Assassin's Creed II - M y t h di cartacciabianca (/viewuser.php?uid=64391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La Giostra ***
Capitolo 2: *** In Bottega ***
Capitolo 3: *** La goccia che fece traboccare il vaso ***
Capitolo 4: *** Timori e Sospetti ***
Capitolo 5: *** Eterna ingiustizia, libertà e peccato ***
Capitolo 6: *** In casa dell'amico ***
Capitolo 7: *** Riunione di famiglia ***
Capitolo 8: *** I doni della Morte ***
Capitolo 9: *** Tra Sogno e Realtà ***
Capitolo 10: *** In principio... l'ordine! ***
Capitolo 11: *** E' solo l'inizio ***
Capitolo 12: *** A caccia di Angeli ***
Capitolo 13: *** Una colomba in gabbia ***
Capitolo 14: *** 8 Aprile 1476 - Una delicata questione, un turtuoso processo ***
Capitolo 15: *** Gelosia ***
Capitolo 16: *** Contratto di dolore ***
Capitolo 17: *** La fine dell'Inizio ***
Capitolo 18: *** Il più bel fanciullo e Caterina da Vinci ***
Capitolo 19: *** Questione di abitudine ***
Capitolo 20: *** Rinascere liberi ***
Capitolo 21: *** Un segreto nel buio dei tempi ***
Capitolo 22: *** L'ultimo rimasto ***
Capitolo 23: *** Attimi di follia e incredulità ***
Capitolo 24: *** Esercizio - Parte I ***
Capitolo 25: *** Esercizio - Parte II ***
Capitolo 26: *** Una calorosa accoglienza ***
Capitolo 27: *** Ritratti ***
Capitolo 1 *** Prologo - La Giostra ***
M Y T H
Make Your Throughs Heard
(Fai
ascoltare i tuoi pensieri)
Nel 1459 Bianca de’
Medici
sposava Guglielmo de’
Pazzi.
Dalla loro unione sarebbero nati 15 figli, ma solo uno questi,
consacrando la discendenza diretta di Cassandra
della mitologia greca, avrebbe ereditato il dono della veggenza. Grazie
alla sua naturale capacità nella pittura, Arianna,
accolta nella bottega del Verrocchio di comune accordo con suo padre
Guglielmo, intraprese ingenuamente la via dell’arte non a
conoscenza del proprio oscuro potere. L’ostinazione della
madre Bianca e un matrimonio combinato imminente allontanarono la
fanciulla dai pennelli, ma Guglielmo, disperatamente alla ricerca di
qualcuno che le insegnasse l’arte perché i suoi
quadri (fonte di speculazioni sul futuro) potessero essere il
più chiari possibile, permise alla figlia, in segreto e solo
15enne, di seguire le orme di Leonardo da Vinci.
A sconvolgere la serena esistenza in bottega fu la condanna a morte
della famiglia Auditore, avvenuta nel maggio del 1476 a seguito del
processo che vide coinvolti molti, ma non tutti, i membri della
famiglia Pazzi.
Qualcosa sta
ostacolando il corso del tempo e degli eventi.
È predetta
un'ultima agghiacciante visione, e poi solo l'oblio della specie umana
colmerà il baratro di un mondo giunto finalmente al suo
tramonto... perché possa cominciare un nuovo giorno.
Il mitico dono di
Arianna sconvolgerà per sempre le sorti dell'ancor
più leggendaria battaglia tra Assassini
e Templari.
P R O L O G O
Il peccato di nascere e quello di esistere è dettato da un
solo volere: gli Dèi. Ci usano come burattini, giocano per
diletto con le nostre vite, ma in questo Mondo ne hanno scelta una in
particolare che li soddisfa molto: la mia.
Quelli come me si
trascinano nell’ombra tentando invano d’ignorare
ciò che sono. Quelli come me interpretano il passato.
Arrancano nel presente. Vedono il futuro. Quelli come me non ce
l’hanno un futuro. Non hanno nemmeno un passato. Non hanno
niente, e faticano a credere di vivere nel presente.
Siamo veggenti, siamo
maledetti. Siamo sfruttati in tutto il Mondo, siamo usati come un
oggetto da gente che inserisce una monetina per ascoltare le nostre
parole. Siamo dappertutto e da nessuna parte, siamo in cielo e siamo in
terra. Siamo maledetti. Siamo veggenti. Siamo lo strumento degli
Dèi in mezzo ad un branco di scimmie. Forse siamo
metà Déi, perché alcuni di noi dicono
di essere stati cresciuti da loro. Altri sostengono di aver imparato da
soli facendo della semplice pratica…
Io appartengo ad un
terzo tipo: il mio albero genealogico ha le sue radici
nell’Antica Grecia. Durante l’assedio di Troia,
Cassandra, una dei 50 figli di Re Priamo, venne stuprata da un soldato
miceneo, Aiace, e condotta a forza nella sua patria. Nove mesi
più tardi, dopo essere fuggita alla schiavitù di
Agamennone, pare che la ragazza si sia rifugiata sulle coste della
Sicilia e abbia dato alla luce tre gemelli. I due maschi crebbero forti
e aiutarono la madre ovunque lei fosse impedita. La terza figlia,
Fenicia, aveva ereditato un potere e una maledizione potenti in egual
misura. Mentre Cassandra perdeva quello che per lei era stato un lungo
ed inestinguibile tormento, Fenicia imparava a controllarlo, ad usarlo,
ad interpretarlo. Apollo aveva decretato che la donna che non si era
concessa a lui, Cassandra, soffrisse vivendo a contatto con le
disgrazie altrui senza potervi porre rimedio. Alla morte della madre,
Fenicia trovò un uomo, sposò quell’uomo
e con lui condivise quel segreto inestimabile che, se rivelato alle
persone sbagliate, avrebbe significato morte certa per impiccagione. La
loro, assieme, fu una vita radiosa.
Nel corso dei secoli una
povera famiglia di contadini partecipò alla costruzione di
una grande città: Firenze. I contadini divennero mercanti, i
mercanti divennero banchieri. E mentre il potere di un prestigioso
casato toccava la vetta, un’altra si nascondeva
nell’ombra e bramava il dominio della città.
Questi erano i Pazzi, proprio quei “pazzi” che
danneggiarono Firenze e poi si distrussero da soli senza veder mai
coronato il loro sogno.
Questa è la
mia storia. La storia dei miei antenati, la storia che ha cambiato la
storia.
Mi chiamo Elisa, ho 22
anni e sono una violinsta di strada. Inconsciamente sogno i volti, la
vita e la morte di persone che non ho mai conosciuto, esattamente come
succedeva alla mia diretta Antenata, Cassandra.
Era una sera come
un'altra: suonavo a Manhattan, dietro l’angolo di un pub
celebre per la sua musica classica. Avevo tentato di propormi ai
proprietari per dare qualche spettacolo, mostrare le mie
capacità, ma con scarso successo.
Me ne stavo con le
spalle al muro, gli occhi chiusi e l’arco che danzava sulle
corde quando un ragazzo vestito di una felpa bianca, jeans e scarpe da
ginnastica mi ha lasciato distrattamente qualche dollaro nella custodia
del violino. Poco dopo che è scomparso dietro l'angolo, ho
avuto la cosiddetta "visione" della sua fuga dall'Abstergo. Quello
stesso giorno ho stretto amicizie a dir poco interessanti...
-Molto piacere, Shaun Hastings. Sono un Assassino, ovvero
l’uomo che preferirebbe ucciderti piuttosto che permettere a
qualcuno di sapere certe cose sul nostro conto- mi sorride affabile.
-Shaun!- lo richiama Rebecca.
Non mi è mai importato cosa sono loro. Devo
assolutamente scoprire cosa sono io.
Shaun e Rebecca decidono di indagare, ma nella mia mente troveranno ben
poco di quello che cercano davvero.
Li ho conosciuti per
caso. Uscivano entrambi da quel pub, lui ubriaco come
un’inglese dopo qualche birra al derby di troppo, lei fatta
di droga naturale (quella del suo cervello).
Quando mi sono passati
davanti, come un flash, ho visto…gente armata, lame, sangue,
cappucci bianchi, grida e un’aquila… tutto troppo
confuso per avere un senso… ho visto quello che ancora non
sapevo fossero visioni del futuro. Nessuno me ne aveva mai parlato.
Credevo di essere matta. Credevo di essere scappata a qualche manicomio
senza ricordare più nulla della mia vita passata.
Ecco perché
ho detto che quelli come me non hanno un passato. Perché
guardando sempre e solo al futuro, il passato, l’abbiamo
dimenticato.
C A P I T O L
O 1°
-Sulla rete
circolano testimonianze del tutto incerte, ipotesi, supposizioni! Molti
pensano addirittura che la mitica Cassandra non sia realmente
esistita!- sbotta Shaun.
-A quanto
pare tocca a noi svelare il vero- ridacchia Rebecca.
-Sperando che
sia una cosa veloce...- borbotta Shaun,
-Analizzo la discendenza e vediamo se
riesco ad agganciare un primo antenato-.
Mentre il
ragazzo
lavora sulla ricerca e scannerizza i ricordi, Rebecca mi accenna
qualche delucidazione sull’Effetto Osmosi.
-Wow…
non pensavo si potesse fare una cosa tanto… impossibile! Ha
un che di magico- commento con meraviglia e timore assieme.
-Già,
a chi lo dici! A volte la scienza fa miracoli-.
-Ma quale
scienza!- erompe Shaun. –Qui lavoro solo io, altro che-
brontola.
La caccia
all’antenato è stata lunga ed estenuante.
Molti
ricordi sono apparsi bloccati, altri incompleti, altri vuoti o
inesistenti, a testimoniare un malfunzionamento dell’Animus
(il quale, come detto da Rebecca, necessita il prima possibile di
qualche piccola modifica).
-Pare che
una certa Arianna de’ Pazzi, imparentata con la famiglia
de’ Medici attraverso la madre Bianca, sorella maggiore di
Lorenzo il Magnifico, avesse…- Shaun si protende a leggere
meglio sullo schermo -…strani sogni e visioni che poi ella
raffigurava in quadri privati. Dipinti, i suoi, che, soprattutto
nell’ultima parte della sua vita, rivendeva a gran pezzo e
gran richiesta! Sentite qua!- dice attirando la mia e
l’attenzione di Rebecca.
Shaun
riprende a leggere con più foga e Rebecca si avvicina a lui.
–Nonostante il travagliato passato e l’odio
accumulato verso la propria famiglia, la gente sembrava apprezzare la
sua arte, a tal punto che Arianna arrivò a conoscere
personalmente grandi artisti quali il Botticelli,
Michelangelo… e… Leonardo da Vinci, del quale fu
apprendista per tutta l’adolescenza! Dio Santo! E
‘sta donna da dove sbuca?!- si chiede con stupore.
–Fin ora non si sapeva nulla di una sua apprendista!-.
Rebecca e
Shaun si scambiano un’occhiata complice.
-Elisa,
abbiamo trovato l’antenata. Ora carichiamo il ricordo- spiega
Rebecca.
-E poi che
succede?- insisto.
-Viaggetto
lampo in Italia- scherza Shaun.
Sgrano gli
occhi. –In Italia?!…- balbetto scettica.
-Shaun,
così la spaventi. Elisa, adesso non preoccuparti. Goditi il
viaggio-.
Detto
ciò, una nube di patina bianca mi avvolge e mi sento
inghiottire da un vortice di suoni del tutto nuovi: gente che parlava,
uccelli che cinguettavano, zoccoli di cavalli, ruote di carri, bandiere
nel vento, soldati in marcia e canti di menestrelli.
Successivamente
all’udito, anche la vista si adatta a quella splendida
visione di una grande piazza con nel centro una bella fontana decorata
di piante verdi. Tutt’attorno si estendevano vicoli e tetti
di palazzi bassi ma bellissimi, fatti di terrazzi in fiore e finestre
in vetro.
-Elisa, ben
venuta nel Rinascimento italiano- mi informa Shaun.
-Funziona,
non ci credo!- gioisce Rebecca, e le loro voci si odono in eco come
sottofondo al chiasso di piazza.
C’era
tanta folla da far invidia ai centri commerciali, e tutti vestivano di
sfarzosi vestiti colorati dall’aspetto antico. La gente si
era riunita attorno ad un ampio spazio allungato lasciato libero e
circoscritto da nastri e insegne. Vi erano sbandieratori che portavano
i simboli di varie importanti famiglie regali, e tra di questi regnava
uno in particolare, in bella mostra nel centro del piazzale.
L’Arma
era quella Medicea: su sfondo dorato con sei palle poste in cerchio di
cui una, la più grossa, dipinta d’azzurro e tre
gigli d’oro.
L’esibizione
con le bandiere durò una decina di minuti. I ragazzi erano
disposti ordinatamente in file e portavano i vessilli e i colori che
rappresentavano i loro signori, sparsi invece per le varie tende erette
attorno al campo dove presto, spiegò Shaun, si sarebbe
svolta una Giostra Medievale.
Le bandiere
volavano in aria, e con esse si accompagnavano la musica dei
menestrelli e le urla euforiche e di apprezzamento della folla.
Quando la
presentazione degli sbandieratori ebbe fine, questi si allontanarono in
file compatte così com’erano venuti, e lasciarono
spazio ai cavalieri che vennero a portare gli omaggi alle dame e ai
signori sugli spalti, eretti in piazza per l’occasione.
Uno ad uno
sfilavano maestosamente in sella ai poderosi destrieri. Avevano accanto
il proprio mingherlino e fedele scudiero. Tenevano in una mano le
redini e con l’altra si aiutavano nell’inchino che
porgevano rivolto agli spalti.
Quando anche
i saluti si furono conclusi, a coppie i cavalieri si disposero sulla
lizza pronti a sfidarsi. I cavalieri in sella erano in tinta coi manti
coperti di tela dei maestosi destrieri. I cavalli nitrivano, battevano
gli zoccoli sul selciato portato lì per
l’occasione.
La gente
applaudiva, i colombi si levavano in volo dai tetti quando i cavalli si
scontravano nella giostra.
-Anno del
Signore 1476. Siamo a Firenze, in Piazza della Santa Croce- dice
Rebecca.
Tra
l’emozione e lo sconforto avverto un pizzico di paura,
assieme al completo smarrimento dei sensi. Improvvisamente sembro aver
perso coscienza del mio corpo. Non riesco a pronunciare parola
così come mi è impossibile muovermi.
-La
sincronizzazione con l’antenata procede lentamente, ma presto
conoscerai Arianna, che è da qualche parte in mezzo alla
folla- spiega Rebecca. -Intanto lascia che Shaun ti illustri cosa sta
succedendo-.
-Oggi
è il 15 Marzo 1476- comincia Shaun. –In piazza si
celebra un Torneo di Cortesia, e Giuliano de’Medici
è il favorito di tutta la corte medicea, che presiede
sull’alto degli spalti assieme alle donne cortesi. Rebecca,
vediamo se riconosci Lorenzo il Magnifico- si beffa il ragazzo.
-Oddio…-
mormora Rebecca cercando con lo sguardo tra gli spalti attraverso lo
schermo del computer.
Bellissime
donne tenevano gli occhi puntati sul cavaliere che favorivano, tante
damigelle da compagnia e un ristretto gruppo di uomini sedeva
più in alto, chiacchierando armoniosamente durante
l’esibizione dei concorrenti.
Tra questi
vi era nel mezzo un viso che molte volte Rebecca aveva incontrato sui
libri di storia, affinché se lo ricordasse.
–Eccolo! Beccato! È lui! Lorenzo de’
Medici! Quanto amo il mio lavoro!-.
-Ehi, non
montarti la testa!- la rimbecca Shaun. –Andiamo avanti:
Giuliano de’Medici è al centro delle attenzioni,
in questi anni ancora vivo perché la data della Congiura dei
Pazzi è successiva. Siamo nel ’76, e per adesso se
la spassa alla grande-.
Era
facilmente riconoscibile anche Giuliano, vestito dei colori porpora ed
oro del proprio casato e in sella al possente destriero. Salutava il
popolo con la mano libera, tenendo lancia e redini
nell’altra. La gente di Firenze lo amava e lo acclamava con
gran trambusto.
Fu il suo
turno, ed egli si confrontò con tutti gli sfidanti
sbaragliandogli uno alla volta, fino all’ultimo. Giuliano
spezzò un numero incredibile di lance contro gli scudi dei
contendenti, i quali parevano poco motivati a rubargli la vittoria,
perché insignificanti rispetto al casato che egli
rappresentava quel dì sul campo.
Alla fine,
come pareva stato già deciso, Giuliano abbatté
anche l’ultimo sfidante che piombò al suolo
scivolando via dalla sella manco fosse senza staffe. La bravura del
Medico incuteva terrore e faceva sbizzarrire la folla
dall’euforia, che non appena anche l’ultimo
cavaliere fin’ a terra, si alzò gridando tutta
assieme come un’onda del mare.
Il cavaliere
sconfitto si recò ai piedi del vassallo vincitore. Giuliano
per un istante smontò di sella e lo
abbracciò come un fratello. I due risero e scherzarono, poi
il vinto gli porse gli omaggi e rimontò in sella,
allontanandosi successivamente verso una donna che lo chiamava a gran
voce dal popolo.
-Rebecca, si
può sapere che fine ha fatto Arianna?!- sbotta Shaun
già nervoso.
-Ecco, ecco!
Ci siamo quasi, altri venti secondi! E ‘sta calmo, eh!-.
-Vabbe’,
ammazziamo il tempo: il premio della giostra è un ritratto
del Botticelli alla meravigliosa Simonetta Vespucci, musa di molti tra
i più grandi artisti dell’epoca, ma favorita dal
Botticelli stesso. Da quanto mi risulta, Giuliano ebbe con lei una
cosiddetta… relazione di cortesia. Dopo il Torneo i
cavalieri si riuniscono a banchettare nel palazzo del vincitore.
Lì Giuliano ospiterà anche Simonetta, con la
quale passerà… una notte
“speciale”-.
-Hai capito
il Medico!- fischia Rebecca.
-Tanto ai
giorni d’oggi quale conduttore televisivo non si fa le sue
veline?- blatera Shaun indignato. -Adesso, per favore, un po’
d’attenzione. Arianna de’ Pazzi è
quindicenne all’epoca. Per ora possiede solo fratelli
maggiori: Francesco e Cosimo. E una sorellina minore: Alessandra. La
coppia avrà i successivi undici figli negli anni seguenti,
perché qui ci risulta che… Guglielmo, il padre,
volle interrompere la procreazione per dedicarsi con maggiore
attenzione ai figli nati, ma la coppia aveva già in progetto
di aumentare le nascite. Arianna segue il tirocinio presso il
Verrocchio da quasi cinque anni ormai, da quando ella ne aveva appena
dieci. Sembra che abbia imparato a dipingere ancor prima di camminare!-
si beffa Shaun. –Ma andiamo avanti- dice tornando subito
serio. –Bianca e Guglielmo entrano spesso in conflitto tra
loro a causa della figlia maggiore. Bianca preferirebbe di gran lunga
che Arianna intraprenda degli studi più seri, data la
possibilità di istruirsi assieme al cugino Piero, figlio di
Lorenzo il Magnifico, con Angelo Poliziano come precettore. Tra un
bisticcio e l’altro emerge la questione dei buffi quadri che
Arianna sfoggia in bottega. Questi raffigurano impiccagioni, morti,
suicidi, congiure, con chiare rappresentazioni via via sempre
più… inquietanti. Ovviamente nessuno osa
immaginare cosa essi siano realmente, ovvero predizioni di un futuro
già certo. Per questo motivo è spesso messa da
parte dagli altri artisti. Andrea di Cione, il Verrocchio, è
ben lieto di migliorarle la mano e lasciare libero sfogo alla sua
“fantasia”, ma non può nulla contro le
cattiverie che una fanciulla strana come lei attira su di
sé. L’unico che sembra interessarsi davvero
all’arte della ragazza, al di fuori dei fratelli maggiori che
la stimano moltissimo a modo loro, è proprio Guglielmo,
schierato di parte nella battaglia tra l’educazione culturale
e quella artistica-.
-In poche
parole il padre la idolatra mentre alla madre sta un po’ sul
ca…-.
-Rebecca,
piantala!- le grida Shaun.
La Crane gli
fa il verso con muti movimenti delle labbra. -Ci siamo. La
sincronizzazione è completa. Avvio lo status-.
-Rebecca,
appuntati da qualche parte che dobbiamo rimediare a queste
“lentezze” dell’Animus prima che Lucy si
faccia viva-.
Ma
chi è questa Lucy?
Penso.
-Ah,
un’altra cosa: smettila di farmi il verso-.
-Siamo
dentro!- gioisce lei.
[Repubblica
Fiorentina 1476]
Tra
la folla
in piazza apparve correndo la figura di una ragazza. Indossava un
semplice vestito verde e una camicia bianca a maniche tirate su di chi
ha avuto di che lavorare. I capelli di un nero intenso li teneva legati
alti, a mostrare delle spalle fine e una scollatura non troppo
eccessiva sul giovane seno. Qualche ciocca le cadeva sul viso, altre
sul collo. La pettinatura sembrava stesse cedendo, ma nonostante il
disordine dei capelli, ella celava un viso grazioso di giovane donna.
Gli occhi chiari, di un azzurro glaciale, scrutavano oltre la balaustra
che delimitava il campo della giostra, ed erano fissi
sull’ultimo cavaliere vinto da Giuliano.
-Francesco!
Francesco!- chiamò lei alzando una mano e allungandosi per
farsi notare.
Il bel
cavaliere era da poco risalito in sella al suo destriero. Quando la
vide, il baldo giovane le venne incontro traversando la lizza al trotto.
La giostra
si era ormai conclusa con Giuliano vincitore. Le fila dei cavalieri si
spargevano per la folla a ricevere gli omaggi della gente.
-Arianna,
siete venuta!- osservò sbalordito il ragazzo senza smontare
di sella.
-Potevo
mancare alla carica del mio fratello maggiore?- sorrise lei.
–Messer cavaliere, vi siete battuto con onore e maestria.
Giuliano deve aver faticato a buttarvi giù di sella- disse
con riverenza, nonostante si stesse rivolgendo ad un membro della sua
stessa famiglia.
Francesco di
Guglielmo de’Pazzi, per non confonderlo con Francesco
de’Pazzi fratello di Guglielmo e padre di Vieri, era un
diciassettenne alto, robusto e con gli occhi di ghiaccio e i capelli
biondi della madre Bianca.
-Anche lui
s’è battuto con bravura, nonostante era certo che
gli altri vassalli gliel’avrebbero data facile la vittoria!-
gioì Francesco. –Ma Arianna, siete giunta da poco,
ve’? Vi ho cercato con gli occhi all’inizio
dell’annunciazione, ma non c’eravate-.
-Perdonatemi,
Francesco, ma sono rimasta in bottega dal Verrocchio fino ad ora, e
fuggita di lì appena il fato me l’ha permesso. Mi
spiace essermi persa il vessillo de’Pazzi nel vento-.
-Non darti
pensa- fece dolce Francesco smontando di sella e affiancandosi alla
ragazza. –Vieni, accompagnami- le propose mentre
s’incamminava fuori dalla piazza.
Arianna
obbedì come fosse un ordine.
Al seguito
dei due apparvero gli scudieri di Francesco. Per la Piazza della Santa
Croce erano state messe una dozzina di tende a disposizione dei
partecipanti. Mentre Lorenzo si congratulava col fratello e lo stesso
Botticelli consegnava a Giuliano il suo premio, Francesco e molti altri
cavalieri si dileguarono dalla lizza esausti.
Francesco
lasciò il cavallo legato alla palizzata comune con
l’incarico ad un uomo di occuparsene e, una volta nascosto
dai teli del rifugio, prese a lasciarsi spogliare dagli scudieri
dell’usbergo e della cotta di maglia, tenuti indosso solo per
bellezza.
Arianna
sedé su una seggiola e osservò il fratello giusto
qualche istante, prima di concedergli un po’
d’intimità e distrarsi con altro.
-Bianca e
nostro padre sono a casa, immagino- disse Francesco con una nota di
rancore. Si lasciò indosso solo una linda camicia di seta
bianca e dei pantaloni. Si infilò gli stivali con sveltezza,
gli scudieri cominciarono a fare ordine in tenda pronti a riportare
l’armamentario nella casa del loro signore.
Arianna
chinò il capo. –Stamani hanno litigato a
colazione, poco prima che lasciassi casa per venire in piazza.
Papà si scusa molto con te, mentre mamma…
be’, era poco di parte e non avrebbe voluto che fronteggiassi
suo fratello, quindi puoi ben immaginare che commenti ne siano usciti
fuori-.
-Immagino,
immagino…- blaterò Francesco. –Ho gli
occhi e i crini di quella donna eppure non la sopporto quanto lei non
sopporta un po’ di competizione tra le nostre famiglie!-
eruppe sarcastico.
-Ora non
darti pena, Francesco- lo consolò lei andandogli incontro.
–Piuttosto: hai veduto Cosimo?- chiese.
Lui scosse
la testa. –Stavo per porgerti la stessa domanda-.
-Sapeva del
Torneo, ho immaginato che almeno lui, libero di poterlo fare, avrebbe
presenziato- disse lei.
Francesco
sospirò. –Ah, Cosimo, Cosimo…-.
Arianna
guardò fuori dalla tenda, oltre il lembo di teli che avevano
lasciato aperto gli scudieri, spariti con l’armamentario da
riportare a casa. Vide che la gente lasciava la piazza e i cavalieri si
preparavano a seguire il vincitore nel suo palazzo per festeggiare con
buon vino e leccornie.
-Devo
andare- disse Francesco inseguendo lo sguardo della sorella.
–Sono atteso al banchetto del pranzo come tutti i cavalieri e
non posso mancare, mi spiace. La bella Vespucci deve un bacio a tutti i
partecipanti!-.
-Ma dai!-
sbuffò Arianna con una risatina. –Un attimo fa
avrei detto che vai lì per il cibo, ghiotto come sei!-.
Francesco
azzardò una risata e uscì di corsa dalla tenda.
Rimontò a cavallo e si unì al corteo di uomini
che andavano verso il palazzo residenza dei Medici, ed Arianna
seguì la lunga carovana di stendardi e gente in festa fin
quando questa non sparì tra le strade di Firenze, lasciando
in piazza solo la lizza da smontare assieme all’impalcatura
che aveva ospitato la famiglia vincitrice.
.:Angolo
d’Autrice:.
Come prima
cosa…
Il
Torneo di Cortesia che si
tenne in Piazza della Santa Croce il 15 marzo 1476 è
realmente esistito. Giuliano de’ Medici ebbe
davvero con la Vespucci una relazione di cortesia vincendo in premio il
quadro fatto a lei dal Botticelli.
In secondo
luogo, so di avervi delusi con questo capitoletto cortino di sole 4
pagine, ma era necessario interrompere qui perché, oltre
alle regole della suddivisione in sequenze che lo detta, il cambio di
scenario successivo potrebbe confondere un poco le idee.
Il
discorsetto che fa Shaun per “ammazzare il tempo”
è molto importante per capire lo svolgimento della storia,
ma, soprattutto, la caratterizzazione dei personaggi che vedremo di
seguito.
La storia ci
dice che la coppia Guglielmo de’ Pazzi e Bianca de’
Medici ebbe quindici figli. Tra di essi ne ho scelti quattro che
costituiranno la trama della mia fan fiction.
Arianna e
Francesco di Guglielmo de’ Pazzi ricalcano le date di nascita
di due dei primi figli, ma sono del tutto inventati da me come
caratterizzazione fisica e ideologica. Per farla breve, Guglielmo e
Bianca non ebbero figli che chiamarono in quel modo e che somigliavano
a questi due personaggi.
Parallelamente,
però, Cosimo e Alessandra sono proprio “figli
della storia”. Il primo, destinato a diventare Arcivescovo di
Firenze dal 1508 in poi, iniziò il suo cammino cattolico
già all’età di otto anni. Nella mia fan
fiction, per motivi prettamente stilistici, resterà
attaccato alla famiglia per qualche tempo in più, fino alla
maturità, ed è di qualche anno più
grande.
Spero solo
che gli studiosi della materia non me ne vogliano! XD Chiedo venia a
chiunque cominciasse a sentire il doveroso bisogno di tagliarmi la
testa per un simile affronto. U.U
La
verità del perché sto postando così in
fretta è molto semplice: muoio dalla voglia di sapere cosa
ne pensate, e avendo già i successivi 13 capitoli pronti non
vedo perché restare fermi troppo allungo.
Un'altra cosa... la leggenda di Cassandra è
vera solo fino al punto in cui scappa da Agamennone.
Lo ammetto,
questa parte iniziale potrebbe sembrare… anzi…
è parecchio noiosa. Me ne sono accorta io dovendo rileggere
più parti dei discorsi di Rebecca e Shaun e ho notato
che… sì, avrei potuto pure risparmiarvi una
simile scemenza! XD
L’idea
di fondo di questa storia, seppiatelo, è una soltanto:
Arianna, apprendista veggente di Leonardo da Vinci, e per chiarire
tanto le idee vorrei mostrarvi un GRANDISSIMO spoiler su quello che
sono e saranno i capitoli dal 20 al 30-35 ^^ [LINK].
Già
dal prossimo post capirete perché, tra i mille artisti
che coloravano la Firenze dell’epoca, Guglielmo scelse
proprio lui a cui affidare la figlia. ^^
Perciò,
un caloroso augurio di restanti festività (oddio O.O Tra due
giorni ricomincia scuola °A°) e bacioni per la befana!
^^
***Piazza
della Santa Croce [LINK]***
***Ritratto
a Simonetta Vespucci (Botticelli) [LINK]***
***Logo della storia (beccato su enthernet sotto la voce "Myth" XD) [LINK]***
|
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Capitolo 2 *** In Bottega ***
In Bottega
La ragazza,
dopo aver lasciato la tenda, si guardò attorno beandosi
dell’amato silenzio che aveva ripreso terreno in
quell’area della città. Si stirò le
pieghe del vestito, si aggiustò i capelli, e solo allora
traversò la piazza e sparì in un vicolo buio. Da
una parte all’altra della stradina passava un filo con i
panni appesi ad asciugarsi al sole. Il vociare della folla la fece
prigioniera nel mare di gente che passeggiava per Ponte Vecchio,
fermandosi di bancarella in bancarella a godersi quella magnifica
giornata di primavera. La ragazza proseguì spedita sino alla
sponda opposta, dove trovò ad attenderla il corso principale
di Firenze, ancor più carico di gente.
Arianna
giunse in strada e, sorvegliata da alcuni armati della Repubblica,
tenne gli occhi bassi e camminò spedita.
Tutt’attorno vi erano le risate dei bambini e il vociare
degli adulti. Due poeti discutevano con anima accanto ad un carro di
foglie secche, beffandosi a vicenda delle proprie opere.
-Cane,
m’hai copiato! Lo so che ieri eri alla casaccia a
recitar’ le mie lettere!- esordì il primo.
Arianna si
soffermò a scrutare il secondo, che vestiva bene, da gran
signore, ma era solo un ragazzino in confronto all’uomo che
lo aveva appena insultato.
Cosimo
de’ Pazzi rispose così: -Chi t’ha detto
‘sta buffonata?- fece stupito e amareggiato. –Non
rubo le opere io. Sai chi sono?-.
-Sì,
lo so bene, razza di infame! T’hanno sentito gli amici miei:
strimpellavi le tue corde suonando le mie note e recitando le mie
parole!- ribadì l’altro con ancor più
rabbia in viso.
Arianna si
tenne distante, non sentendosela di intervenire dove il fratello
trovava difficoltà. Si mise all’ombra di un albero
piantato in mezzo alla pietra e posò le mani sulla
corteccia. Stette a sentire con un tremore lungo la schiena.
-Guarda coi
tuoi occhi cos’ho cantato ieri, sono sicuro che è
solo un malinteso, Sergio- si adoperò a prendere un
blocchetto dalla cintura e lo mostrò al compagno.
–Son tue ‘ste parole? Impossibile, le ho scritte in
serata la settimana scorsa- disse Cosimo con un po’ di timore.
Sergio
glielo strappò di mani e lesse avido sfogliando tutte le
pagine alla ricerca della truffa. Dopo un tempo che parve infinito, il
poeta restituì di malgrado al giovane il suo taccuino.
-Tieni.
Cosimo, perdonami, avevi ragione. Dev’essere stata una truffa
per farci azzuffare, eheh- rise quello.
Cosimo gli
mostrò un sorriso. –Non fa nulla, carissimo, ti
perdono- tornò serio. –Ma chi t’ha detto
‘ste cose?- chiese con un’ombra in volto.
-Voci, ma un
certo Ezio pareva l’artefice dell’accusa-.
-Ezio…-
pensò Cosimo. –Ezio Auditore?- domandò
stupito.
-Sì,
e c’era anche quell’altro con lui, stamani.
Federico, sì! Mi hanno trovato che cantavo al Mercato
Vecchio e mi hanno detto ciò- si fece rabbioso.
-Ezio non
era alla casaccia ieri sera, e nemmeno suo fratello- pensò
Cosimo ad alta voce.
L’altro
si strinse nelle spalle. -Te l’ho detto che volevano solo
farci azzuffare- ridacchiò.
-E tu ne
saresti uscito vincitore- constatò Cosimo guardandosi dalla
corporatura massiccia e ben piazzata dell’amico Sergio, che
era il doppio di lui.
-Quelli
lì ce l’hanno con la famiglia tua, Cosimo. Io
starei attento- lo ammonì.
Cosimo
scosse la testa guardando a terra. –No, quelli ce
l’hanno col ramo di Francesco e Vieri. Io e i miei fratelli
capitiamo in mezzo sempre per errore. Mio padre ha sposato Bianca, la
sorella del Magnifico! Perché una famiglia così
cara ai Medici come gli Auditore dovrebbe far del male a noi?-.
Sergio gli
mise una mano sulla spalla e gliela strinse con premura. –Ci
si vede presto. Riguardati-.
-Anche tu-
Cosimo lo salutò con un gesto del capo, poi il poeta Sergio
sparì tra la gente del corso.
Cosimo fece
per allontanarsi, ma Arianna gli andò incontro prima di
perderselo.
-Cosimo!- lo
chiamò sfiorandogli la manica.
Egli si
voltò con sorpresa. –Arianna!- esordì.
–Cosa ci fai in giro a quest’ora? Non dovresti
essere in bottega dal Verrocchio?!-.
Arianna
sfuggì al suo rimprovero. –Francesco, il nostro
Francesco, gareggiava oggi in giostra col Giuliano! Perché
non l’hai veduto?-.
-Avevo
impegni, sorella- rispose lui. –Te, piuttosto? Sei fuggita
dalle faticacce di bottega per assistervi, eh?- la riprese.
Arianna
annuì, sfoggiò un timido sorriso e
colorò le guance. –Io non le chiamerei faticacce.
Dipingere mi piace. E… Sì, son fuggita, ma vi
prego!- si apprestò a dire. –Non riferirlo
né a nostro padre, né a nostra madre! Tanto meno
al mio Maestro stesso, se lo incontri-.
Cosimo
scoppiò dalle risate. –Come vuoi, mì
dolce sorellina. Ma dimmi: Francesco se l’è
cavata?- chiese interessato.
I due si
incamminarono l’uno affianco all’altra.
-Sì,
egregiamente oserei aggiungere. Vederlo in lizza mi ha riportato al
cuore di come si divertiva in campagna, ai tornei che i Medici
organizzavano le estati…- fece sognante. –Dopo il
matrimonio de li nostri genitori! Ti ricordi? Che spettacolo! Da allora
Giuliano e Francesco sono diventati inseparabili! Non passa mai una
giostra in cui ci sia uno senza l’altro!-.
-Vedo che
mancano anche a te quei giorni. Sai, è curioso: ultimamente
Giuliano si permette più di rado qualche sfogo. È
come se d’un tratto fosse divenuto più prudente.
Prudenza per cosa, poi?- azzardò contrariato. –La
giostra di oggi non avrei proprio dovuto mancarla…-
parlottò tra sé e sé guardando il
limpido cielo. –Francesco non me lo perdonerà
mai!- rise.
-Su questo
hai ragione- constatò Arianna. –Ma dopo il torneo
Giuliano festeggia un banchetto nel suo palazzo, per pranzo. Se andrai,
spiegherò io la tua assenza a Bianca e Guglielmo- gli
sorrise.
Cosimo si
fermò. –Grazie, apprezzo il tuo buon coraggio
nell’affrontare nostra madre, almeno in questo,
ma… non posso. Guglielmo attende a casa il resto delle
commissioni che mi ha dato da fare. Ci rivedremo per cena e ci
mangeremo sopra con la famiglia tutta- pronunciò allegro.
-Sì,
buona idea- assentì Arianna.
-Penso che
il tuo tempo sia scaduto: adesso è meglio che tu vada,
Arianna, prima che il Verrocchio mandi le guardie a cercarti e questa
storia giunga alle orecchie di Bianca-.
Arianna
sbuffò. –Tra tutti i mali, i castighi di quella
donna sono i peggiori- brontolò.
Cosimo le
carezzò i capelli. –A ‘sta sera- disse e
si allontanò per strada.
Arianna
riprese la sua via quasi correndo.
Allontanandosi
dalla gente in strada, giunse incontro ad un giovane uomo sopraffatto
da alcune pergamene, carte e oggetti vari. Stava in piedi a pochi passi
dalla porta d’ingresso della bottega e aveva
difficoltà nel bussare per avvertire del suo arrivo.
Arianna, per
cortesia, si affiancò a lui e chiese: -Avete bisogno di
aiuto, ser?-.
Senza sapere
con chi stesse conversando, temé che potesse trattarsi del
Verrocchio stesso.
Il ragazzo
riuscì a voltarsi e guardare nella direzione di lei.
Tra un
foglio e l’altro Arianna intravide due luminosi occhi azzurri
e alcune ciocche di lisci capelli mielati stretti in un berretto rosso
da pittore.
Entrambi
sobbalzarono.
-Arianna!-
la riconobbe lui.
-Leonardo!-
si stupì lei.
L’artista,
mirandosi attorno circospetto e stando ben attento a non far cadere le
carte, domandò in ansia e sottovoce: -Che ci fate fuori
dalla bottega?! Andrea vi cercava come un matto, e
c’è mancato poco che chiamasse le guardie! Non
può mica permettersi di perdervi, o vostro padre gli
taglierebbe la testa! Siete una Pazzi! Valete quanto il busto di
Giuliano al quale lavora-.
-So bene chi
sono, Leonardo- formulò la ragazza intimorita. –Ma
mio fratello gareggiava in giostra e sono fuggita per…-.
-Adesso non
c’è tempo, mi spiegherete più tardi.
Bussate!- ordinò.
-Cosa?!-
eruppe la ragazza.
-Bussate ho
detto! Fidatevi!-.
Arianna non
se lo fece ripetere, e bussò alla porta della bottega con
convinzione nonostante le tremassero le gambe.
Traditore!
pensò la giovane.
Ad aprire la
porta fu di Cione stesso, il Verrocchio che, appena li vide,
sprizzò orrore e sorpresa.
-Arianna!-
strillò esangue, e dai vari corridoi della bottega si
affacciarono i volti curiosi di tutti i novizi orafi.
La ragazza
strinse convulsamente le dita attorno alla stoffa del vestito, e
serrando le labbra azzardò un inchino di scuse.
–Maestro, io…-.
-Arianna era
con me, Andrea-.
De’Pazzi
sgranò gli occhi e si voltò a guardare Leonardo
sovrastato di carte e pergamene.
-Con voi?!-
si stupì Andrea. –Leonardo, vi mando a recuperare
da casa vostra un progetto che avete scordato e ripagate la mia
negligenza rubandomi un’allieva dalla bottega?! Ho cercato
Arianna in lungo e in largo, ad un certo punto nessuno l’ha
veduta più! Cominciavo a temere per la mia testa: Guglielmo,
ma Bianca soprattutto, avrebbe potuto denunciarmi al Magnifico!-.
-Non era mia
intenzione portarvi tanto scompiglio in cuore- ammise Leonardo con
tranquillità. –Vi prego, non scaricate colpa
alcuna su questa ragazza. Ho insistito personalmente perché
mi accompagnasse, e, pur di non perder tempo, l’ho fatta
fuggir via senza avvertirvi-.
Andrea di
Cione restò allungo imprigionato in una maschera di stupore
e furore assieme.
Leonardo e
Arianna, l’uno affianco a l’altra di fronte a lui,
apparivano un bel quadretto di mancata disciplina e insolenza che gli
faceva venire i bollori freddi e palpare il cuore.
-Dentro!
Tutti e due!- richiamò con sgarbo indicandogli la soglia.
–E che la vergogna possa lacerarvi entrambi-
borbottò poi richiudendo l’uscio un volta che
furono entrambi oltre l’ingresso.
Arianna
tenne lo sguardo a terra, mentre Leonardo si avviò su per le
scale faticando a tenere l’equilibrio sui gradini con tutta
quella roba in braccio.
La vicenda
aveva attratto molti occhi curiosi. Arianna sentiva pungerle la pelle
da quegli sguardi pieni di rancore e invidia nei suoi confronti. Lei,
unica donna a mettere le mani ai pennelli: intoccabile dalle punizioni
esemplari, e spesso corporali, che impartiva il Verrocchio in quei casi.
-Arianna,
vostro padre non verrà a sapere di questo fattaccio
perché tengo alla mia testa, ma auguro al vostro buon senso
di ordinarvi un minimo di sincerità. Signorina, siete un
raro tesoro nella mia bottega, ma questo non vi autorizza a
bighellonare per la città senza avvertirmi. Che non si
ripeta più- l’ammonì.
Arianna
sprofondò il mento nel petto, alcune ciocche dei capelli le
caddero dinnanzi al viso nascondendola come tende. –Vi porgo
le mie scuse, Maestro, e giuro che non si ripeterà
più- mormorò.
Andrea le
sollevò il mento con due dita. –Abbiate almeno
coraggio di guardarmi negli occhi se proprio volete che assecondi le
vostre scuse-.
La ragazza
annuì e tenne gli occhi di ghiaccio fissi in quelli castano
profondo del suo mentore.
-Adesso
va’- le ordinò severo. –Di sopra ti
attende una tela pulita. Fa’ un buon lavoro con
l’esempio che ti ho lasciato davanti-.
Arianna lo
ringraziò con un leggiadro inchino e si avviò per
le scale.
Giunta al
secondo piano della costruzione, trovò ad attenderla
un’ampia stanza ben illuminata da grandi finestre.
Trasparivano i raggi del sole proiettando luce sul lucido pavimento in
legno. Cavalletti per le tele, mobiletti, tavole per i colori e
bacheche erano sparse qua e là per la camera, che ospitava
un gruppo ristretto di poca gente. Vi erano anche scaffali colmi di
libri là dove il muro era privo di vetrate.
Erano in
totale un pugno di artisti: ciascuno seduto dinnanzi la propria tela
bianca o già iniziata, dipingeva con grazia nel silenzio ben
tenuto.
Lì
tutto e tutti tacevano, non come le sale degli orafi e degli scultori
al piano di sotto, dove il rumore degli scalpelli e del metallo contro
metallo era assordante.
La stanza
della tempera era silenziosa come l’aula di una biblioteca.
Se si parlava era con sussurri o a gesti, perché non si
poteva rischiare di compromettere il lavoro altrui per una parola di
troppo. Alle volte qualcuno suonava per allietare la pittura, delle
altre si recitava un sonetto o qualche verso della Divina Commedia per
stimolare la fantasia e il pensiero. Ma niente più.
La scala
proseguiva per un terzo piano. Questo ospitava un’altra bella
stanza come quella, ma presieduta dal Verrocchio stesso e riservata di
frequente utilizzo ad artisti che avevano commissioni importanti.
Appena
entrata in camerata, Arianna si sentì sopraffare
dall’imbarazzo.
Gli sguardi
indignati di alcuni l’assalirono subito, la compassione di
altri non bastò a rallegrarla.
Si
allungò fino al suo solito posto, sullo sgabello posto
dinnanzi al cavalletto e la tela bianca che l’attendevano
lì dalla mattina. Non si volse mai, se non per guardare il
soggetto che Andrea aveva lasciato sul mobiletto lì accanto.
Era una
solita natura morta di frutta, assieme a qualche ramoscello appena
colto dal melo nel cortile. Arianna riconobbe la fattura delle foglie e
si sentì cullata dal profumo intenso di tempera misto
all’aroma che proveniva dalla frutta.
A sua
disposizione Andrea aveva messo ogni cosa necessaria:
dall’acqua per pulire i pennelli, ai colori. Persino i
pennelli stessi erano disposti in ordinata fila dal più fino
al più grosso.
Arianna era
quasi per prenderne il primo quando si udì nominare alla sua
sinistra.
Cercò
di non voltarsi, riconoscendo la voce di Davide Marrozzi.
-Alcuni
artisti ogni tanto hanno bisogno di distrarsi- ridacchiò
egli senza interrompere la propria mano che ‘pingeva
–e fanno un passo al bordello, ma voi madonna, di grazia,
dove siete stata?-.
Alcuni si
permisero una risata, appoggiando il suo spirito, altri fecero
“ssssssh!” volendo proseguire indisturbati.
Arianna si
sentì sprofondare sempre più in basso.
Fu Gallo
Cecconi ad intromettersi, dicendo a Davide in un sussurro: -Ha
accompagnato Leonardo in casa a recuperare i disegni
dell’Angelo per il Battessimo del Cristo- lo
informò.
Davide
allora tacque pensoso, forse preparandosi una prossima battutina. Fu
lì per dirla, ma quando si accorse degli sguardi furenti che
gli volsero gli altri artisti attorno, si cucì bocca.
Il silenzio
tornò sacro.
Arianna
iniziò il disegno con fretta e disattenzione.
Schizzò una prima mezza figura del piatto che conteneva la
frutta, ma poi la voglia le venne meno e si permise di guardarsi
attorno, distraendosi un po’.
Fu allora
che notò una figura familiare scendere le scale, venendo dal
terzo piano.
Arianna
sorrise a Leonardo che fece altrettanto quando incrociò i
suoi occhi. Poi Andrea lo raggiunse sul pianerottolo ed entrambi gli
artisti scomparvero di sopra.
Sono anni
che lavorano assieme al Battesimo di Cristo pensò Arianna.
Se non sbaglio è commissionato al Monastero di San Salvi di
Vallombrosa. Mi piacerebbe vedere l’opera conclusa, sarebbe
un onore immenso…
Lorenzo di
Credi, il garzone più giovane della bottega, interruppe il
filo dei suoi pensieri.
-Arianna, la
tempera vi cola sulla gonna- notò il ragazzo.
-Oh,
porca!…- imprecò lei accorgendosi di essere
rimasta col pennello fermo a mezz’aria fissando il vuoto
delle scale dove, fino a poco prima, aveva intravisto Leonardo ed
Andrea.
La ragazza
lasciò cadere il pennello nel barattolo dell’acqua
e si guardò la gonna del vestito macchiata
all’altezza del ginocchio di bluastro.
Bianca mi
ucciderà appena lo vede!
Si
affrettò a pulire il pulibile e ringraziò Lorenzo
che le sedeva accanto lavorando ad un ritratto di donna.
Venne
l’ora del pranzo annunciata dal suono delle campane, e la
bottega si svuotò dei suoi garzoni che defluirono in una
grande stanza al pian terreno nella quale avrebbero pranzato tutti
assieme.
Arianna vide
Lorenzo di Credi defilarsi quasi per primo dalla camera della tempera,
inseguito da Gallo e Davide che gli mettevano le mani tra i boccoli
biondi per diletto, deridendolo per l’aspetto da bambola che
aveva.
Quelli se la
prendono con tutti, eh? Sbuffò Arianna continuando a
dipingere.
-Madonna- la
chiamò d’un tratto una voce femminile. Ella si
volse e riconobbe sulle scale la damigella incaricata di prelevarla
dalla bottega e accompagnarla a casa per il pranzo.
-Viviana- la
salutò amorevolmente. –Ho quasi finito, fatemi
ritoccare un po’-.
La donna,
che vestiva di un abito lungo color miele, le venne incontro.
–È bellissimo- commentò.
–Siete sicura di averlo fatto voi?-.
-Questo
complimento è vecchio quanto il cucco, Viviana- rise Arianna.
Viviana
aveva qualche anno più di lei, ma era affettuosa e premurosa
come la madre che non aveva mai avuto.
La donna le
carezzò i capelli. –Ho saputo che il tuo ultimo
quadro a piacere ha riscosso tante polemiche. Sono curiosa: posso
vederlo?- chiese.
Arianna si
alzò dallo sgabello e si avvicinò ad alcune tele
coperte da un mantello di seta poggiate in terra, in un angolo della
stanza accanto alle finestre. –Sì, ve lo mostro,
solo un momento- disse sollevando un lembo del telo e sbirciando qua e
là alla ricerca del suo quadro.
Appena lo
trovò, si stupì lei stessa di ciò che
vi vide raffigurato. Il ricordo di quelle immagini le balzò
alla mente come un getto d’acqua fredda sulla pelle.
Trasse il
dipinto dagli altri. Non era molto grande, alcune parti incomplete, e
lo mostrò a Viviana con neutralità.
La donna
restò allungo ammaliata dalle figure accuratamente disegnate
e ritoccate con la tempera in modo divino. Ma quando apprese il senso
di quelle pose e di quei gesti, si portò una mano alla
bocca, esterrefatta e spaventata.
Sullo sfondo
vi erano gli emblemi del Regno di Napoli; la grande camera ritratta
ospitava decine di persone, alcune piegate in terra, altre a vomitare,
altre ancora a stringersi la gola senza riuscire a respirare.
Alla tavola
sedeva un uomo vestito in modo sfarzoso. Si cibava di un piatto di
funghi, e accanto gli stava un uomo di simili fatture. Forse un
fratello.
Viviana
notò con disgusto i piatti vuoti degli altri ospiti del
pranzo, i quali soffocavano per via dei funghi che l’uomo
mangiava. Presto anch’egli avrebbe fatto quella fine.
In un angolo
sulla destra era raffigurato un Santo che appariva dal nulla,
là dove Arianna non aveva concluso le nuvole che lo
circondavano e i raggi del sole che lo illuminavano. Ai piedi del Santo
stava una donna anch’ella ben vestita. Forse la moglie
dell’uomo che mangiava i funghi.
-Madonna,
cosa accade nel dipinto?- volle domandare ugualmente Viviana,
sentendosi venir meno.
Arianna
tenne gli stessi occhi di sempre. –A saperlo, Viviana- scosse
la testa. –Ho veduto questa scena nella mia testa, ho trovato
bello dipingerla, ma… a poco a poco capivo anch’io
cosa stavo ritraendo. Quando mi sono fermata era troppo tardi: Andrea
di Cione l’ha veduto e per poco non l’ha voluto
bruciare-.
-Chi
è l’uomo alla tavola sapete dirlo?-.
-No, ma
qualcuno del Regno di Napoli. Gli stemmi… la stessa mano che
li ha fatti li ha riconosciuti-.
-Ora
capisco- mormorò Viviana. –Quindi avete immaginato
tutto?-.
Arianna
annuì. –Sì, almeno spero…-.
-Basta, vi
prego, mettetelo via. Voglio ricordarvi che vostro fratello oggi
è a pranzo da Giuliano. Una simil’ visione
potrebbe portargli sfortuna-.
Arianna non
volle credere alle sue parole, ma per qualche istante restò
interdetta e in ansia. –Va bene, andiamo a casa prima che mio
padre ci dia disperse- le sorrise, ma Viviana tenne la paura in viso
per il tempo che seguì.
Arianna
rimise al suo posto la tela e la coprì con la mantella
assieme alle altre. Si avviò sulle scale assieme alla
damigella e, giunte al pian terreno, venne loro incontro Andrea.
-Allora a
domani, Arianna- la salutò il Verrocchio.
Arianna si
permise un inchino, e fece altrettanto la damigella, costringendosi a
star serena dopo la vista orripilante di quel quadro.
.:Angolo
d’Autrice:.
Su grande
richiesta di goku94
ecco l’aggiornamento promesso!
Su questo
capitolo non ho nulla da ridire, se non che le vicende di Arianna si
ispirano ad un modello tutt’altro che realmente storico di
donna medievale. Anche se si era brave a disegnare, all’epoca
poteva capitare che una donna dipingesse? In una così
prestigiosa bottega, poi? Ovvio che no.
Ecco da che
proposito parte l’ideazione di questa storia.
*Incipit:
l’accaduto a Cosimo è solo un piccolo esempio di
pregiudizio avverso alla sua famiglia. Il ramo de’Pazzi di
Guglielmo, tendo a sottolinearlo ogni volta che posso, fu neutrale alla
congiura ma… ne accaddero delle brutte!*
Ringrazio goku94
e renault
per i commenti al capitolo precedente e via, verso l’infinito
e oltre! XD
Andrea
di Cione [LINK]
(Firenze 1437-Venezia, 1488), detto il Verrocchio, era quinto
di otto figli e fu pittore attivo nella corte medicea e orafo. Il
padre, Michele di Cione, da fabbricante di piastrelle che era divenne
esattore delle tasse. Andrea non si sposò mai e fu costretto
a badare ad alcuni tra i suoi fratelli e sorelle per via dei problemi
economici della sua famiglia. Accolto alla corte di Piero e Lorenzo de'
Medici, vi rimase fino a pochi anni prima della sua morte, quando si
spostò a Venezia per lavoro, pur mantenendo la sua bottega
fiorentina.
Benché
fosse l’artista favorito del Magnifico, non ebbe mai a che
fare con la famiglia Pazzi, specie tramite una ragazza che venne a
studiare nella sua bottega!
Il
Battesimo di Cristo [LINK]
nasce come dipinto commissionato al Verrocchio solo, ma egli decise di
avvalersi della bravura del suo più valido discepolo. A
Leonardo spettò lavorare sull’angelo di
sinistra e sui fondali paesaggistici. La realizzazione è
datata 1474-75, perciò, avendolo collocato invece nel
’76 spero anche sta volta che gli storici non me ne vogliano.
Enrico
d’Aragona [LINK]
(Valencia, circa 1431 – Terranova da Sibari, 21
novembre 1478) è il soggetto del dipinto di Arianna. Fu
feudatario napoletano e Marchese di Gerace. Capitai per caso sulla sua
pagina wikipedia mentre cercavo non ricordo cosa e, leggendo la sua
biografia, scoprii che morì giovane a Terranova di Sibari,
presso la cui corte era ospite a pranzo. Per via dei funghi velenosi,
morirono assieme a lui molti funzionari di riguardo. La donna non
è altri che la moglie di Enrico. Ella si appella al Santo
San Francesco di Paola pregando perché suo marito non lasci
cinque figli e una dama vedova.
Lorenzo
di Credi [LINK]
(Firenze 1459 – 1537) attraverso una biografia su Leonardo
risalgo a lui come il migliore amico (durante il tirocinio in bottega)
dell’artista. Probabile che tra i due ci fosse anche qualcosa
di più… compromettente. Ricordato per il
carattere particolare delle sue linee, Lorenzo era il più
giovane in bottega (senza contare Arianna), ciò nonostante,
alla partenza del Verrocchio per Venezia, e successivamente alla sua
morte, fu il “Lorenzino” ad occuparsi della sua
gestione, nominato erede dallo stesso Andrea.
Viviana
è un personaggio inventato da me ed è la dama di
compagnia di Arianna, se così possiamo chiamarla.
Solitamente era la serva ad essere più grande
dell’accudito, ma per Arianna volevo che fosse il contrario.
Gallo
Cecconi e Davide
Marrozzi sono altri due personaggi di mia fantasia. Nella
bottega del Verrocchio vennero accolti molti artisti ed orafi, di quali
non si ricorda il nome perché non ebbero riguardo storico
successivo al tirocinio. Antipatici quanto brutti.
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Capitolo 3 *** La goccia che fece traboccare il vaso ***
La goccia che fece traboccare il vaso
-Arianna-.
La
ragazza alzò gli occhi dal
piatto e
lasciò la forchetta. –Sì, madre?- fece
disponibile guardando la donna che sedeva a capo tavola.
Bianca
de’ Medici restava sempre
bella,
con biondi capelli tenuti corti in morbidi piccoli boccoli. Un
cerchietto di perle glieli tirava un po’ indietro, lasciando
che le cadessero ancor più giovanili attorno al viso da gran
signora. Indossava un vestito bianco e porpora, i colori che
più le si addicevano, e aveva l’aspetto di una
regina.
Il
tavolo era imbandito per il pranzo che
stava
tenendosi in veranda da quasi un’ora, tra il chiacchierare
allegro dei componenti familiari e il via vai delle portate.
Al
capo opposto della tovaglia sedeva
Guglielmo,
la cui imponenza faceva invidia al baldo giovane Francesco, assente
quella mattina. Il signore di casa raggiungeva la quarantina
quell’anno. Gli occhi autoritari e di un verde acceso, la
chioma castana ordinata e racchiusa in un sobrio diadema
d’argento. Vestiva di abiti non troppo formali e presenziava
alla tavola con un costante silenzio, distratto da alcuni fogli che
cominciò a leggere senza aver ancora toccato cibo.
Bianca
inarcò un sopracciglio.
-Arianna mia, Viviana ha veduto una macchia di vernice sul vestito che
avevi con te in bottega stamattina-.
Accanto
ad Arianna sedeva Cosimo, che
guardò la sorella con stupore.
-Io…-
esitò Arianna
guardandosi attorno. Cercò gli occhi di chi
l’avrebbe protetta da un possibile rimprovero sgarbato, ma
Guglielmo era assorto nei suoi affari che l’avrebbero tenuto
impegnato per tutto il pranzo se necessario.
Il
vestito con il quale aveva sostituito
quello
macchiato appena tornata a casa, era di un blu ciano lindo e
impeccabile che, assieme al bianco candido della camicia sottosante al
corpetto, esaltavano gli occhi azzurrissimi di lei. I capelli, ordinati
e pettinati, ora le cadevano in una magnifica treccia sulla spalla.
-Ebbene?-
insisté la madre.
–Credi che non faccia conto di certe cose? Arianna, la
tempera è dannosa per i nostri tessuti, lo sai bene-.
-Hai
macchiato il vestito…-
mormorò incredula Alessandra, la sorella un anno
più piccola di lei che sedeva alla destra della madre,
mentre sulla sinistra vi era Cosimo sempre più in ansia.
Il
ragazzo fulminò la piccola
Pazzi
con un’occhiataccia. –Parli proprio tu, Alessandra,
che t’ho visto arrampicarti sul muretto e cadere nella terra
del giardino-.
Alessandra
mise il broncio e
tornò al
suo piatto.
Arianna
teneva la testa bassa.
–Mi
assumo la colpa dell’accaduto, madre, ma non
succederà più. Tengo molto a quel
vestito…-.
-Non
mi sembra!- obbiettò
Bianca.
–Da domani andrai in bottega col grembiule. Ed osa tentare di
eludermi ancora, cambiandoti di vestito, e prenderò
provvedimenti ancor più seri-.
-No!-
contestò Arianna.
–Il
grembiule, vi supplico madre, no!- si sporse avanti sul tavolo.
Guglielmo
sembrò apparire sulla
tavola
solo in quel momento. –Posso sapere cosa sta succedendo?-
domandò ripiegando le carte di lato.
Bianca
guardò lo sposo negli
occhi.
–Arianna ha macchiato il vestito in bottega, stamattina- lo
informò.
-E
mamma vuole mandarla a dipingere col
grembiule- ridacchiò Alessandra.
-Zitta
te!- sibilò Cosimo.
-E
da quanto ho capito Arianna si rifiuta
di
convenire tale… costrizione- assentì Guglielmo.
-Costrizione
dite voi, mio sposo?- si
stupì Bianca. –Ma quale costrizione! È
necessità! Le nostre serve non possono permettersi altro
tempo sui vestiti di Arianna. La tempera va via solo con costanza,
insistenza, e…-.
-Ma
per tutti i vostri bei lini delicati le
serve
il tempo lo hanno, non è così, mia sposa?- si
beffò Guglielmo.
Bianca
restò a bocca aperta,
interdetta da quelle amare parole.
Guglielmo
si volse verso la figlia
maggiore.
–Arianna, sarei lieto se tu facessi più attenzione
in futuro. Un altro scherzetto di questi e potresti perdere quel bel
vestito che hai, rovinato per sempre dal troppo sapone su di esso
strofinato- l’ammonì severo.
La
ragazza annuì.
–Comprendo, padre. Ve lo prometto: farò
più attenzione- gli sorrise.
-Bene-
sospirò messer
de’
Pazzi, e solo allora notò il posto vuoto alla sua destra.
Inarcò un sopracciglio e cominciò a consumare
finalmente il suo pranzo. –Francesco
è…- s’interruppe, così che
Cosimo proseguisse per lui.
-A
palazzo de’ Medici. Invitato a
pranzo in onore della vittoria di Giuliano alla giostra di stamattina,
padre-.
Inizialmente
Guglielmo parve adombrarsi a
quella
notizia, ma poi gli sfuggì un sorriso.
-Hmm,
perché la cosa non mi
sorprende?- arrise l’uomo.
-Cosa?-
azzardò Cosimo confuso.
Sulle
labbra del signore si
allungò un
sorriso. –Che Giuliano sia uscito vincitore, intendo.
Perché non mi sorprende?-.
-Il
premio della competizione era un quadro
alla
Vespucci del Botticelli, padre- lo informò Arianna.
Bianca
ne rimase sorpresa, ma tenne il suo
solito
contegno.
-Vespucci,
la bella Simonetta-
ammirò
Guglielmo.
Bianca
si tese sulla sedia. –La
conoscete?- si stupì con amarezza.
-E
chi non la conosce!- esultò
Cosimo.
La
madre lo fulminò con
un’occhiataccia eloquente, mimando che ne avrebbero discusso
a quattr’occhi in privata sede.
Cosimo
stette muto da allora e
cercò
di farsi solo i fatti propri.
-Mia
sposa- rise Guglielmo.
–Abbiamo un
quadro del Botticelli in stanza nostra. Conobbi la Vespucci quando
andai a ritirare il dipinto presso il suo studio-.
-Capisco-
fece la dama poco convinta.
Arianna
sfuggì una risatina al
sol
pensiero di sua madre così sospettosa. Non si addiceva a
Bianca provare un simile riguardo che non fosse la collera.
Anche
la piccola Alessandra notò
quell’insolita virgola in volto alla madre e, prendendo una
forchettata della sua carne, scambiò uno sguardo complice
con la sorella maggiore che le sedeva accanto.
-Tornando
alla radice del discorso- riprese
la
donna de’Medici severamente. –Continuo a pensare
che Arianna stia solo sprecando tempo in bottega- assentì.
In
principio il resto dei familiari
ignorò quelle parole, e tutti tacquero.
Ma
poi Bianca guardò il marito
fisso
negli occhi e lo sorprese con il boccone a mezz’aria.
-Era
tanto che desideravo annunciarlo-
sospirò Bianca con stupore del marito. –Guglielmo,
è ora di interrompere il debito con il Verrocchio-
annunciò.
Alessandra
sgranò gli occhi.
Cosimo
per poco non si strozzò
bevendo.
Arianna
si voltò senza parole
verso il
padre fedele, ma Guglielmo sembrava altrettanto sconvolto quanto i
figli.
-Bianca…-
esitò il
nobile
uomo. –Non mi sembra questo il momento adatto. Lascia almeno
che si finisca il pranzo- suggerì.
-No,
Guglielmo. Voglio che, nonostante
l’assenza di Francesco, Cosimo e Alessandra ne siano
testimoni- ordinò la donna stirandosi le pieghe sul vestito.
Guglielmo,
in leggero disaccordo con la
moglie,
scambiò un’occhiata prima con Cosimo e poi con
Alessandra. –Ebbene, che restino- disse soffermandosi sulla
sua prediletta, ma Arianna teneva il mento nel petto e gli occhi bassi,
piena di vergogna.
-Se
si tratta del vestito, madre,
permettetemi di
dirvi che non v’è motivo di tanto astio.
Arianna…-.
-Cosimo,
t’ho chiamato a
testimone, ma
non è richiesta la tua parola- sbottò Bianca.
Il
ragazzo tornò muto.
-Basta
così- proruppe
d’un
tratto Guglielmo, con grande sorpresa di Bianca stessa. –Pare
che vostra madre non voglia sentire ragioni e desideri affrontare
questo delicato argomento oggi stesso. Intraprendere un simile discorso
e doverci interrompere per ogni vostra scaramuccia è
alquanto increscioso, perciò suggerisco di rispettare il mio volere. Mi
spiace solo aver interrotto il vostro pranzo- guardò i due
figli Cosimo e Alessandra. -Potete andare- aggiunse il Pazzi ignorando
la collera della moglie, la quale sosteneva il volere contrario.
Cosimo
e Alessandra si alzarono di tavola
in
sincronia e, mentre si avviavano in silenzio fuori dalla veranda,
vennero alcuni servi a togliere i loro piatti vuoti.
Seduti
restavano solo Bianca e Guglielmo
agli
estremi, l’uno di fronte all’altra, e la gracile
Arianna nascosta dalla frangia dei capelli in uno dei due posti accanto
al padre. Sul seggio di fronte sarebbe dovuto esserci Francesco, alla
destra di Guglielmo, ma egli era fortunatamente in un posto migliore.
Bianca
non faceva onore alla
cordialità e all’anima buona dei suoi fratelli.
Arianna si era sorpresa più volte della mente tanto aperta e
illuminata di Lorenzo e dello spirito ardito di Giuliano, il quale si
era conquistato la grande amicizia del suo fratello maggiore Francesco.
Bianca
poteva dirsi la reincarnazione della
matrigna delle favole. Nonostante fosse madre per sangue di Arianna,
restava scontenta di qualsiasi cosa dicesse, facesse o anche solo
pensasse. Disprezzava la sua dote nell’arte, considerandola
solo uno spreco di tempo, fatica e dedizione che avrebbe voluto
impiegasse nel cucito o negli studi privati. Sarebbe stata persino
più contenta di vedere la figlia in convento piuttosto che
con il pennello in mano.
-Esigo
delle spiegazioni, Guglielmo-
esordì schietta, furibonda. A stento si tratteneva dal
graffiare il tavolo con le unghie. –Tu mi umili
così davanti ai miei figli, insultando la mia figura,
contraddicendo le mie parole!-.
-Credevo
ne avessimo già
discusso
molto tempo fa- pronunciò composto Guglielmo, senza staccare
gli occhi da quelli pieni di ira della moglie. –Arianna ha
talento, passione, e dipingere credo sia l’unica cosa che la
rende felice. Non le strapperai anche questo-.
-Perché?!
Cos’altro le
ho
portato via?!- sbottò la donna. –È lei
che mi ha rubato l’orgoglio di avere una figlia! Lei e
quell’altra!- strillò indicando la soglia varcata
poco prima dai due fratelli congedati, alludendo soprattutto ad
Alessandra. –Figlie, donne che m’ignorano,
ignorarono la loro madre per inseguire i sogni!-.
-Non
mi pare che siate così
accorto di
compagnia come dite, amore mio- azzardò cauto Guglielmo.
–Perdonatemi se stamani vi ho impegnato Cosimo che di solito
trascinate con voi al mercato. Ma egli mi era utile poiché
Francesco è impegnato a Torneo, e gli spettavano delle
importanti commissioni. Non accadrà più-
precisò.
Arianna
guardò la madre, che
d’un tratto aveva assunto un’aria stanca e
sconsolata.
-Non
si tratta di questo…-
mormorò Bianca esangue. –Con voi accanto, mio
sposo, non sentirò mai la solitudine, mai- fece dolce.
Guglielmo
le sorrise.
-Ma
sono profondamente turbata dal fatto
che le
nostre figlie imbraccino le armi e i pennelli, mentre Cosimo mi
accompagna nelle passeggiate, ecco tutto- ammise più serena.
–Non è mia intenzione negare ai ragazzi
ciò che piace loro, o Francesco sarebbe qui invece che
prendere parte al torneo, sfidando mio fratello con tanta caparbia-.
-Ecco
l’altra spinosa questione,
dunque- esordì Guglielmo. –La competizione tra i
due vi ingelosisce?-.
-Affatto-
Bianca scosse la testa.
–Mi
sento solo in dovere, come madre, di proteggerlo. Il gioco, la caccia
ad una donna, potrebbe un giorno indurli a sfidarsi davvero, e come
ultima volta- proferì grave. –Conosco mio figlio,
ma specialmente mio fratello-.
Sul
volto di Guglielmo passò
un’ombra. –Ora comprendo-.
-Bene,
ne sono lieta- sorrise Bianca.
-Ma
le vostre gelosie non terranno nostra
figlia
lontano dalla bottega- si apprestò a dire lui.
–Non ne avete motivo- bevve un sorso di vino.
Bianca
cambiò nuovamente colore
in
faccia. –Guglielmo!-.
-Ah!
Questo era l’intento vostro,
dunque, raggirarmi! Moglie mia, siete astuta e malvagia anche a tavola
e non solo a letto-.
Arianna
si volse di colpo.
–Padre!-
arrossì visibilmente.
Guglielmo
stava sereno.
-Non
tocchiamo questo tasto, signore-
sibilò Bianca.
-Madonna
mia, credete forse che 15 figli
nascano
dal nulla?- si permise una festosa risata.
Ad
Arianna sfuggì un sorriso.
-Basta,
Guglielmo, per favore!- proruppe
ancora
la donna.
-Penso
che Arianna sia abbastanza adulta
ormai
per sentir circolare certe voci. In un ambiente come quello
dell’arte, poi, ne avrà sentite pure di peggiori!-
Guglielmo rideva senza sosta.
Bianca
sembrò aver trovato
ciò che cerava in quell’ultima affermazione del
marito, perché quasi balzò in piedi per quanto
s’illuminò.
-Voci?
Quali voci? E di che ambiente
parlate?-
s’interessò la dama.
Guglielmo
arrestò poco a poco la
sua
gioia, vedendo che l’espressione in viso della figlia si era
fatta supplichevole affinché smentisse l’appena
pronunciato.
Ser
de’Pazzi tornò
serio
sulla sedia. –Niente, niente…-
vaneggiò. –Ignorate i miei discorsi privi di
pudore- disse mettendo in bocca il cibo.
Bianca
guardò Arianna che nel
frattempo era tornata a fissare il proprio piatto vuoto davanti a
sé, senza alzare il naso da lì.
-Arianna,
credi che non lo sappia?-
cominciò la donna interpellandola e lasciando il marito
mangiare.
La
fanciulla si guardò con
attenzione
da lei. –Cosa, madre?- fece confusa.
Bianca
sfoggiò un malizioso
sorriso e
bevve dal suo bicchiere. –So in che modo ti guardano gli
altri artisti nella bottega, e anche che trattamento ti riserva il
Verrocchio solo perché sei figlia di tuo padre. Egli
è troppo indulgente con te, e tu stai troppo buona-.
Arianna
s’irrigidì.
–E voi come fate a…?-.
Bianca
rise tra sé e
sé.
–Ho i miei contatti, così come Guglielmo ha i
suoi- e guardò il marito.
-Mi
tirate in causa, madonna,-
l’uomo
ingoiò –ma non capisco cosa
c’è che ancora vi turba-.
