mi sei stata d’aiuto,  più di quanto tu possa immaginare!
Ringrazio coloro che hanno letto il capitolo in anticipo frenando ogni mia sega mentale (e me ne faccio davvero tante): Congy, Fallsofarc e Luxsemprenoi (Baleria, andò sei stata?)
Ringrazio quella ‘stronza’ della mia manager che mi ha torturato e continua a torturarmi le ovaie. Nana, non smettere mai!
Ringrazio coloro che mi hanno sostenuta e cercata su Fb, Twitter e privatamente, chiedendo costantemente mie notizie. Vi adoro. E per finire, ringrazio chi, nonostante tutto, ha atteso un mio ritorno e continuerà a seguirmi e leggere il seguito di questa storia.
Grazie davvero.
 
Ps: con tutti questi ringraziamenti sembra che questo sia l’ultimo capitolo ma non è così, ve lo garantisco.
Pps: AAA OFFRESI FIDANZATO MOMENTANEO è una raccolta di missing moment. Presto ne aggiungerò altri.
Ppps: con la nuova modifica apportata da Erika potrò rispondere a ciascuna vostra recensione, negativa o positiva che sia! Quindi… state in campana. 
Pppps: Una piccola nota per Francesca: Prof, guarisci presto!  Le  parti zuccherose sono tutte tue!

(con tutte queste P il cervello è andato in fumo)


Piccola nota personale, per quanto possa interessare:
Per il carattere di James mi sono ispirata a mio fratello. E' un diavolo dai capelli rossi: me ne combina di tutti i colori ma non riuscirei mai a smettere di amarlo. Per la parte finale invece a quell'insopportabile del mio fidanzato, che nonostante tutto, continua ad amarmi!
 
Ho parlato tanto, troppo.
Vi lascio al capitolo.
Buona lettura.

 




CAPITOLO 16
 


…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…

Quella maledettissima e paradossale frase da film era stata la causa dello stato confusionale in cui ero entrata, permanendoci, mio malgrado, per un arco di tempo indefinito.
Aveva risuonato nella mia testa, di continuo, nemmeno fosse stata una di quelle canzoni che al mattino ti svegliano e ti perseguitano per il resto della giornata finché non trovi un modo per scacciarle, magari con un’altra canzone; non mi aveva abbandonata nemmeno quando avevo danzato con zio Eleazar, l’unica persona che potesse ampiamente vantarsi di non aver ricevuto mai, in nessuna occasione, un mio rifiuto in tema di ballo. Non ne avevo mai avuto il coraggio per quante volte avesse cercato con infinita pazienza di insegnarmi a muovere i piedi con un minimo senso di coordinamento – almeno tante quante di giocare a scacchi. In effetti, nel secondo caso l’allieva aveva quasi superato il maestro; nel primo invece aveva dovuto abbandonare l’idea quasi da subito.
Sfortunatamente, l’età per salire sui suoi piedi e ciondolare tra le sue braccia l’avevo ormai oltrepassata da anni, motivo per cui ci eravamo semplicemente limitati a dondolare da un lato all’altro, sebbene qualche piroetta non fosse mancata all’appello.
Molto probabilmente la stessa cosa che avrei fatto con Charlie se fosse venuto al matrimonio. Sapevo che l’assenza di papà non era dovuta solo al suo lavoro: c’entrava anche la mamma. Renée tendeva a cambiare idea molto facilmente. Si erano rivisti per la prima volta alla mia laurea dopo molti anni di separazione e già lì l’imbarazzo era salito alle stelle, figurarsi ad un matrimonio colmo di parenti dagli sguardi curiosi e privi di tatto, pronti a giudicare e confortare dopo anni di silenzio. Perfino zio Eleazar aveva compreso e accettato l’assenza di papà al matrimonio di sua figlia.
Tuttavia, come ogni figlia con un po’ d’occhio acuminato, sapevo che oltre alla mamma c’entrava anche un’altra donna: Sue Clearwater, la nuova fidanzata di papà. L’avevo conosciuta nei due mesi in cui ero tornata a Forks per un infarto scampato di Charlie. Si era presentata ogni giorno alla porta di casa con una nuova pietanza tra le mani, tutte che stranamente collimavano con i gusti di papà, finché una sera lo stesso Charlie non l’aveva obbligata a restare a cena e, di soppiatto nella cucina, lui l’aveva baciata sulle labbra trattenendola dalla nuca mentre lei arrossiva vistosamente. Il mio petto, silenziosamente, si era gonfiato di gioia. Papà aveva ritrovato finalmente un po’ di felicità.
Quello era il periodo in cui avevo lasciato Mike, rifiutando la convivenza e, cosa ancora più importante, un fidanzamento ufficiale.
Avevo pensato che se era bastata una semplice sbandata per uno sconosciuto – un condomino medico e strampalato - a mettere in dubbio i miei sentimenti, allora non ero assolutamente pronta per un vero e proprio matrimonio. E sebbene fossi stata del tutto cosciente e sicura della mia scelta, inizialmente i sensi di colpa mi avevano divorato il fegato perché lo sguardo e le parole che mi aveva rivolto Mike prima di abbandonare definitivamente Seattle erano stati amari e crudeli.
