alla ricerca della felicità

di kiku77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** niente è come sembra ***
Capitolo 2: *** Tornare a casa ***
Capitolo 3: *** In Giappone ***
Capitolo 4: *** Io non ti riconosco ***
Capitolo 5: *** La cena ***
Capitolo 6: *** il tuo volto ***
Capitolo 7: *** lo stadio è vuoto ***
Capitolo 8: *** Genzo ***
Capitolo 9: *** Toccarsi ***
Capitolo 10: *** Mio fratello ***
Capitolo 11: *** Quando tu vai a giocare, tua moglie cosa fa? ***
Capitolo 12: *** Non puoi sfuggire al tuo destino ***
Capitolo 13: *** Odore di bambino ***
Capitolo 14: *** Correre ***
Capitolo 15: *** Sto facendo sul serio ***
Capitolo 16: *** Uomini ***
Capitolo 17: *** Sei dentro di me ***
Capitolo 18: *** Genzo, di nuovo. ***
Capitolo 19: *** La lettera ***
Capitolo 20: *** Il momento ***
Capitolo 21: *** Non posso fare altro che guardarti ***
Capitolo 22: *** Rispondimi, ti prego ***
Capitolo 23: *** Avere un amico ***
Capitolo 24: *** Il ritorno ***
Capitolo 25: *** Sei bellissima ***
Capitolo 26: *** Michiko ***
Capitolo 27: *** Il destino e i nostri sogni ***



Capitolo 1
*** niente è come sembra ***


Sanae rimase fissa e immobile di fronte alla finestra della cucina.

I gemellini si erano addormentati da appena mezz’ora. In casa il silenzio creava come un un’eco. Tutto sembrava risuonare e rimbombare. Era il terzo test di gravidanza che faceva. Ed era positivo. Lo teneva in mano e lo fissava ripetendosi “ non può essere, non posso essere ancora incinta.”

Appoggiò l’oggetto sul lavandino e sospirò, indecisa su cosa pensare e cosa fare. I bambini avevano appena cominciato a camminare. Lei era esausta: tenerli sotto controllo tutto il giorno era faticoso e sentiva sempre di più il peso di essere una madre tutto sommato “sola”. Tsubasa non c’era mai. Quando c’era, era talmente preso dai suoi figli che passava tutto il tempo a giocare con loro. Lo stress settimanale per le partite, per tutti gli impegni e gli obbiettivi importanti che la squadra aveva, gli impedivano di avere una vita “normale”. Solo i bambini sembravano un’eccezione per lui.

Sanae era un punto fermo: era la sua Sanae. Sempre presente, sempre attenta. Sempre di buon umore e sorridente. Tutto era in equilibrio perché c’era lei. E più passava il tempo, più lui s’innamorava di lei, del suo modo di essere. Del suo corpo. Il corpo di Sanae era diventato la sua casa. Il suo segreto. Una promessa.

E lei era felice di essere così importante per lui. Ma stava diventando una donna; era cresciuta molto in fretta dopo il matrimonio e di colpo si era dovuta arrangiare in un luogo sconosciuto, spesso sola e dopo poco anche in attesa di due gemelli. Non era stato facile. Anche se aveva fatto tutto talmente “bene” che Tsubasa non si era accorto delle difficoltà, dei pianti, della solitudine. Lui si era potuto concentrare sulla carriera e stava veramente diventando un calciatore importante.

 

Parlavano poco. Non litigavano mai.

La maggior parte del poco tempo disponibile veniva dedicato ai bambini: non arrivava mai il momento giusto per poter fare dei discorsi seri o parlare un po’ di loro, dei loro progetti come persone, come coppia. L’unico progetto della famiglia era che il Barcellona fosse la squadra più forte della Spagna (possibilmente, anche del mondo) e che Tsubasa ne fosse un giocatore esemplare. Non c‘era spazio per altro, pareva, perché questo sogno assorbiva tutte le energie e tutte le attenzioni.

I ritmi della casa ruotavano intorno a Tsubasa e ai bambini. Lei di tempo per sé non ne aveva. Tanto meno aveva “un ritmo” suo. C’era sempre qualcosa da fare o da pensare e quando finalmente tutto era a posto, ecco che stremata non poteva che dormire e cercare di recuperare un po’ di forze.

 

Da qualche tempo però qualcosa era cambiato in lei: In Giappone Yukari e Yayoi frequentavano i loro corsi universitari brillantemente e sembravano molto concentrate su loro stesse. E quando le sentiva per telefono o via mail, poteva cogliere la loro fiducia , la loro speranza per le loro vite. Lei invece? Che speranze aveva? “Fa che Tsubasa non si faccia male…. Fa che vincano anche oggi….. fa che i miei bambini crescano sani……”Ecco.

Non le capitava mai di dire fra sé e sé.” Fa che io un giorno….” Non che dovesse fare chissà che, ma a 20 anni si ritrovava come in balìa degli eventi e degli altri. Si sentiva come staccata da se stessa ed era un qualcosa che riusciva a razionalizzare solo ora.

Doveva fare qualcosa, doveva dirlo a Tsubasa e capire bene cosa stesse succedendo…..

Riguardò il test e si sentì così stupida. “Cosa credi di fare adesso? Chi credi di diventare? Dove pensi di andare col pancione? All’università, forse? A cercare un lavoro? Le donne in maternità stanno a casa, OCA!” si urlò col pensiero stringendo il test quasi a volerlo spaccare.

 

 

Da lì a poco sarebbe arrivato. Doveva buttare la spazzatura e fare finta di niente.

Sentì aprire la porta ed ebbe un sussulto. Pensò: “ Devo restare lucida, devo restare lucida. Non è niente, non è successo niente….”

“Salve Sanae…”

Tirò un sospiro di sollievo quando in cucina entrò la mamma di Pinto.

“Ti ho portato un po’ di pane… l’ho fatto io.”

“Oh che gentile… grazie”

La madre di Pinto era una di casa. Aveva le chiavi e spesso era l’unica a darle una mano con i gemelli e la casa.

Non aveva voluto una donna delle pulizie o una tata anche se Tsubasa avrebbe certamente acconsentito.  Lei era stata educata in un certo modo. Le donne ” dovevano cavarsela da sole” e badare a tutto.

“C’è qualcosa che non va?”

“No no è tutto a posto….” Fece Sanae di spalle gettando il test nella pattumiera, sfilando il sacchetto e richiudendolo repentinamente.

“Vuoi che vada io a gettarla”

“No, vado io….” “veramente volevo chiederti se potevi fermarti un po’ qui, io ho delle cose da sbrigare. Domani partiamo  e ho delle commissioni da fare. Pensi di potermi aspettare?”

La madre di Pinto annuì cortesemente: aiutava molto volentieri quella giovane madre. Le si era molto affezionata.

Sanae infilò le scarpe e prese qualche soldo dalla borsetta, per fare un po’ di scena. Non doveva andare da nessuna parte perché non le mancava nulla per partire per il Giappone. O forse… le mancava tutto.

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Capitolo 2
*** Tornare a casa ***


Appena rientrò, Tsubasa disse la solita frase: ” Sono tornato!” .

La madre di Pinto gli andò incontro e gli fece un cenno con la mano. “Salve!” disse lui cercando con lo sguardo Sanae e i bambini.

“Ciao Tsubasa, com’è andato l’allenamento?”

“Tutto bene… oggi più che altro abbiamo parlato e ci siamo messi d’accordo su questo periodo di riposo. Dopo le amichevoli con le nazionali abbiamo due settimane di ferie e poi si ricomincia……… Ma dov’è Sanae?”

“Come dov’è; mi ha detto che doveva fare le ultime commissioni e mi ha chiesto di fermarmi. Solo che adesso io dovrei andare. Sono le sette e sono arrivata alle tre…deve aver avuto un contrattempo perché mi aveva assicurato che ci avrebbe messo poco…..non sai esattamente dove doveva andare?”

Tsubasa rimase un po’ sorpreso perché non sapeva nulla: di solito se Sanae usciva, glielo diceva e sapeva sempre come rintracciarla. Ma non ci fece troppo caso e col solito buon umore disse: “ beh chiamiamola così sentiamo dov’è”.

“Non ha preso il telefono…lei è uscita senza nemmeno la borsa: sembrava avere molta fretta.”

“Che strano……va beh, comunque vedrai che torna presto; puoi andare. Ai piccoli ci penso io… ma dove sono?”

“Sono in salotto che giocano… sono stati buonissimi oggi. Hanno già mangiato…..ah dimenticavo,  Tsubasa… domani a che ora partite?”

“A mezzogiorno. Mi raccomando venite a salutarci ! “

“Certo!allora a domani…”

“A domani e grazie”

 

Proprio mentre stava uscendo, ecco Sanae rientrare. Si incontrarono sulla porta e si lanciarono un’occhiata d’intesa.

“Ah… eccoti….ma dove sei stata…..?”

Sanae guardò la signora, poi Tsubasa.

Aveva camminato senza meta per la città, ascoltando solo i suoi pensieri.

Si rese subito conto che non poteva dare questa versione e che in fretta doveva rispondere.

“Dovevo fare delle compere….”

Tsubasa la squadrò: le sue mani erano vuote; non aveva comprato niente……

“E dov’ è la roba che hai comprato?”, chiese lui non in tono indagatore, ma più per ingenuità.

Era la domanda piu’ logica che uno potesse farle; lei era come in un’altra dimensione, non si stava bene rendendo conto di quanto fosse poco credibile.

 “Beh alla fine non ho trovato niente: mi volevo comprare un vestito per la serata della nazionale ma non ho visto niente di bello…..”

Tsubasa fece un’aria molto incredula. Sanae non era difficile in fatto di gusti. Era una persona che guardava all’essenziale. Non riusciva ad immaginare che girando per il centro di Barcellona non fosse stata capace di vedere qualcosa di adatto e soprattutto di bello. Le poche volte che l’aveva accompagnata a fare shopping era stato un calvario: ogni passo erano fermi a guardare una vetrina.

“Quindi cosa indosserai?”

Al che fu lei a rimanere di stucco: Tsubasa che le chiedeva cosa si sarebbe messa, era un avvenimento. Di queste cose non ne parlavano mai perché lui non ci teneva per niente al look, né suo né di sua moglie.

“Non lo so… comprerò qualcosa in Giappone….vedremo.”

Guardò la mamma di Pinto e la ringraziò molto per il tempo trascorso lì, ad aspettare che tornasse.

Era imbarazzata e si sentiva in colpa verso la donna, perché era certa che non avesse creduto ad una sola parola di quel che aveva detto.

“Ma figurati, sai che quando hai bisogno io ci sono…”

Non aveva creduto ad una sola parola di Sanae, infatti; sapeva che aveva mentito anche se non sapeva perché; non gliene fece una colpa, però: “senz’altro ha avuto una buona ragione”, pensò fra sé e sé.

 

 

Abbracciò i bambini mentre Tsubasa raccoglieva un po’ di giochi dal tappeto e poi andò in cucina ad improvvisare la cena. Il frigo era vuoto perché per tre settimane sarebbero stati via e aveva cercato di non abbondare con le provviste. Non sopportava gli sprechi: anche se potevano considerarsi ricchi, erano rimasti ancorati alle loro abitudini. Vivevano in modo semplice senza strafare o sperperare il denaro. E poi Sanae era una persona che aveva un gran rispetto per tutto: l’idea di buttare via da mangiare, le dava molto fastidio. Per questo cercava sempre di organizzarsi al meglio. E sarebbe andato tutto liscio anche quella sera, se non avesse "sprecato" il pomeriggio per vagare sola con se stessa. Riuscì comunque a rimediare qualcosa e dopo un po’ si sedettero a tavola.

Tsubasa era nervoso: lo vedeva bene da come le sorrideva.

Sapeva che era l’adrenalina all’idea di tornare a casa, e soprattutto di giocare in nazionale.

Lui era il capitano e anche se si trattava di due amichevoli, non voleva sbagliare.

C’era molta attesa in Giappone soprattutto per i calciatori che stavano giocando all’estero ed era palese che molta dell’attenzione sarebbe ricaduta su di lui. Sanae non parlò di questo: lo lasciò coi suoi pensieri per un po’, poi le venne in mente che si era completamente dimenticata una cosa.

 ”Accidenti…. Non ho ancora chiamato la moglie di Rivau per salutarla….. che sbadata…”

Lui la guardò e rientrò nel mondo reale…..”E’ partita da una settimana per il Brasile. Stasera Rivau la raggiunge. Sai non sta molto bene….”

Sane lo scrutò sorpresa: “ Cosa significa?”

“ Beh …. Lui mi ha detto che sono diversi mesi che stanno provando ad avere un altro figlio. Lei lo vuole disperatamente, ma… non arriva. Questa cosa la sta mandando un po’ giu’ di testa.”

Sanae abbassò lo sguardo e cercò il suo ventre: ” Cosa darei per donarti  questo fiore…” pensò in segreto, riflettendo su quanto lo stesso identico avvenimento potesse portare facilmente alla gioia qualcuno e alla disperazione qualcun altro.

Tsubasa continuò: ” Era uno straccio anche lui…. Sai non è che senta tutto questo bisogno di un terzo figlio… lui dice se arriva arriva, se non arriva si vede che non è il momento. A volte le cose accadono quando meno te le aspetti, no?”

“E’ proprio vero….”.

Non sapeva che altro aggiungere. Le veniva da vomitare e da piangere. Ma sostanzialmente non poteva fare né l’una né l’altra cosa. Così si trattenne; si alzò e cominciò a sistemare anche se Tsubasa non aveva ancora finito.

A lui sembrò un po’ strano: in effetti gli era sembrata una serata un po’ tutta strana, ma non era abituato a dare peso  a certe cose  e non cominciò di certo in quel momento.

Aveva altro per la testa.

S’immaginava già in campo con la maglia numero 10. E  lo stadio pieno.

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Capitolo 3
*** In Giappone ***


Quando fu l’ora di andare a dormire, lui la guardò in modo molto dolce e chiese: “ Ti dispiace se….?”

Per Sanae fu come una liberazione: “No,…. lo sai che piace tanto anche a me….”

Allora Tsubasa andò nella cameretta dei bambini e uno ad uno, sollevandoli senza svegliarli, li portò al centro del loro letto e vi si sdraiò accanto. In quel momento  le si gonfiò il petto e pensò a quanto fosse bella quell’ immagine, di lui così protettivo verso i suoi bambini. Ormai non riusciva a immaginarsi lontana da loro, al di fuori di quel quadretto familiare. E sentiva che non era per niente un quadretto scontato: sentì che era autentico e che aveva lottato tutta la sua adolescenza per arrivare fino a lì.

 “Allora perché ho tanto male dentro?Che cos’è quest’ inquietudine? Perché mi sto sentendo così?”

Andò in bagno e pianse, cercando di non farsi sentire.

 

Non riuscendo a chiudere occhio, scese al piano di sotto dove aveva portato le ultime cose da infilare in valigia e cominciò a mettere a posto. Pulì i mobili e la cucina, mentre i goccioloni le rigavano il viso. Ogni tanto le veniva un sussulto e pensò che più tardi si sarebbe sentita meglio. Si fece il tè quando ormai era l’alba e si addormentò dopo poco sul divano.

Tsubasa, sentendo la sveglia suonare e vedendo che lei non c’era, si allungò per spegnerla. Scese di sotto sbadigliando e la trovò già vestita, in piedi, al suo posto preferito, di fronte alla finestra della cucina. Uno spiraglio di luce le filtrava fra il braccio e il fianco sinistro, facendo risaltare il contorno del suo corpo. Al pensiero di toccarla, gli saliva dentro una specie di ansia, proprio come quando doveva scendere in campo. Lo stesso stato d’animo; lo stesso impulso cardiaco. La salutò abbracciandola in vita e spingendola affinché si girasse. La baciò sulla bocca, poi sugli occhi e giù sul collo chiedendole quando si fosse svegliata.

 

“Molto presto. Ho già preparato tutto, così dobbiamo solo occuparci dei bimbi…..”

“Sembri molto stanca. Vedrai che in Giappone ti potrai riposare: i nonni faranno a gara per tenere i nipoti, così potrai dedicarti un po’ a te e magari compriamo anche la casa questa volta, eh?”

Già.. la casa… era la seconda volta che avrebbero provato a comprare una casa tutta loro in Giappone. L’anno precedente non erano riusciti perché Tsubasa era stato sempre via, prima con la nazionale, poi col suo procuratore in giro fra  sponsor  ed eventi vari. Anche stavolta sarebbe stato uguale,  lo sapeva già. E questa volta, per il quieto vivere, avrebbe deciso tutto lei.

Lo trovava così squallido: comprare da sola, senza consultarsi con lui, con i soldi che aveva guadagnato lui, una casa per la loro famiglia. Eppure non c’era altra via. Sapeva che suo padre non l’avrebbe lasciata in pace fino a quando non ne avesse acquistata una. Quindi, pur annuendo al marito, si mise il cuore in pace. “Io dovrò comprare la casa, non tu”, pensò.

Ci fu tutto il tempo per fare con calma: Tsubasa riuscì anche a fare due tiri con Pinto e i suoi amici in giardino. Sua madre invece aiutò Sanae a finire di preparare la borsa a mano. Avrebbe voluto darle delle spiegazioni e dirle perché il giorno prima si fosse comportata in quel modo; ma non era ancora in grado di fare dei discorsi profondi in spagnolo. Allora preferì tacere.

Dopo poco  si diressero verso l’aeroporto. Il viaggio andò abbastanza bene: i bambini erano stati buoni; il vantaggio di averne due della stessa età era che giocassero tantissimo fra di loro. C’era un chimica incredibile fra i due. Se erano insieme erano degli angioletti. I problemi se mai venivano in quelle rare occasioni in cui dovevano restare separati, anche solo per qualche ora.

Sanae lo aveva pregato, una volta atterrati e arrivati al teminal, di non fermarsi con i giornalisti. Odiava sentirsi tutti gli occhi addosso. Non amava essere fotografata per i giornali o cose del genere. Negli ultimi periodi aveva anche cominciato  a frequentare meno lo stadio. Odiava sedere nelle tribune Vip con le altre mogli dei giocatori. Le uniche con cui aveva un po’ legato erano come lei e allo stadio non andavano proprio. Per lei era un sacrificio stare a casa perché adorava il calcio e l’atmosfera delle partite allo stadio era come una specie di droga. Però spesso si era sentita sotto esame. Le dava fastidio come le guardavano i vestiti o il taglio di capelli e il trucco. Sanae non era una fotomodella, non era un’attrice; non era la classica ragazza del calciatore famoso. Era per molti aspetti una persona atipica. Non era cambiata per niente rispetto ai tempi del liceo: aveva la stessa ingenuità, lo stesso modo di porsi. Non c’era malizia, non c’era voglia di apparire.

Certo era molto bella: ma di una bellezza senza sovrastrutture.

Inoltre da quando c’erano i bambini, era diventata più schiva: forse era un modo per proteggerli, per non offrirli all’esterno come trofei.

Purtroppo  il volo aveva fatto ritardo e ad aspettarli c’era un sacco di gente. Giornalisti, fotografi, fans, tifosi, vari gruppetti di ragazze urlanti. Tsubasa era diventato un gran bel ragazzo; lo era sempre stato, ma crescendo era anche diventato affascinante: aveva molte ammiratrici. All’inizio Sanae ne era stata molto gelosa e ne aveva anche sofferto. La gravidanza l’aveva però ammorbidita e non si curava più di molte cose: ad aiutarla comunque ci pensava Tsubasa, che non dimostrava alcuna attenzione a questi aspetti del suo lavoro. Lui, più passava il tempo,  più sembrava invece dipendere da lei, desiderandola sempre molto.

La trovava bellissima, anche se non glielo diceva mai, perché in fondo era rimasto il ragazzo timido e impacciato di sempre. Solo nell’intimità, quando erano soli, senza parlare, riusciva a tirare fuori i suoi istinti, la sua voglia di stare con lei.

Arrivati a destinazione, fu tutto un rumore assordante e persone che scattavano foto coi telefonini e chiamavano “Tsubasa” affinche’ si fermasse. Lui salutò sorridente e, tenendo il piccolo Hayate in braccio, mentre Sanae proteggeva Daibu con la mano, si diressero verso i genitori che con le braccia alzate cercavano di far capire la loro posizione. Come sempre, l’unico a mancare era il signor Nakazawa.

Non molto distante c’era un signore con gli occhiali scuri e la divisa della nazionale.

Si abbracciarono tutti: i nonni fecero una gran festa ai bambini e la Signora Ozora sembrava la più emozionata.

 

“Benvenuto Signor Ozora”

Tsubasa salutò calorosamente l’uomo che era venuto a prenderlo.

“Purtroppo dobbiamo andare : la riunione preliminare sta per cominciare. Comunque fra un paio di giorni avrete la serata libera, quindi potrà stare con la sua famiglia”.

Sanae lo guardò delusa.

“Come? non può neanche venire a casa?”

“Dai Sanae, lo sai come funziona in nazionale….. ci vediamo tra due giorni, mica fra un mese!”

In quel momento lo odiò. Era stato umiliante sentirlo parlare in quel modo e soprattutto con quel tono: come per dire “dai, non fare la bambina”.

Era talmente preso dalla sua maglia numero 10, che preferiva andare ad una stupida riunione preliminare, piuttosto che starsene con loro.

Ma questa volta non si lasciò intimidire.

“Lo so benissimo come funziona la nazionale! Solo che mi sembra ridicolo che tu non possa venire neanche un attimo a casa dei tuoi. Tutto qui. Se a te invece sembra che abbia senso, vai pure!”

Si allontanò staccandogli di dosso Hayate e andò verso l’uscita.

Tutti rimasero male per la  sua reazione. Soprattutto Tsubasa. Non la rincorse però; e nemmeno la chiamò: era troppo imbarazzante in quel momento.

“Le passerà….” fece guardando sua madre “e’ molto stanca; cercate di pensare voi ai bambini in questi giorni. Ha bisogno di riposarsi un po’”.

 

“Stupida! Stupida!” si disse, imprecando in mille modi per  la reazione “scomposta” che aveva avuto e la scenata fatta. Non era una cosa da giapponesi: la cultura spagnola la stava un po’ troppo contagiando… cominciava a scaldarsi sempre molto facilmente per delle cose che prima avrebbe catalogato come sciocchezze.

 

In macchina i toni si stemperarono e nessuno fece domande o commenti riguardo all’episodio appena successo.

“Perchè papà non è venuto?” chiese a sua madre.

“E’ fuori per lavoro. Ha di mezzo una causa importante; sai com’è fatto…...”

Sanae non disse nulla: in fondo c’era da aspettarlo; non era che un fantasma nella sua vita. A stento riusciva a ricordare l’ultima loro conversazione al telefono  o l’ultima volta che si fossero visti seriamente, come padre e figlia.

“Dunque….” Disse il Signor Ozora, “ dove andiamo? Starete  da noi o preferisci da tua madre? Abbiamo preparato sia di qua che di là, quindi sentiti libera di fare come vuoi.”

Ogni due secondi doveva prendere una decisione e cominciava ad essere stufa di dover pensare per due, mentre era sola.

“Beh…. se non vi dispiace, io  preferirei stare dai miei genitori in questi giorni. Poi magari quando Tsubasa avrà finito con i suoi impegni, veniamo un po’ anche da voi. Può andar bene?”. In questo modo le sembrò di non fare un torto a nessuno. A tutti parve la soluzione migliore. Così si diressero a casa Nakazawa.

Rivedere la sua camera fu scioccante. I bambini  si guardarono in giro, studiando ogni oggetto, ogni posto.

Lei invece conosceva quel piccolo mondo a memoria. Ogni singola sfumatura di colore, ogni riflesso di luce significava un momento, uno stato d’animo, un’emozione. Si diresse verso la finestra  e pensò a tutte le volte che piangendo, aveva cercato il volto di Tsubasa oltre le distanze chilometriche che li dividevano. Adesso erano insieme. Eppure lei si sentiva distante, così infinitamente lontana da lui, che tutto il paesaggio immaginario che si era sempre sognata dalla finestra, le pareva insignificante.

Capì quanto le prospettive potessero cambiare in poco tempo.

Sentì quanto i ritmi interiori e il proprio mondo segreto fossero come uno scrigno che si apriva piano piano a qualcosa di nuovo e come questo qualcosa potesse investire tutto ciò che provava e viveva.

 

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Capitolo 4
*** Io non ti riconosco ***


Erano appena le nove quando si risvegliò. Dopo tanti giorni, si sentì finalmente più riposata ed ebbe come la certezza di provare una specie di serenità dentro. Un raggio di sole l’aveva colpita proprio al volto e aveva sentito un bisbigliare di voci femminili al piano  di sotto che l’aveva incuriosita. Si alzò e cercò Hayate e Daibu: ma i 2 lettini erano vuoti. Sapeva che in quei giorni i suoi figli sarebbero stati tenuti in ostaggio da genitori, parenti ed amici e sorrise all’idea di quel microcosmo di adulti in completa dipendenza di due  esserini appena capaci di reggersi in piedi..……

Scese le scale e si ritrovò soffocata dagli abbracci di Yukari e Yayoi che l’avevano praticamente assaltata in mezzo alla stanza…..

 “Dio mio, Sanae…. come sei bella…. Quanto mi sei mancata!....” le gridò Yukari, stringendola forte a sé senza darle quasi modo di respirare.

“Siamo così felici di vederti!…..Yukari ha ragione: ogni volta che torni, sembri sempre più bella…sarà l’amore del capitano a darti quest’aria… non so come dire… speciale…., eh?” disse Yayoi, facendole l’occhiolino.

Scoppiarono a ridere e poi naturalmente si misero tutte e tre a piangere per l’emozione di rivedersi dopo tutti quei mesi.

“Signora Nakazawa, Sanae oggi è nostra… la sequestriamo! Possiamo vero?”

La donna sorrise e guardò fuori in giardino dove la signora Ozora giocava sul prato con i nipotini e sembrava essere ringiovanita di dieci anni. Scosse la testa come per far capire che le sembravano tutte  un po’ strane, mentre Sanae ancora non era riuscita a dire una parola.

Le abbracciò teneramente e le osservò senza farsi troppo notare. Avevano un’espressione leggera in volto, parevano molto felici e soprattutto senza pensieri. Provò un sentimento fra l’invidia e il rammarico paragonando le loro situazioni alla sua e si sentì sporca dentro per i pensieri che le stavano attraversando la mente.

La costrinsero a vestirsi in fretta e furia per uscire a fare colazione. Davanti al giardino c’era una bellissima auto nera: Yayoi schiacciò il pulsante e Sanae avvertì il rumore dello scatto delle portiere.

“Cavolo che bella macchina…ma è tua?” chiese lei ingenuamente…

“Sì… me l’ha regalata Jun per il mio compleanno… non è stato un pensiero stupendo?”

“Chiamalo “pensiero”… tu non appartieni a noi comune mortali…. Il tuo ragazzo è il principe del calcio giapponese….è un gentleman! Non è vero Sanae?”

Quest’ultima non sapeva che dire. Lei non aveva ricevuto mai un regalo di compleanno da Tsubasa. Neanche quando aveva partorito, lui le aveva fatto qualcosa. Tsubasa viveva in un altro mondo: non faceva parte del suo carattere tenere conto di ricorrenze e cose del genere.

“Sanae, sto parlando con te? Ci sei?” le richiese Yukari

“Eh.. sì deve amarti veramente molto per averti regalato quest’auto…. Sei davvero fortunata.”

“E’ fortunato anche lui ad avere una ragazza come me, non trovi?” chiese Yayoi, per conferma. La sua domanda, anche se voleva passare per una battuta ironica, nascondeva un grande senso di incertezza. Era risaputo che Jun fosse uno dei calciatori più belli del paese. Inoltre era ricco di famiglia, quindi rappresentava un partito ambito. Era elegante, intelligente, colto e discreto. Insomma, il ragazzo perfetto. Yayoi stava con lui da una vita. Ma viveva nel terrore che qualcuna glielo potesse portare via. Ne era gelosissima. Sanae sentiva questo sostrato di paura: lei le paure della gente le aveva sempre avvertite; le fiutava come un segugio in cerca della preda. E sapere che lei stesse in ansia per una cosa simile le fece male.

“Nessun regalo, nemmeno il più bello al mondo, può valere quello che tu sei per lui. Tu sei la sua storia; quando stava male, tu c’eri. Avresti potuto farti la tua vita invece di passare i pomeriggi in ospedale. Ti sarà in debito per sempre. In debito, non di regali, ma d’amore.”

Yayoi rimase incantata ad ascoltarla; Yukari quasi si era commossa. Da dove veniva tutta questa profondità? Questa saggezza? Che cosa le era successo a Barcellona?

“Sanae…. Grazie…..”

“E di cosa? Ho detto solo la verità…. Allora andiamo?”

 

Si sedettero all’interno di una bella caffetteria del centro, in un tavolo un po’ nascosto.

“Hai visto il telegiornale ieri sera? C’è stato il collegamento dal ritiro e hanno inquadrato tutti i giocatori nelle loro divise ufficiali…… come sono belli…” disse Yayoi.

“No io non ho visto niente… ero troppo stanca…” rispose Sanae. In realtà non aveva guardato di proposito: era ancora troppo arrabbiata per l’uscita infelice che Tsubasa aveva avuto all’aeroporto, per poterlo “ adulare” anche in tv.

“Allora… cosa ci racconti? Novità?”

Di novità ce n’erano diverse…. Ma Sanae non era pronta per parlarne…. Si limitò a raccontare del più e del meno senza addentrarsi nei particolari.

“Ma voi piuttosto? Come vanno gli studi?” chiese lei

Yukari le rispose che aveva passato tutti gli esami dell’anno e stava andando molto bene. Se non ci fossero stati intoppi in due anni si sarebbe laureata in pedagogia.

“Invece per Yayoi ci sono novità in vista….avanti diglielo!” la incitò Yukari.

“Che novità c’è?” chiese Sanae.

Lei mostrò la sua mano sinistra: al dito aveva un diamante bellissimo. In confronto, quello che Tsubasa aveva regalato a Sanae ( ecco quale era stato l’unico regalo che avesse mai ricevuto da lui, oltre a un pallone da calcio prima di partire per il Brasile e 13 dei 15 goal che aveva segnato quell’anno nella Liga…..) era quasi invisibile.

“Che bello…… ma cosa significa? Vi siete fidanzati ufficialmente?”

“ Ci sposiamo.”

