AAA CERCASI FIDANZATO MOMENTANEO di samy88 (/viewuser.php?uid=68527)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
aaa 1
CIAO MIEI CARI,
SE VI STATE CHIEDENDO SE SONO IO.... SI SONO PROPRIO IO.
LO SO, HO APPENA CONCLUSO FATE OF LOVE, HO AMORE PLATONICO IN CORSO, E GIA' MI CIMENTO IN UN'ALTRA.
MA QUESTO CAPITOLO ERA PRONTO E
PURTROPPO HO DATO RETTA A LUISINA (ho sognato -.-) ED E' USCITA QUESTA
STORIA DIVERTENTE. IO VOLEVO FERMARE IL MIO CERVELLINO PAZZO MA NON SO
DOVE POSSO COMPRARE UN SEMAFORO PER LA MIA TESTA...
I PERSONAGGI SONO TUTTI UMANI.
SPERO SOLO CHE POSSIATE TROVARLA INTERESSANTE.
VOLEVO COMUNICARE INOLTRE CHE L'IMMAGINE BELLISSIMA DELLA STORIA L'HA
CREATA LA MIA CUCCIOLA SPECIALE LAU_TWILIGHT. GRAZIE TESORO, SENZA DI
TE NON SAPREI COSA FARE.
CAPITOLO 1
Pigiai il pulsante di richiamo per l’ascensore nell’atrio
condominiale. Finalmente rincasavo dopo un’intensa giornata lavorativa. Adoravo
ardentemente il mio lavoro di giornalista per uno dei più ricercati quotidiani
di tutto lo stato di Washington, il Daily Sun. Avevo lavorato duramente come
semplice stagista per i primi due anni. Ora, invece, ero una delle reporter più
citate e famose di tutta Seattle. Le porte dell’ascensore scivolarono
lateralmente. Vi entrai e premetti il numerino cinque per salire al quinto
piano. Con un sottile scampanellio le porte dell’ascensore si aprirono
nuovamente rivelando ai miei occhi un pianerottolo caratterizzato da muri
giallognoli. Avanzai fermandomi innanzi alla porta del mio appartamento.
Abbassai il capo cercando all’interno della mia borsa – molto simile a quella
di Mary Poppins- le chiavi di casa. Nel frattempo che la mia mano vagava
all’interno col tentativo di portare a termine quell’ardua impresa, sebbene
fosse un gesto quotidiana, il mio sguardo si posò sulla piantina posta accanto
alla porta di casa: un regalo di Renèe. Aveva le foglie gialle e secche. Da
quanto tempo non la innaffiavo? Scossi il capo sconsolata: non mi sapevo
prendere cura nemmeno di una semplice piantina. Ero priva di pollice verde. Finalmente
trovai le chiavi. Inserii la più grande nella serratura e dopo una lotta
all’ultimo scatto la porta si aprì.
Accesi la luce dall’interruttore e lanciai la borsa sul
divano. Avanzai verso il tavolo da pranzo poggiando su di esso la posta ma uno spicchio
rosa pallido catturò la mia attenzione. Spostai le altre lettere prendendo tra
le mani quella intenzionata. L’aprii estraendo un foglio color avorio. Era
ruvido al tatto; sembrava carta di riso. Lo schiusi.
Kate Denali - Garrent
Nomadi
Annunciano il
loro matrimonio
Che si terrà
il 17 Luglio, 2009
Alaska, Anchorage
Strabuzzai gli occhi quasi fuori dalle orbite. Sotto in
matita c’era una piccola, dannata nota che mi fece quasi uscire di senno.
Cuginetta cara, naturalmente tu
sarai una delle damigelle per cui, ci vediamo tra due giorni. Baci, le tue
adorate cugine.
Adorate… sì, così ‘adorate’ da rovinarmi ogni periodo estivo
per diciannove anni della mia vita.
Forse stavo sognando; questo doveva essere senza ombra di
dubbio uno dei miei peggiori incubi. Chiusi gli occhi auspicando con tutta me
stessa che nel riaprirli dopo avrei trovato tra le mie mani una bolletta. Avrei
accettato gioiosamente anche la più salata con un importo composto da ben tre
cifre. Ero disperata. Totalmente disperata. Schiusi lievemente un occhi
riducendolo ad una piccola fessura. Abbassai timorosa il capo in direzione
della lettera e…
“Diamine!” Imprecai ad alta voce. Cosa avevo fatto di tanto
sbagliato nella mia vita per ricevere una cosa simile?! C’era una solo cosa da
fare. Avevo bisogno di una consulenza professionale.
Afferrai le chiavi dal tavolino costeggiante il corridoio
principale ed uscii repentinamente di casa chiudendomi la porta alle spalle. Guardai
la spia luminosa dell’ascensore: era fermo al pianerottolo. Non potevo aspettare
così tanto tempo. Scesi velocemente le varie rampe di scale evitando per
miracolo dei ruzzoloni. Arrivai trafelata e ansante al secondo piano. Respiravo
con fatica. Mi ritrovai innanzi ad un porta in legno massello. Su di essa vi
era una targa con su scritto ‘Cullen’. Mi attaccai impetuosa al campanello.
Poco dopo la porta si spalancò.
“Che diamine-“ Edward si bloccò sgranando gli occhi notando
il mio affanno. Perché questo ragazzo diveniva ogni giorno sempre più… più… più
di tutto?! Ogni volta che intaccavo nei suoi occhi verde smeraldo il mio cuore
perdeva un battito e in quel momento, totalmente boccheggiante, non era affatto
una gran cosa. “T-tua sorella?” Balbettai con l’effimero fiato restatomi nei
polmoni. Indicò con un cipiglio dubbioso in viso la cucina. Ringraziai col capo
precipitandomi nella stanza indicatami. Alice, la mia migliore amica formato
folletto, era impegnata in una comunicazione telefonica e, dal tono mieloso
adottato, dall’altro capo doveva esserci senza ombra di dubbio il suo fidanzato
Jasper. Si accorse della mia presenza e con una mano mi liquidò indicandomi una
sedia. Mi accomodai gettando, probabilmente con troppo vigore, la lettera sul
ripiano della cucina. Stesi le braccia sul tavolo e vi nascosi il viso. Perché
capitavano tutte a me?!
“Si, amore… stasera ci vediamo.” Pigolò Alice dolcemente.
Improvvisamente cacciò un urlo disumano. Sobbalzai scattando su il capo
spaventava. Ma era forse impazzita?!
No, fortunatamente no. Il suo gesto era stato assolutamente
legittimo. Tra le mani aveva l’invito di nozze. Al sol pensiero venni
interamente percorsa da brividi di disgusto. Ci mancava solo la nausea.
“Jazz, ti richiamo tra poco. Ho un piccolo problema con
Bella.” Disse Alice chiudendo direttamente la conversazione, probabilmente
senza ascoltare la risposta del povero fidanzato.
L’espressione del suo viso era di mero sbigottimento eco
della mia. “Kate e Garrent?” chiese storcendo il naso disgustata.
“Alice…” piagnucolai disperata.
Lei continuò a leggere l’invito e rigirarsi la lettera tra
le mani. “Cribbio! Sei una delle damigelle!” Gettai mollemente il capo sul
tavolo battendoci con la fronte. Avrei preferito andare mille volte al
patibolo.
“Bella.” Quel suo tono fu alquanto preoccupante. “Hai letto
il retro della lettera? Cosa hanno scritto nella parte indirizzata al nome del
destinatario?” Sbuffai sonoramente. “Il primo dispetto di una lunga serie
scrivendo il mio nome per intero aggiungendo inoltre anche il secondo, giusto?”
Alice scosse il capo. “Isabella Marie Swan e…” tirò un
grosso respiro, …‘fidanzato’”
“Merda!” Esclamai scattando in piedi.
“Chi è questo fantomatico fidanzato del quale la tua
migliore amica non è a conoscenza?”
“L’avevo inventato.” Sbuffai facendo roteare gli occhi verso
l’alto. “Ero andata a trovare Renèe e misteriosamente c’erano anche loro. Mi
avevano insultato tante di quelle volte affibbiandomi il nomignolo di ‘zitella
acida’ che per disperazione ho mentito dichiarando di avere un compagno.”
Alice si passò una mano tra i capelli. “Sai cosa vuol dire
questo?”
“Che darai la triste notizia della mia morte prematura?”
Dalle labbra della mia amica sfuggì una risata amara. “Che
hai l’obbligo di andare con il tuo ‘fidanzato’”
Aggrottai la fronte. “Alice, vorrei ricordarti che questo
fidanzato non esiste.”
Lei di rimando sbuffò come se fosse lei quella in difficoltà, e non la sottoscritta. “Bella, hai una
vaga idea di cosa possa accadere se non ti presenti a quel matrimonio con un
ragazzo?”
In quel preciso istante ebbi un’irrefrenabile voglia di urlare.
“E cosa dovrei fare, eh?” Replicai infervorata. “Dovrei pubblicare un annuncio
sul Daily Sun, AAA CERCASI FIDANZATO MOMENTANEO?”
“Perché, ci sono anche questi annunci su quel quotidiano?”
La voce inaspettata di Edward mi fece sobbalzare; il cuore parve
schizzare fuori dal petto. Alzò un sopracciglio. “Sono così brutto da
spaventarti?”
Edward Cullen: bello, affascinante, estroverso e… ahimè,
maledettamente strafottente. Dal nostro primo incontro aveva sempre avuto
questo atteggiamento nei miei confronti: affabile e strafottente all’ennesima
potenza. Spesso, anzi molto spesso, ci stuzzicavamo.
“Bella, l’idea non è male.” Rispose Alice con un ghigno
divertito.
“Sono disperata.” Biascicai poggiando la fronte allo stipite
della porte. “Pagherei perfino mille dollari per trovare una soluzione.” E
purtroppo questa non c’era. Dovevo andare a quel dannato matrimonio e subire le
ingiurie delle mie cugine.
“Ho un idea.” Esclamò guardando prima me, poi il fratello.
Cosa diamine aveva in mente? Allungò le braccia con i palmi della mani all’insù
facendole oscillare dall’alto verso il basso per tutta la lunghezza del corpo
scultoreo di Edward, come se stesse mostrando ad alcuni acquirenti la bellezza di
un prodotto in vendita.
Oh, no. No, e ancora no.
Portai un dito all’altezza della tempia. “Ti sei lambiccata
il cervello?” Scossi il capo risoluta. “No, assolutamente no.”
“Potrei capire anch’io se non vi dispiace?” Disse Edward
ignaro della mente subdola della sorella.
Mimai in direzione di Alice una chiusura lampo sulle labbra;
una lampante minaccia della quale se ne infischiò deliberatamente. “Abbiamo
trovato il fidanzato momentaneo.”
“Congratulazioni.” Disse Edward. “E chi sarebbe il
fortunato?” continuò con una punta di ironia.
Alice ignorando i miei gesti omicidi mimati, come lo
sgozzamento o lo strangolamento a mani nude continuò imperterrita a parlare.
“Tu.”
Un monosillabo che fece quasi tremare il pavimento sotto i
miei piedi. Aspettai invano che si aprisse mostrandomi un fossa nella quale
avrei potuto nascondermi per il resto dei miei giorni.
“Cosa?” Esclamò Edward stralunato. A quanto pareva, non ero
l’unica a vedere il lato negativo in quella scelta.
“Suvvia, Edward. Tu sei perfetto per questo ruolo.” Disse
con ovvietà. “Bella è l’unica soluzione. Preferisti qualcun altro? Jacob, per
esempio?”
A quel nome rabbrividii. Jacob, o Jake come diavolo voleva
essere chiamato, era l’amico insistente, fastidioso, logorroico, di Edward che,
ogniqualvolta lo incontrassi, tentava inutilmente in tutti i modi di spuntarmi
una serata insieme. La mia metodica risposta? Neanche morta!
“Alice ribadisco fermamente che è una pessima idea. Edward tutto
potrebbe sembrare tranne il mio fidanzato.” Dichiarai risoluta. Che assurda
situazione!
Il fratello, punto in viso dalla schiettezza delle mie
parole incrociò le braccia al petto osservandomi con un cipiglio contrariato.
“Cosa vorresti insinuare con questo?”
Il punto debole degli uomini: l’orgoglio. Rilasciai una
leggera risatina divertita. “Edward, date le tue esperienze, non credo che tu
possa essere definito un perfetto fidanzato” Mimai delle virgolette per
sottolineare l’ultima parola.
Alice batté le mani felice come una pasqua. “Hai visto?
Bisticciate già come una coppia di perfetti neosposini.”
Alzai di scatto una mano mostrandole il palmo. “Ehi, non
esageriamo!”
“Se la tua è una sfida…” Edward fece una pausa. “l’accetto
volentieri.”
Cosa?! Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Edward che
acconsentiva? Doveva assolutamente esserci un inghippo.
“E chi mi assicura che non mi pianti in asso davanti a tutti?”
“Mille dollari.” Rispose Alice con nonchalance. “In cambio
della prestazione gli darai mille dollari, altrimenti caccerà lui la somma come
pena.”
“Lui non accetterebbe mai.” Dichiarai con uno sbuffo stringendomi
nelle spalle. Volsi il capo nella direzione di Edward. Sul suo viso c’era un
sorriso di autentica sfida. Tese la mano verso di me. “Mille dollari.” Dichiarò
risoluto con quel sorriso sghembo da mozzafiato. Lo guardai per un attimo
interminabile. Era la mia unica soluzione? Sì, purtroppo sì.
Strinsi la mia mano nella sua come a sancire un patto.
“Mille dollari.” Ripetei.
Ridacchiò. “Sarà divertente”
Sarà un disastro.
Replicai mentalmente.
“In che data verranno celebrate le nozze?” Chiese alla
sorella.
“Il diciassette luglio.”
“Perfetto.” Mi lasciò la mano incedendo verso l’uscita della
cucina. “In quel giorno sarò il prefetto fidanzato.”
Pensava davvero che fosse così semplice? Risi amaramente.
“No, amore” il mio tono si incrinò a
quel mieloso appellativo. “Noi partiamo tra due giorni. Sono una delle
damigelle ed è mio dovere trascorrere del tempo con l’adorata sposa.” Il sarcasmo era palpabile.
Edward si bloccò sull’uscio della porta. Incedette nella mia
direzione, mi afferrò un braccio e tastò le vene. “Hmm. La vena ironica pulsa
più delle altre.”
Mi liberai dalla sua presa. “Medico da strapazzo!”
Puntò i suoi occhi nei miei. “Quindi per poco più di una
settimana dobbiamo comportarci come una coppietta felice?” E figuriamoci che
ero io quella con la vena sarcastica pulsante!
“Esatto. Credi ancora che sarà divertente?”
Edward ridacchiò beffardo. “Oh si, ancor di più.”
Avevo finalmente trovato la soluzione al mio problema o ne
avevo inconsciamente creato un altro?
COM'E' STATO??
RAGAZZE/I ADESSO ENTRATE IN GIOCO VOI.
HO BISOGNO DI QUANTI PIù
NOMIGNILI POSSIBILI TRA FIDANZATI, SOPRATTUTTO QUELLI FASTIDIOSI,
ODIOSI... LI INSERIRò NEI VARI CAPITOLI. BUON DIVERTIMENTO.
GRAZIE ANCORA PER ESSERE ARRIVATI FIN QUI E PER AVER LETTO UN'ALTRA DELLE MIE PAZZIE.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
2
SALVE
RAGAZZE…
O
MIO DIO!! QUANTI, PREFERITI, SEGUITI… IO SONO DAVVERO COME
RINGRAZIARVI. I VOSTRI COMMENTI MI HANNO FATTO LETTERALMENTE SBELLICARE
DALLE
RISATE E GONGOLARE DI GIOIA. GRAZIE MILLE DAVVERO PER TUTTI I NOMIGNOLI
CHE MI AVETE DATO… SENZA DI
VOI NON SAPREI COSA FARE… GRAZIE MILLE DAVVERO. PIAN PIANO
VEDRETE CHE LI INSERIRò NEI CAPITOLI.
IN
QUESTO CAPPY, I DUE NEOFIDANZATINI DOVRANNO CONOSCERSI UN
PO’ MEGLIO E SCOPRIRE MEGLIO LE SFACCETTATURE DEI LORO
CARATTERI… E POTRETE
VOI ALMENO IN PARTE CAPIRE COSA ACCADRA’ NEI PROSSIMI.
DEDICO QUESTO CAPITOLO
A: A l y s s a; Kumiko_Chan_,
Luis, JessikinaCullen
Nel
prossimo
altre dediche per ringraziarvi per tutto il sostegno.
CAPITOLO 2
Il giorno successivo
trascorsi gran parte del mio tempo al
telefono. Chiamai Reneé, per accertarmi della sua assenza al
matrimonio ed
evitare così qualche spiacevole episodio scaturente dal mio
finto–fidanzato-insopportabile (mia madre era priva di tatto
e, in particolar
modo, di memoria). Prenotai un volo immediato per l’Alaska da
Seattle in modo
tale da arrivare in serata nella casa pullulata da oche starnazzanti.
Adottai
la mia arma migliore con il direttore del Daily Sun per ottenere le
ferie
estive con un netto anticipo; rasentai perfino un atteggiamento
seducente
abdicato dal tono di voce cinguettante molto simile a quello della sua
segretaria-oca
Jessica Stanley; il suo cervello le permetteva esclusivamente di
battere la
tastiera con le sue unghie laccate di un rosso cremisi e accavallare le
gambe
mostrando uno spacco da far invidia al vestito rosso fuoco di Jessica
Rabbit.
Stesso nome, stesso seno rifatto, stesse labbra prorompenti siliconate.
Di conseguenza, fu
proprio Alice a prepararmi la valigia per
il viaggio. Tuttavia, sapevo di non poter riporre piena fiducia nelle
sue mani,
sebbene fosse una delle stiliste più rinominato
dell’intero Stato di Washington;
conoscevo perfettamente i suoi gusti: erano quasi totalmente
contrastanti con i
miei e se nel mio armadio vi erano alcuni abiti estremamente seducenti
era solo
opera sua. Pertanto, le imposi di introdurre solo capi
d’abbigliamento consoni
privi di fronzoli e scollature provocanti. Mi accorsi perfino che
uscì dal mio
appartamento per rientrare poco dopo con una busta gigantesca dalla
quale
traboccavano a penzoloni maniche e spicchi di stoffe di vario colore.
Purtroppo
non potei ispezionare il lavoro di Alice per mancanza di tempo.
Entrai nella mia
stanza scorgendo la figura della mia amica
combattere con la cerniera della valigia. Mi accigliai osservandole con
un
cipiglio contrariato. “Alice, lo sai che se supero il peso
massimo consentito
devo pagare un supplemento?”
“Sono tutte
cose indispensabili, di vitale importanza.” Lei
sbuffò chiudendola definitivamente. Mi inquietai
più del dovuto. Cosa diamine
aveva messo lì dentro? La valigia sembrava scoppiare da un
momento all’altro.
Il mio sguardo si posò su beauty ancora aperto poggiato sul
mio letto.
“Il
bagnoschiuma alle noci?” Domandai incrociando le braccia
sotto al seno.
“C’è
quello alle fresie. Edward è allergico alle noci.”
Rispose ostentando indifferenza.
Arcuai un
sopracciglio. “Lo so, e allora? Tuo fratello ha qualche
disturbo mentale derivante dall’ingurgitare
bagnoschiuma?”
“Quando mi
implorerai di lambire la tua pelle con le mie
labbra in ogni punto del tuo corpo non vorrei avere uno shock
anafilattico.”
Quel fioco ed eccitante soffio sul mio orecchio mi scaturì
brividi lungo tutta
la schiena. Volsi il capo verso l’origine di quella voce
maledettamente
sensuale. Mi imbattei immediatamente in due occhi verdi e un sorriso
altamente
strafottente.
Troppo strafottente.
“Potresti
avere lo shock per altri motivi, fidati.” Al sol
pensiero delle sue morbide labbra sul mio corpo… un calore
divampò infuocandomi
di desiderio. Scossi furiosamente il capo. Non potevo assolutamente
iniziare
quest’avventura con certi pensieri. “Hai preparato
tutto?” Gli domandai col
tentativo di sviare il discorso in altre strade meno tortuose.
“Si,
zuccherino mio. Tu sei, pronta?” Zuccherino mio?! Roteai gli occhi al cielo
indispettita. Mi aveva
scambiata per un pasticcino? Lanciai un’occhiata
all’orologio da muro: segnava
le diciotto in punto.
“Prontissime!”
Rispose Alice chiudendo anche la cerniera del
beauty. “Su, forza piccioncini! Avete un aereo da
prendere!” Mosse entrambe le
mani in avanti in segno di sollecitamento.
“Andiamo.” Mormorai più a me stessa
per infondermi un po’ di pazienza che in presenza dei
fratelli Cullen, come per
magia, svaniva del tutto.
__________
“Perché
abbiamo preso la mia Mercedes, Alice?” Chiese Edward
con un cipiglio alquanto contrariato in viso. Lui e la sua maledetta
sontuosa
auto!
La sorella lo
ignorò bellamente continuando a canticchiare
una canzone degli anni ’60 riprodotta dalla radio.
Giungemmo poco dopo
all’aeroporto di Seattle. Trascinai la
valigia sino al check-in. Poggiai la valigia sulla bilancia: pesava
dieci chili
in più rispetto a quello consentito. Lanciai un occhiataccia
ad Alice che mi
rispose alzando le spalle. Pagai il supplemento e mi accomodai nella
sala
d’aspetto accanto ad Edward. Il mio sguardo si
posò per un attimo sulla borsa
in pelle ai suoi piedi: quella professionale da medico. Le puntai un
dito
contro. “Perché hai portato con te, quella
cosa?”
Ridacchiò
scompigliandosi i capelli. “Anche in vacanza sono
un medico.”
“Io odio i
medici.” Borbottai infastidita. Odiavo l’ospedale
con tutti i suoi annessi e connessi. Anche se molto spesso avevo
immaginato
Edward in camice e… Scossi la testa per ridestarmi da quei
pensieri poco
innocenti.
“Ma, tesoro
mio, tu non dovresti amarmi perdutamente?”
Poggiai teatralmente
la mano sul cuore e sbattei velocemente
le palpebre. “Certo, tesoro mio.” Marcai con la
voce il vezzeggiativo
utilizzato da lui stesso. “Ti amo alla follia.”
“Voi
due!” Disse Alice lanciandoci un’occhiataccia.
“Sembrate cane e gatto. Non potete assolutamente comportarvi
così. Dovete
tenervi per mano.” Afferrò furiosamente le nostre
mani intrecciandole. “Dovete
sussurrarvi parole d’amore e.” Mi lanciò
uno sguardo eloquente. “baciarvi.”
Sobbalzai lasciando
repentinamente lasciando la mano di
Edward. Baciarmi? Con lui che mi guardava con quel sorriso strafottente
da
capogiro? Fortunatamente dall’altoparlante chiamarono il
nostro volo
interrompendo quell’imbarazzante discorso. Alice
sbuffò alzando gli occhi al
cielo. “Tenetemi aggiornata soprattutto sul catering e sul
vestito della sposa.”
Salutammo quel piccolo
demonio formato nana ed incedemmo
nella sala di imbarco.
Entrammo
nell’aereo occupando due sedili imbottiti
adiacenti ad un oblò. Edward al mio fianco era
particolarmente tranquillo, io
invece, tremano e mi torturavo le mani nervosa. Non avevo mai preso
l’aereo e
solo l’idea di stare a migliaia mi metri per aria, staccata
dal terreno mi
faceva letteralmente sudare freddo. Sullo schermo comparve un filmato
esemplificativo di come allacciare le
cinture. Le hostess mimarono le azioni. Mi allacciai la cintura con
fatica a
causa del tremore impossessatosi delle mie mani. Edward si
voltò di scatto
aggrottando la fronte. “E’ la prima volta che
prendi l’aereo?”
Annuii
timidamente. Non potevo negare di fronte all’evidenza. Mi
porse il palmo della
mano. “Stringi la mia mano.”
Le mie
braccia parevano imbalsamate. Le mie mani erano ancorate alla cintura
vicino al
grembo; Edward allungò un braccio e ne afferrò
una stringendola con veemenza. “Fidati
di me.”
L’aereo
decollò: io strinsi la sua mano con forza, quasi a fargli
male e serrai gli
occhi. Poco dopo percepii un piccolo suono acuto e spalancai gli occhi
spaventata. Edward ridacchiò sfiorando il dorso della mano
con il pollice. “Siamo
in volo, ora dovresti essere più tranquilla.”
Lasciai la sua mano
congiungendola nuovamente sul mio grembo all’altra. Non avevo
smesso un istante
di tremare. Un’hostess si chinò mostrando il suo
decolté prorompente. “Posso
portarvi qualcosa?”
Scossi
il capo furiosamente. Edward rispose per entrambi. “No,
grazie.” La ragazze
sorrise cordiale e lanciò un’occhiata alquanto
languida al mio finto -
fidanzato. Potevo percepire una finta – gelosia?
Lui si
slacciò
la cintura. “Sfruttiamo queste ore per conoscere i gusti e le
preferenze
dell’altro. Se ci fanno delle domande dobbiamo essere
preparati.”
Feci
scattare il gancio con due dita. Io sapevo quasi tutto di lui pertanto
questa
conoscenza sarebbe stata alquanto unilaterale. Tuttavia, scossi il capo
in
segno di assenso.
“Da
cosa vogliamo iniziare?” Sorrise sghembo portandosi una mano
al mento. “Piatto
preferito?” Chiese puntando i suoi bellissimi occhi verdi nei
miei. Rilasciai
un ghigno. “Mio o tuo?”
Arcuò
un sopracciglio. “Sai qual è il mio?”
“Lasagne
con poco sugo, molto formaggio filante e leggermente rosolate in
superficie.”
Strabuzzò
gli occhi sorpreso. “Come dia-“
Lo
bloccai prontamente. “Credi davvero che sia tua sorella a
cucinare?”
I suoi
occhi uscirono quasi fuori dalle orbite. “S-sei tu che
cucini?”
Ridacchiai
divertita dalla sua espressione. “La maggior parte delle
volte, sì.”
“Assurdo!”
Si passò una mano tra i capelli incredulo. “Il tuo
piatto preferito?”
“Ravioli
ai funghi.” Risposi con ovvietà.
“Gusti
musicali?” Chiese curioso.
“Stranamente
ascoltiamo la stessa musica.”
Sorrise
storcendo il labbro di sbieco. Quel sorriso mi aveva sempre
affascinato.
“Fiore
preferito?”
“Edward.”
lo ripresi bonaria. “Non ricorderai mai tutto.”
Sul suo
viso spuntò un sorriso di sfida. “Mettimi alla
prova. Fiore?” Ripeté
determinato.
Sbuffai
facendo roteare gli occhi. “Rosa.”
Continuammo
così per circa un’oretta di volo. Mi fece una
miriade di domande ed io risposi sciogliendogli
qualunque curiosità. Non era
così difficile parlare con lui anche se spesso e volentieri
il suo lato
strafottente veniva a galla con troppa facilità. Grazie a
quello scambio di
parole mi rilassai e non potei che essergli grata. Mi aveva distratta.
In
seguito tornò perfino l’appetito e di conseguenza
l’hostess con la nostra cena .
“Cucini
meglio tu!” Disse Edward portando alle labbra un altro pezzo
di carne.
Sogghignai
divertita. “Dobbiamo però preoccuparci di cosa
mangeremo in Alaska.”
Si pulì
la bocca con un tovagliolo. “Come si chiamano le tue
cugine?”
“Kate,
Irina e Tanya Denali.”
Improvvisamente
si fece pensieroso. Una piccola ruga gli increspò la fronte.
“Tanya Denali?”
Sbiancai
portandomi una mano alla fronte. “Ti prego, non dirmi che sei
stato con Tanya.”
Volsi lentamente il capo. Si grattò a nuca imbarazzo.
“Abbiamo avuto un
contatto piuttosto ravvicinato al college.”
“Tanya
al college?” Domandai stranita.
Quell’oca–cugina era anche istruita?
“Diceva
di studiare lingue.” Alzò le spalle.
“Lingue
di vari universitari, casomai. Te compreso” Mi passai una
mano sul viso
infastidita. “Edward se mi fai passare per la stupida della
situazione ti ammazzo
con le mie stesse mani.”
“In
questi giorni sarò solo tuo.” Mi
afferrò una mano baciandone il palmo. Quel
contatto scaturì un potente scossa elettrica. Avrei retto in
quel modo per una
settimana? Probabilmente, no.
LO SO,
LO SO… SEMBRO UNA DEGENERATA. MA L’IMMAGINE DI
EDWARD IN CAMICE MI FA SBAVARE
IN UN MODO ASSURDO.
E
A
VOI?
PS: IL CAPITOLO DI AMORE
PLATONICO ARRIVERA’ A
GIORNI, PROMESSO. HO GIA’ INIZIATO A SCRIVERLO.
(HO
AGGIORNATO IL 14/11/2009 SE PER CASO QUALCUNO NON SE NE FOSSE ACCORTO).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
3
*SAM
ENTRA IN PUNTA DI PIEDI, CLICCA L’ICONA “Aggiungi
un
nuovo capitolo” E SCAPPA VIA A GAMBE
LEVATE … POI, SI PENTE E DICE:
“No,
non sono una codarda! Mi ammazzeranno per il ritardo ma
ho scritto 9 pagine di word per farmi perdonare…” *
SAAAAAALVE….
Sì, QUELLO ERA PROPRIO IL MIO TEATRINO. SONO
CONSAPEVOLE DI ESSERE IN RITARDO. SONO PASSATI BEN SETTE GIORNI
DALL’ULTIMO
CAPITOLO E VI CHIEDO SCUSA MA HO AVUTO QUALCHE PROBLEMUCCIO. SE VOLETE
LANCIARMI DEI RAZZI… ASPETTATE ALMENO CHE MI RIPARI IN UN
BUNKER.
AVVISO
IMPORTANTE: HO CREATO UN BLOG
^^ DOVE PUBBLICHERò
TANTI SPOILER E TEASER
PER NUTRIRE LA VOSTRA CURIOSITA’.
MI SPIEGO MEGLIO: I
CAPITOLI LI CREO SUL TEMPO, NEL SENSO CHE NESSUNO E’
Già SCRITTO O PROGRAMMATO
PERTANTO, OGNI VOLTA CHE NE CONCLUDO UNO, NE INZIO SUBITO UN ALTRO.
IN
CONSEGUENZA DI CIO', TENETE SOTTO CONTROLLO IL BLOG ALMENO DUE GIORNI
DOPO
LA PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO… TUTTAVIA, VI PROMETTO
CHE INIZIALMENTE PUBBLICO
UN TEASER, IN SEGUITO LO SPOILER VERO E PROPRIO. (*me
adora gli spoiler*)
VORREI
RINGRAZIARE I 21 ANGIOLETTI CHE HANNO COMMENTATO LO
SCORSO CAPITOLO… GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE
DAVVERO.
INOLTRE
VORREI RINGRAZIARE ANCHE I PREFERITI, SEGUITI, CHI
LEGGE SILENZIOSAMENTE E CHI CLICCA ANCHE PER ERRORE.
PS:
LUSINA MI HA FATTO UNA DOMANDA ALLA QUALE NEANCHE IO SO
RISPONDERE CON PRECISIONE: ‘QUANTI CAPITOLI SARA’
LA STORIA IN TOTALE’…
FORSE
15, CAPITOLO MENO, CAPITOLO Più. DIPENDE DA COSA
GENERA QUESTA MIA TESTOLINA PAZZA.
Ps2
(che non significa play station 2 ma POST SCRIPTUM 2…
ahahahah): in questo capitolo capiremo cosa ha messo Alice nella
valigia. C'è da preoccuparsi??? Ditemelo voi... :-)
VORREI DEDICARE QUESTO
CAPITOLO A:
@BARBYEMARCO (tesoro
sono 9 pagine di word)
@RODNEY
@COSTANCE_FRY
@JORDY KLEIN
CAPITOLO
3
Dopo
due ore di volo giungemmo a destinazione: Anchorage,
una bellissima cittadina dell’Alaska caratterizzata da un
paesaggio alquanto
suggestivo in particolar modo all’imbrunire; le luci
artificiali -che
illuminavano la città intera- e le montagne alte e
verdeggianti riflettevano
sul golfo dell’Alaska. Osservavo attraverso i vetri dei
sedili posteriore del
taxi giallo i grattacieli; Edward, occupava il lato totalmente opposto
al mio.
Volsi il capo osservando con circospezione quel vuoto che ci separava.
Non
sembravamo affatto due fidanzati. Il nostro era sempre stato un
rapporto quasi fraterno: ci punzecchiavamo
assiduamente in ogni circostanza.
‘Quasi’… perché non lo avevo
mai considerato
come un fratello. Inizialmente avevo avuto la presunta ‘cotta
per il fratello
della tua migliore amica’. Mi aveva letteralmente
affascinata. Impossibile da
evitare a causa della sua innata bellezza. Un infatuazione che
fortunatamente
assopii col passare del tempo.
Edward, di sorpresa,
si schiarì la voce e puntò i suoi occhi
verde nei miei. “Tesoruccio, come dobbiamo comportarci
davanti alle tue
cugine?”
Feci roteare gli occhi
spazientita. “Come due perfetti
fidanzatini?” Ribeccai retorica.
“In altre
parole… dobbiamo tenerci per mano, stare
costantemente l’uno attaccato all’altra e
scambiarci tenere effusioni e baci
passionali?”
Le ultime due parole
mi fecero rabbrividire e purtroppo non
fu una scossa di terrore, bensì di piacere. “Si, e
cercare di battibeccare il
meno possibile.”
Scosse vigorosamente
il capo. “Questo non posso
assicurartelo.”
Aggrottai la fronte.
“Edward, sai che faranno di tutto per
dividerci e, in particolar modo, di scoprire se la nostra storia
è una farsa?”
“Sono
così sanguinarie?” Chiese divertito.
Incrociai le braccia
sotto al seno pensando a cosa avrei
dovuto subire in quella settimana. “Non immagini neanche
quanto.”
Ridacchiò
accorciando la distanza tra noi. “Non sarebbe
meglio collaudare il bacio?” Soffiò a qualche
centimetro dal mio viso. Quella
vicinanza mi stordì leggermente.
Arcuai un sopracciglio
scettica. “Ti serve un collaudo? Non
hai baciato abbastanza ragazze da poterti definire perfino
‘esperto’?” Il mio
tono fu alquanto ironico e probabilmente acido ma ricordavo nitidamente
tutte
le volte che avevo aperto la porta di casa Cullen per far entrare una
ragazza
che sfrontatamente, pigolano il suo nome, entrava nella sua stanza
senza batter
ciglio.
“Effettivamente…”
Edward sorrise sfacciato; si avvicinò
maggiormente sfiorandomi una guancia con un polpastrello.
“Ma, non ho mai
baciato te.” Il suo respiro entrò nella mia bocca
lievemente dischiusa: un
sapore fresco e zuccherino che scaturì un languore
all’altezza dello stomaco.
Fremetti inumidendomi le labbra. Sfoggiò
un sorriso sghembo; non sapevo per quanto avrei retto ancora. Le mie
guance
andarono a fuoco.
“Ha ragione
lui. Il bacio deve essere collaudato.” Esordì il
conducente del taxi osservandoci dallo specchietto retrovisore.
Maledetta coalizione
maschile!
“Però
devo darvi una brutta notizia. Siamo arrivati a
destinazione.” Concluse spegnendo il motore
dell’automobile.
Volsi il capo di
scatto osservando attraverso il vetro la
maestosa villa Denali. Puntai nuovamente lo sguardo su Edward.
“S-scendiamo?”
Annuii sogghignando
divertito. Discesi repentinamente
dall’auto beandomi della fresca brezza estiva sulle guance
roventi. Edward
prese le valigie dietro al portabagagli del taxi, pagò il
conducente e mi
affiancò osservando con circospezione la villa.
“Questa è casa Denali?” Assentii
inerme mordendomi il labbro inferiore. “Accidenti!
E’ enorme!”
L’agitazione
mi pervase totalmente. Non potevo fingere una
malattia rara cosicché da evitare questa farsa?
Guardai il viso di
Edward col timore di scorgere un barlume
di incertezza nel suo sguardo, ma vi trovai solo stupore. In lontananza
intravidi una figura femminile incedere
velocemente nella nostra direzione. Ancheggiava a destra e a manca,
occupando
quasi tutto il marciapiede, facendo oscillare di proposito la sua
ondulata chioma
bionda. Sbuffai energicamente alzando gli occhi al cielo.
“Che ti prende,
micettina mia?”
“Sta
arrivando la moglie del diavolo.” Abbassai lo sguardo
incontrando quello confuso di Edward. “Irina. Sta arrivando
Irina.” Ripetei con
l’irritazione alle stelle.
Fulmineo, cogliendomi di
sorpresa,
mi
circondò la vita con un
braccio ravvicinandomi a lui con impeto ed infilò una mano
nei miei capelli
all’altezza della mia nuca. I nostri visi erano
l’uno ad una spanna dall’altro
e fissavo le sue labbra con una strano desiderio. “Rediamo
ufficiale questo
nostro fidanzamento.” Soffiò prima di posare le
sue labbra sulle mie. Mi
irrigidii all’istante letteralmente spiazzata da quel gesto.
Mi morse con
delicatezza il labbro inferiore. Una scarica intensa mi
lambì la schiena.
Sentii il suo sapore nella
mia bocca e mi ritrovai improvvisamente a bramare un
contatto ancor più intenso.
Quelle labbra morbide,
calde, carnose erano terribilmente
eccitanti. La mia smania venne esaudita senza remore: il bacio si fece
più
intenso, impetuoso, travolgente. Mi lasciai andare totalmente in balia
di
quelle nuove sensazioni. Le nostre lingue si accarezzarono e si
desiderarono
con passione, ardore e bramosia. Mi strinse con maggior vigore a
sé
accarezzandomi la base della schiena con una mano; i nostri corpi erano
spasmodicamente l’uno attaccato all’altro. Potevo
perfino percepire la
consistenza dei suoi possenti pettorali premuti sul mio seno. Le mie
chiusero a
coppa il suo viso per poi scivolare lentamente e perdersi nei suoi
setosi
capelli. Se quella era finzione, potevamo entrambi intraprendere la
carriera di
recitazione. Possedevamo un talento innato!
“Isabella?”
Continuavo a lambire la bocca di Edward
ignorando bellamente quella voce stridula, molto simile al verso di una
gallina
strozzata.
“Isabella?!”
Il tono di voce questa volta fu più alto.
“Hmm…” Mormorai mordendo il labbro
inferiore di Edward. Lui si stacco
leggermente sorridendo sghembo sulle mie labbra. Strabbuzzai gli occhi
imbarazzata. Forse, mi ero lasciata andare più del dovuto.
Percepii il sangue
ribollire nelle guance.
“Isabella!”
Starnazzò nuovamente quella
barbie-formato-gigante. Naturalmente, utilizzò il mio nome
per esteso per
arrecarmi irritazione ma il suo sguardo fu impagabile e sul mio viso
affiorò
inevitabilmente un sorriso vittorioso: i suoi occhi erano quasi fuori
dalle
orbite e non mi sarei affatto sorpresa se la sua mandibola avesse
toccato a
momenti il marciapiede per quanto fosse spalancata.
“Ciao, cara cugina
Irina.” Sì, in quel momento volevo essere io la cugina maligna. Edward si
posizionò alle mie spalle circondandomi
la vita con entrambe le braccia. Tutto sommato, come
finto–fidanzato non era
affatto male.
Irina alzò
un sopracciglio portando una mano al fianco. “E
lui chi è?” Chiese con tono alquanto scettico.
Edward tese la mano
mantenendo tuttavia la stessa posizione.
“Il fidanzato. Piacere, Edward Cullen.”
Lei ci
squadrò alternando lo sguardo ad entrambi con occhio
clinico. Strinse la mano di Edward diffidente.
“Piacere.” Continuò ad
osservarci con circospezione. Mi agitai più del dovuto.
Quasi certamente,
dubitava della nostra unione. Probabilmente anch’io lo avrei
fatto. Edward
incrementò la stretta percependo il mio disagio. Di
sorpresa, mi posò un bacio
dietro l’orecchio. Un’altra potentissima scossa mi
fece tremare perfino le
gambe.
“Entriamo,
Isabella?” Esordì Irina. Utilizzò
nuovamente il
mio nome di battesimo ma non mi scalfì minimamente. Tra le
braccia di Edward
poteva affibbiarmi qualunque nome, perfino Gioconda; le mie
terminazione
nervose erano attratte solo ed esclusivamente dal mio finto-fidanzato
ed
ignoravano deliberatamente il resto. Ci precedette varcando
l’ingresso della
grande villa. Una donna indaffarata, con un grande grembiule legato in
vita
uscì dalla cucina: zia Carmen. “Bella!”
Mi corse incontro stringendomi in un
caloroso abbraccio che ricambiai con affetto. I miei zii erano le
uniche
persone cordiali in quella famiglia, il resto, a parer mio, poteva
essere
deliberatamente gettato nella spazzatura. Mi scostò tenendo
le sue mani ferme
sulle mie spalle. “Quanto sei cresciuta. Sei diventata una
bellissima donna.”
Percepii una risatina
isterica e derisoria alle mie spalle. Ah,
come avrei voluto assestare un pugno in pieno viso ad Irina
deformandole quel
finto e costoso naso.
Mia zia
strabuzzò gli occhi osservando compiaciuta Edward.
“E questo bel ragazzo?”
“Il mio
fidanzato.” Affermai risoluta con tono alto
affinché
potesse udire anche mia cugina. La bocca di Carmen si chiuse formando
una piccola
‘o’ muta di stupore. Tese la mano verso Edward
mostrando un sorriso radioso.
“Caro, piacere di conoscerti e benvenuto nella nostra
casa.”
Le strinse la mano
elargendole uno di quei suoi sorrisi da
cardiopalma. “Il piacere è mio,
signora.”
“Bella,
avete fame? Vi preparo qualcosa? Volete riposare?
Avete fatto un lungo viaggio, sarete stanchi.” Disse zia
tutto d’un fiato
esibendo involontariamente il suo dolce lato materno.
“Effettivamente
siamo un po’ stanchi.” Guardai Edward che
annuii concorde alla mia scelta.
Ella, di rimando,
assentì comprensiva. “Allora non esitate
un attimo a rintanarvi. Fate come se fosse a casa vostra.”
“Kate e
Tanya, non ci sono?” Domandai più per cortesia che
per mero interesse; il mio stato di allerta doveva essere perennemente
attivo.
“Kate
è uscita con Garrent; torna in tarda serata per cui
credo che vi vedrete direttamente domani mattina. Tanya, invece
è in viaggio.
Tra un paio di giorni sarà di ritorno.”
Solo due giorni!
Eppure, non potei evitare di festeggiare
tacitamente di quella breve assenza di entrambe le cugine. Per la prima
volta,
la fortuna, sembrava dalla mia parte. “Irina, accompagnali al
secondo piano
nella stanza degli ospiti.” Indispettiva la figlia
girò il capo incedendo ai
piani superiori.
“Buonanotte,
zia. E grazie.”
Le diedi un bacio sulla guancia ed aiutai Edward con le valigie. Una
volta giunti
al piano superiore, Irina si fermò innanzi ad una porta in
legno massello
mostrando uno sorrisetto strano, alquanto preoccupante.
“La mia
stanza, e laggiù, l’ultima porta a
destra.” Lanciò
uno sguardo languido ad Edward; dopodiché si
voltò ravvivando i capelli con una
mano ed attraversò il corridoio ancheggiando vistosamente.
Era così sfacciata
da provarci con il mio fidanzato? Assolutamente sì.
L’avevo provato duramente
sulla mia pelle nei tempi addietro.
Edward
sogghignò divertito intuendo immediatamente
quell’invito provocatorio. Abbassai la maniglia della porta
varcando la soglia
della ‘nostra’ stanza. Come c’era da
aspettarsi, era una camera ampia
costituita da un grande letto a due piazze, un armadio in ciliegio
adiacente al
muro ed una poltrona in pelle bianca. L’arredamento, molto
probabilmente scelto
da zia Carmen avente gusti molto raffinati ed eleganti, era tutto in
stile
rigorosamente moderno. Tuttavia, il mobilio che mi suscitò
preoccupazione fu
proprio il letto ‘matrimoniale’. Non avevo alcuna
intenzione di dividerlo con
Edward. Eravamo in estate: il pavimento sarebbe risultato per lui molto
più che
comodo e rinfrescante.
Posammo le valigie sul
letto, tutto in religioso silenzio,
probabilmente scaturito dal precedente momento imbarazzante. In fondo
al lato
destro della stanza una porta molto simile a quella
dell’entrata attirò la mia
attenzione. Mi avvicinai spalancandola. Un sontuoso bagno si
mostrò ai miei
occhi costituito da un box doccia in vetro, un’ampia vasca
e sanitari in ceramica bianca. Uno stile
moderno e impeccabile. Una doccia rilassante era proprio quel che ci
voleva per
distendere totalmente i miei nervi in tensione. Tornai nella stanza
scorgendo
Edward combattere con il cellulare vicino alla grande vetrata della
stanza.
“Siamo in
periferia e la ricezione è pessima.” Dissi ancor
prima che potesse farmi qualche domanda a riguardo.
“Volevo
avvisare Alice.” Soffiò infastidito facendo
scorrere
il dito sul vetro touchscreen del suo IPhone.
Tentai di aprire la
cerniera della valigia con scarso
risultato. Sembrava incastrata. Edward mi affiancò
sogghignando divertito.
“Vuoi una mano?” quel suo atteggiamento
strafottente mi mandava fuori di senno!
“No, grazie.
Non ho bisogno del tuo aiuto.”
Tirai con
più forza il gancio della cerniere spostandolo solo
di qualche millimetro. Maledii mentalmente Alice e la sua ossessione
per lo
shopping.
Un ghigno alle mie
spalle. Mi girai di scatto fulminandolo
con lo sguardo. “Smettila di ridere. Si è
impigliata e neanche tu ci
riusciresti.”
Sorrise sghembo
incrociando le braccia al petto.
“Scommetti?” Si avvicinò alla valigia,
ignorando le mie proteste: chiuse quella
piccola parte di cerniera precedentemente aperta da me con certo sforzo
e la
tirò dal lato opposto con un gesto secco.
“Dicevi,
micetta mia?” Quell’appellativo smielato mi
irritava più del dovuto!
Aprì la
valigia rivelando in superficie una serie di capi succinti
in pizzo, seta e velo particolarmente trasparente. Edward ne
afferrò uno mostrando
un babydoll
color pesca con rifiniture in pizzo e fiocchettini neri. Cosa
diamine aveva messo Alice in quella valigia?! Avvampai
all’instante a disagio.
Afferrai l’indumento, lo infilai nella valigia e la richiusi
velocemente
parandomici davanti. Lo sguardo di Edward era scettico e al contempo
sbigottito.
“T-tu indossi quelle cose?”
Arrossii maggiormente.
“Vorrei farti notare che la valigia
me l’ha preparata Alice.” Punta in viso continuai
con tono austero cercando,
tuttavia, di celare l’imbarazzo che percepivo sino alle punta
delle dita dei
piedi. “E anche se fosse?”
Alzò le
mani mostrando i palmi in segno di difesa. “Nulla in
contrario.” Quel maledetto sorriso
sfrontato spuntò sul suo viso.
“Anzi…” quella frase, lasciata
così in sospeso
mi suscitò maggiore imbarazzo. Afferrai la valigia e con un
certo sforzo la
trascinai nel bagno. Una volta dentro serrai la porta girando la chiave
nella toppa.
Abbassai la maniglia per verificare l’efficienza della
serratura e… la porta si
aprì placidamente. Riprovai girando la chiave più
volte ma il risultato fu lo
stesso. “Accidenti!” Imprecai con tono alto. Mi
sedetti sulla valigia poggiando
il mento sui palmi delle mie mani. In quel momento decifrai quel
sorriso
impertinente sul viso di mia cugina Irina. Lo aveva fatto sicuramente
di
proposito.
La testa di Edward
sbucò dalla porta. “Che succede?”
“La
serratura è rotta!” Esclamai inviperita.
“E
allora?” Chiese lui con indifferenza.
“E
allora?!” Ripetei scettica. “Non posso chiudere la
porta
del bagno a chiave e tu non ci trovi nulla di assolutamente
problematico?”
Si strinse nelle
spalle. “Siamo fidanzati. La doccia
possiamo farla assieme.”
Mi coprii il volto
maledicendo il sangue che man mano si
propagò sulle mie guance. “Maledetta
Irina.”
“Però…”
Esordì d’un tratto Edward. “Non mi avevi
detto che
la cugina era così carina.”
Quella frase mi fece
ribollir il sangue, e non per
l’imbarazzo, bensì per l’irritazione.
Edward aveva la capacità di suscitare in
me troppe emozione; alcune totalmente contrastanti tra loro. Urgeva una
vendetta.
“Edward, se
avevo una minima intenzione di fare la doccia
con te… questa è svanita grazie a questa tua
ultima osservazione.”
Mi compiacqui nel
notare i suoi occhi spalancarsi, quasi
fuori dalle orbite. “Bella, stai scherzando vero?”
Chiese in un sussurro.
Ah, gli uomini. Tutti
con lo stesso pensiero. Edward
compreso, naturalmente. Mi rizzai in piedi afferrando la maniglia della
porta.
“Chissà…” mormorai con tono
suadente. Notai, all’altezza del suo collo, il pomo
d’Adamo scendere e salire con fatica in un evidente segno di
deglutizione di
saliva. Spinsi Edward dalle spalle fuori dal bagno. Gli puntai un dito
contro
minacciosa. “Non posso chiudere la porta a chiave, pertanto
non approfittarne.
Non entrare per nessun motivo.”
Si strusciò
le mani assumendo ancora una volta quell’aria
strafottente. “E se improvvisamente ti sentissi male? Sono un
medico. Potrei
salvarti la vita.”
Simpatico! Davvero
simpatico!
“In quel
caso, lasciami morire.” Affermai prima di
concludere definitivamente quel discorso chiudendo la porta del bagno.
Vi spinsi
la valigia bloccandola in parte; era pesante ma non così
tanto da impedirgli
l’accesso. Afferrai il beauty e mi accinsi a bearmi di una
doccia calda e
rilassante.
______
Trovare in quella maledetta valigia qualcosa di consono per
la notte fu piuttosto difficile. Vi erano all’interno solo
indumenti seducenti
ed estremamente provocanti. Non avevo mai indossato cose del
genere… e poi chi
avrei dovuto sedurre?!
Setacciai tutta la
valigia in cerca di qualcosa decente e, per
quanto possibile, coprente. Sforzo totalmente inutile. Non vi era
neanche una
comoda tuta ginnica da poter utilizzare come pigiama! Perché
avevo affidato ad
Alice l’incarico di preparare la valigia?! Eppure ero stata
tremendamente
categorica sugli abiti da immettere!
Maledizione! Al
ritorno le avrei inveito contro con tutta la
forza in mio possesso.
L’acqua
calda scrosciante mista al profumo di fragola del mio
bagnoschiuma ebbe un esito altamente narcotico sul mio corpo, tanto che
mi
dimenticai perfino che avrei dovuto dividere un letto matrimoniale con
Edward.
Tuttavia, quell’effetto svanì nel preciso istante
in cui dovetti indossare il
pigiama più pudico tra tutti quelli vigenti: una succinta
sottoveste in raso
blu -che a stento copriva metà coscia- con rifiniture in
pizzo sul seno. Mi
guardai allo specchio tirando in giù i lembi della
sottoveste tremendamente provocante.
Maledizione! Era raso: non poteva allungarsi.
Due tocchi alla porta
mi fecero rinsavire e sussultare
spaventata. “Hai bisogno di un medico? Io sono a tua completa
disposizione.”
“Edward,
saresti così gentile da fare un favore alla tua
fidanzata?” Balbettai mordendomi il labbro inferiore.
“Bella, stai
bene?” Chiese con tono leggermente preoccupato.
“Sì,
sto bene.” Tirai un grosso sospiro. “Eviteresti di
commentare il mio ‘pigiama’?” Era inutile
imporgli di chiudere gli occhi: non
l’avrebbe mai fatto.
“E’
così brutto?” Chiese con tono divertito.
“Hmm…”
Mormorai stendendo meglio la stoffa sul ventre.
“Prometti che eviti commenti?”
Dall’altra
parte della porta percepii un sonoro sbuffo.
“D’accordo. Però se non esci tu, entro
io.”
Scostai la valigia;
inspirai a pieni polmoni ed aprii
lentamente la porta. Edward, addossato allo stipite, sgranò
gli occhi facendo
vagare il suo sguardo dall’alto verso il basso.
“B-brutto?”
Chiese in un sussurro deglutendo rumorosamente.
Continuò ad osservarmi con circospezione. Mi avvolsi il
busto con un braccio e
gli puntai un dito contro. “Niente commenti,
ricordi?”
Annui umettandosi le
labbra. Solo in quel momento mi resi
conto che lui indossava un accappatoio blu notte legato in vita da una
fusciacca in spugna dello stesso colore. Dall’apertura sul
petto potei
intravedere una canotta candida in cotone tremendamente aderente.
Arrossii
vistosamente chinando lo sguardo imbarazzata. La situazione era
alquanto
strana. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Il bagno è tutto
tuo.” Mi allontanai lasciandogli libero accesso. Si passo una
mano tra i
capelli. “Ho decisamente bisogno di una doccia.”
Entrò chiudendosi la porta
alle spalle.
Tirai di nuovo i lembi
della sottoveste. Accidenti ad Alice!
Vagai con lo sguardo
nella stanza e notai gli indumenti di
Edward piegati con estrema accuratezza sulla sua valigia. Era molto
ordinato
per essere di sesso maschile: su questo non c’era alcun
dubbio. Mi accinsi a
preparare il letto matrimoniale solo da un lato posando i cuscini da
arredo
sulla poltrona. Schiusi le ante dell’armadio tirando fuori un
paio di coperte.
Le stesi accuratamente ai piedi del letto poggiandovi sopra un lenzuolo
candido
ed un soffice guanciale. Come letto improvvisato era perfetto!
“Hai
intenzione di dormire sul pavimento?” Chiese Edward
sbucando dal bagno. Indossava una canottiera bianca tremendamente
attillata
–tanto da lasciar correre poco l’immaginazione- ed
un pantalone ginnico molto
largo. Indossava quegli stessi indumenti per dormire anche a Seattle
ma, ogni
volta, era una visione estatica per i miei occhi. E naturalmente non
riuscii ad
esimermi dal fare una minuziosa radiografia al suo corpo.
Perché doveva essere
sempre così maledettamente sexy?!
Mi spostai i capelli
da un lato. “Veramente… questo è il tuo
letto.”
Si passò
una mano tra i capelli bagnati scompigliandoli.
“Perché? Non possiamo dormire nello stesso
letto?”
Mi sfuggì
una risatina. “Direi proprio di no.”
Incrociò le
braccia al petto facendo di conseguenza
contrarre i muscoli del petto e delle braccia.
“Perché no? Siamo fidanzati.”
Dichiarò con un sorriso.
“Finti
fidanzati.” Precisai compassata.
“Perché
tu dovresti essere l’unica a dormire comodamente su
un letto matrimoniale? E’ troppo grande per te.”
Mi avvicinai
lentamente adagiandomi sul materasso, e
accavallando istintivamente le gambe. Allungai il busto
all’indietro
sorreggendomi sui gomiti. “Perché sei un
gentiluomo e come tale concedi questo
piccolo privilegio ad una fanciulla indifesa.”
Edward mi
squadrò nuovamente attentamente da capo a piedi.
Deglutì a vuoto. “Indifesa.”
Ripetè sommessamente. “Forse è meglio
così. La doccia
non ha sortito affatto l’effetto desiderato.” Si
allontanò sprofondando sul
letto improvvisato.
Aggrottai la fronte
perplessa. “Quale effetto?” Domandai
scostando le lenzuola.
“Niente,
niente.” Mormorò stendendosi completamente
poggiando il capo sul guanciale. Non compresi affatto la sua risposta.
E
dicevano che eravamo noi donne ad essere complicate! mi coprii le gambe
col
lenzuolo candido.
“Ah…
Edward?” lo chiamai dopo aver spento la luce
dell’abatjour.
“Hmm?”
Un mugugno come risposta.
“Grazie per
oggi… fuori… quando è arrivata Irina
all’improvviso.” Le parole si concatenarono fra
loro rendendo la mia
affermazione disconnessa e poco chiara, ma fortunatamente, Edward
capì
ugualmente. “Di niente. Ma…” fece una
piccola pausa. “Non merito il bacio della
buonanotte?”
Ridacchiai divertita
avvinghiandomi al cuscino. “’Notte
Edward.” Chiusi gli occhi, e stremata, mi addormentai
all’istante.
_____
“Bella!”
“Bella?!”
Percepivo degli
schiamazzi al di fuori della stanza e un
incessante e fastidioso picchio alla porta. Schiusi con fatica un
occhio
guardando i numerini luminosi della radiosveglia: ore 3:45. Chi era
quella
squilibrata da svegliarmi nel cuore della notte?
“Bella?!”
Accidenti! Quella era
la voce di Kate e sapevo che se non
avessi aperto la porta a momenti sarebbe stata capace anche di
sfondarla … ma
se l’avessi fatto avrebbe notato Edward sul pavimento.
Maledizione!
Mi alzai
repentinamente dal letto districandomi da
quell’aggroviglio di lenzuola. Mi precipitai ai piedi del
letto e scrollai
Edward dalle spalle. “Edward!”
Niente.
Lo squassai con
più vigore. “Edward, svegliati.”
Mugugnò
qualcosa in protesta. “Edward, maledizione alzati.”
Sollevò una
mano sventolandola lentamente. “Mamma, voglio
dormire un altro po’.”
Non riuscii a
trattenere un sorriso. Quel ragazzo era
incredibile.
“Bella, mi
apri?”
Ancora Kate! Lo
scrollai ancora una volta con maggior
vigore. Schiuse lentamente un occhio. Gli tirai con forza un braccio.
“Vatti a
mettere nel letto. Ora!”
Si alzò con
estenuante lentezza e con pigrizia si avvicinò
al letto matrimoniale. Borbottò qualcosa infastidito.
Credeva di essere stato
l’unico ad essere stato svegliato nel cuore della notte?! Per
affrettare i
tempi lo spinsi dalle spalle: si lasciò andare gettandosi a
peso morto sul
letto. Spinsi le coperte poggiate sul pavimento sotto al letto. Mi
accinsi ad
aprire la porta e schiuderla leggermente. Assunsi un’aria
assonnata. Non che
non fossi stanca, ma quel trambusto mi aveva letteralmente
scombussolata.
“Kate, sei tu?” Mormorai osservando la figura di
mia cugina con gli occhi
ridotti a due fessure.
Lei di rimando
sfoderò un sorriso sardonico e poggiò una
mano sulla porta. “Quando ho saputo che eri arrivata ad
Anchorage non ho atteso
un attimo in più. Non sono riuscita a trattenermi. Dovevo
assolutamente
salutarti.”
Che cara cugina! Si
era ‘letteralmente’ precipitata. Eppure,
ci avevo impiegato meno tempo io ad arrivare da Seattle. Che quella
sera fosse
stata in quale locale all’altro capo del mondo?!
“So che sei
venuta con un ragazzo.” Disse con tono
sprezzante, quasi incredulo.
“Fidanzato.”
Ribeccai per sottolineare il concetto di proprietà privata. Con forza, spinse la
porta sino a ritrovarsi all’interno. Osservò
Edward con attenzione. Lui era
accoccolato al centro del letto e dormiva beatamente. Che ghiro!
“Come vedi
Edward, sta dormendo. Pertanto, ci vediamo domani
mattina. O forse dovrei dire fra qualche ora?”
Percependo
l’acidità nel mio tono si girò sui
tacchi ed uscì
dalla stanza mormorando, “A domani cuginetta cara.”
Sì, cara un
corno! Chiusi nuovamente la porta a chiave. Mi
sedetti sul bordo del letto osservando i lineamenti distesi del viso di
Edward:
aveva un espressione totalmente pacata. Mi sentii improvvisamente in
colpa: mi
dispiaceva svegliarlo di nuovo ed obbligarlo a dormire nuovamente sul
pavimento.
Mi adagiai di nuovo
nel letto –tirandomi fin sotto al mento
il lenzuolo- invadendo il minimo indispensabile, lasciando un vuoto tra
noi
sperando di non essere -se non altro- io ad invaderlo nel resto della
notte.
PIGIAMA BELLA
BAGNO
CAMERA
DA LETTO
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
4
SE PER LO SCORSO
CAPITOLO SONO ENTRARE IN EFP IN PUNTA DI
PIEDI, BEH.. QUESTA VOLTA, DOVREI USARE IL MANTELLO
DELL’INVISIBILITA’ DI HARRY
POTTER O DOVREI DIVENTARE IMPROVVISAMENTE “LA COSA”
PER PATIRE I POMODORI SUL
MIO CORPO (LI MERITO, LO SO).
SOB.
SCUSATE,
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE.
COME HO Già
SPIEGATO NEL BLOG
HO AVUTO QUALCHE PROBLEMINO…
FORTUNATAMENTE QUASI TUTTI RISOLTI.
SOLO UNO PERSISTE: MIA
MADRE E LA SUA INDOLE ASSASSINA NEI
MIEI CONFRONTI E IN QUELLI DEL MIO POVERO PC!
COSA POSSO DIRVI RIGUARDO AL
CAPITOLO: BEH, CREDO CHE TUTTE
ABBIATE CAPITO CHE SI TRATTA DEL RISVEGLIO… E NON SOLO! VI
DICO SOLO UNA
COSINA: NON
SOTTOVALUTATE LE OCHE.
A QUANTO HO POTUTO
NOTARE, L’ARRIVO DI TANYA E’ STATO MOTIVO
DI SCALPORE
PER MOLTE DI VOI… NON SAPETE COSA HO IN SERBO…
MUAAAA (RISATA DIABOLICA).
TUTTAVIA, SPERO VIVAMENTE CHE QUESTO CAPITOLO NON SIA NOIOSO E CHE
RIUSCIRETE A
LEGGERLO FINO ALLA FINE PRIMA DI SBATTERE CON LA TESTA SULLA TASTIERA
ADDORMENTATE.
RINGRAZIO
IMMENSAMENTE I PREFERITI, SEGUITE, CHI LEGGE
SILENZIOSAMENTE E SOPRATTUTTO… ALLE ANIME PIE CHE
COMMENTANO. QUANDO HO VISTO
QUEI DUE NUMERINI, 35, MI E’ VENUTO UN INFARTO.
NON MI DILUNGO TROPPO.
PICCOLA NOTA:
PER COMPRARE UN REGALO
DI NATALE C’E’ MASTECARD,
PER AVERE EDWARD
CULLEN NEL PROPRIO LETTO PURTROPPO NON
BASTA MASTERCARD,
MA…
COMPRENDERE DI ESSERE TRA GLI AUTORI PREFERITI DI BEN 48
PERSONE… NON HA PREZZO.
GRAZIE, GRAZI, GRAZIE.
DEDICO IL CAPITOLO A:
ELI87
WHITEROSE
SHINALIA (che
pazientemente segue ogni mia pazzia)
YLE_CULLEN
Ps: vorrei ringraziare
tutti coloro che hanno letto
l’extra
di FATE OF LOVE; mi avete reso immensamente felice.
ps2: HO PUBBLICATO UNA ONE-SHOT: PERICOLOSI DESIDERI UMANI!
SE LA LEGGETE E INFINE PERCEPITE UNO STRANO DESIDERIO OMICIDA NEI MIEI
CONFRONTI... VI CAPISCO MA CERCATE DI REPRIMERLO PER IL MIO
BENE!
CAPITOLO 4
Un soffice raggio di sole mi
accarezzò il viso. Strinsi con maggior vigore quella fonte di calore che
percepivo nettamente a contatto con le mia pelle nuda.
“Bella?”
Una voce vellutata e roca
giunse alle mie orecchie come il dolce infrangersi delle onde sulla riva. Istintivamente
piegai la gamba sinistra strusciando la coscia su qualcosa di morbido rivestito
dal cotone liscio e stranamente caldo. Un gesto abituale che facevo ogni
mattina nel dormiveglia beandomi di quel momentaneo tepore.
“B-Bella?”
Quel richiamo era ovattato
e non individuai subito a chi appartenesse talmente priva di forze in quel
momento. Ero nel confort più assoluto. Strinsi tra le mani un lembo di stoffa.
Mossi nuovamente la gamba su e giù; il materasso sembrava stranamente più
morbido di quanto ricordassi. Allentai la presa lisciando la stoffa con i
polpastrelli delle mie dita. Al tatto percepii una superficie morbida e soda al
tempo stesso. Seguii le delicate curve soffermandomi maggiormente nelle
infossature. Spostai la mano poggiandovi il capo.
Tum… tum… tum…
Sembrava il battito
cadenzato di un cuore eccitato.
Pian piano, riacquistai
lucidità ed una consapevolezza si fece spazio prepotentemente nella mia mente.
Cuore? Calore? Superficie
morbida e… soda? Mossi leggermente la gamba piegata; al di sotto potei
percepire qualcosa di duro.
Mi
irrigidii all’istante. L’unica plausibile e spaventosa giustificazione era
che…
“Micetta, sei sveglia? O
forse dovrei chiamarti orsetta marsupiale?” L’imbarazzo si fece strada strisciando
lungo tutto il mio corpo come un serpente.
Strabuzzai gli occhi
trovandomi il viso di Edward ad una spanna dal mio. Accidenti! Ero totalmente
avvinghiata al suo corpo. Sobbalzai spaventata e sbilanciandomi caddi rovinosamente
all’indietro sul pavimento. Gemetti dolorante massaggiandomi un fianco. Edward
alzò di scatto il busto piegandosi in avanti in preda dalle risate.
Non solo la legnata;
perfino la beffa!
“La smetti di ridere?” Lo
rimproverai tirandogli addosso la coperta che casualmente mi ero trascinata sul
pavimento. Quella fu una mossa maledettamente sbagliata: la mia sottoveste in
raso era totalmente sollevata da un lato esibendo una mia gamba nuda per intero;
si intravedeva perfino una misera porzione dello slip in pizzo blu. Arrossii
vistosamente all’istante. Mi alzai repentinamente in piedi dal pavimento
tirando i lembi della sottoveste verso il basso. Edward spalancò gli occhi;
deglutì a fatica e mancò poco che si strozzasse con la sua saliva stessa. Fu il
mio turno di ghignare. Una piccola vendetta tanto involontaria quanto efficace.
Rimuginai qualche secondo sulla
caduta, in particolar modo, dal lato cui essa aveva avuto luogo. Ricordavo
perfettamente che la notte precedente avevo occupato il fianco sinistro del
letto. Cosa ci facevo al lato opposto?
“Come mai ero qui?”
Domandai indicando con una mano una piccola porzione di materasso alla sua
sinistra.
Rise nuovamente, “ Sei un
ciclone mentre dormi. Fai dei monologhi assurdi e ti muovi continuamente.”
Imbarazzata, arrossii di nuovo conscia di quei miei piccoli problemi notturni.
“Stanotte ti sei aggrappata al mio braccio come un koala e stamattina, alle
prime luci, mi hai sovrastato con il tuo corpo. Non avevo neanche intenzione di
spostarti, giuro. Ma sei scivolata lateralmente, rimanendo tuttavia appigliata
alla mio pigiama e…” si lasciò sfuggire un ghigno impertinente. “…al mio fianco
con una gamba.”
Il rossore sulle mie guance
aumentò, incerta in quell’istante se fosse dovuto all’irritazione o all’imbarazzo.
Probabilmente da entrambi.
Dovevo assolutamente
arginare l’impaccio del momento altrimenti non sarei mai riuscita a tenergli
testa. Mi avvicinai ostentando un passo sensuale; gli delineai il contorno del
viso con le dita. “Hmm, a quanto ho potuto capire, non ti è affatto dispiaciuto.”
Si umettò le labbra. “Probabilmente
avrei preferito fare altro stanotte anziché ascoltare i tuoi discorsi
sconnessi.” Era maledettamente bravo a provocare; molto più di me ma non per
questo mi sarei arresa. Mai.
Gli diedi un colpetto sulla
fronte con il palmo della mia mano. “Vado a farmi una doccia.” Aprì la bocca ma
prontamente gliela richiusi con due dita bloccandogli le parole sul nascere.
“No, non voglio la tua compagnia.”
Sbuffò arricciando il
labbro inferiore. Mi prese delicatamente il polso e con garbo scostò la mia
mano dal suo viso, poi non abbandonando, tuttavia, la presa. Rimasi per qualche
secondo affascinata dai suoi occhi verde smeraldo: erano bellissimi.
Arcuò un sopracciglio.
“Cosa ci facevo nel letto? Non mi ero addormentato sul pavimento che gentilmente avevi allestito come
letto-improvvisato?” Potei percepire nettamente dal tono di voce una sfumatura
ironica.
Mostrai un espressione
alquanto scettica. “Non ricordi nulla?”
Scosse il capo stringendosi
nelle spalle. Quello era certamente un punto a mio favore: perché non
divertirmi e prenderlo in giro?
“Volevo la tua compagnia
stanotte; ti sei perfino alzato ma una volta raggiunto il letto ti sei
addormentato all’istante.” Feci spallucce con indifferenza. Edward aggrottò la
fronte assumendo un’aria perplessa, talmente buffa ai miei occhi che non
riuscii a trattenere le risate. Spalancò la bocca conscio della presa in giro.
Cogliendomi di sorpresa mi afferrò dai fianchi portandomi incredibilmente sotto
di lui. Il suo corpo mi sovrastava completamente; potevo distintamente
percepire le sue anche premere contro il mio bacino. Un contratto piuttosto
intimo e, purtroppo, tutt’altro che sgradito.
“Posso rimediare subito, se
vuoi.” Soffiò a qualche centimetro dalle mie labbra. Il suo alito entrò nella
mia bocca e inevitabilmente la mia mente volò al nostro primo, travolgente
bacio. Ah, come avrei voluto avvertire nuovamente quelle sensazioni. Mi venne
l’acquolina in bocca neanche fosse un dolcissimo pasticcino ricoperto
interamente di glassa. Le mie guance si imporporano tradendo le mie stesse
emozioni.
Quel solito sorrisetto sfacciato
spuntò sul suo viso resosi conto della mia debolezza per quelle labbra
tentatrici. Ebbi l’istinto mordace di mordergliele con forza sino a fargli
male.
Un idea balenò nella mia
testa: alzai entrambe le gambe circondandogli la vita, ignorando la vista delle
mie cosce totalmente denudate e con una spinta, dallo sforzo non indifferente,
ribaltai le posizione portandomi di conseguenza a cavalcioni su di lui seduta,
fortunatamente, sullo stomaco, così da trovarmi io nella posizione predominate:
potevo alzarmi vincitrice dal suo corpo senza alcun problema. I suoi occhi si
aprirono e le sue mani, arpionate ancora alla mia vita, tremarono leggermente.
Non potei fare a meno di
notare che la nostra posizione risultasse alquanto ambigua, ai miei occhi
perlomeno. Il suo respiro era accelerato e lo stomaco si alzava e si abbassava
frenetico muovendo anche me di conseguenza. Uno strano calore divampò nel mio
corpo impedendomi, in quell’attimo, di pensare e agire lucidamente. Ero attratta
dal suo corpo scultoreo ed avvertivo l’irrefrenabile desiderio di sentire le
sue mani sulla mia pelle nuda. Essere in preda dall’ecc-
Scossi impercettibilmente
il capo. Cosa andavo farneticando?!