Ad ogni modo, il mio vero rinvigorente era stato James. Una vera manna dal cielo. Ed ora più pensavo a James, e più mi chiedevo per quale misterioso motivo Edward avesse suonato alla mia porta e ne avesse taciuto in seguito.
Dopo la rottura con Mike, per più di due mesi, Alice aveva trascorso gran parte del suo tempo nel mio appartamento, eccezion fatta per Jasper e il suo lavoro. Io, per scelta, non ero più andata a casa Cullen. Edward era l’ultima persona che avrei voluto incontrare; ero entrata in uno stato confusionale degno di uragano – ogni certezza era crollata al suolo - e in un certo senso, ingiustamente o lecitamente, lo incolpavo dell’accaduto. Ma sapevo perfettamente che la colpa non era affatto sua.
Io mi ero infatuata come una ragazzina dagli ormoni impazziti, non lui. Avevo addirittura pensato, stupidamente, che un po’ di distanza avrebbe freddato quel mio fermento. Ma nei quei quattro mesi a seguire, nei quali lui aveva lavorato fuori Seattle, avevo sentito la sua mancanza. Terribilmente.
La contraddizione delle contraddizioni.
Al suo ritorno poi, avevo assunto un atteggiamento totalmente assurdo ed infantile da lui stranamente contraccambiato: le frecciatine erano aumentate così come le occhiatacce e le provocazioni.
Infine, dulcis in fundo, era subentrata Alice con la sua trovata, tutt’altro che rivelatrice: il fidanzato in affitto. La permanenza in Alaska si era rivelata esattamente l’opposto di ogni mio pronostico e le sue azioni non mi avevano di certo aiutato a districare le mie dannate incertezze.
Mi aveva baciata e provocata anche nei momenti più insensati, quando nessun mio familiare aveva potuto assistere e, pertanto, non c’era stato alcun bisogno di interpretare il ruolo dei fidanzatini.
…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…
Inevitabilmente il mio pensiero correva sempre e solo a lui.
Se il mio corpo aveva seguito meccanicamente zio Eleazar, esattamente come un automa, la mente era stata altrove, concentrata su ciò che i miei occhi non avevano abbandonato nemmeno per un istante, su Edward che, in mia assenza, aveva chiacchierato e riso tranquillamente con James. Quasi come se quella bizzarra tensione, inizialmente tra loro creatasi, si fosse disciolta con la mia dichiarazione di parentela.
In effetti, quello apparentemente teso era sembrato più Edward che James, come se quest’ultimo sapesse per certo più di quanto io avessi forse e solo ipotizzato.
Cercai di avvicinarmi al tavolo giungendo alle loro spalle nel modo più silenzioso possibile, in punta di piedi nonostante la musica attenuasse il picchiettio delle mie scarpe, con l’intento di origliare un minimo stralcio del discorso che i due uomini avevano intavolato. Edward non aveva smesso un attimo di ridere, e ciò non poteva presagire nulla di buono considerandone l’artefice.
Quando si trattava di riportare alla luce vecchi aneddoti imbarazzanti, James andava su di giri come un bimbo nel giorno di natale: in quei casi la sua lingua s’allungava
«Possibile che in tutti questi anni tu non abbia ancora capito che è impossibile fregarmi, cuginetta
L’occhio invece era stato sempre lungo.
Lentamente voltò il capo e sfoggiò un sorrisetto poco rassicurante, il che mi fece pronosticare che forse aveva già spifferato più di quanto avrebbe potuto. C’erano cose che sapeva solo lui, specie sulle mie questioni di cuore.
Afferrò al suo fianco una sedia dalla spalliera e la trascinò fino a posizionarla nel mezzo, tra lui ed Edward. Mi accomodai scrutandoli con meticolosa attenzione: due paia d’occhi – rispettivamente azzurri come il cielo e verdi come il mare – erano vispi ed estremamente vivaci e le loro labbra era così ricurve quasi da sfiorare le orecchie. Forse, a vederli bene, erano fin troppo briosi.
Mi guardarono ancora per un attimo finché non sghignazzarono contemporaneamente trattenendo a stento una risata molto più aperta di quella.
Sferrai un colpo sul braccio di James. «Brutto infame traditore, che cosa hai raccontato?!»
Lui si massaggiò la parte offesa e tossicchiò camuffando altre risate. «Nulla di compromettente, giuro.»
Giuda. Aspettavo con impazienza solo che mi baciasse una guancia.
Infatti lo fece. Si allungò stampandomi un sonorissimo bacio sulla mia guancia sinistra. Arrossii un poco e trattenni un sorriso affettuoso. Non era il momento di mostrarsi sentimentali anche se certi gesti mi erano mancati come l’aria.
Sogguardai Edward, il quale continuava a fissarmi con quell’infantile luccichio divertito negli occhi. Aggrottai la fronte, sentendomi fastidiosamente sulle spine. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo anticipai facendogli morire le parole sul nascere. «Qualsiasi cosa ti abbia detto, non credergli. James è sempre stato il re, delle frottole.»
Il re delle frottole sfoggiò un sorriso sornione.
Edward si raschiò la gola con un colpetto di tosse. «Quindi non hai ingoiato un uovo crudo solo perché ti avevano detto che quello era l’unico modo per far crescere il seno, vero?»