-I
suoi compagni- e indicò
Arianna
–la disprezzano, amore mio, la insultano, approfittano di lei
e la guardano con occhi malvagi. Arianna, da parte sua, è
silenziosa e accondiscendente come sempre, ma comincio a temere per la
sua vita. Con un precettore che le insegni il latino e le bastoni le
mani, imparerebbe a farsi rispettare. Dopotutto è una Pazzi,
e non può permettersi una tale debolezza-.
-La
rovinereste ancora di più
isolandola nelle sue stanze in questo modo- insisté
Guglielmo. –In bottega il Verrocchio mi ha riferito di
quant’ella è solare e felice nella pittura-
sorrise verso la figlia. –Ed io, lieto che abbia trovato la
sua strada, sono fiero di lei-.
Arianna
si sentì brillare dopo
quelle
parole.
-Ah!-
sbottò Bianca.
–Raggianti dipinti, dite voi? Guglielmo, lasciate che vi
rammenti che genere di soggetti ella raffigura nei suoi quadri! Morte,
disgrazie, esecuzioni! L’influsso negativo che aleggia in
quella bottega l’ha imprigionata, e ciò che mostra
al Verrocchio è solo una maschera! Siete cieco se non ve ne
accorgete-.
-Non
è vero!- proruppe Arianna a
sorpresa.
Guglielmo
e Bianca restarono stupiti del
suo
inatteso intervento a tradimento.
Arianna
tenne gli occhi bassi,
serrò i
pugni sulla gonna e strinse i denti. –Vi sbagliate, madre,
non è una maschera. Provo felicità nel dipingere,
sento completezza, armonia…-.
-Lo
consideri uno sfogo, quindi?-
ipotizzò Guglielmo, ora interessato che la figlia azzardava
a parlare.
-No,
padre- definì Arianna.
–Non uno sfogo, ma l’unico scopo finché
sono in Terra-.
Guglielmo
parve confuso, e ancor
più
lo fu Bianca.
-Scopo?
Come se dipingere in bottega ti
pagasse
in denari…- blaterò la donna.
-Paga
con l’esercizio e
l’acquisto della tecnica, madre, ecco come paga- disse
contegnosa Arianna.
-La
nostra ragazza ha ragione, amore mio-
confermò l’uomo.
-Ragione
su cosa?! Arianna!-
guardò la
figlia. –Davvero hai intenzione di dipingere per il resto
della tua vita?!-.
La
ragazza annuì seria e
convinta.
-Oh
Madonna…- imprecò
Bianca distogliendo lo sguardo dalla tavola. –Non credo alle
mie orecchie-.
-Perché,
che pensavate? Che
sarei
uscita dalla bottega imparando l’uncinetto a
vent’anni?!- eruppe la giovane Pazzi.
-Ovvio
che no!- rispose la dama.
-E
allora cosa pretendete?!- eruppe
Arianna.
–Amo dipingere più di qualsiasi altra cosa,
morirei per i pennelli se questi mi venissero tolti, e voi fate di
tutto pur di convertire l’idea anche all’uomo che
più mi sostiene e abbraccia questa mia scelta!-
indicò Guglielmo.
-Arianna,
adesso calmati…-
mormorò composto il signore.
-No!
Sono stufa di sentirvi litigare ogni
volta
su propositi allungo discussi!- esordì Arianna guardando
prima uno, poi l’altro genitore. –Troppe volte ho
udito gridarvi contro, combattendo per me e per la vita della quale
intendo assumermi solo io la responsabilità!
L’avete detto, padre, sono abbastanza grande per sapere
scegliere bene! Ebbene ho già scelto! Solo che questa mia
decisione non aggrada alla madonna!- scoccò
un’occhiataccia su Bianca, alla quale le si rizzarono i
capelli per tanta sfrontatezza.
-Insolente
ragazzina! Fin quando sarai
sotto il
mio tetto considerati capace, ma non prenderai mai da te certe
decisioni! Sei mia figlia ed io so cos’è giusto
per te!-.
La
ragazza parve esitare. Si
alzò
scostando con rumore la sedia e strinse i pugni lungo i fianchi.
-Pensate
di sapere tutto, e invece non
capite
nulla di me!- ruggì.
-Arianna!
Non parlarmi in questo modo!!-.
-Voi
non siete mia madre! Voi siete la
donna che
rovina la mia vita!- strillò la ragazza, e dette quelle
parole lasciò la veranda fuggendo di corsa, e in lacrime,
verso la sua stanza.
Bianca
sfidò il marito con
un’occhiataccia. -Guglielmo, fa’ qualcosa!-.
L’uomo
stette allungo in
silenzio,
sconvolto.
Bianca,
esasperata, si alzò di
tavola
e puntò un dito contro il marito.
-Sono
indignata della vostra condotta, mio
sposo.
Appoggiate i sogni di una ragazzina, ma così distruggete il
legame tra le nostre famiglie. Mio fratello Lorenzo ne
risentirà ragione: una donna non può stare in
bottega e apprendere l’arte, è fuori dal Mondo!-.
-Credete
che
l’autorità di
vostro fratello possa farmi paura? Ah!- ne rise Guglielmo.
–Forse dimentichi i miei di fratelli-.
Bianca
restò a bocca aperta.
-Basta!
Non permetterete che quella ragazzina mandi a monte il nostro
matrimonio! Perciò, se da domani ella sarà ancora
in quella bottega, giuro sulla mia corona, che farò
dissipare i documenti che ci uniscono e bruciare il letto nel quale
abbiamo concepito lei e il resto dei nostri figli!-.
Bianca
varcava il confine della decenza,
sfidava
la sua autorità, ma allo stesso modo gli teneva le mani
legate.
Guglielmo
posò la forchetta,
rimasta a
mezz’aria fino ad allora. Bevve un sorso del vino nel suo
calice e guardò la moglie con risentimento, ma assieme vi
era una nota di comprensione e ubbidienza.
-Parlerò
personalmente ad
Arianna
della nostra decisione- sottolineò con tono. –Ma
sappiate una cosa- l’ammonì ancor prima che sul
volto di Bianca potesse comparire soddisfazione per la vittoria
raggiunta.
-Dite-
lo esortò.
-Verrà
un giorno in cui quella
ragazza
e i suoi dipinti lasceranno un segno nella storia, ve lo garantisco,
madonna-.
Bianca
sollevò il mento e
tornò seduta di fronte al suo sposo.
–Attenderò paziente, Guglielmo- si fece beffe.
–Ma nel frattempo rispettate tali accordi: non solo ne
parlamenterete con nostra figlia, bensì domani mi aspetto
che andiate personalmente
in sede dal Verrocchio e ne discutiate con lui anche- convenne.
-Come
desiderate, madonna-.
Dietro
all’imposta in legno della
porta, che separava la sala da pranzo al corridoio, si era nascosto
Cosimo de’ Pazzi. Quatto, il ragazzo nell’ombra,
aveva ascoltato ogni parola della conversazione. Era caduta la goccia
che aveva fatto traboccare il vaso.
Veduta
Arianna fuggire in lacrime senza
accorgersi di lui rimasto là ad origliare, al giovane Pazzi
sfuggì un’amara smorfia, e la tristezza gli nacque
in cuore, ormai cosciente che la sua sorella ne avrebbe sofferto.
Angolo
d’Autrice
Un veloce ringraziamento a goku94
e renault
per
il sostegno così immediato e costante!
Eccovi un altro capitoletto di 6 pagine, e
colgo
l’occasione per dirvi che questa sarà in linea dei
massima la media di ciascun post.
Le vicende di Arianna andranno peggiorando,
ma
così come gliene capiteranno di brutte, al suo fianco
vivrà sempre chi sarà in grado di sostenerla. Che
si tratti dei fratelli o degli amici, ad Arianna potrà
capitare di sentirsi sola e abbandonata, ma non lo sarà mai.
^-^ Con
questo è tutto, e vi aspetto
alla prossima puntata sperando che la storia stia catturando voi
così come ha catturato me quand’ancora era da
mettere per iscritta.
***
Da brava lettrice che
sono,
colgo l'occasione per "sponsorizzare" (XD) la bravura e l'incredibile
ignegno di un altro grande scrittore di questa sezione.
Carlos
Oliviera!
Dio, ragazzi, leggete le sue storie *ç* tra lui e la Saphi
non so chi è meglio!
Ora non sto mica a fare paragoni, ma quando la gente sa scrivere
è bene dirlo chiaramente. ^^
Le
storie del nostro amico Carlos sono certo che hanno tutte gran fascino,
ma quelle postate da lui in questa sezione mi hanno lasciata
esterrefatta, meravigliata, a bocca aperta ad ogni capitolo...
A partire da Assassin's
Creed - Endess Abyss.
Proprio qualche minuto fa, invece, ho appena finito di leggere il primo
capitolo della sua fan fiction onoraria su AC II ovvero Assassin's
Creed 2.5...
Se
amate la trama di Assassini's Creed quanto la amo io, se siete degli
appassionati di avventura, magia e mistero, e se non avete un cavolo da
fare fino a lunedì mattina! (XD) leggete queste benedette
storie. E
sono sicura che non ve ne pentirete. Anzi.
Avrete collaborato alla nascita di un grande scrittore.
|
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Capitolo 4 *** Timori e Sospetti ***
Timori e Sospetti
“Giuliano
de' Medici, ragionandosi di un mercante che non credeva, disse:
Guarda,
quanto Dio è misericordioso, che patisce che a uno che non
vuol credere pure a lui, da ogn'uno sia creduto.”
(Poliziano,
Frase 83, “Detti Piacevoli”)
-E
così Arianna ciò
che
“vedeva” lo dipingeva?- chiede Rebecca.
-Esattamente-
risponde Shaun. –Ma
pare
che i suoi quadri fossero così cruenti da apparire solo tela
sprecata e allucinazioni di una pazza -.
-Un
po’ come te- commenta Rebecca.
Shaun
afferra la copertina rigida di un
libro e
colpisce in testa la ragazza, poi Rebecca caccia un urlo: -Ahi! Mi hai
fatto male, brutto…- ma si trattiene.
-Dicevo-
riprende Shaun con
serietà.
–Arianna ha ereditato il potere della veggenza da suo padre.
Se in passato ti ho detto il contrario, considera questa come una
rettifica. È Guglielmo de’ Pazzi il discendente
diretto di Cassandra, e non Bianca. Ecco perché lui appoggia
ed idolatra la figlia mentre la de’Medici le è
così ostile-.
-Che
donna ignobile- borbotta Rebecca.
-Senti…
per quanto ancora deve
restare
lì dentro?- chiede lui indicando Elisa stesa
sull’Animus.
-Dammi
il tempo necessario per agganciare e
rivivere qualche ricordo chiave. Dopodiché Elisa
sarà libera di camminare con le tue gambe, e vedremo se
l’Effetto Osmosi fa il suo dovere- dichiara Rebecca
allegramente. –Bene, ecco il prossimo blocco di memoria. Sono
riuscita a risparmiarci alcune ore della giornata. Dal pranzo siamo
direttamente alla cena in casa Pazzi. Avvio il caricamento- Rebecca
sembra elettrizzata.
-Wow!
Che entusiasmo…- sbuffa
Shaun.
-Scusa
tanto se per me è una
gioia
vedere che i frutti di anni di lavoro finalmente funzionano- sbotta la
ragazza.
-Hai
ragione!- fa Shaun ilare.
–Anche
perché questa è la prima a funzionare!-.
-Che
spiritoso…-.
Le
voci dei due si perdono in un eco di
silenzio.
[Repubblica
Fiorentina 1476]
Il
bianco tutt’attorno si
materializzò come un’ampia camera tenuta buia per
via delle spesse tende calate davanti alle finestre. Fuori il cielo era
nero e colmo di stelle. Dai tetti di Firenze si levavano i fumi di
comignoli accesi e per le strade passava ogni tanto qualche ronda di
guardie armate.
Arianna
era seduta sul davanzale sotto le
vetrate. Rannicchiata tra i cuscini e con le ginocchia tirate al petto,
guardava sognante le vie notturne della sua città. Gli occhi
di ghiaccio erano bagnati da un raggio di luna. Il canto di un gufo
cittadino la cullava come una ninnananna funebre.
Attorno,
l’arredo era semplice e
usuale. C’era uno scrittoio, qualche cassettone, una
cassapanca e una grande cesta contenente tele e cavalletti, nel caso
l’ispirazione l’avesse colpita
all’improvviso. Una candela poggiata sul comodino accanto al
letto rischiarava un poco l’ambiente avvolto dalle tenebre.
Arianna
stava bene, nel silenzio della sua
stanza, sola con se stessa e nessun altro. Le tende, seduta su quel
davanzale dove aveva trascorso tutto il pomeriggio, la nascondevano da
chiunque varcasse la soglia d’ingresso.
Dopo
aver bussato, Viviana entrò
nella
camera buia portando con sé un piccolo vassoio.
-Arianna-
chiamò scrutando
l’oscurità alla ricerca della fanciulla. Non
vedendola si mise in allarme e fece per uscire a cercare il padrone di
casa, ma Arianna scostò un lembo della tenda e si
mostrò alla serva.
-Viviana,
sono qui- le disse senza tono.
-Oh,
per tutti i Santi!- esultò
lei.
–Mi avete fatto prendere un bello spavento, signorina-
pronunciò richiudendosi la porta alle spalle e avviandosi
col vassoio verso di lei.
Arianna
restò immobile anche
quando
Viviana le posò ai piedi la cena.
-Vostro
padre ha insistito che vi portassi
qui il
pasto. Bianca non era d’accordo- confessò grave.
-Immaginavo-
sospirò Arianna
tornando
a guardare fuori dalla finestra. –Che ore sono?- chiese.
-Tardi-
rispose la serva poco serena.
–Guglielmo si è inoltre raccomandato
perché prendeste sonno il prima possibile-.
Arianna
non rispose.
-Se
posso, vi suggerirei di porgere a
madonna
de’Medici le vostre scuse prima che ella, davvero, prenda
provvedimenti molto seri…- chinò il capo.
L’artista
la ignorò
del
tutto.
Viviana
le sedé accanto sul
davanzale
e le carezzò il viso. –Arianna, questo non
è un consiglio da una serva, ma da una cara amica che tiene
alla vostra compagnia. Quindi, se non volete che vostra madre vi
spedisca in convento, è bene che…-.
Arianna
allontanò la mano di
Viviana
da sé con un lento gesto. –Ti ringrazio, ma so
già cosa fare e cosa non- disse in un sussurro.
Viviana
si stirò le pieghe della
gonna
e guardò in basso. –Allora, confido che le vostre
siano le intenzioni migliori- si alzò e uscì
dalla stanza.
Arianna
restò nuovamente sola,
ma per
poco, si disse, perché a breve Viviana sarebbe rientrata a
portar via il piatto con la minestra e tutto il vassoio.
La
ragazza guardò la pastina che
galleggiava nell’acqua e per un istante le parve di potervisi
vedere riflessa. Ora i capelli li portava sciolti in morbidi e gonfi
boccoli scuri. Gli occhi stanchi e arrossati per il pianto da poco
cessato erano profondamente segnati dall’immensa tristezza
che le uccideva il cuore. Era curva, chiusa in se stessa come mai prima
di allora. Indossava la sua veste da notte leggermente trasparente e
con graziosi ricami blu.
Sapeva
bene che dopo quella cena molte cose
erano
e molte altre sarebbero presto cambiate. A partire dal suo
apprendistato nella bottega. Con quello aveva chiuso, ne era certa.
Bianca l’avrebbe strappata all’unica cosa che la
rendeva felice, felice davvero nonostante le difficoltà di
vivere e dipingere assieme ad un gruppo di ragazzini che non facevano
altro che prenderla in giro dalla mattina alla sera. In qualche strano
modo Arianna si era sempre sentita abbastanza forte da poter
“sopravvivere”, perciò non
c’era mai stato motivo di abbandonare. Ma poi, sopraggiunti
gli oggetti dei suoi quadri, Bianca non le aveva lasciato scampo nel
dibattito, conclusosi con la vittoria della madonna madre.
Viviana
tornò, ed
entrò in
stanza senza proferire parola. Trovandosi dinnanzi il vassoio intatto,
guardò Arianna con pena e sospetto, ma la ragazza non la
degnò di uno sguardo. Poi la serva sparì per i
corridoi della dimora Pazzi senza farsi più sentire e vedere.
Arianna
si alzò dal davanzale,
andò a sedersi sul letto e nascose i piedi scalzi e
infreddoliti sotto le coperte.
Si
era sempre chiesta perché
vedesse
quelle cose: la peste, il veleno, le congiure, la morte in generale, ma
non era mai riuscita a darsi risposta. Quelle immagini le apparivano
come idee, idee che le veniva voglia di dipingere e se ne sentiva
carica di bravura. Delle volte sognava anche volti mai incontrati, mai
conosciuti, e ne intravedeva la fine, l’oblio. Alcuni
impiccati, altri senza testa, altri ancora uccisi a coltellate oppure
caduti da navi, palazzi o quant’altro…
Ma
possibile che fosse tutta gente che
Arianna
non aveva mai conosciuto? Poteva la sua anima suggerirle scene tanto
agghiaccianti e poi farle dono di metterle su tela? E se ci fosse
qualche subdolo ingegno di stregoneria? E se…
Ad
interrompere il filo dei suoi pensieri
fu il
bussare silenzioso che udì.
All’inizio
ne restò
colpita
e stette in silenzio, pensando che si fosse trattato della sua
immaginazione, ma poi ascoltò di nuovo bussare, e
‘sta volta con più certezza.
-Avanti…-
mormorò
esangue,
pronta a sorbirsi chissà quale ramanzina o dal padre o dalla
madre.
A
comparire in stanza furono invece le
figure dei
due fratelli maggiori. Francesco la vide subito, seduta sul letto con i
piedi sotto le coperte, mentre Cosimo si guardava attorno sperduto.
-È
là, idiota-
sibilò Francesco dando una pacca al fratello.
Cosimo
era già vestito per la
notte,
mentre il maggiore, Francesco, portando con sé una candela a
rischiarare la via, aveva ancora indosso il suo formale abbigliamento
da nobile fiorentino: gli stivali e una larga camicia di seta rossa.
-Cosa…?-
fece per chiedere lei,
guardando prima uno poi l’altro.
I
due si avvicinarono al letto della
sorella, e
Francesco sedé sulle coperte al suo fianco.
–Cosimo mi ha raccontato tutto, ma c’è
una cosa che non sai e devi assolutamente sapere- pronunciò
serio lasciando la candela sul comodino.
L’altro
ragazzo si
accomodò
sul lato opposto del letto e annuì. –Bianca ha
minacciato di disfare il matrimonio. Guglielmo domani andrà
dal Verrocchio e ti richiamerà dalla bottega-.
In
un modo o nell’altro, Arianna
l’aveva previsto.
-Perché
mi dite ciò?-
chiese agitata.
-Perché
nostro padre potrebbe
non
farlo, e noi vogliamo che tu sappia anche questo- rispose Francesco
accigliato.
Arianna
chinò il capo.
–La
cosa non mi sorprende-.
Cosimo
si fece più attento.
–Lo sapevi già?-.
La
ragazza annuì. –Lo
sospettavo, in verità…-.
I
due fratelli si cambiarono
un’occhiata, poi tornarono a rivolgersi alla sorella.
-E
cosa intendi fare?- chiese Francesco.
Arianna
si strinse nelle spalle e
guardò altrove. –Penso di non essere disposta a
questa domanda…-.
-Lo
immaginavo- sospirò
Francesco.
La
ragazza guardò il fratello
maggiore, quello tutto muscoli. –Com’è
andata a pranzo?- chiese più serena.
-Oh,
benone!- esultò
l’invitato speciale. –E credo che non mi
laverò più la faccia da oggi in poi-.
-La
bella Vespucci ti ha slinguazzato
tutto, eh?-
ridacchiò Cosimo.
-E
‘sta zitto tu!- eruppe
l’altro.
-Ma
non era l’amore cortese di
Giuliano?- domandò lei confusa.
-Infatti-
disse Cosimo. –Adesso
il
nostro Francescone deve vedersela di nuovo in torneo con Giuliano
perché ha osato troppo sulla sua dama!-.
-Non
ci sperare- borbottò
Francesco.
–Dubito fortemente che rivedremo presto Giuliano in torneo-.
-Come
mai?- chiese Cosimo, stupito.
Il
cavaliere si strinse nelle spalle.
–Questa è stata l’ultima festa, statene
certi. Ultimamente organizzava bei grandi giostre, ricevimenti, delle
volte accompagnava anche Lorenzo a Careggi per celebrare gli artisti!
Ma da qui ad una settimana fa qualcosa è…
cambiato in lui-.
Arianna
finse di non capire a cosa si
stesse
riferendo il fratello, ma in cuor suo sapeva bene perché
Giuliano era diventato così attento, premuroso, distaccato e
isolato dal resto.
Ad
accorgersi del volto affranto di lei fu
proprio Francesco.
Questi
si avvicinò alla sorella
indagando sul suo silenzio, e in fine sentenziò.
–Possibile che tu sappia qualcosa su di lui che io non so?-
chiese, più a sé stesso che alla giovane.
Arianna
scosse la testa. –Non
penso che
sia a causa mia, ma…-.
-Ma?-
insisté Cosimo.
La
ragazza sollevò il viso.
–Tra i miei dipinti ce n’era uno che ha fatto
più scalpore di tutti, quando l’ho mostrato al
Verrocchio- confessò.
I
due non la interruppero e stettero
attenti ad
ogni sillaba da lei pronunciata, così Arianna fu costretta a
proseguire.
-Avevo
ritratto Giuliano e Lorenzo ai piedi
di
una Chiesa. L’uno sulle scale e gravemente ferito,
l’altro sdraiato a terra… morto-
mormorò.
-Sai
dov’è il quadro
adesso?- chiese Francesco con un’ombra negli occhi chiari.
Arianna
scosse la testa. –Il
Verrocchio
deve averlo bruciato davvero, almeno quello- sussurrò a fior
di labbra.
I
due fratelli si scambiarono
un’altra
occhiata complice.
Il
minore dei due convenne: -Arianna,
perché hai dipinto una cosa simile?- domandò
impietrito.
-Non
lo so- lagnò lei.
–Vi
giuro, non voglio alcun male ai nostri zii, ma…
ma…- non riusciva a trovare le parole adatte, mentre gli
occhi le si arrossavano sempre più annunciando il pianto
imminente.
-Va
bene, basta così- proruppe
Francesco afferrando dolcemente la sorella per le spalle e
avvicinandola a sé.
Arianna
si strinse al fratello con
disperazione,
soffocando le giovani lacrime sulla camicia rossa che si era lasciato
indosso, appena rientrato dalla baldoria.
Cosimo
chinò il capo.
–Questa però non è la prima volta che
Arianna dipinge la morte di qualcuno che conosciamo…-
mormorò.
-Arianna,
in base a ciò,
c’è un’altra cosa che devi sapere-
Francesco lo fulminò con un’occhiataccia e il
minore tacque.
La
ragazza tirò su col naso.
-Qualche
settimana fa ero nello studio di
nostro
padre- Francesco si rivolse anche a Cosimo. –Lì ho
veduto e riconosciuto alcuni dei tuoi quadri. Guglielmo li preleva
dalla bottega quando pensi che il Verrocchio se ne sia disfatto e li
tiene con sé. Tra di essi c’era… il
dipinto di cui parli. Non ho idea del perché nostro padre lo
faccia, ma…- scosse la testa.
–C’è qualcosa che non mi convince in
questa storia-.
La
giovane donna riprese a singhiozzare.
-Adesso
non pensarci più, per
favore-
disse Cosimo alla ragazza stretta tra le braccia dell’altro
fratello, al quale lanciò un’occhiataccia.
–E poi devi riuscire a prendere sonno, è
importante che ti riposi: domani sarà una
giornata… particolare-.
Arianna
si scostò lentamente da
Francesco, annuì tremante e si asciugò il viso
con la manica della veste da notte. –Grazie… per
essere venuti- ringraziò entrambi.
Francesco
le carezzò
un’ultima volta i capelli, poi si alzò dal letto,
prese la candela dal comodino e richiamò il fratello con un
gesto del capo.
Cosimo
volse ad Arianna un sincero sorriso
e
raggiunse il cavaliere sull’ingresso della stanza.
La
luce della candela portata da Francesco
si
perse nel buio del corridoio, mentre Cosimo richiudeva la porta alle
sue spalle.
Arianna
restò avvolta
nell’oscurità dei suoi alloggi. L’unica
flebile fonte di luce erano la luna e le stelle nel cielo, fuori dalla
finestra rimasta aperta e oltre le tende.
La
ragazza si lasciò scivolare
con la
guancia sul cuscino e si coprì con le coperte sino al naso.
Continuò a guardare il paesaggio notturno fuori da quello
spiraglio concesso dalle tende, e si addormentò chiudendo
gli occhi poco alla volta.
Venne
l’alba.
Il
canticchiare dei primi uccellini si
udiva
già, assieme al silenzioso vociare per la strada e al
passare di alcuni carri e quieti cavalli. La finestra era rimasta
aperta e il sole insinuava i suoi giovani raggi attraverso le vetrate e
carezzava il pavimento, là dove arrivava passando per uno
spiraglio delle tende, sospinte da una fresca brezza mattutina.
Alla
mente le tornò
improvvisamente il
quadro di cui aveva discusso coi fratelli solo qualche ora prima. Non
riuscendo più a sopportare quei macabri pensieri, e
rimettendo al solo pensiero di una sua medesima fantasia omicida,
Arianna prese il cuscino da sotto la sua testa e se lo premette in
viso, soffocando un grido di sofferenza e intolleranza assieme.
Basta,
basta…! Implorava se stessa di smettere, ma
pregava piuttosto il Dio che l’aveva condannata ad una simile
tortura. Questi
sogni… queste visioni! Mi stanno rovinando la vita! Basta,
vi prego! Basta! Se non vuoi farlo per me, fallo per mio padre, per mia
madre, per i miei fratelli! Loro non meritano di soffrire e litigare a
causa mia! Trascina pure la mia vita nell’oblio, nella
disperazione, ma risparmia le loro…
Gridò
ancora, ben conscia che
nessuno
l’avrebbe udita fin quando avesse continuato a strillare con
la piuma del cuscino tra i denti.
A
colazione nessuno osò
rivolgerle la
parola, chi per timore e chi per compassione, ma soprattutto Bianca,
che sedeva a capo tavola, sorseggiava il suo tè caldo senza
staccare gli occhi dalla figlia.
Francesco,
nel posto davanti alla giovane
punita,
indagò allungo sulla tristezza della sorella, domandandosi
se fosse il caso di intervenire in qualche modo.
Cosimo,
al fianco del fratello maggiore,
consumava la sua colazione con altrettanta disperazione che non dava a
vedere, nascondendola sotto una maschera di sola comprensione.
Alessandra
pareva la più
tranquilla di
tutti a tavola. Sedeva accanto alla muta sorella e sgranocchiava il suo
pane caldo inzuppandolo nel latte. Il sorisetto sghembo a testimoniare
l’innocenza fanciullesca che le si addiceva solitamente.
Ignara, ovviamente, della triste discussione tra i tre fratelli
maggiori della sera precedente.
Il
silenzio in sala era spettrale.
Alla
tavola mancava Guglielmo,
notò
Arianna con mestizia senza aver toccato ancora cibo da quando si era
seduta, qualche minuto prima, dopo essere stata scortata in sala da
Viviana.
Anche
la damigella era rimasta in silenzio
durante tutto il tragitto dalla camera della ragazza sino alla veranda.
Ora la serva stava in angolo della stanza, vicino
all’ingresso assieme ad altre due damigelle e teneva gli
occhi bassi tanto quanto Arianna.
Bianca
posò la tazza sul
piattino e
guardò verso le tre donne.
Viviana
si avvicinò al tavolo.
La
padrona di casa mormorò
qualcosa
d’inudibile alla serva che annuì subito dopo.
-Arianna-
chiamò Bianca.
La
ragazza voltò leggermente il
capo
verso di lei incontrando lo sguardo poco sereno di suo fratello
Francesco. –Sì, madre?- fece disponibile.
-Alzati
e va’: raggiungi con
Viviana lo
studio di tuo padre, dove egli ti attende- ordinò brusca.
Arianna
non se lo fece ripete.
Scansò
in silenzio la sedia e si alzò raggiungendo il fianco di
Viviana. Passando alle spalle di Cosimo e Francesco,
quest’ultimo le sfiorò la mano con la propria in
segno di conforto. Arianna gli volse un mezzo sorriso e Francesco
annuì.
Sii
forte mimò questi con le
labbra
quando la damigella si avviò fuori dalla veranda, e la
ragazza la seguì come fosse la sua ombra.
Arrivate
nel salone centrale, Viviana e
Arianna
proseguirono in di loro due osò guardare negli occhi la
fanciulla quando ella e la serva passarono la soglia.
In
strada avanzarono spedite tra la gente,
ognuna
nel proprio rispettoso e timoroso mutismo.
Ogni
tanto Viviana le lanciava qualche
occhiata
dolce, ma Arianna la ignorava del tutto e continuava a camminare a
testa bassa e muso lungo.
Lo
studio di Guglielmo sorgeva un poco
distante
dal palazzo di famiglia, nello stesso quartiere storico di San Lorenzo
ove sorgevano Santa Maria del Fiore e Palazzo della Signoria.
Ammirando
la destinazione ancora da
lontano,
Arianna non provò mai più paura di
quest’oggi nel guardare l’emblema di famiglia che
si ergeva in pietra sopra l’ingresso dello studio. I due
delfini in campo blu, accompagnati dalle croci dorate, luccicavano ai
raggi del timido sole primaverile, mentre in cielo andava formarsi
qualche nube di dispiacere.
Arianna
osservò i dintorni in
strada e
notò solo allora delle guardie riunite vicino la soglia
dello studio di suo padre. Alcune erano di famiglia e portavano i
colori dell’emblema, ma altre vestivano di armature in oro e
drappi in rosso porpora.
Oh
mio
Dio…
La
ragazza cominciò a temere il
peggio
e sgranò gli occhi, mentre Viviana al suo fianco appariva
altrettanto inferma.
-I
Medici son da vostro padre-
commentò la serva.
Arianna
non rispose e lanciò
un’occhiata al piccolo cancelletto che conduceva nel cortile
dietro l’edificio. –Vieni!- prese Viviana con
sé e la trascinò di corsa in un vicolo che
aggirava il corso principale. Poi, mescolandosi tra la folla, giunsero
di corsa nel cortiletto.
-Arianna!
Siete impazzita!? Cosa avete
intenzione
di…- mormorò stupita la dama.
-Sssssh!-
le fece Arianna avvicinandosi
alla
fontana collocata sulla parete esterna dello studio. Si
arrampicò su di essa e arrivò a poter sbirciare
all’interno dell’edificio attraverso uno spiraglio
del vetro, rotto in quel punto da una palla da gioco di Francesco
quand’egli era ancora bambino. Arianna ricordava bene il
segreto che i due condividevano dall’infanzia e oggi che
poteva ella approfittava dei guai del fratello.
Ascoltò
delle voci provenire
dall’interno e riuscì a coglierne il filo solo
dopo qualche istante.
Viviana,
nel frattempo, taceva ai piedi
della
ragazza girandosi i pollici nervosamente. Non immaginava nemmeno cosa
avrebbero potuto farle le guardie dei Medici se avessero scoperto le
loro ragazzate.
-Vi
avevo chiesto di tenervi lontano da
certe
occasioni mondane, Giuliano- eruppe la voce di Guglielmo che Arianna
riconobbe senza fatica. –Il Torneo di ieri vi ha tenuto
impegnato e alla mercé dei vostri cari. Io vi dico di
astenervi, con premura, vi consiglio di prestare maggior attenzione
agli affari che alle donne e di non lasciare solo nelle mani di vostro
fratello tutto il da farsi-.
-Mio
fratello, per scelta, si è
assunto le sue responsabilità, ed io le mie. Lorenzo ha
preso la sua strada, la politica! Ed io sono ben lieto di assecondare
il suo e il mio interesse- sottolineò l’ultimo
termine. –Chi siete voi per decidere della mia
autorità sulla città?!- il ventitreenne Giuliano
de’ Medici, come riuscì a scorgere Arianna con un
occhio che guardava nella fessura, era nervoso e camminava su e
giù sul tappeto dello studio. -Ho assecondato per tempo i
vostri consigli, messere, ma ciò non può
impedirmi di vivere la mia vita. Quel che mi suggerite voi è
forse di starmene in casa davanti al camino a sbrigare conti noiosi e
sigillare lettere di cera?-
Nello
stanzino c’erano solo lui e
il
cognato Guglielmo, che era in piedi dietro la scrivania mentre il
parente acquisito lo guardava con risentimento.
Guglielmo
si adombrò ancor di
più e serrò i pugni lungo i fianchi. –E
se ne valesse la vostra incolumità?- mormorò
schietto.
-Incolumità?-
Giuliano rise
istericamente. -Su che propositi poi dovrei segregarmi come dite?-
sbottò il Medico.
-Lasciate
dunque che vi mostri i propositi
di cui
parlo- disse Guglielmo con tono amaro. Diede un secondo le spalle al
parente e si avviò verso la libreria in fondo alla stanza.
Lì, in angolo della camera, stava un mobiletto in legno in
parte nascosto dagli scaffali pieni di libri. Guglielmo trasse una
piccola chiave che portava legata al collo e la infilò nella
serratura che sigillava il cassetto. Una volta aperto fece apparire
alcune tele arrotolate e lunghe non più di un braccio. Ne
afferrò una in particolare e lasciò là
le altre.
Tornò
dinnanzi al famiglio e
gliela
srotolò sotto al naso.
Giuliano
guardò allungo il
cognato
negli occhi, come rifiutandosi di abbassare lo sguardo e assecondare il
volere del parente, il quale gli stava offrendo la
possibilità di sbirciare un oscuro segreto.
Alla
fine Giuliano cedette e
lanciò
un’occhiata di sbieco al documento. Inizialmente finse
disinteresse e fece per scansare la pergamena con rigetto, ma poi i
suoi occhi scuri si accesero di una luce tutta nuova.
Studiò
più a fondo il
foglio e corse con lo sguardo da un angolo all’altro della
tela che era stata sottratta delle parti in legno, ora solo come uno
straccio di carta.
-Chi
ha osato un tale affronto?!- eruppe
indignato il Medico.
Guglielmo
si prese del tempo per
rispondere,
forse valutando la risposta migliore. –Una conoscenza- disse
poi.
-Che
l’uomo di tale mano possa
marcire
all’inferno!- strillò Giuliano balzando indietro.
Il
suo improvviso gridare aveva attirato
l’attenzione delle sue guardie, ed alcune di queste erano
entrate nello studio con le armi alla mano. Circondarono il loro
signore, ma anche alcuni soldati di Guglielmo si affiancarono al
padrone dello studio.
-Mio
Signore, lasciate che vi
spieghi…- sussurrò Guglielmo a fior di labbra
mantenendo calma e compostezza.
Giuliano
scosse la testa e si
allontanò ancor più dal tavolo. –No! Vi
conviene tacere prima che… prima che qualche parola di
troppo mi dia l’autorità di sbattervi in cella!
Non avete… non avete il diritto!- gemé spaventato
come un bambino. –Bruciatelo…- mormorò.
–Bruciate quella fattura del Diavolo! Voglio che i carboni
siano unti nell’Acqua Santa e… e…-
indietreggiò ancora sino a raggiungere i suoi soldati.
Esitò allungo, si guardò attorno con gli occhi
sgranati. –Lorenzo ne verrà a sapere…-
disse.
L’accusa
non smosse Guglielmo di
un
piede.
-Bianca
ne verrà a sapere!-
strillò angosciato Giuliano.
E
allora Guglielmo scattò in
avanti.
–Mio signore, vi prego! Prestatemi ascolto!-.
-Sono
settimane… ma che dico!-
si
corresse il nobile uomo. –Sono anni che presto ascolto ai
vostri sospetti! Se credete che qualcuno possa attentare alla mia e
alla vita di mio fratello, quell’uomo siete voi!
Perciò porgetemi le vostre scuse, ora! O giuro che il vostro
corpo penderà domani in Piazza della Signoria!-.
Arianna
si portò una mano alla
bocca
sentendo gli occhi inumidirsi.
Guglielmo
arrotolò il dipinto
suo
malgrado e chinò il capo, sconfitto. –Come
desiderate, mio Signore. Sappiate che non era mia intenzione
spaventarvi, ma solo…-.
Mentre
due guardie si avvicinavano a
Guglielmo e
gli strappavano il dipinto dalle mani, Giuliano uscì di
punto in bianco dallo studio senza aggiungere altro. Montò a
cavallo e, seguito da alcuni dei suoi, si avviò al galoppo
sulla strada scansando i civili. Poi i due soldati, con la refurtiva
requisita, seguirono il loro signore con passo più lento.
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Capitolo 5 *** Eterna ingiustizia, libertà e peccato ***
Eterna ingiustizia,
libertà
e peccato
Arianna
smontò dal bordo della fontana e dovette appoggiarsi a
Viviana pur di non crollare sulle proprie gambe inferme.
-Oh,
Arianna…- gemé la serva colta di sorpresa.
Arianna
si avvinghiò a lei e, senza che se ne accorgesse,
cominciò a singhiozzare piano sulla spallina della sua veste.
Viviana
addolcì i modi e acquietò il suo stupore cingendo
a sé la ragazza in un dolce abbraccio.
-È
tutta colpa mia…- pianse Arianna. –Non avrei mai
dovuto cominciare quel quadro!-.
-Suvvia…-
le carezzò i capelli. –Vedrete: si
risolverà tutto, avanti…- esitò
incerta sulle sue stesse parole. –Si risolverà
tutto- ripeté più volte.
-No,
invece no! Verrà il giorno in cui… in cui Bianca
sarà stufa a tal punto di me…!-.
-Basta,
non pensateci più- Viviana la strinse con più
forza. –Adesso venite, sono certa che vostro padre attende la
nostra visita- senza aggiungere altro, Viviana accompagnò la
giovane Pazzi fuori dal cortile tenendola sottobraccio.
Una
volta davanti l’ingresso dello studio, lasciato schiuso per
via dell’ospite da poco fuggito, due guardie spianarono loro
la strada e richiusero i battenti alle spalle delle due dame.
Guglielmo
era voltato verso le vetrate e nella mano stringeva convulsamente la
pergamena appena mostrata a Giuliano. Non fece caso alle due non prima
che Arianna si fu ripresa dal pianto e asciugata le lacrime con le
maniche della camicia. Dopodiché, quando le
sfuggì di tirare su col naso, Guglielmo volse
un’occhiata nella loro direzione.
Viviana
s’inchinò umilmente tenendosi i lembi del vestito,
mentre Arianna era rigida come un tronco di legno.
Guglielmo
congedò la serva con un gesto del capo e si avviò
a deporre la pergamena, con estrema lentezza, al suo posto assieme alle
altre, senza però sigillarle con la chiave che portava al
collo.
Quando
anche Viviana, accompagnata dai soldati che ancora presiedevano nello
studio, abbandonò la stanza, Guglielmo tornò
seduto al suo scranno.
-Speravo
che venissi- disse l’uomo privo di tono.
Arianna
tacque ancora. –Perché non avrei dovuto?-
mormorò tetra. Gli occhi arrossati e le mani che le
tremavano erano segni inconfondibili che non avrebbe tenuto nascosti
allungo a suo padre.
Ser
de’ Pazzi si adoperò a mettere un po’
d’ordine sulla scrivania. –So che hai veduto le
guardie di Giuliano- pronunciò accigliato.
Non
solo quelle…
-Perciò
temevo che avresti dato di tacco e te ne saresti tornata in casa-
concluse l’uomo.
-Viviana
mi ha accompagnata- esordì lei. –Conoscendola, non
me l’avrebbe permesso- le fuggì un falso e triste
sorriso.
-Sì,
me ne compiaccio- arrise Guglielmo meglio di quanto avrebbe saputo
fingere la figlia. La guardò un istante negli occhi, e gli
bastò una frazione di secondo per estinguere anche quel poco
di allegria che aveva in viso. –Che ti è
accaduto?- chiese allarmato.
Arianna
nascose le mani sotto le ascelle e si volse di profilo.
–L’avete notato…- singhiozzò.
Guglielmo
balzò in piedi. –Arianna- la chiamò con
prontezza.
La
ragazza si asciugò la prima lacrima. Le parole e le forze le
venivano meno allo stesso modo. –Ho veduto Giuliano,
padre…- gemé piano. –Qui, nel vostro
studio-.
Guglielmo
fece un respiro profondo senza distogliere la sua muta attenzione della
figlia. –Ebbene?-.
-Ho
udito quel di cui avete discusso…- aggiunse lei volgendo al
padre un’occhiata eloquente.
-Come?!-
si spaventò lui.
Arianna,
per la prima volta dopo dieci anni, infranse la promessa a suo
fratello.
Con
piccoli passi misurati si avviò verso la finestra e,
scostando un lembo della tenda, mostrò a Guglielmo il foro
nel vetro che dava sul cortile interno dello studio.
-Vi
prego- si apprestò a dire interpretando il furore sul viso
di lui, –non fatela riparare, o Francesco saprà
che ho venduto il mio onore infrangendo la mia fede di silenzio-
pronunciò con un filo di voce.
Guglielmo
annuì grave. –Mi domandavo spesso come mai gli
inverni qui dentro facesse così freddo anche col camino-
borbottò. –A parte ciò, non voglio che
tu prenda sul serio nulla di quel che hai ascoltato-.
-Mi
chiedete troppo- assentì flebile.
-No. Ti
sbagli. È quanto di più essenziale che tu non
discuta di questi pensieri-.
-Pensieri?!-
si
allungò verso di lui.
Guglielmo
sostenne gli occhi di ghiaccio della figlia nei suoi e stette muto.
Arianna,
profondamente offesa e scettica dinnanzi a delle ragioni che non
volevano esserle spiegate, si avvicinò di un passo ancora.
–Voi rubate i miei dipinti…- sibilò.
-Non li
rubo- obbiettò Guglielmo. –Li apprezzo per
ciò che veramente sono-.
-E cosa
sono?- insisté lei, pungente.
-Non
posso rivelartelo. Ne vale la tua incolumità-.
-La
mia… o quella di Giuliano?-.
-Basta-
Guglielmo la inchiodò con un’occhiataccia.
–Non intendo approfondire l’argomento, oggi:
abbiamo del lavoro più urgente di cui sei ben a conoscenza-
sentenziò gelido avviandosi verso l’uscita dello
studio.
Arianna
si frappose sul suo percorso e, pur non superandolo di altezza,
riuscì a fermarlo. –La giornata è
lunga, messere, come mai tanta fretta?- domandò arrogante.
Lo
schiaffò arrivo pungente e sonoro.
Arianna
chinò la testa da un lato e si portò la mano alla
guancia mentre una ciocca dei capelli l’era finita in bocca.
-Fuggi
pure dalla tavola e insulta tua madre, ma non ti permetto di parlarmi
in questo modo, scavalcando la mia autorità. Né
ora né mai- pronunciò colmo di ragione.
–Rammenta: sono tuo padre, l’uomo che ancora non
appoggia la decisione di rinchiuderti in convento. Perciò
ritieniti fortunata se non porti la cuffia da monaca invece di questo
bel cerchietto- indicò con risentimento il fermaglio che la
giovane portava in testa.
-Perdonatemi…-
sussurrò. –Io… vi chiedo solo di darmi
delle risposte- lo implorò con lo sguardo, ora sopraffatto
dalla tristezza.
Guglielmo
restò impassibile e piuttosto cambiò nuovamente
argomento: -Ieri a pranzo, dopo che te ne sei andata, io e Bianca siamo
giunti ad un compromesso. Stamani discuterò col Verrocchio
perché tu lasci in definitiva la sua bottega e
l’arte dei pennelli per dedicarti allo studio individuale con
il precettore di tuo cugino Piero, Angelo Poliziano. In cambio, Bianca
accetta le tue scuse e terrà fede all’amore che
prova… per te- esitò.
-Io non
le ho fatte le mie scuse a quella cagna!- strillò Arianna.
Questa
volta la ragazza riuscì ad evitare lo schiaffo piegandosi da
un lato ma, scostandosi malamente dal padre furioso, finì
seduta e imprigionata su uno dei due seggi posti dinnanzi la scrivania
del politico.
-Osa
ancora, se hai il coraggio- proruppe Guglielmo. –Tu metti a
dura prova la mia pazienza, Arianna. Ma tutto ha un limite-.
-Anche
la mia di pazienza, padre- sibilò. –Vorrei solo
aver trovato prima un modo per togliermi la vita!-.
Guglielmo
sgranò gli occhi e non riuscì a credere a quelle
parole.
Arianna
sentì le lacrime tornare a pungerle le guance.
–Credete che non ne soffra più di voi e di
Bianca?- lagnò. –Io vedo quelle cose, la morte, il
veleno, il dolore… ma nessuno mi porge ascolto, nessuno mi
consola…- pianse.
Guglielmo
le venne più vicino e le sedé accanto
sull’altro seggio. –No, non nessuno, piccola mia-.
Arianna
incrociò i suoi grandi occhi verdi pieni di amore e saggezza.
-Io ti
comprendo. Come e prima di te, ho patito anch’io questa
infamia- pronunciò soave.
-Voi?-
balbettò incredula Arianna.
Guglielmo
annuì grave. –Sì, mia dolce profetessa-.
-…spiegatevi-.
L’uomo
scosse la testa. -Temo di non poterti accennare di più. Te
lo dissi: ne vale la tua vita. Tale conoscenza potrebbe metterla a
repentaglio-.
-Ma
come?!- gemé lei.
Guglielmo
la strinse forte a sé. –Gli altrui occhi e gli
altrui orecchi non comprendono, non vedono- le mormorò a
bassissima voce. –Per me ogni giorno che passa diventa sempre
più difficile condividere i tuoi tormenti. Quel che sono
stato si sta trasmettendo in te e abbandona me ancor più
velocemente. Le nostre coscienze si dividono, le nostre anime
intraprendono strade differenti. Il corso del destino, della vita,
è ciò che non possiamo contrastare.
L’eterno dolore, l’eterna ingiustizia che avverti
crescerti in cuore è una condanna, mia piccola Arianna, e le
gioie dell’esistenza umana non sapranno far nulla per
allietarla. Troverai muri che non riuscirai ad abbattere, incontrerai
uomini che si approfitteranno di te, e ne amerai degli altri che
saranno solo un’immensa delusione. Siamo gli occhi
più belli che possono guardare il sole. Ma siamo la voce
più lieve che non verrà mai ascoltata-.
L’eterna
ingiustizia…
-Adesso
dobbiamo andare- ordinò scostando la figlia da
sé. –Giunge il tempo di intraprendere una nuova
battaglia, piccola mia- le carezzò il viso. –E se
questa dovesse concludersi con la vittoria nemica, ben venga,
perché noi abbiamo dato il massimo e fatto quel che
c’è stata occasione di fare- le sorrise.
Arianna
annuì docilmente e scambiò col padre un ultimo
abbraccio.
-Porgete
le mie scuse a Bianca…- mormorò
all’orecchio di lui, mentre l’azzurro dei suoi
occhi non si spuntava dall’armadietto nel quale erano tenuti
tutti i suoi dipinti.
Guglielmo
arrise dolcemente. –Lo farò di certo-.
Arianna
si tenne stretta allungo al suo petto. C’era molto che non
capiva, e molto altro che suo padre non le avrebbe mai detto.
Anche
quella poteva dirsi ingiustizia?
Il
tragitto sino alla bottega del Verrocchio, Arianna e Guglielmo lo
percorsero soli e senza guardia alcuna, l’uno affianco
all’altra e mano nella mano. Ogni tanto la gente li
riconosceva e porgeva loro gli omaggi, delle altre si volgevano con
antipatia guardando altrove.
Le voci corrono in
fretta… pensò Arianna. La fuga di Giuliano dallo studio
di mio padre deve aver fatto scalpore. D’altronde,
c’era da aspettarselo. Qui la gente da retta al primo
arrabbiato che passa e si lamenta.
Giunti
sulla soglia della bottega, trovarono ad attenderli uno dei tanti
garzoni che si aspettava della loro visita.
-Messer
de’ Pazzi, madonna Arianna- s’inchinò
questi levandosi il cappello per rispetto.
-Salve
Lorenzo- gli sorrise la ragazza riconoscendolo per via della chioma
bionda e riccia e il viso da bambola.
-È
un piacere rivedervi, amica mia- ricambiò lui.
Guglielmo
si schiarì la gola e allora il giovane Lorenzo
balzò sull’attenti. –Ah, venite, venite!
Andrea vi attende nel suo studio, vi porto da lui- spalancò
loro l’ingresso della bottega e fece strada verso il piano
superiore salendo con passo dignitoso un gradino alla volta, cosa che
non avrebbe fatto fosse stato solo e di fretta.
Arianna
si tenne legata al braccio piegato di suo padre durante tutto il
percorso.
Gli
sguardi curiosi degli orafi e i rumori dell’intera bottega
s’interrompevano d’un tratto.
L’improvviso silenzio era un segno eloquente di quanto la
visita dei due avesse fatto eccezione alla quotidianità.
Superando
la soglia della camera della tempera, Arianna non riuscì a
non gettarvi un’occhiata: intravide ciascuno dei suoi
compagni seduto dinnanzi la propria tela. Nonostante fosse stata
richiesta la massima segretezza, tutti i garzoni in sala sembravano al
corrente della cosa.
Alcuni
proseguirono il loro lavoro incuranti dei visitatori, altri si
scambiarono qualche gesto o battutina. Altri ancora si limitarono a
chinare il capo o accennare un inchino al nobile Pazzi.
Soltanto
uno dei giovani artisti guardò Arianna e le sorrise
veramente e con garbo.
Questi
era Leonardo, in piedi davanti alla sua tela incompleta. Sporco di
tempera in viso e con indosso il suo solito berretto rosso in chioma
color miele. L’artista la salutò con un cenno
della mano, mentre lei e Guglielmo seguivano Lorenzo per la nuova rampa
di scale che conduceva al terzo piano dell’edificio.
Guglielmo
inarcò un sopracciglio. –Chi è il
giovanotto?- chiese con un cenno del capo verso il da Vinci.
Ad
Arianna si colorarono un poco le guance. –Padre!- si astenne.
-No,
no!- ribatté lui. –Insisto: avanti, sono curioso
davvero-.
-Leonardo
da Vinci- rispose ella piena di imbarazzo. –Ma è
solo un amico-.
-Certo!
E magari anche l’unico “amico”-
ridacchiò quando giunsero sul pianerottolo. –E
comunque il nome non mi è nuovo. Lorenzo deve avermene
parlato di recente- fece pensoso.
-È
molto bravo- ne convenne Arianna. –Il preferito del
Verrocchio-.
-Messer
Guglielmo!-.
I due
Pazzi si voltarono e videro Andra di Cione, seguito da Lorenzo, venir
loro incontro dal fondo del corridoio, dove si apriva
l’ingresso di un ampio studio luminoso.
Il
giovane garzone prese congedo col sorriso sulle labbra e
tornò al piano di sotto quasi correndo sui gradini, mentre
il Verrocchio scambiava con il nobile fiorentino una contegnosa stretta
di mano.
Arianna
stessa ne rimase sorpresa: non aveva mai visto Andrea così
burbero e serio, soprattutto quando suo padre veniva a fargli visita.
Poi si ricordò del motivo per il quale erano entrambi
lì, a guardarsi negli occhi scambiandosi silenziosi primi
propositi.
Il
Verrocchio volse le sue attenzioni sulla giovane donna e
restò alquanto stupito di vederla accanto al genitore.
-Ho
ricevuto il vostro portavoce questa mattina all’alba- disse
Andrea rivolgendosi all’uomo. –Mi aspettavo che
sareste venuto da solo- confessò.
-Infatti.
Ho insistito personalmente perché mi accompagnasse, ma
questo non implica la sua partecipazione attiva- rispose Guglielmo con
serietà.
Arianna
mise il broncio.
-Chiedo
venia- Andrea accennò un inchino. –Ebbene, se
volete seguirmi messere, svolgeremo questa conversazione nel mio
studio- si avviò.
Guglielmo
baciò la figlia in fronte. –Non ci
vorrà molto. Prenditi tempo per salutare gli amici-
pronunciò avviandosi.
Arianna
cancellò ogni secondo fine nascosto dietro
quell’affermazione e si allontanò di qualche
passo. Vagò su e giù per il pianerottolo del
corridoio che, protetto da un parapetto, affacciava proprio sulla
camera della tempera.
Dall’alto
Arianna riusciva a vedere in che modo si svolgeva tutta
l’attività della bottega, dai quadri commissionati
da finire di fretta, ai garzoni più giovani che
approfittavano dell’assenza del maestro per lanciarsi mele e
chicchi d’uva, parti delle nature morte.
Alla
ragazza sfuggì una risatina nell’accorgersi del
giovane Lorenzino capitato nel mezzo di quella battaglia. Il ragazzo
era all’opera sul suo ritratto di donna ma incontrava
difficoltà nel tenere il pennello dritto quando un frutto lo
colpiva per “accidente”.
-Smettetela!-
strillava qualcuno.
-Andate
a fare casciara in strada, dove c’è chi ne fa
peggio di voi!- si lamentavano gli artisti più adulti.
A
dirigere le marachelle erano Gallo, Davide e il Michelone, il
più grosso degli scolari, un orafo venuto dal piano di sotto
a divertirsi.
C’era
proprio da ridere a certe scene e Arianna riusciva a stento a
trattenersi, ma le sue gioie erano più isteriche che altro.
Profondamente turbata nell’animo, nella coscienza e
nell’onore, la giovane Pazzi vedeva del comico negli atti
più stupidi.
-Non
avrebbero da comportarsi così. Quando il Verrocchio
tornerà a menarli, saranno mandarini amari per tutti-
sospirò una voce assai familiare.
La
damigella saltò sul posto per la sorpresa.
–L…Leonardo?- balbettò volgendosi alla
sua destra, ove l’artista si era appoggiato al cornicione
strofinandosi le mani in uno straccio. Guardava anch’egli lo
spettacolo del piano inferiore, divertendosi alle ragazzate dei suoi
compagni garzoni.
-Se era
una domanda, madonna, permettetemi di rispondervi: sì, sono
io, Leonardo- scherzò il giovane.
La
Pazzi arrossì visibilmente. –Che
sciocca…- mormorò inclinando lo sguardo.
-Ma
è ancor più sciocco pensare che questo posto mi
mancherà moltissimo- ammise allegro.
Arianna
si prese del tempo, ma non appena comprese, scattò in
allarme. –Voi… lasciate la bottega?- fece
incredula.
Leonardo
annuì appoggiandosi coi gomiti al parapetto. –Temo
di sì… ma a quanto pare non sono il solo- disse
lanciandole un’occhiata eloquente.
Arianna
sfuggì nuovamente ai suoi azzurrissimi occhi e si strinse
nelle spalle. –So cosa state pensando- borbottò
ella. – Sapere che in parte è stata una mia
scelta, fa di me una stupida- sottolineò.
-Oh,
non ne dubito- esordì Leonardo. –O in questo
momento non sareste qui, bensì lungi dal tentare di
conversare con vostro padre assieme al Verrocchio, buttando
giù la porta di quello studio se necessario-
indicò la camera del maestro di bottega.
Arianna
accennò un sorriso. –Sì, in
effetti… ma, se posso, voi perché?-.
Leonardo
sospirò. –Le ragioni che mi spingono a lasciare
questo luogo sono tante. Per esperienza personale so che ogni
esperienza qui la serberò come un tesoro nel profondo del
mio cuore, e per tal proposito saprò battermi a difesa di
quel che ritengo giusto. Ora che ci penso… anche la mia,
come la vostra, è stata una scelta condizionata,
forse…- proferì assorto in chissà
quali pensieri.
-Condizionata?
E da cosa?- le venne istintivo da chiedergli.
Leonardo
fece un vago gesto con la mano, riordinando il filo del discorso che
gli si agitava in testa. –Come esseri umani ci scopriamo
capaci di grandi cose e perseguiamo le cause che più si
adattano ai nostri ideali, ai nostri scopi indetti. Per alcuni
può esserlo l’amore o il denaro, per altri una
persona cara. Per quelli come noi v’è nascosta una
tutt’altra verità più indefinibile e
complessa. Non è così?-.
Arianna
restò interdetta. -Sì… penso-
sussurrò.
Leonardo
si sistemò il berretto. –Ho finalmente scoperto e
imparato il mestiere che mi darà da vivere rendendomi
appagato. Inoltre penso di aver superato da tempo le nozioni di base
che Andrea e la sua bottega potevano darmi. D’altronde, non si spregia quello che
può dare utile conoscenza, ma sopra ogni autorità
di maestro sta la personale esperienza. Questo
è il tanto che basta per sentirmi… libero-.
Libertà…
Un
certo senso di gelosia la invase, così da perdersi il filo
del discorso che intraprese Leonardo non appena gli fu possibile.
L’artista parlava di libertà, l’unica
cosa che una ragazza come lei non poteva permettersi, e questi pensieri
la facevano star male. Corrugò le labbra in una smorfia alla
sola idea dello studio che l’aspettava accanto a suo cugino
Piero e al Poliziano. Una vera tortura.
-…I
vostri macabri quadri spaventano gli animi della gente, la mia passione
per la scienza infastidisce i miei clienti-.
-Passione
per la scienza?- Arianna sgranò gli occhi.
-Lasciatemi
finire- eruppe Leonardo senza cattiveria.
La
ragazza tacque.
-Dicevo…
vedete come simili aspetti riposano in tutti? I vostri dipinti turbano
il cuore umano, le mie affermazioni “bizzarre”
inquietano il pensiero dell’essere che mi ascolta. Gli
artisti son giudicati tutti in base a quel che hanno di diverso in
zucca, e non di come sanno, se sanno, adattarsi al mondo-.
-Io non
credo- sorrise lei.
Leonardo
inarcò un sopracciglio. –Ah no?- si
stupì.
Lei
scosse la testa. –A me non date fastidio, anzi-
ridacchiò. –Siete divertente, Leonardo-
affermò allegra.
-Oh,
bhé… questa sì che è una
novità! Sono colpito. Fin ora in pochissimi hanno saputo
apprezzare questo mio genere di… ciance. Dite poi che
diverto… potrei avere un futuro come giullare a corte?-.
Arianna
stette allungo in silenzio ma sorrise comunque. Mascherava il suo
più profondo turbamento dietro la gioia di avere con
sé la compagnia dell’artista.
Trascorsero
alcuni interminabili minuti di silenzio, durante i quali Arianna
fissò il panorama della Firenze cittadina che si apriva
fuori dai vetri di una finestra vicina, accanto ad un busto incompleto
di ceramica.
-Ve lo
leggo negli occhi- pronunciò ad un tratto Leonardo,
più serio che mai.
La
ragazza incrociò il suo sguardo. -…Cosa?-
mormorò assente.
-La
tristezza- rispose lui senza distogliere la propria attenzione dal viso
di lei. –Il pentimento, il dubbio, la
perplessità… e anche… il peccato-.
Che
acuto osservatore… Se disegnare la morte altrui non
è peccato,
cosa lo è?!
Arianna
gli diede quasi le spalle. –Sì, Leonardo, ho
peccato, e senza che nessuno se ne accorgesse-.
-Io non
credo- disse lui citando le sue stesse parole.
Arianna
si voltò con una virgola infastidita nel gesto.
Leonardo
le sorrise con sincerità e divertimento assieme: -Siete una
ragazza sveglia, Arianna; ricca, di famiglia potente, e se posso,
aggiungerei anche molto bella-.
Le
guance di lei cominciavano a scottare di brutto.
-Quel
che avete passato in questa bottega, il dolore che ha allungo turbato
il vostro cuore, gettatelo nel passato, dimenticatelo, o se proprio non
riuscite di farne a meno, sappiate accettarlo e conviverci in armonia,
‘ché state facendo la cosa giusta. È un
prezioso consiglio che vi do, quello di sfidare voi stessa,
perché la vera battaglia, noi come uomini, la combattiamo
qui dentro- Leonardo si posò un pugno chiuso sul petto,
indicando con quel gesto non solo il proprio cuore, ma
l’anima in generale. Parlava come un profeta. –Le
porte per il Paradiso sono piccole e strette, quelle per
l’Inferno grandi e grasse. Facile assecondare i nostri
desideri, ma solo noi stessi possiamo essere giudici delle nostre
azioni e limitare le stesse. Per averlo detto, vi prego, non
consideratemi un eretico- ridacchiò.
Arianna
si permise di ridere con lui, ma giusto in quell’istante le
porte dello studio del Verrocchio si aprirono in sincronia
all’ultima sillaba pronunciata da Leonardo, e
l’intera bottega ripiombò nel suo rispettoso
silenzio.
Guglielmo
de’ Pazzi e Andrea di Cione si scambiarono un contegnoso
saluto a mo’ di stretta di mano, dopodiché il
Verrocchio fece cenno a Leonardo di raggiungerlo
sull’ingresso dello studio.
Guglielmo
andò incontro alla figlia e la sorprese in compagnia
dell’artista.
Leonardo,
prima di raggiungere il maestro di bottega, salutò con
devozione il nobiluomo di Firenze. –Messere, è un
onore conoscere il padre di questa stupenda creatura- disse anche.
Arianna
si strinse nelle spalle non riuscendo più a contenere il
rossore delle guance.
-L’onore
è mio, mastro Leonardo- ricambiò Guglielmo con
letizia, poi si rivolse alla figlia carezzandole la testa.
–Bianca ci attende per pranzo. Vogliamo andare?-.
Arianna
esitò sulla risposta, spaventata al solo nome di quella
donna.
Guglielmo
guardò un’ultima volta entrambi i due giovani,
prima di aggiungere: -Ti aspetto di sotto-.
L’uomo
si avviò giù per le scale scortato da Lorenzo di
Credi, lasciando sola la figlia sul pianerottolo assieme a Leonardo.
Andrea di Cione sparì nuovamente nel suo studio.
La
ragazza gli sorrise di nuovo. –Sono contenta che abbiate
trovato la vostra strada-.
-Ed io,
madonna, vi auguro tutta la fortuna necessaria perché voi
troviate la vostra- proferì un profondo inchino privandosi
anche del cappello.
-A
presto- mormorò lei scendendo il primo gradino.
-Senz’altro-
convenne lui. L’azzurro dei suoi occhi sinceramente devoti la
colmò del coraggio necessario per affrontare quelle ore che
venivano.
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Capitolo 6 *** In casa dell'amico ***
In casa dell'amico
Il sole
del mezzogiorno rischiarava il cielo facendo brillare le nuvole
d’argento e luccicare le acque dell’Arno come
un’unica, magnifica lastra di cristallo. La gente gironzolava
a spendere per le varie botteghe e il chiacchiericcio
tutt’attorno era assordante.
Lei e
Guglielmo traversavano in quel momento Ponte Vecchio dirigendosi
all’altra sponda. Si lasciavano alle spalle la Cattedrale
della Santa Maria del Fiore e la torre del Palazzo della Signoria,
insieme al gran baccano delle storiche vie più trafficate.
Arianna
teneva il braccio legato a quello del padre in un tranquillo passeggio,
ma mentre egli era sorridente al popolo che lo vedeva rientrare nei
suoi quartieri, Arianna si teneva assorta e pensosa a capo chino.
-Se
c’è qualcosa che ti turba, ti conviene parlarmene
ora, figlia mia, prima di rientrare in casa- le suggerì
l’uomo proseguendo sulla via a braccetto con la figlia.
Arianna
attese di essere sulla strada principale che portava alla reggia
de’ Pazzi prima di rispondere. Fece fermare suo padre con
sé attirandolo vicino ad una fontanella che diffondeva sulla
pietra il suo crosciare spumante.
-Vi
chiedo del tempo per riflettere- pronunciò la fanciulla
incrociando i propri occhi con quelli dell’uomo.
–Da sola-.
Guglielmo
parve sorpreso. –Oggi?-.
-Adesso-
spiegò meglio la giovane dama.
-Non
credo sia fattibile, piccola mia. Bianca…-.
-Ve ne
prego- lo supplicò con lo sguardo.
Guglielmo
rimase allungo irremovibile. –No, Arianna, quello che mi
chiedi è troppo. Non penserai mica di vagabondare sola per
Firenze?!-.
La
ragazza annuì. –Invece è proprio
questo. Vi prego! Siete in grado solo voi di acquietare gli animi di
vostra moglie!-.
-Appunto!
E cosa dovrei dirle?! “Nostra figlia va a zonzo per Firenze e
non rientra per pranzo!” Vorrei ricordarti: tua madre
è l’unica donna ad aver impiccato gli ospiti che
non si sono presentati al banchetto del suo matrimonio!-.
Arianna
sgranò gli occhi. –Allora me lo acconsentite?-.
Guglielmo
gettò un sospiro di resa. –Sì. Posso
concederti qualche minuto qui attorno, ma lascia almeno che ti affidi
una guardia-.
-Padre!-
convenne lei. –Conosco questi vicoli a memoria, e davvero mi
mettereste al seguito uno dei vostri soldati?!-.
-Non
fare l’offesa, Arianna. È per il tuo bene-.
La
ragazza soffocò un grido esasperato. –Non riesco a
pensare quando sono in compagnia!-.
-E a
che cosa pensi, sentiamo!- eruppe Guglielmo, il quale cominciava a
spazientirsi. –Sarei molto curioso di saperlo-
fulminò la figlia con un’occhiata gelida.
-Vi
prego…- lagnò lei con più garbo.
Quella
volta il viso della figlia fu sufficiente ad addolcirgli il cuore.
–E va bene! Ma esigo che tu rientri per cena prima che faccia
buio- fece accigliato.
Arianna
s’illuminò d’un tratto.
–Sarà fatto! Grazie!- si gettò al collo
del padre e lo abbracciò con foga. Prima che potesse
sfuggirle, Guglielmo fermò la mano della figlia nella
propria e prese dalla cintura un sacchetto abbondante di monete. Porse
due fiorini d’oro alla ragazza e le richiuse il palmo.
-Forse,
se ricordassi che tua mandre ama molto il topazio o lo zaffiro, sta
sera metteresti qualcosa nello stomaco- mormorò lui con
complicità.
Arianna
sfoggiò un sorisetto malizioso. –E’ con
topazi e zaffiri che avete rubato il suo cuore di onice, ser?- rise.
Guglielmo
trattenne a stento la risata. -Va’, va’!- le diede
un colpetto in testa e Arianna si avviò di corsa su Ponte
Vecchio, tornando sui suoi passi fin dall’altra parte
dell’Arno. Quando si voltò indietro, suo padre era
già sparito inghiottito dalla folla di gente che animava il
via vai del quartiere sulla sponda opposta.
Sorrise
nuovamente e ringraziò Guglielmo con tutta
sincerità.
In
un’oretta di cammino giunse fin dall’altra parte
della città, ove si ergevano le caotiche bancarelle del
Mercato Vecchio. Lì cercò un pensiero a Bianca
prima che le botteghe chiudessero per il pranzo. Comprò un
bracciale di zaffiri e topazi per mera fortuna. Non poteva capitarle
combinazione migliore, si disse, e quasi abbracciò il
venditore per la gioia. Fatta anche quella commissione, giungeva il
tempo di concedersi un minimo di filosofia sulla propria vita.
Saltò totalmente il pranzo, svuotata della fame, e coi
fiorini che le restavano comprò un libro qualsiasi,
purché le tenesse la mente assorta nella lettura.
Durante
le ore successive al mezzogiorno, le strade di svuotavano del solito
caos cittadino perché gran parte del popolo si rifugiava in
casa a banchettare o poltrire. Alle quattro e mezza precise le campane
delle chiese avrebbero suonato di nuovo avvertendo la ripresa delle
attività commerciali e, in conseguenza, del baccano.
Arianna
decise di trascorrere il tempo che le restava nell’armonia
con la natura di un piccolo spazio verde nei pressi di Santa Maria
Novella.
La
Pazzi sedé su una panca del giardinetto, all’ombra
di un melo in fiore e aprì il suo libro alle prime pagine.
In breve divorò la metà dei capitoli.
Era un
testo sulla mitologia greca tradotto in latino da Andrea Poliziano, il
precettore di suo cugino Piero (figlio di Lorenzo), nonché
grande letterato italiano. Il libro, trecento pagine al massimo, era
rilegato in una copertina color porpora senza troppi fasti. Sul dorso
era impresso a caldo qualche decoro, ma nulla che avesse in particolare
attirato l’attenzione della giovane Pazzi. Quando Arianna
l’aveva pagato, manco aveva chiesto di cosa parlava.
L’aveva preso dagli scaffali e messo sottobraccio.
Ora non
poteva fare a meno di sfogliarne riga dopo riga, spolverando le sue
vecchie nozioni di latino che aveva smesso giusto un anno prima. Si
riscoprì piuttosto svelta e interessata.
Giunta
ben oltre la metà dello scritto, nella piazza accanto
già si udivano delle voci di gente e il trambusto delle
guardie di ronda.
La
veglia delle quattro e mezza rintoccò il suo canto.
Arianna
arrivò nella lettura ad un’interessante e, se
così poteva dirsi, ilare scheda di Apollo.
Il Dio
greco era raffigurato in una piccola miniatura accanto alle parole, ma
ciò che più colpì la ragazza fu la
“sfortuna” che egli, a differenza di tutti gli
altri Dèi, ebbe in amore.
Al
poveretto andò male parecchio, lesse Arianna,
perché se prima tentò Daphne, questa si
trasformò in un albero. Poi venne la triste storia del
principe Spartano Giacinto, che mentre giocava al disco con Apollo,
venne colpito alla testa dallo stesso e morì trasformandosi
in un bel fiore rosso. Marpessa scelse Ida invece di Apollo
perché il Dio si sarebbe stancata di lei appena fosse
invecchiata.
In fine
Arianna lesse di Cassandra e della maledizione che Apollo le avrebbe
inferto. La principessa Troiana, una dei 50 figli di Priamo, era stata
di Apollo sua apprendista perché egli le promise di
insegnarle la profezia. Ciò accadde e Cassandra divenne
capace di prevedere il futuro della sua gente. Quando però
rifiutò l’amore di Apollo, egli la maledisse
sputandole in bocca. Da quel giorno, qualsivoglia diceria pronunciata
da Cassandra non sarebbe mai stata creduta, e la fanciulla condannata a
patire l’umiliazione e il dolore dell’ingiustizia.
-Salute,
Arianna!-
-Mia
piccola pittrice, spero ti ricordi di tuo zio Francesco!-.
-Arianna,
Francesco e Vieri si uniranno a noi per un po’. Vengono in
città per delle questioni d’affari, ma
ripartiranno per San Gimignano prima dell’estate-.
-Vogliamo
prendere posto per pranzo, che ne dite?-.
-I
cattivi presentimenti che hai sono corretti-.
-Vieri
è qui per te-.
Qualcosa
le suggeriva che quella sera ben poco sarebbe andato come previsto.
Vieri
e la sua famiglia abitano a San Gimignano, ma cosa ci fanno a
Firenze?!
Arianna
credé di essersi immaginato tutto, poiché certe
immagini si erano sostituite ai concetti della lettura appena fatta.
Invece di figurarsi Apollo, nella sua mente era apparso il volto di suo
cugino da parte paterna.