Sanae rimase di stucco. Quella frase le rimbombò per qualche secondo nella testa provocando lo stesso tipo di rumore che aveva sentito quando aveva capito di essere di nuovo incinta.

“Beh… non mi dici niente? Non mi fai i complimenti?”

“ E’ una cosa talmente bella che non potevamo dirtela per telefono, sei d’accordo?” disse Yukari.

“Scusa Yahoi, ma con l’università come sei messa?” chiese Sanae.

Alla domanda rimase un po’ impreparata… e mentre si guardava l’anello disse: “ con l’università sono quasi in pari, non proprio come Yukari ma va tutto bene.”

“ Io temo di non capire….. che fretta hai di sposarti? Perché non finisci i tuoi studi di economia prima? Me ne hai sempre parlato con così tanto entusiasmo….”

“Ma che razza di domanda e’questa? E poi scusa, tu non sei quella che a nemmeno 18 anni si è sposata e ha mollato tutto?”

“ Beh direi che la mia storia è un bel po’ diversa, Yayoi…. Io non ho avuto scelta.”

 

Silenzio. Solo voci di gente agli altri tavoli, cucchiaini che sfioravano tazze  e i passi veloci dei camerieri da una parte all’altra.

Oramai, l’aveva detto. Non poteva tornare indietro. Allora tanto valeva spiegare bene cosa intendesse.

“Io non ho potuto scegliere. Mi ha chiesto di sposarlo e di partire con lui. Avevo passato i 3 anni precedenti a disperarmi,  a crogiolarmi nella solitudine, senza combinare niente. Sì, ho finito il liceo, ma senza un obbiettivo, senza una motivazione. Vivevo nell’attesa di capire che cosa sarebbe successo con Tsubasa e quando è tornato e mi ha chiesto di sposarlo, io non potevo che dire di sì. Io dipendevo da lui. Dipendo da lui. Perché DI MIO, DI VERAMENTE MIO, NELLA MIA VITA NON HO COSTRUITO NULLA. Ma per voi è tutto diverso. Non dovete vivere separati: abitate nello stesso paese, siete vicini; potete coltivare ognuno i propri interessi e nello stesso tempo vedervi, frequentarvi. Hai solo 20 anni……..Jun non scappa mica”

Le sue amiche l’avevano ascoltata senza interromperla anche perché lei era stata un fiume in piena. Yukari riconobbe quello spirito combattivo che sempre l’aveva contraddistinta e quella forza di dire le cose per la quale l’aveva sempre ammirata. Allo stesso tempo però c’era qualcosa di diverso. C’era dell’amaro nelle sue parole. Non sembrava più la stessa ragazza che avevano salutato l’ultima volta.

Erano deluse.

“Ah….quindi secondo te ora io dovrei andare da lui e dirgli – “sai ho riflettuto bene e non vedo perché ci dobbiamo sposare così presto visto che ci vediamo tutti i giorni e io devo studiare….. ma dimmi Sanae, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Da te proprio mi aspettavo tutto ma non di sentire questi discorsi…….Ci sono tante di quelle ragazze che farebbero carte false per essere al mio posto…. E anche al tuo se proprio lo vuoi sapere…… “

 

Lei abbassò lo sguardo. Non avevano capito niente di quel che aveva detto. Non avevano colto l’intento del suo discorso. Era passata per la persona che sputa sul piatto in cui mangia.

“Ma tu non sei “le altre ragazze”… tu sei tu e dovresti pensare a te stessa, al tuo bene…”

“Ah…. quindi secondo te, sposandomi mi farei del male?”

Di nuovo aveva usato un modo di esprimersi troppo sottile per essere capita….

“Non è questo che intendo…senti… lascia stare…. Fa finta che non ti abbia detto niente. Anzi ti faccio le mie congratulazioni. Stai facendo la cosa migliore….”

Non era stata affatto convincente.

Trascorse qualche minuto di silenzio e di imbarazzo.

Poi Sanae fece le sue scuse.

“Yayoi, scusami, sono stata molto sgarbata nei tuoi confronti. Ma chi sono io per dirti quello che devi fare?..... sai è solo che mi sto rendendo conto di come tutto stia cambiando,  di come oramai non stia rimanendo più niente di noi……se ti sposi anche tu, sarà un’altra parte della nostra vita che non tornerà più come prima”.

C’era qualcosa di vero in quel che aveva detto, ma più che altro aveva provato a distogliere l’attenzione dal matrimonio per incentrare il discorso sulla loro amicizia; in questo modo sperava di rimediare un po’ allo sfogo di prima.

Yayoi la guardò teneramente.

“No no, io ho capito… mi vuoi proteggere…. Ma come mi hai detto prima io sono la sua storia. Non posso tirarmi indietro neanch’ io, temo…..”

 

“Allora cosa vogliamo fare con questi musi lunghi? Avanti…..andiamo a fare un giro sulla tua macchina!”  Yukari provò a buttarla sul ridere.

Cercarono di trascorrere un po’ di tempo parlando di cose futili senza fare più riferimento alla discussione sul matrimonio.

Fecero delle compere, poi Yayoi a metà pomeriggio riaccompagnò Yukari e Sanae a casa Nakazawa.

 

Una volta scese dall’auto, Yukari partì all’attacco.

“Ma cosa ti è preso? Almeno tu non sapessi che adesso lei andrà a ridire tutto a Jun e lui lo ridirà dritto dritto a Tsubasa…..Certe cose se le pensi, è meglio che te le tieni per te! E poi cos’è questa storia dell’università? se ti senti che ti manca così tanto non averla frequentata, fai sempre in tempo ad iscriverti. Cos’è? Tsubasa non ti dà il permesso? Cos’è tutto questo risentimento… questo “femminismo” ingiustificato? Sai che non sopporto chi fa la vittima…. Sanae io non ti riconosco più!”

Sanae con la testa e con il cuore era già lontanissima da lì. Non voleva iscriversi all’università, non glien’era mai importato niente. Non era questo il punto.

Lei aveva solo espresso un’opinione. Era questo che stava chiedendo: potersi esprimere.

A dirsi, sembrava la cosa più naturale del mondo. Eppure, nel suo caso, pareva un obbiettivo impossibile da raggiungere.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** La cena ***


Vorrei ringraziare le persone che stanno leggendo questa storia e  un ringraziamento particolare va a coloro che hanno recensito i capitoli, esprimendo le loro opinioni e commenti, cosa che mi fa molto piacere e mi aiuta a capire come la storia viene recepita. Grazie a Hikarisan ( spero non rimarrai troppo delusa dal fatto che lo spettegolare di Yayoi non viene sviluppato…!) e Lara80 e un ringraziamento speciale a Elisadi80 che oggi compie anche gli anni! Buon Compleanno!

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Il giorno seguente fu un via vai di persone che vennero a salutarla e a farle una gran festa.

Poi, nel tardo pomeriggio, finalmente tornò suo padre. Non c’era mai stato un gran dialogo fra i due, ma per Sanae suo padre aveva sempre rappresentato l’autorità; aveva sempre cercato la sua approvazione in tutte le cose che aveva fatto, perchè lo stimava moltissimo come uomo. Anche se il rapporto era sempre stato piuttosto frammentario e fragile, c’era in entrambi una sorta di “urgenza” l’uno dell’altra, quando sapevano di potersi vedere.

Il Signor Nakazawa, appena varcò la soglia di casa, si ritrovò sua figlia di fronte. Non tradì alcuna emozione, come al solito. Ma sentì che le gambe gli tremavano perché il desiderio di stringerla a sé era qualcosa di complicato da gestire.

Era un ottimo avvocato. Era sempre stato un gran lavoratore. Aveva fatto tanta gavetta, perché non si era fatto comprare dal denaro, da proposte allettanti di rispettabili studi legali. Lui aveva continuato a stare in un piccolo ufficio in periferia con altri due soci, ex compagni d’università, ed insieme a loro aveva imparato ad attendere il pagamento delle parcelle dei suoi clienti per mesi e mesi, perché aveva deciso di fare l’avvocato per un amore sconfinato della legge  e non per arricchirsi. I suoi clienti erano sempre i più deboli. Sapeva bene cosa voleva dire perdere una causa (ne aveva perse talmente tante!) ma aveva anche provato sulla sua pelle l’euforia della vittoria: quel genere di vittoria che si meritano coloro che cercano giustizia. Quell’euforia, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla riscossione di una parcella. Quell’euforia era la sua libertà.

Aveva fatto vivere la sua famiglia in modo modesto: niente vacanze, niente abiti costosi e così via; non era stato neppure in grado di pagare un biglietto aereo a Sanae per farla andare in Brasile da Tsubasa. Aveva sempre dovuto combattere con i debiti e quindi Sanae aveva dovuto lavorare per poter trovare i soldi. Ma suo padre aveva fatto per lei qualcosa che nessuno poteva portarle via: le aveva insegnato quanto fosse importante quello che faceva e aveva  cercato di trasmetterle un po’ del suo idealismo.

In parte vi era riuscito.

Il problema erano i sentimenti: lui proprio con i sentimenti non ci sapeva fare. Di sentimenti non sapeva parlare, soprattutto se riguardavano la sua sfera privata. Sua moglie aveva imparato a conoscerlo e ad amarlo così com’era. Ma Sanae… Sanae dentro era una ribelle; era una che i sentimenti se li mangiava, li divorava; a otto anni aveva già capito che avrebbe amato quel “tipetto che gioca bene a pallone” ( così lo chiamava lui, da padre un po’ geloso). Era normale che tra di loro le cose non fossero facili.

La osservò appoggiando la giacca all’appendiabiti e scorse un’espressione che solo un’altra volta aveva colto sul suo giovane viso. Non gliene parlò, per non ferirla o provocarla. Ci sarebbe stato tutto il tempo.

“Allora, come stai?”  - le chiese, per fare la parte del buon padre.

Lei non rispose. Anzi rispose a modo suo,  facendo una domanda: “Com’ è andata la tua causa?”

“ Non avevo la causa… io sono andato a fare delle ricerche. La causa comincia tra un mese. Roba che scotta. Non ne voglio parlare. Tsubasa?”

Ecco: già erano partiti male. Sanae si girò per tornare in sala. “Tsubasa è in ritiro. Ha la serata libera  e andiamo tutti a cena dai suoi genitori. Spero che non dovrai lavorare anche stasera……”

“Sanae!” le gridò sua madre, come per rimproverarla. Doveva sempre difendere il marito, lei.

“Cos’ho fatto? Cos’ho detto questa volta? E ‘ così grave sperare che venga anche lui?”

Il Signor Nakazawa era molto acuto; capì subito che c’era qualcosa che non andava.

“Certo che vengo. Io adoro gli Ozora…” disse ironicamente.” Però se vuoi che venga, bisognerà che ti metta qualcos’altro addosso….. ” disse alla figlia, che per protesta infilò subito le mani nelle tasche della sua comodissima tuta.

“Perché? Guarda che mangiamo in casa, non andiamo mica al ristorante…” fece lei per giustificarsi.

“Che c’entra…ci vuole sempre un po’ di rispetto, no? Se il mio cliente è un disgraziato, io non è che lo accolgo in studio in tuta….e se vado a cena dai miei suoceri non mi presento in vestaglia. …..e poi Sanae la tuta mi ricorda più una liceale che la moglie del capitano del Giappone. Dai forza, vatti a cambiare ….”. Era un uomo che, pur nella poca disponibilità, non aveva mai rinunciato alla forma.

Sanae non volle fare polemica perché altrimenti sarebbero andati per le lunghe. Salì in camera e frugò nella valigia che era ancora da disfare. Non sapeva proprio cosa mettere. Vestiti non ne aveva. Alla fine s’infilò un bel paio di pantaloni scuri a vita bassa e una maglia un po’ scollata sulle spalle  e sulla schiena. Sapeva che suo padre avrebbe gradito.

 

Quando arrivarono a casa Ozora, Tsubasa era già lì da un po’ e stava giocando con i bambini,che erano stati dai nonni paterni tutto il pomeriggio.

 Con  il fratello Daichi si rotolavano per terra e facevano un gran chiasso.

“Ben arrivati” fece la Signora Ozora, aggiungendo “ Tsubasa è peggio dei piccoli……!”

Scoppiarono tutti a ridere e Sanae lo cercò con lo sguardo per salutarlo. Non si era cambiato e i capelli non erano ancora completamente asciutti. Aveva un buon profumo e con la tuta della nazionale stava davvero bene. Sanae avrebbe voluto avvicinarsi per appoggiare la testa sul suo petto, così da sentire i suoi addominali, il suo corpo perfetto. Ma lui non la guardava.

Tsubasa si alzò e andò a salutare il suocero stringendogli la mano, come faceva sempre, e poi tornò dai bambini.

Nessuno si accorse del suo atteggiamento, perché per tutti, il saluto a Sanae era stato implicito. Invece lei ci fece molto caso: non era mai successo da quando stavano insieme che si comportasse così. Praticamente non l’aveva calcolata.

Anche lei andò dai bambini che intanto, vedendo la mamma, le si erano precipitati incontro per farsi coccolare e baciare con affetto: poi lei sorridendo indicò loro il nonno. Il Signor Nakazawa ebbe il primo attimo di cedimento e li volle tenere in braccio per un po’. Sembrava un altro.

 

Daichi aveva cenato prima e rimase in salotto  a giocare con Hayate e Daibu, mentre i grandi si sedettero a tavola. Durante la cena, parlarono della Nazionale e della prima amichevole che si sarebbe svolta dopo due giorni. Tsubasa parlava tranquillamente, ma era molto serio e scuro in volto. Sua madre se ne accorse, ma fece finta di niente. Immaginò che fosse per via della tensione accumulata in vista del primo incontro. Continuava a parlare, soprattutto con suo padre e con il Signor Nakazawa, ignorando completamente Sanae.

Lei sapeva che c’era qualcosa, sapeva che lo stava facendo apposta.

E restò lì , in attesa di un segnale che non tardò ad arrivare.

 

Dopo qualche minuto di silenzio, Tsubasa ricominciò a parlare.

“ Ho saputo che ieri hai fatto il lavaggio del cervello a Yayoi…… Jun mi ha chiesto cosa ti avessi fatto di così tanto brutto per farti parlare così male del matrimonio…..”

Calò il gelo fra tutti. Le donne sgranarono gli occhi fissandosi. Gli uomini attesero.

Sanae invece provò a non reagire al modo così provocatorio e malizioso con cui si era espresso lui.

“Non le ho fatto alcun lavaggio del cervello. E non le ho affatto parlato male del matrimonio. Mi sono solo permessa di consigliarle di terminare gli studi prima di sposarsi, tutto qui….”

“Certo…. Jun mi ha detto che era sconvolta,  e che tu lei hai detto che deve pensare a se stessa. Complimenti…. Che bei discorsi da fare ad un’amica che sta realizzando il suo sogno…Se non ti senti felice con me, non devi andare a raccontarlo in giro. Sarebbe meglio che ne parlassi con me, no?”

Lei fece per alzarsi perché non poteva sostenere una conversazione con lui in quella situazione.

“ Dove credi di andare? Ora ti siedi e non ti alzi fino a quando non abbiamo finito. Vuoi mancare di rispetto anche ai nostri genitori?”

“Ah perché tu gliene stai portando, parlando così?” gridò lei, tutta rossa in viso.

“Adesso basta, smettila Tsubasa! Se hai dei problemi con Sanae, gliene parli in privato. Non ti abbiamo insegnato niente?” disse il Signor Ozora.

“Ora ti faccio un semplice domanda. Una domanda così semplice che non puoi non rispondermi….” - fece Tsubasa, ignorando completamente l’ordine del padre. Era in preda all’ira più totale; era come se tutta la rabbia che in vita sua non aveva mai provato, perchè era sempre stata una persona serena e tutto sommato felice, si fosse concentrata in quel preciso momento. Se avesse potuto, l’avrebbe afferrata per un braccio e le avrebbe voluto fare  male.

“ Se io non fossi partito per la Spagna e ti avessi comunque chiesto di sposarmi per vivere insieme qui in Giappone, tu cosa avresti risposto?”

Tsubasa abbassò lo sguardo per ascoltare meglio la risposta. L’aspettava con ansia, perché era dal giorno prima che non aveva potuto pensare ad altro. Era stata troppa l’umiliazione dell’amico che gli mostrava un lato di sua moglie che non conosceva. Troppa era la  delusione di amare una ragazza che forse non meritava quello che lui stava facendo per lei. Perché il calcio non era solo per se stesso; era un lavoro privilegiato  per farla vivere bene, per poter crescere bene i loro figli. Lui aveva cercato di renderla felice. Poteva fare ciò che desiderava, spendere quanto voleva. Non l’aveva obbligata in nessuna delle cose che avevano fatto. Sanae sapeva perfettamente chi aveva sposato e come sarebbe stata la vita  al suo fianco. Adesso non poteva fargliene una colpa. Nella sua testa pesavano le due opzioni: o sì o no. Da lì non c’era via d’uscita.

Sanae, pur sconvolta dalla reazione di Tsubasa, non si perse d’animo. Lei aveva attraversato varie fasi del dolore. La gravidanza l’aveva resa più morbida e più forte allo stesso tempo. E forse nel tentativo spudorato di difendersi, o meglio, non tanto di difendere se stessa, ma quel figlio che di nuovo portava in grembo, decise che avrebbe lottato.

Non rispose né sì né no.

“ Non posso rispondere alla tua domanda Tsubasa. Non perché ho paura delle conseguenze. Ma semplicemente perché, come dici tu, la tua domanda è talmente facile, che non esiste. Se tu non fossi partito per la Spagna e fossi rimasto in Giappone, NON MI AVRESTI MAI CHIESTO DI SPOSARTI E OGGI FORSE NON CI SAREMMO NEANCHE ANCORA DATI IL PRIMO BACIO. Quindi, prima di farmi le domande, pensaci di più e meglio.”

Ora si alzò e fece un piccolo inchino agli Ozora, come a scusarsi, da brava ragazza giapponese, per aver parlato di cose private in pubblico.

“Voglio tornare a casa” disse al padre, pregandolo di non mollarla in quel momento.

Lui si alzò di colpo e i Nakazawa coi bambini se ne andarono.

 

“L’hai combinata grossa, Anego” le disse suo padre, in macchina.

 

 

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Capitolo 6
*** il tuo volto ***


Tsubasa era rimasto seduto al suo posto.

Non riusciva bene a focalizzare il momento in cui lei gli aveva dato la risposta.

Non riusciva a capire se stesse veramente succedendo a lui. A loro.

Non erano la coppia perfetta? Non era il ragazzo più fortunato sulla terra?

Dove aveva sbagliato? Cosa stava sbagliando?

Perché le aveva parlato in quel modo? Perché prima di accusarla, non aveva provato ad ascoltarla sentendo anche la sua versione?

L’aveva ignorata e aveva provato a recitare una parte, cercando di non guardarla,  di non fissarle la schiena leggermente scoperta; la stessa schiena su cui tante volte si era steso, per ritrovarsi, durante la notte, dopo essersi perso in lei. Aveva cercato di non calcolare la proporzione della scollatura, mentre reggeva i bambini, come per proteggerli. Ma con la coda dell’occhio aveva continuato  a cercarla. A controllare che ci fosse. A sperare di poterle fare capire che gli sarebbe passato subito.

Invece no, la rabbia era salita fino in gola e lui adesso voleva sparire. Si sentiva amareggiato. Era stato violento.

E lei non l’aveva attaccato.

Lei si era solo difesa. Aveva anche detto la verità perché forse lui non l’avrebbe ancora sposata, se non fosse dovuto partire. Non l’avrebbe mai sposata………le parole di Sanae gli tagliavano il petto, gli trafiggevano l’anima mentre tentava di ricostruire i fotogrammi di quel litigio. Non avevano mai gridato l’uno all’altra. Non si erano mai parlati in quel modo. Non aveva neanche il coraggio di guardare suo padre, sua madre. Sperò di svegliarsi da un brutto incubo.

 

Suonarono alla porta. Erano venuti a riprenderselo.

Non c’era tempo per ragionare. Non c’era più tempo.

 

 

All’alba Sanae decise di scendere e provare a farsi un po’ di tè. Aveva vomitato e in bocca aveva un sapore cattivo.

Suo padre era seduto al tavolo, in una nuvola di fumo, leggendo appunti.

“Se potessi evitare di fumare intanto che sono qui con Hayate e Daibu….. mi faresti un favore”

“ E’ l’unica sigaretta a cui non posso rinunciare. Non posso proprio privarmi della mia sigaretta all’alba: non me lo chiedere neanche….tanto ho aperto tutte le finestre, vedi?”

Sanae si abbracciò da sola come a fargli capire che in effetti la stanza era un po’ troppo fresca… ma lui si ributtò agli appunti.

“E andata bene la Liga, no?”

Suo padre non capiva niente di calcio…. Non lo seguiva per niente. L’idea che fosse sposata ad un calciatore, cioè ad un uomo che a 35, 37 anni praticamente si ritrovava “ disoccupato”, non è che lo entusiasmasse. Era un mondo troppo lontano dal suo. Non aveva fatto nulla per ostacolare quell’amore, perchè aveva capito dall’inizio che sua figlia non avrebbe mai rinunciato “al tipo che gioca bene a pallone”; piuttosto avrebbe rinnegato il suo nome. Ma non aveva mai nascosto a Sanae che la professione di Tsubasa non lo faceva dormire tranquillo. Lui aveva sempre dovuto temere i creditori alla porta, i soldi erano sempre stato un problema e il mondo del calcio, per molti versi privilegiato, gli dava però l’idea dell’effimero, dell’instabile.

Fortunatamente, la famiglia di Tsubasa era seria e rispettata e il ragazzo si era sempre dimostrato in gamba, senza tanti grilli per la testa. Una persona semplice, ma determinata e coraggiosa. Stava guadagnando tanti soldi, ma li amministrava bene. Non si era fatto prendere da colpi di testa come tanti suoi colleghi, che compravano auto, barche o investivano in imprese infelici.

 

“Sono arrivati secondi. E’ andata bene, ma avrebbero potuto  fare ancora meglio” ripose Sanae.

“ Ha avuto dei premi per tutti quei goal che ha fatto?”

“Boh… non lo so, penso di sì. Sai che non è che parliamo molto di queste cose…. Non m’importa niente dei suoi soldi….Prendo quello che mi serve, ma non sono diventata vanitosa, se è questo che ti fa paura….”

“Beh non intendevo questo… però dico solo che adesso dovresti cominciare a tutelarti… voglio dire hai due figli e se voi doveste….”

Sanae lo interruppe subito. “ Se dovesse succederci qualcosa, non litigheremmo mai per i soldi. Tsubasa non mi farebbe mai mancare niente, né a me e figuriamoci  ai suoi figli. Per i soldi, papà, è ora che smetti di preoccuparti.”

Lui la osservò per un attimo mentre spegneva la sigaretta.

“Ma io non sono preoccupato…..è solo che vorrei che andasse tutto bene…….Allora dovrai occuparti della casa in questi giorni…. Se vuoi ti posso aiutare”

Sanae non riusciva a pensare, dopo la litigata della sera prima, di prendere una casa per lei e Tsubasa.

“ Come si è visto che non siete abituati a litigare!…… è stato molto intenso… TU SEI STATA MOLTO INTENSA”

Non capiva se la stesse prendendo in giro o se veramente suo padre le stesse parlando seriamente. Non le aveva mai parlato così. Non era abituata.

“Sono sconvolta…. Tsubasa non è quella persona che era con noi ieri sera……”

“Lo ami molto, eh?”

Lei non rispose. Lo amava molto, sì. Non aveva dubbi sul fatto che l’amasse. Forse aveva cominciato ad amarlo ancora prima di conoscerlo. Ad amarlo ancora prima del colpo di fulmine. Perché quando l’aveva visto la prima volta, era come se fosse sempre stato accanto a lei, sotto un’altra forma. Lei lo conosceva da prima, anche se non sapeva come fosse potuto accadere. Per lui si era annientata e adesso si sentiva a un punto di non ritorno, sospesa, indefinita. Per lui aveva perso se stessa e non sapeva più come ritrovarsi.

 

“Dimmi la verità: ancora non gliel’hai detto a Tsubasa, eh?”

Lei lo fissò perché non capiva.

“Detto cosa?”

“ Che aspetti un altro figlio……”

“Ma tu come….. io non l’ho detto a nessuno…. Nemmeno alla mamma…”


”Ieri appena ti ho vista ho notato che avevi… che hai la stessa espressione di quando aspettavi i gemelli. Stessa identica espressione. Io, Sanae, conosco il tuo volto. Lo conosco molto bene….Senz’altro se ne sarà accorta anche la mamma, ma lo sai com’è discreta… se non lo dici tu, lei non te lo viene certamente a chiedere….”

“ E che espressione è?”

Il padre sorrise.

“ Lo sguardo è leggermente dilatato e le guance sembrano più piene. Sei così bella che a guardarti, quasi sento una specie di dolore……”

Lei lo ascoltava e sperava che non smettesse di parlare perchè non l’aveva mai sentito dirle delle cose così forti.

“Però… credo che questa volta sarà un bambina…. Tua madre, mentre ti aspettava ne ha avuti diversi di colpi di testa come il tuo di ieri sera….sai voi siete ….l’altra metà del cielo…….”

Le venne da piangere….

“Io non mi sento molto pronta per avere questo figlio….. “

“Sanae, tu e Tsubasa allora dovreste cercare di stare più attenti………….voglio dire… ormai dovresti sapere che sei fertile come la terra… . Adesso cosa vuoi fare; non vorresti tenere questa bambina?”

 

Le fece effetto sentire suo padre dire “questa bambina”: lei fino a quel momento non aveva pensato a ciò che aveva dentro come un bambino o una bambina.

Lo aveva evitato di proposito.

Mentre suo padre lo diceva invece, le parole “ questa bambina” suonavano come musica……

“Un figlio è una cosa grande….. Sanae… pensaci bene… non lo fare… non buttare via questa bambina. Lei, forse non lo sai, ma ti può salvare…..”

Si alzò, prese la giacca e se ne andò.

Suo padre era anche questo. Era uno che con le parole ci sapeva fare, ci doveva saper fare per forza.

Era il suo lavoro, convincere le persone. Quando le prove erano inconfutabili, ci riusciva benissimo. Altre volte invece, cadeva impietoso, sentendo di avere fallito.

 

 

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Capitolo 7
*** lo stadio è vuoto ***


Tsubasa non poteva credere di aver perso palla di nuovo e nel tentativo di riprendersela, fece un fallo da dietro a Ishizaki, che, gridando, ricadde a terra dolorante.

“ Ma dico sei impazzito, Tsubasa?” gridò Hikaru.

L’arbitro della partita d’allenamento corse verso il capitano e lo invitò ad uscire.

“Vuole scherzare? Volevo prendere la palla, figuriamoci se volevo far male a Ryo…. Dai Ryo… non fare il morente….tirati su!”

Ryo era a terra e non riusciva a muovere la gamba. L’intervento era stato veramente da cartellino rosso.

“Avanti Tsubasa, esci e non discutere. Sei il capitano, e devi dare il buon esempio”, gli ordinò Genzo da dietro, con le mani sui fianchi, senza nemmeno guardarlo. Tsubasa si sentì tutti gli occhi addosso e a quel punto uscì dal campo. L’allenatore, per punizione, gli chiese di fare 30 giri di campo e di fare un doppia seduta in palestra. Tutti si erano accorti di quanto fosse nervoso. Non sembrava neanche lui.

Jun si rese conto che aveva sbagliato a riferirgli di quella conversazione proprio prima delle amichevoli. Avrebbe dovuto aspettare, ma ormai era troppo tardi.

La sera,  alla vigilia della partita con L’Uruguay, Tsubasa si mise fuori in terrazzo, seduto a guardare il buio.

Taro gli si avvicinò. Voleva capire se fosse il caso di parlargli o di lasciarlo stare.

“Cosa stai facendo?”

“ Niente di speciale… a quest’ora mi prende sempre un po’ di malinconia….mi mancano i bambini…..mi manca lei……” Non riusciva neanche a dire il suo nome. In quelle lettere si raccoglieva un groviglio talmente complesso di pensieri e sensazioni, che non poteva pronunciarle.

“Sente ancora dolore Ryo?”

Taro gli sorrise… “no sta benissimo, domani farà bella figura, vedrai. Sai, è migliorato molto.”

“Ho visto! Ho provato a saltarlo due volte e per due volte non ci sono riuscito. Ho fatto veramente schifo, oggi”

“Senti Tsubasa, so che ieri non è stata una bella giornata, ma non voglio essere invadente…. Se vuoi parlare però sono qui.”

Lui apprezzò il gesto dell’amico. Taro conosceva bene sia Tsubasa che Sanae; chi meglio di lui poteva capire la situazione?

“Grazie…. Ma non mi va molto di parlare… per parlare ci vogliono le parole e io di parole non ne ho…….sono troppo amareggiato. E poi sto anche ripensando a come ho giocato oggi….. accidenti… non voglio essere così, capisci, non voglio che quello che succede fuori dal campo, incida sul mio modo di giocare…. Non è mai successo e deve continuare a non succedere. Non voglio sbagliare. Al Barcellona, sbagli una partita e sei fuori…e prima di partire l’allenatore mi ha esplicitamente detto che le partite con la nazionale le avrebbe seguite…“

Non era cambiato per niente. Il calcio era tutta la sua vita: il resto ci doveva ruotare attorno, si doveva incastrare perfettamente, senza lasciare strascichi o polvere. Il che, ora che era marito e genitore, cominciava a diventare abbastanza difficile. Doveva ancora maturare molto.

“E Sanae questo lo sa?” chiese Taro

“Non ho fatto in tempo a dirglielo. Non abbiamo mai tempo di parlare….”

“Taro, ma anche tu che domande fai? Quando hanno un po’ di tempo, Tsubasa preferisce fare altro con Sanae…..”

Genzo era spuntato all’improvviso e aveva cercato di portare un po’ di umorismo in quella discussione che stava prendendo una piega troppo seria. Diede una pacca sulla spalla a Tsubasa e andò a sedersi vicino a loro.

“Sei sempre il solito….. per te le donne sono solo sesso……” disse Taro.

“Cosa ci volete fare… tra un mucchio di ragazzi posati, quello Bello e Dannato ci deve pur essere, no?”

Tsubasa sorrise: “ Ah io pensavo che il bello e dannato fosse Hyuga, e non tu!”

“Ma figurati… Hyuga è un bruto… io invece sono un dannato che ha classe….”