Ma cosa cavolo…
Per il disappunto, rischiai di soffocare all’istante. James non era solo il re delle frottole, ma anche quello degli infami. Che razza di episodi andava raccontando?! Lanciai un’occhiataccia a mio cugino, degna di Clint Eastwood in un film western. «James, avevo solo otto anni!»
Quella era stata la prima ed ultima volta che mi ero fidata di Tanya.
Quale bambina non avrebbe smaniato all’idea di avere un po’ più di seno al posto di una tavola piatta da surf? Nessuna, e nemmeno io nonostante fossi tutt’altro che femminile. A quei tempi ero rimasta letteralmente sconcertata quando la mia premurosa cuginetta mi aveva docilmente svelato quella preziosissima nozione di bellezza; avevo compreso le sue intenzioni solo dopo aver ingoiato tutto il disgustoso e giallognolo contenuto dal bicchiere perché lei e le sue sorelline avevano riso fino a star male, come se avessero assistito in tempo reale ad una vera e propria candid-camera..
A dispetto di quella mia precisazione, Edward continuò ineluttabilmente a sogghignare, come se oltre all’episodio avesse collegato qualche altro suo strambo pensiero. Infatti, aggiunse: «Beh, in ogni caso, a quante pare per te sembra aver funzionato ingoiare un uovo crudo.»
Quella fu la volta di James: rise fino alle lacrime. La loro alleanza era quasi insopportabile, e figurarsi che si conoscevano da meno di ventiquattro ore, non riuscivo nemmeno ad immagine cosa avrebbero potuto combinare se fossero stati amici da più tempo.
Tuttavia, se l’aneddoto di James non mi aveva granché imbarazzata, la puntualizzazione di Edward invece mi aveva fatto avvampare fino alla radice dei capelli e non per timidezza, ma semplicemente perché, nella mia mente, era tornato a galla uno stravagante spogliarello fatto proprio davanti ai suoi occhi.
«Di te non hai raccontato niente, eh?!» sibilai a quel fedifrago di parente.
Proprio in quell’istante, quando Kate e Garrent diedero inizio all’ennesimo ballo al centro della pista, sopraggiunse Victoria che con un sorriso sornione si sedette in braccio al suo futuro marito. «Cosa avrebbe dovuto raccontare, quest’uomo che dice di esser stato un bimbo tanto ligio e silenzioso?»
Inarcai un sopracciglio. «Silenzioso, James?» Era stato il bambino più chiassoso e sfrenato che io avessi mai conosciuto. Zia Carmen aveva sempre sostenuto che l’esuberanza di suo figlio, tuttora come allora, compensava quella dell’intera famiglia Denali.  
Mi portai un dito alle labbra, reprimendo un risolino. «C’è un particolare che ricordo con maggior intensità»
Lui mi inchiodò con lo sguardo del tipo ‘stai attenta a quello che dici’, ma non avrei taciuto per nulla al mondo. Sapevo come rammollire quella sua maschera di sfrontatezza.
Sorrisi. «Ricordo che rubasti il pettine rosa delle bambole ad una delle tue sorelle: lo portavi sempre con te, fissato all’elastico degli slip e ogni volta che incontravi una bella bambina fingevi di pettinarti come John Travolta. Cercavi anche di fare l’occhiolino ma non ci riuscivi, e stringevi entrambi gli occhi contemporaneamente.» James contraccambio il mio sorriso al ricordo - l’ego maschile può prendere svariate direzione per la vetta – pensando che, forse, avessi già terminato di raccontare quel particolare, ma mancava ancora la parte più divertente e imbarazzante, almeno quanto il mio uovo crudo.
«Una volta invece hai indossato perfino la parrucca bionda di Halloween, quella di Tanya, e le scarpe col tacco di tua madre: hai ballato sulle note di Grease lungo tutto il corridoio. Devo dire che il ruolo di Sandy ti si addiceva di più.» Victoria rise sommessamente, forse immaginando il suo uomo in gonnella, che in quell’istante le pizzicava i fianchi un po’ risentito.
Ma lo scopo di quel nostro scambio di ricordi, utilizzandoli come se fossero quasi dei contraccolpi, non era in nessun caso quello di mettere l’altro in imbarazzo. Non c’era cattiveria, ma solo un misto di nostalgia e felicità nel rimembrare alcuni episodi di vecchia data.
Per l’appunto James, dopo quella piccola lotta con la sua fidanzata da lui definita ‘impertinente’, mi rivolse un dolce sorriso e strinse maggiormente la vita di Victoria. «Quello era il giorno in cui Renée ti aveva annunciato il tuo trasferimento da zio Charlie, ricordi?»
Per un attimo strabuzzai gli occhi ed una consapevolezza si fece strada tra i meandri della mia mente come la riversata frettolosa di un torrente: all’epoca James aveva potuto avere all’incirca dodici anni, un’età piuttosto avanzata per certe sceneggiate. Lui si era ridicolizzato per me, perché avevo pianto tutto il giorno rannicchiata in un angolo della sua cameretta.