Arianna
richiuse il libro lentamente, non volendo leggere oltre.
Posò entrambe le mani sulla copertina che teneva sulle
ginocchia e ascoltò rintoccare il suono delle campane della
Santa Maria Novella, che avvertiva del crepuscolo ormai prossimo.
Il
cielo si era già scurito ad est e prospettava
dell’arancio sull’ovest. Le ombre dei palazzi
avevano viaggiato veloci, e così quella
dell’orologio in pietra nella piazza della chiesa. La sua
fantasia doveva essersi mangiata una buona fetta di tempo.
Oh
Santissimo!
Arianna
stava per alzarsi in piedi, ma a pochi passi da lei crollò
una tegola di terracotta che andò in frantimi. La ragazza
scattò per lo spavento e si strinse il libro al petto.
Alzò gli occhi in cielo e scorse solo qualcuno allontanarsi
dalla sporgenza per poi defilarsi tra i tetti di Firenze.
Ragazzini…
pensò tra sé e sé avviandosi fuori dal
cortiletto verde. Giunta in piazza la traversò tutta con
passo spedito.
Dannazione!
Imprecò. Non
arriverò mai a casa prima che faccia buio…
si disse mentre accelerava sempre più. Ad un tratto
cominciò anche a correre, ma sarebbe stato del tutto
inutile. Casa distava almeno un’ora di cammino, e di poche
forze com’era lei non avrebbe mai retto una corsa tanto lunga.
Per
cenare con quella serpe,
poi, non ne vale la pena! Sentenziò acida
pensando non solo a Bianca, ma soprattutto a suo cugino Vieri. Se quel
che aveva visto, ovvero suo padre che le presentava Vieri e Francesco
ospiti in casa loro per qualche tempo, Arianna desiderò
essere tutt’altra parte quando questo sarebbe accaduto. Se
sarebbe accaduto…
Si
fermò in mezzo alla strada.
Le
ronde delle guardie diventavano più frequenti portando con
sé delle torce; le bancarelle chiudevano le imposte, il
proprietario di una bottega serrava a chiave l’ingresso della
propria attività.
Arianna
parve illuminarsi.
Ma
certo! La bottega!
Scattò
di corsa per un vicolo e tagliò un tratto del viale
principale. Giunta a destinazione, trovò la porta della
bottega già chiuse e tutte le finestre
dell’edificio sbarrate dalle imposte di legno.
No!
Si
lasciò prevalere dallo sconforto. Guardò di nuovo
il cielo accorgendosi delle prime stelle già lucenti.
E
ora che faccio!?
Si domandò più volte mentre passo dopo passo
accorciava inutilmente le distanze verso casa. Sperduta, stanca e
spaventata non sapeva che fare e a chi chiedere.
Troppo
intimorita dalle armi, scartò subito l’idea di
appellarsi alle guardie. Per le vie di Firenze si facevano vivi solo
qualche ladro e alcune cortigiane che la guardavano passeggiare tutta
sola con il libro di Poliziano stretto al petto.
Potrei
andare dagli zii! Pensò
lei guardando verso la direzione che, se così avesse deciso,
avrebbe intrapreso. Ma poi si ricordò che Lorenzo era nella
sua villa a Careggi con tutta la famiglia. A Palazzo Medici era rimasto
probabilmente solo Giuliano, ma non era il caso di domandare asilo a
chi aveva quasi condannato all’impiccagione suo padre.
Punta
dal freddo, Arianna si ritrovò a gironzolare nelle viuzze
attorno a Palazzo della Signoria, sotto gli sguardi poco casuali delle
guardie piazzate attorno alla piazza e sui bastioni
dell’edificio scuro, dietro i merli. Allontanandosi dai
soldati, Arianna capitò in Via de’ Gondi,
una stretta stradina che gettava in Piazza San Firenze.
Lì
sorgeva un palazzotto in mezzo agli altri che ospitava una finestra
circolare, la più alta. Questa era aperta lasciando
trasparire il chiarore di una candela che veniva
dall’interno. Gettando lì l’occhio,
intravide il fondo della stanza improvvisata in una soffitta.
Indietreggiò un poco e riuscì a riconoscere un
giovane seduto ad un piccolo scrittoio. Adoperava la piuma
d’oca con la mano mancina, e il berretto rosso fu
inconfondibile.
-Leonardo!-
strillò pazza di gioia.
Il
ragazzo sobbalzò sulla sedia e si guardò attorno
sperduto nella sua stessa camera da letto.
-Leonardo!
Leonardo, sono qui!- chiamò di nuovo lei, ma sta volta a
voce più bassa per via delle guardie che pattugliavano
l’area.
L’artista
balzò in piedi e si sporse dalla finestra. Guardò
giù e sgranò gli occhi nel riconoscere la
ragazza. –Arianna! Per l’amor di Dio, che ci fate
qui?! È notte fonda ormai!- sibilò in pena.
-Effettivamente-
rabbrividì lei –fa un po’ freddino-
confessò stringendosi nel vestito.
-Oh
Santo… Starete congelando! Aspettate lì, vengo
giù!- le disse e sparì nella stanza di gran corsa.
La
ragazza attese dinnanzi l’ingresso della palazzina
guardandosi intorno. Udì il sibilo degli argani della porta
che veniva aperta dall’interno, poi una sezione di essa si
socchiuse davanti a lei lasciando travedere un atrio avvolto dalle
tenebre.
La
figura di Leonardo comparve come per magia. –Vi prego,
entrate, Arianna- sussurrò il giovane tenendo un tono di
voce bassissimo.
Arianna
varcò l’uscio e, mentre Leonardo ripiegava con
accuratezza le serrature della porta, si fermò nel mezzo del
tappeto. -Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, Leonardo, ma
nemmeno immaginate che fortuna sia per me…-
cominciò lei, ma il ragazzo la zittì posandole
una mano sulla bocca.
Arianna
sgranò gli occhi con sorpresa, e Leonardo le fece cenno di
tenere silenzio. –Se mio padre e i miei fratelli hanno buon
orecchio quanto me, è bene che tacete, ve lo garantisco- la
informò.
-Scusate-
pronunciò colpevole –lo terrò a mente-.
-Venite-
Leonardo le prese la mano e la guidò verso il piano di
sopra. Salirono le scale in un religioso silenzio, ciascuno dei loro
passi produceva un sussulto del legno e uno scricchiolio sinistro.
Arianna tenne i nervi saldi e i muscoli tesi fin quando non giunsero in
fondo al corridoio sul quale affacciavano le varie stanze dei famigli
da Vinci. Poi Leonardo le indicò una fragile scaletta in
legno che saliva sino alla soffitta avviandosi per primo.
Arianna
si arrampicò sui gradini aiutandosi con le mani e, una volta
di sopra, si lasciò issare da Leonardo che
l’accompagnò in piedi.
Il
soffitto a tetto era abbastanza alto da poter stare dritti, ma un uomo
adulto come Guglielmo o poco più alto di Leonardo sarebbe
stato costretto a chinare la testa.
-Perché
siete finito a vivere in soffitta?- domandò la giovane
guardandosi attorno.
Leonardo
richiuse lentamente la botola nel pavimento che conduceva al corridoio.
–I miei fratelli più piccoli hanno espresso il
volere, e fu fatta la loro volontà!- citò
allegro, permettendosi di alzare il tono di voce ora che erano riparati
da quattro mura. Si alzò e andò verso la finestra
tonda chiudendone i vetri. Lassù tirava una corrente fredda
che era meglio evitare.
-Quanti
fratelli avete?- chiese la ragazza.
-Troppi-
rispose con una risatina isterica.
Ad
Arianna sfuggì un sorriso.
-Perdonate
la segretezza del nostro incontro, ma provate ad immaginare quale
sarebbe stata la reazione dei miei parenti nel vedervi comparire in
casa mia… nel bel mezzo… della notte-
indugiò. –Anche se io…- si
schiarì la gola e fulminò la giovane con
un’occhiata burbera. –Arianna, perché
siete qui?!- chiese poi.
La
giovane restò stupita del suo improvviso cambio
d’umore. –Io…- balbettò.
-Non
sarete fuggita, spero!-.
-Assolutamente!-
si apprestò a dire.
-Allora
che accade?-.
-Ero in
strada a cercare un regalo per mia madre, ma poi si è fatto
tardi, è calato il sole…- ripensare alla
stupidaggine che aveva fatto cominciava ad inumidirle gli occhi.
Abbassò il capo nascondendosi al ragazzo che aveva di
fronte. –Mi spiace, mi spiace davvero, ma non c’era
altro posto in cui potessi andare-.
Leonardo
la guardò con dolcezza. –Non fatene una tragedia e
non disperate, aggiusteremo ogni cosa- le venne vicino.
–Posso sempre riaccompagnarvi di persona, se gradite-.
Arianna
scosse la testa ma non disse nulla, lasciando Leonardo scettico di quel
gesto.
-Non
avrete mica intenzione di restare qui tutta la notte-
mormorò esangue.
La
ragazza alzò gli occhi nei suoi. Quel gesto fu
più chiaro di mille parole.
-Arianna,
non potete fare questo a vostro padre… Provate a pensare
quanto egli sia in pensiero per voi, adesso! E Bianca?! Per tutti i
Santi, mi farà tagliare la testa quando lo saprà-.
-No-
replicò la ragazza con fermezza. –Vi prometto che
non accadrà. Me la sbrigherò io con i miei
genitori, se essi vorranno sapere. Ma vi prego, è
l’ultimo dei miei desideri tornare a casa ‘sta
sera-.
-Perché?!-.
La
giovane dama non rispose e mosse un passo indietro.
C’è
mio cugino, ecco perché…
-Va
bene, come volete- sospirò Leonardo. –Mettetevi
pure comoda- le indicò il letto singolo sul lato della
stanza e Arianna non se lo fece ripetere.
Sedé
sulla brandina stirandosi le pieghe del vestito. –A cosa
lavoravate prima che v’interrompessi?- chiese più
serena poggiandosi il libro sulle ginocchia.
Leonardo
sobbalzò. –Oh, bhé… non
penso che possa interessarvi- fece un gesto con la mano e nel frattempo
si adoperò a sistemare la confusione di fogli sullo
scrittoio.
-Insisto-
sorrise lei, poi la sua attenzione cadde su un buffo oggetto sospeso in
aria attraverso delle fragili corde di spago fissate con dei chiodi
alle travi del soffitto. Era molto piccolo, non più grande
di un braccio, e cosa più strana pareva un
uccello… di carta.
-Cos’è
quello?- Arianna indicò l’oggetto.
Leonardo
seguì la linea dei suoi occhi e incontrò
l’arnese sulla sua strada. –Ah! Sì,
quello… è solo un sogno…
un’idea!- si corresse.
-Sembra…-.
-Un
uccello, sì!- rise Leonardo con isterismo. –Lo
dicono in molti…-.
-Ma non
lo è, giusto?- sghignazzò la giovane.
L’artista
scosse la testa. –Temo di no. O meglio, la radice sta proprio
nella forma simile ai pennuti, ma il pensiero è…
tutt’altra cosa-.
-Ovvero?-.
Leonardo
prese tra le mani un blocco pieno di scritte e disegni. -Sono molto
attratto da queste creature- disse. Si avvicinò alla ragazza
e le sedé accanto. –Fin da bambino amavo
accompagnare il mio zio Francesco nella caccia alle poiane e alle
volpi. Mio padre si lamentava spesso nel vedermi tornare a casa con la
cacciagione ancora viva- Arianna rise con lui e, mentre sfogliava il
suo taccuino ammirando gli schizzi meravigliosi su di esso ritratti,
Leonardo si alzò in piedi. Avvicinandosi ad una buffa
gabbietta in legno sul davanzale della finestra, ne trasse un piccolo
passerotto dal petto rosso.
-Arianna,
questo è Marcus- sorrise l’artista tenendo
l’uccellino sul proprio dito.
-Oh mio
Dio…- mormorò affascinata la ragazza.
Leonardo
le venne incontro. –Lo catturai nel giardino della bottega
del Verrocchio quando avevo la tua età. Da allora
divenimmo inseparabili-.
-Lo
vedo!- gioì lei notando con stupore come il grazioso pennuto
stava sul dito del padrone senza mostrare né timore
né risentimento verso di lui. Al vedersi avvicinare Arianna,
però, sfuggì dalla mano di Leonardo e
andò a rintanarsi nella sua gabbietta.
-Perdonalo,
fa il timidone! E’ diventato tutto rosso anche se non si
vede-.
Un
pettirosso che arrossisce! Arianna
rise divertita.
Leonardo
richiuse la gabbietta e tornò accanto alla dama sedendosi
sul letto. Solo in quel momento notò il libro che la ragazza
teneva poggiato sulle ginocchia.
-Posso…?-
chiese cordiale indicando il volume.
-Certamente-
glielo porse con garbo.
-Interessante.
Devo avere una copia di questo volume da qualche parte- disse Leonardo
sfogliandone le prime pagine. –Non mi sorprende che siate in
possesso di questi suoi volumi, dopotutto il Poliziano è
precettore di vostro cugino- sorrise restituendoglielo. –Ma
mi stupisce ancor meno che abbiate intrapreso la strada della cultura
greca. Vi ammiro: voler riprendere gli studi così presto
dev’essere stata un’imposizione di vostra madre-.
-No-
Arianna scosse la testa. –Ho comprato solo oggi questo testo,
mentre cercavo il regalo per Bianca-.
-A
proposito, cosa le avete…?-.
Arianna
trasse il sacchettino di velluto da una taschina del corpetto. Porse il
bracciale a Leonardo che se lo rigirò nelle mani con cura.
-Credete
di poter comprare l’amore di vostra madre con un simile
dono?- chiese accigliato.
Arianna
restò interdetta da quella reazione. –Ovvio che
no. Questo dono sarebbe servito ad acquietarle il cuore
quando…-.
-Arianna,
quella donna vi vuole più bene di quanto immaginate. Tiene
più a voi di quanto ve ne voglia vostro padre-.
-Questo
è pressoché impossibile- Arianna si
adombrò.
-Sbagliate
ad interpretare i suoi gesti nei vostri confronti come restrizioni e
punizioni. Ella non fa altro che proteggervi, a suo modo,
certo… ma se gliene deste la possibilità,
riuscirebbe ad amarvi meglio di Guglielmo-.
-Meglio
di Guglielmo?! Perché dite che uno dei miei genitori
dovrebbe sapermi amare meglio dell’altro?! Mio padre non mi
ha mai mandata a letto senza cena e chiusa a chiave nello stanzino! Non
è una questione di qualità, Leonardo! Voi una
madre che vi sgrida e vi schiaffeggia dalla mattina alla sera non
l’avete mai avuta, perciò non capite…-
assentì furiosa.
Leonardo
guardò a terra. –Avete ragione: una madre del
genere è giusto quello che mi manca- disse amaramente
alzandosi dal letto e sistemandosi sul seggio davanti allo scrittoio.
Arianna
alzò gli occhi sulla sua figura.
–Leonardo…- mormorò ricordandosi di
quante mogli aveva lasciato in cinta suo padre e di chi girava voce
fosse veramente figlio l’artista. –Non avrei mai
dovuto, io… sono stanca, e arrabbiata, e…
perdonatemi, vi prego-.
-L’ho
già fatto- pronunciò sereno il ragazzo.
Impugnò la penna e riprese a scrivere da dove aveva
interrotto.
Arianna
si sentì infinitamente subdola e meschina. Era piombata in
casa sua ed ora lo offendeva anche. Mai aveva fatto una cattiveria del
genere ad un suo conoscente, tanto meno ad un amico che le aveva
offerto riparo. Chinò la testa all’indietro
appoggiandosi alla parete in legno della stanza. Sopraffatta dalla
stanchezza finì per addormentarsi, scivolando giù
lentamente. Prima con una spalla, poi con tutto il corpo concedendo
alle palpebre di abbassarsi; era finita distesa sopra le coperte. La
massa di boccoli neri le copriva parte del viso, una guancia premeva
sul soffice cuscino.
Nel
frattempo Leonardo aveva concluso l’ultima pagina del suo
diario giornaliero. –Sono curioso, però, di sapere
cosa racconterete ai vostri cari domani, quando…- si
voltò e restò a bocca aperta. Si permise un dolce
sorriso nel vedere la fanciulla distesa e profondamente dormiente.
–Ah- sospirò lui. Si alzò, spense la
candela con un soffio e andò a sedersi sulla poltroncina
lì accanto.
.:Angolo
d’Autrice:.
Ser
Piero da Vinci visse in Via de’ Gondi, nella zona di Piazza
San Firenze, non fino alla sua morte, ma l’edificio che una
volta doveva essere stata la dimora del padre del Grande Genio di
Leonardo, venne abbattuto nel ‘600 per costruirvi un palazzo
pubblico. L’Onice è una pietra nera.
Ecco
un’immagine del Bracciale di Bianca che Arianna
“regala” alla madre.
http://i11.ebayimg.com/01/i/001/2f/08/2cc1_1_b.JPG
Mentre
per quanto riguarda Marcus il pettirosso: trovate l’immagine
sul mio profilo! XD
Uno
special “thanks” a goku94 u.u (al quale dedico
questo aggiornamento) a renault e lullacullen! (non farti scappare il
capitolo precedente! ^^) A prestoooooo! *O*
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Capitolo 7 *** Riunione di famiglia ***
Riunione di famiglia
-Rebecca,
non abbiamo tempo: Lucy sta arrivando. Levala di lì-.
-Con
calma, Shaun. Non deve fare sforzi-.
Riapro
gli occhi all’improvviso non appena mi sento afferrare da una
presa salda sulla spalla.
-Shaun,
aspetta!- erompe la ragazza. –Aspetta, dannazione!-.
Non
ho
nemmeno il tempo di fare un passo che, dopo essermi alzata
dall’Animus, barcollo un po’ e crollo a terra non
sentendomi più le gambe.
-Ecco!
Bravo! Guarda cos’hai fatto!- strilla Rebecca chinandosi su
di me e aiutandomi ad alzarmi.
-Cosa…
cosa succede?- mormoro con un filo di voce. Sbatto le palpebre
più volte ma davanti a me resta materializzata la stanza di
Leonardo da Vinci che ho veduto nei ricordi della mia antenata. Posso
vedere l’artista semi sdraiato sulla poltroncina accanto al
letto. Vedo gli scaffali coi libri, la gabbia di Marcus, la finestra,
ma tutto di colori fluorescenti e appena accennato, come scarabocchiato
a matita sopra un disegno pre-esistente del laboratorio.
-Elisa
riesci a muoverti?- mi domanda Rebecca.
Scuoto
la testa. –Vedo… la stanza- pronuncio senza tono.
La paura è talmente tanta che parlo come un fantasma, e come
tale mi sento.
Rebecca
e Shaun si scambiano un’occhiata allarmata.
-Possibile
che?…- il ragazzo non fa in tempo a terminare che Rebecca mi
solleva di peso da terra issandomi nuovamente sull’Animus.
-La
coscienza è ancora legata ai ricordo! Abbiamo interrotto
proprio quando non dovevamo, dannazione!- geme la ragazza tornando alla
sua postazione. –Il blocco di memoria è in
concluso e non possiamo lasciarlo così, o Elisa
resterà “collegata” alla sua antenata
fino al resto dei suoi giorni!-.
In
breve Shaun riallaccia al mio braccio la sonda e riabbassa il vetrino
davanti agli occhi.
-Cerca
di fare una cosa veloce. Tra poco saranno qui- dice lui, leggermente in
ansia.
-Chi?…-
mormoro assente.
-Lucy
e… un amico- risponde Rebecca.
-Prendi
nota Rebecca: questo genere di cose non deve succedere col soggetto 17-.
-È
stata colpa tua! Ti avevo avvertito di fare con calma!…-.
-Scusa
tanto se le sorti di una Guerra Leggendaria dipendono da noi e da
questo affare- indica l’Animus. – Che facciamo se
arrivano e ci sorprendono così? Capisci che abbiamo i minuti
contati, ragazzina? Quindi ora fa’ il tuo lavoro, e
possibilmente alla svelta- il ragazza fa una breve pausa mettendosi a
braccia conserte davanti gli schermi del computer, accanto a Rebecca.
-Quando
sarà qui, spiegheremo a Lucy come stanno le cose- guarda
verso di me per un istante. –E lei ci aiuterà a
prendere una decisione- erompe Shaun.
Rebecca
si adombra. –Cosa stai pensando?- chiede turbata.
-Di
questo passo non concluderemo mai abbastanza blocchi di memoria
perché l’Effetto Osmosi funzioni.
Perciò non montarti troppo la testa: la priorità
è una, e di Animus qui dentro non ce ne sono a sufficienza-
brontola allontanandosi verso la sua scrivania.
-Shaun-
chiama Rebecca d’un tratto. –Abbiamo un problema-
dice continuando a guardare gli schermi.
-Che
c’è adesso?- sbuffa lui.
-Il
blocco di memoria è concluso e l’abbiamo
interrotto nel punto giusto. Però i sintomi…-.
Shaun
aggrotta la fronte e guarda verso di me.
-Proviamo
ad andare avanti e vediamo che succede- propone Rebecca.
-Oppure
ci basta interrompere- ribatte Shaun.
-Troppo
tardi!-.
[Repubblica
Fiorentina 1476]
Il
canto di allegri uccellini si diffondeva in lontananza, ma tra tutti ce
n’era uno che cinguettava più vicino e felice di
tutti. Una ventata d’aria primaverile figurò nella
stanza passando attraverso la finestra aperta, e con essa un raggio di
sole penetrò le tende leggermente schiuse andando a posarsi
sulla guancia della ragazza.
Arianna
aprì gli occhi poco a poco per abituarsi alla luce.
La
prima cosa che vide fu Marcus nella sua gabbietta. Zampettava da un
rametto all’altro intonando la sua acuta melodia. Fuori dalla
finestra dai vetri aperti si riuniva un piccolo gruppo di passeri dal
colorito grigiastro, che svolazzavano tra i rampicanti verdi del
davanzale. Dall’esterno venivano le voci dei passanti, il
trambusto della gente in strada e lo scalpitare di cavalli. Dato il
sole già alto in cielo doveva trattarsi di un’ora
piuttosto tarda della mattina.
La
giovane si sollevò su un gomito e, guardandosi attorno,
notò di essere sola nella soffitta. Vide che la poltroncina
accanto al letto mostrava ancora i dossi sul cuscino di una persona
stata seduta. Leonardo doveva essersi appisolato lì mentre
lei occupava il suo solito letto. Un gesto dolce e premuroso che la
fece sorridere. Solo allora notò di essere scivolata tra le
lenzuola e di avere le coperte ancora infagottate attorno alle gambe,
quando invece ricordava benissimo di essersi addormentata senza disfare
troppo il letto. Si accorse anche di non avere sul capo il suo
cerchietto, che poco dopo vide poggiato sullo scrittoio ordinato,
assieme al libro e al sacchetto col regalo per Bianca. Le sue scarpe,
invece, erano ai piedi del letto.
Arianna
si mise seduta sul materasso e cercò di aggiustarsi i
capelli che non poteva immaginare quale forma avessero. Si
schiaffeggiò un po’ le guance per riprendersi del
tutto dal sonno e, quand’ebbe fatto tutto ciò,
udì dei passi e delle voci di bambini venire dal piano
inferiore.
La
casa
Vinci doveva essere nel pieno delle sue attività familiari,
perché i bambini già giocavano per i corridoi e
correvano su e giù per le scale inseguiti sicuramente da una
balia.
D’un
tratto la botola sul pavimento che portava al piano inferiore si
aprì e mostrò il volto di un fanciullo con un
piccolo naso, grandi occhi azzurri e qualche ciuffo di capelli biondi
che spuntavano da sotto il berretto di lana. Quando il suo sguardo
incontrò quello perplesso di Arianna, la ragazza gli
sorrise, ma in tutta risposta il bimbo arrossì miseramente e
fuggì giù dalle scalette lasciando aperta la
botola. Arianna udì delle vocine ridacchianti e
capì che il piccoletto stava già spargendo
notizia ai suoi fratellini.
La
ragazza fece un gran sospiro.
-Giulio,
hai una faccia poco affidabile. Che hai combinato?- domandò
serena una voce che Arianna riconobbe bene.
-Nulla!-
risposero a coro i bambini, tra di loro v’erano quattro
fanciulli e due ragazzine.
Ci
fu
un istante di silenzio, poi le risate chiassose dei marmocchi
riempirono tutta la casa.
-Ecco,
bravi, scappate- borbottò Leonardo mentre saliva le scalette.
L’artista
giunse si sporse oltre la botola. –Buon giorno!-
gioì comparendo del tutto sul pianerottolo. –Quale
sollievo vedervi già sveglia, o quelle pesti avrebbero
scarabocchiato sul vostro viso con le mie penne, come fanno di
solito…- si lamentò Leonardo avvicinandosi a lei.
–A proposito, hanno toccato niente?- domandò
voltandosi allarmato verso lo scrittoio.
-Assolutamente-
scosse la testa la ragazza. –Penso di aver fatto una buona
guardia- sorrise.
-Immagino!
Con quei capelli avreste spaventato anche me!- ridacchiò.
Arianna
sobbalzò e arrossì visibilmente portandosi
entrambe le mani tra le ciocche scompigliate.
-State
serena, scherzavo- disse lui porgendole il suo cerchietto con un
sorriso.
Arianna
lo afferrò dalle sue mani di fretta e se lo
sistemò in testa con altrettanta sveltezza.
A
Leonardo sfuggì una nuova risata mentre andava a versare
nella scodellina della gabbietta di Marcus dei semini di grano, dandole
le spalle. –La vostra famiglia è stata informata
questa mattina stessa- annunciò lui. –Siete la ben
venuta se desiderate unirvi a me per la colazione, dato che ho atteso
personalmente il vostro risveglio. I miei fratelli leveranno il
disturbo tra breve, perciò non dovete spaventarvi-
carezzò il piccolo uccellino con un dito e richiuse la
gabbia.
Arianna
si morse il labbro. –Come l’hanno presa i miei
famigli?- domandò nervosamente.
-Non
bene, ma, dopotutto, che v’aspettavate?- Leonardo la
raggiunse e le porse una mano.
Arianna
posò il palmo sul suo e si lasciò aiutare ad
alzarsi dal letto. –In effetti…-.
-Ora
non pensateci. Vi consoli il fatto che gran parte delle
“silenziose” ramanzine di vostro padre le ho patite
io- le strizzò un occhio.
-Voi…-
fece stupita la ragazza.
-Fortunatamente-
convenne lui –sono fuggito prima che la notizia arrivasse a
Bianca, o sarebbe finita davvero male- ridacchiò porgendole
il libro e il sacchetto col bracciale.
Arianna
si permise un nuovo sorriso prendendo con sé la sua roba.
–Vi ringrazio- disse infilandosi le scarpette.
-È
il minimo che possa fare- pronunciò sereno. –Ora
venite: non so voi, ma io sto morendo di fame!- e si avviò
giù per le scale.
Ciò
che restava della famiglia Vinci si riuniva per la colazione in una
stretta veranda del pian terreno, accanto all’angolo cucina
dal quale veniva il dolce profumo di forno. Sulla tavola imbandita
timidamente c’erano scodelle con cereali, qualche trancio di
focaccia e sì e no una dozzina di tazze piene di latte.
Leonardo, mentre sedevano l’uno affianco all’altra,
spiegò alla giovane, borbottando sotto voce, che era
abitudine dei fratelli lasciare la colazione nel piatto prima di andare
a scorrazzare per Firenze.
Arianna
sorrise ricordandosi di quante volte lei, da bambina, aveva fatto lo
stesso. Ovviamente non da sola, bensì in buona compagnia di
Francesco che fino ai suoi tredici anni aveva continuato a farlo. E
tutt’ora Alessandra non era da meno. Solo Cosimo si era
degnato di avere un po’ di rispetto per il cibo.
-Buon
giorno, Leonardo-.
Arianna
si voltò e vide comparire una giovane ragazza che vestiva
sobriamente. Questi si avviò di gran corsa verso il tavolo e
prese con sé le tazze sporche portandole in cucina.
-Arianna,
vi presento la donna che non so con quale coraggio è giunta
a patti con i dodici Diavoli che abitano questa casa-
proferì l’artista con ironia.
-Mi
lusinghi troppo, Leonardo- giocò la dama portando in tavola
del pane caldo e dell’altro latte su un vassoietto in legno.
–Lieta di fare la vostra conoscenza, madonna. Leonardo mi ha
parlato spesso di voi e dei vostri quadri- le sorrise affabile.
Arianna
chinò il capo in segno di saluto, ma non disse nulla,
più che altro lusingata. Lucilla versò del latte
nelle tazze vuote di entrambi, poi sparì di gran fretta al
piano superiore con chissà quanti lettini da rifare.
-Lucilla
è nutrice e povera vittima dei miei fratelli-
spiegò Leonardo tagliando del pane a fette. Ne porse un paio
alla ragazza che ringraziò silenziosamente.
-Immaginavo-
fece ella. –Ma è da sola?- si stupì
inzuppando un pezzo di pane nel latte.
-Sfortunatamente
per lei sì- assentì imitandola. –I miei
fratellastri ne sono entusiasti, invece…-.
-E
dov’è…- stava per chiedere
“vostra madre” ma si corresse dicendo:
-Dov’è vostro padre?-.
-Finché
gli anni glielo concedono, porta avanti la famiglia col lavoro: esce
presto la mattina e va in studio. Delle volte fa avanti e indietro da
Vinci a Firenze per giorni. Quest’oggi sarà una
giornata difficile per Lucilla, data la sua assenza- sospirò
Leonardo.
Dopo
un
lungo istante di silenzio, Arianna s’illuminò in
viso. –Per ringraziarvi della vostra cordialità,
Leonardo, insisterò perché accettiate le balie
della mia famiglia-.
Leonardo
quasi si strozzò col boccone. –Scherzate, spero?!-.
Arianna
scosse la testa. –È il minimo che possa fare, e
dovrò pur sdebitarmi-.
-Se
anche Guglielmo fosse d’accordo… Bianca non
accetterebbe mai. Siete molto gentile davvero, ma…-.
-Tenterò
l’impossibile perché Bianca ne convenga.
È pur sempre una madre, no? E come tale si commuove a sentir
parlare di bambini che stentano a mantenere l’educazione.
Vedrete,- ridacchiò, –non sarà
difficile convincerla su questi propositi-.
Leonardo
tacque allungo riflettendo. –Forse, e dico forse, avete
ragione. Non mi resta che ringraziarvi a mia volta, allora- le sorrise.
Arianna
ricambiò di cuore.
Dopo
aver salutato Lucilla, Leonardo e Arianna erano già in
strada.
-Cosa
ha convinto mio padre a non mandare le guardie a riprendermi?-
domandò ilare la fanciulla mentre passeggiavano
l’una affianco all’altro.
-Non
credo ci sia stata una vera ragione- rifletté Leonardo
camminando con entrambe le mani giunte dietro la schiena.
–Forse temeva di allertare vostra madre, nel caso questi
avesse visto un battaglione di soldati lasciare la sua dimora di gran
corsa-.
-Oh
Santissimo, già mi immagino la sua faccia…-
sussurrò Arianna in pena, ma in realtà distratta
da tutt’altri pensieri.
Traversavano
in quell’istante Piazza della Signoria, e fu inevitabile per
la giovane donna gettare un’occhiata allarmata verso
l’impalcatura che ospitava le esecuzioni. Il legno in terra
era macchiato di sangue, e sull’apice della costruzione
vegliava un corvo che gracchiò quando la vide passare.
Ripensò
a quanta gente aveva solcato le soglie dell’inferno passando
da lì e non riuscì ad assumere
un’espressione diversa dal disgusto misto alla paura.
Leonardo
tacque assieme a lei, e per qualche minuto proseguirono in silenzio
lasciando Piazza della Signoria e avventurandosi sulla strada
affollata. La gente già trafficava alle varie bancarelle, le
ronde delle guardie si fermavano a controllare qua e là. Il
cielo era azzurrissimo e sgombro di nuvole. Il sole della tarda
mattinata specchiava i suoi raggi nelle acque delle fontane e colorava
le foglie degli alberi di un verde brillante. Era una primavera
magnifica.
D’un
tratto, mentre traversavano Ponte Vecchio, alla giovane pazzi venne in
mente una domanda da porgere. Guardò Leonardo camminarle
affianco e quasi non volle interferire col bel sorriso che egli aveva
stampato in viso, pensando che una tale richiesta l’avrebbe
sconfortato.
L’artista
sospirò. –Nel caso ve lo steste
chiedendo… No, mio padre non sa della mia decisione-
parlò lui.
Arianna
sgranò gli occhi.
Leonardo
proseguì assorto guardando dritto davanti a sé.
–Già che i fossi bravo a dipingere lo infastidiva
quand’ero bambino. Se venisse a sapere che abbandono la
bottega del Verrocchio, suo grande amico…- lasciò
in sospeso la frase e strinse i pugni.
Arianna
si rattristì. –È questo il motivo per
il quale pensate che la vostra scelta sia condizionata?- chiese in un
sussurro fermandosi assieme al ragazzo.
-Probabilmente
è così. Ho paura di deludere i miei cari
allontanandomi di casa e aprendo una mia attività. Vorrei
avere la certezza che mio padre ne sarebbe risollevato, invece
io… temo la sua reazione, ecco-.
Arianna
non seppe cosa dire o cosa pensare, troppo in ansia per le catastrofi
che costituivano la sua vita per rimediare a quelle altrui.
–Quindi cosa farete?-.
Leonardo
chinò il capo e appoggiò i gomiti sulla pietra.
–Ormai è già tutto deciso: ho chiesto
al Verrocchio di tenere la cosa segreta, ma la mia assenza di questa
mattina in bottega farà presto il giro della
città- mormorò affranto.
–L’unica cosa che mi resta da fare è
alzare la testa e proseguire fin quando le mie gambe me lo
permetteranno. Ci sono tante di quelle idee…-
pronunciò sognante.
Arianna
gli sorrise.
Il
ragazzo si riscosse d’un tratto.
-Forza,
casa vostra non dista molto se ben ricordo. Siamo a metà
strada- gioì lui avviandosi.
-Ricordate
il giusto- disse Arianna riprendendo il cammino.
Il
Palazzo Pazzi era una costruzione tipica rinascimentale dalla forma
leggermente rettangolare, e sorgeva nel mezzo delle abitazioni del
nobiliare quartiere di San Marco, nella cosiddetta Via del Proconsolo.
Presentava
un alto e stretto cortile interno, circondato da un porticato di tre
piani, e uno più piccolo e verde all’esterno,
ospitante l’orto privato della famiglia ove Bianca coltivava
le sue belle rose. Di grandi dimensioni e voluto dallo stesso Jacopo
de’ Pazzi, era motivo di tante scaramucce e controversie tra
l’una e l’altra famiglia medicea, perché
si diceva per l’appunto un
“esagerazione”.
La
famiglia vi abitava dal ‘450 controllando con
severità e rispetto il quartiere tutto attorno.
Sull’ingresso
trovarono ad attenderli un battaglione di tre guardie, due delle quali
avevano lunghe alabarde nel pugno.
Queste
riconobbero subito la giovane donna e proferirono un ampio inchino.
L’ufficiale nel mezzo venne loro incontro e salutò
con altrettanto riguardo.
-Buon
dì, messere. Madonna Arianna, siamo lieti di rivedervi-
disse costui rivolto ad entrambi.
Arianna
stava per replicare con armonia, assieme a Leonardo che le era accanto,
quando udirono una squillante voce di donna venire da oltre
l’ingresso del palazzo.
-Franco,
risparmiate le cordialità- sbottò Bianca
comparendo sulla soglia. Al suo seguito vi erano due serve, una delle
quali Arianna riconobbe come Viviana.
La
padrona di casa vestiva di un sobrio abito bianco ricamato, ma non
troppo formale. I capelli tirati su con nastri bianchi e dorati, che le
cadevano sulle spalle come fossero ciocche sue. Portava anche un bel
diadema di perle. I suoi piccoli occhi azzurri come zaffiri saettavano
di quella temibile collera silenziosa.
Arianna
non riuscì a trattenere un sussulto quando la dama le fece
cenno di seguirla dentro il palazzo.
Alle
spalle della giovane artista si piazzarono gli alabardieri, e Franco
fece lei strada al seguito della madonna Bianca.
Arianna
si voltò e si salutarono così i due amici:
Leonardo scosse la mano e mostrò un sorriso. La ragazza
tentò altrettanto, ma quel che apparve sul suo volto fu
più una smorfia che altro.
Bianca
traversò l’intero ingresso, svoltò a
sinistra e si avviò verso le porte aperte che conducevano al
salone, seguita dalle due serve. Arianna e Franco imitarono il suo
percorso, mentre gli alabardieri tornavano alla loro mansione di
guardia accanto ai battenti del palazzo.
Giunsero
in uno dei quattro saloni della reggia e trovarono ad aspettarli un
folto gruppo di gente in piedi.
In
primis, Arianna riconobbe Francesco e Cosimo a discutere sottovoce in
un angolo vicino alla soglia. Quando la videro,
s’illuminarono di stupore, ma per poco, perché
sopraffatti dal clima di tensione che si viveva in quella stanza.
Poi
l’occhio di Arianna cadde sulle tre figure in fondo, vicino
alle luminose vetrate che davano sulla strada. Le tende erano ripiegate
ai lati e i raggi del sole inondavano il salone, nascondendo il reale
aspetto degli invitati.
Guglielmo
si fece avanti interrompendo la conversazione che stava tenendo con gli
ospiti, i quali davano le spalle ai nuovi arrivati. Il padrone di casa
si unì a Bianca che, giunta nel mezzo della stanza,
salutò con un inchino formale.
-Ben
tornata- gli occhi verde smeraldo di Guglielmo la inchiodarono al
suolo, e la ragazza divenne un tutt’uno col colore del marmo
di una statua.
Dopodiché
fu il silenzio e Arianna, sola nel centro del tappeto,
s’irrigidì come un sasso.
-Salute,
Arianna!- gioì uno dei due ospiti avvicinandosi a lei con in
mano un calice di vino, dal quale prese un sorso. Si
affiancò a Bianca e Guglielmo, sembrando avere con
quest’ultimo un rapporto molto stretto, perché il
padre della ragazza gli posò una mano sulla spalla e fece
personalmente le presentazioni.
Ma
Arianna aveva già da tempo capito chi fosse. Non è
possibile…
-Mia
piccola pittrice, spero ti ricordi di tuo zio Francesco- le sorrise
Guglielmo.
Arianna
fece una riverenza. –Molto lieta- mormorò esangue.
-L’ultima
volta che l’ho vista aveva l’età di
Alessandra! Che dire, ora è quasi più bella di
sua madre!- scherzò Francesco de’ Pazzi.
Bianca
cacciò un mezzo sorriso sarcastico e sembrò
indispettirsi a quel commento, ma si limitò a tacere con
compostezza.
Cosimo
e Francesco si affiancarono alla sorella. Questi scrutavano con rabbia
la terza figura maschile alle spalle di Guglielmo e di suo fratello
Francesco, ancora controluce perché Arianna potesse
riconoscerla.
Finalmente
anche il secondo ospite si mostrò ai giunti da poco. Si
tolse il berretto blu e proferì un elegante inchino verso la
giovane dama.
Vieri…
-Incantato
di godere ancora della vostra bellezza- disse suo cugino scoccandole
un’occhiata eloquente. –Attendevamo che vi uniste a
noi per il pranzo-.
Arianna
sobbalzò. …Cosa?!
Guglielmo
prese parola: -Arianna, Francesco e Vieri si uniranno a noi per un
po’- spiegò l’uomo intuendo i suoi
pensieri. –Vengono in città per delle questioni
d’affari, ma ripartiranno per San Gimignano prima
dell’estate-.
Oh
mio Dio…
la ragazza assunse un colorito freddo e pallido. Come nella mia
visione…
Francesco
il vecchio si schiarì la gola mentre Vieri sembrava non
staccare di dosso alla cugina quei suoi maliziosi occhi scuri.
-Vogliamo
prendere posto per pranzo, che ne dite?- si frappose Francesco il
piccolo prima che suo zio potesse aggiungere dell’altro.
-Mi
associo- Cosimo alzò una mano.
Guglielmo
sorrise divertito verso i due figli maggiori e prese sottobraccio la
moglie Bianca. –Forza, signori! La riunione di famiglia
prosegue a tavola- e si avviò assieme alla moglie fuori dal
salotto.
Al
seguito dei padroni di casa andarono le due serve di Bianca, poi
Francesco il vecchio assieme a suo figlio Vieri. Quest’ultimo
volse ai due cugini un’occhiataccia prima di inseguire il
padre.
Francesco
porse il braccio alla sorella e Arianna si appoggiò certo a
lui, non riuscendo quasi a stare in piedi.
-I
cattivi presentimenti che hai sono corretti- pronunciò
Cosimo serio mentre si avviavano fuori dal salone.
Arianna
s’irrigidì muovendo passi sempre più
stretti.
Non
dirlo…
imprecò.
-Vieri
è qui per te- concluse Francesco.
Angolo
d'Autrice:
Lucilla
(serva e nutrice di casa Vinci) e Giulio (un
fratellino di Leonardo) sono personaggi di mia invenzione, dato che non
posseggo una biografia così dettagliata della vita di
Leonardo. Sono giunta però alla scoperta che egli possedeva
ben 12 fratelli più piccoli, di cui 2 femmine e 10 maschi.
Palazzo
Pazzi
è la reale reggia della famiglia retta in Via del Proconsolo
e, anche se non appare nel gioco di AC II, ho voluto inserirlo nella
mia storia. Ecco un’immagine dell’esterno.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/58/Palazzo_pazzi.JPG
Questo
è il cortile interno stretto e alto.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/ff/Palazzo_pazzi%2C_cortile.JPG
In
fine, un immenso ringraziamento a goku94,
lullacullen
e renault
per i commenti al capitolo precedente. Spero che anche questo non vi
abbia deluso.
Per
quanto riguarda il tenero tra Leonardo e Arianna, temo di non potervi
dire nulla così in anticipo, perché
sarà tutto molto più complesso di quel che
sembra! XD
Partendo dal fatto che nei prossimi capitoli vedremo comparire molti
altri nuovi personaggi, chi realmente esistiti e chi di mia invenzione,
che influiranno parecchio nel corso delle vicende, e per
“vicende” intendo la relazione tra Leo e Ari!
Detto
ciò, lascio a voi la parola, sperando di poter continuare ad
aggiornare così spesso grazie al vostro sostegno! ^^
|
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Capitolo 8 *** I doni della Morte ***
I doni della Morte
Prima di unirsi agli ospiti per il pranzo,
Arianna salì nella propria stanza assieme a Viviana
perché si desse una sistemata dopo la notte passata fuori
casa. La giovane Pazzi non mostrò a nessuno né il
libro e il sacchetto in dono a Bianca, e portò entrambi con
sé in camera.
Non
se lo merita… pensò la ragazza
carezzando il velluto che conteneva il prezioso bracciale. Ed io non glielo darò.
Viviana, nel frattempo, le
preparò
degli abiti puliti da indossare e, in religioso silenzio, dispose
ordinatamente i fermagli necessari per rimediare
all’acconciatura inguardabile della fanciulla.
La serva si offrì di aiutarla a
vestirsi, ma Arianna la congedò dicendo che avrebbe fatto da
sola.
Quando anche Viviana se ne fu andata dalla
stanza
a capo chino e con la coda tra le gambe, Arianna esigeva del tempo per
riordinare le idee.
Si lasciò cadere a peso morto
sul
letto, finendo sdraiata sul morbido piumino senza una grinza.
Guardò allungo il soffitto senza dire o fare nulla,
bensì provando una paura immensa per quello che Francesco le
aveva appena rivelato.
Diventare “vittima” di
un
matrimonio combinato era sempre stato il primo dei suoi incubi, ma
anche l’ultimo dei suoi pensieri. Il fatto che a quindici
anni di vita non fosse ancora promessa a nessuno, l’aveva
turbata nel profondo molto allungo. Si trattava pur sempre della figlia
maggiore, nonostante il solo anno di differenza con Alessandra. Essendo
però terza genita dopo due maschi, nessuno dei quali ancora
vincolato ad una famiglia nobile dalla Santa Unione, sospettava che le
attenzioni su di lei sarebbero sviate nel tempo che Bianca avrebbe
impiegato nel cercare a Francesco e Cosimo una sistemazione, prima di
pensare a lei.
Vieri de’ Pazzi, poi, era
l’ultimo uomo col quale avrebbe accettato di unirsi, anzi!
Manco fosse l’unico al mondo ancora disponibile.
L’antipatia per suo cugino era nata spontaneamente in un
momento casuale, successivamente ad un insieme di atteggiamenti e
azioni che avevano infastidito Arianna per prima, ma anche Alessandra,
Cosimo e Francesco.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto
dal
silenzioso bussare alla porta.
-Avanti- la buttò lì
Arianna senza nemmeno ricomporsi. Restò sdraiata sul letto a
pancia in su anche quando udì l’uscio richiudersi
e dei passi venire verso di lei. Poi il viso di suo fratello maggiore
Francesco comparve nel suo campo visivo, e solo allora Arianna
scattò seduta sul materasso.
-Francesco!- si gettò ad
abbracciarlo
con improvvisa disperazione, causatagli dal rimuginare così
allungo sugli ultimi avvenimenti.
Egli si accomodò sul letto di
lei e
strinse la sorella con altrettanto vigore. Restarono in silenzio per
mezzo minuto, consci l’uno dei timori e delle tristezze
dell’altra.
-Mi hanno mandato a chiamarti: stiamo
aspettando
te per iniziare- disse il giovane con una nota amara nella voce.
-Perché? Perché
Bianca mi
ha fatto questo?- lagnò l’artista nascondendo il
viso nel tessuto del vestito di Francesco.
Il ragazzo le carezzò i capelli.
–All’inizio sono rimasto stupito quanto te,
credimi- le mormorò. –Ma poi ho riflettuto. Era
solo questione di tempo, Arianna, prima che accadesse-.
-Sì, ma non ora!- pianse lei.
–E non lui!- strillò.
-Sssh- Francesco le intimò di
abbassare il tono. –Adesso non serve a nulla disperare,
avanti, devi vestirti e farti coraggio. Ma sono sicuro che quello non
ti manca- le sorrise asciugandole delicatamente una lacrima col dito.
Arianna prese la sua mano nella propria.
–Non voglio… non è giusto!-.
-La vita intera nostra è fatta
di
ingiustizie, di voleri superiori, e noi siamo obbligati a sostarvi. E
sai qual è il volere superiore che mi hanno dettato poco
fa?-.
Arianna fece cenno di no con la testa. Gli
occhi
arrossati per il pianto che faticava a trattenere, il corpo un continuo
tremore.
Francesco le sorrise ancora, ma questa
volta con
un certo divertimento. –Portarti giù a pranzo con
la forza, se necessario- ridacchiò.
Arianna chinò il capo
rassegnata, ma
il fratello le sollevò il mento costringendola a guardarlo
negli occhi che i due avevano così simili.
-E non sarà necessario, vero?-
le
chiese supino.
Arianna tirò su col naso.
–No- rispose.
-Questa è la sorella che
conosco- fece
sereno Francesco abbracciandola di nuovo.
Ci fu un altro lungo istante di silenzio,
poi
Arianna, scostandosi di una spalla dal fratello, chiese col sorriso
sulle labbra: -Vuoi sapere dove sono stata?-.
Francesco guardò
all’insù. –Veramente lo so
già- rispose con una risatina.
Arianna, interdetta, non seppe che dire.
-Forza, ti aspetto qui fuori- disse lui
sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Si
alzò dal letto e uscì dalla stanza richiudendosi
la porta alle spalle.
La ragazza non se lo fece ripetere e
cominciò a spogliarsi.
La tavola da pranzo era stata preparata nel
cortile interno del Palazzo e imbandita di ogni ben di Dio, dal cibo
caldo al vino nelle brocche. Vi erano otto posti in totale, due dei
quali alle estremità della raffinata tovaglia color porpora.
I raggi del sole facevano luccicare i bicchieri ancora vuoti e la varia
argenteria, il canto degli uccelli e il crosciare della fontanella
sotto il portico erano i suoni della natura che li accoglieva per il
pasto.
Le dame vennero fatte accomodare per prime
sul
lato destro del tavolo. Cosimo, Vieri e Francesco “il
piccolo” restarono in piedi accanto ai seggi sul lato
sinistro fin quando nel cortile non comparve di gran corsa anche la
piccola Alessandra de’ Pazzi.
Allora
non aspettavano solo me… pensò
Arianna guardando il fratello maggiore che le aveva mentito poco prima.
Francesco ignorò del tutto la sua occhiata e si tenne
composto e rigoroso nel suo bel completo rosso.
-Eccoti, finalmente!- eruppe Bianca
indicando ad
Alessandra il posto accanto a sé e di fronte al fratello
maggiore. –Saluta gli ospiti e vieni subito qua!- le
ordinò gelida.
Alessandra mimò un frettoloso
inchino
verso gli ospiti e zampettò al fianco della madre. Vestiva
di un completino azzurro decorato di nastri color canarino, e i capelli
castano chiaro erano tenuti indietro da un cerchietto di simili colori.
Alessandra e Arianna, ora una affianco
all’altra, si scambiarono un misero sorriso come saluto. Poi,
mentre anche gli uomini prendevano posto attorno al tavolo, la maggiore
si sporse verso di lei.
-Spero che tu abbia uno stiletto nascosto
nel
vestito, adesso che serve- sibilò alla sorellina senza farsi
udire dagli altri.
Alessandra stirò le labbra fine
in un
sorisetto malizioso.
-Certo- sussurrò scostando un
lembo
della gonna, e mostrò alla sorella maggiore il pugnale che
aveva allacciato alla coscia.
-Mascalzona- ridacchiò Arianna.
-A che ti serve?- chiese la piccola.
Arianna puntò gli occhi chiari e
pieni
di rancore sul cugino che le sedeva di fronte. Il gesto fu chiaro ed
eloquente.
-Capito- sghignazzò
l’altra.
Francesco “il grande” e
il
fratello Guglielmo sedevano alle due estremità del tavolo e
intrapresero una conversazione casuale che tenne impegnato tutto il
vicinato. Sia Francesco “il piccolo” che Vieri
partecipavano e intervenivano attivamente coi loro propositi, mentre
Cosimo sembrava tenersi un poco in disparte e preferiva ascoltare,
godendosi il buon cibo. In qualche rara occasione interveniva anche
Bianca, servendosi delle sue conoscenze politiche legate alla famiglia
di origine per dare il proprio parere. Ma quando lo faceva, Francesco
il grande e il figlio Vieri assumevano un atteggiamento intimidatorio
contro la donna l’uno a sostegno dell’altro.
Guglielmo vi faceva poco caso perché del tutto preso dagli
argomenti piuttosto che dai modi con cui essi venivano discussi.
Al termine del banchetto, dopo un lunga ora
trascorsa ad ascoltare e mangiare in silenzio, Arianna vide il proprio
padre alzarsi scostando il seggio e prendere il calice nella mano.
-Propongo di fare un brindisi, dunque-
annunciò Guglielmo con neutralità.
–Alla nostra prospera famiglia e… ai Signori di
Firenze- aggiunse incerto guardando la moglie.
Bianca sorrise compiaciuta e a sua volta
guardò la figlia maggiore. –Arianna mia, Vieri
intende prenderti in moglie così da rafforzare le nostre
famiglie e la ricchezza che la costituisce-.
Arianna alzò il naso dal piatto
per
volgere un’occhiata sfuggente al cugino di fronte, ma nel
farlo, percepì gli ultimi spiragli della sua forza farsi
nulli. Vieri, di tutta risposta, le sorrise allo stesso modo della
madre.
Crepa…
Arianna tentò invano di
asciugarsi il
viso, ma trovava difficoltà persino
nell’avvicinarsi una mano per quanto le si era appannata la
vista. Tremava tutta come una foglia, a breve, salito il primo
singhiozzo, sarebbe stato impossibile resistere alla tentazione di
scappare. Già, ma scappare dove? La sua stanza? No, non
c’era più posto per lei neppure lì, in
quelle quattro mura che sapevano troppo di dolore, sofferenza, ma
soprattutto, ingiustizia. La prima lacrima impiegò una
frazione di secondo per scivolare sulla guancia e finire in mezzo ai
resti delle verdure.
Alessandra si portò una mano
alla
bocca e cercò con lo sguardo il sostegno di qualcuno, come
se la sorella stesse improvvisamente morendo, sotto gli occhi di tutti.
Morire
e unirsi ad un uomo che si merita tutt’altro che
l’amore sono due termini simili. Dio, uccidimi
ora… invocò la ragazza. Prima che lo faccia Bianca
quando verrà a rivendicare la figuraccia che le ho fatto
fare!
Cosimo e Francesco il piccolo si
scambiarono
un’occhiata tristissima anche attraverso la figura di Vieri
che, ridendo sotto i baffi, li separava.
Francesco il grande bevve un altro sorso di
vino
tenendo sott’occhio il fratello Guglielmo.
Quest’ultimo, ancora in piedi con
il
bicchiere a mezz’aria, aveva voltato lo sguardo lontano dalla
tavola, indugiando su una pianta qualunque che decorava il giardino.
Distrutto e impotente… tanto quanto la figlia.
Bianca si schiarì la gola e fece
finta
di nulla sistemandosi dritta sulla sedia. –Il matrimonio si
festeggerà in Aprile e…-.
Arianna si alzò in piedi.
Ignorando
del tutto sguardi, discorsi e stupore altrui, si avviò con
le mani strette in grembo verso quella che, ancora per poco, le sarebbe
stato concesso chiamare la
sua stanza.
Il pranzo si concluse sereno nonostante
l’assenza della balda Arianna, fuggita nella camera da letto
con grande sorpresa dei presenti, e non solo degli ospiti. Questi
ultimi non fecero quasi caso alla reazione della fanciulla, anzi, la
ignorarono come fosse scena di tutti i giorni. I più turbati
dall’accaduto restavano Guglielmo e i suoi due figli
maggiori. Alessandra venne licenziata dal tavolo qualche momento dopo,
con la scusa di dover lasciar discutere gli adulti.
-Prego signori miei, siete invitati pure a
fare
conoscenza dei vostri alloggi- sorrise Bianca. –Cosimo,
mostra loro le stanze- ordinò.
-Certamente madre- il ragazzo si
sollevò dalla sedia e accennò un garbato inchino.
-Prendiamo congedo molto volentieri- arrise
Francesco il grande alzandosi seguito da Vieri, ed entrambi lasciarono
il tavolo seguendo il Pazzi più giovane via dal cortile.
Seduti a banchetto concluso restavano solo
la
padrona e il padrone di casa col loro figlio maggiore.
Francesco ostentava un cupo e severo
silenzio,
guardando la madre con un disprezzo che non riusciva a dissimulare.
Faceva inoltre grandi respiri profondo ma accelerati, trattenendosi dal
saltarle al collo.
Bianca se ne accorse e inarcò un
sopracciglio. –Francesco, va’ controllare che
Alessandra non si tagli coi suoi stiletti nascosti-.
Il ragazzo si alzò bruscamente
dal
tavolo battendo non a caso i pugni chiusi su di esso, e se ne
andò senza dire una sola parola.
-Noi discutiamo in salotto-
proferì
serio Guglielmo una volta solo con la moglie. Si alzò
anch’egli e uscì dal cortile con passi misurati.
-Non è la prima volta che si
comporta
così!- eruppe Bianca seduta sul bordo del letto a
baldacchino.
-La notizia l’ha sconvolta,
Bianca.
Nostra figlia è molto suscettibile, lo sai bene. Devi darle
tempo- fu la quieta risposta di Guglielmo che presenziava in piedi sul
bel tappeto.
Erano nella stanza che condividevano da
più di trent’anni, a porte chiuse e vetri sbarrati
perché nessun orecchio udisse il parlato; in quanto Bianca
avesse decretato di spostare la loro “discussione”
in un luogo ancor più appartato del salotto.
-Fosse solo quello! Arianna è
anche
testarda, ingrata e viziata, amore mio, come fai a non rendertene
conto?- si stupì la dama.
-Perché l’ho cresciuta
io e
so cos’è giusto per lei- rispose con
tranquillità.
Bianca sbuffò. –E
pensare
che invece di essere qui a discutere con me, dovresti star
intrattenendo i tuoi ospiti!- assentì sarcastica.
–Vedi quanto tempo e fatica preziosa ci fa perdere quella
ragazza?!-.
-Se si tratta di nostra figlia, non
è
mai tempo perso-.
-Ne sei così convinto! Ma io
continuo
a credere che tu debba un po’ più
d’attenzione anche al resto della tua famiglia. Guarda
Alessandra, per esempio! La figura paterna che le hai tolto
è la mancanza che colma giocando con le lame della nostra
armeria!- strillò.
-Rammenta che Alessandra considera la sua
non
solo una passione, ma una dote. Dovresti fare lo stesso- le
suggerì.
Bianca scoppiò in una risata
isterica.
–Mai visti figli più strani dei nostri! Eppure
credevo che il mio ramo della famiglia fosse dei più sani a
questo mondo-.
-Adesso esageri- convenne Guglielmo
accigliato.
-No, no! Non esagero affatto. Ti costa solo
ammettere che ho ragione, ecco!- accavallò le gambe
guardando altrove.
-Perché dovrei temere di
ammettere che
hai ragione se lo faccio continuamente?!- eruppe l’uomo
più presente.
Bianca sobbalzò, presa alla
sprovvista. –Cos…-.
-Assecondo il tuo volere più
volte di
quante tu ne riesca a contare! Ecco da chi ha rubato il vizio e la
testardaggine Arianna, dunque- ridacchiò.
Prima che la donna potesse replicare, si
udì bussare alla porta.
-Avanti- bofonchiò Guglielmo
senza
voltarsi.
Nella stanza fece la sua comparsa Viviava.
–Signore,- si rivolse al padrone di casa, –vi ho
portato…-.
-Ah, sì- Guglielmo si
allungò a prendere il sacchetto di velluto che la serva gli
porse. Quando Viviana ebbe lasciato la camera e richiuso la porta,
Bianca aggrottò la fronte e chiese:
-Cos’è?-.
Guglielmo si rigirò il sacchetto
nella
mano. -Non lo meriteresti per come ti sei comportata- disse con un
sorriso ilare sulle labbra.
-Mostrami il contenuto di quella scarsella,
Guglielmo, te lo ordino- realizzò crucciata la donna.
L’uomo si avvicinò a
lei e
le sedette accanto sul bordo del letto. Senza staccare gli occhi da
quelli attenti della moglie, trasse dal sacchetto il suo contenuto e,
prendendo delicatamente la mano della sposa, le infilò il
bracciale al polso.
Bianca aprì bocca, ma Guglielmo
la
precedette.
-È un dono da parte di Arianna-
disse
solamente, e non servirono altre parole.
La donna carezzò le pietre
preziose
del bracciale e ne ammirò la consistenza magnifica e la
rilegatura in oro che intonava con il vestito indossato, quasi a farlo
apposta.
Lo stupore iniziale sfumò poco a
poco
in un risentimento dal colore bluastro: -Se crede di potersi comprare
così le mie scuse, si sbaglia di grosso!- eruppe
sbarazzandosi del bracciale e lanciandolo nel centro del letto, tra una
piega e l’altra del piumino.
Guglielmo tacque allungo, poi si protese ad
afferrare il gioiello e se lo rigirò nelle mani.
–Ella non vuole comprare le tue scuse- pronunciò
risoluto. –Bensì il tuo amore, Bianca, e la vostra
comprensione-.
-Io comprendo fin troppo bene, Guglielmo-
ghignò la donna. –Comprendo che nostra figlia
necessita di un’istruzione rigida e regolare che le
è venuta a mancare negli ultimi anni, spesi in
un’unitile bottega di… pazzi con la testa tra le
nuvole. Il matrimonio con Vieri le servirà da lezione.
Tempo, dite? E tempo avrà: la discesa dal regno dei sogni
alla realtà sarà lenta e dolorosa, ma ne
varrà la pena- sibilò acida.
Guglielmo si alzò e ripose il
bracciale sul comodino accanto al letto. –Se questo
è il tuo volere definitivo, non interferirò-
pronunciò nuovamente in resa.
Anche quella sera Arianna fu condannata a
stomaco
vuoto sotto le coperte.
Dopo un intero pomeriggio trascorso a
piangere
nella propria stanza, non si aspettava né una visita di
cortesia, né tantomeno qualche atto di carità da
un fratello, da una sorella, da una serva o da un padre. Anzi, se
proprio c’era da dirla tutta, la fame le era proprio passata,
scivolava via sulla pelle come mai venuta. Il pranzo le era rimasto in
gola, poteva sentirlo graffiarle l’intestino pronto a
risalire fin nella bocca, per poi essere vomitato. La sola idea,
però, che poi avrebbe dovuto pulire personalmente il
pavimento, aveva cancellato del tutto anche quell’ultimo
stimolo.
Quando Viviana era venuta a chiedere del
regalo
che aveva fatto a Bianca, Arianna era rimasta sorpresa che ne fosse a
conoscenza. In due parole Viviana le aveva spiegato che Guglielmo
l’aveva mandata a prelevarlo, e da lì Arianna
aveva compreso in che modo suo padre avrebbe tentato di acquietare
l’animo della padrona di casa. Fu sollevata di sapere che
Guglielmo era ancora dalla sua parte e avrebbe cercato ogni modo
possibile per alleggerire la situazione, ma le scappatoie non
c’erano, e se c’erano erano troppo strette e
facilmente sviabili da un compromesso.
La notte era calata silenziosa su Firenze.
Le
strade si erano acquietate e fuori dalla finestra Arianna udiva solo il
raro passaggio di qualche pattuglia.
Era da quella mattina che non riusciva a
darsi
una spiegazione sul perché, qualche ora prima di portare i
suoi omaggi a Vieri e Francesco il grande, giunti ospiti, ella aveva
“veduto” l’incontro nella sua fantasia
esattamente così come si era svolto.
Le parole, i toni, i volti erano stati li
stessi.
Stentava a credere che non potesse
trattarsi solo
di una maledetta coincidenza, si disse, e niente più!
La ragazza era seduta alla sua scrivania e
fissava da minuti il libro sulla mitologia greca acquistato il
pomeriggio passato.
Senza pensarci troppo lo aveva avvicinato a
sé e sfogliato alcune delle pagine ritenute interessanti e
di cui tener nota. Una di queste era il mito di Cassandra e la
maledizione di Apollo.
Riprese a leggere quelle righe da dove
aveva
interrotto, scoprendo che la morte di Agamennone, ucciso dalla moglie,
era stata ben prevista dalla fanciulla greca.
-Sapete cosa ci porta
qui ‘sta sera?… L’onore. Vieri
de’ Pazzi infanga il nome della mia famiglia. E scarica su di
noi le sue disgrazie. Se noi…-.
-Piantala con
i tuoi deliri, grullo!-.
-Buona sera, Vieri.
Si stava giusto parlando di te! Mi stupisce vederti qui: pensavo che i
Pazzi assoldassero altri per fare il lavoro sporco-.
-È
la tua famiglia che chiama le guardie quando ci sono noie, codardo! Che
c’è? Hai paura di trattare gli affari di
persona?!-.
-La
tu’ sorella sembrava contenta del trattamento che le ho
riservato poco fa!-.
-Uccidetelo!-.
-Indietro! Indietro!-.
-Fermo.-
-Che
c’è? Abbiamo quasi vinto!-
-Il labbro-.
-È
solo un graffio-.
Arianna balzò in piedi lasciando
cadere in terra il libro. Per poco anche la sedia alle sue spalle non
si rovesciava sul tappeto.
Non di nuovo…
Il respiro si era fatto ansante, le mani le
tremavano. Gli occhi sgranati e pieni di terrore erano fissi sulla
pagina aperta del testo in terra, esattamente là, dove
compariva una coloratissima raffigurazione della donna che aveva
appreso da Apollo il dono della veggenza.
Qualcuno bussò alla porta ed
entrò poco dopo.
-Guglielmo dice di farti riavere questo-
Francesco si avvicinò a lei e le allungò un
sacchetto di velluto.
Arianna si chinò a raccogliere
il
libro da terra, issandosi subito dopo ad afferrare l’oggetto
dalle mani del fratello.
-Era per Bianca?…-
domandò
lui con una nota strana nella voce.
Arianna annuì, ma solo allora si
accorse della borsa di ghiaccio che il ragazzo teneva premuta
sull’occhio. Sulla tempia colava un rivolo di sangue.
-Che ti è successo?- chiese
allarmata.
Francesco sospirò esasperato
dandole
le spalle, e si avviò barcollante fuori dalla stanza.
–Non credo ti farebbe piacere saperlo…- disse
richiudendosi la porta alle spalle.
.:Angolo d'Autrice:.
Il titolo di questo capitolo trae
ispirazione dal
settimo Romanzo di J.K. Rowling, Harry Potter 7 - I doni della Morte
©, non per un motivo particolare, bensì
perché mi sono ricordata solo adesso della coincidenza! XD
In quest’angoletto
d’autore
ringrazio di cuore i costanti recensori e lettori, augurandomi di poter
leggere al più presto un medesimo vostro commento.
Desideravo però chiarire la
questione
di Alessandra e gli stiletti. Alessandra de’ Pazzi
è un personaggio storico caratterizzato secondo la mia
fantasia. Fu una donna politica dell’Italia di fine
‘400 come tutte le altre, ovvero destinata a rafforzare i
legami tra una famiglia nobile e l’altra. Sposò un
“Buondelmonti”, un certo Bartolomeo…
vabbuò! Alessandra è un’altra grande
vergogna di Bianca: una donna di prestigiata famiglia che imbraccia gli
stiletti era alquanto anomala quanto una dama pittrice di morte. U.U
La visione di Arianna riguarda lo scontro tra Vieri e la famiglia
Auditore su Ponte Vecchio. Francesco, rientrato in serata da una
nottata di "ragazzate" con una borsa sull'occhio, ha partecipato alla
rissa, ma come svelerò più in là, non
di sua totale iniziativa...
Un’ultima
questione va a posarsi ancora una volta sulla coppia LeoxAri di questa
fiction. Apro solo una piccola parentesi, accennando al fatto che
Arianna nella storia ha 17 anni, anzi 16 contando che ne fa 17 a
novembre del ’76 (anno in corso) mentre Leonardo ne ha 24.
Tutto qua U.U
^^ Vivissimi saluti, la vostra Elik!
^-°
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Capitolo 9 *** Tra Sogno e Realtà ***
Tra Sogno e Realtà
La
mattina giunse troppo presto.
Svegliata
da uno scatto leggero simile a quello di una serratura,
credé di averlo immaginato. Affondò il viso nel
cuscino con un lamento e si riscaldò sotto le coperte ancora
qualche minuto. La giovane Pazzi udì un secondo curioso
rumore, questa volta del pavimento: uno scricchiolo sinistro delle
tegole e poi di nuovo il silenzio. Se ne dimenticò in fretta
e decise che era ora di svegliarsi, dopotutto.
Arianna
posò i piedi in terra fuori dal letto e si alzò
dal materasso con un sospiro.
La
capigliatura disordinata le cadeva davanti agli occhi, mentre un passo
alla volta si avvicinava barcollante alle tende, con la chiara
intenzione di fare un po’ di luce in stanza. Indosso aveva la
sua veste bianca semi trasparente da notte a ricami blu scuro. Stava
quasi per sfiorare il tessuto delle tende quando un presentimento le
saltò alla testa, immobilizzandola col braccio alzato a
mezz’aria.
Si
voltò lentamente alla sua destra e fece per indietreggiare,
ma dall’oscurità emerse la brutta faccia di suo
cugino.
-Buon
dì- la salutò giocosamente Vieri col sorriso
sulle labbra.
Arianna
s’irrigidì. –Cosa ci fai qui?!-
sibilò dissimulando il timore dietro un tono pungente.
-A
pranzo sei fuggita via così, mi è sembrato
piuttosto scortese-.
-Era
mia intenzione essere scortese…- la ragazza serrò
i pugni.
Il
cugino scosse la testa. –Bianca non gradirebbe certe tue
parole- la derise.
-E
quando mai gradisce, quella…- borbottò Arianna
facendo per aprire le tende, ma Vieri interruppe il gesto afferrandole
il polso.
-Aspetta,
è ancora presto- mormorò malizioso abbassandole
il braccio, e nel farlo le sfiorò il fianco con le dita.
-Non
toccarmi!- ringhiò la ragazza balzando indietro.
Vieri
scoppiò in una fragorosa risata. –Oggi, domani,
tra dieci anni…- fece una pausa. –Arianna, prima o
poi riuscirò a “toccarti”- si
avvicinò ancora e la ragazza non poté
più indietreggiare, giunta con l’incavo delle
ginocchia sul bordo del letto.
-Aspetta!-
ordinò prepotente.
Vieri
aggrottò la fronte. –Che
c’è?- eruppe.
-Ultimamente
ti è capitato di… “litigare”
con qualcuno?- domandò la ragazza. Se tutto ciò
che aveva immaginato si era avverato, la fantasia della sera scorsa
poteva dire il vero su quell’occhio nero che aveva suo
fratello.
-Che
t’importa?- sbottò lui.
-No, ti
prego, parlamene- insisté la giovane.
Vieri
sbuffò. –Quei pezzenti se la sono solo cercata-.
-Chi?-.
-Gli
Auditore, e chi sennò?! Gli abbiamo incontrati su Ponte
Vecchio, e quei bastardi erano avvantaggiati di sicuro. Ci hanno
ammazzati di botte… Azzardati a dirlo a qualcuno!- la
minacciò.
-No,
per carità- tremò lei. –Francesco era
con te?-.
Vieri
sembrò rifletterci alcuni istanti. –Ah,
sì, e come se c’era! Ubriaco, certo, ma ha fatto
la sua buona parte. Dovrò dare al tuo fratellino qualche
dritta, combatte come una femminuccia!- se la rise alla grande.
–Ma ora veniamo a noi…- il cugino le si
avvicinò ancora.
-No,
aspetta… non farlo- gemé la ragazza, terrorizzata
dallo sguardo pieno di eccitazione del cugino. Ad un medesimo passo in
avanti di Vieri, Arianna cercò di sguisciare via di lato, ma
il ragazzo l’afferrò per i fianchi spingendola
distesa sul letto sotto di sé.
-Non
è usanza prima del matrimonio!- tentò lei
disperatamente nell’avvertire il corpo del cugino addossarsi
al suo. –Pagherai per ciò che hai osato!-.
-No se
la cosa resterà un segreto di famiglia-
sghignazzò Vieri sollevandole la veste dalle gambe.
Arianna
tentò di divincolarsi, ma con scarso successo. Suo cugino
era quasi riuscito a spogliarla del tutto quando, ad interrompere la
frenesia del ragazzo, fu il suono di una lama corta che veniva estratta
dal fodero.
Accanto
all’orecchio di Vieri si materializzò la punta di
una spada. Una voce di donna, giovane e profonda, disse: -Alzati e
vattene, cane-.
Arianna
scrutò l’oscurità alle spalle di Vieri,
e solo allora riconobbe sua sorella Alessandra. La bambina teneva
ferramente lo stiletto in mano puntandolo alla tempia del cugino,
mentre addosso aveva la sua vestaglia da notte a fronzoli color cipria
e i capelli lisci e biondi sciolti sulle spalle.