Mi alzai di scatto
ricevendo un mugolio di disappunto da parte sua. “Io stavo comodo.” Replicò
strafottente e roco quasi allo stremo.
Giunsi davanti al bagno
percependo ancora quel calore ardere nel mio corpo e sulla mia pelle. “Vado a
farmi una doccia.”
“Sicura di non voler
compagnia?” Mi chiese incrociando le braccia dietro al nuca.
“Ma tu non ti arrendi
mai?!” Entrai nel bagno chiudendomi la porta alle spalle udendo per ultimo un
ghigno divertito.
___
Purtroppo la scelta
dell’abbigliamento giornaliero fu difficile quanto quello inerente alla notte. Come
sospettato, nella valigia non vi erano pantaloni, neppure dal taglio elegante e
femminile. Essa conteneva solo vestiti di varie lunghezze e ben quattro paia di
scarpe perfettamente abbinabili a ciascuno di essi.
Guardai la mia immagine
riflessa nello specchio: l’abito nero che avevo scelto mi fasciava
completamente il corpo, dalle spalle alle gambe. Esso era senza maniche con
un’ampia scollatura a V che esibiva il taglio delicato del mio decolté, mentre
la gonna sfiorava il ginocchio; l’angolo sinistro era leggermente arricciato
mostrando una piccola porzione di coscia. Tutto sommato non era male, né tanto
provocante quanto avrei creduto. Lasciai ricadere i miei boccoli castani lungo
la schiena.
Una volta terminati i
preparativi, uscii dal bagno. “Edward, io h-“
Le parole mi morirono in
gola scorgendo Edward dormiente sul letto matrimoniale; di nuovo. Sul suo viso
era dipinto un sorriso ingenuo, semplice. Un diavoletto dalle fattezze
angeliche. Lo lasciai dormire ancora un po’ dato l’ora prematura, e già
consapevole di ciò che avremmo dovuto sorbire quella mattina alle prese con le
mie cugine.
Discesi le rampe di scale
varcando poi la soglia della cucina.
“Isabella.” Esclamò Irina scrutando
oltre le mie spalle. “Il tuo fidanzato?”
“Sta dormendo.” Risposi con
tono fermo e deciso.
Kate incurvò le labbra. “Non
vedo l’ora di conoscerlo.”
“Siete stati molto
silenziosi questa notte. Timidi?” Proferì la sorella con noncuranza
sorseggiando il suo caffè.
“No, educati a differenza
di altre persone” Replicai saccente. Irina era priva di pudore e questo era ben
risaputo, probabilmente in tutto lo stato di Washington.
“Bella, oggi dobbiamo fare
tantissime commissioni.” Esordì Kate esibendo un finto sorriso benevolo.
Quel plurale mi inquietò.
“Anche io?”
Mia cugina imbronciò il
viso. “Certo, anche tu. Altrimenti che damigella saresti?”
Una damigella costretta? Quell’ultimo pensiero, seppur veritiero, non uscì
dalle mie labbra.
“E naturalmente verranno con
noi anche gli uomini. E’ incredibile che tu abbia trovato un fidanzato.” Continuò
aggiungendo un piccola risata isterica altamente irritante.
Versai il caffè in due
tazze pulite poste sul grande tavolo da pranzo. Una per me, una per Edward. “Beh,
Kate… se perfino tu hai trovato una persona disposta a sposarti…” Con quella
frase lasciata volutamente in sospeso abbandonai il fronte di guerra sicura che,
entrambe, avrebbero impiegato molto
tempo per comprendere il nesso delle mie parole. La materia grigia, purtroppo,
non era l’elemento predominante tra le mie cugine.
Con il gomito piegai la
maniglia aprendo la porta della nostra camera da letto. Mi bloccai sull’uscio
stordita e abbacinata. Edward era in piedi, intento a cercare qualcosa nella
sua valigia poggiata sul letto, con indosso solo un asciugamano a coprirgli la
parte inferiore del corpo, dalle anche in giù sino alle ginocchia. Ma gli
uomini non utilizzavano gli accappatoi?!
I suoi capelli grondavano
d’acqua e tante piccole perle ricadevano giù, lungo il collo, indugiando più
del dovuto nei solchi dei pettorali scolpiti e degli addominali a tartaruga.
Come in un deserto, tormentata dalla seta, bramavo quelle goccioline.
Quell’immagine sembrava così maledettamente irreale: un miraggio dannatamente
attraente nel mio deserto sperduto di cupidigia. Il calore che divampò nel mio
corpo fu un inezia comparato ai gradi sopraelevati del Sahara. Due volte in un
giorno; anzi, in una sola mattinata. Preoccupante? Assolutamente sì.
Deglutii a vuoto e con
fatica. In quel momento, l’idea perversa di fare la doccia insieme non mi risultò
poi così tanto spaventosa.
Edward si voltò di scatto:
dai suoi capelli bronzei, resi più scuri dall’acqua, schizzò qualche gocciolina
sul pavimento. Mi squadrò da capo a piedi. “Mi hai lasciato dormire?”
Annuii nell’assoluto
mutismo, porgendogli una tazza di caffè che avevo tra le mani. La prese
sorseggiandone un po’. Quelle impertinenti goccioline continuavano imperturbabili
la loro discesa e…
Scossi la testa con
tentativo di scacciare dalla mia testa quei pensieri tutt’altro che casti.
Edward posò la tazza sul comodino. “Hai incontrato le tue cugine di sotto?”
Storsi il naso infastidita.
“Purtroppo sì. Non vedono l’ora di conoscerti.” Arcuai un sopracciglio. “Ah,
dimenticavo: hanno detto che stanotte siamo stati fin troppo silenziosi.”
Un sorrisetto malizioso
spuntò sul suo viso. “Rimedieremo.” Un’altra fiammata di calore.
Cacciò dalla valigia un
jeans scuro ed una camicia bianca. “Dici che sospettano qualcosa?”
Sospirai profondamente. “Mi
preoccuperei maggiormente se fosse il contrario.”
Rilasciò una risatina
divertita. “Qualche programma in particolare per oggi?”
“Tantissime commissioni.” Enunciai
imitando Kate in tutto e per tutto: dalla voce stridula alle mani congiunto sul
petto.
Edward entrò nel bagno
ridendo divertito. Perché quel ragazzo non mi prendeva mai sul serio?!
Una volta pronti e abbigliati,
scendemmo al piano di sotto. Entrammo nel soggiorno trovando i futuri sposini
l’uno avvinghiato all’altro. Altro che pudore!
“Buongiorno Edward.” La
voce di Irina alle mie spalle fu come una ventata gelida.
Kate si staccò di
malavoglia volgendo il suo sguardo nella nostra direzione. Sgranò gli occhi
dallo stupore scrutando attentamente Edward da capo a piedi.
“Edward Cullen?” Chiese
d’un tratto il fidanzato, nonché povero futuro marito, aggrottando la fronte.
Sul viso di Edward spuntò un
sorriso estatico. “Garrent!” Cogliendo tutti di sorpresa, si abbracciarono
calorosamente. “Brutto volpone.”
Mi schiarii la voce
attirando la loro attenzione. “Vi conoscete?”
Edward assentì. “Abbiamo
frequentato la stessa università.”
Non sapevo se gioire di
quella notizia o preoccuparmene.
“Com’è piccolo il mondo.”
Disse Kate osservando i due uomini con aria furba. Quasi certamente avrei
dovuto preoccuparmene. “Allora, andiamo? Non vorrei arrivare in ritardo.”
“Andiamo.” Le fece eco
Irina entusiasta. Entrambe?! Una non bastava?
Entrammo in auto,
nonostante la meta distanziasse solo qualche isolato dalla villa: gli uomini
alla guida, noi ragazze nei sedili posteriori (precisamente, io tra le mie due care cugine).
“Edward, in cosa sei
laureato?” Esordì cinguettante Irina durante il tragitto.
“Medicina.” Rispose fiero.
“Sono uno dei migliori medici del Providence Hospital di Seattle.”
“Sempre modesto, eh?” Lo
derise Garrent divertito.
“Sempre.”
Irina puntò i suoi occhi
azzurri nei miei. “Dove vi siete conosciuti?”
Mi mordicchiai il labbro
nervosa. Non avevo preordinato nessuna risposta in merito alle sue domande,
nonostante fossi già a conoscenza della sua indole invadente. Tuttavia, optai
per la verità. “E’ il fratello della mia migliore amica.”
“Sai, è strano vederti
fidanzato.” Inevitabilmente raggelai sul posto. “Eri l’ultima persona, di tutto
l’intera università, portato ad avere storie serie.” Le due arpie, mi fissarono
con un cipiglio contrariato in viso rimuginando su quell’ultima affermazione di
Garrent. La situazione non era delle migliori; potevo perfettamente leggere
l’incertezza nei loro occhi. Strinsi a pugno le mani sulle mie gambe.
Con mio grande stupore,
Edward tese una braccio nella mia direzione carezzandomi un ginocchio. “Ho
trovato finalmente la persona giusta.” La
sua mano salì sino a raggiungere una mia e stringerla sciogliendone lo spasmo.
“Anche tu, a quanto vedo.”
Dal canto mio, non proferii
parola inerme a quella sua affermazione sebbene essa fosse comunque di
circostanza.
Irina osservò l’intreccio
delle nostre mani aggrottando la fronte. La scollatura del mio vestito attirò
il suo sguardo. “Isabella, non credevo indossassi certi abiti.”
Sospirai frustata; ero il
loro bersaglio, questo lo avevo capito fin da subito.
“E’ bellissima, vero?”
Disse Edward ricevendo ben tre espressioni di stupore; da me compresa. Lo avevo
sottovalutato. Era un eccellente attore, valente sia nelle parole che nei
gesti.
Scendemmo dall’auto una
volta giunti al Westfileld South Mall: un centro commerciale dalla struttura mastodontica.
Garrent fu trascinato dalle mie cugine sino a ridosso di una gioielleria quasi
appiattendo i loro nasi sulla vetrinetta delle collane in oro bianco in
esposizione.
Camminai a rilento
nell’androne con le braccia conserte al petto. Edward, repentinamente mi cinse
la vita cosicché da trovarci uno di fronte all’altro.
“Bella.” Dal tono di voce
potei notare una nota di ammonimento. “Devi essere più rilassata.”
“Sono rilassata.” Borbottai
sfuggendo al suo sguardo.
Mi prese il mento con due
dita. “Bugiarda.”
Gli posai le mani sul petto
con l’intento di spingerlo via ma lui intensificò la stretta alla mia vita così
da impedirmi qualunque movimento. Ero nervosa; maledettamente agitata
consapevole che le mie cugine avevano ormai intuito qualcosa di losco e
l’arrivo di Tanya avrebbe solo peggiorato ulteriormente la situazione.
Edward mi accarezzò una
guancia. “Non dare conto a quello che ti dicono.”
Sbuffai chiudendo gli
occhi. Poco dopo, percepii un tocco lieve sulle mie labbra. Qualcosa di
morbido, umido e delicato. Erano quelle di Edward. Probabilmente il motivo di tale
gesto fu proprio la presenza delle mie cugine alle nostre spalle. Ma non me ne
curai ricambiando ugualmente quel bacio che sembrava talmente delicato da
stordirmi: lievi morsi, morbide carezze e miscela di sapori. La sua bocca
sapeva di menta piperita: dolce e rinfrescante. I brividi mi lambirono
nuovamente la pelle allo stesso modo della prima volta. Pensavo che una volta
provato, l’intensità e le emozioni sarebbero mutate, più attenuate; ma mi
sbagliavo. Erano quasi quadruplicate.
Ciò nonostante, fui io ad interrompere il bacio. Aprii gli occhi
scorgendo un sorriso mai visto prima sul viso di Edward: sembrava tremendamente
dolce.
Mi toccò appena una guancia
con il dorso della mano. “Un po’ ti sei rilassata.” Le mie guancie si
colorarono e, di rimando, chinai la testa imbarazzata. Avevo appena scoperto
che Edward fungeva anche da distensivo, oltre ad essere una alta fonte di
tensione. Due elementi totalmente contrastanti tra di loro.
Mi allontanai dal suo
corpo, volgendo il capo in direzione delle mie cugine: Kate aveva gli occhi
quasi fuori dalle orbite; Irina, invece, aveva il viso corrucciato e livido dall’invidia.
Me ne compiacqui. Le raggiunsi esibendo
un sorriso estremamente positivo; in effetti ero più rilassata. “Quali sono le
commissioni, Kate?”
Si ricompose sbattendo
velocemente le palpebre. “Noi andremo a scegliere tutto l’arredo necessario per
il banchetto: tovaglie, bicchiere in cristallo, posate in argento, fiori e
candela da mettere ovunque, statue di giaccio, bomboniere in Swarovski e
tantissime altre cose.” Trasudava estrosità da tutti i pori.
“Nulla di sfarzoso, eh?”
Domandai ironica. Edward al mio fianco a stento trattenne un ghigno. Mi
circondò la vita baciandomi la spalla scoperta. Le mie gambe divennero
instabili; fortunatamente ci fu lui a sorreggermi. “Noi cosa dovremmo fare?”
Un sorriso sardonico spuntò
sul suo viso. “Avrei un appuntamento alle diciotto e trenta al negozietto ‘Not
Only Wedding’. Devono solo riferire il budget riassuntivo della lista di nozze.
Non credo di farcela; non ho molto tempo a disposizione.” Esibì un espressione
dispiaciuta e supplichevole. “Potreste andare voi al posto mio?”
“Tutto qua?” Perché avevo
la sensazione che non sarebbe stato affatto così facile?!
Sorrise prendendo a
braccetto Irina. “Tutto qua.”
Non mi sentivo affatto
fiduciosa; ciononostante non potei affatto rifiutare. Ero una delle damigelle,
e come tale ero obbligata, volente o nolente,
a prestare il mio aiuto alla sposa.
***
Trascorrere l’intero
pomeriggio in compagnia di Edward fu incredibilmente divertente. Odiava lo
shopping almeno quanto me e provavamo una reciproca compassione: entrambi
soggetti alle manie ossessive di Alice.
Ciò nonostante, visitammo ciascun
negozio nel centro commerciale curiosando dalle vetrine o perfino all’interno
di qualcheduno stesso. Negozi di calzature, abbigliamento tra cui uno di
biancheria intima. Quello fu il momento più imbarazzante in quanto, il
manichino in esibizione, rotava su se stesso esibendo lo stesso baby-doll rosa
che Edward trovò in superficie nella mia valigia la sera del nostro arrivo a
casa Denali, e casualmente lo riconobbe all’istante. Per una buona manciata di
minuti mi incoraggiò ad indossare il medesimo capo d’abbigliamento intimo
cosicché da permettergli un’accurata valutazione data dal paragone del mio
fisico con quello del manichino. Pazzo.
Visitammo perfino il mio
negozio preferito di erboristeria. Riconobbi dal barattolo tondo la mia crema
per il corpo alle noci e la feci annusare ad Edward; arricciò il naso
sfregandosi la base con un dito a causa dell’allergia. Ghignai di fronte alle sue
smorfie. Esilaranti e indimenticabili.
Assaggiammo una quantità
industriale di dolciumi: gommosi, colorati, ricoperti di zucchero, e così via.
Non avrei mai contato che dietro quella facciata strafottente ci fosse un
ragazzo così divertente e maledettamente affascinante. O meglio, lo sapevo…
solo che non volevo realmente crederci. Stranamente mi piacque più del lecito
girovagare per negozi.
Pervenuto l’orario
prestabilito, adoperammo le scale mobili per giungere al terzo piano. Ciò che si parò davanti ai
nostri occhi, una volta arrivati, ci lasciò senza fiato. Il negozietto -così
definito da Kate- Not Only Wedding occupava l’intero piano. Esso era costituito
da un’ampia vetrata dalla quale si potevano intravedere, oltre agli oggetti in
esposizione, molteplici scaffali di varie dimensioni. Tirai un sospiro di
sollievo: fortunatamente la lista di nozze era già stata fatta. Nell’istante in
cui varcammo la soglia una signora con indosso un elegante tailleur grigio ci
travolse come un fiume in piena. “Denali?” Chiese con fare concitato. Scossi il
capo in segno di assenso.
“Finalmente!” Esclamò
alzando gli occhi al cielo. “Vi aspettavo nel primo pomeriggio.”
Aggottai la fronte
perplessa. “Ver-“
“Sì, sì. Lo so, le varie
preparazione al matrimonio portano via molto tempo.” Si avvicinò al bancone per
pretendere due oggetti bianchi. Guardai Edward con aria leggermente
preoccupata.
“Questi sono i vostri
lettori ottici.” Proferì porgendoci gli oggetti in questione. “Su ciascun
display elettronico è indicato il budget da voi richiesto e, ad ogni oggetto
selezionato, l’importo verrà detratto.”
Scrutai il lettore ottico
con un cipiglio contrariato in viso. “Ma noi-“
Mi interruppe, ancora. “Sì.
signorina Denali. Ricordo perfettamente ciò che mi avete detto questa mattina al
telefono: non volete alcuna interferenza dalle commesse pertanto, vi lascio
liberi.” Un sorriso le spuntò sul viso. “Buon divertimento, futuri sposini.”
Si allontanò da noi così in
fretta che non potei controbattere. In effetti, non mi aveva dato alcun modo di
risponderle.
Un risolino alle mie spalle
mi fece voltare di scatto. “Ci hanno fregati.”
“Ma noi non siamo gli
sposi.” Esclamai risentita. Osservai l’importo sul display e per poco non ebbi
un collasso. “Ti prego, dimmi che il tuo totale è composto da meno di cinque
cifre.”
Edward rise di nuovo
scuotendo il capo. “E’ lo stesso.”
“Io la ammazzo.” Sibilai
stringendo i pugni così forte da far diventare le nocche bianche. Probabilmente
in quel preciso istante avrei trucidato Kate con le peggiori torture.
“Non termineremo mai in
tempo.” Mi lagnai quasi sul punto della disperazione più totale. Quella
mattina, mi era parso davvero strano che mia cugina fosse stata così gentile
nei miei confronti: avrei dovuto sospettare subito di un inganno pianificato
nel minimi dettagli.
Edward mi sfiorò un braccio
con una mano. Imbracciò il lettore ottico come se tra le mani avesse una
pistola. “Io un’idea ce l’avrei.”
Arcuai un sopracciglio.
“Fuggiamo?”
Ridacchiò divertito. “Non
possiamo tirarci indietro ma…” mi puntò il lettore allo stomaco. “Possiamo
divertirci.”
“E come?” Domandai
scettica.
“Sergente Swan, è pronta a
rischiare la propria vita per combattere il crimine?”
Mi portai una mano alla
bocca trattenendo un risolino. “Tenente Cullen, perdoni la mia inettitudine, i
criminali dove sono?”
Un sorriso pericolosamente
furbo sbocciò sul suo viso. “Nel negozio, naturalmente; dovrai colpire solo
oggetti orrendi. La nostra piccola vendetta, no?”
Probabilmente la cara e dolce Kate, consapevole della mia indole fin troppo altruista e del
mio buon gusto – anche se quest’ultimo non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto
tortura-, aveva creduto che, senza batter ciglio, le avrei creato l’intera
lista di nozze. Ma non avevo tenuto conto di Edward e del suo furbo ingegno.
Gli puntai il lettore ottico sotto al mento felice di poter attuare
l’inesorabile piano. “Sai tesoro, questo
tuo lato sadico mi eccita più del dovuto.”
“Micetta, è rischioso provocarmi.” Mi avvertì con voce
roca.
Impugnai il lettore con
entrambe le mani posizionandolo al’altezza del mio viso. Alzai il mento con un
sorriso. “Adoro il rischio.” E adoravo in particolar modo provocarlo.
Scosse il capo divertito.
“Pronta?”
“Assolutamente sì.”
____
In quell’arco di tempo, il
nostro lato bambinesco emerse involontariamente con estrema facilità. Edward si
nascondeva dietro gli scaffali e sbucava da essi all’improvviso spaventandomi.
Sembrava un bambino in preda alla frenesia nel negozio più grande di giocattoli
mai esistito. Selezionammo quanti più oggetti possibili ed immaginabili
all’interno del negozio: porcellane, ceramiche, servizio di piatti, servizi da
The e da caffè, pirofile, bicchieri in vetro, servizi in acciaio inox da tavola,
utensili da cucina, vasi di varie forme e colori, orologi da parete, arredamento,
elettrodomestici piccoli e grandi; tutti oggetti rigorosamente diversi e
contrastanti tra loro per modello e colore; alcuni selezionati perfino più
volte. Se mi avvicinavo a qualcheduno leggermente più carino, Edward mi gettava
di peso su una poltrona motivandolo come un gesto di salvataggio. Nel reparto
pelletteria, mi fece provare un infinità di cappelli ridendo ad ogni mio
piccolo défilé scegliendo oltretutto quelli che, a suo parere, Kate avrebbe
disprezzato con tutta sé stessa. Decisamente, una vendetta perfetta.
Tuttavia, l’importo di base
era così alto che faticammo ben tre ore, senza sosta, a selezionare i vari
oggetti. Mi gettai stremata su un divano ad arco in pelle bianca in stile
moderno –troppo carino per essere presente nella nostra originale lista di
nozze. Chiusi gli occhi tirando un profondo respiro. Inaspettatamente percepii
delle labbra calde, carnose e vellutate premute con delicatezza sulle mie.
Aprii gli occhi proprio nel momento in cui Edward si distaccò.
“E questo?” Domandai
leggermente intontita.
“E’ il bacio di addio.”
Disse ostentando un tono drammatico. “Stavi morendo, no?”
Alzai un sopracciglio. “E
non cerchi neanche di salvarmi?”
Ridacchiò scuotendo il
capo. “No, ci impiegherei troppo tempo.”
Gli diedi uno scappellotto
alla nuca fintamente indignata. “Scemo.” Stesi le dolorosa membra delle gambe e
delle braccia. “Abbiamo terminato?”
“Sì, finalmente.” Asserì
afferrando entrambi i lettori ottici. Tese un braccio in segno di aiuto nella
mia direzione. “Posiamo le armi e torniamo a casa, sergente.”
Mi alzai dal divano
afferrando la sua mano. “Andiamo.”
Attraversammo a ritroso i
vari reparti. Giunti al bancone, cercammo con lo sguardo la commessa notando
che il negozio era fin troppo silenzioso. Sembrava deserto. “C’è nessuno?” La
mia voce riecheggiò come in un tunnel vuoto. Un tremendo dubbio proruppe
improvvisamente nella mia testa. “Edward, che ore sono?”
Lanciò uno sguardo al suo orologio
da polso. “Le ventuno e quaranta.”
“Cosa?” Sbottai incredula.
Edward strabuzzò gli occhi
colto da un’improvvisa illuminazione. “A che ora chiude il centro commerciale?”
Sbiancai all’istante
reggendomi a malapena al bancone. “Alle ventuno.”
Accorsi all’entrata
principale del Not Only Wedding seguita da Edward. Dal negozio, benché fosse
costituito principalmente da vetrate, potei notare perfettamente la desolazione
nell’immenso androne del centro commerciale stesso. Abbassai la maniglia e
spinsi con forza la porta in vetro. Riprovai molte volte ottenendo sempre il
medesimo risultato: la porta era serrata. Un senso d’angoscia misto
all’irritazione mi investì come un fiume in piena. Volsi totalmente il busto rivolgendo lo
sguardo ad Edward quasi con disperazione. “Siamo rimasti chiusi dentro.”
ABBIGLIAMENTO BELLA (PER DARVI UNA PICCOLA IDEA)
IL CENTRO COMMERCIALE ESISTE, IL NEGOZIO NO E RINGRAZIO IMMENSAMENTE
BIGIA PER AVER TROVATO IL NOME... LA MIA FANTASIA MOLTE VOLTE FA
CILECCA.
FORTUNATAMENTE HO LEI, FONTE DI IMMENSA ISPIRAZIONE.
PS: SE FOSSI RIMASTA IO CHIUSA NEL NEGOZIO CON EDWARD CULLEN, LO AVREI VIOLENTATO SEDUTA STANTE.
VOI?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
5
MANCANO
SOLO DUE GIORNI A NATALE… IL TEMPO E’
LETTERALMENTE VOLATO.
PRIMA
DI LASCIARVI AL CAPITOLO VORREI
RINGRAZIARE TUTTI
COLORO CHE HANNO LETTO L’ULTIMO AGGIORNAMENTO DI AMORE
PLATONICO: so che lo
avete già letto ma il pov di edward è davvero
importante; molto più di quello
di Bella.
RINGRAZIO
CHI MI HA RICORDATO DA QUALE FILM IL MIO
CERVELLINO BACATO HA TRATTO LA SCENA DELLA LISTA DI NOZZE. SAPETE CHE
NON LO
RICORDAVO E VOLEVO RIVEDERMI QUEL FILM? GRAZIE A TUTTE… IL
MIO CERVELLO MOLTO
SPESSO FA CILECCA.
RINGRAZIO PREFERITI,
SEGUITE, CHI LEGGE SILEZIOSAMENTE
E CHI LASCIA GENTILMENTE UN SEGNO CON UN COMMENTO. MI SENTO LUSINGATA E
GONGOLO
DI GIOIA OGNI VOLTA (34 PERSONE… UN BACIO E UN ABBRACCIO
STRITOLATORE A
CIASCUNO DI VOI).
MOLTE
SI SONO DOMANDATE DEL COMPORTAMENTO DI EDWARD…
MMM… SAMANTINA VOSTRA NON VI DICE NULLA, E NON
PERCHè SIA CATTIVA SEMPLICEMENTE
PERCHE’ NON VUOLE TOGLIERVI LA SORPRESA.
PS:
SE LA STORIA DIVENTA NOIOSA NON ESITATE A DIRMERLO…
CERCERò IN TUTTI I MODI DI RIMEDIARE.
MI SPIACE MA PRIMA DI
NATALE NON RIUSCIRò A PUBBLICARE
L’ALTRO CAPITOLO DI AMORE PLATONICO. MI SPIACE DAVVERO TANTO
MA E’ UN PASSAGGIO
DAVVERO IMPORTANTE E NON VORREI ROVINARLO CON LA FRETTA.
AUGURO
A TUTTI VOI UN NATALE FELICE E CHE POSSA
PORTARVI GIOIA NEL CUORE. VOI SIETE PORTARI DI GIOIA PER ME.
GRAZIE.
DEDICO
QUESTO CAPITOLO A:
@
PG (che commenta costantemente il mio BLOG e
mi fa arrossire ogni volta per le bellissime parole.)
@
VAMPIRETTAFOLLE (mi hai fatto morire dal ridere)
@
MR DARCY
@
ALYSCULLEN
CAPITOLO 5
Fantastico!
Chiusi in quel
maledetto negozio per matrimoni! La porta
era serrata ermeticamente e non dava alcun segno di cedimento. Spingevo
e
tiravo la maniglia con foga, forza e disperazione. L’androne
del centro
commerciale era completamente vuoto, deserto. Non mi sarei affatto
sorpresa se
avessi intravisto il groviglio di polvere passare inaspettatamente come
accadeva
spesso nei film ambientati nel Far West. Una chiara dimostrazione che
la follia
stava subissando quel poco di raziocinio, in me, stranamente ancora
presente.
Spinsi ancora la porta
con forza; altro inutile
tentativo. La mano di Edward si posò sulle mie frenando quel
gesto disperato.
“Bella,
è inutile che ti sforzi. È chiusa e in questo
modo fai solo scattare l’antifurto.” Disse con
calcolata tranquillità. Fin
troppa, a parer mio.
“Meglio.
Così viene qualcuno a tirarci fuori.”
Continuai a spingere e tirare contemporaneamente.
“Bella.”
Mi girò di peso accostandomi con la schiena
sul vetro della porta. Le sue mani erano sulle mie spalle e il suo viso
non era
poi così lontano dal mio. Il suo respiro mi solleticava il
naso e i suoi occhi
mi mandarono totalmente in confusione. “L’allarme
avvisa direttamente la
polizia. Ci prenderebbero per ladri, non credi?”
“Ma se non
ho mai rubato neanche una caramella?”
Replicai, arcuando un sopracciglio.
Sogghignò
divertito passandosi una mano sui capelli. Con
l’altra invece, mi sfiorò l’osso
sporgente della mia clavicola. Una carezza
maledettamente rilassante.
“Hai un
cellulare con te?” Mi chiese allontanandosi
totalmente dal mio corpo che reclamava un contatto molto più
profondo di quello
precedente.
Mi scagliai il palmo
della mia mano sulla fronte. Il
cellulare! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Mi precipitai al
bancone afferrando frettolosamente la
borsa. Passai al setaccio trovando poco dopo il mio cellulare.
Stranamente era
spento. Pigiai il tasto di accensione: il display lampeggiò
mostrando una
batteria scarica e poi si spense.
“Maledizione!”
Imprecai trattenendomi dal lanciare in
malo modo quell’apparecchio elettronico sul pavimento.
Guardai Edward emettendo
un sonoro sbuffo tanto forte da far alzare un ciuffo ribelle sceso
davanti al
mio viso. “È scarico.” Mi passai
stancamente una mano tra i capelli. “Edward,
ti prego, dimmi che hai con te il tuo cellulare.”
Si lasciò
sfuggire un ghigno divertito. “No. L’ho
lasciato in camera.”
Allungai le braccia
sul bancone poggiandovi sopra la
testa. Ero disperata. Possibile che Kate avesse messo in conto anche
questo?
Sentii la risata di
Edward echeggiare nel negozio.
Alzai il capo fulminandolo con lo sguardo. “Lo trovi
così divertente?”
Si avvicinò
con quel sorriso impertinente in viso.
“Beh, un po’ sì. E’ la prima
volta che mi capita una cosa del genere.”
Sghignazzò nuovamente incrementando notevolmente la mia
tensione. Possibile che
non comprendesse la gravità della situazione?
“Edward, ti rendi conto che
usciremo domani mattina?”
Annuì
convinto con un guizzo malizioso negli occhi.
“Naturalmente.” Si posò una mano sul
mento con fare pensoso. “Dobbiamo trovare
un modo per ammazzare il tempo.”
Io in quel momento
l’unica persona che volevo ammazzare
nel peggiore dei modi era ben lontana, e fortunatamente per lei, al
sicuro in
casa Denali.
Fece scoccare due dita
della mano. “Ho un idea.”
Sfuggì al
mio sguardo inoltrandosi tra i vari scaffali
del negozio.
“Edward.”
Lo chiamai leggermente preoccupata di ciò che
potesse avere in mente. Sbuffai maledicendo mentalmente le mie cugine
in tutte
le lingue che conoscevo –ahimè, non erano poi
neanche molte.
Percepii da lontano un
leggero rumore elettrico molto
simile ad un motorino, bensì più debole e
sottile. Notai la figura di Edward,
in fondo al corridoio, a bordo di un bicicletta elettrica rossa.
Frenò
strisciando le ruote sul pavimento lucido.
“E
questa?” Domandai con un cipiglio divertito in viso.
Pigiò il
clacson emettendo un suono stridulo e poco
morbido. “Sali.” Disse con quel sorriso sghembo da
cardiopalma.
“Ma il
principe azzurro non dovrebbe salvare la
fanciulla in sella ad un cavallo bianco?” Posai entrambe le
mani sui fianchi. “E
il salvatore non dovrebbe essere
biondo con gli occhi azzurri?”
Edward
ridacchiò passandosi una mano tra i capelli.
“Occhi verdi, chioma ramata. Va bene lo stesso?”
Annuii col capo con
finto rammarico. “Dovrò
accontentarmi.” Con un po’ di difficoltà
a causa del vestito, mi sedetti a cavalcioni
sul sellino posteriore.
“Dove
andiamo?”
“Ora te lo
mostro.” Schiacciò due volte il clacson e
s’avviò percorrendo gli scaffali dei vari reparti.
Si fermò in quello
intitolato ‘Svago e tempo libero’. Quel reparto
comprendeva vari passatempi e
giochi da interno e da giardino.
Cosa stava frullando
nella sua mente?
Edward scese dalla
bicicletta spingendosi fino ad un
tavolo di pingpong verde scuro dotato perfino di rete. Prese una
racchetta al
lato nello scomparto apposito e me la lanciò; per miracolo
non cadde dalle mie
mani. Prese una pallina bianca, la strinse tra due dita osservandola
con
circospezione.
“Edward,
cosa dovrei fare con questa?” Domandai
leggermente spaesata. Non ero mai stata portata per lo sport, neanche
al liceo.
Impugnò la
sua racchetta costringendo la pallina in una
mano.”Facciamo una partita, no?”
Mi imbronciai
avvertendo un po’ di imbarazzo. “Non so
giocare a pingpong.”
“Tesoruccio,
non è difficile.” Utilizzò uno degli
appellativi tremendamente fastidiosi. “O
devo pensare che sei una di quelle ragazze che teme di spezzarsi
un’unghia?”
Se il suo intento era
quello di provocarmi, ci era
riuscito alla perfezione. “Muoviti, finto
fidanzato.” Calcai l’aggettivo e
ottenni da parte sua un sorrisetto piuttosto scaltro e al contempo
divertito.
I primi tiri furono un
disastro; o meglio, io fui una vera
catastrofe. Lanciavo la pallina ovunque fuorché sul tavolo
da tennis. Edward fu
il mio bersaglio prediletto; accolse molte palline, alcune tirate
perfino di
proposito. Tuttavia, con un po’ di pratica fui capace di
controbattere e, addirittura,
segnare qualche punto.
Edward prese una
pallina dalla tasca dopo l’ennesimo suo
colpo vincente. La batté facendola ribalzare sul tavolo. Era
in vantaggio, ma
non così tanto da poter gioire anticipatamente della
vittoria. “Micettina mia”
Risposi alla battuta
con più forza leggermente irritata
da quel nomignolo ormai divenuto abituale. “Dimmi
orsacchiotto.”
“Ehi, sei tu
quella che stanotte si è avvinghiata come
un koala.” Obiettò con un ghigno. Al
ché, risposi al colpo con molta più forza
scagliando la pallina sul tavolino; essa rimbalzò sino a
finire dritta dritta
nel suo stomaco.
Punto mio.
Parità. Probabilmente mi aveva regalato
molti punti, lo aveva definito ‘un gesto
cavalleresco’, ma non per questo mi
sarei arresa.
Tossicchiò,
colto di sorpresa. “Vedi perché ti chiamo
micetta? Spesso cacci le unghie.”
“Sì,
ma non miagolo.” Replicai saccente.
Ultima tiro. Battuta
mia.
Edward
reagì al colpo con quel solito sorriso
strafottente e maledettamente malizioso stampato in viso.
“Beh, questo è ancora
da scoprire.”
Imbarazzata
all’inverosimile, dall’alluce sino alle
punte dei capelli, arrossii all’istante e mi distrassi
cosicché da non prendere
la pallina e cedergli bellamente la vittoria.
Rise alzando la
racchetta vittorioso. “Ho vinto.”
Mi imbronciai.
“Mi hai distratta. Non è giusto.”
Sorrise malizioso.
“In guerra e in amore, tutto e
lecito.”
Afferrai quattro
palline scaraventandogliele addosso.
Rise, nascondesi sotto il tavolo.
“Brutto
imbroglione!” Aggirai il tavolino da pingpong.
Gli picchiai la spalla, più volte, con la racchetta.
“Sei un doppiogiochista
approfittatore.” Inizialmente, si curò solo di
proteggersi dai colpi, poi di
soppiatto, mi afferrò dalle gambe issandomi sulla sua spalla.
“Sono solo
furbo e… non così scemo da farmi
volontariamente picchiare da una donna.”
Gli gettai qualche
pugno sulla schiena, maledettamente
muscolosa. In quell’istante l’immagine di Edward
fasciato solo da un
asciugamano in vita balenò d’improvviso nella mia
mente. Ebbi perfino l’idea
perversa di esplorare con le dita il dorso, le spalle,
l’incavatura della
schiena,i fianchi…
Possibile che dovessi
fare pensieri così poco casti in
sua presenza? L’influenza di Edward era prettamente negativa
sulla mia mente e,
perché no, anche sul mio corpo ormai in fuoco per quel
contatto.
“Edward,
mettimi giù.” Mi lagnai scalciando
all’aria le
gambe.
“Okay.”
Rispose con noncuranza. Okay? Si arrendeva così
facilmente?
Mai cantar vittoria
troppo presto. Inaspettatamente, mi
gettò in avanti come un semplice sacco di patate; un
gridolino isterico fuoriuscì
dalle mie labbra ma, fortunatamente percepii a contatto con la mia
schiena un
materasso. Nell’azione, si sbilanciò in avanti
ricadendo a peso morto sul mio
corpo ma l’impatto non fu irruento giacché si
resse con le braccia inclinate
all’altezza del mio viso. Come un dejà vu, fui
sovrastata dal suo corpo
effluvio di calore e profumo muschiato. Il mio petto si muoveva su e
giù, come
un forsennato, nonostante quella vicinanza non fosse così
nuova per noi. I
nostri respiri si mescolavano, gli occhi erano incatenati e le labbra
prossime a
sfiorarsi. In quel momento, non era presente nessuna delle mie cugine;
un bacio
sarebbe stato fin troppo insensato. Eppure… bramavo
intensamente quella fonte
di tentazione perenne. Possibile che fossi l’unica a
percepire quel folle
desiderio? Edward era attraente. Maledettamente attraente.
“Ehi
voi!” Girammo il capo di scatto colti alla
sprovvista da una voce maschile. “Cosa ci fate qui
dentro?”
L’uomo in
questione indossava un’uniforme blu, avente
una cinta in vita munita di chiavi, manganello e trasmettitore; era
nerboruto
con un addome piuttosto sporgente. All’incirca, della la
stessa età di Charlie.
Edward
s’alzò tendendomi un braccio in segno di aiuto.
Afferrai la sua mano alzandomi a mia volta dal materasso. Mi sistemai
la gonna
del vestito stranamente alzata sino a metà coscia.
“Siamo
rimasti chiusi dentro.” Rispose Edward con tono
deciso.
L’agente,
inarcò un sopracciglio scettico e incredulo.
Pensava davvero che fossimo dei ladri?
“Se vuole,
può anche controllare sullo schedario del
negozio. Abbiamo compilato una lista di nozze.” Replicai con
leggero scetticismo.
Aveva mai visto un ladro con ai piedi dei sandali col tacco?
Il vigilante notturno
si lisciò il pizzetto pensieroso.
Ci scrutò per qualche secondo; lanciò
un’occhiata al letto matrimoniale sul
quale eravamo stesi e annuì convinto da chissà
quale congettura mentale.
“Venite, vi faccio uscire.”
Tirai un grosso
sospiro sollevata. Non eravamo
destinati a trascorrere l’intera notte in quel negozio per
matrimoni.
Ci fece strada sino
all’uscita di sicurezza. Aprii
leggermente la porta. “Da qui arrivate direttamente al
parcheggio.”
Un sorriso spontaneo
spuntò sul mio viso. “Grazie.”
Ci accingemmo ad
uscire dal centro commerciale quando
la voce del vigilante ci arrestò. “Ah,
ragazzi… anche se siete soli in un
negozio, trattenetevi dal fare certe cose.
Le telecamere di sicurezza non vengono mai spente.”
Le mie guance
raggiunsero una tonalità di rosso e un
calore mai visti prima. Le mie gote erano in fiamme, nel senso
letterale della
parola. Edward si lasciò sfuggire una risatina e gli strinse
cordialmente la
mano. “Grazie, ne terremo conto la prossima volta. Buon
lavoro.”
La prossima volta?
Quale prossima volta?!
Valicammo la soglia
dell’uscita di sicurezza chiudendocela
alla spalle. Sbucammo sulle scale antincendio del terzo piano. Il tempo
non era
uno dei migliori: pioveva a dirotto e sferzava un vento piuttosto
freddo.
L’aria era umida derivante dalla brezza marina del golfo
dell’Alaska.
Il mio telefonino era
spento, di conseguenza ci
attendeva un tragitto sotto la pioggia scrosciante sino a casa Denali.
Questa
me l’avrebbero pagata cara!
Mi cinsi il busto con
le braccia rabbrividendo
leggermente. “Anche il tempo è dalla nostra
parte.” Mormorai con pungente
ironia.
“Già.”
Disse Edward con voce stranamente tremante.
Incuriosita da tale tono volsi il capo nella sua direzione. Era
letteralmente
avvinghiato alla porta di sicurezza e teneva il capo
all’insù, puntando lo
sguardo al cielo scuro ricoperto dalle nuvole.
“Edward,
tutto bene?”
Scosse il capo
tremolando. Accentuò la presa
sull’impugnatura. Le nocche delle mani per poco non divennero
bianche. Tirò due
grossi respiri. “S-soffro di vertigini.”
Spalancai la bocca
incredula: una debolezza di Edward
Cullen. Mi sporsi in avanti dalla balaustra analizzando
l’altezza. “Edward,
siamo al terzo piano. Non è molto alto.”
Abbassò il
capo puntando i suoi occhi nei miei e vi
potei scorgere tutto il terrore del momento. Non era finzione. Mi
avvicinai e
posai la mia mano sulla sua. “Non possiamo restare qui.
Dobbiamo scendere.”
“Sai, la
prima opzione non è poi così male.”
Constatò
con ansia malcelata.
La medesima situazione
in aereo con parti invertite:
Edward mi aveva aiutato a superare quella paura ed ora toccava a me
fare lo stesso
con lui.
Sciolsi quella presa
ferrea dall’impugnatura dalla
porta e strinsi le sue mani nelle mie. “Scendiamo insieme. Un
gradino alla
volta. Non guardare assolutamente giù. Guarda sempre e solo
me.”
Edward mi strinse le
mani con veemenza esibendo un
espressione tremendamente tenera, quasi puerile. “Non
lasciare le mie mani.”
Asserii con più determinazione di quanto io stessa credessi
di possedere.
“Non
possiamo tornare indietro?” Chiese facendo un
piccolo passo per poi bloccarsi all’istante.
“Se lo
facciamo, il vigilante ci arresta sul serio.
Anche se non facciamo certe cose.” Ridacchiai tentando di
stemperare
leggermente la tensione. “Ah, inoltre tu devi spiegarmi a
quale prossima
volta ti riferivi.”
Un sorriso tirato
spuntò sul suo viso e iniziò a camminare.
Scese i primi scalini con lo sguardo puntato sul mio viso.
“Non ho mai fatto certe cose
in un negozio. È normale che
ora sia curioso di provare.”
“Sei sempre
il solito.” Risi divertita. Non perdeva mai
l’occasione di spuntare con quel suo modo di fare
impertinente e, - ahimè -
maledettamente sexy. A Seattle era un punzecchiamento continuo ma
stranamente
non così malizioso.
Chiacchierando,
ridendo, dopo molto più tempo di quanto
avremmo dovuto normalmente impiegare, discendemmo le varie rampe della
scala
antincendio. Edward mi tenne costantemente stretta la mano, ma non
così tanto
da provare dolore. Si fermava di tanto in tanto per riprendere fiato e
coraggio; sembrava un bambino bisognoso d’affetto e di calore
materno. Una
volta toccato l’asfalto con i nostri piedi Edward
strabuzzò gli occhi ed un
sorriso raggiante sbocciò sul suo viso. “Ce
l’ho fatta.”
Nonostante la pioggia
funse da collante per i capelli
sul mio viso, e il vestito sul mio corpo come una seconda pelle, non
potei fare
a meno di sorridere serena di essergli stata d’aiuto. Avevo
ricambiato il favore
e ne ero felice.
“Ce
l’hai fatta.” Gli feci eco affascinata dal colore
bronzeo dei suoi capelli reso talmente scuro dall’acqua quasi
da diventare nero
e dalla sua camicia bianca divenuta trasparente e maledettamente
aderente. Ad
occhio nudo erano perfettamente visibili i suoi muscoli tonici e
scolpiti al
punto giusto.
Un vento freddo mi
sferzò la pelle nuda ed un brivido
mi colse di sorpresa. Edward aggrottò la fronte e mi
scrutò con occhio clinico.
“Hmm… andiamo, altrimenti ti prendi un bel
raffreddore.”
Inaspettatamente, mi
cince le spalle con un braccio
attirandomi a se in una stretta protettiva.
***
Giungemmo a casa
Denali completamente fradici d’acqua
come due pulcini. Suonammo al campanello. I brividi mi avevano fatto
compagnia
lungo il tutto tragitto intensificandosi ad ogni folata di vento gelido.
Irina
spalancò la porta di ingresso esibendo
un’espressione sorpresa talmente finta da far invia al suo
seno siliconato.
“Isabella, dove siete stati?”
“In giro,
sotto la pioggia. Sai, amo prendere freddo e
inzupparmi da testa a piedi.”
Colse la punta di
acidità nel tono della mia voce
perché fece una smorfia di disappunto. “Noi
pensavamo che foste andati via dal
centro commerciale. Non vi abbiamo più visti.”
Pensava davvero che
fossi così tonta da bermi
quest’assurda scusa? Non ci avevano affatto cercati e
probabilmente se avessero
potuto, avrebbero chiuso solo me in quel maledetto negozio.
Sbuffai, troppo stanca
per controbattere. Avevo freddo
e volevo solo rintanarmi e indossare qualcosa di asciutto.
“Noi andiamo
in camera, sei pregata di non disturbare
fino a domani mattina. Vorrei trascorrere del tempo sola con
Edward.” Sorrisi
sbattendo più e più volte le ciglia. Congiunsi le
mani al petto. “Notte
cuginetta.” Irina alzò il mento austera
incrociando persino le braccia al
petto. Che talento: sapeva fare due cose contemporaneamente.
Agguantai la mano di
Edward e salii ai piani superiori.
Nel mentre, il mio finto fidanzato sghignazzò della mia
scenetta dovuta
all’irritazione. “Credo che micetta sia ormai
riduttivo.”
Assottigliai lo
sguardo riducendo gli occhi a due
fessure. Aprii la porta della nostra stanza con uno sbuffo.
Presi il cambio e
quella maledetta sottoveste in raso
blu e mi accinsi a entrare in bagno per una sana e rilassante doccia
calda.
“Panterina”
Esordì d’un tratto Edward. “Credo che
panterina ti si addica di più.”
Entrai nel bagno
maledicendo ogni singola lettera di
quel nuovo nomignolo affibbiatomi.
_____
Purtroppo
l’acqua bollente e scrosciante della doccia
non sortì affatto l’effetto desiderato. I tremolii
dovuti al freddo non
svanirono, anzi,si intensificarono. La testa pulsava dolorosamente e
tiravo su
col naso continuamente.
Aspettai che Edward
uscisse per decidere insieme la
suddivisione del letto matrimoniale. Ero intenzionata a creare una
barriera al
centro esatto del materasso con una fila di cuscini ma mi sentivo
tremendamente
spossata, priva di forze; pertanto tralasciai, sicura che per quella
notte,
data la stanchezza, nel letto non avrei mosso neanche un muscolo.
Edward uscì
dal bagno con indosso i soliti pantaloni
della tuta ed una canottiera grigia aderente. Non sentiva freddo?
“Devo
crearmi il letto sul pavimento?” Chiese Edward
con tono stranamente cordiale. Mi squadrò da capo a piedi
accarezzando il mio
corpo con lo sguardo. Un brivido mi percosse la schiena e non seppi
definire lì
per lì se fosse dovuto all’intensità
dei suoi occhi o al freddo. “Adoro quel
pigiama.” Continuò con noncuranza, come se avesse
appena detto una cosa banale,
ovvia.
Strinsi i lembi della
mia sottoveste imbarazzata. “Da
quale lato preferisci dormire?”
Un dolce sorriso gli
si disegnò in viso. “Non ho
preferenze. Un posto vale l’altro.” A quel punto mi
accostai al lato sinistro
del letto scostando le coperte e il lenzuolo da sotto al cuscino.
“Anche se
credo che sia inutile dividerlo. Stanotte ti
avvinghierai al mio braccio, ne sono sicuro.”
Affermò con un risolino.
Sobbalzai imbarazzata
rivivendo in quel preciso istante
con la mente la situazione piuttosto ambigua di quella stessa mattina.
“Cercherò di non avvicinarmi, promesso.”
Mormorai timidamente.
Sorrise sghembo
separando il lenzuolo dalle coperte.
“Non mi dai fastidio.”
Tentai di rimediare,
mossa dalla sua strana affabilità.
“Se vuoi posso stare sopra-“
Non mi
lasciò terminare la frase. “Non male come idea.
È la posizione che preferisco, sai?”
Sghignazzò divertito dall’allusione
assolutamente maliziosa e imbarazzante.
“Edward.”
Lo ammonii con voce stridula, quasi isterica.
Volevo solo esporgli che potevo dormire anche al di sopra delle
lenzuola così
da impedire un contatto fisico.
Ciononostante, il
problema maggiore fu proprio
l’effetto che scaturì quell’ultima sua
affermazione: un inesplicabile calore e
un accecante desiderio divamparono nel mio corpo come fuoco ardente.
Celai
quelle nuove e bizzarre sensazioni lisciandomi il
raso della succinta sottoveste.
Edward esplose in una
fragorosa risata piegandosi in
due, reggendosi l’addome con le mani e ritrovarsi perfino le
lacrime agli
angoli degli occhi.
Incrociai le braccia
al petto fulminandolo con lo
sguardo. L’idea di strangolarlo durante il sonno mi allettava
e non poco.
Alzò la
mano mostrandone il palmo “Okay, la smetto.”
Tossicchiò
celando in malo modo un sorriso. “Puoi anche attaccarti al
mio braccio, al mio
bacino, alle mie gambe, al mio collo… ovunque. Non mi
da’ fastidio.”
Con un sospiro
rumoroso e le guance in fiamme mi
sedetti al bordo del letto trattenendo con le mani i lembi della
sottoveste
affinché questa non si alzasse. Mi uscì
improvvisamente uno starnuto e un
brivido mi scosse il corpo.
“Ti senti
bene?” Chiese Edward infilandosi sotto le
lenzuola.
Annuii poco convinta
sdraiandomi a mia volta. Poggiai
la testa sul cuscino rannicchiando le gambe al petto. Avevo freddo; fin
troppo.
I tremori non mi abbandonarono neanche quando avviluppai interamente il
mio
corpo nella coperta. Emisi un nuovo starnuto. Mossi le gambe e
sbadatamente
toccai le gambe calde di Edward con le dite dei miei piedi congelati.
“S-scusa.”
Balbettai e nel frattempo rabbrividii.
Edward accese
l’abatjour sul comodino dal lato suo
raddrizzando il busto. “Bella, ma sei congelata.”
“U-un
p-p-po’.” Fu tutto quello che riuscii a dire; i
denti battevano tra loro come una mitragliatrice. Forse, non stavo poi
così
tanto bene.
Sentii la mano di
Edward posarci dolcemente sulla mia
guancia. “Stai tremando.” Salì sino a
posarla sulla mio fronte. Emisi
l’ennesimo starnuto.
“Sei
bollente.”
Si alzò
repentino dal letto avvicinandosi alla sua
valigetta in pelle da medico. Strabuzzai gli occhi spaventata.
“Cosa v-vuoi
fare c-con q-quella?”
Vi frugò
all’interno ignorando deliberatamente la mia
protesta. Mi sedetti poggiando la schiena alla testiera del letto. Mi
portai la
coperta sin sopra al naso. “Odio gli ospedali. Odio i dottori
e odio le
siringhe.”
Edward sorrise
mostrandomi un termometro al mercurio.
“Non ti porterò in ospedale e non posso farti una
puntura per la febbre. Vorrei
solo che controllassi la temperatura con questo.”
Scossi il capo con
fermezza. “Non è vero. Hanno sempre
utilizzato questa scusa i dottori per farmi le punture.”
Edward rise.
“Sai, le bambine che ho in cura mostrano
più coraggio.” Si avvicinò porgendomi
il termometro. “Provati la febbre.”
Con uno sbuffo degno
di una bimba di poco più di cinque
anni, incrociai le braccia petto stringendo con veemenza la coperta.
Non mi
fidavo dei dottori, e benché meno di Edward. Mi
infilò di soppiatto il
termometro nella bocca. “So che ti risulta difficile, ma non
parlare.”
Grugnii in risposta
inetta di poter parlare in quel
momento.
Frugò
nuovamente nella borsa tirando fuori una scatola
di compresse. “Aspirina.” Disse prima che io
potessi formulare una domanda con
i gesti.
Dopo alcuni minuti mi
sfilò il termometro dalla bocca.
Lo mosse per vedere meglio la posizione del mercurio.
Sospirò profondamente.
“E’ alta. Trentanove e due”
Posò una
mano sulla mia fronte. Sembrava un genitore
apprensivo alle prese con la figlia febbricitante. Un altro tremore mi
percosse
il corpo. “Hai qualcosa di più coprente nella
valigia?”
Alzai un sopracciglio
esibendo un espressione alquanto
scettica. “Secondo te, se in quella maledetta valigia ci
fosse stato un pigiama
anche leggermente più consono di questo non lo avrei
indossato?” La voce
fortunatamente non tremò ma conclusi il tutto con un sonoro
starnuto che
riecheggiò nella mia testa.
Edward
s’avvicinò alla sua valigia tirando fuori una
tuta blu notte. Me la porse con un sorriso. “Indossala;
intanto io ti prendo un
bicchiere d’acqua.”
Spalancai gli occhi
sorpresa e leggermente intontita. Abbassai
il capo intimidita e colpita da tale premura.
“Grazie.”
Edward
entrò nel bagno e nel mentre io indossassi
quella tuta così grande da poterci stare entrambi; era
così profumata da
stordirmi i sensi. Portai un braccio al naso aspirando profondamente.
Ah, che
buon odore.
Il mio dottore
personale – vero, odiavo i medici, ma al
sol pensiero di vederlo in camice un calore divampava incredibilmente
nel mio
corpo – riapparve con un bicchiere di vetro in mano colmo
d’acqua; me lo porse
insieme a due compresse. Ingoiai l’aspirina e bevvi
l’acqua tutto d’un sorso.
“Ti fa male
la testa?” Chiese lisciandomi con
delicatezza i capelli. Mi sentii un perfetta bambina di cinque anni.
Assolutamente patetica.
“P-poco.”
Mormorai stringendomi meglio il busto con le
braccia.
“Vedrai che
domattina starai meglio.” Aggirò il letto,
spense l’abatjour e si coricò coprendosi con le
lenzuola.
Mi rannicchiai sul
materasso in posizione fetale
portandomi le coperte sino alla gola. “Edward”
Mormorai con un tremolio.
“G-g-grazie.”
Di sorpresa, percepii
le sue mani ancorarsi ai miei
fianchi ed attirarmi a lui sino a ritrovarmi con la schiena attaccata
al suo
petto. Mi cinse le spalle con le braccia in un morsa confortevole. Un
dolce
tepore mi invase. “Così non tremi più.
Non approfitto, parola di scout.”
“Grazie.”
Sussurrai, di nuovo, impercettibilmente. Mi
strinsi più a lui godendo appieno di quelle nuove
sensazioni. Che strana e
magnifica situazione!
Io tra le braccia di
Edward… da non credere!
Il mio corpo inerme si
rilassò stremato e appagato.
Stranamente non c’era imbarazzo né tensione. Il
sonno mi stava soggiogando e
tirando a sé con una lentezza inesorabile.
Percepii un dolce
bacio alla nuca appena accennato… quasi
certamente, un gesto sognato.
RAGAZZE…
NEL PROSSIMO ARRIVERA' LA NOSTRA CARA, AMATA, E DILETTA
CUGINA “TANYA”. SECONDO VOI COSA
FARA’? COME AVVERRA’ LA SUA COMPARSA?
PENSATE, PENSANTE,
PENSATE DI TUTTO… VEDIAMO CHI ARRIVA
A CIO’ CHE LA MIA TESTOLINA HA MACCHINATO.
PS:
OGNI
PARTICOLARE NON E’ MESSO A CASO. TUTTO SERVIRA’.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
6
SALVE MIE CARI PRODI. Sì, SIETE DEI PRODI, O COME SI SUOL
DIRE CORAGGIOSI, PERCHE’ LEGGETE I MIEI DELIRI.
ECCOMI QUI CON UN NUOVO CAPITOLO (DI BEN 10 PAGINE DI WORD E
CHIEDO UMILMENTE SCUSA PER LA LUNGHEZZA).
OGGI STRANAMENTE SONO PRIVA DI PAROLE (EHI, TI HO VISTA SAI?
NON ESULTARE TROPPO!!!)
SONO IN RITARDO MA HO AVUTO UN PICCOLO BLOCCO A CAUSA DI DUE
LIBRI (E’ ASSURDO, LO SO, MA SONO TROPPO EMOTIVA).
AVETE MAI LETTO DI NICHOLAS SPARKS:
@IL POSTO CHE CERCAVO
@OGNI GIORNO DELLA MIA VITA?
SONO DUE LIBRI STUPENDI. MI HANNO PRESO QUANTO LA SAGA DI
TWILIGHT, ED E’ TUTTO DIRE. VE LI CONSIGLIO VIVAMENTE.
RINGRAZIO COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE
SEGUITE, PREFERITE E LE 90, E RIPETO 90, PERSONE CHE MI HANNO INSERITA TRA GLI
AUTORI PREFERITI. UN BATTITO MANCATO AL MIO CUORICINO A CIASCUNO DI VOI.
RINGRAZIO LE 38 PERSONE CHE HANNO COMMENTATO: IO VI ADORO.
HO LETTO OGNI SINGOLA RECENSIONE CON UN SORRISO SULLE LABBRA. RINGRAZIO LE
NUOVE, LE ABITUALI… TUTTI. GRAZIE DI VERO CUORE.
ALCUNE DI VOI MI HANNO FATTO DOMANDE IN MERITO AI SENTIMENTI
DEI PROTAGONISTI… SAM CHIUDE LA SUA BOCCUCCIA PER NON ROVINARE LA SORPRESA.
IMPORTANTISSIMISSIMO: IO E LA BRAVISSIMA, BELLISSIMA E
TALENTUOSA SHINALIA ABBIAMO INTRAPRESO LA STRADA SCONOSCIUTA E TORTUOSA DELLA
SCRITTURA A QUATTRO MANI. OH YEAH!
ABBIAMO PUBBLICATO IL PRIMO CAPITOLO DI UNIVERSITY LIFE
(CLICCATE PER VEDERE).
SPERO DAVVERO CHE POSSA PIACERVI!!
IMPORTANTISSIMO: DUE BRAVISSIME RAGAZZE HANNO CREATO UN BLOG
NEL QUALE CONSIGLIANO LA LETTURA DI ALCUNE STORIE TRA CUI LE MIE (ALTRI BATTITI
PERSI… NE SONO ONORATISSIMA). PER DARCI UN’OCCHIATINA CLICCATI QUI.
ALLORA, RIGUARDO AL CAPITOLO POSSO DIRVI SOLO CHE ARRIVA
TANYA… E ASPETTO CON ANSIA LE VOSTRE CONSIDERAZIONI. SECONDO VOI, DOBBIAMO
PREOCCUPARCI DEL SUO ARRIVO????
ED ERO SENZA PAROLE, FIGUARIAMOCI!
VI LASCIO AL CAPITOLO.
UN BACIONE SAM
CAPITOLO 6
Il mio corpo era
sovrastato da quello di Edward. Entrambi eravamo totalmente in preda a una
frenesia assoluta, eccitante, erotica quasi allo stato puro. Le nostre bocche
erano incollate l’una all’altra, perlustrate dalle rispettive lingue. Edward
continuava a lasciare scie di fuoco con la mano sulla mia pancia, sui miei
fianchi, sulle mie cosce. Ero aggrappata al suo bacino con le gambe e con i
talloni lo attiravo a me smaniosa di un intimo contatto. Con l’altra mano mi
carezzava sensualmente il seno destro, disegnandone la tonda circonferenza. La
sua bocca si fece strada sul mio collo, e morì giù sul mio petto. Gemiti
incontrollati uscirono dalle mie labbra, smorzati da lui stesso. Il suo viso fu
nuovamente all’altezza del mio. Ci sfiorammo intimamente consapevoli di ciò che
sarebbe accaduto da lì a poco e…
Drin… Drin…
Spalancai improvvisamente gli occhi svegliata dal suono
acuto e fastidioso del mio cellulare. Accidenti! Non l’avevo spento il giorno
prima? Mi strofinai gli oggi afferrando quell’aggeggio elettronico. Osservai il
display luminoso solo con un occhio ridotto ad una fessura.
Amante del Diavolo
Perché diamine mi telefonava Irina se eravamo sotto lo
stesso tetto? Cosa voleva alle…
Lanciai un rapida occhiata alla radiosveglia sul comodino:
ore 8:30.
Pigiai il tasto rosso del telefonino rifiutandole la
chiamata per ben due motivi: primo, ero in vacanza - se così questa si poteva
definire (almeno non lavoravo) - e non avevo la benché minima intenzione di
svegliarmi presto nonostante l’ora segnata dalla radiosveglia non
corrispondesse proprio all’alba; e secondo, aveva interrotto bruscamente il mio
fervido e passionale sogno.
Spensi il cellulare per precauzione. Chiusi nuovamente gli
occhi accucciandomi meglio contro qualcosa di morbido e duro al tempo stesso.
Le scene del sogno tornarono come per magia vivide nella mia mente.
Sgranai gli occhi.
Oddio! Avevo sognato di far l’amore con Edward?! Il suo aitante
corpo nudo, le sue mani esploratrici, la sua bocca infuocata, il suo sguardo
eccitato…
Improvvisamente mi venne l’affanno. Il mio petto si gonfiava
ad un ritmo frenetico. Mi strofinai una mano sulla fronte: era fredda e madida
di sudore. In tutto quello almeno una nota positiva c’era: la febbre era
completamente svanita.
Un soffio caldo sul mio collo mi fece rabbrividire. Alzai di
poco la coperta scrutando la posizione del mio corpo, pressoché comoda: la mia
vita era stretta in una morsa d’acciaio dalle braccia di Edward, la mia schiena
aderiva totalmente al suo petto e le nostre gambe erano intrecciate – con
esattezza, costringevo una sua tra le mie incrociate (una posizione alquanto assurda).
Percepivo il suo respiro pensante e regolare, chiaro segno che stesse ancora
dormendo, decedere sulla mia nuca provocandomi altri brividi. Maledetti punti
deboli!
Sentivo un calore divampare in tutto il mio corpo. Quella
vicinanza era tutt’altro che salutare. Mi dovevo assolutamente allontanare
prima che la lucidità prendesse la via del non ritorno… e mancava poco, davvero
poco.
Mi girai su me stessa, lentamente col timore di svegliarlo,
ritrovandomi poi il suo viso ad una spanna dal mio.
Mossa sbagliata Bella,
mossa sbagliata.
Il suo respiro, in quel modo, mi solleticava le labbra e mi
stimolava un certo languore allo stomaco. Osservai per un istante il suo viso,
stregata dai quei lineamenti squadrati, virili… alla Edward Cullen. Con un dito
tratteggiai, leggera come una piuma, la sua mascella scoprendola leggermente ruvida
a causa della barba.
Non potei fare a meno di rimuginare sull’atteggiamento
adottato da lui stesso il giorno prima, specie la sera. Nei miei confronti era
stato dolce e premuroso, come non mai. Che cosa strana. Edward, probabilmente,
mi aveva sempre visto come la migliore amica – qual ero - della sua sorellina
minore, e nulla più. Eravamo sempre stato dediti a stuzzicarci, a prenderci in
giro reciprocamente, la tipica coppia cane-gatto. Un modo di fare e di agire,
dato inizio dalla sottoscritta. Ero sempre stata attratta da lui, fin dal
nostro primo incontro. E chi non lo era?
Edward, non aveva mai mostrato alcun interesse nei miei
confronti pertanto punzecchiarlo era l’unico modo scelto, quasi istintivo, per
tenerlo vicino.
Sfiorai, presa da una strana frenesia, le sue labbra con un
dito designandone il contorno. Mi morsi il labbro inferiore con i denti
reprimendo, in quel modo, l’assurdo impulso di baciarlo. Dovevo allontanarmi da
lui e covare quel poco di lucidità in me, ancora persistente.
Mi liberai dalla sua stretta con un certo sforzo. Quando
scivolai giù dal letto, la coperta scese in basso scoprendo totalmente il suo
busto. Con delicatezza mi avvicinai coprendolo nuovamente fin sopra le spalle.
Era un gesto dovuto, no?
Entrai in bagno chiudendomi la porta alle spalle. Il pigiama
– o meglio, la tuta di Edward – aderiva al mio corpo e non perché fosse un
modello presumibilmente attillato; ero sudata e necessitavo di una doccia. Il
mio sguardo si posò sulla piccola Jacuzzi in ceramica bianca. Quale modo
migliore per distendere i nervi se non con un bagno caldo e rilassante?
***
L’aria era intrisa di fragola, l’aroma del mio bagnoschiuma
preferito, secondo solo a quello alle noci lasciato purtroppo a Seattle. Una
risatina leggera mi sfuggì al ricordo. Forse Alice non aveva avuto tutti i
torti ad impedirmi di portarlo.
Scivolai più in fondo poggiando la testa all’indietro
sull’asciugamano piegata a mo’ di cuscino. Era ammollo da mezzora, forse
un’ora. La pelle delle dita era leggermente raggrinzita ma non me ne curai.
L’acqua stranamente era ancora calda e mi copriva fin sopra al petto. La
superficie era ammantata da una schiuma vaporosa e profumata. Probabilmente
avrei trascorso l’intera giornata in quel piccolo e apparente geyser di
paradiso. Totalmente rilassata e custodita da una bolla di tepore.
«Che ci fai qui?»
Sobbalzai e strabuzzai gli occhi spaventata. «Edward!» Meccanicamente
piegai le gambe e mi coprii il petto con le braccia nonostante il livello
dell’acqua fosse alto e la schiuma alquanto compatta da velare il mio corpo
nudo. «Io? Piuttosto, tu. Che ci fai qui?! Non si usa bussare?”
Edward alzò le mani in segna di difesa. Fortunatamente i
suoi occhi erano puntati nei miei. «Ehi, io pensavo che fossi scesa al piano di
sotto per fare colazione.» Il suo sguardo cadde in basso, ma presto lo riportò
al mio viso.
Avvampai all’istante: le mie guance divennero rosso porpora.
Anche il mio sguardo era alto: notavo il suo petto e le sue spalle nude.
Edward riprese a parlare. «E’ venuta tua cugina Irina. Io
non le ho aperto la porta ma ha parlato ugualmente. Ha detto qualcosa dei tipo:
‘Edward, scendi a fare colazione? Ti ho preparato dei biscotti con le mie mani.’
Ha chiamato solo me per questo pensavo che fossi già scesa.»
Ridacchiai dal tono utilizzato: aveva imitato la voce di
Irina quasi alla perfezione. «Con ‘ho preparato dei biscotti’ voleva
naturalmente dire che si è svegliata presto questa mattina, è andata in
pasticceria, ha acquistato i dolci e li ha posti in un vassoio ‘con le sue
mani’.»
Edward incrociò le braccia al petto divertito. Notai il
guizzo di un suo bicipite. «Non sa cucinare?»
«Ha le stesse doti culinarie di Alice.»
Scosse il capo sogghignando. «Povero Jasper.»
Calò uno fitto silenzio profondamente imbarazzante. Mi
imposi di tenere lo sguardo verso l’alto.
Non guardare in basso,
mi ripetevo come un mantra; ma, come se i miei occhi fossero dotati di
autonomia propria, inesorabilmente scesero lentamente accarezzando ogni misera
parte del suo corpo latteo. Dalle spalle larghe e robuste, il petto atletico
con quelle incavature da farti nascere il desiderio di toccarle con le dita,
gli addominali a tartaruga – anche quelli con le dita, e non solo –, le anche
visibili anche ad occhio nudo che formavano una ‘V’ da urlo, e infine…
ODDIO!
Mi bloccai per un attimo con gli occhi sbarrati quasi fuori
dalle orbite.
Edward era… era… nudo. Beh, non esattamente. Aveva indosso
solo dei boxer neri aderenti. Sì, maledizione erano aderenti! E che aderenza!
Probabilmente le mie guancie raggiunsero una tonalità di
rosso mai visto prima, e purtroppo, Edward se accorse e sghignazzò divertito.
Alzai di scatto il capo, leggermente stordita. Ebbi, lì per lì, il timore di
aver assunto uno sguardo famelico.
Mi imposi calma, concentrazione e soprattutto disciplina. Ma
che disciplina! Edward era quasi nudo davanti ai miei occhi, io totalmente
davanti ai suoi… dovevo ammettere che era una situazione, imbarazzante da un
lato, ed eccitante – estremamente eccitante – dall’altro. Improvvisamente
balenarono nella mia mente, come una diapositiva, le immagini del sogno.
Accidenti! Ecco, che inesorabilmente tornava l’affanno.
«Bella, stai bene?» Chiese Edward con un cipiglio curioso in
volto.
«Mmm?» Fu maledettamente difficile destarmi dai quei
pensieri.
«Stanotte ti ho sentita… gemere. Avevi ancora l’emicrania?»
Ennesima figuraccia imbarazzante! Fortuna che una scusa
plausibile l’aveva già fornita lui. «Sì, poi è passato, però.» Non potevo certo
dirgli che quei mugolii fossero causati dal fantasticare proprio le sue mani e la sua bocca sul mio corpo, no?
Ammantai con la mano un po’ di schiuma. «Edward, farei
volentieri conversazione con te ma la situazione è un po’ strana. Sono nuda,
nella vasca e se non esci dal bagno non posso coprirmi con l’asciugamano.» Le
parole uscirono sconnesse a causa dell’imbarazzo.
«Sicura di non volere un po’ di compagnia?»
Assottigliai lo sguardo. «No. Volevo dire… sì, più che
sicura. Ma, grazie lo stesso.»
Non mi provocare
Edward… oggi potrei cedere prima di quanto tu stesso possa immaginare.
Edward rilasciò una risatina divertita. «D’accordo. Se cambi
idea…» Si girò di spalle e s’accinse ad aprire la porta. Esitò qualche istante
e i miei occhi piombarono in basso, attratti da una strana forza di gravità.
Accarezzai nuovamente il suo fisico; dall’alto verso il basso.
Oh. Mio. Dio!
Probabilmente ero morta annegata nella vasca da bagno e
quello era il paradiso – o l’inferno a seconda dei punti di vista. Qualcosa
attirò la mia attenzione. Mi soffermai più del dovuto sul suo fondoschiena:
tondo, muscoloso, il cosiddetto sedere a mandolino ricoperto da quel sottile
strato di stoffa nera in microfibra. Che fondoschiena!
Edward uscì dal bagno lasciandomi lì, in balia di una strana
sensazione, identificata poi come… pura eccitazione.
***
Il bagno non fu affatto ristoratore; direi l’esatto
contrario. Sciogliere il mio imbarazzo plasmatosi nel bagno, e protratto poi
nella camera da letto fu maledettamente difficile. Fortunatamente Edward entrò
nel bagno nell’istante stesso in cui io venni fuori avvolta da un asciugamano -
rivolgendomi tuttavia il suo solito sorriso sfrontato - cosicché da permettermi
di indossare qualcosa di più consono. Ciononostante, l’imbarazzo aveva
persistito e se tuttora incrociavo lo sguardo di Edward, inevitabilmente
diventavo paonazza e nascondevo il viso dietro la tazza. Poggiata al piano
cottura, sorseggiai ancora un po’ di caffè.
Edward non poté mangiare i biscotti ‘preparati’ da Irina:
fortunatamente, in tempo, mi accorsi che tra gli ingredienti vi erano anche le
noci alle quali era allergico. In quegli anni avevo imparato a conoscerlo quasi
sotto ogni punto di vista, specialmente in materia di gusti: Edward adorava lo
zafferano e il cioccolato. Su un articolo del Daily Sun, tempo fa vi era stato
scritto un articolo nel quale, secondo alcune analisi, quei due ingredienti
erano stati denominati come ‘afrodisiaci puri’. Tipici di Edward; non poteva
essere altrimenti.