Possibile che dopo tutti quegli anni, avessi compreso solo adesso quel suo affettuoso gesto? I miei occhi si inumidirono e se avessi potuto mi sarei lanciata per stringerlo forte a me fino a che le braccia non avessero urlato di dolore. Una carezza mi fece quasi sobbalzare; la mano di Edward si era posata sulla mia schiena. Mi rivolse uno sguardo dolce e comprensivo.
Victoria si schiarì la gola distraendoci l’uno dall’altra. «Bella, dove vi siete conosciuti tu ed Edward?» Con quella domanda riuscì quasi a stabilizzare l’equilibrio iniziale.
«Viviamo nello stesso palazzo.»
«E lì, vi siete incontrati per la prima volta?» chiese ancora, sorridendo in un modo tutto affabile.
Non feci in tempo a rispondere perché Edward mi anticipò spingendosi un po’ più in avanti. «Veramente, mi è piombata addosso il giorno del suo trasloco.»
Lo guardai a bocca spalancata, come se aspettassi da un momento all’altro che qualche mosca facesse il suo ingresso, o magari proiettassi l’intero ricordo come una diapositiva a mia difesa. «Non è vero! Mi sono sbilanciata, e sei stato tu ad avvicinarti per afferrarmi prima che io finissi per terra!»
Edward ammiccò. «Appunto, grazie a me non sei caduta e non ti sei ammaccata quel bel sederino che ti ritrovi.»
Inarcai un sopracciglio incrociando le braccai al seno. «A quanto pare non lo hai fatto certo per galanteria.»
Lui schioccò la lingua fintamente seccato. «Avrei potuto prendere gli scatoloni anziché te, non credi?»
Gli scoccai un’occhiataccia. «Sei insopportabile, te l’ho già detto?»
Si fece più vicino e sorrise con malizia. «Forse un paio di volte, forse anche più. E tu comunque sei ripetitiva.»
Era così vicino che riuscivo quasi a percepire completamente il profumo muschiato della sua pelle, contare le sue ciglia, una ad una, o ammirare quel leggero strato di barba che gli ricopriva la mandibola.
…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…
«Ti detesto.» sussurrai con un filo di voce, bramando come un’affamata le sue labbra sulle mie e ovunque lui volesse posarle.
«Non è vero.» disse con spontaneità, spostando oltre la mia schiena alcuni boccoli venuti in avanti. Successivamente, la sua mano restò ancora a contatto con la mia pelle. Tratteggiò leggero con due dita l’osso sporgente della mia clavicola.
«Sembra tanto una dichiarazione di guerra.» mormorò James dopo aver assistito alla nostra battaglia di freccette e carezze implicite. Noi lo ignorammo.
Una dolce risata femminile. «Io direi d’amore, James. Anche tu ed io abbiamo fatto così all’inizio del nostro rapporto.»
Un brivido salì lungo la mia schiena incentrandosi alla mia nuca.
D’amore. Una dichiarazione d’amare. A conti fatti allora, c’eravamo amati quasi  sin da subito, dal momento che quella guerra andava avanti già da un bel po’di tempo.
Mi girai velocemente: avrei dovuto e voluto replicare, magari con qualche frase pungente, ma nel movimento, maldestramente feci rovesciare un flute di prosecco sul tavolo. Il liquore si riversò completamente sulla tovaglia e sulle mie dita quando cercai di evitare il disastro. Edward mi porse una salvietta sogghignando. Il suo sguardo fu più che eloquente.
«Non fiatare.» sibilai, ma un sorriso sfuggì al mio controllo.
Ricordavo ancora quando una volta gli avevo versato un intero bicchiere di vino addosso macchiandogli la sua camicia preferita perché mi aveva dato della ‘burattina nelle mani di uno idiota’. Nell’ultimo litigio prima della sua partenza da Seattle.
E mentre io cercavo di pulirmi alle bell’e meglio con la salviettina, vidi Kate sbracciarsi e sventolare il suo mazzo di fiori informandoci dell’imminente ed ennesimo intrattenimento matrimoniale: il lancio del bouquet. Il matrimonio non sembrava mai trovare fine. Un motivo in più per odiarlo: oltre ai vestiti pomposi e scomodi e privi di praticità da indossare, la lunghezza dei festeggiamenti stessi.
Victoria seguì il mio sguardo e con uno sbuffo si alzò in piedi tamburellando sulla mano di James incollata al suo pancione.
«Bella, tu vieni con me, vero?» Si lisciò il vestito color malva sui fianchi. «Fortunatamente il matrimonio è quasi finito. Sono stanchissima.»
Ormai era sera: le stelle brillavano alte nel cielo scuro del crepuscolo e nell’aria si sentiva la tipica frescura estiva dei luoghi di mare. La pelle delle braccia era piacevolmente fresca, se non addirittura fredda.
A mia volta mi alzai con lo stesso identico sbuffo emesso da lei qualche attimo prima. «Se vuoi, possiamo restare qui al tavolo.»
Lei ridacchiò dolcemente. «Non mi tentare, Bella. Facciamo quest’ultimo sforzo. Non siamo maritate e purtroppo ci tocca.»
Victoria si era presentata come una ragazza alla mano: simpatica, spigliata e solare. Palesemente titolare delle tre ‘s’, le principali qualità che avrebbero fatto capitolare un qualsiasi uomo dalla cresta lunga e dura come quella James.