 

I tre rimasero ancora un po’ fuori a scherzare e  poi naturalmente il discorso cadde sulla partita imminente, ripassando mentalmente le tattiche e gli schemi preparati durante gli allenamenti.

Dopo un po’ rientrarono  e andarono a dormire.

Quando salì in camera, Tsubasa trovò Ishizaki intento ad inviare messaggi a Yukari col  telefonino.

“Ehi… come stai?”

“Bene, Tsubasa… tutto ok. E tu?”

“Beh a parte che mi sento un idiota per il fallo che ti ho fatto… mi sento bene…. Scusami”

“Ti dovresti sentire idiota per quello che hai detto a Sanae…..” Ryo fece una pausa e poi, vedendo il volto sconsolato dell’amico aggiunse: “ dai che domani dopo la partita le parli e si rimette tutto a posto. La prossima amichevole sarà con la Francia: devi essere al top.”

“Già……”

 

 

Il giorno seguente Sanae decise finalmente di disfare i bagagli e cominciò anche a pensare a come organizzarsi. Seduta a terra, si guardò alla specchio ed inarcando la schiena, alzò la maglietta per vedere che effetto le faceva prendere coscienza del suo basso ventre. Non era più come prima; riusciva a scorgere che una piccola sporgenza, forse agli altri impercettibile, si stava disegnando.

Ripensò al giorno in cui aveva scoperto di aspettare i suoi bambini: era stato così sorprendente, senz’altro uno dei momenti più belli della sua vita. Aveva passeggiato per le strade del centro di Barcellona, tutta sola, e aveva comprato dei fiori. Che ridere poi a fare la visita dal dottore che parlava spagnolo e lei che ancora non capiva niente….

Ora era tutto diverso. L’incantesimo sembrava essersi spezzato. E mentre la solitudine della prima gravidanza era qualcosa che in fondo si era un po’ cercata anche lei, per potersi godere secondo dopo secondo quell’esperienza così speciale, adesso sapeva che essere sola aveva tutto un altro significato.

La Signora Nakazawa salì in camera sua e la vide intenta a piegare magliette e altre cose dentro i cassetti.

“Guarda che se non ti sbrighi, faremo tardi… I Signori Ozora sono di sotto con Daichi e i bambini. Aspettano solo noi….lo sai che viene anche tuo padre? Ma cosa gli hai detto per convincerlo  a venire a vedere la partita?”

Sanae sorrise.

“Io non vengo. Ho da fare.”

“Come non vieni? “

“Te l’ho detto, non vengo.”

Sua madre non sapeva che dire…..

“E cosa dico a Tsubasa quando me lo chiede……”

“Lui non ti chiederà niente, vedrai… lo conosco troppo bene ormai.“

“Sanae, guarda che ti stai comportando molto male… cosa pensi di risolvere così? Lui ha bisogno di te…. Ha bisogno di sapere che ci sei, che lui potrà sempre contare su di te.”

“E io? Io posso contare su di lui? Non mi sembra proprio visto che quasi avrebbe voluto mettermi  le mani addosso solo per aver detto un semplice frase ad un’amica. Sai cosa ti dico, mamma? Mi sono stancata di esserci. Di esserci sempre. Per cosa, poi? Per passare per una strega, per una che se ne è approfittata?........  Vai, vai alla partita…. Io ho da fare.”

 

Dopo qualche minuto il Signor Nakazawa salì in camera.

“Adesso io conto fino a dieci e tu durante questi dieci secondi ti alzi e sei di sotto.”

Lei lo fissò.

“Mi dovrai spostare con la forza perché io non vengo.”

“Vuoi fare un dispetto a tuo marito? O stai scappando? Uno, due…..”

Ecco cosa pensavano i suoi genitori. Che stesse scappando. Che volesse fare un dispetto a Tsubasa. Cosa ne sapevano loro? Loro non c’erano stati in quei due anni nella sua vita. Non potevano sapere cosa fosse stato crescere i suoi figli da sola, non poter parlare con nessuno perché non si conosce la lingua del paese dove si vive. Non sapevano cos’era nascondersi dietro un sorriso perché tuo marito deve pensare che è tutto a posto e sei la ragazza più felice del mondo. Loro non avrebbero potuto capire. Non potevano ascoltarla.

La verità era quella: lei era completamente in trappola. Nessuno era lì, pronto ad aiutarla. Tutti pensavano solo a Tsubasa, a quanto la sua eventuale assenza avesse potuto incidere sul risultato, sulla sua prestazione.

“Nove…..Dieci…Bene….sappi che non approvo per niente il tuo comportamento. Ed io che pensavo che fossi una donna ormai…. Forse hai ragione tu, Sanae… è meglio che butti via la tua bambina…..come potrai crescere un altro figlio se ti perdi per così poco……?”

 

Non poteva credere a quello che suo padre le aveva detto. Era stato molto peggio di uno schiaffo. Molto peggio di tutto il litigio con Tsubasa. Peggio di qualsiasi cosa.

Si sentì il cuore scoppiare dalla rabbia e dal dolore. Non riusciva a vedere niente: gli occhi erano pieni zeppi d’ umido.

 

 

Quando i giocatori entrarono, ci fu un fragore immenso. Era pieno in ogni angolo: non si riusciva a distinguere niente perché era un’ esplosione di cori  e di colori.

Tsubasa guardò la tribuna riservata ai parenti ed amici dei giocatori. C’ erano tutti tranne Sanae. Pensò che forse, piccola com’era, era rimasta nascosta da qualcuno e senza farsi troppo vedere, provò a scrutare in qua e in là.

In quel preciso momento i rumori si spensero, i colori sparirono.

Lui riusciva solo  a sentire il battito del suo cuore. Il ritmo era accelerato e ogni volta che il sangue pulsava, avvertiva una specie di tonfo, giù, fino in fondo allo stomaco. Guardò di nuovo, ma Sanae non c’era. Non riusciva a trovare il suo corpo. Le sue mani. Non riusciva  a scorgere i suoi occhi. I suoi occhi erano la sua strada. Senza quegli occhi non poteva vedere niente. Senza di lei,  gli mancava il respiro.

Ripensò alla cena dai suoi genitori quando  l’aveva vista, tutta rossa in volto, piena di vergogna, come quando l’aveva spogliata, l’aveva toccata per la prima volta...

“Tsuabasa, dobbiamo andare!” gridò Ryo.

 

Cominciò la partita.

Giocò abbastanza bene. E vinsero. Fece due goal e due assist. Accese il cervello e pensò solo a non sbagliare perché era il capitano e tutti contavano su di lui. Il cuore l’aveva spento, però. Non aveva neanche esultato. Tanto per lui, era come giocare da solo. Tutta quella gente, quei rumori, quei colori erano spariti. Aveva giocato in uno stadio vuoto. 

 

 

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Capitolo 8
*** Genzo ***


Ciao a Tutti, grazie mille per continuare a leggermi!

(Non so se faccio bene o male a scrivere un piccolo commento prima del capitolo. Ho visto che molti lo fanno, ma io sono proprio una novellina, quindi, non lo so, qualcuno mi fa sapere se è una cosa che disturba la lettura della storia o fa piacere?sono una che si fa abbastanza paranoie, se ancora non si fosse capito….)

Lara80: grazie per il tuo “bello…bello…bello…”!

Elisadi80: le tue osservazioni sul padre di Sanae sono più che giuste: è il tipico personaggio antipatico/simpatico ( mi piace proprio come ti sei espressa!) e il loro avvicinamento, come avrai visto, è stato abbastanza inutile….per quanto riguarda gli scontri faccia a faccia, concordo in pieno, ma dopo il capitolo “La cena”, ci vuole anche un attimo di distensione narrativa, se no la storia non è più, diciamo, credibile. Comunque, non ti preoccupare… ne vedremo altri di scontri/incontri…grazie infinite per quello che hai scritto e spero che chi vorrà recensire, continuerà a farlo nel modo più libero possibile!

Makiolina: grazie per quello che hai scritto!

Hikarisan: so già che dopo aver letto questo capitolo, avrai voglia di attaccare Tsubasa al muro. Che è un po’ quello che avrei voluto fare io, mentre lo scrivevo. Tu aprirai anche efp tre volte al giorno per vedere se aggiorno, ma io anche più di 3 per vedere se mi hai recensita…..! Sei un mito!

___________________________________________________________

Stava calciando le punizioni, quando Genzo arrivò al campo.

“Guarda che abbiamo gli allenamenti alle 4 oggi pomeriggio. Sono appena le 8 del mattino…..”

Tsubasa tirò di nuovo, poi guardò Genzo seriamente. In quel momento, senza parlare, gli aveva detto un sacco di cose. Ormai erano come fratelli. Genzo era diventato uno di casa. Avevano trascorso l’ultimo Natale insieme, a Barcellona. Tsubasa e Sanae erano la sua famiglia.

Si asciugò il sudore e parlò.

“Ti sto odiando per quello che ti ho chiesto…”

“Ma se non mi hai ancora rivolto la parola!” esclamò Genzo.

“ Ma tu hai già capito cosa voglio….”

“Beh se ho capito bene, adesso mi dovresti amare e non odiare…..!” fece il portiere ridendo.

Ormai, dopo tutti quegli anni, si capivano al volo. Non c’era bisogno di fare dei gran discorsi.

Genzo continuò: ” andare da Sanae adesso è come entrare nella fossa dei leoni… me la immagino già…. Sarà molto aggressiva e me la dovrò sorbire io… pensa quanto bene ti voglio, capitano….”

“Tu vai da lei ma non la devi toccare….” Tsubasa non stava affatto ridendo. Era serio serio.

“Oh….. non mi diventerai anche geloso adesso….. figurati se ti tocco Anego…..non è proprio il mio tipo… stai tranquillo e poi il solo pensiero mi fa effetto….”

“Beh tu parlale a distanza… adesso vattene prima che ci ripensi e ti chieda di non andare più..”

Dio mio quanto l’amava… Genzo non si capacitava di cosa gli fosse successo. Lui non era ancora riuscito a provare niente del genere per una donna. Come aveva detto Taro per lui le ragazze erano solo un divertimento. Quello che non capiva però era perché mandasse lui a tastare il terreno, invece che prendere  e affrontare il problema di persona. Con il pallone era un Dio, ma con i sentimenti faceva veramente pena.

Cercò di immaginarsi la scena mentre guidava verso casa Nakazawa e provò a prepararsi uno straccio di discorso. Pensò  a cosa potesse dire per farle capire che Tsubasa era sinceramente dispiaciuto.

La Signora Nakazawa lo fece entrare e dopo poco Sanae scese di sotto.

“Bravo Tsubasa, complimenti…..” pensò lei, ” sei davvero un vigliacco, mi mandi l’amico, per chiedermi scusa?....”

“Come stai?” chiese lui

“ Bene….”

“Dall’aspetto non si direbbe….” Lo disse per provocarla; non ce la faceva proprio a non giocare con lei.

Ma Sanae non reagì; anzi apprezzò la sua osservazione; finalmente, dopo tutta quella gente che le aveva detto quanto fosse bella, qualcuno aveva il coraggio di vederla per quello che era ed era stato sincero. Era incinta e vomitava ogni due ore; era normale che il suo aspetto non fosse dei migliori….

“Senti Genzo, ho molte cose da fare perciò se tu potessi tornare in un altro momento….”

“Gentile e ospitale come sempre……”

“Sono come te…. Non mi hai neanche telefonato per dirmi quando avresti preso l’aereo!”

Lui rimase in silenzio un secondo, perché Sanae aveva ragione. Genzo aveva cercato di evitarla: parlare con lei significava affondare dentro di sé, scavare nel proprio io e scoprire tutta la verità. A lui questo non piaceva. Preferiva respirare in superficie.

 

“Karen mi ha scaricato… ecco….. te l’ho detto così adesso mi fai la tua bella predica e siamo tutti più felici….comunque Tsubasa l’ho sentito tutti i giorni. E’ con te che non volevo parlare perché tanto lo so che adesso mi fai la paternale…”

Sanae si abbassò nervosamente per raccogliere dei giochi per terra.

“Buono a sapersi…. Guarda non mi chiedere più niente tanto non ti dico niente”

Perfetto….l’aveva offesa.

Per Genzo l’universo femminile era diviso in tre parti: nella prima c’era sua madre, con la quale il rapporto era sempre stato abbastanza debole.

Poi c’erano le ragazze con cui usciva: tutte stupende. Con loro si divertiva finché poteva, e quando chiedevano qualcosa in più, quando provavano ad addentrarsi oltre la sua “corteccia” ( così Sanae aveva battezzato il mondo interiore di Genzo), ecco che lui faceva il bastardo e veniva puntualmente mollato.

Infine c’era Sanae. Si conoscevano da tanto tempo. Da troppo tempo. Era curioso come il loro rapporto fosse cresciuto da quando lei e Tsubasa si erano trasferiti in Europa. Si ricordava ancora bene, quanto non si fossero mai sopportati da piccoli. Adesso era tutto diverso: Sanae era la persona che lo sapeva capire meglio. Con lei si sentiva al sicuro e si sentiva libero di parlare di tutto. A lei raccontava delle sue avventure con le donne, fossero di una notte o di qualche settimana, non importava. Era a lei che confidava i suoi dubbi su qualcosa che riguardava la sua carriera o il campionato. Ed era a lei che aveva chiesto di prendere un aereo prima dell’ennesimo intervento alla spalla. Non avrebbe potuto chiederlo a nessun altro.

C’era complicità ed ironia. In fondo capiva perché Tsubasa ora si sentisse disorientato. Lo invidiava un po’; gli invidiava il fatto di aver trovato una persona così speciale.

 

Con Genzo, Sanae non riusciva a rimanere offesa per più di un minuto. Era più forte di lei.

“ A me Karen sembrava proprio una gran bella ragazza. Oltretutto è anche intelligente. Ma perché tutte le volte fai così?Non sei stufo di scappare?”

“Guarda che non sono io a scappare… sono loro che scappano!…..ah… le donne…..comunque non sono venuto per parlare di questo…”

Si schiarì la voce prima di riprendere il discorso.

“Mi hai fatto andare in depressione il capitano….”

“Non fare il tragico…. Avete vinto, no? Ha fatto anche due goal. Non mi sembra la prestazione di una persona depressa. Smettila di fare il cretino.”

“Non è stato divertente però. Non si è divertito e non ha divertito il pubblico. Avevamo provato un sacco di cose in allenamento  e non ne ha fatta nessuna. Hai visto la partita? “

Sanae avrebbe voluto mentirgli e dire di no. Ma Genzo se ne sarebbe accorto.

“Si, ho visto la replica stanotte.”

Genzo aprì le braccia: ” Ha fatto il compitino, tutto qui. Stamattina alle otto era già in campo a tirare le punizioni. L’allenatore del Barcellona gli ha fatto pressione. Deve fare bene anche le amichevoli, non lo sai?”

Sanae cadde dalle nuvole.

“No, non mi ha detto niente…”

“Se invece di fabbricare bambini, ogni tanto parlaste anche un po’, sarebbe meglio.. Sanae, te lo chiedo perfavore, domani vieni alla partita. Tsubasa non se lo merita.”

“Ma col Barcellona, ha giocato benissimo quest’anno, ha fatto tanti goal… perché mai dovrebbe ricevere delle pressioni?”

“Perche’ ad inizio stagione Rivaul sarà completamente recuperato. Si giocano un posto da titolare…non so se mi sono spiegato. Da quel che ho capito l’allenatore non vuole usare un modulo dove possano giocare tutti e due…In nazionale Rivaul ieri non ha fatto neanche un goal, ma vedessi come ha giocato…. Altro che Tsubasa….”

Tsubasa e Rivaul erano diventati molto amici. Ma il calcio li univa e divideva allo stesso tempo: erano anche rivali, e lei pensò a quanto ci fosse qualcosa di spietato in questo.

 

“Ci vengo. Avevo già deciso di venire, prima che tu mi dicessi queste cose. Ho passato una giornata orribile ieri. Ho litigato con mio padre che mi ha offesa molto più di Tsubasa…..Ma te lo voglio dire: questa volta non ingoio il rospo e dimentico tutto. Tsubasa dovrà chiedermi scusa per bene. La tua visita è stata inutile….che tiri pure le punizioni invece di salvare il suo matrimonio……..questa volta io non mi piego. Diglielo pure. Non ho più paura di niente. Non m’importa niente”

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Capitolo 9
*** Toccarsi ***


Ciao a Tutti!

Grazie mille per tutto quello che avete scritto….

Per i prossimi giorni non potrò pubblicare perché devo portare il computer all’”ospedale”, quindi, se vedete che non ci sono nuovi capitoli… portate pazienza! Comunque spero sia roba di 2, massimo 3 giorni…

Naturalmente se commentate, mi fa un gran piacere….

Buona lettura!

________________________________________

Naturalmente Genzo non disse quasi nulla a Tsubasa. Era rimasto scioccato dalla frase “..invece di salvare il suo matrimonio…”, cioè pensava sì, di trovarla arrabbiata ma non fino a quel punto. L’aveva osservata e aveva visto una persona determinata. Non stava scherzando. Lui ne doveva restare fuori. Non poteva intromettersi: era stato chiaro il messaggio di Sanae “…la tua visita è stata inutile…” Perciò si limitò solo a consigliare a Tsubasa di farle le sue scuse “per bene”. Si era raccomandato.

La partita fu uno spettacolo. I giocatori diedero il meglio di loro stessi. Durante i novanta minuti, i calciatori da cui ci si aspettava qualcosa d’importante, mostrarono la loro bravura, il loro estro e la sintonia con i compagni.

Alla fine fu un pareggio. Tsubasa non riuscì a fare goal, anzi se ne mangiò uno clamoroso, ma come regista, dimostrò tutto il suo valore. Non sembrava neanche lontanamente lo stesso giocatore della partita precedente.

Appena entrati in campo, aveva notato la sua presenza. Non l’aveva guardata di proposito perchè sapeva che altrimenti avrebbe indagato e ispezionato i suoi occhi per poter attraversare i suoi pensieri.

Gli era bastato sapere che c’era per poter dare il meglio.

Al fischio finale lei si alzò e fece per andarsene. Non voleva vederlo. Ne’ salutarlo. Non riusciva a staccarsi dal pensiero di tutte le cose brutte che le aveva gridato, non riusciva  a non sentirsi arrabbiata. Il fatto poi che le avesse mandato Genzo, per capire come muoversi, l’aveva ancora più delusa. Sentiva che doveva finalmente imporsi un po’ di più. Ed era intenzionata a seguire quella linea. Lei aveva ottenuto quello che aveva voluto nella vita; perché avrebbe dovuto smettere proprio adesso?

Una volta alzata, suo padre la fermò.

“Adesso vai giù con le altre ragazze e lo saluti. Tra poco partono per fare quel giro nelle scuole calcio giovanili  nella Prefettura  di Tokyo e non lo vedrai per altri 2, 3 giorni. Lui ha bisogno di vederti e tu hai bisogno di dirgli qualcosa, no?”

L’avvicinamento a suo padre era stato solo un’illusione. Lui la voleva a modo suo. Anche lui aveva la sua Sanae in testa. La ragazza che aveva fatto il grande passo, si era sposata ed era madre, e ora pagava il prezzo delle sue scelte. “Niente colpi di testa, Sanae” pensò.

I bambini erano con loro: cominciavano a capire; loro percepivano le vibrazioni della mamma e lei doveva cercare di sembrare serena. Lo doveva fare almeno per loro.

La gente scattava foto coi telefonini e le telecamere erano puntate a quella tribuna adesso. Per un attimo si immaginò fuori di se’, oltre il suo corpo mortale e  si guardò dall’obbiettivo di uno di quei telefonini che scattavano continuamente foto. Era come una sagoma, un contorno sfocato e vuoto. Non poteva fare quello che voleva. Non poteva disobbedire al padre. Almeno per il momento.

Yukari le si avvicinò con Yayoi e insieme scesero giù.

Sperò che succedesse qualcosa, che la sicurezza non le facesse passare. Ma quello era il “loro” momento di gloria: Yayoi camminava elegante, a testa alta, sicura sui suoi bei tacchi. Yukari , con i capelli sciolti sulle spalle sembrava più slanciata, più importante.

Erano bellissime e sembravano così felici…..

Lei restò un po’ più indietro: aveva un vestito rosa, scollato a V, stretto sotto il seno, che si apriva leggermente e si gonfiava a palloncino sopra il ginocchio. Le gambe erano nude e ai piedi, portava i suoi sandali bassi . Quell’abitino se l’era fatto prestare da Yayoi, mentre quest’ultima aveva provato a chiederle scusa per quel che era successo. Ma lei non era arrabbiata con l’amica. Non era colpa sua. Tanto sarebbe accaduto qualcosa lo stesso. Ormai lo sentiva.

Appena aveva aperto l’armadio, e aveva visto quell’abito, aveva pensato che sarebbe stato perfetto per nascondere il suo segreto e per non sembrare una studentessa. La volevano tutti più donna, no? E donna avrebbe provato ad essere.

 

I giocatori erano fuori dallo spogliatoio e c’era un gran caos di gente, voci, giornalisti,  dirette tv.

Genzo rideva con i compagni, ma quando la vide arrivare non rise più.

Solo guardarla gli dava un senso di calma. Si domandò come avesse potuto dirle il giorno prima  che aveva un brutto aspetto. Con che coraggio era riuscito ad esser così bugiardo? Lui non aveva mai toccato una ragazza così. Sanae non lo sapeva di essere bella, non ne era assolutamente consapevole ed era questo il segreto. L’innocenza con cui si muoveva creava come un alone intorno a sé. Era qualcosa che si faceva fatica a spiegare. Ma si coglieva facilmente appena si avvicinava.

Le altre cercavano di ostentare le loro qualità, di accentuare le forme.

Lei faceva proprio il contrario. Lei, sembrava che cercasse di scappare da se stessa.

Genzo si voltò e vide lo sguardo di Tsubasa.

Nei suoi occhi non c’era altro che lei. Tutti lo chiamavano e, lui, mostrando indifferenza, come sempre, rilasciò qualche breve dichiarazione.

Sanae rimase in diparte e si appoggiò alla parete.

“Avanti “pensò, “vieni, facciamo questo siparietto e facciamola finita. Voglio andare  a casa….non ti voglio amare più….. non ti voglio più toccare…. Voglio buttare via la mia bambina…..”.

Dopo poco Tsubasa si avvicinò a lei.

Sanae si staccò dal muro e abbassò lo sguardo. Le guance si arrossarono subito. Appena gli era accanto, non capiva più niente, non riusciva a rimanere razionale, era come se la terra sotto i suoi piedi non fosse più solida, come se il cielo non fosse più consistente…..“Ti amo, ti voglio amare….. ti voglio toccare… io non la butto via questa bambina….” Pensò esattamente il contrario di quello che si era detta un minuto prima.

Ma perché? Perché non poteva lasciarlo e scappare?

Lui le si avvicinò di un altro passo. Lo sapeva che avevano tutti gli occhi addosso. Faceva fatica a deglutire.

“Ho sempre sete quando sei a un centimetro da me. Mi fa male il petto…..” disse lui accarezzandole una guancia. Quando la toccava, si rendeva conto di provare le stesse emozioni di quando l’aveva fatto la prima volta. Non cambiava mai niente. Aveva sempre sete. Aveva sempre bisogno di toccarla. Non sapeva dove guardare perché ogni punto del suo corpo o del suo viso sembravano così morbidi, così accoglienti….

 

“Tsubasa bisogna che andiamo…… eh… salve Signora Ozora”, il dirigente della nazionale guardò la ragazza imbarazzato. Sapeva che aveva interrotto l’incanto, ma non si poteva aspettare oltre.

Lei diventò ancora più rossa.” Salve… allora….io vado…..”

Lui non parlo’. Staccarsi da lei era come non sentirsi più vivi. Era come non sapere più dove si trovava e quale fosse il suo posto.

Le sorrise.

“Allora?” chiese Genzo impaziente, “Che cosa le hai detto?”

“….niente….”

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Capitolo 10
*** Mio fratello ***


Con la scusa di cercare una casa, Sanae uscì  molto presto.

Aveva guardato Hayate e Daibu per buona parte della notte. Li aveva semplicemente osservati mentre dormivano tranquilli. Durante il giorno, c’era sempre qualcuno che glieli “portava via” e lei non era abituata ad averli lontani. Lo sapeva che tutti lo facevano per permetterle di riposarsi,  ma i suoi bambini erano la prosecuzione del suo corpo. Se trascorreva troppo tempo senza di loro, si sentiva incompleta.

Sapeva di essersi piegata di nuovo, di avere sbagliato a non essere stata dura con Tsubasa. Il problema è che lei lo amava troppo. Lei aveva bisogno di lui; non era solo un bisogno “emotivo” o”sentimentale”: era un bisogno fisico, corporale. Sapeva che per lui era lo stesso; per questo non era riuscito a dirle praticamente niente. Succedeva sempre così, se stavano qualche giorno separati. Si desideravano ancora al tal punto che dimenticavano tutto il resto.

Andò alla stazione, lasciando a casa appositamente il cellulare  e prese il treno.

Suo fratello avrebbe avuto le vacanze dopo pochi giorni. Ma lei non poteva aspettare. Lo doveva rivedere.

Dopo due ore di viaggio arrivò a Nagoya dove si trovava il collegio musicale, in cui Atsushi studiava dall’età di 9 anni. Era un genio del pianoforte, dicevano. Dopo un piccolo concerto alla scuola elementare di Nankatsu, il preside del collegio aveva offerto una borsa di studio ai Nakazawa per quel bambino prodigio. Atsushi, avendo mostrato entusiasmo, riuscì a convincere i genitori ad accettare e da allora viveva lontano da casa. Lontanissimo da lei. Il fatto di stare in collegio, lo aveva fatto crescere più in fretta rispetto ai suoi coetanei. Per ragioni molto diverse, sia lui che Sanae, avevano dovuto affrontare la solitudine, il distacco dai genitori, il ritrovarsi in un posto dove non conoscevano nessuno.

Si scrivevano lunghe lettere e lunghe mail. Lei gli chiedeva del pianoforte e lui di Tsubasa. Del pallone, dei bambini. Erano rimasti molto legati. In fondo lei l’aveva cresciuto. Sua madre aveva sempre dovuto lavorare, quindi per Atsushi, Sanae era stata più che una sorella.

Non fece in tempo a varcare il cancello che si trovò in un grande parco. Faceva caldo e alcuni ragazzi suonavano il violino, mentre delle  ragazze leggevano appunti, riparate sotto grandi alberi secolari.

“Sanae, che ci fai qui?”

Si sentì chiamare e dopo un secondo si ritrovò ricoperta di baci del fratello, che l’aveva fatta cadere.

Si sdraiarono completamente sull’erba e la gonna di Sanae si alzò con un alito di vento: lei fece per coprirsi e nel tentativo goffo di nascondere l’imbarazzo, fece scoppiare di risate tutti quelli che avevano assistito alla scena.

Risero anche loro di gusto…. Finalmente si sentiva in un posto dove forse nessuno era interessato a lei. Nessuno le avrebbe detto come comportarsi….o le avrebbe chiesto  chi fosse. Non importava a nessuno. Si sentì libera.

“Fatti un po’ vedere….” fece lei…” sei diventato alto…. Ma cos’è….. ti sta spuntando anche un po’ di peluria in volto? Fa vedere….” Gli si avvicinò, ma lui la schivò e corse via….

“Prova a prendermi… scommetto che sei diventata lenta…”

“Io lenta? Guarda che se voglio ti prendo in un secondo..” ma invece di rincorrerlo si ributtò  sull’erba perchè il profumo del parco le ricordava i posti dov’era cresciuta…. dove aveva conosciuto Tsubasa.

Atsushi tornò verso di lei.

“Tra un settimana torno a casa… perché ti sei messa a venire fin qua?”

“Avevo voglia di vederti… di stare con te… mi manchi… tu sei la mia incoscienza…”

“Allora? Grande Tsubasa!” disse lui alzando le mani al cielo.

“Ah…..non parliamo di lui! Parliamo di te!”

“ E cosa vuoi che ti racconti? Suono 6 ore al giorno il pianoforte e … vado malissimo in matematica… ma papà non lo sa…”

“Chi se ne frega della matematica… parlami parlami del pianoforte….”
”Tutto bene….sto facendo dei pezzi un po’ difficili adesso…comunque il maestro è contento. In più ho un sacco di flautisti da accompagnare agli esami…..Ad ogni modo…qui c’è gente molto più brava di me a suonare…non credo che farò mai il concertista”

“Beh… mai dire mai. Tu impegnati e poi si vedrà. Ma … dimmi…Sei felice?”

“Certo che sono felice. Perché non dovrei esserlo? Perché, tu non sei felice?”

Lo fissò. Era così sincero… dall’alto dei suoi 14 anni guardava le cose dritto alla sostanza. O era felice o era triste: le vie di mezzo non c’erano. Proprio l’opposto di quello che provava lei….lei la felicità vera l’aveva vissuta, ma sapeva che era uno stato effimero, non duraturo. L’avrebbe capito anche lui un giorno…. Ma era ancora presto. E le sembrò talmente bello quello che le aveva detto che non volle rispondere alla domanda.

La risposta sarebbe stata: “No, adesso non sono felice.” Ma poi avrebbe dovuto spiegargli un’infinita concatenazione di eventi  e sensazioni che l’avrebbero solo confuso e annoiato.

“Si, sono felice”, sarebbe stata invece una risposta banale e bugiarda.

Almeno con suo fratello non voleva mentire.

“Allora sei felice o no?”

“Più che altro…io sono incinta…..”

Atsushi rimase sorpreso.

“beh allora non puoi che essere felice… però Sanae dì a Tsubasa che si dia una controllata, se no qui mettiamo su una squadra di calcio!”

Scoppiarono  a ridere… e lei lo sentiva che voleva piangere ( di solito era così che funzionava: prima rideva e poi piangeva, infatti), ma si sforzò, si sforzò di non farlo.

“Speriamo che sia un bambina…almeno” disse lui

“Anche tu? Anche tu vuoi una bambina?”

“Si’ perché anche Tsubasa?”

“No è papà, che dice che sarà un bambina.. io ancora non sono neanche andata dal medico…. E ….non gliel’ho ancora detto a Tsubasa.”

“Cioè ti sei fatta 2 ore di treno per venire fin qui e dopo appena un minuto me l’hai detto, mentre a tuo marito che lo vedi tutti i giorni non gli hai ancora dato la notizia? Tu Sanae non stai bene… ti manca una rotella”

Lei le diede uno scappellotto: “Cosa vuoi sapere tu……guarda che con Tsubasa non è che ci sto molto….….”