Vieri
si sollevò poco a poco scivolando in ginocchio via dalle
lenzuola. Arianna poté mettersi seduta e allontanarsi dal
letto tornando coi piedi per terra sul lato opposto. Guardava la
sorella minore con stupore, paura… o forse fiducia e
ammirazione.
-Alessandra!-
gioì Vieri nervosamente. –Piccola
bastarda…- digrignò poi alzando le mani quando la
giovanissima fanciulla gli puntò lo stiletto alla gola.
Negli
occhi azzurri della piccola Pazzi luccicavano l’orrore, il
risentimento e l’antipatia. Sentimenti comuni ad entrambe le
due donne.
-Avanti,
vattene, o chiamo mio padre- sibilò Alessandra.
Vieri
allontanò con un dito la lama che lo minacciava.
–Mai avuto paura di uno stiletto e una bambina-
ridacchiò.
-Se
fossi in te ne avrei…- mormorò Arianna con
divertimento.
-Ti
ricordi il cinghiale al compleanno di Cosimo?- domandò seria
Alessandra ad entrambi gli altri presenti.
Arianna
stirò le labbra in un sorriso malvagio tanto quanto quello
della sorellina.
Vieri
alzò il naso. –Sì, c’ero
anch’io- disse.
Alessandra
gli puntò nuovamente il coltello contro. –Ho fatto
a pezzi io il cinghiale… da vivo- sibilò.
Vieri
ingoiò il groppo in gola. –Bene-
balbettò. –Ci rivediamo a… colazione-
aggirò la ragazza che gli stava di fronte e fuggì
a grandi passi fuori dalla stanza.
-Grazie-
Arianna tirò un sospiro di sollievo. –Non mi
andava proprio di perdere la verginità così
presto-.
-A te
non dovrebbe andare proprio di perderla con quello- Alessandra
indicò con lo stiletto la direzione nella quale era fuggito
Vieri.
Arianna
si aggiustò i capelli. –Già, ma non
posso farci nulla- mormorò affranta.
Alessandra
mise a riposo la lama in un fodero che teneva nascosto sotto le vesti
da notte, legato alla coscia. –Devo dirlo a papà?-
chiese.
La
sorella maggiore le volse un’occhiata ammirevole.
–No, lascia che sia io a farlo, e nel momento che
riterrò opportuno- le sorrise.
-D’accordo,
quindi a fare colazione ci vieni?-.
-Mi
è passata la fame…- brontolò andando
ad aprire finalmente le tende.
Né
Arianna né Alessandra si presentarono per colazione, con
grande sorpresa dei fratelli Francesco e Guglielmo, e dei figli di
quest’ultimo. Vieri fece finta di nulla, mentre Bianca
chiamava serve a destra e a manca perché dessero la caccia
alle due ragazze. Queste tornavano dalla padrona di casa alzando le
spalle.
-Come
sarebbe a dire “sono uscite dal Palazzo”?!-
ruggì la padrona di casa, furibonda.
Viviana
chinò il capo. –Madonna, le abbiamo vedute
prendere i cavalli dalle stalle delle guardie-.
Il viso
di Bianca assunse un colorito violaceo dalla rabbia. Guardò
il marito seduto a capo tavola che, così come il resto della
famiglia, aveva cominciato a servirsi il pasto.
-Voi ne
sapete qualcosa, Guglielmo?!- ringhiò Bianca, unica alla
quale desse tanto fastidio l’evenienza.
L’uomo
scosse la testa. –Mi spiace deludervi, ma temo di non sapere
nulla ed essere sorpreso quanto voi, mia sposa- confessò
ambiguo.
-Vorrei
venir presa in considerazione una volta tanto!- sbraitò
Bianca sbattendo le mani sul tavolo. Si alzò in piedi.
–Qui dentro sembrano far tutti di testa propria! Sono stufa
della vostra strafottenza!-.
Quell’intervento
attirò la cattiva attenzione sia di Vieri che di Francesco
il grande. Cosimo e il fratello stettero a sentire in silenzio.
Negli
occhi dello zio Francesco si leggeva l’indignazione.
“Perché vi fate trattare così da una
donna?” dicevano i suoi pensieri, diretti al fratello, ma
questi lo ignorò.
Bianca
mandò via dal cortile tutti i servi, furiosa era dir poco.
Guglielmo
chiamò vicino a sé il generale delle guardie
mentre vedeva andarsene le serve. All’orecchio di Franco
mormorò l’ordine ben preciso di far aspettare
Viviana nei pressi delle scuderie perché urgeva parlarle in
privato.
Franco
annuì tacitamente e si avviò fuori dal cortile,
accompagnato da un fedele cadetto.
Poco
più tardi, Guglielmo traversava a grandi passi il portico
colonnato delle scuderie. I cavalli erano tranquilli nelle stalle e gli
uccellini canticchiavano tutt’attorno alle colonne, posandosi
sul pergolato del tetto o ai bordi dell’abbeveratoio.
Come
richiesto trovò ad attenderlo la giovane Viviana, seduta su
d’un cubo di fieno compatto.
La
ragazza aspettava annoiata da quando Bianca l’aveva congedata
dopo il suo intervento a colazione. Un gomito sul ginocchio e il mento
poggiato sul palmo. Scattò in piedi non appena vide il
signore di casa venirle incontro quasi di corsa.
Guglielmo
sembrava nervoso. –Non fatene parola con Bianca, e ditemi
dove sono andate esattamente. Debbo parlare ad entrambe-.
Viviana
parve stupita di sentirsi chiedere una cosa simile. Si riscosse con un
guizzo negli occhi e parlò a bassa voce: -Sono uscite di
porta e volate via come il vento su per la collina. Non conosco la loro
meta con certezza, ma potreste provare nei Giardini Vecchi-.
Guglielmo
le strine la mano tra le proprie. –Grazie, e mi raccomando:
acqua in bocca- mimò il gesto di cucirsi le labbra.
Viviana
arrossì e annuì sorridendo.
Guglielmo
sellò il suo cavallo da sé con maestria,
nonostante l’abitudine di trovarlo già pronto per
la caccia, unica occasione di uscita in quei tempi. Prima che potesse
fare un altro movimento, Viviana lo chiamò con garbo.
Egli si
volse.
-Cosa
riferirò a Bianca nel caso chieda di voi?-
domandò in ansia.
L’uomo
montò in groppa. –Ditele che sono a studio come
sempre- rispose e spronò al trotto il cavallo infilandosi
per la strada come nulla fosse, proseguendo lentamente fin quando fu
accerchiato dalle genti. Giunse alle porte nord della città
e, una volta superata la stazione di posta, poté partire
dando di speroni al suo palafreno. Sorpassò il ponticello
che saltava il torrente e trottò su per la collina indicata
da Viviana. La strada che saliva era trafficata da qualche passante e
vecchio carro che dirigeva nel verso contrario, ma Guglielmo non
badò a perder tempo e si tenne sempre sul lato destro dello
sterrato.
I
Giardini Vecchi distavano pochi chilometri da Firenze, a ridosso di una
curva dell’Arno che serpentava per valli e colline perdendosi
in fine tra le nebbie e le nevi degli Appennini.
Anni
or’ sono l’antenato Andrea de’ Pazzi,
nonno di Guglielmo, commissionò il progetto originario dei
Giardini ad un poco noto architetto dell’epoca che fece un
buon lavoro. A lavori conclusi, Andrea se ne innamorò a tal
punto che volle erigervi accanto una residenza estiva. Ultimata solo
nel 1422, questa piccola ma magnifica villa di piena fattura
rinascimentale, in quanto la famiglia di banchieri prestasse
più attenzioni ai possedimenti in città che
altro, perse del tutto la sua bellezza e la sua utilità. I
Giardini restarono allungo floridi e ben curati, ma fino alla morte di
Antonio, primo figlio di Andrea nonché padre di Guglielmo.
Dopodiché si avviarono anch’essi verso un lento
processo d’invecchiamento, fino a divenire ricoperti di
erbacce e rampicanti come la villa. Mentre il ramo di Francesco
prendeva residenza a San Gimignano, quello di Guglielmo si
trovò tra le mani un decadente e malandato possedimento
ormai inutile. Attorno alla villa nacquero leggende e per spaventare i
visitatori e i bambini curiosi.
L’edificio
perfettamente quadrato era di due piani soli e preceduto da una
facciata di colonne, alcune delle quali cadute e in frantumi coperte di
rampicanti. Anche da lontano, attraverso le cime degli alberi, era
possibile scorgere quanto fosse mal ridotto: pieno di spaccature sui
muri e di poche tegole sul tetto, coperto di vecchi rami e foglie. Le
imposte delle finestre erano mangiate dai tarli, e così le
porte.
Guglielmo
portò il cavallo ad un piccolo trotto e aggirò la
villa col cuore in lacrime a quella vista. Si tenne sul sentiero che
costeggiava il palazzo e tornò ad immergersi nel bosco di
cipressi, querce e ulivi.
La
stradina sterrata lo condusse ad una grinzosa gradinata di pietra,
sorvegliata da due grandi calici in marmo coperti dai rampicanti e
andante in pezzi. Fece salire due gradini alla volta al cavallo e
proseguì oltre il cancelletto arrugginito badante di
un’arcata in pietra. Poiché la vegetazione si era
mangiata una buona fetta dell’arcata e pendeva verso il
suolo, fu costretto a chinarsi sulla sella per passare.
Il
viale che gli si aprì dinnanzi era coperto da un tetto di
foglie fittissimo, a formare un corridoio stretto sufficiente alla
larghezza di fianchi di un solo cavallo. Un tempo lo coloravano
migliaia di rose rosse e bianche. Ora non crescevano nemmeno le
piantine selvatiche.
Giunse
in fine nei pressi di un rudere romano che chiudeva a semi cerchio una
zona baciata dal sole. L’oscurità della foreste
finiva qui, dove il rudere lasciava uno stretto ingresso e altri due
gradini da salire. Oltre lo attendeva una radura magnifica, nel centro
della quale vi era un laghetto artificiale su cui presiedeva una
statuetta scura, forse di marmo nero, a raffigurare un uomo proteso in
avanti su un solo piede.
Appena
fu abbastanza vicino al confine del bosco, Guglielmo lanciò
un’occhiata tra le fronde della vegetazione e riconobbe le
due ragazze stese nell’erba verde vicino al bordo del lago,
baciate entrambe dal sole: la minore era seduta in terra a gambe
incrociate e, cogliendo qualche margherita selvatica, di tanto in tanto
guardava la maggiore, completamente stesa a pancia in su, davanti a
lei.
Le due
sembravano discutere cupamente di argomenti che Guglielmo non poteva
cogliere da quella distanza. Le loro labbra si muovevano a pronunciare
parole amare, l’una a consolare l’altra, mentre i
loro cavalli erano a brucare poco distante.
-Nostro
zio è sempre stato un po’ strano- sorrise triste
Alessandra. –Non stupirti di certi sui
“atteggiamenti”-.
-Non
è stupore, il mio…- sbuffò
l’altra. –Comincio ad averne timore. Lorenzo e
Giuliano hanno più autorità su Firenze della
famiglia nostra tutta- pronunciò seria Arianna.
–Quello che è ho udito… quello che ho
visto fare a nostro padre dei miei dipinti… ho paura, ecco.
Paura che possa inquietarli così come ha inquietato la loro
sorella-.
-A
Bianca non piacciono i tuoi quadri, e allora?- fece Alessandra
stringendosi nelle spalle. –Non devi uccidere la tua
coscienza per questo! Nostra madre non è mica una che
s’intende d’arte!-.
Arianna
volse il capo e le lanciò un’occhiata eloquente.
La
più giovane guardò la margherita che aveva in
mano. –Be’ forse un po’ se ne
intende…- farfugliò.
Arianna
si fece ombra sugli occhi. La sua attenzione era caduta sul limitare
del bosco più in là, dove poteva dire di aver
intravisto con chiarezza del movimento tra le foglie di un cespuglio.
Alessandra
seguì lo sguardo della sorella ma tornò a
voltarsi poco dopo. –Sarà un cervo-
ipotizzò strappando un’altra margherita.
Arianna
riabbassò il braccio lentamente, per nulla convinta.
Nascondeva piuttosto male il timore che potesse trattarsi di suo
cugino, venuto a reclamare ancora la sua verginità.
-‘Sta
tranquilla, Vieri non verrà fin quassù a romperti
le scatole- ridacchiò Alessandra intuendo i suoi pensieri.
–Con quella pancia che si ritrova, il massimo che
può fare sconfiggendo la sua pigrizia è mandare
qualcun altro a cercarti-.
Arianna
dissimulò l’imbarazzo al ricordo di quella mattina
dietro una finta maschera di allegria.
-Che
cosa si prova?- chiese a tradimento la piccola Pazzi, tenendo gli occhi
bassi sul nuovo fiore appena colto.
-In che
senso?- Arianna parve confusa.
Alessandra
cominciò a spogliare la margherita un petalo dopo
l’altro con le dita. –Cosa si prova quando ascolti
qualcuno pronunciare le parole “matrimonio”, il
“tuo nome” e quello di un uomo che non ami nella
stessa frase?-.
-Per
adesso faresti bene a non pensarci- Arianna guardò il cielo
azzurro sopra di sé, carezzando il prato con una mano
all’altezza del fianco. –Non ti piacerebbe saperlo-.
-Tanto…
presto o tardi verrà il mio giorno- sospirò
Alessandra come fosse ovvio.
Arianna
non riuscì a trovare consolazione alcuna a
quell’affermazione. Il pensiero di Alessandra era dei
più corretti mai pronunciati da lei, perciò non
provò neppure a replicare, sentendosi intrappolata in una
tela di ingiustizie dalla quale nessuno, al suo posto, avrebbe potuto
sottrarsi.
Alessandra
finì per spogliare del tutto la sua margherita, gettandone
il gambo verde nell’acqua cristallina del laghetto
lì accanto. Lo guardò galleggiare per alcuni
istanti, poi sollevò un lembo della gonna e
sfoderò il suo stiletto, rigirandoselo con maestria tra le
dita.
Arianna
la ammirò assorta giusto una decina di secondi.
–Posso darti un consiglio per esperienza?-.
Alessandra
si voltò verso la sorella e corrugò il viso in
una smorfia per via del sole che le picchiò sul volto
all’improvviso. –Certo- disse.
Arianna
sospirò. –Lascia stare quegli stupidi coltelli,
smettila di contraddire nostra madre, e vedrai che lei ti
renderà la cosa meno dolorosa di quanto abbia fatto con me-
pronunciò affranta.
-Credi
che se tu non avessi mai iniziato a dipingere, lei non avrebbe
acconsentito il matrimonio con Vieri?- domandò scettica.
-Non
dico questo…- blaterò Arianna. –Solo
non avrebbe permesso che ne soffrissi così tanto come ne sto
soffrendo ora, dato che mi odia-.
-Lei
non ti odia- replicò Alessandra. –Non odia
nessuno. È solo fatta così, ed io ho imparato ad
accettarlo-.
Arianna
si sollevò sui gomiti. –Ma davvero?- chiese
seriamente stupita.
Alessandra
carezzò la lama dello stiletto con un dito. –Non
prenderla come se mi fossi arresa, perché non è
così. Mi piace che Francesco mi insegni a difendermi e
perciò lo faccio. Mi fa sentire una ragazza che non ha
bisogno del sostegno di nessuno per vivere in questo mondo crudele, e
soprattutto negli ultimi anni, è stata la mia unica
consolazione. Te eri così impegnata nella Bottega,
papà lavorava fino a tardi, Cosimo suonava e componeva.
L’unico che è rimasto davvero al mio fianco
è stato Francesco, e col tempo mi sono adattata ai suoi
gusti, ai suoi passatempi. Ovviamente Bianca non sa che è
lui a darmi lezioni. Se solo lo scoprisse gli farebbe tagliare la
testa, perché a quanto pare è costantemente a
caccia del mio mentore segreto- ridacchiò.
-A
proposito di Francesco…- cominciò la maggiore.
Alessandra
scoppiò dalle risate ancor prima che potesse concludere.
–Sì, sì, so cosa stai pensando. Ieri
sera lui e Vieri sono tornati uno peggio dell’altro! Nostro
fratello, ubriaco come un cane, aveva l’occhio gonfio! Dovevi
vedere la faccia di Bianca, Dio mio! Le si sono rizzati i capelli in
zucca. Guglielmo non era poi così preoccupato, sai. Pensava:
le solite ragazzate, ma la cosa che rodeva a nostro zio più
di tutte era vedere il suo Vieri così umiliato,
anche se a confronto lui era quello tutto sano e il nostro Francesco a
confronto ridotto uno straccio. Solitamente, però, nostro
fratello non si lascia coinvolgere così facilmente e senza
un vero motivo nelle “forchettate” tra nostro
cugino e gli Auditore. Vieri deve aver approfittato del fatto che fosse
brillo-.
Arianna
liberò un sorriso e fece per tornare stesa a pancia in su
nell’erba, ma un nuovo movimento tra le fronde
attirò la sua attenzione.
Questa
volta la ragazza si alzò in piedi e Alessandra, sorpresa, la
imitò meccanicamente.
-Ho
veduto due angeli nel nostro giardino, quindi questo posto non
è così abbandonato da Dio come credevo-
ridacchiò una voce profonda da uomo, poi da uno spiraglio
del bosco emerse la figura di Guglielmo in sella ad un cavallo bianco.
-Padre!-
si stupì Alessandra.
Arianna
si adombrò, cominciando a temere che l’uomo avesse
sentito parte della loro conversazione.
Guglielmo
fermò il cavallo e Alessandra gli andò incontro
di corsa. Quando il vecchio smontò e si lasciò
abbracciare dalla figlia, lanciò un’occhiata alla
ragazza più grande rimasta in disparte con
quell’espressione infastidita.
-Spero
di non aver interrotto nessuna chiacchiera tra donne- si
apprestò a dire Guglielmo avvicinandosi ad Arianna con
l’altra figlia sottobraccio.
Arianna
scosse la testa, ma ostentava nel suo mutismo.
Guglielmo
non parve molto convinto. –Esigo delle spiegazioni per questa
fuga dannata dal Palazzo. Alla poveretta di vostra madre stava venendo
una sincope al cuore- le scrutò entrambe severo in volto.
Alessandra
chinò il capo ma scambiò con la sorella un
silenzioso discorso.
Devo
dirglielo… si
costrinse Arianna.
La
maggiore prese un respiro profondo. –‘Sta mattina
Vieri è entrato nella mia stanza e mi ha sorpresa a letto.
Voleva…- lasciò sospesa ma ben intuibile la frase.
Guglielmo
s’irrigidì nella sua solita fiera posa.
Sollevò un po’ il mento e chiese: -Ti ha fatto del
male?- domandandosi più che altro se il nipote fosse
riuscito o meno nei suoi intenti.
Arianna
scosse la testa. –Fortunatamente Alessandra e il suo stiletto
passavano da quelle parti- sorrise grata verso la sorella.
Alessandra
colorò le guance e ricevette dal padre una carezza sui
capelli biondi. –Immagino come tu sia riuscita a spaventarlo-
pure lui ne sembrava divertito.
-Vieri
e i suoi attributi se la sono filata a gambe levate!- fece lei imitando
un affondo con la sua piccola arma.
-Alessandra!-
eruppe Guglielmo sbalordito di tanta sfacciataggine.
La
ragazzina ridacchiò e rinfoderò lo stiletto sotto
la gonna.
L’uomo
sospirò e tornò a scrutare severo la figlia
maggiore. Quando i loro occhi s’incrociarono, Arianna
capì che suo padre doveva aver udito qualcosa sì.
La
giovane dama sentì un brivido traversarle la spina dorsale e
strinse convulsamente tre dita sul tessuto del vestito.
-Alessandra,
potresti portarlo a bere un po’?- domandò cordiale
porgendo alla figlia minore le redini del cavallo che l’aveva
condotto fin lì.
Alessandra
capì al volo le intenzioni del padre: accettò
senza aggiungere nulla o controbattere. Prese il destriero con
sé e si allontanò con lui verso il laghetto,
vicino al quale trovò la compagnia degli altri due cavalli.
Guglielmo
e Arianna restarono allungo l’uno di fronte
all’altra in silenzio. Fu l’uomo a porgere il
braccio piegato alla figlia come invito ad un passeggio assieme. Ella
non poté rifiutare e si legò a lui con estrema
lentezza, già assaporando l’amaro che certe parole
discusse le avrebbero lasciato in bocca.
I due
si avviarono per il sentiero che scendeva leggermente in pendenza. Lo
sterrato serpentava per il verde prato della collina e poi proseguiva
nel bosco tornando verso la Villa abbandonata. Da lì la
strada si ricongiungeva al corso principale per Firenze.
Appena
furono abbastanza lontani dal luogo di partenza, Guglielmo si
fermò e fece voltare entrambi verso il laghetto, ora solo
una macchiolina scura in mezzo al verde intenso degli alberi.
Passeggiando, passeggiando erano giunti su una collina vicina, ove
sorgeva una panca in pietra all’ombra di un bellissimo
salice, le cui fronde danzavano nel vento leggiadre. Gli uccellini
tutt’attorno si pulivano in una piccola fontana scavata nella
pietra e il crosciare dell’acqua si diffondeva per tutta
l’aria circostante.
Arianna
e Guglielmo sedettero sulla panchina. Quest’ultimo non
staccava gli occhi dalla figura indistinta di Alessandra che si
prendeva cura dei cavalli attorno al lago.
Dopo un
silenzio che parve infinito, l’uomo parlò con tono
profetico e assorto: -Rammenti la statuetta posta nel centro del
laghetto?- chiese con un filo di voce.
Arianna
si ricordò dell’uomo proteso in avanti in
equilibrio su un piede solo. Annuì.
-Il
decadimento di questo posto gli ha rubato molti dettagli-
commentò dispiaciuto.
-Sì,
è vero- convenne Arianna.
-Sai
chi raffigura e perché in tale posa?-.
La
ragazza scosse la testa e si voltò ad ammirare il profilo di
suo padre, mentre egli ancora scrutava l’orizzonte dritto
davanti a sé.
-Apollo-
disse. –Dio del Sole, della medicina, della musica, delle
arti e della profezia-.
-…Conosco-
mormorò Arianna stupendosi non poco.
L’uomo
annuì grave. -Portava con sé uno strumento nella
mano destra, mentre la sinistra si protendeva in avanti-
continuò lui.
-Perché?-
chiese Arianna.
-Un
tempo i laghi erano due e gemelli. Poi, prosciugato e sopraffatto dalla
vegetazione, il secondo è completamente sparito. La
statuetta che vi vegliava era quella di una donna-. Guglielmo prese un
gran respiro. –Si dice che Apollo abbia inseguito tanti di
quegli amori mai concessi che fosse difficile interpretare il vero nome
di quella donna in particolare, che l’architetto del tuo
trisavolo Andrea aveva posto tra le acque del secondo laghetto. In
amore, perciò Apollo, era certamente il Dio più
sfortunato di tutti- rise allegramente.
Arianna
si permise un sorriso.
-Quella
che hai veduto sul laghetto è solo una copia
dell’originale che si trova nella Villa- indicò
l’edificio nascosto tra gli alberi. –È
forse la sua scultura più bella. Nell’originale
Apollo è assieme ad una donna altrettanto bellissima che,
ahimé, non fu mai sua-.
-Cassandra-
sussurrò la ragazza.
Guglielmo
non si mostrò per nulla sorpreso di tale intuizione, anzi.
Carezzò la mano della figlia posata delicatamente sulla
propria e si voltò per guardarla negli occhi.
–Quel tuo amico, Leonardo…
quand’è venuto la scorsa mattina ad avvertirmi che
eri stata ospite in casa sua, ho temuto che non saresti più
voluta tornare-.
Alla
ragazza si colorarono le guance solo immaginando la scena.
-Egli
mi ha anche parlato di un libro che hai comprato, un testo del
Poliziano sui miti greci. In un modo o nell’altro speravo che
potesse affascinarti la sua storia-.
Arianna
aggrottò la fronte. –Non è una storia,
padre, ma solo un mito, una leggenda-.
-Tu
credi?- chiese lui, supino.
La
ragazza annuì, ma non ne era più tanto convinta.
-Arianna,
la verità è che vorrei tu continuassi a
dipingere- disse più serio. –A costo di tenerlo
segreto a Bianca così come il nostro Francesco che insegna
ad Alessandra, tu non puoi lasciare i pennelli e tutto ciò
che essi hanno fatto per te. Per noi-.
-Forse
intendevate dire... per
voi- eruppe lei, pungente.
Guglielmo
sospirò affranto. –Mi duole che tu abbia udito
quella mia conversazione con Giuliano, non avresti dovuto vedere e
sentire certe cose. Ma ora ti prego di comprendere che non posso darti
queste spiegazioni, proprio non posso- le strinse la mano
più forte.
Arianna
sfuggì al suo sguardo inclinando la testa da un lato.
–E se un giorno dovessi avere dei figli ai quali
anch’io sarei portata a riservare tali segreti?-
mormorò. –Cosa racconterei loro se voi non ci
foste più e nemmeno io sapessi il vero?- aggiunse
amareggiata.
Guglielmo
le prese il mento con due dita e la fece voltare verso di sé
con delicatezza. –Quel che stai comprendendo da te
è sbagliato. Non arrivare a conclusioni che sai ti
condurrebbero solo ad altre domande senza fine. Arianna, devi riporre
in me la fiducia che ti sto chiedendo, nient’altro. Lascia
che sia io ad occuparmi del resto- le disse semplicemente.
Gli
occhi verde smeraldo del padre incatenarono i suoi senza via di fuga.
Guglielmo apriva il suo cuore e le porgeva la sua bontà.
Arianna non poté far altro che assecondare il suo volere e
tacere annuendo.
-Ma
come intendete continuare a farmi dipingere? Senza delle lezioni potrei
perdere la mano, non essere più brava,
dimenticare…- fece preoccupata.
-Posso
farti tornare in bottega, se lo desideri. Il Verrocchio non ne
farà parola con nessuno sta volta e ti terrà con
sé nel suo studio. Racconteremo a Bianca, in accordo con
Agnolo e Lorenzo, che segui assieme a tuo cugino la sua scuola.
È la copertura che cerchiamo-.
Arianna
scosse la testa. –No, in bottega no, padre. Troppi occhi
curiosi, gambe veloci e bocche larghe. Rammentate
l’intervento di Bianca a tavola? Ella ha i suoi
“contatti” così come voi avete i vostri.
Non…- s’interruppe a metà concetto
fissando il vuoto dinnanzi a sé.
Guglielmo
non fece nulla per riacchiappare la sua attenzione. Attese in silenzio
che la ragazza riordinasse i pensieri e tornasse a guardarlo in volto.
-Ebbene?-
formulò lui. –Immagino tu abbia la soluzione-.
Arianna
annuì. Tacque ancora qualche istante, godendosi la gioia
immensa di quell’idea che le aveva solo sfiorato la mente, ma
che sarebbe potuta essere la strada da percorrere per il resto di una
vita felice.
-Leonardo
da Vinci ha lasciato la bottega anche lui, e si appresta ad aprire una
sua attività autonoma nel distretto di San Lorenzo.
È molto, ma molto bravo, e sarebbe lieto immagino di
insegnarmi lui stesso. Una volta sotto la sua sola custodia
sarà ancor più facile tenermi a distanza dagli
sgherri di nostra madre-.
Guglielmo
la guardò allungo senza parole. –E cosa aspettavi
a dirmelo?! Andiamo da messer Leonardo, subito!- la prese con
sé e si avviarono quasi di corsa sul sentiero che conduceva
attraverso il prato.
Mentre
camminava così di fretta assieme a suo padre che le teneva
la mano, ad Arianna parve di avere i piedi immersi in un manto di
piume, o di star passeggiando sulle nuvole. Dopotutto, si rese conto
che la sua vita le mandava una colomba ogni tanto. Il poter stare
accanto ad un suo grande amico e proseguire nell’arte era
ciò che aveva sempre saputo di desiderare.
Da una
parte tutto questo: il desiderio realizzato.
Dall’altra
il dolore, la sofferenza: la certezza di un matrimonio combinato e le
ingiustizie di tante domande senza risposte.
Con la
felicità in cuore e la gioia pura nell’anima,
varcava il confine tra
il sogno e la realtà.
.:Angolo d'Autrice:.
I Giardini Vecchi sono una mia invenzione, ma ecco alcune immagini che
si rifanno alle dettagliate descrizioni.
Ingresso
http://silvermixx.deviantart.com/art/Secret-garden-40309744
Viale
http://mistabobby.deviantart.com/art/The-Secret-Garden-5424419
La
fontana con un piccolo “Apollo”
http://sunapeeregionblog.files.wordpress.com/2008/08/fells_stonewall-to-boy-tu.jpg
Quadro
complessivo
http://www.fantaverde.com/Portals/48/paesaggi/stile/rinascimentale/fotorinascimento1dopo.jpg
Ringraziamenti
speciali a goku94,
renault,
Elkade
(oddio O_O e chi si è accorto che hai aggiornato!?! Domani
pomeriggio mi fiondo, adesso scappo a nanna .__.) e lullacullen
per l’amato sostegno alla causa di questa storia! Il capitolo
è un po’ lunghino, lo ammetto (9 pagine) ed
essendomi voluta allungare molto sulla descrizione dei Giardini Vecchi
(che avranno un ruolo nella fan fiction simile a quello di
Monteriggioni nel gioco) era pressoché essenziale. ^^
Ok,
guys, nel prossimo capitolo entrerà in scena (per ora solo
come comparsa, mi spiace!) il nostro stimatissimo assassino di turno
che, a dirla tutta, ancora assassino non è…
Eccovi
un piccolo spoiler,
per chi fosse curioso di sapere qualcosina… ^^
“-Hanno
bussato alla porta- disse la giovane con una smorfia.
Leonardo
parve stupito. –Davvero?-.
La
ragazza annuì e zoppicò più in
là. –Sì, sono una nobile donna e suo
figlio-.
[…]
-Salute
Leonardo-.
-Madonna
Maria!- gioì lui, e si scambiarono un bacio sulle guance
come saluto.”
|
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Capitolo 10 *** In principio... l'ordine! ***
In principio...
l'ordine!
-Ok,
sono riuscita ad agganciare qualche ricordo avanzato. Procediamo
più spediti in quella direzione- annuncia Rebecca.
Su uno
sfondo bianco galleggia l’immagine della mia antenata a
cavallo assieme alla sorella e al padre. Improvvisamente il quadretto
cambia e si materializzano le pareti di una grande stanza dal soffitto
alto e il pavimento in legno. Montagne di scatoloni, carte, cartacce,
nastri, tele, pennelli, e impalcature sparsi un po’ ovunque
disordinatamente.
-Vediamo
di darci una mossa. Carichiamo l’ultimo ricordo e completiamo
la sincronizzazione- annuncia Shaun nervoso. Sospira e ricomincia a
parlare pian piano che l’ambientazione prende forma
nell’Animus. –Se siamo nel
’76…- sfoglia alcuni dati sul suo portatile.
–Ah, sì, eccoci: se siamo nel ’76 questa
dev’essere la bottega indipendente che Leonardo
aprì nel quartiere storico di San Lorenzo. I lavori di
ristrutturazione sono durati un mese preciso e l’artista
entra in sala solo il 2 di Aprile, la data di oggi. Mentre ci avviamo
verso la sincronizzazione, ne approfitto per dire che Arianna
è sua frequentatrice abituale tutti i giorni, pur non avendo
preso in mano pennelli fino ad ora. La ragazza si alza presto la
mattina e, con libri e penne, lascia il palazzo assieme al padre
Guglielmo. In un primo momento i due percorrono la strada verso Palazzo
Medici, ma poi deviano per il centro e, superata Santa Maria del Fiore,
proseguono sino alla bottega del Vinci. Ovviamente Leonardo ha
accettato a buon cuore di assumersi una tale responsabilità
e, anche costretto a tenere il segreto nel silenzio, la compagnia della
ragazza gli fa sempre comodo. È disposto ad insegnarle e
correggere la sua arte, ma ciò significa che, giunto a patti
con Messer de’ Pazzi, Arianna assumerà per lui il
ruolo di aiutante, nonché garzona. C’è
il dato irrilevante che da quel momento in poi Leonardo smise di dare
ad Arianna del “voi”. La prima apprendista donna
diventa così discepola del grande genio di Leonardo a soli
15 anni. Lorenzo il Magnifico e la sua corte tutta regge bene il gioco
di finzione ideato da Guglielmo. Il Poliziano stesso è
complice, così come il giovanissimo Piero. Ovviamente a
Lorenzo un po’ dispiace dover ingannare la sorella in questo
modo, ma lui stesso conviene a Guglielmo quando si parla di un bene
superiore. D’altronde, si dice che tra il Magnifico e la
sorella ci fosse in quegli anni una sorta di competizione su chi
avrebbe fatto i figli più belli. Ecco perché la
sorella sembra lamentarsi tanto delle assurdità dei suoi
cari. Ma tornando ad Arianna. Attualmente il trasloco è
ancora in atto. Come ben si nota la bottega è un vero
disastro. Arianna si è offerta di aiutare il maestro a
sistemare la sua roba e, una volta messo un po’
d’ordine, potrà iniziare il suo apprendistato.
Leonardo era diventato in quegli e gli anni precedenti un gran signore.
Partecipava spesso ai più grossi convegni di artisti
organizzati da Lorenzo nella villa medicea di Careggi, e tutto grazie
alla parola buona messa per lui, non solo dal Verrocchio, ma dai Pazzi
tutti. Nell’arco di questo mese, poi, si è dato
parecchio da fare. Lui e un certo Tommaso Masini si conoscono per caso
ad uno dei “ritiri intellettuali” di Lorenzo. Del
Masini parleremo un’altra volta. La sua è una
storia ben più interessante. Il 3 Aprile è
l’esatta mattina in cui Leonardo e Arianna si mettono
all’opera sul primo quadro di lei, ma l’Animus
blocca quel ricordo concedendoci di ripercorrerlo solamente partendo
dalle ventiquattrore precedenti. Perciò aspettiamoci una
lunga giornata noiosa a sistemare scatole e cartacce, perché
c’è parecchio lavoro da fare- annuncia il ragazzo.
–Ah, tanto per fare chiarezza, alcuni ricordi di Elisa
coincidono con quelli di Desmond. Pare che i loro rispettivi antenati
si conoscessero…-.
-Shaun,
la sincronizzazione è completa-.
-E che
mi guardi a fare, Rebecca?! Cosa aspetti!? Avvia lo status!- erompe.
-Va
bene, va bene, scusa!- borbotta lei.
[Repubblica
Fiorentina 1476]
Il sole
troneggiava nel centro esatto di un cielo lindo e azzurro. La gente
trafficava per le strade di bottega in bottega o si fermava in qualche
cortiletto a discutere di politica e quant’altro. Era
l’inizio di una primavera meravigliosa, ricca di uccellini a
canticchiare per i tetti e colombi a trafficare sulle strade a caccia
di qualche briciola. Gli alberi in fiore piantati qua e là
nelle piazzette rotonde espandevano il loro profumo dolce per
l’aria della città raggiungendo, sospinti dal
vento, i vicoli più bui. Assieme al sapore della natura si
confondeva quello della cucina italiana, data l’ora del
pranzo vicina.
Arianna
si sistemò meglio la gabbietta di Marcus in grembo e
cercò di tenerla con una sola mano quando giunse in
prossimità della bottega. Questa emergeva in una piazzetta
con al centro un bell’albero di limoni che avrebbe fruttato
solo in estate. Subito di fronte sorgeva la stazione di posta, e a
pochi passi il medico fidato pronto a salvare un’altra povera
anima capitata tra i piedi dello scienziato.
Avvicinandosi
all’ingresso, sollevò il braccio libero e
aprì la porta.
L’uccellino
spaventato zampettava da una parte all’altra della gabbietta,
sbatteva le ali forsennato e cinguettava nervoso.
-Leonardo,
siamo qui!- annunciò la ragazza richiudendosi la porta alle
spalle. Scese due gradini in legno e si ritrovò in una
grande sala sommersa da scatole e scatoloni, pergamene, vasi, tavoli,
sedie, tele, bacheche, impalcature e quant’altro. Insomma, di
tutto e di più, ed entro la fine della giornata aveva
promesso a Leonardo di aiutarlo a sistemare quel casino. Ma chi me l’ha fatto
fare? imprecò.
-Arianna,
grazie! Posalo pure da qualche parte, che ci pensiamo dopo- disse la
voce di Leonardo, ma egli ancora non si era mostrato.
La
ragazza si guardò attorno e individuò la
superficie di un tavolo nascosto da centinaia di disegni e schizzi su
carta. Fece un po’ di spazio e posò lì
la gabbietta. –Ora calmati e fa’ il bravo- sorrise
lei infilando una mano tra le sbarre e carezzando il piccolo pennuto
sulla testa.
Marcus
parve acquietarsi all’istante. Chiuse gli occhi e si
appallottolò in perfetto equilibrio su un rametto. Il petto
gonfio e la testa incassata tra le piume.
Arianna
trasse la mano e richiuse la gabbia. Aggirò il muro di
scatole che si era creato e trovò Leonardo nascosto dietro
di esso. Stava seduto al suolo con le gambe incrociate e armeggiava con
un piccolo arnese, lavorando sull’ingranaggio di una sorta di
meccano in legno.
-Ah,
eccovi- cantilenò Arianna.
Leonardo
alzò gli occhi dal suo lavoro. –Sì,
perdonami, ma questo dannato affare mi da il tormento!- eruppe
alludendo all’oggetto che aveva nelle mani.
-Che
cos’è?- chiese lei chinandosi sulle ginocchia.
Sembrava un cubo di legno i cui sei lati mostravano un complesso
ingranaggio al suo interno.
-Nulla
che non sia trascurabile in questo momento, ovvio, ma sono giorni che
provo a stringere quella benedetta molla…-
sbuffò. –Basta, lasciamo stare- blaterò
lanciando l’oggetto alle sue spalle. Questo andò a
sbattere da qualche parte e le conseguenze furono istantanee: una cassa
posta sull’apice di una colonna di altri scatoloni
crollò sul pavimento riversandovi tutto il suo contenuto in
un gran frastuono. Alcuni dei pennelli finirono in testa
all’artista, al quale sfuggì un gemito.
-State
bene?- domandò la ragazza preoccupata. Si protese verso di
lui e lo aiutò ad alzarsi.
Una
volta in piedi Leonardo si levò il berretto rosso e si
massaggiò la testa là dove era stato colpito.
–Mi verrà un bernoccolo di quelli!-
digrignò. –Aaaah!- imprecò.
–Comincio ad odiare questo posto-.
-Forse
se iniziassimo a mettere a posto, potrebbe anche piacervi, che ne
dite?- ridacchiò lei.
Leonardo
scambiò con la ragazza un divertito sorriso. –Hai
ragione. Avanti, dunque: rimboccati le maniche, mia discepola, e
va’ a mettere Marcus al sicuro prima che gli crolli addosso
il soffitto!- Leonardo indicò il piano di sopra.
–Sperando che gli operai abbiano fatto un buon lavoro almeno
con quello…- continuò a borbottare mentre
raccoglievada terra quel che era caduto.
Arianna
ubbidì e tornò indietro a prendere la gabbietta.
Non appena la mosse Marcus ricominciò ad agitarsi come un
pazzo. La ragazza si diresse sulle scale di legno che portavano ad un
secondo piano della bottega, il quale ospitava gli alloggi del suo
maestro, compreso un piccolo salotto e un angolo riservato alla
domestica che si occupava delle pulizie… o forse avrebbe
dovuto dire “domestico”? Perché il
garzone che spazzava casa, gli rifaceva il letto e preparava da
mangiare era un ragazzo sì e no sulla ventina
d’anni di padre ortolano, anche se sosteneva di essere figlio
illegittimo di un nobile. Di nome faceva Tommaso, e di cognome Masini.
Leonardo preferiva chiamarlo con l’appellativo che si era
portato dietro dall’oriente: Zoroastro,
l’incantatore delle sabbie dal quale aveva appreso la
passione per le scienze occulte durante uno dei suoi viaggi.
-Buon
dì, Tommaso!- salutò Arianna giunta sul
pianerottolo quando lo vide traversare il corridoio con una scopa in
mano.
-Madonna-
s’inchinò lui.
-Tutte
le volte la stessa storia- sbottò lei con allegria.
–Smettila di chiamarmi così, siamo amici, no?-
rise avvicinandosi a lui.
-Avete
ragione, perdonatemi- pronunciò cordiale nel vederla
così serena.
-Tenete-
gli porse la gabbietta. –Ecco la vostra nuova
responsabilità. Leonardo vi ha parlato di lui?-.
Tommaso
adocchiò l’uccellino tra le sbarre e
aggrottò la fronte. –Temo di no-.
-Si
chiama Marcus, e il maestro vuole che sia messo al sicuro, dato che di
sotto continua a cadere roba dal cielo-.
L’uomo
restò serio. –Stavo cominciando a preoccuparmi, ho
sentito quel tonfo e poi il grido di Leonardo. Conoscendolo, poi, posso
ben immaginare cosa gli sia caduto sulla testa-.
-Nulla
di grave, non temere. Leonardo è ancora pazzo quanto prima-
scherzò lei tornando sulle scale.
Tommaso
portò la gabbietta con sé e la posò
sul davanzale della cucina, esposta all’aria di quella
soleggiata mattina. Marcus gli avrebbe fatto compagnia mentre preparava
il pranzo per il suo signore.
Arianna
riapparve al pian terreno e sorprese Leonardo su una scala appoggiata
alla parete. Si stava occupando di montare alcune mensole che gli
avrebbero fatto comodo, sparse un po’ qua e un po’
là per la bottega.
-Vi
serve aiuto?- domandò guardandolo dal basso.
Leonardo
declinò l’offerta con un mugolio simile a
“no, grazie” poiché la bocca era stretta
attorno al manico del martello che teneva con sé per
l’evenienza. Quando se lo tolse dalle labbra, dovendolo usare
per piazzare il chiodo, disse: -Disfa le scatole e raggruppa le tele
bianche in quell’angolo. Quelle iniziate in
quell’altro e quelle concluse dove capita-.
Arianna
annuì e si mise subito all’opera.
Trascorsero
delle ore serene, e man a mano che Arianna smistava gli scatoloni e il
loro contenuto, nella bottega sembrava farsi largo sempre
più luce. Il sole riusciva finalmente a filtrare dalle ampie
finestre in alto e illuminava l’interno della sala mostrando
quanta polvere ci fosse nell’aria. Il pulviscolo atmosferico
soffiava qua e là a seconda di dove si spostava Arianna, il
cui passaggio ne scombussolava la materia. Quando nella bottega
cominciò a mancare il respiro, Leonardo diede
l’ordine alla sua discepola di aprire le finestre.
Così,
mentre lui si occupava dello smistamento, Arianna utilizzò
la scala e arrivò sino in cima. Spalancò tutte e
otto le finestre e la corrente che entrò improvvisamente
nella stanza fece volare via qualche foglio, e danzare le pergamene.
Leonardo
si vide sguisciare dalle mani gli appunti che stava rileggendo e
scoppiò in una fragorosa risata. –Forse non
è stata una buona idea-.
Arianna,
in equilibrio sul gradino più alto della scala,
guardò fuori dalla finestra che aveva davanti mentre il
vento le scompigliava i capelli.
Da
quella posizione sopraelevata poté spaziare la vista in
strada, dove la gente muoveva il solito trambusto mattutino, tra carri,
cavalli e bambini che giocavano a rincorrersi.
D’un
tratto la sua attenzione cadde sulle due figure che venivano verso la
bottega. La prima era una donna sulla quarantina che vestiva di un
vestito elegante color cipria. I capelli scuri raccolti ordinatamente e
il portamento da gran signora.
Affianco
le camminava un giovanotto altrettanto ben vestito di una bianca
camicia, un gilet scuro, pantaloni e stivali. I capelli legati con un
nastro rosso, lo sguardo altezzoso ma non quanto quella donna che
doveva trattarsi della madre.
-Eccoci
qua- sentì dire dalla dama. Ella sparì sotto il
portico dell’ingresso di bottega e poi si udì
bussare leggermente.
Arianna
sobbalzò.
Il
ragazzo che era con lei l’aveva veduto nelle sue
“fantasie” giusto un mese prima, quando domandando
a Vieri se si fosse mai imbattuto in qualche ragazzata per via
dell’occhio nero, era finita per ricordarsi di più
di uno dei volti intravisti a combattere sul ponte.
All’improvviso
il giovane alzò lo sguardo, come se si fosse accorto della
ragazza che lo spiava dall’alto, e Arianna scese di un
gradino nascondendosi alla sua vista, ma nel farlo perse del tutto
l’equilibrio, cadde e si ritrovò in un lago di
disegni, carte e cartacce.
-Arianna,
diamine, fa’ attenzione!- sbottò Leonardo
venendole incontro. L’aiutò ad alzarsi riemergendo
dalle pergamene e Arianna si massaggiò la schiena che il
volo appena fatto le aveva indolenzito.
-Hanno
bussato alla porta- disse la giovane con una smorfia.
Leonardo
parve stupito. –Davvero?-.
Lei
annuì e zoppicò più in là.
–Sì, sono una nobile donna e suo figlio-.
L’artista
ci pensò qualche istante. –Una nobile
donna…- rifletté. –Ah, ah! Maria, ma
certo! Che viziaccio il suo di bussare così piano pensando
di disturbare. Presto, Arianna, sarà qui per ritirare i
dipinti-.
La
ragazza si tirò su. –Quali?- chiese ancora
dolorante.
Leonardo
le fece una descrizione dettagliata delle tele commissionate
indietreggiando verso la porta. –Dovrebbero essere da qualche
parte, comincia a cercare!- le suggerì.
Arianna
si guardò attorno sperduta. La confusione regnava ancora e
forse peggio di prima. Ci sarebbero voluti anni per trovare quei
maledetti piccoli quadri che, durante lo smistamento, non le erano
capitati tra le mani.
Uffaaaa!
Sbuffò
rimboccandosi le maniche e tuffandosi a lavoro.
Nel
frattempo sentì il suo maestro aprire la porta e la voce
della dama.
-Salute
Leonardo-.
-Madonna
Maria!- gioì lui, e si scambiarono un bacio sulle guance
come saluto.
-Questo
è mio figlio, Ezio- disse la dama presentando il giovane che
era con lei.
Leonardo
s’inchinò portandosi una mano al cuore.
–Molto onorato-.
Il
ragazzo lo imitò. -L’onore è mio-.
Arianna
sgranò gli occhi e s’immobilizzò come
una statua.
La voce
combaciava.
Era
davvero lui, il ragazzo che aveva immaginato su Ponte Vecchio a
confrontarsi con Vieri. Se si sforzava un poco ricordava anche il nome
della famiglia a cui apparteneva.
-Vado a
prendere i dipinti- pronunciò Leonardo. –Torno
subito- aggiunse sorridendo ad entrambi.
Quando
il maestro tornò dentro la bottega, sul suo volto gioioso si
aggiunse una smorfia sconsolata. Guardò la sua discepola che
faticava a cercare nelle scatole quel che andava trovato e si
sistemò meglio il berretto in testa. –Presto,
Arianna! Ho guadagnato un po’ di tempo, ma non ne abbiamo da
perdere!- mormorò nervosamente alla ragazza raggiungendola
nel mare di tele e scatoloni.
Arianna
si alzò e lasciò controllare a Leonardo quella
parte di roba, mentre lei si spostava più in là,
tra le ultime cose portate in bottega.
-Trovati!-.
Leonardo
si volse d’un tratto nella sua direzione e le venne incontro
saltando qualsiasi ostacolo sul suo cammino. –Dalli a me-
disse.
Arianna
trasse una scatola senza coperchio da sotto il tavolo e la
trascinò sul pavimento sino ai piedi di Leonardo, che si
chinò a raccoglierla. Al suo interno c’erano un
paio di piccoli dipinti su tela e varie cornici.
-Grazie,
come farei senza di te!- pronunciò gioioso, e prima di
andare le scoccò un bacio sulla guancia.
Arianna
arrossì visibilmente carezzandosi là dove lui
aveva posato le sue labbra e lo guardò allontanarsi verso
l’ingresso della bottega. Leonardo si voltò.
-Accompagno
la signora e sarò subito di ritorno, nel frattempo riposati,
che te lo meriti!- le permise, poi oltrepassò
l’uscio e si rivolse serenamente alla cliente.
-Torniamo
a casa vostra?- domandò cordiale.
-Sì,
sì- fu la risposta di Maria. –Ezio, ti spiace
aiutare Leonardo?-.
L’artista
lasciò il carico al giovane Auditore che prese la scatola
con entrambe le braccia. I tre si avviarono sulla strada e scomparvero
tra la gente.
Arianna,
rimasta sola, ascoltò il silenzio prendere piede
tutt’attorno ora che la bottega si era svuotata
dell’unica persona in grado di farne tale.
Dovunque
posasse lo sguardo si ritrovava con le lacrime agli occhi per quanta
gioia serbava in cuore. La possibilità di vivere quella vita
che le era stata offerta la rendeva la persona più felice
del mondo, con così poco. Presto o tardi sarebbe venuto il
suo momento, il momento di prendere i pennelli e tornare a ritrarre
volti e persone che non conosceva.
Quei
sentimenti contrastanti si fecero largo in lei ancora una volta, e
mentre si alzava il suo viso assunse un aspetto più tetro e
risentito.
Ezio
Auditore…
pensò guardando in strada oltre la soglia
d’ingresso.
Leonardo
tornò poco più tardi, giusto il tempo di andare e
venire dalla reggia della sua cliente senza troppe ciance.
Rientrò in bottega trovando la porta aperta come
l’aveva lasciata e se la richiuse alle spalle fischiettando
un motivetto allegro. Quando si voltò, restò a
bocca aperta.
Quella
stanza, si disse, non era mai stata così grande, e
pulita… e luminosa… e ordinata!
All’artista luccicarono gli occhi e sfuggì il nome
del Signore levandosi il capello di testa e stringendolo convulsamente
tra le mani per lo stupore.
Sul
pavimento correvano i bei tappeti, sulle pareti erano montate le
mensole e le bacheche. Sui tavoli, ora sgombri di tutte le casse da
imballaggio e di cartacce, vi erano ordinatamente disposti gli schizzi,
gli appunti, i quaderni e le pergamene dell’artista. Le
ragnatele tra le travi del soffitto erano sparite, le scale che
portavano al secondo piano erano state ricoperte di un soffice tappeto.
I mobili erano sparpagliati lungo i muri della stanza per creare nel
centro un grande spazio più largo possibile. Lo scrittoio
sorgeva dove era sicuro che la luce delle belle vetrate, ora ripulite e
brillanti, arrivasse tutto il giorno. In fine, molti dei dipinti
ultimati erano appesi alle pareti, le tele bianche da una parte, i
cartoni e quelle incomplete da un’altra vicino ai cavalletti
delle varie misure. Sopra al davanzale del camino spento, ma
già pieno di legna per la notte, era appoggiato il suo bel
quadro dell’Annunciazione.
A
quella vista Leonardo rimase senza parole.
Arianna
era in cima ad una scala, facendosi passare da Tommaso i libri che ella
impilava delicatamente sulle mensole, in ordine alfabetico. La polvere
era sparita del tutto da ciascun ripiano in legno, ma molta della quale
si era depositata sui vestiti della ragazza e tra i suoi boccoli neri.
-Te la
sei presa comoda, eh!- convenne Tommaso, poi passò ad
Arianna un altro testo, ma la ragazza non fece in tempo a riporlo sullo
scaffale assieme agli altri perché si voltò e
riconobbe la figura del suo maestro in piedi nel centro della stanza.
Leonardo
spalancò le braccia e girò più volte
su se stesso. –Che meraviglia!- fece estasiato.
–Nemmeno un Angelo avrebbe saputo fare di meglio! Dio,
Arianna, perché? Ti avevo detto di risposarti!-
esultò guardando la fanciulla.
La
giovane Pazzi finì di sistemare anche quell’ultimo
libro sullo scaffale e, col sorriso sulle labbra, scese un gradino alla
volta. Non appena fu a terra, si stirò le pieghe del vestito
e scambiò con Tommaso un’occhiata complice.
-Proprio
non riuscivamo a starcene rigirandoci i pollici, io e lui, e la
tentazione è stata troppa, maestro- confessò
allegra.
Leonardo
li abbracciò entrambi lasciandoli di stucco.
–Davvero non so come ringraziarvi, e nemmeno come abbiate
fatto così in fretta!- era letteralmente meravigliato, quasi
senza fiato.
-Be’
quattro braccia sono sempre meglio di due, come si dice-
ridacchiò Tommaso.
Arianna
ne convenne con una risata. –L’ho beccato che si
dava alla pazza gioia senza mettere nulla a cucinare per il pranzo e
così l’ho ricattato perché mi desse una
mano-.
-Ehi,
avevamo un accordo noi due!- sbottò Tommaso.
Leonardo
rise di gusto a sua volta e Tommaso si offrì di ritornare
alle sue solite mansioni.
-Va’,
Tommaso, va’- Leonardo lo spinse su per le scale senza
smetterla di ridere. –Buona idea la tua, perciò
fallo-.
Arianna
e il suo maestro rimasero soli, mentre quest’ultimo si
risistemava i capelli nel capello da pittore rosso.
–Perché non ti trattieni per pranzo? Sono sicuro
che ‘sta volta Tommaso cucinerà qualcosa di
commestibile per noi comuni mortali!-.
Arianna
azzardò un sorriso. –Apprezzerei molto, ma temo di
dover rifiutare la vostra offerta-.
-Come
mai?-.
Arianna
esitò. –Mio padre sarà qui a momenti,
e…-.
-Se sei
d’accordo lo chiederemo a lui- le sorrise sincero.
Arianna
sospirò. –E va bene- disse.
-Ah,
ah!- gioì l’artista. –Così
potrò raccontare a Guglielmo della tua impresa sensazionale,
ma guarda qui che roba!- ancora faticava a credere che la sua bottega
fosse così bella, ed era tutto merito della sua allieva.
.:Angolo
d'Autrice:.
La
Bottega di Leonardo descritta in questa storia rispetta poco quella del
gioco. Ho ipotizzato un secondo piano abitabile, ma per il resto
è molto fedele a quest’immagine qui sotto.
http://public.blu.livefilestore.com/y1pafJg-0-aVJJYUNkQfVNkiu0VKkbtGCRwpooZhbTp45QXKMxZxE6e5eLVaO73d2pi9Mwe0ESUfukJBg4ZvSUk_g/112.jpg
Tommaso
Masini, detto Zoroastro, per non dirlo in altri termini, è
“l’amichetto” di Leonardo! XD Ma
ovviamente Arianna sembra ignorarne del tutto la vera
natura… almeno per ora! Comunque, Tommaso è un
personaggio storico che fu molto amico dell’inventore e si
racconta anche primo a collaudare (al di fuori di AC) la sua macchina
volante. Il rapporto che c’è tra lui e
l’artista è sicuramente più che una
comune amicizia, ma vabbé, dettagli! XD Detto Zoroastro
perché in medio oriente era esistito un teologo di magia
occulta chiamato proprio così, e si dice che Tommaso abbia
viaggiato molto da quelle parti, avendo quindi occasione di avvicinarsi
alla magia di quel genere…
L’Annunciazione
è un celebrissimo quadro del da Vinci, concluso proprio in
quegli anni.
La
commissione di Maria ed Ezio alla bottega la conosciamo tutti! XD
E’ parte integrante del gioco! La scena descritta da me dal
punto di vista di Arianna è un possibile “dietro
le quinte” di quando Maria ed Ezio discutono fuori dalla
bottega! Questa scena l’avevo in mente fin
dall’inizio della fan fiction, e pur di arrivare a scriverla
ho fatto i salti mortali! Un grazie anche ai lettori silenziosi!
Spero
di non avervi delusi anche sta volta. Ringrazio il supporto costante di
tutti i recensori che mi stanno facendo aggiornare non dico tutti i
giorni, ma quasi! XD A fine mese mi ritrovo senza più un
capitolo pronto di questo passo! XD
Un
piccolo spoiler
del prossimo capitolo! ^^
“-Chi
è arrivato?- domando confusa.
-Che
razza di domande fai, l’hai visto nella tua visione, no?-
erompe Shaun.
[…]
-Lucy,
ce l’hai fatta!- Rebecca si alza dalla sua scrivania e le va
incontro gioiosamente. Le due si abbracciano, ma lo sguardo sorpreso
della bionda si posa per un istante su di me.
[…]
–Come
te la sei fatta quella?-.
-Tutti
i miei antenati ne hanno una. Sembra una ricorrenza di famiglia-
ridacchia lui.
[…]
Shaun
resta allungo interdetto. Lucy incrocia il suo sguardo.
–Avreste dovuto sbarazzarvene quando ne avete avuta la
possibilità-.”
Ora a
voi i commenti ^^ A presto! Caltaccia!
|
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Capitolo 11 *** E' solo l'inizio ***
ATTENZIONE:
questo capitolo contiene degli spoiler sia sul gioco che sul
proseguirsi della storia. Per chi volesse serbarsi qualche sorpresa per
quanto riguarda la vita di Arianna e la fine di Assassin’s
Creed 2, non vada oltre nella lettura e aspetti il prossimo post! XD
Grazie per l’attenzione! *Giulio in cassa tre, Giulio in
cassa tre!* XD Molto alla “supermercato”!
XD
E' solo l'Inizio
-Basta,
Rebecca tirala fuori: sono arrivati-.
La
ragazza ubbidisce all’istante. Con una sola sequenza di tasti
interrompe il ricordo ed espelle la mia coscienza
dall’Animus. Finalmente riapro gli occhi e mi trovo il vero
soffitto del laboratorio davanti. Assaporo quel momento beandomene il
cuore che sento pulsare vivo nel petto come non mai, ma non appena
Shaun mi viene incontro per intimarmi di alzarmi, tutto
s’interrompe lì.
Annuisco
flebilmente. Mi metto seduta e poi in piedi accanto alla macchina. Mi
gira un po’ la testa ma Rebecca dice che è normale.
Shaun
è tornato seduto alla sua postazione e così
Rebecca.
-Chi
è arrivato?- domando confusa.
-Che
razza di domande fai, l’hai visto nella tua visione, no?-
erompe Shaun.
Mi
volto verso di lui, ma ancora prima di poter replicare con una sola
parola, nel laboratorio fanno la loro comparsa una ragazza bionda
seguita da un tipo i jeans e felpa bianca.
-Lucy,
ce l’hai fatta!- Rebecca si alza dalla sua scrivania e le va
incontro gioiosamente. Le due si abbracciano, ma lo sguardo sorpreso
della bionda si posa per un istante su di me. Mi squadra da capo ai
piedi mentre le sue braccia sono strette attorno all’amica.
-Dio, quanto tempo! Sette anni! Roba da non credere!- gioisce
stanziandosi.
Nel
frattempo Shaun è comparso come dal nulla al mio fianco, e
per la prima volta (forse in tutta la sua vita) il suo tono si fa cupo
e leggermente commosso. –Davvero. Ben tornata- le sorride,
poi volge la sua attenzione sul ragazzo che Lucy ha portato con
sé.
-Ah,
questo dev’essere il famigerato soggetto 17- commenta.
Il
nuovo arrivato si è guardato attorno per tutto quel tempo, e
solo ora si gira verso i due topi di laboratorio.
-Desmond
Miles, giusto?- chiede Shaun.
-Voi
chi siete?- domanda invece lui.
-Ah,
scusa, che maleducato- comincia l’uomo col maglioncino
bianco. –Sono Shaun Hastings. Rebecca Crane,- indica la
tecnica, –e…- sta per rivolgersi a me indicandomi
con una mano, ma s’interrompe accorgendosi dei miei occhi
sgranati fissi su Desmond.
Miles
incrocia il mio sguardo con altrettanto stupore.
-Tu-
mormoriamo assieme.
-Ehi,
frena, frena, frena!- interviene Rebecca. –Voi
due… vi conoscete?- pronuncia stupita.
-E’
la violinista a cui ho sganciato due dollari la notte del mio
“giorno sfortunato”- dice Desmond guardando la
bionda al suo fianco.
Lucy e
Shaun si scambiano un’occhiata poco rassicurata.
-Stai
dicendo che la notte in cui sei stato rapito dalla Abstergo, passavi di
qua?- domanda Rebecca.
-Ma
dov’è “qua”?!-
ribatte Desmond ancor più allarmato.
-Ok,
ora calma- interviene Lucy frapponendosi tra noi.
–Punzecchiarci fino allo svenimento con certe domande non
servirà a nulla e ci farà solo disperdere
preziose energie- aggiunge scoccandomi uno sguardo truce.
-Sarebbe
potuta essere una piacevolissima conversazione,- interviene Shaun, -ma
se non vi spiace sarà meglio mettersi subito a lavoro. In
questi giorni… il tempo è prezioso- mi guarda, ma
un istante dopo è già seduto sul suo sgabello
davanti al computer.
Rebecca
gli fa una boccaccia alle spalle, poi, rivolgendosi alla bionda dice:
-Abbiamo già preparato tutto, Lucy. Quando vuoi possiamo
procedere- annuncia rigorosa.
-Tieni,
ti ho portato qualcosa- ridacchia l’altra estraendo dalla
tasca dei jeans un oggetto che poi porge all’amica.
–Un regalino di coniato dalla Abstergo-.
Rebecca
lo stringe con entrambe le mani. –Wow! Il Nucleo di Memoria!
Ma è fantastico!- esulta. –Con i loro dati, le
cose andranno molto più veloci- dice correndo verso la sua
scrivania. –Mi butto sul codice di inserimento- aggiunge
digitando già sulla tastiera. –Shaun, hai visto
cos’ha portato Lucy?!- domanda euforica.
-Sì,
sì, ho sentito- borbotta lui.
-Con
quest’affare non avremo i problemi riscontrati
nell’Animus con Elisa!- aggiunge la tecnica.
Lucy
sgrana gli occhi. –Voi… avete
messo…(indica me) nell’Animus? E per quale motivo,
posso sapere?-.
Shaun
fa roteare lo sgabello verso di lei e si sistema gli occhiali.
–Semplice: Lucy, Elisa non è una ragazza
qualsiasi, ma la discendente diretta di Cassandra- annuncia serio.
-Cassandra?-
ride Desmond guardandomi. –La pazza che vedeva il futuro ma
nessuno se la cacava?-.
Non
mi eri sembrato
così stronzo… penso aggrottando la
fronte.
-Sì,
Desmond, quella Cassandra- pronuncia Lucy con un’ombra in
viso. Quando i suoi occhi incontrano i miei, rabbrividisco,
perché in essi vedo una sorta di pregiudizio.
-Rebecca
ed io abbiamo pensato che potesse esserci utile, ma poiché
le visioni di Elisa sono poco chiare, abbiamo deciso di collaudare su
di lei l’Effetto Osmosi- spiega Shaun.
-E ha
funzionato?- chiede Lucy.
Rebecca
e Shaun si scambiano un’occhiata nervosa.
-Ehm…
veramente non lo sappiamo. Abbiamo interrotto troppo presto
perché potesse manifestarsi qualche miglioramento-
interviene la tecnica.
-Adesso
non possiamo riaprire questo capitolo- interviene Shaun duramente.
–Il tempo stringe e noi siamo qui per un solo motivo: lui-
indica il soggetto 17. –Quindi tutti a lavoro. Rebecca, sto
parlando con te-.
La
ragazza sobbalza sulla sedia davanti ai computer e si rimette subito
all’opera. –Datemi ancora qualche minuto e possiamo
iniziare- annuncia.
Lucy si
avvia verso una seconda scrivania alle spalle di quella di Rebecca
scoccandomi un’occhiataccia. Inizialmente non ci faccio caso
e mi stringo nelle spalle. Sentendomi di troppo, muovo qualche passo
diretta nella mia stanza, ma qualcuno mi afferra improvvisamente per un
braccio.
-Aspetta,
dove vai?- chiede Desmond.
-A
riposarmi, sono stanca- confesso continuando a fissare il corridoio
fuori dal laboratorio, senza girarmi.
-Scusa
per prima-.
M’irrigidisco
voltandomi.
-Non
intendevo offenderti. E sappi che la tua musica mi piace davvero- mi
sorride sereno.
Ricambio
l’affetto. –Grazie-.
-È
davvero come dicono?- mi chiede lui. –Puoi davvero vedere il
futuro, ma se ce ne parli noi non ti crediamo?-.
Annuisco
grave. –Temo di sì-.
In una
frazione di secondo la mia attenzione cade sulla cicatrice sul suo
labbro. Rimango pietrificata sul posto senza dire o fare nulla che non
sia respirare, ma… forse nemmeno quello.
-Ehi-
mi richiama lui. –Elisa, giusto?-.
Annuisco
di nuovo, ma ‘sta volta distrattamente. –Come te la
sei fatta quella?-.
-Tutti
i miei antenati ne hanno una. Sembra una ricorrenza di famiglia-
ridacchia lui.
-Ah,
bene…- mormoro assente dandogli le spalle. Mi avvio verso la
mia stanza e lo saluto con un gesto della mano poco presente.
Ricordo
benissimo di aver visto nell’Animus, nella visione della mia
trisavola, un certo Ezio
Auditore procurarsi una cicatrice simile, anche di averlo
conosciuto nella bottega di Leonardo.
E so
per certo che non è una coincidenza.
Qualche
ora più tardi…
Desmond
Miles è steso nell’Animus, Rebecca monitorizza i
suoi ricordi, Shaun è alla scrivania e si occupa del
database come è suo solito fare. Lucy Stilman passeggia su e
giù per il laboratorio a braccia conserte, avendo
abbandonato la sua postazione dietro quella di Rebecca qualche istante
prima.
-Non
possiamo fidarci di lei- dice la bionda d’un tratto.
-Ah!
Visto!? Che ti avevo detto?!- erompe Shaun.
Rebecca
assume un’espressione interdetta e confusa.
-Shaun,
per favore- lo riprende Lucy. –La questione è
più seria di quel che pensate-.
-Perché?-
domanda Rebecca, supina.
-Controlla
nel Nucleo che ti ho portato. Cerca le informazioni su Arianna
de’ Pazzi e guarda tu stessa-.
-Lucy,
dicci che sta succedendo- Shaun si alza, interrompendo la comunicazione
sempre attiva con Desmond collegato all’Animus, e si avvicina
alla donna in piedi nel centro della stanza.
-Che
voi lo vogliate credere o no, la famiglia Pazzi del Rinascimento era
Templare. Tutta- si appresta ad aggiungere prima che Rebecca possa
aprir bocca.
-Ma Guglielmo
de’ Pazzi
non risulta coinvolto nella congiura- interviene Shaun al
posto dell’amica. –Ne sei sicura?-.
Lucy
incrocia il suo sguardo. –Avreste dovuto sbarazzarvene quando
ne avete avuta la possibilità-.
Shaun
si passa le mani in volto stirandosi le rughe. –Dannazione-
impreca sotto voce.
-Quello
che affermi è comunque insensato, Lucy. Elisa non sa nulla
della Guerra- tenta Rebecca.
-Nel
corso della storia il ruolo della Sibilla, di Cassandra e di
qualsivoglia veggente o cartomante era uno soltanto, e sempre al fianco
dei Templari. Come avete fatto a dimenticarvelo?!- erompe la ragazza.
Shaun e
Rebecca si scambiano uno sguardo rammaricato e stupito.
-La
cartomanzia, così come la veggenza, va al di fuori della
concezione Cristiana. Come può il Cattolicesimo appoggiare
e… sfruttare una simile pratica considerata eresia?- domanda
Shaun.
-Semplice,-
ride Lucy istericamente, –perché i Templari che
combattiamo noi non sono i bravi frati domenicani, Shaun! Rodrigo Borgia, ultimo blocco di
memoria! Andatevelo un po’ a rivedere!- indica
l’Animus. –Egli stesso afferma di non serbare
interesse alcuno nella Religione, ma bensì nel
solo potere che essa ne consegue! I loro scopi non sono, non
sono mai stati e mai saranno conquistare Gerusalemme e battezzare ogni
ateo a questo mondo!-.
Hastings
e Crane tacciono assorti in macabri pensieri, l’uno
più pentito dell’altro.
-E
adesso che si fa?- chiede il ragazzo.
Lucy si
prende del tempo per rispondere, camminando ancora su e giù
per il laboratorio. –Se la Abstergo scopre che abbiamo Cassandra con noi,
avranno un altro ottimo motivo per venirci a cercare- dice.
Shaun e
Rebecca sono tesi come corde di violino.
-Posso
contattare il quartier generale e farci mandare qualcuno che la venga a
prendere- consiglia Shaun, già con l’auricolare
all’orecchio.
-Sarebbe
un’idea, ma adesso è troppo rischioso uscire da
qui o esporci in questo modo- interviene la tecnica.
-Rebecca
ha ragione. Quei maledetti hanno spie dappertutto e non ci daranno
pace- blatera Lucy nervosa.
-L’unica
soluzione che ci resta allora è una soltanto- prorompe Shaun
guardando una volta Rebecca una volta Lucy, serissimo in volto.
-No,
non possiamo ucciderla- contesta la Crane. –Io propongo di
tenerla buona qui e vedere che succede, in fondo ci sarà pur
qualcosa che possiamo fare perché le sue visioni ci siano
utili-.
-Anche
questo è vero:- aggiunge Shaun, –se i Templari
conoscono un modo per interpretare le sue visioni, possiamo riuscirci
anche noi, giusto?-.
Lucy
scuote la testa. –Non ho detto questo,- sbotta,
–non ho detto che i Templari conoscessero un modo per
sfruttare le Cassandre
a loro piacere- spiega.
-E
allora non dovremmo avere problemi- conclude Shaun tornando alla sua
scrivania. –Se loro non possono usarla e nemmeno noi
possiamo, hanno ben poco interesse nel venirsela a prendere,
perciò siamo al sicuro-.
-Fermo,-
lo richiama Lucy, –aspetta un attimo…- riflette.
Shaun
si volta perplesso.
-Nei
ricordi di Elisa avete trovato qualcuno che credesse alle visioni della
sua antenata?- domanda seria ad entrambi.
Rebecca
ci pensa alcuni istanti, poi annuisce e va a sfogliare qualche
documento nel computer. –Sì, ma si tratta
soprattutto di famigliari molto stretti. Arianna de’ Pazzi
sembrava avere un buon rapporto con suo padre, unico quindi a captarne
il potenziale- dice.
-Elisa
ha parenti?- chiede ancora Lucy.
-I suoi
genitori sono morti in un incidente aereo. Gli zii in uno stradale. La
ragazza è sola- spiega Shaun.
-Dannazione-
impreca la bionda. Ma un attimo dopo chiude gli occhi e fa un gran
respiro profondo. –Poco male. Sospendiamo
l’argomento e torniamo alle questioni più serie.
Rebecca, mandami le immagini sullo schermo- dice alludendo al
televisore appeso sulla parete.
-Questo
è solo l’inizio- Shaun sospira e volta lo sgabello
verso i monitor del computer.