Quest’ultimo le baciò velocemente, ma pur sempre preso e con totale devozione, una mano. «Vic, cerca di non prendere il bouquet così non sarò costretto a sposarti.»
Lei con la stessa mano gli diede un buffetto sulla guancia. «Contaci, amore. E se eventualmente arriva tra le mie braccia lo passo subito a Bella.»
Tossicchiai ed Edward rise sotto i baffi. Un finto fidanzamento, per quanto incasinato, a suo modo era fattibile ma un finto matrimonio era letteralmente inconcepibile.
Edward mi lanciò uno sguardo divertito. «Dovrei già sposarti per la partita a scacchi, non infieriamo pure col bouquet.»
Il mio sguardo si accese di sfida. «Non preoccuparti, amore, al massimo trovo qualcuno disposto a sposarmi entro l’anno. Magari… potrei sempre chiederlo a Mike»
Fui pienamente compiaciuta di quel suo proverbiale sopracciglio visibilmente inalberato.
 

***

 
Se è vero che agli uomini bastano pochi secondi per spogliarsi ed infilarsi in un letto, e non solo in senso metaforico o affettivo, è altrettanto vero che le donne in certe occasioni sono tutt’altro che veloci,  a meno che non sia la passione a prevale su entrambi i sessi, perché in quel caso i vestiti non verrebbero semplicemente sfilati, ma strappati, perfino con i denti e non si perderebbe nemmeno una briciola di tempo in bagno per quisquilie femminili.
Questo, per l’appunto la prima parte, fu uno dei motivi per cui, io e Victoria, disertammo l’ultima parte dei festeggiamenti lasciando Edward e James a bere l’ultimo drink della serata e disquisire affabilmente su argomenti tipicamente maschili, aventi lo sport come testa e le auto come coda (il sesso nel mezzo).
Perciò, una volta sopraggiunte al piano superiore, raggiungemmo le nostre camere da letto, non molto distanti l’una dall’altra, augurandoci reciprocamente la buonanotte.
Con l’intento di sfilarmi di dosso quell’abito da cerimonia, ero entrata nel bagno chiudendomi la porta alle spalle lasciando ancora una volta la chiave sul mobiletto; una parte di me sperava quasi in un’improvvisa apparizione di Edward con tanto di avviluppamento e arrancata sino alla doccia.
Ero perfino riuscita a sciogliermi da sola l’insidiosa acconciatura, togliendo gli innumerevoli ferretti, anche se una volta liberi, i miei capelli, somigliavano ad una gigantesca criniera leonina fresca di permanente: una vera e propria cascata di voluminosi ricci.
Purtroppo, era l’abito, quello che mi aveva dato del filo da torcere: avevo combattuto coraggiosamente con la cerniera lampo per più di dieci minuti, sebbene quella non avesse mostrato alcuna intenzione di collaborare. Ad ogni strattone la stoffa s’arricciava frenandone la calata.
Pensai a Victoria e al suo, di abito, in seta e privo di cerniere o fronzoli inutili; magari avrebbe potuto darmi una mano con quest’arnese infernale. Avevo già capito l’antifona: era una battaglia persa in partenza.
Quando uscii dal bagno provai anche a slacciarmi la collana ma il gancio era ingarbugliato con alcune ciocche di capelli. Infastidita, sbuffai: oltre alla cerniera, ci si mettevano anche i gioielli.
«Problemi?»
La voce di Edward giunse improvvisa alle mie orecchie. Alzai lo sguardo e lo ritrovai a ridosso della porta finestra senza giaccia, con il colletto aperto e la cravatta allentata, intento a sbottonarsi i polsini. Aveva spento i faretti incassati nel soffitto: la stanza era scesa nella penombra rischiarata solo dalla fioca luce di un’abatjour. I suoi capelli in alcuni punti sembravano bagnati dalla luna che alle sue spalle brillava alta e fulgida nel cielo notturno, in altri, invece, umidi dalla stessa notte per quanto all’apparenza sembrassero scuri. I tratti del suo viso erano distesi, sciolti come se fosse totalmente avvolto da un’aura di bizzarra e sensuale tranquillità.
Sorrise in modo vagamente malizioso. «Bella, ti serve una mano?»
Ero rimasta inebetita a fissarlo per chissà quanto tempo, senza realmente rendermene conto, proprio come nei nostri primissimi incontri, conquistata dal suo fascino. In tutti quei mesi ero riuscita a fare dei passi in avanti, ma in quella settimana ne avevo compiuti altrettanti indietro, se non di più.
Con una mano stranamente tremante indicai la mia schiena. «Non riesco a… a tirare giù la lampo del vestito e sciogliere la collana.»
L’imbarazzo, esattamente l’ultima cosa di cui avevo bisogno, formava un’irreale e sottile patina sulla pelle, mentre la frenesia era ineluttabilmente radicata alle ossa, nelle fibre, impossibile da svestire, impossibile da levare.
«Girati» sussurrò con voce roca e gutturale facendosi più vicino.
Mi voltai e con una mano alzai dalla schiena i miei capelli per facilitargli il lavoro.
Inizialmente percepii una leggera sollecitazione alla cerniera lampo, poi qualcosa di freddo – le sue dita – a contatto con la mia pelle. «E’ inceppata.» spiegò spingendo delicatamente con i polpastrelli tra le mie scapole.