«Tra un po’, dovrebbe arrivare Tanya» Esordì Irina
lanciandomi uno sguardo molto allusivo. «Sei contenta, Isabella?»
Bevvi un altro sorso di caffè. «Da morire.»
Ironica? Assolutamente sì.
Se Irina e Kate potevano essere definite rispettivamente
l’amante e la moglie del diavolo, Tanya era la figlia di Satana in persona, sangue
del suo stesso sangue. Era meno stupida e più machiavellica di entrambe le
sorelle messe insieme – non che quest’’unione fosse così rilevante: due galline
con un cervello solo.
«Non vedo l’ora. Sprizzo gioia da tutti i pori, non si
vede?»
Edward colse all’istante la vena ironica; celò un sorriso
divertito dietro una tazza fumante di caffè non prima di avermi lanciato un
occhiata fintamente contrariata. Inaspettatamente, il campanello suonò
echeggiando in tutta la casa.
«Isabella, puoi andare tu?» Il tono che utilizzò fu
sardonico e calcolatore. Ebbi lì per lì il timore di andare alla porta. Pensai
perfino che avessero ingaggiato un cecchino. Non erano così cattive, no?
Tirai un grosso sospiro incedendo verso l’ingresso di casa.
Non guardai neanche attraverso lo spioncino, spalancai direttamente la grande
porta in legno.
Sgranai gli occhi, totalmente sbigottita. La gola divenne
secca e smisi di respirare. Avrei preferito mille volte trovarmi dinnanzi il
cecchino - pronto ad uccidermi – piuttosto che…
«Mike?» Domandai con un filo di voce. Cosa diamine ci faceva
il mio ex ragazzo sull’uscio della porta di casa Denali? Ciò nonostante, lo
sguardo che mi rivolse fu sorpreso almeno quanto il mio. Una ragazza - dai
lunghi capelli biondi, due iridi azzurre e un corpo da modella - lo affiancò:
Tanya.
«Ciao Isabella, è un piacere rivederti.» Un sorriso finto le
si dipinse sul viso. «Conosci già Mike? Il mio fidanzato?»
Fidanzato? Tanya e Mike? Non che la cosa mi disturbasse, ero
stata io stessa a porre fine alla nostra storia ma tutto mi risultava alquanto
strano. Erano più di tre anni che non vedevo Mike e, a quel che ricordavo, non
ci eravamo proprio lasciati in modo idilliaco.
«Tanya! Finalmente!»
Kate mi travolse gettandosi tra le braccia della sorella. La
strinse spasmodicamente sussurrandole qualcosa all’orecchio. Al che Tanya,
puntò i suoi occhi nei miei palesando il suo stupore. Mike continuava a
guardarmi tra un misto di stupore e rammarico.
«Si può sapere dove hai lasciato il telefono? Sono giorni
che cerco di chiamarti.» Esordì Irina - giunta dalla cucina - a braccia
conserte. Notai Edward addossato al muro, scrutare la scena con occhio alquanto
curioso.
«Ho perso il telefono.» Rispose Tanya quasi con
disperazione. Il suo sguardo si posò su Edward; sbarrò gli occhi e potei notare
in questi un luccichio di malizia. «Non posso crederci: Edward Cullen.»
Il mio fidanzato sorrise sghembo. «In carne ed ossa.»
Tanya gli si avvicinò con passo altamente suadente, posando
un bacio sulla sua guancia, quasi all’angolo della bocca. Sentii la rabbia
montarmi dentro. «Da quanto tempo non ci vediamo. E’ un piacere incontrarti di
nuovo.»
Dovevo assolutamente fare qualcosa. Raggiunsi Edward,
toccandogli un braccio con la mia mano. «Conosci già Edward? Il mio fidanzato?»
Stesse parole, stesso tono allusivo. Un combattimento ad
armi pari.
Anche Mike ci raggiunse scrutando Edward da capo a piedi. Allungò
un mano nella sua direzione. «Mike Newton.»
Edward strinse la sua mano lanciandogli un occhiataccia.
«Edward Cullen.»
«Ragazze, abbiamo un appuntamento all’atelier. Dobbiamo
rimandare questi convenevoli a dopo.» Disse Kate con tono concitato.
Un sorrisetto spuntò sul viso di Tanya. «Non vedo l’ora.»
Avevo uno strano presentimento: l’idea di restar sola, con
le tre care cugine, non mi allettava affatto. Incedetti al piano superiore
seguita da Edward.
Entrai nella nostra camera sbattendo la porta con forza.
Grugnii qualcosa di incomprensibile, persino alle mie orecchie, sbollendo la
rabbia soffocata nell’atrio. Tanya non aveva mai avuto una storia seria né al
liceo e né all’università – almeno, da quel che ricordavo. Ero sicura di non
poter gioire di questo suo inaspettato fidanzamento con Mike; nulla le avrebbe
impedito di mettere in atto i suoi diabolici piani e probabilmente se avesse
appreso prima della presenza di Edward, non sarebbe mai venuta con un altro
uomo.
«Sai, il suo viso non mi è nuovo.» Esordì Edward con un dito
sotto al mento. «Quel damerino non abita nella nostro palazzo, vero?»
Aprii la valigia con un gesto deciso, decisamente nervoso.
«E’ impossibile che tu te lo ricordi. Saranno passati più di tre anni.»
«Da cosa?»
Afferrai una borsa ed una giacchettina in
cotone.«Dall’ultima volta che è venuto a casa mia. Probabilmente l’avrai notato
in quell’occasione.»
S’accigliò esibendo un espressione scettica. «E cosa ci
faceva a casa tua?»
Celai un sorriso, generato dalla sua assurda curiosità.
Avevo elaborato, alcuni anni primi, un articolo sul Daily Sun nel quale esponevo
uno dei principali difetti maschili da poter utilizzare a vantaggio femminile:
l’innato desiderio di conoscere. L’uomo è prettamente curioso delle donne, in
special modo se si tratta della ‘sua’ donna, e arriverebbe ad utilizzare
qualsiasi mezzo pur di soddisfare la sua curiosità: controllando le chiamate e i
messaggi sul telefono ricevuti ed effettuati, studiando ogni suo cambiamento –
dal taglio di capelli ad un acquisto di un abito nuovo- e arrivare perfino a
pedinarla. Pertanto, la curiosità spesso è sintomo di gelosia, ma sapevo
perfettamente che non era questo il caso. Edward era solo curioso.
Il mio finto fidanzato arcuò un sopracciglio, dato il mio
voluto silenzio. «E’ un imbianchino? Un elettricista? Un…»
Bloccai il suo flusso di parole alzando una mano;
probabilmente, di quel passo avrebbe elencato tutti i lavori possibili ed
immaginabili. «E’ il mio ex ragazzo.»
«Il tuo ex ragazzo?» Ripeté con tono quasi scettico. «Quanto
tempo siete stati insieme?»
«Edward, sbaglio o sei curioso?» Beh, ogni tanto potevo
anch’io divertirmi a punzecchiarlo. Non avevo ancora dimenticato la sconfitta
al pingpong.
Si passò una mano tra i capelli. «Devo essere preparato se
mi trovo a parlare con lui, non credi?»
«Hai ragione.» Concordai. «Quattro anni.»
Edward sbarrò gli occhi. «Quattro anni?»
Rilasciai una risatina. «Sì, precisamente tre anni e mezzo.
Tanti, eh?»
Edward si lisciò il mento con fare pensoso. «Sono tre anni e
mezzo che non frequenti un uomo?»
Ahi, tasto dolente. Una cruda realtà. Indossai una maschera
divertita celando la mia autocommiserazione. «Beh, non proprio. Sono due anni
che siamo fidanzati, o sbaglio?»
Edward rise di gusto ritrovandosi quasi le lacrime agli
occhi.
Lo guardai con un cipiglio contrariato. «Sono troppi per te,
vero?»
Mi sorrise sghembo, allo stesso modo da tre anni a questa
parte. «Non abbastanza da sopportarti.»
Ecco l’Edward Cullen che conoscevo. Schietto, pungente e,
perché no, persino divertente. Gli feci una linguaccia fintamente risentita. Mi
infilai la giacchetta in lino bianco.
«Non vedevi l’ora di trascorrere del tempo sola con le tue
cugine, vero?»
Mi avvicinai con passo lento e sensuale. Gli afferrai un
braccio e con leggerezza gli tastai le vene. Quel contatto mi provocò un
leggero brivido. «La tua vena ironica pulsa più delle altre.»
Mi cinse la vita con un braccio attirandomi a se. «Che fai,
mi rubi le battute?»
Sorrisi. «Tu mi rubi lo spirito ironico. E’ uno scambio
equo, non trovi?»
La mano di Edward era salda sulla base della mia schiena e
con un dito sfiorava un lembo della mia pelle scoperta. I suoi occhi sembravano
più luminosi.
La porta della nostra camera improvvisamente si spalancò
rivelando la figura di Tanya. «Isabella, sei pronta?»
Sbuffai allontanandomi da Edward. Raggiunsi mia cugina, che
osservava me quasi con fare cospiratorio ed un sorriso di ‘chi la sa lunga’.
Sembrava soddisfatta di qualcosa a me ancora ignoto. Meditai per un attimo.
Compresi tutto all’istante. Con un gesto fulmineo tornai da
Edward. Gli accarezzai una guancia ispida con le dita.
«Non me ne volere.» Sussurrai prima di posare le mie labbra
sulle sue. Ciò che mi sorprese fu la sua reazione: mi strinse a se in modo
spasmodico premendo il palmo della mano sulla mia schiena. Mi carezzò la nuca
provocandomi una pioggia di brividi lungo tutta la spina dorsale. Le mie mani,
come se possedessero volontà propria, si persero nei suoi capelli ramati
setosi. Ricambiò il bacio in tutto e per tutto, prendendo persino l’iniziativa
di approfondirlo. Come il primo giorno, le nostre lingue umide si accarezzarono
ma, non più con timore, bensì con desiderio e frenesia. Le sue labbra erano
morbide, succose. Edward mi morse con i denti quello inferiore un paio di
volte, ma non mi fece assolutamente male.
Tanya tossicchiò richiamando la nostra attenzione. Mi
allontanai di malavoglia dalla sua bocca. Le sue mani rimasero per un po’ ancorate
alla mia schiena. «Grazie» Sussurrai a corto d’aria.
Edward sorrise obliquamente. «Peccato che tu non abbia
voluto compagnia questa mattina nella vasca da bagno.»
Ridacchiai percependo solo adesso le guance andate in
fiamme. «Peccato che tu non abbia insistito.»
Mi allontanai definitivamente da Edward con un sorriso
vittorioso. La sua espressione sbigottita fu impareggiabile. Credeva realmente
di essere più scaltro della sottoscritta?
- - -
Giunte all’atelier più famoso di Anchorage, una giovane
donna in tailleur grigio, munita di cartellina e occhiali sottili molto simili
a quelli indossati da molte segretarie, ci accolse con uno sguardo contrariato.
«Gianna!» la salutò Kate con entusiasmo.
«Finalmente siete arrivate.» Lanciò uno sguardo all’orologio
alle nostre spalle. «Siete in ritardo di ben venti muniti. Su, ora
sbrighiamoci. Abbiamo molto lavoro da fare.» Una commessa veloce ed efficiente.
Ci precedette convogliandoci in un’ampia sala molto
luminosa: le pareti erano interamente sostituite da specchi; alcuni lati erano
costeggiati da stand con abiti appesi. «La sposa andrà nell’altra stanza per
provare l’abito.» Kate annuii con entusiasmo. Gianna le indicò la porta dalla
quale uscì una donna bionda e formosa. «Salve ragazze. Bentornate. Io mi
dedicherò interamente alla sposa. Kate, vogliamo iniziare? La sarta è già
munita di spilli, ago e filo. Spero che tu non sia dimagrita.» Mia cugina,
saltellando raggiunse la donna chiudendosi la porta alle spalle. Fuori una.
«Allora, eravate certamente al corrente che le damigelle
devono essere minimo tre. Qui però, leggo i nomi solo delle sorelle Denali.
Dov’è la terza?»
Ecco svelato il primo mistero: il motivo per cui ero stata
nominata anch’io damigella. Due non bastavano.
Irina mi indicò con un dito, quasi con disprezzo. «E’ lei.
Si chiama Isabella Swan. E’ nostra cugina.»
Gianna si sistemò gli occhiali guardandomi con occhi
critico. «Ma è totalmente diversa da come me l’avete descritta.» Mi girò
intorno scrutandomi da capo a piedi. «Sarà come minimo tre taglie in meno rispetto
a quella che voi mi avevate detto.»
Lanciai un occhiataccia alle mie cugine. Osservavano la
scena con un sorriso compiaciuto in viso. Che stronze!
«Comunque, credo di avere la taglia adatta.» Gianna batté un
paio di volte le mani con fare sbrigativo. «Spogliati, così verifichiamo
subito.»
Sospirai pesantemente. Avrei preferito mille volte fare
shopping con Alice che subire volontariamente questa tortura ma, purtroppo, ero
obbligata. «Dove posso cambiarmi?»
Gianna ridacchiò, al che una leggera irritazione mi sfiorò
la pelle. «Qui naturalmente. Hai problemi? Siamo tutte donne.»
Era una congiura? Quasi certamente; non c’era altra
spiegazione. Ero molto schiva sul mio corpo: non avevo un fisico da modella ma
se credevano di intimidirmi in quel modo, si sbagliavano di grosso. Isabella
Swan non si faceva intimorire da niente e nessuno. Avevano trovato pane per i
loro denti.
Mi sfilai dapprima la camicetta, poi la gonna in jeans
rimanendo quindi in abbigliamento intimo giallo coordinato, l’ennesimo regalo
di Alice.
La signora Gianna mi si avvicinò con un vestito viola –
quasi cipolla – tra le mani; mi scrutò nuovamente da capo a piedi. «Un fisico
notevole, non c’è che dire. Forse supera anche il tuo Tanya, sai?»
Il mio petto, inconsciamente, si gonfiò compiaciuta da tale
complimento. Ero uscita vincitrice da uno scontro tête à tête con Tanya. Da
non credere. Ma la gratificazione durò poco, data la sfrontatezza delle mie
cugine.
«Il seno è rifatto, si vede.»
Aggrottai la fronte infastidita. «Il mio seno non è rifatto.»
Gianna mi aiutò ad infilare lo strano abito dai piedi. «Tesoro,
non c’è nulla di male ad ammetterlo.»
Con un occhiataccia incenerii cugine e non. «A differenza
vostra sono contro la chirurgia estetica e il mio seno non è rifatto.» Ripetei
con tono alquanto tagliente. Mi stavano accusando ingiustamente. Al diavolo le
buone maniere! Gianna tirò su la cerniera del vestito. Guardai la mia immagine
riflessa nella specchio con un certo disgusto: sembravo una di quelle bambole
in porcellana abbigliate con succinte vesti colorate e pompose piene zeppe di
fronzoli. Il vestito era senza spalline, stranamente privo di scollatura
volgare; esso era costituito interamente da tulle e seta violacee cucite tra
loro con balze voluminose e giungeva sin sotto i piedi – un vero attentato alla
sottoscritta data la scarsità di equilibrio di cui ero dotata sin dalla
nascita.
«Non sapevo tu fossi fidanzata.» Esordì Tanya indossando lo
stesso mio vestito.
«Le tue sorelle non ti hanno avvisata?» Domandai con finto
stupore, rigirandomi su me stessa. Quel vestito era orrendo!
«Purtroppo ho perso il cellulare. Sai che io e Edward siamo
stati insieme all’università?»
Irina spalancò la bocca sorpresa. La sorella probabilmente
desiderò la medesima reazione da parte mia, ma velai la rabbia con un sorriso
piuttosto tirato. «Tanya, so tutto di Edward.»
Lei sorrise in modo scaltro. «Sicuramente. Però mi sembra
molto strano che tu abbia un fidanzato. Ho sentito zia Renée la settimana
scorsa e non mi ha detto nulla in merito.»
Tanya era molto brava a minare la mia parvenza di pazienza. Mi
agitai leggermente. Calma, Bella.
«Mia madre non ne è al corrente.»
«Capisco.» Quel suo tono mostrò più consapevolezza di quanta
volesse celare. «Non vedo l’ora di poter parlare con Edward e ricordare i bei
vecchi tempi. Non è cambiato affatto. Spero che non sia cambiato anche in altre
cose.» La sua irritante ed allusiva risata echeggiò nell’ampia sala; fu così
acuta che ebbi il timore che potesse infrangere gli specchi. Trattenni
l’impulso romperli io stessa con il suo viso strappandole i lunghi capelli
biondi. Sapevo che l’arrivo di Tanya avrebbe comportato svariati problemi e
questa ne era la prova. Mi avrebbe portato alla pazzia pur di sapere la verità
tra Edward e me. Nella mia mente si insinuò un dubbio: quanto ancora sarei
riuscita a sopportare?
- - -
Entrai nella camera sbattendo con forza la porta. Edward era
sul nostro letto e sobbalzò spaventato da tale irruenza. «Ciao.»
Grugnii qualcosa di incomprensibile come risposta. Avevamo
trascorso l’intera giornata in quella maledetta boutique tra vestiti,
rifiniture, tulle e quant’altro di estremamente fastidioso noto al mondo.
Naturalmente, io ero stata il loro bersaglio preferito: avevano parlato di me
come se io non fossi presente e si accorgevano della mia presenza solo per
pormi domande assurde. I loro discorsi erano sempre stati completamente
incentrati su cose frivole, superficiali. Nonostante il vestito da damigella
fosse già stato scelto da tempo, avevano avuto la brillante idea di provare ugualmente tutti gli abiti presenti
nell’Atelier.
Puro divertimento, a detta loro.
Pura disperazione, a detta mia.
Ero completamente sfinita.
«Pensavo che fossi tornata a Seattle a mia insaputa.»
Continuò Edward.
Accidenti! Era un idea favolosa, peccato che non l’avevo
proprio presa in considerazione. Lanciai la borsa sul letto.
Edward ridacchiò. «Ti sei divertita?»
Lo guardai trucemente. «Mi chiedi se mi sono divertita? Se
mi sono divertita? Sono distrutta e non parlo solo a livello fisico. Vorrei
frantumare qualcosa o avere un saccone da box a disposizione in questo
momento.»
Edward mi scrutò con un sorriso beffardo. «Ho il timore che
tu possa avere un eccesso di rabbia. Cosa ti hanno fatto?»
Sbuffai; mi tolsi le scarpe con le punte dei piedi
lanciandole sul pavimento. «Cosa non hanno fatto, vorrai dire.» Sfilai il primo
bottone dall’asola della camicetta. «Il vesto da damigella è orrendo. Sembro
una cipolla o quei batuffoli di velo che contengono i confetti.» Ne sfilai
altri due. «E’ lunghissimo pertanto al matrimonio cadrò.» Sfilai gli ultimi tre
bottoni. «Ah, dimenticavo.» Mi tolsi la camicetta gettandola sul pavimento
rimanendo in reggiseno. «Mi hanno accusata di essermi rifatta il seno. Loro
sono siliconate da testa a piedi… e hanno avuto il coraggio barbaro di
insinuare falsità sul mio conto.»
Edward mi fissava con un sopracciglio alzato e le braccia
conserte. Alternava lo sguardo dal mio viso al mio petto. «Edward, mi stai
ascoltando o cosa?»
Un sorrisetto spuntò sul suo viso. «A dir la verità, sto controllando.
Sai, è vero, non sembrano reali: la grandezza è perfetta e sono tonde al punto
giusto.»
Aggrottai la fronte. «E tu come fai a saperlo?»
Indicò la mia figura con la mano spostandola dall’alto verso
il basso e viceversa. Curiosa, abbassai lo sguardo rendendomi finalmente conto
di essermi spogliata ed esser rimasta in biancheria intima davanti ad Edward.
Fortunatamente la gonna c’era ancora. Afferrai un guanciale e lo utilizzai per
coprirmi il petto. Le mie guance si imporporarono all’inverosimile.
«Edward! Perché non mi hai detto niente?!»
«Ti stavi spogliando… non pensavo fossi incosciente in quel
momento.» Lui rise di gusto gettandosi di schiena sul letto.
«Lo faccio con Alice, la maggior parte delle volte quando
torno da lavoro, per questo non ci ho pensato.» Tentavo di giustificarmi e
neanche io sapevo il motivo.
Edward sì alzò esibendo un sorriso da furbetto. «Il cognome
è lo stesso.»
Gli lanciai con forza il guanciale che avevo tra le mani.
«Peccato che il cervello sia diverso.»
Edward fermò il cuscino in tempo e mi scrutò da capo a piedi. «Il reggiseno a
balconcino è quello che preferisco, sai? Ed è la prima volta che ti vedo con
una minigonna di jeans.»
Solo allora mi resi conto del secondo errore: ero rimasta di
nuovo in reggiseno davanti ai suoi occhi. Mi coprii con le braccia, tuttavia,
con scarso risultato. «Sono imprevedibile e piena di sorprese.» Incedetti verso
il bagno con le guance totalmente in fiamme. Addossai le spalle alla porta
chiusa tirando un grosso sospiro. Fu maledettamente difficile trattenermi dal
chiedergli se quello fosse un modello indossato da Tanya.
QUESTA E' LA MINI JACUZZI: CLICCATE QUI.
SIAMO GIUNTI ALLA FINE.
SIETE PREOCCUPATI DI TANYA???? MUAAAAAAAH (RISATA LEGGERMENTE SADICA!)
[Il prossimo aggiornamento sarà sempre di AAA dato che ho
aggiornato due volte consecutivamente AP... (ah, dimenticavo: grazie a
tutti per il sostegno mostrato nell'ultimo capitolo)]
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
7
SALVEEEEEE….
ECCOMI CON IL NUOVO CAPITOLO.
ALLORA… COSA DIRE OGGI?
PER PRIMA COSA RINGRAZIO CHI HA TANTO INSISTITO AFFINCHE’
AGGIORNASSI ENTRO BREVE (NON VI AMMAZZO, NON VI PREOCCUPATE. NON MI SONO
AFFATTO OFFESA, L’HO PRESO IN SIMPATIA). RICORDO COMUNQUE CHE I MIEI CAPITOLI
NON SONO AFFATTO PREPARATI… NON HO NEMMENO UNO SCHEMA O UNA BOZZA SU CUI
BASARMI PERTANTO, OGNI VOLTA NON E’ FACILE CREARE IL TUTTO (PER QUESTO MOTIVO
NECESSITO DI COSì TANTI GIORNI PER PUBBLICARE).
SONO FELICISSIMA CHE IL CAPITOLO SCORSO VI SIA PIACIUTO
(PURTROPPO LA SCENA DELLO SPOGLIARELLO FINALE DI BELLA E’ REALE… NEL SENSO CHE
IO L’HO FATTO DAVVERO… GETTIAMOCI UNA PIETRA SOPRA). ANCHE QUESTO, AHIME’, E’
DI 9 PAGINE ED E’ SOLO AL 50%... L’HO DIVISO (NON POTEVO CERTO PUBBLICARE 20 PAGINE
ANCHE SE L’ALTRA META’ NON E’ ANCORA SCRITTA).
RINGRAZIO CHI HA INSERITO LA MIA STORIA TRA LE PREFERITE,
SEGUITE, E CHI LEGGE SOLAMENTE.
ABBIAMO SUPERATO LE 100… VI RENDETE CONTO? PIU’ DI 100
PERSONE MI HANNO INSERITO TRA GLI AUTORI PREFERITI. SONO SENZA PAROLE… E SENZA
FIATO. CERCHERO’ DI FARVI UN REGALINO… MMM… FATEMI PENSARE.
IMPORTANTISSIMO: ACCANTO A “STORIE SCELTE” HANNO INSERITO
ANCHE “STORIE POPOLARI”. EBBENE SI’, AAA. E’ TRA LE 15 STORIE CON PIU’
RECENSIONI PER CAPITOLO E QUESTO E’
SOLO GRAZIE A VOI…
SI VOI CHE AVETE COMMENTATO… CHE AVETE LASCIATO UN SEGNO… UN
DOLCISSIMO SEGNO AL VOSTRO PASSAGGIO. GRAZIE INFINITAMENTE!!!
RINGRAZIO IL MIO NEURONE… AVEVO UN PROBLEMA CON QUESTA
STORIA E L’HA RISOLTO IN UNA NOTTATA INSONNE (SCUSATE ME SE NON LO RINGRAZIO
PUBBLICAMENTE SI OFFENDE)!!!!
DEDICO QUESTO CAPITOLO A:
@MIRYA
@JAZZINA_94
@13_FOREVER
@BELLA_KRISTEN
@ALICEUNDRALANDI
ANCHE OGGI HO TERMINATO CON IL MIO SPROLOQUIO.
VI LASCIO AL CAPITOLO.
PS: SIETE CONTENTE DELL’ARRIVO DI TANYA?? FARA’ QUALCHE
DISPETTO? SI VEDRA’.
CAPITOLO 7
La doccia sortì un effetto alquanto positivo: il getto caldo
funse da emolliente sul mio corpo teso come una corda di violino, facendo sì
che perfino tutta l’irritazione accumulata nell’intera giornata, si dissolvesse
come vapore acqueo disciogliendo del tutto le mie terminazioni nervose. Tuttavia,
come di consueto, in seguito a quell’eclissi momentanea dei sensi, subentrò la
spossatezza. Un ciclo divenuto ormai quotidiano nella mia vita a Seattle:
rientro da lavoro, cena, doccia rilassante – in alternativa ad un bagno caldo
-, e infine riposo. Di rado uscivo la sera; un po’ per noia, un po’ per
compagnia. Indiscutibilmente adoravo Alice e Jasper – l’uno completava l’altro
- ma non ero mai stata propensa ad essere il loro terzo incomodo; ero solo d’impiccio
nonostante affermassero l’esatto contrario. Non mi ero mai resa realmente conto
di quanto fosse monotona la mia vita; priva di sfaccettature e di attimi
eclatanti.
Uscii dal bagno dopo ben quarantacinque minuti, complice di
tale indugio la scelta del pigiama da indossare quella stessa notte. Avevo optato per una sottoveste in
pizzo nero, abbastanza lunga a dire il vero, con lievi aperture laterali e
dolcemente trasparante sulle gambe e sul decolté. Probabilmente era fin troppo
elegante e seducente per quell’occasione ma era l’unica decorosa presente nella
valigia, successiva a quella in raso blu indossata nelle due notti precedenti. [veste da notte]
Edward era sul letto matrimoniale in posa relax: ad occhi
chiusi, con le mani dietro la testa, la schiena poggiata alla testiera e le
gambe incrociate; sul suo viso c’era ancora quel sorriso strafottente e
maledettamente sexy. Uditi i miei passi, aprì gli occhi puntando il suo sguardo
nel mio. I suoi occhi si allargarono e con la bocca spalancata mi scrutò da
capo a piedi carezzando ogni mia forma. Deglutì rumorosamente prima di parlare.
«Nero?»
«Nero.» Concordai portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. «Un altro regalo di Alice.» Occupai il lato sinistro del letto
abbandonandomi completamente alle mercé dei cuscini; i miei capelli si aprirono
a ventaglio. Mi stiracchiai volgendo poi il capo nella sua direzione. «Almeno
questa è più lunga, no?»
Edward annuii, deglutendo ancora una volta. Ridacchiai. «Hai
perso la voce?»
Scosse il capo con un mezzo sorriso. «No, stavo solo pensando.»
Mi girai su un fianco; piegai un braccio poggiando il capo
sul palmo della mia mano con un sorriso. «Ah, sì? E a cosa pensavi?»
Il verde dei suoi occhi in quell’istante parve ardere. «Che
il nero ti dona quanto il blu.»
Il mio cuore perse alcuni battiti. Rimuginai sulle sue
parole: il nero ti dona quanto il blu.
L’avevo immaginato? Quella frase era davvero uscita dalle sue labbra? Forse
voleva prendermi in giro, come il suo solito; non vedevo altra spiegazione. Non
poteva pensarlo davvero. Nonostante ciò, percepii il sangue fluire velocemente sulle
mie gote tingendole irrimediabilmente di rosso. Diressi il mio sguardo sulle
lenzuola lattee disegnando sfaccettati ghirigori con le dita. Non ero abituata
ai complimenti, specie da lui.
«V-voi ragazzi, invece? Co-cosa avete fatto?» Mormorai –
rasentando un balbettio sconnesso- nel tentativo di stemperare quell’atmosfera
imbarazzante venutasi a creare.
«Garrent ha provato lo smoking per il matrimonio.»
Ridacchiai adorando il suo volto designato da un sorriso.
«Avete atteso molto?»
Scosse il capo. «No, è stato abbastanza veloce. Non è
pignolo come…»
«Te?» Conclusi io per lui.
Mi rivolse un sguardo divertito. «Veramente volevo dire ‘come
Alice’.» Un barlume di consapevolezza balenò nei suoi occhi. «Ehi! Io non sono
pignolo.»
Dissentii, convinta più che mai. «Oh, sì invece.» Mi sedetti
sul letto a gambe incrociate pronta ad esporre la mia tesi. «Impieghi più di
venti minuti per sistemarti i capelli ma alla fine ci rinunci perché sai che
sono indomabili» mi allungai scompigliandogli la chioma ribelle, erano
morbidissimi. «Impieghi altri venti per la cravatta, quando la indossi: sciogli
e rifai il nodo almeno cinque volte.» Portai una mano al mento con finto fare
pensoso; poi, scoccai rumorosamente due dita. «Rimani impalato davanti al tuo
armadio per più di mezzora per scegliere gli abiti da indossare. Tiri fuori
prima i pantaloni, poi come minimo tre camice da poter abbinare.» Alzai una
mano facendola roteare con ovvietà. «E dopo svariati minuti di contemplazione
ti vesti.» Conclusi la mia arringa, pienamente soddisfatta con un sorriso
vittorioso in viso. Solo allora mi accorsi dell’espressione del suo volto: era
sbigottito e stranamente imbronciato. Avvicinai cautamente un mia mano alla sua
fronte sfiorando con un polpastrello la sottile ruga tra le sopracciglia.
«Questa si forma quando ti soffermi a riflettere su qualcosa.»
Mi prese delicatamente il polso costringendolo nella sua
mano. «Come fai a sapere tutte queste cose?» Il suo sguardo era curioso,
intenso e… tremendamente dolce.
Mi mordicchiai il labbro nervosa. «Sono una buona
osservatrice.»
Aprì la bocca per replicare quando il mio cellulare squillò
bloccandogli le parole sul nascere: avviso di un messaggio ricevuto. Allungai
un braccio afferrandolo dal comodino.
Un sorriso spuntò sul mio viso al sol nome del mittente: Alice.
«Chi è?» Chiese Edward curioso.
«Tua sorella.»
Siete due fidanzati
ingrati. E’ incedibile che io non abbia ricevuto neanche una telefonata da mio
fratello, né da mia cognata. Ah, faremo i conti quanto tornerete a casa,
vedrete!
«Cosa dice?»
Ridacchiai divertita. «Che siamo due ingrati perché non le
abbiamo telefonato e al ritorno ci attende una lunga e stressante sfuriata alla
Alice Cullen.»
«Ahia. Saranno dolori.» Scherzò Edward sogghignando. «E
poi?»
Commentai il resto del messaggio ad alta voce. «Spera che ci
stiamo comunque divertendo.» Lo guardai con un sorriso di sbieco. «Gentile da
parte sua, non credi?» Il mio tono naturalmente fu ironico. Riposi nuovamente l’attenzione
sul display del mio cellulare. «Questo è indirizzato a me: ‘Bella, ricordati
che l’omicidio è un reato penale…’» Pensava forse che avrei messo del cianuro
nei pasti delle mie cugine? Vero, quell’idea aveva sfiorato la mia mente, ma
non l’avrei mai messa in atto. Non ero poi così cattiva.
Continuai a leggere. «’… e riferisci a Edward di non togl-‘»
Mi fermai in tempo; per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Annaspai
in cerca d’aria. Mi ripresi inspirando profondamente un paio di volte. Ma come
le veniva in mente di scrivere certe cose?!
«Allora?» Mi incitò Edward con un sopracciglio inarcato. «Cosa
non dovrei fare?»
Deglutii rumorosamente. «N-nulla di importante.»
Edward s’avvicinò di qualche centimetro. «Bella…»
«Sul serio, non è nulla di importante. Non mi credi? » Mi
alzai dal letto lottando invano con i tasti del cellulare.
«No, non ti credo. Finisci di leggere il messaggio?» Gattonò
invadendo il mio lato del letto matrimoniale. Mi portai il telefonino dietro la
schiena. «Assolutamente no.»
Un sorriso furbo, alquanto inquietante, spuntò sul suo viso.
«Okay. Vuol dire che mi prendo direttamente il cellulare.»
Gli puntai un dito contro spostandomi quatta lateralmente.
«Non ci provare.»
Scattò velocemente in piedi e nel mentre aggirai il letto
ritrovandomi al lato opposto. «Sai che prima o poi ti acchiappo, vero?»
Alzai la mano con il cellulare verso l’alto. «Lo cancello.»
Fece qualche passo nella mia direzione. «Stai fermo lì
altrimenti lo cancello.» Lo avrei già volentieri cancellato dal primo momento
che lo avevo letto, se solo fossi riuscita a pigiare i tasti giusti: le
apparecchiature elettroniche mi odiavano. Fece altri piccoli passi e si fermò
alzando due dita della sua mano. «Sono magnanimo. Ti offro due possibilità:
uno, mi consegni il cellulare di tua spontanea volontà e non ti faccio nulla;
due…»
«La numero uno non mi piace.» Dichiarai con un broncio. Mi
trattenni dal ridergli in faccia: la situazione era divertente e non potevo
certo esimermi dal stuzzicarlo, no?
«Fidati… neanche la due ti piace.» Fece un altro passo nella
mia direzione.
Alzai la mano verso l’alto. «La terza però sì.»
Sogghignò disinibito. «Non mi sembra di aver detto che ci
fosse anche una terza.»
Feci un passetto verso il letto combattendo ancora con i
tasti del cellulare dietro la mia schiena. «Certo che c’è.» Chiusi la mano a
pugno mostrando solo tre dita. «Tre: lo cancello subito e facciamo finta di
niente.»
«Non sai contrattare, lo sai?» Altro passo e ghigno di
Edward. «Facciamo così. Conto fino a tre. Allo scadere del tempo se non vieni
tu, vengo io»
Mi imbronciai incrociando le braccia al petto. «Questo è un
ricatto bello e buono. Non mi piace.»
«Uno…»
Mi avvicinai ancora al letto. «Possiamo provare a contrattare
di nuovo?»
«Due…»
«Edward, è un messaggio stupido… sai com’è tua sorella…»
«Due e mezzo…» Quei numeri mi davano alla testa e generavano
adrenalina nel mio corpo. Un volta sfiorato il letto con il polpaccio, mi
impuntai assumendo un’aria testarda. «E’ inutile. Non te lo consegno.»
Un sorriso vittorioso comparve sul viso del mio bellissimo
rivale. «Okay, vengo io.»
Salii con i piedi sul letto sormontandolo, pedinata da
Edward. Gli girai ancora una volta attorno salendoci nuovamente sopra. Correvo,
per quanto mi fosse permesso nella stanza, e ridevo: era inconcepibile il mio
comportamento… ma mi stavo divertendo, fin troppo per smettere. Dopo il terzo
giro compreso di arrampicata, Edward mi raggiunse cingendomi di scatto la vita
con le sue braccia. Cademmo entrambi a peso morto sul letto. Alzai la mano col
tentativo di allontanare il cellulare da Edward ma fu totalmente inutile perché
mi prese i polsi bloccandoli con una mano sola al di là della mia testa. Con le
gambe calciai cercando di liberarmi ma Edward mi sovrastò impedendomi ogni
sorta di movimento. Soffiai indispettita sul suo viso come una bambina.
«Non puoi più muoverti.» Dichiarò vittorioso e sorridente. Accidenti,
era bello anche nei momenti in cui mi sconfiggeva.
Con l’altra mano prese il mio cellulare e lesse il restante
del messaggio: «’… riferisci a Edward di non toglierti l’intimo con i denti
perché sono capi delicati di alta sartoria. Si rovinano!’»
Le mie guance si tinsero nuovamente di un rosso brillante.
Maledetta Alice!
Edward gettò il telefonino sul materasso. «Mmm… sai che non
ci avevo pensato?» Liberò le mie mani dalla sua stretta; le sue, le puntellò
sul materasso in prossimità delle mie tempie. Il suo calore era piacevole a
contatto con il mio corpo e il suo profumo muschiato era maledettamente
seducente.
«A cosa?» Mormorai frastornata dalle molteplici sensazioni.
Chinò il capo sulla destra sino a trovarsi con le labbra in
prossimità del mio orecchio. «A utilizzare i denti» Un potente brivido mi
scosse totalmente il corpo. Mi venne la pelle d’oca. In una frazione di secondo
la ragione si spense dando libero sfogo alla fantasia. Per quale assurdo motivo
avvertivo l’irrefrenabile bisogno di sentire i suoi denti e le sue labbra sulla
mia pelle? Era un’idea folle e… piacevole, fin troppo allettante. Volevo perdere
la via del ritorno e volevo farlo con lui. I suoi capelli ramati solleticavano
la mia guancia; sprigionavano un odore tale da inebriarmi totalmente i sensi.
La mia mente era offuscata da una fitta nebbia privandomi perfino di una
parvenza di lucidità. Le mie mani erano ormai libere, riuscivo persino a muovere
le gambe: potevo sfuggire ma… non volevo farlo, non volevo allontanarmi da lui.
Alzò il capo ritrovandosi ad una spanna dal mio viso. Le sue
labbra erano dischiuse, come le mie d’altronde; i nostri respiri erano mischiati
in quella misera area a dividerci. «Ti avevo già detto che è pericoloso
sfidarmi, no?»
D’istinto le mie mani si poggiarono sulle sue coste: una
scarica elettrica mi pervase la pelle. Avvertii il calore della sua pelle e la
consistenza del suo busto tramite la sua maglietta. Presi perfino in
considerazione l’idea di spogliarlo.
«Può darsi. Devo subire delle conseguenze?» Mormorai con
tono fin troppo seducente. Lo stavo provocando e ne ero maledettamente
consapevole; non potevo e non volevo farne a meno. Le punte dei nostri nasi si
sfiorarono appena. Volevo saggiare ancora una volta la sue labbra, quel sapore
che era migliore di quanto io stesso avessi in precedenza immaginato. Ma volevo
che ciò accadesse perché desiderato e non dovuto a causa della presenza della
mie cugine.
«Mi spiace, credo proprio di sì.» Soffiò sulla mia bocca. L’intensità
dei suoi occhi mi inchiodò all’istante facendomi irrimediabilmente vibrare di
desiderio.
Forse non ero l’unica a percepire quella sfrenata cupidigia
che sentivo crescere ad ogni frazione di secondo.
Forse desiderava me un briciolo di quanto io stessa
desideravo lui.
Forse era solo una mia impressione e mi stavo illudendo,
ancora una volta.
Troppi forse, poche certezze. Eppure… le sue labbra erano
così prossime alle mie da farmi credere l’opposto, quantomeno in parte.
«EDWARD!»
La porta si spalancò rivelando un’oca starnazzate a corto di
fiato: Irina. Il mio fidanzato non si scompose; mi rivolse un mezzo sorriso.
«Non hai chiuso la porta a chiave, vero?»
Accidenti alla mia continua disattenzione!
Volsi il capo verso mia cugina. Ridacchiai notando la sua
postura: pupille un po' dilatate dallo stupore, bocca imbronciata da evidente
gelosia con labbro superiore leggermente vibrante, mani ancorate in vita
costrette dalla rabbia.
«Vi ho disturbato?»
Crucciai il viso. Decisamente…
«Concordo con te» Sussurrò Edward guardandomi intensamente
con quel suo solito sorriso sghembo, rispondendo a ciò che avevo pensato, come se
mi avesse letto nella mente.
«Dimmi, Irina.» Chiese, ancora sdraiato su di me. Poggiò una
mano sul mio fianco lisciandolo con le dita, facendomi inevitabilmente fremere
di desiderio.
Smettila Edward…
«Kate si è tagliata un dito. Siamo preoccupate; il taglio ci
sembra profondo. Potresti venire a darle un’occhiata?» Sporse il labbro
inferiore in avanti cercando di intenerirlo. Davvero cercava di abbindolarlo in
quel modo?
«Vengo subito.» Rispose Edward con tono gentile. All’istante
s’alzò dal letto liberandomi dal suo peso. Mi puntò un dito contro con un
sorriso malizioso, prima di uscire definitivamente dalla stanza. «Non ti
addormentare… non ho ancora finito con te.»
Una volta che fu fuori, tirai un grosso respiro a pieni
polmoni. Mi passai una mano tra i capelli; con l’altra mi sfiorai le guance:
erano calde e quasi certamente arrossate. Chiusi gli occhi e inevitabilmente un
sorriso spuntò sul mio volto generato da quell’assurda felicità momentanea.
…Edward…
Percepii un persistente ticchettio leggero e ovattato. Non
sapevo precisamente da dove provenisse, ma risuonava nella mia testa ed era
alquanto irritante. Serrai gli occhi stringendo il cuscino con veemenza. Li
schiusi lentamente: prima un occhio, poi l’altro. Notai la figura di Edward
semisdraiata al mio fianco intento con un libro tra le mani.
«Ciao.» Biascicai in un sbadiglio sonoro.
Volse di scatto il capo nella mia direzione. «Ciao. Ti sei
svegliata, finalmente.»
Mi strofinai le palpebre con il dorso della mano. «E’
tardi?»
Rise leggermente. «No. Ma credevo sinceramente che non
smettessi più di russare.»
«Ehi! Io non russo.» Mi lamentai flebilmente. Ed era vero: a
volte parlavo nel sonno; ma non avevo mai russato. Tastai il materasso
accorgendomi solo allora di ritrovarmi sul lato destro. Sorse un terrificante
dubbio: lo avevo sormontato anche quella notte? «Come mai, mi trovo in questo
lato del letto?»
Edward chiuse il libro posandolo sul comodino di fianco.
«Quando sono tornato eri lì, già nel mondo dei sogni. Non ti ho voluta
svegliare.»
Accidenti! Edward mi aveva detto non di addormentarmi prima
di uscire dalla nostra stanza, ed io - seppur inconsciamente - lo avevo fatto.
Brava Bella, i miei
complimenti.
«Quindi non mi sono avvinghiata a te durante la notte?»
Scosse il capo con un sorriso divertito. «Stranamente no.
Hai preferito il cuscino a me. Poi te l’ho detto: russavi»
Con un movimento veloce, lo colpii sul petto con il
guanciale. «Non russo.»
Poi, improvvisamente sovvenne un’atroce consapevolezza: la
notte ero in uno stato d’incoscienza e non potevo davvero sapere se russavo.
Guardai nuovamente Edward con preoccupazione. «Davvero russo?»
Alla mia domanda esplose in una fragorosa risata deridendomi
di proposito. Mi aveva preso in giro. Che brutto imbroglione! Gli scagliai il
cuscino addosso più e più volse ottenendo da parte sua solo altre risate.
D’improvviso, sentii nuovamente quei colpi fastidiosi giungere dall’esterno.
«Cos’è questo rumore?»
Si riprese inspirando profondamente celando un’ulteriore
risata con un colpo di tosse. «Stanno ricoprendo una parte del giardino con
delle assi in legno. Ho notato anche un gazebo bianco. Faranno qui il
matrimonio?»
Mi strinsi nella spalle ignare sulle decisione prese dalle
mie cugine. «Come si è tagliata Kate?» Domandai più per curiosità che per reale
preoccupazione.
«Con le forbici.»
«Era profondo?»
Mi fissò con uno sguardo eloquente, come se io già dovessi
sapere la risposta. «E’ uscita solo una goccia di sangue. Il taglio non era
neanche mezzo centimetro.»
Ridacchiai. Aveva ragione! La risposta era alquanto ovvia.
C’era da aspettarselo. Dei colpi alla porta mi fecero quasi sobbalzare. «Vado
io.» Mi alzai dal letto – rischiando perfino di ruzzolare sul pavimento -
giungendo alla porta sana per miracolo. La spalancai ritrovandomi il mio ex
ragazzo sull’uscio della stanza. Mike mi guardò con un sopracciglio alzato,
nulla a che vedere col gesto abituale di Edward. «Scusa, pensavo fosse la
stanza di Irina.» Mi squadrò da capo a piedi sgranando gli occhi quasi fuori
dalla orbite. Solo allora mi accorsi di avere indosso ancora la succinta veste
nera presumibilmente da notte. Quel suo sguardo, pressoché insistente mi
infastidì leggermente: sembrava quasi affamato;non mi aveva mai guardata in
quel modo, o almeno non da quello che ricordavo. Tanya non nutriva il suo
cagnolino? Di per sé, il mio risentimento non era nei confronti di Mike, ma
della sua padrona. Purtroppo li riversavo anche sulla sua persona; un po’
questo mi dispiacque.
«La stanza di Irina e quella in fondo al corridoio.»
Mormorai, risolutiva.
«Oh!» Mike deglutì a vuoto come se non avesse ascoltato
affatto ciò che avevo appena detto. «Accidenti! Non avrei mai creduto che…
Bella sei…»
Due braccia calde e rassicuranti mi circondarono la vita.
Percepii direttamente il calore della pelle di Edward sulle mia pelle scoperta.
Inaspettatamente, mi baciò una spalla scoperta alzandomi la sottile spallina
casualmente scivolata sul braccio. La mia pelle vibrò a contatto con le sue
labbra. «…incredibilmente bella, non trovi?» Concluse al posto suo, con tono vigoroso.
Mi abbandonai sul petto di Edward, facendomi cullare dalle
sue parole. Era assodato: come fidanzato era a dir poco perfetto ed io ero
totalmente succube di lui.
Sia fatta Santa Alice
Cullen.
Mike grugnì qualche monosillabo in risposta e si diresse
verso la stanza precedentemente da me, indicatagli. Chiusi la porta, espirando
profondamente. Edward mi lasciò la vita avvicinandosi poi alla sua valigia.
«Grazie.» Mormorai riconoscente.
Mi sorrise dolcemente. «Sai, quell’Einstein non mi piace.»
Ridacchiai divertita. «Newton.»
Si rizzò tenendo tra le mani gli indumenti da indossare.
«Cosa?»
«Si chiama Newton.»
Arcuò un sopracciglio: sì, indubbiamente quel gesto
apparteneva solo ed esclusivamente ad Edward. «Newton, Einstein… non mi piace
lo stesso.» Mike aveva talento in questo: si faceva odiare da tutti (compreso
Charile), perfino dal mio attuale fidanzato, seppur questo fosse comunque finto.
***
Edward era in bagno. Beato lui! Io invece, sorbivo,
sull’uscio della mia camera da letto, lo sproloquio senza fine delle sorelle
Denali sull’ “allettante” programma del
giorno: cura del corpo.
«… dobbiamo andare al centro estetico per la manicure,
pedicure… poi dal parrucchiere…»
Probabilmente le avrei suggerito una cura per la mente, ma
sapevo ormai da tempo che non c’era modo di intervenire. Sogghignai come una
perfetta scema, della mia stessa battuta mentale. In compenso, ricevetti ben
tre sguardi incuriositi, uno perfino infastidito.
«Scusate, dato che non ho bisogno di queste cose… potrei
esservi utile in qualcosa di più costruttivo?» Le avevo già sopportate l’intera
giornata precedente alla sartoria; non avrei resistito anche quell’oggi.
«Giusto. I trattamenti con te sarebbero sprecati.»
A causa della mia inestimabile bellezza e perfezione cutanea?
No, probabilmente il motivo era esattamente l’opposto, nonostante la mia fosse
una constatazione autoironica. A quanto pareva, non ero l’unica a fare pensieri
maligni sulle cugine. Quindi non si creavano sensi di colpa: la cosa era
reciproca.
«Una cosa la potresti fare, sai?» Esordì Kate con tono
stranamente amichevole scambiandosi uno sguardo eloquente con Tanya. «Potresti
andare a ritirare le fedi nuziali alla gioielleria.»
«Perfetto.» Dichiarai con un sorriso stranamente sincero.
Tutto, tranne la loro compagnia.
«A dopo, allora.» Si dileguarono muovendo le anche da una
parte all’altra. In quel momento compresi il motivo per cui non vi fossero
presenti tavolini con vasi preziosi nei corridoi: avrebbero rischiato di cadere
ad ogni loro passata.
Entrai in camera chiudendomi la porta alle spalle. Iniziai a
rassettare la stanza.
Stavo rifacendo il letto matrimoniale, quando squillò il
telefono a rete fissa posto su un mobile in ciliegio accanto alla grande
vetrata. Strano, non aveva mai suonato. Alzai la cornetta. «Pronto?»
«Isabella, sono Tanya. C’è una chiamata per te.» Chi poteva
mai telefonarmi in Alaska? Mi venne in mente solo un nome: Charlie.
«Scendo subito.» Risposi con vivacità, felice di poter
sentire mio padre.
«Non ce n’è bisogno. Puoi rispondere anche con quello; ti
passo io la telefonata. Riattacca e schiaccia l’ultimo tasto verde in basso,
sulla destra.»
Il tono di mia cugina era stato stranamente gentile e
cordiale, come se in fondo tramasse qualcosa di losco.
«Grazie.» Risposi con una certa titubanza.
«Per te questo ed altro, cuginetta.» Chiuse la connessione
lasciandomi basita. Cuginetta? Cosa diamine aveva in mente?
Riposi la cornetta e pigiai il tastino verde del telefono.
Una voce squillante tutt’altro che maschile proruppe dall’apparecchio
propagandosi in tutta la stanza. «Bella? Bella, tesoro ci sei?»
Mia madre! E quello era il tasto per il vivavoce. Brutta
megera di una cugina! Pigiai frettolosamente, svariate volte, il tasto verde
con scarso risultato. Probabilmente era difettato. «Bella? Bella?»
«Ciao mamma.» Risposi con un sbuffo. Edward uscì dal bagno
intanto che si strofinava i capelli con un asciugamano. Gli feci segno di
tacere poggiandomi il dito indice sulla bocca.
«Oh, tesoro finalmente. Da quanto tempo non ci sentiamo.
Come stai, piccola?» Renée mi telefonava di rado, all’incirca una volta al
mese. Quella telefonata risultava ovviamente strana: ci eravamo già sentite a
luglio. «Sto bene mamma.»
La sua risata impertinente risuonò nell’aria. «Non ne
dubito.»
Il suo comportamento era schivo e alludente. La conoscevo:
mi stava nascondendo qualcosa. «Mamma, perché questa chiamata?»
«Ma non sono stata io a telefonare. L’ha fatto tua cugina,
Tanya. Che cara ragazza. Mi ha invitata di nuovo al matrimonio, ha insistito
così tanto, quasi da implorarmi… ma, tu lo sai tesoro che non posso muovermi.
Phil ha un importantissima partita di baseball e devo stargli accanto. Non
posso lasciarlo solo.»
Che cugina infame! Lo sapevo che dietro a quel tono gentile
di Tanya ci fosse qualcosa di vile. Mi limitai a sbuffare. Edward mi guardò con
un sorriso di rassegnazione. Si sedette sul bordo del letto intento ad
ascoltare la nostra conversazione in religioso silenzio.
«Bella.» Serrai le palpebre. No, quel tono no. Renèe riprese
a parlare. «Possibile che io debba venire a conoscenza da tua cugina che sei
fidanzata? E che lui è con te al matrimonio?»
Tanya era un’emerita stronza! Questa me l’avrebbe pagata
cara!
Mi mordicchiai nervosa il labbro inferiore. «Te lo avrei detto
in un secondo momento.»
«Sei tornata con Mike? Quel ragazzo mi è sempre piaciuto, ti
aveva anche…»
«A me no» Sbottai infervorata bloccandole quelle parole
indesiderate. Edward poggiò il capo sulla mano, il braccio puntellato sulla sua
coscia. Mi osservava con un sopracciglio alzato.
«Allora è uno nuovo! Chi è? Come si chiama? Che lavoro fa?»
Sospirai pesantemente con rassegnazione. Ero in trappola: mia
madre avrebbe insistito finché non le avessi rivelato il nome del mio nuovo
fidanzato. «E’… è Edward, mamma. Edward Cullen.»
Udii un gridolino di stupore. «Il fratello di Alice? Il
ragazzo da urlo con i capelli rossi?»
«Sono ramati, non rossi.» rispose Edward accigliandosi
contrariato.
Mi gettai le mani sulla faccia. Cielo! Era giunta la nostra
fine.
«Edward, sei tu? Oh… che bella voce. Così sensuale. Piacere
io sono la mamma di Bella. Puoi chiamarmi Renée.»
Ci mancavano solo le presentazione via telefono.
«Piacere mio, Renée.» Rispose il mio ragazzo con
disinvoltura.
Dovevo assolutamente mettere in chiaro un particolare.
«Mamma, tu non vieni al matrimonio vero?»
«Tesoro, lo sai che per me il matrimonio all’età vostra è un
oltraggio alla gioventù.»
Sospirai di sollievo appoggiandomi al mobile. Un problema in
meno. Le volevo bene, su questo non c’era alcun dubbio, ma con lei in
circolazione tutto sembrava più difficile. «Bella, mi stavo chiedendo… quando
termina il matrimonio, non puoi venire qui in Florida con il tuo fidanzato a
trovare la tua vecchia mammina?»
Si dichiarava vecchia solo quando le faceva comodo. Assolutamente
no! «Mamma, mi spiace ma non posso. Devo tornare subito a lavoro.» In parte,
ero vero. Edward mi guardò con uno strano sorriso. Mi sforzai perfino di
ricambiare con scarso risultato; al termine di questi giorni, purtroppo, ognuno
sarebbe tornato alla propria vecchia vita. Accantonai questi mesti pensieri;
non era il momento adatto per crogiolarsi in quelle elucubrazioni mentali.
«Va bene.» Concluse Renèe con voce mesta. Quel tono con me
non attaccava; i nostri ruoli erano ormai da troppo tempo invertiti e quando voleva
qualcosa piagnucolava, nello stesso modo in cui una bimba lo fa con la propria
madre allo scopo di ottenere la bambola tanto desiderata. «Però vi aspetto a Natale.»
Appunto. Possibile che dovesse sempre trovare una soluzione
a sua vantaggio?
«D’accordo, mamma. Però, ora devo andare. Devo fare molte
commissioni.»
«Allora, ti lascio andare tesoro. Salutami Edward. Ti voglio
bene.» Gracchiò dall’apparecchio telefonico.
«Anch’io te ne voglio.» Riattaccai ponendo fine a
quell’inaspettata telefonata.
Quello era il primo tiro
mancino di Tanya.
- - -
Poco dopo, scendemmo al piano inferiore. Entrammo nella
cucina scoprendola del tutto vuota. Le
care cugine erano andate al salone di bellezza. Inspirai profondamente
godendo appieno di quella pace momentanea. Probabilmente avrei perfino vissuto
in quella casa senza loro. Era molto spaziosa e l’arredamento mi piaceva;
particolarmente sofisticato e moderno.
Notai un foglietto bianco sul tavolo da pranzo fermato con
un paio di chiavi. Edward le prese tra le sue mani; le osservò con attenzione e
gli sfuggì una risatina divertita. «Queste chiavi mi ricordano qualcosa.»
«Qui invece c’è l’indirizzo della gioielleria. Dobbiamo
ritirare le fedi nuziali.»
Risposi dopo aver letto ciò che c’era scritto del post-it.
«E dice anche che possiamo utilizzare il mezzo di trasporto che c’è nel garage»
Edward strinse le chiavi in una mano. «Andiamo, micetta.»
SECONDO VOI DI QUALE MEZZO SI TRATTA??? MUAAAAAAAAH….
ALLA PROSSIMA, CARE!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
8
SALVE A TUTTI.
ALLORA… (OGGI SONO PRIVA DI PAROLE, SARA’ IL LEGGERO MAL DI
TESTA).
IN QUESTO CAPITOLO VEDREMO COSA CENTRANO LE FEDI… E SOPRATTUTTO
LO SPOILER E IL TEASER CHE HO LASCIATO SUL BLOG.
PER QUANTO RIGUARDA IL MEZZO… SOLO UNA DI VOI SI E’
AVVICINATA (brava Irenucciola Cullen!!!). VEDRETE, VEDRETE COSA HA IN MENTE SAM.
RINGRAZIO COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE
PREFERITE, SEGUITE E… ME TRA GLI AUTORI PREFERITI.
RINGRAZIO I 48 ANGELI CHE HANNO COMMENTATO (leggo i vostri
commenti sempre con un sorriso sulle labbra… siete divertenti, spontanee e
tremendamente simpatiche. Ahimè, faccio così tanti errori che spesso non me ne
accorgo; un immenso grazie anche a chi mi corregge. Grazie di cuore a tutti.)
AVVISO PER AMORE PLATONICO: IL CAPITOLO E’ IN FASE DI
SCRITTURA. SCUSATE QUESTA PAUSA PROLUNGATA MA DOPO IL “BACIO”… NON AVEVO NULLA
DI PROGRAMMATO. ED HO CREATO UNA SCALETTA PER ORDINARE LE IDEE. SCUSATE ANCORA.
DEDICO QUESTO CAPITOLO A: LUISINA, BIGIA E LAU_TWLILGHT che
mi spronano continuamente. Senza voi sarei persa.
UN ABBRACCIO SPECIALE A MICHI88.
CAPITOLO 8
Quella mattina l’aria era frizzante e piacevolmente fresca.
Non vi erano nuvole nel cielo; i raggi del sole sfioravano la mia pelle con
delicatezza sprigionando un fievole calore. Scioccamente, avevo accettato
l’alternativa al centro estetico senza pensare alle possibili conseguenze.
Eppure, avevo già avuto l’esperienza in merito: il negozio “NOT ONLY WEDDING”
n’era stata la prova fin troppo tangibile. Ma solo l’idea di restare sola, in
loro compagnia, con degli strani miscugli appiccati sul viso e vari prodotti
applicati sui capelli… mi faceva inorridire quasi di puro terrore. Tramavano
segretamente qualcosa, ne ero sicura ma era un impresa titanica scoprire il
loro intento. Pertanto l’unica soluzione plausibile, era di predisporsi, perlomeno
mentalmente, così da prevenire un’ipotetica crisi isterica.
Edward sollevò l’imposta in ferro del garage. Spalancai la
bocca sconcertata. L’unico mezzo di trasporto nell’interno era una Vespa 125
bianca. Era un vecchio modello dal colore sbiadito; presumibilmente, poteva
avere la mia stessa età, e il che era tutto dire. Tentavo di trovare una spiegazione
a quel piccolo problema: probabilmente le chiavi non erano per noi; era un’idea
pressoché assurda guidare quel ‘coso’ a due ruote. Edward s’avvicinò ed infilò
la chiave nel nottolino della Vespa; con uno scatto rumoroso entrò
perfettamente come a confermare i miei timori. «L’ultima volta che ho guidato
uno scooter avevo diciotto anni.»
Strabuzzai gli occhi. «Io non salgo su quel coso.» Dichiarai
con tono deciso. Le ruote non sembravano così sicure da reggere una persona,
figuriamoci due! Era un suicidio vero e proprio.
Edward montò lo scooter; con qualche sbuffo il motore prese
vita. «Il carburante c’è.» Mi guardò con un sorriso quasi elettrizzato. «Può
essere divertente.»
Scossi il capo. «No. No e ancora no.»
«Però sei salita sulla bicicletta elettrica nel centro
commerciale.» Mi sbeffeggiò avvicinandosi con quell’ammasso di ferraglia.
«Appunto. Eravamo in luogo chiuso. Non ti terrorizza l’idea
di guidare una Vespa malridotta in mezzo al traffico?»
Mi sorrise. «Se devo essere sincero, no.» Puntò quello
sguardo verde nei miei occhi con un intensità da far vacillare le mie gambe.
«Non ti fidi di me?»
Sbuffai alzando gli occhi verso l’alto. «Non si tratta di fiducia.»
Costrinse il mio mento fra due dita ravvicinando il mio viso
al suo. «Bella, ti fidi di me?»
Mi morsi il labbro inferiore. «Mmm…»
Storse il labbro sensualmente. «Dovrei offendermi?» Afferrò
una mia mano. Il calore che ne scaturì fu qualcosa di estremamente travolgente
e piacevole. «Su fifona, sali. Ti ricordo che sono un dottore.»
Montai la Vespa, con totale rassegnazione, cingendogli il
busto con veemenza. «E questo dovrebbe rassicurarmi?»
Lo sentii ridacchiare. «Forse.»
Uscì speditamente - per quanto la Vespa potesse permettere -
dal garage. Fortunatamente, le strade non erano sovraffollate di auto: un
problema in meno. Raggiungemmo perfino i sessanta chilometri orari; un vero e
proprio record dato il mio scetticismo. Edward destreggiò il manubrio, al primo
momento con un po’ di tentennamento poi, con agilità divincolandosi tra le
poche auto come una biscia. I miei gridolini di paura lo divertivano tanto che
slittava molto spesso di proposito. Fu maledettamente difficile indicargli le
vie da percorrere per giungere alla gioielleria. Ero avvinghiata al suo busto:
il mio petto aderiva totalmente alla sua atletica schiena, quasi certamente
percepiva la forte pressione del mio seno; con le dita gli sfioravo gli
addominali e la loro consistenza era ben lungi da ciò che la mia mente aveva
immaginato. In una mano stringevo il foglio con le indicazioni tutt’altro che
facili da leggere. Temevo che se avessi fatto un movimento, seppure minimo, la
Vespa avrebbe sbandato; per cui, l’unico mio compito, era quello di stendere il
foglio affinché lui potesse lanciarvi una fugace occhiata. E quando questa
indugiava più del dovuto con l’unico scopo di farmi agitare, gli pizzicavo
l’addome. In compenso? Una risata da parte sua, un senso di frustrazione e
frenesia da parte mia. A causa del vento, i lembi della camicia – l’intermezzo
da un bottone all’altro – si aprivano; lo percepivo sotto il palmo della mia
mano e molte volte mi trattenni dall’intrufolare le dita allo scopo di
carezzare con i polpastrelli la sua pelle e verificarne la morbida consistenza.
Sembravo una bambina intenta a raggiungere in tutti i modi possibili ed
immaginabili la scatola di biscotti al cioccolato posta appunta in alto dalla
mamma per non poter essere afferrata da una piccola golosa. Perché io purtroppo
ero golosa. Ma non di biscotti al cioccolato, bensì di lui.
Giungemmo dopo svariati minuti alla gioielleria – le
indicazione erano tutt’altro che chiare (c’era da aspettarselo!). Stentavo a
credere di essere giunti a destinazione. Ero ancora avvinghiata al suo corpo e
non volevo separarmi per nessun motivo. Edward spense il motore. «E’
impossibile che il tuo seno sia rifatto.» Dichiarò improvvisamente. «E’ troppo
morbido.»
Finsi di ignorare la sua frase solo per via del tremore che
si era impossessato del mio corpo; con un’esplicabile tentennamento, dovuto sia
alla vicinanza che alla paura, discesi dalla Vespa poggiando sull’asfalto prima
un piede, poi l’altro. Le gambe mi tremavano; non ero abituata ai mezzi a due
ruote, neanche se questi superavano a malapena i cinquanta chilometri orari.
Odiavo perfino correre in bicicletta, forse per paura di cadere; era una vera e
propria fobia! E questo naturalmente le sorelle Denali lo sapevano. Più i
giorni in Alaska andavano avanti, e più comprendevo la loro perfidia nei miei
confronti. Ma ormai ci avevo fatto l’abitudine e come di consueto, cadevo
sempre nel loro tranello. Ma l’indifferenza è il maggior disprezzo,
naturalmente finché la pazienza lo permette. Ora, questa viaggiava sul filo del
rasoio pronta ad essere recisa da un momento all’altro, e quando ciò fosse
accaduto avrei messo in atto la mia vendetta ancora, per adesso, in fase
astratta di creazione. Non ero mai stata una persona vendicativa, ma la vita
riserva molte sorprese.
«Non hai risposto, è strano.» Edward, percepito il mio
tremore, mi tenne per la vita in una morsa salda. «Ti gira la testa?» Annuii
impercettibilmente socchiudendo lievemente gli occhi. Non avevo fatto neanche
colazione, il che non giovava affatto al mio stato fisico attuale. Edward mi
spinse delicatamente all’indietro finché non mi appoggiai sulla sella in pelle
di quella maledetta Vespa. «Le due ruote non ti piacciono, vero?»
«No.» Biascicai atona. Mi sfiorò la fronte con il dorso
della sua mano; era stranamente fredda - forse a causa della vento che aveva
sferzato sulla pelle quando eravamo in movimento – e mi diede all’istante un
po’ di sollievo. «Va meglio?»
Aprii gli occhi ritrovandomelo a pochi centimetri dal mio
viso. Le mie guance inevitabilmente si imporporarono. «Sì, grazie.» Un
brontolio piuttosto rumoroso giunse dal mio stomaco. Maledetta fame! Edward
lanciò un occhiata alle mie spalle. Un sorriso spuntò sul suo viso. «Hai voglia
di fare colazione?»
Incredibile! Mi aveva letto nel pensiero.
- - -
Sedevamo ai tavolini del bar proprio di fronte alla
gioielleria. Fortunatamente il clima ci permise comodamente di occupare quelli
esterni. Il cameriere, in breve tempo, venne con le nostre ordinazioni: caffè
per Edward, cappuccino per me. Alla vista della spuma di latte, la mia età
inesorabilmente si dimezzava. Amavo quella schiuma bianca e corposa cosparsa
leggermente di cacao.
«In questo momento somigli molto ad Alice quando vede il
gelato al limone. Entrambe golose.» Esordì Edward con ghigno.
Gli feci la linguaccia non riuscendo comunque a trattenere
un sorriso. Ridacchiò. «Molto maturo.»
Indugiai qualche attimo con la tazza calda tra le mani.
«Edward, ricordi in quanto tempo ti spazzolasti l’intera torta al cioccolato?»
Mi portai la tazza alle labbra bevendone un piccolo sorso
per saggiarne l’iniziale gusto. «Tu non sei goloso, vero?» Ricordavo
perfettamente la fine di quella povera torta: l’aveva divorata in meno di
un’ora. Bevvi di nuovo, però con più voracità. Il latte caldo mischiato al
caffè scese caldo lungo la gola; sulle labbra percepii la consistenza morbida
della schiuma al latte. Era buonissima.
«Ma quella era una signora torta.» Rispose con finto tono
indispettito.
Poggiai la tazza sul piattino. «E questo è un cappuccino. La
schiuma è la parte migliore.»
«La schiuma…» Mormorò pensieroso.
Annuii con un certo timore. Edward incentrò lo sguardo sulle
mie labbra con un sorriso. Allora capii probabilmente di avere i cosiddetti
“baffi” da latte. Sorrisi impacciata. «Sono sporca, vero?»
Alzai un dito con l’intento di pulirmi ma lui mi fermò il
polso con la mano. «C’è il rischio che adesso possa passare una delle tue
cugine?»
Dove voleva andare a parare? «C-credo di sì.»
«Allora non puoi pulirti.» Si fece più vicino. I suoi occhi
erano intensi all’inverosimile. «Devo farlo io.»
Alzai entrambe le sopracciglia frastornata. «Cosa?»
Edward s’avvicinò ancora di qualche centimetro. Era vicino,
troppo vicino. «Sono o non sono il tuo fidanzato?»
«Finto?» Rèplicai con fioca convinzione, quasi nulla. Ero
disorientata, stordita… a stento ricordavo il mio nome. Sogghignò leggero,
divertito. «Finto ma pur sempre fidanzato.» Chiusi gli occhi timorosa di ciò
che mi attendeva. Avevo un vaga idea di cosa lui avesse in mente, ma… sembrava
fin troppo improbabile ai miei occhi. Ma, le mie considerazioni stranamente
furono esatte. Sentii la sua bocca a lieve contatto con la mia e la sua lingua scorrere
appena al di sopra del mio labbro superiore ripulendolo dalla schiuma. Le
nostre labbra si erano sfiorate stentatamente in un leggero e sensuale soffio.
Inspirai profondamente col naso beandomi del suo profumo: il suo dopobarba mi
confondeva i sensi… e purtroppo non solo quello. Ah, quanto desideravo
approfondire quel contatto. Aprii gli occhi ritrovandomi due smeraldi a poca
distanza. «Sai, credo che la prossima volta prenderò anch’io un cappuccino.»
Mi inumidii le labbra. Il suo sapore era leggero, ma lo
sentivo. Solo in quel momento, percepii il calore sulle guance. Possibile che
Edward dovesse sempre trovare un modo per mettermi in imbarazzo?
«Il vostro resto.» Sobbalzai all’improvvisa comparsa del
cameriere. Poggiò sul nostro tavolino lo scontrino ed alcune monete. Edward le
prese tra le mani gingillato dal tintinnio.
«Andiamo a ritirare le fedi?»
Mi alzai dalla sedia mettendo in ordine la mia camicetta.
Tenevo ancora lo sguardo basso a causa dell’imbarazzo. Tirai un grosso respiro
intriso di coraggio e puntai il mio sguardo su Edward. Le sue labbra erano
curvate da un mezzo sorriso. Il solito strafottente!
«Andiamo prima che esca un imprevisto.»
Attraversammo nuovamente la strada entrando nella
gioielleria. Era un negozio molto ampio strutturato in modo elegante e
raffinato. le pareti erano costeggiate da vetri con gioielli costosissimi in
esposizione: perle, diamanti, anelli, parure di collane, ciondoli con pietre
raffinate.
È inevitabile che una donna passi indifferente davanti ad un
gioiello; un rapido sguardo lo deve gettare comunque.
Un signore brizzolato in completo gessato ci accolse con un
gran sorriso. «Salve, posso esservi d’aiuto?» Il tono di voce era morbido e da
lusinghiere.
Ricambiai mostrando un espressione alquanto cordiale. «Sì.
Dovremmo ritirare le fedi nuziali a nome Denali.»
Al che, alternò lo sguardo meravigliato da me a Edward.
«Siete i futuri sposi?»
Perché tutti giungevano alla medesima conclusione? Non
eravamo neanche fidanzati sul serio.
Un sorriso tirato incurvò le mie labbra. «No, sono una delle
damigelle.»
«Allora, devi essere la brillante Irina.»
Arcuai un sopracciglio. Brillante? Non era proprio l’aggettivo
che le si addiceva. «No.»
Mi squadrò da capo a piedi. «Che sciocco a non accorgermene
subito. Sei la bellissima Tanya. giusto?» Sbaglio o questo commesso era un po’
troppo ruffiano? «Ha chiamato prima la signorina Denali avvertendomi del vostro
arrivo.»
Ah, ora si spiegava tutto. Scossi il capo. «A dire il vero,
il mio nome è Isabella Swan. Sono la cugina delle signorine Denali.»
Il commesso spalancò la bocca studiandomi ancora una volta,
bensì con molta più attenzione. «Me lo lasci dire: le sue cugine non hanno
assolutamente una buona percezione di voi, signorina Isabella.» Sorrise appena.
«Ora, scusatemi un attimo. Vado a prendere le fedi.» Si allontanò borbottando
qualcosa tra sé.
Edward ridacchiò sommessamente. «Le escogitano tutte, eh?»
Scrollai le spalle. «Ormai ci ho fatto l’abitudine. Questa
volta almeno ho ricevuto persino un mezzo complimento.»