“E quando è con te non è che gli parli…. “

Altro scappellotto.                                                                                     

“Bada bene a come parli! Cos’è non avrai mica trovato un fidanzatina?”

Lui si toccò la testa e diventò tutto rosso…

“Una fidanzatina… ma figurati!”

Si sdraiarono sul prato e guardarono il cielo.

“Dimmi perché vorresti una bambina?”

“ Perché …no niente…”

“Avanti dimmelo!”

“Ma … niente è una sciocchezza… è solo che io l’ho sognata.”

“Come l’hai sognata. Cosa vuole dire?”

“Io una volta l’ho sognata. Quando aspettavi i gemelli, io ho sognato che nasceva una bambina. E’ stato talmente reale che… mi sono svegliato di soprassalto.”

“Perché non me l’hai mai detto?”

“Non lo so… non mi è mai venuto di dirtelo”

Continuando a guardare il cielo, Sanae gli strinse la mano.

“Senti Sanae, posso farti una domanda? “

“….certo…”

“ Ma tu adesso, secondo te, sei ancora un ragazza o un donna? “

Lei provò  a  pensarci ed effettivamente si sentiva un po’ l’una e un po’ l’altra.  E anche nessuna delle due cose.

“Genzo ti direbbe che sono ancora un maschiaccio…..sai … non lo so….tutti vorrebbero che fossi più donna…io invece ancora forse mi sento un ragazza dentro….”

“Non è una gran risposta..”

“Lo so…”

“Allora quando glielo dici a Tsubasa?”

Lei non rispose.

“Secondo te io sono una buona madre?…. No, perché papà ha detto che un figlio è una cosa grande….”

“Ma tu a me le sei venute a chiedere queste cose? E poi di figli ne hai già due! Lo dovresti sapere se sei una buona madre…..”

Sanae si alzò

“Hai ragione scusa…..Puoi uscire? Andiamo a mangiare?”

“Sì……”

 

Durante il pranzo al ristorante, chiacchierarono e Atsushi non faceva che toccare il tavolo come se fosse una tastiera. Cominciarono a tirare fuori nomi di bambina, ad inventarli e a scomporli, facendo un gran rumore. Ci mancò poco che i proprietari non li mandassero fuori.

Usciti, passeggiarono per il centro e Atsushi la portò in un negozio di caramelle.

Verso le cinque rientrarono in collegio e Atsushi suonò per lei qualcosa di Bach.

Ad un certo punto s‘interruppe bruscamente.

“Sanae… …. Tu sei un’ottima madre. “

 

 

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Capitolo 11
*** Quando tu vai a giocare, tua moglie cosa fa? ***


Ciao!

Vi rubo solo due secondi…. Il computer non aveva niente e quindi me l’hanno ridato dopo un solo giorno! Così sono riuscita a mettere on line il capitolo ieri! So che magari per qualcuno sarà stato un capitolo un po’ deludente, in quanto può sembrare un modo per distogliere l’attenzione dal tema principale. Per me però  è stato un cap molto importante, perché mi ha permesso di sviluppare e di tornare su alcuni punti del carattere di Sanae, così da  renderla più , diciamo “ a tutto tondo”. Questi capitoli ” mi servono” proprio….

Grazie a Hikarisan e ad Elisadi80 per aver commentato “Mio fratello” e per le cose che hanno scritto.

Più in generale,  grazie a tutti quelli che hanno avuto voglia, modo e tempo per recensire. Rimango sempre piacevolmente  stupita dalle vostre osservazioni, così acute e accurate. Grazie davvero….

_________________________________

Dopo aver giocato tutto il pomeriggio con i bambini delle elementari di una delle tante scuole  di Tokyo, i giocatori si sedettero formando un semicerchio: non c’era tutta la nazionale, ma solo i calciatori più rappresentativi.

“Adesso bambini potete fare delle domande ai vostri beniamini… avanti chi vuole cominciare?”

“Io!” io!” “ no io!!”, ci fu un litigare e scalciare per fare le domande ma dopo un po’ ritornò l’ordine.

“Hyuga, Hyuga! mi insegni il tiro della tigre?”, chiese un piccoletto di appena sette anni.

Hyuga si mise a ridere…. Era fiero di aver ricevuto la prima domanda… in fondo era un sentimentale…

“beh, quando sarai un po’ più grande certamente!”

“No… il tiro della tigre lo può fare solo Hyuga!” “ ma cosa vuoi tu! Ha detto che posso farlo anch’io”  e ancora un’altra gran discussione… i bambini non stavano fermi un minuto…

Tutti chiesero qualcosa ed ogni giocatore cercò di dare spiegazioni sul calcio , ma parlarono anche dell’importanza della scuola e della loro vita fuori dal campo.

Ad un certo punto, un bimbo chiese a Tsubasa “ Ma è vero che tu hai una moglie?”

Tutti si misero a ridere

“Sì… e veramente ho anche due bambini….si chiamano Hayate e Daibu. Sono gemelli”

“E sono bravi come te a giocare a calcio?”

Altre risate……

“Sono piccoli ancora… hanno appena cominciato  a camminare… però il pallone è il loro gioco preferito già adesso! Quindi speriamo che imparino a giocare come voi! Il calcio è divertente, no?”

Tutti i bambini ovviamente esclamarono di sì .

“Ma quando tu sei al campo, tua moglie cosa fa tutto il tempo?”

I giocatori si misero ancora a ridere, mentre Tsubasa, si sentì strano e imbarazzato a quella domanda……

“Beh…. lei… si occupa dei bambini come le vostre mamme”

“E lava anche i piatti?” chiese uno.

“Si’…”

“E fa i letti?” chiese un altro.

“Certo….”
”Mia mamma va anche a lavorare… che lavoro fa tua moglie? “

Tsubasa non sapeva più come tirarsi fuori da quella situazione.

“Adesso basta, i giocatori devono andare….…domani visiteranno altri bambini che giocano a calcio come voi…. Avanti alzatevi e salutateli per bene” ordinò loro l’allenatore.

Tutti si alzarono  e salutarono; poi i calciatori si diressero verso il pullman.

“I bambini… …..ma eravamo anche noi così?” chiese Taro.

“…….forse eravamo anche peggio!” fece Ryo.

“Tu di sicuro!” disse Hyuga, con ironia.

 

Sul pullman Tsubasa provò per l’ennesima volta a telefonare a Sanae ma il cellulare era spento. Aveva già chiamato casa Nakazawa due volte. Sua madre gli aveva risposto che non c’era perché era andata a vedere alcune case, il che era confortante. Ma non riusciva a stare tranquillo.

 

“Sono tornata”, disse Sanae togliendosi le scarpe.

Sua madre stava stirando e non la degnò di uno sguardo.

“Tsubasa ha chiamato due volte. Il cellulare l’hai tenuto spento…..ma cosa fai? Sanae, cosa stai combinando?”

“ Adesso lo chiamo io, così sei contenta, eh?”

“Tanto lo so che non sei andata a vedere la casa….lo so, te lo leggo in faccia. Non sai mentire, non sai nascondere i tuoi segreti perché sono tutti fuori di te…”

“Se e’ per questo non mi hai neanche guardata, quindi non so cosa vedi….”

“ Vedo una persona che non sa più quello che vuole. E questo mi rende così triste….l’hai voluto così tanto questo amore. Ti saresti gettata nel fuoco per lui; e adesso, che fai? Adesso scappi…”

“Io non sto scappando, capito? Lo volete capire tutti che non sto andando da nessun parte? “

Sua madre ora la fissò.

“E come lo chiami questo? Lo chiami essere matura? Ha ragione tuo padre…. Aveva ragione lui….. Tsubasa non è l’uomo per te, anche se è l’amore della tua vita……e adesso come farai?”

“ Ma cosa stai dicendo, mamma? Non farò un bel niente…..il problema non è Tsubasa, il problema sono io…sono io che sono tutta sbagliata….tutta sbagliata….”

La madre  si tocco’ la fronte e andò a sedersi.

“Quando ti rivedrà, lui capirà che aspetti un bambino…. E si arrabbierà molto per il fatto che gliel’hai tenuto nascosto. In 2 giorni sei lievitata…guardati i piedi…. Guarda…. guarda la pancia…..se non vuoi passare altri guai glielo devi dire….”

“ Sai cosa c’è mamma?... che tu Tsubasa non lo conosci per niente… Lui non se ne accorge neanche tra un mese che sono incinta se non glielo dico io…perché quando mi guarda, lui vede solo ciò che gli serve per stare bene, per trovare i suoi equilibri. Per tutto il resto mi devo arrangiare…dovevi vederlo quando l’ho salutato allo stadio: lui non ha neanche vagamente immaginato che io sto soffrendo. E non mi ha detto una parola di scuse. Un’altra al posto mio l’avrebbe lasciato. Ma io, io non ci riesco. E’ la mia malattia. Appena si avvicina, io mi sento  a casa….io non so cosa vivono gli altri, ma se l’amore è questo, beh , è un sentimento troppo grande per il mio cuore. Non so fino a quando potrò reggere….”

 

Salì in camera e si guardò allo specchio per controllarsi i piedi e la pancia. Non le sembrò di essere poi così diversa dai giorni precedenti.

In quel momento risuonò il telefono.

Era lui.

Sanae rispose: “Ciao… mi hai letto nel pensiero.. stavo proprio per chiamarti”

Tubasa rimase in silenzio. Era evidente che stesse mentendo.

“Beh se ci fossimo letti nel pensiero, ci saremmo sentiti molto prima…..”

“Scusa, ma stamattina nella fretta ho dimenticato il cellulare”

“L’hai dimenticato anche il giorno prima di partire per il Giappone, ti ricordi?”

“Con questo cosa vuoi dire? Tu non dimentichi mai niente?” fece lei un po’ scocciata.

Tsubasa non sapeva cosa dirle. Odiava parlare al telefono.

“Volevo solo sapere come stai….  Quando ci siamo visti non abbiamo potuto parlare”

“Tanto che differenza fa? Noi non parliamo mai….noi sappiamo solo fabbricare bambini insieme…”

Le era proprio venuto dal cuore…. Quella frase le era venuta su dal fondo del diaframma, dal centro del suo corpo senza che lei potesse accorgersene.

“Ne abbiamo “fabbricati” due e non mi sembra che ci siano venuti male….”

Lei non rispose.

“….. è questo che avrei dovuto dire oggi…” continuò lui.

“Cosa?”

“Sai i bambini della scuola elementare mi hanno fatto tante domande su di te….. “

“ah si? Del tipo?”

“Mi hanno chiesto cosa fai quando io non ci sono e che lavoro fai. …un sacco di cose….è stato un po’ imbarazzante…”

“Già… io sono imbarazzante…..Molto meglio parlare di calcio, no?”

“Sanae, senti, non lo so se lo fai per provocarmi. Tanto lo sai che con me questi giochetti non funzionano. Se c’è qualcosa che non va è meglio che me lo dici senza tanti giri di parole. “

Di nuovo era riuscito a non scusarsi e  far passare lei per la colpevole, per quella che faceva “tanti giri di parole”…..

Lei….lei che stava ancora aspettando le sue scuse…… Tsubasa sembrava avere già rimosso tutto. Anche se rimaneva un po’ di rabbia e non sapeva perché. Forse perché la sentiva sfuggente.

Ci fu un po’ di silenzio.

Anche Sanae non sapeva cosa dire.

“E’ meglio che vada ora….…..”

“Allora Buonanotte” disse lei.

Mentre stava per riattaccare Tsubasa ricominciò a  parlare.” Aspetta… quasi dimenticavo….non farò in tempo a tornare a casa prima della festa della Nazionale, quindi ti farò venire a prendere da qualcuno…domani l’altro verso le sei.”

Aveva completamente dimenticato la festa…era stata talmente presa dal suo mondo interiore, che non ci aveva più pensato.

“Noi ci dobbiamo presentare con la divisa ufficiale. Quindi da casa non mi serve niente….tu poi hai comprato il vestito?”

“Non ancora…ma domani vado in centro. Spero di trovare qualcosa di adatto…..”

“E’ una festa molto importante.. cerca di essere elegante”

L’aveva detto con lo stesso tono con cui l’aveva ripresa all’arrivo all’aeroporto: proprio come a dire “non fare la bambina, riga dritto.”

Si chiese dove fosse finito il suo capitano, dove fosse finito quello splendido ragazzo che aveva sposato..

 

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Capitolo 12
*** Non puoi sfuggire al tuo destino ***


Non chiuse occhio. La nausea non le aveva dato tregua. Ad un certo punto si alzò per controllare Hayate e Daibu e decise di non tornare a dormire. Cercò fra le sue vecchie cose, frugò fra i suoi album di foto e si dedicò un po’ a sfogliare il suo passato.

“Cerca di essere elegante”… quelle parole erano come una fitta che le perforavano il cervello.

Che importanza aveva il vestito? Loro non avevano mai badato a queste cose. Lui soprattutto. Che cosa gli aveva detto Jun, per fargli avere una reazione del genere?

Perché Yayoi aveva ingigantito tutto in quel modo?

D’altra parte Yukari l’aveva subito ripresa: probabilmente sapeva che Yayoi avrebbe esagerato. Aveva sempre avuto un po’ la tendenza a ridire le cose in maniera fantasiosa.

Tsubasa non le aveva permesso di esprimersi e si era affidato solo alla versione di Jun.

Tanto ormai che importanza aveva? Si era rotto qualcosa. E si era rotto da prima. C’era qualcosa che da troppo tempo in lei non funzionava bene e sembrava che il corso degli eventi si susseguisse nell’attesa di una svolta.

Peccato che fosse accaduto in quel modo. Lei avrebbe preferito vedersela con lui e basta, senza altre intromissioni.

A sua madre aveva detto che quando Tsubasa le si avvicinava, lei si sentiva a casa. Ed era vero.

Era esattamente ciò che provava. Solo che da un po’ di tempo, pur sentendosi "a casa", aveva cominciato anche a sentire un desiderio di libertà.

Si chiese se fosse qualcosa che provasse solo lei o se fosse un male comune…” sentirsi a casa e quindi bene, ma anche in prigione e quindi male…..”

No, non era normale… era lei, era lei che era tutta da rifare….

Ma come poteva tornare la Sanae di prima? Dove poteva trovare quell’ingenuità che sembrava perduta per sempre, distrutta in una notte di piogge violente, quando i venti cambiano?

Il suo tempo interiore si era dilatato a tal punto che la notte era finita e il giorno cominciava a penetrare nella stanza.

Si fece un bagno e mentre il vapore saliva dal bordo della vasca, lei non riusciva che a pensare a lui. Il contatto con l’acqua era uno di quelle cose che più di tutte lo portava da lui. Se lo immaginò li’, di fronte a lei, all’altra estremità della vasca, con i capelli bagnati e lo sguardo fisso sul suo corpo……..

Affogò in quel pensiero e riemergendo sperò di ritrovarselo accanto.

 

Tentò di mangiare qualcosa, ma i profumi del cibo le facevano venire il voltastomaco.

Uscì di casa lasciando l’ennesimo biglietto a sua madre. Quel giorno avrebbe pensato la Signora Ozora ai bambini.

 

Cominciò a passeggiare per le strade piene di negozi e di boutique. Alle vetrine c’erano dei vestiti meravigliosi. Non sapeva dove entrare e soprattutto non riusciva ad immaginarsi in niente.

Non si comprava qualcosa da una vita. Lei e Tsubasa non facevano vita sociale: stavano quasi sempre a casa e le ultime volte che erano stati invitati a delle feste, lui era andato sempre da solo. Lei era diventata troppo timida. Poi odiava lasciare i bambini a qualcuno, anche se si trattava della mamma di Pinto. In fondo lei aveva la sua vita e i suoi impegni. Non le piaceva approfittarsi degli altri, anche se in quei giorni tutti pensavano ormai il contrario.

Fece avanti e indietro due volte, ispezionando entrambi i lati della strada. Ma non entrò in nessun negozio.

Squillò il telefono: era Tsubasa. Lei non rispose.

 

Cominciò ad avvertire una certa fame  e fu colpita dalla vetrina di una pasticceria: erano esposti vari dolci e biscotti e dappertutto c’erano piccoli fiori bianchi di mandarino.

Entrò e vide che era tutto pieno. Così decise di tornare fuori: ma proprio mentre stava per uscire, intravide un tavolo libero e allora andò a sedersi.

Si sentì subito osservata, ma fece finta di niente.

“Mi scusi…” chiese un ragazzo che era seduto lì accanto con altri amici.

Lei si voltò sorridendo: “ Sì?”

“Ma lei è Sanae Ozora, la moglie del capitano?”

Lei diventò tutta rossa e annuì con la testa.

“E’ bellissima….” le disse una compagna seduta allo stesso tavolo…

Lei non sapeva che dire….

“Grazie.. voi seguite il calcio?”

“Sì, noi adoriamo il calcio! Siamo stati anche alla partita contro la Francia. Tsubasa è un grande giocatore!” disse un altro.

“Già…. Mi raccomando, continuate a fare il tifo per lui anche quando gioca nel Barcellona!” li invitò lei.

“Ci può contare!” si alzarono e la salutarono con un inchino e si sentì strana ad essere chiamata da dei coetanei “Sanae Ozora”.

Pensò che erano stati molto carini e che non fosse stato poi così spiacevole scambiare due parole con loro.

Al che le si avvicinò un cameriere e lei, che prima aveva tanta fame… adesso chiese solo un caffè. La gravidanza le faceva di questi scherzi.

Si guardò intorno  poi spense il telefono per evitare che risuonasse.

Passò qualche minuto e il cameriere arrivò con un caffè e un piatto di porcellana finissimo, con una pallina di gelato alla vaniglia attorniato da petali di fiori di ciliegio.

Lei lo guardò e disse :“Mi scusi, ci dev’essere un errore… io avevo chiesto solo un caffè…”

Il cameriere sorridendo alzò lo sguardo verso la porta del retro “Il gelato glielo offre la titolare…”

Lei seguì lo sguardo del cameriere e sulla soglia della porta del laboratorio intravide un ragazza piccola più o meno come lei, ma un po’ più in carne, tutta vestita di bianco con le mani piene di farina.

Guardò meglio perché non credeva che potesse essere lei.

“Kumiko…..ma quella è KUMIKO”

“sì è proprio lei…”disse il cameriere

Sanae fece per alzarsi, voleva andare da lei e salutarla, ma Kumiko le fece un cenno con la mano come per dire “aspetta”.

Allora si rimise a sedere.

Accarezzò i petali del fiore: erano freschi, come tutti quelli che erano in pasticceria. Sentì tutti i profumi della sua adolescenza.

 

Kumiko si lavò le mani e la raggiunse in un minuto.

“Sanae….quanto tempo….sei….sei….”

“Non lo dire… ti prego….” le chiese Sanae.

“Allora dillo tu a me! A me non lo dice mai nessuno!” disse Kumiko  ridendo.

Sanae la guardò e in un minuto mille ricordi le attraversarono la mente.

“Sei bellissima…”

“Ah grazie! Così cominciamo alla grande… alle medie non me l’avresti detto neanche sotto tortura… come del resto io…. Ti ho odiata! Che stupide siamo state a non essere  tanto amiche per Tsubasa! Che stupida che sono stata io a pensare di essere innamorata di lui….. ma cosa vuoi…..ero una ragazza un po’ superficiale…ora sono molto meglio!”

Sanae si ritrovò travolta da quel fiume di parole e non sapeva cosa dire…se la ricordava chiacchierona ma non così…..

Si sedettero e lei le avvicinò il piatto con il gelato.

“Avanti! L’ho fatto io! Non lo assaggi?”

Non voleva farle un torto così se ne prese una cucchiaiata e lo deglutì provando una specie di dolore.

Era buono. Però faceva così male….

“Uhm… è squisito….ma questo posto è tuo veramente?”

“…..mio e di mio fratello….siamo diventati soci. Sai questa pasticceria era di mio padre.”

“Ah capisco…è andato in pensione  e vi ha lasciato la sua attività?”

“No, è morto l’anno scorso e ci ha lasciato un mucchio di debiti…..”

Sanae rimase spiazzata.

“Scusami, non volevo essere indiscreta. Mi dispiace molto. Che strano, Yukari non mi ha detto niente… non vi sentite più?”

Kumiko fece cenno di no.

“No io ho chiuso un po’ con tutti…. Non vedo più nessuno dei nostri vecchi amici. Il calcio non riesco più a seguirlo molto. All’inizio Yukari ed io uscivamo insieme ogni tanto ma adesso…facciamo parte di due mondi troppo diversi…. Ma è vero che sta con Ryo?”

“Sì…sono molto innamorati…”

“Quando me l’hanno detto non ci potevo credere……va beh sono contenta per lei…. Spero che non diventi una snob, però… le mogli e le fidanzate dei calciatori per lo più sono odiose…..”

Sanae distolse lo sguardo per l’imbarazzo.

“….ovviamente tu sei esclusa …. Tu non sei come le altre… tu sei speciale”

Non capiva come potesse essere così gentile con lei. Erano state” rivali” in amore per molto tempo e non erano mai andate particolarmente d‘accordo. In fondo però le era sempre stata simpatica e non si era mai considerata in competizione con Kumiko; non perché si ritenesse superiore, ma semplicemente perché erano talmente diverse che non si potevano confrontare su niente.

“Adesso comunque stai meglio? Qui è pieno di gente… sembra che lavoriate molto!”

Kumiko ritornò seria: “ Per tenere la pasticceria , abbiamo dovuto ipotecare la casa. Ma il lavoro va molto bene. Non ne siamo ancora fuori ma stiamo lottando. Per fortuna ci siamo imbattuti in un ottimo avvocato.”

“Sono contenta per voi. Sì, un buon avvocato in un caso del genere può fare la differenza….” Fece Sanae, tanto per dire qualcosa.

“Non finirò mai di ringraziare tuo padre, Sanae…..”

Kumiko improvvisamente si fece cupa in volto e quasi si commosse.

“Mio padre? Mio padre è il vostro avvocato?”

“Sì…. Sanae tuo padre è veramente un gran uomo”

“Nel lavoro senza dubbio. Sono felice che ti abbia aiutata.”

“Mi ha parlato così tanto di te, in questi mesi… praticamente so tutto!Lui va fiero di te!”

Sanae la guardò perplessa…”no forse ti confondi con mio fratello Atsushi: di lui sì che va fiero, sai è una specie di fenomeno al pianoforte. Io …. io invece niente…….io non faccio niente.”

“No, no ti sbagli, di Atsushi a me non ha mai parlato… forse perché sa che conosco solo te, non so. Ti ammira veramente tanto. E anch’io… non so come hai trovato il coraggio di mollare tutto e seguire Tsubasa… ritrovarti sola in Europa e poi i bambini…… d’altronde sei sempre stata una che ha saputo cosa voleva dalla vita. Se uno è vincente è vincente, non c’è niente da fare!”

Sanae era molto confusa. Kumiko continuava a sommergerla di parole e sembrava avere una visione abbastanza distorta di come fosse lei e la sua vita. Le pareva impossibile pensare che suo padre andasse fiero di lei. Da come si comportava non sembrava proprio.

“Ultimamente le cose non stanno andando molto bene…. Io e mio padre non abbiamo mai avuto un bel rapporto. Parli di lui come se ci fosse molta sintonia tra noi, ma onestamente non è così…..tra noi non corre buon sangue.”

“E’ un uomo…. Cosa vuoi mai sperare da un uomo? E’ una lotta continua….ma tu Sanae lo dovresti sapere bene visto che hai scelto di stare con uno che mi sembra un tantino complicato, no? Io non so come fai a reggere tutta la pressione. Adesso non è come il campionato delle medie. Adesso fa sul serio…..la Liga, la Nazionale maggiore, è roba grossa….ma come fai?”

Aveva parlato con molte persone da quando era tornata in Giappone. Ma nessuno gliel’aveva  chiesto.

Non riusciva a realizzare che proprio Kumiko, proprio lei, avesse avuto la sensibilità di raccogliere in un minuto tutte quelle parole di comprensione.

“Non mi fraintendere… lo so come fai, cioè tu lo  ami a tal punto che accetti il prezzo da pagare……sei un mito”

Sanae scoppiò a ridere ( ma in realtà voleva piangere)..” veramente fra le due il mito mi sembri tu: hai salvato l’attività di tuo padre e sei diventata una pasticcera…..”

Lei le fece l’occhiolino: si vedeva lontano un miglio che era felicissima.

“Ho trovato la mia dimensione in quel buco là” indicando il laboratorio di pasticceria”… tu dammi gli ingredienti e io me ne sto lì a fare qualcosa di buono. Non chiedo di più; non chiedo di meglio”

In quel momento Sanae pensò che avesse detto delle cose stupende.

“Sono contenta per te…non sai quanto piacere mi abbia fatto rivederti.”

Il gelato intanto si era squagliato e aveva inumidito i petali di ciliegio.

“Ma non hai mangiato niente!Forza dimmi cosa ti va che te lo porto!”

Sanae fece cenno di no con la testa

“Ti ringrazio ma, non sto molto bene in questi giorni… mi sembra di avere appetito ma appena vedo il cibo mi si chiude lo stomaco…..e poi bisogna che vada…devo comprarmi un vestito…..un dannato vestito…..ho un po’ di problemi…….”

Non sapeva perchè ma le veniva naturale parlarle a cuore aperto. Ci mancò poco che non le disse che era incinta.

Kumiko le sorrise.

“Se una donna ha dei problemi c‘è un’unica soluzione: si chiama cioccolata! La cioccolata ti riconcilia con il mondo…deve avere un qualche effetto speciale sui nostri ormoni… ancora non sono andata a fondo della cosa, ma prima o poi riuscirò anche a spiegarlo meglio….hey!!! mi porti il budino che è di là?”chiese al cameriere

Sanae voleva fermarla, ma non ci fu modo.

Le portarono un altro piatto guarnito con due petali di rosa e al centro un budino profumatissimo.

“Non te ne vai fino a quando non l’hai finito. Vedrai che poi ti riuscirà anche di comprare quel dannato vestito!”

“Tu dici?”

“scherzi? Guarda che io sono una specialista della cioccolata…..fidati”

Sanae ruppe il budino con il cucchiaio e prese a mangiarlo. Era buonissimo. Lasciava un retrogusto dolce e  si sentiva la gola morbidissima.

“E’ spettacolare….”disse chiudendo gli occhi.

“Te l’avevo detto… allora che vestito devi prendere?”

“Domani sera c’è una festa per la nazionale. Mi hanno obbligata ad andare. Cioè, non avendomi chiesto se volevo andare o no, mi obbligano…… Per Tsubasa è molto importante…. Mi ha detto che devo essere elegante… è stato quasi umiliante il modo in cui me l’ha detto….Io odio le feste….tutti mi guardano e mi scrutano come se fossi una preda.”

“beh… tu Sanae sei una gran bella preda….poi, non facendoti molto vedere, alimenti quella curiosità, quel mistero che ti rende ancora più interessante. Preparati mentalmente, perchè domani se hai un capello fuori posto, ti massacrano.”

“grazie mille per l’incoraggiamento…l’ho capita la tua tecnica… prima indori la pillola con la tua cioccolata e poi pugnali alle spalle…”

Scoppiarono di nuovo a ridere come due sciocche.

Kumiko, poi si ricompose e la guardò seriamente.

“Tu ora esci di qui e ti rifai un giretto. Quando vedi che sei di fronte al negozio giusto entri e dici: -Sono la moglie di Tsubasa Ozora e mi serve un vestito. Devo essere bellissima. Voglio che tutti mi notino- e loro ti troveranno quello che cerchi.”

“tu sei pazza….”

“Beh in effetti tanto normale non sono…..”

“Chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovate qui, così, a questo punto della nostra vita?….” chiese Sanae.

“Non possiamo sfuggire al nostro destino. Anche se proviamo, quello conosce i nostri odori e ci viene a riprendere……. È stato il destino a farti entrare qui oggi… ci sono tanti di quei posti dove saresti potuta andare a prendere un caffè…... Fra tutti però…tu ….hai scelto il mio posto….“

“Già…”

Finito il budino, si salutarono e si promisero di rivedersi prima del ritorno di Sanae in Spagna.

Decise di fidarsi dell’ultima persona a cui avrebbe chiesto aiuto e si fermò quando vide una vetrina piena di luci e di stoffe pregiate.

Entrò

“Salve” le disse la commessa

“Salve…io….”

“Ma lei… lei è la moglie di Tsubasa Ozora?!?”

 Per una volta Sanae ringraziò il cielo che l’avessero riconosciuta.

“Sì….”

“Prego, cosa posso fare per lei?”

“Mi serve un vestito. Io ….ecco voglio essere … diciamo…molto bella…..anzi no, no, voglio proprio essere bellissima. Tutti mi dovranno notare.”

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Capitolo 13
*** Odore di bambino ***


Ciao! Allora ci siamo….andiamo a questa festa…

Vorrei dire qualcosa ad ognuna delle persone che hanno recensito, ma mi ci vorrebbe un foglio solo per quello e non voglio portarvi via troppo tempo  ….quindi mi limito solo a dirvi “grazie mille” per tutti i vostri commenti!

____________________________________

La commessa lì per lì rimase colpita dal modo in cui Sanae si era espressa. Aveva notato una certa timidezza nel modo di porsi e questa stonava abbastanza  con le parole che aveva usato. Fra sé e sé pensò che non sarebbe stato difficile vestirla. Ma non glielo disse per non imbarazzarla.

Ci misero un po’ a trovare l’abito giusto.

Dopo l’incontro con Kumiko, il budino al cioccolato e tutti quei petali di fiore, si sentiva piena di emozioni e pensò che non avesse nulla da perdere. Tanto l’analisi dell’amica era stata più che giusta: qualsiasi cosa di sbagliato avesse fatto, quella sera l’avrebbe pagata cara.

Allora lei decise che non avrebbe sbagliato un bel niente. Lei decise che sarebbe stata perfetta.

Alla fine non fu così complicato. Fu più il vestito a trovare lei che lei a trovare il vestito. Se ne stava là, un po’ nascosto, fra altri, più colorati e appariscenti; ma lei, impacciata com’era, praticamente ci si era imbattuta contro, facendo cadere un sacco di roba da degli scaffali. Quando era rilassata, sapeva ancora essere davvero un maschiaccio.

Appena lo vide pensò che fosse proprio adatto. Lo provò e tutte le commesse si girarono per guardarla. Capì che non doveva provarsene altri.