Con Edward avevo sempre avuto uno strano senso di inadeguatezza, come se avessi sempre dovuto creare io stessa la propulsione per una determinata situazione, ma quella sera la sensazione era diversa. Forse non avrei avuto bisogno di alcun pretesto per avvicinarlo: probabilmente lo avrebbe fatto anche se non avessi trovato difficoltà con il mio abito.
Mi raschiai leggermente la gola. «Hai le mani fredde.».
Con le dita premute sulla mia pelle, riuscì a tirare giù la lampo con calma, come se volesse osservare ogni porzione di epidermide che man mano veniva scoperta – o magari, semplicemente, speravo che fosse quello il vero motivo di artefatta lentezza. «Scusa, non sono abituato alle temperature dell’Alaska, e sinceramente non sono sicuro di volermici abituare.»
Un dito scivolò dalla nuca alla base della mia schiena, segnandone ogni vertebra esposta.
La sua non era lentezza. Ma concupiscenza.
Fermai in tempo la calata del vestito sul davanti bloccandolo sul seno con la mano libera. Ero così distratta da scordarmi persino i gesti più naturali, quelli più pudichi.
«Ti sciolgo anche la collana?»
«Oh.» esclamai con un risolino nella voce. «Questa mattina mi hai chiuso l’abito, sebbene non fosse questo, e mi hai agganciato anche la collana. Il servizio è incompleto, non credi?»
«Hai ragione.» rispose Edward ridacchiando appena. «Perdona la mia mancanza.»
Frasi sensuali e beffarde, parole morbidamente sussurrate: un innato e inguaribile gioco di seduzione.
Le sue dita sfioravano appena la mia nuca e tiravano deliacamente i capelli incastrati nel gancio. C’era una squisita calma nella stanza, caratterizzata unicamente dai nostri sospiri – il mio astrusamente più veloce.
Avevo quasi il timore che, la tensione, da sensuale potesse oltrepassare quella linea sottile e trasformarsi in un imbarazzante silenzio. E in effetti qualcosa di impellente e importante da dire c’era. Dovevo solo trovarne il modo. Per cui tirai un profondo sospiro ed iniziai a parlare
«Allora» mi schiarii la voce. «Sono in debito con te, non trovi?»
Lui ridacchiò. «Per il servizio completo in merito alla collana e al vestito? Beh, sì, direi proprio di sì.»
Risi spostando tutti i capelli sul lato destro; il braccio cominciava a dolore dallo sforzo. «No sciocco, non mi riferivo a quello.»
Edward sospirò e fermò un dito per un istante sulla mia nuca. «Lo so a cosa ti riferivi.» Nel tono non c’era stata alcuna traccia di accusa. Riprese a sciogliere il nodo tirando appena un capello dalla radice.
«Suppongo che al ritorno dovrai uccidere Alice. Questa settimana per te deve essere stata proprio un bel cambio di programma.» Mi morsi le labbra avvertendo un poco d’ansia. «L’hai trovata così noiosa?»
«Al contrario. Direi…» Da parte sua ci fu una lunga pausa, silenziosa e tesa: un respiro trattenuto, poi rilasciato quasi bruscamente. «…piuttosto illuminante
Illuminante: insolita definizione.
«Illuminante.» meditai. «Per te o per me?» domandai poi con un filo di voce ed una curiosità emozionante.
Edward sopirò. «Chissà… forse per entrambi.»
La sua risata, improvvisa e sottile, vibrò nell’aria. «Mettiamola così: le tue considerazioni sono sempre le stesse?»
Alice tutto potrebbe sembrare tranne il mio fidanzato.
Edward, date le tue esperienze, non credo che tu possa essere definito un perfetto fidanzato.
…se mi fai passare per la stupida della situazione ti ammazzo con le mie stesse mani.
I pregiudizi sono i paraocchi e i tarli della mente: ne limitano e ne distorcono fastidiosamente i pensieri. C’è soddisfazione o rassegnazione quando questi risultano esatti e lo si manifesta a gran voce; c’è invece imbarazzo e pentimento quando accade l’esatto contrario e confessarlo risulta più che improbabile.
Come semplici e friabili biscotti al burro, i miei pregiudizi erano stati sgretolati senza alcuno sforzo dalle sue mani.      
A volte  si camuffano anche in scudi con cui difendersi, armi con cui contrattare, o appigli a cui aggrapparsi per non scivolare lungo un pendio sconosciuto – foderato da spine o petali, o da intere rose in tutta la loro morbidezza e nocività.
Lo avevo mal giudicato per un gesto di autoconservazione, per sfuggire da lui e da tutto quello che all’apparenza gridava instabilità, autoconvincendomi che fosse immaturo e fin troppo volubile come uomo, l’ultimo di cui potessi e dovessi mai innamorarmi.
Il primo di cui mi ero totalmente innamorata.
Le mie considerazioni erano decisamente cambiate, ormai senza alcun dubbio. Ora, con un po’ di coraggio e orgoglio sepolto, avrei dovuto solo raccogliere quelle briciole e, a palmo aperto, mostrargliele.
Inspirai profondamente congiungendo le mani sul mio grembo. «Mi sono sbagliata sul tuo conto: non sei lo sbruffone che credevo tu fossi.»