«A me non sembrava mezzo
complimento.» Edward arcuò un sopracciglio. «Ti hanno fatto altri simili
dispetti?»
Gli lanciai uno sguardo eloquente. «Non immagini neppure
quanti.»
- - -
Dopo la gioielleria, in breve tempo rientrammo a villa
Denali. Il viaggio di ritorno fu più breve e meno movimentato dell’andata. Una
volta giunti nella nostra camera da letto, Edward uscì sul terrazzo nel vano
tentativo di ricevere almeno un po’ di ricezione telefonica per chiamare Alice.
Mi accomodai sul letto e tirai fuori dalla borsa la piccola scatola in velluto
blu custodenti le fedi nuziali. Accarezzai il coperchio prima di aprirlo con
tremore. Osservai gli anelli in oro estasiata e non per il loro fulgore, bensì
dell’inestimabile valore che rappresentavano: amore, passione, famiglia… tutti
principi, dei quali ne percepivo un strano bisogno. Forse era l’età o qualche
sogno utopistico prettamente femminile. Sfilai la fede più piccola dal gancetto
rimirandola tra le mie mani. Il mio sguardo si alternava da quella fascetta in
oro e il mio anulare sinistro. Anelavo ardentemente di percepire, seppure in
minima parte, l’emozione di avere la fede al dito. Presi l’anello tra il due
dita e lo infilai nell’anulare sinistro. Era leggermente più piccolo della mia
misura ma con un po’ di pressione giunse alla base, probabilmente il tutto
dovuto all’agitazione. Alzai la mano considerando quel nuovo cambiamento
alquanto affascinante. Lanciai un’occhiata al terrazzo e sospirai
profondamente. Era solo un sogno, un illusione. Non ero io la donna in procinto
di sposarsi con l’uomo di cui era perdutamente innamorata e che lui ricambiava
con lo stesso ardore; pertanto quell’anello non mi apparteneva in alcun modo.
Per la prima volta provai invidia verso una della mie cugine. Che assurdità!
Portai le dita all’anulare sinistro per sfilarlo ma… non ci
riuscivo.
Accidenti, sembrava incastrato. Tirai con più forza ma
provai solo dolore nel distendere la pelle.
«Sì, Alice, ti chiamo anche domani. Promesso.» Disse improvvisamente
Edward in procinto di concludere la telefonata con la sorella.
Oh cielo! Non potevo fare l’ennesima figura da stupida. Ci
mancava solo questo al mio repertorio: inguaribile zitella sognatrice! Tirai
nuovamente l’anello con le dita fino allo stremo delle forze.
«Ahia!» Il dolore era lancinante.Alzai la mano: il dito
sembrava perfino più gonfio.
Ponderai tutte le eventuali soluzioni da poter attuare in
quell’istante. Poi ricordai all'improvviso un aneddoto di bambina in una
situazione analoga a questa. «Ma certo! Il sapone.»
Entrai in bagno aprendo velocemente il rubinetto. Gettai
sulla mano una grossa quantità di sapone liquido. Insaponai per bene l’anulare.
Tirai l’anello ma… niente.
«Bella?»
Maledizione, Edward non poteva parlare ancora con Alice?
L’ansia crebbe sino a diventare quasi panico. Riprovai svariate volte ottenendo
sempre lo stesso risultato nullo.
«Accidenti!» Imprecai al limite della sopportazione.
«Bella, tutto bene? Posso entrare?»
M’accasciai sul pavimento ormai priva di forze mugugnando
una risposta positiva. Non potevo nasconderlo per molto. Ero disperata.
Edward varcò la soglia del bagno e scorgendomi semidistesa
sul pavimento, con i lembi della camicia
bagnata e la fronte imperlata dal sudore, si precipitò al mio fianco prendendo
subito il mio polso tra le sue mani per sentire le pulsazioni del mio cuore,
sebbene io le percepissi perfino nelle orecchie. Probabilmente risuonavano
anche nel bagno. Strano che lui non le sentisse.
«Bella, ti senti male? Cosa è successo?»
Mi bendai gli occhi con una mano. Che assurda situazione! E
pensare che questa volta non c’era stato nemmeno bisogno dello zampino delle
cugine per rendermi ridicola.
«Hai avuto un attacco di panico?» La sua voce era agitata
seppur sempre professionale. Io odiavo i dottori!
«Ho un problema.» Mormorai con un filo di voce guardandolo
finalmente negli occhi.
Posò la sua mano fresca sulla mia fronte. «Che tipo di
problema?»
Con timore alzai la mano sinistra stretta a pugno aprendola
poi con estrema lentezza. Edward notò subito l’anello; allontanò la mano dalla
mia pelle e deglutì rumorosamente. «Sei sposata?»
Tutti quel giorno giungevano a quella conclusione: ero la
futura sposa o ero già sposata. «Edward, perché non capisci?»
«Cosa c’è da capire?» il tono fu tagliente, duro.
Gli lanciai un occhiataccia. «Non sono sposata.» Mi
mordicchiai il labbro. «Ho provato l’anello di Kate e si è incastrato.»
Varie emozioni trapassarono il viso di Edward: smarrimento,
stupore, liberazione e infine rabbia. L’ultima mi fece fremere. «Tu hai avuto
un attacco di panico per questo motivo? Mancava poco che ti sentissi male…»
alzò la mano con la fede. «…per questo?»
Sospirò forte facendo roteare gli occhi. Aprì la bocca ma
optò per il silenzio. Strabuzzai leggermente gli occhi interdetta dal suo
strano atteggiamento. «Che c’è?»
«Niente. Lascia stare.» Liquidò il discorso. «Hai provato
con il sapone?»
Annuii cercando ancora di sfilare quell’ anello. Altro che
valori importanti: era una vera e propria maledizione. Mi prese la mano
lasciandosi andare in una risatina liberatoria. «Vieni, proviamo con i rimedi
naturali.»
- - -
Rimedi naturali un corno! Avevamo provato con l’acqua calda
quasi scottante mischiata al detersivo per i piatti, col ghiaccio, con l’olio,
col burro… una miscela a dir poco disgustosa. E con quale risultato? Quel
maledetto anello non si era sposato neanche di un millimetro e il dito si era
ineluttabilmente gonfiato. Ecco perché ora sedevamo nella sala d’aspetto del
pronto soccorso dell’Alaska Regional Hospital di Anchorage. Io odiavo gli
ospedali ma a detto di Edward, era l’unica soluzione, la cosiddetta ultima
spiaggia. Ma questo mio problema non era di per sé urgente, e pertanto erano
ben venuti che attendevamo la chiamata di un paramedico. E quelle sedie verdi
in plastica erano davvero scomode!
Edward si schiarì la voce. «Sai, sono curioso. Come mai…»
«Edward, ti prego, potresti evitare di fare domande?» La
situazione era già imbarazzante senza che lui proferisse parola; mi guardava
con quello strano sorriso altamente irritante.
Sogghignò divertito. «Come vuoi.» Si passò una mano tra i
capelli. «E pensare che questa volta le cugine non centrano nulla.»
Gli lanciai un occhiataccia carica di saette. «Smettila di
parlare!»
Ridacchiò sommessamente simulando il tutto con colpi di
tosse. Trovava quella situazione così divertente?
Dalla grande porta in vetro, uscì un paramedico in camice. «Isabella
Swan?»
Lo raggiunsi, accompagnata da Edward. Ci fece strada tra i
corridoi dell’ospedale sino a fermarsi davanti ad una porta bianca a battente.
All’interno, dietro una scrivania vi era seduto un dottore anch’egli in camice
bianco con uno stetoscopio al collo: sul lato destro del petto vi era un targhetta
con su scritto il ‘Dottor Gerandy’. Percepivo già un’innata incompatibilità nei
suoi confronti. «Salve. La signorina con l’anello bloccato, giusto?»
Avvampai imbarazzata. Ero già diventata la barzelletta
dell’intero ospedale? Mi si avvicinò con un cordiale sorriso. «Non si
preoccupi. Sono cose che capitano. Posso vedere?» Mi porse gentilmente la mano.
Inconsciamente posai la mia destra. «Oh, mi scusi.» Quell’oggi, le magri figure
erano all’ordine del giorno. La ritrassi immediatamente porgendo la sinistra.
Studiò attentamente il dito rigonfio. Scosse il capo sospirando. «Purtroppo
dobbiamo tagliarlo.»
Sbiancai all’istante. La gola divenne improvvisamente secca.
Sogghignò notando la mia espressione. «L’anello ovviamente, non il dito.»
Questa seconda opzione era più terrificante della prima. Non
potevano tagliare la fede. Cosa avrei detto a Kate?
Qualcuno bussò alla porta. Una giovane donna in completo
verde ospedaliero varcò la soglia. «Dottor Gerandy, chiedono di lei nel reparto
pediatria. È urgente.»
«Torno subito» Disse il dottore uscendo velocemente dalla
stanza.
Lo sguardo della dottoressa si posò su Edward e un sorriso
stupito spuntò sul suo viso. «Edward, che piacere rivederti.»
«Angela.» Disse Edward ricambiando il sorriso. «Cosa ci fai
qui?»
«Hanno trasferito mio marito Ben qui ad Anchorage per
lavoro; fortunatamente ho ottenuto il trasferimento in questo ospedale in
neonatologia.» Infilò una mano nella tasca del camice verde. «Ho saputo della
tua promozione. Congratulazioni. Sei già qui?»
Parlavano come non io fossi presente. Erano molto in
confidenza ma non me preoccupai.
Edward scosse il capo leggermente impacciato. «No, a dire il
vero abbiamo un piccolo problema.» Mi prese la mano sinistri esibendo la fede
al mio dito.
Angela mi squadrò da capo a piedi con un sorriso raggiante.
«Ti sei sposato?»
Edward ridacchiò. «No, si è incastrato l’anello. Lei è
Bella.»
«Piacere di conoscerti, Bella.» Sorrise dolcemente prima di
osservare con attenzione la mia mano sinistra. «Dovete tagliarlo, giusto?»
Edward si grattò la nuca. «Questo finesettimana abbiamo un
matrimonio e purtroppo l’anello è della futura sposa.»
«Mmm… un vero problema.» Angela si lisciò il mento con fare
pensoso. Poi scoccò due dita rumorosamente. «Ho io la persona che fa al caso
vostro.»
La dottoressa Angela ci condusse nel reparto di
neonatologia. Sembrava una donna simpatica e particolarmente dolce. Giunse
davanti ad una porta bianca bussando appena. «Doris, abbiamo bisogno del tuo
aiuto.» Dalla stanza uscì una signora corpulenta, bionda con due guancie rosee:
la caposala. Le spiegammo il problema e con molta pazienza si mise all’opera.
Avvolse del tutto il mio dito gonfio con un filo di sutura
così da renderlo più sottile e uniforme.
«Sai cara, anch’io sono sposata. E quando da giovane
litigavo con mio marito, per ripicca mi toglievo la fede. Ma questa non è
affatto una soluzione ai problemi, te lo dico per esperienza.» Disse mentre
pian piano faceva risalire l’anello a spirale.
Sembravo così tanto una donna sposata?
«Hai sentito, amore?»
Esordì improvvisamente Edward trattenendo le risate.
Ma che grandissimo imbroglione! Possibile che dovesse sempre
prendermi in giro?
Guardai l’infermeria leggermente impettita. «Nemmeno se fa
il filo ad un’altra donna?»
Doris lanciò un’occhiataccia ad un Edward sbalordito.
Occhio per occhio,
dente per dente amore; no?
«Non ho fatto il filo a nessuna. Sei gelosa, tesoro, è naturalmente in una coppia;
non puoi fartene una colpa.»Replicò il mio finto fidanzato preso in
contropiede. «Vedi poi cosa ti succede se ti arrabbi? Si gonfia la mano e in
quel modo si congestiona il dito.»
La donna ridacchiò ricevendo ben due sguardi sconcertati.
«Io non credo che sia stato il nervosismo a gonfiare la mano.»
«Ah no?» Chiesi al’unisono con Edward.
Ci mostrò un sorriso eloquente. «Molto probabilmente è in
arrivo una cicogna.»
Mi avevano scambiata per una futura sposa, per una donna già
sposata e infine per una in stato interessante. Beh, quest’ultima mi mancava! Sbuffai
ponendo lo sguardo su Edward che sogghignava sommessamente.
Perché le cose più assurde mi capitavano sempre con lui?
- - -
In breve tempo, tornammo a casa Denali. Le care cugine non
si erano affatto impensierite per quella nostra assenza prolunga. Ah no, che
sciocca: certo che si erano preoccupate, ma solo per Edward. Lo avevano
coccolato con stucchevoli moine e stridule risatine. Oche!
Consegnai gli anelli a Tanya liberandomi da quella
maledizione mentre Edward simulò un colpo di tosse per celare un risata. Che
simpatico.
Sarcastica? Assolutamente sì.
Era ormai sera inoltrata e dato che gli zii erano fuori per
lavoro, la cena non era stata ancora preparata. Avevano utilizzato tutte la
stessa scusa: le unghie appena smaltate possono rovinarsi.
Un vero e proprio problema di Stato! Questo commento purtroppo non lo esposi.
Tuttavia, un idea balenò nella mia mente come un fulmine a
ciel sereno. Avevo trovato un modo per ringraziare
le care cugine per l’ospitalità data.
UNA PICCOLA VENDETTA CI VUOLE, NO?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
9
SALVE A TUTTE/I…
SONO DI PASSAGGIO… VELOCE COME UN FULMINE PERCHE’ MI STO
PREPARANDO LA VALIGIA (PARTO PER TRE GIORNI CON LA MIA MIMMINA PER ASSISI).
SONO FELICISSIMA CHE IL CAPITOLO PRECEDENTE VI SIA
PIACIUTO (lo ammetto; mi sono divertita
a scriverlo).
TUTTE LE SCENE LE HO RITENUTE UTILI PER UN AVVICINAMENTO TRA
EDWARD E BELLA. COME SI DICE: I PROBLEMI SPESSO FANNO AVVICINARE DUE PERSONE. MAL COMUNE
MEZZO GAUDIO.
1.QUALCUNO DI VOI MI HA CHIESTO COME IO ABBIA FATTO A
TROVARE TUTTI QUEI MODI PER TOGLIERE UN ANELLO DA UN DITO: RICERCHE E RICERCHE.
PER QUESTO RINGRAZIO INTERNET. I LOVE IT.
2.MI AVETE CHIESTO ANCHE DI MIKE: LA RISPOSTA E' IN QUESTO
CAPITOLO.
INFORMAZIONI: PER QUESTO CAPITOLO INVECE VEDREMO UN MIX
DI EMOZIONI… POTETE ANCHE DEFINIRLE VOI. (SONO PROPRIO CURIOSA DI VEDERE
COSA HASCATENATO IN VOI).
NELL’ULTIMA PARTE, PROBABILMENTE IL COMPORTAMENTO DI
BELLA SARA’ STRANO, FORSE SEMBRERà ANCHE UN PO’ PAZZA… PERò LA SUA LASTRA DI
GHIACCIO SI STA SCIOGLIENDO E SE SI SCIOGLIE… (MI TAPPO LA BOCCA). IN OGNI CAPITOLO SI CAPISCE QUALCOSINA IN PIù SUI SUOI SENTIMENTI.
RIGUARDO
ALLA VENDETTA NON HO DATO MOLTO SPAZIO NEL CAPITOLO IN QUANTO A NOI INTERESSA
IL RAPPORTO TRA I DUE PICCIONCINI E NON LE CUGINE.
AVREI VOLUTO CON TUTTO IL CUORE AVVELENARLE CON IL CIANURO O
QUALCOS’ALTRO DI SIMILE… MA SEMBRAVA TUTTO IRREALE. MI AVETE FATTO MORIR DAL
RIDERE CON LE VOSTRE VENDETTE. WOW. SIETE MITICHE.
AVVISO: NEI PROSSIMI CAPITOLI SI CAPIRA’ TUTTO. E
RIPETO: TUTTO. IL COMPORTAMENTO DI BELLA, I SUOI SENTIMENTI (ANCHE SE PIAN
PIANO LI STO SNOCCIOLANDO); QUELLO DEL NOSTRO DOTTORINO (IL PIU’ IMPORTANTE, A
PARER MIO). MOLTE DI VOI HANNO GIà CAPITO QUALCOSINA. MANCANO SOLO DUE GIORNI AL MATRIMONIO; SONO IMPORTANTISSIMI!
RINGRAZIO I NUOVI RECENSORI, I VETERANI, CHI MI HA FATTO
PUBBLICITA’ TRA LE AMICHE (ODDIO, CERTO MI FA PIACERE), CHI HA INSERITO LA
STORIA NELLE PREFERITE, SEGUITE, ME NEGLI AUTORI PREFERITI, I LETTORI SILEZIOSI
E CHI SOPRATTUTTO HA COMMENTATO.
AD OGNI COMPLIMENTO, LE MIE GUANCE SONO DIVENTATE VERMIGLIE (GRAZIE
GRAZIE GRAZIE ANCHE SE NON MERITO COSì TANTO).
RINGRAZIO LE SEDICI PERSONE CHE HANNO COMMENTATO IL BLOG
(WOW. WOW. WOW) GRAZIE ANCHE PER QUEL SUPPORTO. DAVVERO, NON CREDEVO CHE MI
SEGUISTE ANCHE Lì.
MI HA SORPRESO IL COMMENTO DI UNA RAGAZZA, NON POSSO DIRE
CHI… LO DIRò A TEMPO DEBITO. POSSO SOLO DIRE CHE E’ STATA INCREDIBILMENTE
FANTASTICA. PROMETTO CHE IN SEGUITO LO DIRò (SAM, NON DIMENTICA NULLA)
BEH… VI LASCIO AL CAPITOLO. SE AVETE QUALCHE DUBBIO FATEMI
LE DOMANDE: ANCHE SE NON RIPONDO ALLE SINGOLE RECENSIONI, NON E’
DETTO CHE NON
POSSA RISPONDERE ALLE VOSTRA PERPLESSITA’ ANZI, LO FARò E
VE LO PROMETTO… ANCHE PERCHè SE NASCONO PURTROPPO
E’ COLPA MIA.
NELLA PRIMA PARTE C’è UNA SPIEGAZIONE: E’ VERA. ALTRA
RICERCA.
GRAZIE INTERNET.
GRAZIE ANCORA A TUTTI VOI.
DEDICO IL CAPPY A:
SWEET_APPLE_LOVE
CAPITOLO 9
Il
peperoncino piccante è una delle spezie maggiormente utilizzate fin dai tempi
antichissimi. Molte tradizioni popolari lo usano come rimedio medicinale.
Grazie ai suoi principi attivi, ha un forte potere antiossidante, nonché
antitumorale. Inoltre, si è dimostrato utile nella cura di malattie da
raffreddamento. Esso favorisce anche la digestione e può essere usato anche
come antidolorifico. Il peperoncino è una delle piante più adatte a stimolare
il desiderio sessuale e predisporre l’essere umano a soddisfarlo pienamente. In
fin dei conti, non sembrava una rivalsa così cattiva da adoperare per le mie
cugine (mi preoccupavo perfino per la loro salute) - anche se l’ultimo punto
non giovava a mio favore, almeno non del tutto.
Entrai in cucina tirandomi su le maniche della camicetta.
Era giunto il momento di mettersi all’opera. Appeso ad un apposito gancio
accanto al frigo notai il grembiule di zia Carnen: fortunatamente un modello
semplice privo di disegni imbarazzanti, totalmente differente da quelli
regalatami da Renèe ora nascosti e relegati in un cassetto.
«Cosa hai in mente?»
La voce inaspettata di Edward mi fece sobbalzare dallo
spavento. Portai il grembiule avanti, feci un paio di giri intorno al mio busto
con i nastri data la loro eccedente lunghezza. Edward sovvenne in mio aiuto
realizzando un nodo compreso di fiocco alla base della mia schiena. Afferrai il
fermaglio stretto ad un lembo del grembiule e raccolsi i miei capelli in una
svelta crocchia dalla quale cadde sulle spalle qualche ciuffo ribelle. Edward
osservò ogni mio gesto con un sorriso impresso sul viso. Poggiò i gomiti
sull’isola da cucina. «Non vuoi avvelenarle, vero?»
Ridacchiai aggrottando lievemente la fronte. «Non sono così
perfida.» Aprii l’anta del frigorifero. «Edward, mangi messicano?» Avevo
imparato da zia Carmen una buonissima ricetta dai sapore leggero e stuzzicante:
riso piccante alle erbe aromatiche. Se non altro perfetta per ciò che avevo in
mente.
La sua leggera risata echeggiò nella stanza. «Io sì. Loro?»
Alzai le spalle. «Sinceramente non lo so.» Tirai fuori il
limone e le foglie di menta fresca, le osservai quasi ipnotizzata: erano identiche
agli occhi di Edward. Lo stesso verde intenso.
Portai la menta dapprima al mio naso, poi a quello di Edward
affinché ne percepisse l’aroma fresca. Lui inspirò profondamente ad occhi
chiusi. Era incredibilmente bello quando era concentrato.
«Sarà tutto commestibile, vedrai.» Mormorai sorridendo. «Non
necessiteranno di un intervento medico. Sei in vacanza, non ho intenzione di
farti lavorare.»
Aprii il pensile delle spezie; ricordavo ancora i luoghi ove
zia serbava i vari cibi. Se ero brava in cucina, era tutto merito suo. Renèe
era in grado solo di riscaldare cibi precotti nel microonde; le sue doti
culinarie erano tutt’altro che esemplari.
Tirai fuori vari barattoli: quello di erba cipollina, maggiorana
e peperoncino piccante. L’ultimo, il mio obbiettivo primordiale. Quello essenziale.
«Sai che il peperoncino ha moltissime proprietà benefiche?»
Edward sorrise beffardo. «Ho letto anch’io quell’articolo sul
Daily Sun.» Si alzò dalla sedia e mi raggiunse. Si posizionò alle mie spalle;
il suo respiro mi carezzava la nuca generando piccoli e piacevoli brividi sulla
pelle. «Ricordo una in particolare.» Mi sfiorò una mano per prendere una foglia
di menta e portarla alla bocca addentandone una piccola parte.
Deglutii la saliva a vuoto. «A-ah, si? Quale?»
Rispose con un’altra domanda. «Sicura di voler utilizzare il
peperoncino?» Sembrava più un avvertimento. Forse quella del messicano non era
poi un’idea così brillante. Eppure… non potevo far a meno di constatare che
quella situazione mi eccitava, più del lecito.
«Ad essere sincera, non l’ho mai comprovato.»
Edward portò la foglia di menta alle mie labbra. Andai quasi
in iperventilazione. Lì per lì, mi paralizzai dalla sorpresa; poi agii di
istinto e morsi dove poco prima lui aveva fatto il medesimo gesto. Non seppi
definire esattamente il gusto della menta perché i miei sensi erano totalmente
rivolti al mio finto fidanzato, che mi osservava con fin troppa attenzione;
l’unica cosa che saggiai con fine gusto, fu la sua saliva a ridosso della
fogliolina. I suoi occhi erano lucidi e tremendamente intensi, molto
probabilmente specchio dei miei.
«Edward, ti va una partita a scacchi?» Sobbalzammo entrambi
dalla voce inaspettata di Garrent. Edward si riprese scrollando leggermente la
testa.
Prima di rispondergli, mi rivolse uno sguardo. «Ti serve una
mano?»
Di rimando, gli sorrisi riconoscente - non prima di aver ripreso
un briciolo di lucidità che stranamente in sua presenza sfumava. «No, grazie.
Non vorrei che le tue doti culinarie rassomigliassero quelle di Alice.» Corrugò
la fronte divertito. Continuai a parlare. «In fondo, il cognome è lo stesso.»
Rise captando la natura della mia frase: avevo utilizzato le
sue stesse parole con lo scopo unico di prenderlo in giro. Guardò per un attimo
Garrent. «Vengo subito. Preparati perché non sono affatto magnanimo.»
L’amico sorrise furbamente. «Vedremo.»
Edward rivolse nuovamente il suo sguardo nei miei occhi. «Contieniti
col peperoncino.» Chinò il capo; percepii un soffio sulla mia nuca.
«Soprattutto se le proprietà stimolanti
sono reali.» Depositò un bacio sul mio
collo e uscì dalla cucina lasciandomi lì, stordita con un’incessante pioggia di
brividi lungo tutto il mio corpo.
Tanya fece la sua comparsa recuperando una bottiglia di vino
dal frigo. Mi fissò con un sopracciglio alzato. «Sai cucinare?»
Annuii con alterigia. In quel frangente, potevo permettermi
il lusso di esibire un briciolo di orgoglio. «Me lo ha insegnato tua madre.»
«Già.» Sputò tra i denti. Alle mie cugine, non era mai
andato a genio il rapporto instaurato con mia zia; era sempre stata come una
mamma per me, forse molto più di Renèe stessa.
«Mike non c’è?» Domandai più per predispormi sulle porzioni
da preparare che per reale interesse.
La gallina bionda sbatté velocemente le palpebre. «Ne senti
la mancanza?»
Sospirai trattenendo l’impulso di lanciarle del cibo
addosso. «Senti Tanya, se questo è il tuo intento…»
Mi bloccò all’istante. «No, certo che no. Non sapevo neanche
che fosse il tuo ex fidanzato.»
Alzai un sopracciglio. Pensava davvero che credessi a
quell’assurda fandonia? Credeva che fossi stupida fino a quel punto? Le mani mi
tremavano: con un morso trattenni il fuoriuscire di parole alquanto incivili. Rispettavo
i miei zii e sapevo perfettamente quanto ci tenessero alla mia presenza a
questo matrimonio, e a maggior ragione una lite era proprio da evitare.
Mi rivolse quasi un sorriso di trionfo. «Vado ad
apparecchiare il tavolo nella sala da pranzo.»
Iniziai a sminuzzare le foglie di menta per scaricare la
tensione; non era affatto un bene accumularla. Prima o poi, sarebbe esplosa e
mancava poco che perdessi totalmente il controllo.
«Ah, Isabella…» Esordì Tanya prima di uscire dalla cucina. «…Mike
è andato a New York per una questione di lavoro. Ma torna domani, non ti
preoccupare.»
Se ne andò ghignando.
Oca irritante! Provava indubbiamente gusto ad alterare i
miei nervi. Era viscida e meschina come una vipera. Guardai il barattolo del
peperoncino: un sorriso spuntò sul mio viso.
Ridi ora Tanya; dopo
ti ritroverai con le lacrime agli occhi.
E così fu, solo per le mie cugine naturalmente. Sottrassi a
quella punizione anche Garrent: sopportava Kate da molto tempo… era già un pena
abbastanza dolorosa per lui. Le nostre pietanze furono altrettanto piccanti, ma
mai quanto le loro. Ingurgitarono il cibo con le lacrime agli occhi, il viso
leggermente imporporato e un bicchiere colmo d’acqua ad ogni piccola porzione
ingerita. Edward le inculcò a mangiare il tutto garantendo che quella pietanza
era un vero e proprio tocco magico per la pelle. Se lo diceva un medico non
poteva che essere che veritiero. Trattenni a stento in quei momenti le risate.
Mi aspettavo di tutto, benché meno che Edward assecondasse questa mia piccola
vendetta nei loro confronti.
Cionondimeno accolsi dagli uomini, con mio sommo stupore e
imbarazzo, i complimenti inerenti alla pietanza messicana. Garrent aveva
perfino insistito affinché insegnassi alla sua futura sposa l’arte culinaria.
Un impresa pressoché ardua anche per lo chef migliore al mondo dotato di
infinita pazienza.
Al termine della cena fu proprio Kate a preparare il caffè -
se così quella miscela colorata poteva definirsi – probabilmente per dimostrare
al suo futuro marito che possedeva anch’ella un briciolo di dote.
Dopo poco tempo, gli uomini porsero nuovamente l’attenzione
sulla partita di scacchi precedentemente cominciata. Tanya stranamente sparì,
le due restanti cugine, nel mentre, osservavano una rivista di moda. Per un
attimo, sul divano bianco del salotto chiusi gli occhi portando la testa dietro
allo schienale, rilassandomi quasi completamente – i miei sensi erano comunque
allerta.
Era stata una giornata piuttosto movimentata; le mie forze
erano quasi al limite ed ero sopraffatta dalla spossatezza.
«Scacco matto!» Esclamò Edward d’un tratto allegramente.
Garrent scosse il capo seccato. «Ahh, è impossibile! Anche
al college vincevi sempre tu!».
«Stai attento. Lui imbroglia molte volte.» Lo avvertii con
un risolino.
Edward incrociò le braccia al petto e assunse un’aria
altamente imbronciata. «Non è vero.»
«Tesoro, non fare
quella faccia.» Lo ribeccai scompigliandogli i capelli. «Nell’ultima partita
hai cercato di imbrogliare come minimo tre volte. E nonostante tutto ho vinto
io.»
Garrent sbarrò gli occhi sorpreso. «Hai vinto a scacchi
contro Edward Cullen?»
Feci spallucce. «Sì e non solo una volta.» Il mio finto
fidanzato digrignò i denti irritato dalla consapevolezza delle mie parole. Ogni
volta era una battaglia per lui persa in partenza: intanto che Alice si
preparava per la maratona di shopping – dalla quale purtroppo non potevo
esimermi - Edward mi trascinava nel salotto nel quale sul tavolino basso in
vetro posto al centro della stanza vi era già predisposta la scacchiera con le
pedine già ordinate per una partita lampo. Poverino: con me aveva trovato pan
per i suoi denti fin dall’inizio.
Garrent lanciò un’occhiata alquanto eloquente al mio finto
fidanzato. «Edward, allora devi sposarla.» Si lisciò il mento. «Ricordi cosa
dicesti al college?»
Edward rise passandosi una mano tra i capelli. «Dio mio!
Come fai a ricordarlo? Lo avevo dimenticato?!»
Li guardai incuriosita. «Cosa?»
«Che se avesse trovato una donna in grado di batterlo a
scacchi, l’avrebbe sposata senza alcuna esitazione. E da quel che ricordo,
almeno ai tempi del college nessuno ha mai vinto contro di lui.»
«E’ l’unica.» Confermò Edward specchiandosi nei miei occhi.
Emisi alcuni colpi di tosse e per poco non mi strozzai con
la mia stessa saliva. Ma che diamine di sciocche scommesse facevano al college?
Cercai di ribattere ma la voce squillante di Tanya mi interruppe. Comparve nel
salotto con uno scatolo sotto un braccio, e una foto tra le mani nella quale
erano ritratti alcuni ragazzi ricoperti di schiuma da capo a piedi. «Guardate
cosa ho trovato?»
Edward e Garrent sbarrarono gli occhi. «Non puoi avere
ancora quelle foto.»
Tanya ridacchiò. «Sì, e ne ho tante altre.» Si accomodò
sulla poltrona porgendo la foto ad Edward.
Quest’ultimo rise divertito. «Guarda i miei capelli: erano pieni
di schiumi e arruffati in modo assurdo.»
Tanya estrasse dalla scatola altre foto e piccoli oggetti
con lo stessa di Harvard. «Oh, ma lo sono sempre stati. Credi davvero che
adesso siano in ordine?» Squittì con tono stranamente dolce.
Edward si passò una mano tra i capelli quasi a confermare la
sua teoria.
Gli porse un’altra foto. «Guarda questa: ci siamo tutti e
tre. Sono trascorsi molti anni da allora.»
Analizzarono i vari oggetti per svariati minuti.
I vecchi amici del college si erano riuniti dopo diversi
anni e ridevano sulle varie ragazzate fatte assieme. Edward sembrava felice e
sorrideva ad ogni aneddoto rimembrato da Tanya. Questo era un punto nettamente
a mio sfavore: sull’attualità potevo giocare la carta della conoscenza di
alcune cose che lo caratterizzavano; ma sul passato… ero totalmente impreparata.
A differenza di Tanya non sapevo nulla. Mi sentii irrimediabilmente sola ed
esclusa.
Mi allontanai dal salotto preoccupata delle nuove sensazioni
che percepivo: rammarico e, più di ogni altra cosa, delusione sebbene non fosse
accaduto nulla di eclatante. Entrai in cucina notando le varie stoviglie
sporche accumulate sul tavolo da pranzo. Dovevo tenere la mente occupata e
quello sembrava l’unico appiglio al quale potevo aggrapparmi.
***
«Perché sei andata via?» La voce di Edward mi fece rinsavire
da quel momentaneo stato di trance. Mi ero persa nei miei pensieri ancora una
volta nonostante avessi fatto di tutto affinché ciò non accadesse. Alzai le
spalle nell’assoluto mutismo.
Lo sentii avvicinarsi. Allungò le braccia tirando su le
maniche della camicetta che si stavano irrimediabilmente bagnando. Avevo le
mani e i polsi totalmente immersi nell’acqua colma di schiuma.
«Mi hai lasciato solo nella gabbia dei leoni.» Disse quasi
con accusa. Cosa avevo fatto? La rabbia prevalse su ogni emozione. Mi girai di
scatto con sguardo truce e al contempo beffardo. «Se non erro non stavi morendo
sbranato. Tu sei l’addestratore, non la carne per sfamarli.» Mi girai
nuovamente nonostante le sue braccia non mi permettessero movimenti ampi. «O
forse preferisci essere entrambi.» Mormorai con voce bassa. A quanto pareva,
non gli dispiaceva essere al centro dell’attenzione. E chi ero io per
impedirglielo? Nessuno, appunto.
Questa volta fu lui a prendermi per i fianchi e farmi girare
totalmente, sino a quando non mi scontrai sul suo petto. «Sei gelosa.» Dichiarò
con un sorriso sornione.
Incrociai le braccia sotto al seno indispettita.
«Assolutamente no.»
Edward lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi; si portò
una mano dietro la nuca grattandosela. «Ah. Beh, se non sei gelosa non ti
spiace se accetto l’invito di Tanya.»
Afferrai uno strofinaccio asciugandomi le mani. La curiosità
è femmina, ma l’orgoglio prevale quasi sempre su tutto. «Fai ciò che vuoi.»
Alzò un sopracciglio. «Quindi questa notte la trascorro con
Tanya?»
Brutta stronza! La rabbia all’istante mi accecò. Avvertii i
nervi tendersi all’unisono pronti a scattare. I pugni serrati lungo i fianchi.
«Cosa ha fatto quella? Io la strangolo a mani nude…»
Cercai di farmi spazio per raggiungere la mia cara cugina e darle ciò che le spettava
ormai da troppo tempo: una tirata di capelli, un pugno sul nasino perfezionato
dalla chirurgia ed un ridimensionamento totale del corpo: sgonfiamento del seno
e dilatazione del corpo a partire dai fianchi. «Calmati Bella.» Edward con
leggerezza mi prese per i fianchi e mi fece sedere sul mobilio della cugina
mentre mi dibattevo dalla rabbia con tutti arti contemporaneamente. Mi fermò i
polsi. Con delicatezza me li accarezzò con le dita per farmi calmare. «Bella,
stavo scherzando.»
Gli rivolsi un’occhiataccia di fuoco. Che stupido scherzo!
Era posizionato esattamente tra le mie gambe e le sue mani
erano scivolate sui miei fianchi. Ne alzò una portandomi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. «e… ti ho semplicemente dimostrato che ho ragione: sei
gelosa.»
«Edward, vai al dia-» Mi chiuse le labbra con due dita
sogghignando divertito.
«Edward.» Tanya comparve nella cucina con la scacchiera tra
le mani. Forse la presenza di Mike non era poi così sgradita; quantomeno la
teneva a bada.
«Non ti ho mai battuto. Posso ritentare?» Squittì dolce, fin
troppo per i miei gusti. Alle mie orecchie la sua voce giunse fastidiosa come
un potente e incessante antifurto innestato da troppo tempo.
Guardai il mio finto fidanzato
con un finto sorriso. «E’
maleducazione rifiutare, no?»
Edward sospirò lisciandomi una guancia. «Mi fai compagnia?»
Era per caso impazzito? Neanche se mi avesse pagato a peso
d’oro sarei restata. «No, la compagnia già ce l’hai. Io torno in camera.» Scesi
dal mobiletto indispettita più che mai. Era un comportamento infantile, ne ero
maledettamente consapevole ma ero nervosa e in quel momento volevo solo restare
sola. «Falla vincere, così te la sposi.»
Al diavolo lui e
l’oca.
- - -
Uscii dal bagno ravvivandomi i capelli con un pettine dai
denti larghi. Mai pettinare i ricci - stretti o larghi che essi siano - con una
spazzola; l’avevo provato una sola volta ottenendo come risultato un
consistente e gonfio panettone di Natale. Assolutamente terrificante!
Ridussi la luce dell’abatjour sul comodino e mi coricai nel
letto trovandolo stranamente scomodo e più duro del consueto: la consistenza
del cuscino sembrava roccia e il materasso pareva ricoperto interamente di
grattugia. Ero arrabbiata. Arrabbiata con Tanya perché aveva troppa confidenza
con Edward. Arrabbiata con lui perché le dava corda. E, infine, arrabbiata con
me stessa per questo mio modo di reagire del tutto sconclusionato.
Percepii la porta della stanza aprirsi e chiusi all’istante
le palpebre fingendo di dormire. «So che sei sveglia.»
Percepii il fruscio degli abiti che ricadevano con un tonfo
sordo sul pavimento. Si cambiava così, allo scoperto? Con me in camera? Beh… in
fondo stavo dormendo o perlomeno, era quello che fingevo di fare. Dopo breve,
sentii l’altro lato del letto piegarsi dal suo peso. «Vuoi sapere come è
andata?»
Rimasi in silenzio.
«Non vuoi sapere se ho vinto?»
Ancora silenzio - anche se fu maledettamente difficile
tacere.
«Neanche la data del matrimonio?»
«Non mi interessa.» Mi morsi la lingua all’istante.
Boccaccia mia! Ma il cervello lo avevo abbandonato sotto la doccia o per la
strada durante il viaggio sulla Vespa?
Rise e inaspettatamente mi afferrò per i fianchi. Con un
movimento veloce mi trovai piacevolmente schiacciata dal suo corpo. «Allora sei
sveglia.»
Mi diede un buffetto sul naso. «E a quanto pare… ancora arrabbiata.»
«Non sono arrabbiata» Sbottai infastidita. Avevo risolutamente
intrapreso la via della negazione. Decisamente infantile. Sorrise sornione. «Ah, e perché non lo sei?»
«Perché Edward se mi vuoi rendere ridicola-»
«Non mi sto comportando bene?» Chiese, quasi con tono dispiaciuto.
Si formò la ruga tra le sopracciglia.
Ti prego,
quell’espressione mi uccide.
Aveva ragione. Non aveva sbagliato nulla e non mi aveva
nemmeno resa ridicola. Ero paranoica! E stavo riversando ingiustamente la mia
rabbia su di lui.
Mi sentii tremendamente in colpa. «Scusa, non volevo
prendermela con te.» Mormorai abbassando gli occhi.
«Non fa niente.» Percepii la sua mano calda e morbida sulla
mia guancia. Impulsivamente, chiusi gli occhi beandomi di quell’inaspettata
carezza. «I miei complimenti, signorina Swan. L’idea del peperoncino è stata
geniale.»
Lo osservai riconoscente. In quel modo aveva voluto
alleggerire l’atmosfera tesa che io stessa avevo creato e mentalmente lo
ringraziai. Come personale sedativo era indiscutibilmente perfetto. In fondo,
in cosa non lo era?
Ridacchiai appena, rammentando la strana cena di quella sera.
«E tu scemo che mi hai assecondato.»
S’imbronciò teneramente. «Ehi! Io sono stato sincero.»
Iniziò a solleticarmi i fianchi ma rotolai lateralmente
liberandomi da quella tortura. Ritornai prona sul lato opposto del materasso.
Assunse poco dopo un’aria impensierita lasciando tuttavia quel
suo solito sorriso sghembo sul suo volto. Lo adoravo.
«Mmm… sbaglio o a loro la quantità era maggiore?»
«Un po’» Soffocai una risata sul guanciale. «Se le proprietà
del peperoncino sono reali, il mio gesto è stato molto altruistico.»
«Certo, molto altruistico.» Mi prese in giro con uno
sbadiglio rumoroso. L’ultima vocale fu molto ampia.
Una reazione più che ovvia data la giornata particolarmente stancante
per entrambi, sebbene per me ora il sonno stesse pian piano scemando. Lo avevo
sballottato da un parte all’altra per tutto il giorno. Il riposo era più che
meritato.
Spensi la luce dell’abatjour. «Credo che se continuiamo a
parlare, presto mi ritroverò a fare un monologo.»
Edward sorrise debolmente. In quei momenti sembrava così indifeso,
docile come un agnellino. Pareva tenero, e ancor più bello per quanto questo
fosse possibile. Quante volte, a sua insaputa, lo avevo ricoperto con una plaid
dopo che si era addormentato sul divano di casa Cullen. Erano sempre stati
piccoli gesti silenziosi e inconfessati, dei quali neppure Alice era a
conoscenza.
Edward chiusi gli occhi placidamente disteso sul fianco
destro. Accostai le miei labbra alla sua fronte. Lo sentii inspirare
profondamente. «‘Notte, Edward.»
«Buonanotte, micetta.»
Sorrisi a quel suo usuale pseudonimo: cominciava sul serio a
piacermi.
- - -
Torsione sul fianco destro.
Torsione sul fianco sinistro.
Posizione supina.
Rapido sguardo alla radiosveglia con led luminoso: ore 4:02
del mattino. Sbuffai portandomi le mani nei capelli. Accidenti, non ero
riuscita ad addormentarmi in nessun modo, in alcuna posizione. Il materasso
pungeva ancora e il cuscino era duro. Troppo duro. Mi tolsi le lenzuola con le
gambe, ma dopo poco mi coprii di nuovo. Gettai alcuni pugni sul materasso
strisciando col mio corpo a destra e a manca in cerca di un punto comodo.
Balzai seduta sul letto scompigliandomi ulteriormente i capelli. Ah, non
riuscivo a prendere sonno, maledizione!
Guardai ancora una volta la radiosveglia: 4:05.
Perché il tempo scorreva così lento?
Ero agitata, esaltata e… maledettamente eccitata. Sentivo un
fuoco divampare in tutto il corpo: dal collo scendeva giù sul petto e si
concentrava nel ventre. La pelle era rovente ovunque, tranne sulla fronte e ciò
significava che non avevo la febbre. Era un calore nettamente diverso. In
questi casi, la doccia fredda era utile solo al genere maschile? Lanciai un
occhiata ad Edward: dormiva come un angioletto. Beh, almeno non lo avevo
svegliato.
Possibile che la causa di tutto fosse proprio l’aroma dalla
molteplici proprietà? Maledetto peperoncino piccante!
Portai il cuscino sulle gambe e gettai pugni a non finire,
come se sotto le mani avessi un bonghetto africano - fortunatamente silenzioso, altrimenti avrei
svegliato perfino i vicini – e nel mentre, sbuffavo come una locomotiva.
Percepii improvvisamente la mano di Edward poggiarsi sul mio
ginocchio; mancò poco che lanciassi un urlo. «Bella.» Impastò assonnato
strofinandosi con il dorso della mano le palpebre.
Brava Bella, ci sei
riuscita.
«Scusa, ti ho svegliato.» Borbottai rammaricata.
Schiuse un solo occhio. «Che succede?»
Mi portai una ciocca dietro i capelli, imbarazzata dalla
situazione. «Il mio cuscino è duro.»
Tastò il guanciale con la mano. «Ma è in piuma d’oca come il
mio.»
Mossi i piedi, infastidita. «Oh, quanto mi dispiace. Hanno
spennato le mie cugine.»
Edward ridacchiò sommessamente. «Sei ancora arrabbiata?»
Incrociai le braccia al petto. «No, non riesco a dormire.
Sembra tutto duro e scomodo.»
Inaspettatamente, mi afferrò il polso e mi attirò a sé.
Andai felicemente a sbattere sul suo petto. Il suo profumo mi stordì la mente.
«Ti sembro più comodo?» Mormorò fievolmente.
Strofinai la guancia sulla sua canotta bianca così
tremendamente stretta al suo busto. Il calore aumentò. Chiusi gli occhi ed
inalai aria nel tentativo di calmarmi ma in quel modo aspirai maggiormente la
sua fragranza mascolina che mi portò il corpo in ebollizione.
Digrignai i denti. «Maledetto peperoncino!»
«Il peperoncino? Centrano per caso le sue proprietà
stimolanti?» Nonostante l’oscurità della stanza, scorsi da suo tono di voce un
sorriso piuttosto pronunciato.
Un brivido mi scosse interamente il corpo. Arrossii
maggiormente. «Zitto e dormi!»
Ridacchiò ancora una volta; portò una mano alla base della
mia schiena. «’Notte.» Mi lasciò un bacio sulla fronte.
Gli diedi mentalmente dello stupido: in quel modo non era
affatto di aiuto; alimentava il tutto che con quel semplice gesto! Alzai
leggermente la coscia avvolgendo una sua gamba e con le dita cominciai a
disegnare ghirigori sul suo addome duro e sodo. Sembravo una maniaca
squilibrata! In ogni caso, era un passatempo piuttosto delizioso.
Edward mi fermò una mano. «Bella, la cosa non mi dispiace ma
il mio autocontrollo non è illimitato.»
Grazie a quell’ultima sua affermazione un’idea balenò nella
mia mente. E al momento, non c’era cosa che desideravo fare più al mondo se non
quella di raffreddare i miei bollori. La causa, in fin dei conti, era sua.
Su Bella, folle fino
in fondo.
Mi rizzai con le ginocchia sul materasso. Edward mi squadrò
con occhio clinico. «Hai bevuto alcolici a mia insaputa?» Probabilmente una
bottiglia intera di vodka avrebbe fatto meno effetto.
«No, non reggo l’alcol.» Mi morsi il labbro. «Edward… posso
fare una cosa? Però non fraintendere.»
Con uno sbuffo si sedette poggiando la schiena sulla
testiera del letto. Sbadigliò aprendo totalmente la bocca. «Ti concilierà il
sonno?»
Mi avvicinai «Si, ma ho bisogno di te.»
Aprì le braccia in un chiaro invito. «A tua disposizione.»
Indecisa, nel buio della notte, racchiusi il suo viso nelle
mie mani e gli sfiorai le labbra con le mie con piccoli tocchi delicati. La
ragione era svanita come fumo al vento sin dal momento in cui ero approdata sul
suo corpo. In un primo momento Edward fu sorpreso dal mio avventato gesto, poi
ricambiò il bacio con ardore attirandomi a sé con le mani premute sulle mia
schiena. Era pur sempre un uomo; come poteva sottrarsi ad un istante
passionale?
Quando assapori la punta di un pasticcino inevitabilmente
fremi di poter averne ancora fino soddisfare del tutto quell’appetito. Fremevo
e desideravo baciarlo da sempre e la consapevolezza di essere già a conoscenza
di quanto fosse bello appartenergli, non era affatto di aiuto. Non avevo mai
desiderato baciare con tale passione un uomo; Edward mi mandava in confusione e
mi faceva perdere la il lume della ragione. E sapere che quel bacio era voluto,
e non dovuto a causa della presenza di un qualche mio familiare mi eccitava
terribilmente.
Quasi certamente il peperoncino non aveva nulla che fare con
il mio stato d’animo attuale, o perlomeno non del tutto. Sì, la particolarità
di stimolare il desiderio sessuale in qualche modo centrava, ma era altresì
vero che ero attratta da Edward da fin troppo tempo per riuscire a trattenermi.
Le nostre lingue si accarezzano con frenesia, dolcezza.
Esplorò il mio palato, così come io feci con lui. Le sue labbra erano
morbidissime, il suo sapore era sublime, il suo alito fresco e zuccherino. Un
mix che in un attimo mi portò all’apice della pura follia. E solo in
quell’istante recepii l’ eccessiva impulsività del mio gesto. Ma che diamine
stavo facendo?!
Come una molla tesa tirata alle due estremità di cui uno
lasciata all’improvviso, la ragione tornò restituendomi un barlume di lucidità
atta a separarmi dal suo viso. Boccheggiai in cerca d’aria con la fronte
poggiata sulla sua. Il calore si era concentrato nel basso ventre e con un
dolce languore si era insediato perfino nello stomaco. Quello era il richiamo
di sensazione provate pochissime volte, in dimensione nettamente ridotte;
queste erano più potenti di quanto io stessa avessi mai agognato. Sapevo che se
avessi continuato a baciarlo con quell’intensità probabilmente quella sera
avrei condiviso il letto con Edward in un modo totalmente diverso. Quello era
un limite che mi ero preposta ancor prima di partire per l’Alaska, che non dovevo
valicare in nessun modo.
«Va maglio?» Annaspò Edward penetrandomi con lo sguardo che
nella notte riluceva di proprio riverbero. Sembrava confuso dal mio gesto. E
chi non lo sarebbe stato? Io stessa, a stento lo comprendevo.
Annuii mordendomi il labbro inferiore con i denti. La sua
saliva era ancora sulla bocca. Sentivo le gote in fiamme e probabilmente i miei
occhi erano lucidi. Avevo dato sfogo alla mia rabbia repressa e altresì ad un
effimera parte di eccitazione persistente nel mio corpo. Mi allontanai da lui
imbarazzata dalla punte dei piedi, fin
sopra alla radice dei capelli.
Aveva agito d’istinto ancora una volta. E ancora una volta
mi ero mostrata stupida ai suoi occhi. Ma…
Edward mi sorprese, alla sprovvista come ero divenuto ormai
suo solito fare. Dopo che fu steso, mi attirò a se con le sue braccia
portandomi accanto a lui con il capo poggiato sul suo petto. «Non avevi detto
che il tuo guanciale era scomodo?» Mormorò stranamente roco e dolce.
Strofinai il viso sulla sua maglietta e gli circondai
istintivamente il busto con un braccio. «Hai ragione.»
RINGRAZIAMO IL PEPERONCINO?
BELLA SI STA SCIOGLIENDO!! CHI LE DICE CHE SE SI ACCUMULA (ANCHE IL DESIRIO), PRIMA O POI ESPLODE?
ASPETTO CON ANSIA LE VOSTRE RECENSIONI.
CASA DENALI: CUCINA
LA RICETTA: RISO PICCANTE ALLE ERBE AROMATICHE
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
10
SALVE RAGAZZUOLE (CI SONO ANCHE RAGAZZI???)
ECCOMI QUI CON IL NUOVO CAPITOLO.
IN QUESTO CAPIREMO ALCUNE COSE IMPORTANTI (TUTTO IN PICCOLE
PARTI) COME I SENTIMENTI DI BELLA, LA PRESENZA DI MIKE E L’ODIO DELLE CUGINE
NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA EROINA.
IO DIREI CHE QUESTO E’ UN CAPITOLO DI TRANSIZIONE.
NEI PROSSIMI 2/3 SI SCIOGLIERANNO TUTTI I DUBBI DI BELLA
(PROMESSO).
RINGRAZIO CHI HA INSERITO LA STORIA TRA I PREFERITI, SEGUITI
E… ME, NEGLI AUTORI PREFERITI. WOW. SIETE INCREDIBILMENTE TANTI.
IO VI RINGRAZIO DI VERO CUORE PER I COMMENTI… GRAZIE A VOI
SONO LA PERSONA PIU’ FELICE DEL MONDO E NON SCHERZO. SONO COMPLETAMENTE
SINCERA.
I VOSTRI COMPLIMENTI SONO… TROPPI, DAVVERO… NON MERITO COSì
TANTO MA NON POSSO FARE A MENO DI DIRVI GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE ALL’INFINITO.
RINGRAZIO
TUTTI COLORO CHE MI HANNO SOSTENUTA NELLA MINICHAT CHE HO INSERITO
ALL’INTERNO DEL BLOG. GRAZIE PER LA FIDUCIA (VI RICORDO SEMPRE
CHE POTETE PORMI QUALUNQUE DOMANDA!!).
DOMANI
PUBBLICHERò UN TEASER.
QUALCUNO DI VOI MI HA DOMANDATO SE MAI FARO’ LA STORIA DAL
PUNTO DI VISTA DI EDWARD: POTETE TROVARE LA RISP QUI.
ANTICIPAZIONE: SE E’ NOIOSO… LANCIATEMI ORTAGGI
POSSIBILMENTE NON TROPPO DURI.
DEDICO QUESTO CAPITOLO A GRAZIA DELLA MINICHAT: NON SO QUALE
SIA IL TUO NICK SU EFP, MA CREDO TU ABBIA CAPITO UGUALMENTE (SEI IL MIO GURU!).
PS: LA CONCLUSIONE DEL CAPPY ME L’HA ISPIRATA FALLSOFARC,
UNA GRANDISSIMA AUTRICE DI STORIE ORIGINALI COSì BELLE DA FARMI RESTARE SVEGLIA
TUTTA LA NOTTE PER DIVORARLE TUTTE INSIEME.
NON MI RESTA CHE AUGURARVI BUONA LETTURA (spero davvero che non faccia lo stesso effetto di un sonnifero).
CAPITOLO 10
Sospirai profondamente.
L’alba era sorta da un po’ rischiarando fiocamente la stanza
con i suoi deboli raggi. Quella notte avevo dormito poco e niente sebbene la
mia posizione risultasse alquanto calda, comoda e confortevole. Ero rimasta tra
le sue braccia inerme fluttuando in un leggero dormiveglia.
Sapevo perfettamente che tutto ciò che era accaduto in
quella notte non era dovuto assolutamente al peperoncino. Era assurdo anche
solo al pensiero.
Una spezia non poteva certo rendermi un’ossessa, perché in
fondo e quasi certamente, ero sembrata proprio quello. Una ragazzina in balia
dei propri ormoni concitati, ecco.
Il tutto, era stato naturalmente scaturito da quegli attimi
di adiacenza col suo viso e il suo corpo. Quando mi era vicino fremevo dal
desiderio di poter essere coccolata anche con semplici carezze. Ma quando mi
provocava percepivo un fuoco ardere nel mio essere come la scintilla innesca lo
scorrente bruciare della scia di polvere da sparo sino al barilotto pieno
pronto all’esplosione. Ogni debole sfioramento, ogni sussurro poco pronunciato,
ogni bacio negato era un tratto di polvere in più bruciato, e un tratto in meno
da impiegare per raggiungere la pericolosa meta.
Tutte occasioni che mi mandavano letteralmente in
confusione: la sua stretta protettiva al cospetto di Mike accentuata dal bacio
sulla mia spalla nuda, il suo viso in prossimità del mio sullo scooter, la sua
lingua a ripulire il mio labbro dalla schiuma di latte, le sue frasi sensuali
sussurrate sul mio collo… come potevo restare lucida in questo modo? Dove avrei
racimolato la forza per evitare tutto questo?
Ero attratta da ogni cosa che lui facesse, come se gli
gravitassi attorno e pendessi da ogni suo gesto e questo, di conseguenza, ne
precorreva uno mio. Una catena immaginaria mi aveva ineluttabilmente legata a
lui.
Tuttavia, ciò si era creato solo in seguito a questa strana
avventura intrapresa da poco meno di una settimana – il matrimonio di mia
cugina - perché, in tutti quegli anni
avevo adottato l’indifferenza spegnendo quella cotta, ai miei occhi alquanto
banale, nei suoi confronti. Ma adesso, come potevo essergli indifferente?
Semplice: non potevo.
Le mie forze erano state definitivamente annullate dal
nostro primo bacio: il cosiddetto pericoloso innesco.
Sospirai profondamente ancora una volta.
Avevo il capo poggiato sul petto di Edward e potevo
distintamente sentire i battiti cadenzati del suo cuore e il suo respiro
profondo e regolare.
Con lo sguardo cercai il suo viso: gli occhi erano chiusi, la fronte distesa senza
quella piccola ruga ad incresparla, l’espressione rilassata. Stava serenamente
dormendo.
Leggera come una candida piuma, gli sfiorai con un dito il
profilo della mascella spigolosa percorrendola in tutta la sua lunghezza. Era
ruvida a contatto con la mia pelle a causa di una leggere ispida barba
cresciuta nella notte. Era ancora più bello.
Continuai la mia esplorazione e con il polpastrello, con
estrema delicatezza, gli accarezzai le labbra morbide, vellutate e piene al
punto giusto. Un gesto inconsapevole dettato dall’impulsività e da una parvenza
di lucidità, perché se quest’ultima fosse stata totalmente assente,
probabilmente avrei sfiorato direttamente la sua bocca con le mie labbra al
limite della follia.
Considerai che, quasi certamente, Edward era ormai a
conoscenza della mia più che evidente attrazione nei suoi confronti. E questo,
di per sé, non era affatto a mio favore.
Or ora, tuttavia, l’importante era nascondere i miei
sentimenti: qualcosa di nettamente più profondo di una semplice attrazione.
Edward si mosse leggermente e aggrottò le sopracciglia presumibilmente
infastidito dal mio tocco.. Ritrassi all’istante la mano e trattenni il respiro
timorosa di esser stato io la causa del suo risveglio. Ma nulla accadde. La
fronte si distese di nuovo e il respiro tornò profondo e rilassato.
A malincuore, riuscii ad allontanarmi dal suo corpo
sgusciando via dalle sue braccia così maledettamente calde e protettive. Tornai
nuovamente sul lato opposto del letto, quello mio che in quel momento era più
freddo di una pista in ghiaccio di pattinaggio.
Possibile che già percepissi la mancanza del suo calore?
Esalai un sospiro lungo e profondo coprendomi il viso con
entrambe le mani facendole poi scivolare nei capelli arruffati. Non potevo e
non dovevo rimuginare su certi pensieri inconsistenti e futili.
Assolutamente no! Non era il caso, il luogo né il momento
appropriato per farlo.
Mancavano due giorni al temine di questa assurda quanto
fantastica farsa. Solo due maledettissimi giorni al matrimonio di Kate. Ero
così agitata da sembrava io la futura sposa. In realtà, ero solo una semplice
damigella innamorata da sempre del suo finto fidanzato momentaneo.
***
Eravamo tutti in giardino per le prove. I lavori erano quasi
terminati; per la cerimonia tutto sarebbe stato perfetto. Era stata allestita
una pista da ballo sulla destra con assi in legno chiaro affiancata da numerosi
tavoli rotondi. Ai lati, piantati nel pavimento ergevano alte pertiche in ferro
battuto, le quali facevano da fondamenta ad uno scheletro di un grosso gazebo
da rivestire. Sulla sinistra invece era stato pavimentato una sentiero in
pietra bianca costeggiato da varie file di sedie in plastica. Poco più avanti
di questo, un arco dalla spessa larghezza composto da rami intrecciati.
Il tutto forse un po’ troppo sfarzoso per i miei gusti, ma
nel complesso molto sofisticato e grazioso.
«…Garrent, nel momento in cui vi dichiarerò marito e moglie
potrai baciare Kate; non prima.»
Tutti pendevano dalle labbra del pastore che spiegava
meticolosamente, passo dopo passo, il susseguirsi della cerimonia. Era un uomo
paffuto e panciuto, sembrava avesse ingoiato un anguria intera.
Mostrava ai futuri sposi ogni più piccolo e irrilevante
dettaglio, dalla posizione delle mani a quella del corpo, come se al momento
clou della funzione fossero in grado di pensare. Ero più che sicura che
l’emozione avrebbe sopraffatto entrambi.
Sebbene il mio rapporto con Kate fosse alquanto conflittuale
era impossibile non accorgersi dell’amore che provava verso Garrent. Forse, tra
le tre era la cugina che più tolleravo; il nostro rapporto era meno
puntiglioso.
Adesso mi trovavo tra Irina e Tanya con in mano un finto
bouquet di fiori: la disposizione da utilizzare durante la cerimonia.
In quel momento mi pentii amaramente, in maggior misura di
quanto non avessi già fatto in precedenza, del mio consenso dato.
Gli occhi di tutti gli invitati sarebbero stati puntati
sugli sposi, cosa alquanto ovvia, e ineluttabilmente anche sulle damigelle
poste sul lato destro della sposa in bellavista. Non sopportavo l’idea di essere
al centro dell’attenzione. A volte ero goffa nei movimenti, specie in presenza
delle mie cugine e l’idea di avanzare la navata anticipando la sposa con
quell’orrido vestito indosso creato appositamente per farmi cadere e rendermi
in oltre modo ridicola agli occhi degli invitati, non mi allettava minimamente.
Anzi, mi suscitava quasi panico allo stato puro.
La situazione era più problematica di quanto pensassi!
Spostai ancora una volta il peso da una gamba all’altra con
le braccia incrociate sotto al seno – i fiori spostati lateralmente -, mio
chiaro e consueto segno di nervosismo. Edward occupava una sedia nelle ultime
file scrutando la scena con un sorriso divertito. O meglio, guardava me e
rideva sommessamente, quasi di nascosto. Stentava a trattenersi divertito dal
mio nervosismo.
Che mascalzone!
Il mattino ero scesa a far colazione ancor prima che lui si
svegliasse. Non sapevo cosa aspettarmi, cosa lui avesse inteso dal bacio e cosa
dire in proposito. Avevo avvertito l’esorbitante imbarazzo finché lui non mi aveva
tolto dalle mani una tazza fumante di caffè con quel suo solito sorriso
strafottente in viso.
Doppio mascalzone!
Portai una mano davanti alla bocca nel vano tentativo di
celare uno sbadiglio.
Fortunatamente mancava poco al termine delle prove. Tra i
risolini e le raccomandazioni del pastore stavo quasi spazientendo del tutto.
La mia più che consueta abbondante pazienza, in quel periodo stranamente s’era
ridotta. Dovuto alle cugine Denali? Oh sì, su questo non c’era dubbio.
Irina mi sfiorò un braccio con un dito. «Isabella, più tardi
arriveranno gli abiti da damigella.»
Il tomo che utilizzò mi inquietò, e non poco. Fu fin troppo
gentile e quel sorriso e quello sbattere frenetico di ciglia sarebbe risultato
alquanto preoccupante persino ad un cieco.
Al termine delle prove, rincasammo. Attesi qualche attimo e,
come promesso purtroppo, il vestito arrivò celato fortunatamente in una
custodia per abiti nera alquanto rigonfia. Lo portai in camera e lo gettai in
malo modo sul letto.
«Isabella, così l’abito si rovina.» Mi sbeffeggiò Edward
imitando Irina in tutto e per tutto: dalla voce squillante e isterica alle mani
giunte sul petto.
Non riuscii a trattenere una risata sebbene lui trovasse
sempre gusto a prendermi in giro.
«Che sbadata.» Mormorai con finto dispiacere. «Dovevo
gettarlo direttamente sotto il letto.»
Edward rise apertamente avvicinandosi quatto alla custodia.
Captai le sue intenzioni e lo fermai ancor prima che potesse avvicinarsi
definitivamente. Mi parai davanti al letto con le braccia stese lateralmente.
«Non ci pensare nemmeno.»
Arcuò un sopracciglio. «Perché no? Sono solo curioso e non
credo che sia poi così male.»
«Perché se apri quella maledetta cerniera, alla vista di
quel “coso” rischio di perdere le staffe e straparlo a morsi.» Era la pura e
schietta verità.
Incrociò le braccia al petto e sorrise. «Mmm… è preoccupante
come cosa. Necessiti di un’iniezione antirabbia?»
Sbuffai poggiando le mani sul suo petto con l’intento di spingerlo
via. «Avrai il piacere di vederlo, te lo assicuro. Ma… cerca di capirmi. Sto
sperando con tutta me stessa che lo abbiano cambiato da un momento all’altro per
un capriccio con un nuovo abito da damigella più semplice. Fammi fluttuare in
quest’illusione ancora per un po’.»
Rise circondandomi la vita con le sue braccia possenti. Quel
contatto generò altri brividi sull’epidermide delle braccia e della schiena.
Non ero abituata alla sua pelle, al suo calore e probabilmente mai lo sarei
stata.
La porta della nostra camera dopo due tocchi si aprì. Kate
varcò la soglia, con un sorriso smagliante, senza attendere un consenso ad
entrare che probabilmente, da parte mia, mai sarebbe arrivato. «Bella, sei
pronta?»
Guardai mia cugina, confusa ed accigliata. «Per andare
dove?»
Rise coprendosi la bocca con una mano. «Sarà una sorpresa.»
Perché suonava più come una condanna?
Mi lanciò un occhiata che non seppi definire. «Ci vediamo
tra venti minuti giù.»
Kate uscì sorridente, chiudendosi la porta alle spalle.
Tramava qualcosa, ne ero più che certa.
«Cosa avrà in mente tua cugina?» Chiese Edward con tono
divertito ormai conscio dei loro subdoli tentativi di mettermi in imbarazzo. Ero
ancora tra le sue braccia; percepivo un vago senso di pienezza.
«Non è ho la più pallida idea.» Risposi tentando di capire
quale fosse la sorpresa.
Assunsi una finta espressione sofferente. «Dottor Cullen,
non mi sento affatto bene.» Edward sorrise sghembo alle mie parole. «Può
diagnosticarmi una malattia che mi costringa al riposo assoluto?» Conclusi
sporgendo il labbro inferiore in avanti.
Lui rise lisciandomi con le dita la base della schiena. Mi
baciò la fronte. Il suo odore mi perforò le narici con prepotenza stordendomi i
sensi. «Mi spiace signorina Swan, ma sono in vacanza.»
«Il ballo intensifica considerevolmente il legame di una
coppia. Si instaura complicità, fiducia, affiatamento e passione.»
Una donna, all’incirca sulla quarantina, era in piedi al
centro della sala da ballo ed esponeva i suoi pensieri, il suo lavoro, la sua
passione con eccezionale disinvoltura.
Ebbene sì, le care cugine mi avevano trascinata in una
scuola di ballo pur essendo già da tempo a conoscenza del mio precario
equilibrio. Che bisogno c’era di coinvolgere anche noi nell’ultima lezione
prematrimoniale?
Non ero mai stata portata per la danza: né da bambina quando
Renèe mi aveva letteralmente obbligata a seguire dei corsi per un intero
disastroso anno, né ai balli scolastici durante l’adolescenza, e nemmeno attualmente
alle feste o alle serate che trascorrevo nei discopub. Non ballavo, punto.
Stentavo a camminare senza apparire goffa, figuriamoci a danzare e muovere le
anche a tempo di musica.
In quel momento eravamo tutti in semicerchio ad ascoltare l’insegnante:
Edward, io, Mike, Tanya, Kate, Garrent e Irina che lanciava occhiate abbastanza
languide ad un ballerino in fondo alla sala.
Sì, purtroppo Mike era tornato. Sentivo, ogni tanto il suo
sguardo addosso, anche attraverso i grandi specchi che rivestivano tutte le
pareti, ma cercavo di ignorarlo ed evitare di incrociare, anche erroneamente, i
suoi occhi.
«Non importa quale sia il motivo della vostra presenza in
questa sala: per passatempo, dovere, invito, per puro e semplice piacere o,
come nel vostro caso» l’insegnante si lasciò sfuggire una risatina divertita, «per
un imminente matrimonio. Ma tutto questo è secondario. Ora siete qui e dovete
ballare. Ci sono svariati tipi di balli in cui potete cimentarvi: il merengue,
la rumba, il mambo, il cha cha cha, il tango, e così via. Non potete restare
fermi. Ricordatevi, ognuno di voi ha un ballo prediletto nell’anima che attendo
solo di venir fuori.»
Le sue parole erano vere e penetravano la pelle sino a
scuotere l’animo di tutti i presenti. Perfino la mia persona che detestava
fortemente il ballo. Ma ciò allentava solo in minima parte la mia riluttanza.
Il divanetto intagliato e foderato in velluto rosso nascosto in un angolo della
sala da ballo accanto all’attaccapanni, richiamava ineluttabilmente la mia
attenzione; avrei preferito mille volte assistere a quella lezione che esserne
partecipe.
L’insegnante si avvicinò allo stereo impugnando un arma
quasi letale: il telecomando. «Noto con piacere che oggi abbiamo altre persone
oltre ai futuri sposi.» Ci scrutò con un sorriso radioso e altamente
compiaciuto, ignara certamente della mia goffaggine – altrimenti, mi avrebbe rivolto solo uno sguardo contrito.
«Ora formate le coppie. Inizieremo con un ballo semplice e divertente: il
mambo.»
Prese di sorpresa la mano di Garrent e lo trascinò al centro
della pista. «Facciamo vedere cosa hai imparato, futuro sposo.»
Con un certa titubanza Garrent poggiò la mano sul fianco
della donna e iniziò ballare con piccoli passi e ampie piroette, il tutto senza
musica con lo scopo di mostrarci gli esatti movimenti del mambo. Dovetti
ammettere che non era affatto male, anzi era abbastanza aggraziato per essere
un uomo.
«Vedete? I movimenti sono semplici: un passo in avanti ed
uno indietro. È come se il piede del vostro compagno vi spingesse a muovervi.
Come due calamite aventi lo stesso polo. Sembra che si attraggono, invece si
respingono.»
Si girò nella nostra direzione con sguardo fiducioso. «Ora
provate voi e cercate di divertirvi.» Azionò lo stereo e una musica latina si
diffuse nella sala.
Sbuffai infastidita. Sì, divertirmi, forse con il sedere sul
pavimento.
Notai tutti prendere posizione perfino Mike e Tanya. Lui
aveva sempre cercato di convincermi a ballare – invano, naturalmente. Mia
cugina invece era portata per queste cose. Sinuosa e sensuale in ogni
movimento.
Edward, al mio fianco, si schiarì la voce. Non mi ero certa dimenticata
di lui, cosa credeva; cercavo solo di ritardare il più possibile quel momento.
Volsi il capo nella sua direzione con infinito imbarazzo scorgendo
il palmo della sua mano proteso e un sorriso ammiccante ad illuminare il suo
volto. «Mi concedi questo ballo?»
Istintivamente, avvolsi il mio busto con le braccia in segno
di protezione. «Non so ballare.»
Mi prese una mano lisciandone il dorso con il pollice.«Io
sì.»
«Buon per te.» Mormorai con una punta di sconforto. «Ma io
non ballo.» Mi girai con l’intento di allontanarmi e nascondermi nell’angolo
più remoto della sala, ma lui mi tirò a sé tanto che i nostri petti si
scontrarono. Il suo profumo muschiato giunse dolcemente alle mie narici.
«Non puoi lasciarmi qui solo.» Il suo fioco sussurro mi
accarezzò la fronte.
«Edward te lo ripeto: non so ballare.»
Posizionò una mano sul mio fianco. «Per questo siamo ad una
scuola di ballo. Non è una gara e non credere che io sia questo grande
ballerino.» Mi afferrò la mano libera stringendola con fermezza e delicatezza
al tempo stesso. «Possiamo comunque divertirci.»
Con un sospiro presi anch’io posizione sciogliendomi solo un
po’. «Spero che le scarpe che hai ai piedi non siano le migliori e neppure
troppo costose. Le schiaccerò tante di quelle volte che probabilmente non avrai
più sensibilità alle dita dei piedi.»
Mi sorriso sghembo causandomi una leggera tachicardia.
«Rischierò. Adoro il pericolo.»
Feci il primo passo in avanti e sfiorai il suo piede,
rischiando di poco a pestarlo completamente. Ridacchiò. «Non dovrebbe condurre
l’uomo?»
Aprii la bocca per replicare ma mi bloccai all’istante
quando percepii il peso di una mano estranea sulla mia spalla: l’insegnate. «La
samba è sentore di fantasia. A differenze di altri balli, la donna può essere
forte dominante quanto l’uomo.»
Fece il giro sfiorando la spalla in Edward; quel gesto un
po’ mi irritò ma ben presto lo interpretai come un cenno di incoraggiamento.
«Devi sorprenderla.»
Piegai il capo lateralmente confusa. «Quindi?»
Edward mi spinse in avanti e di sorpresa mi fece fare una
piroetta. «Quindi… conduco io.»
La lezione proseguì stranamente in piacevole armonia.