Angolo
d'Autrice:
Guglielmo
de’
Pazzi non risulta coinvolto nella congiura. È
effettivamente così, mi duole ammetterlo, ma le conseguenze
al solo fatto che fosse componente di quella famiglia porteranno a
giorni ben poco felici per il ramo della famiglia innocente. Per ora
non vi do altri spoiler, ma se siete tanto curiosi su wikipedia
è detto tutto! XD
Rodrigo
Borgia, ultimo
blocco di memoria. Chi ha finito il gioco lo conosce, e
più ci penso più mi convinco che questa fan
fiction è uno spoiler vivente! XD Comunque,
nell’ultimo blocco di memoria, dove Ezio si reca nella
Cappella Sistina per combattere Rodrigo e il suo “magico
bastone dell’Eden” è chiaramente detto
da quest’ultimo che egli, pur essendo Cristiano Templare, non
ha minimo interesse nella religione, bensì nel solo potere
che essa conferisce a chi ne è a capo. Egli diviene Papa al
solo fine di accedere alla cripta. E questo cosa c’entra con
Arianna e le veggenti, vi chiederete voi… ebbene,
è molto semplice. Lucy afferma, in questo capitolo della mia
storia, che le veggenti e cartomanti erano tutte al servizio dei
Templari, la cui rete globale le teneva sotto il proprio controllo
perché gli assassini non le utilizzassero a loro volta.
Questo aspetto è di mia sola invenzione, non è
menzionato nel gioco, ma preoccupa molto i nostri Assassini moderni
perché tradizione vuole che Cassandra sia serva dei
Templari. Infondo, almeno secondo me, nell’epoca
greca arcaica, gli
Achei guidati da Agamennone
erano
i Templari,
e i Troiani gli Assassini! XD Oddio, che forza! Mi sa che ci
scriverò una piccola fic! XD
Bando
alle ciance: U_U un grazie speciale ai costanti recensori! ^-^ Ma come
vivrebbe questa fic senza di voi?! XD Su grande richiesta di Elkade,
goku94 e renault, ecco l'aggiornamento promesso. Corto, certo, di sole
4 pagine, ma voglio allegare un medesimo spoiler sul
prossimo capitolo! ^^
"-Chi
era? La conosci?- chiese invece serio Federico, seguendo la ragazza che
a poco
a poco lasciava il mercato inghiottita dalla folla.
-Arianna
de’ Pazzi. La cugina di Vieri- lo informò Ezio
staccandosi dalla colonna.
-Non
si direbbe- commentò l’altro con una nota di
apprezzamento. –Ma come mai sai
tante cose su di lei?- domandò sospettoso.
Ezio
si strinse nelle spalle. –Una ragazza come
un’altra-.
-Ezio-
lo riprese il fratello maggiore.
Il
minore alzò gli occhi al cielo. –Devi sempre
pensare a male di me! So per caso
chi è, lo giuro! Anche perché è
fortunato chi l’ha vista in faccia più di una,
due volte, quella! Da quanto ne so, dipinge ed è una tipa
strana. Ed io da
quelle troppo “strane” preferisco starmene lontano-.
-Fai
bene- ne convenne Federico, seppur poco convinto. –Adesso
andiamo. Nostro padre
vuole vederti-.
-E
che aspettavi a dirmelo? Cominciavo ad annoiarmi…-
borbottò il più giovane
incamminandosi."
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Capitolo 12 *** A caccia di Angeli ***
A
caccia
di Angeli
-Mi
sta fissando da quando siamo qui, ed ora ce l’ha con
te… Non voltarti!-.
-Ma
piantala!…-.
-Ti
avevo detto di non voltarti!-.
-Chi
era? La conosci?-.
-Arianna
de’ Pazzi. La cugina di Vieri-.
-Non
si direbbe-.
In quei
giorni Leonardo lavorava ad un ritratto di donna che Arianna aveva
sbirciato più volte quando il tempo glielo consentiva. Tra
una pausa e l’altra dell’artista, la ragazza si
avvicinava al dipinto posto sul cavalletto e ne ammirava le fattezze
meravigliose che, a poco a poco, prendevano forma grazie al pennello
sicuro e leggero. Sullo sfondo v’era ancora un abbozzo della
vegetazione e delle acque di un fiumiciattolo, un cielo limpido e in
secondo piano un ginepro scuro. Era un mezzo busto che finiva
all’altezza delle mani. Il vestito castano, i boccoli chiari
tenuti alti e stretti, alcuni dei quali incorniciavano la grazia del
viso bianco sfavillante di tanta bellezza rubata. Nobiltà e
intelligenza risiedevano negli occhi grandi, ma piccoli e intensi
Ginevra
Benci era venuta un dì a trovare Leonardo per farsi guardare
e ritrarre in un cartone. L’artista aveva scelto la posa,
catturato lo sguardo e i colori in poche ore, e salutata la dama,
consacrava con quel dipinto l’amicizia che egli aveva con la
famiglia di lei. Aveva colto anche l’occasione per un bel
regalo di nozze, perché solo diciassettenne, Ginevra sposava
Luigi di Bernardo il 15 gennaio dell’anno prima.
Leonardo
riapparve in bottega entrando dalla porta d’ingresso.
Sorprese la ragazza a sbirciare il suo quadro e le andò
incontro col sorriso.
Arianna
sobbalzò. -E’ molto bello- disse stanziandosi con
le mani giunte dietro la schiena e le orecchie basse, come un cucciolo
di volpe sorpreso a frugare nella dispensa.
-Lei
è molto bella- pronunciò l’artista
avvicinandosi e carezzando la guancia della donna con il polpastrello.
Per
rendere così morbido il viso, Leonardo si era servito delle
dita, sfumando il colore là dove la luce baciava la pelle
lattea della nobile donna. –E inoltre, anche molto
intelligente- commentò il ragazzo riprendendo il pennello
nella mano sinistra.
Arianna
fece per allontanarsi, quando Leonardo riacchiappò la sua
attenzione con una domanda un po’ scomoda.
-Arianna,
quand’è che ti deciderai a dipingere qualcosa
anche tu?- le chiese garbatamente mentre ritoccava con un verde scuro
il ginepro alle spalle della dama.
La
ragazza s’irrigidì. –Veramente,
io…-.
-Sai
bene che Guglielmo si aspetta dei miglioramenti da te. Sono due giorni
che mi vieni a trovare in bottega e due giorni che non hai voluto
cominciare nemmeno un cartone- c’era quasi una nota di
rimprovero in quelle parole, ma Leonardo riusciva a dissimulare
qualsivoglia cattiveria verso di lei parlandole sempre con allegria.
Arianna
si rabbuiò. –Avete perfettamente ragione, maestro,
ma vedete io… non ho nulla da disegnare- confessò
il falso, perché i soggetti, quali sogni o momenti di
“fantasie”, li aveva eccome.
Leonardo
la guardò inarcando un sopracciglio. –E credi
davvero che questo possa essere un impedimento tanto grave da tenerti
senza far nulla? Ragazza mia, se la mente di un artista è
vuota delle sue idee non può considerarsi tale.
Perciò vedi di scavare nei tuoi pensieri al più
presto, prima che ti butti fuori a calci da questo santuario
dell’arte- ridacchiò.
Arianna
non ci trovava nulla di divertente. Soprattutto, se ripensava ai sogni
fatti in quelle notti, ripudiava l’idea di metterli su tela
fin già in partenza.
Aveva
imparato ad ignorare certe fantasie e non avrebbe certo cambiato idea
solo perché era a corto di soggetti. Di ciò era
ben convinta e sarebbe stata irremovibile, poiché
più volte s’era promessa che nulla di doloroso
sarebbe finito a tempera per sua mano.
-Allora
suggeritemi voi qualcosa- intervenne lei.
-Nei
tuoi sogni!- si beffò l’artista.
Mai
parole furono più azzeccate…
-Arianna
mia, rimboccati le maniche o la gioventù ti sguiscia via. Se
non sforzi adesso la tua piccola zucca pigra,- le batté due
colpi sulla testa come fosse una porta su cui bussare,
–priverai del nutrimento la tua vecchiezza, e non
è cosa buona, credimi-.
-Ne
siete tanto convinto?- sibilò lei.
Leonardo
posò nuovamente i pennelli e sospirò.
–Facciamo così: ti affido questi- disse sereno
porgendole una matita e un quadernetto da disegno rilegato in pelle,
già scritto, ove le pagine bianche cominciavano solo a
metà del blocco. –Va’ a Mercato Vecchio
e compra da Mauro le erbe che vedi scritte nell’ultima
pagina. Sto finendo i colori, ma il quadro della bella Benci
è quasi ultimato, perciò comprane in poca
quantità – si raccomandò.
Arianna,
seppur confusa, annuì senziente e strinse il blocco da
disegno al petto. –C’è altro?-.
-Ovviamente-
arrise Leonardo. –Mentre sei a Mercato Vecchio devi tener
conto della gente che incontri, dei volti che osservi, e tra di essi
voglio che tu trovi quello che più s’addice al
viso di un Angelo. Non mi aspetto un gran lavoro da te, e non
complicarti l’esistenza raffigurando bambini, che son
complicati da fare. Guardati intorno e ritrai sul bianco che
t’ho dato quel che più ti piace. Saprò
giudicare anch’io se hai scelto un bel giovane- disse
allegro.
-Un
Angelo…- ripeté Arianna pensosa.
-Credi
di non esserne all’altezza?- domandò Leonardo
preoccupato. –Se vuoi puoi sempre copiare le galline di un
contadino, oppure le verdure che sta cocendo Tommaso, se preferisci-
pronunciò con scherzo.
Arianna
mostrò un grato sorriso. –L’Angelo
andrà benissimo-.
Leonardo
le porse i fiorini necessari per l’acquisto delle erbe e le
augurò buona fortuna nel mentre la giovane artista varcava
l’uscio di bottega.
Una
volta in strada, Arianna s’incamminò a passo
spedito verso la destinazione, sotto il caldo sole della mattina, e fu
nei pressi del Mercato nemmeno una mezz’ora più
tardi.
Man a
mano che si avvicinava stringeva il blocco da disegno sempre
più forte, e il peso dei fiorini nelle tasche sembrava
aumentare, quasi la responsabilità di tenerli sicuri fosse
un peso sempre maggiore.
Varcò
le arcate che differenziavano la strada dal Mercato e si
trovò immersa nel mare di gente che dalla mattina alla sera
vagava di bancarella in bancarella. Il profumo intenso di erbe e la
puzza di pesce e cucinato si mescolavano in un tumulto di odori; il
canto dei menestrelli e la confusione di mille voci sconosciute le
fecero scoppiare le orecchie.
Era
capitata nel posto giusto al momento sbagliato, perché non
vi erano ore più piene di quelle.
Secondo
me l’ha fatto
a posta… farfugliò Arianna
ripensando al suo maestro che la mandava a cercare un volto
d’Angelo in mezzo a tanta gente chiassosa e maleducata.
I
pescatori strillavano ai quattro venti la bontà della
mercanzia, dalle trote comuni ai salmoni. I venditori di sete fermavano
la gente offrendo un vestito su misura e suggerendo un migliore
abbigliamento alla gente. Le donne coi bambini facevano la spesa per il
pranzo tra fornai, fruttivendoli e contadini venuti dagli angoli
più sperduti della campagna toscana.
Qualche
guardia passava di lì e incuteva terrore alcuno per quanto
la gente se ne infischiava, e loro intervenivano solo se tra i mercanti
c’era una percossa o qualche offesa grave. La competizione
era ben accetta, ma fino ad un certo punto.
Arianna
riuscì a farsi largo nel Mercato giungendo ad una bancarella
più appartata, sorgente all’ombra di uno dei
grossi pilastri a sorreggere il colonnato, in uno dei quattro angoli
della costruzione quadrata.
Nell’avvicinarsi
intravide Mauro, il venditore di erbe per pitture, scambiare due parole
con un giovane biondino e riccioluto che Arianna non tardò a
riconoscere anche da lontano.
-Lorenzo!-
gioì lei.
Lorenzo
di Credi, giovanissimo pittore all’epoca solo diciassettenne,
interruppe il chiacchierare con l’amico e incrociò
gli occhi color mandorla con quelli della Pazzi.
Stentò
a crederci. –Arianna- fece stupito.
–Voi…? cosa…?- sembrava felice,
quand’invece tutti alla bottega del Verrocchio immaginavano
che non l’avrebbero mai più rivista.
I due
si abbracciarono con trasporto.
-La
vostra mancanza in bottega si fa sentire, Arianna, e rincontrarvi dopo
del tempo è una gioia immensa- ammise cordiale accennando
subito un inchino. –Abbiamo saputo dal Verrocchio dei vostri
studi con il Poliziano e vostro cugino Piero. Una scelta condizionata
da Bianca, sappiamo. Ma quindi cosa vi porta qui a Mercato Vecchio?-
domandò curioso.
Arianna
lo squadrò da capo a piedi notando che nell’arco
di un solo mese era cambiato moltissimo. Lorenzino, lo chiamavano,
perché era il più giovane degli artisti maschi in
bottega, ma il suo talento superava di gran lunga la sua stazza.
Leonardo e lui erano stati amici segnati da un’adolescenza
trascorsa nel difendersi tra loro dalle prese in giro altrui.
-Io…-
esitò, ricordando di dover mentire sul vero motivo per il
quale era nel Mercato. –Passeggiavo! Mi son presa una pausa
dagli studi- sorrise.
-Le
vostre gambe lunghe vi hanno portata dall’altra parte della
città!- rise Lorenzo. –Sempre se è nel
palazzo di vostro zio il Magnifico che prendete lezioni-.
-In
effetti…- Arianna si maledisse per tanta disattenzione.
–E voi, invece?- chiese nervosamente.
-Madonna,
se andate di fretta non starò a trattenervi un minuto di
più- disse il ragazzo notando il suo atteggiamento
affrettato.
-Oh,
no, figuratevi!- finse lei, ma in realtà doveva trovare il
modo di allontanarsi da quel banco il prima possibile.
Se non
ricordava male, il Verrocchio andava a comprare le erbe da pittura al
Mercato una volta la settimana, e al suo seguito portava sempre gli
allievi più bravi perché apprendessero da lui il
criterio col quale sceglieva i prodotti più adatti e
pregiati. Una vera e propria lezione di economia sulla pittura: i
migliori colori al prezzo più basso, diceva.
Incontrare
Lorenzo al banco di Mauro, presso il quale si recavano tutti gli
artisti del quartiere, voleva dire che Gallo Cecconi e Davide Marrozzi
si aggiravano nei paraggi e presto o tardi avrebbero fatto la loro
comparsa. E quei due marrani erano gli ultimi al mondo che Arianna
voleva incontrare sul suo cammino.
-Allora,
perché non tornate con me in bottega a salutare il
Verrocchio? Ne sarebbe felice- le offrì serenamente.
-Non
credo sia una buona idea, Lorenzo, ma portate voi i miei ossequi alla
banda tutta, col cuore in mano- disse lei, rallegrandosi che il ragazzo
fosse solo.
Lorenzo
s’inchinò. –Come desiderate. Che le
nostre strade possano incrociarsi ancora. È stato un immenso
piacere-.
-Anche
per me- arrossì lei, poi lo guardò allontanarsi e
sparire inghiottito dalla folla del Mercato Vecchio.
Arianna
tirò un sospiro di sollievo e si voltò con il
blocco di Leonardo ancora stretto al petto per il nervoso. Si
voltò verso Mauro, che si era liberato dell’ultimo
cliente andato via dopo aver ricevuto il compenso per alcuni fiori di
lavanda, necessari per il viola.
-Ditemi,
madonna- fece cordiale il vecchio, anch’egli stato un artista
quando era in gioventù, ed esperto quanto i gran maestri che
facevano il mestiere dalla nascita.
Arianna
gli sorrise. –Solo un istante- disse, e andò alla
ricerca della lista di erbe che Leonardo aveva segnato
nell’ultima pagina del suo blocco. Quando la
trovò, porse il quaderno al vecchio che in un batter
d’occhio avrebbe riconosciuto tutti quei nomi latini di
antiche erbe dall’odore e il colore particolare. Ma, con
grande sorpresa della ragazza, Mauro le restituì il blocco
chiedendo: -Potreste leggere per me?-.
Arianna
sobbalzò e riprese il blocco tra le mani.
–Cosa…- guardò la pagina e riconobbe
con una smorfia la scrittura rovesciata del suo maestro.
Scrollò le spalle sbuffando e scambiò con Mauro
un’occhiata esasperata.
-La
prossima volta assicuratevi che anche un comune mortale possa leggere-
l’uomo rise divertito.
Arianna,
non abituata a tradurre quella stramba calligrafia, si trovò
in altrettanta difficoltà e impiegò una decina di
minuti circa per elencare tutti i nomi delle erbe al commerciante, che
mostrò una grande pazienza da lodare.
A cose
fatte, mentre Mauro preparava il richiesto in una cesta che Arianna
pagò a parte, la ragazza si distrasse guardandosi attorno.
Le grida dei venditori di pesce, dei sarti e quant’altro
riempiva l’aria, ma Arianna fece caso soprattutto alla musica
di un menestrello che s’interruppe improvvisamente con un
strimpellare di corde.
Fu
allora che si accorse di un gruppo di ragazzi riuniti attorno al
musico. Questi, solo un bambino, tentava di riprendersi lo strumento
che i fanciulli gli avevano strappato dalle mani. Il tutto condito
dalla gente che si voltava a guardare quell’ilare scena di
impertinenza.
-Forza,
salta più in alto, piccolé!- ridevano quelli
lanciandosi il mandolino tra di loro.
Il
bambino correva da una parte all’altra del cerchio spintonato
dai ragazzi più grandi e implorava di lasciarlo in pace.
–Vi prego, basta!- gemeva, e non essendo tanto magro e
asciutto, faticava anche a tenersi attivo.
Arianna
provò pena per quel povero bimbo, e crebbe in lei il
desiderio di andare là a difenderlo. Stava per muovere un
passo in quella direzione, ma, quando riconobbe uno dei ragazzi che
giocavano ad infastidire, si paralizzò sul posto.
Era lo
stesso venuto in bottega, due giorni prima, a ritirare con la madre
Maria alcuni dipinti di Leonardo. Ezio
Auditore, e ne ricevette conferma nell’udire che
i ragazzi si chiamavano per nome quando volevano farsi passare il
mandolino a mo’ di palla.
Mi
era sembrato un tipo
cordiale… pensò Arianna a
malincuore, rammentando quanto educato e formale era stato il suo
saluto nel conoscere Leonardo.
Mauro
si adoperava ancora nel cercare le erbe richieste e quindi non fece
caso all’accaduto di qualche metro più in
là.
-Cantaci
una canzone e noi ti ridiamo il tuo… coso!- rideva Ezio
sostenuto dai cori degli amici attorno.
Il
bambino si strinse nelle spalle. –Va bene… ma
avete promesso!-.
-Su,
canta!- fece un altro dei presenti.
-La
gente aspetta!- Ezio allargò le braccia accogliendo tutta la
folla che si era mostrata interessata alla vicenda.
Il
musico si schiarì la gola, le sue guance piene diventavano
rosse come pomodori.
Intonò
timidamente alcune strofe in volgare, grattando le note in gola con
timore.
-Più
forte!- disse qualcuno.
-E
balla, anche!- suggerì qualcun altro.
-Sì,
balla- convenne Ezio con un ghigno malvagio sulle labbra.
Il
ragazzo si rese più che ridicolo cominciando a danzare, a
passi scoordinati e gesti che non si addicevano alla sua forma un
po’ bassa e tondeggiante, e come se la ridevano
quelli…
Arianna
distolse lo sguardo disgustata.
-Ecco a
voi- Mauro le porse il cestello con le erbe e il blocco.
Arianna
si protese a recuperare l’oggetto e lo sistemò nel
fagotto assieme alle erbe, libera così di poter occupare
solo un braccio. –Grazie…- pagò
distrattamente.
-Adesso
può anche bastare, che ne dici?- intervenne qualcuno.
Arianna
si voltò di colpo, tradita dalla voce che aveva appena
parlato e che aveva già sentito altrove…
Ad Ezio
si affiancò la figura di un ragazzo poco più
grande di lui. I capelli scuri tenuti in un taglio corto assieme ad una
frangia a coprirgli uno dei due occhi altrettanto castani da sembrare
neri. Vestiva nobile quanto l’amico, di una casacca rossa
sopra una camicia bianca, pantaloni e stivali.
Ad
Arianna scivolò di mano il cestello, e tutte le erbe,
assieme al quadernetto del suo maestro, si rovesciarono in terra.
-Oh,
madonna, lasciate che vi aiuti- si offrì Mauro aggirando la
bancarella e venendole incontro.
-No,
figuratevi- declinò lei. –Restate dove siete, non
ce n’è bisogno-.
La
ragazza si chinò a raccogliere il disperso con fretta e
furia.
Quel
volto, quella voce, ancora, era successo di nuovo…
-Su,
Ezio, restituisciglielo- ordinò il nuovo arrivato.
-E dai,
ci stavamo divertendo!- eruppe lui.
-Voi
sì, ma lui no- obbiettò l’altro
indicando il menestrello bambino. –Avanti, dai, basta
giocare-.
-Che
guasta feste che sei- ridacchiò Ezio allungando lo strumento
al fanciullo.
Il
giovane musico afferrò il mandolino dalla mano del nobile
ragazzo e scappò via quasi correndo, dileguandosi tra la
folla che nel frattempo era tornata ai fatti propri.
Arianna
finì di raccogliere tutte le erbe e tenne il blocco di
Leonardo sottobraccio. Se solo non fosse stata così curiosa,
così vogliosa di volgere loro un’altra occhiata, i
due amici non si sarebbero accorti di lei.
E
così Arianna diede spago e forma al sogno di quella notte:
cominciò a fissare Ezio e il ragazzo che gli era accanto,
ipnotizzata dalla loro presenza, sapendo che presto se ne sarebbe
pentita.
Ezio e
l’altro non fecero subito caso a lei, scambiandosi qualche
discorsetto a bassa voce mentre salutavano gli amici che avevano
accompagnato la scorribanda di poco prima. Rimasero loro due soli in
mezzo al mercato, l’uno appoggiato di schiena ad una colonna
e l’altro a braccia conserte osservando la gente che andava e
veniva davanti al suo naso.
D’un
tratto tacquero, e mentre Ezio incrociava lo sguardo della giovane
artista attraverso i volti della folla, Arianna insisteva con
l’osservare la seconda figura maschile, così non
se ne accorse.
Ezio
inarcò un sopracciglio, poi batté un colpo sulla
spalla dell’amico.
-Che
c’è?- fece l’altro.
Con un
gesto muto degli occhi, Ezio gli indicò la direzione di
Arianna che, incantata, non vi fece caso. –La ragazza
laggiù. Mi sta fissando da quando siamo qui, ed ora ce
l’ha con te… non voltarti!- pronunciò
scherzosamente serio.
-Ma
piantala!- eruppe l’altro e si girò a guardare.
Arianna
incatenò gli occhi ai suoi giusto una frazione di secondo,
il tempo necessario per sviare lo sguardo da una parte e cominciare ad
allontanarsi da lì di gran fretta.
-Ti
avevo detto di non voltarti!- lo rimbeccò Ezio.
–Aaaah! Sempre il solito Federico… non le capisci
mai certe cose- sospirò. –Non puoi dargliela vinta
così! Devi farti ammirare, fratello, o le donne, vedi,
scappano via!-.
-Chi
era? La conosci?- chiese invece serio Federico, seguendo la ragazza che
a poco a poco lasciava il mercato inghiottita dalla folla.
-Arianna
de’ Pazzi. La cugina di Vieri- lo informò Ezio
staccandosi dalla colonna.
-Non si
direbbe- commentò l’altro con una nota di
apprezzamento. –Ma come mai sai tante cose su di lei?-
domandò sospettoso.
Ezio si
strinse nelle spalle. –Una ragazza come un’altra-.
-Ezio-
lo riprese il fratello maggiore.
Il
minore alzò gli occhi al cielo. –Devi sempre
pensare a male di me! So per caso chi è, lo giuro! Anche
perché è fortunato chi l’ha vista in
faccia più di una, due volte, quella! Da quanto ne so,
dipinge ed è una tipa strana. Ed io da quelle troppo
“strane” preferisco starmene lontano-.
-Fai
bene- ne convenne Federico, seppur poco convinto. –Adesso
andiamo. Nostro padre vuole vederti-.
-E che
aspettavi a dirmelo? Cominciavo ad annoiarmi…-
borbottò il più giovane incamminandosi.
Federico
gli andò dietro, ma non senza lanciare un’occhiata
alle sue spalle nella direzione in cui aveva veduto sparire la giovane
Pazzi.
Arianna
svoltò di corsa l’angolo della strada e si
appoggiò di spalle alla parete in pietra del vicolo per
riprendere fiato.
Appena
uscita dal Mercato Vecchio, era scattata di corsa il più
lontano possibile e tracciato metà del ritorno in meno di
qualche minuto. Ora si reggeva a malapena sulle gambe. Il cuore le
batteva in petto all’impazzata, quasi da far male. Le mancava
il fiato, aveva le guance calde e arrossate e un tremore ovunque.
Scivolò
giù, lentamente, finché non fu seduta su alcuni
scatoloni in legno.
Per
terra stava da un lato il cestello e dall’altro il blocco di
Leonardo, che più volte le era caduto quando si era
scontrata con un passante e questi le aveva rivolto mali parole.
Arianna si era chinata a raccoglierlo ed era scappata già
metri avanti.
Quando
credeva che sarebbe stato facile ignorare, facile
dimenticare… tutto era tornato a galla.
Il
sogno fatto quella notte, dei due giovani che sparlavano di lei, si era
“mostrato” la stessa mattina. Era tempo di
abbandonare forse l’indifferenza? Doveva cominciare ad
assecondare questa sua capacità di
“vedere”?
Non
sapeva che fare, cosa pensare, ma ancor più grave di
tutto…
Sentiva
di aver trovato il volto d’Angelo che cercava.
Prese
il blocco da disegno e la matita affidatole da Leonardo e
schizzò fugacemente le prime linee. Impiegò una
decina di minuti per ridefinire i contorni e tratteggiare qualche ombra
qua e là.
Speriamo
che gli
piaccia… si augurò lei. Non appena
fu soddisfatta, si alzò prendendo con sé il
cestello, mise il blocco sottobraccio e si avviò di ritorno
verso la bottega di Leonardo.
Angolo
d’Autrice:
Il
Ritratto di Ginevra Benci è uno dei primissimi quadri
commissionati a Leonardo. Celebrissimo, raffigura la dama in una posa
aristocratica e di grande modello. Personalmente, a me non piace molto,
anche perché la parte più bella del dipinto (le
mani) è andata persa nei secoli a venire…
http://judaica-art.com/images/uploads/Portrait_of_ginevra_benci_eur.JPG
Mercato
Vecchio, e chi non lo conosce! Vi è situato anche uno dei 20
glifi da trovare sparsi nel gioco! XD Comunque è di questo
che si tratta…
http://www.inilossum.us/images/home_a15.jpg
L’immagine
risale ai giorni nostri, ma la costruzione è tale quale nel
gioco! XD
Tanto
per la cronaca, chi pensate che sia dei due fratellini
l’Angelo che ritrae Arianna? XD Vediamo chi indovina!
Muhahahah!
Ci
rivedremo presto… ma prima! Piccolo spoiler di
capitolo successivo U.U
“-Rammenta
quel che hai sognato ‘sta notte- pronunciò
Guglielmo gonfiando il petto.
Erano
per strada nel via vai della mattina, tra le bancarelle, i fabbri, i
sarti e le banche del corso principale che da Palazzo Medici sfociava
nel quartiere di San Lorenzo.
-Devo
raccontarvelo?- domandò Arianna marciandogli accanto a capo
chino.
-Se
può esserti d’aiuto non esitare-.
Arianna
si strinse nelle spalle e lanciò un’occhiata a
Franco che camminava dietro di loro.
-Un
uomo in cella- rispose tutt’altro che serena.
-Chi?-
insisté cupamente Guglielmo. –Qualcuno che
conosciamo?-.
La
ragazza scosse la testa.
[…]
-Ehi,
voi!-.
Arianna
si volse per prima, seguita da Leonardo che inarcò un
sopracciglio. Tommaso, giunto da poco con l’acqua, si era
fatto di pietra.
-Sì,
voi- ghignò la guardia cittadina venendo loro incontro. Al
suo seguito c’era un temibile bruto ricoperto di acciaio
luccicante.”
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Capitolo 13 *** Una colomba in gabbia ***
Una colomba in gabbia
-Cominciavo
a darti dispersa! Ancora qualche minuto e avrei avuto tuo padre nelle
orecchie per la vita intera! Giuro, uscivo in questo istante per andare
a chiamare le guardie. Si può sapere cosa t’ha
trattenuta fuori così allungo?- chiese Leonardo.
Arianna
non rispose e aggirò l’artista quando questi le
venne incontro. Posò il blocco da disegno aperto sul tavolo
più vicino e con esso anche il cesto con le erbe. Non si
voltò neppure, mentre Leonardo era sempre più
sorpreso del suo comportamento.
La
Pazzi rimase a fissare il bel ritratto della Benci ancora sul
cavalletto. Immobile come una statua, muta, con
un’espressione in viso che contraddistingueva la tristezza e
tutta la sua angoscia.
Leonardo
si avvicinò in silenzio al quaderno che la ragazza aveva
quasi lanciato sul tavolo e lo aprì sulle ultime pagine.
Quando trovò il disegno abbozzato sulla carta, vi
lanciò un’occhiata e rimase soddisfatto.
-Hai
fatto una buona caccia- sentenziò. –Sai dirmi chi
è costui?-.
Arianna,
sempre dandogli le spalle, scosse la testa.
-Deve
averti colpito molto, allora, se è un totale sconosciuto-
commentò Leonardo prendendo il blocco tra le mani e
avvicinandosi a lei. Contemplava il disegno fatto da Arianna con una
nota pensosa, come se vi trovasse anche lui un che di accattivante, ma
più che altro di familiare.
La
ragazza annuì, sempre tacendo.
-Intendi
dipingerlo?-.
Annuì
di nuovo.
-Oggi o
tra qualche anno?- domandò serio, ma Arianna, voltandosi e
ridendo, accolse l’allegria che Leonardo desiderava
infonderle, dimenticando qualsivoglia altro pensiero.
-Ottima
scelta- le sorrise lui porgendole il blocco.
Arianna
lo strinse tra le dita come fosse la cosa più preziosa che
avesse addosso, compresa la sua stessa vita.
-Cerca
tra le tele bianche quella che più t’aggrada e
cominciamo con un cartone, prima che Guglielmo si faccia vivo con la
domanda di sempre: “cosa dipinge mia figlia?”!
Vogliamo fargli vedere che non ti giri i pollici tutto il giorno,
sì o no?-.
La
ragazza annuì ancora e si avviò alla ricerca
della tela delle dimensioni più appropriate tra quelle
raggruppate in angolo della bottega. Ne scelse una mezzo metro per
mezzo metro e la posizionò su un cavalletto che Leonardo le
aveva appositamente preparato affianco a quello che reggeva il ritratto
della Ginevra, mentre lei era in città.
Arianna
schizzò in fretta un cartone, dopodiché i due si
sedettero quasi allo stesso secondo sullo sgabello e impugnarono
assieme i pennelli. Leonardo si volse a lanciare un’occhiata
prima di rimettersi a lavoro.
-Per
qualsiasi cosa, non esitare a chiedere- si offrì cordiale.
-Vi
ringrazio- disse colma di gratitudine.
Tenendo
ben presente lo schizzo sul frammento di cartone, bloccato alla tela
con una molletta, Arianna cominciò senza timore quel viso
d’Angelo senza nome, partendo dagli occhi che
l’avevano rapita tra mille in mezzo al mercato.
Dipinsero
allungo assieme, l’uno assorto nel proprio lavoro badando
ogni tanto a quello che muoveva l’altra. Il pennello altrui
era una tentazione troppo forte su cui non buttare l’occhio,
e ciascuno aveva ragioni differenti per farlo.
Leonardo
la vigilava, interrompendola qualche volta e consigliandole di far
riposare la mano che cominciava a diventare pesante. Arianna lo
assecondava e per quel tempo osservava in silenzio la bravura del
maestro. Senza fare un fiato, si stupiva quanto il suo tocco mancino
potesse essere così impeccabile, leggero e sempre perfetto,
dovunque.
Poi
Arianna riprendeva il pennello e si sentiva osservata con costanza.
Leonardo teneva per sé i commenti del suo lavoro e glieli
rovesciava addosso tutti in una sola volta.
Voleva
più grande quel particolare, più piccolo
quell’altro. Più colore là,
più ombra qua. Arianna faceva fatica a memorizzare tutti
quei suggerimenti e si trovava spesso nel compiere il medesimo errore
due volte di fila.
Si
asciugava la fronte che sudava per il nervoso e stava appiccicata col
naso alla tela per quanto il dettaglio, delle volte, era piccolo.
Finì così per macchiarselo di tempera bianca di
quando stava dipingendo le ali.
Leonardo
le concesse di lasciar libero lo sfondo, ma nel dirle ciò si
accorse del naso tinto di bianco di lei e gli sfuggì una
risata.
-Che
c’è?- chiese Arianna aggrottando la fronte, ma
allo stesso tempo rallegrandosi senza saperne il perché.
-Nulla-
Leonardo si diede un contegno scuotendo la testa. –Forza,
continua- la incitò seppur faticando a mantenere la
serietà.
Arianna
alzò le spalle e si rimise a lavoro.
Fecero
una breve pausa per il pranzo durante il quale discussero in anticipo
di come proseguire l’opera. Leonardo le disse che da quella
volta in avanti avrebbe dovuto iniziare i suoi quadri futuri disegnando
uno scheletro al corpo, così da dargli un’impronta
di movimento, postura e proporzione. Solo allora Arianna avrebbe potuto
proseguire calcando sul primo abbozzo stilizzato la figura vera e
propria.
Era
sensato, ed una tecnica che il maestro aveva imparato ad usare in
più occasioni.
Finirono
il pasto sbrigativamente e si gettarono subito nel lavoro.
Le
successive furono ore lunghe, ma serene e trascorse in buona compagnia.
Giungeva
il tramonto dopo un intero pomeriggio vissuto nel silenzio e
nell’allegria dei due che si erano divertiti. La luce veniva
a mancare così come i pennelli puliti.
-Per
oggi può bastare- annunciò l’artista
ripulendosi le mani in uno straccio che poi porse anche ad Arianna.
L’allieva
lo utilizzò allo stesso modo e guardò Leonardo
che gli mimava il gesto di pulirsi il naso.
La
ragazza rimase interdetta qualche istante, ma ricollegò gli
indizi alla svelta e si apprestò a passare un angolo dello
straccetto là dove la tempera poteva essersi già
seccata. Fortunatamente non fu così, ed entrambi se ne
rallegrarono, con tanto di una nuova gioiosa risata del maestro.
-Forza,
va’ a darti una pulita come si deve prima che tuo padre passi
a riprenderti- le suggerì lui indicandole il piano di sopra.
Arianna
si alzò dallo sgabello massaggiandosi la schiena, non
abituata a tante ore seduta in quel modo, e lasciò il pian
terreno della bottega salendo un gradino alla volta.
Tommaso
le mostrò la porta del bagno come sempre e la ragazza vi
entrò chiudendosela alle spalle. Non appena fu sola, si
spogliò degli abiti che indossava abitualmente per dipingere
e si infilò quelli puliti, gli stessi con i quali Bianca
l’aveva vista uscire di casa quella mattina. Arianna
possedeva un cambio che portava solo durante le lezioni di pittura,
così da non destare sospetti quando la madre
l’avesse vista rientrare a palazzo.
Dal
grezzo corpetto blu macchiato qua e là di tempera, Arianna
indossò una gonna verde con le maniche lunghe e di morbido
tessuto con ricami pregiati d’argento. Erano entrambi colori
che le si addicevano moltissimo, e che amava profondamente.
Quando
fu pronta, si lavò il viso e le mani là dove
c’era qualche residuo di tempera, usando l’acqua
che trovò un bacile appositamente preparato da Tommaso.
Doveva
essere una messa in scena perfetta, o Bianca avrebbe gridato anche per
i minimi dettagli.
Così
Arianna si pettinò, si lavò, si vestì
e fu pronta giusto in tempo per sentire qualcuno bussare alla porta. La
ragazza si affacciò dalla finestra del bagno e vide
Guglielmo scortato dal Franco fedele che, certamente, non avrebbe
aperto bocca sul fatto nemmeno sotto tortura.
Arianna
stirò le labbra in un sorriso e lasciò nel bagno
il suo vestito da pittura. Si catapultò nel corridoio e
scese giù dalle scale.
Giunse
in bottega che Guglielmo e Leonardo erano dinnanzi al dipinto che ella
doveva ancora completare.
-Chi
è costui?- chiese suo padre indicando il fanciullo ritratto
con le ali d’angelo.
-Un
angelo- rispose infatti Arianna.
-Certo,
certo- rise Guglielmo assieme a Leonardo.
Quest’ultimo
si congratulò ancora con la ragazza e fissò la
lezione successiva con Guglielmo per il giorno seguente, come da piani.
-Ah,
che sbadata che sei! Dimenticavi quel che non dev’essere
dimenticato! - la rimproverò il suo maestro, e prese da un
tavolo i libri di latino e letteratura che Arianna portava con
sé ogni mattina uscendo di casa. Libri, quelli, inutili in
una bottega ma essenziali al cospetto del Poliziano e di suo cugino
Piero.
-Grazie-
gli sorrise lei nello stringere al petto i volumi.
Guglielmo
le posò una mano in testa carezzandole i capelli.
–Preso tutto?-.
La
ragazza annuì.
-Perfetto.
Maestro Leonardo- il signor de’ Pazzi
s’inchinò.
Un
minuto dopo i due famigli erano già in strada scortati dal
generale armato Franco, diretti verso il palazzo di famiglia.
-Per
quando Bianca te lo chiederà, stamani hai studiato la
seconda declinazione- annunciò d’un tratto
Guglielmo.
-La
che?!- eruppe Arianna.
-Lupus,
lupi, lupo, lupum, lupe, lupo. Lupi, luporum, lupis, lupos, lupi,
lupis-.
La
ragazza inghiottì il groppo in gola. –A memoria?-.
-No, da
cantare-.
-Cosa?!-.
-Ovvio
a memoria, sciocchina! Quindi forza, vedi di imparartela durante il
tragitto-.
Dopo
una mezz’ora di cammino giunsero in vista
dell’edificio.
-Forza,
da capo- la incitò severo Guglielmo.
-Lupus,
lupi, lupo…- indugiò. –Lupum
!… Lupe…Lupe, basta. Poi- prese fiato.
–Lupi… luporum! Lupis, lupos… oddio- si
strinse le tempie. –Non ce la farò mai!-.
-Invece
c’eri quasi- insisté Guglielmo. –Avanti,
di nuovo-.
-Ma che
vi è preso, si può sapere? Siete così
scontroso…-.
-Non ti
mando ad apprendere l’arte per vederti disegnare bei ragazzi,
Arianna!- sbottò improvvisamente furioso.
La
ragazza rallentò il passo per lo sconcerto. –E che
altro dovrei dipingere?- chiese in un sussurro, ma la risposta
l’aveva già.
Guglielmo
le afferrò il braccio portandosela al fianco
perché non si fermasse. –Adesso non è
il momento di parlarne. Perciò ripeti, dai!-.
La
presa salda del padre cominciava a dolerle sul polso. Arianna
tentò di resistere al dolore, e ci riuscì suo
malgrado.
-Ti
conviene trovare un modo più rapido per ripetere la
declinazione a tua madre. Non vorremmo mica che ella si assuma
personalmente la responsabilità di istruirti!?-
domandò sgarbatamente mentre traversavano il salone
d’ingresso del Palazzo.
-Certo
che no…- gemé Arianna ancora stretta accanto al
padre.
Quando
furono sulle scale, Guglielmo lasciò libera le figlia con
uno strattone, spingendola contro la parete. Arianna, inchiodata con le
spalle al muro, sgranò gli occhi terrorizzata.
-Ora
ascoltami bene, signorina- pronunciò furibondo. -Dalla
prossima settimana voglio vederti all’opera su un quadro che
catturi la mia attenzione, e non quella della tua fantasia. Voglio che
tu ritragga i tuoi sogni, le tue fantasie, quel che più ti
aggrada, ma non farti scrupoli se si tratta di morte altrui o
quant’altro. Ho bisogno di quei quadri, e tu non me li
negherai, hai capito?!-.
Era la
prima volta che vedeva Guglielmo così arrabbiato con lei.
La
ragazza annuì spaventata e in preda alle lacrime. Il cuore
le batteva forte in petto e Franco, che aveva assistito a tutta la
scena in silenzio, si dileguò di lì ancor prima
che Guglielmo potesse accorgersene. Conoscendolo, però, non
ne avrebbe fatta parola con nessuno.
Il
colloquio a cena con Bianca e il resto della famiglia, Vieri e
Francesco compresi, filò liscio come l’olio. La
signora Pazzi non chiese nulla alla figlia che potesse compromettere la
sua integrità nella bottega.
Ad
Arianna restava solo da combattere contro la rabbia e le lacrime che
cominciava ad inumidirle gli occhi al sentir parlare del matrimonio
combinato, ormai imminente.
“Si
terrà in aprile…” aveva detto Bianca
qualche tempo fa, ed Aprile era iniziato da quattro giorni
già.
La
ragazza tacque per tutta la durata del banchetto, così come
aveva fatto in quelli precedenti. Una volta nelle sue stanze prese
sonno immediatamente trovando rifugio sotto le coperte. Chiuse gli
occhi e pregò che per le notti a venire quel Dio
misericordioso le risparmiasse i sogni che tanto temeva.
-Padre!
Che è accaduto!?-.
-Qualche
percossa, ma sto bene. Che ne è di tua madre e di tua
sorella?-.
-Sono
al sicuro…-.
-Ci
ha pensato Annetta?-.
-Sì,
ma… ve l’aspettavate!?-.
-Sì,
ma non in questo modo e non così presto… ma ora
questo non conta. Non c’è tempo, ascolta
bene…-.
La
mattina seguente si svegliò che il sole sorgeva illuminando
i tetti di Firenze di una tonalità arancio meravigliosa. Si
alzò dal letto e si vestì con l’aiuto
di Viviana. Il canto degli uccellini alleviava le fatiche e il clamore
cittadino si limitava in quelle ore mattutine a qualche bisbiglio qua e
là tra la gente e al passare minuzioso di poche guardie e
cavalli.
Arianna,
tenendosi i capelli sollevati dal collo con una mano, guardava assorta
fuori dalla finestra, mentre Viviana le stringeva i lacci del corpetto
sulla schiena.
Ripensava
a molte cose, ma tra tutte spiccava il sogno di quella notte.
Un uomo
in prigione, e non un uomo qualunque.
Il
padre di Ezio… era
giunta a tale conclusione ascoltando il modo in cui il ragazzo,
riconosciuto nel sogno, si appellava a lui oltre le sbarre.
Arianna
aveva visto per certo anche il volto dell’uomo, nascosto per
metà dall’oscurità della gatta buia. La
cella era quella del Palazzo della Signoria, inconfondibile ad occhi
attenti ai dettagli come i suoi.
Quando
Viviana finì di allacciarle il vestito e pettinarla, Arianna
la congedò dandole appuntamento a colazione.
La
serva la baciò in fronte e si allontanò per il
corridoio assieme al suono dei suoi flebili passi sul tappeto.
Arianna
restò sola in stanza per qualche tempo. Si
avvicinò alla sua scrivania e trasse da un cassetto il libro
dei miti che aveva comprato quel giorno sfortunato di un mese prima.
Una cordicella intrecciata di tessuto teneva il segno sulle pagine
riguardanti la mitica Cassandra, e Arianna ne guardò la
figura ancora una volta. Rammentò le parole di Guglielmo che
nei Giardini Vecchi l’aveva chiamata
“profetessa” e le balzarono alla mente il suo tono
di voce sgarbato nell’ordinarle di dipingere quello che
“vedeva”.
Non
è possibile…
Stentava
a credere che non fossero solo coincidenze, alle quali magari non dare
nessun peso. Ma i segnali erano troppi, le parole già dette
anche, e le taciute poche.
Ripose
il libro dove l’aveva trovato e si avviò fuori
dalla stanza a piccoli passi.
-Rammenta
quel che hai sognato ‘sta notte- pronunciò
Guglielmo gonfiando il petto.
Erano
per strada nel via vai della mattina, tra le bancarelle, i fabbri, i
sarti e le banche del corso principale che da Palazzo Medici sfociava
nel quartiere di San Lorenzo.
-Devo
raccontarvelo?- domandò Arianna marciandogli accanto a capo
chino.
-Se
può esserti d’aiuto non esitare-.
Arianna
si strinse nelle spalle e lanciò un’occhiata a
Franco che camminava dietro di loro.
-Un
uomo in cella- rispose tutt’altro che serena.
-Chi?-
insisté cupamente Guglielmo. –Qualcuno che
conosciamo?-.
La
ragazza scosse la testa. –Non saprei…-
mentì. –Non ho veduto bene il suo volto, ma sarei
comunque in grado di dipingerlo-.
Guglielmo
sembrò tirare un sospiro di sollievo, ma
dissimulò quello dietro il gesto di carezzare la testa alla
figlia. –Tienilo a mente, dunque, e fa’
ciò che ti ho chiesto per piacere-.
Arianna
tacque non volendo approfondire oltre la conversazione, ma appena
giunsero in Piazza della Signoria traversandola tutta, ella
sollevò il mento e guardò l’unica torre
più alta del Palazzo, coprendosi gli occhi dal sole con una
mano.
Guglielmo
finse di non badarvi e proseguì spedito con la figlia
accanto, mentre Franco faceva altrettanto alle loro spalle.
Arrivati
in bottega, Guglielmo salutò garbatamente Leonardo che venne
ad aprire la porta personalmente. Il Signore de’ Pazzi si
defilò con una scusa qualunque pur di lasciare ad Arianna,
già entrata silenziosamente, il compito di comunicare le sue
intenzioni. Leonardo volse lui un inchino come saluto e richiuse
l’ingresso.
Sorprese
la sua allieva a fissare il dipinto iniziato il giorno precedente, ora
coperto da un lenzuolo bianco per proteggere la tempera.
Le
posò una mano sulla spalla. –Vuoi avere tu
l’onore?- le chiese con un sorriso.
La
ragazza non disse nulla e si stanziò dal suo maestro.
Andò incontro al dipinto e, senza scoprirlo, lo rimosse dal
cavalletto.
Leonardo
restò a bocca aperta nel vederla posare il quadro in terra,
ai piedi del tavolo.
-Stanotte
ho sognato… una cosa che vorrei dipingere, da subito-
spiegò lei con tono alcuno.
L’artista
si riscosse con stupore. –Va bene, se è quello che
desideri… parlami del sogno, e ‘sta volta
sceglieremo insieme la tela, le dimensioni e le forme adatte-
mormorò esangue.
Arianna
incrociò i suoi occhi risentiti giusto un istante prima di
dargli le spalle e, beandosi dei raggi di sole che venivano dalle
vetrate in alto, cominciò a raccontare.
Tenne i
dettagli per sé, quali il nome già certo dei due
soggetti. Descrisse invece la prigione del Palazzo Vecchio assieme al
cielo notturno, con tanto di guardie allarmate e falò accesi
per le strade. Non accennò una sillaba al dialogo,
poiché raccontare di padre e figlio avrebbe accertato una
maggiore conoscenza che avrebbe insospettito il suo acuto maestro.
Leonardo
tacque pensoso mentre ella si andava a cambiare i vestiti. Poi, quando
Arianna fece ritorno al piano inferiore, scattò
sull’attenti suggerendo una tela d’un metro per
mezzo. In tetro silenzio le fece un primo schizzo su carta e lo porse
alla ragazza, spiegandole che doveva trattarsi di
un’inquadratura che catturasse i due soggetti
dall’alto, così da avere una panoramica in volo
d’uccello sui quartieri di Firenze sottosanti. Nello schizzo
dispose i falò accesi nella piazza e anche la posizione di
qualche guardia allarmata, il tutto miniato perché
l’altezza misurasse la proiezione.
Benché
fosse notte, Leonardo le suggerì di cominciare con una prima
stesura leggera di grigio freddo. Questa si sarebbe riscoperta
essenziale per aumentare il contrasto tra la luce lunare e quella dei
bracieri nelle strade.
Arianna
sedé sullo sgabello e impugnò la mattina con una
certa insicurezza che Leonardo notò fin da subito. La
ragazza restò col braccio sollevato a mezz’aria e
la punta che non toccava tela il tempo necessario perché uno
spiraglio di cedimento si aprisse in lei.
La
prima lacrima le bagnò la guancia prima che riuscisse ad
asciugarla con la manica della camicia.
Leonardo
prese la sedia che era lì vicino e le sedé
accanto posando i gomiti sulle ginocchia e giungendo le mani.
–Ho capito che era accaduto qualcosa quando sei entrata senza
salutare. Non posso vederti in questo stato, mi si spezza il cuore.
Perciò avanti, parlamene e mettiamoci una pietra sopra, che
ne dici?-.
La
ragazza annuì soffocando un primo singhiozzo.
-Si
tratta di tua madre? Ha scoperto qualcosa? Sei stata punita?- chiese
Leonardo sinceramente preoccupato per la sua allieva.
Ella
scosse la testa. –No…- mugolò.
-Allora
che accade?- insisté con premura porgendole un fazzoletto
ricamato e pulito che prese dal taschino sul petto. Come se lo avesse
estratto dal cuore…
Arianna
vi asciugò le lacrime che le vennero dagli occhi gonfi e
arrossati.
-È
il sogno che hai fatto a turbarti?- domandò
l’altro indicando la tela bianca davanti alla ragazza.
In un
certo senso poteva dirsi quello il motivo, perciò Arianna
annuì con una smorfia.
-Oh,
be’…- Leonardo si appoggiò allo
schienale della sedia. –In effetti non è cosa sana
che una ragazza solare, simpatica e bella come te faccia certi sogni
raccapriccianti, non c’è che dire-
pronunciò assorto. –Ciascuno dei nostri sogni
però, belli o brutti che siano, nasconde un significato,
rammenta almeno questo. Quale pensi che possa essere quello del tuo
sogno?- le chiese con dolcezza.
Arianna
si strinse nelle spalle, non riuscendo ad immaginare una risposta
diversa da quella che voleva a tutti i costi tenergli nascosta.
-Vediamo
se indovino…- rifletté lui. –Se
l’uomo in cella è l’anima vostra, per
tale ho un’idea che può trattarsi della reale
interpretazione: vi sentite rinchiusa tra le mura di questa bottega e
vorreste correre fuori e godervi un po’ di sole-
scherzò.
Arianna
accennò un mesto sorriso.
-Ho
indovinato?- gioì Leonardo.
Pur di
non rattristarlo, Arianna si costrinse a sorridere ancora.
-Ah,
ah!- Leonardo scattò in piedi. –Ebbene, credo di
avere la cura a questa vostra prigionia!- le porse la mano ed Arianna
l’accettò. L’artista prese la sua
allieva sottobraccio e chiamò a gran voce Tommaso dal piano
di sopra.
-Cosa?-
fece disponibile l’uomo.
-Prendi
questa roba e seguici in Piazza della Signoria, Tommaso-
annunciò Leonardo incamminandosi con Arianna affianco.
Tommaso
sgranò gli occhi. –La tela e tutto il resto?-.
-Esattamente,
tutto quanto: pennelli, acqua, stracci, tempera- ne convenne Leonardo
aprendo la porta della bottega. –Cavalletto compreso- gli
sorrise beffardo.
-Come…-.
-Avanti,
non c’è un solo raggio di sole da perdere! Si va a
fare lezione all’aperto!- annunciò a gran voce.
Arianna
era stupita quanto Zoroastro nell’immaginarsi in che modo e
in quanto tempo avrebbe portato in Piazza il necessario per dipingere.
Leonardo
e la sua allieva si avviavano in strada seguiti dal povero Tommaso,
carico come un mulo alle loro spalle.
-Forse
dovremmo dargli una mano…- suggerì Arianna
voltando il capo.
Leonardo
scoccò al suo garzone un’occhiata fugace.
–Hmm, forse hai ragione- sospirò fermando il
passo. Si spartirono gli oggetti e Tommaso ringraziò
mutamente la giovane Pazzi.
Leonardo
in capo alla fila si era assunto la responsabilità di un
mobiletto pieghevole ove posare i colori e le ciotoline che teneva con
sé in una scarsella a tracolla. Arianna portava la tela
sottobraccio e qualche pennello, mentre tra le braccia di Tommaso
riposava il cavalletto in legno robusto.
Poca
della gente che li precedeva o seguiva sul cammino si mostrava
interessata alla piccola banda di pittori: l’uno
più soggetto dell’altro facevano davvero un bel
quadretto esilarante.
Giunti
in piazza, non ci volle più di qualche minuto per assemblare
il cavalletto, disporre pennelli e colori.
-Bene,
siamo pronti!- annunciò Leonardo parandosi dal sole con una
mano. Guardò in alto nel cielo, dove un’aquila
cittadina svolazzava attorno alla torre del Palazzo Vecchio. Il grido
di questi si diffuse per l’aria sino alle orecchie della
ragazza che, dopo aver sistemato la tela sul cavalletto, si
guardò attorno intimorita.
Molti
curiosi, ma soprattutto bambini, si riunivano in cerchio scambiandosi
qualche parola e commento, ed Arianna cominciò a sentirsi in
imbarazzo.
-Suvvia,
non farci caso- Leonardo le strinse una spalla e indicò la
torre. –Non staccare gli occhi da lì e col tempo
non ti accorgerai nemmeno di te stessa- disse porgendole la matita.
-Qui?
Davvero in mezzo a tanta… gente?- balbettò la
ragazza.
Leonardo
le posò le mani sui fianchi posizionandola con delicatezza
esattamente dinnanzi al bianco candido della tela. Arianna
arrossì visibilmente, ma per fortuna una folata di vento le
nascose le guance con una ciocca ribelle dei suoi capelli che
sfuggivano alla coda alta.
-Forza,
colomba in gabbia, non avrai mica paura di volare proprio ora?- le
mormorò all’orecchio il suo maestro.
La
ragazza inghiottì il groppo in gola e scosse la testa,
mentre avvertiva sempre più il calore del corpo
dell’artista addossato al suo.
Quando
Leonardo si allontanò da lei lasciandole le spalle scoperte,
Arianna si sentì nuda al cospetto di tanti occhi puntati su
di lei. Pensare che quei bambini curiosi avevano interrotto il gioco
con la palla per guardare lei e lei soltanto le faceva salire lungo la
schiena un brivido gelido. Uno di loro si avvicinò
sbirciando dove la sua matita non aveva ancora toccato tela. Il
ragazzino, che aveva sì e no cinque anni, volse i suoi
grandi occhioni castani alla ragazza come per dire:
“be’? Dov’è il
disegno?”.
Arianna
si sentì venir meno sulle gambe. Guardò Leonardo,
in piedi accanto a lei, maledicendolo per non averle concesso di
portare uno sgabello. L’artista sembrò
intraprendere al volo i suoi pensieri e rise di gusto.
Mi
sta mettendo alla
prova… di nuovo... ma perché?! Non è
da lui! gemé.
In
tutto questo, Tommaso era sparito a caccia di una fontanella dalla
quale prendere dell’acqua per pulire i pennelli.
Leonardo
stava a braccia conserte vicino a lei e la spiava ogni tanto, quando il
suo sguardo non si posava altrove sulla piazza beandosi del sole di
quella magnifica giornata.
Arianna
si convinse di potercela fare. Ignorare la gente che la guardava
incuriosita le costava fatica, certo, ma non era impossibile.
Impugnò
con più decisione la matita e…
-Ehi,
voi!-.
Arianna
si volse per prima, seguita da Leonardo che inarcò un
sopracciglio. Tommaso, giunto da poco con l’acqua, si era
fatto di pietra.
-Sì,
voi- ghignò la guardia cittadina venendo loro incontro. Al
suo seguito c’era un temibile bruto ricoperto di acciaio
luccicante.
Oh,
dannazione! Come
poteva essere stata così stupida e incosciente?! COME AVEVA
FATTO A NON PENSARCI?!
-Non
siete la figlia di Bianca?- domandò infatti il soldato
alzandosi la visiera dell’elmo.
Ne
convenne annuendo il bruto che, con quella scure in mano, incuteva
terrore anche da lontano.
-Sì
sì, è proprio lei- sorrise inconsciamente Tommaso.
Leonardo
e Arianna gli scoccarono un’occhiataccia e il garzone stette
muto.
-Perdonate
il mio servo, signori: è parecchio tardo e molto spesso
ubriaco- intervenne il maestro frapponendosi tra la ragazza e le due
guardie.
-Eppure
sono sicuro che siete voi, madonna- insisté il soldato
squadrandola da capo a piedi. –E se le mie conoscenze sono
esatte, dovreste essere a palazzo con vostro cugino- si
adombrò ancor più sotto l’ombra
dell’elmo.
Arianna
si strinse nelle spalle e finse di non capire.
-La
donna che avete dinnanzi non è altri che la mi’
figlia, messeri- sorrise Leonardo affiancandosi alla giovane Pazzi.
–Le insegno la mia arte come farebbe qualsiasi padre che si
rispetti!-.
FIGLIA?!
Tua moglie piuttosto! Hai ventiquattro anni, Cristo!
-Ditemi
se gli occhi non sono gli stessi- Leonardo le prese il viso con una
mano e, schiacciandole le guance, lo avvicinò al proprio.
La
guardia restò allungo in un silenzio allucinato.
–Be’, in effetti…-.
-Prego,
lasciateci lavorare dunque- eruppe Leonardo.
I due
soldati si scambiarono un’occhiata poco convinta.
–Chiediamo venia- dissero questi assieme, girarono sui tacchi
e sparirono tra la gente.
Il
gruppo al completo tirò un grosso respiro di sollievo.
-Avrei
dovuto prevderlo- Leonardo si picchiò una mano in fronte.
–Perdonami Arianna: ho messo a repentaglio il tuo segreto-
mormorò triste.
-Male
che vada, andrò a letto senza cena- ridacchiò
istericamente lei. –Ma vi prego, non voglio che vi sentiate
responsabile. Avrei dovuto pensarci io per prima: esporci avrebbe avuto
delle conseguenze- sospirò.
-No,
insisto, la colpa non è tua- proruppe lui.
–Credevo che con questa lezione di oggi avrei potuto
insegnarti che un’artista è anche chi assapora
sulla pelle questi sentimenti: imbarazzo,
difficoltà…- scosse la testa. –Ma
d’altronde che senso ha dirti tutto questo ormai? Nel
peggiore dei casi tuo padre mi farà tagliare la testa-.
-No!-
Arianna strinse convulsamente la matita. –No, questo
mai…- singhiozzò gettandoglisi al collo.
Leonardo
la strinse a sé pur sorpreso del gesto.
–Cosa…?- lui e Tommaso si scambiarono
un’occhiata stupita.
-Nel
peggiore dei casi,- lo corresse lei, -mia madre taglierà la
testa a me, e Guglielmo non avrà motivo di essere arrabbiato
con voi, così come non ne ho io… adesso-.
L’artista
la scostò delicatamente. –Grazie- le sorrise
più sereno.
Arianna
fece altrettanto.
-Bene,
dunque…- Leonardo si guardò attorno.
–Sarà meglio levarci da qui prima che si faccia
viva Bianca in persona!-.
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Capitolo 14 *** 8 Aprile 1476 - Una delicata questione, un turtuoso processo ***
8
Aprice
1476
Una delicata questione, un turtuoso processo
Quando Tommaso
inciampò sul
tappeto,
entrando in bottega, perse l’equilibrio e il cavalletto gli
crollò addosso in un gran frastuono.
Arianna
e Leonardo varcarono la soglia
scoppiando
entrambi in una fragorosa risata.
-La
tua magia non t’ha salvato da
‘sta brutta caduta, vedo- sghignazzò Leonardo
andando a posare sul tavolo più vicino la roba che teneva in
grembo.
La
ragazza adagiò in terra la
tela
dipinta e aiutò il giovane Masini a rialzarsi porgendogli
una mano.
-Grazie-
le sorrise lui appoggiandosi con
un
gomito al ginocchio. Mentre si sollevava, Arianna incrociò i
suoi occhi giusto un istante, ma fu il tempo sufficiente per vedervi
all’interno come fatti di cristallo.
-Fatemi passare! Sono
la figlia di Guglielmo de’ Pazzi!-.
-Sì,
certo, ed io il Principe di Francia- ridacchia il bruto.
-Guarda
che ci
ricordiamo di te, pittrice!- sbotta il soldato.
-Blasfemia!
Brucereste un membro della famiglia che voi stesso servite, Umberto!-
grida Guglielmo.
-Sapete
almeno
di cosa sono accusati costoro?- domanda un anziano in tunica.
Tommaso
scuote
la testa e sospira. -Oh Signore! Salvaci tu…-.
Arianna
sgrana
gli occhi. -Aspettate…-.
-Non
farlo…- sussurra Leonardo.
-Arianna…,-
la chiamò
Tommaso, –Arianna, potreste lasciarmi la mano?- chiese
garbato.
-Arianna!-
strillò Leonardo.
La
ragazza sobbalzò lasciando
improvvisamente la mano di Zoroastro. Aveva gli occhi tutti
d’un colore, la bocca aperta e il volto pallido come un
lenzuolo.
-Arianna,
che t’è
preso?-
domandò Leonardo preoccupato.
La
giovane Pazzi guardò prima
uno poi
l’altro ragazzo. Dalla gola risalì solo il
silenzio di mille parole troppo scioccanti.
Leonardo
le diede un leggero schiaffo che
bastò a riportarla nel mondo reale.
-Dannazione,
parla!- eruppe il suo maestro,
profondamente turbato. Tommaso alle sue spalle era altrettanto in ansia.
La
ragazza percepì il calore
sulla
guancia a poco a poco, fin quando i suoi occhi non riacquistarono la
luce perduta. –Io…-.
-Oh,
grazie a Dio parli ancora!-
esultò l’artista. –Forza, Zoroastro,
mettiamo un po’ d’ordine prima che qualcun altro
decida di incantarsi a guardare il vuoto- brontolò scoccando
un’occhiata al suo garzone.
Tommaso
dissimulò il turbamento
dietro
un mesto sorriso. –Sì, eccomi Leonardo-
assentì superando la ragazza e accorrendo ad aiutare
l’amico.
Arianna
si volse lentamente senza dir nulla.
Può
essere?… si chiese guardando passivamente come
i due amici si adoperavano a rimettere ogni cosa al suo posto, dal
cavalletto caduto in terra ai pennelli sporchi da gettare a lavare.
Sono
in
pericolo… tutti e due…
-Arianna,
non startene senza far nulla,
vieni- la
chiamò Leonardo.
La
ragazza scattò in quella
direzione
e aiutò il suo maestro a riporre sulle mensole e sui tavoli
quel che avevano portato fuori di bottega per lavorare in piazza. In
tre non ci volle più di qualche minuto per ripulire tutti i
pennelli e sistemare per bene le boccette coi colori, molti dei quali
inutilizzati perché Arianna aveva avuto modo e tempo di
schizzare del dipinto appena un abbozzo di prospettiva.
Tommaso
prese congedo per andare a
preparare il
pranzo e Leonardo e la sua allieva rimasero soli.
-Bene,
dunque. Vogliamo proseguire?- chiese
l’artista alludendo alla tela incompleta che attendeva di
essere definita, almeno nel disegno.
Arianna
annuì e si
adoperò
per riprendere la mano. Trascorse una mezz’ora e Arianna
aveva solo cominciato a fare dritte le line del palazzo quando Masini
avvertì del pasto pronto.
-Va’,
io ti raggiungo- disse
Leonardo
chino a trascrivere qualche appunto sui suoi soliti quadernetti di
cuoio.
La
ragazza smontò dallo
sgabello, si
pulì le mani su uno straccetto e salì le scale.
Giunta al pianerottolo, l’inconfondibile odorino di verdure
cotte e pasta asciutta la travolse come un fiume in piena, ed ella lo
seguì sino nella cucina dove trovò ad attenderla
il solito tavolino imbandito per tre.
-Conosco
quel genere di occhi- disse
Tommaso
prima che Arianna potesse sedersi a tavola.
La
ragazza si paralizzò con la
mano a
tirare lo schienale della sedia. Guardò il ragazzo seduto
lì accanto di fronte al suo piatto. –Li vidi
già una volta, in passato- aggiunse Tommaso, come se stesse
parlando più a se stesso che ad altri.
Arianna
gli sedette affianco con estrema
lentezza.
-Quando
visitai l’Antica Persia
trascorsi qualche tempo ad Atene. La mia voglia di viaggiare e la mia
curiosità mi spinsero fin laggiù, in casa di una
mia ormai vecchia conoscenza che mi ospitò per quei giorni.
Diceva di sapere molte cose sulla cultura greca, e di volermene
parlare, ed io, ben lieto di ascoltarlo, lo seguii in un tempio antico
e sperduto in mezzo alle montagne. In quel luogo di culto per gli
Dèi e di pensiero per gli uomini, egli
m’istruì all’arte delle scienze oscure,
mostrandomi il sentiero della magia e della profezia-
s’interruppe per volgere un’occhiata alla ragazza
che gli sedeva accanto.
Arianna
assaggiò un primo
boccone.
–Dev’essere stata un’esperienza
fantastica…- declinò l’argomento.
Chissà dove voleva andare a parare Tommaso con quel discorso.
Masini
guardò fuori dalla
finestra
della stanzina. -Su un mosaico molto bello in una delle camere del
tempio conobbi il volto di una donna, Cassandra. Sul suo viso pallido,
tra i tanti capelli di fuoco, aveva occhi di ghiaccio decorati con
preziosissime pietre. Un colore unico che sembrava aver luce propria in
tutta la stanza, ma allo stesso tempo tanto bui e profondi da
perdervisi-.
Ad
interrompere quel racconto fu la
comparsa di
Leonardo, che sedé a tavola cominciando con Zoroastro una
discussione che toccava tutt’altri argomenti.
Arianna
finì il pasto e chiese
di
potersi avviare di sotto precedendo il suo maestro. Questi
acconsentì e la ragazza filò in bottega
gettandosi a capofitto sul quadro da ultimare.
Ogni
tanto lanciava qualche occhiata al
lenzuolo
bianco vicino le gambe del tavolo, là dove sapeva esserci il
dipinto d’Angelo che suo padre non le avrebbe mai permesso di
finire.
Eppure
Arianna si costrinse a concludere il
più in fretta possibile questa e quell’opera,
perché presto o tardi veniva il momento di scoprire se anche
certe fantasie ad occhi aperti avevano la stessa valenza dei sogni.
Il
giorno che venne era l’otto
aprile,
e il sole si nascondeva pigro dietro qualche nuvola di poco conto.
Soffiava una brezza fresca, e meno male, pensavano molti, o la giornata
avrebbe toccato il torrido sul mezzogiorno.
Nessuno
venne a svegliarla prima della
tarda
mattinata e Arianna, troppo stanca per accorgersene, dormì
fino a quell’ora. Aprendo gli occhi si maledisse per tanta
sbadataggine. Si vestì e si pettinò da sola di
gran fretta. Uscì dalla stanza e corse giù dalle
scale. Stava quasi per prendere i libri che lasciava sempre pronti
all’ingresso, quando si sentì chiamare dalla sala
da pranzo, sulla destra.
-Arianna!-
fece eco Cosimo.
Alla
tavola non trovò nessuno
dei suoi
parenti abituali a parte Alessandra e i fratelli maggiori.
-Dove
sono tutti?- domandò
sconcertata
entrando in sala.
Alessandra
si strinse nelle spalle
masticando la
sua fetta biscottata, e passò la domanda a Francesco. Questi
si schiarì la gola. –Siediti- disse.
Arianna
scosse la testa. –Sono in
ritardo, non…-.
-Siediti-
insisté severo
Francesco.
-Va
bene…- mormorò
Arianna,
dubbiosa. Prese posto accanto alla sorella e tacque.
-Bianca
è a palazzo dai nostri
zii, ed
è loro ospite fino a sta sera. Vieri e Francesco non ne ho
idea e non m’importa saperlo. Guglielmo è stato
chiamato a Palazzo della Signoria per… testimoniare ad un
processo, credo, vabbe’- tagliò Francesco.
Arianna
sgranò gli occhi.
–Un processo?- domandò in un sussurro.
–Che genere di processo?…-.
-Non
so dire di più, mi spiace.
Comunque… Nostro padre ha insistito per lasciarti a riposo,
o a quest’ora saresti a “Palazzo Medici”
come al solito- sottolineò.
Francesco
e Cosimo sapevano dove la ragazza
prendeva realmente lezioni. Mentre Alessandra, la rana dalla bocca
larga, era meglio tenerla all’oscuro di tutto.
-Capisco…-
Arianna era
tutt’altro luogo con la testa.
Mangiò
rapidamente qualcosa che
gettò nello stomaco di malavoglia. I libri da portare con
sé a lezione erano al suo fianco sul tavolo. Arianna ne
fissava la copertina masticando una volta ogni dieci secondi buoni.
Un
processo… un’accusa… degli
imputati… Si ripeteva, sentendosi il cuore
batterle lento ma fortissimo in petto.
Distolse
gli occhi dalla tavola per
guardare
fuori dalle vetrate. In strada, dove il trambusto cittadino era il
solito, si stagliava una cupa giornata, rara di quella stagione.
La
ragazza scattò in piedi
d’un tratto, lasciando Alessandra e i due fratelli maggiori
l’uno più esterrefatto dell’altro.
-Io…
ho bisogno di muovermi un
po’- disse la Pazzi portando con sé i libri che
mise sottobraccio. –Credo che andrò dai nostri zii
per fare lezione- spiegò.
Francesco
si alzò a sua volta e
le
andò incontro, seguendola fino alle porte del palazzo.
-Mi
spiace, sorellina, ma ti conosco troppo
bene
per sapere che stai dicendo sul serio- proruppe con una nota amara nel
tono. La fece voltare afferrandola per un gomito. –Che cosa
hai in mente?- domandò severo senza farsi sentire dalle
guardie che li osservavano nel salone d’ingresso.
Arianna
aggrottò la fronte.
–Nulla che possa turbarti-.
-A
me no di sicuro, ma a Bianca e Guglielmo
sì quando lo verranno a sapere- sibilò lui.
–Quest’ultimo ha ordinato che tu restassi qui-
sottinse.
-Perché?!-
digrignò
la
sorella.
-Non
lo so, ma non puoi disobbedirgli.
Immagina
le conseguenze-.
Arianna
si divincolò con uno
strattone. Fulminò il fratello con un’occhiata
gelida e si avviò a grandi passi misurati e veloci oltre la
soglia, fino in strada. Poi, girato l’angolo, Francesco la
perse di vista e pregò semplicemente che non si mettesse nei
guai.
Arianna
strinse con più forza i
libri
al petto quando, entrata in bottega, aveva trovato la porta aperta e
gran parte della mobilia sotto sopra, tra tele bianche e pennelli
sparsi sul pavimento. Qualcuno doveva aver fatto un bel macello
là dentro, si disse tremando tutta quanta per lo sconforto.