Lui rise allegramente. «Sbruffone? Da te mi sarei aspettato qualche epiteto più colorito. Di solito non sei così delicata.»
Lo ringraziai mentalmente per aver alleggerito la tensione.
«E adesso te lo saresti pure meritato!» Gli diedi una leggera gomitata nello stomaco smorzandogli un’imprecazione divertita dalle labbra.  «Accidenti, e pensare che a volte riesci a fare anche la persona seria.»
Edward sogghignò ancora facendosi d’un tratto più vicino: poggiò una mano sul mio fianco e incollò il suo busto alla mia schiena. Poi sentii la sua mano, quella libera, sfilare languidamente la collana dalla mia gola e strisciarla sulla mia spalla per poi allungare il braccio e abbandonare il gioiello sul copriletto.
«Anch’io mi sono sbagliato» mormorò ad un soffio della mia pelle. Lo sentii inspirare profondamente. «Sono giunto a troppe conclusioni affrettate.»
Cuginetta?
Sì, è mio cugino.
Ho fatto la figura dell’idiota, vero?
Sicché non ero stata l’unica ad aver fatto delle considerazioni errate; ognuno, a modo suo, aveva sbagliato. C’erano state fin troppe incomprensioni, e ce ne stavamo rendendo conto solo ora. Ma non era tardi. Chi più o chi meno, presto o tardi, ormai non aveva importanza.
Sussultai lievemente quando percepii il suo fiato infrangersi sulla mia spalla, un bacio soffiato caldo e morbido come una carezza di velluto. I brividi si spansero come onde a pelo d’acqua dovute da un sassolino lanciato in mare. Un sospiro uscì dalle mie labbra dischiuse, e a nulla valsero i miei sforzi per trattenerlo. Un’evidente ostentazione di abbandono.
«Si può sempre rimediare.»
Le mie parole si dispersero docilmente nella stanza senza trovare alcuna risposta perché ,quando girai il capo per cercare i suoi occhi, le sue labbra furono subito sulle mie, come se aspettasse quella mia mossa già da tempo. Quel bacio, che sapeva quasi di disperazione, risvegliò brutalmente ogni mia particella forzatamente sedata, spogliandomi dall’imbarazzo e lasciando spazio solo alla frenesia che, da un momento all’altro, aveva preso il sopravvento.
Quando mi alzai sulle punte per avvicinarmi maggiormente a lui, un suo gemito basso e gutturale, un misto di liberazione e abbandono, si sciolse nelle mia bocca mentre la stretta alla mia vita si accentuava fino a diventare quasi dolorosa, in modo piacevole; l’altra sua mano risaliva lungo il collo fermandosi sulla mia guancia trattenendo il mio viso riverso, come se ce ne fosse bisogno, come se io non stessi facendo altrettanto con le mie, di mani: una, salda e ancorata alla sua nuca con le dita intrufolate nei suoi capelli, e l’altra sulla sua arpionata al mio fianco.
Un bacio strano, dolce, passionale e travolgente, che si prolungò nel tempo accrescendo sempre più di intensità, foggiato dai nostri corpi attorcigliati come due scale a chiocciola intrecciate. Un bacio al retrogusto di wisky e crema pasticciera. Con la mia testa inclinata, la sua lingua aveva potuto raggiungere i più piccoli punti inesplorati del mio palato, della mia gola, dei miei denti.
Mi girai solo quando avvertii l’impazienza di toccarlo fremere nelle mie mani, un bisogno quasi insostenibile. Ma non mi allontanai nemmeno in quel caso perché lui non me lo permise. Ruotai nel suo abbraccio ritrovami col petto completamente schiacciato al suo.
Mi aggrappai alla sua cravatta e con mani febbrili gliela slegai gettandola sul pavimento. Un gesto significativo, carico di sottintesi e di consensi silenziosi niente più freni né inibizioni.
Ero lì, tra le sue braccia, e nulla intorno aveva più consistenza né importanza. Nessuna riflessione né sul passato né sul futuro, né su ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo, o quello dopo ancora. Solo noi.
Con indicibile impazienza slacciai i bottoni della sua camicia non prima che lui la tirasse fuori dai pantaloni. Edward continuò a baciarmi il viso: le guance, gli zigomi, gli occhi, per poi soffermarsi sul mio collo e lasciarmi, intenzionalmente, tutto il tempo e lo spazio necessari per denudarlo. La camicia scivolò oltre le sue spalle e lungo le sue braccia vigorose.
Con curiosità carnale saggiai la consistenza della sua pelle: liscia, soda e vellutata sotto le mie mani tremanti. Conoscevo i suoi gusti, le sue preferenze ma il suo corpo era per me un territorio totalmente inesplorato Ad ogni carezza Edward socchiudeva gli occhi, al di sotto delle mie dita i suoi muscoli guizzavano e il suo respiro diveniva sempre più frenetico. Quelle sue reazioni causarono in me un senso di potere, un orgoglio tutto femminile che mi portarono a sentirmi bella e desiderabile a suoi occhi.