Difatti, il ballo – la samba, per ora - non era poi così male con Edward
escludendo le svariate piroette che mi causavano fin troppi giramenti di testa.
Eppure, non riuscivo a smettere di sorridere. In fondo, era divertente, più di
quanto avessi mai immaginato. Mi ero perfino dimenticata di trovarmi in una
sala da ballo in presenza delle mie cugine e del mio ex fidanzato.
I passi non erano difficili: uno avanti, uno indietro con
spostamento di bacino. Gli avevo pestato i piedi un paio di volte, ma
stranamente non si era lamentato e non aveva fatto neanche una battuta spinosa
in merito. Anche lui rideva e pareva spensierato.
Edward mi fece fare l’ennesima giravolta e mi ritrovai con
le schiena addossata al suo petto. Avevo ponderato intensamente, sin dal mio
risveglio, l’idea di scusarmi per il bacio di quella notte e la prospettiva di
farlo senza guardarlo negli occhi, come in quell’istante, parve l’ideale.
«Edward, io…
io volevo chiederti scusa per stanotte.» Esitai per un attimo inspirando
profondamente. «A dire il vero, non so cosa mi abbia preso.»
Mi fece fare un’altra giravolta e sfortunatamente mi ritrovai
faccia a faccia con lui, al che arrossii violentemente. Ero tremendamente
imbarazzata e il suo sguardo mi metteva in soggezione.
Mi strinse leggermente un fianco. Incatenò i suoi occhi ai
miei. «Perché ti scusi?»
Deglutii rumorosamente con fatica. «Perché… è stato un
momento di debolezza, ecco.»
Un piccolo sorriso gli increspò il viso. «Se fossi un bravo
ragazzo dovrei rassicurarti dicendoti che non è accaduto nulla e che non
dovresti preoccuparti…» Fece una piccola pausa tale da incutermi un leggero
terrore.
«Ma?» Lo incitai perplessa, con una certa titubanza.
Mi sorrise alzando un solo lato delle labbra piene e
morbide. Adoravo terribilmente quel sorriso. «Mi ritieni un bravo ragazzo?»
«Lo sei?»
Ridacchiò divertito. «Forse.»
Quella solita piccola ruga gli increspò la fronte. «Di una
cosa in particolare sono dispiaciuto.»
Una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco: ansia mista
a rancore. Maledissi mentalmente la mia impulsività in tutte le lingue di mia
conoscenza. Che stupida che ero stata!
Mi fece girare di nuovo così da ritrovarmi ancora una volta
contro il suo petto. Percepii il suo respiro morire sulla mia guancia. «Mi
spiace di essermi fermato; non puoi immaginare quanto sia stato difficile
farlo.»
Un brivido d’eccitazione allo stato pure mi fece vibrava
totalmente incentrandosi nel basso ventre. Improvvisamente le sue mani poggiate
sui miei fianchi sembrarono ardere sulla mia pelle nonostante vi fosse il
vestito a dividerne il contatto.
Non lo volevo. Non volevo quello strato di stoffa. Volevo
sentire le sue mani direttamente sulla mia pelle scoprendo ogni lembo del mio
corpo, anche la parte più nascosta.
Non riuscivo a credere a ciò che aveva appena detto. Forse
mi stava prendendo in giro: l’attrazione non poteva essere reciproca, o
perlomeno non a pari intensità. Era un pensiero assurdo. Totalmente assurdo.
Anche se… era un uomo e come tale aveva particolari esigenze ed io in quei giorni non avevo fatto altro che
provocarlo.
La prospettiva di andare oltre il bacio aveva affiorato la
mia mente fin troppe volte. Era un desiderio represso intriso in ogni molecola
del mio corpo che attendeva solo un segnale o un momento di cedimento per
esplodere.
Ma mi ero fermata. Effettivamente non sapevo se era un bene
o meno. Stranamente in quel momento riuscivo a pensare tutt’altro che
lucidamente.
«Stai scherzando?» Mormorai con un filo di voce.
Posò le sue mani sui miei fianchi e mi girò letteralmente
nella sua direzione. I suoi occhi erano luminosi e maledettamente intensi. «Tu
cosa vorresti?»
Alzai leggermente un sopracciglio. «Oggi sei molto enigmatico.»
Sogghignando, mi fece face l’ennesima piroetta. Di quel
passo non avrei retto ancora per molto. La sala vorticava velocemente.
«E’ colpa tua.» Mi accusò.
Lo guardai stralunata. «Mia? E perché?»
Di sorpresa sentii qualcuno battere le mani e girai di
scatto il capo verso la fonte avvistando l’insegnante ferma di fianco allo
stereo. «Siete stati bravissimi.» Esordì compiaciuta osservando tutti i
presenti. «Ora faremo un piccolo esperimento: proveremo a cambiare i partner.
Scegliete qualcun altro con cui ballare.»
Sospirai alzando gli occhi al cielo. Già era difficile
ballare e prendere confidenza con Edward, figuriamoci con una persona diversa
da lui. Non avrei ballato; poco ma sicuro. Avrei osservato gli altri ballare comodamente
seduta sul tanto agognato divanetto posto in fondo alla sala da ballo.
«Bella» Un moto di ira giunse come un uragano al sentir di quella
voce. Incrociai le braccia al petto scrutando con astio mia cugina.
Tanya posò una mano sulla spalla del mio ragazzo. «Dobbiamo
scambiarci.» Cinguettò stridula sbattendo le ciglia.
L’insegnante ci scrutò soddisfatta a distanza. «Vedo che abbiamo
già cambiato i partner. Quindi possiamo iniziare.»
Stranamente era tornata la mia totale avversione per il
ballo. Tanya prese per mano Edward distanziandosi di qualche passo. Poi se la
poggiò sul fianco sorridendo rallegrata. Le avrei mozzato tutti gli altri se
avessi potuto.
Avvistai una mano tesa nella mia direzione, totalmente
differente da quella afferrata in precedenza. Avevo notato che le mani dei
medici sembravano più grandi, le dita più lunghe quasi da rassomigliare quelle
dei pianisti e il tocco era estremamente fermo, deciso e incredibilmente delicato.
Quelle dei commercialisti, invece…
Afferrai la mano di Mike mal celando uno sbuffo irritato.
Che assurda situazione!
«Da quando tu balli?» Mi chiese portando la mia mano sulla
sua spalla.
Feci roteare gli occhi infastidita. «Dal momento in cui sono
stata obbligata.»
Iniziammo a muoverci lentamente. Questa volta l’insegnate
aveva inserito una musica lenta, meno movimentata di quella precedente; forse
un valzer, non che ciò mi destasse molto interesse.
«Hai trovato qualcuno, a quanto pare.» Esordì con un sorriso
piuttosto tirato.
«Come te, d’altronde.» Replicai secca e diretta.
Lanciò una fugace occhiata a Tanya. «Stiamo insieme da un
paio di settimane.»
«Dove vi siete conosciuti?» Domandai curiosa. Il loro
incontro sembrava tutto fuorché fortuito.
Mike fece un mezzo sorriso. «A New York. Ci siamo incontrati
per caso. Ero appena uscito dal mio studio e lei era sul marciapiede a parlare
con un’amica.»
Ecco che sorgevano i primi dubbi. Alzai un sopracciglio
scettica. «Non eri a conoscenza della nostra parentela?»
«No.» Rispose sincero, o almeno così parve dall’azzurro dei
suoi occhi. «Ma sono felice di averti rivista. E’ passato molto tempo
dall’ultimo volta.»
Sospirai. «Abbastanza.»
Continuammo a muoverci lentamente, dondolando da un lato
all’atro. Avevo preferito non porgli altre domande per non sembrare troppo
interessata all’argomento.
Vagai con lo sguardo per la sala intravedendo Edward e Tanya
ballare e sorridere: potevano sembrare quasi Ginger Rogers and Fred Astaire. Una coppia
perfetta.
Percepii
una fitta al petto e una morsa allo stomaco. Perché la gelosia doveva essere
così maledettamente dolorosa? Eppure io non dovevo esserlo. Non ne avevo il
diritto.
«E’
quello giusto?»
La
domanda improvvisa quanto schietta di Mike mi fece rinsavire. Lo guardai per un
istante stordita e confusa. Non sapevo cosa rispondere; non volevo essere sincera
ma neanche mentirgli. Optai per il mio solito.
«E’
quella giusta?» Ribattei con un sorriso.
«Vedo
che il vizio è rimasto. Replichi con una domanda quando non vuoi mentire perché
sai di essere una pessima bugiarda.»
Ero
sorpresa: Mike in quei quasi tre anni passati assieme aveva capito qualcosa
della sottoscritta. Da non credere.
Gli
diedi un buffetto sulla spalla sogghignando leggermente. «Non sono una pessima
bugiarda. E poi, anche tu non hai risposto alla mia domanda.»
Tirò un
grosso sospiro. «No, non credo che sia quella giusta.» Un piccolo sorriso mesto
affiorò il suo viso. «Tu lo eri.»
Chiusi
gli occhi per un attimo. Era passato troppo tempo; non potevamo tornare
sull’argomento così di punto in bianco. Era tutto finito.
«Mike,
io non…»
Ma lui
non mi lasciò finire e sorrise affabilmente. «Bella, non ti preoccupare. Non ho
detto nulla.»
Abbandonai
le braccia lungo i fianchi. No, non era affatto un discorso da rispolverare
sebbene sapevo che con quel “nulla” lui avesse voluto far intendere molte cose.
Lo conoscevo fin troppo bene: sapeva rigirare per bene le cose a suo vantaggio;
non lo faceva con cattiveria, bensì con astuzia. In questo modo aveva sempre
ottenuto ciò che voleva; probabilmente ero stata io quella troppo
accondiscendente nei suoi confronti ma alla fine, in un modo o nell’altro, mi
ero fatta rivalere.
Improvvisamente,
un braccio mi avvolse il busto. Una piccola trazione e mi ritrovai a sentire il
petto di Edward a contatto con la mia schiena. Avrei riconosciuto il suo
profumo ovunque. «Sei stata troppo tempo lontana da me.» Soffiò al mio
orecchio.
Alzai
leggermente il capo di lato ritrovandomi così a qualche centimetro dal suo
viso. «Non ti sei divertito?»
Sorrise
stringendomi maggiormente la vita. Mi era mancata la sua stretta protettiva, la
sua pelle calda e profumata, i suoi occhi tremendamente intensi. Com’era
possibile?
«Non
molto.» Mi portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio la mano libera. «Tu,
invece?»
Con un
movimento lento e paradossalmente sensuale mi voltai e gli cinsi il collo con
le mie braccia. «Decisamente, preferisco il ballerino precedente.»
La sua
mano scese lentamente lungo la mia spina dorsale stanziandosi alla base della
mia schiena. «Ti ho vista sorridere.»
Ridacchiai
divertita. «Abbiamo parlato un po’. Per caso sei geloso?»
Accostò
le labbra al mio orecchio. Andai quasi in iperventilazione. «Forse.»
La
frequenza dei battiti del mio cuore accelerò. «Mi stai prendendo in giro,
vero?»
Mi fece
fare una piroetta – no, quelle non mi erano proprio mancate – spingendomi poi
verso il parquet: un casché improvvisato e spaventoso. «Forse.»
Non
ebbi il tempo di lamentarmi perché mi tirò su così velocemente da ritrovarmi
pressata quasi totalmente al suo corpo. «La smetti di dire forse?»
Alzò
una mano sfiorandomi la guancia rossa a causa del movimento brusco. «Te l’ho
detto: sei tu che mi rendi enigmatico.»
Respirai
con più affanno: eravamo troppo vicini e l’impulso di gettarmi sulle sue labbra
spingeva quasi con violenza. «Ah. E… perché?»
Col la
punto del naso disegnò il profilo della mia guancia. «Questo non te lo dico.»
- - -
Mi trascinai
per le rampe al piano superiore con passo lento e pesante. La lezione di ballo
era finalmente terminata e i muscoli erano intorpiditi e assurdamente doloranti.
Non avevo mai fatto così tanto movimento e le scarpe col tacco avevano
nettamente influito in modo tutt’altro che positivo.
Tuttavia,
di una cosa ero ormai certa: per il mio matrimonio, quando e se fosse avvenuto,
non avrei seguito alcun corso di ballo prematrimoniale.
Giunta
a destinazione, aprii la porta della stanza agognando il letto quasi con
disperazione. La prospettiva di dormire per tutto il resto della giornata era
altamente allettante. «Sono sfinita.»
Alle
mie spalle Edward sogghignò. «Si vede.»
Una
volta dentro, percepii improvvisamente lo scatto della serratura giungere dal
bagno, il che risultava alquanto strano dato che era rotta già dal nostro
arrivo.
La
porta lentamente si aprii quasi con un cigolio da suspense come spesso accadeva
nei film horror. «Hai sempre odiato ballare.» Mormorò una voce gutturale e roca
dal bagno. Sapevo a chi apparteneva. Poco dopo, sbucò dall’apertura la testa di
uomo biondo e brizzolato.
«Zio!»
Accorsi speditamente e mi tuffai tra le sue braccia che mi accolsero con calore
e amore familiare. Quanto mi ero mancato.
Mi
strinse più forte carezzandomi la schiena. «Ciao, bambina mia.»
Eleazar
e Carmen erano per me dei secondi genitori sempre premurosi e gentili nei miei
confronti, sin dai tempi dei gattoni. Avevo trascorso molte vacanze estive in loro
compagnia. Erano parte vitale della mia famiglia.
Continuò
a vezzeggiarmi come suo solito. «Non sei venuta più a trovarmi. Sei arrabbiata
con me?»
Alzai
il capo e scorsi nel suo viso un barlume di tristezza. I sensi di colpa
giunsero come un’impetuosa folata di vento. «Certo che no. Sono stata impegnata
a causa lavoro. Mi sei mancato.»
Un
dolcissimo sorriso sbocciò sul suo viso leggermente ispido dalla barba e
increspato da alcune rughe formate dal tempo. «Anche tu. Sei diventata una
bellissima donna, lo sai? Ho sempre detto a tuo padre che avresti avuto
tantissimi corteggiatori ai tuoi piedi.»
A
malincuore slegai l’abbraccio per dargli un buffetto sulla spalla. Sentii il
sangue scorrere sulle mie guance e colorarle di roseo imbarazzo. Quando Charlie
e Eleazar erano insieme divenivo insopportabilmente protettivi e gelosi.
Zio
squadrò Edward con meticolosa attenzione. «E deduco che lui è riuscito a
conquistarti.»
Il mio
fidanzato gli si avvicinò con un sorriso in viso porgendogli educatamente la
mano. «Piacere di conoscerla, Signore. Edward Cullen.»
L’afferrò
con vigore. «La stretta è forte. Ci conosceremo meglio dopo alla cena.»
Ridacchiai
e quando metabolizzai le sue parole sbiancai di colpo. «Quale cena?»
«La
cena di prova di stasera.» Molto probabilmente zio Eleazar percepì la
confusione sul mio viso. «Non ti hanno detto nulla?»
Scossi
il capo con un sospiro lungo e pesante. «No.»
Sapevo
perfettamente che quella cena equivaleva ad una gara di tiro con l’arco e,
naturalmente, il bersaglio in questione ero io; le attive arcieri, le mie care cugine.
«Dovevo
immaginarlo.» Mi diede un bacio sulla fronte. Alzò una mano mostrandomi una
chiave. «La serratura ora è funzionante.»
Fece
per uscire ma si fermò sull’uscio della porta con la mano sul pomello in ottone.
«Ragazzo, Bella è come una figlia. Falla soffrire e te la vedrai con me.»
Edward
deglutì rumorosamente. «Sì, signore.»
«A più
tardi.» Zio Eleazar sorrise di mero trionfo e uscì dalla stanza lasciandoci
soli.
Sentii
uno sospiro rumoroso alle mie spalle. Ruotai il capo scorgendo il mio finto
fidanzato più cereo del normale con una mano ferma sul petto.
Rilasciai
una risatina. «Incute terrore, vero?»
Edward
fece un mezzo sorriso tirato. «Un po’.»
Mi
sfilai le scarpe dai piedi. «E siamo fortunati che Charlie non verrà al
matrimonio. Insieme sono insopportabili.»
Un
sorriso dolce e tremendamente bello gli illuminò il viso. «Lo fanno perché ti
vogliono bene.»
«Già.»
Mormorai. Alzai una mano mostrando, stretta tra due dita, la chiave della
serratura. «Ora non potrai più entrare mentre faccio il bagno.»
«Peccato.»
Sorrise sghembo, alzando solo un lato delle labbra.
Mi
portai una mano tra i capelli scompigliandoli. «Ho un bisogno spasmodico di una
doccia calda.»
Edward
incrociò le braccia al petto e s’accostò con la schiena alla cassettiera in legno scuro. «Vuoi
compagnia?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
11
SALVE A TUTTI/E.
ECCOMI… SONO TORNATA.
VI E’ MAI CAPITATO DI NON SAPERE COSA SCRIVERE? ECCO… ADESSO
NON SO COSA SCRIVERE EPPURE QUESTA E’ SOLO UNA PICCOLA INTRODUZIONE.
ANDIAMO PER ORDINE… ANZI OGGI, UTLIZZO I NUMERINI (IL CAFFE’
DEL POMERIGGIO MI FA MALE!!):
1. HO VISTO CHE L’INTERRUZIONE DEL CAPITOLO HA SUSCITATO UN
CERTO SCALPORE (AHAHAHAHAH). TUTTI AVETE VOTATO PER LA DOCCIA INSIEME? E SAM…
COSA HA FATTO???? BELLA DIRA’ Sì? NO?? FORSE?
MUAHHHH… LO SCOPRIRETE SOLO LEGGENDO.
2. IN QUESTO CAPITOLA SI SNOCCIOLERANNO TANTISSIME COSE…
SOPRATTUTTO ANEDDOTI VECCHI…
3. NON POSSO FARE ALTRO CHE RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE
HANNO COMMENTATO IL MIO BLOG E MI SOSTENGONO CON LA MINICHAT… SIETE INCREDIBILI
RAGAZZE. PER ME E’ UN ONORE CONOSCERVI!!!
4. GRAZIE A TUTTI COLORO CHE HANNO INSERITO LA STORIA TRA LE
PREFERITE E SEGUITE E ME TRA GLI AUTORI PREFERITI. AUMENTANO SEMPRE PIU’ ED IO
MI SENTO EMOZIONATA, IMBARAZZATA E FELICISSIMA COME UNA PASQUA (CI AVVICINIAMO
A QUESTO PERIODO E MANCA SOLO CHE DIVENTO UN UOVO DI CIOCCOLATO).
5. RULLO DI TAMBURI…. QUANTI COMMENTI!!! MIO DIO, SONO
TANTISSIMI!!! SIATE SINCERI: VI PIACE CHE PER CIASCUNO DI VOI, IO PERDA UN
BATTITO DI CUORE??? MA VE LO MERITATE… E NON CREDO CHE I MIEI GRAZIE SIANO
ABBASTANZA PER MOSTRARVI LA MIA GRATITUDINE. ALIMENTATE SEMPRE. DI VOLTA IN
VOLTA, LA MIA VOGLIA DI CONTINUARE ED IMMERGERMI SEMPRE Più IN QUESTA STORIA.
IO NON MERITO COSì TANTO. LI RILEGGO SEMPRE E COTINUAMENTE.
MI FATE RIDERE, ARROSSIRE… E VI DICO SOLO CHE, SECONDO IL
ROSSO DI CASA (MIO FRATELLO), SONO LETTERALMENTE USCITA FUORI DI SENNO. E LUI…
HAIME’, HA QUASI SEMPRE RAGIONE.
GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE!
GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE! GRAZIE!
6. PERMETTETEMI DI DEDICARE QUESTO CAPITOLO ALL’UNICO
RAGAZZO CHE HA LASCIATO UN COMMENTO E SEGUE LA MIA STORIA:
IULIUSCAESAR… Fabio, non sai quanto mi hai emozionato.
Grazie davvero. Questo capitolo è tutto tuo.
7. VI RICORDO CHE MANCA UN SOLO GIORNO AL MATRIMONIO E TUTTO
STA INESORABILMENTE SALENDO A GALLAENTRO LA FINE DI QUESTA GIORNATA CI SARA’ IL
TEASER NEL BLOG.
GRAZIE ANCORA A TUTTI DI VERO CUORE.
BUONA LETTURA
CAPITOLO
11
Inerme
nella sua posizione con le braccia conserte al petto, addossato al mobile accanto
alla portafinestra, mi fissava con quel suo solito sorriso maledettamente
strafottente e sexy. Perché in fondo, quel sorriso era sexy, fin troppo per i miei ormoni stranamente sovreccitati. La
prospettiva della doccia insieme era…
tremendamente invitante tanto da farmi avvampare e annaspare in cerca
d’aria solo al pensiero. Il desiderio di lasciarmi andare era prepotente ma non
così forte da riuscir a subissare quel poco di raziocino ancora persistente.
Ridacchiò
divertito riducendo di poco lo spazio a dividerci. «Hai perso la voce?»
Un
mezzo sorriso spuntò sul mio viso. «No, preferisco lasciarti nel beneficio del
dubbio.»
Si
fermò a pochi centimetri dal mio corpo, tanto da percepire il suo calore a
quell’effimera distanza. «Gentile da parte tua.»
Scrutai
il suo viso con attenzione: la parte inferiore era ricoperta da un’incolta
barbetta ramata più lunga del solito. Spinta dalla curiosità, gli sfiorai il profilo
della guancia con le dita, nel stesso modo in cui avevo fatto al mio risveglio
con la sola differenza che, ora, era perfettamente sveglio e cosciente. Percorsi
con i polpastrelli in tutta la sua lunghezza la mandibola squadrata e ispida al
contatto, sino alla punta del mento spigolo. Aveva un’aria leggermente
trasandata che stranamente lo rendeva ancora più affascinante.
Sorrise
alzando l’estremo del labbro verso la mia mano. «E’ lunga, vero?»
Sogghignai
leggera di rimando. «Un po’.»
Ma …
mi piace.
Si
passò una mano tra i capelli scompigliandoli ulteriormente. «Non puoi
immaginare quanto sia noioso radersi.»
Una
idee folle quanto allettante prese forma nella mia mente. «Quanto manca alla
cena di famiglia?»
Edward
lanciò un’occhiata alla radiosveglia sul comò alle mie spalle. «All’incirca un
paio d’ore.»
«Perfetto.
Vieni con me.» Gli afferrai la mano con un sorriso furbo e lungo da orecchio a
orecchio e lo trascinai di peso in bagno.
-
- -
«Bella,
io-»
«Sshh!»
«Ma-»
«Sshh!
Sshh »
Alzò
le mani in segno di resa. «Va bene, ho capito. Mi arrendo.»
Finalmente!
Sorrisi con entusiasmo. Avevo la strana sensazione di smania e felicità al
tempo stesso come quando, da bambina, tocchi per la prima volta l’impasto per i
biscotti. È una circostanza nuova che alimenta notevolmente la curiosità
senile. Solo che in quel momento tra le mani, a differenza dell’impasto al
profumo di cannella, avevo la schiuma da barba bianca e spumosa come la neve.
Era soffice e profumava al mentolo; una fragranza talmente frizzante da stuzzicarmi
il naso e generare un certo languore allo stomaco. Quella fragranza che molto
spesso mi destabilizzava i sensi e la ragione, e alimentava l’olfatto e
l’eccitazione. La gradevole fragranza che rispecchia la virilità dell’uomo. Una
potente calamita per le donne, almeno per la maggior parte di loro.
Con
due dita raccolsi un po’ di schiuma dalla mano e continuai a spargergliela
sulla guancia destra ancora del tutto pulita. L’altra era totalmente immacolata
e imbiancata. Edward era comodamente seduto sul bordo della vasca con le
braccia poggiate ai lati per non cadere.
«Dall’espressione
del tuo viso sembri una bambina.» Mormorò puntandomi addosso quello sguardo
verde intenso.
Sorrisi
ancora prendendo un’altra piccola porzione. «Lo so.» Ne ero felicemente
consapevole.
Mi
fermò il braccio con una mano. In viso sempre un espressione sorridente.
«Adesso mi dici come ti è venuta quest’idea.»
Finii
di coprire tutta la parte inferiore del viso. «Quando Charlie si radeva
l’osservavo attentamente di nascosto dietro la porta del bagno. Mi piaceva il
profumo che aleggiava nell’ambiente, il rumore della barba a contatto con la
lama e soprattutto,» ridacchiai sciacquandomi le mani sotto il getto d’acqua fresca
del lavandino, «la schiuma. Amo la schiuma da sempre e non sai quante volte
avrei voluto toccarla.»
«Perché
Charlie non viene al matrimonio?»
Presi
il rasoio blu dal suo beauty. «Difficilmente papà si allontana da Forks. La
carica di sceriffo lo tiene molto occupato e poi… odia la confusione.»
Un
sorriso mesto affiorò il mio viso. «In alcuni versi, siamo molto simili.»
Edward
mi accarezzò delicatamente un braccio. «Ti manca?»
Annuii
leggermente sorpresa dalla sua perspicacia e alzai le spalle lasciando in quel
modo cadere il discorso. Avvicinai il rasoio al suo viso e lo poggiai
delicatamente sullo zigomo.
Edward
mi prese inaspettatamente la mano e la portò al lato opposto, in basso sulla
mandibola. «Devi andare nel verso contrario della barba altrimenti non tagli
nulla.»
«Okay.»
Con sguardo deciso e tocco delicato percorsi la guancia dal basso verso l’alto
ma il rumore fu decisamente differente da come lo ricordavo. Edward rise
apertamente stringendomi il polso delicatamente. «Bella devi metterci un po’
più di forza. Affonda maggiormente.»
Mi
imbronciai, preoccupata. «E se ti graffio?»
Scosse
il capo con un dolce sorriso. «Non mi graffi.» Questa volta, fu la sua mano ad
accompagnare la mia dall’alto verso il basso spingendo più in profondità.
Sentii il rumore della barba tagliarsi a contatto con la lama. Un rumore così familiare
da farmi tornare indietro nel tempo con la mente.
Il
rasoio lasciò una scia liscia e rosea senza la minima traccia di schiuma, né di
barba; la sforai con un polpastrello per saggiarne il risultato: morbida e
levigata al contatto. Un sorriso raggiante spuntò sul mio viso e battei le mani
felice del mio operato. «Ci sono riuscita.»
Edward
scosse il capo incredulo. «Non puoi essere entusiasta per questo.»
Gli
feci la linguaccia risciacquando la lama. «E invece sì.»
«Sei
incredibile.» Sogghignò incentrando lo sguardo nel mio.
La
seconda volta fu più facile e veloce data l’esperienza della prima. «No, sono
solo altruista. Tu ti scocciavi a raderti, ed io mi sono offerta di farlo al
posto tuo.»
Feci
entrambe le guancie, il mento e al di sopra delle labbra. Tuttavia, il compito
non era ancora del tutto concluso. Vi erano alcune piccole parti di pelle
ancora incolte da una leggere barba più resistente. Spruzzai altra schiuma
sulla mano.
Edward
rise notando probabilmente il sorriso con il quale avevo compiuto quel semplice
gesto. Amavo indiscutibilmente quella sostanza corposa.
«Non
è altruismo, tu ti stai divertendo.»
Storsi
il naso infastidita e al contempo divertita. Aveva ragione. Presi la schiuma
tra le dita e ricoprii prima le pelle ispida poi, cogliendolo di sorpresa, gli
imbrattai la fronte e la punta del naso. «Ehi!»
Una
linguaccia da parte mia. «Così impari a non apprezzare un gesto generoso.»
Si
alzò repentinamente in piedi e prese dalla mia mano la restante schiuma. «Sai, anch’io
mi sento generoso in questo momento.»
«No!»
Mi girai di scatto per fuggire al di fuori del bagno ma Edward fu più veloce e
mi cinse la vita con un braccio. Con l’altra mano, quella colma di schiuma, mi
imbrattò totalmente il viso tanto che dovetti serrare contemporaneamente occhi
e labbra per non essere accecata o avvelenata. Ero totalmente ricoperta e
sentivo il mentolo forte e diretto alla base del mio naso.
«Ecco;
credo che così possa bastare.» Esordì Edward girandomi di peso nella sua
direzione. Al che, afferrai repentinamente lo spray e gli cosparsi i capelli di
schiuma.
Mi
lasciò fare assumendo un’espressione pericolosamente scaltra. «Sai che in
questo modo hai apertamente dichiarato guerra?»
Fu
inevitabile esplodere in una fragorosa risata. Sembrava un pupazzo di neve
profumato al mentolo cosparso di schiuma bianca dalla punta dei capelli alla
base della gola. Prese la schiuma dal suo capo fissandomi con sguardo sadico.
Gli
puntai un dito contro. «Non ci provare. Mi hai sporcato il viso e siamo pari.»
Inaspettatamente
mi accarezzò i capelli con le mani imbiancate. «Ora siamo pari.»
Mi
toccai il capo con una smorfia di disgusto; i capelli erano appiccicosi. Mi
ripulii le mani sulle sue braccia e gli alzai il bordo della maglietta per
pulirmi il viso. Trattenni l’ennesima ondata di risa. Per lui, invece, non fu
altrettanto facile. «Non hai ancora finito?»
Feci
spallucce. «Mi devo pulire, cosa credi. Adesso profumo di mentolo.»
Edward
alzò un sopracciglio. «Non hai detto che ti piaceva?»
«Sì
certo, ma addosso a te, non a me.»
Mi
morsi all’istante la lingua. Avevo detto troppo. Mancava solo che gli
dichiarassi che in quel momento avevo immagini nella mia mente tutt’altro che
pudiche, e avrei completato la figuraccia in grande stile… sebbene avrei sempre
portato nel cuore quei piccoli momenti insieme, relegati e disegnati solo per
noi, lontani da tutti.
Edward
mi scrutò con quello sguardo così intenso da rendere le mie gambe molli.
«Adesso credo di avere anch’io bisogno di una doccia.»
Raggiunse
il box doccia e aprì rubinetto affinché uscisse l’acqua calda.
«Ehi,
ho la precedenza.» Sbottai con tono autoritario incrociando le braccia al
petto.
Edward
aprì le braccia lateralmente mostrandosi. «Mi vedi?»
Lo
vedevo, eccome se lo vedevo. La sua maglietta azzurra era così zuppa da
aderirgli totalmente al petto e divenire quasi trasparente… era tremendamente
attraente.
«Sono
più sporco di te. Hai perso la precedenza nel momento in cui mi hai sporcato
anche la maglietta.»
Sbuffai
infastidita… odiavo quando aveva ragione! Accidenti
all’orgoglio!
Poi
una strana consapevolezza mi piombò addosso. «Come mai non fai la tua solita
domanda? Perché non mi chiedi di farla insieme?»
Un
sorriso trionfante gli illuminò il viso. «Perché l’ho fatto troppe volte. Ora
tocca a te.»
Sussultai
leggermente meravigliata e incredula. «Tocca a me?»
«Sì,
il testimone è passato nelle tue mani.»
Percepii
le gote accalorarsi. «Cosa dovrei fare?»
«Da
ora in poi, dovrai essere tu a chiedermi se voglio fare la doccia con te o,
come in questo caso, se voglio la tua compagnia.»
Era
impazzito? Ma dove le trovava certe idee? Se ne usciva sempre con un nuovo
folle stratagemma alla Edward Cullen.
Incrociai
le braccia con un gesto secco di fermezza alzando la mia dignità a livelli
sopraelevati. «Impossibile. Non lo farò mai.»
«Va
bene, come preferisci.»
Inaspettatamente
prese il bordo della sua maglietta bagnata e con nonchalance se la sfilò dal
capo restando a petto nudo davanti ai miei occhi. Gettò l’indumento sul
pavimento. Sgranai gli occhi sorpresa e ammaliata. La determinazione vacillò
come le mie gambe inverosimilmente cedevoli in quell’istante e un brivido di
pura frenesia strisciò lungo le vertebre della mia schiena. Se quello era un modo
per provocarmi…
Accidenti!
Non poteva comportarsi in quel modo. Era un autentico richiamo alla perdizione
dei sensi. Era bello e questa sua cognizione portava a conferirgli un aspetto
strafottente che stranamente, molte volte, rasentava un sfumatura di dolcezza.
Com’era possibile che due atteggiamenti così contrastanti tra loro fossero
presenti in una sola persona? Il suo sorriso sghembo trasudava una
sfacciataggine incredibilmente affascinante, mentre gli occhi… sembravano dolci
nel taglio, nel colore e nell’intensità. Un miscuglio che mi rendeva totalmente
assuefatta dalla sua presenza. Ero maledettamente e totalmente dipendente da
lui.
Ma
lo conoscevo e questa mia consapevolezza mi portava ad erigere un muro di
difesa nei suoi confronti. Era solito prendermi in giro; si divertiva, ci
prendeva realmente gusto.
Chiusi
gli occhi inspirando profondamente. Il mio desiderio di abbandono era incalcolabile,
immenso e lui non poteva nemmeno immaginare quanto. Schiusi lentamente le
palpebre e solo in quell’istante mi resi conto di avere il labbro inferiore
costretto dai denti; un modo per frenare ogni mio impulso.
La
sua bocca era ancora incurvata; i suoi occhi incatenati ai miei. Portai una
mano sulla mia guancia scoprendola estremamente bollente. Maledetto imbarazzo!
Dovevo
allontanarmi da lui, all’istante altrimenti nessuno mi avrebbe trattenuto dal
saltargli addosso .
Infilai
la mano nella tasca dei jeans tirandone fuori la chiave in ottone della
serratura del bagno. Edward parlò ancor prima che io potessi fare alcun
movimento. «Non mi serve; la puoi tenere tu.»
«Allora
io…uhm … vado.» Mi accinsi ad uscire quando la sua voce roca e sensuale giunse
alle mie orecchie come un balsamo al profumo di mentolo – il bagno ne era
ancora pregno. «Bella?»
Girai
solo il capo nella sua direzione restando con il busto ancora verso l’uscita.
Sorrise
ancora una volta provocandomi palpitazioni frenetiche. «Nulla è impossibile.»
-
- -
Ravvivai
i capelli con le mani e pizzicai i boccoli con le dita. Detestavo le
acconciature sofisticate, le avevo sempre odiate, sin da bambina. Preferivo
tenerli sciolti e liberi sulle spalle come una sorta di scudo protettivo.
Stirai
con le mani l’abito sulle gambe e sul ventre: il fondo era in lucido raso nero
ricoperto da uno strato sottile in velo dello stesso colore. La spalla destra
era totalmente scoperta e priva di manica compensata dal lato opposto con una
avente un bordo eccessivamente ampio molto simile ad una calla rovesciata. L’abito
scendeva morbido sulle curve dei fianchi e terminava poco prima del ginocchio.
L’ennesimo regalo di Alice: elegante ma non in modo eccessivo.
Tuttavia,
ciò che mi terrorizzava maggiormente erano le scarpe: nere, rifinite in argento
con un tacco esageratamente alto. Fortunatamente era solo una cena e ciò
avrebbe comportato solo di stare seduta garbatamente ad un tavolo; il rischio
di cadere era minimo.
Avevo
un certo timore a mostrarmi in quel modo ad Edward sebbene il mio fosse,
tuttavia, un abbigliamento semplice e poco provocante. Non avevo il portamento
sensuale di Tanya, né la sua bellezza quasi eterea. Incarnavo la semplicità, o
meglio dire… l’autentica banalità.
Quando
Edward era uscito dal bagno, avvolto da un accappatoio bianco, io vi ero
sgusciata all’interno come una ladra sfuggendo al suo sguardo.
Maledetto
imbarazzo da adolescente!
Tirai
un grosso respiro ed aprii la porta del bagno. Neanche io avevo utilizzato la
chiave. Stranamente non avevo trovato un concreto motivo per farlo.
«Wow!»
L’esclamazione
di Edward mi fece sobbalzare e girare di scatto il capo nella sua direzione.
Era in piedi accanto al letto intento ad abbottonarsi un polsino della camicia.
Mi stava studiando con attenzione vagando con lo sguardo su tutto il mio corpo.
Avevo forse esagerato?
Incerta,
mi portai una ciocca dietro l’orecchio. «E’ troppo?»
Edward
sbatté velocemente le palpebre un paio di volte. «No… sei perfetta.»
Abbassai
lo sguardo mordendomi le labbra con un accenno di sorriso. «Grazie.»
Mi
si avvicinò e tese una mano quasi a sfiorarmi un braccio. «Sei pronta?»
Un
sospiro lungo e profondo. «Sono pronta. Andiamo.»
-
- -
Ci
accomodammo su uno dei tanti tavolini posti fuori in giardino per il matrimonio,
sulla piattaforma in legno chiaro. L’ambiente era illuminato da piccoli fari
smorzati e sparsi sul terreno; la luce protraeva verso l'alto quasi da sembrare
una leggera foschia. La serata era iniziata incredibilmente nei migliori dei
modi: Edward, al mio fianco, scambiava qualche parola con Garrent; io, invece,
mi intrattenevo con zia Carmen enunciandole la buona riuscita della sua ricetta
messicana provata la sera prima. La carezza e lo sguardo carico d’orgoglio che
mi rivolse fu più di quanto io stessa potessi desiderare da un genitore.
Le
mie cugine invece cincischiavano sulle bomboniere e quant’altro fosse
pertinente al matrimonio. Forse mi ero fasciata la testa ancor prima di essermela
rotta; forse non avevano alcuna intenzione di rendermi ridicola davanti a
tutti, come loro solito. Ma nella vita avevo imparato che non bisogna mai
cantar vittoria troppo presto.
Avevano
incaricato, per quella sera, lo stesso servizio di catering per il giorno del
matrimonio. Inizialmente portarono ben due antipasti che trangugiai quasi con
voracità. La lezione di danza mi aveva portato via fin troppe energie.
Kate
aveva optato per un menu totalmente italiano e, proprio per questo motivo, i
primi piatti erano tre e rispecchiavano i colori della bandiera dell’Italia –
dove per l’appunto, i neosposi, avrebbero trascorso il viaggio di nozze.
Pertanto,
la portata seguente fu rossa: un ricco piatto di spaghetti ai pomodori di San
Marzano.
«Papà,
lo sai che Edward è invincibile con gli scacchi?» Esordì Tanya alternando lo
sguardo dal mio fidanzato – l’aggettivo finto non mi andava poi molto di
utilizzarlo – a zio Eleazar. Quest’ultimo mi rivolse uno sorriso furbo. «Sul
serio?»
Accennai
una risatina. «Non è invincibile.»
Zio
sospirò scuotendo il capo. «Una soddisfazione: l’allievo che supera quasi il
maestro.»
Edward
mi scrutò con un cipiglio curioso. Sciolsi i suoi dubbi prima che potesse pormi
qualsivoglia domanda in merito. «Credo che tu abbia capito che è stato lui il
mio mentore: mi ha insegnato a giocare a scacchi.»
Edward
deglutì alzando le sopracciglia. «Quindi è colpa sua se tu riesci a battermi?»
Sorrisi.
«Assolutamente sì.»
«Hai
mai vinto contro di lui?»
Zio
anticipò la mia risposta. «Ci è andata vicino.»
Gli
puntai un dito contro briosamente. «Un giorno ti batterò, stanne certo.»
Eleazar
rise diverto. «Dici sempre così, Bella. Questa volta però voglio proprio vedere
di che pasta è fatto il tuo fidanzato. Ci stai, Edward?»
Edward
ricambiò lo sguardo di sfida. «Assolutamente. Non mi tiro mai indietro, signore.»
Tanya
rise civettuola. «Hai trovato uno nuovo sfidante, papà?»
Zio
bevve un sorso di vino rosso. Quella volta risposi io al suo posto. «Io direi
un nuovo perdente.»
Edward
mi pizzicò un fianco. «Ehi, tu dovresti tifare per me.»
Gli
feci una linguaccia. «Se con me perdi che sono l’allieva, quale pensi che sia
la tua riuscita contro il maestro?»
Ci
pensò su qualche secondo e la consapevolezza gli fece trasfigurare il viso in
una smorfia.
«Non
posso più ritirarmi, vero?» Sussurrò in prossimità del mio orecchio sfiorandomi
quasi il lobo.
Girai
il viso verso il suo. «No, credo proprio di no.» Gli toccai il mento liscio con
un polpastrello. «Però, in compenso, posso consolarti.»
Con
la punta del naso mi sfiorò una guancia inspirando profondamente. «Sai che
profumi ancora di mentolo?»
Sorrisi.
«Anche tu.»
La
seconda portata – bianca: gratin di gnocchi al formaggio - mi fece allontanare
dal suo viso e solo allora mi accorsi degli occhi puntati su noi: chi
sorridente e chi infastidito. Inconsapevolmente, più cercavo un modo per non
attirare la loro attenzione e più lo facevo. Ma succedeva così ogni volta che
ero con Edward: mi estraniavo da tutto ciò che mi circondava e non vedevo altro
che lui.
«Nella
settimana prossima farò un book fotografico a New York oltre ad una sfilata di
moda.» Disse Tanya carezzando la mano di Mike sul tavolo.
Zia
Carmen le sorrise amorevolmente. «E’ fantastico, tesoro.»
«Che
lavoro fai, Mike?» Domandò curioso l’ispettore-zio- papà- protettivo.
L’interessato
gonfiò il petto. «Sono un commercialista. Ho uno studio tutto mio a New York.»
Zio
annuì per poi puntare lo sguardo sul mo fidanzato. «Tu, Edward?»
Edward
si pulì con un tovagliolo e rispose con nonchalance. «Sono un cardiochirurgo
del Seattle Grace Hospital.»
Poteva
certamente anche lui gonfiarsi di orgoglio, ma con mio sommo stupore non lo
fece.
«Ma
non eri tu quella che sveniva alla vista del sangue?» Mi chiese Irina
sogghignando in modo altamente irritante. Ah, naturalmente questi suoi ricordi
erano dovuti ai vari dispetti inflittomi da bambina.
Alzai
le spalle. «Non lavoro mica con lui.»
Edward
al mio fianco rise sommessamente. Zio si allontanò dal tavolo con Garrent per
fumare una sigaretta. Non era mai riuscito a smettere nonostante le nostre
continue pressioni.
«Ah
no? E dove lavori?»
Le
mie cugine non si erano mai realmente interessate di cosa io facessi nella
vita; tutta questa nuova curiosità mi
metteva in soggezione. Mi torturai le mani ferme sul mio grembo. «Lavoro per un
giornale.»
Tanya
rise in modo così pernicioso da farmi credere che realmente fosse la figlia del
diavolo in persona. «Cosa fai? Temperi le matite? Distribuisci caffè o sei
l’addetta alle fotocopie?»
Inaspettatamente
Edward mi prese una mano, la strinse e poggiò il nostro intreccio in bellavista
sul tavolo. «A dire il vero, è la migliore giornalista di tutta Seattle. Anzi,
dell’intero Stato di Washington.»
Sorrisi
grata a quel suo intervento così bello e inaspettato da farmi arrossire
delicatamente.
«Washington?»
Proruppe Mike con tono sorpreso. «Hai rifiutato il New York Times?»
Tutti
gli occhi del tavolo si incentrarono sulla mia figura. Ecco, quello era uno
degli argomenti che preferivo non dissotterrare. Mike era l’unico a sapere
determinate cose e avrei indiscutibilmente preferito tenere un certo riserbo
sulla mia vita privata scorsa e attuale.
«Sì.»
Un monosillabo debole e poco determinato.
Mike
imperterrito continuò. «Perché? Eppure era quello che avevi sempre desiderato.»
«Si
vede che non era all’altezza.» Insinuò Tanya versandosi altro vino nel
bicchiere.
Sentivo
lo sguardo di Edward addosso probabilmente curioso quanto gli altri di sapere
il motivo del mio rifiuto.
Tirai
un grosso respiro e presi tra le dita lo stelo del bicchiere in cristallo. «Il
motivo è un altro» Guardai di sottecchi il mio fidanzato: aveva le sopracciglia
aggrottate e la solita ruga era comparsa sulla sua fronte.
«Non
volevo allontanarmi da Edward.»
Percepii
la stretta della sua mano nella mia intensificarsi. Neanche lui era al corrente
del vero motivo; nessuno lo era, neppure Alice. Io ero l’unica persona a
saperlo.
E
prima ancora che potessero pormi altre domande imbarazzanti, alle quali non
volevo certo rispondere, mi alzai dalla sedia. «Scusate. Torno subito.»
Mi
precipitai nel bagno del piano inferiore. Girai la chiave nella toppa della
serratura che con due scatti si chiuse e appoggiai la fronte sul vetro freddo
della porta.
Stupida
Bella! Stupida!
La
situazione stava decisamente precipitando e le mie difese si stavano
sgretolando come un muro rivestito da un intonaco formato da sabbia e grassello
che ad ogni piccola percussione si sbriciola. Tutto, ineluttabilmente, mi stava
scivolando dalle mani senza che io potessi realmente impedirlo. Lentamente,
stavano emergendo tutte le scelte che avevo rilegato in un cassetto nell’angolo
più recondito della mia memoria. Come una clessidra - un po’ particolare nella
sua specie caratterizzata da una metà in vetro trasparente, l’altra totalmente
nera dalla quale non si può vedere assolutamente nulla - dal cui foro scende a
rilento la sabbia, i miei pensieri scendevano nella metà trasparente rendendosi
inevitabilmente visibili a tutti. Dovevo solo tener duro fintantoché non fossi
tornata alla mia solita vita e avrei girato nuovamente la clessidra
ricominciando tutto daccapo. Forse non era realmente quello che volevo ma mi
sarei accontentata, come sempre d’altronde.
Ero
scappata perché non volevo approfondire certi argomenti ma non potevo certo
restare per un tempo indefinito nel bagno per eludere le loro domande
impertinenti. Avrei destato loro solo sospetti – purtroppo – fondati. Avrei
indossato la solita maschera sorridente celando – forse in malo modo – l’ansia
e l’agitazione che spesso mi attanagliavano lo stomaco.
Non
era affatto il momento di avere una crisi emotiva.
Mi
sciacquai i polsi sotto il getto d’acqua fredda del lavandino in marmo. Tirai
un grosso respiro ed uscii dal bagno.
Una
volta giunta al tavolo, presi nuovamente posto accanto a Edward che mi scrutò
con occhi clinico e stranamente preoccupato. Mi prese una mano sfiorandone il
dorso con il pollice. «Tutto bene?»
Feci
un cenno d’assenso mostrando un mezzo sorriso. Tutto era tornato ad una
normalità apparente e sembrava che nessuno si fosse accorto della mia breve
assenza. Giunse anche la terza portata italiana: verde, orecchiette condite con
pesto alla genovese.
Tutti
iniziarono a mangiare, meno la sottoscritta. Si era creata una morsa allo
stomaco che mi aveva spento del tutto l’appetito.
«Bella,
tesoro non mangi?» Il tono di zia Carmen fu velato da una preoccupazione così
materna da stringermi il cuore.
Le
rivolsi un sorriso di riconoscenza. «Non sono abituata a mangiare così tanto.»
Non
mangiai molto, ma in quella piccola porzione ingerita – più per cortesia che
reale appetito - notai uno strano retrogusto di frutta secca.
Edward
al mio fianco tossì raschiandosi la gola. Portò una mano dietro l’orecchio
sfregandosi la pelle laddove notai un leggero rossore.
Fu
inevitabile preoccuparmi. «Ti senti bene?»
Fece
un leggero accenno di assenso con capo e tossì ancora. No, non stava affatto
bene.
Sulla
lingua percepivo ancora il sapore del pesto italiano e non mi sembrava che vi
fosse un ingrediente particolare…
…
retrogusto di frutta secca …
«Accidenti!»
Iniziai
a respirare con affanno. Un moto d’ansia mi investì come un fiume in piena e mi
rivolsi a zia Carmen con tono concitato. «C’era della frutta secca nel pesto
italiano?»
Lei
parve pensarci più del dovuto rivolgendo lo sguardo per un attimo al piatto
imbrattato di verde. Poi alzò gli occhi mostrandomi un espressione altamente
confusa. «Sì, ci sono le noci.»
Accidenti!
Mi diressi velocemente al piano superiore mettendo a soqquadro la camera da letto in cerca
della borsa contente i vari documenti di riconoscimento e quant’altro potesse
essere utile per raggiungere l’ospedale nell’immediato.
Ma
la fretta rende ciechi ed io stavo letteralmente uscire fuori di senno.
Ma
dove diavolo l’avevo messa?
«Maledizione!»
L’ansia
aveva preso ormai il soppravvento e la respirazione era divenuta concitata e
secca, a spezzoni. Vagavo nella stanza da un estremo all’altro gettando alla
rinfusa sul pavimento tutto ciò che mi capitasse sotto mano, dai guanciali agli
indumenti.
«Bella.»
Girai
di scatto il capo scorgendo la figura di Edward ferma sull’uscio. Le orecchie
sembravano infuocate: il rossore scendeva dai lobi sino alla base del collo. Le
labbra erano tumide e vermiglie.
No,
non andava affatto bene ed io stavo letteralmente morendo di paura.
«Dobbiamo
andare subito in ospedale.» Ripresi con maggior fervore la mia ricerca. «Forse
è meglio chiamare un ambulanza.» Un pensiero tanto fulmineo quanto doloroso mi
gelare il sangue. Gli puntai gli occhi addosso in preda al panico. «E se ti
causa uno shock anafilattico?» Mi portai le mani alla testa. «E’ tutta colpa
mia.»
Percepii
il peso di due mani sulle mie spalle. «Bella»
Sentivo
gli occhi pungere ai lati. Le lacrime erano salite con una velocità incredibile
e aspettavano un nonnulla per traboccare. «E’
colpa mia. Sono io che ti ho trascinato qui in Alaska.» Scossi il capo
furiosamente.
Dalle
mie labbra fuoriuscivano balbettii disconnessi e privi di significato. I sensi
di colpa, la paura, mi stringevano dolorosamente lo stomaco provocandomi, quasi,
veri e propri conati di vomito: una crisi di panico in piena regola. Ero
realmente preoccupata.
Maledizione,
perché ero stata così distratta e non avevo controllato prima?
«Io…
tu… se ti succede qualcosa io…»
Edward
mi scosse le spalle con forza affinché incentrassi lo sguardo su di lui.
«Bella, calmati!»
«M-ma…»
I
suoi occhi bruciavano d’intensità. «Calmati. Ora prendi dei profondi respiri.»
La sua voce non era altro che un flebile sussurro roco e privo di tono.
Probabilmente, gli costava un certo sforzo parlare.
Come
poteva pretendere che in una situazione del genere mi calmassi? Avevo perfino
dimentico come si respirasse!
«Non
mi succederà nulla. Ne ho mangiato pochissimo. Con una semplice iniezione di
cortisone in meno di un’ora tutto passa.»
No,
era impossibile. Non gli credevo. Sapeva tanto di attenuante, molto simile a
quella che si racconta ai bambini per non farli agitare.
«Ma
… quindi dobbiamo a-and»
Edward
sogghignò. «Da nessuna parte. Sono premunito. Ce l’ho in quella valigetta che
tu tanto detesti.» E la indicò con uno sguardo.
«Non
mi stai prendendo in giro, vero?»
Mi
sorrise dolcemente. «No, sono sincero.»
Una
lacrima – ricca di tensione - sfuggì al mio controllo; il peso che
precedentemente si era formato sullo stomaco sparì lasciando un leggero senso
di intorpidimento. In quel piccolissimo arco di tempo avevo accumulato
un’incredibile tensione.
Edward
mi asciugò la guancia teneramente con il pollice. «Sei una sciocca.»
Inspirai
profondamente un paio volte; l’ansia restante mi suggerì di impormi in
quell’istante più di quanto fosse desiderato da entrambi. Non mi sarei
rilassata finché non fosse tornato tutto alla normalità. «Allora muoviti. Fai
questa iniezione, subito!»
Sogghignò,
divertito dal mio repentino cambio di personalità. Si passò la lingua sul
labbro inferiore ed una piccola smorfia attraversò il suo viso.
Gli
accarezzai una guancia con apprensione e calore. «Ti bruciano le labbra?»
Lasciò
andare il capo sulla mia mano inclinandolo dolcemente di lato. «Fanno
leggermente prurito, tutto qua.»
Poggiai
con estrema delicatezza un dito sulle sue labbra gonfie e rosse avvertendo sul
polpastrello il calore fin troppo eccessivo. «Vado a prendere del ghiaccio.»
***
Le
due dita della mia mano –l’indice e quello opponibile – erano del tutto
congelate e intorpidite, ma poco m’importava. Feci scorrere per l’ennesima
volta da un lato all’altro del suo labbro inferiore il cubetto di ghiaccio che
a contatto col calore si liquefaceva e le goccioline d’acqua ricadevano lungo
il mio braccio. La sua bocca era meno tumida; le orecchie e il collo avevano
perso quel colore rosso intenso. La sua pelle aveva riacquistato il suo
naturale candore.
La
frenesia di baciarlo era lieve, assopita da quella preoccupazione senza
precedenti. Non mi era mai capita una situazione del genere.
Edward
aveva gli occhi chiusi e respirava più lentamente. «Stai dormendo?»
Un
mezzo sorriso gli increspò il viso, ma non rispose. Allontanai leggermente il
cubetto dalle sue labbra. «Come ti senti?»
Emise
un leggero sospiro caldo sulle mie dita così prossime alle sue labbra. «E’ la
quinta volta che me lo chiedi.» Schiuse un solo occhi penetrandomi con quel
faro verde. «In venti minuti.»
Chinai
il capo imbarazzata e imbronciata. Non potevo farne a meno. Pretendeva forse
indifferenza da parte mia?
La
sua risata cristallina e gioiosa irruppe nell’aria. Rideva e sussultava si
gusto talmente forte quasi da versare lacrime. Si riprese a malapena
inspirando. «La tua faccia era troppo buffa.»
Gli
sferrai un pugno leggero sul petto. «Ed io che mi preoccupo per te.» Portò una
mia mano vicino alle sue labbra baciandone finemente le nocche.
«Grazie.»
Boccheggiai
e arrossii. «Hai bisogno di altro ghiaccio?»
Scosse
il capo. «E’ passato il prurito. Come sapevi che quello era un rimedio?»
Posai
il cubetto nel bicchiere in vetro sul comodino. «Dottor Cullen, mi sorprende.
Ed io che credevo che lei fosse un medico di successo.» Quando da bambina
qualche insetto mi pungeva, il ghiaccio attenuava sempre il prurito.
Afferrò
il mio polso approssimandomi maggiormente al suo viso così da avere gli occhi
incatenati l’un l’altro. «Io sono un
medico di successo.»
«Lo
so. Eppure a tavola lo hai detto con leggerezza.» Replicai spinta dalla
sincerità e dall’incredulità di tanta sua inusitata riservatezza.
«Sono
discreto. Non mi piace vantarmi.» Alzò il braccio libero accarezzandomi una
guancia. «Come te, d’altronde.»
«Come
me.» Confermai persa in quell’oceano verde.
«Posso
farti una domanda?» Sussurrò fiocamente e non potei fare a meno di assentire;
ero balia di un serpente incantatore.
«Perché
hai rifiutato il New York Times?»
Sobbalzai
e mi allontanai repentina dal suo viso. Più
eviti una cosa, e più questa ti ripercuote contro.
Alzò
un sopracciglio ramato palesemente incuriosito. «Allora?»
Alzai
un piede sfilandomi un sandalo nero reduce ancora della cena. Sapevo che non
avrebbe desistito ed optai per una mezza verità. «Pensavo che era ciò che
desideravo di più al mondo, ma mi sbagliavo… ed ho rifiutato.»
«Posso
farti un’altra domanda?»
Ridacchiai.
Questo suo lato curioso mi era nuovo. «Sì, ma non ti assicuro alcuna risposta
certa.»
«Quella
precedente non era affatto certa. Direi più, vaga.»
Se
n’era accorto? Che uomo perspicace!
«Preferivi
una scena muta?»
Alle
mie spalle lo sentii sogghignare. «No, le tue risposte contorte mi piacciono.»
Mi
sfilai l’altro sandalo. «Allora, qual è l’altra domanda?»
Si
schiarì la voce prima di parlare. «Perché tra te e Einstein è finita?»
M
sfuggì un sorriso al nomignolo di Mike, naturalmente affibbiatogli non per
dimenticanza ma per divertimento, ma si spense poco dopo aver appreso la natura
della sua domanda. Sapevo che quell’argomento inevitabilmente prima o poi sarebbe
riaffiorato. «E’ una storia lunga…»
Mi
sorrise in modo dolce. «Abbiamo tempo.»
«…
e complicata.» Conclusi con l’amaro in bocca.
Accentuò
il sorriso. «Cercherò di capire. Sono o non sono un medico di successo?»
L’espressione
del mio viso fu abbastanza tirata. Era giunto il momento di sganciare la bomba,
perlomeno in parte. «Abbiamo frequentato lo stesso College. Mike dopo la laurea
fece uno stage a New York, io invece al Daily News di Seattle. Dopo alcuni
mesi, mi propose di andare a vivere con lui nella Grande Mela.» Ispirai e
ripresi a parlare. Sguardo sul pavimento. «Ma non ero ancora pronta per
compiere un passo del genere, volevo più tempo ma lui non fu d’accordo. Con il
suo ultimatum tutto finì.»
«Ultimatum?»
Chiese Edward con tono stranito.
Gli
rivolsi uno sguardo eloquente. «Sì, pretendeva che io andassi a vivere con lui
a New York altrimenti … avrebbe troncato lui per entrambi. Forse voleva
intimorirmi, spronarmi… ma io ho ceduto.»
Mi
scrutò attentamente tanto da suscitarmi un leggero imbarazzo. Sembrava che
volesse leggermi nella mente e scovare quei punti – decisamente importanti –
che avevo deliberatamente omesso. «Non
mi hai detto tutto, vero?»
Ecco,
appunto.
«Hai
detto che adori le mie risposte contorte.»
«Sì.»
Confermò, accigliato. «Ma in questo modo mi fai diventare pazzo.»
Sogghignai
portando una mano davanti alla bocca. «A dire il vero, pensavo che tu fossi già
pazzo.»
Cogliendomi
di sorpresa, mi agguantò i fianchi trascinandomi letteralmente di schiena sul
materasso. Lui mi sovrastò completamente solleticandomi i fianchi con le
mani. Mi dimenavo come un’ossessa.
«Edward,
smettila!» Era impensabile trattenere le risa. Tentai di pizzicargli i fianchi
con le dita. «Questa me la paghi, medico da strapazzo.»
Mi
fermò i polsi sopra la testa. Era
leggermente ansante, naturalmente non quanto la sottoscritta. «Non credo che tu nella giusta posizione per
minacciarmi.»
«Tu
dici?»
Alzai
velocemente il capo e gli morsicai leggermente una spalla in prossimità del
collo. Pensava davvero che mi sarei arresa così facilmente?
Si
ritrasse sogghignando divertito. Improvvisamente fece una faccia buffa: si
imbronciò mostrando una finta espressione dolorante. «Ah!»
Sciolse la presa sulle mie mani e si lasciò andare
lateralmente sul materasso tenendosi una mano sulla parte lesa e gli occhi serrati. Lo colpii sul petto con il palmo. «Che
melodrammatico. Non ti ho fatto nulla.»
Schiuse
un solo occhio scrutandomi. «Mi hai morso. Non ti basta?»
Sbuffai
con finta noia avvicinandomi maggiormente al suo corpo. Gli posai un bacio a
fior di labbra direttamente sull’epidermide, tra l’incavo del collo e della
spalla. Vibrò a quel contatto, e lo feci anch’io drogata dal profumo al mentolo
che sprigionava la sua pelle. Edward emise un soffio prorompente; lo sguardo
allucinato fisso al soffitto.
«Passato?»
Gli chiesi con voce afona.
Sobbalzammo
colti alla sprovvista da alcuni tocchi inaspettati sulla porta.
«Vado
io.»
Mi
alzai dal letto sopraggiungendo alla porta. La spalancai ritrovandomi
sull’uscio la figura di zia Carmen con sguardo tirato e colmo d’apprensione.
«Tesoro,
come sta Edward?»
Il
mio fidanzato al suono della sua voce mi raggiunse rivolgendole un sorriso di
gratitudine. Era venuta per sincerarsi della sua salute.
«Benissimo,
signora Denali. E’ passato tutto.»
Mia
zia sospirò di sollievo. «Scusami caro, non sapevo della tua allergia.»
«Oh,
non si preoccupi. Nessuno lo sapeva.» Rispose Edward.
«Ma
io sì.» Ribattei con tono mesto.
Lui
mi lanciò uno sguardo eloquente. «Ma non è colpa tua, sono cose che capitano.»
Carmen
sorrise in modo così materno da riscaldarmi il cuore. «Sono contenta che tu
stia bene.»
Sentii
delle voci concitate giungere dal soggiorno e alzai un sopracciglio. «Cosa sta
facendo lo zio?»
«Oh
Bella, dovresti saperlo: sta giocando a scacchi, naturalmente.» Mi diede un
bacio sulla fronte e discese la rampa di scale.
Guardai
Edward con un sorriso furbo molto simile a quelli che lo caratterizzavano. Beh,
in quel frangente me lo potevo permettere.
«Tu non hai una sfida in sospeso con lui?»
Mi
circondò la vita con un braccio e mi rivolse il suo solito sorriso sghembo.
«Sei ancora disposta a consolarmi in caso di sconfitta?»
Avvampai
e le mie guancie si colorarono. «S-si… »
Accostò
le labbra al mio orecchio. «Allora... non vedo l’ora di perdere.»
PS: L’IDEA DEL MENU ITALIANO E’ NATA COSì PER CASO. SEMBRA
ASSURDA, LO SO.
PS2: IO ADORO LA SCHIUMA DA BARBA, CREDO CHE SI SIA NOTATO.
PS3: LA DOCCIA VI PROMETTO CHE NON MANCHERA’ (e che
promessa!!!).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
12
*AHI!*
MI E’ APPENA
ARRIVATO UN BROCCOLO IN FRONTE… ME LO MERITO PER IL RITARDO, LO SO, PERTANTO SE
VOLETE HO A DISPOSIZIONE ALTRI PARTI DEL CORPO CHE ATTUTISCONO MAGGIORMENTE I
COLPI, PERFINO QUELLI Più DURI.
BENE, BENE…
ECCO FINALMENTE IL
NUOVO CAPITOLO.
SEMBRA PROPRIO CHE
OGGI IO SIA DI POCHE PAROLE… SPERO COMUNQUE CHE SIANO BUONE.
QUESTA VOLTA AVREI
VOLUTO RISPONDERE A CIASCUN COMMENTO MA COSì AVREI TARDATO ANCOR DI Più LA
PUBBLICAZIONE DEL CAPITOLO E HO PREFERITO NON FARVI ATTENDERE.
TUTTAVIA, NON POSSO
FARE A MENO DI DIRVI GRAZIE PER OGNI DOLCE, SIMPATICA PAROLA CHE AVETE AVUTO
NEI MIEI RIGUARDI. MI FATE ARROSSIRE IN UN MODO INCREDIBILE. RILEGGO COSì TANTE
VOLTE I VOSTRI COMMENTI DA IMPRIMERLI NELLA MIA MENTE.
QUINDI GRAZIE DI
CUORE A: Sognatrice85, grepattz, Serena Van Der Woodsen, Geo88, ChiaraBella,
Lizzie95, ila_cullen, ross_ana, Ladycate95, chiara84, love_vampire, _BellinA_,
Crazyangel84, SASA 89, annaritaa86, lilly95lilly, chi61, crista,
SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate, SCD71001, crivri, serve, rodney, iuliuscaesar,
FunnyPink, luna09, Shinalia, luis, LittleWithAngel, mo duinne, Lau_twilight,
Semolina81, samy90, Delilah_, piccolinainnamora, Lullaby89, serinetta,
manuelitas, Sognatricecoipiediperterra, butterfly88, luna89, Punphin_Cullen,
LaFedy, Bella_kristen, Elesunny30, barbyemarco, xsemprenoi, lorenzabu, Miss
Simy Pattinson, Eli87, fabiolina, Ros_Ros, MartinaAlfia, mitikayo, simo87,
MisaCullen, marikina, lisa76, lampra, keska, yara89, lovekiss90.
Un grazie speciale
va anche a Mirya.
VI PROMETTO CHE NEL
PROSSIMO CAPITOLO RISPONDERO’ PERSONALMENTE A TUTTI/E (CHE BELLA QUELLA ‘I’
*_*). (NON MI FATE TROPPE DOMANDE… PERCHE’ SONO UN PESCE PALLA!!! AHAHAHAH)
RIGURDO AL
CAPITOLO: POSSO ANTICIPARVI SOLO CHE IN QUESTO TROVERETE RISPOSTE, PURTROPPO
NUOVE DOMANDE, E DECISIONI IMPORTANTI.
NELLO SCORSO HO
CREATO UN GIGANTESCO PUNTO INTERROGATIVO SULLA QUESTIONE DEL NEW YORK TIMES DI
BELLA. NON LASCERO’ NULLA AL CASO, SU QUESTO POTETE STARE TRANQUILLI.
L’INSICUREZZA MI HA
PRESO PER MANO; FORSE HA UTILIZZATO DELL’ATTACK, FATTO STA CHE NON RIESCO Più A
SCOLLARMELA DI DOSSO. QUINDI SE VI SEMBRA NOIOSO, TROPPO SDOLCINATO, O
INCOERENTE IN ALCUNI PUNTI NON ESITATE A DIRMELO. LE CRITICHE SERVONO PER
MIGLIORARE E CORREGGERE GLI ERRORI E LE VOSTRE SON PER ME DI GRANDE AUSILIO.
TEASER: AVEVO LASCIATO DUE
TEASER NEL BLOG… IL PRIMO E’ A METà IN
QUESTO CAPITOLO VERSO LA FINE, MENTRE IL SECONDO AVVERA’ DEL TUTTO NEL PROSSIMO
CAPITOLO. MI SPIACE MA NON POTEVO METTERE TUTTO IN QUESTO. COME SEMPRE MI SONO
LASCIATA ANDARE E HO SCRITTO UN CAPITOLO ABBASTANZA LUNGO. NON RIESCO Più A
CONTENERMI. PERDONATEMI.
AVVISO: LA NOSTRA
CHIARA HA CREATO UN BELLISSIMO GRUPPO IN FACEBOOK EFP – DIPENDENTI.
E’ IL SEGNO
CONCRETO CHE QUESTO NON E’ SOLO UN SITO DI FF… RAPPRESENTA UNA GRANDE FAMIGLIA
VIRTUALE DELLA QUALI TUTTI NE FACCIAMO PARTE ED E’, A MIO AVVISO, UNA COSA
STUPENDA. NOI VI ASPETTIAMO, ANCHE IL Più PICCOLO VOSTRO SEGNO E’ IMPORTANTE.
VORREI DEDICARE
QUESTO CAPITOLO A FALLSOFARC. HO TROVATO UN’AMICA. UNA DI QUELLE VERE
PRONTE AD ASCOLTARTI NEI MOMENTI DI BISOGNO E SFORNARE CONSIGLI D’ORO COME I
VECCHI DEI TEMPLI ANTICHI. MI TRASMETTE UNA FORZA FUORI DAL COMUNE. GRAZIE
TESORO.
E’ UNA AUTRICE CON LA "A" GIGANTESCA DEL
FANDOM ORIGINALE/ROMANTICO. DIRE BRAVISSIMA E’ UN EUFEMISMO.
VI COSIGLIO TUTTE LE
SUE STORIE (Alcune concuse, altre in corso). IO NON Più POSSO FARNE A MENO.
PICCOLO APPUNTO: NELLE
MIE STORIE QUASI OGNI SITUAZIONE, OGNI SCESA DESCRITTA E’ FRUTTO DELLA
MIA REALTA’, DELLA MIA VITA. SONO QUASI TUTTE ACCADUTE REALMENTE E SONO FELICE
DI POTER CONDIVERLE CON VOI.
SONO CERTA CHE IN
OGNI FF CI SIA GRAN PARTE DELL’ANIMA DELL’AUTORE!!
ORA CREDO CHE POSSO
LASCIARVI DIRETTAMENTE AL CAPPY.
GRAZIE A TUTTI.
UN BACIONE
GRNADISSIMO, VOSTRA SAM
VILLA DENALI
CAPITOLO 12
Data l’originale
forma dell’abito, lo sfilai dall’unica spalla coperta facendolo scivolare dal
mio corpo e ricadere dolcemente sul pavimento rimanendo con solo la biancheria
intima indosso. Dalla portafinestra perveniva una brezza estiva e fresca che mi
fece leggermente rabbrividire. Il cielo era disseminato da una moltitudine di
stelle dalle più svariate dimensioni e tonalità di luce. Alcune grandi e smorzate,
altre piccole e folgoranti.
Aprii la valigia
scrutandone il contenuto solo con lo sguardo. Uno sbuffo contrariato fuoruscì
dalle mie labbra. Ero rimasta sola nella stanza e presto avrei raggiunto Edward
nel soggiorno al piano inferiore se avessi trovato qualcosa di più comodo da
indossare rispetto ad un vestito, a parer mio fin troppo elegante per una cena
in famiglia, e un paio scarpe pericolosamente analoghe a trappole mortali.
Ormai avevo nozione
del contenuto della valigia e non vi era nulla di “comodo e pratico”. Probabilmente
Alice nemmeno conosceva quei due termini.
Mi ero appena
sfilata un abito, non potevo certo indossarne un altro.
Se fossi stata
nella mia casa a Seattle avrei indossato certamente una comoda tuta ginnica o
un paio di pratici pantaloni corti con una magliettina sbrindellata dalla
taglia nettamente superiore alla mia; un abbigliamento al quale Alice
inorridiva alla sola vista.
Probabilmente in
sua presenza, al mio ritorno, avrei indossato solo quelli: la prima di una
serie di vendette conseguenti alla valigia preparatami da lei, certamente non
per mio volere ma per effettiva mancanza di tempo.
Guardai la camicia
da notte in pizzo nero a ridosso della poltroncina in pelle bianca. Era un capo
fin troppo intimo da mostrare pubblicamente: un conto era Edward che ormai
doveva averci fatto l’abitudine a vedermi con indosso certe vesti; un altro,
Mike o Garrent ignari, specialmente il primo, che possedessi indumenti così…
provocanti.
Mi imbarazzava ed
Alice purtroppo non aveva provveduto ad inserire nella valigia una vestaglia
con cui potermi coprire probabilmente conscia che l’avrei indossata perfino
durante la notte sopra uno di quei succinti pigiami. Quel folletto malefico ne
sapeva una più del diavolo.
Istintivamente
afferrai il telefonino e velocemente le digitai un messaggio intimidatorio con
minacce non indifferenti e poco velate.
Amica avvisata, mezza salvata.
Sorrisi e lo
poggiai nuovamente sul comodino immaginando il suo visino alla vista di quel
messaggio: ciglia aggrottate e labbra corrucciate in un tenero broncio. Una
bimba capricciosa alla quale è stato negato un giocattolo troppo costoso; era così
diversa da Edward che stentavo a credere che fossero realmente consanguinei.
Sbuffai gettando
un’occhiataccia alla valigia come se fosse quella la causa di tutto. Dovevo
trovare assolutamente qualcosa da indossare. Setacciai la stanza con lo sguardo
finché questo non ricadde su alcuni indumenti accuratamente piegati e poggiati
sul ciglio del letto. Quella era sicuramente opera di zia Carmen: evidentemente
aveva fatto il bucato.