Il giorno seguente si dedicò completamente ai bambini. Erano loro la sua forza: stare con Hayate e Daibu la rigenerava, le faceva dimenticare tutto quello che non andava e si sentiva completamente libera. Li portò al parco e poi alla sua vecchia scuola. Attraversò il prato per raggiungere il campo da calcio e vide che si ripeteva sempre la solita storia: un gruppo di ragazzini che corrono dietro ad un pallone, e in disparte tre ragazze in tuta che spostano pettorine e portano secchi d’acqua……..

“Fra loro c’è un altro “Tsubasa”, un’altra “Sanae”….” pensò.

Si mise a sedere sull’erba con i suoi bambini in braccio che non stavano fermi un minuto perché volevano andare incontro al pallone  e  prenderlo. Appena vedevano un pallone non capivano più niente proprio come il padre….da lei sembravano  non aver preso molto…

Sospirò e li lasciò rincorrersi e giocare.

 

Come spesso le capitava, perse la cognizione del tempo e quando guardò l’orologio si rese conto che era tardissimo e, come cadendo dalle nuvole, invitò i bambini ad andare. Cercò di camminare piu’ velocemente possibile spingendo il passeggino dove i due bambini, disposti l’uno verso l’altro, ridevano perché probabilmente pensavano che la mamma stesse andando così forte per giocare. Doveva fare la doccia e truccarsi….

Appena entrata, sua madre le gridò che era la solita incosciente e che non sapeva mantenere gli impegni e di qua e di là, ma lei se ne fregò e andò a lavarsi.

Cercò di fare prima possibile: intanto la macchina della federazione era già davanti a casa sua ad aspettarla.

 

Gli aperitivi, nella grande sala erano già cominciati. C’era un sacco di gente famosa e importante. I calciatori e tutti gli appartenenti alla nazionale giapponese facevano una gran figura con le loro divise ufficiali. La musica era dal vivo e le ragazze si muovevano dolcemente, mentre sorseggiavano Champagne.

Yukari era splendida. Così come Yayoi e Yoshiko. Tutte le donne avevano abiti stupendi e i loro colori risplendevano, facendo  a gara con le decorazioni della stanza, per vedere chi luccicava di più.

 

“Le hai detto bene l’ora?” gli chiese Genzo.

“Certo che gliel’ho detta bene….accidenti Genzo…. Non mi darà mica buca….questo giro, mi incavolo veramente…”

“Tsubasa lascia stare… l’ultima volta che ti sei incavolato, hai fatto del tuo peggio…. Vedrai che arriva… avrà avuto un imprevisto.”

“Sono stato un po’ duro con lei…. Anche ieri sera con questa storia del vestito….lo sai com’è Sanae….”

“No, non no lo so, com’è?” rispose il portiere ironicamente.

“Lei.. odia queste cose… avrà sì e no 2 vestiti….”

“…..già… lei non è come le altre…..ma non mi sembra proprio il tipo che va in crisi per un vestito… dai Tsubasa non fasciarti la testa…vedrai che Anego……” s’interruppe bruscamente.

Sanae era arrivata.

Lei si guardò a destra e a sinistra; fra tutta quella gente, non riusciva a scorgere Tsubasa o Genzo o nessuno dei suoi amici….Intorno, nel frattempo, le si fece un po’ di vuoto.

Le gambe erano scoperte molto sopra il ginocchio; non aveva scelto un abito lungo. Aveva 20 anni: “per nascondere le gambe c’è tempo” - aveva pensato. Le scarpe sembravano di cristallo e la facevano più alta; la stoffa era candida come la neve  e aveva delle piccolissime applicazioni che riflettevano la luce; salendo, l’abito si apriva in una scollatura profonda che quasi faceva indovinare l’attaccatura del seno. Due strisce sottili e finemente lavorate (sembravano gioielli più che tessuto), si alzavano sulle spalle, unendosi dietro il collo. La schiena era completamente nuda.

Quel vestito non lasciava immaginare niente; eppure, indossato da lei, faceva anche immaginare tutto, perché Sanae l’eleganza ce l’aveva di suo; quando quel corpo si muoveva, sembrava in totale armonia con l’universo.

Tsubasa non riusciva a spiaccicare parola. Genzo  era rimasto fermo. Immobile.

Tutti la notarono.

“Sanae!” la moglie dell’allenatore della Nazionale la chiamò a sé.

“Che piacere vederti…sei l’immagine della giovinezza….sei un ventata di freschezza…..”

Lei le sorrise: era felice che una donna, più grande e matura di lei, le dicesse quelle cose.

Di quello che pensavano gli uomini, francamente, non gliene importava niente.

Non pensò minimamente a quello che avrebbe potuto dirle Tsubasa: in quel momento lei sentì solo che era perfettamente a suo agio e che non temeva il giudizio di nessuno.

“Ah… ma mi sembra che ti stiano aspettando… laggiù, vedi? Tuo marito sembra folgorato…ci vediamo dopo! Complimenti per l’abito….sei favolosa…”

Lei lo vide e finalmente si guardarono. Non fu come si guardavano sempre. Fu ancora più intenso. Attraversò la stanza e già sentiva che il cuore si appesantiva e che l’eccitazione saliva.

“Non lo guardare, non gli parlare… non fare niente…” si disse, si obbligò.

“Sanae!!Che bella che sei!”

Le sue amiche la travolsero e la toccarono, accarezzandole il vestito e la schiena, prendendole le mani.

Sembrava veramente che avesse portato una ventata di freschezza e tutte ora pareva quasi che  non fossero ventenni, ma addirittura più giovani e più spensierate.

Sanae lo trovò divertente e rise, rise come non rideva da mesi.

Tsubasa la guardava  e non riusciva a   restare lucido; quel vestito adesso lo odiava perché voleva solo toglierlo. Voleva solo che quella sera finisse presto per poter stare con lei.

“Se non vi dispiace noi ci mettiamo tutte vicine a tavola, non è vero Sanae?” fece Yayoi, pensando che fosse tutto passato, che tutto si fosse sistemato.

Sanae non poté neanche rispondere perché l’avevano già trascinata dove  volevano loro.

La cena fu squisita, anche se Sanae non mangiò molto. Scrutava il cibo in base all’odore, in base a ciò che  le suggeriva il senso della nausea. Ma era felice. Era di nuovo felice.

Tsubasa non toccò niente. Aveva quel sorriso di circostanza, che aveva imparato ad usare come maschera, quando non poteva fare quello che voleva. Il calcio aveva indurito quella maschera e lui l’aveva rodata.

Ogni tanto lei lo guardava e capiva.

“Lo so che mi vuoi” pensava spavalda “ma io sono con le mie amiche…. Non mi puoi avere….siamo vicinissimi…. eppure non mi puoi prendere…..” lei lo guardava e sorrideva mentre vedeva che il suo desiderio cresceva.

Ad un certo punto, Yoshiko, che non reggeva l’alcool e aveva bevuto troppo, si alzò e disse che voleva ballare… allora tutte si alzarono per proteggerla e danzarono insieme, in mezzo alla pista.

Tutti gli invitati osservavano divertiti, soprattutto le donne di mezza età, che avrebbero voluto volentieri potersi togliere le scarpe e fare lo stesso.

 

Quando fu il momento di andare, Sanae corse a recuperare la sua pochette.

“Vedo che sai ancora divertirti…” le disse Genzo.

“Sì..io mi so ancora divertire… siete voi, voi che vi state spegnendo… TU ti stai spegnendo. Aprilo quel cuore, Genzo. Non aspettare che sia troppo tardi. E smetti di uscire con ragazze che non significano niente per te. Devi cercare quella giusta…..magari non sarà stupenda come le donne che hai avuto fino ad ora. Ma forse lei ti saprà riaccendere….C’è tanta di quella bellezza nella normalità, che tu non hai idea……comincia a cercare…..non credo che lei sia tanto lontana…..”

Sanae gli si avvicinò e gli prese la mano per baciargliela.  Poi l’accostò alla sua guancia, appena arrossata, “ Io per te ci sarò sempre……”

 

 

Tsubasa aveva visto la scena da lontano ed ora il cuore gli scoppiava. Aveva i nervi tesi  e la maschera cominciava a cedere.

La fece salire in macchina e poi salì lui.

L’autista guidava e pareva un robot: non un ‘espressione, non una smorfia.

Non si dissero una parola. Non una carezza.

Rimasero ognuno al proprio posto.

Sanae sentiva il suo profumo  e con la coda dell’occhio poteva vedere che non si muoveva.

Arrivati in casa, si slacciarono le scarpe.

Non fecero in tempo ad entrare in camera di Sanae, che lui le aveva già tolto il vestito.

 

 

Proprio a metà della notte, Sanae vide che Tsubasa stava dormendo profondamente a pancia in giù. La faccia era rivolta verso di lei e ora non c’era più nessuna maschera. Ritrovava perfettamente ogni dettaglio del suo viso al suo posto: era stato bellissimo. Era stato così bello che avrebbe voluto svegliarlo per dirglielo. Per dirgli: “ Ce lo ricorderemo questo momento? Tsubasa, ti ricorderai del mio corpo quando non sarò più così morbida? Ma lo senti che sono tua e che non potrò mai essere di nessun altro?”

Ma era così  rilassato che non voleva sciupare il suo sonno.

Si alzò e guardò i suoi bambini, che avevano così tanto della faccia di Tsubasa, dei suoi movimenti. Erano la sua fotocopia.

Poi andò in bagno e si fece una doccia. L’acqua le avrebbe fatto rivivere l’amore con Tsubasa, perché l’acqua che scendeva era lui che la portava lontano, lontanissimo dalla sua vita reale.

 

Dopo qualche minuto, Tsubasa sentì il rumore della doccia e vide che lei non c’era. Si alzò e si infilò i boxer che erano finiti sotto il letto.

Entrò in bagno e, sedendosi sul bordo della vasca,  si mise a guardarla mentre il rumore delle gocce la investivano. Dalle pareti umide e coperte di vapore  della doccia, poteva indovinare il contorno indefinito del suo corpo e poteva vedere i suoi movimenti. Sembrava che danzasse.

Passò qualche altro minuto  ed infine lei usci’. Era talmente assorta nei suoi pensieri che quando se lo vide davanti ebbe un sussulto. L’aveva spaventata.

Lui scoppiò a ridere.

“Ma cosa fai!” disse lei sussurrando, per non svegliare gli altri…” non lo sai che non si deve far paura alle donne incinta?....….”

Lui continuò a ridere….” Ma guarda che tu non sei mica in…..”

Non sapeva come le fosse uscito dalla bocca….l’aveva detto, l’aveva detto ed era stato così facile…

Lui si fece serio.

“Sanae…mi prendi in giro?”

Lei lo scostò e prese l’asciugamano.

“Perchè dovrei prenderti in giro? Scusa, cosa c‘è poi da prendere in giro…. Dai non facciamo casino adesso….se no si svegliano tutti. Ne parliamo domani…”

Lei tornò in camera. Si mise una camicetta da notte e riprese a dormire.

Dirglielo l’aveva liberata da un peso enorme e si addormentò subito.

Tsubasa rimase ancora in bagno. Non sapeva se aveva capito bene.

Tornò in camera. Sanae era già sprofondata nel mondo dei sogni e col viso sembrava che guardasse il soffitto. Lui le si avvicinò e le alzò la camicia per guardarle il ventre. Posò la sua mano come a provare se sentiva qualcosa. Lei fece un movimento brusco ma poi si ricompose.

Allora posò sul ventre la sua bocca; ma non diede un bacio, appoggiò semplicemente le sue labbra per assaggiare che sapore aveva e poi vi strofinò il naso per poter sentire se c’era veramente odore di bambino.

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Capitolo 14
*** Correre ***


Più correva e più avrebbe voluto correre.

Gli sembrava di avere un fiato infinito e di poter attraversare il paese senza fermarsi. Non era perché fosse particolarmente in forma, ma perché il suo fisico era completamente in balìa dei suoi pensieri.

Un altro figlio era come una tegola che piombava  a distoglierlo da quello che stava per fare. Lui doveva solo concentrarsi sulla sua carriera: adesso era il momento di stringere i denti, di non avere distrazioni, di non avere modo di “soffrire” di altri stress.

Era come quando aveva dovuto lottare per passare dalla seconda squadra del Barcellona, alla prima. Si era allenato continuamente e non si era concesso nient’altro. Solo e focalizzato su se stesso, sulla sua vita che era il calcio. Tutto il resto doveva starne fuori. Doveva mantenere il suo posto in squadra e doveva  anche cercare di migliorarsi in vista delle qualificazioni per i  mondiali.

Non c’era tempo e non c’era spazio per un figlio. Già c’erano Hayate e Daibu da crescere e da proteggere. E lui non c’era mai; faceva già abbastanza fatica a ricavare del tempo per loro. Si ricordò dei primi periodi, quando erano appena nati e Sanae, da sola, aveva affrontato tutto senza chiedergli niente. Quante volte lei non aveva chiuso occhio, di là, nell’altra stanza, per poter fare in modo che lui si riposasse. Erano stati mesi difficili. Forse era anche per tutto quello stress che oggi Sanae era così. Era così sfuggente; e triste. Al pensiero che da lì a qualche mese tutto sarebbe ricominciato da capo, gli venne da correre ancora più veloce.

Arrivato a casa Nakazawa, sentì da fuori le urla disperate di Daibu e si precipitò a vedere cosa fosse successo.

“Niente.. non è successo niente” disse Sanae, mentre teneva in braccio il bambino.

“Hayate l’ha spinto senza volere e Daibu cadendo all’indietro ha sbattuto la testa….”

“Fammi vedere…” Tsubasa praticamente le prese il bambino quasi con la forza e cominciò a toccargli la testa e a riempirlo di baci.

“Scusa ma tu dov’eri?”chiese con sguardo indagatore.

“Ero qui, Tsubasa, dove vuoi che fossi… è stato talmente veloce che …. Ma guarda che non si è fatto niente…”

Hayate era rimasto in disparte e stava per piangere.

Tsubasa gli si avvicinò e lo prese in braccio, cercando di coccolare anche lui.

“Non bastano mille occhi, no? Lo sai…. E se si tagliava?” disse Tsubasa.

Sanae non credeva alle sue orecchie.

“Che cosa stai cercando di dirmi, avanti!”

“Sto semplicemente dicendo che, anche se sei in vacanza, dovresti tenerli sempre sotto controllo….mi sembra che in questi giorni, con la testa sei in un’altra dimensione…”

“Ma cosa ne sai di dov’è la mia testa…Tsubasa tu non ci sei mai stato a casa, cosa vuoi sapere ..”

“Beh mi pare di aver capito che a casa anche tu non ci sei stata molto….”

Non capiva se fosse gelosia, desiderio di controllarla o un modo per farla sentire in colpa.

“Sai benissimo anche tu che ho avuto molte cose da fare… d’altra parte, sono sempre da sola….non è che posso contare molto su di te…..”

La discussione s’interruppe perché nel frattempo era entrata la signora Nakazawa.

“Tsubasa, ha chiamato tuo padre; ha detto che il tuo procuratore sta arrivando a casa vostra per discutere di alcune cose. Ha chiesto se puoi sbrigarti”

Sanae lo guardò.

“Quali cose? Cosa devi discutere con lui?”

“Le solite cose, Sanae… dai, prepara i bambini che andiamo”.

Lei guardò sua madre come a dirle “Hai visto? Hai visto come mi tratta?”

Poi si preparò velocemente, e diede una sistemata ai bambini.

Senza dire una parola salì in macchina.

Durante il tragitto ci fu solo silenzio.

 

“Ma dove sono i miei pulcini?” chiese la signora Ozora aprendo la porta.

Si misero in sala e ai bambini era tornato il sorriso.

“Tsubasa… avanti… non dai la notizia ai tuoi genitori?”chiese Sanae.

Lui la fulminò.

“Quale notizia, Tsubasa? Cosa c’è?”

Lui guardò suo padre ed era nervoso.

“.. beh ecco Sanae aspetta un bambino….”

La signora Ozora le si avvicinò e l’abbracciò teneramente.

“Che bella notizia…… allora congratulazioni!”

“Rallegramenti!” fece il signor Ozora.

 

Sanae invece, era rimasta impietrita.

Dal modo in cui l’aveva detto, dall’espressione che aveva in volto, lei aveva capito che Tsubasa non era per niente contento di avere questo figlio.

Lui questo figlio non lo voleva.

In quel momento tutta la sua vita, tutti i suoi 20 anni le sembrarono un fardello pesantissimo; le parve di aver vissuto troppo tempo e inutilmente. Niente aveva più senso. Niente aveva colore.

Capì veramente cosa fosse il dolore. Il sentirsi profondamente umiliata e sola.

 

Il procuratore suonò il campanello e fu fatto accomodare.

“Venga,… venga!” fece la signora Ozora, “Abbiamo appena saputo che Tsubasa diventa di nuovo papà!”

“Ah che bella notizia!.... congratulazioni a te e… tante congratulazioni anche a Sanae”

Lei gli fece un piccolo inchino per ringraziarlo e cercò di sembrare serena.

 Tsubasa e suo padre si sedettero al tavolo con il procuratore, mentre Sanae e la signora Ozora si occupavano dei bambini vicino ai divani.

Sentì parlare di una specie di ritiro con una squadra locale … ma non capì bene.

“Allora va bene, così no? Stasera ti vengono a prendere e passi il resto del periodo qui in Giappone in ritiro con il Tokyo. Andrete in montagna così tu ti potrai allenare e loro per circa due settimane ti avranno come compagno di squadra. Per te sarà una specie di pre-ritiro, così quando rientrerai in Spagna, sarai già molto allenato. Il Tokyo sotto il profilo della preparazione e' molto attrezzata. Unisci l’utile al dilettevole e prendi anche dei bei soldi. Piu’ di così, cosa vuoi?”

Si misero a ridere e Tsubasa stava per firmare il breve contratto che regolava questo fantomatico ritiro.

“Scusa, Tsubasa… pensavo che avremmo passato qualche giorno insieme con i bambini… non mi avevi parlato di questa cosa…”

Lui non fermò la penna. Aveva firmato intanto che lei aveva parlato.

Allora lei si alzò.

“Mi puoi rispondere?...”

“E’ una cosa che è venuta fuori due giorni fa. Ieri non c’è stato modo di parlarne e nemmeno stamattina. Al telefono non hai mai risposto…… quindi… E’ un’opportunità molto importante… verrà anche Hyuga. Il campionato italiano è duro quanto quello spagnolo. Questi allenamenti ci aiuteranno molto. Adesso non posso permettermi di rilassarmi. E’ un momento molto delicato della mia carriera”

Lei non aveva fatto una piega: aveva ascoltato  ed era diventata fredda come il ghiaccio.

“Quindi quando passerai del tempo con noi? In aereo mentre torniamo in Spagna? Gli altri giocatori sono in montagna o al mare con le loro famiglie. Noi invece?”

“Sanae non capisco perchè reagisci così… tanto lo sapevi che avevo i miei impegni, no?”

“Non rinunci a niente per noi? Non puoi rinunciare almeno per qualche giorno ad allenarti per stare con noi?”

Praticamente lei lo stava implorando, lo stava pregando perché in base alla risposta avrebbe fatto le sue scelte.

“Perchè devi fare sempre così? ….. oltretutto in pubblico…”

La signora Ozora abbassò lo sguardo. Lei, che aveva sposato un uomo di mare che a casa non c’era mai, pensò di capire cosa stesse provando Sanae.

Sanae abbassò lo sguardo per prendere coraggio e poi lo fissò dritto negli occhi.

“Ascoltami bene Tsubasa, perché non lo dirò un’altra volta. Se tu stasera parti per questo ritiro, io me ne vado. Prendo i bambini e me ne vado…..”

Squillò il telefono ed era Hyuga.

“Ciao dimmi Hyuga……sì sì tutto confermato… allora ci vediamo stasera” disse Tsubasa, fissando Sanae.

Sapeva che non l’avrebbe mai fatto. Lei dipendeva da lui. Di suo non aveva niente e poi non l’avrebbe mai privato dei suoi figli.

Sanae prese per mano i piccoli, cercò la sua borsetta e s’infilò le scarpe. Senza voltarsi, per non far vedere quanto fosse sconvolta, uscì sbattendo la porta.

“Sapete com’è fatta”… disse lui “ si offende con niente. Le passerà….”

 

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Capitolo 15
*** Sto facendo sul serio ***


Come sempre…..grazie per le vostre recensioni….lo apprezzo davvero molto!

_______________________

Camminò per una decina di minuti e il suo volto era diventato di pietra.

Non c’era alcuna espressione, come se il vento l’avesse talmente scolpito da togliergli la prima pelle.

Alla stazione dei taxi, ne prese uno e chiese all’autista di portarla a casa.

“Faccio in un attimo: le dispiace se lascio i bambini qui? Arrivo subito”

Entrò in casa e vide che fortunatamente non c’era nessuno. Come un fulmine corse di sopra e tirò fuori una sacca di tela molto capiente; prese il pallone da calcio, due orsetti e un po’ di panni alla rinfusa. Stava eseguendo quelle azioni e nel frattempo il suo cervello stava correndo così rapidamente che a lei sembrava di non pensare a niente, di non provare niente. Svuotò la borsa e prese solo il portamonete; aprì il cassetto del comodino, dove Tsubasa le aveva lasciato dei soldi. Li prese tutti e si accertò di avere la carta di credito.

Il cellulare lo lasciò lì. Lasciò anche tutto il resto.

Risalì sul taxi e chiese di guidare senza una destinazione precisa: gli avrebbe detto lei quando fermarsi.

Ora doveva solo pensare a dove andare. E le ci voleva tempo.

All’autista venne da guardare nello specchietto retrovisore e la vide: vide gli occhi che semplicemente erano pieni, colmi fino all’orlo di lacrime e ad un certo punto sgorgarono una ad una, segnando le guance. Fu un pianto contenuto e silenzioso. Senza singhiozzi, senza sospiri.

Attraversarono la città in lungo e in largo.

“Mi può lasciare qui, grazie”

Pagò la corsa, tirando fuori un mucchio di soldi e lasciò anche una bella mancia.

Li voleva spendere tutti quei soldi maledetti……

Con i suoi bambini per mano, era di fronte alla pasticceria di Kumiko. Nella vetrina c’era un bel dolce di albicocche e campanellini di zucchero. Pensò che non ci fosse altro posto dove poter andare.

Entrò e andò verso la porta del laboratorio. Proprio in quel momento quella si aprì e sentì sbraitare Kumiko.

“Non è possibile che tutte le volte che vi chiedo di controllare se c’è tutto mi dite di sì, e poi mi mancano le cose!Adesso come faccio senza zenzero, eh? Me lo spiegate? Avanti fuori tutti! Fuori!!!!”

Era furiosa, isterica.

Sanae si girò di scatto e provò ad andare via…. Ma lei la vide.

“Sanae!”

Allora lei si voltò di nuovo e si accovacciò come a proteggere i suoi bambini.

“Non so dove andare….mi serve un posto per stanotte…… Se vuoi lo zenzero te lo vado a comprare io……..”

Scoppiò a piangere. E questa volta fu un pianto completo: con i singhiozzi, i sospiri e le mani che ti servono per nasconderti perché sai che adesso si metteranno a piangere anche i tuoi figli.

Si accovacciò anche Kumiko e prese i bambini…

“Allora….questi sono i tuoi giovanotti, eh?..... Scommetto che non avete mai giocato con la farina!? Venite….avanti… adesso quel ragazzo vi fa divertire un po’, non è vero Ikeda?” disse (praticamente ordinò ) al suo aiutante.

Le due amiche salirono in camera. Kumiko la portò in un ampia terrazza, piena di vasi e piante. I fiori erano la sua ossessione. Tirò fuori un pacchetto di sigarette; se ne accese una.

“Dio mio quanto sono bastardi gli uomini……” lo disse senza guardare Sanae; fissava un punto lontano all’orizzonte e nei suoi occhi c’era una luce  granitica che nascondeva le emozioni.

“Non lo voglio sapere perché te ne sei andata. Non me lo dire, almeno ti prego non adesso. Io gli uomini li odio…. Odio mio padre….non lo perdonerò mai. Puoi fermarti qui quanto vuoi. Qui nessuno ti può toccare. Il primo che si avvicina lo uccido.”

Spense la sigaretta e tornò di sotto.

Sanae era rimasta ad ascoltarla e aveva provato a trattenere le parole per poterle rielaborare. Per poter capire.

Aveva sofferto molto. E per dei motivi molto più seri. In confronto, pensò che i suoi più che problemi, fossero capricci.

Era difficile confrontare le loro situazioni. Era affaticata e ancora scioccata per quello che  aveva fatto.

“Adesso cosa faccio?” si chiese. Non sarebbe potuta restare lì a lungo. Non aveva niente. Non aveva nessuno. Si sentì persa e si sentì una stupida per essersi presa così sul serio.

 

Verso le sette Tsubasa e i suoi genitori arrivarono a casa Nakazawa: avrebbero cenato lì tutti insieme, prima della sua partenza per il ritiro con il Tokyo.

Una volta entrati, la signora Nakazawa chiese:” Scusate ma Sanae e i bambini dove sono?”

Gli Ozora gelarono.

“Non sono qui?” chiese Tsubasa.

“No…. Perché?”

Tsubasa corse di sopra in camera e vide molta confusione sul letto, la borsetta rovesciata, il cellulare sul comodino. Aprì gli armadi e molta roba era ancora appesa. C’erano anche quasi tutti i giochi….tranne forse il pallone…. Ma dove diavolo era finito?

“Allora? Cos’è successo? “chiese il Signor Nakazawa.

Tsubasa si fece serio in volto: “ecco … abbiamo avuto una discussione e…..beh è uscita di casa sbattendo la porta.”

“Se racconti un cosa, Tsubasa, la devi dire per bene”… intervenne la signora Ozora; “ Lei ha detto che se ne sarebbe andata….. che avrebbe preso i bambini e se ne sarebbe andata, se tu avessi firmato…” continuò.

“Firmato cosa? Io non capisco…” fece la madre di Sanae.

La signora Ozora, aveva assistito alla scena e aveva sentito quello che Sanae aveva provato.

“Tsubasa, lei se n’è  andata….” gli disse sua madre.

“Avanti mamma, ti ci metti anche tu adesso?....... Lei non lo farebbe mai, non diceva mica sul serio… l’ha detto così per dire…” fece Tsubasa, ancora convinto della sua posizione.

“A me è sembrato che facesse sul serio….” disse ancora la Signora Ozora” prova a chiamarla, allora.”

“…non posso… il cellulare è di sopra….. accidenti…..” imprecò Tsubasa.

Gli Ozora spiegarono ai Nakazawa esattamente cosa fosse successo. Sua madre scoppiò a piangere, mentre il Signor Nakazawa era rimasto impassibile.

“Cerchiamo di restare lucidi… non può essere andata molto lontano… e poi dove? Magari da un' amica?”

Tsubasa scosse la testa.

“Forse è andata da Genzo…” disse la signora Nakazawa.

Tsubasa la guardò negli occhi e avrebbe voluto chiuderle la bocca.

Si ricordava bene di quel bacio che Sanae aveva dato a Genzo sulla mano…. Cosa significava?

“Vado da lui. Se è lì che si nasconde lui me lo dice… siamo troppo amici…. Non mi mentirebbe mai”

Prese la macchina e guidò come un pazzo.

 

“Ah Taro…. Con la play sei veramente clamoroso…. Guarda che ho giocato con tanti, ma uno peggio di te faccio fatica a ricordarmelo….” Genzo affondò sul divano e  si stirò le braccia.

“Te l‘avevo detto che non so giocare…..io sono più interessato ad altro…..per esempio mi piace leggere..”

“Adesso non fare l’intellettuale…”

Suonarono alla porta e la donna delle pulizie non ebbe il tempo di avvertire Genzo, perché Tsubasa si era già precipitato in salotto.

“E’ qui Sanae?”

Taro e Genzo si guardarono stupiti.

“Ciao Tsubasa… cos’è successo?”
 Lui sembrava un animale che avesse perso il suo olfatto, la sua traccia…. Si guardava in qua e in là e non sapeva che fare.

“Sanae… lei, abbiamo litigato, e lei… se n’è andata… avanti dimmelo che è qui. Dove si nasconde?”

Genzo non riusciva a seguire le sue parole mentre lui era agitatissimo.

“Tsubasa, Sanae non è qui. E’ da ieri che sono con Genzo e ti assicuro che noi non l’abbiamo vista….”

“Che cosa ti ha detto l’altra sera… eh, forza, dai, dimmelo…. Ti stai innamorando di lei? Eh? “

“Ma che cosa stai dicendo? Tsubasa calmati….”


”Allora perché non me lo dici….sono tutto orecchi!”

Genzo lo fissò e cercò di parlargli senza dire niente come facevano sempre.

Tsubasa si calmò.

“Scusa… è che … mi sembra di vivere un incubo…..”

“Quella sera mi ha detto che per me lei ci sarà sempre e che dovrei cercare…insomma…dovrei smettere di scappare. Credo che stia cercando di proteggermi perché vede che mi sto spegnendo….che non sono felice…”

Taro e Tsubasa l’avevano ascoltato attentamente ed erano rimasti molto colpiti dalla serietà e intensità con cui Genzo si era espresso. Non era da lui, fare discorsi del genere.

“Forse hai ragione, sai Tsubasa, un po’ sono innamorato di lei…. Credo che ognuno di noi a proprio modo lo sia …..siamo tutti innamorati di lei. O meglio…Più che di lei, dell’idea che lei rappresenta…. E di ciò che voi due rappresentate insieme. L’amore perfetto, la coppia perfetta.”

Tsubasa si sedette sul divano.

“In noi ormai non c’è più niente che funzioni….”

Taro, che fra i tre, era senz’altro il più riflessivo, provò a fare un po’ di ordine.

“Ora… non mi preoccuperei più del dovuto. Sanae è troppo intelligente: non è andata in nessun posto che non sia sicuro. Ti ama troppo e ama troppo Hayate e Daibu, per fare qualcosa di sconsiderato. Hai provato a chiamare Yukari?”

“No, sono sicuro che non è andata da lei e nemmeno da Yayoi… dopo quello che è successo, sai, temo che fra loro, non sia più come prima… adesso non le voglio neanche avvertire, perché sai come sono…dopo dieci minuti, lo saprà tutto il Giappone che mia moglie è scappata….”

“Giusto” fece Genzo…”c’è anche questo problema….cerchiamo di evitare scandali. Adesso saliamo in macchina e cominciamo a cercarla. Ci pensiamo io e Taro, non è vero?”