-Leonardo!-
chiamò muovendo un
passettino avanti. –Tommaso!- tentò anche,
guardando su per le scale, ferma in mezzo alla confusione.
Li
hanno
portati via…
Arianna
lasciò cadere i libri
per
terra e corse fuori dalla bottega. Una volta in strada, non
badò alla gente che aveva sul suo cammino scostandola con
sgarbo e disperazione. Giunse in Piazza della Signoria che dal tetto di
nuvole sopra la città si espanse il ruggito di un tuono.
Prima
di avvicinarsi al palazzo,
però,
tentò un ultimo spiraglio di speranza e si diresse verso la
casa paterna di Leonardo.
Bussò
tante volte, sempre
più forte, fin quando ad aprire non fu Lucilla.
-Madonna
Arianna- fece stupita.
-Leonardo
è qui?!- chiese
direttamente
la ragazza. I polmoni in petto le esplodevano, il cuore batteva
così forte da far male.
Lucilla
scosse la testa. –No, ma
vi
prego, tra poco verrà a piovere, entrate pur…-.
La
donna non aveva fatto in tempo a finire
che
Arianna era già corsa via.
Uscì
da via de’ Gondi
e
giunse sull’ingresso posteriore del Palazzo, ove solo
un’arcata in pietra e dei battenti sempre aperti la
dividevano dal compimento dei suoi timori.
Fece
per superare quell’ingresso,
ma
due guardie, alle quali non aveva fatto proprio caso,
l’afferrarono per le spalle tirandola indietro con sgarbo.
-Voi…-
Arianna, riassestatosi
sulle
gambe e mosso un passo indietro, riconobbe il bruto e il generale che
il giorno prima l’avevano infastidita in Piazza mentre
dipingeva.
-Fila
via, ragazzina- proruppe quello.
-Fatemi
passare!- sbottò lei.
–Sono la figlia di Guglielmo de’ Pazzi!-.
-Sì,
certo, ed io il Principe di
Francia- rise il bruto, tutto infagottato nella sua armatura lucente.
La scure in mano non era mai parsa così minacciosa fino ad
allora.
-Guarda
che ci ricordiamo di te, pittrice!-
ridacchiò il soldato agile.
Arianna
non insisté oltre,
piuttosto
serrò i pugni. –Ve lo chiedo un’ultima
volta… fatemi passare!-.
-Attenta
a come parli, o dentro ti ci
portiamo
noi, ma in catene!- ruggì il bruto.
Arianna
scattò in avanti
fulminea e
riuscì ad eluderli entrambi, troppo lenti per afferrarla in
tempo con quelle armature indosso.
Scattò
di corsa nel corridoio e
arrivò nel salone colonnato che si diramava per i vari piani
del palazzo giudiziario. Guardandosi attorno, sentì i
richiami delle guardie alle sue spalle ordinarle di fermarsi, ma ella
fece tutt’altro.
Salì
una prima rampa di scale e,
mossa
dalla disperazione, mise parecchi metri tra lei e i suoi inseguitori
armati.
In
breve tutto il Palazzo si
allertò
di una presenza intrusa, ed Arianna poté definirsi la donna
più ricercata di Firenze nell’arco di pochi minuti.
Traversava
col fiato corto un lungo
corridoio in
marmo e mattoni, con quadri alle pareti e affreschi sul soffitto,
quando, superato l’ingresso di una sala adiacente,
udì delle voci.
-Bartolomeo
di Pasquino, siete accusato di violenza verso Jacopo
Saltarelli. Cosa avete da dire a vostra discolpa?-.
Si
fermò a riprendere fiato
dietro una
colonna del portico e, nascosta nell’ombra dello stipite, si
vide passare davanti un drappello di guardie.
Uno
dei due battenti di sala era
leggermente
socchiuso, ed ecco perché le voci arrivavano così
chiaramente.
Chiunque
fosse l’inquisito, non
rispose
alla domanda e il silenzio regnò per qualche secondo. Poi il
giudici riprese parola.
-Leonardo…-
pronunciò
egli.
Arianna
s’irrigidì.
-Leonardo
Tornabuoni- disse invece l’inquisitore.
–Siete accusato di violenza verso Jacopo Saltarelli. Cosa
avete da dire a vostra discolpa?- chiese ugualmente.
Leonardo
Tornabuoni? Di Lucrezia Tornabuoni?! La madre di Lorenzo mio zio?! Oh
Dio… sotto accusa?! Aspetta un attimo… ha
detto… “violenza”?…
Il
sollievo cedé il posto allo
smarrimento.
Il
giovane accusato parlò con
voce
troppo bassa perché Arianna riuscisse a sentirlo.
-Dite?-
esultò il giudice. -La
legge e
la fede condannano al rogo tale arroganza. L’intervento dei
vostri famigli è stato richiesto, ma possiamo offrirvi solo
la protezione di Guglielmo de’ Pazzi, Priore di
Libertà. Egli garantirà per voi, per Ser Leonardo
da Vinci e per messer Masini Tommaso-.
Leonardo…
Arianna sgranò gli occhi. E’ davvero
lì dentro! E c’è anche Tommaso! Cristo,
aiutali…
La
ragazza si tratteneva a stento
dall’irrompere in sala e chiedere cosa stesse succedendo. Suo
padre avrebbe testimoniato per difendere un membro della famiglia
acquisita da quali accuse? Era sempre più disperata,
confusa, impaurita. E il fatto che dovesse stare lì ad
ascoltare, senza neppure riuscire a guardare all’interno
oltre uno spiraglio di porta, la innervosiva parecchio.
-Non
vi sono prove che confermino
l’implicazione di messer Tornabuoni nella vicenda- proruppe
la voce Guglielmo. –La corte risale a suo nome solo
attraverso una rete di contatti che implica egli e l’artista,
per mero caso!-.
-Errate:
la lettera anonima consegnata
stamani
alla giuria conferma e menziona ciascuno degli imputati- contraddisse
il giudice. –Loro tutti sono qui oggi e loro tutti si
conoscono. Non è un caso-.
-Perché
non chiedete a Jacopo
Saltarelli, dunque, se a lui davvero è stata inferta quella
che nella lettera è detta come
“violenza”- sottolineò Guglielmo
de’ Pazzi.
-Intervenite
in difesa, ma non vi
è
permesso di accusare, ser. State al vostro posto- sentenziò
il giudice. –Se non verranno presentate delle prove che
scongiurino questi poveri Cristi dall’accusa loro inferta,
‘sta notte patiranno tutti quanti sul rogo!-.
-Blasfemia!
Brucereste un membro della
famiglia
che voi stesso servite, Umberto!-.
Umberto
Alberti… avrei dovuto immaginarlo! Mio padre si lamentava
spesso a tavola di lui… sempre ad intralciarlo con caparbia
e senza motivo, anche quando sa d’aver torto! Devo fare
qualcosa, ma non so nemmeno di che accusa si tratta… potrei
scagionare Leonardo testimoniando che era con me in bottega, durante
l’accaduto. Non può farlo Tommaso
perché anch’egli è sotto accusa e
nessuno gli crederebbe…
-Tacete,
o la vostra insolenza
accompagnerà le fiamme di questi eretici malati!-.
Arianna
catturò tutto il
coraggio che
aveva in sé e si accostò alla porta.
Riuscì ad aprirla abbastanza per passare senza farsi
sentire, e la sentenza proseguiva mentre lei si andava a nascondere
dietro una delle statue in marmo della sala.
I
quattro imputati erano in piedi, con le
mani
legate dietro la schiena, davanti ai seggi di quella che doveva essere
la giuria, composta di undici membri. Tra tutti stava più in
alto e nel centro il temuto Umberto Alberti, Gran Gonfaloniere, che
Arianna riconobbe subito.
Leonardo
e Tommaso erano i due accusati
sulla
sinistra, quest’ultimo esternamente rispetto al tappeto che,
dall’ingresso ai seggi della giuria, percorreva tutto il
salone per dritto.
Ai
lati della camera c’erano
ampie
vetrate e due lunghi tavoli con molti posti vuoti. Quei pochi seduti ai
posti pieni, tra cui Guglielmo de’ Pazzi, dovevano essere i
testimoni. Assieme a lui vi erano altri importanti politici e
funzionari di cui lui stesso si circondava in quei casi.
Presenziava
anche l’arcivescovo
di
Firenze assieme a qualche sottodelegato cattolico.
Il
povero Saltarelli Jacopo era un gradino
più in basso rispetto al seggio di Umberto. In tutta la
piccolezza e gracilità del suo corpo, a testa china ed occhi
sgranati, si rifiutava di intervenire o anche solo guardare alla
sentenza, limitandosi ad ascoltare come un fantasma.
-Se
questo è tutto, io e i
delegati
discuteremo delle prove e sanciremo il verdetto- proruppe Umberto
alzandosi dal seggio. I dieci alle sue spalle lo imitarono, e in un
chiacchiericcio soffuso si ritirarono in una saletta adiacente della
quale vennero chiusi i battenti, poi sorvegliati da ben tre
alabardieri.
Arianna
si guardò attorno e
notò solo allora le guardie sparpagliate un po’
per tutta la sala. Fortunatamente non ve n’era nessuna che,
da ferma e rigidamente composta, potesse vederla nascosta dietro la
statua.
Per
la sala, in quegli interminabili minuti
di
attesa, si diffuse un eco di voci tra i delegati e i testimoni. Gli
imputati, invece, erano immobili come forme di cera e si scambiavano
un’occhiata disperata di tanto in tanto.
La
ragazza si morse un labbro. Dannazione!
Ma di cosa sono
accusati, si può sapere?! E quanto è grave la
violenza di cui parlano?! Legge? Fede?! Sto impazzendo, devo fare
qualcosa! Subito! Prima che sia troppo tardi…
Guardò
Guglielmo e lo vide
tirato come
una molla, seduto anche troppo composto con le braccia lungo i fianchi
e le mani giunte in grembo. Lui e i suoi funzionari attorno si
scambiarono qualche parola, ma la ragazza impiegò poco per
distogliere lo sguardo. Tutto ciò che giungeva alle sue
orecchie erano confusi mormorii, e questi non aiutavano certo a
dissimulare l’ansia che le squarciava il petto.
Arianna
non ebbe occhi che per il suo
maestro, in
fila di fronte ai seggi vuoti dei giudici.
Lui
e Tommaso si guardarono mormorandosi
qualcosa, ma Arianna era troppo lontana per udirli. Poi, a sorpresa,
Leonardo si guardò attorno fingendo un gesto del tutto
casuale e la vide.
Arianna
s’irrigidì, ma
non
fece nulla per sottrarsi allo sguardo severo e stupito del suo maestro.
Entrambi
a modo loro, Leonardo e Arianna
tesi
come corde di violino, si chiedevano l’un l’altro: “Che cosa ci fai
qui?!”
Il
cuore le batteva sempre più
forte
in petto, l’ansia cresceva, e così la paura a
differenza di Leonardo, che sembrava arrabbiato con lei e irato della
fastidiosa situazione, più che altro.
I
giudici rientrarono in sala e li guidava
Umberto, la cui comparsa scaturì il silenzio assoluto.
Ripresero posto sui seggi e, non appena tutti tacquero, il Gonfaloniere
prese parola distintamente.
-Firenze
e il Signore così hanno
parlato: gli imputati sono dichiarati colpevoli e condannati
all’impiccagione. Il processo si terrà
pubblicamente domani in Piazza della Signoria e…-.
-Aspettate!-.
Tutti
i presenti si voltarono, ma gli
imputati
prima di altri.
La
ragazza era saltata fuori dal suo
nascondiglio
muovendo due timidi passi sul tappeto che conduceva sino ai piedi dei
giurati. Respirava a fatica vedendosi mangiare da tutta quella gente
che improvvisamente guardava lei e lei soltanto.
Guglielmo
scattò in piedi come
una
molla, mentre le guardie attorno stringevano il cerchio venendole
incontro.
-S’azzardi
il Diavolo ad
intromettersi
a Giudizio Divino! Guardie, arrestate costei!- proruppe Umberto
indignato, puntandole un dito contro.
-Signore-
intervenne Guglielmo, ma due
armati
erano già riusciti a prenderla per le braccia.
Arianna
tentò di divincolarsi,
ma la
sua gracile forza femminile era nulla in confronto ai due soldati.
–Aspettate, fermi! Dev’esserci uno sbaglio! Non
potete condannare quegli uomini!- quasi piangeva, venendo strattonata
dalle guardie.
Umberto,
nel frattempo, si voltò
scosso verso il padre della ragazza. –La conoscete?-.
Molti
dei funzionari attorno a Guglielmo si
alzarono in quel preciso istante. –Sì, signor
Gonfaloniere. È mia figlia Arianna- disse fingendo una
neutrale tranquillità.
-Sentito?!
Lasciatemi!- comandò
la
giovane Pazzi con i denti stretti, rivolgendosi ai soldati.
I
due non se lo fecero ripetere e le
liberarono i
gomiti. Arianna mosse alcuni passi avanti per precauzione.
–Di qualsiasi misfatto siano accusati, dove sono le prove?!
Tirate fuori le prove, forza!- strillò la ragazza.
-Il
vostro intervento non è
richiesto,
madonna! Non fate parte di questa corte e non vi è permesso
partecipare alla sentenza. Devo chiedervi di lasciare il Palazzo. Ora-
comandò Umberto.
-Io…-
esitò.
–Io
posso testimoniare a loro difesa!- disse in fine, con grande clamore e
sorpresa dei presenti tutti.
Leonardo
scambiò
un’occhiata
eloquente con la ragazza, che però fece di tutto per
ignorarlo. Tommaso, al fianco dell’artista, spostò
il peso sull’altra gamba e scosse la testa mormorando sotto
voce: -Oh Signore! Salvaci tu…-.
Umberto
guardò prima lei poi
Guglielmo. –Devo lasciarla parlare?- chiese.
Messer
de’ Pazzi
spostò la
sua attenzione sulla figlia, fulminandola con
un’occhiataccia. –Non dovrebbe nemmeno essere qui-
sibilò egli.
-Dunque-
Alberti si schiarì la
gola.
–Diteci pure, madonna- le concesse, ma le sue reali
intenzioni non erano altro che beffarsi della figlia di Guglielmo fin
quando ne aveva l’occasione.
Arianna
si sentì gelare il
sangue
quando si accorse che così come tutta la corte di giustizia,
anche Tommaso e Leonardo aspettavano da lei di avere risposte.
E
ora che m’invento? Si chiese lei con vergogna
infinita.
Guglielmo,
prendendo le difese della
figlia,
spezzò il silenzio e disse: -La lettera anonima denuncia
l’accaduto cinque sere fa. Puoi provare che in questa data
uno degli accusati era altrove?- chiese garbatamente, suggerendole
già quale congiurato intendeva difendere.
Arianna
guardò Leonardo, ma
contemporaneamente pensò che una confessione del genere
avrebbe compromesso l’integrità del suo tirocinio,
mandando all’aria tutti i piani segreti a Bianca.
No,
doveva trovare un’altra
strada.
-Sapete
almeno di cosa sono accusati
costoro?-
domandò l’arcivescovo circondato dai suoi
religiosi.
Arianna
fu colta in fragrante là
dove
non aveva difesa alcuna. Scosse la testa.
-Sodomia-
eruppe uno dei dieci giurati alle
spalle di Umberto. –Consumata verso il diciassettenne Jacopo
Saltarelli- indicò il ragazzo accanto ad Alberti.
Arianna
non riuscì a credere a
tali
parole, e divenne un tutt’uno col colore del pavimento di
marmo. Restò allungo a bocca aperta fissando il vuoto
creatosi davanti ai suoi occhi.
Non
solo un’altra delle sue
“fantasie” si era avverata, non solo i dialoghi
combaciavano ancora una volta, ma ora ci si metteva anche questa.
…Sodomia?
Guardò
il suo maestro in mezzo
agli
accusati e ne incrociò lo sguardo colpevole e dispiaciuto
assieme. Ma in esso Arianna colse una nota di ingiustizia e
disperazione che non riuscì certo ad ignorare.
-Allora,-
ridacchiò Umberto,
–mi sembra di capire che non possedete le conoscenze dette di
avere- quanto si divertiva nel vedere strisciare i membri della
famiglia rivale.
Arianna
guardò prima lui, poi
suo
padre Guglielmo, rigido come una statua in mezzo ai suoi funzionari, e
in fine Leonardo.
Se
gli imputati erano accusati di atti
omosessuali, Arianna aveva da tempo già trovato il modo per
dimostrare la falsità di tale accusa. Avrebbe voluto solo
avere più tempo, e doverlo fare in un altro modo.
–Aspettate…- mormorò flebilmente la
giovane artista.
Tommaso
accanto a Leonardo
sembrò
irrigidirsi non appena gli occhi della ragazza incrociarono un attimo i
suoi.
-Bene,
dunque è deciso. Guardie,
portateli via…- blaterò Alberti alludendo agli
imputati.
La
corte tutta stava per alzarsi e
andarsene,
ignorando la voce della ragazza.
-Ho
detto aspettate- ripeté lei
nel
panico, guardando come le guardie afferravano i colpevoli uno alla
volta trascinandoli, se necessario di peso, verso l’ingresso
alle spalle della ragazza.
Arianna
si vide passare accanto tutti gli
incriminati, anche Zoroastro e il suo maestro. Quando
quest’ultimo le fu abbastanza vicino, Arianna raccolse ancora
il coraggio perduto.
-HO
DETTO ASPETTATE!- gridò.
Guglielmo
per primo mantenne il perenne
mutismo,
succeduto da Umberto che sembrava più che altro infastidito.
-Posso
farlo. Posso provare
l’assurdità di tali accuse- formulò la
giovane dama incrociando direttamente l’occhiata burbera del
Gonfaloniere.
Bravo
a fingere interesse, Umberto si
rimise a
sedere. –E in che modo?! Avete detto di non avere prove con
voi! Non vi saranno mica comparsi tra le mani i documenti di un
matrimonio!- se la rise, e con lui i dieci giurati.
Guglielmo,
circondato dei suoi funzionari
politici che tenevano il silenzio come cadaveri, aveva assunto un
colorito forse più pallido, e
l’autorità in suo viso lasciava spazio al timore.
Arianna
scosse la testa indietreggiando di
un
passo, trovandosi così nemmeno ad un metro di distanza dal
suo maestro, controllato da una guardia.
-Non
farlo…- sussurrò
Leonardo da dietro di lei. Più che una supplica, pareva un
suggerimento, una precarietà, e forse, una taciturna
richiesta.
Questi
uomini
sono innocenti, lo so per certo... posso provarlo e per farlo i
documenti non mi serviranno… La
ragazza non lo ascoltò nemmeno e, dandogli le spalle,
continuò a guardare la giuria con odio e determinazione.
Almeno
spero…
Si
volse, chiuse gli occhi e
baciò
Leonardo.
Angolo
d’Autrice:
CALMAAAAAAA! XD
Un pensiero alla volta,
non uccidetemi tutti insieme, grazie, ma prendete il tikket numerato
all’ingresso U.U
Allora… tutte
le spiegazioni nel prossimo capitolo, tra cui il fatto
dell’accusa… per il resto, vi basti sapere che
Arianna l’ha fatto solo per provare innocentemente che
Leonardo non era gay, cosa che non credeva essere vera e avrebbe
smentito in qualsiasi modo. Sappiate che questa vicenda è la
prima delle tante “gocce del vaso” che…
traboccherà?
Ringrazio renault,
lullacullen,
goku94
ed Elkade
(che mi uccideranno dopo aver letto questo capitolo!) Eh,
però, se proprio devo morire… lascio in
eredità i 10 capitoli già pronti a…
Finger, il mio gatto! XD
Ma tornando seri. Mi
serve sapere da voi se, dopo la consultazione di questo capitolo, la
storia debba o meno aumentare di rating. Sì, insomma, da
oggi in avanti si intravedranno certe sottintese sfumature di una
possibile “storiella” tra Leonardo e Tommaso
Masini, perciò, non se se… da giallo possa essere
necessario spostarla ad arancione. O.o Chiedo onestamente il vostro
parer, allegando naturalmente un piccolo spoiler del
prossimo post. U.U Grazie dell’attenzione.
“-La giuria
ritira l’accusa- sentenziò Umberto.
-Bene! E ora levatevi
dai
piedi, dannazione- aggiunse il Magnifico massaggiandosi le tempie.
–Questo maledetto mal di testa mi sta uccidendo…-.
Così si
spiega
tutto!… pensò Arianna con un leggero sarcasmo.
[…]
-Posso dirti una cosa e
poi darti un consiglio?- pronunciò Tommaso, d’un
tratto più serio e risoluto.
Leonardo fece
un’altra smorfia incamminandosi. –Conoscendoti
vorrei non ascoltare nessuna delle due, ma vabbe’…
avanti, parla-.
[…]
-Cosa devo fare per
levarti quel grugno geloso dalla faccia?- rise l’inventore.
Tommaso
inarcò
un sopracciglio interessato. –Qualcosa ci
sarebbe…- assentì vagamente, e salì le
scale fischiettando.”
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Capitolo 15 *** Gelosia ***
Gelosia
Un eco di voci si levò
tutt’attorno a lei, le cui labbra erano appena posate, come
una carezza, su quelle del nobile artista fiorentino. Ne avvertiva a
malapena la morbidezza per quanto delicato era il contatto che,
nonostante il gesto inaspettato, Leonardo aveva accolto come ultimo
barlume di salvezza.
Tommaso Masini, alle spalle
dell’amico,
s’irrigidì a quella vista e distolse lo sguardo
pensando che un simile atto avrebbe potuto certo risparmiarselo.
Umberto Alberti, dall’alto del
suo
seggio di gran Gonfaloniere, scrutò allungo, stupito e
interessato, quel farsi silenzioso, mentre intorno a lui il coro di
voci, bisbigli e commenti aumentava d’intensità
man a mano che lo scorrere del tempo scandiva la mattina.
Gli altri accusati si scambiarono una
complice
occhiata. Il Tornabuoni guardò il di Pasquino alzando le
spalle, e quell’altro mimò con la bocca di saperne
altrettanto.
La storia avrebbe fatto scalpore, pensavano
gli
altri in sala. Quattro accusati di sodomia omosessuale scampano alla
legge grazie al mostrato amore di una giovane fanciulla.
Anzi.
Non una qualsiasi giovane fanciulla.
Ma la conosciuta Arianna de’
Pazzi.
Qualcuno
mi ucciderà per questo… pensò
Arianna interrompendo il bacio. E
se non Bianca, ‘sta volta sarà Guglielmo a
farlo…
Infatti Arianna avrebbe voluto voltarsi e
guardare suo padre come non aveva mai fatto. Ma ancor prima che potesse
stanziarsi abbastanza dal suo maestro per tornare sui suoi passi,
questi la baciò a sua volta, ancora, senza lasciarle modo di
riprendere fiato.
Arianna avvertì quel nodo alla
bocca
dello stomaco non appena, ad occhi ancora chiusi, si rese conto di quel
che stava succedendo.
Leonardo era tornato sulle labbra di lei
premendole con quella disperazione che gli era facile leggere in volto
da una così intima distanza. Ad Arianna sembrò
come se stesse per piangere, sopraffatto da un dolore che la ragazza
non riuscì certo a comprendere, nella più totale
sorpresa. Leonardo quasi tremava. Il respiro spezzato
dall’agitazione che gli riempiva il cuore. E la sua allieva
non era da meno.
-Basta, è più che
sufficiente!- eruppe Guglielmo accompagnato dallo stupore dei presenti.
Arianna, costretta ad interrompere
lì
il bacio, si volse con le labbra ancora arrossate e guardò
il padre, che mirava la figlia con la fronte corrugata e i pugni
stretti. Gli occhi pieni di disprezzo, indignazione, collera e
quant’altro indugiarono allungo su di lei, ed Arianna si
sentì venir meno.
Non trovando il coraggio di girarsi e di
guardare
in faccia l’uomo che aveva baciato,
s’immaginò a stento con chissà quale
espressione in viso lo aveva lasciato.
Che cosa ho
fatto?…
Questa volta la disperazione
s’impadronì di lei. Conscia che la sua vita
sociale giungeva ad un punto morto, precipitava in un baratro di esilio
ed umiliazione. Non c’era posto per il rossore sulle guance,
no… quello era svanito da tempo, lasciando spazio al bianco
latteo di una pelle tirata e nervosa. Il peso della condanna
gravò su di lei, e se ne sentì schiacciare non
riuscendo a sollevarsi.
Se un attimo prima aveva creduto che fosse
Leonardo a stare per piangere, ora era lei quella sull’orlo
delle lacrime.
-Credete davvero che una simile
dimostrazione
di… coraggio possa valere come prova?!- sbottò
Umberto contro il politico.
-Be’ almeno è una
prova!-
infierì Tommaso.
-Non v’è data la
parola, a
voi!- tagliò Alberti azzittendo il Masini.
-Signori, per favore!-
s’intromise il
religioso. –Dinnanzi all’amore, anche il Signore
allarga le braccia- disse.
-Ma che sciocchezze, non vedete che
finge?!-
legnò qualcuno.
-Assurdità, son pazzi
l’uno
dell’altra! Pertanto quell’uomo non può
essere accusato di tali gravosità!- fece un altro.
-Assoldiamoli tutti!- suggerirono altri
ancora.
La confusione fu tale che Arianna non
riuscì nemmeno a sentire battere il suo cuore. Inoltre
cominciava a mancarle l’aria per respirare.
Perfetto! Ho
solo peggiorato la situazione!
-SILENZIO!-.
Tutti tacquero.
Sull’ingresso della sala era
apparso il
Magnifico Lorenzo de’ Medici, scortato dalle sue guardie e
vestito come un re. I soldati si disposero lungo il tappeto che
traversava la sala. Il cammino venne sgombrato degli accusati e di
Arianna, che si spostarono su un lato di esso.
Dopo un lasso di tempo che parve
un’eternità, Lorenzo avanzò nel salone
con sua moglie Clarice a braccetto.
Durante l’avvicinarsi del Signore
di
Firenze verso i seggi, non si udiva un sibilo, un sussulto, un
bisbiglio solamente. Il mondo sembrava tacere umile al suo cospetto.
Umberto si alzò e con lui tutti
i
dieci, che rappresentavano solo una parte di quello che era il Reale
Consiglio dei Cento di Firenze.
-Mio Signore, la vostra casuale
presenza ci onora-.
-Per così poco conto,
s’andava ad ammazzare il nipote di mia madre- fece indignato
il Magnifico. I suoi occhi scuri si posarono prima sul Gonfaloniere,
poi su Leonardo Tornabuoni, ancora tra le grinfie degli armati e con le
mani legate. –Liberatelo, di grazia- sentenziò
amaro. –Non crederete mica che scappi come una bestia!-.
-Giammai- Umberto
s’inchinò.
Leonardo Tornabuoni venne spogliato delle
catene
che gli legavano le braccia e così tutti i restanti
accusati. Leonardo da Vinci si massaggiò i polsi tenendo gli
occhi bassi e alcune ciocche di capelli a coprirglieli, Tommaso lo
sbirciò un istante prima di lanciare un’occhiata
ad Arianna.
La ragazza era rigida come fosse parte
della
mobilia.
-Appena informato, ho lasciato il Palazzo a
mia
sorella- disse Lorenzo volgendo ora uno sguardo al politico Guglielmo,
poco sulla sinistra.
Questi taceva in rispettoso silenzio
assieme ai
funzionari in cerchio a lui, ma un acuto osservatore come Lorenzo
captava il suo nervoso adirato anche da lontano, eppure
sembrò non curarsene. –Mia moglie-
sollevò la mano di Clarice posata sulla sua, -era da queste
parti e ha voluto accompagnarmi, dopo avermi informata-
esplicò. –La mia visita, Umberto, non è
casuale-
sottolineò.
-Ben venga, mio Signore, ben venga- ne
convenne
Umberto, viscido.
-Di cosa sono accusati costoro,
esattamente?-
domandò Lorenzo guardandosi attorno.
Il Magnifico scrutò con
severità uno ad uno i volti dei condannati, almeno fin
quando non incontrò gli azzurrissimi occhi della timorosa
Arianna. Allora inarcò un sopracciglio, ma lasciò
parlare chi doveva.
-Sodomia, mio Signore- spiegò
Umberto.
–Il povero Jacopo Saltarelli è la vittima- disse
indicando il gracile ragazzo con un gesto del braccio.
-E cos’erano tutte quelle grida,
allora?- chiese adirato il Principe di Firenze.
Umberto cercò il sostegno dei
suoi
dieci, ed uno di questi parlò per lui.
-La ragazza- indicò Arianna,
–ha con sé delle prove che
scongiurano gli imputati, mio Signore-.
La Pazzi s’irrigidì,
pronta
a sentirsi pungere ancora dagli occhi di Lorenzo, che però,
non volgendosi, preferì apprendere il detto.
–Dunque, intendete star qui a parlamentare ancora allungo?
È una mattina intera che private la gente dei suoi artisti e
politici migliori per simili chiacchiere. Arrecate così
danno alla vigilia della primavera che festeggia tanti bravi
talentuosi! Ritengo il vostro comportamento inaccettabile, Umberto-.
-Chiedo venia, Magnifico-.
-Liberateli, liberateli tutti. Posso ben
immaginare di che prove si trattino…- borbottò
apatico Lorenzo.
-Avete sentito?- sbottò Umberto
rivolto alle guardie accanto agli imputati. I soldati sobbalzarono
stanziandosi dagli accusati.
-Vieni qua- ordinò Guglielmo
alla
figlia mimandole il comando con le labbra.
Arianna chinò la testa e a
piccoli
passi frettolosi si affiancò al padre, circondata poi dei
suoi funzionari.
-La seduta è sciolta-
annunciò Lorenzo. –Ritirate le accuse, Umberto, e
non saremo costretti a ripetere questa fanfara un’altra
volta- pronunciò pungente.
-La giuria ritira l’accusa-
sentenziò Umberto.
-Bene! E ora levatevi dai piedi,
dannazione-
aggiunse il Magnifico massaggiandosi le tempie. –Questo
maledetto mal di testa mi sta uccidendo…-.
Così
si spiega tutto!… pensò Arianna con
un leggero sarcasmo.
La sala si svuotò
nell’arco
di pochi silenziosi minuti.
Prima degli altri sparirono i funzionari
della
difesa e la giuria, in fine anche gli imputati lasciarono Palazzo della
Signoria dall’ingresso principale.
Arianna aveva affiancato suo padre durante
tutta
la traversata del salone e, muta come una tomba, l’aveva
seguito fino in piazza, e poi dritti a casa, sicuramente.
Leonardo guardò i due
allontanarsi per
una via trafficata di gente, mentre il campanile del Palazzo di
Giustizia annunciava il mezzogiorno.
Tommaso era accanto a lui e si massaggiava
i
polsi. –Non era necessario- borbottò.
Leonardo gonfiò il petto,
riuscendo
quasi a sentire ancora la morbidezza delle labbra di Ariana sulle
proprie, che sfiorò con due dita. -No, infatti- ammise
l’artista con una smorfia. –Ma non è
finita qui- disse incamminandosi.
L’amico gli andò
dietro.
–Perché dici questo?- chiese confuso.
-Conoscendo la giustizia che vigila questa
città, presto o tardi quella sala si riempirà di
nuovo. E sta volta non basterà il bacio di una dama a
salvarci le chiappe-.
-Avanti, Leonardo! Sei ancora convinto che
sia
stata Arianna a sistemare ogni cosa?! L’hai sentito anche tu
il Magnifico, no? Ecco come un mal di testa migliora la
giornata…- ridacchiò Tommaso.
-Non si tratta di quello- Leonardo
alzò gli occhi al cielo.
-Allora che problemi hai?-
domandò
Masini parandosi davanti all’amico, con allegria innocente.
Vedendo che Leonardo taceva non sapendo cosa e come dirlo, intervenne
di nuovo:
-Forza, torniamo a casa- gli disse sereno.
–E poi… devo assolutamente farti passare la voglia
di metterti nei guai con altri al di fuori di me, altro che!-.
Leonardo incrociò le braccia
lasciandosi sfuggire un sorriso. –Credimi, la proposta
è allettante: tornei volentieri a casa con te,
ma…- s’interruppe distogliendo lo sguardo dal
compagno. –Sento che ‘sta volta Arianna non la
passerà liscia. Posso solo immaginare in che modo Guglielmo,
affiancato da Bianca, la punirà…-.
-Posso dirti una cosa e poi darti un
consiglio?-
pronunciò Tommaso, d’un tratto più
serio e risoluto.
Leonardo fece un’altra smorfia
incamminandosi. –Conoscendoti vorrei non ascoltare nessuna
delle due, ma vabbe’… avanti, parla-.
Tommaso gli andò dietro.
–Come prima cosa, ti preoccupi troppo per quella ragazza.
Santo Cielo, non è una bambina! Ha quindici anni, sedici a
novembre!-.
-Non sapevo che il suo compleanno fosse a
novembre- constatò l’artista stupito.
-Non è questo il punto, e non
provare
a cambiare argomento!-.
-Non ci sto provando-.
-Smettila, mi fai saltare i nervi quando
fai
così!-.
-E tu non agitarti, che mi ecciti,
dannazione-.
Masini si schiarì la gola.
–Buon segno, dunque: vuol dire che sei ancora da questa
parte…- mormorò.
-Cosa hai detto?!- Leonardo si volse di
colpo.
Tommaso sostenne il suo sguardo duramente.
–Insomma, dovresti smetterla di avere tanta premura di lei.
Lascia che si faccia le ossa da sola, diamine! La madre la rimprovera?!
Ben venga! Il padre la picchia?! Ben venga! Magari tra qualche anno
combinerà qualcosa di buono se la raddrizzano in tempo-.
-Sei spregevole- sibilò
Leonardo.
-No, sono semplicemente quello con un
po’ più di cervello tra i due, a quanto pare!-.
Leonardo riprese ha camminare.
–Tu hai
un grosso difetto, Tommaso- ridacchiò istericamente.
-Quale?- chiese irato.
-Quando sei geloso, non riesci a
nasconderlo- si
beffò Leonardo.
Masini sobbalzò.
–Io… geloso?!- gli corse incontro. –Ma
per piacere! Stai parlando con l’ultima persona al mondo che
risente di gelosia!-.
Leonardo non la piantava di ridere.
-Come consiglio, invece…
seriamente,
Leonardo: se da oggi Guglielmo decidesse di tenere Arianna lontana da
te… per qualsiasi strano motivo voglia farlo…
tu… prova a dimenticarla. Secondo me quella ragazza ha
qualcosa di strano… e… malvagio-.
S’intravedeva
l’ingresso
della bottega quando Leonardo aggrottò la fronte e si
fermò.
-Perché dici ciò?-
chiese
cupo.
Il ragazzo fece il vago. -Non saprei con
esattezza, ma sento che… Arianna non è come le
altre ragazze, ecco-.
Leonardo inarcò un sopracciglio.
–Adesso chi è che sta passando
dall’altra parte?- rise.
Masini gli colpì la spalla.
–Smettila! Sono serio!-.
L’artista si massaggiò
il
punto leso. –E va bene, va bene, ho capito!-
sbuffò. –Quanto sei pignola-.
-Ehi, adesso mi dai anche del
“femminile”?-.
-Che c’è, non ti
piace?-.
-Ovvio che no! O a quest’ora
girerei
con un bel vestito da dama, che dici?!-.
-Be’ allora sbrigati,
finché
siamo uomini liberi…- sospirò Leonardo rientrando
in bottega.
-Ma guarda che disastro!- disse subito dopo
Tommaso. –Ci vorranno anni per mettere apposto tutto
quanto…- legnò lui. –Ma la tua
apprendista doveva sparire proprio quando c’era bisogno di
lei?!- imprecò.
Leonardo era distratto e quasi non faceva
caso
alle sue parole. Mosse qualche passo in mezzo ai fogli rovesciati, alle
pergamene e alle tele sparse sul pavimento potendo ben ricordare come
gli ufficiali armati di Firenze erano piombati lì
trascinandoli con la forza fuori dalla bottega.
Trovò il ritratto di Ginevra
Benci in
terra, assieme ad altri dipinti incompleti. Prese il quadro e lo
risistemò sul cavalletto che Tommaso aveva issato in piedi
poco prima. Sperando che non si fosse rovinato, Leonardo
controllò il ritratto alla Benci minuziosamente, poi
frugò tra gli altri dipinti.
Tra questi vi era il sogno iniziato da
Arianna
con la veduta d’uccello del Palazzo della Signoria. Lo
afferrò e lo posò sul tavolo vicino con estrema
cautela e lentezza.
Tommaso lo sorprese assorto nella
contemplazione
e si appoggiò col mento sulla spalla dell’artista.
-Brucialo- gli sibilò
all’orecchio.
-Piantala- eruppe scontroso Leonardo
spostandogli
il viso con sgarbo.
Zoroastro indietreggiò e
tornò al suo lavoro borbottando qualcosa di inudibile.
Leonardo sistemò una ad una
tutte le
tele dove era abituato a cercarle ogni volta, e quando fu tempo di
prendere e impilare tutti i libri sparsi per terra sugli scaffali, si
trovò tra le mani dei volumi che era certo non gli
appartenessero. Uno era un quaderno bianco rilegato di pelle rossa, gli
altri due erano volumi di greco e latino antico in copertina rigida.
All’artista sfuggì un
sorriso al ricordo di Arianna, e capì che la ragazza doveva
esserseli dimenticati non la giornata scorsa, bensì poche
ore fa, accorgendosi di cosa era successo nella bottega. Poteva
immaginare con facilità la sua faccia sconvolta, la stessa
che gli aveva veduto in viso quando si era nascosta dietro quella
statua classica in Palazzo della Signoria.
-Secondo me l’ha fatto a posta-
sibilò Tommaso a voce abbastanza alta perché
Leonardo lo sentisse.
-Cosa?- chiese l’artista
riponendo i
volumi sul tavolo.
-Quelli- Zoroastro indicò i
libri.
–Secondo me se li è dimenticati qui a posta,
così dovrai riportarglieli tu, prima che si faccia viva lei-
borbottò. Se avesse voluto essere divertente, ci avrebbe
messo più impegno, così Leonardo capì
all’istante quanto l’amico fosse ancora turbato
dell’accaduto.
-E chi ti dice che non manderanno qualcuno,
una
guardia per esempio, a riprendere i libri?- ribatté Leonardo
con ironia, arrotolando una pergamena e infilandola successivamente tra
gli scaffali.
Tommaso sbuffò, ma non aggiunse
altro.
Piuttosto si caricò tra le braccia una cassa di piccole tele
dipinte e l’adagiò sul ripiano di
un’impalcatura, in angolo della stanza, assieme ad altre
simili.
-Cosa devo fare per levarti quel grugno
geloso
dalla faccia?- rise l’inventore.
Tommaso inarcò un sopracciglio
interessato. –Qualcosa ci sarebbe…-
assentì vagamente, e salì le scale fischiettando.
Leonardo alzò gli occhi al cielo
e
fece un gran sospiro, poi seguì l’amico al piano
di sopra, e non li si vide entrambi fino a sera.
Angolo
d’Autrice:
Eccovi le spiegazioni che
dovevo. <.<
L'8 aprile 1476 venne
presentata una denuncia anonima contro diverse persone, tra le quali
Leonardo, per sodomia consumata verso il diciassettenne Jacopo
Saltarelli. Anche se nella Firenze dell'epoca c'era una certa
tolleranza verso l'omosessualità, la pena prevista in questi
casi era severissima, addirittura il rogo. ‘Sta cosa sta
scritta anche nella scheda di Leonardo da Vinci in Assassin’s
Creed II, sotto la voce di “persone” nel database
dell’Animus 2.0. L’idea non è uscita
fuori da lì, ma l’avevo in testa già
parecchio tempo prima. Inizialmente ci avevo pensato di mio, leggendo
la mia biografia su Leo e poi approfondendo le ricerche su wikipedia.
Ma poi, ricevuta conferma di un certo interessamento
all’argomento da parte di Elkade (che
ringrazio per le
fonti di questo e altro… *muhahahah*) ho voluto
coinvolgerci la mia protagonista. Oltre a Leonardo, tra gli altri
inquisiti vi erano Bartolomeo di Pasquino e soprattutto Leonardo
Tornabuoni, giovane rampollo della potentissima famiglia fiorentina dei
Tornabuoni, imparentata con i Medici. Secondo certi studiosi fu proprio
il coinvolgimento di quest'ultimo che avrebbe giocato a favore degli
accusati. L'accusa sarebbe stata archiviata solo il 7 giugno di
quell’anno, e non certo grazie al coraggio di Arianna! XD Ma
questo è ancora tutto da vedere.
Per quanto riguarda il
bacio… posso assicurarvi che da qui ai prossimi tre capitoli
non ci saranno scene più o coinvolgenti quanto questa. La
situazione resterà (stranamente) tranquilla per un
po’, almeno fin quando Arianna non deciderà di
fare una certa cosa che cambierà per sempre la sua e la vita
di chi le sta attorno. (E non mi riferisco solo a Leonardo! XD Qui ci
va di mezzo anche Ezio!!)
Detto
ciò… a voi i commenti. Nel senso…
X renault,
wow, hai postato delle one davvero interessanti! Per ora ne ho
sfogliata una, la prima, ovvero Anelli, e l’ho trovata molto
carina. ^^ Grazie della costanza nel recensire. Lieta che tu ci sia
anche in termini di Prototype! XD
X Elkade,
sconvolta, eh? Davvero non ti aspettavi che avessi architettato tutto
in questo modo?! XD Be’, in effetti nemmeno io me
l’aspettavo. L’idea del bacio è una cosa
stupida nata sul momento. Arianna, secondo il piano della trama
originale, avrebbe dovuto confessare alla corte giudiziaria di Firenze
di essere allieva del da Vinci, rovinando per sempre la sua carriera di
pittrice al suo fianco. Ma vabbe’, inutili dettagli ormai! XD
Perché adesso che sono andata avanti di tot altri capitoli,
la trama s’intriga sempre più, marò *w*
grazie anche a te per il commento al chap precendete. Spero che
lascerai una piccola rece anche a questo ^^ sapere cosa ne pensi in
termini ufficiali è sempre utile e bellissimo.
X goku,
wuhahahah! XD Noooo! Non ci rimanere di merda, dai! Ma io questa fan
fiction, forse non l’ho detto fin ora, ma l’ho
tutta dedicata a te e alla nostra passione per Leonardo e il suo mondo!
Arianna è un po’ di entrambi, pazza, stupida
(questo viene da me! XD) e anche un po’ bambina in certe
cose, nonostante sia l’unica vera donna di casa Pazzi dopo
Bianca. Grazie per la costanza nel commentare, è bellissimo
veder crescere il numero di commenti *w* spero che questo chap non ti
abbia lasciato deluso! XD Anzi! Con tanto di spirito di Tommaso, *uhuh*
XD Allora a presto ^^
X lullacullen,
lieta che tu ci sia sempre e comunque, nonostante il tuo nik name ti
catapulti più nella sezione dedicata a twilight. Ti ho
aggiunta su msn, ma non ci sei mai come dici! XD Mamma mia,
dev’essere dura al linguistico! Se io mi lamento di quattro
tavole all’artistico, eppure tempo di stare in chat lo trovo
(ogni tanto <.<) vabbò, aspetto il tuo
commento. ^^ felicissima che la storia riesca a piacerti nonostante lo
schifo iniziale.
Bene, gente, spoiler sul prossimo
capitolo:
“-Bianca
vuole
vederti- disse a sorpresa Guglielmo cominciando a grattare col pennino
sulla carta. –Ti attende nel cortile esterno. Ha chiesto di
te appena è tornata dal Palazzo di suo fratello,
perciò immagino sia urgente. Meglio non farla aspettare-
pronunciò serio.
[…]
-Un matrimonio alla fine
del mese, e lei se ne va in giro a sbaciucchiare la gente!-.
Arianna si
passò le mani in viso, sconcertata.
L’aveva quasi
dimenticato.
Mio cugino mi aspetta
sull’Altare alla fine del mese… Dio mio…
[…]
Arianna
rabbrividì. Proprio là dove due dita di Leonardo
le sfioravano la pelle, suo padre aveva inferto un duro colpo al suo
corpo e al suo spirito.
-È stata
Bianca?- chiese serio Leonardo.
La ragazza scosse la
testa. –Se mia madre avesse fatto questo, non farebbe
così male…- sussurrò.”
|
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Capitolo 16 *** Contratto di dolore ***
Contratto di dolore
Nel
silenzio del corridoio, Arianna vedeva passare di tanto in tanto una
serva con qualche lenzuolo tra le braccia, o una scopa, o dei vestiti
puliti. La giovane Pazzi sedeva su una seggiola accanto ad un dipinto,
incorniciato sulla parete alle sue spalle. Trascorse del tempo, durante
il quale Arianna aspettò fuori dallo studio di casa.
Guglielmo e i suoi funzionari politici tenevano una discussione da
minuti che erano diventati ben presto un’ora.
L’attesa si era fatta lunga e straziante.
Lo
studio casalingo di Guglielmo sorgeva in uno dei quattro angoli
dell’edificio quadrato, così come molte delle
stanze più belle. In realtà non poteva dirsi
interamente di suo padre, poiché quel luogo di culto e onore
racchiudeva anche una secolare raccolta di manoscritti e dipinti ed era
spesso visitato da Jacopo, nonno della ragazza, e dai fratelli minori
di Guglielmo. Era un luogo appartato, illuminato da finestre luminose e
ornato dei tappeti e dei quadri più pregiati.
Arianna
lo ricordava bene dalla prima ed ultima volta che vi aveva messo piede.
Era successo per un motivo certamente meno grave di quello che
s’andava a discutere quel giorno, ma era riuscita lo stesso a
smuovere gli animi di famiglia.
Era
stato il suo primo dipinto a portarla lì dentro, oltre
quella soglia che ora le veniva vietata con tanta urgenza. Arianna
ricordava vagamente chi o cosa avesse disegnato, ma aveva ben chiaro in
testa quanto rudimentali fossero le sue capacità pittoriche
all’epoca. Se ne stupiva ogni volta mentre sfogliava gli
scarabocchi su un quadernetto della sua infanzia, per quanto dalle
nozioni di grammatica alle più raccapriccianti immagini di
morte e dolore il passo fosse breve.
Adesso,
faccia a faccia con la propria vergogna, Arianna attendeva il compiersi
del destino, qualunque cosa esso le avesse riservato. Aveva paura,
paura di aver deluso a tal punto suo padre perdendo per sempre la
fiducia che riponeva in lei. La catena di insulti era senza fine e
arrivava con alcun problema fino a Bianca. Dio solo sapeva cosa le
avrebbe detto o fatto quella donna…
“Un
matrimonio alla
fine del mese, e lei se ne va in giro a sbaciucchiare la
gente!” avrebbe esultato, col suo solito tono
furibondo e indignato.
Arianna
si passò le mani in viso, sconcertata.
L’aveva
quasi dimenticato.
Mio
cugino mi aspetta
sull’Altare alla fine del mese… Dio
mio… gli occhi erano dilatati dalla paura. Un
pensiero tanto raccapricciante le fece vorticare la testa e dovette
appoggiarsi meglio allo schienale del seggio per non crollare in
avanti.
Passava
da quelle parti il giovane Cosimo de’ Pazzi, apparentemente
per casualità, ma puntò spedito e con piccoli
passi misurati verso la sorella.
Arianna
lo guardò ammutolita, volendo chiedergli cosa ci facesse
lì e perché era venuto a cercarla, ma Cosimo,
dopo essersi guardato attorno circospetto, parlò per primo.
-Le
voci hanno gambe veloci- sussurrò lui chinandosi sulle
ginocchia e appoggiandosi coi gomiti al bracciale della sedia sulla
quale Arianna era comoda (per intendersi).
La
ragazza s’incupì ma non disse nulla.
-Il
Saltarelli lo conosco- aggiunse lui. –Un caro ragazzo, ma se
l’è indubbiamente cercata-.
Arianna
sgranò gli occhi. –Ma come?!- sibilò.
–L’accusa è vera?!-.
-Certo-
rispose Cosimo come fosse ovvio. –Che credevi, scusa?-
domandò serio notando lo stupore in volto alla sorella.
Quella
tacque, e nello stesso istante le porte dello studio di famiglia si
aprirono.
Nel
religioso silenzio che andò a crearsi per il corridoio,
Cosimo tornò retto in piedi e fuggì via prima
d’esser visto. Sulla soglia apparvero uno ad uno i politici
di Guglielmo. Due di loro filarono via quasi di corsa, con passi
scattanti, un ultimo si soffermò a lasciare accostata la
porta e scambiò con Arianna un’occhiata
dispiaciuta.
La
ragazza si alzò in piedi e seguì
l’ultimo uomo con lo sguardo fin quando non fu sulle scale.
Solo allora si decise a varcare la soglia, per poi richiudersela alle
spalle.
Dietro
un ampio scranno di mogano scuro c’era una poltrona vuota che
Arianna notò fin da subito con stupore. Cercando Guglielmo
con un’occhiata di qua e una di là, lo vide vicino
alla finestra. Con le mani giunte dietro la schiena, era rivolto a
guardare il trambusto in strada. Ogni tanto si udiva qualche richiamo
di un uomo o le ruote di un carro pesante che andava per la via, ma
nulla più a parte il continuo cantare dei piccioni
appollaiati sul davanzale e sotto al tetto.
Trascorse
un lungo e teso silenzio, poi Arianna sentì Guglielmo
parlare senza che si voltasse.
-Questa
volta ho le mani legate- pronunciò laconico.
La
ragazza s’irrigidì. Bianca…
pensò immediatamente, ma tacque.
-Anche
se tenessi la bocca chiusa, presto le voci farebbero il giro di Firenze
da loro, e Bianca ne verrebbe a sapere con chissà quante eco
ad aggravare la circostanza. La gente in strada tende le orecchie
appena può, e riferisce al vicino di bottega aggiungendo
sempre qualcosa di nuovo ed eclatante. Credimi…- rise
isterico, –a Bianca potrebbe arrivare persino la voce che
qualcuno di quei quattro dannati t’ha messo
incinta…- mormorò sprezzante. Arianna si
portò una mano alla bocca e trattenne il fiato.
Dal
modo in cui Guglielmo aveva pronunciato quell’ultima frase,
la ragazza aveva capito troppe cose, troppi dettagli della situazione.
Uno di questi era il ruolo di difensore che suo padre aveva vestito per
Leonardo da Vinci, suo maestro. Di conseguenza, con tanto disprezzo
nella voce, Guglielmo annunciava il definitivo ritiro dalle arti, e di
quanto egli potesse esserne responsabile.
Le
lacrime già le pungevano gli occhi.
-Il tuo
maestro e il suo garzone si salveranno, non temere. Il legame di
parentela del Tornabuoni coi Medici giocherà a loro
vantaggio semmai tornassero di fronte al giudice e volessero
nascondere… certi particolari con un secondo aggravante-
sentenziò amaro. Guglielmo si stanziò dalla
finestra e le venne incontro. –Non fare quella faccia. Sei
completamente consapevole e responsabile delle tue azioni,
perciò smettila: non sei più una bambina-.
Arianna
azzardò alzare gli occhi nei suoi giusto un istante, ma
quello fu più che sufficiente per cogliervi tutta la rabbia
e l’indignazione che Guglielmo, solo nella voce, riusciva a
serbare.
Lo
schiaffò arrivò violento sulla guancia destra, e
Arianna chinò la testa dalla parte opposta. Il dolore le
morse la faccia intera, ma si concentrava nella zona colpita avvolta da
un intenso calore. Lo schiocco era stato tale che sicuramente avrebbe
lasciato il segno.
-Questo
affinché te ne ricordi. Consideralo un addio al celibato-.
A quel
punto fu impossibile per la ragazza trattenersi oltre, e una alla volta
le lacrime presero a traversarle il viso, anche là dove la
pelle ancora pulsava per il colpo ricevuto.
-Quel
che hai fatto, come lo hai fatto, o anche solo che tu lo abbia pensato,
Arianna, ha offeso la nostra famiglia, gettato legna al fuoco,
capisci?- eruppe, traspirando rabbia da ogni poro.
L’ironia
era diventata collera, il sarcasmo era diventato rancore. Suo padre era
una furia. Questa volta aveva toccato il fondo. E lui lo diceva
apertamente, senza più indugi, senza più giri di
parole o segreti.
-Bianca
vorrebbe che ti chiudessi in convento, e siccome ‘sta volta
hai esagerato, mi dispiace, non posso proteggerti-.
-Perché?…-
gemé lei.
-Perché?!
Tu osi chiedere perché?!-
le afferrò il mento con violenza. –Ti ho dato
tutto quello che volevi: arte, perdono, comprensione! Sta a te mostrare
un minimo di gratitudine- le lasciò il volto con uno
strattone e Arianna si costrinse a non urlare o mostrare ulteriore
debolezza, mordendosi un labbro.
Guglielmo
andò a sedersi dietro la scrivania dandole le spalle.
–Ogni tua azione è stata una totale delusione. Il
tuo spirito di iniziativa mi amareggiava, il tuo talento sprecato mi fa
diventare l’uomo che non voglio essere…-
pronunciò tristemente serrando i pugni. –Ho
tentato, ma ho sbagliato strada. Perciò adesso basta. Basta
a te e ai tuoi dipinti. Da domani in avanti varcherai la soglia di
questa casa esclusivamente per imparare il latino come si deve.
Così Bianca avrà la figlia che ha sempre
desiderato, Alessandra la sorella responsabile che le mancava. Oh,
nemmeno immagini quanta gente farai contenta. Ode alla nuova Arianna!-
mimò un ampio inchino.
Sembrava
diventato pazzo, pazzo di rabbia e pazzo di angoscia. Bastava guardarlo
per vedere come la linea della sua pazienza fosse stata passata da un
pezzo.
Arianna
indietreggiò, china, con le braccia strette attorno al
ventre che le doleva. Il luccichio delle lacrime le riempiva gli occhi.
-Mi
dispiace tanto…- singhiozzò. –Ho solo
pensato…-.
-Cosa?!-
sbraitò Guglielmo. –Pensato cosa?! Che il tuo
piccolo gesto insignificante sarebbe stata la prova mancante?! Un
coraggio da lodare! Spero che ti diano presto una medaglia, ma prego
perché quello stesso giorno io venga impiccato,
affinché non debba sopportare la vergogna di avere te come
figlia! Finalmente so cosa prova Bianca…-.
Le
gambe presero a tremarle, il suo peso raddoppiò nel giro di
pochi minuti. Arianna indietreggiò ancora, fino a trovare il
supporto della parete dietro di sé e appoggiarsi ad essa,
ansante per il dolore che le macinava l’anima come
l’ingranaggio di una tessitrice. Non sta dicendo sul
serio… Non può davvero pensare una cosa simile!
Non lui…
Ma a
poco a poco Arianna si rendeva conto che l’uomo davanti a lei
non era lo stesso che una mattina di primavera le aveva stretto la mano
su una panchina all’ombra di un salice, e l’aveva
accompagnata sulla soglia del più talentuoso artista
fiorentino.
-Ora
vattene,- sentenziò in fine, –ho altre faccende a
cui badare. Leonardo e la sua combriccola di amichetti non erano gli
unici sotto processo questa mattina. Ero a corte anche per tuo zio
Francesco, quando nella stanza accanto si disputava questa sciocchezza-
blaterò cercando carta e penna tra gli scomparti della
scrivania.
Arianna
non volle neppure mostrarsi tanto dispiaciuta per il famiglio dietro le
sbarre, ma cominciò a pensare che l’uomo nel suo
sogno di qualche notte prima potesse essere proprio lui.
-Credimi,
ho tentato… ma nessuno di noi due può andare
avanti con questa farsa- mormorò Guglielmo intingendo la
penna nell’inchiostro. –Spero che tu capisca almeno
ciò-.
Arianna
annuì e chinò la testa.
-Bianca
vuole vederti- disse a sorpresa Guglielmo cominciando a grattare col
pennino sulla carta. –Ti attende nel cortile esterno. Ha
chiesto di te appena è tornata dal Palazzo di suo fratello,
perciò immagino sia urgente. Meglio non farla aspettare-
pronunciò serio.
Arianna
non se lo fece ripetere e si avviò fuori dallo studio.
Richiudendosi la porta alle spalle, lanciò
un’occhiata nel corridoio e colse le figure di Cosimo e
Francesco, quest’ultimo seduto sul piedistallo di una statua
in marmo, e l’altro a passeggiare nervoso su e giù
sul tappeto. Il ragazzo balzò in piedi non appena la vide e
il fratello minore mosse un passo avanti, ma Francesco lo trattenne al
suo fianco.
Arianna
andò loro incontro silenziosamente. Non appena fu abbastanza
vicina, parlò a voce bassissima: -Potete andare- disse
sorridendo loro con gli occhi arrossati, -non mi accadrà
nulla di male. Per ora- specificò, alludendo
all’incontro con Bianca che l’aspettava nel
giardino.
Cosimo
si gettò ad abbracciarla forte. –Tu non hai fatto
nulla di male- la consolò.
Arianna
guardò confusa il fratello maggiore mentre si stringeva a
Cosimo con disperazione.
-La
notizia è arrivata in casa assieme a Bianca- disse
Francesco. –Il Gonfaloniere di Giustizia avrà tra
le mani il caso di nostro zio ancora per un po’. A
testimoniare ci sono anche gli Auditore, e la faccenda sembra seria.
Speriamo che il mal di testa passi a Lorenzo non troppo in fretta- fece
una smorfia.
-Quanto
seria?- domandò Arianna scostandosi dal fratello.
-Tanto.
Pensano sia una congiura- rispose Cosimo, spaventato.
-Ed
è vero?- insisté Arianna.
Francesco
si strinse nelle spalle. –E chi può saperlo?-.
-C’è
qualcosa che possiamo fare?- chiese lei.
-Noi?-
ridacchiò Francesco. –Scherzi, spero! Se proviamo
a metterci in mezzo, la corte a noi taglia la testa, poi Bianca gioca a
freccette coi nostri cadaveri. No grazie- sentenziò amaro.
Arianna
guardò prima uno poi l’altro fratello, e negli
occhi di entrambi colse quell’incertezza simile alla sua.
–Non possiamo starcene con le mani in mano…-.
-Tu sei
l’ultima che deve parlare- sbottò Francesco.
–La tua situazione è ben più precaria
di quella di nostro zio che rischia la forca-.
-Adesso
però devi andare- sottolineò Cosimo.
–Bianca…-.
Arianna
sospirò.
-In
bocca al lupo- le augurò Francesco abbracciandola a sua
volta.
-Crepi…-
brontolò lei asciugandosi gli occhi con una manica del
vestito. Anche se non
posso mica mandare a crepare mia madre…pensò
subito dopo.
-Tieni-
Cosimo le porse un fazzoletto che prese dalla tasca del giubbotto.
Arianna
lo accettò a capo chino e si avviò giù
per le scale con gli sguardi dei due a pizzicarle la schiena.
Vorrei
solo sapere come
andrà a finire questa storia… pensò
mentre traversava la soglia che conduceva ai giardinetti esterni. Si
asciugò le lacrime col fazzoletto di Cosimo e
cercò di darsi del contegno.
Una
guardia si fece da parte per farla passare, e la ragazza giunse alla
fontana in fondo al cortile. Là, su una panchina di pietra
in mezzo al verde di siepi, rose e margherite, sedeva la bella Bianca
de’ Medici, sola ad ascoltare il canticchiare degli uccelli
che avevano il nido sul cipresso di fronte.
Arianna
agirò l’albero e fu come trafitta dagli occhi da
gatto della madre che, voltando la testa tutt’altra parte, le
fece gesto di sederle accanto. Arianna acconsentì e, una
volta comoda, si stirò le pieghe sulla gonna. Tenendo le
mani in grembo e il mento affondato nel petto, ascoltò la
severa voce di Bianca infonderle freddo allo stomaco.
-Immagino
che Francesco e Cosimo ti abbiano già detto di tuo zio sotto
accusa…- scoccò un’occhiataccia alla
figlia. –Gli “affari” che condussero qui
lui e tuo cugino vanno ben oltre il matrimonio, come avrai appreso da
te-.
Arianna
annuì, e Bianca proseguì:
-Bene.
Perché le accuse sono vere- sospirò.
La
ragazza sobbalzò diventando un tutt’uno con la
pietra della panca.
-Certe
rivalità tra le famiglie del nostro tempo sono passeggere,
ma come si estingue un fuoco, il più meschino motivo ne
appicca un altro…- continuò la donna con una nota
d’amarezza. -Noi donne di corte abbiamo pochi, ma rigidi
doveri. Uno di questi è il matrimonio combinato, ma vi sono
anche la fedeltà e la giustizia a difesa della famiglia.
Quando si tratta di disputare l’onore del proprio casato, il
nostro seppur piccolo ruolo è di vitale importanza. Ecco
perché ti chiedo di tacere così come
farò io se Lorenzo, o chiunque in giuria, dovesse trarne
causa. Considerala come la redenzione ai tuoi peccati-.
Ora
capisco, credi di potermi ricattare così?!… Io
non dico a tutti che nostro zio è un assassino e progetta
una congiura, e tu in cambio non mi sbatti in convento?!
Grandioso…
Arianna
s’incupì.
-Giovanni
Auditore è l’incomodo
che intralcia la nostra nobiltà. Tuo zio e Vieri hanno
creato qualche scompiglio tra le nostre famiglie ciascuno a modo
proprio, ma mio fratello sembra essere molto legato a
quell’uomo, perciò non sarà facile
scongiurare Francesco dall’inchiesta. Ed è qui che
entri in gioco tu- disse volgendosi a guardare la figlia.
Arianna
era tesa come la corda di un violino. Il ricordo di Giovanni Auditore
dietro le sbarre, nel suo sogno, era sempre più vivido e
intenso, a ricordarle che il suo “seppur piccolo
ruolo” avrebbe potuto cambiare il corso della storia.
-Se
tutto andrà come deve, il processo di tuo zio
sarà rimandato alla prossima estate. Entro questo lasso di
tempo tu e Vieri vi sposerete, e con la scusa che dovrai trasferirti a
San Gimignano assieme a loro, Lorenzo sarà costretto a
chiudere la questione-.
Come
puoi fare questo a tuo
fratello?… si chiese Arianna accigliata,
guardando la madre negli occhi.
Bianca
sembrava così sicura di sé, ma allo stesso modo
celava una sorta di tristezza dietro quella maschera da nobile donna
politica che gli si addiceva parecchio.
-Non
sto tradendo la fiducia di mio fratello- tagliò corto Bianca
alzandosi, come intuendo i suoi pensieri. –Bensì,
proteggo la mia famiglia e l’uomo che amo, cosa che tu, da
quanto dimostrato, non hai fatto-.
Tra
me e te
c’è una sola grande differenza, strega!
Pensò Arianna incrociando le braccia al petto, osservando la
madre avviarsi sul selciato che traversava il giardino. Io Vieri non lo amo! Indugiò
un istante, nel veder scomparire la figura di Bianca oltre la soglia
del palazzo. Ma in
convento non ci voglio andare…
Nell’aria
si sentiva già il profumino del pranzo.
-Giovanni
Auditore! Voi e i vostri complici siete stati accusati di tradimento!
Avete delle prove da presentare a vostra discolpa?-.
-Sì!!
I documenti che vi sono stati consegnati la notte scorsa!!-.
-Ehm…
temo di non sapere nulla di tali documenti!-.
-Sta
mentendo!-.
La
mattina seguente, molto presto, Arianna era nella sua stanza a
disegnare su un quadernetto quando sentì bussare alla porta.
La ragazza scostò i fogli da davanti al naso e li nascose
sotto una pila di altre carte, poi si volse sulla sedia e si fece
attenta. –Avanti- pronunciò incerta.
La
soglia si schiuse lentamente e il volto comparso dalla fessura che si
creò bastò a riempirle il cuore di angoscia e di
gioia allo stesso tempo.
-Leonardo!-
lo riconobbe lei scattando in piedi all’istante e lo
salutò con un inchino. Solo allora si accorse della figura
di Viviana alle spalle del ragazzo, perciò si diede un
contegno. Una volta mostrata la camera della giovane Pazzi
all’ospite, però, la serva si dileguò
per il corridoio lasciando i due soli in stanza.
L’artista
azzardò un mesto sorriso e mostrò cosa portava
con sé sotto braccio. –Avete dimenticato questi in
bottega, l’altro dì- le venne incontro porgendole
i volumi. –Se Zoroastro si accorge che sono sgattaiolato
fuori dal letto a riportarveli, per me è la fine-
ridacchiò.
La
ragazza afferrò i libri e se li strinse al petto.
–Come avete fatto ad entrare?- mormorò a bassa
voce. In casa Pazzi doveva farsi ancora la colazione!
-La
vostra ancella stendeva il bucato quando mi ha visto discutere con le
guardie. Ha interceduto per me ascoltando le ragioni che mi portavano
da voi, ed eccomi qui- sorrise.
-Siete
stato molto gentile- constatò Arianna posando i volumi sul
tavolo, ma nel farlo rovesciò in terra molti dei fogli
sparsi disordinatamente sul ripiano. Si chinò par
raccogliergli e Leonardo si apprestò a darle una mano, ma
non appena l’occhio dell’artista cadde su un
disegno in particolare, la sua mano si allungò ad
afferrarlo.
-No, vi
prego!- sobbalzò ella stappandoglielo dalle dita.
Leonardo,
in equilibrio sui talloni, inarcò un sopracciglio.
–Cosa stavate disegnando di tanto scandaloso?-
domandò ilare.
-Nulla
che possa interessarvi- disse schiva rialzandosi e raggruppando le
carte più ordinatamente.
-Non
siatene così certa, mostratemelo- rise lui.
-Non
è il caso, davvero- insisté la ragazza
richiudendo i disegni in un cassetto, dopodiché si frappose
tra la scrivania e Leonardo.
-Bene;
allora, il mio dovere è concluso- arrise il ragazzo
levandosi il capello con un lento gesto. –Vi auguro una buona
giornata-.
Perché
mi da del
“voi”? si chiese Arianna con
tristezza. –Aspettate!- scattò in avanti e lo
fermò prima che potesse aprire la porta ed uscire. Appena si
volse, Arianna si gettò ad abbracciarlo dolcemente. Si
strinse a lui posando la guancia sul suo petto, potendo quasi sentire
il colpo che perse il cuore di lui nell’accorgersi di un
gesto tanto improvviso.
-Non
posso salutarvi così. Probabilmente questa è
l’ultima volta che ci vediamo- mormorò lei.
-Oh, io
ne dubito- ridacchiò Leonardo scansandola un poco da
sé. Quando i loro volti furono l’uno di fronte
all’altro, Arianna alzò gli occhi nei suoi, ma
Leonardo si adombrò.
-Cosa
vi è successo al viso?- domandò accigliato
sollevando una mano e carezzandole la guancia.
Arianna
rabbrividì. Proprio là dove due dita di Leonardo
le sfioravano la pelle, suo padre aveva inferto un duro colpo al suo
corpo e al suo spirito.
-È
stata Bianca?- chiese serio Leonardo.
La
ragazza scosse la testa. –Se mia madre avesse fatto questo,
non farebbe così male…- sussurrò
muovendo un passo indietro. Le sue parole nascondevano in
realtà un secondo fine, non legato solamente alla forza
bruta di suo padre, ma anche alla cicatrice che portava in cuore.
Leonardo
parve stupito. –Guglielmo?- formulò, e Arianna fu
costretta a tenere il silenzio. –Non avrebbe dovuto alzare le
mani su di voi: come padre e uomo politico non è ha
l’autorità- sbottò l’artista.
-Vi
prego, non mettetevi contro di lui- gemé Arianna.
-Non
è mia intenzione, ma…- esitò
sistemandosi il berretto sui capelli. Fece un gran respiro per
calmarsi. –Per quel che valete, non dovrebbe trattarvi in
questo modo- ammise sincero.
Arianna
stirò le labbra in un sorriso commosso.
Leonardo
si riscosse. –Dunque,- si schiarì la gola,
–spero di vedervi passare davanti la mia bottega uno di
questi giorni- proferì un leggiadro inchino e prese congedo
così, non essendoci bisogno di altre parole.
Arianna
lo guardò lasciare la stanza così
com’era comparso, col sorriso sulle labbra e il portamento
tranquillo. Si affacciò in corridoio e seguì il
suono dei suoi passi sulle scale, poi le voci concitate di alcune
guardie che si accorgevano di lui e gli facevano qualche domanda.
Arianna incrociò le dita e, quando la voce di Viviana si
aggiunse a quella dei due armati, seppe che la sua preghiera era stata
esaudita.
Traversò
la stanza come una freccia, balzò seduta sul davanzale e si
affacciò dalla finestra scansando le tende.
Leonardo
lasciava il palazzo in quell’istante preciso sotto i raggi
dorati del sole, si fermò e sollevò la sua
attenzione verso la finestra che sapeva appartenere alla stanza della
sua ex allieva. Accorgendosi di Arianna che gli sorrideva da attraverso
i vetri, fece un gesto con la mano come saluto e la ragazza
ricambiò. Dopodiché Arianna seguì la
sua ombra tra quelle della gente sulla via, finché le fu
possibile.
In
camera apparve Viviana che le si avvicinò posandole una mano
sulla testa. Le carezzò i capelli con dolcezza e
seguì lo sguardo di Arianna che si perdeva tra la folla.
-Un
giorno lo rincontrerete- pronunciò soave la serva.
Lo
so… e lo vorrei
tanto, pensò Arianna con un triste sorriso
sulle labbra.
Angolo
d'Autrice.
Questa volta non ho
molto tempo per quest'angolo d'autrice. Spero che
non me ne vogliate per così poco. Ultimamente sono carica di
lavori fino alla punta dei capelli. E non si tratta solo di scuola. Con
la testa sono già a ben altre 3 long fiction su Assassin's
Creed, una delle quali, per chi sa di cosa parlo, sarà il
seguito di Always
Changing - Il Passato nel Presente, con tema Ezio Auditore
nei panni di Desmond Miles come "travestito"! XD I dettagli a
prestissimo.
Ora fuggo, ringraziando
di cuore i recensori del capitolo precedente
sperando che anche questo sia stato di vostro gradimento. ^^
Ancora non ci credo
*ç* la mia scrittrice preferita di
questa sezione è tornataaaaaaaaa
Ave Saphy
*inchino alla giapponese + saluto romano*
|
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Capitolo 17 *** La fine dell'Inizio ***
La fine dell'Inizio
Due
settimane dopo…
Pioveva.
Pioveva nei giardini, pioveva nelle strade, pioveva sui tetti. La gente
si rifugiava in casa fuggendo dalla pioggia che sfogava dopo un lungo
aprile di belle giornate e caldo afoso. La tempesta era arrivata quella
mattina dal nord e si era fermata per qualche tempo sulle pendici degli
Appennini, ma non aveva osato nulla, nemmeno uno sbuffo. Dopo il calar
del sole, però, una folata di vento dell’ovest
aveva spazzato le nuvole verso Firenze, e ora la burrasca si abbatteva
sulle imposte degli edifici e sui vetri decorati delle chiese, con
violenza inaudita. Ogni tanto tuonava qualche lampo, e il cielo
balenava di bianco, mentre la corrente sbatteva sulle grondaie e
fischiava nel legno della sua stanza.