Allungai un braccio
afferrandoli con le mani: una maglietta bianca a mezza manica ed un pantalone
della tuta, quello che Edward mi aveva imprestato la notte in cui ero stata
febbricitante. Li rigirai per un attimo tra le mani. «Mmm…»
***
Discesi a piedi
nudi le rampe. Entrata nel soggiorno notai Edward e zio Eleazar, l’uno di
fronte all’altro, entrambi con lo sguardo concentrato sulla scacchiera posta al
centro di un tavolino. Le mie cugine sfogliavano animatamente una rivista
semisdraiate sul tappeto rosso mentre Garrent e Mike parlottavano in un angolo
nei pressi di una finestra.
Edward si accorse
della mia comparsa e girando il la testa mi scrutò da capo a piedi con un
sopracciglio levato per poi abbozzare un sorriso divertito. «Quegli indumenti
hanno un’aria familiare.»
Certo che avevano
un’aria familiare: erano suoi e perfino un estraneo avrebbe notato che la
taglia fosse nettamente superiore alla mia.
La maggior parte
della maglia, così lunga da sembrare pressoché un corto vestito, era nascosta
nei pantaloni - nei quali potevo perfino piroettarvici all’interno - fermata
dal grosso elastico posato sui fianchi, anche se in quel modo terminavano oltre
la caviglie fin sotto i talloni.
Lo raggiunsi e ridacchiando
mi raggomitolai al suo fianco sul divano piegando lateralmente le ginocchia.
Posai il capo sulla spalla. «Sarà solo una tua impressione.» Fu il suo turno di
ridere sommessamente.
Sbadigliai
coprendomi la bocca con una mano. «Come procede la partita?»
«E’ un osso duro.»
Rispose zio celando un sorrisetto compiaciuto.
«Ma non sto messo
bene.» Continuò Edward lanciando uno sguardo eloquente al suo rivale. Osservai
la scacchiera e la posizione delle sue pedine: erano meno in confronto a quelle
di Eleazar e c’erano poche probabilità di vittoria. Conoscevo le varie tattiche
di gioco di mio zio e con un po’ di movimenti forse avrei potuto migliorare la
situazione del mio fidanzato.
Allungai una mano
sfiorando il cavallo con il dito indice. Era l’unica pedina poco prevedibile
che poteva muoversi soltanto formando la lettera ‘L’. «Non spostare il cavallo
di due caselle in avanti, ma solo di una e successivamente due al lato destro.»
«Ehi, piccola
furbetta! Non suggerire.» Mi riprese bonariamente zio. Un sorriso furbo gli
affiorò il viso. «Potrebbe anche essere sbagliata la tua mossa.»
Gli feci la
linguaccia. «Potrebbe, ma non lo è.»
Edward per un
attimo mi guardò, poi mosse il cavallo come da indicato mangiando l’alfiere
tanto amato da zio. Quest’ultimo mi lanciò un’occhiataccia. «Tu ora stai buona
buona e zitta come un pesciolino.»
Ghignai
aggrappandomi maggiormente al braccio di Edward che sorrise vittorioso a sua
volta.
«Mi spiace tesoro, ma non posso più aiutarti.» Gli
sussurrai divertita.
«Non preoccuparti, amore.» Rispose, poi con tono basso e
maledettamente sensuale aggiunse: «non ambisco alla vittoria.»
Arrossii
violentemente nascondendomi maggiormente dietro le sue braccia floride e lisce.
Perché doveva sempre mettermi in imbarazzo? Socchiusi gli occhi celando la mia
vista, altrimenti difficilmente avrei trattenuto l’istinto di intromettermi
nella loro partita.
Purtroppo, la mia
indole fin troppo combattiva primeggiava sin dai tempi di bambina quando zio
Eleazar pazientemente mi spiegava le basi fondamentali del gioco degli scacchi
e le varie tecniche da adottare. Mentre le mie cugine giocavano con ninnoli
prettamente femminili, come bambole o prodotti di bellezza di vario genere, io
preferivo assimilare l’importanza nel difendere il re in una partita di scacchi
o imparare a cucinare con zia Carmen. Forse erano questi i motivi principali
per i quali le miei cugine mi vedevano con avversione e insofferenza. Avevo
trascorso quasi ogni periodo estivo con Renée lontano da Charlie e Forks, qui
in Alaska. Mia madre affermava di voler trascorrere un po’ di tempo con la
sorella e desiderava che instaurassi un bel rapporto con le mie cugine; solo in
seguito capii che in tutto quello c’era un secondo fine: ad Anchorage aveva
conosciuto Phil, il suo nuovo attuale marito. Non avevo mai avuto risentimenti
nei suoi confronti anche se non condividevo affatto la sua scelta di
abbandonare Charlie.
Strofinai il naso
sul braccio nudo di Edward inspirando profondamente. Quel suo dolce profumo mi
sedava i sensi. Sapeva di buono. Mi induceva quasi a morderlo. Chissà com’era
il sapore della sua pelle; quello delle labbra era sublime e solo al ricordo si
accendeva quel caldo languore allo stomaco.
Trattenni un
mugolio di disapprovazione beandomi momentaneamente solo del suo odore.
Di sorpresa sentii
muovere il braccio sotto la mia testa e mi strofinai gli occhi alzando il capo
temendo, lì per lì, di esser stata fin troppo fastidiosa ma lui mi circondò le
spalle attirandomi a sé con fermezza. Mi ritrovai con il capo poggiato sul suo
petto atletico. In quell’istante fu impossibile trattenere un mugolio di
piacere. Poco dopo percepii le sue labbra calde e corpose sulla mia fronte.
«Così stai più comoda.» Un brusio dolce e sottile sussurrato al mio orecchio.
Sorrisi o forse
pensai solo di averlo fatto. Le sue dita, forse in gesto totalmente
involontario, presero a lisciarmi delicatamente i capelli. Un atto che mi
rendeva letteralmente succube, soggiaciuta completamente al suo volere. Poco
dopo sentii un torpore caldo prendermi e tirarmi giù negli abissi più profondi
dell’obnubilamento.
- - -
«Bella.»
Un angelo dalla
voce morbida e sensuale pronunciava il nome alla stregua di una dolce melodia.
Ero morta e mi stava conducendo in paradiso?
«Bella.»
Eppure quella voce
sembrava così simile a quella di Edward…
«Si è addormenta.»
Mormorò probabilmente rivolto a qualcheduno.
Percepii un leggero
sogghigno. «Certe abitudini restano.» Rispose una voce roca, più profonda.
«Anche da bambina molte volte si addormentava sul divano e sebbene fosse quasi
del tutto addormentata, trovava sempre quel poco di forza per protestare.»
Un’altra leggera risata sommessa. «Non voleva farsi prendere in braccio per non
mostrarsi debole o seccante. Ma non mi ha mai seccato farlo.»
Solo allora
riconobbi quella voce affettuosa: apparteneva a zio Eleazar. Un piccolo sorriso
spontaneo mi increspò le labbra.
«Resto qui… divano…
piace.» Mugugnai sottovoce probabilmente solo a me stessa strofinando la
guancia sullo schienale fresco del divano. Era comodo anche se sentivo la
mancanza del calore e del profumo di Edward.
«Non ti lascio
dormire qui.»
D’improvviso mi
sentii sollevare e, con mio sommo piacere e stupore, tutto ciò che mi era
mancato mi avvolse come un mulinello di vento il cui epicentro era il mo corpo.
«Giù.» Mugugnai con
tono impastato e poco convincente persino alle mie orecchie, forse dovuto al
sonno o alla mia poca forza di volontà. Alzai le braccia circondandogli il
collo avvicinandomi con maggiore intensità al suo corpo ispirando
profondamente. Accidenti, mi faceva impazzire anche in quei momenti!
«Certo.» Mi schernì
lui. La risata che ne conseguì gli sconquassò leggermente il petto «Quando
dormi sei poco imperiosa.».
Uno soffio
lontanamente rassomigliante ad uno sbuffo uscì dalle mie labbra tremolanti ma
non ebbi la forza di controbattere. Il dormiveglia nel quale ero caduta era fin
troppo piacevole per essere abbandonato per un motivo tanto futile.
Non badai a nulla
durante il tragitto su per le scale verso la camera da letto; i miei sensi
intorpiditi erano, per quanto possibile, incentrati in quelle braccia forti che
mi sostenevano con estrema facilità neanche se il mio peso corrispondesse a
quello di una piuma. Dopo pochi istanti sentii sotto il peso del mio corpo
l’aggravarsi del materasso. Allentai mollemente la presa attorno al suo collo
trovando una benessere mai ricercato, ma incondizionatamente gradito.
Ricaddi fiaccamente
in quella dolce sonnolenza precedentemente affiorata.
- - -
Un brivido.
Una leggera folata
di vento fresco mi penetrò la pelle entrando perfino nelle ossa. Rabbrividii
raggomitolandomi maggiormente fra le lenzuola tirandole su in modo tale da
coprirmi anche il naso.
Mi portai una mano
sugli occhi serrati stropicciandoli leggermente. Schiusi un occhio con una
certa difficoltà. La stanza era fiocamente illuminata da una luce naturale pallida
che tendeva su una tonalità di giallo molto chiaro. Il preludio dell’alba.
Chiusi nuovamente
le palpebre e allungai un braccio stirando i tessuti muscolari; mi sentivo
ancora intorpidita e fu difficile rammentare il modo in cui fossi giunta a
letto. Mi ero addormentata sul divano mentre Edward disputava la partita di
scacchi e giunto al termine mi aveva preso in braccio e portata a letto proprio
esattamente alla stregua di una bambina. Avevo ormai perso il conto delle mie
figure imbarazzanti in sua presenza. Forse lui ci aveva fatto l’abitudine.
Tuttavia, in fin
dei conti, non era stato affatto spiacevole. La sua stretta attorno al mio
corpo era stata ferma, sicura, calda e tremendamente protettiva.
Tastai con una mano
il tessuto fresco delle lenzuola e fui sorpresa di non toccare erroneamente il
corpo di Edward come ormai capitava ogni mattina. Non che lo facessi di
proposito, ma la sua presenza al mio fianco era divenuta quasi essenziale.
Aprii gli occhi e lo sgomento raggiunse l’apice nel trovare l’altro lato del
letto – il suo – totalmente vuoto. Le lenzuola erano aggrinzite e sfatte segno
che comunque vi si era poggiato, forse addirittura appisolato. Ma questa sua
assenza era strana. Un moto d’ansia mi piombò addosso e un grosso nodo si formò
alla gola. Dov’era andato Edward?
Mi rizzai con la
schiena e nel movimento le lenzuola ricaddero silenziosamente sulle mie gambe.
In quel modo le mie braccia vennero del tutto scoperte e percepii un’altra folata
di vento infrangersi sulla mia pelle nuda. Girai il capo verso la fonte e
trovai la portafinestra semiaperta. Intravidi, oltre la grande vetrata, una
sedia a sdraio in legno chiaro dal cui lato sbucava un piede a penzoloni;
alcuni ciuffi ramati spuntava al di sopra dello schienale. Per quale motivo
Edward era fuori al terrazzo a quell’ora del mattino?
Mi districai dalle
lenzuola e poggiai i piedi nudi sul pavimento lucido e freddo. Al contatto un
brivido prese il via dalle caviglie e si propagò in tutto il corpo,
provocandomi la pelle d’oca. Avvolsi il busto con le braccia strofinando le
mani sulle pelle nuda e silenziosamente mi avvicinai al terrazzo.
Edward era disteso
con le mani dietro la testa; aveva gli occhi chiusi e un’espressione
stranamente pensierosa in viso, più tesa di quanto potesse sembrava ad occhi
altrui. Quella solita ruga era presente lì sulla sua pelle a increspargli la
fronte.
Cosa ti preoccupa, Edward?
Un’altra raffica di
vento fresco mi penetrò la pelle. Sentii la bruttissima sensazione, quel
fastidioso prurito al setto nasale che non presagiva nulla di buono. Portai due
dita a tapparmi il naso ma fu impossibile trattenere uno starnuto e palesare in
quel modo la mia presenza.
Al che Edward alzò
la schiena piegando in un gesto automatico le gambe e volse il capo nella mia
direzione. Sul suo volto spuntò un sorriso obliquo. «Ehi, sei già sveglia.»
Mi passai una mano
tra i capelli scarmigliati. «Già, anche tu. Che ci fai qui fuori?»
Batté una mano
sulla sedia a sdraio sul davanti e invece di rispondere mi porse a sua volta
una domanda. «Vuoi farmi compagnia?»
Sorrisi entusiasta
e felice per tale invito, ma prima di avvicinarmi alzai una mano mostrandone il
dito indice. «Aspetta un attimo.»
Entrai nuovamente
nella stanza e sradicai le lenzuola dal letto con un po’ di forza; in quel modo
avremmo evitato un congelamento o, nella peggiore delle ipotesi, un
raffreddore. Andai nuovamente fuori sul terrazzino rischiando perfino di
ruzzolare sul pavimento a causa del lenzuolo incappato nel mio cammino data
l’estrema lunghezza.
Edward appena mi
vide rise scuotendo il capo, come se la scena fosse alquanto scontata e comica.
«Hai freddo?»
Alzai le spalle.
«Perché, tu no?»
Gli porsi un lembo
di lenzuolo ma lui, con uno scatto repentino, me lo sfilò totalmente dalle mani
portandoselo dietro alle spalle come un mantello. Scettica, alzai un
sopracciglio. Ero io quella infreddolita, non lui.
Lui rise notando la
mia espressione. «Non guardarmi in quel modo, non voglio rubarti nulla.»
In fondo, senza realmente rendersene conto,
qualcosa l’aveva già rubato…
Mi accomodai ove
dai lui precedentemente indicato ma Edward mi afferrò i fianchi attirandomi a
lui, tra le sue gambe in modo tale da ritrovarmi poggiata con la schiena sul
suo petto. Trattenni il respiro dallo stupore e arrossii leggermente quando il
suo braccio mi avvolse totalmente la vita attirandomi maggiormente a lui; nel
movimento piegai le ginocchia al petto.
Questi suoi strani
gesti mi mandavano letteralmente in confusione il cervello, e non solo quello.
Quasi mi stordivano.
Lasciò la mia vita
afferrando i due lembi del lenzuolo e li portò davanti. «Tieni.»
Li afferrai con le
mani tremolanti e li tirai in avanti sino a coprire le gambe rannicchiate.
Eravamo un unico bozzolo di lenzuolo bianco.
«Visto? Così
riusciamo a coprirci entrambi.» Sussurrò quella frase tra i miei capelli. Le
sue braccia tornarono intorno alla mia vita strappandomi un altro anelito di
respiro. «Perché sei già sveglia?»
Nel letto ho percepito la tua assenza… e
ritrovandomi sola al risveglio mi son fatta prendere dall’ansia.
Scossi leggermente
la testa. No, non potevo certo rispondergli in quel modo.
«Non riuscivo a
dormire.» Mormorai con un filo di voce, poco credibile perfino alle mie
orecchie.
Edward rise in modo
allusivo. «Eppure ieri sera non hai mangiato peperoncino.»
«Idiota.» Un po’
risentita, un po’ divertita lo spinsi all’indietro con una spalla. Andò a
finire con la schiena sulla spalliera della sedia trascinandomi con se mediante
il braccio attorno al mio busto. E rideva, rideva di gusto.
«Sai, ho qualche
dubbio sulla tua età. Sicuro di avere quasi trent’anni? »
Mi diede un
pizzicotto sul fianco ma rimase comunque steso. «Sì, ho solo uno spirito ancora
giovanile.»
Mi accoccolai
meglio sulla sua schiena; ormai l’idea di alzarsi era pressoché irrealizzabile.
Non me ne dava atto e la voglia era nulla. «Ma ieri sera, mi hai portato tu
sopra in camera?» Ne avevo un vago ricordo; non poteva esser stato un sogno.
«Sì.»
«Qualche dolore
alla schiena?»
Rise. «A dire il
vero no. Sicura di mangiare abbastanza?»
«No, cucino solo
per te.» Lo schernii dandogli una leggera gomitata nello stomaco.
«La tua torta al
cioccolato mi piace.»
Sorrisi. «Lo so.»
«E’ la mia
preferita.»
«So anche questo.»
Le sue dita si posizionarono
sotto il mio mento girandomi il viso nella sua direzione. Incatenò i suoi occhi
verdi ai miei castani. Sorrideva ma quello sguardo era maledettamente intenso.
«C’è qualcosa che non sai?»
Tante, tantissime cose. Le più importanti a
dire il vero, avrei voluto
rispondergli ma non lo feci e deviai il discorso su qualcosa di più futile di
poca importanza.
«Sì, non so l’esito
della tua partita a scacchi contro mio zio.»
Fece una smorfia. «Ne ho perse due.
Inizialmente sembrava quasi che avessi la vittoria in tasca poi…»
«…poi ti ha
letteralmente schiacciato come una formica.» Conclusi al suo posto. «Ne so
qualcosa.» Abbandonai il capo all’indietro sulla sua spalla. Lui mi sfiorò la
guancia con la punta del naso. «Non dovrei essere consolato?»
«In effetti…» Girai
leggermente la testa ostentando l’espressione più beffarda del mio repertorio e
con finta disinvoltura alzai un braccio portando la mia mano a scompigliargli i
capelli. Erano morbidi e tra le dita sembrava una cascata di fili di seta, così
delicati da catturare la mia totale attenzione. Quella chioma ribelle era per
me una potente calamita dalla quale difficilmente mi sarei allontanata. Quel
gesto in principio carico di scherno e privo di malizia, si era man mano
trasformato, seppur involontariamente, in una carezza audace e sensuale.
Sentivo sotto i polpastrelli la morbidezza del suo cuoio capelluto e, tra le
dita, la consistenza vellutata delle ciocche. Era una totale fonte di
perdizione… e solo dopo mi accorsi del suo sguardo intenso e piacevolmente
lucido.
Considerata la
posizione strana nella quale eravamo, i nostri visi erano l’uno quasi
all’altezza dell’altro tanto che il suo respiro si infrangeva sulle mie labbra
schiuse. Alternavo lo sguardo dalle sue labbra alle sue iridi, e viceversa; un
po’ per desiderio, un po’ per imbarazzo.
Lentamente mi
avvicinai, e cogliendolo impreparato, aggirai la sua bocca posando un bacio
leggero a labbra dischiuse sulla sua guancia. Mi scostai rilasciando un ansito,
e un sorriso divertito. «Questo vale come consolazione?»
A quanto pareva,
non era del mio stesso avviso ma fui piacevolmente compiaciuta della sua
correzione. Sorridendo sghembo e beffardo come un diavolo tentatore fu lui a
cogliermi impreparata afferrando il mio mento tra due dita cosicché da attirare
la mia bocca sulla sua. Quando le nostre labbra entravano a contatto scollegavo
perfino quel mimino di senno che perdurava in sua presenza.
Ormai mi ero
arresa: non m’importava più quali fossero le cause e le conseguenze di tutto
ciò che mi accadeva. Volevo essere incosciente e agire puramente d’istinto per
una volta nella mia vita.
Perché perdere
tempo a porsi domande alle quali difficilmente trovi un’autentica risposta
quando puoi godere di una realtà che appare ai tuo occhi così dolce ed appagante?
Avrei pagato le conseguenze dopo… quando avrei poggiato nuovamente i piedi sul
terreno, riacquistando il contatto con la realtà.
Edward mi blandì le
labbra quasi con finta determinazione come se si aspettasse da un momento
all’altro un mio rifiuto, come se io ne fossi stata capace, come se io non
avessi voluto tutto quello. Che sciocco.
Pertanto, fu
impossibile non rispondere al bacio e crogiolarsi in quelle mirabolanti
sensazioni. Mi aggrappai alla sua nuca con una mano stringendo tra le dita i
suoi setosi capelli quando approfondì il bacio insinuando la sua lingua nella
mia bocca. Avevo perso ormai ogni barlume di ragione scordandomi perfino di
respirare. Mi allontanai ansante annaspando in cerca d’aria. Sicuramente le mie
guance era diventate rosse sia per quella mia stupida dimenticanza che per la
sua incredibile intraprendenza. I polmoni bruciavano e tiravano ossigeno
concitatamente. «Credo di aver dimenticato di respirare.»
Inizialmente
percepii il suo petto vibrare, poi esplose in una fragorosa e rumorosa risata.
E per quanto fosse fastidiosa… era bello sentirlo ridere.
Tirò un grosso
respiro cercando invano di contenere le risa. Ora era lui quello a corto di
fiato. «Sei incredibile»
Imbarazzata, lo
colpii con un pugno sull’addome e spinsi una spalla sul suo petto. La sua
risata scemò lasciandogli un sorriso sulle labbra e uno sguardo vivo e intenso
che stranamente, poco dopi istanti, tornò pensieroso. A quanto pareva, quelle
riflessioni a me ignote non lo avevo ancora del tutto abbandonato. Quanto avrei
voluto sapere ciò che lo preoccupava.
Mi passai la lingua
sulle labbra percependovi ancora il suo sapore. «Quello valeva come consolazione?»
Tornò sorridente. «Forse
sì.» Si passò una mano tra i capelli e assunse la sua solita espressione
strafottente. «Ma ho perso due
partite.» E sottolineò sul quantitativo cardinale.
Che mascalzone!
«Non è colpa mia se
non sai giocare a scacchi.» Mi portai una mano al mento fintamente pensosa. «Mmm…
ma ora dovresti sposare zio Eleazar o gli uomini sono esclusi?»
Nell’istante in cui
terminai la frase, mi pizzicò i fianchi con le mani. Mi ritrovai così
nuovamente poggiata sul suo petto a ridere e contorcermi sino allo spasmo, come
due adolescenti intenti a stuzzicarsi l’un l’altro. Riuscii ad afferrargli le
mani e serrarle attorno al mio busto; per quanto mi fosse possibile (erano
nettamente più grandi) le racchiusi nelle mie a pugno. La sua forza era chiaramente
superiore alla mia e se avesse voluto, avrebbe potuto liberarsi
tranquillamente. Ma non lo fece. Anzi, si rilassò abbandonandosi totalmente -
trascinando anche me di conseguenza - contro lo schienale della sedia.
Dovetti ammettere
che quella posizione era piuttosto comoda: sembrava che il suo petto si
modellasse a contatto con le mia schiena e la sua spalla accoglieva
perfettamente il mio capo. Esalai uno sbadiglio alquanto rumoroso.
Sentii il fiato di
Edward infrangersi sulla mia testa, fra i miei capelli. «Hai sonno?»
«Già.» biascicai
socchiudendo le palpebre. «Se sono sveglia a quest’ora è solo colpa tua.»
Soffocò una risata.
«Mia? Non avevi detto che non riuscivi a dormire?»
«Appunto. Perché tu
non c’eri»
Verità.
Ormai non
riflettevo più su ciò che dovevo omettere o potevo dire in sua presenza: le parole
uscivano senza che io potessi più impedirlo. Per la prima volta ero stata
totalmente sincera.
Edward, in tutta
risposta, accentuò la stretta attorno alla mia vita.
- - -
«Io davvero non
riesco come tu abbia potuto dimenticarlo.»
«Ma non l’ho
dimenticato.»
«A no? Allora il
tuo smoking si è volatilizzato?»
Edward inchiodò i
piedi, scoccandomi un’occhiataccia. «Oggi sei fastidiosamente più ironica del
tuo solito.»
Mi portai una mano
al petto fintamente lusingata. «Lo so. Tuttavia, resta il fatto che tu hai dimenticato lo smoking a
Seattle.»
Sbuffò sonoramente e
alzò le braccia al cielo in un gesto esasperato. «Ti ripeto: non l’ho
dimenticato. Alice ha sostituito la mia custodia nera con una seconda grigia che
contiene un abito femminile. Forse per te.»
Sgranai gli occhi.
«Cosa ha fatto Alice?» Arricciai il naso infastidita. Ancora? «Non le bastava
la mia valigia?»
Non aveva sommerso
di abiti solo la mia valigia, anche quella del fratello. Quella ragazza non era
dotata neppure di un senso minimo di contenimento. Esagerava in tutto ciò che
faceva e naturalmente non dovevo certo sorprendermi dei suoi astuti sotterfugi.
Edward posò una
mano sulla mia spalla e iniziò a ridere sommessamente. Era ilare e non sembrava
affatto infastidito da quella situazione. Alzai un sopracciglio rivolgendogli
uno sguardo incuriosito. Si riprese mostrandomi un sorriso sghembo. «Sei bella
quando ti arrabbi.»
Arrossii
violentemente e puntai lo sguardo altrove. Si era sempre preso gioco di me ma
mai in questo modo e non ero affatto abituata a nascondere le reazioni naturali.
Inaspettatamente un brontolio giunse dal mio stomaco sul quale poggiai la mano
al fine di contenerlo. Ma fu del tutto inutile perché Edward mi osservò
sorridendomi divertito. «Non abbiamo fatto neanche colazione.»
«Questa mattina
siamo fuggiti come due evasi.» Confermai ricambiando il sorriso. Fortunatamente
avevamo incrociato in cucina solo zia Carmen che, spiegandole l’imprevisto, ci
aveva dato senza esitazione le chiavi della sua auto affinché la usassimo per
raggiungere il centro commerciale. Le cugine e i rispettivi compagni ronfavano
ancora nelle loro stanze. Eravamo stati piuttosto mattinieri.
«Però non mi
sarebbe dispiaciuto utilizzare di nuovo la vespa.»
Gli lanciai
un’occhiataccia. «A quest’ora staresti girovagando solo nel centro
commerciali.» Un altro brontolio dallo stomaco.
Improvvisamente,
dalla mia borsa, sentii il mio cellulare trillare. Lo tirai fuori e dopo aver
letto il suo mittente accettai la chiamata.
«Sai che il tuo
armadio è in pericolo?»
Una risata
argentina giunse al mio orecchio. «Dovresti ringraziarmi invece.»
«Per cosa? Per la
valigia manomessa?»
Edward comprese
subito chi fosse il mittente; scosse il capo con rassegnazione. Mi sfiorò una
guancia con due dita. «Torno subito.»
Si allontanò
lasciando una scia bollente come lava sulla pelle.
«Bella? Bella mi
senti?»
«Mmm?» Ero ancora
un po’ stordita. Sbattei le palpebre velocemente. «Il tuo armadio è in serio
pericolo.»
«Bando alle ciance,
signorina. Voglio sapere come procede il matrimonio.»
Sospirai.
«Abbastanza bene. Hanno montato un gazebo in giardino, poi-»
«Bella.» Mi
interruppe Alice ridendo. «Queste cose non le voglio sapere adesso, mi
racconterai tutto in modo dettagliato al ritorno.»
Mi accigliai. «E
allora cosa…»
«Voglio sapere come
va tra te e Edward e soprattutto come si sta comportando il mio fratellone.»
«Ah.»
Involontariamente arrossii. «Va bene.»
«Non puoi
rispondere solo con un ‘va bene’» Sbuffò infastidita. «Voglio i dettagli.»
«Hai detto al mio
ritorno, no?»
«No. Questo voglio
saperlo adesso.» Asserì determinata; probabilmente stava battendo la punta
delle sue ballerine sul pavimento.
«Mi spiace, ma
dovrai attendere.» La mia piccola prima dolce vendetta. «Ti avverto: se speri
che con questa telefonata la mia sete di vendetta si plachi, ti sbagli.»
«Allora non ti
faccio fare la damigella d’onore.» Disse con voce quasi contenuta.
Spalancai gli
occhi. «Cosa?»
Si schiarì
leggermente la voce come se fosse pregna di emozione e cercasse di contenerla.
Cosa alquanto strana per la piccola Alice. «Ieri Jazz mi ha chiesto di
sposarlo.»
Le mie labbra si
distesero mostrando un sorriso quasi sproporzionato. Era una notizia sorprendente,
una di quelle capaci di colmarti il cuore di gioia. «Alice, ma è fantastico.»
Aspettava quel momento da così tanto tempo che aveva avuto perfino il timore
che lui non volesse fare con lei il grande passo. Ma tutti sapevamo che Jasper,
essendo un uomo molto timido, stava aspettando solo il momento più opportuno.
«Quindi… mi farai
da damigella?» Domandò di getto, esagitata.
Ridacchiai felice.
«Non dovresti neanche dubitarne, Alice.»
La sentii sospirare
di sollievo. «Edward è lì con te?»
Mi guardai attorno
in cerca della sua figura. «A dire il vero no. Non so dove sia andato.»
«Allora gli telefono
più tardi. Ora purtroppo devo andare a lavoro.»
«D’accordo.» Presi
posto sulla panchina. «E Alice, non strapazzare troppo il povero Jasper.»
Lei ridacchio in
modo sagace. «Tu invece strapazzalo come si deve, in tutti i sensi.»
«Alice!» La ripresi
arrossendo.
«Ciao Bella.»
Chiuse la telefonata con la sua leggera risata argentina. Scossi il capo ormai
consapevole della sua indole prettamente esuberante. L’idea di affrontare un
altro matrimonio come damigella stranamente non mi turbava, forse perché la
sposa in questione era Alice e la sua felicità era un mio desiderio primordiale.
Ma non avrei avuto bisogno di un finto fidanzato e questo lo avrei sicuramente
rimpianto.
La finzione era
divenuta oramai così bella da offuscare la dura realtà.
«Jasper le ha fatto
finalmente la proposta?»
Girai di scatto il
capo, un po’ spaventata, rischiando perfino un torcicollo trovando Edward
comodamente seduto sulla panchina rivolta oppostamente alle mie spalle.
«E tu come fai a
saperlo?»
Sospirò piegando la
testa all’indietro. Ora la sua visuale era al contrario. «Jazz ha programmato
tutto due settimane fa. E se conosco almeno un po’ mia sorella, posso giurare
che aveva sicuramente già intuito qualcosa in anticipo.» Si portò una mano nei
capelli. «E’ impossibile farle una sorpresa.»
Sogghignai. «Hai
ragione.»
Si addrizzò e con
un gesto secco posò sulla spalliera un bicchiere di carta. «Cappuccino.» Asserì
con ovvietà.
Spalancai gli occhi
sorpresa e mi mordicchiai le labbra per reprimere un sorriso fin troppo gioiosa
che avrebbe certamente reso il tutto più imbarazzante.
«Grazie.» Il mio
non fu che un sussurro.
Presi il bicchiere
e lo portai alla bocca gustandone la miscela calda. La schiuma di latte venne a
contatto con le mie labbra. Sembrava che avesse un sapore diverso, più dolce. Una
mia sciocca impressione.
Edward si alzò e
aggirò la panchina. «Andiamo?»
Quando mi sollevai
lui mi guardò e a trattenne stentatamente una risata, quasi per cortesia.
Allora capii di essermi sporcata ancora una volta. «Dì la verità: ti diverti a
vedermi imbrattata di cappuccino.»
Sorrise beffardo. «Lo
ammetto: mi diverto.»
Mi passai
velocemente la lingua sul labbro superiore pulendolo con la mia saliva. Mi
guardò per un attimo spaesato poi si imbronciò. «Ehi, quello era compito mio.»
Lo superai con il
mento al’insù e un sorrisetto vittorioso. Gli lanciai un occhiata divertita.
«Mi spiace per te, ma hai perso quel diritto nel momento in cui hai ammesso che
ti diverti a mio discapito.»
Mi raggiunse
velocemente e con uno scatto repentino mi avvolse il busto pizzicandomi un
fianco. «E poi sarei io quello perfido.»
E’ SORTO QUALCHE
ALTRO DUBBIO?
VE NE HO SCIOLTO
QUALCHEDUNO CON QUESTO CAPITOLO?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** CAPITOLO 13 ***
13
SALVE A TUTTI.
LO SO, SONO IN RITARDISSIMO, SONO Più DI VENTI GIORNI
CHE NON AGGIORNO. E PER QUESTO VI CHIEDERò SCUSA ALL’INFINITO.
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE,
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE,
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE,
SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE, SCUSATE,
SCUSATE, SCUSATE.
HO AVUTO ALCUNI PROBLEMI IN FAMIGLIA. FORTUNATAMENTE
NULLA DI IRRISOLVIBILE MA CHE CREA COMUNQUE PREOCCUPAZIONE (AHIMè, IO SONO UNA
PERSONA ALQUANTO ANSIOSA!!)
RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE MI HANNO SOSTENUTA NEL BLOG,
PRIVATAMENTE E NEL GRUPPO SU FACEBOOK.
Sì, QUELLA DOLCE PAZZA DI CHIARA MI HA CREATO UN GRUPPO
SU FACEBOOK. BEH… SE VOLETE PRESENTARVI, FARE UNA CHIACCHIERATA O FARMI DOMANDE
SU QUALSIASI COSA IO CI SONO. ^^
VI AVEVO PROMESSO CHE AVREI RISPOSTO ALLE VOSTRE
BELLISSIME RECENSIONI (SIAMO ARRIVATI A 600!!!!)… MA NON HO POTUTO FARLO, O
MEGLIO, HO TERMINATO IL CAPITOLO POCO FA E RISPONDERE SIGNIFICAVA PUBBLICARE
DOMANI. E NON VOLEVO FARVI ATTENDERE OLTRE. VI
CHIEDO UGUALMENTE SCUSA.
PERò POSSO DIRVI CHE LE LEGGO SEMPRE, ANZI… LE
RILEGGO PER IMPRIMERMI LE VOSTRE DOLCI PAROLE.
LE VOSTRE RIFLESSIONE SU EDWARD MI HANNO AFFASCINATA; ALCUNE DI VOI HANNO PERSINO COLTO NEL SEGNO.
COMPLIMENTI!!!!
VEDRETE CHE TUTTO SI SCIOGLIERà, PROMESSO.
VORREI
RINGRAZIARE CHI HA SEGNALATO QUESTA STORIA PER LE SCELTE, GRAZIE,
GRAZIE, GRAZIE. E’ PASSATO MOLTO TEMPO DA ALLORA E CREDO CHE NON SIA STATA
RITENUTA “ADATTA”… MA VI RINGRAZIO LO STESSO, IL MIO CUORE SI E’ SCIOLTO SOLO
PER VOI.
RINGRAZIO
ANCHE
CHI HA SEGNALATO I MIEI PERSONAGGI PER IL CONCORSO NONOSTANTE IL VOTO IMPLICHI SOLO QUELLI ORIGINIALI.
GRAZIE MILLE ANCORA.
MI AVETE FATTA DIVENTARE UN POMODORO MATURO.
NON MERITO TUTTO QUESTO DA VOI!
RIGUARDO AL CAPITOLO PRECEDENTE…. CREDO CHE SI SIA
CAPITO DA DOVE NASCE L’ASTIO DELLE CUGINE PER BELLA. ERA A QUELLO CHE MI
RIFERIVO QUANDO ALLA FINE VI HO CHIESTO SE QUALCHE DUBBIO SI ERA SCIOLTO.
QUESTO CAPITOLO: ESSO E’ COMPOSTO DA QUATTRO PARTI. HO
VOLUTO MOSTRARE L’INSICUREZZA DI EDWARD. E’ UN ESSERE UMANO ANCHE LUI, E COME
TALE… IN DETERMINATE OCCASIONI E’ INSICURO.
PER QUANTO RIGUARDA I SUOI PENSIERI INVECE, NON POSSO
INSERIRE UN POV MASCHILE PERCHE’ ALTRIMENTI SVELEREI TUTTO. LUI E’ MOLTO
PENSIEROSO ANCHE IN QUESTO… MA BEN PRESTO CAPIRETE PERCHE’ (CREDO MASSIMO DUE
CAPITOLI).
PER L’ULTIMA PARTE INVECE… HO PRESO ME COME ESEMPIO. HO
SPULCIATO NELLA MIA MENTE ALLA RICERCA DI QUEI RICORDI NEI QUALI ERO
“DECISAMENTE” POCO LUCIDA. NON TUTTI REAGISCONO ALLO STESSO MODO ALL’ALCOL,
FORTUNATAMENTE. LO AMMETTO: NELL'ULTIMA PARTE MI SONO DIVERTITA. :-)
VORREI FARE UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A FALLSOFARC CHE MI HA AIUTATA IN ALCUNE DOMANDE DELLE DENALI. E' LA REGINA SADICA DELLA MALIZIA (LEGGETE lezione di seduzione e capirete a cosa mi riferisco!!!!).
HO BLATERATO FIN TROPPO.
SPERO CHE POSSA PIACERVI. ADORO LE VOSTRE RECENSIONI E
SE VOLETE SCRIVERMENE UNA NELLA QUALE MI EVIDENZIATE QUALCOSA CHE TROVATE DI
INCOERENTE, UNA CRITICA… CHE BEN VENGA. MI AIUTERA’ SOLO A MIGLIORARE.
VORREI DEDICARE QUESTO CAPITOLO A MIO FRATELLO MARCO (ignaro del mondo di EFP) AL QUALE DAREI LA MIA STESSA VITA,
OGGI E’ IL SUO ONOMASTICO. TI VOGLIO BENE, AMORE MIO.
VI RINGRAZIO ANCORA.
BUONA LETTURA, VS SAM
CAPITOLO 13
«Sei sicura che questo colore vada bene?»
Ridacchiai poggiando la schiena sulla spalliera della
poltrona e accavallai le gambe. «Di che
colore era lo smoking che avevi messo nella valigia?»
«Nero.»
«Allora sono più che sicura che questo sia perfetto.»
Edward era nel camerino e stava indossando, per
l’appunto, uno smoking nero – con particolari rifiniture in raso - di Giorgio
Armani, un noto stilista italiano. Nel centro commerciale avevamo trovato uno
dei più famosi e rinominati negozi di abbigliamento maschile dalle firme più
svariate e conosciute in tutto il mondo; Alice sarebbe stata profondamente e indubbiamente
fiera della mia scelta.
«Quindi mia sorella si sposa.» Il suo tono, seppure
leggermente precluso dalla cabina, era incerto con una leggera sfumatura di
preoccupazione. «Come ti è sembrata al telefono?»
Sorrisi intenerita. «Conosci Alice. E’ sempre piena di
vita. Era letteralmente su di giri.»
«Ehm… già.» Tossicchiò piano. «Ne sei sicura?»
Ridacchiai sottovoce, un po’ divertita. Non avevo mai
visto questo lato del suo carattere decisamente geloso e protettivo verso la sua unica
sorellina; insomma, un atteggiamento più che ovvio ma ne ero rimasta piacevolmente
sorpresa. «Edward Cullen, sbaglio o è
preoccupazione quella che sento?»
Di sorpresa, spalancò la tendina del camerino mostrasi
imbronciato e... vestito solo per metà: la camicia bianca dal rigido colletto
sollevato era totalmente sbottonata esponendo la bellezza del suo busto nudo e
muscoloso dalla pelle chiara e liscia come il marmo; invece, la patta dei
pantaloni fortunatamente era chiusa
ma quel taglio elegante valorizzava indiscutibilmente le sue gambe atletiche.
«Non sono preoccupato.» Affermò risoluto. «Non ce n’è
motivo perché conosco Jasper dai tempi del liceo, so che la rispetta, che la
ama e che non le farebbe mai mancare nulla…»
Nel mentre di quel suo discorso affrettato ed agitato,
mi alzai dalla poltroncina e lo raggiunsi. Era accigliato e leggermente teso.
«Se non sei preoccupato, per quale motivo ti stai
giustificando?» Replicai con un sorriso.
Era affezionato ad Alice e difficilmente l’ostentava. Edward
aveva abbassato il capo, incapace – o rifiutandosi - di replicare, impelagato nelle sue stesse
parole; cercava disperatamente di infilare i bottoni della camicia nelle rispettive
asole. Era nervoso, lo si notava specialmente dai movimenti delle sue mani e
quei piccoli bottoncini sembrava proprio che ce l’avessero con lui.
Mi sentii un po’ in colpa: non era quello il mio
intento. Ero, sì, divertita e intenerita dal quel suo atteggiamento ma non era
affatto mia intenzione deriderlo su una questione così delicata e personale. Non
lo avrei mai fatto, perlomeno non volontariamente.
Accorciai all’istante le distanza tra noi e sostituii
le sue mani con le mie spostandogliele lateralmente con delicatezza. «Lascia…
faccio io.»
Edward alzò il capo puntando lo sguardo altrove lontano
dai miei occhi. La sua mascella era un po’ contratta e muoveva nervosamente le
sue mani lungo i fianchi stringendole a pugno e sfregando le dita tra loro. Era
la prima volta che lo vedevo così teso e imbarazzato.
Dovevo assolutamente dire qualcosa, chiarire l’equivoco
e alleggerire quella situazione spiacevole che avevo involontariamente creato.
Gli abbottonai il colletto. Tirai un grosso sospiro
prima di parlare. «Edward, è normale essere preoccupati.» Di scatto lui abbassò
la testa abbagliandomi con le sue iridi verdi e profonde.
Continuai ad infilare il resto dei bottoni nelle asole
sfiorando la pelle calda del suo addome. «Mi meraviglierei del contrario.»
conclusi sorridendo.
«Sei una strega.» Mi accusò dolcemente. «Guai a te se
riferisci qualcosa alla nana.»
Teatralmente mi serrai la bocca con una cerniera lampo.
«Sarò muta come un pesce.»
Velocemente si infilò la camicia bianca nei pantaloni;
prese la giaccia nera dello smoking e la indossò. Afferrò la cravatta nera e,
cogliendomi di sorpresa, me la porse. Era tornato sul suo viso quel sorriso
obliquo e malandrino.
Cercai di prenderla ma la tirò subito indietro alzando
contemporaneamente un sopracciglio. «Di che colore è il tuo vestito da
damigella?»
«Per quel che io sappia viola.» Rabbrividii
visibilmente al ricordo: una gigantesca
cipolla, ecco cosa sarei sembrata. L’abito era ancora nella sua custodia –
avevo un certo timore a calare quella lunga cerniera lampo - e speravo vivamente che le sorelle Denali non
avessero apportato nessuna modifica per ‘migliorarlo’.
Edward si portò un dito al mento. «Credi che la mia
cravatta debba essere in tinta?»
Ridacchiai sfilandogliela dalle mani. «Credo proprio di no. Secondo me il viola non
di donerebbe come colore.»
Tirò verso l’alto le punte del colletto della camicia.
«Dubiti del mio fascino? Io sto bene con qualsiasi cosa.»
Il solito sbruffone: un eterno diciassettenne. Tenendo
stretti i due lembi della cravatta con entrambe le mani, con un gesto veloce la
portai oltre la sua testa e lo tirai leggermente in avanti dalla nuca, come le
redini di un cavallo, in modo tale da sciogliergli la posa da finto
presuntuoso. «Pecchi di megalomania, dottor Cullen?»
Mi colse letteralmente alla sprovvista mozzandomi il
respiro dalla sorpresa: mi cinse la vita con un braccio e mi attirò a sé con
decisione. «Avresti qualcosa in contrario?»
Gettai il lembo destro della cravatta sulla spalla
opposto, come una sciarpa. «Non mi permetterei mai.»
Rise divertito scuotendo la testa; allentò la stretta
attorno alla mia vita ma non l’abbandonò. Indicò con una mano la cravatta
attorno al suo collo. «Devo indossarla così?»
Gli abbassai il colletto della camicia stirandolo
elegantemente sulla giaccia nera. Era sexy con lo smoking; più del consentito
per il mio precario autocontrollo. «Per te sarebbe più facile, così non
perderesti tutto quel tempo a fare il nodo.»
Sorrise ampiamente mostrando la sua dentatura bianca e
brillante. «Vuol dire che domani me lo farai tu.»
E te
lo scioglierò anche, se vorrai. No, quello decisamente non era
un pensiero da esporre a voce alta.
«Potrei avere l’istinto di strozzarti.»
Avvicinò il suo viso al mio. I nostri nasi quasi si
sfioravano. «Correrò il rischio.»
«Avete trovato l’abito adatto?» Al suono stridulo della
voce del commesso sobbalzai leggermente ma non mi girarmi, le braccia di Edward
mi impedivano qualsivoglia movimento. Probabilmente ci aveva preso gusto ad
arginarmi in quel modo. Ed io, in fondo, non ero nessuno per lamentarmi.
«Se mi permette signore, quello le calza a pennello.»
Il commesso aveva pronunciato quella che sembrava più
una lusinga stranamente lasciva che una frase standard per ciascun cliente, con
un tono stranamente acuto, in alcuni tratti perfino femminile.
Edward fece una smorfia ed io appoggiai la testa sulla
sua spalla ridendo sottovoce. A quanto pareva il mio fidanzato non affascinava
solo il gentil sesso.
Non riuscii proprio a trattenermi da sussurrargli: «A
quanto vedo hai fatto conquiste. Ho un piccolo dubbio: in questi casi dovrei
mostrarmi gelosa?»
Risentito, mi pizzicò il fianco con le dita. «Sei
proprio una strega… altro che dolce fidanzata.»
E ancora una volta, risi leggera e disinvolta.
Avrei dato qualunque cosa per bloccare il tempo in
quell’istante.
Eravamo seduti l’uno di fronte all’altro in un
ristorante italiano situato non molto lontano dal centro commerciale. Un consiglio
di zia Carmen, che, ancora una volta, mi aveva dimostrato di conoscere perfettamente
i miei gusti. L’ambiente era molto intimo, poco affollato e semplice nel
mobilio, nulla di particolarmente lussuoso.
Un cameriere in camicia bianca e pantaloni neri con un
palmare elettronico tra le mani attendeva la nostra ordinazione.
Edward sbirciò il menu per poco tempo, poi lo chiuse e
lo posò sul tavolo. «Ravioli ai funghi» Mi guardò con un mezzo sorriso
sfacciatamente consapevole. «Per due.»
«Vi porto del vino?»
«Sì, rosso. Grazie.» Rispose con disinvoltura.
Il cameriere assentì, recuperò i menu e si allontanò
dal nostro tavolo.
Alzai un sopracciglio, un gesto a metà tra il sorpreso
e lo scettico. «Come facevi a sapere cosa avrei ordinato?»
Accentuò il suo sorriso sghembo. «E’ il tuo piatto
preferito, no?»
Ero sempre più confusa. «Si ma…»
«Me lo hai detto tu stessa in aereo, non ricordi?»
L’espressione altamente scettica che ricevette da parte mia lo fece ridere di
gusto; non si era offeso. Anzi, sembrava piuttosto divertito.
«Ah Bella… mi hai sottovalutato.»
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio
imbarazzata. «Decisamente.»
Chinò
leggermente il capo in avanti scrutandomi con sguardo beffardo. «Per
cui… possiamo dire che sono riuscito a sorprenderti.»
Nulla di più veritiero. Sorrisi arrendevole.
«Abbastanza.»
Mi fissò con un cipiglio divertito in viso. «Anche come
fidanzato?»
Soprattutto.
«Mmm… forse. Ma devi superare ancora la prova più
difficile.» Il mio tono fu derisorio, quasi ironico ma pochi istanti dopo abbassai
lo sguardo sul tovagliolo ripiegato accuratamente sul piatto – sembrava un fiore,
una calla color avorio – mentre un senso di malinconia s’aggravò sulla mie
spalle. Mancava un solo giorno alla termine della nostra permanenza in Alaska;
una volta giunti a Seattle, tutto sarebbe tornato come prima. Due vite
separate. La mia e la sua.
«Il matrimonio?» Precisò Edward ridestandomi
leggermente dai quei pensieri poco allegri.
«Già.» Un magone di formò all’altezza dell’esofago.
«Il volo del ritorno è previsto per dopodomani a
mezzogiorno.» Lo rassicurai atona, con voce incolore.
Improvvisamente, mi prese la mano giocando con le mie
dita. Alzai di scatto la testa.
Anche lui aveva lo sguardo basso, precisamente sullo
strano intreccio delle nostre mani al di sopra del tavolo. «E’ incredibile che
sia passata già una settimana.» Sussurrò con sguardo pensieroso.
«E’ stato peggio di quanto ti aspettassi?» Lo
punzecchiai pervasa dai rimorsi. Poverino, Alice lo aveva letteralmente
trascinato in quella farsa sfruttando il suo tallone d’Achille: l’orgoglio.
Alzò il capo e sorrise. «No, direi proprio di no. Anzi…
» Lasciò la frase in sospeso.
Ebbi perfino l’istinto di spronarlo a terminare ciò che
aveva iniziato ma giunse il cameriere con la bottiglia di vino rosso tra le
mani, e ci rinunciai. Stappò il tappo in sughero, versò un po’ di quel liquido
rosso nei nostri calici e serbò la bottiglia nel glacette in acciaio con
ghiaccio. Come primo appuntamento sarebbe stato perfetto.
Edward mi porse il bicchiere. «Direi di brindare.»
Afferrai il calice dallo stelo. «Vino rosso? Vuoi per
caso farmi ubriacare?»
Anche Edward, ridacchiando, prese tra le mani il
bicchiere con vino. «No… almeno per il momento.»
Che affascinante sbruffone. «Allora, a cosa brindiamo?»
Ci pensò su qualche istante, poi alzò il capo
incatenando i suoi occhi ai miei. Mi guardò con un’intensità tale che le
pulsazioni del mio cuore accelerarono. Le sue iridi ardevano di una ragione,
purtroppo, a me del tutto sconosciuta. Effettivamente, sapevo poco di lui;
unicamente le cose più futili, di meno importanza.
«Alle persone che ci sorprendono.» Disse Edward facendo scontrare delicatamente
i nostri calici. Il tintinnio del cristallo si propagò nell’aria.
Entrambi alzammo i bicchieri verso l’alto prima di
portarli alla bocca.
A te…
***
Tornammo a casa Denali nel primo pomeriggio dopo aver
pranzato in quel ristorante dalla squisita cucina italiana; eravamo stati
entrambi attenti sugli ingredienti delle portate scelte, sincerandoci
dell’assenza di noci in ognuna di queste.
Quella della sera precedente, era stata un’esperienza
che difficilmente avrei dimenticato. La paura che potesse succedere qualcosa a
Edward aveva preso il sopravvento con talmente tanta facilità che io stessa, in
seguito al recupero di quel poco di lucidità necessaria, me ne meravigliai.
Difficilmente perdevo la calma e non avevo mai avuto, sino ad allora, crisi di
panico.
Sfortunatamente, Edward era in grado di farmi saggiare
tutte quelle sensazioni mai provate che, data la mia inesperienza sul come
dovessero essere affrontante, mi mettevano irrimediabilmente in imbarazzo sia a
livello fisico che psicologico.
Sensazione per me del tutto nuove in quanto mescolate,
incentrate tutte sulla sua persona: panico, gelosia, concitazione, smania di
possesso, perdizione dei sensi… e quel maledetto bisogno fisico che percepivo
ogni qualvolta che i nostri corpi entravano in contatto.
Avevo scioccamente pensato che col passare del tempo l’infatuazione
nei suoi confronti sarebbe finalmente scemata. Che stupida. Mai sottovalutare
un’attrazione, specialmente se questa poi si trasforma in qualcosa di più
profondo.
Sistemai meglio il computer portatile poggiato sulle
mie gambe leggermente ripiegate. Avevo la schiena comodamente poggiata alla
testiera del letto matrimoniale.
Sfiorando il cursore ottico del mio notebook passai
alla pagina successiva del file di scrittura. Avevo ricevuto una mail da
Jessica Stanley, la segretaria personale del dirigente del Daily News, la quale
mi incaricava di stilare una recensione obbiettiva in merito al libro di una
famosa scrittrice: Twilight di Stephanie Meyer, la saga più in voga del momento.
La scadenza dell’incarico prevedeva ben due settimane
dall’arrivo dell’e-mail; infatti, ero in vacanza e pertanto non avrei dovuto
lavorare. Ma Tanya, per quella sera, aveva organizzato l’addio al nubilato per
Kate ed io non avevo alcuna intenzione di andare in qualche nightclub per
ballare sfrenatamente – senza tralasciare la mia avversione per il ballo – e
bere alcolici per diletto. Preferivo di gran lunga lavorare ed incentrarmi
sull’incarico assegnatomi dal giornale.
Edward rientrò dopo un lungo confabulare nel corridoio
con i ragazzi; anche loro avevano preparato qualcosa per Garrent e dubitavo che
si trattasse di una serata ‘tranquilla’ tra gentiluomini. L’addio al celibato
era la prima cosa che gli uomini organizzavano quasi il giorno stesso in cui lo
sposo faceva la proposta di matrimonio alla propria findanzata.
Uomini,
tutti uguali.
Edward si sedette sul ciglio del letto davanti alle mie
gambe rannicchiate. «Sembri concentrata.»
Gli lanciai una rapida occhiata. «Sto leggendo un
romanzo. Una storia d’amore tra un vampiro e un’umana.»
Afferrò la mia caviglia muovendo il circolo il pollice
sull’osso sporgente.«Ma i vampiri non dovrebbero nutrirsi di sangue umano?»
Mi strinsi nelle spalle, cercando di tenere salda la
mia attenzione sullo schermo del notebook anziché sulle sue dita a contatto con
la mia pelle. «Non credo voglia farle del male. Lui sembra quasi innocuo.»
«Forse sta aspettando solo il momento più adeguato.»
Rispose con voce leggermente roca.
Scossi il capo da un lato all’altro in disaccordo.«Non
credo. Sembra perfino intento ad instaurare un dialogo con l’umana. Adesso sono
a pagina cinquanta e stanno facendo un esperimento di biologia.» Sorrisi al
ricordo dei tempi del liceo. «Era una delle mie materie preferite, sai?»
«Anche delle mie.» Rispose Edward chinando il capo.
Gli feci una linguaccia. «Ti avrei dato comunque del
filo da torcere.»
Mi sorrise sghembo e dolcemente arrendevole. Con me era
una lotta continua.
«Come mai ti sei dedicata alla lettura?»
Chiusi per metà il monitor del notebook. «Il giornale
mi ha incaricato di redigere una recensione per questo libro.»
Edward aggrottò la fronte; il suo viso era accigliato. «Fammi
capire. Stai lavorando?»
Non avevo compreso del tutto il significato della sua
domanda perché la risposta sembrava fin troppo ovvia.
Con leggere titubanza risposi: «Teoricamente sì.»
Praticamente, invece leggevo un romanzo per diletto
come spesso mi capitava di fare nella mia casa a Seattle nel tempo libero.
Leggere era uno dei miei passatempi preferiti.
Lui scosse il capo stranamente afflitto. «Non va bene.
Non va proprio bene.»
Allungò una mano e con un gesto secco richiuse il
notebook. Me lo sfilò dalle mani e lo lanciò senza garbo al lato opposto del
letto.
«Ehi!» Mi lamentai risentita. A carponi cercai di
recuperarlo, ma prontamente Edward mi afferrò dai fianchi e mi ritrovai in
pochi instanti incredibilmente supina sul materasso col suo corpo che
sovrastava piacevolmente il mio. Il suo viso era ancora accigliato.
«Quello,» esordì indicando il notebook con il capo «resterà
spento sino al nostro ritorno a Seattle.»
Lo guardai in tralice.«E di grazia, potrei saperne il
motivo?»
Esibì un espressione vincente, come se avesse in pugno
la vittoria. Si sistemò meglio sul mio corpo in modo tale da non pesarmi.
«Sono comoda?» Domandai con malcelata ironia. Certo,
non mi dava alcun fastidio, ma stuzzicarlo era per me un dovere, oltre che un
piacere.
Sorrise furbamente come un adolescente. «Non sai
quanto.»
Percepivo il calore della sua pelle a contatto con le
mie braccia nude. Il suo petto comprimeva il mio, non in modo eccessivo; era
una pressione piuttosto piacevole. Non era la prima volta che ci ritrovavamo in
quella posizione, ma l’attrazione sembrava accresciuta così tanto che l’istinto
di alzare le gambe e circondargli la vita era divenuto prepotente. Non andava
bene.
Inspirai profondamente assimilando la straordinaria
aroma del suo profumo; il mio prediletto afrodisiaco naturale. Edward posò la
mano sul mio fianco, il pollice delicatamente poggiato tra due costole; quel
gesto mi fece riprendere una leggera cognizione della realtà e perdere un ulteriore
brandello di me stessa.
«Punto primo,» iniziò Edward premendo il dito sul mio
fianco suscitandomi una risatina. «Sei in vacanza e ciò significa niente
lavoro. Secondo…»
«Hai due motivazioni? Addirittura?» Lo bloccai con tono
strafottente. Ero succube, impossibilitata nei movimenti ma potevo utilizzare
comunque altri modi per ribeccare e indispettirlo; le parole facevano proprio
al caso mio.
Ad ogni modo, come suo solito, non si scompose;
continuò a sorridere privandomi di quella piccola soddisfazione di essere
riuscita nel mio intento. Era una roccia impenetrabile di sfacciataggine.
«Secondo,» ripeté alzando l’angolo destro delle labbra,
«dovresti pensare più al tuo fidanzato anziché lavorare.»
Oh, ma che simpatico. Sempre pronto a ribattere
sfrontatamente con la sua solita nonchalance.
Alzai le mani e gli poggiai i palmi sui fianchi. Con i
pollici, involontariamente, sfiorai l’incavo delle sue anche. Pelle liscia come
seta e tirata alla stregua di una corda di violino. Quella, era la parte
maschile che più adoravo, incredibilmente sensuale ed eccitante.
Edward trasalì avventatamente e me ne compiacqui. Certi
tocchi non potevano certo essergli indifferenti.
«Ma il mio fidanzato sa adattarsi.» Replicai sorniona.
«Sbaglio o stasera è invitato ad una festa per soli uomini?»
«Anche tu hai una festa.» La sua voce era divenuta roca
e gutturale.
Scossi il capo con fermezza. «No, io non ci vado.»
Alzò un sopracciglio. «Perché no?»
Alzai le spalle. «Non ne ho voglia.» Sperai che con
quella mia risposta il discorso fosse chiuso ma il suo sguardo si fece serio.
«Bella. Non puoi non andarci.» Mi stava chiaramente
rimproverando.
Sapevo cosa sarebbe accaduto se fossi uscita quella
sera con le mie cugine: domande in rapida successione, balli sfrenati
obbligatori e alcolici a sbafo.
Sbuffai alzando gli occhi al soffitto. Negli addii le
bevande alcoliche erano letteralmente obbligatorie; era un modo per brindare.
Non potevo certo ordinare un bicchiere di Coca in presenza delle mie cugine.
Sarei già stata al centro della loro attenzione per tutta la serata e meno
gaffe facevo, meglio era.
Mi morsi il labbro inferiore con nervosismo e
reticenza. «E se mi fanno domande mentre sono brilla?»
Lui sogghignò divertito.«Hai intenzione di ubriacarti?»
Avevo già avuto un esperienza con l’alcol, al college
una sola volta per essere precisi, tutt’altro che salutare e gaia. In quel
frangente avevo comunque esagerato.
Sbuffai sonoramente gonfiando persino le guance. «Quando
bevo alcolici tendo a svelare cose che non dovrei mai dire.»
Nascose il capo nell’incavo del mio collo, trattenendo
l’esplosione di una più che fragorosa risata. Ma, per sua sfortuna, lo sentivo
ugualmente.
«Edward!» Lo ripresi con lo stesso tono che aveva
utilizzato lui per ammonirmi.
«Okay, la smetto di ridere.» Alzò il capo mostrandomi
un espressione totalmente ilare. «La soluzione è semplice: ad ogni domanda che
ti fanno rispondi con il nome di una qualsiasi cosa che ti viene in mente.»
Alzai un sopracciglio. «E questo stratagemma…?»
Sorrise birichino. «Bazzicavo nelle feste di alcune confraternite
nel college.»
«Ah.» Dovevo immaginarlo. «Comunque non berrò, nessuno
mi obbliga.»
Annuii concorde. «Esatto.» Dal tono non mi sembrava
molto convinto. Di nuovo, tratteneva le risate.
«Però è anche vero che nessuno mi obbliga ad andare
all’addio di Kate.»
Mi lanciò un’occhiataccia. «Però tu ci andrai.»
«Non ho alternativa, vero?»
Mi sorrise di nuovo, nel profondo dei suoi occhi notai
un barlume di ironia. «Direi di no.»
Sbuffai, ma questo volta gli soffiai l’aria sul viso.
«Ti odio.»
Accostò le sue labbra al mio orecchio. «Farò finta di
crederci.» La mia pelle vibrò al suo sussurro. La scossa si propagò in tutto il
corpo incentrandosi al centro esatto del mio addome.
Nella mia mente aveva vagato un’alternativa piuttosto
piccante: avrei voluto proporgli di restare in quel letto, certo non per
dormire, piuttosto che andare rispettivamente agli addii dei futuri sposi. In
fondo, la mia alternativa non era poi così maligna. Forse era quel poco di vino
in circolo nel mio sangue a far generare certe pensieri; o forse la causa
diretta era proprio lui schiacciato in quel modo sul mio corpo che sfiorava il
mio collo con la punta del suo naso e soffiava fiato caldo. La mia pelle
vibrava e si surriscaldava sempre di più; perfino la frequenza dei battiti del
mio cuore era accelerata.
Chissà se lui lo percepiva.
«Ma io ero curiosa di sapere come andava a finire il
romanzo.» Sussurrai in preda all’estesi. Qualunque cosa pur di non andare alla
festa di Kate.
Sentii le sue labbra umide posarsi in quella parte
tenera del mio collo, precisamente sotto
l’orecchio. Poco dopo sussurrò: «Secondo me alla fine la morde.»
E morsicò delicatamente la base mio collo improvvisando
un vampiro sanguinario.
- - -
Mi sentivo leggera, fin troppo sinceramente. Avevo la
strana sensazione che se avessi preso a sbattere le braccia lateralmente mi
sarei perfino alzata in volo. Tuttavia, non comprovai questa mia nuova tesi. Le
cugine non mi avrebbero sicuramente vista di buon occhio.
Il locale in cui avevamo festeggiato l’addio al nubilato
si era presentato esattamente come lo avevo immaginato: una pista centrale da
ballo con un palco da defilé, tavoli tondi disposti a semicerchio lungo le
pareti, musica ritmata e luci soffuse che rendevano l’atmosfera particolarmente
calda.
Ahimè, forse la luce non era la sola fonte di calore: i
ballerini, o meglio dire “gli spogliarellisti”,
e i camerieri sexy difficilmente passavano inosservati.
Eravamo pur sempre ad un addio al nubilato. Scrutare
qualche bel fusto era d’obbligo.
Non avevo ballato, ero rimasta tutto il tempo seduta al
tavolo. Le cugine Denali si erano alternate e non certo per farmi compagnia, ma
per pormi per ognuna una moltitudine di domande, purtroppo, tutte con un perno
costante: il mio rapporto con Edward.
Tu
ed Edward vivete insieme?
Limone, sale e giù il primo bicchiere dall’apparenza
piccolo ma dalla sostanza piuttosto forte…
Avete
intenzione di sposarvi?
Boom. Boom. E giù il secondo…
Ti
ha già presentato alla sua famiglia?
Boom. Boom. Il terzo…
Quando
ti ha detto Ti amo la prima volta?
Boom. Boom. Il quarto…
Com’è
a letto?
Boom. Boom. Il quinto…
Preferisce
stare sopra o sotto?
E così via sino a perdere completamente il conteggio
dei bicchierini trangugiati.
La gola tuttora bruciava così come lo stomaco che
sembrava letteralmente in fiamme. Tornammo alla villa in taxi sapendo
perfettamente che gli uomini erano in condizioni peggiori delle nostre, tutt’altro
che idonei a guidare un' auto. E non solo quello.
Varcammo la soglia di ingresso trovando incredibilmente
le luci ancora accese.
Oh.
Oh.
Qualcuno era sveglio.
Dalla cucina sbucò quel qualcuno che , con mia somma
felicità, si rivelò proprio Edward. Le mie labbra si distesero lateralmente, da
orecchio a orecchio. I muscoli facciali quasi dolevano per lo stiramento
eccessivo.
«Ciao Edward!» Esclamai con voce squillante.
«Basta!» Esclamò
Irina sfinita poggiandosi al muro con le spalle. «E’ tutta la serata che ti
nomina; non ha fatto altro che ripete “Edward, Edward, Edward”.» Si portò le
mani nei capelli biondi. «Non ne posso più.»
Ed io che pensavo di aver adottato il mutismo per
l’intera serata!
Il mio fidanzato rise scrutandomi divertito. «Mi hai
preso in parola, eh?»
«Come mai sei già di ritorno?» Domando Tanya in uno
sbadiglio. Io continuavo a guardare Edward sempre con lo stesso sorriso, come
se avessi una paresi facciale.
«Mike si è sentito male, ha vomitato. Probabilmente ha
bevuto a stomaco vuoto. È di sopra, gli altri invece stanno ancora
festeggiando.» Il tono era stato professionale. Che dottore sexy!
Lanciai uno sguardo altamente disgustato a mia cugina.
«Non vorrei essere nei tuoi panni, papera bionda.»
Scrutai i capelli di Irina. Non li ricordavo così
chiari; sembravano quasi bianchi. «Ma sei ossigenata oltre che siliconata?» Le
chiesi realmente curiosa. All’istante sogghignai felice per la rima appena
fatta.
Edward trattenne a stento una risata. L’aveva notata
anche lui! Che bravo! Mi lanciò un sguardo divertito. «Credo sia ora di andare
in camera.»
Annuii con vigore e mi avvicinai alla rampa di scale:
ondeggiavo un poco da un lato all’atro, come se fossi a bordo di una nave, ma
non barcollavo eccessivamente; questo era un punto a mio favore. Edward tese le
braccia nella mia direzione. «Ti serve aiuto?»
Voleva per caso prendermi in braccio?
«Non mi faccio prendere da te.»Portai un dito davanti
al suo viso e lo feci oscillare da una parte all’altra. Accelerai il movimento così
da poter avere una visuale migliore del suo bellissimo volto. «Se mi porti come
un sacco di patate vomito e se mi porti come una scimmia cadiamo. Quindi, salgo
a piedi.»
Aggrappata al corrimano, oltrepassai il primo gradino
della rampa di scale prima col piede sinistro, poi con quello destro.
Edward rise per nulla irritato. «Sì, così arriviamo
domani mattina.»
Gli feci segno di tacere svolazzando una mano in aria.
Improvvisamente mi cince la vita con un braccio. Volsi lo sguardo per un’ultima
volta verso le mie cugine, col migliore sorriso che avessi mai mostrato loro.
Le indicai con la mano facendo un leggero inchino. «Voi tre, a mio avviso, per una buona volta,
dovreste andare proprio a …»
«A DORMIRE.» Concluse Edward al posto mio prendendomi
rapidamente in braccio. Iniziò a salire in fretta le scale.
«Ehi.» Sussurrai con tono arrochito. «non volevo dire
quello.»
Quel bel mascalzone rise. «Lo so, ma è meglio se certe
cose le dici a mente lucida. Fidati.»
Mi accucciai meglio sul suo petto marmoreo. «Okay, domani
lo farò.»
Sogghignò ancora. Il suo profumo entrò nelle mie
narici, prepotente, dolce e afrodisiaco per i sensi.
Giunti al piano superiore, mi consentì di poggiare i
piedi sul pavimento ma le sue mani restarono ancorate sui miei fianchi. «Non ti
ho mai visto ubriaca.»
«Non sono ubriaca!» Obiettai rifilandogli una
linguaccia con le mani sui fianchi, sopra le sue, come mamma Weasley in Harry
Potter. «Ho bevuto solo un po’.»
Entrammo nella nostra stanza e la prima cosa che feci
fu togliermi le scarpe maledette e gettarle malamente sul pavimento.
Odiavo le scarpe e quelle mi avevano fatto male i piedi
per tutta la serata. Cattive!
Edward si sbottonò la camicia e l’appoggiò sul letto.
Strabuzzai gli occhi.
Accidenti, che fisico! Avevo un desiderio quasi
maniacale di affondare le dita negli incavi dei suoi muscoli e mordere quei
quadratini sull’addome. Mi attiravano come il miele per le api. No, come il miele per gli orsi. Le api fanno il miele e gli orsi lo mangiano.
Guardai Edward con un sopracciglio alzato. Sei lui era
il miele… «Secondo te io sono un orso?» In quell’istante, anche l’idea di
ricoprirlo di miele e ripulirlo con la lingua non era poi così male.
Lui esplose in una fragorosa risata. Beh, almeno ero
divertente. «Come mai proprio un orso?»
Ignorai la sua domanda. Ci avrei impiegato troppo tempo
per spiegargli l’intero concetto. «Cosa avete fatto di beeello, stasera?» Avevo
cambiato repentinamente discorso e atteggiamento.
Edward recuperò il pigiama al di sotto del cuscino. «Ho
solo scambiato qualche parola con Newton prima che si sentisse male.»
Alzai un sopracciglio. «Newton, il fisico?»
Rise. «No, Mike il commercialista.»
E allora perché aveva quel cognome se non era un
fisico? Non feci caso neppure a quella domanda. Non era l’ora adatta per certe
elucubrazioni mentali.
Edward era intento ad abbottonarsi la giaccia del
pigiama quando mi sfilai il vestito dalle spalle. Ricadde silenziosamente sul
pavimento e rimasi in biancheria intima nera.
Non potevo certo andare a dormire con quell’abito in
seta. Si sarebbe sgualcito e Alice non mi avrebbe mai perdonata.
Edward alzò lo sguardo e fermò all’istante la sua
operazione. I bottoni all’altezza del petto erano fuori dalle asole. «E’ un
vizio il tuo quello di spogliarsi mentre si chiacchiera, vero?»
Aggirai il letto matrimoniale e presi la sua camicia
tra le mani. Infilai le braccia nelle maniche e con i lembi ancora aperti,
azzerai le distanze tra i nostri corpi, posando le mani sul suo petto.
Sfiorando la sua pelle con i polpastrelli, allacciai i bottoni del pigiama sul
petto. Lasciai sbottonata l’altra metà per carezzare dolcemente l’addome con
le dita. Era liscio e perfetto, proprio come lo avevo immaginato.
«Sei una tentazione.» Sussurrai estasiata.
Edward serrò gli occhi. «Anche tu…» Scosse furiosamente
il capo. «Accidenti a te, Bella!» Alzò lentamente le mani e serrando gli occhi
iniziò ad abbottonare la camicia che indossavo. Inspirò profondamente e spalancò
le palpebre abbagliandomi con le sue iridi verde smeraldo. «…ma non
approfitterò di te.»
Piegai la testa di lato. «Perché?»
Finì di abbottonare tutta la mia camicia, perfino gli
ultimi bottoni; tuttavia le gambe restavano scoperte. Avevo sempre sognato di
dormire con quell’indumento maschile. Un
sorriso felice spuntò sulle mie labbra e feci un giro su me stessa. Ciondolai
da un lato all’altro. Edward mi fermò afferrando le mie spalle e con un
espressione maliziosa mi sfiorò una guancia con il dorso del dito indice. «Solo perché sei ubriaca.»
Maledetto
alcol! Io non ero ubriaca.
Sbuffando, mi gettai sul letto matrimoniale e rotolai nel lato opposto
del materasso. Poggiai la testa su un braccio piegato. «Cosa ti ha detto Mike?»
Edward mi scrutò per un lungo istante, poi borbottò
qualcosa tra sé come “era meglio se anch’io stasera avessi bevuto” e si
stese sul materasso a debita distanza. Era troppo lontano per i miei gusti.
«Mi ha parlato di te.»
«Di me?»
«Sì, esattamente della tua decisione riguardo al New
York Times.» Anche lui si sistemò sul fianco. «Secondo lui qualcuno ti ha influenzata.»
Alle volte delle persone ci sorprendono. Mike era una
di queste. Mi grattai la tempia con un dito. «Allora non è così tonto come
credevo.»
Edward aggrottò la fronte curioso. «Chi ti ha
influenzato?»
Mi gettai supina sul letto e alzai un braccio
osservando le dita sfocate della mia mano. «Mi ha influenzata Alice; in modo
indiretto, naturalmente. Avevo appena trovato una vera amica e sarebbe stato
fin troppo doloroso distaccarmene.» Gli lanciai uno sguardo divertito. «A tua
sorella Mike non è mai piaciuto. Non sai quante volte lo ha preso in giro.»