“Ci puoi contare” fece Taro.

“Tu parti per il ritiro. Non hai scelta. Non ti puoi permettere di perdere quest’opportunità. Io ci sono stato in ritiro con il Tokyo. E’ stato davvero utile. Comportiamoci normalmente e sono sicuro che tra un paio di giorni sarà tutto a posto.”

Tsubasa si sentiva malissimo.

“Genzo scusami… come ho potuto dire quelle cose…. Non so perché… sto diventando anche geloso adesso….”

Genzo lo guardò come si guarda un fratello: ” e’ un bene che tu sia diventato geloso… un po’ di gelosia alle donne fa piacere…. Ah… comunque …quando ci rivediamo, bisogna che ti tenga un corso accelerato su come trattare le donne….”

Sorrisero…anche se i loro volti erano pieni di tristezza.

 

 

 

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Capitolo 16
*** Uomini ***


Avevano telefonato a tutti gli hotel della città e perlustrato ogni strada, ogni angolo.

Tsubasa e i genitori di Sanae chiamavano continuamente.

Di lei non si sapeva nulla da due giorni. Erano stati lunghissimi e Genzo e Taro, stavano cominciando a pensare che non sarebbe stato facile continuare a cercare, senza fare troppe domande o senza eventualmente denunciarne la scomparsa.

Stavano perdendo la speranza, anche se cercavano di non darlo a vedere e soprattutto tentavano di nascondere i loro stati d’animo quando parlavano a Tsubasa.

Lui, dal canto suo, non era ancora riuscito a dormire. Pensò alla notte, all’ultima notte che avevano trascorso insieme. Lui aveva sussurrato “ mi dispiace…” e lei aveva cominciato a spogliarlo, sorridendo….aveva sentito? Aveva capito? Era stato stupendo poterla toccare e sentire che era veramente sua. Poi la notizia del bambino l’aveva di nuovo riportato sulla terra e sapeva di aver fatto capire a Sanae, che non era contento. Lei lo conosceva troppo bene. Lui invece? Conosceva sua moglie? Anche ad occhi chiusi avrebbe potuto disegnarla e descrivere i suoi profumi, le espressioni del suo volto. Avrebbe potuto dipingere il suo corpo, senza problemi. Ma cosa sapeva dei suoi pensieri? Cosa sapeva del suo cuore?

 

La pasticceria era piena, ma Genzo era stanco e aveva fame. A lui non piacevano neanche molto i dolci, ma decisero di entrare e fermarsi un momento. Presero posto e cercarono di non dare nell’occhio.

Arrivò un cameriere e prese l’ordinazione e Genzo lo guardò dirigersi nel laboratorio con passo spedito: la porta si aprì e gli parve di scorgere un bambino tutto sporco di farina che rideva con le mani piene di qualcosa di giallo.

“Ma dove vai?” chiese Taro guardando il portiere che intanto si era alzato e, concentrato su quello che aveva visto, era andato fino alla porta e l’aveva aperta entrandoci.

“Sanae……”

Sanae smise subito di ridere, mentre anche lei tutta coperta di farina, stava tenendo in braccio Daibu e lo faceva volare.

“Hey, tu dove credi di essere? A scuola ti hanno insegnato solo a parare i rigori? Non ti hanno insegnato a leggere? Sulla porta c’è un cartello con scritto ”vietato entrare”: FUORI!!!!!!!!!!!!!!!”

Kumiko, faceva entrare nel suo laboratorio, solo i suoi aiutanti, suo fratello e pochi altri. Era il suo posto. Era lì che dimenticava tutto ed era libera. Era il suo territorio.

Genzo, letteralmente spaventato dallo sguardo della ragazza e sconvolto per aver trovato Sanae, uscì subito.

Taro andò da lui e Genzo gli spiegò tutto.

Dopo qualche minuto, Sanae entrò in pasticceria e si diresse verso i due amici.

“Vi prego… non dite che sono qui….io non so dove andare….” disse.

“Ma sei impazzita? Sono due giorni che tua madre piange, Tsubasa è disperato… noi ti stiamo cercando da più di 48 ore e tu cosa ci dici? Che ce lo dobbiamo tenere per noi? Ti si è fuso il cervello? Tu ce l’hai un posto dove andare….ed è lì che adesso ti portiamo…”

Taro era stato zitto mentre Genzo aveva imprecato contro Sanae, cercando di contenere il tono di voce.

Sanae sembrava molto stanca e molto triste. Il suo sguardo era vuoto. Era assente.

Genzo guardò Taro per invitarlo a parlare. In fondo era lui “il saggio”: era lui che la doveva convincere.

“Cosa sta succedendo Sanae?” chiese allora Taro.

Lei scosse la testa.

“Tsubasa…non mi ama più……pensavo che saremmo stati un po’ insieme, almeno questa volta, invece niente….e poi e poi…lui …non vuole un altro figlio….lui non vuole questo figlio che io già sto aspettando. Come posso tornare? Non posso….io non voglio…….dite che sto bene. Che sto bene e che i bambini stanno bene. Ma…non posso tornare….”

Si alzò e Genzo cercò di trattenerla afferrandole un braccio, ma Taro glielo impedì.

“Taro, ma hai sentito cos’ha detto?”

Taro pagò e fece cenno a Genzo di alzarsi.

“Se la obblighiamo è peggio…..Tsubasa non ce l’ha neanche detto che c’era un altro figlio… si spiega sempre male….”

“Guarda che Tsubasa è innamoratissimo di Sanae…. Ma se è un fenomeno a calcio, cos’è una colpa?”

“No, ma deve imparare che non c’è solo il calcio. Deve capire che prima c’è la sua famiglia. Altrimenti doveva fare come te, che te ne frega solo del calcio e per il resto, ti diverti e basta…..”

Colpito e affondato.

“Perché tu che fai?”

“Per me il calcio è molto importante, ma le persone che amo, vengono prima di tutto…..se non fosse così, non avrei mai seguito mio padre ovunque volesse andare….”

Aveva ragione: Taro non era come Tsubasa o Genzo.

Tsubasa aveva messo Sanae molto in fondo alla lista, perché prima c’era il calcio. E Genzo, beh, per lui non c’era nemmeno una lista, perché lui, lui non amava nessuno…

 

 

In macchina Taro compose il numero del capitano.

Lui rispose subito.

“Allora? Novità?...”

“L’abbiamo trovata….ma devi venire tu a prenderla. Perché lei pensa che tu non la ami più. Non tornerà se non glielo proverai. E ho paura che dovrai  essere molto convincente….”

“Dov’è ?” chiese Tsubasa che non capiva più niente.

“E’ da Kumiko….”

“Da Kumiko? Ma come ha fatto….?”

“Non lo so…. Adesso lei ha una pasticceria, forse si sono incontrate per caso….Tsubasa lascia il ritiro….vieni subito qui a prenderla.”

Tsubasa restò un attimo lì, in attesa.

“Non posso. Ho parlato con il presidente e mi ha detto che se mollo il ritiro, mi denunciano alla Federazione e rischio di non essere convocato in Nazionale.”.

“Non dire stupidaggini…. Ma gli hai spiegato la situazione?”

“Passami Genzo un momento….”

Taro passò il telefono.

“Dimmi..” disse Genzo.

“Devi tornare lì e riprenderla. Riportamela, ti prego….io non posso recidere il contratto….mi gioco la Nazionale….cerca di capirmi almeno tu”, Tsubasa l’aveva implorato….

“Non preoccuparti, ci penso io….” Genzo era come Tsubasa; il solo pensiero di non poter essere convocato in Nazionale, non per un demerito sul campo, ma per qualcos’altro, gli faceva andare il sangue alla testa. Erano dei privilegiati, ma molti aspetti di quel mondo non erano così semplici. Quanto ancora sarebbero stati così forti? 7-8 anni? Poi avrebbero cominciato ad appassire, ad essere superati da altri calciatori, più giovani, più determinati.

Aveva tutta la vita da passare con Sanae. Il calcio invece aveva una scadenza.

“Non ce la farai….adesso è troppo sconvolta e decisa” disse Taro.

“Ma infatti io non ci torno adesso…. Io vengo domani….così sarà più calma e anch’io sarò un po’ più disteso….Andiamo a dire tutto ai Nakazawa”

 

 

Nel pomeriggio, in terrazza, mentre i bambini dormivano, Sanae e Kumiko innaffiarono i vasi e parlarono un po’.

“Sei proprio sicura?” le chiese Kumiko, fissandola dispiaciuta.

“Non ho altra scelta….non preoccuparti….sto bene.”

“Scusate ragazze….è arrivato questo mazzo di fiori…dove lo metto?”

Il fratello di Kumiko reggeva un grande mazzo, con fiori di varia grandezza e colore.

Sanae lo prese, e adocchiando il biglietto, sorrise.

Kumiko era rimasta indifferente: si era solo limitata a sbirciare la composizione e a giudicarla di pessimo gusto; pessimi gli accostamenti e pessimi i colori. Lei di fiori ci viveva praticamente. Dopo il cibo erano la cosa che le interessava di più.

“Guarda che non sono per me”…disse Sanae sorridendo…..”sono per te…”

Kumiko, gettò la sigaretta e prese il biglietto dalle mani di Sanae. Lo aprì e lesse il piccolo messaggio.

“Per tua informazione, a scuola ho imparato anche a leggere…..

Scusami se sono entrato così bruscamente nel tuo laboratorio.

Spero che con questi fiori mi perdonerai.

Genzo”

 

Kumiko lo gettò sul letto: “ Che sbruffone…..”

“Tipico di Genzo….mandare fiori per farsi perdonare…..”

“Tipico un cavolo….pessima idea, bruttissimi fiori….” rispose lei con le braccia incrociate.

“E’ molto affascinante, non trovi?” fece Sanae per provocarla….

“No, non è per niente affascinante….quando lo guardo sai cosa vedo stampato sulla sua faccia? Vedo la scritta “porto guai”…..”

“Perché che guai potrebbe portarti…? “ continuò Sanae.

“Oh…dai hai capito….io gli uomini li odio, lo sai”

“Sì sì… lo so… ma infatti….non volevo mica dire niente…..” disse Sanae ancora più ironica

Poi continuò: “comunque Genzo è un ragazzo molto intelligente…ha sempre quest’aria da bello e impossibile, gli piace fare un po’ di scena, ma in realtà ha molto bisogno di essere amato….sai? un po’ penso che vi somigliate….”

“Lo dovrei prendere per un complimento? …..guarda io non sono né bella né impossibile….io sono dannatamente imperfetta….. e questo mi rende reale. Lui invece….Lui sembra che sia finto….”

“Sembra…..sembra ma non è…e forse…una persona “dannatamente imperfetta” è proprio ciò che gli serve….solo che lui ancora non l’ha capito. Gli uomini non capiscono mai niente. Sono peggio dei bambini….” disse Sanae.

Scoppiarono a ridere e poi si abbracciarono.

 

 

 

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Capitolo 17
*** Sei dentro di me ***


Ciao! Questo cap è un po’ più breve del solito, ma spero non meno intenso degli altri….

Vi auguro  Buon Natale!

Grazie di cuore a chi mi ha letto e un ringraziamento speciale a tutte coloro che hanno recensito.

______________________

Alle nove in punto Genzo tornò in pasticceria. Si avvicinò al laboratorio e chiese ad uno dei camerieri  se potesse entrare.

Il giovane gli fece cenno di sì e Genzo entrò.

Kumiko era sporca e stava impastando qualcosa. Le sue braccia si muovevano seguendo un ritmo e il suo volto era molto concentrato.

“Cos’è, non hai mai visto una donna cucinare?”

“Sì.. beh l’avrò anche vista, ma sai, le donne che frequento io, solitamente non fanno queste cose….”

“Non mi vorrai far credere che con tutte le ragazze che hai avuto, non ce n’è mai stata una che  abbia  cucinato per te?”

Genzo… rimase un po’ perplesso…di solito era lui che faceva il simpatico e decideva come gestire la conversazione.

“Io non ho bisogno che la mia donna cucini….io ho una cuoca…. E poi non è che mangio molto…un calciatore deve stare attento e deve seguire una dieta…”

“ Sarebbe meglio che mangiaste un po’ invece, per dare  linfa al cervello ….”

“Sei proprio simpatica” disse Genzo ironico.

“Sì lo so, me lo dicono tutti….Dove l’hai messo il tuo compare? Ti ha abbandonato?”

“Taro oggi riprende gli allenamenti.”

“Ah … che non sia mai che perda un allenamento….”

“Mi puoi chiamare Sanae? Ho bisogno di parlarle.” Fece lui, tornando serio.

Kumiko lo fissò e smise di impastare.

“E tu credi veramente che lei sia ancora qui?...se n’è andata stamattina molto presto….”

Genzo pensò che stesse scherzando..

“Avanti, non voglio perdere altro tempo….”

“Neanch’io…. Quindi puoi anche andare…..”

Allora capì che non scherzava proprio per niente.

“E dov’è andata?”

“Guarda mi fate talmente pena tu, Taro e quel bastardo di Tsubasa che se lo sapessi, te lo direi anche. Ma siccome Sanae non è una stupida, non me l’ha detto. Sapeva che mi avreste intenerita. Non sono poi spietata come sembro.”

Lui calciò uno sgabello contro un mobile.

“Dio mio, ma che le salta in mente? Lo sai che è incinta?”

“Certo che lo so.”

“Potevi provare a fermarla…..Tsubasa mi ha detto che non siete proprio amiche… magari sotto sotto, ti fa anche un po’ piacere che tra loro le cose non vadano bene….”

Kumiko si sentì profondamente offesa nell’orgoglio: si pulì nervosamente le mani e gli indicò la porta.

“Avanti, esci subito da qui. Io sono molto più amica di Sanae di tutti voi….. se proprio lo vuoi sapere…..e ti dirò di più….sai qual è la cosa triste? Che per tutte le medie non ci siamo mai frequentate per colpa di Tsubasa….abbiamo sprecato un sacco di tempo….. FUORI!”

Genzo usci’: capì di essersi comportato di nuovo come un cretino.

 

In treno, Sanae guardava il paesaggio scorrere veloce, quasi quanto i suoi pensieri.

Non era arrabbiata con Tsubasa: lo sapeva che non poteva lasciare il ritiro per cercarla. Conosceva bene il calcio e tutti i teatrini che si svolgevano dietro ad ogni pagina di un qualsiasi contratto. Se anche aveva provato a svincolarsi, sicuramente lo avevano minacciato di qualcosa…. E lui non era forte come lei; non era abbastanza coraggioso.

In campo sì, era forte come una roccia; ma nella vita era un semplice ragazzo di 20 anni; era come tutti gli altri. Non era maturo: la maturità nella sua vita era stata una forzatura…..

Essere padre così giovane, essere marito….era tutto un po’ forzato. Anche se l’aveva voluto lui.

Per Sanae invece era stato più naturale, perchè ad ogni donna, appena comincia ad aver a che fare con le lune mestruali, e’ normale che venga di pensare di essere madre e di amare qualcuno.

Era terrorizzata e  stava male al pensiero di quanto Tsubasa sentisse la mancanza di Hayate e Daibu. Per lui i bambini erano tutto: anche se non c’era mai e il tempo con loro era sempre rubato, Tsubasa per i suoi figli avrebbe fatto qualsiasi cosa. Sapeva che si stava comportando male: una buona madre non priva i suoi figli del padre. Ma che  alternative c’erano?

Poi adesso ce n’era anche un altro che stava arrivando. Era tempo di decidere.....

“Sanae aspetta un bambino…” aveva detto quel giorno. Lei avrebbe voluto riprenderlo e dirgli ” no Tusbasa, siamo NOI, siamo NOI che aspettiamo un bambino, non solo io…..”

Aveva paura. Ma doveva andare avanti. Non poteva tornare indietro.

Prima di salire sul treno aveva spedito tre lettere: una ai suoi genitori, una ad Atsushi ed una a Tsubasa.

Sperò che i postini in Giappone avessero le ali, e che le sue lettere arrivassero a destinazione in un momento. Le aveva scritte durante la notte, leggendo e rileggendo ogni passaggio ed ascoltando la sua coscienza.

Ripensò alla notte trascorsa con Tsubasa. Per un momento le sembrò ancora che fosse su di lei, dentro il suo corpo. Ed in fondo, era così: Tsubasa era tutto quello che poteva immaginare. Era tutto il suo mondo: fuori e dentro di sé.

 

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Capitolo 18
*** Genzo, di nuovo. ***


Ciao! Faccio una piccola premessa. Questo capitolo è il mio “tributo” a due personaggi secondari, ma fondamentali per questa storia. Serve per dar loro un po’ più di spessore ( se no sembrano solo delle marionette) e ci aiutano a smorzare la tensione, perché per Sanae e Tsubasa le cose si sono messe abbastanza male. Prima di ributtarci a capofitto su di loro, prendiamo una boccata d’ossigeno, anche se… Genzo e Kumiko hanno due personalità niente male…..

Come sempre grazie infinite a chi ha recensito e a chi semplicemente ha letto….

____________________________________

Fu una conversazione molto lunga. Ad un certo punto gli sembrò anche di sentire Tsubasa piangere.

No, non gliel’aveva riportata. Aveva fallito anche lui. Anche Genzo.

Il portiere era a pezzi. “Ti stai spegnendo… Vi state spegnendo…”: Sanae era stata dolcissima, ma era stata anche onesta. Lo aveva guardato, gli aveva baciato una mano, perché sapeva che le mani per lui erano tutto, erano l’unica cosa che potesse veramente dire di amare, e gli aveva detto la verità. La verità era che si era inaridito. Gli sembrava impossibile cambiare: a 20 anni, si sentiva già vecchio, dentro.

Oltretutto era riuscito a ferire chi non era responsabile di niente…si sentiva abbastanza in colpa.

La domestica attirò la sua attenzione per ricordargli della cena di quella sera all’Hilton.

“Ha telefonato la Signorina Maemi e ha detto che l’aspetta verso le 8.”

Gli avevano riservato un tavolo per la cena di beneficenza in cui il grande cuoco Munemori avrebbe cucinato per un numero limitato di invitati. Sapeva che i posti a tavola erano stati venduti a peso d’oro. Lui non aveva per niente voglia di andare…. Non aveva voglia di vedere Maemi. Ormai però era tardi per disdire: il suo procuratore l’avrebbe  stressato per una settimana.

Ricadde sul divano e guardò il cellulare: lo toccò e sentì che era ancora bollente; d’altra parte era stato a parlare con Tsubasa per più di mezz’ora…

Senza riflettere, chiamò la compagnia dei telefoni e si fece passare la pasticceria di Kumiko.

“Pronto”

“Sono Genzo…”

“Che diavolo vuoi?” chiese Kumiko molto scocciata.

“No… volevo dirti che sono stato un po’ cretino oggi…”

“E’ l’unica cosa che sai fare, a quanto pare…..Genio fra i pali, idiota nella vita…”

Genzo non riusciva a sostenere una conversazione con lei: era tagliente come un coltello e non si risparmiava; non aveva paura di affrontare le persone…

“Certo che sei un po’ maleducata…. io ti sto telefonando per chiederti scusa e tu mi aggredisci cosi’….non è molto carino…”

Kumiko si sentiva sotto esame e quando questo succedeva, diventava aggressiva.

“Senti, non ti ho mentito: non so davvero dove sia Sanae. Non so cosa dirti, non mi ha telefonato e non ho altre informazioni da darti…..”

“Lo so, non è per quello che ti sto chiamando…..”

“Cos’è:  vuoi ordinare una torta?”

Genzo si mise a ridere…” No, io non mangio i dolci….”

“Non avevo dubbi…..”

“No è che mi hanno riservato un tavolo all’Hilton stasera.”

Kumiko, alla parola "Hilton", restò in silenzio. Sapeva che quella sera, ci sarebbe stata una cena tenuta dal Maestro Munemori, un mito della cucina mondiale.

“Ah…..”

“Sai cosa c’è quindi?”

Kumiko cercò di restare indifferente….ma dentro… avrebbe voluto pregarlo in ginocchio di portarla con sé.

“Si’… il Maestro Munemori cucinerà per beneficenza….lui…lui è una leggenda…”

Genzo capì di aver fatto centro.

“Io vado con una ragazza e un paio di amici, due giocatori di basket, ma il tavolo è per cinque quindi ci sarebbe un posto libero….ho pensato che se ti interessa, puoi venire. Io non ci capisco niente di cucina; a dire la verità non volevo neanche andare”

“Ma dico sei scemo? Mangiare la roba che prepara Munemori è un’esperienza di vita… TU CI DEVI ASSOLUTAMENTE ANDARE!”

A Genzo venne da sorridere….

“Sì infatti ci vado….beh se hai voglia, ci vediamo lì verso le otto e mezza. Quando entri dì che sei con me: lascerò detto il tuo nome.”

Riattaccò.

Kumiko restò ancora un po’ lì, con la cornetta all’orecchio. Conosceva a memoria tutti i libri di cucina pubblicati dal maestro e aveva anche cercato di partecipare ad un suo corso estivo, ma i debiti non le avevano dato tregua e non aveva rimediato i soldi per l’iscrizione.

Lasciò per un momento da parte il fatto che sarebbe stata al tavolo con degli snob e corse dal fratello a dargli la notizia.

 

“Buonasera” disse la receptionist.

“Salve… mi chiamo Kumiko….io….”

“Ah si è al tavolo con il Sig Wakabayashi…..prego, l’accompagno.”

Kumiko era già in un’altra dimensione: camminava seguendo la receptionist ma era come se non distinguesse niente del ristorante. Era completamente assorbita a sentire i profumi che già arrivavano dalla cucina ed era concentrata sulle sue papille gustative.

Indossava un paio di pantaloni neri molto eleganti, con un bel top, molto scollato e un po’ trasparente e una  giacca corta con le maniche arricciate. Il taglio maschile dell’abito, anziché nascondere la sua femminilità, l’accentuava: i fianchi  e il seno prosperosi erano in evidenza. Stava molto bene.

“Eccolo là”

Kumiko si fermò un secondo, perché Genzo sembrava un fotomodello. Era in smoking e si era dato il gel nei capelli.

Ripensò a Sanae e a quanto fosse stata bugiarda a rispondere che non lo trovava attraente: lo era, lo era eccome….

Fece finta di niente e si avvicinò.

Genzo si girò.

“Ah sei arrivata!”

“Ciao… ciao a tutti…”

Genzo le presentò la sua “amica” Maemi e i due ragazzi. Lei era alta e magrissima, stretta in un abito stupendo. Kumiko si chiese se fosse vera, se potessero cioè veramente esistere delle ragazze del genere: lei certe donne le aveva solo viste sui giornali.

Si sedette e si sentì un po’ a disagio perché Genzo la guardava con stupore; si vedeva benissimo che non era abituato a frequentare in pubblico delle persone “normali”….come poteva essere lei. Si domandò come Sanae potesse parlarne così bene; a lei sembrava veramente snob e superficiale.

Le luci finalmente si abbassarono e la cena iniziò.

Da quel momento in poi, Kumiko entrò nel suo mondo: intorno tutto si era completamente azzerato.

Ogni assaggio, ogni sorso di vino era un momento di studio e , mentre masticava, teneva gli occhi chiusi perché per lei era come un sogno che si stava realizzando.

Genzo e i suoi amici erano abbastanza imbarazzati. Non avevano mai visto una ragazza mangiare così.

Genzo non poteva non guardarla: mangiava ed era felice, era come in estasi. Non saltò una pietanza, non rinunciò a niente.

Maemi invece era rimasta indifferente e quasi sprezzante di fronte ai piatti. Aveva anche cercato di non bere, perchè non voleva ingrassare. I suoi occhi erano bellissimi, ma di vetro. Se la guardava, c’era come una voce che diceva “ Stai attento perchè se mi tocchi forse mi posso anche rompere….”

Se invece volgeva lo sguardo verso Kumiko, la voce cambiava decisamente tono e parole….era come se le stesse dicendo “Toccami, mangiami…. Vivimi…..”

Si sentiva abbastanza confuso e gli venne caldo.

Alla fine della cena, dopo i dessert, che per Kumiko erano stati il sigillo ad una serata perfetta, la musica fu alzata e molti lasciarono i loro posti per salutare e conversare con gli altri ospiti.

Kumiko rientrò nella realtà e si sentiva il cuore scoppiare. Era troppo eccitata. Si alzò e senza guardare gli altri andò verso l’uscita per telefonare ma il suo cellulare era scarico.

“Accidenti…..”

“Te ne vai senza neanche salutare?” chiese Genzo che l’aveva seguita.

“Eh?... ah no scusa….non è che mi puoi chiamare un taxi? Ho il telefono scarico…devo tornare subito a casa….io devo riflettere, devo prendere appunti…”

“Ti accompagno io, se vuoi”

“Non vorrai mica lasciare Maemi qui da sola…guarda che è dietro di te che ti sta già fissando….avanti Genzo, per una volta comportati come si deve….”

Lui tirò fuori il telefono e chiamò un taxi come le aveva chiesto.

“Domani torno in Germania……” disse lui, senza guardarla.

Kumiko invece lo stava fissando: era proprio bello, non riusciva a non guardarlo.

“Ah… di già….Genzo…..posso darti un consiglio?” chiese lei.

“Spara….”

“La prossima volta che regalerai dei fiori ad una donna, vai di persona dal fioraio; non ordinare il mazzo per telefono o non mandare qualcuno a prenderli al posto tuo….. sceglili tu, in base a come ti senti in quel momento: scegli i colori e gli accostamenti. Una donna,  se non sei sincero, lo capisce anche da un fiore……”

Lui si mise le mani in tasca e la fissò con un sorriso che significava molto e niente allo stesso tempo.

Il taxi arrivò e l’autista le andò incontro. Prima di salire, lei si girò un‘altra volta:“grazie per questa serata….io non me la dimentico.”

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Capitolo 19
*** La lettera ***


Rientrò in camera e si precipitò sul letto. Non dormiva da cinque giorni. Non riusciva a mangiare: si allenava come un matto per non pensare, per non guardare in faccia la realtà delle cose.

Si sentiva completamente svuotato: perché era stato così aggressivo e così indifferente? Perché di nuovo l’aveva trattata così male?

C’erano dei momenti, nell’arco della giornata, in cui provava quasi un odio viscerale per il calcio: era stato il calcio a farlo diventare così egoista, no?

Eppure non poteva credere che la cosa che amava di più al mondo avesse potuto renderlo un uomo peggiore. Non riusciva a comprendere perché fosse tutto così difficile da razionalizzare e capire.

Pensava spesso a Rivaul, al suo amico/nemico: si concentrava sul suo viso, sulla disperazione con cui gli aveva parlato negli ultimi giorni, quando gli aveva detto:”mia moglie è partita…. Qualcosa si è rotto fra di noi… lei vuole un figlio ma non riusciamo più ad amarci…..” Tsubasa non aveva capito niente, perché amare Sanae per lui era così facile….

Adesso, per ironia della sorte e per il motivo esattamente contrario, si ritrovava nella sua stessa situazione. Si era rotto qualcosa, ma non sapeva cosa. L’unica cosa che sembrava ancora facile era amarla, stringerla di notte, e riposarsi su di lei, sul suo corpo così in armonia con tutto quello che lo circondava.

Ma non era abbastanza.

Lei voleva di più. Lei voleva tutto.

Si girò verso il comodino per cercare il cellulare, illudendosi di trovare una chiamata persa di qualcuno: notò una busta di carta color avorio che sporgeva vicino alla sveglia. Il timbro era quello delle poste della stazione ferroviaria.

Allora si alzò e la prese.

Era di Sanae. Riusciva a riconoscere benissimo la sua calligrafia, ordinata e pulita, come tutto quello che proveniva dal suo mondo.

La toccò più e più volte.

Aveva paura ad aprirla. La verità faceva paura.

Cercò di fare lentamente e con cura per non rovinare troppo la busta.

 

“Vorrei poter tornare indietro e sdraiarmi con te sotto l’albero di falso pepe che sta proprio dietro casa tua. Tornare a quel momento, in cui mi hai baciata per la prima volta. Ero così eccitata…...Ero felice. Era bastato quel bacio a riempirmi il cuore e se la mia vita fosse finita quel giorno, Dio mio sarebbe stato stupendo…..

Vorrei che la tua vita non fosse diventata così complicata, così vincolata in ogni suo aspetto e vincolante per tutti coloro che ti stanno vicino….Ma forse è chiedere troppo….

Mi domando come la tua passione più grande ti possa aver indurito fino a questo punto;  al punto da non potermi più capire, e nemmeno ascoltare.

Io ho provato a resistere, ma non ce la faccio… non posso più essere solo una bella cosa da toccare e di cui godere quando vuoi. Non posso essere solo una sagoma che sorride e che sembra felice perché così tu sei tranquillo…

Forse questo ti delude. Anche io d’altra parte sono molto delusa di me stessa; di essere scappata via con i nostri bambini….. e i tuoi soldi….

Tu sei la mia casa; ma sei diventato anche la mia prigione.

Non posso vivere così….

Il problema non è l’amore….anzi; adesso, proprio mentre ti sto scrivendo, ho solo un’unica certezza: che ti amo e ti amerò sempre. Non potrò mai innamorarmi di nessun altro. Lo so che potrà sembrarti assurdo, ma stando lontana da te, io riesco a vedere esattamente me stessa, a sentire perfettamente ogni minima vibrazione del mio cuore e so, so per certo che il mio amore per te è il mio respiro, è la mia forza.

Ma so anche che questo amore è talmente totale e puro, che non può sopravvivere se non lo alimentiamo tutti e due allo stesso modo.

Tu sei sicuro di amarmi? Io non lo so più…perché da come ti comporti non riesco più a sentirlo. Sento solo che mi vuoi, che mi vuoi prendere e stringere e possedere…. Ma è solo questo che vuoi fare? Io vorrei che mi ascoltassi e mi parlassi….invece.

Ti ricordi quando aspettavo Hayate e Daibu e andavamo al mare? Tu giocavi a calcio in riva al mare e io ti guardavo. Com’era bello….Era bello vederti perché eri innocente e semplice. Eri tu, il mio capitano….Dov’è finito quel ragazzo? Dove sono finiti i tuoi occhi Tsubasa? La persona che ho sposato, due anni fa, ora farebbe i salti di gioia alla notizia di aspettare un altro bambino….non avrebbe mai reagito come hai fatto tu.

Come può il calcio, il tuo grande amore, averti reso così cinico?

Rivoglio mio marito.