Arianna
era rannicchiata sotto le coperte del letto, stretta al suo cuscino con
gli occhi sgranati. Non era la tempesta a spaventarla o disturbarle il
sonno, bensì la data del matrimonio, fissato
all’indomani.
Figuriamoci
se Bianca rimanda i
festeggiamenti per quattro gocce! Sbuffava la ragazza
guardando la pioggia picchiare i vetri della finestra. Se ne uscirebbe sicuramente con
una frase del tipo “sposa bagnata, sposa
fortunata!”…
Arianna
non voleva in nessun modo accettare quella verità che le
stava attanagliando lo stomaco ogni minuto sempre più
dolorosamente. Ancora qualche ora e sarebbe stata legata a Vieri per
sempre. Ma lei non lo voleva, ed era ben intenzionata a far
sì che questo non accadesse.
Quella
sera stessa, dopo cena e poco prima di coricarsi, lei e Guglielmo si
erano incontrati nel salone d’ingresso. Lui indaffaratissimo
a discutere con il vecchio Jacopo, lei di strada verso la sua stanza
seguita costantemente da Viviana.
Quando
gli occhi del padre e della figlia si erano incrociati, non
c’era stato bisogno di dire nulla. Sia il nonno che la serva
li avevano lasciati soli nel salone, e anche le guardie si erano
allontanati andando a pattugliare un’altra ala del Palazzo.
Statici
a guardarsi intensamente, con mille parole ancora da dirsi, Arianna e
Guglielmo erano rimasti allungo immobili. L’uomo con
l’espressione severa e aristocratica di chi ha appena
concluso un colloquio con sua Altezza il Papa, la ragazza con le spalle
rigide e le braccia lungo i fianchi, stretta nel suo vestito sfarzoso
da giovane dama, del quale si vergognava immensamente.
Guglielmo
aveva mosso un passo verso di lei, uno solo, ma Arianna era fuggita via
non di corsa ma quasi. Quel silenzio le era bastato, era stata la
conferma alle sue paure, la prova che la certificava come unica
giocatrice ad una partita di scacchi, nella quale il re era spacciato
in partenza.
Giunta
nella sua camera senza alcun seguito, si era spogliata con furore
dell’abito lasciandone ciascuna parte in terra. Gonna e
corpetto sul pavimento, avrebbe voluto camminarci sopra se solo nella
camera non fosse improvvisamente comparso suo fratello Cosimo.
Il
ragazzo si era avvicinato a lei e, sobbalzando per un medesimo tuono
della tempesta, si era chinato a raccogliere ciò che la
sorella aveva seminato con tanto disprezzo in terra. Aveva riposto con
cura tutto quanto nei cassettoni. Aveva guardato la sua e
l’immagine della ragazza riflesse nello specchio, poi si era
voltato col viso tutto un blocco.
-Non
guardarmi anche tu così- aveva gemuto lei. Nascondendosi il
volto tra le mani, si era seduta sul letto non riuscendo più
a stare in piedi.
Cosimo
le era andato vicino, l’aveva abbracciata, e Arianna aveva
iniziato un altro pianto, identico ai tanti già fatti in
passato.
Sarebbe
stato inutile lamentarsi ancora, Arianna lo sapeva, ma quella scomoda
realtà la stava distruggendo, e presto, se fosse rimasta a
guardare e subire senza far nulla, l’avrebbe uccisa.
Devo
andarmene… aveva
pensato guardando suo fratello uscire dalla stanza, aiutata la sorella
a stendersi e rimboccatole le coperte. Sì, devo andarmene!
Ma dove…? E con quel pensiero aveva sentito le
lacrime pungerle di nuovo gli occhi.
Fuggire.
Fuggire era l’unico modo per imbracciare le redini della
propria vita e farne ciò che voleva. Avrebbe lasciato la sua
famiglia, vissuto in strada se necessario, ma nulla, nemmeno
l’amore dei suoi fratelli e la consolazione di Viviana
l’avrebbe tenuta inchiodata lì tanto allungo da
prendere Vieri per marito.
D’un
tratto, dopo un medesimo lampo in cielo, la pioggia sembrò
acquietarsi. Le gocce continuavano a picchiettare sui vetri della
finestra, ma non forte come prima.
È
un segno… devo farlo adesso!
Scansò
le coperte da sé e scivolò fuori dal letto caldo.
Si vestì sobriamente, anzi, di veri stracci, e
trovò nell’armadio la mantella col cappuccio nero
che cercava. Mise ai piedi le scarpe più comode, degli
stivali da equitazione magari, e preparò una borsa con gli
effetti personali: qualche penna, un pennello, china, matita, carta, il
suo quadernetto e alcuni dei suoi disegni preferiti. Fece tutto in
fretta e furia, con un tetro silenzio tutt’attorno da mettere
i brividi. Si era fermata solo per guardare il testo sulla mitologia
comprato assieme al bracciale per sua madre. Erano lì, a
portata di mano, e Arianna fissò allungo prima uno, poi
l’altro preziosissimo oggetto.
Alla
fine decise di portarli con sé entrambi, sia il testo del
Poliziano e sia il bracciale, che mise nella sacca assieme ad un
vestito pulito e della biancheria.
Prima
di uscire, lanciò un’occhiata fuori dalla finestra
e vide la strada deserta battuta da una pioggia leggera. Qualche
guardia pattugliava l’ingresso del palazzo, ma Arianna non
sarebbe certo passata da quella parte. Piuttosto allungò la
sua attenzione oltre i tetti neri e le chiese della città,
spaziò con lo sguardo nella notte oscura e tenebrosa che
aveva avvolto Firenze in una cortina di pericoli e insidie. Prima di
tutte, l’influenza, poi gli ubriachi, i soldati, i ladri, i
mercenari… e che dire delle “gran
signore” che avrebbero potuto confonderla per una di loro?
Prese
con sé dei Fiorini d’argento che teneva in un
cofanetto sulla scrivania e li infilò nelle tasche dei
pantaloni. Già,
per la prima volta ho messo i pantaloni! Rise Arianna. E non sono neanche
miei… si disse pensando a Francesco che
sicuramente si sarebbe accorto di averne nei cassetti un paio in meno.
La
vera
domanda di Arianna era più che altro un’altra:
dove andare?
La
prospettiva di vivere in strada era assai rischiosa, e le
possibilità di incontrare un’anima pia pronta ad
accoglierla in casa si dimezzavano se Arianna aggiungeva alla fuga
disperata il proprio nome di famiglia altolocata. Se voleva restare
nell’anonimato doveva, innanzitutto, perdere la propria
identità. Cosa facile, si disse la ragazza.
Guardò
un cassetto preciso del mobile sotto lo specchio, dove Cosimo aveva
posato i suoi vestiti, e lo aprì. Cercò tra i
vari oggetti di cura femminile e finalmente trovò quel che
cercava. Si servì dei bordi del cappuccio, che si
calò sul volto, per dare una forma e una lunghezza regolare
ai capelli. Dopodiché, con lo specchio dinnanzi,
tagliò.
Raccolse
le ciocche dal pavimento e le gettò nel caminetto della
stanza. A lavoro concluso si sistemò meglio il cappuccio a
coprirle il volto e lasciò la sua camera a piccoli passi.
Una
volta in corridoio, guardò prima da un lato poi
dall’altro e si diresse silenziosa come un gatto verso le
scale. Il tappeto lungo il corridoio attutiva i suoi passi
già leggerissimi, e per un istante ebbe la certezza che ce
l’avrebbe fatta. Non appena fu sul pianerottolo del primo
gradino, lanciò un’occhiata al cortile
d’ingresso e lo vide deserto e illuminato dal flebile
chiarore di due bracieri, posti ai lati del portone chiuso.
Nessuna
guardia, bene…
sospirò Arianna. Scese tutte le scale e fece per traversare
l’androne, ma nel gesto sconsiderato di voltarsi indietro,
intravide una figura alta e scura, immobile, sull’apice delle
scale.
Si
fermò nel mezzo del salone d’ingresso irrigidendo
ogni parte di sé. Un brivido le corse lungo la spina dorsale
quando si accorse che l’uomo sull’alto della scale
non era altri che suo padre.
Guglielmo
restò immobile nella sua posa più fredda.
Guardava la figlia dall’alto con una scintilla di furore
negli occhi. Arianna tentò di indietreggiare, mostrando
più chiaramente la sua intenzione di fuggire, ma quando si
accorse che Guglielmo non fece o disse nulla per fermarla,
restò ancor più intontita.
Quegli
occhi verdi seri e comprensivi le davano il consenso, il permesso di
andare, e da una parte le promettevano complicità e
silenzio.
Arianna
indietreggiò ancora nel salone, trovandosi quasi con le
spalle al portone d’ingresso. Si appoggiò ad esso
con una mano, ma lanciò subito un’occhiata alla
sua destra, dove l’attendeva il corridoio buio che
l’avrebbe condotta là dove aveva intenzione di
arrivare. Guardò un’ultima volta sulle scale, ma
il cuore perse un colpo quando vide che suo padre era sparito, dissolto
nel nulla, accompagnato dal rombo di un tuono.
Era
rimasta sola, sola con sé stessa e il suo piano di fuga, sul
quale Guglielmo avrebbe taciuto.
Grazie…
pensò
incamminandosi nell’oscurità del corridoio. Ci rivedremo, gli
promise scostando il tessuto di un pregato arazzo, dietro il quale era
nascosta una stretta e bassa porticina.
La
pioggia, seppur leggera, cominciava a ferire il tessuto della
mantella. I suoi passi veloci tuonavano sulla strada attutiti dal
crosciare ticchettante delle gocce. Le botteghe erano sprangate, i
vicoli bui e le imposte alla finestre chiuse. Per Firenze vagavano solo
cani e gatti spelacchiati e tutti fradici che cercavano riparo sotto
tettoie di case o ceste e barili per la via. Il tetto di
nuvole sopra la città era nero e gonfio di pioggia che
sicuramente non avrebbe cessato prima di qualche ora ancora.
Arianna
si stringeva nel mantello con le spalle rigide e la schiena travolta da
brividi continui, uno dietro l’altro. Il freddo le pungeva la
pelle e a breve ci si sarebbe messa anche l’acqua del
maltempo.
Giunta
nel quartiere di San Lorenzo, aveva già in mente da tempo
dove andare e puntava spedita in quella direzione. Traversò
tutta Piazza della Signora non senza lanciare un’occhiata da
sotto il cappuccio all’impalcatura per le esecuzioni
pubbliche, trovandola stranamente non occupata.
La
ragazza si fermò nel bel mezzo del piazzale, fissando il
palco e i cappi vuoti scossi ogni tanto dalla pioggia. Era certa di
aver fatto un sogno in cui…
Probabilmente
doveva rimangiarsi tutto come sempre, e fece proprio così
riprendendo la sua strada.
Bussò
due colpi abbastanza forti, ma il rombo di un tuono squassò
il cielo e l’aria attorno all’ingresso della
Bottega di Leonardo, coprendo qualsivoglia altro suono. Fu costretta
allora a bussare di nuovo, ma il gesto si accompagnò ad uno
starnuto poco rassicurante. Il freddo ormai le mangiava la carne sulle
braccia e sulle gambe. L’acqua aveva penetrato il cappuccio e
le fradiciava i capelli, piatti sulle guance bianche. Bussò
ancora, ma cominciando a temere che il suo maestro non fosse in casa,
fece un passo indietro. Si diresse così nel cortile accanto
all’edificio e non le fu difficile individuare la finestra
della stanza di Leonardo. Afferrò un ciottolo da terra e lo
scagliò contro le imposte di legno. Lo schianto produsse un
ticchettio abbastanza secco e sonoro. Arianna attese qualche secondo,
ma si costrinse a tentare un secondo lancio.
Avanti,
dannazione!
Starnutì. Svegliatevi,
svegliatevi!!! -Leonardo!- chiamò scagliandone
un terzo. Dio, dammi la
forza! O almeno sveglia ‘sto razza di…
Afferrato
un quarto sassolino, la finestra si aprì, ma il ciottolo
volò oltre le imposte dentro la camera.
L’artista
aprì gli occhi d’un tratto catturato da un suono
secco e improvviso. Sollevò un poco la testa dal cuscino e
si guardò attorno sbattendo le palpebre alcune volte. La
stanza era buia e fuori la pioggia picchiava sulle imposte chiuse.
Leonardo credé di aver assecondato la propria immaginazione
e fece per rimettersi a dormire, ma qualche secondo dopo quel suono si
udì ancora, e così scattò
sull’attenti. Liberò il braccio che circondava il
collo di Zoroastro e si mise seduto sul letto che i due amici
condividevano. Voltò leggermente il capo verso Tommaso e lo
vide dormire nudo e sereno sotto le coperte, certamente incurante del
fastidio dell’altro.
Leonardo
tese le orecchie e ascoltò in silenzio.
Il
misterioso oggetto colpì ancora l’imposta alla
finestra, e fu allora che l’artista balzò in
piedi. Era scalzo, o meglio, completamente nudo, e certo non saltava
dalla gioia pensando di dover guardare fuori con una tempesta del
genere. Scansò le tende, aprì i vetri e schiuse
le imposte.
Il
quarto ciottolo gli fece il filo all’orecchio e si
schiantò sul pavimento lasciando una piccola scia umida. Una
ventata fredda penetrò nella stanza, e Tommaso si
rigirò nel letto dalla parte opposta infagottandosi nelle
coperte con un mugolio. Leonardo, nel frattempo, guardò
giù e, non potendo credere ai suoi occhi, riconobbe subito
la sua allieva.
-Disgraziata…
Arianna!- chiamò, e tra sé e sé
pensava già: Non di nuovo!…
La
ragazza era coperta da una mantella scura col cappuccio, portava una
sacca a tracolla e lasciò andare dalla mano un quinto
ciottolo.
-Voi
ve
li cercate proprio i malanni!- digrignò Leonardo a bassa
voce, tentando di non infastidire il suo compagno, anche sapendo che
sarebbe stato inutile.
Arianna
non disse nulla, piuttosto si limitò a fissare il suo
maestro con occhi che parlavano da soli.
Leonardo
si irrigidì. –Presto, venite
all’ingresso- pronunciò con tono più
alto. Si allontanò dalla finestra e cominciò a
vestirsi il più in fretta possibile.
Tommaso
si svegliò a poco a poco. –Che fai?- chiese
sbadigliando. Guardò l’amico infilarsi i
pantaloni. –Fa freddo- aggiunse poi lanciando
un’occhiata alla finestra aperta.
-Presto,
Zoroastro, alzati, rivestiti e accendi una candela- ordinò
Leonardo allacciandosi la camicia. –Abbiamo ospiti-.
-Ospiti?!-
eruppe Tommaso, interdetto. –Stai scherzando, spero! Saranno
sì e no le tre del mattino!-
Leonardo
gli scoccò un’occhiataccia gettandogli addosso e
con violenza i suoi vestiti. –Fallo e basta- disse uscendo
dalla stanza.
Arianna
attese non più di un minuto sull’ingresso della
bottega. Sempre più infreddolita e bagnata nella sua
mantella, aveva trovato rifugio sotto il portico davanti alla porta.
Leonardo
venne ad aprire e rimase a guardarla per qualche secondo. Poi,
riscuotendosi dai suoi tormenti, la prese sottobraccio facendola
entrare nella bottega.
Si
accomodarono nella grande stanza che ospitava le tele e le invenzioni
del suo maestro, Arianna si guardò attorno catturando con
gli occhi quanto poteva, pur di bearsi di nuovo di quel luogo che le
era mancato tanto.
-Sei
tutta bagnata, è meglio che ti togli questo di dosso- disse
Leonardo aiutandola a svestirsi della sua mantella.
-Grazie…-
mormorò flebile lei, tremando.
Sulle
scale apparve Tommaso, che si avvicinò ai due portando con
sé una candela. –Arianna?!- si stupì il
ragazzo.
La
Pazzi lo salutò con un timido cenno della mano.
Non
appena il chiarore della candela le fu abbastanza vicino, entrambi i
due giovani si paralizzarono a fissarla sgomenti.
-Perché?-
domandò Leonardo disorientato e dispiaciuto. Le prese una
ciocca di capelli, ora corti e bagnati, e se la rigirò tra
due dita.
Arianna
chinò il capo tremando per il freddo che le mangiava le
ossa. Non riuscì a trattenere uno starnuto.
Leonardo
scoccò un’occhiata all’amico
lì accanto, che era esterrefatto tanto quanto lui.
–Accendi il camino- disse a Zoroastro, portando Arianna sotto
braccio verso il caminetto della stanza.
Tommaso
si limitò ad ubbidire e, chinandosi davanti al camino, si
aiutò ad accenderlo con la candela e qualche vecchio pezzone
di carta e legna.
Nel
frattempo Leonardo fece sedere la ragazza sulla poltrona vicina e le
mise la mano sulla fronte. –Ci mancava solo la febbre-
proruppe dopo qualche istante.
Grandioso…
pensò Arianna con altrettanto sconforto.
Leonardo
si chinò in ginocchio e le sfilò gli stivali dai
piedi. –Mi raccomando, con calma, eh!- sbottò
rivolto a Tommaso che ancora non era riuscito ad accendere il fuoco.
-Un
attimo, un attimo!- strillò l’altro avvicinando la
candela alla carta. Questa prese fuoco all’istante, ma prima
che attizzasse il legno ci sarebbe voluto qualche altro minuto.
Arianna
si lasciò spogliare dei vestiti fradici da Leonardo non
senza arrossire. L’artista le sfilò la casacca e
le slacciò il corpetto. Mise il tutto ai piedi del camino,
il cui calore, una volta acceso, avrebbe asciugato.
A
guardarla con addosso solo i pantaloni fino al ginocchio e la camicia
di suo fratello Francesco, Arianna pareva un maschio, pensò
Leonardo soffermandosi sulla capigliatura corta della ragazza, tagliata
sommariamente. Aveva il volto pallido e sciupato oltre che la fronte
bollente e tremori in tutto il corpo.
Finalmente
il camino prese, e per la bottega buia si diffuse il chiarore rosato
delle fiamme. Tommaso si rialzò in piedi soddisfatto, non
senza sgranchirsi la schiena. Si voltò verso
l’amico, sbadigliando.
-Che
bravo, ora va’ ad accendere quello nella nos…
nella mia stanza- ordinò Leonardo avvicinando al camino la
poltrona sulla quale sedeva la ragazza.
Mentre
Arianna si beava di quel calore lungo le gambe e le braccia, Tommaso
salì le scale con la candela borbottando qualcosa.
-Butta
giù una coperta!- chiese inoltre Leonardo, e qualche istante
più tardi, dal pianerottolo delle scale, venne
giù il piumino. L’artista lo afferrò al
volo e infagottò la sua allieva con premura.
-Grazie…-
mormorò nuovamente lei, debole, sforzandosi di sorridere.
Leonardo
avvicinò alla poltrona uno sgabello e sedé
accanto alla ragazza. –Forza, ora dimmi- pronunciò
serio sia in voce che in viso.
Arianna
si adombrò e spostò la sua attenzione sulle
fiamme scoppiettanti del camino. Il riflesso dorato del fuoco irradiava
quell’angolo della bottega allungando la sua e
l’ombra dell’inventore sul pavimento, mentre il
calore la cullava attraverso una coperta già calda.
–Domani mi sposo- disse semplicemente. Ma non voglio…
aggiunse col pensiero.
Leonardo
si accigliò. –E credi che ammalandoti Bianca
rimandi i festeggiamenti?- chiese non senza ironia. –O hai
solo tentato di suicidarti?- rise.
-No-
proruppe lei contegnosa. –‘Sta volta sono fuggita
davvero- aggiunse guardando il suo maestro negli occhi, sperando che
questi comprendesse quali fossero le sue intenzioni senza bisogno di
altre parole. Mentre attendeva una sua risposta, Arianna trattenne il
fiato.
Leonardo
sospirò e guardò il camino a sua volta. Il
silenzio piombò a mattone nella bottega.
Sì,
ha
capito… pensò Arianna imitandolo.
-Padre!-
strilla un giovane uomo in cappuccio bianco.
Il
Gonfaloniere, nella sua nobile tunica marrone, indica tra la folla.
-Laggiù! Prendete il ragazzo! È uno di loro!-.
-Ti
ucciderò per ciò che hai fatto!- il ragazzo si
divincola a mali gesti dai due soldati che tentano di afferrarlo.
-Guardie!
Arrestatelo!- sentenzia in fine il Gonfaloniere Umberto Alberti.
Un
canto di campane, lame estratte, grida di orrore e disperazione.
Tra la
gente è il panico, per Firenze il caos.
Angolo
d’Autrice:
Ecco
la grande “stupidaggine” di Arianna, ovvero
ciò che cambierà da oggi in poi il corso della
sua vita. La fuga di casa era inevitabile. Essendo Arianna un mio
tipico personaggio oppresso e interiormente ribelle, ho pensato che
fosse l’unica soluzione plausibile ai suoi mali. La visione
in corsivo alla fine l’ha durante il sonno di quella notte.
Nel prossimo capitolo anticipo che, per quanto sarà breve,
accadrà un altro fatto molto importante a discapito della
protagonista, ma non solo. Con questo post i miei capitoli pronti si
riducono a sette, perciò regolatevi voi XD
Ora
attendo avidissima i vostri commenti *w*
Con
un grazie speciale a
Goku94
Elkade
Renault
LullaCullen
^^
Il vostro sostegno è molto importante per questa fan
fiction.
Allora
a presto °O°
Elik.
|
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Capitolo 18 *** Il più bel fanciullo e Caterina da Vinci ***
Il
più bel fanciullo
e Caterina
da Vinci
Il
mattino dopo…
La
città era nel tumulto delle ricerche. Pattuglie di guardie
armate correvano per le strade, uomini a cavallo smontavano di sella e
bussavano ad ogni porta di Firenze. Il sole alto nel cielo azzurro
annunciava una magnifica giornata di primo maggio, ma non poi tanto
allegra per chi, come Bianca de’Medici, aveva perduto la
figlia. La gente bisbigliava spaurita al vedere passare i soldati
gridando: “Cercate al ponte! Guardate nel
magazzino!”. Si era sparsa la voce che Arianna de’
Pazzi fosse stata rapita, e non fuggita di sua volontà. Le
donne e gli uomini erano ancor più spaventati di
ciò, e si rintanavano in casa aspettando che le guardie
bussassero alla loro porta chiedendo della giovane promessa.
Tommaso
guardava chiudere le botteghe e partire i contadini coi loro carri
verso la campagna, come in fuga. Il Masini era in strada a comprare il
pane caldo per la colazione, e pagava in quell’istante due
Fiorini al fornaio, ma l’uomo, nel vedere chiudersi porte e
finestre delle case e tanta gente barricarsi in salone, diede il pane a
Tommaso senza ritirare il denaro e gli chiuse bottega davanti.
Zoroastro
aveva in una mano il pane caldo e nell’altra i due fiorini.
Attonito, non poté credere nel vedersi venire verso un
battaglione di guardie.
-Voi,
messere!- chiamò il bruto, ma parlò il generale:
-La
dama Arianna de’Pazzi è scomparsa la notte scorsa.
Sapete nulla?- gli chiesero.
Tommaso,
ad occhi sgranati e stringendosi il pane al petto, scosse la testa
tremando.
I
soldati corsero via e bussarono all’ingresso di una bottega
vicina. Il Masini camminò sulla strada del ritorno a grandi
passi veloci.
-Leonardo!-
gridò Tommaso entrando in bottega e sbarrando la porta alle
sue spalle. Gettò il pane sul tavolo accanto e
strillò di nuovo il nome dell’artista: -Leonardo!
Leonardo!-. Col fiato corto per la corsa e il cuore a pulsare
così forte nel petto da far male, Tommaso si
appoggiò al corrimano delle scale.
L’inventore
apparve sul pianerottolo del gradino più alto e si
affacciò di sotto. –Che ti gridi, Zoroastro?!
Arianna sta dormendo!- sibilò quello.
L’altro
ansimava. –La città è nel caos,
Leonardo… stanno cercando… Arianna. Le guardie
pattugliano le strade, pensano che… sia… stata
rapita-.
L’artista
s’irrigidì, ma prima che potesse aggiungere
dell’altro, sentì qualcuno tentar di forzare la
serratura della porta.
I due
amici sobbalzarono per lo spavento, ma poco dopo udirono bussare con
prepotenza e una voce grossa ordinare: -Per ordine della Guardia
Fiorentina! Aprite questa porta!-.
Tommaso
e Leonardo si scambiarono un’occhiata allarmata.
–Prendi tempo!- sussurrò quest’ultimo
correndo in corridoio e lasciando il Masini da solo in bottega.
Zoroastro
si volse lentamente verso la porta, col corpo tutto un tremare.
–Aprite ho detto!- bussò con rabbia la guardia, e
il mago sobbalzò di nuovo. –A-a-a-arrivo, solo un
secondo!- balbettò.
Leonardo
giunse in stanza, spalancò le tende sgarbatamente e
svegliò Arianna distesa sul materasso e infagottata nel
piumino. La luce penetrata all’improvviso le fece male agli
occhi e, per abituarsi, la giovane Pazzi dovette tenerli chiusi qualche
istante e riaprirli a poco a poco. –Che succede?- chiese
flebilmente quando Leonardo l’aiutò a mettersi
seduta sul letto. La febbre era aumentata, ma non c’era tempo
da perdere, si disse lui vestendo frettolosamente la sua allieva con la
camicia e i pantaloni, ora asciutti.
-Le
guardie della tua famiglia ti stanno cercando- spiegò
Leonardo allacciandole strettissimo il corpetto. Alla ragazza si
mozzò il fiato, ma in compenso il seno era tanto piatto da
sembrare che non l’avesse. –Mi dispiace che debba
andare così, ma se vuoi salvarti dal matrimonio con tuo
cugino, questo è l’unico modo- aggiunse
l’inventore con una nota amara nella voce, facendole
indossare un giubbetto da uomo che pescò tra i vestiti di
Tommaso.
Arianna
non capiva, la testa le scoppiava e il mondo attorno a sé
vorticava senza freno in tutte le direzioni. Quando Leonardo la fece
alzare per allacciarle i pantaloni, la ragazza crollò
sull’artista priva di equilibrio. Leonardo la strinse forte
avvertendo il bollore della febbre di lei, così calda da
scottarlo sulla propria pelle. Rimise seduta la sua allieva e
lasciò sbottonati pantaloni, ma poiché le
andavano larghi, riuscì a fermarli con una cinta.
Dopodiché si chinò in ginocchio e le
infilò il primo paio di scarpette basse che trovò
sparse per la stanza. A cose fatte, si caricò la dama
sottobraccio e la spostò dal letto alla sedia vicino alla
finestra. La fece sedere e le mise un libro in mano.
–È questione di minuti, devi resistere-
mormorò guardandola negli occhi.
Arianna
non aveva neppure la forza di tenere il libro sollevato dalle
ginocchia. Adagiata come una marionetta sulla sedia, si
sforzò di assumere una posa convincente al suo ruolo di
giovane garzone.
Leonardo
si allontanò di qualche passo e ammirò
l’opera conclusa, senza però accorgersi di un
essenziale dettaglio mancante. Si guardò attorno e
individuò un berretto blu ciano, in perfetto accordo col
giubbotto che Arianna indossava. Prese il cappello dal cassettone e lo
sistemò con delicatezza sul capo della sua allieva.
-Il
più bel fanciullo che abbia mai dipinto…-
assentì quasi commosso.
Arianna
sollevò il mento leggermente e, con gli occhi lucidi e
arrossati, mostrò un timido sorriso verso di lui, pur non
capendo cosa stesse succedendo e perché Leonardo
l’avesse vestita in quel modo.
Si
udirono dei passi pesanti sulle scale e il clamore
dell’acciaio di un’armatura. –Vi prego,
parliamone! Mettetevi comodi, gradireste una tazza di tè,
una fetta di torta, del pane?! L’ho comprato questa mattina,
è ancora caldo!- Tommaso tentava disperatamente di
intralciare il cammino dei soldati. Questi erano in quattro, due dei
quali rimasti a pattugliare il pian terreno dell’edificio.
L’agile e la sentinella, invece, erano saliti dalle scale e
si sparpagliarono per le varie stanze. L’agile si
avventurò in soffitta, mentre la sentinella entrava nella
camera di Leonardo e sorprendeva un giovanissimo e piccolo garzone,
solo, a leggere un libro vicino alla finestra. La sentinella
passò oltre senza indugiare, ma Tommaso, invece di seguire
la guardia verso l’altra stanza, si soffermò a
guardare il fanciullo domandandosi chi diavolo fosse.
La
sentinella entrò in cucina ma la lunga stecca
dell’alabarda urtò sbadatamente un contenitore in
ceramica di farina, che andò a frantumarsi in cento pezzi
sul cotto del pavimento.
Tommaso
sobbalzò e corse in quella direzione. Nel frattempo
l’agile tornò dalla soffitta e si unì
al compagno. –Di sopra è vuoto- spiegò
alla sentinella.
-Anche
di sotto- aggiunse una terza guardia venuta dalla bottega assieme alla
compagnia.
Il
Masini entrò in cucina e si mise le mani nei capelli quando
vide la farina rovesciata in terra. –Ma che demonio!-
imprecò.
Il
generale a capo del battaglione spostò altrove la sua
attenzione. –Messere, siete voi il proprietario della
bottega?- chiese rivolto all’uomo seduto a capo del piccolo
tavolo, consumando normalmente la sua colazione.
Leonardo
si tolse di bocca il biscotto di grano ancora intero e
guardò prima una, poi tutte le guardie con finto stupore.
–Temo di sì- disse amaro volgendo in fine
un’occhiata a Zoroastro. Questi aveva preso la scopa e
iniziato a raggruppare cocci e farina da una parte, borbottando.
-La
figlia di Guglielmo de’Pazzi e Bianca de’Medici
è stata rapita ieri notte. Con sé ha i suoi
effetti personali, e Guglielmo teme che i rapitori possano essere
interessati ai dipinti di ella che, in parte voi e in parte la bottega
di Messer Andrea del Verrocchio, custodite. La Signoria di Firenze ve
ne sarebbe grata se contribuiste alle ricerche prima che la situazione
precipiti in mani nemiche alla corte- annunciò rigoroso il
generale.
-Farò
tutto ciò che è in mio potere per riportarla a
casa- Leonardo annuì convinto.
Le
guardie tutte presero congedo così, salutando il grande
artista con un cenno del capo a mo’ d’inchino.
-Tommaso,
accompagna i signori alla porta- ordinò
l’inventore attirando gli occhi dell’amico su di
sé.
Zoroastro
appoggiò la scopa alla parete e fece loro strada fino
all’ingresso della bottega, senza mai voltarsi indietro.
Il
padrone di casa, appena fu solo in cucina, scattò in piedi e
si fiondò nella propria stanza. Trovò Arianna
seduta vicino alla finestra esattamente come l’aveva
lasciata. Ma lo sguardo di lei non era più sulle pagine del
libro, bensì fuori dai vetri, oltre i tetti della
città, a spaziare per le caotiche strade affollate di uomini
armati e a cavallo. Ipnotizzata dal clima di agitazione, tensione e
paura che si viveva nel quartiere, la ragazza si lasciò
sfuggire di mano il libro, che scivolò sulle sue ginocchia
finendo in terra. Firenze tutta la stava cercando, e chissà
per quanto tempo Bianca non si sarebbe data pace, sapendo la sua figlia
promessa rapita e dispersa…
Leonardo
si avvicinò a lei con piccoli passi silenziosi. Abbastanza
vicino, si chinò a raccogliere il libro dal pavimento e lo
ripose sullo scaffale assieme agli altri. Arianna si volse verso di lui
lentamente, giusto un attimo prima che questi l’afferrasse
sotto le ginocchia e dietro la schiena caricandosela in braccio con
delicatezza. Arianna, sentendosi mancare la terra sotto i piedi, si
avvinghiò al collo del suo maestro e chiuse gli occhi,
mentre il mondo attorno a lei riprendeva a vorticare impazzito.
Leonardo
l’adagiò dolcemente di nuovo sul letto, prima
seduta poi distesa. Le tolse scarpe, cappello, giubbetto e corpetto
infagottandola poi nelle coperte ancora calde.
-Ora
potrai finalmente riposare in pace- ridacchiò
l’artista sprimacciandole il cuscino e sistemandola
più comoda.
-…Grazie-
mormorò flebile la ragazza, priva di forze.
L’ultima percezione fu la fredda mano di Leonardo a
carezzarle la guancia bollente.
L’inventore
uscì dalla camera richiudendosi la porta alle spalle. In
viso aveva una triste smorfia di tormento, e questo Tommaso lo
notò subito quando vide l’artista entrare in
cucina. Leonardo tornò seduto al tavolo con un sospiro, di
fronte alla sua tazza e al suo biscotto di grano. Ebbe solo il tempo di
lasciarsi andare sullo schienale che Zoroastro finì di
raccogliere cocci e farina gettando il tutto nella pattumiera.
Posò la scopa da una parte e prese posto accanto
all’amico.
-Come
sta?- domandò il Masini a voce bassa.
-La
febbre è salita- dovette ammettere Leonardo dando una
schicchera ad una mollica sul tavolo.
-Però
ce la farà, vero?- insisté Tommaso, ansioso.
Leonardo
non rispose subito, incerto. –Chiamare un medico sarebbe la
cosa migliore…-.
-C’è
mancato poco che le guardie non la riconoscessero guardandola di
sfuggita, figuriamoci il dottore che dovrà visitarla!-
obbiettò il Masini.
L’artista
gli scoccò un’occhiataccia. –Non un
medico qualunque, Zoroastro, bensì qualcuno di cui mi fido
ciecamente e so che manterrà il segreto-.
-Chi?-
chiese Tommaso, e Leonardo cacciò un nuovo sospiro.
-Non la
conosci, sarebbe inutile parlartene-.
Il mago
si accigliò. –È una lei?- eruppe
nervoso.
L’inventore
inarcò un sopracciglio, sorpreso della sua reazione.
–Perché, c’è qualche
problema?- ridacchiò. –Cos’hai contro le
donne, si può sapere?-.
-Non ho
nulla contro le donne, Leonardo,- biascicò quello, -solo
m’infastidisce che tu ne conosca così tante-.
Leonardo
appoggiò i gomiti sul tavolo e carezzò con una
mano la ceramica della tazza di tè, ormai freddato, che
aveva di fronte. –Mi piaci quando diventi geloso- sorrise.
Tommaso
sobbalzò sulla sedia e arrossì visibilmente.
–Non sono geloso!- sbottò.
-Certo,
certo, ma tornando a noi: per incontrare questa persona devo lasciare
la città- disse serio l’artista.
Il
Masini parve confuso. –Dove andrai?-.
-A
Vinci- spiegò Leonardo guardando l’abisso scuro
dentro la tazza; l’infuso era rimasto immerso
nell’acqua troppo allungo.
Tommaso
tacque assorto, sapendo bene che quel villaggio era la patria del suo
compagno. –Ebbene?- formulò vedendo
l’inventore alzarsi di tavola e avviarsi in corridoio.
-Se
parto subito sarò di ritorno ‘sta notte, ma devo
affidarti Arianna. Pensi di essere all’altezza di penderti
cura di lei?- chiese Leonardo mentre l’amico gli camminava
affianco. Si fermò di fronte alla porta della sua stanza e
si voltò.
Zoroastro
si passò una mano tra i capelli. –Non lo
so… è troppo rischioso, le guardie potrebbero
tornare ed io… da solo, con lei… è una
responsabilità enorme, non oso immaginare cosa ci farebbero
se scoprissero… non lo so, non lo so davvero, Leonardo-
ammise sconfitto, guardando l’altro negli occhi.
L’artista
gli strinse le spalle. –Sarò più veloce
del vento, non avrai neppure il tempo di vedermi partire, te lo
prometto. Arianna ha bisogno di te,- fece una pausa, -io ho bisogno di
te- si corresse subito dopo.
Tommaso
lanciò un’occhiata fuori dalla finestra infondo al
corridoio. –D’accordo- sospirò,
sopraffatto da un incerto senso del dovere.
Leonardo
lo abbracciò forte. –Grazie, grazie mille, amico
mio-.
-Vuoi
che ti prepari qualcosa da portar via?- gli chiese Tommaso
all’orecchio. –Il viaggio potrebbe farsi lungo a
stomaco vuoto- suggerì.
Leonardo
non riuscì a trattenere una risatina. –Te ne sarei
grato-.
Le
guardie di pattuglia venute in bottega avevano messo sottosopra tutto
il piano inferiore dell’edificio, setacciando inutilmente gli
angoli più piccoli e stretti dell’ampio stanzone,
arrampicandosi sulle impalcature, se necessario, e frugando dietro le
casse piene di tele bianche. Tommaso aveva trascorso la giornata intera
a rimettere ordine, solo soletto, nel tetro silenzio di una casa che
sembrava vuota senza il suo carissimo compagno. Da quando si erano
conosciuti, pensava Tommaso mentre spazzava per terra, lui e Leonardo
non si erano mai dovuti salutare per separarsi con una tale distanza.
C’erano state le volte in cui lo aveva accompagnato a
Careggi, le altre che gli aveva fatto visita dal Verrocchio. Ma mai era
successo che l’uno stesse tanto lontano dall’altro.
Ogni
tanto il Masini saliva le scale e andava a trovare l’allieva
del maestro, controllando la temperatura e rinfrescandole il viso con
una pezzetta umida, che poi le lasciava posata sulla fronte bollente
così da alleviarle un minimo di sofferenza. Arianna dormiva,
dormiva profondamente ma non senza agitarsi sotto le lenzuola per
quanto il sonno veniva disturbato dalla febbre.
Quando
fu ora di pranzo, Tommaso preparò un caldo brodino per la
malata e lo portò su un vassoio sino nella stanza. Lo
posò sul mobiletto e sedette sul letto accanto a lei, che
lentamente aprì gli occhi.
-Buongiorno-
salutò il Masini con un sorriso forzato. In
realtà era teso e nervoso come un insetto sul dito di un
uomo, che sta lì a domandarsi se verrà
schiacciato o risparmiato dallo stesso.
Arianna
sorrise a sua volta con sincera armonia, e il viso le si
irradiò di una luce tutta nuova.
-…’giorno- mormorò.
-Fame?-
le chiese garbato.
La
ragazza annusò l’aria e riconobbe il profumo della
minestra che poi, voltandosi, vide poggiata sul comodino.
–Sembra buona- scherzò allegra.
Tommaso
l’aiutò a mettersi seduta. –Ti senti
meglio?- domandò anche sfiorandole la fronte con la mano. La
temperatura era quella di sempre, bollente, ma la ragazza sembrava
già più in forze.
Arianna
però scosse la testa. –Vorrei rimettermi a dormire
il prima possibile…- disse flebilmente.
Tommaso
annuì triste e le sistemò il vassoio in grembo.
-Dov’è
Leonardo?- volle chiedere la Pazzi impugnando il cucchiaio.
Tommaso
s’irrigidì al sentirsi porgere quella domanda.
Guardò la ragazza che attendeva una risposta e gli si
spezzò di nuovo il cuore come quando aveva visto Leonardo
uscire dalla bottega con mantello e bisaccia.
-È
andato a cercare una persona- spiegò sfuggente Tommaso.
Arianna
parve confusa. –Una persona? Chi?-.
-Una
sua conoscenza… un dottore, una donna che può
visitarti- disse alzandosi.
-Capisco…-
mormorò lei rigirando il brodo col cucchiaio nella scodella
di legno. –E quando tornerà?-.
Tommaso
si fermò sulla soglia stringendosi nelle spalle. Si
voltò e scosse la testa. –Non so- ammise grave
uscendo dalla stanza.
Arianna
mise da parte il piatto con tutto il vassoio che non aveva finito il
brodo. Si crogiolò nelle coperte e si girò verso
le finestre poco nascoste dalle tende. Ammirando la Firenze cittadina
ancora un continuo tumulto per via delle ricerche, Arianna si
sentì attanagliare il petto da uno spregevole presentimento,
nonostante il bel tempo.
La
tempesta è
passata… ma i guai sono appena cominciati…
pensava triste, ricordando i tanti sogni fatti in quelle ultime notti.
Da una parte avere la febbre era un immenso sollievo, Arianna ne era
grata, perché teneva lontane visioni e fantasie di quel
genere tanto odiato e temuto. Dall’altra, però,
era un dolore atroce alle tempie, alle ossa del corpo e al cuore.
Arianna era tanto in pensiero anche per il suo maestro, così
alla mercé del primo soldato che avrebbe potuto fargli
qualche domanda di troppo e insospettirsi non poco.
Non
appena Tommaso rientrò in stanza per prendere il vassoio,
Arianna lo assalì con una domanda ancor più
pungente.
-Quando
smetteranno di cercare?…-.
-Probabilmente
mai- borbottò Tommaso seguendo lo sguardo di lei fuori dalle
finestre. –Pensano che tu sia stata rapita, perciò
Bianca non si darà per vinta molto presto-.
Arianna
sobbalzò. –Rapita?! È
impossibile!…- si posò una mano sulla fronte
stirandosi i capelli all’indietro. La testa prese a girarle
per l’improvvisa sorpresa. –Mio padre…
mi ha vista lasciare il palazzo! Non può aver confermato una
simile versione dei fatti…-.
-Cosa?!-
Tommaso per tanto così non lasciò cadere il
vassoio. Osservò Arianna allungo senza parole e ad occhi
sgranati. –Guglielmo sa che sei qui?!- eruppe spaventato.
-Potrebbe
sospettarlo…- assentì lei. –Ma fin ora
si sono presentate solo le guardie, no? Quindi non
c’è alcun rischio! Se avesse saputo…-
eppure c’era un’altra verità ancor
più sconcertante alla quale Arianna stentava di credere.
Mio
padre mi ha vista
fuggire… ma non mi ha fermata… pensò
con gli occhi tutti un colore.
Era
notte fonda e per Firenze le guardie andavano ancora di corsa, portando
con sé le torce, ma la novità erano i cani.
Questi abbaiavano inseguendo l’odore della Pazzi per le
strade, ma era del tutto inutile perché la pioggia caduta
durante la fuga della ragazza aveva coperto ogni puzza o profumo. Sotto
un manto di stelle e un cielo senza nuvole, Leonardo giunse alla
bottega seguito da una seconda figura coperta di mantello e cappuccio
come lui. L’artista bussò un colpo, due, e poi
Tommaso Masini venne ad aprire accogliendoli entrambi nel salone.
Zoroastro si affacciò fuori di un pelo e, controllando che
nessun cane li avesse seguiti, richiuse e sprangò bene la
porta.
Leonardo
lasciò cadere il cappuccio sulle spalle e si
frizionò un po’ i capelli piatti attorno al viso.
La dama dietro di lui fece altrettanto, ma non senza aggiustarsi dietro
le orecchie le ciocche color miele e avorio, fuggite al nastro della
cipolla. Il viso era quello di una gran donna, fino, pulito, ma la
carnagione abbronzata e gli occhi azzurri erano tratti somatici di
altri mondi. Nel complesso era bellissima, magra, slanciata e nemmeno
troppo alta, ma vestita sobriamente, senza fronzoli e gioielli e di una
certa età avanzata, probabilmente sulla quarantina
d’anni.
Quando
Zoroastro diede luce alla stanza con una candela, non poté
astenersi dal notare gli stupefacenti caratteri dell’ospite.
-Tommaso,
voglio presentarti Caterina- Leonardo prese la mano della donna e
l’accompagnò di fronte al suo amico.
-Madonna
…- balbettò questi inchinandosi profondamente.
-Incantata,
ser, ma bando alle ciance: portatemi da lei- disse la dama, la cui voce
armoniosa e dal latente accento straniero era profonda, dolce e
autoritaria al tempo stesso.
-Certamente,
venite- Tommaso le indicò le scale e si avviò per
primo. Caterina, tenendo sollevati i lembi della gonna, salì
un gradino alla volta seguendolo col mantello ancora addosso. Leonardo
chiudeva la fila, e si avviò con loro in corridoio.
Leonardo
accompagnò dolcemente la porta della stanza, dentro la quale
aveva lasciate sole Arianna e Caterina. Alle sue spalle, Tommaso era
teso come una corda di violino e attendeva in mezzo al corridoio
torturandosi una pellicina del dito. Si gettò ad abbracciare
l’amico d’un tratto, lasciando Leonardo in un
iniziale stato di stupore, poi anch’egli lo strinse forte a
sé.
-Tutti
quei cani per le strade… ho temuto il peggio-
mormorò il Masini all’orecchio
dell’altro.
-Hai
mantenuto la lucidità nonostante il pericolo, te ne sono
grato. Arianna ‘sta sicuramente meglio di come l’ho
lasciata alla partenza- lo rasserenò l’inventore.
-Non ha
mangiato molto a pranzo- ammise triste Tommaso. –Mi ha
chiesto quand’è che smetteranno di cercarla,
ebbene ora io lo chiedo a te-.
Leonardo
si stanziò da lui per guardarlo negli occhi.
–Questa è l’unica cosa che non posso dar
certa, Tommaso, dato che non prevedo il futuro-.
-Ma
forse lei sì…-.
-Come
dici?-.
Tommaso
fece un gesto con la mano per scacciare pensieri vani e superstiziosi.
–Nulla, non far caso a me… sono solo molto stanco
e questo mi porta a farneticare-.
-Allora
va’ a riposarti- gli suggerì Leonardo con
dolcezza. –Veglierò io su Arianna fin quando
Caterina avrà finito di visitarla, tu hai già
fatto abbastanza-.
-Sei di
ritorno da un viaggio senza soste! Dovresti essere tu quello
necessitante di riposo- obbiettò il Masini.
-Non
posso darti torto, sai? Ma io non voglio che ti affatichi
ulteriormente, perciò va’!- lo spintonò
via sino nella stanza accanto, quella degli ospiti.
-Aspetta-
Tommaso piantò i talloni sulla soglia. –E la tua
bella Caterina dove passerà la notte? Non dirmi che
tornerà a Vinci tutta sola e col freddo- eruppe.
-Non
preoccuparti e dormi! Buona notte!-.
Tommaso
fece per ribattere, ma Leonardo gli chiuse la porta in faccia.
L’artista
attese paziente e con le braccia conserte fuori dalla stanza offerta
alla dottoressa e alla sua paziente fino a notte inoltrata. Leonardo
aveva il mento affondato nel petto, le braccia conserte, i capelli a
nascondergli tutto il viso e le gambe accavallate nel gesto di stare
appoggiato alla parete. Il silenzio era assoluto e per le strade ora
correvano molte meno guardie.
Uscendo
dalla camera, Caterina lo sorprese mezzo addormentato e lo
svegliò con una carezza affettuosa. Il giovane artista
sollevò il volto d’un tratto, sorpreso di vedersi
la dama tanto vicina. Si mise composto col peso su entrambe le gambe e
sciolse le braccia lungo i fianchi. –Allora?- chiese in ansia.
-Non
è grave, state sereno- sorrise Caterina. –La
pressione del sangue è alta e costante. Il cuore batte forte
come i tamburi dell’Africa- spiegò con tono
profetico.
-Ed
è un buon segno?- chiese l’inventore, confuso.
-Chiedete
proprio voi, Leonardo, che con i vostri studi approfonditi potreste
essere il migliore dei medici e degli scienziati- ridacchiò
la donna. –Quel che mi preoccupa non è il corpo,
ma la mente. Sta soffrendo molto, quando una ragazza della sua
età non dovrebbe- pronunciò a voce bassa e
profonda.
Leonardo
chinò il capo afflitto. –Lo so bene-
mormorò triste, ma Caterina gli sollevò
delicatamente il mento con due dita, incatenando gli azzurrissimi occhi
dell’artista nei propri.
-Siate
forte, impavido e coraggioso e lei lo sarà con voi. Siate
debole, accondiscendente e sottomesso al mondo, e lei lo
sarà con voi. Avverto il legame che vi unisce, ed
è insolito che la vostra natura ne risenta in questo modo-
sorrise beffarda.
-Arianna
è la mia allieva, oltre ad insegnarle ho un altro dovere
verso di lei: proteggerla- chiarì l’inventore.
-Ah,
credete davvero che vi abbia implorato lei stessa? O siete stato voi ad
influenzare la sua scelta?- domandò con malizia.
-Io? E
perché dovrei?- si stupì Leonardo. –Non
capisco nemmeno a cosa vi riferite- mentì.
La
donna mosse un passo indietro.
–D’accordo…- fece con malizia.
–Tornando a lei: qualche giorno a letto e ve la vedrete
saltare davanti sul finire della settimana, garantito-.
Leonardo
sorrise. –Ottimo, grazie mille Caterina-.
-È
davvero il minimo che possa fare per voi, Leonardo, credetemi- disse
avviandosi sulle scale.
-Vi
prego, non rimettetevi in viaggio da ‘sta sera! Restate,
abbiamo un letto in più- si offrì.
-Siete
molto gentile, ma ho già una sistemazione per la notte-
spiegò la dama arrivando sulla porta. –E
certamente non è mia intenzione privare né voi
né il vostro amico di un morbido materasso, quando ve lo
meritate entrambi-.
-Dove
andrete?- chiese Leonardo, arrivandole di fronte.
-Starò
da mia cugina, qui in città, ma probabilmente
ripartirò molto presto-.
-Perché?-.
-Voglio
lasciare Firenze il prima possibile. Solo conoscendovi rischierei di
attirarmi addosso colpe che non ho. Questa faccenda è molto
seria, più di quel che immaginate, Leonardo-.
-Ne
sono sapiente- ammise l’artista. –Ma vi prego, vi
imploro in ginocchio, anche sotto tortura non dite una parola-.
-Mai,
nemmeno di fronte a morte certa- pronunciò fieramente
Caterina. –Vi auguro ogni bene Leonardo, e che le nostre
strade, o i nostri malanni, possano incrociarsi ancora. Addio-
salutò.
Leonardo
aprì lei la porta. –Statevi sana, Caterina, e
grazie ancora, di tutto-.
La
donna si nascose nel suo cappuccio e sparì come
un’ombra nell’oscurità della notte.
Angolo
d’Autrice:
Eccoci.
Annuncio ufficialmente il VERO inizio della storia. Quel che
è stato fino ad ora può considerarsi un
luuuuuungo prologo o antefatto di quel che è realmente la ff
che, da un’idea generale, sarebbe dovuta partire direttamente
da qui, senza interventi nel presente o tutte quelle vicende tra
Bianca, Guglielmo & co.
Caterina
da Vinci è un personaggio poco noto nella biografia di
Leonardo. I dettagli sul suo personaggio più in
là, quando avremo modo di rivederla nella storia. ^^
Ma
bando alle ciance e spazio ai ringraziamenti: renault,
goku94, Elkade,
lullacullen!
Senza di voi, lo sapete, questa fan fiction
sarebbe già bella che defunta nel dimenticatoio delle
fiction inconcluse! XD
Epilogo
del capitolo: abbiamo visto un’Arianna travestita da
“fanciullo” e una curiosa dottoressa dai tratti
somatici un po’ orientali. Risultato: io so già
cosa accadrà di qui ai prossimi 5 capitoli, a voi non sta
altro che leggere! XD E ovviamente, se vi va (please *w*) renesire. ^^
A
presto!
Elik.
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Capitolo 19 *** Questione di abitudine ***
Questione di
abitudine
Venne la mattina di qualche giorno dopo.
L’allegro canticchiare di uccellini la risvegliò
dal sonno che si sentiva più lucida e in forze. Arianna
aprì gli occhi, e come prima cosa, mettendosi seduta e
snebbiandosi la vista, si chiese quanto allungo avesse dormito, se per
giorni e per ore, da quando Tommaso le aveva portato la minestra
l’ultima volta. Quel che aveva ben chiaro erano la fame a
brontolarle nello stomaco e la sete a grattarle la gola. Si
guardò attorno e riconobbe la solita stanza offertole da
Leonardo poco prima che crollasse svenuta davanti al camino, cosa che
era probabilmente successa, perché l’artista
l’aveva portata in braccio sino alle lenzuola mentre lei era
già incosciente. In breve Arianna ricollegò molti
dei vari e confusi ricordi degli ultimi giorni, dalla minestra di
Tommaso alla misteriosa donna che l’aveva visitata. In mente
aveva il suo volto come stampato da un timbro di cera sulla carta da
lettere. I suoi occhi azzurri luminosi al buio e i capelli color miele,
lisci, tenuti da un nastrino rosso in un’ordinata cipolla. La
forma del viso, la carnagione e la voce di altri mondi davvero, si era
detta nell’ascoltarla chiederle di sollevarsi la maglia,
così che potesse posare appena i palmi sulla schiena della
ragazza e ascoltarne il battere del cuore. Oltre alle colloquiali
richieste di un qualsiasi medico, la donna non aveva detto nulla,
nascondendole persino il suo nome.
Trascorse qualche minuto, forse
un’ora
buona, durante la quale Arianna ripensò più volte
all’accaduto di qualche giorno fa. Si torturava ancora sulla
propria fuga, domandandosi cosa avrebbero pensato di lei i suoi
fratelli, le serve e quindi Viviana, il nonno Jacopo, ma soprattutto
Bianca e lo zio Francesco. Aveva piantato in asso Vieri giusto la notte
prima di maritarlo. Arianna si disse che sarebbe stato di gran
più scena abbandonarlo in Chiesa, poco prima di raggiungerlo
sull’Altare. Fortunatamente non l’aveva fatto,
pensò, perché la pioggia non caduta non avrebbe
nascosto il suo odore ai cani che, l’indomani, le avrebbero
dato la caccia.
Ad alleviare i cattivi pensieri
c’era
il sollievo di una lunga influenza ormai passata, ma da un lato Arianna
se ne rattristava. Le visioni, le fantasie, quel che aveva compreso
essere il futuro, avrebbero ricominciato a tormentarla.
Si chiese più che altro se le
guardie
avessero finalmente smesso di cercarla.
Con quel timore a martellarle la tempia,
Arianna
scansò le coperte e scivolò fuori dal letto.
Posò i piedi scalzi in terra e, con addosso solo la
canottiera di seta bianca e i calzoncini a mezza coscia, si
avvicinò alla finestra. Scansò un lembo della
tenda e sbirciò oltre il vetro. Quel che vide fu una Firenze
tranquilla, botteghe aperte, strade armoniosamente affollate di gente,
menestrelli e poeti. Il cortile accanto all’edificio ospitava
un compatto stormo di passeri migratori, tutti a volteggiare e posarsi
sull’erba del giardino. Dinnanzi aveva il buon tempo di un
magnifico dì soleggiato e senza nuvole. La primavera,
armoniosa e bellissima, lo era ancor più se ci si svegliava
solo ora dalla febbre di inizio stagione, quando il corpo necessita di
abituarsi al nuovo equilibrio di profumi e calori.
-Arianna! Sei in piedi!-.
La ragazza si voltò di colpo e
vide
Zoroastro comparso dal nulla sulla soglia. Aveva la mano ancora posata
sulla maniglia, e gli occhi sgranati per lo stupore. I capelli
spettinati, la barba fatta e i vestiti puliti, impeccabile come sempre.
La ragazza gli andò incontro con
piccoli passi scattanti e lo abbracciò con gioia.
L’uomo, sorpreso dal gesto,
restò allungo perplesso. -Suppongo quindi che ti
senti…-.
-Meglio!- concluse Arianna con una risata
stringendosi a lui. –Ed è tutto merito vostro e
della vostra miracolosa minestra- aggiunse stanziandosi.
Tommaso rise a sua volta. –Ah!
Vallo a
raccontarlo a Leonardo che le mie verdure fanno miracoli!-.
-Anche se fosse lei a raccontarmelo, non ci
crederei. È una mia impressione o qualcuno si è
finalmente svegliato?-.
Arianna si stanziò da Zoroastro
lentamente, per vedere comparire il suo maestro sull’ingresso
della stanza. La ragazza gli giunse di fronte senza staccare gli occhi
dai suoi, con le guance arrossate.
Leonardo le sorrise sereno.
–Lieto di
ammirarti di nuovo a colori, Arianna. Era la prima volta che guardando
un volto bianco provavo paura e rigetto, cosa che non mi fu mai
successa quando studiai l’anatomia- disse con una nota
scherzosa.
La ragazza si avvicinò al suo
petto e
lo abbracciò. –Non me ne sarei mai andata proprio
ora che ho trovato un posto felice dove stare…-
mormorò commossa.
Leonardo la strinse a sé con
dolcezza.
–Io non l’avrei mai permesso in ogni caso-
ripeté con stesso tono.
-Un posto felice dove stare, dite voi, eh?-
borbottò Tommaso aprendo la finestra.
–È solo questione di tempo, Leonardo, e le guardie
ricominceranno a cercarla. Suo padre l’ha vista fuggire, sa
quindi che non può essere andata lontano. Torneranno, e
quando la troveranno, ci faranno impiccare a tutti e tre-
sbottò togliendo le lenzuola dal letto sul quale aveva
dormito la malata. Le sbatté sonoramente per poi gettarle in
terra assieme alla fodera del cuscino e del piumino, tutto da cambiare.
Leonardo e Arianna si scambiarono
un’occhiata allarmata.
-Davvero Guglielmo ti ha vista fuggire dal
palazzo?- chiese l’artista.
La Pazzi annuì.
-E non ha fatto nulla per fermarti?-
insisté l’inventore, confuso.
La ragazza scosse la testa stringendosi
nelle
spalle.
Leonardo guardò prima lei poi
l’amico, che nel frattempo aveva messo in una cesta le
coperte infette e si apprestava a portare il tutto fuori dalla stanza
col musone sulla faccia. –Resta qui- disse ad Arianna, che lo
vide seguire Zoroastro nel corridoio.
-Tommaso, cosa consigli di fare, dunque?
Buttarla
fuori e aspettare che Bianca se la mangi a colazione?- eruppe seguendo
il mago fino nella stanza da bagno.
Ignorandolo, Zoroastro rovesciò
il
contenuto della cesta nella vasca da bagno e aprì la
finestra, così che i germi non si depositassero nella
camera. I raggi dorati del sole, una folata di vento leggero e le voci
della gente riempirono casa a poco a poco.
-Tommaso, per Dio, perché non
capisci?
Arianna è al sicuro qui!- proseguì Leonardo,
disperato perché l’amico stava trasformando la sua
gelosia in una sorta di risentimento, ed era ben intenzionato ad
impedirlo.
Zoroastro non rispose, piuttosto si
ostinò nel suo silenzio a muso truce e si avviò
con la cesta vuota fuori dalla stanza da bagno. Traversò il
corridoio, passò la cucina, e Leonardo gli
camminò dietro fino nella stanza degli ospiti, dove lo vide
prendere delle nuove lenzuola da un cassettone dell’armadio.
-Ammettilo, ci stai pensando-
tentò
Leonardo guardandolo mentre rifaceva il letto della camera, nella quale
aveva dormito tutto solo le ultime notti. –Su, ammettilo-
insisté l’inventore notando una virgola perplessa
comparsa sul volto del compagno. –Tu vuoi che resti, ma hai
paura che possa diventare una minaccia. Non ci accadrà
nulla, te lo prometto. Che Dio mi fulmini se in me dimora il dubbio!
Zoroastro, ti supplico… ripensa a tutto quello che
t’ho sempre detto fin ora, alle promesse mantenute e quelle
infrante. Quante sono le une e quante le altre, eh? Conta, Zoroastro,
conta…-.
Il Masini tacque alcuni istanti ancora.
Finì di ripiegare le lenzuola e dispose il copriletto.
–Ho contato- biascicò immobilizzandosi, a cose
fatte, come una statua.
-Ebbene?- chiese Leonardo in un sussurro.
L’altro lo guardò
negli
occhi giusto un secondo, prima di chinare il capo un’altra
volta. Scosse la testa con una smorfia. -Stavo chiedendomi quale fosse
l’incantesimo che rifà magicamente i letti, se
finirò per doverne tirare su uno in più-.
Leonardo scoppiò in una gioiosa
risata. –Ah, ah! Lo sapevo, lo sapevo! Grazie, grazie amico
mio!- esultò andandogli incontro e abbracciandolo come un
pupazzo di pezza, quasi fino a stritolarlo.
Arianna guardava Firenze dalla finestra
quando
Leonardo e Tommaso tornarono da lei, sorprendendola coi corti capelli
al vento, ancora mezza nuda e appoggiata al davanzale.
-Per carità, Arianna, sei appena
guarita e già vuoi un altro malanno?- eruppe Tommaso andando
da lei e chiudendo la finestra non appena si fu scansata.
-Credo che un giorno o l’altro
fuggirai
anche da qui- ridacchiò Leonardo incrociando le braccia al
petto e scoccando un’occhiata eloquente alla sua allieva.
Arianna, in tutta risposta, stese le labbra in un sorriso.
-Allora posso restare?- chiese ad entrambi,
guardando prima uno poi l’altro.
Quelli si scambiarono uno sguardo complice
e
annuirono. Tommaso parlò per primo:
-Ad una condizione- disse, lasciando
interdetti
gli altri due.
-Cioè?!- domandò
Leonardo a
nome anche di Arianna.
-Purché questa resti comunque
una casa
di soli uomini- spiegò il Masini.
-In che senso?- chiese Arianna, confusa.
Zoroastro si avvicinò alla sedia
sulla
quale erano ripiegati dei vestiti, gli stessi che la Pazzi aveva
indossato per camuffarsi da garzone qualche giorno prima, ora puliti e
stirati. Con un gesto eloquente li mostrò al maestro
pittore.
Leonardo ci rifletté su.
–Non è una cattiva idea, anzi- commentò
di parte.
-Cosa? Quale idea? Di che state parlando?-
Arianna si mise seduta sul bordo del letto attenendo una risposta.
-Non vorrai mica che qualche guardia piombi
in
bottega per qualsivoglia motivo e ti riconosca, vero?- le
accennò Tommaso.
Arianna scosse la testa, vedendo Leonardo
avvicinarsi a lei. –Pensa cosa accadrebbe se un giorno il
Verrocchio venisse a farmi visita e ti trovasse qui. Sarebbe il
putiferio, anche se siamo buoni amici lo racconterebbe di sicuro a
qualcuno perché com’è fedele a me o a
Guglielmo, lo è anche al Magnifico- disse serio sedendole
accanto.
-Magnifico sta per Lorenzo, e Lorenzo sta
per
Bianca- concluse Tommaso.
-È una bugia troppo grossa per
poter
essere taciuta- aggiunse l’inventore.
–Finché si trattava di prendere lezioni
d’arte al Magnifico non doleva, ma sapendo che la vita di una
sua nipote è in mano a degli sconosciuti, come credi che
reagirebbe?- chiese alla ragazza.
La Pazzi chinò la testa
affondando il
mento nel petto. Ha
ragione… finché resterò qui
sarò condannata a mentire sulla mia
identità… pensò
guardando i vestiti da uomo ripiegati sulla sedia. E l’avevo sempre
sospettato, o non mi sarei tagliata i capelli prima di lasciare
casa… aggiunse.
-Con una simile acconciatura siamo
già
a metà strada- illustrò Leonardo prendendo tra le
dita due ciocche dei suoi capelli.
-Dobbiamo lavorare
sull’atteggiamento e
sulla voce- schernì Tommaso incrociando le braccia e
spostando il peso su una gamba.
-Forza, allora, rimbocchiamoci le maniche!-
scherzò l’artista alzandosi dal letto.
Mise Arianna nel centro della stanza e si
offrì così di vestirla, mentre il Masini fuggiva
in cucina a preparare il pranzo.
Leonardo le strinse il corpetto come la
volta
precedente, a tal punto da mozzarle il fiato.
-Eh, col tempo ci farai
l’abitudine… spero- ammise l’inventore
allacciando i nastri incrociati sulla schiena di lei, alla quale era
scomparso il petto da donna. Arianna, più che il seno, si
sentì rubare lo stomaco e tutti gli organi vicini ad esso.
Per nascondere le gambe fine, morbide,
magre e
dalla forma femminile, Leonardo scelse per lei una calzamaglia di
colore bianco e blu, che le faceva metà polpaccio di un
colore e metà dell’altro.
-Quanto ho dormito?- chiese lei.
-Sei rimasta a letto tre giorni, durante
due dei
quali non hai più aperto occhi. Devi essere molto affamata-
commentò l’artista infilandole, sopra al corpetto,
una morbida camicia di cotone leggero e un po’ sbiadito. Le
andava larga arrivando sino a metà coscia, ma nascosero i
bordi nel pantalone che Arianna aveva rubato a suo fratello, e che le
andava certo più giusto di quello pescato
dall’armadio di Tommaso. Ci volle poco per infilare i piedi
nelle scarpette basse e da bambino, le stesse di quella prima volta.
Sopra alla camicia, Leonardo le fece indossare il medesimo giubbetto
blu, e altrettanto fu la scelta del berretto, che le sistemò
in testa dopo averle scompigliato un po’ i capelli come si
addice ai maschietti di quell’età.
-Chi era quella donna?- domandò
poi
quando ebbe l’uomo davanti.
Leonardo l’accompagnò
dinnanzi allo specchio finendo di allacciarle la cinta sui fianchi.
–Di questo parliamo a tavola con Zoroastro- disse, mentre
Arianna seguiva ogni suo gesto con minuziosa attenzione e non senza
vergognarsene un po’. Leonardo le aveva carezzato la pelle
delle gambe infilandole le calze, le aveva messo le mani tra i capelli
pettinandola, e le aveva fatto mancare l’aria nel gesto di
stringerle il corpetto. Brividi continui le avevano traversato le ossa,
perché essere toccata da lui le piaceva e le rubava un colpo
al cuore tutte le volte. Arianna tentò comunque di restare
lucida, di godersi l’inizio di quell’avventura
tanto desiderata.
Leonardo finì di allacciare la
cintura
e l’accompagnò più lontana dallo
specchio, così che potesse guardarsi per intera.
-Che ne pensi?- chiese ammirandola.
Arianna era senza parole. –Sembro
mio
fratello Cosimo quand’aveva sette anni- commentò
in fine con una risata commossa. Con la manica della camicia si
asciugò la lacrima che le cadde sulla guancia, e Leonardo le
tornò vicino stringendola forte a sé per
confortarla.
Arianna si avvinghiò con le
unghie ai
suoi vestiti soffocando lì i singhiozzi.
-Col tempo ti abituerai anche a
questo…- le mormorò all’orecchio,
carezzandole la testa e lasciando che si sfogasse su di lui.
≈ ≈
Tommaso, Leonardo e Arianna si
ritrovarono seduti alla stessa tavola per l’ora del pranzo,
questi ultimi affamati a tal punto da finire addirittura tutta la buona
verdura preparata dal Masini.
-Eh, eh! Non c’era bisogno di
tanti
complimenti- disse Tommaso alzandosi e raccogliendo i piatti.
-Per Dio, tappati quella bocca e torna
seduto!-
eruppe Leonardo afferrandolo per la camicia e tirandolo giù,
di nuovo sulla sedia. –La questione è seria,
Zoroastro, dobbiamo fare di questa bella fanciulla il peggiore dei
ragazzacci- pronunciò scherzoso guardando Arianna, che gli
era di fronte e si rigirava il bicchiere nella mano.
Tommaso posò i piatti sul tavolo
sbuffando e si lasciò andare sullo schienale della sedia.
Lanciò un’occhiata alla ragazza e aprì
bocca per dire: -Forse se gli scolpissimo un po’ quel bel
faccino a suon di schiaffi, eh!-.
Arianna sobbalzò sulla sedia,
pallida.
I due ragazzi scoppiarono in una fragorosa
risata, complici. –Anche se continuo a pensare che non ti
farebbe male una bella lezione, bricconcella. Col cavolo che me ne
fuggivo di casa io, ai miei tempi- borbottò Tommaso mettendo
i gomiti sul tavolo.
-I “tuoi tempi”,
carissimo,
non sono più di qualche anno fa- lo rimbeccò
Leonardo. –Bello, è ancora bambino lui!-
scherzò prendendogli il viso nella mano.
Zoroastro si divincolò non senza
ridere e colorare le guance. –D’accordo, adesso
però restiamo seri, per favore. Avanti,- guardò
Leonardo, -dicci chi era quella bella Caterina-.
Arianna tese le orecchie sistemandosi
più comoda sulla sedia.
L’inventore chinò la
testa
da un lato inclinando lo sguardo. Le labbra gli si tesero in un mesto
sorriso, a metà tra il triste e il contento. –Era
la serva di mio padre quando vivevamo a Vinci- spiegò
semplicemente. –Fu la mia nutrice quando ser Piero prese la
seconda moglie e concepì i miei primi quattro fratellastri.
Io l’ho amata come una madre, e lei mi ha cresciuto come un
figlio- sospirò sereno e commosso.
-Wow…- esultò Tommaso
con
un filo di voce. –Questa storia si che è nuova! Da
dove salta fuori? Perché non mi hai mai parlato di lei?-
s’incuriosì.
-Perché non pensavo potesse
interessarti- ridacchiò Leonardo.
-Fatto sta che adesso le siamo tutti quanti
gran
debitori- biascicò Tommaso. –Se è quel
genere di donna che cercavamo, manterrà il segreto di
Arianna, ed è questo che conta- ne convenne.
Leonardo annuì.
–Assolutamente-.
-Bene- sospirò il Masini.
–Ora: mi permetti di sparecchiare o tenterai di strapparmi la
camicia di nuovo?- sbottò fulminando l’amico con
un’occhiataccia.
-Magari un’altra volta-
sghignazzò l’artista non senza un secondo fine.
Arianna arricciò il naso.
–Quindi… volete trasformarmi in un ragazzo?-
chiese a mezza voce.
-È più che
essenziale,-
indugiò Tommaso, -o almeno lo è se hai intenzione
di restare- aggiunse stringendosi nelle spalle e levandole il piatto
vuoto da sotto il naso. Nel far ciò scoccò
un’occhiata all’artista all’altro capo
del tavolo.
Questi sollevò il mento e si
volse
verso la sua allieva. –I vestiti ti vanno giusti- disse
riscuotendosi dai suoi pensieri, -ma non basta.
C’è bisogno che in caso di necessità tu
sia capace di modificare il tuo atteggiamento e, soprattutto, la tua
voce. Forza, fammi sentire cosa sai fare-.
Arianna arrossì
d’improvviso. Si sforzò di cambiare il proprio
timbro vocale sperimentando qualche parola a caso, lasciando Tommaso e
Leonardo soddisfatti al primo colpo. –Ottimo-
commentò quest’ultimo abbassandole la visiera del
berretto sugli occhi, per gioco. –Da oggi sarai il mio
garzone, allora-.
Arianna si tolse il cappello sistemandosi
una
ciocca dei corvini e corti capelli dietro l’orecchio.
–Ahimé, temo di sì…-
sospirò con scherzo.
-È deciso, dunque!- Tommaso
batté le mani, ora che sul tavolo non restava più
nulla a parte qualche briciola e i due amici seduti.
–Darò una pulita alla soffitta e la nostra ospite
vivrà comodamente appartata nei suoi alloggi privati-
sorrise alla dama.
Arianna si rimise il berretto.
–Certo!-
fece con voce da maschio.
-Nel frattempo, il mio nuovo garzone
farà la cortesia di accompagnare il suo maestro in una
salutare passeggiata- convenne Leonardo alzandosi dal tavolo e
avviandosi in corridoio.