Ridacchiai al ricordo di Alice che imitava Mike in tutto e per tutto; dalle
movenze da finto snob al tono di voce basso e professionale.
Edward scosse il capo con espressione quasi stralunata.
La solita ruga insita di elucubrazioni, era lì presente sulla sua fronte. Quel
ragazzo pensava troppo!!
Sbadigliai sonoramente. L’euforia stranamente stava
svanendo; mi sentivo sempre più stanca e la testa incominciava a pesare.
Mi girai su un fianco, e strascicando sul materasso mi
avvicinai ad Edward, rannicchiando poi le gambe al petto. Sfioravo appena la
sua anca con il mio ginocchio.
«Posso avvcinarmi a te?» Il mio fu un sussurro timido e
impacciato. «La mattina mi ritrovo avvinghiata al tuo corpo, ma non lo faccio
di proposito, davvero.»
Edward rise dolcemente. «Lo so.» Alzò un braccio ed io velocemente strusciai
sino a ritrovarmi al suo fianco. Mi rannicchiai sul suo petto ascoltando i
battiti del suo cuore. Quella melodia era un calmante per le tempie della mia
testa che iniziavano a pulsare.
Socchiusi gli occhi, or ora tranquilla.«Anche tu sei
comodo.»
Sentii sulla fronte le dita di Edward che,
delicate, mi portavano via dal viso
alcune ciocche sbarazzine. Era dolce come il miele. Ed io ero l’orso.
Il suo petto si muoveva con una cadenza lenta e
costante. Anche lui sembrava rilassato. La stanchezza ormai aveva preso il
sopravvento e l’idea di addormentarmi in quella posizione pareva ai miei occhi
così affascinante che per nessun motivo al mondo mi sarei spostata. Se non
altro, lo avrei fatto solo nel momento in cui fosse stato lui ad allontanarmi.
Non
respingermi.
«Mi sembra così strano.» Nel tono di voce c’era ancora
quella sfumatura di incredulità. «Quindi è Alice la persona che ti ha
influenzata. E’ per lei che hai rifiutato il New York Times.» Sussurrò mentre
mi sfiorava dolcemente i capelli con una mano.
Sbadigliai ancora una volta sul suo petto, tirando i
muscoli delle braccia attorno al suo busto.
«Beh, Alice è la seconda.» Mormorai con occhi chiusi.
Sorrisi nel dormiveglia prima di sussurrargli: «La
prima persona… sei tu.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
14
Blog,
Gruppo FB
Ma
salveeeeee a tutti.
Come
state? Io leggermente incasinata (lo so, questo non giustifica affatto il mio
ritardo! mi dispiace! :-(
Il
mese di maggio è ladro; tra feste, anniversari e quant’altro mi ha portato via
un mucchio di tempo. E, a questo proposito, volevo ringraziarvi dal più
profondo del cuore per gli auguri che mi avete lasciato su FB… non è mai
ricevuti così tanti ed è stato davvero sconvolgente.
GRAZIE
INFINITE A TUTTI!
1.
RINGRAZIAMENTO RECENSIONI: io ho avuto un infarto perché ho ceduto un battito
ad ognuno di voi! Ho ricevuto ben 93 recensioni!!! Io non so davvero come
ringraziarvi. Non avrei mai creduto di raggiungere un tale traguardo, veramente
non credevo nemmeno che ne avrei superate 20 a capitolo, figuriamoci!! Non ci
sono abbastanza parole per ringraziarvi. Mi sento inadeguata e lusingata allo
stesso tempo. E’ una strana ma piacevole sensazione.
GRAZIE,
GRAZIE DAVVERO!
Ho
letto ciascuna recensione almeno un paio di volte e le vostre parole mi hanno
veramente segnata. Parole gentili, dolci, divertenti… non merito così tanto.
Ma
non posso fare a meno di apprezzarle.
“Benvenuti”
ai recensori nuovi.
“E’
un piace rivedervi” a quelli veterani.
E
un “Grazie” profondamente sentito a TUTTI voi.
Lo
so, non vi ho ringraziato abbastanza ma non potete immaginare il mio imbarazzo
in questo momento. Sono un timido puma.
2.
RISPOSTE ALLE RECESIONI: Bravissime! Molte di voi avevano già capito da tempo
la scelta di Bella riguardante il NY Times. I miei complimenti. Forse era
scontata, ciò nonostante spero apprezzabile.
*Ho
terminato il capitolo in un punto critico, ne sono consapevole. Sono stata
cattiva??? Non aggiungete tutte quelle ‘O’ al vostro “NO” perché vi sento!!! Ma
è tutto calcolato, o meglio, programmato.
*Alcune
di voi mi hanno chiesto di Amore Platonico. La risposta è QUI. Avevo pubblicato
tempo fa un post in merito sul blog.
*Per
quanto riguarda la fine di questa storia la mia risposta è No, non terminerà
col matrimonio. Assolutamente! Ho in mente altri capitoli, care!!! La mia
testolina frulla continuamente!!
*Invece
per chi mi ha fatto la domanda sul perché io abbia scelto Twilight come libro e
soprattutto come farà Bella a non notare le somiglianze: il libro nella storia
ha un’utilità marginale (verrà citato solo un’altra volta, sempre in modo
superficiale).
Mi
è servito solo per mostrare un lato di Bella e, perché no, anche di Edward.
Bella non ha mai nominato i personaggi proprio appunto per non creare
confusione. Diciamo che ho voluto sdrammatizzare il tutto col morso vampiresco.
:-P
3.
IN QUESTO CAPITOLO: troverete alcune risposte alle vostre domande.
Il
perché dell’astio con le cugine.
Se
Bella ricorderà qualcosa.
La
reazione di Edward.
Qui
vi sarà solo la prima parte del matrimonio e l’entrata di James. Vi avviso che
avrà un ruolo diverso da quello di Twilight. TOTALMENTE DIVERSO. Forse,
addirittura lo amerete.
IN
QUESTO CAPITOLO, VERSO LA FINE, BELLA FA CIO’ CHE IO AVREI FATTO. PROBABILMENTE
NON TUTTI LO CONDIVIDERETE… SAPPIATE ACCETTO OGNI CRITICA, MI FANNO CRESCERE.
4.
VORREI FARE UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE A:
@Lu
persemprenoi: la mia nuova manager che mi spronerà giorno per giorno a scrivere
i capitoli con mazzate, legnate, frustate, ecc
@Elesunny30:
che mi fa sempre diventare un peperone! E’ la persona più dolce che io abbia
mai conosciuto.
@Shinalia:
perché con le tue storie mi fai sempre emozionare!
@Luis:
grazie a FB ti ho conosciuto di “persona” e sei un’amica stupenda!!!
@Lisa76:
Sei una persona stupenda, è bello poter parlare con te!
@Mirya:
la tua recensione racchiude tutta questa storia, mi hai emozionata. Grazie!
5.
CONSIGLI: nel gruppo di FB ho creato un’area nella quale consiglio alcune
storie: QUI.
Vorrei
farlo anche qui, anche perché alcune autrici purtroppo non le conosco di
persona e di conseguenza non ho potuto chieder loro il permesso per farlo:
@NIENTE
E’ IMPOSSIBILE di Lau_: una oneshot originale bellissima e toccante. Vale la
pena di leggerla.
@DON’T
LEAVE ME ALONE di SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate: aspetto con ansia il nuovo capitolo!!! L’autrice è bravissima!!
@RICOMINCIARE
A VIVERE di CONGY: estremamente toccante.
@FORKS,
STATO DI WASHINGTON di ANALCOLICOBIONDO: una sola parola FAVOLOSA!
6. PER IL RITARDO:
sono perennemente in ritardo, ne sono consapevole. E' brutto andare
ogni volta a rileggere la parte finale del capitolo precedente per
riprendere quello nuovo, so anche questo. Ma io ce la metto tutta. Lo
giuro.
Cerco di essere più
veloce, di scrivere tutto ciò che sento affinché il
capitolo piaccia ma non riesco a velocizzare di molto i tempi. Mi
dispiace davvero tanto per il ritardo. Vi chiedo ancora una
volta scusa.
Credo
che sia tutto per oggi.
Non
mi resta che augurarvi buona lettura.
Au
revoir.
CAPITOLO
14
Qualcuno
- indubbiamente dall’indole sadica e disperatamente perversa - mi stava comprimendo
il cranio con un gigantesco schiaccianoci per puro e cruento divertimento. Quella
sembrava l’unica spiegazione plausibile alla pressione costante che sentivo in
quel esatto momento in ogni punto del mio capo specie alle tempie che, in
aggiunta, pulsavano dolorosamente.
Forse
ero stata investita in pieno da un camion.
Forse
ero inciampata e avevo ruzzolato giù, lungo tutte le rampe di scale di casa
Denali.
Forse
avevo ricevuto di soppiatto una legnata dietro la testa dalle mie cugine ed ero
svenuta.
In
effetti, erano tutte supposizioni più che valide, tranne quella del camion
naturalmente.
Non
mi ero addormentata sul pavimento né al di sopra di una superficie dura, questo
perlomeno era sicuro; la prova tangibile era la consistenza soffice del cuscino
che percepivo a contatto con la mia guancia pressata su di esso – sì,
probabilmente avevo anche un macigno sulla testa. Tuttavia, quella strana
sensazione sembrava più fastidiosa che dolorosa.
«Sta
ancora dormendo.»
E
la voce di Edward al mio udito, stranamente, non era poi così piacevole come la
ricordavo. Sembrava un fastidiosissimo ronzio tutt’altro che sibilato, come
un’ape che ronza vicino ad un megafono supponendo stupidamente che i fori del
microfono siano le celle di un alveare in forma ridotta.
Avevo
un vago ricordo di api, miele e orsi.
«Ma
i preparativi sono già iniziati.»
Se
la voce di Edward era un ronzio, quella di mia cugina Irina era uno stridio di
mille auto contemporaneamente. Decisamente più sgradevole.
«A
che ora verrà celebrata la cerimonia?»
«Nel
primo pomeriggio.»
«Quindi
è ancora presto. Sono solo le otto.» Esitò lui per un attimo. «Quanto ha bevuto
ieri sera?»
Bevuto? Avevo bevuto?
La
risata di Edward che seguì la domanda fu tutt’altro che confortante e mi
indusse a pensare al peggio.
«Sinceramente
non lo so. E’ rimasta tutto il tempo seduta al tavolino, non ha voluto nemmeno
ballare.» Irina fece una pausa per me oltremodo benefica. Poi sbuffò. «D’accordo.
Torno dopo.»
Lo
schiocco della porta ora richiusa risuonò nella mia testa come un eco lontano.
Mi girai faticosamente supina nel letto portando entrambi i palmi delle mie
mani sulle palpebre chiuse. Cercai di riepilogare con la mente l’antecedente
giorno provando a sbrigliare la matassa che avevo attualmente nel cervello: lo
smoking, il ristorante italiano, il manoscritto e… l’addio al nubilato di Kate!
«Dannazione!»
Mi lamentai con voce arrochita e impastata, con la consapevolezza che non purtroppo
non era dovuta solo al sonno.
Ricordavo
vagamente di essere andata al locale e aver bevuto tequila. Il resto era grosso
buco nero. Un vuoto incolmato, o meglio, colmato
dal superalcolico. In fondo, una cosa positiva c’era: finalmente avevo capito perché
avevano aggiunto alla tequila il sostantivo Boom Boom: quello era l’attuale frastuono
che sentivo nella mia testa.
Che
accidenti avevo combinato?!
«Ehi!
Ti sei svegliata.»
Mi
alzai di scatto portandomi una mano alla tempia sentendo il saluto di Edward piuttosto
allegro. Il movimento brusco mi portò un senso di vertigini che mi fece
ondeggiare avanti e indietro. Edward mi afferrò prontamente dalle spalle
evitandomi un’ulteriore ricaduta sul cuscino.
Avevo
ancora gli occhi chiusi, impiastricciati, incollati dal torpore. Feci scivolare
una mano sulle palpebre e le stropicciai con forza. La camera era nella
penombra, le tende bianche erano tirate e il sole filtrava con leggeri sbuffi
corposi. Fortunatamente non dava fastidio alla vista.
Sollevai
la testa con estrema lentezza, timorosa di ritrovarmi puntato addosso uno sguardo
accusatore, deluso, perfino arrabbiato. Ma una volta alzata non vidi nulla di
tutto ciò. I suoi occhi verdi erano sorridenti, luminosi complici di quelle
labbra curvate all’insù.
Abbozzai
un mezzo sorriso, incoraggiata. «Ciao.»
Si
accomodò sul ciglio del letto, in prossimità delle mie gambe coperte dal
lenzuolo. «Ciao.»
Mi
portai nuovamente il palmo alla tempia premendo energicamente. Fu come se quel
semplice saluto, formato da una sola parole, l’avesse gridato a squarciagola direttamente
nei miei timpani. «Non hai urlato, vero?»
Rise
sottovoce. «No, direi proprio di no.» Alzò la mano e mi sfiorò la guancia con
il rovescio di due dita «Come ti senti?»
Corrugai
la fronte. «Mi sembra di avere tanti chiodi conficcati nel cranio e che
qualcuno li stia pressando con un martello pneumatico. E’ possibile?»
«Beh…
sì, se ieri sera hai bevuto tanto.» Aveva abbassato il tono di voce, probabilmente
ora stava bisbigliando. Si sporse in avanti allungando un braccio; dal comodino
accanto al letto prese un bicchiere colmo d’acqua e due compresse di aspirina.
«Nella tua testa non ci sono chiodi quindi come neurochirurgo servo a ben poco.
Però puoi prendere queste. Vedrai che in un paio d’ore il dolore passa.»
Ingoiai
le pastiglie e tracannai l’acqua tutta d’un sorso percependo solo allora l’insopportabile
secchezza della mia gola. Al seguito, tossicchiai infastidita.
Riposai
il bicchiere sul comodino. Mi passai una mano tra i capelli annidati. «Sono un
mostro, vero?»
Mi
lisciò ancora una volta il viso. «Un bellissimo
mostro.»
«Che
simpatico.» Lo ripresi con ironia.
«Cosa
hai bevuto ieri sera?» Domandò con il suo solito sorriso.
Feci
una smorfia. Purtroppo in bocca ne avevo ancora il sapore amarognolo. «Tequila.»
Sogghignò.
Si stava divertendo, e pure tanto. «Quanta?»
«Tanta…»
Un vuoto di memoria. «… almeno credo.»
Non
ricordavo neanche quanto avessi bevuto; di bene in meglio. A quanto pareva la
mia sopportazione dell’alcol non era poi così elevata come avevo ipotizzato.
Anzi, forse per poco non potevo ritenermi astemia.
Edward
alzò un sopracciglio mostrando un espressione chiaramente perplessa. «Non
ricordi nulla?»
Scossi
il capo lentamente memore di dover evitare movimenti bruschi. «Nulla di ciò che
è accaduto dopo la sbronza.»
La
mia risposta lo sorprese, e non poco. Immediatamente mi preoccupai per le
azioni e lo cose dette senza rendermene realmente conto sotto l’effetto
dell’alcol. Spalancai la bocca coprendola con una mano. «Ho detto qualcosa di
stupido?»
L’espressione
del suo viso si addolcì e mi guardò intensamente. «Nulla di stupido.»
Per
un attimo aprì la bocca ma la richiuse poco dopo muovendo il capo da un lato
all’altro. La sua risposta contraddiceva il gesto appena compiuto.
«Allora
ho fatto qualcosa di stupido?»
Gli
sfuggì improvvisamente una risatina. «Non è esattamente il termine che io avrei
utilizzato.»
Alzai
un sopracciglio. Che accidenti voleva dire e soprattutto… che accidenti avevo combinato?! Si accorse
della mia espressione scettica e con una mano indicò il mio busto.
Sbiancai
all’istante terrorizzata! Rimasi pietrificata, immobile nella mia posizione e inabile
nel verificare.
Edward
scoppiò a ridere fragorosamente e, come se mi avesse letto nella mente, sciolse
il mio più grande timore. «Non ti preoccupare, non sei nuda.»
Tirai
un sospiro di sollievo. Un – grosso - problema in meno. Se non ero nuda cosa…
Finalmente
abbassai lo sguardo. Una camicia bianca, ecco cosa indossavo. Al petto era
larga e solo adesso notavo le maniche arrotolate fino ai gomiti. Le srotolai:
oltrepassavano perfino le mani. Decisamente la camicia non era della mia
taglia. Se non era la mia…
Lanciai
uno sguardo rassegnato ad Edward. «E’ tua, vero?»
Annuì
cercando invano di trattenere le risa.
Mi
liberai dalle lenzuola e mi alzai dal letto stiracchiando ogni lembo muscolare
intorbidito. Mi sorse un dubbio più che lecito. «Perché indosso una tua
camicia?»
«Vuoi
davvero saperlo?»
Storsi
le labbra. Esaminai il mio abbigliamento, se così poteva esser definito, e
notai solo allora la trasparenza della stoffa bianca sul petto fortunatamente
coperto da un reggiseno nero – beh, almeno sotto non ero nuda.
Anche
se, in effetti, una parte del mio corpo era denudata: le gambe erano totalmente
scoperte e dal taglio laterale sfiancato della camicia si intravedeva la mia
culottes in pizzo nero.
Mi
strinsi le braccia intorno al busto avvampando. Stranamente la preoccupazione
maggiore non era lo stato attuale ma la conseguenza di questo. Perché indossavo
una sua camicia? «Cosa ho fatto?»
Fece
qualche passo nella mia direzione. «Ti sei spogliata e l’hai indossata.» Lo
disse con ovvietà.
Il
sangue fluì furiosamente sulle mie guance. Deglutii rumorosamente. «Quindi
nulla di preoccupante.»
Lui
rise e ciò mi imbarazzò maggiormente. E pensare che la sera precedente, prima
di uscire, avevo perfino deciso con anticipo di non bere alcolici all’addio al
nubilato di mia cugina. Mi ero auto imposta di non fare niente di stupido.
Sono stata proprio di parola, non c’è
che dire.
Sospirai
pesantemente. La peggiore consapevolezza era che non ricordavo proprio nulla.
Neppure le più piccole cose e se mi sforzavo di farlo il dolore alla testa
tornava prepotente a tormentarmi.
Pertanto
optai per la fuga: decisi di rifugiarmi in bagno e schiarirmi le idee, per
quanto fosse possibile, con l’acqua fredda. Inoltre l’imbarazzo attuale non
aiutava in alcun modo.
«Forse
è meglio se vado a farmi una doccia.» Incedetti verso il bagno ignorando lo sguardo
divertito di Edward.
«Lo
hai fatto in mia presenza. Ti ho abbottonato
io la camicia.» Mi bloccai di spalle a quella sua precisazione maliziosa.
Voleva provocarmi e prendermi in giro?
Lo
guardai con disinvoltura, con scarso risultato naturalmente perché il colore
delle mie guance palesava ogni mia parvenza di emozione «Non è la prima volta
che lo faccio, no?»
Rise
in quel suo modo arrogante e maledettamente attraente. «No, ma è la prima volta
che provi a sedurmi.»
Raggiunsi
il limite dell’imbarazzo. «Cosa ho fatto?» Domandai con voce stridula.
Rise
apertamente. Sembrava più allegro del solito. «E’ vero. Non ti sto prendendo in
giro.»
Mi
rabbuiai. Deve essere stato piuttosto
facile per te non cedere alle mie lusinghe.
Lui
si accorse del mio cambiamento e improvvisamente il suo sguardo mutò, divenendo
più sicuro, come se volesse scrutarmi oltre.
Assunse
la sua solita postura: appoggiato alla cassettiera con le braccia incrociate al
petto e quell’espressione sfacciata in viso. E sebbene ciò comportasse divertimento,
i suoi occhi brillavano di insita determinazione. «La risposta a quello che
stai pensando è no.»
Ridussi
gli occhi a due fessure. «Come puoi sapere ciò che sto pensando?»
«Conoscendoti…
non è poi così difficile da capire.»
«Non
ne puoi essere certo.»
«Hai
ragione, non posso.» Infilò le mani nelle tasche dei suoi pantaloni sportivi.
«Allora perché non me lo dici tu cosa
hai pensato?»
Per
quale motivo?
Perché
avrei dovuto sotterrarmi dall’imbarazzo se quel suo no pronunciato non avesse corrisposto alla mie riflessioni e
avrebbe solamente confermato ulteriormente le mie insicurezze? Insicurezze che
nel profondo quasi tutte le donne hanno: che alcuni atteggiamenti sembrino
goffi piuttosto che seducenti e, di conseguenza, di essere poco attraenti agli
occhi dell’uomo che incondizionatamente si desidera. In poche parole inadeguate.
Il
primo impulso fu quello di sfilarmi la sua camicia di dosso solo per sincerarmi
della sua reazione e cogliere anche la più piccola traccia di emozione. Ma il
coraggio non era una delle mie principali virtù pertanto aprii la porta del
bagno desistendo da quel folle proposito. «Perché preferisco andare a farmi una
doccia.»
Edward
mi sfidò con lo sguardo. «Codarda.»
Gli
feci una linguaccia ed entrai in bagno. Mi chiusi la porta alle spalle e tirai
un lungo e profondo sospiro.
Codarda … e dove sarebbe la novità?
***
Agganciai
le grucce, con gli abiti ancora chiusi nelle custodie, al bordo alto
dell’armadio. Una argentata ed una nera. La seconda corrispondeva alla mia pena
capitale, o morte come dir si voglia; non potevano scegliere colore più adatto.
Con
una curiosità piuttosto insolita rispetto alla mia naturale indole, aprii per
metà la cerniera di quella che conteneva l’abito inseritomi da Alice nella
valigia del povero malcapitato Edward. Dall’apertura intravidi un tessuto blu
oltremare, intenso e raffinato. Infilai una mano e delicatamente ne tirai fuori
un po’ di stoffa. Al tatto era morbidissima: probabilmente di chiffon, alla
luce solare sembrava più traslucida.
Le
capacità artistiche di Alice erano senza uguali. Sapeva che il blu era il
colore che più mi piaceva indossare. Mi faceva sentire a mio agio e, in qualche
modo, bella.
Peccato
che non fosse quello l’abito che avrei dovuto indossare.
Con
un sospiro pesante, colmo di eccezionale coraggio, aprii l’intera cerniera di
quella nera. Dall’apertura spuntò della stoffa violacea e con un po’ di sforzo
sfilai del tutto la custodia da esso. Fu come un’esplosione: il vestito era
stato letteralmente pressato e, una volta fuori, si era gonfiato come pane
lievitato. Era in tulle, per cui meno morbido e poco cedevole rispetto
all’altro abito, interamente ricoperto di balze. Un cipiglio contrariato si
formò sul mio viso: non ricordavo che erano così tante. Ne avevo aggiunte
sicuramente altre.
Che gesto premuroso.
«Wow.»
Spaventata
dall’esclamazione improvvisa, mi girai di scatto: Edward era alle mie spalle
con una tazza di caffè tra le mani che scrutava attentamente l’abito da
damigella.
Feci
una smorfia. «Spaventoso, eh?»
Lui
rise. «Un po’. Sembra…»
Gli
sfilai la tazza dalle mani. «Una gigantesca cipolla?» Sorseggiai un po’ di
caffè.
Incrociò
le braccia al petto e mi lanciò un’occhiata divertita. «Non sei solo una ladra
di camicie. Mi rubi pure il caffè e l’accappatoio.» Accompagnò l’ultima parola
abbassandomi il cappuccio dell’indumento da me rubato e indossato. Mi ero resa
conto di aver dimenticato nella stanza il mio di accappatoio solo mentre ero
già sotto la doccia. Avevo immaginato che quell’unico presente in bagno fosse
suo. Ne avevo avuto la conferma una volta indossato: era pregno del suo
profumo.
«E’
tuo?» Domandai con finta ingenuità. Lui alzò un sopracciglio.
«Scusa.»
Mormorai e celai un sorriso dietro la tazza.
Edward
me la sfilò velocemente dalle mani prima che potessi bere ancora un po’ di
caffè. «Che bugiarda. Non sei per niente dispiaciuta.»
Risi
divertita indisponendolo maggiormente; la prese come una sorta di sfida. Come
avrebbe fatto ogni uomo, d’altronde.
«Ti
diverti a prendermi in giro, eh?»Appoggiò la tazza sulla cassettiera e con un
gesto secco e inaspettato afferrò i bordi della mia cintura in spugna stretta
in vita attirandomi a sé.
«Sai,
potrei riprendermelo all’istante se volessi.»
Sbiancai
sul momento strabuzzando gli occhi. Se avessi avuto qualcosa addosso al di
sotto dell’accappatoio probabilmente lo avrei fatto io stessa per reagire alla
sua provocazione ma… diamine, ero appena uscita dalla doccia e sotto ero nuda!
Edward
rise bello e sfrontato, divertito per un qual strano motivo. «Dalla faccia che
hai fatto sembra che tu non abbia nulla sotto.»
Senza
rendersene conto, aveva colto nel segno. Se ne accorse probabilmente dal mio
viso, ancora impietrito e imbarazzo.
Lui
deglutì a vuoto la saliva scrutandomi dall’alto verso il basso. «Ah.»
«Già.»
Risposi con una leggera nota trionfante nella voce. Non era rimasto
indifferente a quell’osservazione, e se da un lato provavo imbarazzo, dall’atro
ero leggermente compiaciuta. Non era certamente facile cogliere Edward di
sorpresa. «Sono appena uscita dalla doccia, è normale che io sotto sia nuda.»
Ed
era ancora più difficile cavalcare quell’onda più del tempo concesso. Ti concedeva
solo di alzarti in piedi sulla tavola da surf, perché il mare in poco tempo ti
avrebbe comunque travolto.
Edward
era l’onda, io la povera surfista desiderosa di dominarlo sino alla riva.
Quel
sorriso furbo che gli era spuntato sul viso, purtroppo, ne era la prova
inconfutata.
«Se
vuoi posso aiutarti a vestirti… come dovrebbe fare un bravo fidanzato.»
Che
scaltro e sexy provocatore. Alzai un sopracciglio. «E sentiamo, cos’altro
dovrebbe fare un bravo fidanzato?»
Ondeggiò
il capo da un lato all’altro facendo una smorfia. «Per esempio baciare più
spesso la propria compagna.»
Lo
sbuffo scocciato da parte sua che ne seguì mi fece arricciare le labbra,
offesa. Si sentiva obbligato? Lo riteneva un supplizio?
Incrociai
le braccia al petto più indispettita di quanto volessi realmente dimostrare.
«Non devi…»
Troncò
le mie parole tirandomi a sé energicamente. Mi circondò la vita con un braccio
sollevandomi di qualche centimetro dal pavimento. Mi si spezzò il fiato in gola
quando mi ritrova il suo viso ad una spanna dal mio.
Sorrise
dopo aver intrufolato una sua mano nella mia chioma bagnata. «Credo proprio che
oggi lo farò.» Prima che potessi ribattere o rifilargli un pugno per l’insulto,
le sue labbra furono sulle mie con voracità. Si modellarono perfettamente alla
mia bocca. Erano morbide e deliziose come un dolce muffin al cappuccino,
sapevano di caffè. Accentuò la stretta attorno alla mia vita con un braccio
arpionando una mano al mio fianco, l’altra invece scivolò sulla mia nuca
sospingendo il mio capo per un contatto più profondo.
Ormai
non comprendevo più la natura di quei suoi gesti inaspettati - se avessero un
significato di fondo o fossero solo frutto di un desiderio momentaneo - né mi
preoccupavo di rifletterci sopra più del dovuto. Avevo già deciso di godermi i momenti e le
emozioni così come si fossero presentate e nulla mi avrebbe fatto cambiare
idea.
Tuttavia,
le nostre lingue non si incontrarono perché prima che ciò potesse accadere gli
morsi il labbro inferiore con forza; il desiderio era tanto ma se avessi approfondito
quel bacio difficilmente avrei trovato la forza per fermarlo.
Allontanò
velocemente le sue labbra dalle mie non lasciando comunque la presa sui miei
fianchi. Si passò la lingua sul labbro segnato dai miei denti e sorrise.
«Ero
sicuro che in modo o nell’altro me l’avresti fatta pagare.»
Ignorai
quella sua frase beffeggiatrice. «E questa cos’era, una prova?» Domandai col
fiato corto.
Mi
massaggiò la nuca con tocchi leggere e circolari, provocandomi una pioggia di
brividi.
Accostò
le sue labbra alle mie. «Sì ma credo di averne bisogno di altre.»
La
porta della nostra stanza fu improvvisamente spalancata. Edward mi lasciò la
vita permettendomi di poggiare nuovamente i piedi sul pavimento. Mi girai
lentamente scorgendo sull’uscio la figura di mia cugina Irina con le braccia
incrociate sotto al seno e tanti bigodini in testa. «Allora sei sveglia.»
«Sono
sveglia.» Mi sistemai l’accappatoio dal quale si intravedeva leggermente la
base del mio collo e un po’ di decolté. La scena ai suoi occhi doveva sembrava
piuttosto indecente e ciò mi fece sogghignare.
Alzò
il mento indispettita come una pianta di cactus. «Allora muoviti, non c’è tempo
da perdere.» Uscì dalla stanza a passo di marcia.
Lanciai
un’occhiata obliqua ad Edward. «Sembra più stizzita del suo solito, non trovi?»
Lui
rise. «Forse perché ieri le hai detto che oltre ad essere siliconata è anche
ossigenata.»
Spalancai
gli occhi . «Sul serio?»
Annuì,
anche lui divertito. «Sì e hai anche dato della papera a Tanya.»
Esplosi
in una fragorosa risata sotto lo sguardo disorientato di Edward. L’idea di aver
schernito in quel modo le mie cugine mi rallegrava in un modo piuttosto bizzarro
e pressoché assurdo. Dovevo essere pentita o almeno dispiaciuta, ma l’unica
cosa di cui sinceramente mi rammaricavo era che purtroppo non ricordavo nulla
di quanto era accaduto.
Tutto
sommato, a quanto pareva, la serata non era andata poi così male.
***
Temevo
che se fossi rimasta sola sotto le mani esperte
delle mie cugine, in un modo o nell’altro, si sarebbero vendicate. Ma la
tensione nella stanza della futura sposa era così alta e palpabile nell’aria
che non si accorsero nemmeno del mio arrivo. Tanya smaltava le unghie alla
sorella Irina mentre un’acconciatrice si occupava di Kate, imbalsamata su una
sedia posta di fronte alla specchiera. Era visibilmente nervosa: gli occhi
erano leggermente sgranati, seguiva distrattamente l’operato della parrucchiera,
inspirava ed espirava con bocca e naso, come insegnano alle donne incinte in un
corso pre-parto.
Fortunatamente
le mani che si occuparono della sottoscritta furono quelle di zia Carmen, come
ai vecchi tempi. Anche lei era nervosa - d’altronde, era normale per la mamma
della futura sposa – e, a detta sua, quei piccoli incarichi erano un’immensa fonte
di distrazione. Sfruttava il tempo come meglio poteva.
Arricciò
ogni ciocca dei miei capelli con infinita pazienza. Al termine li raccolse
lateralmente con svariate forcine impreziosite con perline bianche e turchesi;
i boccoli ricadevano morbidi sulla schiena. Un’acconciatura semplice e raffinata.
Ebbe perfino la pazienza di truccarmi il viso con colori tenui e naturali.
Nulla di eccentrico.
Quindi
l’unica pecca era il vestito che, attualmente, stavo cercando disperatamente di
abbottonare. Già era stato difficile infilarlo dalle gambe perché ogni balza
era un intralcio, e sebbene dall’apparenza sembrasse ampio la fodera interna
era piuttosto stretta, figurarsi chiudere la cerniera lampo sulla schiena. Il
tulle si incastrava tra i denti di sutura bloccandone la salita.
Ero
nel bagno della mia camera da letto, non potevo chiamare nessuno perché erano
tutti intenti ad ultimare i preparativi. Ma inaspettatamente la porta del bagno
si aprì e spuntò il mio salvatore. Edward si bloccò sull’uscio guardandomi con
un cipiglio indefinito in viso.
Aveva
indosso solo la camicia la cui parte inferiore era nascosta nei pantaloni; e
sebbene mancasse ancora la giacca appariva già altamente elegante. La cravatta
era sciolta e penzolante al collo.
Era
bello, e sexy.
«Grazie
al cielo.» Sospirai, sollevata.
Alzò
un sopracciglio. «Tutto bene?»
Arrossii
leggermente quando appresi la mia attuale condizione davanti ai suoi occhi:
sorreggevo il vestito dal seno mentre le mie spalle – e giù fino a metà
fondoschiena – erano del tutto scoperte. «Mi… mi potresti aiutare ad alzare la
cerniera? Da sola non ci riesco.»
Edward
sorrise. «Ai suoi ordini.»
Mi
si posizionò dietro e con fare delicato tirò su la cerniera sfiorando
ripetutamente la mia pelle con le dita. Trattenni il respiro per tutto il
tempo.
«Lingerie
blu?» Chiese in un sussurro una volta che ebbe terminato.
Arrossii
maggiormente. Come biancheria intima avevo scelto un corpetto in pizzo blu privo
di spalline, di media lunghezza che sfiorava solo la parta alta dello stomaco, e
una culottes molto sgambata dello stesso colore.
«Era
in un sacchetto, all’interno della custodia che Alice ha nascosto nella tua
valigia.» Chiarii. «In questa settimana tua sorella ha volutamente compromesso
la mia pazienza, ne sono più che certa.»
Nel
frattanto presi una collanina dal piccolo portagioie da viaggio. Era un regalo di
Alice per il mio compleanno: un girocollo in oro bianco di Tiffany con cinque
pietre azzurre in zircone. Sottile ed elegante, per nulla appariscente.
«Io
credo che abbia voluto compromettere più il mio autocontrollo. » Ribatté
pensieroso.
La
sganciai e la portai dietro al collo quando Edward sostituì le mie mani. «Lascia,
faccio io.»
«Grazie.»
Sussurrai.
Poi
gli lanciai uno sguardo malizioso. «Perché, necessitavi di autocontrollo?» E nel
frattempo indossai gli orecchini.
Edward
agganciò la collana, poi si inclinò lasciando un fugace e morbido bacio sul
collo. «Più di quanto tu possa immaginare.» Mi venne la pelle d’oca. Dal
riflesso dello specchio del bagno notai l’inclinarsi delle sue labbra in un
sorriso colmo di consapevolezza. «Anche se credo di averlo definitivamente
perso.»
Presi
anche il braccialetto e con un sorriso ne approfittai facendomi agganciare
anche quello.
Edward
rise leggermente divertito. «Servizio completo, eh?»
«Sei
o non sei un bravo fidanzato?»
Lui
alzò gli occhi infiammandomi con il suo sguardo. «Hai ragione.»
Nel
momento in cui concluse il suo piccolo incarico, impugnai i lembi della sua
cravatta nera ed iniziai ad annodarla. Incrocio, giro e intreccio. Era come
andare in bicicletta; una volta che impari non lo dimentichi più.
Edward mi lasciò fare scrutando il mio viso. E
nonostante fossi concentrata sulla cravatta sentivo quel suo sguardo addosso
bruciare come fuoco. «Ti sei truccata. Stai bene.»
Oltremodo
imbarazzata e forse anche un po’ lusingata, tacqui e tirai verso l’alto il nodo
e lo posizionai perfettamente al centro del colletto.
Lui
poggiò le sue mani sui miei fianchi, sorridendo. «Nessuno strangolamento?»
Gli
lisciai la cravatta sul petto con una mano. «Per adesso no. Magari più tardi.»
Uscii
dal bagno al seguito di Edward e mentre lui si infilò la giaccia io indossai
dei semplici sandali argentati fortunatamente dal tacco non esageratamente
estroso.
Quando
alzai lo sguardo Edward fece un giro su se stesso a braccia aperte. «Come sto?»
Aggrottai
la fronte. Era quasi perfetto: mancava l’ultimo tocco femminile.
Alzai
la mano sotto il suo sguardo curioso. «Aspetta.»
Sfilai
una piccolissima orchidea dal buchette da damigella. Feci il grossissimo errore
di velocizzare il passo per raggiungerlo; inciampai nel vestito ma prima ancora
che potessi toccare il pavimento con il viso, le braccia di Edward prontamente
mi sorressero. Così mi ritrovai avvinghiata al suo petto; il suo profumo mi
invase le narici. Fu intenso e piacevole.
Mi
drizzai con una smorfia di disappunto. «Cadrò un infinità di volte prima della
fine di questa giornata.»
Edward
rise divertito deridendomi ulteriormente. Non potevo certo biasimarlo; in
fondo, anch’io avrei riso se non l’avessi visto come un vero e proprio
problema.
Gli
sistemai l’orchidea nell’apposita asola del risvolto. Successivamente gli
stirai la giaccia con le mani. «Ora sei perfetto.»
Si
distanziò di qualche centimetro dal mio corpo e mi osservo da capo a piedi.
«Anche tu.»
Ah ah.
«Sì,
certo. Come una perfetta cipolla.»
Sbuffai agguantando il buchette. «Andiamo prima che cambi idea e me la svigni
come una ladra.»
Edward
mi porse elegantemente un braccio come un uomo d’altri tempi. Mi aggrappai
osservandolo con un sopracciglio inquisitorio. «Non mi farai cadere, vero?»
«Per
adesso no. Magari più tardi.»
Stesse
parole. Stesso tono beffardo. Stesso sorriso.
***
Il
corridoio era in delirio. Zia Carmen lo attraversava frettolosamente invertendo
più volte la rotta, come se soffrisse di amnesia a brevissimo termine e
dimenticasse continuamente la sua meta. Irina, invece era appostata davanti
alla stanza di Kate. Sembrava nervosa: sbuffava e sbatteva continuamente la
punta del piede sul pavimento.
Qualche
secondo dopo, dalla camera uscì Tanya, un po’ agitata e pensierosa. Le
raggiunsi analizzando attentamente i loro abiti. Erano dello stesso identico
colore del mio, un viola piuttosto accesso - che con la loro chioma bionda si
sposava perfettamente a differenza della mia castana - ma si differenziavano
tra loro per alcune particolarità alquanto rilevanti.
L’abito
di Irina aveva una sola spallina e le balze erano almeno la metà di quelle
presenti sul mio vestito; quello di Tanya invece, aveva due spalline sottili e
pochissimi strati di velo, ancora meno della sorella. Avevano graduato gli
abiti per spalline e balze, rifilando alla sottoscritta quello più agghiacciante
dei tre. In fondo, quelli da loro indossati non erano poi così sgraziati anche
se il colore non rientrava propriamente nei miei gusti.
Incrociai
le braccia al petto e lanciai loro un’occhiataccia gelida. «Mossa astuta, i
miei complimenti.»
Tanya
accennò un mezzo sorriso poi si rivolse alla sorella. «Io vado ad avvisare il
pastore di ritardare la funzione di qualche minuto, tu cerca di convincerla.»
Si allontanò senza degnarmi di un ulteriore sguardo.
«Cosa
è successo?» Domandai ad Irina.
Lei
sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Non lo so. All’improvviso Kate si è agitata
e si è chiusa in camera.»
«Forse
è solo un po’ d’ansia.» Le feci notare. Probabilmente era in preda al panico
per il matrimonio; un particolare che d’altronde accomuna molte donne.
«Può
darsi, ma sta di fatto che non vuole uscire.» Incalzò con fin troppo foga.
Afferrò la maniglia aprendo leggermente la porta. «Ora mi sente.»
Le
strinsi prontamente un braccio strattonandola lontano dalla porta. «Irina, in
questo modo non l’aiuti per niente.»
Mai
cugina era letteralmente priva di tatto; avrebbe peggiorato solo le cose
adirandosi con la sorella. Kate aveva bisogno che qualcuno la rasserenasse, e
la incoraggiasse a compiere un passo così importante. Era perfettamente
giustificato il suo stato, ed io non riuscivo proprio a gioirne. Mi rammaricava
perché, nonostante i dispetti ricevuti, quello era un giorno magnifico, considerevole
che avrebbe sempre ricordato nella sua vita, e per nulla al mondo doveva essere
rovinato. In fondo, Kate era parte della mia famiglia.
Tirai
un grosso sospiro. «Lascia provare me.»
Irina
mi rivolse un espressione scettica alzando un sopracciglio. «Tu?»
«Certo.
Io.» Sostenni il suo sguardo. «Tu invece cerca di essere utile una buona volta;
scendi al piano inferiore e tranquillizza i tuoi genitori. Io parlerò con tua
sorella.»
La
lasciai lì, immobile e un po’ sconcertata dal mio tono piuttosto autoritario, e
senza attendere una sua replica entrai nella camera da letto di Kate
chiudendomi la porta alle spalle.
Mia
cugina era in piedi nella sua posa rigida davanti ad uno specchio da terra con
rifiniture in ferro battuto come la struttura del suo letto molto più fiabesco
di quanto ricordassi. Le braccia erano piegate e perfettamente saldate sul
bustino candido che indossava. Costretta
in quell’abito da sposa sembrava una grossa meringa: la gonna era
incredibilmente voluminosa, a doppio strato, di cui quello superiore raccolto a
mezza altezza con fiori rosa pallido che richiamavano le rifiniture del bustino
al di sotto del seno.
L’espressione
del suo viso delicatamente colorito dal makeup era indecifrabile: fissava la
sua immagine riflessa nello specchio ma sembrava distante, persa in chissà
quale pensiero.
«Kate»
la richiamai cauta, facendo qualche passo nella sua direzione.
«Non
sono pronta.» Il suo fu solo un sussurro debolissimo e tremolante. «Non sono
pronta.» Ripeté ancora una volta.
«Kate,
è naturale che tu sia ansiosa.»
Lei
mi guardò dal riflesso dello specchio. «Tu cosa ne sai di matrimoni?»
Sorrisi
mestamente. «Mia madre si è risposata; ero presente il giorno del suo
matrimonio.» Il mio tono fu più amareggiato di quanto volessi realmente
mostrare. Col matrimonio di Renée erano crollate tutte le mie speranze di
rivedere insieme i miei genitori. Quel giorno fui combattuta dalla felicità
ritrovata di mia madre e la tristezza interiore che covavo ormai da tempo. Ero
solo un adolescente, ma ricordavo tutto, perfino lo sconforto negli occhi di
Charlie nei giorni a seguire.
Kate
si girò lentamente. Sembrava angosciata. «Com’è stato?» Mi chiese gentilmente.
Mi
accomodai sul ciglio del letto. «Direi strano.»
«Perché
si sono separati?»
«Zia
Carmen non te ne ha mai parlato?»
Mi
raggiunse accomodandosi al mio fianco. «A dire il vero, non le ho mai domandato
nulla in proposito.»
Iniziai
a parlare. «Erano troppo giovani quando si sono sposati. Hanno avuto me neanche
dopo un anno di matrimonio.»
«E
cosa è successo dopo?»
«Semplice:
Renée ha capito che quella non era la vita che voleva condurre ed è andata via
da Forks portandomi via con se, lasciando Charlie da solo.» Verso la fine, il
mio tono involontariamente si indurì perché non condividevo e giustificavo
affatto il nostro abbandono improvviso nei confronti di mio padre. Non lo
meritava.
«Mi
dispiace.» Sussurrò Kate. «Non è stata una buona madre?»
Giocherellai
con il bracciale al mio polso. Non era un discorso che mi piaceva affrontare.
«Diciamo che non è stata molto presente. Ha un modo tutto suo di fare la
mamma.»
Mia
cugina si torturò la mani strette in grembo, con aria in pena. No, non potevo
gioire del suo stato. Non era la Kate che conoscevo e, in quel momento, sembrava
scoperta, senza difese. Con un po’ di coraggio le presi le mani, un gesto mai
fatto che la sorprese non poco.
«Cosa
ti preoccupa?»
Lei
si morse fortemente il labbro. «E se
Garrent un giorno si rendesse conto di non amarmi più e aver commesso il più
grande errore della sua vita sposandomi? E se sarò una pessima madre per i
nostri figli? Se…»
«Kate.
Kate calmati.» Si stava agitando; aveva iniziato a respirare affanno.
Incrementai la presa sulle sue mani. «E’ normalissimo avere delle incertezze
sul futuro. Nulla è prestabilito o certo nella vita.»
Lei
strabuzzò i suoi lucidi occhi azzurri. «Ma-»
«Ma
non per questo devi fermarti.» Le accarezzai le mani e le sorrisi dolcemente. «Ed
io non credo proprio che tu possa dubitare dell’amore di Garrent. E’ completamente
pazzo di te.»
Fece
una smorfia. «Ma non so cucinare.»
«Imparerai.
Hai una madre che è una cuoca straordinaria, io ho imparato da lei.»
Mi
guardò intensamente. «E’ stata una seconda mamma per te, vero?»
Sorrisi.
«Sì. Ogni qualvolta che Renée usciva di casa per incontrare, a suo tempo, il
misterioso Phil, zia Carmen mi insegnava sempre qualcosa di diverso.»
«Mi
dispiace.» Sussurrò di nuovo, spiazzandomi completamente: sembrava così sincera.
«Sai, da bambini si tende ad arginare e proteggere l’affetto dei propri
genitori. È una sorta di gelosia che poi si protrae nel tempo.»
Le
sorrisi più che ricocente. «Non fa niente. In fondo, tra cugine i dispetti sono
più che normali. Accade perfino tra sorelle.»
A
quell’ultima affermazione lei rise ricordandosi forse di qualche bisticcio
avvenuto con Irina e Tanya.
Lo
sguardo mi cadde sull’orologio a cucù appeso al muro. Era tardi. Tutti al piano
inferiore aspettavano l’entrata in scena della sposa. «Ora credo che sia giunto
il momento di percorrere la navata e raggiungere il tuo uomo.»
Kate
inspirò profondamente un paio di volte. Sembrava più calma. «Ho la gola
secchissima.»
«Aspetta,
ti prendo un bicchiere d’acqua.» Mi alzai di scatto dal letto e mi diressi
verso il tavolino ma nel tragitto inciampai ancora una volta nel vestito e
rischiai di cadere. Mi aggrappai, fortuitamente, alla sedia. «Accidenti!»
Kate
rise. «Quel vestito non ti permette molti movimenti.»
Mi
raddrizzai lisciando, per quanto fosse possibile, la stoffa. «No, direi proprio
di no. Questa è la seconda volta che rischio di cadere.»
«E
non potrai nemmeno ballare con Edward.» Si alzò velocemente dal letto e mi
raggiunse. Con una smorfia, mi toccò l’abito. «Ha troppe balze.»
Non
potevo essere più che concorde. Alzò lo sguardo sfoggiandomi un sorriso nuovo,
mai visto. «Cambialo.»
Strabuzzai
gli occhi. «Cosa?»
«Hai
portato con te un abito elegante?»
«Sì,
ma non è dello stesso colore.» Risposi con leggera titubanza.
«Oh,
ma non fa niente!» Si strinse delicatamente nelle spalle.. «Almeno, sei io
fossi in te lo cambierei.»
«Grazie.»
Recuperai il suo bouquet dalla scrivania e glielo porsi. «Ora però
sbrighiamoci, non vorrei che lo sposo avesse un attacco di panico non vedendoti.»
Lei
rise leggera. «Ne dubito. Gli uomini sono emotivamente più forti.»
«Io
non ci giurerei.»
Finalmente,
uscimmo insieme dalla stanza. Per me quella rappresentava una piccola e
piacevole vittoria. Probabilmente una vera e propria svolta.
Al
di fuori, nel corridoio, ci attendeva una concitata zia Carmen che non appena
ci vide si aprì in un meraviglioso sorriso. Le lasciai parlare ed io intanto mi
diressi nella mia stanza per cambiare l’abito da damigella.
In
pochissimo tempo mi infilai quello confezionatomi da Alice. Era proprio come lo
avevo immaginato: lungo fino ai piedi dal bordo svasato e delicatamente
rifinito, dalla morbida stoffa blu e cedevole sulle curve, impreziosito da una
semplice fascia in argento che cingeva il mio busto al di sotto del seno e
saliva coprendo una sola spalla, lasciando l’altra totalmente scoperta. Mi
sentivo a mio agio in un vestito elegante. A dir poco incredibile.
Afferrai
il bouquet di orchidee dal letto e uscii frettolosamente sopraggiungendo
nell’affollato corridoio, quando al suono di una voce tremendamente familiare
alle mie spalle, mi fermai in cima alle scale mentre un sorriso incurvava le
mie labbra.
«E
pensare che tu eri quella che odiava i vestiti eleganti.»
Mi
gettai all'istante fra le sue braccia che prontamente mi strinsero
trasmettendomi un ineguagliabile calore familiare.
«James!»
Dio,
quanto mi era mancato.
RINGRAZIO INFINITAMENTE LA MIA SORELLINA LAU_TWILIGHT PER QUESTA BELLISSIMA IMMAGINE
(IL SET DI BELLA):
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
15
PORGERVI
LE MIE SCUSE SAREBBE BANALE, INUTILE, FIN TROPPO SCONTATO E SPECIALMENTE NOIOSO
MA, PURTROPPO, NON POSSO FARE ALTRIMENTI.
MI
AFFOGHEREI NELLA CENERE SE POTESSI… NE RACIMOLERò UN PO’ PER SICUREZZA.
SONO
IN RITARDISSIMO, NE SONO CONSAPEVOLE PERO’ PURTROPPO PER ME GLI IMPEGNI SI
AGGIUNGONO SEMPRE:
COME
PER ESEMPIO…
-
GUARISCE IL FRATELLO E SI AMMALA IL MOROSO. NON SO COME HA FATTO, E’ STATO UN
MESE INTERO IN CASA, ED IO CON LUI A
FARGLI COMPAGNIA, CON LA BRONCONPOLMITE. D’ESTATE!!!
-
L’IDEA FOLLE DI FARE A SETTEMBRE IL TEST PER L’UNIVERSITA’ (nonostate io mi
senta incompatibile con lo studio)
-
L’ASSENSA DEL MIO PC A CAUSA DI RISTRUTTAZIONI A CASA (GIUSTO LA MIA STANZA NON
DOVEVA ESSERE FUNZIONATE, E CHE PIFFERO!)
-
L’INSICUREZZA IN TUTTO Ciò CHE SCRIVO. QUESTA PURTROPPO MI LOGORA.
E
PROPRIO PER QUESTO VOLEVO RINGRAZIARE:
-CHI
MI HA SOSTENUTA IN TUTTI I MODI POSSIBILI (TWITTER, MSN, FB);
-CHI
HA SOPPORTATO OGNI MIO SCLERO;
-CHI
HA MOSTRATO NEI MIEI CONFRONTI UNA COMPRENSIONE DEGNA DI SANTIFICAZIONE;
-CHI
MI HA MANDATA GIUSTAMENTE A FANCULO (A VOCE, A MENTE PERFINO CON LE BAMBOLINR
VUDOO)
-CHI
MI HA STROZZATA MENTALMENTE E VIRTUALMENTE OGNI GIORNO PER IL MIO RITARDO.
-CHI
CONTINUERA’ A SEGUIRMI NONOSTANTE TUTTO.
UN
GRAZIE SPECIALE A Ladycate95 E Marikina.
ENTRO
MARTEDì PROSSIMO PUBBLICHERO’ UNA SORPRESINA PER FARMI, IN PARTE PERDONARE, E
IL PROSSIMO CAPITOLO ARRIVERà PRESTO. E’ GIA’ IN FASE DI STESURA E NON SARA’
MOLTO LUNGO. NON VI FARO’ PIU’ ASPETTARE COSì TANTO TEMPO… A COSTO DI RIMANERE
SVEGLIA TUTTA LA NOTTE PER SCRIVERE.
GRAZIE
A TUTTI PER I BELLISSIMI COMMENTI. SONO PER ME UNA FONTE IMMENSA DI GIOIA. LI
LEGGO TUTTI, UNO AD UNO. GRAZIE!!!! SIETE TUTTE RAGAZZE SIMPATICISSIME E SONO
FELICISSIMA QUANDO MI PARLATE DI VOI (FEBBRE, SITUAZIONI SIMILI AL CAPITOLO E IMPEGNI
COMPRESI).
AVVISO
IMPORTANTE:
NON
SONO AL MIO PC E IL BLOG MI HA DATO ALCUNI PROBLEMI (PURTROPPO NON RIUSCIVO A
LASCIARE POST), COSì COME LA MINICHAT CHE SI E’ CANCELLATA. ENTRO QUESTO FINE
SETTIMANA METTERò TUTTO DI NUOVO IN ORDINE.
NESSUNA
ANTICIPAZIONE SUL CAPITOLO.
SPERO
DI NON AVER ESAGERATO CON LO ZUCCHERO.
PS: verso la fine del capitolo
troverete un suggerimento musicale. io ve lo consiglio. per me quella
canzone è peggio di un afrodisiaco *me che alza ritmicamente le
ciglia verso l'altro in segno allusivo*
VI
LASCIO ALLA LETTURA.
CAPITOLO 15
Kate
discese lentamente le scale, passo dopo passo, sorretta da un padre dagli occhi
incredibilmente lucidi, preda dall’emozione, eco di una madre ad attenderla
nell’atrio dell’ingresso di quella casa addobbata a festa. Il passamano in
legno chiaro era avvolto da un nastro in velo bianco intrecciato a sua volta da
strisce di tessuto rosa pallido in organza. Alla balaustra in ferro battuto
erano appigliate bellissime ghirlande di svariate rose bianche e color cipria,
così chiare da sembrare quasi trasparenti, identiche al bouquet - che la sposa
stringeva convulsivamente nella mano sinistra - differenzialmente impreziosito
da lunghi steli dalla punta perlata. L’intera casa profumava di fiori: un aroma
leggera e delicata che accarezzava deliziosamente l’olfatto senza mai
infastidirlo. Ad ogni angolo addobbato su cui Kate poggiava lo sguardo
arrossiva e incurvava dolcemente le labbra.
Era
la prima volta che assistevo ad un scenario simile: l’emozione traspariva
ovunque e da chiunque, niente e nessuno escluso.
Sfortunatamente
però, come ero certa di aspettarmi, le altre due cugine-damigelle non
apprezzarono affatto il mio vestiario, forse perché era completamente diverso
da quello che loro mi avevano rifilato per rendermi ridicola agli occhi di
tutti, o semplicemente perché per la prima volta non ritraevo la figura del
brutto anatroccolo.
Non
era certo con un dispetto inutile ed infantile – come ad esempio valorizzare una pietanza con una
quantità estrema di peperoncino o rifilare una scooter come unico mezzo di
trasporto – che avrei ottenuto la mia rivincita. Tutt’altro.
La vera nobiltà
consiste nell’essere superiore al te stesso precedente.
La
parte di me più nobile era felice e compiaciuta per ciò che era accaduto con
Kate; probabilmente con quel gesto, avevo appena creato le fondamenta per una
nuova e ritrovata amicizia. L’altra invece, quella decisamente meno nobile,
ghignava sfrontata e soddisfatta per le reazioni di Irina e Tanya alla vista di
quella mia incredibile variazione: il mio cambio d’abito.
Entrambe
mi avevano guardato con astio, squadrandomi da capo a piedi come se fossi
interamente ricoperta di panna montata di un bruttissimo verde acido. Probabilmente,
se avessero potuto, si sarebbero mangiucchiate le loro unghie laccate e fresche
di manicure, le mani e gomiti compresi. Non volevo peggiorare la situazione ma
trattenere un riso compiaciuto fu estremamente difficile.
Irina
aggrottò le fronte così tanto che le sopracciglio per poco non si unirono;
decisamente poco elegante per una signorina raffinata come lei. «Il vestito da
damigella?»
Mi
strinsi nelle spalle. «Un cambio all’ultimo minuto. Una piccola variazione.»
Lanciai uno sguardo sorridente a Kate che ricambiò con altrettanta complicità.
Irina
inalberò un sopracciglio. «Ma-»
Fu
zio Eleazar ad interromperla, questa volta. «Non abbiamo più tempo per
quisquilie, Irina.» Tirò un grosso respiro. «La mia prima bambina si deve
sposare.» Dal tono sembrava ancora incredulo. Forse non aveva preso ancora la completa
cognizione di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.
Kate
gli strinse la mano e gli rivolse uno sguardo emozionato. «Papà, non sono più
una bambina.»
Lui
storse il labbro e una smorfia di imbarazzo gli deformò il viso. «Per me lo
sarai sempre.»
Non
ero mai stata una vera e propria amante dei matrimoni, non volevo incolpare
Renée per questo perché, dopotutto, era pur sempre mia madre ma senza ombra di
dubbio, ciò che era accaduto nella mia famiglia mi aveva in qualche modo condizionato
inducendomi a valutare il matrimonio con una certa prudenza.
Ogni matrimonio è
diverso dall’altro in tutte le sue caratteristiche, pertanto, non è detto che
tutti debbano finire prima del tempo; solo un amore vero può attribuire una
maggiore percentuale di conservazione all’unione.
E
proprio per questo motivo avevo negato un mio futuro con Mike. Mio, non nostro.
L’idea della convivenza mi aveva letteralmente spaventata perché sembravamo ad
un passo dalle nozze: non ero pronta per
compiere quel passo perché sapevo di non amarlo abbastanza.
Ad
ogni modo, a dispetto di questa mia reticenza, stranamente mi sentivo
emozionata all’idea di vedere Charlie nelle vesti di papà agitato della sposa.
Non era poi così diverso da zio Eleazar, forse più riservato e molto più impacciato
nei gesti. Ma lo amavo soprattutto per questo: la sua riservatezza era solo
sintomo d’affetto puro nei miei confronti.
Una
dolorosa morsa di malinconia mi strinse il petto e mi contorse lo stomaco. Quel
dolce quadretto familiare mi faceva sentire ancor più di quanto io stessa già
non soffrissi di mio, la mancanza di mio padre.
«Bella?»
Mi
ridestai, come da un lungo sonno, al suono della voce smorzata di Kate. Il suo
sguardo era lievemente preoccupato. Allungò una mano sfiorandomi un braccio.
«Stai bene?»
Mi
scrutò attentamente il viso e solo allora mi accorsi di avere le gote umide da
calde lacrime. Mi asciugai velocemente le guance con una mano. «Sì, sto bene.»
Ora
anche zio Eleazar mi guardava con fare circospetto. Mi schiarii la voce un paio
di volte. «Sbrighiamoci prima che venga un collasso allo sposo.»
Dopo
una breve esitazione, padre e figlia annuirono tirando un profondo sospiro
contemporaneamente. Sorrisi. Non sapevo chi dei due fosse più emozionato.
***
Sotto
i raggi del sole pomeridiano di luglio, una fanfara accompagnò la nostra marcia
lungo la navata in pietra costeggiata da sedie ricoperte in raso e fiori,
occupate da numerosi invitati. Colei che l’aprì fu Tanya, io al suo seguito ed Irina
al mio. Un anemone tra due viole.
Garrent
era sotto un baldacchino, un arco intrecciato da rami spinosi di rose bianche
candide come la neve.
Lo stelo: il
matrimonio.
Le spine: le
difficoltà da affrontare.
Il bocciolo: le
soddisfazioni tanto attese.
Lo
sposo era agitato; altroché se lo era. Spostava il peso da un piede all’altro e
con gli occhi, alzandosi quasi sulle punte, tentava di guardare oltre noi
damigelle alla ricerca della sua futura compagna. Fu lampante il momento in cui
la vide perché si aprì in uno sfavillante sorriso che coinvolse anche gli occhi
pece velati da una struggente emozione.
Raggiunto
l’arco, ci posizionammo ai lati di Kate consegnata a Garrent da un padre, se
possibile, ancora più commosso.
I
due sposi, l’uno accanto all’altro, sembravano perfetti, complementari. Ebbi il
timore che se avessi continuato a guardali, avrei invaso la loro intimità,
nonostante gli sguardi degli invitati fossero puntati tutti su di loro.
Tutti
eccetto uno: quello di Edward. Quando vagai col mio in cerca di una testa rossa
lo scoprii a fissarmi intensamente, quasi mettendomi a nudo, con un cipiglio
indefinito in viso.
Percepii
le guance surriscaldarsi dall’imbarazzo e alzai inconsapevolmente una mano per
cogliere una ciocca e fissarla dietro l’orecchio, un gesto abituale,
sfortunatamente dimentica di avere già i capelli raccolti in un’elegante acconciatura.
Mi imbarazzai maggiormente quando mi resi conto di afferrare solo il vuoto.
Anche
lui se ne accorse e incurvò solo da un lato quelle labbra piene e morbide, nel
modo in cui tanto mi piaceva. Tuttavia, continuò a guardarmi senza mai
distogliere i suoi occhi da miei, legati da un filo invisibile.
La
cerimonia proseguì, tra le parole del pastore, le promesse scambiate degli
sposi e qualche altro sguardo incrociato con Edward.
Nel
momento in cui gli sposi pronunciarono il fatidico sì fu inevitabile piangere. Piccole
lacrime calde scivolarono sulle mie guance, forse a causa dell’aria satura da
un’incredibile emozione o dai singhiozzi di zia Carmen che si era ripromessa
tantissime volte a cui resistere o dal quel primo bacio intriso d’amore che i
novelli sposi si scambiarono.
La
folla esplose in un boato di applausi e presto Garrent e Kate furono travolti
da quasi tutti gli invitati propensi a congratularsi con loro. Mi rintanai in
un angolo aspettando il momento più propenso per porgere le mie di
congratulazioni, finché non fu proprio Kate a raggiungermi e stingermi in un
primo caloroso abbraccio colmo di una complice gratitudine silenziosa. Le
parole non furono necessarie.
«Mi
scusi, mi sa dire dove posso trovare Miss Swan, quella inflessibile ai
matrimoni?»
Lasciai
Kate che intanto raggiunge lo sposo sorridendo alle mie spalle. Mi voltai
repentinamente asciugandomi una guancia con il palmo di una mano. «Ti prego,
non infierire.»
Edward
era a braccia conserte sul petto, sorridente e bello come una divinità Greca.
Nella sua espressione non c’era alcun segno derisorio: il sorriso era genuino,
sincero.
Mi
scrutò attentamente da capo a piedi; la stessa espressione del primo sguardo scambiatoci
al mio arrivo. «Ti sei cambiata.»
Assentii
e con le mani indicai l’abito indossato. « Beh, con questo non dovrei sembrare
più una cipolla.» Lui non accennò alcuna risposta; continuava solamente a
guardarmi. Mi sentii un po’ a disagio e ricominciai a parlare, stile
mitragliatrice incallita. «Forse è troppo estroso, troppo appariscente, ecco;
forse avrei dovuto tenere l’altro; forse…»
«E’
perfetto.» commentò Edward bloccando finalmente quel mio flusso spropositato di
parole. Tuttavia, fui stordita e disorientata. Il suo non era stato un vero e
proprio complimento, aveva semplicemente apprezzato l’abito scelto e
confezionatomi da Alice.
Ma
mi sbagliavo.
«Sei
splendida.» Sussurrò con tono quasi rapito sfiorandomi una guancia con due
nocche.
Questo
era decisamente un complimento che stordiva e rendeva le gambe molli.
Le
mie guance si tinserò di rosso acceso. «Grazie.» Abbassai il capo con un
imbarazzo quasi adolescenziale. Sdramatizzai nel tentativo di smorzare un poco
la mia tensione. «Credo che il vestito viola popolerà i miei peggiori incubi.»
Un
sorriso divertito gli incurvò le labbra. «Come sei riuscita a cambiarlo?»
«Una
lunga storia.»
«Abbiamo tempo.»
Mi
sfiorai con le dita il lobo dell’orecchio destro come se sentissi la mancanza
di qualcosa e mi accorsi che effettivamente avevo perso un orecchino. Abbassai
lo sguardo in cerca del gioiello finchè non vidi una testa bionda piegarsi
sulle ginocchia per raccoglierlo da terra e porgermelo con un sorriso radioso.
«Sei
sempre la solita smemorata.» Mi accusò James, dolcemente.
«E
tu sei sempre pronto a ricordarmelo.»
Mi
si avvicinò e con mani gentili lo fissò nuovamente al mio lobo.
«Grazie.»
Mormorai sfiorandogli un braccio con una mano.
James
posò subito uno sguardo piuttosto curioso su Edward che ricambiò pienamente
allo stesso modo. Mi ridestai dimentica che erano due perfetti sconosciuti e
che l’unico loro punto in comune fossi io. Restai tra i due senza avvicinarmi
realmente né all’uno né all’altro, ma mi concentrai principalmente sul mio
bellissimo accompagnatore.
«Edward,
lui è…»
«Allora
lui è il famoso Edward.» Fulminai James con lo sguardo per l’interruzione.
«Piacere,
sono James. Un amico di questa bellissima fanciulla.» E allungò educatamente una
mano.
Gli
scoccai un’occhiataccia. Si era definito amico. Che diavolo aveva in mente?
Di
soppiatto mi fece un occhiolino rendendomi ancora più confusa.
Edward
senza esitazione alcuna gli strinse la mano. Le labbra erano stranamente
inespressive e la solita ruga persierosa sulla fronte era già comparsa al suo
arrivo.
Gli
occhi di James improvvisamente si spalancarono per poi velocemente stringersi,
come se avesse appena avuto un’illuminazione divina. Mi parve quasi di vedere
una lampadina accendersi sulla sua testa. Un sorriso per nulla promettente gli
disegnò le labbra. «Mi ricordo di te.»
Spostavo
lo sguardo alternativamente sui due umoni che si guardavano in modo
inspiegabilmente contrastante. L’uno sorridente ed irrisorio, l’altro serio e
inflessibile.
«Vi
siete già incontrati?» Domandai, ma non ricevetti alcuna risposta. Continuarono
ad ignorarmi.
«Sei
di Seattle, vero?» Chiese ancora James con tono quasi impertinente. Poi scoccò
due dita e accentuò il sorriso. «Tu sei quello in pantaloncini a cui ho aperto
la porta a casa di Bella.»
Edward
indurì la mascella. «Esattamente. Tu invece quello in asciugamano.»
Ero
sempre più dubbiosa. Spintonai leggermente il braccio di James palesandogli la
mia presenza. Sembravano intenti in una conversazione mentale, alla quale
naturalmente io non avevo alcun accesso, se non quello visivo in quel momento
privo di utilità.
«Quando?»
Domandai e riuscii finalmente a catturare l’attenzione di James.
«Tempo
fa.» Mormorò sventolando una mano sottolineando la superficialità della mia
domanda. «Tu eri sotto la doccia e gentilmente ho fatto io le veci di casa tua.»
E
solo adesso si ricordava di riferirmelo? Gli scocciai un’occhiataccia di
disappunto. «Figurati! E la smemorata sarei io.»
Avevo
ospitato felicemente James per una settimana a Seattle ma, a quanto pareva,
aveva combinato più danni di quanto mai io avessi immaginato. Edward non aveva
mai bussato alla mia porta, nemmeno in casi estremi o necessari, e proprio per
questo motivo quella constazione suonava strana alle mie orecchie.
Edward
in quel momento era strano: rigido nella postura e insondabile
nell’espressione. Oltre la sua figura incrociai gli occhi seri di Mike. Quelle
sue iridi azzurre mi avevano sempre affascinata e ammaliata nei primi tempi:
sembrava che in certo modo volessero silenziosamente comunicarmi qualcosa. Come
in quel momento.
Provai
una strana sensazione perché quel suo sguardo, or ora, sembrava fin troppo
intimo date le circostanze.
James
si accorse di quello strano scambio di sguardi. Sbarrò leggermente gli occhi e
mi fissò quasi stralunato.
«Ma
quello è Mike?»
Mi
morsi le labbra con i denti. «Ehm… sì.»
«Quel
Mike?»
«Quel
Mike.» Confermai con riluttanza.
«Ed
è l’accompagnatore di Tanya?»
«Esatto.»
Cofermai.
«E
perché non me lo hai detto?»
«Tu
non me lo hai chiesto.»
«Come
avrei potuto immaginare una cosa del genere?» Il mio sgurdo fu più che
eloquente: sopracciglio alzato e labbra serrate. Conosceva perfettamente Tanya,
meglio della sottoscritta.
Lui
infatti ridacchiò. «E’ vero, c’era da aspettarselo.» Tuttavia, tornò per un
attimo serio rivolgendogli uno sguardo poco socievole. «Quel ragazzo mi è
sempre stato sulla punta del…»
«James!»
Lo rimproverai. Mi sembrava di esser tornata indietro nel tempo, quando lo
sgridavo per le sue marachelle sebbene lui fosse più grande di me. Sorrisi
internamente.
Fece
un espressione fintamente indignata. «Bella! Mi meraviglio di te. Io intedevo
dire sulla punta del… naso.» E pizzicò la punta del mio naso.
Sì, proprio quello
intendeva.
Garrent
lo chiamò da lontano sbracciandosi ulteriormente per farsi notare oltre la
folla di invitati. James sbuffò sistemandosi il colletto della camicia. «Devo
andare, il dovere mi chiama. Sono una persona piuttosto ricercata.»
Mi
prese velocemente uno mano imitando un perfetto baciamano. «Dopo balli con me?
Non accetto rifiuti.»
«E
allora perché me lo hai domandato?»
«Per
sembrare quantomeno educato anche se so che certe cose bisogna importele.»
Rivolse
un fugace sguardo al mio accompagnatore in smoking. «E’ stato un piacere
Edward.» Si allontanò salutando con allegria ogni invitato che incrociava nel
suo cammino, conoscenti e non. Questo era James: un ragazzo spigliato e
maliziato costretto in un corpo da trentenne.
«Siete
affiatati.»
Quella
di Edward non era una domanda, ma una mera constatazione. In effetti, non c’ero
nulla di più veriterio.
Sospirai
perdendomi nelle sue pozze verdi, più profonde di un mare limpido alle prime
luci estive del mattino. «Gli sono molto affezionata.»
«Lo
vedo.» Rispose lui con tono incolore, privo di alcune inflessione. Poco dopo
storse le labbra disgustato da qualcosa, o qualche suo pensiero. Poi scosse il
capo, in un chiaro segno di incredudilità. «Però! Stranamente abbiamo una cosa
in comune.»
Mi
aggrappai al suo braccio destro percendo la consistenza dura del suo
avambraccio, sebbene ci fossero ben due strati di stoffa a coprirlo.
«Come
dici?» Gli domandai sorridendo.
Sospirò.
«Anche a me Mike sta sulla punta del…»
«Edward!»
Mi
rivolse uno dei sorrisi più maliziosi del suo repertorio. «Quanto sei
maliziosa, Bella. Anch’io intendevo la punta del… naso! »
A differenza
di James, anziché pizzicare la punta del mio naso, la baciò.
***
Fu
il momento del buffet.
I
festeggiamenti si spostarono sulla piattaforma in legno sul lato destro
dell’immenso giardino. Lo scheletro del gazebo in ferro battuto era stato
rivestito da dappri in raso bianco che ricadevano dolcemente ai lati, raccolti
debolmente e fissati con ganci fioriti alle varie pertiche. I tavoli erano
ricoperti da tovaglie candide addobbate da nastri e centrotavola colmi di fiori
freschi.
Edward
mi porse una flûte di spumante. Afferrai lo stelo del bicchiere in cristallo con titubanza.
«Con quello che è successo ieri, oggi vorrei decisamente evitare
di bere alcolici.»
Lui sorseggiò elegantemente il suo. Le sue spalle tremavano
convulsamente allo stesso modo di chi sta trattenendo un riso solo ed
esclusimente per educazione. Infatti, non riuscì a trattenersi e poco dopo scoppiò
in una risata aperta, quasi liberatoria.
Con i pugni puntati sui fianchi lo fissai truce in volto. «Ero
così divertente?»
«Non puoi nemmeno immaginare quanto.» Tossichiò per riprender
fiato. «Comunque puoi stare tranquilla, oggi ti controllo io.»