Genzo mi ha detto tutto, tutto quello che tu non sei stato capace di dirmi, perché con me non ci parli più…

Mi ha detto che dovrai dare il massimo se vorrai mantenere il posto in squadra e che quel posto te lo giochi con Rivaul….

Tu sei un vincente, lo sai. Impegnati: corri più che puoi, allenati più che puoi per realizzare i tuoi sogni. Ma fallo solo se è questo che vuoi veramente. Io ti sosterrò sempre; io sarò sempre con te, anche se sarò lontana….tiferò per te e pregherò perché tu possa raggiungere i tuoi obbiettivi.

Per tutta la vita, da quando avevo otto anni, io non ho fatto altro: ti ho aspettato da sempre.

E tu? E tu mi saprai aspettare?

Adesso sono io che te lo sto chiedendo.

Ce la farai?

Ti prego….. aspettami……

Sanae”

 

Le sue mani avevano sudato mentre aveva letto e ora la carta si era già inumidita ai lati: gli si erano formati come dei pesti sotto gli occhi. Lo sguardo era pieno di tristezza.

Ad un certo punto gli venne anche da sorridere, perché si rese conto per l’ennesima volta che Sanae era la persona che lo conosceva meglio e che sapeva affondare nel suo cuore anche quando lui si chiudeva in se stesso.

Si strofinò gli occhi e ricominciò a leggere di nuovo.

E ancora un’altra volta. Così fino a quando non ci fu più bisogno di leggere perché era arrivata l’alba e lui le parole di Sanae le aveva imparate a memoria.

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Capitolo 20
*** Il momento ***


Si svegliò di soprassalto, come se avesse sentito una voce, e dalla paura cadde dal divano.

Si sentiva rumore di piatti  e bicchieri e quando riuscì ad alzarsi, scorse il contorno della madre di Pinto che stava mettendo a posto la confusione della cucina.

Lei si voltò e lo guardò male.

“Hai bevuto eh? Non ti fa mica tanto bene, Tsubasa… oramai il campionato riprende; sarebbe meglio che cercassi di rimetterti un po’ a posto….ti stai rovinando…”

Lui faceva fatica a stare in piedi.

Vide sotto l’albero di Natale tutti i pacchetti colorati che aveva preparato per Hayate e Daibu, nella speranza che tornassero. Nella speranza che per le feste, dopo tutti quei mesi, tornasse a casa. Ma era passato tutto il periodo natalizio senza ricevere questa sorpresa e fu l’ennesima delusione per Tsubasa.

Il campionato stava andando benissimo; aveva giocato quasi tutte le partite della Liga e della Champions League ed era stato inserito nella lista dei papabili per il pallone d’oro. Si era impegnato a fondo, così come l’aveva esortato Sanae.

E aveva aspettato. Stava aspettando. Aveva spiegato alla stampa che sua moglie era rimasta in Giappone “per gravi problemi familiari”; ma alla madre di Pinto aveva dovuto dire la verità. A qualcuno doveva pur dirlo?

Il tempo passava lento e in quelle feste, vedere tutti felici, era stato un colpo al cuore.

Non ce la faceva più. Ogni giorno gli sembrava che fosse un po’ più lungo del precedente.

Quando sentiva che proprio stava per fare qualcosa di male a se stesso, si ripeteva a memoria la lettera di Sanae, che era diventata la sua bibbia. Il suo credo.

Ma in quei giorni si era veramente sentito a pezzi e l’unica cosa che era riuscito a fare era stato bere. Bere tutto il tempo.

 

 

 

“Mamma mettiamo la partita di papà?” Hayate implorò Sanae di poterla vedere ancora.

Lei mise le mani ai fianchi un po’ scocciata: “un’altra volta?”

“si si dai dai!” fece Daibu da dietro.“Malati di pallone anche loro……”pensò..

Prese di nuovo il dvd e lo infilò nel lettore.

I bambini avevano imparato a parlare bene e stavano crescendo sereni: Sanae aveva spiegato loro che il padre doveva sempre giocare a pallone e per questo non erano insieme. E i bambini, se una cosa gliela dici bene e sei convincente, ci credono: non sono diffidenti. Per loro era naturale. Guardavano spesso il padre in televisione e per loro era come averlo a casa.

Lei invece cercava di non guardare la TV se c’era la partita del Barcellona. Era molto dura vederlo, ma non potergli parlare, non poterlo toccare. Le veniva subito da piangere e si intristiva in un attimo.

Aveva cercato di far trascorrere ai bambini un bel Natale. Avevano decorato l’albero e imbellito il più possibile quel piccolo appartamento che aveva trovato. Aveva anche cercato di spendere meno soldi possibili: si sentiva in colpa ad essere mantenuta da lui, prelevando dal conto che  le aveva intestato, senza avergli più fatto vedere i bambini. Se ci pensava razionalmente, aveva la tentazione di prenderli, salire sul primo aereo e tornare subito da lui….

Ma non si sentiva ancora pronta….questo periodo da sola era stato intenso; aveva riscoperto cosa le piaceva fare, come amava passare le giornate. Leggeva molto e passeggiava spesso fra le strade del minuscolo paese in cui aveva trovato riparo. Nessuno la conosceva e nessuno le aveva fatto domande. Qualche ragazzo aveva anche  provato a farle la corte, nonostante la sua situazione di madre sola. Ma nessuno era stato invadente o troppo insistente.

Ormai le feste erano finite e lei decise che fosse ora di smontare l’albero.

Salì su una scaletta per cominciare a togliere gli addobbi e ogni tanto guardava i suoi bambini che sembravano come rapiti nel vedere il papà che giocava a calcio.

Cominciò a sentirsi un po’ strana e ad avere le vertigini. Decise allora di scendere e proprio mentre appoggiava il piede a terra capì cosa stava succedendo: le si erano rotte le acque.

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Capitolo 21
*** Non posso fare altro che guardarti ***


Ciao! Prima di tutto grazie per i vostri commenti! Qualcuno ha sottolineato che il capitolo di ieri era un po’ corto…e anche quello di oggi lo è… purtroppo  mi sono venuti così. ..e non riesco a modificarli perchè sento che sono unità narrative compiute…. Il prossimo invece è un po’ più consistente; ad ogni modo, più ci avviciniamo alla fine e più l’azione è concentrata, quindi, diciamo, è normale che i capitoli siano un po’ più brevi. Da un lato mi sento felice che siamo vicini all’epilogo, dall’altro anche un po’ triste, perché è stato veramente bello scrivere questa storia….

Grazie ancora!

______________________

Aveva chiesto una sedia, per potersi mettere davanti al vetro.

Non riusciva proprio a staccarsi da lei: era incredibile quanto le somigliasse. Non perché fosse la sua bambina, ma era davvero stupenda. Si era accorta che anche gli altri si fermavano a guardarla perché sembrava un fiore. Candida e perfetta. Mentre dormiva, aveva già le sue espressioni definite, e ogni tanto con la manina si toccava il naso e gli occhi, come a togliersi qualche angioletto dal volto.

Sanae si sedeva lì e teneva il mento appoggiato alla pensilina per scrutarla ed osservarla.

Era già perdutamente innamorata di quella bambina e si domandò come avesse anche solo sfiorato l’ipotesi di buttarla via.

“Quando tuo padre ti vedrà, lo colpirai dritto al cuore…lo stenderai al suolo…..” sussurrò piano.

“Mamma!” gridò Daibu e le si precipitò sullo scollo mentre Hayate teneva la mano della baby-sitter.

Sanae lo baciò teneramente e aspettò Hayate.

Se li mise in braccio ed indicò la sorellina.

Loro si guardarono e si misero a ridere…..sembravano sorpresi ma felici.

“E’ una femmina?” chiese Hayate.

“Sì..” rispose Sanae.

“ Non sei contento di aver una sorellina?” le domandò la baby-sitter.

“Sì…..ma deve venire a casa con noi?” chiese.

Sanae scoppiò a ridere…”sì, certo, vuoi lasciare qui questa bellezza?...”

I due bimbi la guardarono un po’ stupiti, poi, indifferenti, scesero per cominciare a rincorrersi lungo il corridoio dell’ospedale…

“I maschi…..chi li capisce è bravo…..” disse la baby-sitter scuotendo la testa.

 

 

 

“Allora?” chiese Kumiko, trepidante….”Finalmente ti sei degnata di telefonarmi….”

Sanae stava in silenzio: in accappatoio, reggeva la cornetta e giocava con il filo del telefono, in piedi, nella hall dell’ospedale.

“Voglio sentire mentre me lo dici…. Voglio che me lo dici adesso….non hai abortito vero?... Non puoi averlo fatto…..”

Lei attese ancora un attimo a rispondere…. Avrebbe voluto averla lì con sé, abbracciarla, stringerla e dirle “grazie”, ma Kumiko era così in ansia, così intensa quando chiedeva delle risposte, che Sanae si sentiva il cuore in gola.

“E’ nata stanotte…….sembra un fiore… sembra quel fiore che hai tu in terrazza ….non so come si chiama….. quello che sta nel vaso con l’acqua…..”

Kumiko stava lì, ad ascoltare quella voce, che non sembrava per niente la voce di una che avesse partorito quella stessa notte. Sanae era nata per fabbricare i bambini….. le spuntavano da dentro come le storie che raccontano i poeti….. era lì e aveva le lacrime agli occhi, al pensiero di tutto quel tempo senza una parola, una telefonata….ed era felice che almeno qualcosa fosse andato nel modo giusto. Un altro schiaffo dalla vita, non l’avrebbe retto.

“Kumiko…. Ci sei?” chiese Sanae. Lei aveva già dimenticato tutto, tutto il dolore del parto si era dissolto nel preciso istante in cui aveva visto la sua bambina.

“Fiore di loto….. somiglia al mio fiore di loto?”

Sanae sorrise…. “Sì….. tu lo guardi e provi una sensazione di pace…. Così come quando guardi lei….guardarla ti dà pace……”

“Torni a casa adesso?.......”

Sanae si trattenne un momento; avrebbe voluto dirle di sì e avrebbe voluto pregarla di correre da lei per andarla a prendere…..

“Lo sai…..non è ancora il momento….non posso….”

Riattaccò.

Quella sera Kumiko aprì una bottiglia di vino e ne bevve un bicchiere, poi tirò fuori gli ingredienti e decise che avrebbe inventato un dolce: un dolce nuovo per la bambina che somigliava al suo fiore di loto.

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Rispondimi, ti prego ***


Arrivato all’aeroporto, cercò di restare calmo. Tornare a casa, in Giappone, dopo aver saputo di essere stato convocato per giocare le partite per le qualificazioni al Torneo Asiatico, doveva renderlo l’uomo più felice del mondo. La primavera lasciava già intravedere tutti i suoi colori e le sue piante nuove. C’era profumo di ciliegio e di mandorla ovunque.

Si sentiva ubriaco dalla quantità di sentimenti che offuscavano la sua mente, mentre il cuore era diventato ormai una pietra di fiume, levigata dalle correnti.

Doveva essere fiero di come stavano andando le cose: invece avrebbe volentieri barattato tutto pur di poter rivedere Sanae e i bambini. Avrebbe firmato la sua buona uscita dal calcio senza pensarci su e avrebbe lasciato il suo posto di capitano a chi veramente avesse potuto gioire di essere investito di un simile onore. A lui non importava più niente.

C’era una calca incredibile. Tutti ad aspettare lui e Genzo, in arrivo sullo stesso volo da Francoforte. La Federazione aveva addirittura improvvisato una conferenza stampa in un angolo del terminal, per poter soddisfare la pressione dei giornalisti in quei giorni.

Genzo cercò di rispondere a più domande possibili passando per un opportunista. Sapeva in che condizioni era Tsubasa e cercò di difenderlo.

Poi quando le domande per il capitano si fecero incalzanti, non poté più parlare e sperò che Tsubasa ritrovasse un briciolo di lucidità.

Dal canto suo lui fece del suo meglio; sapeva ancora come poter gestire il suo mondo interiore e quello esteriore; era semplice tutto sommato: bastava indossare quella maschera  e fingere. Ormai era diventata la sua seconda faccia: la conosceva talmente bene che fare la parte del giocatore tutto casa e famiglia, Mr Perfezione, Mr Felicità, non gli pesava neanche troppo.

Aveva ormai finito di rispondere a tutte le domande quando un giornalista chiese se ne avesse potuta fare ancora una.

“Mi scusi Signor Ozora, sappiamo che sua moglie ha avuto dei problemi familiari e, se non le pare troppo indiscreto, vorremmo sapere se ora che è in Giappone, possiamo sperare di vedervi qualche volta insieme….. sappiamo quanto la signora Ozora sia timida e introversa, ma sa ….gli articoli su di voi, sono molto richiesti….siete una così bella coppia…..”

Non era stato invadente…. Aveva avuto un modo molto gentile di porre la domanda. E Tsubasa non lo prese come un attacco alla sua privacy.

“Non mi sembra una domanda inerente alle qualificazioni, scusate ma noi ora vorremmo andare….” Disse Genzo.

Tsubasa lo fermò.

Pensò di rispondere, e sperò che in qualche luogo lontano o vicino lei potesse sentire la sua risposta.

“Io…lo spero…..mia moglie….” Si interruppe….le parole non erano mai state il suo forte….ma aveva in testa la lettera di Sanae e voleva almeno tentare di spiegare cosa stesse provando…..”stare lontano da lei, quest’anno è stato molto difficile per me….io non ero abituato….lei mi ha chiesto di impegnarmi e di dare tutto me stesso, anche in sua mancanza. E l’ho fatto… lo sto facendo…. Spero di poter vincere la Liga con il Barcellona…. E spero di vincere anche la Champions insieme a tutti i miei compagni. Naturalmente voglio anche qualificarmi per il Torneo Asiatico. Voglio vincere tutto. Ma non per me. Per lei. Perché lei è la persona che più al mondo mi ha sostenuto e si è sacrificata per me….Dicono che uno cominci ad apprezzare qualcosa quando non ce l’ha più…. Quando non puoi più averla vicino a te. Beh ora capisco perché lo dicono……lo dicono perché è vero……io ho sempre amato Sanae. Ma da quando sono dovuto ripartire senza di lei, senza i miei bambini, ho capito che non è solo l’amore che mi lega a lei. E’ qualcosa che non ha un nome…. È come un filo….una radice dentro la terra. Tu puoi provare a staccarla, a non darle più da bere… ma la radice è talmente profonda in quella terra che nessun vento, nessuna mano potrà spezzarla…..”

Ci fu un gran silenzio.

Genzo era rimasto impietrito.

Come aveva fatto a dire quelle cose? Da dove erano venute fuori? Lui? Proprio lui? Il ragazzo più impacciato del mondo, che aveva dichiarato davanti a tutti un sentimento così forte….. Genzo abbassò lo sguardo e si chiuse la faccia con il suo berretto. Si sentiva strano. Era emozionato. Aveva avuto ragione quel giorno, quando a casa sua aveva detto che un po’ tutti erano innamorati di Sanae e di Tsubasa… di ciò che loro rappresentavano. Aveva usato il termine “perfetto”, ma ormai aveva capito, stava capendo che la perfezione a questo mondo non esiste. Era esattamente come aveva detto Tsubasa. Loro erano la terra e la radice.

 

Sanae, sdraiata su un fianco, sul grande letto matrimoniale della sua camera, osservava la bambina che giocava con i suoi piedini. Per terra, sul tappeto, Hayate e Daibu guardavano la tv e aspettavano il notiziario sportivo per vedere il loro papà che arrivava  a casa. Lei, ogni tanto le soffiava dolcemente sui capelli nerissimi e sul naso per farle venire il solletico, così poteva guardarla mentre sorrideva. Si sentiva strana, come se la primavera, oltre che inondare il paesaggio circostante, attraversasse anche lei, e quel suo corpo che ogni giorno diventava sempre più bello, più profumato. L’allattamento la rendeva molto sensuale, non sapeva neanche lei come spiegarlo. Era la prima volta, dopo tanto tempo, che se si osservava allo specchio, si piaceva.

Le vennero in mente le parole di suo padre…” tu sei fertile come la terra…” ed ora poteva vederlo, lo poteva sentire veramente su se stessa….

“Vorrei tanto avere un altro bambino….. ancora e ancora…..” pensò….e si riversò di schiena fissando il soffitto.

D’improvviso fu distolta dai suoi pensieri perché sentì la voce di Tsubasa.

La sua voce era la sua musica.

Si alzò e una spallina della camicia  scese giù, sfiorandole il braccio. Il bordo della veste si abbassò quasi a lasciare libero il petto…ma lei non se ne accorse… non si vergognava più del suo corpo….specialmente se c’erano i suoi bambini lì con lei. Era libera.

Tsubasa parlava coi giornalisti e ripeteva le solite cose. Quante volte a casa, dopo le partite lei lo aveva preso in giro perché rispondeva alle domande sempre allo stesso modo……

Aveva un’espressione diversa in volto ora. Si vedeva che aveva sofferto. Poteva comprendere chiaramente che aveva capito cosa significasse essere soli………Ma quello che diceva era così noioso….”Cercheremo di fare del nostro meglio….. i nostri avversari sono molto competitivi…..ecc…ecc…”.

Raggiunse l’estremità del letto perché voleva alzarsi e addormentare la piccola prima che fosse troppo tardi, quando l’ultima domanda del giornalista la trattenne ancora un momento.

Sentì Genzo intromettersi. Tanto lui, suo marito non avrebbe mai risposto……

“Io… io lo spero…..” si voltò nuovamente verso la tv, per vedere se avrebbe continuato.

E lui continuò.

Restò esattamente nella stessa posizione senza respirare lungo tutto il tempo in cui lui parlò.

“Sto sognando…”pensò.. “me le sto immaginando queste cose che sento….non può essere lui” si diceva….non poteva credere che stesse veramente accadendo sul serio.

Pensò che non avesse mai ascoltato niente di più bello. Si rese conto, che tutto il tempo in cui lui non l’aveva capita, o non le aveva fatto dei regali o non l’aveva ascoltata, si era dissolto con quelle parole.

Il cuore batteva forte e si mise una mano davanti alla bocca, perché avrebbe voluto gridare qualcosa, dalla gioia, dallo sgomento interiore e non poteva.

Chiese ai bimbi di restare lì un attimo, e senza neanche mettersi qualcosa addosso, raccogliendo alla rinfusa qualche spicciolo, si precipitò fuori, alla cabina telefonica.

A memoria si ricordava un unico numero a parte quello di Kumiko e di Tsubasa.

Lo compose.

Aveva il fiatone mentre sentiva che il telefono era libero.

“Rispondi…. Rispondimi ti prego.”

 

 

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Capitolo 23
*** Avere un amico ***


“Puoi venirmi a prendere?”

Questa domanda risuonava a ripetizione nella mente di Ryo, mentre con un occhio fissava la strada e con l’altro seguiva le indicazioni che Sanae le aveva dettato e che lui, naturalmente privo di un foglio di carta, aveva scritto su  un  kleenex rimediato nel bagno del ritiro…....Era il solito disorganizzato.

“Non so più nessun numero di telefono…. Mi riesco a ricordare solo il tuo…” gli aveva detto. Qualcuno avrebbe potuto interpretare la frase in questo modo:” visto che il tuo è l’unico numero che io mi ricordi, lo sto chiedendo a te.”

Ma Ryo conosceva Sanae da quando praticamente erano nati. E non si era fermato tanto a quello: piuttosto l’aveva colpito il perché si ricordasse solo il suo, di numero. E si sapeva anche dare la risposta: per Sanae, Ryo era “l’amico d’infanzia”, l’amico che non si tradisce e che non l’avrebbe mai tradita.

Il loro rapporto, fondato sullo scherzo e sulla falsa idea del non sopportarsi, era stato una costante di entrambe le loro vite: erano stati l’uno testimone dell’altra in tutte le fasi della loro esistenza. Sanae non aveva chiesto a Genzo, o a Taro. Aveva chiamato lui. Così come lo aveva chiamato appena dopo aver partorito Hayate e Daibu, dicendo a Tsubasa:” Prendi il telefono e chiama Ishizaki,…..glielo devo dire subito che sono nati….” Tsubasa, tutte le volte che poteva, quest’episodio glielo raccontava, perché sapeva che a Ryo faceva piacere. Lo faceva sentire importante.

Aveva dovuto inventare una balla che faceva acqua da tutte le parti per lasciare il ritiro: fortunatamente gli allenamenti sarebbero cominciati dopo un paio di giorni e l’allenatore non gli aveva fatto troppe storie. Aveva dovuto mentire a tutti i compagni e a lei, a Yukari….che era così gelosa….

I chilometri sembravano non finire più e quando cominciò a vedere che il paesaggio cambiava e qualche specchio d’acqua iniziava a intravedersi, sperò che non mancasse ancora molto.

“Si è nascosta proprio bene…a chi sarebbe mai venuto in mente che potesse restare qui tutto questo tempo?.....le donne…sono proprio incomprensibili…..non imparerò mai a prevederle…..” pensò.

 

Dopo un’altra ora di strada ( e in tutto erano state sei….), s’infilò nella via dove abitava Sanae. Una serie di casette tutte uguali facevano capolino sul bordo della strada e più avanti si aprivano dei lotti ampi di terreno pieni di palazzine, un po’ squallide  e malconce. Lì per lì ebbe una sensazione negativa e provò un po’ di tristezza: non riusciva ad immaginarla in un posto così desolante. Perché aveva scelto una zona del genere? Pensò che al ritorno gliel’avrebbe chiesto.

Scese dall’auto e si sgranchì le gambe. Lasciò sul sedile gli occhiali da sole e cercò il suo campanello.

Suonò ma nessuno rispose.

Il portone era aperto quindi decise di salire: le scale erano vecchie e tutte rotte. Il posto non sembrava molto pulito.

Dopo varie rampe di gradini, vide una porta  aperta e sul campanello il suo nome.

“Sanae? Ci sei?”

“Vieni vieni… Ryo….è aperto”

L’appartamento era davvero modesto: il corridoio era stretto e poco luminoso ma c’era buon odore e più andava oltre più gli pareva che ci fosse luce.

“Ciao! “ gridò Daibu seguito da Hayate, mentre raggiungevano  il ragazzo e prendevano a rincorrersi e a giocare nascondendosi dietro le sue gambe. Ryo non riusciva a guardarli bene perché non stavano un attimo fermi e parlavano fra di loro come se fossero in un mondo parallelo…

“Hey.. come va ragazzi? Tutto bene?”

Loro si fermarono d‘improvviso, e un po’ vergognosi, lo salutarono per bene e chiesero:“Chi sei tu?”

“eh… sono Ryo…. Ishizaki….un amico della mamma! E… il grande difensore della Nazionale Giapponese” almeno con loro doveva fare un po’ il grande….

“Ah…sì … giochi con il babbo, vero?” chiese Daibu, che, evidentemente, dopo averlo osservato, l’aveva riconosciuto.

Ryo, non sapeva cosa rispondere, perché non sapeva bene quale fosse la situazione…

“sì  Daibu.. gioca con papà, però adesso lasciatelo stare….” disse Sanae dall’altra stanza.

Ryo tirò un sospiro di sollievo. Quei bambini avevano messo su una bella lingua… sarebbe dovuto stare attento lungo il tragitto verso casa.

“Vieni avanti….non mi posso muovere adesso….” Fece Sanae, ancora dall’altra stanza.

Che cosa le era successo? Stava forse male? Ryo cominciò a preoccuparsi.

Avanzando chiese.:” Tutto bene?”

“Sì sì è che…….” Ryo entrò nella stanza da letto, perfettamente in ordine, con i bagagli pronti e tutto pulito.

“…..è che sto allattando Michiko….avanti vieni… vieni più vicino…..” disse lei nel modo più naturale possibile.

Ryo era rimasto immobile, sulla porta: Sanae era seduta ai bordi del letto, tutta vestita di bianco. La camicia era tutta aperta e al seno teneva una piccola… una piccola cosa che sembrava proprio un bambino…

“Ora capisci perché non avrei potuto affrontare il viaggio in treno da sola…..all’andata erano due e non avevo quasi niente. Adesso siamo cresciuti e ho messo su due valigie che pesano molto……avanti… cosa fai lì sulla porta…. Entra!”

Sanae, mezza nuda, con la sua bambina in braccio, era perfettamente a sua agio.

Non si vergognava di allattare davanti a Ryo, davanti a qualcuno. Non era più la classica donna giapponese che si vergogna di fare qualsiasi cosa in pubblico. Orai lei non si vergognava più di niente….

Ryo rimase ancora un momento al suo posto per poterla vedere meglio: era diventata ancora più bella. Con gli occhi pareva che già lo stesse abbracciando idealmente. Lei lo fissò ancora e gli sorrise rinnovando di nuovo il suo invito ad avvicinarsi.

Al che lui fece qualche passo e quando fu abbastanza vicino, lei gli prese la mano e lo spinse a sedere.

Uno di fianco all’altra. Uno testimone dell’altra….come sempre, per tutta la vita.

“Sei diventato più bello” disse lei.

Lui la guardò e si toccò la testa imbarazzato…

“Ah Anego… non dire fesserie…..io sono sempre stato bello….”

Lei scoppiò a ridere…. (adesso però non aveva più voglia di piangere dopo aver riso: lei questa reazione emotiva, finalmente l’aveva superata.)

“e… sei anche diventato più forte…. Ho seguito la tua squadra in prima divisione….sei stato veramente bravo. La convocazione in Nazionale te la sei davvero guadagnata sul campo….”

Non era cambiato niente fra loro, come se non si fossero mai lasciati… come se ancora si vedessero tutti i giorni al campo della scuola.

Ryo la guardò come per dirle grazie e l’occhio ricadde sulla piccola, che, incurante, dei loro discorsi, con gli occhi chiusi, e una manina in aria, continuava a succhiare il suo latte.

“E questa …signorina……?”

“Lei è la nostra apina, non è vero ?” chiese Sanae ai due gemelli che nel frattempo avevano osservato i grandi con molta curiosità.

Loro si misero a ridere….” Sì…. lei succhia il nettare, lo sai, Ryo?” E scapparono via…

Ishizaki, non sapeva che rispondere: era abbastanza confuso. Sapeva che Sanae era rimasta incinta, ma da come si erano evolute le cose, tutti si erano convinti che non avesse tenuto il bambino.

Era molto bella.

“Lei…è …. di Tsubasa, sì?”

Sanae lo guardò un po’ stupita.

“No…..… l’ho concepita da sola……sai so fare anche questo….ormai… ma dico che razza di domande mi fai? Eh?”

“Scusa Anego… ma sai… io credevo che tu……”

“Ishizaki, tu lo sai bene come sono fatta, io non butto mai niente….non sono proprio capace di buttare via le cose….figurati le persone…”

“Già…..come si fa a buttare un esserino così……?”

“Non hai detto niente a nessuno, vero?”

“Certo che no… ho seguito le tue istruzioni……Tsubasa è completamente distrutto…..lo sai, no? Hai sentito quello che ha detto alla tv?”

“Sì…..è per questo che voglio tornare a casa. Penso di essere pronta adesso. Penso che sia pronto anche lui. Ma prima devo vedere i miei e riprendermi  un attimo. Se avessi chiamato Tsubasa, sarebbe stato un po’ complicato….invece con te….”

“Con me cosa?”

“Beh …..lo sai quanto tu sia importante per me….”

Sì, lo sapeva. Ma quanto era ancora più bello sentirselo dire……

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Capitolo 24
*** Il ritorno ***


Ciao! Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno scritto una recensione a questa storia: e’ sempre bello ricevere un riscontro da parte di chi legge, ognuno diverso, con le proprie riflessioni, aspettative, osservazioni. Per questo naturalmente un ringraziamento particolare va a Hikarisan e Elisadi80, che hanno sempre lasciato un loro pensiero e sinceramente non mi hanno fatta mai sentire sola.

Grazie alle persone che hanno messo questa storia fa i preferiti o fra le storie da seguire.

Vorrei anche ringraziare la mia amica Paola; ti voglio proprio citare, perché ti voglio bene e sai quanto le tue opinioni sul mio modo di scrivere siano importanti per me: grazie di esserci sempre e di avermi dedicato il tuo tempo.

Grazie anche a tutti coloro che hanno letto, senza recensire, a tutti quelli che sono passati su questa storia e si sono fermati, magari  anche solo un momento a vedere di cosa si trattasse….

Buon anno!

________________________________

Ce ne misero otto di ore a tornare. Con i bambini a bordo, aveva dovuto guidare più lentamente e si erano dovuti fermare spesso.

Alla fine Ryo spense il motore davanti  a casa Nakazawa.

Erano già le dieci di sera. Ma le luci erano ancora accese.

Sanae fissò il piccolo cortile, il cancello e il grande portone. Sembrava enorme visto dalla sua prospettiva. Scese dall’auto e cominciò a svegliare delicatamente i gemelli. Poi prese in braccio la piccola Michiko, mentre Ryo aveva tirato fuori le valige.

“Come stai?” le chiese lui dolcemente.

“Ho un po’ di paura…ti andrebbe di entrare con me….?”

“Certo….cosa pensi che ti lasci qui in mezzo alla strada?” disse lui per alleggerire la tensione.

Si avvicinarono e  lei suonò il campanello.

Andò ad aprire il Signor Nakazawa, con la sigaretta in bocca e l’aria un po’ scocciata.

Immaginava che fosse uno dei suoi clienti, preso dalla domanda o dal dubbio dell’ultimo minuto.

Era già capitato altre volte.

Se la vide di fronte.

Era buio, a parte la piccola luce che proveniva dal faro sulla parete esterna della casa. Ma sembrava giorno, perché lei, pur essendo così piccola, illuminava i suoi occhi.

Non riusciva a parlare dall’emozione. Non poteva credere che fosse lei.

Il suo ritorno era totalmente inaspettato.

“Ma si può sapere chi è?” chiese la signora Nakazawa, mentre si avvicinava al marito, incuriosita.

“Sono io….. sono Sanae….”

Sua madre cominciò a singhiozzare mentre guardava i piccoli storditi e mezzi appisolati. Si accovacciò e li abbracciò teneramente.

Ma anche lei non riuscì a parlare.

“Sarà meglio che entriamo altrimenti i bambini prenderanno freddo…” disse Ryo, cercando di invitare il Signor Nakazawa a spostarsi.

Una volta dentro, suo padre buttò la sigaretta e corse ad aprire la finestra per cambiare aria nella stanza.

Poi tornò verso di lei e le prese Michiko dalle braccia.

La osservò con dolcezza.