Con altrettanta impazienza lui abbassò l’unica bretella del mio vestito stoicamente aggrappata alla mia spalla. Come una cascata nella notte, l’abito blu si riversò sul pavimento insieme alla mia volubile audacia. Il primo istinto fu di chiudere le palpebre, ma non ne fui in grado perché la prima cosa che lui fece, non fu guardare il mio corpo seminudo, ma tenere i suoi occhi inchiodati ai miei. Solo dopo, quando la voglia di essere guardata fu anche mia, con altrettanta curiosità, così carnale da incendiare la mia pelle nemmeno fosse stata steppa arida, studiò il mio corpo con uno sguardo bruciante di desiderio. Le sue dita vagarono sulla mia pelle ancora coperta di pizzo, e sospiri spezzati uscirono dalle mie labbra. Poi, inspiegabilmente, si sedette sul letto attirandomi tra le sue gambe. Con le mani ancorate ai miei fianchi, e le mie intrufolate ancora una volta nei suoi capelli, aspirò la mia pelle dall’ombelico allo sterno in una carezza lenta e intima. Un decelerazione volontaria, come se stesse frenando ogni suo istinto primordiale e sfacciatamente maschile per darmi tutto il tempo di comprendere ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Avrei voluto dirgli ‘non trattenerti, amore, perché l’urgenza che tu senti la condivido anch’io’, ma anziché parlare e rischiare di dire qualcosa di inappropriato, glielo feci intendere tuffandomi sulle sue labbra con struggente avidità. Quella fu la proverbiale goccia di passione che fece traboccare il vaso. Afferrandomi dalla vita, si stese sulla schiena trascinandomi su di lui per poi rotolare lateralmente e invertire le posizioni.
Ancora impazienza.
Tutto ciò non fu pelle, e d’intralcio ai nostri corpi, venne annullato. Ci sfilammo i vestiti con un’impellenza tale da rendere i movimenti quasi goffi. Un groviglio di mani frenetiche e indumenti svolazzanti. Una mia risatina e un’occhiata divertita da parte sua quando i suoi pantaloni si incespicarono nelle nostre gambe intrecciate.
Ancora curiosità.
Intreccio e lusinghe di lingue e di sguardi, scontri di denti e di nasi, morsi di labbra morbidi e forti al limite del dolore. Baci infuocati, intimi, appassionati, impudichi e irrefrenabili in ogni parte del mio corpo. Laddove rabbrividivo lui succhiava, come a voler catturare con le labbra quel piccolo e visibile tremito a fior di pelle.
Con l’incolta e sottile barba mi solleticò lo stomaco, la pancia, l’interno delle cosce e lo spazio tra  i seni consapevole di ciò che lui e quella parte di lui erano in grado di provocarmi: gemiti e brividi e mancamenti. Edward aveva sorriso più di una volta. Ma quel suo sorriso non sembrava affatto di compiacimento, bensì di complicità.
Le sue carezze, di mani e di occhi, furono morbide sulla mia pelle scoperta, voluttuose sul mio seno, vigorose sui miei fianchi e impudiche dove i nostri corpi si scontravano ritmicamente con impazienza.
Ancora passione.
Un incastro intimo così armonioso che sembrò quasi irreale. Quelle sue spalle così larghe e ponderose mi diedero un vero senso di protezione. Le mie gambe allacciate al suo bacino e le sue mani incollate alle mie natiche per affondare più in profondità; od io tirata su a sedere, issata sulle sue gambe di poco piegate con le mie invece attorcigliate alla sua vita: le nostre mani premute sulla rispettiva schiena dell’altro pressando fino ad illuderci di divenire un tutt’uno anche con la pelle. Petto contro petto. Cuore contro cuore.
Ancora ed ancora passione.
Ad ogni spinta fu una goccia di sudore spillata, un battito cardiaco mancato, un bacio rubato, un ansito pronunciato, uno slancio verso il paradiso e un brandello di anima remissivamente ceduto. Toccammo l’apice allo stremo della sopportazione, allo stremo delle forze, stringendoci l’uno all’altro così forte da smorzarci il respiro, la sua testa sepolta tra i miei seni imperlati di sudore.
Tenerezza.  
Edward continuò ad accarezzarmi la schiena, le braccia e i fianchi  - nemmeno fossi diventata d’un tratto tenera e fragile come un cristallo –,  e a baciarmi i capelli , il naso e palmi delle mani anche dopo l’amplesso, quando ormai non sembrava più essercene bisogno. O perlomeno, quello era sempre stata una mia stupida convinzione, che dopo il sesso non fossero necessari altri gesti.
Ma questa volta, per me, non era stato affatto solo e semplice sesso.  
Amore?
Mi addormentai tra le sue braccia che, calde e possessive, mi strinsero per tutta la notte al suo fianco cullandomi deliziosamente in quell’abbraccio che sapeva ancora di noi e dell’amore appena consumato.
E sebbene mi avesse trattenuta a lui per tutta la notte, all’albeggiare del giorno seguente stranamente mi risvegliai ritrovandomi un poco distante da lui, quel tanto da distanziare i nostri corpi l’uno dall’altro. L’unica notte in cui avrei potuto ancora travolgerlo, mi ero inspiegabilmente allontanata. Ma non del tutto, perché Edward, ancora una volta me lo aveva impedito tenendosi attaccato con una mano alla mia vita, come ad accertarsi della mia presenza al suo fianco.

 

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