In
quel momento, forse più per provocazione che per altro, sorseggiai un po’ del
mio spumante. «A cosa devo questo tuo interesse?»
Con
passo felpato e deciso mi si avvicinò poggiando leggero una mano sul mio
fianco. «Ieri ho resistito.» Il suo sguardo era intenso, caldo; il tono roco e
privo di alcuna incertezza. «Sono un gentiluomo ma non so se riuscirei a farlo
una seconda volta.» Aggiunse, lasciandomi letteralmente con la gola così secca
che fu per me enormemente difficile deglutire e assimilire appieno quelle
parole. Una fitta mi colpì lo stomaco ma fu stranamente piacevole.
"Sei una tentazione.
Anche tu.
"
Come
una leggera folata di vento, quelle frasi mi avevo attraversato la mente.
L’insieme di un un ricordo piuttosto sfocato, dalla scarsa attendibilità. Forse
erano parole che avevo pronunciato durante il mio stato di ebrezza, ma come
avrei potuto accertarmene?
Come
appurato in precendenza, non ricordavo nulla di ciò che avevo detto in quella
notte e quella strana sensazione di imbarazzo mi impediva di porgergli
qualsivoglia domanda in merito. L’idea di aver detto qualcosa di inappropriato
mi terrorizzava.
Fui
felicemente sviata da quei pensieri dal leggero strato di barba ramata sul suo
viso. Così attraente e così tremendamente sensuale. Erano trascorsi solo un
paio di giorni ed era già cresciuta di poco. Ero maledettamente consapevole di
essere incoerente con i miei stessi pensieri perchè non sapevo se lo preferivo
con o senza.
Non
mi accorsi nemmeno di aver alzato la mano quando l’appoggiai a palmo aperto
sulla sua guancia. Solleticava piacevolmente la mia pelle. Edward inclinò il
capo lateralmente intensificando così il contatto e continuò a scrutarmi in
viso, cercando i miei occhi, nonostante il mio sguardo fosse concentrato
altrove, esattamente sulla sua guancia così ruvida e morbida allo stesso tempo.
«Oggi non hai fatto la barba.» Osservai sfiorandogli la mandibola con il pollice.
«Aspettavi forse me?»
Edward
sorrise portando una sua mano a coprire la mia. Sospirò. «Quando scopri qualcosa che ti in
particolar modo ti piace, che ti fa star bene…»
«…la
desideri ancora finchè non comprendi che non puoi più farne a meno.» Terminai
al posto suo, senza rendermene realmente conto, e dall’espressione che fece compresi che le mie
parole rispecchiavano esattamente ciò che lui avrebbe detto se non lo avessi
interrotto.
Spostò
leggermente la mia mano verso l’interno del suo viso finchè le sue labbra non
si posarono dolcemente sul mio dito. Una scarica elettrica si sprigionò da quel
punto.
«Tu,
Bella, di cosa non puoi fare a meno?» Il mio nome rotolò dalle sue labbra come
lava incadescente, più morbido e più caldo di un soffice muffin appena sfornato.
Di
cosa non potevo fare a meno?
Dei
suoi baci. Delle sue carezze. Delle sue mani sul mio corpo. Di quelle piccole
cose che avevo scoperto di lui, e di quelle che ancora dovevo e volevo scoprire.
Ma
non erano queste le parole che potevo pronuciare, seppure veritiere quanto il
sole che sorge ad Est, in quanto il che avrebbe significato varcare quella
linea sottile di confine, al di là della quale c’è l’imbarazzo e ci si imbatte
in faticosi chiarimenti che spesso portano all’allontanamento se i sentimenti
non sono neppure lontamente ricambiati.
Il
suo comportamento spesso mi mandava in confusione: se da un lato sembrava da me
attratto, dall’altro non faceva nulla per mostrarmi che di fondo ci fosse
qualcosa di più profondo.
L’adolescenza
l’avevo oltrepassata ormai da tempo, ma ero una donna priva di tempra e di
invidiabile coraggio incapace di ostentare apertamente neppure un quarto dei propri
sentimenti. Tremavo all’idea di perderlo.
Mi
morsi il labbro e tacqui per qualche istante incapace di trovare al momento una
risposta quantomeno accetabile e più lontana possibile da quella reale.
Edward
per un attimo fu distratto da alcuni invitati, o volle semplicemente allentare
la tensione che rispecchiava sul mio viso. Fu proprio lui a cambiare discorso e
gliene fui profondamente grata. «Devo preservarti da altri invitati, o sono
tutti tuoi parenti?»
Che
assurdità! Non potevano certo essere tutti miei parenti.
Ridacchiai,
meno tesa di prima. «No, non tutti.» La sua fronte aggrottata mi indusse a
continuare per vedere fin dove il suo disappunto sarebbe arrivato. «A dire il
vero, credo che prima, Laurent, il testimone di Garrent, mi abbia fatto gli
occhi dolci.»
Finalmente,
la consueta ruga si disegnò sulla sua fronte, oltre ad un sopracciglio alzato.
Con lo sguardo setacciò l’ambiente in cerca di qualcuno, forse il testimone,
finché una voce, morbida e calcolatrice lo indusse a girare il viso e posare l’attenzione
altrove, su a chi questa appartenesse.
«Credo
che sia impossibile non fare gli occhi dolci ad una creatura simile.
Decisamente difficile da ignorare.»
La
persona che si era avvicinata a noi con un silenzio ed una discrezione quasi da
mettere i brividi addosso, era un uomo in smoking grigio fumo, probabilmente
sulla sessantina, dall’aspetto elegante e in uno strano modo affascinante. Il
viso, disegnato e smunto da piccolissime rughe, era diafano, quasi traslucido
ed era inconiciato da lunghi capelli neri legati elegantemente alla nuca.
I
suoi occhi scuri come la pece si concetrarono su Edward esibendo un sorriso difficilmente
decifrabile. «Tu devi essere il famore dottor Cullen, iunior naturalmente.»
Allungò una mano in segno di cortesia. «Aro Volturi, il…»
«…il
direttore del Providence Alaska Medical Center di Anchorage.»
Concluse Edward stringendo la sua mano, pur non mostrando alcun sorriso.
«Vedo che
mio fratello ti ha messo al corrente.» Il tono era da confidente,
come se si conoscessero da diversi anni. « Marcus dice che oltre
ad essere un ottimo neurochirurgo sei anche una persona molto
intelligente e perspicace.»
«Vostro fratello mi elogia troppo.» Rispose Edward mostrando un comportamento educatamente circospetto e distaccato.
Aro sorrise di
traverso come a constatare qualcosa di particolarmente interessante.
«Perfino modesto, meraviglioso.» Poi il suo sguardo
incrociò il mio e il suo sorriso si allargò. «E
quest’incantevole creatura?»
«Isabella
Swan.» Rispose Edward in tono sicuro lanciandomi un occhiata,
come se cercasse il mio consenso per ciò che avrebbe aggiunto
dopo. «La mia fidanzata.»
Con quella sua
precisazione, il mio cuore perse un battito. Era la prima volta che
uscivano quelle parole dalle sue labbra e sebbene fossero frutto di una
finzione l’effetto fu ugualmente sconvolgente.
Aro mi prese una mano sfiorandone il palmo con le labbra.«Meravigliosa.»
Mi accostai al
fianco di Edward, cercando un vano senso di protezione; lui presto mi
circondò calorosamente la vita arpionando una mano sul mio
fianco. Mi aggrappai alla sua spalla e poggiai il mio palmo destro sul
suo petto. Non fu nulla di fittizio o pragrammato; solo istintivo.
Aro
riprese a parlare. «È da molto tempo che non vedo Carlisle. Gli somigli molto.»
Osservò scrutandolo con particolare attenzione. «Dove lavora adesso?»
«Nell’ospedale
di Forks. Sì è trasferito da poco in quella cittadina.» Rispose Edward in tono
cordiale.
L’uomo
di fronte scosse il capo con leggera riluttanza. «Che spreco.» Sospirò e
aggiunse: «Mi è stato riferito che la tua ultima operazione era piuttosto
complicata ma è riuscita nel migliore dei modi. Hai asportato un tumore, vero?»
Edward
annuii, un assenso modesto e privo di alterigia. «Sì, al cervello di un bambino
di otto anni naturalmente in collaborazione con altri ottimi medici di
rianimazione pediatrica.»
Le
mie gambe si fecere incredibilmente tremule e prive di stabilità a quelle
parole. Difficilmente sopportavo la vista del sangue e, a quanto pareva, non
riuscivo neppure a sentirne parlare.
Ebbi
lì per lì il terrore che volessero approfondire quell’argomento pertanto quando
vidi James farmi segno da lontano affinchè lo raggiungessi, fu per me una manna
dal cielo.
«Vogliate
scusarmi.» Proruppi prima che potessero aggiungere altro.
Edward
mi guardò per un attimo disorientato, con un sopracciglio levato. Gli lasciai
un leggero bacio sulla guancia in prossimità della sua bocca. «Torno subito.»
Accentuò
per un istante la presa attorno alla mia vita. «D’accordo.»
***
«Dove
hai lasciato il tuo fidanzato?»
Feci
una piccola smorfia, lanciando un rapido sguardo alle mie spalle. «Sta
chiacchierando con Aro Volturi.»
James
storse il naso. «Quell’uomo non mi è mai piciuto.»
Una
ragazza dalla selvaggia capigliatura rossa lo affiancò baciandogli una guancia.
«Per fortuna. Altrimenti, tesoro, mi sarei dovuta meravigliare e preoccupare
del contrario, non credi? »
James
le sorrise dolcemente. «Come siamo spiritose.»
Non
conoscevo quella donna, indubbiamente bella e affascinante, che mostrava un
legame assai profondo con la persona a cui ero più affezionata.
James
l’avviluppò in un abbraccio protettivo e mi lanciò uno sguardo sorridente.
«Bella, lei è Victoria, purtroppo la mia futura moglie.»
Lei,
fintamente indignata gli colpì un braccio. «A quanto pare non sono l’unica ad
essere spiritosa.» Poi mi guardò. «Finalmente conosco la famigerata Bella.
James non fa altro che parlare di te. Credo che sia in un certo modo
ossessionato.» Si portò una mano sulla pancia, che solo allora notai in leggero
rigonfiamento. «Probabilmente anche quando nascerà nostro figlio saprà già di
sei.»
Strabuzzai
gli occhi, felice come non mai di quella lieta e improvvisa notizia. Non
riuscivo ad emmetere neppure una piccola sillaba. Non solo avevo scoperto che
James era prossimo alle nozze, ma altresì che aspettava un figlio. Era una
sorpresa a dir poco incredibile.
James
le baciò il collo. «Bambina, amore. Sarà femminuccia:. la mia piccola Bree.»
Victoria
gli scoccò un’occhiataccia. «Ti ripeto per l’ennesima volta che sarà un maschio
e si chiamerà Riley.»
Dietro
ogni parola pronunciata dall’una o dall’altro si nascondeva una certa
tenerezza. Una morsa di pura felicitazione mi strinse lo stomaco.
James
mi fissò aggrottando le sopraccuglia. «Bella, ti prego non piangere.»
«Non
sto piangendo.» Mormorai con un filo di voce già incrinata dall’emozione.
Lui
sbuffò e guardò Victoria. «Amore, mi permetti un ballo con questa finta dura?»
Lei
gli lasciò un bacio a fior di labbra. «Vai pure, Riley mi terrà compagnia.»
James
mi prese la mano e in un istante si fermò con un cipiglio pensieroso dopo aver
recepito le parole di Victoria. Mi guardò sicuro che la sua futura moglie
stesse in ascolto. «Spero tanto che la mia Bree non sia così testarda come la
mamma.» Girò il volto, le fece una linguaccia e mi trascinò ad un lato della
pista, così vicino ad Edward che per poco non recepivo il suo discorso con Aro.
James
mi fece fare una giravolta e presto mi attirò a sé poggiando una mano alla base
della mia schiena, mostrandomi un sorrisetto furbo, quasi da ragazzaccio
Come
un lampo, mi venne in mente ciò che aveva detto prima a Edward, o meglio, come
si era definito. «James, amico mio,
ma il nostro grado di parentela è sparito o l’hai gettato alle ortiche?»
Lui
ridacchiò divertito.« Non ho detto nulla di sbagliato.»
Levai
un sopraciglio verso l’alto. «James Denali,» lo ripresi quasi con tono materno.
«hai omesso volutamente il tuo cognome»
«Ah,
quello? Beh, sono tuo cugino, ma sono pur sempre tuo amico» Replicò
stringendosi nelle spalle con nonchalance.
Aggrottai
entrambe le sopracciglia. Non me la contava giusta.
Sbuffò
notando il mio sguardo indagatore. «E va bene, volevo solo provocare il tuo
fidanzato.»
Gli
pizzicai il fianco. «Ah! Lo sapevo. Non sei cambiato per niente.»
Sorrise
e mosse ritmicamente le sopracciglia in un gesto piuttosto allusivo. «Ci sono
riuscito?»
Feci
una smorfia, una pallida imitazione di un vera espressione gioiosa. «Direi
proprio di no. Hai fatto un bel buco nell’acqua.»
«Ma…»
James
fece per replicare ma lo precedetti continuando a parlare. «Non siamo fidanzati.
E’ tutta una finzione.»
«Cosa
significa?»
«Significa
che ho chiesto a Edward di fingersi mio fidanzato. Non stiamo insieme.» Ad ogni
mia parola, i suoi occhi si allagavano sempre un po’ di più mostrando il suo
stupore, ed il mio cuore si stringeva gradualmente con dolore.
Sapevo
di poter contare sulla fedeltà di James, non avrebbe raccontato nulla ad anima
viva, probabilmente neppure alla sua futura moglie. In tutta la mia vita non mi
aveva mai tradita, in nessun modo e in nessuna occasione. Era alla stregua di
un fratello, mi aveva sempre difesa contro le malefatte delle sue sorelle sgridandole
a fin di bene, anche se ciò le portava a continuare. Eravamo stati compagni di
giochi, sebbene lui prediligesse per quelli maschili ed io mi accontentavo
sempre pur di stare in sua compagnia. E nel tempo, maturando nel carattere e
negli anni, nel periodo adolescenziale e oltre, eravamo diventati e lo ervamo
tuttora amici e confidenti.
Per
questo non mi fu difficile decifrare quel suo sguardo accigliato. Era
visibilmente scettivo e pensieroso.
«Non
ti sto prendendo in giro. Non lo farei mai, lo sai.»lo rassicurai sfiorandogli
una guancia con le dita. «Non a te, almeno. Le tue sorelle stranamente hanno
abboccato con estrema facilità.»
«Forse
perché lui è un bravo attore.» Replicò James lanciando uno sguardo alle mie
spalle. «Uno dei migliori.»
«Conosco
questo tuo tono.» Gli feci notare arcuando un sopracciglio. «Credi davvero che
sia geloso?»
«Bella,
le soluzioni sono due e piuttosto semplici: o il caro Edward è geloso, o fulmina
la gente per hobby . E adesso il suo obbiettivo sono io, se non l’hai ancora
capito.»
Scrollai
il capo con una strana sensazione addosso. «Forse sta fingendo o forse è solo
una tua impressione.»
«Bella
sei sempre la solita ingenua. Non vedi l’ovvio.»
«Forse
perché non c’è niente da vedere.» Sussurrai fissandogli i bottini della camicia
scura. Se mai il suo sguardo avesse incontrato il mio avrebbe certamente notato
la sofferenza che dentro vi aleggiava.
Tutto
quel mio rifuto era dovuto alla paura di un’illusione devastante già alimentata
da qualla messinscena del fidanzamento.
Presto
mi ritrovai col capo sul petto del mio eterno protettore, coccolata e
vezzeggiata dalle sue mani che in dolci movimenti circolari carezzavano la mia
schiena.
Mi
morsi con forza le labbra trattenendo con i denti l’impulso di piangere. Con
James era sempre stato facile cedere alle lacrime; lui conosceva la Bella
triste che da bambina si nascondeva in un angolo e accarezzava delicatamente
con le dita la foto che ritraeva la sua famiglia al completo – Charlie alle
spalle di Renée che stringeva al petto un fagotto di appena un mese di vita; la
Bella timida che in età adolescenziale, con le guance imporporate, gli aveva
confidato che il suo primo bacio non era stato proprio come se lo era
aspettato; la Bella giovane e gioviale che con un sorriso raggiante aveva
alzato il pollice in segno di vittoria dopo aver conseguito una laurea in
giornalismo a pieni voti; e infine la Bella adulta confusa e indecisa sul suo
futuro da condividere con un uomo che in fondo lei non amava.
James
era sempre stato parte di me. Ricordavo perfettamente il giorno in cui lui
aveva pianificato la sua vita: da single e da esploratore del mondo dedito al
lavoro per quel quanto che poteva bastargli a sopravvivere.
Ridacchiai
con sorpresa mista a felicità. Era drasticamente cambiato.
«Perché
ridi?» mi chiese allentando di poco dalla sua stretta.
«Perché
penso a te e alla vita che avevi pinificato.»
James
rise con leggero imbarazzo. «Beh… ho decisamente modificato i miei piani.»
«Esatto.
Ora sei fidanzato, quasi marito e quasi padre.» Poggiai una mano a palmo aperto
sulla sua guancia. «Sei felice?»
Piantò
i suoi occhi azzurri nei miei. «Sì.»
Fece
per parlare ma lanciò un rapido sguardo alle mie spalle un sospiro profondo
fuoriuscì dalle sue labbra. «Finalmente quel vecchio avvoltoio se n’è andato.»
«Chi?»
«Aro,
ovviamente! E visto che adesso ho la totale attenzione del tuo finto fidanzato… ci divertiamo un po’»
E
prima ancora che potessi formulare o proferire la più piccola protesta, mi
afferrò per la vita e girammo in tondo come un’unica trottola monita dei bei
vecchi tempi.
***
Una
volta terminate la canzone e la nostra scatenata perfomance al limite del
ridicolo, tra piroette e strette piuttosto affettuose, James insistette per
riaccompagnarmi lui stesso dal mio accompagnatore. Il suo sorriso non si era
spento un attimo. Era piuttosto divertito. Stava tramando qualcosa. Era pur
sempre un Denali. L’arte dei dispetti era intrisa nel loro DNA.
Edward
era in piedi poggiato rigidamente al nostro tavolo con le braccia strette al
petto. Una posa rigida. Forse un po’ di gelosia da parte sua c’era, o almeno
speravo che fosse quella la causa del cipiglio scuro che aveva in volto. Lo
sguardo che rivolse a James fu tutt’altro che amichevole o meglio,
simpatizzante.
Mio
cugino invece continuava a sorridere in un modo così strafottente che mi fece
sorridere. Sembrava un ragazzino irriverente.
Una
volta giunti, James mi circondò la vita con un braccio e mi posò un bacio sulla
guancia.. Alle sue spalle giunse una cipollina bionda tutta in ghingheri. Irina
si aggrappò al suo braccio. «Fratellino, balli con me?»
James
le sorrise non prima di aver lanciato un’occhiata curiosa a Edward che in quel
momento aveva alzato un sopracciglio dubbioso. «Vengo subito.» Disse
pazientemente alla sorella.
Poi
guardò nuovamente Edward. «Ti lascio la mia cuginetta ma ti conviene attenzione:
mi ha schiacciato i piedi per ben tre volte.»
Dopo
un rapito saluto e un sorriso colmo di malizia, si allontanò raggiungendo Irina
in pista.
Edward
invece sembrava disorientato e piuttosto pensieroso. Pareva non essersi affatto
accorto della mia presenza neppure quando lo affiancai sfiorandogli il braccio
con una mano.
«Edward,
ti senti bene?»
Il
suo capo fece un giro veloce. Puntò i suoi occhi verdi nei miei. «Cuginetta?»
Mi
morsi le labbra. «Sì, è mio cugino.»
«Tuo
cugino.» Ripetè assorto. Il cipiglio si accentuò.
Annuii.
«Esatto. Il primogenito di zio Eleazar e zia Carmen.»
Si
portò una mano al viso stringendo con due dita la base del suo naso. Una
smorfia gli sfigurò le labbra. Imprecò sottovoce.
Dalle
mie labbra sfuggì una leggera risata nonostante avessi fatto di tutto per trattenerla
e, di conseguenza, non irretirlo ma Edward, a discapito di ogni mio pronostico,
sorrise.
«Ho
fatto la figura dell’idiota, vero?»
Gli
accarezzai una guancia ispida. «No, non da idiota.» Da fidanzato. «James è fatto così. Voleva solo provocarti.»
Aggiunsi e inevitabilmente risi ancora. Edward mi prese per la vita spostandomi
di peso davanti a lui. Ora non c’era più distanza tra i nostri corpi. Le mie
mani, in un gesto automatico, finirono sul suo petto.
«E
tu ti sei divertita.» mi accusò con tono fintamente duro.
«Un
po’.» Sorrisi lisciandogli la piega della sua giacca nonostante fosse già
perfettamente a posto. «Però potresti sempre rimediare.»
Edward
curvò lateralmente le labbra. «Hai ragione.» Prese a lisciarmi debolmente con i
pollici le anche su cui le sue mani erano poggiate. «Balla con me.»
Trattenni
bruscamente il fiato. «E’ un invito?» Gli chiesi con tono leggero e volutamente
strascicato.
«Non
proprio.» Mi lasciò un fianco e per un attimo temetti di aver esagerato, ma
presto mi prese per mano trascinandomi lentamente in pista. «Perché se così
fosse avresti avuto la possibilità di rifiutare.»
Mi
fece fare un giravolta prima di attirarmi a sé con possessione chiudendomi
nella dolce e forte morsa delle braccia. Premette una mano alla base della mia
schiena. Probabilmente con le dita poteva sfiorare e sentire attraverso il
vestito la mia biancheria.
«Hai
uno strano modo di invitare le persone a ballare, dottor Cullen.» Mi aggrappai
con una mano alla sua spalla. «Accetto solo perché non vorrei sembrare
maleducata.»
Eravamo
quasi totalmente attaccati. Tra noi intercorreva solo un misero spiazio per un
granello di polvere. L’elettricità era forte, lui era la mia forza di calamità.
Forse c’erano altre persone in pista, forse eravamo soli, forse tutti erano
magicamente andati via; in ogni caso, non mi importava. Io vedevo solo lui.
Mi
accese i sensi con quello sguardo magnetico. Si abbassò accostando le labbra al
mio orecchio. Il suo respiro mi solleticava e surriscaldava la pelle. «Ed io
che pensavo che avessi ceduto al mio fascino.»
Il
nostro era un lento strusciarsi sensuale di bacini e lenti passetti laterali.
Il mio seno sfiorava il suo petto così come la mia ampia gonna frusciava da un
lato all’altro sfiorando le sue gambe che, ad ogni mezzo giro, si allargava per
un attimo ritornando poi ad avvolgerlo in un abbraccio di chiffon blu. La sua
mano tornava, come inesorabilmente attratta, sui miei reni al limite del
fondoschiena. Stavo andando a fuoco, e le mie guance stranamente questa volta
non erano rosse. Non c’era imbarazzo ma solo un maledetto desiderio che mi
stava divorando il ventre.
Scivolai
con la mano dalla sua spalla su fino al colletto della sua camicia. Mancava
davvero poco che sfiorassi il suo collo candido; era maledettamente difficile e
doloroso sopprimere il desiderio di immergere le mie dita tra i suoi capelli e
sfiorargli collo con lente e dolci carezze.
Edward
lasciò la mia mano posando anche l’altra dietro la mia schiena. La mia invece
la portai sulla sua spalla. Alzai gli occhi notando solo allora che il suo
sguardo era concentrato sulle mie labbra. «Non cedo così facilmente.» Sussurrai
con un filo di voce.
Edward
premette una mano sulla mia schena, mentre l’altra saliva e si fermava al
centro esatto della schiena. Con entrambe, a palmo aperto, mi spinse verso di
lui annullando anche quell’effimero spazio che ci divideva.
«Allora
credo che dovrò proprio impegnarmi.» mormorò Edward con fare provocatorio.
Questa
volta non trattenni alcun desiderio e portai entrambe le mie mani dietro la sua
nuca, tra i suoi capelli ramati morbidi e setosi come cascate di sorgente
fresca.
«Sei
incredibile… mi fai diventare pazzo. Riesci a rendermi difficile ciò che sembra
facile.» disse Edward socchiudendo leggermente gli occhi.
I
nostri visi era l’uno ad una spanna dell’altro, il suo respiro moriva sulle mie
labbra generando piccoli gorgoglii di languore nel mio stomaco.
Bloccai
le mie dita sulla sua nuca quando finalmente riuscii a capire le sue parole. «Dovrei
scusarmi per questo?»
«Nemmeno
per idea.» Sussurrò prima di posare la sua bocca sulla mia già schiusa pronta
per accogliere quel suo sapore tanto agognato. Mi mordicchiò il labbro
inferiore con i denti, come se necesitassi di tempo per abituarmi a quel
contatto vecchio e nuovo. Che sciocco.
Scivolai
con le mani dal colletto della sua camicia, sfiorando con la punta delle dita
il suo collo caldo e setoso, al suo viso racchiundendolo con entrambi i palmi affiché
intensificasse il bacio. Fu inizialmente preso in contro piedi, ma presto
Edward si riprese accentuando la stretta attorno alla mia vita. Fece scivolare
una mano lungo la mia schiena fino alla mia nuca e l’arpionò mentre la sua
lingua si faceva spazio nella mia bocca richiamando a sua volta la mia per
lisciarla, accazzarla e saggiarla nel più sensuale dei modi. Le note
dell’orcherstra ci cullavano sebbene avessimo interrotto il nostro ondeggiare
già da tempo ben concentrati su altro. Solo ed esclusivamente su noi stessi.
Non
vedevo altro che lui. Racchiusi in una linea dal cui confine si ergeva un
recinto alto e imponente attraverso il quale nulla era visibile agli altri. Forse
gli occhi erano puntati più su noi due che sulla novizia coppia di sposi. Ma
non mi interessava. Ignorare altro che non riguardasse noi due non mi era
sembrato mai così facile.
Indifferenza.
Edward
si staccò lentamente e piantò i suoi occhi stralunati nei miei lucidi e
languidi di desiderio. Nessuno tra i nostri baci dati era paragonabile a
questo. Era stato intenso, dolce, al limite dell’erotismo.
Lui
aveva baciato me. Io avevo baciato lui. Nulla di più semplice.
Cosapevolezza.
Notai
alle sue spalle, con mio grande disappunto, che i miei dubbi era più che
fondati. Molti occhi erano puntati su di noi. Parenti, amici e sconosciuti. Chi
sorridente, chi turbato, chi soprerso e chi consapevole di qualcosa ormai palesato;
James era parte di quest’ultima categoria.
Avevamo
dato spettacolo. Ora sembravamo davvero una coppia di fidanzati. Per un attimo
pensai che anche quel bacio fosse
stato una delle motivazioni del suo gesto.
Dubbio?
Edward
col fiato un po’ corto, mi lisciò una guancia col dorso della sua mano. Mi sfiorò
l’angolo della mia bocca con le sue labbra morbide e umide. Quel bacio mi
sembrò quasi più intimo del precendente.
«Ti
avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»
No, certezza.
**************************************
CITAZIONE:
La vera nobiltà consiste nell’essere
superiore al te stesso precedente.
Questa
frase è deliberatamente presa dal libro “Un giorno in più” di Fabio Volo.
HO
SCRITTO DI JAMES PENSANDO AI MIEI FRATELLI CHE AMO SOPRA OGNI COSA. SPERO CHE
IL SUO RUOLO, COSì STRANO RISPETTO A QUELLO DATOGLI DALLA MEYER, NON SIA STATO
PER VOI UNA DELUSIONE.
HO
SCRITTO DI VICTORIA PENSANDO A DUE MIE AMICHE CHE SONO IN DOLCE ATTESA E
PROSSIME AL MATRIMONIO.
SE
NEL CAPITOLO VI SONO PARTI ZUCCHERATE, QUESTE SONO INTERAMENTE DEDICATE A
MIRYA.
E
UN GRAZIE A QUELLA STRONZA ALTA QUANTO UN METRO E UN TAPPO DI BOTTIGLIA CHE HA
AVUTO LA PAZIENZA DI SPRONARMI OGNI SANTO GIORNO. NON POTREI CHIEDERE UNA
MANAGER MIGLIORE.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
c16
NOTE INIZIALI ( rosso perchè si
avvicina natale, avete già fatto i regali? io sono ancora in panne!)
Non sono mai stata brava nelle note, e benché meno nel farmi perdonare.
Trovo una difficoltà immensa nel scrivervi questa nota, quasi quanto per
scrivere questo capitolo. Ho scritto tempo fa un avviso nel mia pagina di FB e
riporto alcuni punti solo perché non trovo le parole giuste per scusarmi: lì sono
stata sincera e mi sembra corretto continuare ad esserlo.
Sono passati quattro mesi dalla mia ultima pubblicazione, tralasciando il
missing moment della raccolta che era già per metà scritto. Non voglio parlare
di blocco dello scrittore perché non sono affatto uno “scrittore”. Sono
semplicemente una persona a cui piace scribacchiare e buttare su Word tutte le
idee che mi frullano nella testa.
Chi scrive, o scribacchia come nel mio caso, sa che c’è il rischio di
imbattersi in un periodo NO nel quale sembra difficile persino scrivere una
recensione con un minimo di senso logico, figurarsi un capitolo intero.
Abbozzi una frase, la rileggi, non ti piace ma decidi ugualmente di lasciarla e
magari revisionarla in un secondo momento. Quando poi la rileggi, la cambi
totalmente, così ti fermi sempre e solo su quella. Questo è capitato a me.
Cancellavo e riscrivevo sempre le stesse cose. Ogni santissimo giorno. Non
andavo mai avanti. Ed è per questo che non ho messo un vero avviso in cui
sospendevo questa storia, perché di fatto non l’avevo sospesa. Speravo
ogni giorno di portare a termine il capitolo e pubblicare con la solita ansia
mista all’euforia.
Perché da lettrice so quanto è grande l’impazienza di leggere un nuovo
aggiornamento.
Quindi vi chiedo scusa per questo mio mancamento, non era mia intenzione
spondere la storia
Vi chiedo scusa, se potessi moltipicandolo all’infinito, per questo mio
ritardo e per avervi fatto attendere così tanto tempo.
Ringrazio Marika per avermi spronata OGNI GIORNO, ‘meglio’ di uno STALKER.
Grazie davvero!! Mi sei stata d’aiuto, più di quanto tu possa immaginare!
Ringrazio coloro che hanno letto il capitolo in anticipo frenando ogni mia
sega mentale (e me ne faccio davvero tante): Congy, Fallsofarc e Luxsemprenoi
(Baleria, andò sei stata?)
Ringrazio quella ‘stronza’ della mia manager che mi ha torturato e continua a
torturarmi le ovaie. Nana, non smettere mai!
Ringrazio coloro che mi hanno sostenuta e cercata su Fb, Twitter e
privatamente, chiedendo costantemente mie notizie. Vi adoro. E per finire,
ringrazio chi, nonostante tutto, ha atteso un mio ritorno e continuerà a
seguirmi e leggere il seguito di questa storia.
Grazie davvero.
Ps: con tutti questi ringraziamenti sembra che questo sia l’ultimo capitolo ma
non è così, ve lo garantisco.
Pps: AAA OFFRESI FIDANZATO MOMENTANEO è una raccolta di missing moment. Presto
ne aggiungerò altri.
Ppps: con la nuova modifica apportata da Erika potrò rispondere a ciascuna
vostra recensione, negativa o positiva che sia! Quindi… state in campana.
Pppps: Una piccola nota per Francesca: Prof, guarisci presto! Le
parti zuccherose sono tutte tue!
(con tutte queste P il cervello è andato in fumo)
Piccola nota personale, per quanto possa interessare:
Per il carattere di James mi sono ispirata a mio fratello. E' un diavolo dai
capelli rossi: me ne combina di tutti i colori ma non riuscirei mai a
smettere di amarlo. Per la parte finale invece a quell'insopportabile del
mio fidanzato, che nonostante tutto, continua ad amarmi!
Ho parlato tanto, troppo.
Vi lascio al capitolo.
Buona lettura.
CAPITOLO 16
…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…
Quella maledettissima e paradossale frase da film era stata la causa dello
stato confusionale in cui ero entrata, permanendoci, mio malgrado, per un arco
di tempo indefinito.
Aveva risuonato nella mia testa, di continuo, nemmeno fosse stata una di quelle
canzoni che al mattino ti svegliano e ti perseguitano per il resto della
giornata finché non trovi un modo per scacciarle, magari con un’altra canzone;
non mi aveva abbandonata nemmeno quando avevo danzato con zio Eleazar, l’unica
persona che potesse ampiamente vantarsi di non aver ricevuto mai, in nessuna
occasione, un mio rifiuto in tema di ballo. Non ne avevo mai avuto il coraggio
per quante volte avesse cercato con infinita pazienza di insegnarmi a muovere i
piedi con un minimo senso di coordinamento – almeno tante quante di giocare a
scacchi. In effetti, nel secondo caso l’allieva aveva quasi superato il
maestro; nel primo invece aveva dovuto abbandonare l’idea quasi da
subito.
Sfortunatamente, l’età per salire sui suoi piedi e ciondolare tra le sue
braccia l’avevo ormai oltrepassata da anni, motivo per cui ci eravamo
semplicemente limitati a dondolare da un lato all’altro, sebbene qualche
piroetta non fosse mancata all’appello.
Molto probabilmente la stessa cosa che avrei fatto con Charlie se fosse venuto
al matrimonio. Sapevo che l’assenza di papà non era dovuta solo al suo lavoro:
c’entrava anche la mamma. Renée tendeva a cambiare idea molto facilmente. Si
erano rivisti per la prima volta alla mia laurea dopo molti anni di separazione
e già lì l’imbarazzo era salito alle stelle, figurarsi ad un matrimonio colmo
di parenti dagli sguardi curiosi e privi di tatto, pronti a giudicare e
confortare dopo anni di silenzio. Perfino zio Eleazar aveva compreso e
accettato l’assenza di papà al matrimonio di sua figlia.
Tuttavia, come ogni figlia con un po’ d’occhio acuminato, sapevo che oltre alla
mamma c’entrava anche un’altra donna: Sue Clearwater, la nuova fidanzata di
papà. L’avevo conosciuta nei due mesi in cui ero tornata a Forks per un infarto
scampato di Charlie. Si era presentata ogni giorno alla porta di casa con una
nuova pietanza tra le mani, tutte che stranamente collimavano con i
gusti di papà, finché una sera lo stesso Charlie non l’aveva obbligata a
restare a cena e, di soppiatto nella cucina, lui l’aveva baciata sulle labbra
trattenendola dalla nuca mentre lei arrossiva vistosamente. Il mio petto,
silenziosamente, si era gonfiato di gioia. Papà aveva ritrovato finalmente un
po’ di felicità.
Quello era il periodo in cui avevo lasciato Mike, rifiutando la convivenza e,
cosa ancora più importante, un fidanzamento ufficiale.
Avevo pensato che se era bastata una semplice sbandata per uno sconosciuto
– un condomino medico e strampalato - a mettere in dubbio i miei sentimenti,
allora non ero assolutamente pronta per un vero e proprio matrimonio. E sebbene
fossi stata del tutto cosciente e sicura della mia scelta, inizialmente i sensi
di colpa mi avevano divorato il fegato perché lo sguardo e le parole che mi
aveva rivolto Mike prima di abbandonare definitivamente Seattle erano stati
amari e crudeli.
Ad ogni modo, il mio vero rinvigorente era stato James. Una vera manna dal
cielo. Ed ora più pensavo a James, e più mi chiedevo per quale misterioso
motivo Edward avesse suonato alla mia porta e ne avesse taciuto in seguito.
Dopo la rottura con Mike, per più di due mesi, Alice aveva trascorso gran parte
del suo tempo nel mio appartamento, eccezion fatta per Jasper e il suo lavoro.
Io, per scelta, non ero più andata a casa Cullen. Edward era l’ultima persona
che avrei voluto incontrare; ero entrata in uno stato confusionale degno di
uragano – ogni certezza era crollata al suolo - e in un certo senso,
ingiustamente o lecitamente, lo incolpavo dell’accaduto. Ma sapevo
perfettamente che la colpa non era affatto sua.
Io mi ero infatuata come una ragazzina dagli ormoni impazziti, non lui.
Avevo addirittura pensato, stupidamente, che un po’ di distanza avrebbe
freddato quel mio fermento. Ma nei quei quattro mesi a seguire, nei quali lui
aveva lavorato fuori Seattle, avevo sentito la sua mancanza. Terribilmente.
La contraddizione delle contraddizioni.
Al suo ritorno poi, avevo assunto un atteggiamento totalmente assurdo ed
infantile da lui stranamente contraccambiato: le frecciatine erano aumentate
così come le occhiatacce e le provocazioni.
Infine, dulcis in fundo, era subentrata Alice con la sua trovata, tutt’altro
che rivelatrice: il fidanzato in affitto. La permanenza in Alaska si era
rivelata esattamente l’opposto di ogni mio pronostico e le sue azioni non mi
avevano di certo aiutato a districare le mie dannate incertezze.
Mi aveva baciata e provocata anche nei momenti più insensati, quando nessun mio
familiare aveva potuto assistere e, pertanto, non c’era stato alcun bisogno di
interpretare il ruolo dei fidanzatini.
…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…
Inevitabilmente il mio pensiero correva sempre e solo a lui.
Se il mio corpo aveva seguito meccanicamente zio Eleazar, esattamente come un
automa, la mente era stata altrove, concentrata su ciò che i miei occhi non
avevano abbandonato nemmeno per un istante, su Edward che, in mia assenza,
aveva chiacchierato e riso tranquillamente con James. Quasi come se quella
bizzarra tensione, inizialmente tra loro creatasi, si fosse disciolta con la
mia dichiarazione di parentela.
In effetti, quello apparentemente teso era sembrato più Edward che James, come
se quest’ultimo sapesse per certo più di quanto io avessi forse e solo
ipotizzato.
Cercai di avvicinarmi al tavolo giungendo alle loro spalle nel modo più
silenzioso possibile, in punta di piedi nonostante la musica attenuasse il
picchiettio delle mie scarpe, con l’intento di origliare un minimo stralcio del
discorso che i due uomini avevano intavolato. Edward non aveva smesso un attimo
di ridere, e ciò non poteva presagire nulla di buono considerandone l’artefice.
Quando si trattava di riportare alla luce vecchi aneddoti imbarazzanti, James
andava su di giri come un bimbo nel giorno di natale: in quei casi la sua
lingua s’allungava
«Possibile che in tutti questi anni tu non abbia ancora capito che è
impossibile fregarmi, cuginetta?»
L’occhio invece era stato sempre lungo.
Lentamente voltò il capo e sfoggiò un sorrisetto poco rassicurante, il che mi
fece pronosticare che forse aveva già spifferato più di quanto avrebbe potuto.
C’erano cose che sapeva solo lui, specie sulle mie questioni di cuore.
Afferrò al suo fianco una sedia dalla spalliera e la trascinò fino a
posizionarla nel mezzo, tra lui ed Edward. Mi accomodai scrutandoli con
meticolosa attenzione: due paia d’occhi – rispettivamente azzurri come il cielo
e verdi come il mare – erano vispi ed estremamente vivaci e le loro labbra era
così ricurve quasi da sfiorare le orecchie. Forse, a vederli bene, erano fin
troppo briosi.
Mi guardarono ancora per un attimo finché non sghignazzarono contemporaneamente
trattenendo a stento una risata molto più aperta di quella.
Sferrai un colpo sul braccio di James. «Brutto infame traditore, che cosa hai
raccontato?!»
Lui si massaggiò la parte offesa e tossicchiò camuffando altre risate. «Nulla
di compromettente, giuro.»
Giuda. Aspettavo con impazienza solo che mi baciasse una guancia.
Infatti lo fece. Si allungò stampandomi un sonorissimo bacio sulla mia guancia
sinistra. Arrossii un poco e trattenni un sorriso affettuoso. Non era il
momento di mostrarsi sentimentali anche se certi gesti mi erano mancati come
l’aria.
Sogguardai Edward, il quale continuava a fissarmi con quell’infantile luccichio
divertito negli occhi. Aggrottai la fronte, sentendomi fastidiosamente sulle
spine. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo anticipai facendogli morire
le parole sul nascere. «Qualsiasi cosa ti abbia detto, non credergli. James è
sempre stato il re, delle frottole.»
Il re delle frottole sfoggiò un sorriso sornione.
Edward si raschiò la gola con un colpetto di tosse. «Quindi non hai ingoiato un
uovo crudo solo perché ti avevano detto che quello era l’unico modo per far
crescere il seno, vero?»
Ma cosa cavolo…
Per il disappunto, rischiai di soffocare all’istante. James non era solo il re
delle frottole, ma anche quello degli infami. Che razza di episodi
andava raccontando?! Lanciai un’occhiataccia a mio cugino, degna di Clint
Eastwood in un film western. «James, avevo solo otto anni!»
Quella era stata la prima ed ultima volta che mi ero fidata di Tanya.
Quale bambina non avrebbe smaniato all’idea di avere un po’ più di seno al
posto di una tavola piatta da surf? Nessuna, e nemmeno io nonostante fossi
tutt’altro che femminile. A quei tempi ero rimasta letteralmente sconcertata
quando la mia premurosa cuginetta mi aveva docilmente svelato quella
preziosissima nozione di bellezza; avevo compreso le sue intenzioni solo dopo
aver ingoiato tutto il disgustoso e giallognolo contenuto dal bicchiere perché
lei e le sue sorelline avevano riso fino a star male, come se avessero
assistito in tempo reale ad una vera e propria candid-camera..
A dispetto di quella mia precisazione, Edward continuò ineluttabilmente a
sogghignare, come se oltre all’episodio avesse collegato qualche altro suo
strambo pensiero. Infatti, aggiunse: «Beh, in ogni caso, a quante pare per te
sembra aver funzionato ingoiare un uovo crudo.»
Quella fu la volta di James: rise fino alle lacrime. La loro alleanza era quasi
insopportabile, e figurarsi che si conoscevano da meno di ventiquattro ore, non
riuscivo nemmeno ad immagine cosa avrebbero potuto combinare se fossero stati
amici da più tempo.
Tuttavia, se l’aneddoto di James non mi aveva granché imbarazzata, la
puntualizzazione di Edward invece mi aveva fatto avvampare fino alla radice dei
capelli e non per timidezza, ma semplicemente perché, nella mia mente, era
tornato a galla uno stravagante spogliarello fatto proprio davanti ai suoi
occhi.
«Di te non hai raccontato niente, eh?!» sibilai a quel fedifrago di parente.
Proprio in quell’istante, quando Kate e Garrent diedero inizio all’ennesimo
ballo al centro della pista, sopraggiunse Victoria che con un sorriso sornione
si sedette in braccio al suo futuro marito. «Cosa avrebbe dovuto raccontare,
quest’uomo che dice di esser stato un bimbo tanto ligio e silenzioso?»
Inarcai un sopracciglio. «Silenzioso, James?» Era stato il bambino più
chiassoso e sfrenato che io avessi mai conosciuto. Zia Carmen aveva sempre
sostenuto che l’esuberanza di suo figlio, tuttora come allora, compensava
quella dell’intera famiglia Denali.
Mi portai un dito alle labbra, reprimendo un risolino. «C’è un particolare che
ricordo con maggior intensità»
Lui mi inchiodò con lo sguardo del tipo ‘stai attenta a quello che dici’, ma
non avrei taciuto per nulla al mondo. Sapevo come rammollire quella sua
maschera di sfrontatezza.
Sorrisi. «Ricordo che rubasti il pettine rosa delle bambole ad una delle tue
sorelle: lo portavi sempre con te, fissato all’elastico degli slip e ogni volta
che incontravi una bella bambina fingevi di pettinarti come John Travolta.
Cercavi anche di fare l’occhiolino ma non ci riuscivi, e stringevi entrambi gli
occhi contemporaneamente.» James contraccambio il mio sorriso al ricordo - l’ego
maschile può prendere svariate direzione per la vetta – pensando che,
forse, avessi già terminato di raccontare quel particolare, ma mancava ancora
la parte più divertente e imbarazzante, almeno quanto il mio uovo crudo.
«Una volta invece hai indossato perfino la parrucca bionda di Halloween, quella
di Tanya, e le scarpe col tacco di tua madre: hai ballato sulle note di Grease
lungo tutto il corridoio. Devo dire che il ruolo di Sandy ti si addiceva di
più.» Victoria rise sommessamente, forse immaginando il suo uomo in gonnella,
che in quell’istante le pizzicava i fianchi un po’ risentito.
Ma lo scopo di quel nostro scambio di ricordi, utilizzandoli come se fossero
quasi dei contraccolpi, non era in nessun caso quello di mettere l’altro in
imbarazzo. Non c’era cattiveria, ma solo un misto di nostalgia e felicità nel
rimembrare alcuni episodi di vecchia data.
Per l’appunto James, dopo quella piccola lotta con la sua fidanzata da lui
definita ‘impertinente’, mi rivolse un dolce sorriso e strinse maggiormente la
vita di Victoria. «Quello era il giorno in cui Renée ti aveva annunciato il tuo
trasferimento da zio Charlie, ricordi?»
Per un attimo strabuzzai gli occhi ed una consapevolezza si fece strada tra i
meandri della mia mente come la riversata frettolosa di un torrente: all’epoca
James aveva potuto avere all’incirca dodici anni, un’età piuttosto avanzata per
certe sceneggiate. Lui si era ridicolizzato per me, perché avevo pianto tutto
il giorno rannicchiata in un angolo della sua cameretta.
Possibile che dopo tutti quegli anni, avessi compreso solo adesso quel suo
affettuoso gesto? I miei occhi si inumidirono e se avessi potuto mi sarei
lanciata per stringerlo forte a me fino a che le braccia non avessero urlato di
dolore. Una carezza mi fece quasi sobbalzare; la mano di Edward si era posata
sulla mia schiena. Mi rivolse uno sguardo dolce e comprensivo.
Victoria si schiarì la gola distraendoci l’uno dall’altra. «Bella, dove vi
siete conosciuti tu ed Edward?» Con quella domanda riuscì quasi a stabilizzare
l’equilibrio iniziale.
«Viviamo nello stesso palazzo.»
«E lì, vi siete incontrati per la prima volta?» chiese ancora, sorridendo in un
modo tutto affabile.
Non feci in tempo a rispondere perché Edward mi anticipò spingendosi un po’ più
in avanti. «Veramente, mi è piombata addosso il giorno del suo trasloco.»
Lo guardai a bocca spalancata, come se aspettassi da un momento all’altro che
qualche mosca facesse il suo ingresso, o magari proiettassi l’intero ricordo
come una diapositiva a mia difesa. «Non è vero! Mi sono sbilanciata, e sei
stato tu ad avvicinarti per afferrarmi prima che io finissi per terra!»
Edward ammiccò. «Appunto, grazie a me non sei caduta e non ti sei ammaccata
quel bel sederino che ti ritrovi.»
Inarcai un sopracciglio incrociando le braccai al seno. «A quanto pare non lo
hai fatto certo per galanteria.»
Lui schioccò la lingua fintamente seccato. «Avrei potuto prendere gli scatoloni
anziché te, non credi?»
Gli scoccai un’occhiataccia. «Sei insopportabile, te l’ho già detto?»
Si fece più vicino e sorrise con malizia. «Forse un paio di volte, forse anche
più. E tu comunque sei ripetitiva.»
Era così vicino che riuscivo quasi a percepire completamente il profumo
muschiato della sua pelle, contare le sue ciglia, una ad una, o ammirare quel
leggero strato di barba che gli ricopriva la mandibola.
…«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»…
«Ti detesto.» sussurrai con un filo di voce, bramando come un’affamata le sue
labbra sulle mie e ovunque lui volesse posarle.
«Non è vero.» disse con spontaneità, spostando oltre la mia schiena alcuni
boccoli venuti in avanti. Successivamente, la sua mano restò ancora a contatto
con la mia pelle. Tratteggiò leggero con due dita l’osso sporgente della mia
clavicola.
«Sembra tanto una dichiarazione di guerra.» mormorò James dopo aver assistito
alla nostra battaglia di freccette e carezze implicite. Noi lo ignorammo.
Una dolce risata femminile. «Io direi d’amore, James. Anche tu ed io abbiamo
fatto così all’inizio del nostro rapporto.»
Un brivido salì lungo la mia schiena incentrandosi alla mia nuca.
D’amore. Una dichiarazione d’amare. A conti fatti allora, c’eravamo
amati quasi sin da subito, dal momento che quella guerra andava avanti
già da un bel po’di tempo.
Mi girai velocemente: avrei dovuto e voluto replicare, magari con qualche frase
pungente, ma nel movimento, maldestramente feci rovesciare un flute di prosecco
sul tavolo. Il liquore si riversò completamente sulla tovaglia e sulle mie dita
quando cercai di evitare il disastro. Edward mi porse una salvietta
sogghignando. Il suo sguardo fu più che eloquente.
«Non fiatare.» sibilai, ma un sorriso sfuggì al mio controllo.
Ricordavo ancora quando una volta gli avevo versato un intero bicchiere di vino
addosso macchiandogli la sua camicia preferita perché mi aveva dato della ‘burattina
nelle mani di uno idiota’. Nell’ultimo litigio prima della sua partenza da
Seattle.
E mentre io cercavo di pulirmi alle bell’e meglio con la salviettina, vidi Kate
sbracciarsi e sventolare il suo mazzo di fiori informandoci dell’imminente ed
ennesimo intrattenimento matrimoniale: il lancio del bouquet. Il matrimonio non
sembrava mai trovare fine. Un motivo in più per odiarlo: oltre ai vestiti
pomposi e scomodi e privi di praticità da indossare, la lunghezza dei
festeggiamenti stessi.
Victoria seguì il mio sguardo e con uno sbuffo si alzò in piedi tamburellando
sulla mano di James incollata al suo pancione.
«Bella, tu vieni con me, vero?» Si lisciò il vestito color malva sui fianchi.
«Fortunatamente il matrimonio è quasi finito. Sono stanchissima.»
Ormai era sera: le stelle brillavano alte nel cielo scuro del crepuscolo e
nell’aria si sentiva la tipica frescura estiva dei luoghi di mare. La pelle
delle braccia era piacevolmente fresca, se non addirittura fredda.
A mia volta mi alzai con lo stesso identico sbuffo emesso da lei qualche attimo
prima. «Se vuoi, possiamo restare qui al tavolo.»
Lei ridacchiò dolcemente. «Non mi tentare, Bella. Facciamo quest’ultimo sforzo.
Non siamo maritate e purtroppo ci tocca.»
Victoria si era presentata come una ragazza alla mano: simpatica, spigliata e
solare. Palesemente titolare delle tre ‘s’, le principali qualità che avrebbero
fatto capitolare un qualsiasi uomo dalla cresta lunga e dura come quella James.
Quest’ultimo le baciò velocemente, ma pur sempre preso e con totale devozione,
una mano. «Vic, cerca di non prendere il bouquet così non sarò costretto a
sposarti.»
Lei con la stessa mano gli diede un buffetto sulla guancia. «Contaci, amore. E
se eventualmente arriva tra le mie braccia lo passo subito a Bella.»
Tossicchiai ed Edward rise sotto i baffi. Un finto fidanzamento, per quanto
incasinato, a suo modo era fattibile ma un finto matrimonio era letteralmente
inconcepibile.
Edward mi lanciò uno sguardo divertito. «Dovrei già sposarti per la partita a
scacchi, non infieriamo pure col bouquet.»
Il mio sguardo si accese di sfida. «Non preoccuparti, amore, al massimo
trovo qualcuno disposto a sposarmi entro l’anno. Magari… potrei sempre
chiederlo a Mike»
Fui pienamente compiaciuta di quel suo proverbiale sopracciglio visibilmente
inalberato.
***
Se è vero che agli uomini bastano pochi secondi per spogliarsi ed infilarsi in
un letto, e non solo in senso metaforico o affettivo, è altrettanto vero che le
donne in certe occasioni sono tutt’altro che veloci, a meno che non sia
la passione a prevale su entrambi i sessi, perché in quel caso i vestiti non
verrebbero semplicemente sfilati, ma strappati, perfino con i denti e non si
perderebbe nemmeno una briciola di tempo in bagno per quisquilie femminili.
Questo, per l’appunto la prima parte, fu uno dei motivi per cui, io e Victoria,
disertammo l’ultima parte dei festeggiamenti lasciando Edward e James a bere
l’ultimo drink della serata e disquisire affabilmente su argomenti tipicamente
maschili, aventi lo sport come testa e le auto come coda (il sesso nel mezzo).
Perciò, una volta sopraggiunte al piano superiore, raggiungemmo le nostre
camere da letto, non molto distanti l’una dall’altra, augurandoci
reciprocamente la buonanotte.
Con l’intento di sfilarmi di dosso quell’abito da cerimonia, ero entrata nel
bagno chiudendomi la porta alle spalle lasciando ancora una volta la chiave sul
mobiletto; una parte di me sperava quasi in un’improvvisa apparizione di Edward
con tanto di avviluppamento e arrancata sino alla doccia.
Ero perfino riuscita a sciogliermi da sola l’insidiosa acconciatura, togliendo
gli innumerevoli ferretti, anche se una volta liberi, i miei capelli,
somigliavano ad una gigantesca criniera leonina fresca di permanente: una vera
e propria cascata di voluminosi ricci.
Purtroppo, era l’abito, quello che mi aveva dato del filo da torcere: avevo
combattuto coraggiosamente con la cerniera lampo per più di dieci minuti,
sebbene quella non avesse mostrato alcuna intenzione di collaborare. Ad ogni
strattone la stoffa s’arricciava frenandone la calata.
Pensai a Victoria e al suo, di abito, in seta e privo di cerniere o fronzoli
inutili; magari avrebbe potuto darmi una mano con quest’arnese infernale. Avevo
già capito l’antifona: era una battaglia persa in partenza.
Quando uscii dal bagno provai anche a slacciarmi la collana ma il gancio era
ingarbugliato con alcune ciocche di capelli. Infastidita, sbuffai: oltre alla
cerniera, ci si mettevano anche i gioielli.
«Problemi?»
La voce di Edward giunse improvvisa alle mie orecchie. Alzai lo sguardo e lo
ritrovai a ridosso della porta finestra senza giaccia, con il colletto aperto e
la cravatta allentata, intento a sbottonarsi i polsini. Aveva spento i faretti
incassati nel soffitto: la stanza era scesa nella penombra rischiarata solo
dalla fioca luce di un’abatjour. I suoi capelli in alcuni punti sembravano
bagnati dalla luna che alle sue spalle brillava alta e fulgida nel cielo
notturno, in altri, invece, umidi dalla stessa notte per quanto all’apparenza
sembrassero scuri. I tratti del suo viso erano distesi, sciolti come se fosse
totalmente avvolto da un’aura di bizzarra e sensuale tranquillità.
Sorrise in modo vagamente malizioso. «Bella, ti serve una mano?»
Ero rimasta inebetita a fissarlo per chissà quanto tempo, senza realmente
rendermene conto, proprio come nei nostri primissimi incontri, conquistata dal
suo fascino. In tutti quei mesi ero riuscita a fare dei passi in avanti, ma in
quella settimana ne avevo compiuti altrettanti indietro, se non di più.
Con una mano stranamente tremante indicai la mia schiena. «Non riesco a… a
tirare giù la lampo del vestito e sciogliere la collana.»
L’imbarazzo, esattamente l’ultima cosa di cui avevo bisogno, formava un’irreale
e sottile patina sulla pelle, mentre la frenesia era ineluttabilmente radicata
alle ossa, nelle fibre, impossibile da svestire, impossibile da levare.
«Girati» sussurrò con voce roca e gutturale facendosi più vicino.
Mi voltai e con una mano alzai dalla schiena i miei capelli per facilitargli il
lavoro.
Inizialmente percepii una leggera sollecitazione alla cerniera lampo, poi
qualcosa di freddo – le sue dita – a contatto con la mia pelle. «E’ inceppata.»
spiegò spingendo delicatamente con i polpastrelli tra le mie scapole.
Con Edward avevo sempre avuto uno strano senso di inadeguatezza, come se avessi
sempre dovuto creare io stessa la propulsione per una determinata situazione,
ma quella sera la sensazione era diversa. Forse non avrei avuto bisogno di
alcun pretesto per avvicinarlo: probabilmente lo avrebbe fatto anche se non
avessi trovato difficoltà con il mio abito.
Mi raschiai leggermente la gola. «Hai le mani fredde.».
Con le dita premute sulla mia pelle, riuscì a tirare giù la lampo con calma,
come se volesse osservare ogni porzione di epidermide che man mano veniva
scoperta – o magari, semplicemente, speravo che fosse quello il vero motivo di
artefatta lentezza. «Scusa, non sono abituato alle temperature dell’Alaska, e
sinceramente non sono sicuro di volermici abituare.»
Un dito scivolò dalla nuca alla base della mia schiena, segnandone ogni
vertebra esposta.
La sua non era lentezza. Ma concupiscenza.
Fermai in tempo la calata del vestito sul davanti bloccandolo sul seno con la
mano libera. Ero così distratta da scordarmi persino i gesti più naturali,
quelli più pudichi.
«Ti sciolgo anche la collana?»
«Oh.» esclamai con un risolino nella voce. «Questa mattina mi hai chiuso
l’abito, sebbene non fosse questo, e mi hai agganciato anche la collana. Il
servizio è incompleto, non credi?»
«Hai ragione.» rispose Edward ridacchiando appena. «Perdona la mia mancanza.»
Frasi sensuali e beffarde, parole morbidamente sussurrate: un innato e
inguaribile gioco di seduzione.
Le sue dita sfioravano appena la mia nuca e tiravano deliacamente i capelli
incastrati nel gancio. C’era una squisita calma nella stanza, caratterizzata
unicamente dai nostri sospiri – il mio astrusamente più veloce.
Avevo quasi il timore che, la tensione, da sensuale potesse oltrepassare quella
linea sottile e trasformarsi in un imbarazzante silenzio. E in effetti qualcosa
di impellente e importante da dire c’era. Dovevo solo trovarne il modo. Per cui
tirai un profondo sospiro ed iniziai a parlare
«Allora» mi schiarii la voce. «Sono in debito con te, non trovi?»
Lui ridacchiò. «Per il servizio completo in merito alla collana e al vestito?
Beh, sì, direi proprio di sì.»
Risi spostando tutti i capelli sul lato destro; il braccio cominciava a dolore
dallo sforzo. «No sciocco, non mi riferivo a quello.»
Edward sospirò e fermò un dito per un istante sulla mia nuca. «Lo so a cosa ti
riferivi.» Nel tono non c’era stata alcuna traccia di accusa. Riprese a
sciogliere il nodo tirando appena un capello dalla radice.
«Suppongo che al ritorno dovrai uccidere Alice. Questa settimana per te deve
essere stata proprio un bel cambio di programma.» Mi morsi le labbra avvertendo
un poco d’ansia. «L’hai trovata così noiosa?»
«Al contrario. Direi…» Da parte sua ci fu una lunga pausa, silenziosa e tesa:
un respiro trattenuto, poi rilasciato quasi bruscamente. «…piuttosto
illuminante.»
Illuminante: insolita definizione.
«Illuminante.» meditai. «Per te o per me?» domandai poi con un filo di voce ed
una curiosità emozionante.
Edward sopirò. «Chissà… forse per entrambi.»
La sua risata, improvvisa e sottile, vibrò nell’aria. «Mettiamola così: le tue
considerazioni sono sempre le stesse?»
Alice tutto potrebbe sembrare tranne il mio fidanzato.
Edward, date le tue esperienze, non credo che tu possa essere definito un
perfetto fidanzato.
…se mi fai passare per la stupida della situazione ti ammazzo con le mie
stesse mani.
I pregiudizi sono i paraocchi e i tarli della mente: ne limitano e ne
distorcono fastidiosamente i pensieri. C’è soddisfazione o rassegnazione quando
questi risultano esatti e lo si manifesta a gran voce; c’è invece imbarazzo e
pentimento quando accade l’esatto contrario e confessarlo risulta più che
improbabile.
Come semplici e friabili biscotti al burro, i miei pregiudizi erano stati
sgretolati senza alcuno sforzo dalle sue mani.
A volte si camuffano anche in scudi con cui difendersi, armi con cui
contrattare, o appigli a cui aggrapparsi per non scivolare lungo un pendio
sconosciuto – foderato da spine o petali, o da intere rose in tutta la loro
morbidezza e nocività.
Lo avevo mal giudicato per un gesto di autoconservazione, per sfuggire da lui e
da tutto quello che all’apparenza gridava instabilità, autoconvincendomi che
fosse immaturo e fin troppo volubile come uomo, l’ultimo di cui potessi e dovessi
mai innamorarmi.
Il primo di cui mi ero totalmente innamorata.
Le mie considerazioni erano decisamente cambiate, ormai senza alcun dubbio.
Ora, con un po’ di coraggio e orgoglio sepolto, avrei dovuto solo raccogliere
quelle briciole e, a palmo aperto, mostrargliele.
Inspirai profondamente congiungendo le mani sul mio grembo. «Mi sono sbagliata
sul tuo conto: non sei lo sbruffone che credevo tu fossi.»
Lui rise allegramente. «Sbruffone? Da te mi sarei aspettato
qualche epiteto più colorito. Di solito non sei così delicata.»
Lo ringraziai mentalmente per aver alleggerito la tensione.
«E adesso te lo saresti pure meritato!» Gli diedi una leggera gomitata nello
stomaco smorzandogli un’imprecazione divertita dalle labbra. «Accidenti,
e pensare che a volte riesci a fare anche la persona seria.»
Edward sogghignò ancora facendosi d’un tratto più vicino: poggiò una mano sul
mio fianco e incollò il suo busto alla mia schiena. Poi sentii la sua mano,
quella libera, sfilare languidamente la collana dalla mia gola e strisciarla
sulla mia spalla per poi allungare il braccio e abbandonare il gioiello sul
copriletto.
«Anch’io mi sono sbagliato» mormorò ad un soffio della mia pelle. Lo sentii
inspirare profondamente. «Sono giunto a troppe conclusioni affrettate.»
Cuginetta?
Sì, è mio cugino.
Ho fatto la figura dell’idiota, vero?
Sicché non ero stata l’unica ad aver fatto delle considerazioni errate; ognuno,
a modo suo, aveva sbagliato. C’erano state fin troppe incomprensioni, e ce ne
stavamo rendendo conto solo ora. Ma non era tardi. Chi più o chi meno, presto o
tardi, ormai non aveva importanza.
Sussultai lievemente quando percepii il suo fiato infrangersi sulla mia spalla,
un bacio soffiato caldo e morbido come una carezza di velluto. I brividi si
spansero come onde a pelo d’acqua dovute da un sassolino lanciato in mare. Un
sospiro uscì dalle mie labbra dischiuse, e a nulla valsero i miei sforzi per
trattenerlo. Un’evidente ostentazione di abbandono.
«Si può sempre rimediare.»
Le mie parole si dispersero docilmente nella stanza senza trovare alcuna
risposta perché ,quando girai il capo per cercare i suoi occhi, le sue labbra
furono subito sulle mie, come se aspettasse quella mia mossa già da tempo. Quel
bacio, che sapeva quasi di disperazione, risvegliò brutalmente ogni mia
particella forzatamente sedata, spogliandomi dall’imbarazzo e lasciando spazio
solo alla frenesia che, da un momento all’altro, aveva preso il sopravvento.
Quando mi alzai sulle punte per avvicinarmi maggiormente a lui, un suo gemito basso
e gutturale, un misto di liberazione e abbandono, si sciolse nelle mia bocca
mentre la stretta alla mia vita si accentuava fino a diventare quasi dolorosa,
in modo piacevole; l’altra sua mano risaliva lungo il collo fermandosi sulla
mia guancia trattenendo il mio viso riverso, come se ce ne fosse bisogno, come
se io non stessi facendo altrettanto con le mie, di mani: una, salda e ancorata
alla sua nuca con le dita intrufolate nei suoi capelli, e l’altra sulla sua
arpionata al mio fianco.
Un bacio strano, dolce, passionale e travolgente, che si prolungò nel tempo
accrescendo sempre più di intensità, foggiato dai nostri corpi attorcigliati
come due scale a chiocciola intrecciate. Un bacio al retrogusto di wisky e
crema pasticciera. Con la mia testa inclinata, la sua lingua aveva potuto
raggiungere i più piccoli punti inesplorati del mio palato, della mia gola, dei
miei denti.
Mi girai solo quando avvertii l’impazienza di toccarlo fremere nelle mie mani,
un bisogno quasi insostenibile. Ma non mi allontanai nemmeno in quel caso
perché lui non me lo permise. Ruotai nel suo abbraccio ritrovami col petto
completamente schiacciato al suo.
Mi aggrappai alla sua cravatta e con mani febbrili gliela slegai gettandola sul
pavimento. Un gesto significativo, carico di sottintesi e di consensi
silenziosi niente più freni né inibizioni.
Ero lì, tra le sue braccia, e nulla intorno aveva più consistenza né
importanza. Nessuna riflessione né sul passato né sul futuro, né su ciò che
sarebbe accaduto il giorno dopo, o quello dopo ancora. Solo noi.
Con indicibile impazienza slacciai i bottoni della sua camicia non prima
che lui la tirasse fuori dai pantaloni. Edward continuò a baciarmi il viso: le
guance, gli zigomi, gli occhi, per poi soffermarsi sul mio collo e lasciarmi,
intenzionalmente, tutto il tempo e lo spazio necessari per denudarlo. La
camicia scivolò oltre le sue spalle e lungo le sue braccia vigorose.
Con curiosità carnale saggiai la consistenza della sua pelle: liscia,
soda e vellutata sotto le mie mani tremanti. Conoscevo i suoi gusti, le sue
preferenze ma il suo corpo era per me un territorio totalmente inesplorato Ad
ogni carezza Edward socchiudeva gli occhi, al di sotto delle mie dita i suoi
muscoli guizzavano e il suo respiro diveniva sempre più frenetico. Quelle sue
reazioni causarono in me un senso di potere, un orgoglio tutto femminile che mi
portarono a sentirmi bella e desiderabile a suoi occhi.
Con altrettanta impazienza lui abbassò l’unica bretella del mio vestito
stoicamente aggrappata alla mia spalla. Come una cascata nella notte, l’abito
blu si riversò sul pavimento insieme alla mia volubile audacia. Il primo
istinto fu di chiudere le palpebre, ma non ne fui in grado perché la prima cosa
che lui fece, non fu guardare il mio corpo seminudo, ma tenere i suoi occhi
inchiodati ai miei. Solo dopo, quando la voglia di essere guardata fu anche mia,
con altrettanta curiosità, così carnale da incendiare la mia pelle
nemmeno fosse stata steppa arida, studiò il mio corpo con uno sguardo bruciante
di desiderio. Le sue dita vagarono sulla mia pelle ancora coperta di pizzo, e
sospiri spezzati uscirono dalle mie labbra. Poi, inspiegabilmente, si sedette
sul letto attirandomi tra le sue gambe. Con le mani ancorate ai miei fianchi, e
le mie intrufolate ancora una volta nei suoi capelli, aspirò la mia pelle
dall’ombelico allo sterno in una carezza lenta e intima. Un decelerazione
volontaria, come se stesse frenando ogni suo istinto primordiale e
sfacciatamente maschile per darmi tutto il tempo di comprendere ciò che sarebbe
accaduto di lì a poco.
Avrei voluto dirgli ‘non trattenerti, amore, perché l’urgenza che tu
senti la condivido anch’io’, ma anziché parlare e rischiare di dire
qualcosa di inappropriato, glielo feci intendere tuffandomi sulle sue labbra
con struggente avidità. Quella fu la proverbiale goccia di passione che
fece traboccare il vaso. Afferrandomi dalla vita, si stese sulla schiena
trascinandomi su di lui per poi rotolare lateralmente e invertire le posizioni.
Ancora impazienza.
Tutto ciò non fu pelle, e d’intralcio ai nostri corpi, venne annullato. Ci
sfilammo i vestiti con un’impellenza tale da rendere i movimenti quasi goffi.
Un groviglio di mani frenetiche e indumenti svolazzanti. Una mia risatina e
un’occhiata divertita da parte sua quando i suoi pantaloni si incespicarono
nelle nostre gambe intrecciate.
Ancora curiosità.
Intreccio e lusinghe di lingue e di sguardi, scontri di denti e di nasi, morsi
di labbra morbidi e forti al limite del dolore. Baci infuocati, intimi,
appassionati, impudichi e irrefrenabili in ogni parte del mio corpo. Laddove
rabbrividivo lui succhiava, come a voler catturare con le labbra quel piccolo e
visibile tremito a fior di pelle.
Con l’incolta e sottile barba mi solleticò lo stomaco, la pancia, l’interno
delle cosce e lo spazio tra i seni consapevole di ciò che lui e quella
parte di lui erano in grado di provocarmi: gemiti e brividi e mancamenti.
Edward aveva sorriso più di una volta. Ma quel suo sorriso non sembrava affatto
di compiacimento, bensì di complicità.
Le sue carezze, di mani e di occhi, furono morbide sulla mia pelle scoperta,
voluttuose sul mio seno, vigorose sui miei fianchi e impudiche dove i nostri
corpi si scontravano ritmicamente con impazienza.
Ancora passione.
Un incastro intimo così armonioso che sembrò quasi irreale. Quelle sue spalle
così larghe e ponderose mi diedero un vero senso di protezione. Le mie gambe
allacciate al suo bacino e le sue mani incollate alle mie natiche per affondare
più in profondità; od io tirata su a sedere, issata sulle sue gambe di poco
piegate con le mie invece attorcigliate alla sua vita: le nostre mani premute
sulla rispettiva schiena dell’altro pressando fino ad illuderci di divenire un
tutt’uno anche con la pelle. Petto contro petto. Cuore contro cuore.
Ancora ed ancora passione.
Ad ogni spinta fu una goccia di sudore spillata, un battito cardiaco mancato,
un bacio rubato, un ansito pronunciato, uno slancio verso il paradiso e un
brandello di anima remissivamente ceduto. Toccammo l’apice allo stremo della sopportazione,
allo stremo delle forze, stringendoci l’uno all’altro così forte da smorzarci
il respiro, la sua testa sepolta tra i miei seni imperlati di sudore.
Tenerezza.
Edward continuò ad accarezzarmi la schiena, le braccia e i fianchi -
nemmeno fossi diventata d’un tratto tenera e fragile come un cristallo –,
e a baciarmi i capelli , il naso e palmi delle mani anche dopo l’amplesso,
quando ormai non sembrava più essercene bisogno. O perlomeno, quello era sempre
stata una mia stupida convinzione, che dopo il sesso non fossero necessari
altri gesti.
Ma questa volta, per me, non era stato affatto solo e semplice
sesso.
Amore?
Mi addormentai tra le sue braccia che, calde e possessive, mi strinsero per
tutta la notte al suo fianco cullandomi deliziosamente in quell’abbraccio che
sapeva ancora di noi e dell’amore appena consumato.
E sebbene mi avesse trattenuta a lui per tutta la notte, all’albeggiare
del giorno seguente stranamente mi risvegliai ritrovandomi un poco distante da
lui, quel tanto da distanziare i nostri corpi l’uno dall’altro. L’unica notte
in cui avrei potuto ancora travolgerlo, mi ero inspiegabilmente allontanata. Ma
non del tutto, perché Edward, ancora una volta me lo aveva impedito tenendosi
attaccato con una mano alla mia vita, come ad accertarsi della mia presenza al
suo fianco.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=428125
|