“Te l’avevo detto che era una bambina….ti ricordi Sanae?” chiese suo padre, con un mezzo sorriso sulla faccia

“Sì mi ricordo, papà….come potrei dimenticarlo……non l’ho buttata, hai visto?….”

“Hai fatto bene…..le donne non si buttano via… loro sono l’altra metà del cielo, ricordi?”

Sanae ricordava anche quello.

Aveva trattenuto tutte le parole di quella lunga e intensa conversazione con suo padre. Ed aveva provato a lottare. Aveva lottato.

Ryo si sentiva un po’ di troppo: era un estraneo in mezzo a tutte quelle emozioni …. Però…..nessun abbraccio, nessuna carezza da parte dei suoi genitori. Se fosse capitato  a lui, sua madre l’avrebbe soffocato di baci, come minimo.

Pensò che fosse ora di andare. Eppure aveva anche voglia di restare. Aveva voglia di abbracciarla. Almeno lui.

Ma in tutta la loro vita non si erano mai abbracciati.

“Credo che sia ora di andare.. chissà quante cose avrai da raccontare ai tuoi…” fece lui.

“No, ti prego Ryo… non andare….resti con me stanotte? “ chiese Sanae davanti ai suoi, nel modo più naturale del mondo.

“Restare qui?...ma non so..ecco….io…”

“Non riuscirei a chiudere occhio da sola…..mi terresti la mano?” chiese ancora lei.

Ryo guardò i genitori di Sanae e vide che a loro non importava se fosse sconveniente o meno. Loro erano solo felici che lei fosse tornata dopo tutto quel tempo.

“Sì…. te la terrei volentieri…ma….”...lei lo interruppe subito:“Non preoccuparti: sarà il nostro segreto.”

 

 

 

Quando Ryo si svegliò con le prime luci del mattino che filtravano dalla finestra, si accorse che Sanae non gli stava tenendo la mano, ma che con la testa era letteralmente sul suo torace. I capelli le nascondevano il viso e se si sporgeva un po’ riusciva solamente a vedere le spalle della ragazza.

Dormiva profondamente.

Ricadde sul cuscino e provò un po’ d’imbarazzo, a pensare di essere lì con lei in quel momento.

Chissà quanto volte Tsubasa si era svegliato, di primo mattino per poter andare a correre, e se l’era ritrovata sul suo petto……

Chissà cosa avrebbe pensato Yukari, se solo un ladro di notte fosse andato a raccontare quel segreto.

In fondo non era successo niente: era solo rimasto a dormire accanto a lei, come avrebbe potuto fare un fratello, un’amica.

Non c’era niente di male. Ma Ryo si sentiva completamente rapito dal profumo di quei capelli, dalla poesia che Sanae riusciva a portare in tutto quello che faceva. In un attimo, tutti gli anni in cui avevano vissuto a distanza, si erano annullati: l’aveva vista allattare, l’aveva tenuta sul suo petto, l’aveva protetta……lei l’aveva fatto sentire indispensabile. E non gli capitava da tanto….Le era profondamente grato.

Dopo un po’ lei si svegliò: alzò la testa e gli sorrise.

“Scusami… sarai tutto indolenzito…..”

“No… non sono indolenzito per niente….. Anego la tua testa non è che pesi tanto….” Disse lui, come sempre, per provare a stemperare quel momento con una battuta.

Lei gli sorrise di nuovo. Non se la prendeva più come quando era una ragazzina. Era una donna e se un ragazzo voleva giocare….lei lo lasciava fare….

“Beh…. allora non ti dispiacerà se ti abbraccio ancora un po’…..è da tanto che non tocco un uomo……”

Ryo deglutì e fece un sorrisino di circostanza. Questa non se l’aspettava: si era fatta furba.

Non solo lo disse, ma lo fece. L’abbracciò con tenerezza ed innocenza per qualche minuto.

Poi si alzò e si sedette al bordo del letto.

L’incanto della notte era finito.

“Cosa c’è Sanae? Non sei felice di essere a casa?”

Lei si voltò e con una mano strinse forte il lenzuolo.

“Sì….credo di sì….ma sai io la felicità l’ho talmente cercata che forse adesso mi fa quasi un po’ paura.”

Anche Ryo si alzò e si mise a sedere esattamente dall’altro lato del letto.

“Qualsiasi cosa succeda, potrai sempre contare su di me. Ricordatelo”

Non si voltarono  per guardarsi. Non ce ne fu bisogno.

 

 

 

 

In cucina, dopo che Ryo se n’era andato, Sanae prese finalmente coscienza di essere tornata a casa.

Osservò la stanza con scrupolo. Le parve che tutto fosse rimasto al suo posto.

“Hai chiamato Tsubasa?” chiese suo padre, entrando con passo sicuro e voce severa.

Ormai non aveva più paura di lui: lo amava molto, lo amava disperatamente, come Kumiko amava il suo, anche se le aveva detto che lo odiava. Ma non gli sembrava più inarrivabile, invincibile, indiscutibile. Gli sembrò invecchiato e terribilmente imperfetto, così come tutte le altre persone.

“Non ancora….mi ci vuole tempo…..”

“Hai avuto il tempo di generare un figlio….mi sembra che sia abbastanza no? Sanae, non ha sofferto abbastanza quel ragazzo?”

“Non sono andata via per farlo soffrire. Sono andata via perché ci eravamo smarriti. Per ritrovarsi la strada è lunga: ma come lo è stato per lui, lo è stato anche per me. Anch’io ho sofferto molto, cosa credi?”

Suo padre la guardò…” Sei così….. tu non sembra proprio che abbia sofferto. Sembra che tu sia felice…..lui invece è uno straccio….”

“Sai papà, nell’altra metà del cielo…come mi insegni tu, la vita è parecchio dura….non c’è tempo di crogiolarsi nel dolore e nello struggimento….devi essere forte….ed io sono molto forte….noi…noi siamo molto forti….siete voi che….siete deboli…eppure vi facciamo noi…..vi teniamo noi al caldo dentro il nostro corpo…non dovreste crollare come polvere…..spero che i miei figli maschi l’abbiano ricevuta un po’ di questa mia forza…Michiko….Michiko non c’è bisogno di sperarlo, glielo si legge già in faccia che non avrà paura di niente…. “

Era cambiata; gli rispondeva: l’affrontava senza temere il suo giudizio, senza aspettare la sua reazione. Non le importava più.

Il Signor Nakazawa provò un sentimento di fierezza misto a tristezza. Fierezza perché le sue parole erano sintomo di maturità e di intelligenza; tristezza perché sentiva che ormai…non avrebbe più avuto un gran ascendente su di lei.

 

 

 

Sanae guardò fuori dalla finestra mentre suo padre prendeva la sua borsa e se ne andava.

Tornò di sopra per svegliare i bambini. Allattò la piccola e si fece un bagno.

Sua madre intanto si era preparata e aveva fatto il tè.

“Ne vuoi?” le chiese.

“No grazie, andiamo fuori….devo incontrare una persona…..”

La signora Nakazawa, non fece altre domande. Ormai Sanae era lontanissima da lei. Lo sentiva.

Andò alla stazione dei taxi e si fece portare da Kumiko.

Quando si ritrovò di fronte alla pasticceria, per un secondo le sembrò di rivivere quel terribile giorno in cui era scappata e si era ritrovata lì, sola, disperata.

Prese un respiro per l’emozione. Osservò la vetrina, piena di decorazioni primaverili, con fiori di ciliegio e zucchero a velo su montagne di carta arricciata.

“Che mondo stupendo c’è dentro di te, Kumiko…” pensò.

Lei, sempre in carne, sempre vestita di bianco, era scura in volto mentre controllava come avessero disposto i dolci in una vetrinetta-frigo.

“Ikeda, forse non ci siamo capiti, …ormai tanto non mi capisce più nessuno… ti avevo detto che il dolce di loto va sempre davanti…..sempre in bella vista…..mi sembra di parlare al vento….tu non mi ascolti, ma guarda che quando poi mi sono stufata, ti lascio a casa….”

“Kumiko….io aspetto ancora lo stipendio dello scorso mese…. È già tanto che non me ne sono stato a casa io…..”

Lei lo fulminò con gli occhi… lo sapeva bene che doveva pagarlo; non c’era bisogno di rammentarglielo. Mai mischiare il denaro, che lei disprezzava, con l’ arte pasticcera, il suo amore: era una cosa che la mandava in bestia.

“Se ti ho detto che ti pago, vuol dire che ti pago… lo sai bene che sono di parola… ti chiedo solo di avere ancora un po’ di pazienza…..sai come sono messa no?”

Si sentiva umiliata e sola. Avevano parlato piano ma Sanae si era avvicinata a tal punto che aveva sentito tutte le parole.

Kumiko era voltata di spalle e vide Ikeda che fissava qualcuno dietro di sé.

“Ikeda? Guarda che sto parlando con te….!”

“Lei….lei è … Sanae….bambini….” disse Ikeda, sorpreso.

Kumiko si girò lentamente: non sapeva se Ikeda si stesse confondendo e stesse dicendo sul serio.

Poi se la vide di fronte. Era così bella, che Kumiko non sapeva cosa dire….le sembrava di essere tornata alla cena all’Hilton e di rivedere la stessa bellezza che aveva riconosciuto in Genzo. Solo che in Sanae era ancora più lucente, più devastante, più decifrabile…

Sanae la osservò sorridendo e si accorse subito di quanto fosse stanca, triste e sola.

“Sono tornata….”

Kumiko scoppiò a piangere. Scoppiò a piangere davanti a tutti e si fece abbracciare e coccolare, perché la sua amica le sembrava l’unica cosa bella in tanti mesi di problemi e fallimenti.

Sanae non chiedeva altro che tenerla a sé, perché le era così riconoscente… Kumiko l’aveva salvata e l’aveva capita.

Rimasero così per un po’, fregandosene altamente di quello che potessero pensare gli altri.

Poi Kumiko allungò la testa sulla carrozzina per vedere Michiko.

“Hai ragione, Sanae, somiglia proprio al mio fiore di loto….”

 

 

 

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Capitolo 25
*** Sei bellissima ***


Salirono di sopra per parlare un po’ da sole e guardare i bambini.

“Mi sei mancata così tanto…..io mi stavo abituando ad averti qui….”

“Mi sei mancata anche tu….non sai quante volte, sono uscita di casa per andare alla cabina e telefonarti….ma alla fine riuscivo sempre a trattenermi….l’ho fatto per Michiko….l’ho fatto per ritrovare me stessa….E tu? Tu ti sei trovata?”

Kumiko si accese una sigaretta e spalancò il terrazzò.

“Io?.. Ho l’incubo che mi suonino alla porta per prendersi tutto….abbiamo perso una grossa fornitura per una catena di hotel e siamo al verde….Mi va tutto male…..mio fratello vuole vendermi la sua quota e uscirne da questa società del cavolo… i maschi scappano….Potrebbe essere il titolo del film della mia vita…io li faccio scappare tutti……”

Sanae scoppiò a ridere..

“Cosa fai, mi ridi dietro anche tu? Guarda che sono problemi seri….”

“Non ridevo per i problemi,…ridevo perché sei innamorata……”

“Certo…. sono innamorata del principe fantasma…. Ma che dici? Guarda che non esco con nessuno, non ho incontrato nessuno…..sono sola come un cane….di che parli?”

“Beh uno può essere innamorato anche se è solo…. Tu guarda me!”

“Sì ma tu adesso sei tornata per lui, cioè hai un lui….io invece ho solo una marea di bollette da pagare….”

“Sarà ma non mi convinci…..” disse Sanae senza voler indagare troppo. Poi riprese: “Se con Tsubasa andrà tutto bene…. gli chiederò di aiutarti”

Kumiko la scrutò.

“No… non potrei accettare l’aiuto di qualcuno, perché non so quando ne sarò fuori e non so quando potrò restituire il denaro….”

“Lui è pieno di soldi e non mi ha mai fatto molti regali..…gli chiederò questo: che riscatti i tuoi debiti senza che tu debba restituirgli uno yen…..Gli chiederò questo come regalo. Perchè mai dovrebbe dire di no? E’ generoso, vedrai che lo farà con piacere….”

La ragazza sembrava titubante.

“Senti Sanae… io lo so che voi siete ricchi, ma mi sembra che sia un po’ una forzatura…..in fondo io cosa sono per te? Cioè, fino a un anno fa eravamo ormai semplici conoscenti….non vorrei che lui pensasse che me ne sto approfittando….mi dispiacerebbe molto… sai dove ci sono in mezzo i soldi, ci sono energie negative… e non vorrei rovinare la nostra amicizia”

“Proprio per questo gli chiederò di fare un regalo e non un prestito: un regalo è un regalo. Vuoi sapere poi cosa sei per me? Beh….. sei la mia amica. E questo non ha prezzo.” Rispose Sanae.

Si abbracciarono e finalmente Kumiko le fece un sorriso.

 

 

 

Sanae rientrò a casa e lasciò Michiko con sua madre perché si era addormentata e non voleva svegliarla.

Prese Hayate e Daibu e a piedi, cantando e giocando, arrivarono fino a casa Ozora.

Le batteva forte il cuore. Se lo sentiva in gola. Il suo corpo era in fermento, al pensiero di rivederlo.

Quando la signora Ozora aprì la porta, rimase senza parole.

Non sapeva se quella era una visione o se era la realtà.

“…pulcini…..” riuscì solo a dire e si inginocchiò per abbracciarli mentre già gli occhi erano pieni di lacrime.

Si accomodarono dentro e Sanae poteva sentire che i sentimenti della madre di Tsubasa erano confusi: da un lato c’era rabbia e rancore; dall’altro c’era anche un specie di solidarietà femminile che non le permetteva di condannare totalmente la ragazza per quello che aveva fatto.

“Dov’è papà?” chiese Hayate.

“…..Sanae, Tsubasa non c’è….il ritiro comincia domani ma lui ha deciso di allenarsi anche oggi perché non sapeva cosa fare…..sai, se non si allena, il tempo gli passa lento….”

Sanae abbassò lo sguardo.

“Capisco….e dove sarà andato?”

“Di preciso non me l’ha detto….. vuoi aspettare qui?...........”

“Non posso, devo tornare a casa… “ Sanae doveva allattare: negli orari era vincolata.

“Però vorrei lasciare i piccoli qui così quando rientrerà, li potrà vedere subito. Appena posso, torno…..”

La signora Ozora annuì e Sanae dopo aver salutato i bambini, se ne andò. Mentre lei girava il vicolo, Tsubasa all’altro lato della strada passava l’angolo per rientrare in casa. Per un soffio non si erano  incrociati…

 

“Mamma accidenti sono dovuto tornare indietro perchè ho dimenticato la chiave del cancello per entrare nel campetto……”

Tsubasa guardò sul mobile accanto all’entrata dove aveva lasciato la chiave. Non alzò lo sguardo perché era già con un piede di nuovo fuori di casa e se non avesse sentito quella parola, non si sarebbe accorto di niente, come sempre….

“Papà, papà! Vieni? giochiamo?” disse Hayate andando verso di lui e chiedendogli la mano per trascinarlo dentro come se fosse per lui il gesto più normale del mondo.

Tusbasa lo fissò con gli occhi quasi fuori dalle orbite: gli diede la mano inginocchiandosi a terra.

“Hayate…..sei proprio tu…..” ora alzò un po’ di più lo guardo e intravide anche Daibu che gli disse

“ma che fai? Dai dai vieni dentro babbo!”

Abbracciò Hayate:  lo strinse forte riempiendolo di baci.

Allora anche Daibu si avvicinò. Tsubasa lo afferrò e si strinse al petto anche lui.

“Babbo mi pizzichi!” disse Daibu mentre Tsubasa con gli occhi bagnati, si strisciava sul bambino come avrebbe fatto un animale con il suo cucciolo. Aveva un po’ di barba e pungeva sulla pelle delicata dei bambini. Non riusciva a parlare. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma era in preda a mille emozioni e ancora non si rendeva conto se stesse sognando o no. Eppure li toccava e loro erano veri: avevano i loro odori, le loro smorfie. Erano loro….

“Come siete cresciuti…. Avete fatto i bravi? “

“Noi sì , ma l’apina no,…lei succhia sempre il nettare….!”

Tsubasa sorrise e si fece trascinare dove volevano loro….cercò lei….ma lei non c‘era.

“Ha detto che torna appena può, doveva rientrare a casa…” disse la signora Ozora.

Lui lì per lì era troppo confuso e troppo stravolto per poter capire quella frase.

Giocò con i bambini per un po’, ma intanto lei non tornava.

“Ha detto che torna appena può….” La frase di sua madre si dilatò nel cervello di Tsubasa e lui ebbe come un sussulto.

“Non è che sta scappando di nuovo?” temette.

“Mamma non posso aspettare…..vado a casa sua…torno subito ok? “ disse ai bambini.

Corse con tutta la forza che aveva e dopo poco era già davanti alla sua porta.

 

Sanae era nel corridoio, pronta a rimettersi le scarpe per andare da lui.

Tsubasa non ebbe il tempo di suonare il campanello perché in quel frangente lei aveva aperto la porta.

Si guardarono e il tempo si fermò.

“…io stavo per venire da te….proprio adesso….” disse lei… un po’ stupita..

Era in forma strepitosa: con indosso la tuta, i suoi muscoli risaltavano. Lo sguardo era pieno di cose che voleva dire e il viso era un po’ più adulto; anche un po’ più indurito. Lei lo notò subito che non si era fatto la barba e sentì dentro il desiderio di toccarlo….lo trovava molto affascinante.

Lui non era ancora riuscito a mettere insieme due parole: era semplicemente ammutolito, nel vederla di nuovo con la sua maglietta chiara un po’ attillata e i pantaloni a vita bassa. Era profumata e il suo corpo sembrava ancora più morbido, più accogliente dell’ultima volta che l’aveva toccata.

Fece un passo e gli tornò la sete che sempre aveva quando c’era lei.

“Sei…..sei bellissima…..sei talmente bella che mi sto sentendo male…mi fai male…..” le disse lui.

Che Sanae si ricordasse, lui non gliel’aveva mai detto. In tanti le facevano complimenti, ma a lei non interessava molto. Il più delle volte si sentiva in imbarazzo. Invece in quel momento, fu così felice di aver sentito quelle parole da lui….sembrava veramente sincero.

Lei indietreggiava e lui avanzava mentre la sete cresceva. Quando la porta si richiuse dietro di loro, Tsubasa la prese nei fianchi e la baciò. Fu un bacio lungo e profondo.

Fu come baciarsi la prima volta.

La madre di Sanae con delicatezza se ne andò in cucina e li lasciò soli.

Lei voleva parlargli, ma voleva anche stringerlo….

Lui ormai era già tutto preso dal suo corpo e non capiva più niente. Le infilò una mano dietro la schiena e si fermò all’altezza del reggiseno.

“Aspetta……io ti devo dire una cosa….” Provò a dire Sanae, ma Tsubasa ora le premeva il petto e la baciava senza darle modo di continuare.

Lo lasciò fare…gli era mancato troppo per potergli chiedere di fermarsi.

 

 

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Capitolo 26
*** Michiko ***


Ciao….questo è il penultimo capitolo e, preferisco salutarvi ora, perché non voglio “rovinare” “l’incanto” ( narrativo) della fine di questa storia…è un cap corto, ma intenso!

Ringrazio tutti, ma proprio tutti quelli che hanno commentato e/o  letto la mia storia. Ogni tanto vado sulle recensioni e me le rileggo perché sono rimasta così colpita dall’entusiasmo ( e dall’accuratezza delle vostre riflessioni, mai banali, mai scontate) con cui avete seguito la storia…grazie.. grazie di cuore.

Spero che continuerete a leggermi e che la prossima storia ( che sto già scrivendo) vi incuriosirà e appassionerà quanto questa.

Infine, per rispondere a Hikarisan: sì, spero proprio che questa ff sia di buon auspicio per il 2010, anno in cui spero di cominciare a scrivere la mia tesi di laurea….grazie a questa storia, mi sono “riconciliata” con la scrittura ed è stato bellissimo stare alzata fino a tardi a buttar giù capitolo dopo capitolo. Mi auguro che anche per tutte voi sia un 2010 pieno di storie, di sogni, di tutte le cose che desiderate e in cui sperate. Con tutto il cuore.

Grazie

__________

 

Era stato talmente intenso,che Sanae pensò che non poteva essere successo davvero. Si girò per accertarsi che Tsubasa fosse ancora lì, al suo fianco. Ed era proprio lì, nella sua posizione preferita dopo l’amore: a pancia in giù. Si era addormentato, anche se la stanza era completamente illuminata dal sole.

Mentre erano stati insieme, si erano guardati a lungo ed era stato forse per quello che avevano provato delle sensazioni  così forti: era stato bellissimo poter vedere le sue espressioni mentre la toccava e l’amava. Sicuramente anche per lui era stato lo stesso.

Le venne da sorridere…….

“Sanae…..scusami ma è ora…..” sentì sua madre molto imbarazzata da fuori la porta che le ricordava che doveva scendere ad allattare Michiko.

“Arrivo subito….” disse Sanae ancora più imbarazzata di sua madre.

“Tsubasa….svegliati….”

Lui si girò e la spinse giù, verso di sé per abbracciarla.

“Devo dirti una cosa…..ma ho bisogno che ti alzi…”

Lui teneva gli occhi chiusi.

“Resta qui,…restiamo ancora qui…..ho ancora sete….”

Sanae però si liberò del suo abbraccio, si alzò e si vestì velocemente.

A quel punto Tsubasa aprì gli occhi e si mise a sedere sul letto.

“Per favore….dai….vestiti e vieni giù..”

Lui la fissò e a Sanae sembrò proprio di rivedere lo sguardo del suo capitano. Pieno di cose semplici, e di quell’aria interrogativa che lo rendeva unico.

“Ok….arrivo…dammi un minuto”

Lei scese in cucina e prese in braccio la bambina dalla carrozzina, tirandosi su la maglietta per poterla allattare.

Intanto le accarezzava la fronte, come piaceva a lei.

Tsubasa entrò e la prima persona che vide fu la signora Nakazawa: provò un po’ di vergogna, anche se aveva dormito tante volte in quella casa.

Poi cercò Sanae con lo sguardo e la trovò seduta con in braccio la piccola.

Esattamente come Ryo, quando era entrato nell’appartamento, Tsubasa restò  fermo dov’era.

“Avanti…” fece lei…” avvicinati”

Lui non sapeva che fare….era molto confuso.

Prese coraggio e andò verso di lei. Verso di loro.

“Lei è Michiko, la nostra apina…..” disse Sanae.

A Tsubasa venne in mente quella frase detta dai gemellini quando aveva chiesto loro se erano stati bravi…” noi sì ma l’apina no…lei succhia sempre il nettare…”

Michiko succhiava incurante di quello che stava accadendo. Aveva gli occhi semi aperti, come quasi tutti i bambini quando sono concentrati a mangiare. Sembrava lontanissima…rapita da qualche angelo del cielo.

Tsubasa si accovacciò per scrutarla meglio. Le accarezzò una guancia e poté sentir quanto fosse morbida e profumata.

“Ha tanti capelli…….ho bisogno di bere……non è che mi può dare un bicchier d’acqua, Signora Nakazawa?”

La madre di Sanae glielo diede e lo aiutò a tirarsi su. Si sedette anche lui, perché gli girava la testa.

“Te l’avevo detto Michiko, che l’avresti steso al suolo” disse Sanae guardando la piccola e poi continuò”…….te la stai facendo sotto dalla paura, eh Tsubasa? Era da tanto che non vedevi qualcosa di così bello, non è vero? “ chiese lei.

Tsubasa si rimise a guardare sua figlia senza rispondere. Era troppo confuso. E Michiko era troppo bella, era una cosa troppo delicata da guardare a lungo.

“Michiko….……….” sussurrò il capitano e poi guardando Sanae …”hai fatto tutto da sola……chissà quanta paura hai avuto….sono stato proprio un deficiente……”ammise, con un velo di tristezza negli occhi.

“Io l’avevo sentito quella notte, che c’era davvero odore di bambino dentro di te….ma…”

Sanae lo guardò e gli fece capire che ormai era inutile provare a spiegare. Ormai era successo. Non si poteva cancellare ciò che era stato.

“ Non fa niente….ma adesso che è qui, tu sei felice, Tsubasa? Sei felice di avere questa bambina?”

 

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Capitolo 27
*** Il destino e i nostri sogni ***


Dopo che Sanae ebbe finito di allattare,  andarono a casa Ozora e passarono tutto il pomeriggio in camera di Tsubasa, con i bambini sul letto, a giocare  e a raccontarsi di come avevano vissuto tutto quel tempo separati. Tsubasa, non riusciva a staccare gli occhi da Michiko.

Non aveva risposto alla domanda di Sanae: a lei era bastato fissarlo per capire che un semplice “ sì” o una frase di circostanza, non avrebbero potuto spiegare quello che aveva sentito dentro.

Ogni tanto smettevano di parlare e si baciavano come due adolescenti e Hayate e Daibu si nascondevano la faccia perché i loro genitori li facevano ridere.

Verso l’ora del tramonto, dopo aver salutato un po’ di persone che alla notizia del ritorno di Sanae si erano precipitate a salutarla, Tsubasa uscì in giardino e andò a sedersi sotto l’albero di falso pepe.

Sanae lo vide dalla finestra della cucina e lo raggiunse.

Gli si sedette accanto.

“….Vorrei poter tornare indietro e sdraiarmi con te sotto l’albero di falso pepe che sta proprio dietro casa tua. Tornare a quel momento, in cui mi hai baciata per la prima volta. Ero così eccitata…... Ero felice. Era bastato quel bacio a riempirmi il cuore e se la mia vita fosse finita quel giorno, Dio mio sarebbe stato stupendo…………” disse lui.

“…Come fai a ricordarti ancora cosa ti ho scritto?....” chiese Sanae stupita.

“So a memoria la tua lettera….ci ho messo una notte intera ad impararla…. Ma da quella notte non l’ho più dimenticata….quando stavo male, me la ripetevo. E’ stata la mia preghiera. Era l’unica cosa che avevo di te……”

Dal suo volto, Sanae poteva vedere i suoi pensieri: le sue parole diventavano immagini, piccoli frammenti del passato che si dispiegavano davanti ai suoi occhi.

“Mi stavo perdendo……ma mi sono ritrovato. Mi hai messo di fronte a quello che stavo diventando e hai fatto in modo che mi guardassi veramente allo specchio. Adesso mi sento esattamente come quando non ero ancora nessuno. Ho lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di giocare, di amare….senza compromessi, senza ombre.”

Era cresciuto. Era maturato.

Sanae gli prese la mano.

“Tsubasa, posso chiederti una cosa?”

“certo…..”

“Ti ricordi quel film, in cui lui va sulla tomba di lei e le chiede se il destino di ogni persona è già predefinito e scritto o se siamo solo come foglie portate dal vento? Tu cosa pensi? Cosa siamo? Siamo solo il frutto del caso o c’è come un disegno su di noi?.......Kumiko dice che noi non possiamo sfuggire al nostro destino….e se ci proviamo, quello che ci torna a riprendere……”

Tsubasa la guardò un attimo e le strinse un po’ più forte la mano.

“Non lo so….”

Rimasero in silenzio, ognuno a riflettere con se stesso. Poi Tsubasa riprese a parlare” Se però mi guardo indietro, vedo che quello che abbiamo voluto, quello per cui abbiamo lottato e ciò che abbiamo cercato, l’abbiamo ottenuto. ….quindi credo che anche la volontà, abbia la sua parte nella storia di ogni persona….”

“…sì ….credo anch’io……immagino già cos’è che desideri tanto adesso….”disse lei, sorridendo.

“No….penso proprio di no…..” fece Tsubasa, sicuro che lei non potesse immaginarlo.

“Scommetto che ti sogni già di qualificarti al Torneo Asiatico, così da poter partecipare ai Mondiali…..!” rispose lei, convintissima.

“No, no Anego…..beh certo che quello è un obbiettivo molto importante e cercherò di raggiungerlo con l’aiuto dei ragazzi…ma c’è una cosa che m’importa molto di più……” rispose lui.

Sanae rimase spiazzata dalla sua risposta. Poi si corresse.

“Forse ti interessa di più vincere la Liga o la Champions? Mi sembra strano, però…. Avrei detto che alla Nazionale tenessi un po’ di più…..”

“Guarda che sei proprio fuori strada……” disse Tsubasa ridendo.

“Avanti, dai, sentiamo!....sentiamo cos’è questa cosa che desideri tanto…..io ti conosco bene Tsubasa, lo so che mi stai prendendo in giro! Sentiamo sentiamo…”

“Ti arrendi di già?”

Sanae gli lasciò la mano “ A parte che io non mi arrendo mai…..”fece lei con un po’ di broncio…

Tsubasa rideva di gusto perché riconosceva bene quell’espressione da ragazzina che aveva…..

“ A dire il vero sono due…….” Fece lui.

“Come no! Adesso sono anche due…..avanti avanti…..dimmi ….sono proprio curiosa…”

“Il mio sogno è che tu sia felice. Che tu sia felice con me.”

Sanae, che nel frattempo si era alzata per fare meglio la parte dell’offesa, abbassò le braccia.

Era una risposta che  non si aspettava.

Si rimise giù e l’abbracciò, baciandogli la testa e poi la bocca per ringraziarlo.

“Io…io sono felicissima…..con te, adesso….”

Allora si sdraiarono, l’uno accanto all’altra, tenendosi la mano e fissando i piccoli fiori a campanellino dell’albero di falso pepe, mentre il rosso del sole attraversava i rami e le foglie, colpendoli al volto e sul corpo.

“E l’altro sogno… qual è l’altro sogno?” chiese lei

Lui la guardò: “ Lo so che è chiederti molto…soprattutto dopo quello che hai dovuto passare….. ed è anche del tutto irrazionale…….”

Sanae si girò verso di lui, con l’aria un po’ preoccupata. Ma in cuor suo, dai suoi occhi…capì.

“ Io… ecco vorrei….” lei lo interruppe…….” Lo so………..anch’io”

Tsubasa alzò un po’ la testa: “Anche tu? Ma davvero?”

“ Sì…..…..” disse Sanae, “……anch’io vorrei tanto avere un altro bambino…..”

Si fissarono intensamente, come a scrutarsi dentro, felici di sentirsi di nuovo così all’unisono.

Tsubasa si portò la mano di Sanae alla bocca e poi al petto.

“Noi siamo la terra e la radice…..per sempre”.

 

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