Arianna, da ancora seduta,
guardò
sconvolta prima il suo maestro andar via, poi Tommaso, colpito quanto
lei. Questi si strinse nelle spalle non sapendo cosa
l’inventore avesse in mente, ma poi Leonardo tornò
indietro e si affacciò in cucina con
un’espressione confusa sul viso.
-Zoroastro, stamani che dì
siamo?-
chiese, perplesso.
Tommaso rispose senza neppure riflettere,
allucinato: -Venerdì, Leonardo-.
L’artista annuì
compiaciuto
e si volse verso Arianna. –Allora, andiamo?- la
chiamò.
La Pazzi scattò in piedi e
seguì il suo maestro in corridoio, poi giù per le
scale. –Che accade il venerdì?- domandò
quando furono sull’ingresso della bottega. Leonardo
aprì la porta e la mandò avanti, per poi
richiudersela alle spalle.
-Vi aspetto per cena!- gridò
Tommaso
affacciandosi da una finestra del piano di sopra.
-Sì, sì!- fece
laconico
Leonardo. -Vedrai- arrise poi alla sua allieva, incamminandosi tra la
gente a passo lento. Arianna, sospettosa ma più che altro
curiosa, salutò Tommaso affacciato al cornicione e
andò dietro a Leonardo tenendogli accanto.
Angolo
d’Autrice:
Qui, adesso, vorrei condividere con voi
questo
meraviglioso disegno
di Arianna fatto da Elkade,
che ancora ringrazio di cuore. *-* Ough… mi commuovo tutte
le volte che lo vedo ç__ç
Per quanto riguarda il capitolo, invece,
Tommaso
è il solito geloso, ma come appena accennato nel capitolo
precedente, il Masini sembra sapere qualcosa su Arianna che nemmeno lei
sa *muhahahahaha!*
:| Avverto che procederò
più lentamente con gli aggiornamenti perché i
sette capitoli in più che avevo fino ad una settimana fa si
sono ridotti a due *ehehe*. Contemporaneamente la scuola e i lavori di
recupero mi tengono sempre impegnata, per non parlare del mio ragazzo
che si lamenta dicendo che gli do poche attenzioni <_<
tsk! Ma guarda te… -.- e poi, dato che sto lavorando ad una
nuova ff su Dante’s Inferno (il videogioco) in collaborazione
con goku94,
sono tutta fomentata per le idee mozzafiato che mi trastullano in testa
dalla mattina alla sera. @__@
Cercherò ugualmente di dedicarmi
alla
bene e meglio anche a questa storia che, giunta a tal punto, se lo
merita. ^^
U.U Ringrazio tutti per i commenti al posto
precedente, sperando che questo sia stato altrettanto di vostro gusto.
Detto ciò, a presto! *saluta con
la
manina e un sorriso da idiota*
|
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Capitolo 20 *** Rinascere liberi ***
Rinascere
liberi
Il sole
del primo pomeriggio rischiarava le strade, i giardini, vetri di chiese
e armature di guardie.
Passeggiavano
l’uno affianco all’altra in silenzio e coi propri
pensieri già da un po’, essendosi lasciati la
bottega ormai alle spalle ed immersi nella caciara del Mercato Vecchio.
Arianna si guardava attorno sperduta e attenta, come se stesse
visitando Firenze per la prima volta. Si girava da parte a parte
incrociando gli occhi di tutti, percependosi osservata anche quando non
lo era. Con quei panni da uomo a coprire le sue forme femminili, si
sentiva un’altra persona, uno spirito incatenato ad un corpo
che non era il suo.
Ora
la gente non vede
più chi sono, ma cosa sono…
pensò a malincuore. Ovvero,
una povera anima come un’altra…
Il
corpetto, poi, le comprimeva il torace a tal punto da farle mancare il
fiato, trasformando ogni piccola azione in una grande fatica. Se doveva
dirla tutta, il seno cominciava a farle male sul serio e i pantaloni le
cadevano.
Chi
diavolo me l’ha
fatto fare?! Imprecava tirandosi su le braghe di tanto in
tanto, quando era certa che nessuno la guardasse, tantomeno Leonardo,
che le camminava davanti facendole strada tra la folla che animava il
quartiere del Mercato.
La
grande paura di Arianna, però, non era quella di restare
senza pantaloni da un momento all’altro, bensì di
vedersi venire incontro qualche guardia con un cane da caccia in grado
di riconoscere il suo odore.
Da
quando erano usciti di bottega, né lei né il suo
maestro avevano detto parola. L’artista passeggiava dritto
per la sua via, zigzagando con naturalezza tra la folla agitata che
veniva loro incontro, mentre Arianna, dietro di lui, era nervosa per il
rischio che aveva accolto a braccia aperte.
D’un
tratto Leonardo le comparve affianco, tenendo le mani giunte dietro la
schiena e camminando più lento. In viso aveva
un’espressione indecifrabile, un misto di serenità
e malinconia. Guardava davanti a sé senza fermarsi o
inclinare la testa da una parte, tutto assorto in chissà
quali pensieri.
Arianna
spostò involontariamente lo sguardo dai suoi occhi azzurri
alla sua bocca, sulle cui labbra c’era ancora il suo sapore,
poteva scommetterci. Il ricordo affiorò come un stiletto in
petto facendole ancor più male del corpetto, e
l’immagine, quasi fosse dipinta nella sua mente, trasse gli
artigli e cominciò a graffiarle la parete dello stomaco
volendo risalire fino alla bocca a suon di parole, e chiedere a
Leonardo se anche lui avvertiva quel dolore atroce.
Dopotutto,
la passeggiata era il primo respiro di sollievo dopo tante cose
accadute in fretta. Arianna era rinvenuta dal letto solo quella
mattina, e qualche sera prima, davanti al camino della bottega appena
fuggita di casa, non c’era stato né modo
né tempo per parlare, o anche solo accennare a tale spinoso
argomento, quale il loro bacio, la prova che aveva messo alle strette
la giuria di Firenze.
-L’altro
giorno, non ci crederai mai, ma ho incontrato tua madre-.
Arianna
dissipò il rossore delle guance e sobbalzò,
perché Leonardo, prendendo improvvisamente parola,
l’aveva spaventata a morte.
-B-b-bianca?-
balbettò, con stupore e il batticuore forsennato.
Il
chiasso della folla attorno nascondeva la loro più che
segreta conversazione. Leonardo annuì, continuando a
camminare col suo garzone accanto. –Era in compagnia della
tua ancella, la stessa che mi ha ricevuto quella volta…-.
-Viviana-
lo interruppe.
-Sì,
esatto, lei- convenne l’artista. –Ero in strada
come oggi, a passeggiare, e le ho vedute entrambe sedute su una panca
nella piazza che s’apre davanti la Santa Maria del Fiore. Era
il mezzodì, perché l’ombra del
campanile del Giotto non l’ho veduta proprio. Non ho osato
domandare cosa ci facessero là, volevo andarmene in
silenzio, ma in compenso la tua serva mi è corsa incontro
riconoscendomi e m’ha chiesto di te, sprovveduta ma
innocente-.
Arianna
s’irrigidì. –Cosa?…- chiese
esangue.
Leonardo
fu costretto ad annuire, non senza una smorfia. –Chiedeva di
te, come stavi, se la pioggia ti avesse recato malanno,
perché chi altri può conoscere meglio il tuo
fisico se non la donna stessa che più volte ti è
rimasta accanto in salute e in malattia?-.
-Così
Viviana sa tutto… E Bianca?- eruppe la ragazza. –E
voi? Cosa le avete risposto, di grazia?- la voce le stava tornando
stridula a poco a poco, e attirava gli sguardi della gente
più curiosa.
Leonardo
continuò a camminare senza fermarsi, finché non
giunsero sul lungarno della città e sostarono dove il
mercato aveva le sue ultime bancarelle, prima che la strada cadesse nel
fiume, trattenuta solo da un muretto. Il cielo era limpido, i gabbiani
danzavano chiassosi assieme ai colombi appollaiati sui tetti e sulla
via, attorno ad una vecchia che gettava loro briciole di pane secco.
-Fortunatamente
ho sviato l’argomento prima che Bianca capisse cosa la tua
ancella sapeva riguardo alla faccenda. Il fatto più truce,
però, è avvenuto quando mi è scappato
di bocca che neppure io, di conoscenza a te e tuo padre, avessi idea di
chi potesse averti rapita…- s’interruppe un
istante, lasciando correre lo sguardo lungo il fiume che tagliava la
solare città. –Prima il suo bellissimo viso si
è fatto bianco in onore del suo nome, poi ha mormorato il
tuo portandosi una mano alla bocca, e in fine… il lacrime,
davanti a me, alla vostra ancella e a tutta Firenze, come una donna
qualunque… Qualsivoglia parola avessi pronunciato per
rincuorarla, sarebbe stato del tutto inutile. Una figura tanto forte,
autoritaria e preziosa come la sorella maggiore del
Magnifico… in lacrime di pena per la sua figlia scomparsa.
Unica prova, questa, dell’amore che ha perduto, e di quel
cuore di pietra che le si è spezzato…-.
Ancora
poco e quella in lacrime sarebbe stata lei, Arianna, che
indietreggiò stringendosi il colletto della camicia.
Fissò allungo il suo maestro con gli occhi lucidi.
Era
bastato poco per dire tanto, e Leonardo questo glielo fece intendere
con un’ultima occhiata severa ma rammaricata.
La
ricca e potente Bianca de’ Medici si è piegata al
dolore della disperazione di fronte alla Firenze tutta, senza un minimo
di vergogna, non più.
Leonardo
riprese a camminare, ma si fermò poco più avanti,
ovvero di fronte ad un grasso venditore circondato da gabbie e
gabbiotti di varie grandezze. Arianna tacque e ammirò il suo
maestro avvicinarsi a quel pollame di colombi, piccioni, passeri e
uccelli dei colori più belli. Leonardo scambiò
due parole col mercante di pennuti e indicò una gabbietta
precisa. Arianna, troppo lontana per udire cosa si fossero detti,
vedeva muoversi le labbra dell’uno e dell’altro. Il
mercante rispose al muto quesito dell’inventore, ma fece in
fretta a riportare altrove la sua attenzione mentre Leonardo, con
estrema calma, si avvicinava alla gabbia e l’apriva.
Una
coppia di magnifici uccelli verdi, gialli e blu si librò
nell’aria con grande stupore sia di Arianna che del
venditore. Questi gettò da parte la contabilità e
andò incontro all’artista sbraitando collerico
almeno una decina d’insulti. Il pesante dialetto del sud non
sembrò comunque turbare l’inventore, che richiuse
la gabbia e si cacciò la mano nella tasca dei pantaloni.
L’uomo stava per dargli addosso col pugno chiuso, quando
Leonardo, sorridendo beffardo, gli mise davanti al naso un sacchetto
abbondante di monete.
-Erano
africani, valevano una fortuna, perché l’avete
fatto?- chiese Arianna, non senza stupore, sulla via del ritorno.
-Sono
io, piuttosto, che ti domando se sia giusto lasciarli prigionieri
dentro una gabbia. Non provi sentimento alcuno nel vederli in quello
stato?!- eruppe con furore.
La
cosa dei pennuti
dev’essere una questione delicata… si
disse Arianna, che con una domanda di così poco conto aveva
fatto agitare il suo maestro.
Leonardo
si riempì d’aria i polmoni e guardò a
terra. –Davvero non ho mai sopportato il commercio di
animali, quant’è vero che andando a caccia di
poiane il venerdì con mio zio Francesco, gliele facevo
scappare via tutte dalla mira, e così ser Piero mi metteva
in punizione…- ridacchiò. –Che
coincidenza spiritosa, dirai tu, ebbene lo penso anch’io.
Quel mercante di rari pennuti sale a Firenze da Napoli per il sabato
mattina e riparte all’alba del lunedì. Glieli pago
sempre gli uccelli che libero, ma vederli volare in cielo…
oh… non ha prezzo. Uscire da una gabbia è
ricominciare a vivere, o per essere più precisi, iniziarne
una nuova. La rinascita, ecco cos’è che non ha
prezzo. E poiché io ho ridato la vita a quegli animali, sono
libero di sentirmene padrone a mia volta-.
Arianna
restò affascinata da un tale discorso. Vedeva del buono e
del dolce nel cuore di Leonardo, ed era cosa rara per gli uomini.
Condivideva a pieno il suo pensiero, sentendosi già parte di
qualcosa di grande come la natura.
-Sono
altri gli animali che vi piacciono?- chiese, colpita.
-Ragazza
mia, io amo tutti gli animali! Dal più insignificante
insetto di strada,- si fermò e guardò a terra,
-al più spietato rapace in cielo- disse poi mirando in alto,
e in quell’istante volò sopra le loro teste un
falco pellegrino che diffuse il suo grido, spaventando uno stormo di
colombi sul ciglio del tetto vicino. –Ma se proprio sono
costretto a scegliere, sì, credo che gli uccelli abbiano un
posto particolare nel mio cuore. Subito dopo vengono i rettili. Dio,
che creature affascinanti! E in terzo luogo i pesci, il mondo marino,
l’occulto di abissi e oceani oltre i quali l’uomo
non si è mai spinto!- esultò.
-Uccelli,
rettili, pesci… Viaggiate molto con la fantasia, eh?-
scherzò Arianna. –Da gran sognatore quale siete,
poi-.
-Ridi,
ridi, aspetta qualche anno e poi vedrai- biascicò Leonardo.
–Tu e Tommaso sembrate d’accordo quando mi prendete
in giro: così elementari, piatti, poco aperti alla ricerca e
alle novità! Pigri siete! Altroché…-.
-La
stessa messa in scena di sempre! Ah, Leonardo, Leonardo…
Verrà il giorno in cui quel vecchio cinghiale ti spacca il
naso, ci scommetto l’osso del collo- borbottò
Tommaso mettendo in tavola la cena.
-Non
giocarti la vita su simili sciocchezze, Zoroastro mio, che non ne hai
una seconda- lo ammonì l’artista.
Arianna
e Leonardo sedevano vicini, il Masini prese posto di fronte
all’amico versando l’acqua nei bicchieri di tutti.
Sui mobili erano sparse candele, uniche fonti di luce e calore nella
stanza. Fuori dalla finestra della cucina c’era un magnifico
cielo stellato. Le imposte erano aperte, entrava un fresco e pulito
venticello primaverile. Per le strade girava qualche guardia, ma nulla
di allarmante come i giorni passati. Firenze sembrava tornata
finalmente tranquilla.
-Se
posso aggiungere, dai, hai detto la stessa identica cosa la settimana
scorsa, Zoroastro- lo riprese Leonardo con una risata.
-Appunto!
Non pensi che sia ora di smetterla di attirare la rogna delle guardie
in tal modo?!- sibilò il Masini. –O vuoi farti
sbattere in prigione? Non t’è bastato rischiare la
forca già una volta?!-.
Saliva
una spinosa questione… Leonardo si accigliò.
–Sai benissimo che i miei guai con la legge sono infondati e
mal dominati- pronunciò serio.
Arianna
si fece sempre più piccola e stretta sulla sedia, sentendosi
di troppo.
-Non ho
detto questo. Ti chiedo solo di essere più cauto,
soprattutto ora che abbiamo certi ospiti in casa- eruppe alludendo alla
ragazza.
-Non
c’è motivo di stare così attenti,
Arianna è ben camuffata! Neppure suo padre sarebbe in grado
di riconoscerla-.
-Ma i
cani delle guardie sì. Ci punto il salario che ha addosso
ancora l’odore dei tappeti del suo palazzo. Non mi tolgo
dalla mente certe immagini, sai? Certe visioni, ecco… di noi
due… appesi per la gola in Piazza della Signoria, cibo
fresco per le cornacchie! Se piombassero qui, le guardie, e ci
trovassero con lei, scoprendo chi realmente è, o se questo
gioco di costumi ci si rivoltasse contro… Il Diavolo solo
saprebbe cosa fare di noi… all’Inferno-.
Leonardo,
che tentava in tutti i modi di abbassare il tono e il furore della
conversazione, riuscì a malapena a pronunciare parola che,
nel silenzio della bottega, si udì un flebile bussare.
Il
Masini e il da Vinci si scambiarono un’occhiata sorpresa.
-Chi
può essere a quest’ora?- chiese Arianna,
altrettanto stupita.
-Non
saprei…- ammise Tommaso alzandosi.
-‘Sta
buono te, vado io- esordì Leonardo precedendolo e
spingendolo giù, di nuovo seduto. –Voi mangiate, o
si fredda- aggiunse l’artista, sparì nel buio del
corridoio e i suoi passi si persero sulle scale.
Arianna
e Tommaso si guardarono allarmati ad occhi sgranati.
Leonardo
giunse al pian terreno dell’edificio che era tutto buio e
bussavano ancora. –Arrivo, arrivo!- fece
l’inventore. Rischiò d’inciampare ben
due volte sul tappeto, perché Tommaso s’era
dimenticato di accendere il camino della bottega e non si vedeva una
mazza.
Imprecando
sotto voce, l’artista aprì la porta e si
trovò dinnanzi un uomo vestito di abiti scuri e
incappucciato di una mantella rosso porpora.
-Desiderate?-
chiese Leonardo cordialmente, non potendo immaginare che
l’uomo dinnanzi a lui fosse un ben noto Signore di Firenze.
Questi
però non parlò, piuttosto si mirò
attorno e alle spalle, controllando che nessuno, soldato o
quant’altro, lo avesse seguito. Tornò a guardare
Leonardo negli occhi e si scoprì il volto, così
che l’inventore potesse riconoscerlo.
-Per la
Madonna…- mormorò Leonardo, tramortito, -Messer
Guglielmo!-.
-Urge
parlarvi. In strada è poco sicuro- sentenziò
breve l’uomo. –Fatemi entrare, di grazia-.
L’artista,
divenuto improvvisamente di pietra o di marmo, si limitò ad
annuire e fargli spazio. Guglielmo entrò a grandi passi e si
sistemò nel mezzo della stanza, poi raggiunto da Leonardo
che richiuse la porta con estrema lentezza.
-Mi
avete spaventato, mio Signore- disse l’inventore inchinandosi
alla cieca, ma gli occhi verdi dell’ospite sembravano far
luce propria. –Perdonatemi se non vi ho riconosciuto da
principio…-.
-Basta
con questa messa in scena, Leonardo, lei dov’è?-
sbottò Guglielmo fulminandolo con un’occhiataccia
truce.
L’artista
ne rimase trafitto, ucciso, e il suo volto si fece ancor più
bianco. –Oh Cristo…- imprecò in un
sussurro.
-Credevate
che non lo sapessi?- continuò Guglielmo, serissimo.
–Sono suo padre, e fino a qualche tempo fa avevo il suo
stesso dono-.
-Dono?…-.
Guglielmo
scacciò certi suoi pensieri con un gesto della mano.
–Ah, dimenticate le mie ultime parole. Ora forza,
però, conducetemi da lei- ordinò.
-Non so
di cosa state parlando…- mentì, ma gli
riuscì uno schifo.
-Vi
prego, Leonardo… Debbo vederla, debbo accertarmi che sta
bene… quel che avete raccontato a Viviana, della
febbre… se avessi saputo avrei mandato i miei medici
migliori- gemé il vecchio Pazzi. –Vi imploro,
Leonardo, vi imploro di poter vedere mia figlia, un’ultima
volta- pronunciò affranto, solidale, ma cosa più
importante, complice.
L’inventore
tacque assorto e ammutolito; prese del tempo per sé al fine
di riordinare i pensieri sconnessi che tumultuosi gli riempivano la
capoccia. Lesse ancora una volta negli occhi di Guglielmo una supplica
e un accordo, e, dopo quasi un minuto, si riscosse.
-Venite,
stavamo cenando- mormorò salendo le scale.
*Coppia di
uccelli
http://www.windoweb.it/desktop_temi/foto_uccelli/foto_uccelli_310.jpg
Le
particolari tendenze di Leonardo verso il mondo animale sono poco note
quando non si parla di pennuti. La scenetta del maestro che libera gli
uccelli dalla gabbia non solo è ripresa (ma rielaborata da
me) dalla sua biografia in mio possesso, ma anche da più
articoli che raccontano fatti curiosi su di lui. ^^
In fine, la comparsa in
scena di Guglielmo! XD Che vien a rovinar' la
festa! XD Detto così sembra cattiva, ma in effetto la
situazione si comprometterà oltre il dovuto *muhahahaha!*
U.U Volevo semplicemente
avvertire che sono riuscita a scrivere un
misero 25esimo capitolo di 4 pagine e mezza e che sto cominciando ora
il 26esimo, sperando che la storia continui ad intrigarvi! XD
Comunque goku94
ci ha azzeccato! XD Non ricordo se ho accennato prima a questo fatto,
ma Tommaso Masini era vegetariano come sembra!
Grazie
a lullacullen
e renault
per il sostegno costante ^^
*Per
questo e alcuni capitoli futuri in progettazione, ringrazio Elkade, che
mi spiffera aneddoti interessanti sulla vita di Leonardo, pescati da
una speciale rivista in suo possesso ^^*
Detto
ciò, a presto ^^
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Capitolo 21 *** Un segreto nel buio dei tempi ***
Un segreto nel buio dei tempi
-Fate
attenzione ai
gradini, Messere, che è buio- disse Leonardo fermandosi sul
pianerottolo e guardando l’uomo che lo raggiungeva.
-Ho
notato…- borbottò
Guglielmo seguendolo nel corridoio. –Siete a corto di legna,
per caso?- chiese, ironico. –Se è vero che
riciclate le vostre vecchie invenzioni, non vi mancherà di
sicuro-.
Leonardo
azzardò un mezzo
sorriso.
–No, infatti: quella non ci manca-.
Giunsero
in cucina, ma quando si
affacciarono la
trovarono vuota e apparecchiata per tre. Leonardo, ancor più
interdetto dell’uomo che era alle sue spalle, fece dietro
front e chiamò a gran voce:
-Zoroastro,
avanti, è tutto a
posto!
Portala fuori!-.
Qualche
istante dopo, dal buio del
corridoio si
udì l’aprirsi di una porta ed emersero le due
differenti figure di Tommaso e la fanciulla. Il Masini
accompagnò la ragazza sottobraccio sin di fronte al padre,
mentre scambiava con Leonardo un’occhiata truce e
rammaricata.
Arianna
aveva il mento affondato nel petto
e i
capelli corti davanti al viso, a nasconderle gli occhi già
umidi di lacrime. Il berretto stretto convulsamente tra le dita e le
gambe inferme. Il corpo, nel complesso, tremava come una foglia.
Guglielmo
le si avvicinò di un
passo e
Tommaso ne fece uno indietro, tornando affianco all’amico
inventore che si era fatto da parte poco prima.
-Ho
bisogno di parlarle in privato- ammise
l’ospite posando una mano sulla testa della figlia, nel gesto
di avvicinarla e circondarla con le braccia. Arianna restò
immobile e si lasciò stringere come fosse una bambola.
Leonardo
era rigido e muto allo stesso
modo,
sconvolto, perciò fu Tommaso, più sveglio e
pronto di nervi, ad indicargli la stanza dalla quale erano venuti.
Guglielmo
annuì e
portò con
sé la figlia. Lo scatto della porta fu tutto ciò
che si udì in casa, prima di un tempestoso silenzio.
-‘Sta
tranquillo, non le
farà del male- disse il Masini per rassicurare
l’amico.
-Quando
le ho fatto visita per riportarle i
libri
di latino, sulla guancia aveva un segno di cattiva mano. Spero
che…- s’interruppe. –Hai ragione, non le
farà del male- mormorò esangue il prezioso
inventore.
Appena
ebbe richiuso la porta, Guglielmo la
fece
sedere ai piedi del letto, di fronte al camino acceso che rischiarava e
riscaldava la stanza. Poi si spogliò del suo mantello che
mise a riposo vicino alle fiamme, così da ritrovarlo caldo
nel momento di tornare in strada. In fine si sedé accanto
alla figlia che, da quando era venuto, non trovava il coraggio di
guardarlo negli occhi. Messer de’Pazzi le sistemò
una ciocca dei corti capelli dietro l’orecchio e Arianna non
oppose alcuna resistenza o fece nulla, se non respirare e nemmeno tanto
tranquilla. L’uomo si accorse allora che il livido lasciato
dal suo ultimo schiaffo era ancora là, sulla guancia di lei,
seppur leggermente svanito.
-Ho
fatto tanti sbagli nella mia politica
vita al
servizio di Firenze- cominciò l’uomo, profetico,
guardando le fiamme del camino. –Ma certamente, averti
lasciata fuggire è l’unico di cui non mi pento.
Forzarti al matrimonio era ed è un dolore atroce, credimi,
ho combattuto contro le più malvagie anime di questa
città pur di mantenere il segreto. Cosa che
continuerò a fare, se tu lo vorrai-.
Arianna
annuì, tirando su col
naso.
-Per
via della mancata luna di miele tra te
e
Vieri, tuo zio è ancora coinvolto nelle accuse. Lorenzo non
vuole ascoltare ragioni per cui dovremmo rimandare il processo,
soprattutto ora che non ce ne sono. Il Magnifico si fida ciecamente dei
suoi delegati, ovvero dell’Auditore Giovanni, che testimonia
contro di noi-.
-Voi
appoggiate
quell’assassino…- sibilò la ragazza
ricordando improvvisamente il discusso con Bianca qualche tempo prima.
–Francesco è davvero coinvolto in una congiura, e
voi lo appoggiate…-.
Guglielmo
chinò il capo,
affranto.
–Bianca non avrebbe dovuto parlartene. Le avevo chiesto di
non farlo-.
-Però
l’ha fatto ed io
la
ringrazio solo di questo!- eruppe lei. –Quella gente
è innocente e voi sostenete le false accuse di vostro
fratello solo perché è tale!-.
-No,
io non sostengo le accuse di nessuno!
Proteggo la mia famiglia, le persone che amo, da un possibile
sconvolgimento degli eventi! Mi occupo di mantenere calma la
situazione, modero i modi e i termini di mio fratello quando ce
n’è bisogno!- ribatté. –Non
sono io quello con cui dovresti arrabbiarti, bensì tuo zio,
dannazione, è lui la mente criminale di tutto. Io sono solo
una pedina, niente più, non sua ma del Magnifico. Quel che
deciderà non è affar mio, e credimi se ti dico
che sto cercando di tenermene lontano!-.
Arianna
tacque, ostinata, confusa,
spaventata. Il
destino di un uomo che lei stessa aveva visto dietro le sbarre di una
prigione era appeso in Piazza della Signoria.
-Se
ci sarà
un’esecuzione,
per quando è fissata?- chiese flebilmente, pallida in viso.
-Non
ci sarà nessuna esecuzione,
cosa
farnetichi?- domandò invece Guglielmo, sospettoso.
-L’uomo
che ho veduto in cella
nel mio
sogno… era lui, padre, Giovanni Auditore…-
confessò.
Guglielmo
sgranò gli occhi.
-L’ho
anche visto morto in Piazza
della
Signoria, se v’interessa- singhiozzò.
-Non
farne parola con nessuno-
sbottò
d’un tratto, serio.
-Perché?-
sibilò lei.
-Perché
nessuno ti crederebbe!-.
Si
fece di nuovo silenzio, ma era un
silenzio
teso, triste, sottomesso ad un volere che entrambi sapevano essere
superiore, ma del quale si ostinavano a non discutere mai. Le visioni
di Arianna erano un prezioso e delicato argomento tabù,
perché si avveravano sempre.
Trascorse
qualche minuto, forse una
mezz’ora, durante la quale padre e figlia fissarono le fiamme
del camino senza dirsi più nulla. Poi,
all’improvviso, Messer Guglielmo si voltò a
guardare la ragazza e stirò le labbra in un divertito
sorriso, squadrandola dalla testa ai piedi.
-Bei
vestiti- commentò con
ironia.
–Credo che a Francesco farebbe piacere riavere indietro i
suoi pantaloni-.
-Ditegli
che mi dispiace molto, ma mi
serviranno
ancora per un po’- pronunciò rammaricata
arricciando il naso.
-Allora
hai intenzione di restare- convenne
Guglielmo, sospirando e tornando a mirare il camino.
Arianna
annuì. Devo,
se voglio salvare la mia e
la vita di un innocente.
Guglielmo
si rabbuiò,
interpretando il
silenzio della figlia come la risposta definitiva che era.
-Chiederò
che le guardie lascino
in
pace questa casa- disse a voce bassa. –Resterai qui con
Leonardo finché le acque non si calmeranno, poi, quando lo
riterrai opportuno e le acque torneranno calme, verrò a
riprenderti, e la notizia del tuo riscatto pagato si
spargerà per tutta Firenze. I cani hanno smesso di cercarti
su mio ordine, sai? O a quest’ora saresti nella tua stanza a
piangere disperata. Uno di loro ti aveva anche già trovata,
non immagini… per metterlo a tacere-.
-Povera bestia…-
commentò lei. Speriamo
che Leonardo non lo venga a sapere, animalista
com’è…
-E
tutto questo sotto il naso di Bianca-
sghignazzò amaro. –Mi auguro che tu abbia almeno
saputo del suo pianto in pubblico, davanti la Santa Maria del Fiore-.
La
ragazza annuì.
–È stato il dì in cui Leonardo ha detto
a Viviana della mia febbre-.
-Sono
felice che tu ti senta meglio-.
Arianna
gli volse un sincero sorriso.
–Grazie-.
-Non
ringraziarmi, è ancora
tutto da
vedere, piccola mia- disse lui baciandola in fronte. Si alzò
e riprese la sua mantella da vicino al camino. –Ora
sarà meglio che vada, o Bianca metterà la taglia
anche sulla testa dei miei
inesistenti sequestratori- ridacchiò, e Arianna
con lui. –Ti auguro di trovare in questa casa la
felicità che non c’era nella nostra-
mormorò andando verso la soglia, a voce troppo bassa
perché la ragazza lo sentisse.
Mentre
Tommaso e Arianna tornavano in
cucina a
capo chino, Leonardo scortò l’ospite al piano di
sotto e si fermò sull’ingresso, poco prima di
aprire.
-Non
so come ringraziarvi-
pronunciò
Guglielmo, felice.
L’artista
si volse e
annuì
altrettanto lieto. –Forse perché non ce
n’è bisogno-.
-Manterrò
il silenzio
finché sarò in potere di farlo. Come dissi ad
Arianna, terrò occupate altrove le guardie che la cercando,
ma davvero, mastro Leonardo, non so cos’altro fare per
sdebitarmi. L’avete guarita dalla febbre accogliendola nella
vostra dimora quando non eravate costretto. Che Dio vi renda grazia in
Paradiso-.
-Non
è merito mio se
è
venuta dall’influenza. Si è presa cura di lei una
mia conoscenza fidata- spiegò l’artista.
-Chi?
Come mai potrò
ricompensare una
simile anima Pia?- esultò Guglielmo.
-Non
è quel genere di donna che
accetterebbe denaro da voi per aver fatto del buono, perciò
non scomodatevi di cercarla- arrise l’inventore.
-Vi
auguro ogni bene, Leonardo, e che il
vostro
genio vi porti lontano da un città ormai corrotta e
pericolosa come Firenze-.
-Perché
dite ciò?-
chiese
l’artista, intimorito.
-Sono
tempi bui- commentò
Guglielmo.
–Tanta gente innocente entra a Palazzo Vecchio, ma solo la
metà ne viene fuori. Non c’è
più né criterio né giustizia. Lorenzo
e Giuliano son minacciati da ogni dove, si parla di congiure, di morti,
di pericoli. Arianna vive questo tormento sulla sua pelle ogni giorno,
e non v’è nulla che possa fare per aiutarla, se
non affidarla a voi, l’uomo che l’ha tratta in
salvo da una vita miserabile di condanna e dolore. Giovanni Auditore
è sotto processo e mio fratello Francesco allunga la lista
di accuse ogni minuto che passa. Sto tentando di fermarlo senza lasciar
coinvolta la mia famiglia, ma ogni mio sforzo è come cenere
nel vento, vano. Il matrimonio con Bianca mi ha tolto
l’autorità che mi spettava, e ora Francesco fa di
testa propria! Se solo mio fratello l’altro, Giovanni, da
Venezia scendesse a Firenze, forse qualche gente si salverebbe, ma
ahimé, è stata sua la scelta di allontanarsi
dalla famiglia, e sicuramente di questi mesi vive meglio di noi
altri…- una breve pausa silenziosa. –Perdonatemi
se farnetico, levo subito il disturbo-.
-Ma
figuratevi! La mia porta
sarà
sempre aperta se vorrete tornare a trovarci- fece cordiale Leonardo.
-Non
penso che accadrà molto
spesso,
d’ora in avanti- ammise Guglielmo calandosi il cappuccio in
viso e sparendo nel buio della notte.
Quando
Leonardo tornò in cucina
e
sedette a tavola in silenzio, né Arianna né
Tommaso dissero nulla per molto tempo, limitandosi a consumare la
propria cena come da etichetta. Solo sul finire del pasto, mentre il
Masini sparecchiava e l’artista si alzava scostando la sedia,
Arianna fece per aprir bocca, volendo chiarire molto della faccenda, ma
Leonardo lasciò la cucina ancor prima che la ragazza potesse
pensare ad una frase sensata.
L’inventore
traversò
il
corridoio e tornò giù in bottega. Arianna
scambiò con Tommaso un’occhiata smarrita, poi
anch’ella si avviò alle scale. Fermandosi sul
pianerottolo, si affacciò dal parapetto e vide Leonardo
chino davanti al camino, occupato nel tentativo di accenderlo.
La
ragazza scese un gradino alla volta il
più silenziosamente possibile e, non appena gli fu affianco,
Leonardo si alzò e guardò le fiamme crescere
d’intensità a poco a poco. Il viso era tranquillo,
gli occhi distratti da chissà quali pensieri.
-Non
dirà nulla-.
Arianna
sobbalzò.
-Tuo
padre, se è questo che ti
stai
chiedendo, non dirà nulla, manterrà il segreto,
sarà nostro complice- spiegò Leonardo in piedi,
immobile, fissando il fuoco. –Almeno finché
avrà un certa autorità sulle guardie di Firenze,
la stessa che Bianca sembra volergli prosciugare- aggiunse con una
smorfia. –Se di mezzo ci va anche il processo di tuo zio le
sue forze saranno del tutto annullate, e noi con lo sterco fino al
collo-.
-Tutto
per colpa mia…- ammise
Arianna,
triste.
-Ma
per amor di Dio! Non raccontare
stupidaggini,
suvvia. Non è bello dire le bugie, Arianna- Leonardo si
volse verso di lei e le carezzò la testa, amorevolmente, col
sorriso sulle labbra. D’istinto Arianna si
avvicinò a lui, sino ad abbracciarlo e posare
l’orecchio sul suo petto, mentre il calore del camino
carezzava entrambi diffondendosi in tutto il corpo. –Sono
felice di essere qui… con voi- mormorò soave
socchiudendo gli occhi.
Leonardo
la strinse a sé
ricambiando
l’affetto. Restarono allungo in quella posa, abbracciati,
almeno fin quando la poca legna che l’artista aveva messo a
bruciare non si consumò tutta e nella bottega
tornò a regnare l’oscurità.
-Forza,
va’ di sopra e mettiti a
letto,
che Tommaso ha tirato a lucido la soffitta come promesso- disse
l’inventore indicando la scala.
Arianna
si scostò da lui a
malincuore,
sentendosi già più fredda. Annuì
arrendendosi alla stanchezza e si avviò lasciandolo solo.
Leonardo si assicurò che l’ingresso della bottega
fosse ben chiuso e poi si ritirò nella sua stanza, trovando
Tommaso seduto da un lato del letto a leggere un libro alla flebile
luce di una candela.
-Smettila
di studiare ricettari. Le tue
carote
bollite non piacciono nemmeno ai conigli- lo derise Leonardo
cominciando a spogliarsi, dopo aver riconosciuto la copertina.
-Proprio
per questo sto cercando di
migliorare!
Domani c’è la sagra della carota! Quei poveri
conigli aspettano me- fece il Masini stando al gioco.
Leonardo
esitò prima di mettersi
sotto
le coperte assieme a lui e, tornando sui suoi passi, rubò a
Tommaso la candela e uscì della stanza.
-Ehi!
Quella mi serve, torna indietro,
dannazione!- sbottò il Masini.
-Di’
ai tuoi conigli che avranno
le
loro carote l’anno prossimo, torno subito- disse Leonardo
avventurandosi scalzo in corridoio, in fondo al quale trovò
una stretta scala terminante con un foro nel soffitto, divenuto
pavimento della soffitta che ospitava la sua allieva. Portando con
sé la candela rubata a Tommaso, fece luce sul tragitto e
raggiunse il pianerottolo dell’ultimo gradino guardandosi
attorno.
Qua
e là c’era sparsa
della
roba vecchia, alcune tele bianche, casse sigillate e librerie piene, ma
in compenso era tutto pulito come garantito da Tommaso, che nelle
ultime ore si era dato da fare a togliere ragnatele, insetti e polvere.
Sul pavimento correva un soffice tappeto, che arrivava sino ai piedi di
un piccolo lettino, le cui lenzuola erano tirate e ordinate. Sul
materasso era adagiato un volume che Leonardo riconobbe come il testo
sulla mitologia greca comprato da Arianna tempi prima. Sul comodino
accanto riposava una candela accesa quasi finita, ma non
c’era traccia della ragazza.
Leonardo
mosse un passo verso la
finestrella
tonda, aperta, che dava sul tetto della palazzina vicina. Vide la
giovane Pazzi seduta sulle tegole a guardare le stelle con le ginocchia
strette al petto, ancora vestita come un fanciullo. In un primo momento
gli si rizzarono i capelli dallo spavento affacciandosi alla finestra,
ma non appena Arianna lo riconobbe a sua volta e gli sorrise, la paura
svanì.
-Che
dici, un po’ rischioso star
quassù- commentò Leonardo nervosamente.
-Avete
paura dell’altezza proprio
voi,
messere, che parlate tanto di uccelli- se la rise Arianna coi capelli
al vento. –Era tanto che desideravo farlo- aggiunse la
ragazza tornando a mirare le stelle. –A Palazzo Pazzi, dalla
finestra della mia stanza, si arriva a vedere solo in strada, e nemmeno
la soffitta ha un passaggio tanto comodo come quello,-
indicò la finestrella tonda alla quale Leonardo era
affacciato, -per arrivare sul tetto- concluse.
-E
meno male, o avresti tentato non so
quante
volte di ammazzarti!-.
-Ma
non voglio ammazzarmi!- rise Arianna.
–Stare quassù è bello…-
mormorò. –Mio fratello Francesco lo faceva sempre
alla casa in campagna: usciva dalla finestra e sedeva sul tetto. Si
vedeva tutta Firenze perché la villa sorgeva su
un’altura. Ma io, come una sciocca, davo ragione a mia madre
che gli diceva di scendere,- borbottò lei.
-So
bene cosa si prova- convenne Leonardo
posando
la candela da una parte e balzando sul davanzale della finestra. Poi,
prima un piede poi l’altro, raggiunse la ragazza e le
sedé accanto sulle tegole. –Capitava spesso anche
a me da fanciullo di cercare conforto in luoghi che sentivo miei e miei
soltanto, come il tetto, per esempio, per il cui peso di mio padre non
avrebbe mai retto se avesse tentato di acchiapparmi per farmi scendere-
arrise.
Arianna
tornò a guardare le
stelle col
sorriso sulle labbra. –Fortunatamente nessuno
tenterà di acchiappare noi per farci scendere-
mormorò assorta.
Leonardo
tacque allungo, pensieroso,
guardando le
stelle assieme alla sua allieva. –Per la cronaca, non temo
l’altezza- eruppe, -ma semplicemente per la tua salute: tira
una certa corrente che potrebbe farti ricadere nella febbre o
semplicemente cadere a terra-.
-Immaginavo-
ridacchiò lei.
-La
prossima volta che ti vien’
voglia
di prendere un po’ d’aria, sappi che
c’è il terrazzo della cucina, o il giardino, se
preferisci- disse l’inventore, ma non aggiunse altro per un
po’. Trascorse qualche minuto silenzioso, durante il quale
solo il frusciare del vento carezzò le vesti
dell’uno e dell’altra.
-Tuo
padre mi ha parlato di un processo che
lo
tiene ancora occupato. Durante quella volta in cui io e Tommaso fummo
accusati assieme ad altri nostri amici, Guglielmo disse di trovarsi a
Palazzo Vecchio per conto di un altro processo, ma Umberto lo fece
testimoniare a mia difesa comunque. Teneva molto alla testa del maestro
di sua figlia, si vede, ma di quel giorno ci sono molte cose che ancora
non capisco…- sospirò senza scollare gli occhi
dal cielo.
Arianna
gli lanciò
un’occhiata di sottecchi, nel frattempo che sul suo viso si
dipingeva una nuova maschera d’angoscia. Veniva davvero il
momento di mettere in chiaro il suo segreto? Si chiese. No, non ancora,
perché Leonardo era altrove con la testa e certo non voleva
arrivare a parlare di ciò.
In
quelle ore che passarono assieme a
guardare le
stelle, l’inventore parlò lei delle costellazioni,
dei miti e delle leggende che gravitavano attorno al loro infinito
universo. Poi, puntando la luna con un dito, le raccontò di
quando aveva conosciuto, qualche
anno prima, il Toscanelli
(*celebre matematico, astronomo e cartografo italiano), e si era fatto
raccontare da lui come la luna potesse stare in cielo senza cadere. Il Toscanelli
aveva rivelato a Leonardo, sfamando la curiosità
dell’inventore, questo prezioso segreto, e ora Leonardo lo
rivelava a lei.
Ma
Arianna, stringendosi le ginocchia al
petto
quando una nuova ventata le spettinava i capelli, sapeva di avere tanti
altri segreti, ben peggiori, ma uno di questi era il più
oscuro di tutti.
Un
segreto che lei stessa ripudiava,
tentando di
convincersi del contrario.
Un
segreto da tenere nascosto nello scrigno
del
suo cuore, sigillato con una chiave d’argento.
Un
segreto da proteggere, da barattare col
solo
costo della vita, se necessario.
Un
segreto sofferto, ma nato da un profondo
sentimento di amicizia e solidarietà.
Un
segreto dolce, fatto di sorrisi, di
abbracci.
Un
segreto amaro, forgiato di rimproveri,
di
smorfie.
Un
segreto amore per Leonardo da Vinci.
Angolo
d’Autrice:
…
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Capitolo 22 *** L'ultimo rimasto ***
L'ultimo rimasto
Era ancora notte fonda, mentre un costante sussurro di voci mai sentite
le tuonava nelle orecchie. Arianna si risvegliò
d’improvviso che la testa le girava e pulsava da far male. Si
mise seduta, ma il dolore la traversò in corpo con tanta
forza da farla cadere in avanti sul pavimento della soffitta. Nella
caduta trascinò con sé solo parte delle lenzuola,
che le scivolarono sulle gambe mentre si rannicchiava in una posa
fetale sulle tegole. Si premette le tempie e strizzò gli
occhi stringendo gomiti e denti.
Il pesante dialetto fiorentino delle voci che sentiva colorava la
maggior parte dei toni, ma questi erano confusi in offese, grida di
aiuto, accuse, e urla varie. Arianna riconobbe poche, pochissime
parole, tra cui l’appellativo
“Assassino!” quando davanti agli occhi chiusi si
vide l’immagine di un cappuccio bianco. Nel contempo urlava
anche lei, di dolore, e mugolava in attesa che accadesse qualsiasi cosa
perché quella tortura cessasse.
Udì dei passi e una frazione di secondo più tardi
Leonardo comparve sul pianerottolo della soffitta. Vedendola sdraiata a
terra a rigirarsi come una polpetta nella farina, le corse incontro
chinandosi su di lei. –Arianna…-
mormorò senza parole, bianco in viso, con quella scena
davanti senza sapere cosa fare. Cercò di metterla seduta, ma
la ragazza si scostò da lui continuando a gemere premendosi
le tempie.
Immagini sconnesse, prive di logicità e difficili da
distinguere, sfocate come un dipinto sul quale hanno gettato una
secchiata d’acqua, coprirono l’oscurità
degli occhi chiusi. Arianna pregò perché finisse,
perché finisse subito, all’istante, quando anche
Tommaso, allarmato, venne dal piano di sotto e si unì a
Leonardo nel tentativo di capire cosa stesse succedendo.
Quel che vide Arianna non l’avrebbe dimenticato troppo in
fretta.
Un
uomo, Umberto Alberti, punta il dito contro tre figure legate ad un
cappio pronto a tendersi. Tutt’attorno, la massa eclatante di
gente grida eccitata e qualche guardia tenta di tenerla buona, lontano
dall’altare di morte. Un cielo azzurro, poche nuvole, uno
spaventoso vento primaverile. Il frastuono di soldati in corsa per la
città a caccia di qualcuno. L’esecuzione va
avanti, senziente.
Arianna riascoltò nella sua testa discorsi già
sentiti, e rivide le stesse immagini che l’avevano tormentata
nelle ultime settimane.
Assieme a Giovanni Auditore,
sulla forca ci sono un bambino, sì e no sulla decina
d’anni, e anche un volto d’Angelo più
che familiare. Sopraffatti dalla disperazione, i tre uomini finiscono
impiccati, ma, tra la folla, qualcuno già urla vendetta.
Il grido di
un’aquila e poi… silenzio.
Il dolore era cessato. Suoni, volti e percezioni svanite per sempre.
Era di nuovo sola con sé stessa, padrona del proprio corpo,
e lo doveva ad una causa innaturale, senza alcuna spiegazione. Il fiato
grosso, il battito accelerato del cuore e la fronte sudata misero
subito in allarme Leonardo e Tommaso che, accorgendosi della crisi
ormai finita, la presero delicatamente in braccio e la distesero di
nuovo sul letto.
-Stai bene?- domandò preoccupato Leonardo, sedendo sul
materasso accanto alla sua allieva e prendendole la mano delicatamente
nella propria. La sentì tremare, fredda, tra le sue dita.
-Porto dell’acqua- si offrì Tommaso avviandosi di
sotto.
Arianna schiuse gli occhi lentamente, faticando ad abituarsi
all’oscurità che inghiottiva ogni cosa. Il calore
del palmo di Leonardo a riscaldare il proprio le lasciò
fiorire un sorriso sulle labbra bianche. Ma quando l’artista
vide gli occhi della sua allieva perdere colore, seppe che sarebbe
stato inutile portare dell’acqua da bere.
Arianna finì svenuta tra le sue braccia.
Il secondo risveglio fu senza dubbio più sereno del
precedente. Arianna si era tirata su dal letto guardandosi attorno.
Nella stanza era sola, ma sul comodino accanto al tomo di mitologia
greca c’erano una caraffa d’acqua e un bicchiere.
Scoprì inoltre, bevendo un sorso, che era trascorso
parecchio tempo dal suo primo risveglio. Il sole sorgeva su Firenze
illuminandola dei suoi raggi dorati. Alzandosi dal materasso e
avvicinandosi alla finestra per prendere un po’
d’aria, guardò in strada e vide la gente
affaccendata come non mai, assieme a battaglioni di guardie che
correvano a destra e a manca per le vie.
-‘Sta tranquilla, non stanno cercando te-.
Arianna si volse di scatto, spaventata.
Sul pianerottolo della soffitta era apparso Tommaso. Con sé
aveva degli abiti puliti che Arianna riconobbe come quelli indossati il
giorno precedente, e di fatti Zoroastro andò a posarli sul
letto delicatamente. –Le guardie, intendo. Stai tranquilla,
no è te che cercano- spiegò meglio.
-Non ho dubbi…- mormorò lei, stupendosi della sua
stessa voce, tanto triste e profonda. Il processo che aveva
“visto” quella mattina non lasciava spazio alle
incertezze, ma solo alla paura e all’angoscia di una vita
prossima a spezzarsi.
Tommaso le scoccò un’occhiata ansiosa.
–Ti senti meglio?- chiese.
La ragazza fu costretta ad annuire e, avvicinandosi al letto,
carezzò il tessuto morbido e profumato della camicia
portatole da Tommaso.
-Che ti è successo ‘sta mattina?-
domandò il Masini, serissimo. –Sembravi in uno
stato di… trans, tipo gli oracoli greci!- eruppe.
Arianna scosse la testa. –Non ne ho idea…-
sussurrò a fior di labbra.
Tommaso dovette accontentarsi di quella magra risposta,
perché Arianna, si vedeva lontano un miglio, era poco in
vena di chiacchiere. Il volto pallido come un lenzuolo, il corpo
smilzo, i movimenti lenti… con la veste da notte corta e
bianca fino a metà coscia, poi, pareva un fantasma. Il suono
dei suoi passi sul pavimento era quasi nullo, nonostante le tegole
della soffitta spesso e volentieri scricchiolassero maliziosamente.
Tommaso indietreggiò e fece per avviarsi di sotto.
–Ti ho lasciato un po’ della colazione. Il pane
è ancora caldo, ci sono dei cereali nelle dispense e sul
tavolo c’è un barattolo di marmellata. Il latte
pure, è fresco- si apprestò ad aggiungere.
–Certo, a quest’ora sarebbe meglio un buon pranzo,
ma non ho tempo di cucinare, perdonami- spiegò con rammarico.
Arianna si adombrò. –Stai uscendo?- chiese,
confusa.
-Devo fare delle compere per Leonardo prima di ‘sta sera,
quando tornerà- spiegò.
-Perché, lui dov’è?- insisté
Arianna.
-Fuori città con un certo Sandro Botticoli, Bottichi,
Botti-qualcosa, insomma, che lo accompagnava a Vinci a prendere delle
cose alla casa dei nonni, poi proseguivano per Careggi
perché il Magnifico li convocò entrambi.
Rientrano in serata tra qualche giorno assieme alla Corte, ma,
conoscendoli, si allungheranno dal Verrocchio a salutare o far
baldoria. Leonardo avrebbe voluto portarti con sé, ma quando
ti ha vista ancora a letto, ha preferito lasciarti riposare, pensando
che ne avessi bisogno-.
-Non sarei andata comunque…- mormorò assente la
Pazzi.
-Come mai?- domandò Tommaso, turbato.
Arianna scacciò alcuni pensieri scuotendo la testa.
-È come diceva lui: sono molto stanca, il riposo mi ha fatto
bene. E poi sono troppo riconoscibile- sorrise falsamente.
-Allora posso lasciarti?- chiese il Masini alludendo ai suoi doveri di
garzone dettati dal maestro assente.
Arianna annuì. –Saprò cavarmela-.
-Cerca piuttosto di non fare sforzi. Ci hai fatto prendere un coccolone
con quella scenata!- eruppe scendendo le scale.
Arianna corse ad affacciarsi di sotto prima che fosse troppo tardi.
–Aspetta, Tommaso!-.
-Cosa c’è?- la guardò dal basso.
-Se passa qualcuno alla bottega e chiede di Leonardo, io che faccio?
Che dico?- chiese nervosa.
Tommaso si avviò in corridoio. –Di’
semplicemente di ripassare più tardi in serata o un giorno
più in là!- e sparì giù
dalla rampa di scale.
Arianna udì chiudersi la porta della bottega,
dopodiché scattò in soffitta, si vestì
e andò a fare colazione. Mangiò quel poco che non
le andava di traverso nello stomaco. Ne approfittò per fare
un po’ d’ordine in cucina, pulendo il pulibile e
lavando il lavabile, vetro della finestra compreso, poi filò
nelle altre stanze e, con indosso i soliti abiti maschili,
scoprì che Tommaso, come sua abitudine, aveva lasciato
impeccabile ogni angolo di camera. Arianna si ritrovò
così con le mani in mano, senza null’altro da fare
che non fosse arrampicarsi con una scala sino alle alte finestre della
bottega e affacciarsi a guardare di sotto, in strada, come la gente
camminava tranquilla e i colombi svolazzavano in cielo, mentre un caldo
sole di maggio irradiava la sua bellissima Firenze.
Trascorse una buona mezz’ora, durante la quale Arianna si era
armata di carta e penna e, usando el ginocchia come ripiano, si era
messa a disegnare i volti della gente che passava accanto alla bottega.
Con lo scandire dei minuti, però, accanto ai visi umani
cominciò a schizzare senza badarci uccelli, piante, insetti
e quant’altro. Disegnò persino due cavalli ripresi
dalla stazione di posta. Il buffo vestito del medico catturò
subito la sua attenzione, ed eccola a ritrarre la maschera che gli
nascondeva il volto, mentre egli si sbracciava chiamando a
sé la gente.
Studi ed esercizi di mani, piedi, volti… proprio come aveva
visto fare spesso al suo maestro nei momenti in cui il grande
intelletto di inventore e scienziato lasciava un po’ di
spazio al buon, preciso e dolce artista fiorentino. Al solo ricordo
delle poche volte che avevano dipinto assieme, lei e Leonardo, Arianna
si permetteva un sorriso, disegnando con più gioia, con
più naturalezza. Scoprì ben presto di avere una
mano suscettibile all’animo, ovvero facilmente influenzabile
dai sentimenti. Bastava poco, perciò, a fare di un suo
quadro di primavera il più freddo degli inverni, nonostante
i colori. Se pensava a cose brutte, a gente viscida e meschina come suo
cugino, per esempio, era capace di irrigidire nella forma anche una
sfera. Se invece si distraeva con l’allegro canticchiare
degli uccellini, con la musica del menestrello in strada…
tutto le riusciva più dolce così come voleva che
fosse. Se poi osava immaginare che il suo maestro fosse affianco a
lei… be’, si sentiva pronta a gareggiare con il
“Botticoli”, come lo chiamava Tommaso.
Arianna aveva sentito parlare incredibilmente bene di Sandro
Botticelli. Secondo la corte Fiorentina, era un vissuto esordiente
ormai conosciuto quanto il Magnifico stesso alla sua Signoria. Si
parlava di Sandro già da prima che Arianna entrasse nella
bottega di Andrea, ma si diceva anche che il Botticelli avesse ripreso
i pennelli di scuola solo da qualche anno. Tra lui, Leonardo e il
Verrocchio c’era competizione da far paura, perché
ciascuno aveva la sua incredibile mano, il suo meraviglioso essere
artista.
Era stato proprio suo il ritratto di dama vinto da Giuliano in torneo
al quale aveva partecipato anche suo fratello Francesco,
all’inizio di questa terribile disavventura.
Distratta da un pensiero che tirava l’altro, Arianna non
aveva fatto caso al mondo attorno a sé. Qualcuno bussava
alla porta da più di un minuto e lei era seduta sulla trave
del soffitto a guardare fuori dalla finestra. Per la sorpresa, quando
costui bussò ancora chiamando a gran voce il nome
dell’artista che abitava lì, Arianna
calciò la fragile scaletta in legno, che si
rovesciò a terra abbandonandola sulla trave accanto alla
finestra.
-Dannazione!- imprecò la ragazza lasciando cadere sul
pavimento, con un volo di tre, quattro o cinque metri circa, il blocco
da disegno e la penna.
-Leonardo, sono io, Lorenzo!-.
La ragazza riconobbe la giovane voce di Lorenzo di Credi anche
attraverso l’uscio di legno. Sgranò gli occhi e si
vide il suo berretto, parte del costume di scena, scivolarle dalla
chioma fin sul tappeto.
-E ora come faccio?!- digrignò con le gambe a penzoloni.
Non se ne parlava di saltare, tanto meno di strillare a Lorenzo di
entrare con comodo per poi trovarsela davanti sospesa per aria.
Senza guardare giù, la ragazza si costrinse ad andare il
più possibile verso la finestra. Una volta lì, si
aggrappò al cornicione con le mani. Parte del busto sporgeva
fuori dalla bottega e qualche passante alzò il naso a
guardarla allibito, ma Arianna tentò di non badarci. Persino
il medico s’interruppe a metà frase con un braccio
per aria, accorgendosi di lei così protesa dalla finestra.
Nel frattempo Lorenzo si era deciso ad entrare trovando la porta
aperta. Arianna maledisse Tommaso trenta volte in due secondi per aver
dimenticato di chiuderla alla sua partenza. L’unica soluzione
era sparire dalla vista, subito! E la cosa che le restava da fare era
gettarsi dalla finestra.
Arianna guardò giù e vide un giallognolo cesto di
morbido fieno ad attenderla. Lanciò un’occhiata
alle sue spalle per veder Lorenzo traversare la bottega guardandosi
attorno.
-C’è nessuno?- chiamò Lorenzo, la cui
chioma bionda e boccolosa ricordava quella di una bambola di
porcellana. Si era tolto il berretto allungando uno sguardo su per le
scale. –Leonardo, siete in casa? Ho sentito dei rumori e sono
entrato- spiegò, ma Arianna non udì oltre
perché la caduta verso il cesto era giusto iniziata.
Con un gridolino poco maschile, la ragazza si riversò nel
fieno agitando braccia e gambe. Qualche persona si era goduta lo
spettacolo non senza una risatina, altra fissava il carro allibita,
altra ancora, invece, ignorava del tutto l’anomala situazione
e proseguiva sulla strada.
Quando Arianna riemerse dal fieno coperta di steli, una delle quattro
prostitute che facevano combriccola lì vicino le venne
incontro sussurrando con malizia: -Bella prestazione, piccolino-.
Subito dopo le fece l’occhiolino.
Oddio…
Arianna deglutì a fatica, arrossendo. Mi ha scambiata per un ragazzo
vero!
Arianna si defilò di lì prima che anche le altre
gran signore potessero avvicinarsi e, imboccando la strada quasi di
corsa, urtò più passanti offrendo poi le sue
flebili scuse.
Si guardò alle spalle solo quando fu certa di aver messo
più metri tra lei e la bottega del suo maestro. Giusto in tempo, si
disse vedendo uscire il Lorenzino che poi scomparve tra la folla.
Arianna tirò un sospiro di sollievo seguendo il giovanotto
con lo sguardo finché le fu possibile. Una volta sola, fece
per tornare in quella direzione, ma l’acceso discutere di due
uomini catturò la sua attenzione.
Arianna aguzzò le orecchie e riuscì a cogliere
parte della loro conversazione, che aveva come tema centrale un
processo fissato per questa mattina, a distanza di poche ore.
-…E pensare che si sta muovendo tutto sotto il suo naso.
Lorenzo è a Careggi da una settimana e Giuliano non sa
tenere in mano la situazione come si deve- borbottò un primo
uomo.
-Quando rientrerà il Magnifico?- chiese l’altro,
più giovane e allarmato.
-Alcuni artisti l’hanno raggiunto stamani, altri erano con
lui già da lunedì. Se tutto va secondo il
programma dell’incontro, la carovana sarà di
ritorno tra qualche giorno-.
-Ma per quell’ora Umberto avrà fatto giustiziare
mezza città!- eruppe il ragazzo.
-E cosa possiamo farci noi, eh? Se quel pazzo se le cerca, lascia che
lo trovino i guai, e poi staremo noi a guardarlo pendere col cappio al
collo, in Piazza. Sono sicuro che a Lorenzo ed altri questa storia non
andrà giù. Povero Giovanni…-.
-E con lui, ho sentito, ci sono anche i suoi figli- gemé il
più giovane.
-Tranne uno- lo corresse l’altro.
-Chi?- s’interessò il compagno.
-La città ancora lo cerca: Ezio, il mediano dei maschi.
Povero ragazzo… è cosa abominevole quella che
faranno alla sua famiglia- sospirò il vecchio
incamminandosi.
Il garzone gli andò dietro ed entrambi scomparvero dietro
l’angolo di un edificio.
Arianna si era fatta rigida come la pietra della strada.
Veniva così il tempo di affrontare le sue parure? Si chiese.
Era già l’ora di combattere faccia a faccia coi
suoi incubi o c’era un modo per evitare tale sanguinosa
battaglia? Arianna non seppe che fare.
Da una parte voleva correre in bottega e barricarsi dentro le sue
quattro mura, isolata dal mondo crudele e peccatore che viveva
all’esterno.
Dall’altra, sentì impadronirsi di sé
un’invincibile forza maggiore che la portò ad
avanzare sempre più veloce sulla via, diretta in Piazza
della Signoria con l’intenzione di fermare
quell’ingiustizia.
Francesco de’ Pazzi suo zio era partecipe ad un complotto
contro gli Auditore, e Umberto Alberti, un tempo il braccio destro di
Firenze, sarebbe stata la mano con il coltello dal lato del manico.
Giovanni Auditore e i suoi figli non meritavano la morte, Arianna aveva
visto la reale versione dei fatti nelle sue visioni che si erano sempre
dimostrate vere. Le faide tra famiglie portavano solo dolore e morti
innocenti. Arianna aveva ricevuto il dono di metterci una pietra sopra
ancor prima che accadesse, e per far ciò occorreva che il
tempo e la fortuna fossero dalla sua parte.
Determinata, la Pazzi imbracciava il suo destino pronto a compiersi
correndo verso Palazzo Vecchio. Con sé aveva la sola arma
della parola che, ascoltata o meno, avrebbe ferito qualcuno
più di un coltello.
Le grida della folla animavano Piazza della Signoria senza lasciar
scampo ad altro suono che non fossero le urla eclatanti della gente. I
piccioni erano appollaiati sui tetti delle case attorno, proni a
godersi lo spettacolo messo in scena da Umberto, il Gran Gonfaloniere,
sull’alto dell’impalcatura. Con sé aveva
un ristretto battaglione di guardie fiorentine, assieme a qualcuno dei
suoi dieci rappresentati del Consiglio dei Cento, che Arianna riconobbe
alle sue spalle. Assieme ai rappresentanti vestiti di bianco e oro,
come religiosi, stava un uomo abbigliato di colori scuri, un
po’ basso e tozzo. Un nero e ampio cappuccio gli celava il
volto già vecchio e cosparso di barba grigia sul mento e le
tempie. Un ghigno malvagio impresso come cera sulle labbra, in
disparte, al fedele fianco di Umberto che, sbracciandosi, annunciava
quel che Arianna aveva sentito e risentito più volte, ormai.
Alla forca erano già pronti i tre condannati: Giovanni
Auditore era nel mezzo, ai lati c’erano un bimbo vestito di
giallo come un pulcino e un ragazzo abbigliato di rosso, che
strattonava con ferocia le corde a legargli i polsi.
-Giovanni Auditore! Voi,
e i vostri complici, siete stati accusati di tradimento!-.
Suoni e parole non avevano più un senso, divennero un
confuso insieme di voci che funsero da sfondo ad ogni suo gesto.
Arianna non si diede mai per vinta mentre distraeva uno ad uno tutti i
membri che assistevano al processo, chiamandoli a sé,
strattonandoli per i vestiti, se necessario, e dicendo loro una frase
sempre uguale.
-Sono innocenti! Rivoltatevi contro quell’impostore di
Umberto! Gli Auditore sono innocenti!-.
In moltissimi la ignorarono, altri la spintonavano via volendo
partecipare alla condanna piuttosto che alla ribellione.
-Pussa via, marmocchio!-.
-Avete delle prove da
presentare a vostra discolpa?-.
-Levati dai piedi, sconsiderato!-.
-Che impertinente, vattene!-.
-Vi prego, signore! Dovete credermi! Gli Auditore sono innocenti,
loro…- s’interruppe quando, avvinghiata con le
unghie ad un nuovo passante, sollevò il mento e
incontrò una coppia di occhi scuri, carichi di terrore e
celati da un copricapo bianco. Arianna riuscì a scorgere ben
poco oltre l’ombra del cappuccio, mentre l’uomo,
stringendole i gomiti pronto a respingerla, la fissava con altrettanto
stupore.
Nel frattempo, poco lontano, il processo andava avanti tra le urla
della folla che li avvolgeva entrambi.
-Come dici?- le chiese in un sussurro tremante.
-Messere, dovete credermi…- balbettò lei
riscuotendosi e indicando la forca. –Sono innocenti, quegli
uomini, gli Auditore! È un complotto, pura finzione!
Dobbiamo rivoltarci, sottrarli alla morte o Firenze non
otterrà mai la vera giustizia! A morte il Gonfaloniere,
è lui il vero impostore!- gli strillò la ragazza,
scuotendolo più volte perché il suo ascoltatore
sembrava preso da ben altri tormenti e pensieri.
-Sì, i
documenti che vi sono stati consegnati la notte scorsa!-.
-Ehm… Temo di
non sapere nulla di tali documenti…!-.
-Sta mentendo!- eruppe
l’uomo spintonandola via. Arianna, ormai priva di importanza
e già dimenticata, si ritrovò col sedere per
terra tra le gambe della gente. Guardò scettica la figura
dell’incappucciato farsi largo tra la massa a forza di
gomitate.
-In assenza di qualunque
prova contraria alle accuse…-.
Spinta dalla disperazione, Arianna si alzò e
aggirò il palco. Là dove né la folla,
né Umberto e né le guardie guardavano, Arianna
trovò una spiraglio tra un legno e l’altro,
insinuandosi sotto all’impalcatura che ospitava i condannati.
-Mi vedo costretto a
dichiararvi… colpevole!-.
Se alzava gli occhi, davanti al naso aveva la botola e il meccanismo
che ne consentiva l’apertura. Il suono dei passi di Umberto
sul legno del palco era amplificato nell’oscurità
che le era attorno mentre, sfiduciata, Arianna cercava qualcosa che
potesse servirle a bloccare l’ingranaggio della botola.
-Voi, e i vostri
collaboratori, verrete per tanto condannati…-.
No, no, no… NO! Gemé Arianna.
-…A MORTE!-.
-Sei tu il traditore,
Umberto! Sei uno di loro! Oggi potrai anche toglierci la vita, ma noi
avremo la tua in cambio! Lo giuro! Lo giu…-.
La botola si aprì, i corpi dei tre condannati sparirono alla
vista della folla in piazza, inghiottiti dalle tenebre del sotto-palco.
Arianna saltò indietro e finì nuovamente a terra,
battendo gomiti e schiena sulla pietra. Gli occhi, gonfi di terrore a
quella vista, presero a inumidirsi nel giro di una frazione di secondo
quando, sconvolta, scoppiò in un pianto disperato.
Si costrinse a distogliere lo sguardo, pur avendo ben impressa
l’immagine raccapricciante di tre corpi mossi dagli spasmi
della morte. Uno di questi era solo un gracile bambino,
l’altro un genitore che lasciava vedova una donna
meravigliosa e orfani due dei quattro figli. L’ultimo, in
fine, era quell’angelo che Arianna aveva ritratto nel dipinto
destinato a non concludersi mai.
-PADRE!-.
Arianna si volse, riuscendo a scorgere la piazza in subbuglio
attraverso uno spiraglio del tessuto che ricopriva
l’impalcatura. Vide un familiare cappuccio bianco sbracciarsi
tra la gente, venendo incontro ad Umberto che, riconoscendolo, disse:
-Laggiù!
Prendete il ragazzo! È uno di loro!-.
-Ti ucciderò
per ciò che hai fatto!- strillò il
giovane in bianco.
Le guardie tentarono di arrestarlo, ma Ezio si divincolò con
la sola forza della rabbia mista alla disperazione. Ne spinse via due,
ma altri lo accerchiarono.
-Guardie! Arrestatelo!-.
Ezio Auditore, ultimo rampollo della sua famiglia, sguainò
la spada che aveva al fianco, ma il bruto che gli si
avvicinò gliela fece volare via dalla mano con un brutale
colpo d’ascia. Il ragazzo, trovandosi disarmato,
indietreggiò spaventato, fin quando non fu con le spalle
contro l’impalcatura a pochi centimetri dal naso di Arianna.
La Pazzi si chinò e raccolse la sua arma che era volata a
terra lì vicino. Tirandosi su gliela rimise nella mano, ma
Ezio fece solo in tempo a stringere le dita sull’impugnatura
che qualcuno, poco distante da lui, gli suggerì di fuggire
perché troppo inesperto nell’arte del duello.
L’Auditore rinfoderò la lama e si gettò
di corsa tra la folla, sfuggendo alle guardie che se lo videro filare
sotto al naso. Si arrampicò agilmente su un edificio e
sparì tra i tetti delle case nel frastuono della
città scoppiata in allarme.
Arianna ripercorse i suoi passi, lasciò il sotto-palco e si
allontanò anch’ella, come la gente, dalla piazza
in una corsa disperata e spaventata verso le proprie case. Si
mescolò alla massa che fuggiva per le strade stramazzando
come anatre, mentre persino i colombi sui tetti, librandosi in cielo,
migravano ad un posto sicuro.
Con le lacrime agli occhi per quel che era successo, Arianna giunse
alla bottega. Spalancò la porta, se la richiuse alle spalle
e in fine si rovesciò a terra, in ginocchio, sul tappeto.
Piangeva, piangeva di rabbia e dolore per il niente che aveva potuto
fare affinché qualcuno si salvasse. Il suo intervento era
stato pressoché inutile, fittizio come erano sempre state le
sue fantasie. Nessuno l’aveva ascoltata, tutti
l’avevano ignorata purché piuttosto tacesse. Forse
era da questo sentimento di ingiustizia e collera che suo padre voleva
salvarla. Quando le diceva di non poterle spiegare cosa le sue visioni
fossero in grado di fare, intendeva tenerla lontana
dall’incapacità di cambiare il corso degli eventi
e dalla responsabilità che la conoscenza degli stessi
comporta.
Arianna sapeva di un complotto organizzato contro gli Auditore, le sue
visioni glielo avevano mostrato, ma parlarne a qualcuno, dipingere, e
poi andare in strada a gridare la verità era stato rischioso
quanto inutile.
Tra battaglioni di guardie in corsa e botteghe già chiuse
prima del pomeriggio, tutta Firenze dava la caccia all’ultimo rimasto
della famiglia Auditore.
Angolo
d’Autrice.
Dopo lo sconvolgente capitolo precedente, (lieta di avervi lasciato ad
occhi sgranati sullo schermo ^^), eccomi tornata con un post
fondamentale per la storia a venire. È tale un primo piccolo
contatto ufficioso tra Ezio e Arianna, ma non solo. Ho voluto
coinvolgere nelle vicende anche Sandro Botticelli, ma è cosa
da poco se vogliamo concentrare la nostra attenzione sul processo degli
Auditore.
L’idea di scrivere Myth è nata da questa scena. In
qualche modo volevo che la protagonista, quindi Arianna, finisse
arci-coinvolta nel processo fino a provare un disperato tentativo di
salvataggio. Confesso che inizialmente era mia intenzione fa
sì che Federico si salvasse proprio grazie a lei, ma avendo
scelto un cammino più semplice per la trama, mi sono vista
costretta a fare alcuni tagli qua e là nelle vicende.
Che altro dire?
Intanto grazie a goku94,
Elkade,
renault
e lullacullen
per la costanza nella lettura. Per quanto ne so, al seguito della
storia si sono aggiunte anche Leowynn95
e manga_darling.
Come ultima cosa, volevo fare un piccolo accenno anche a quello che
avete letto nel capitolo precedente.
Ebbene, sì, alla fine così come per Arianna,
anche io ho dovuto aprire gli occhi sulla realtà e
raccontarla con le parole a voi lettori. La ragazza, a differenza di
quello che sembra (LOL) non è così stupida e poco
cosciente di se stessa. Certo, le ci sono voluti 20 capitoli per capire
di provare qualcosa per Leonardo, ma insomma, ognuno ha i suoi tempi,
no? Sarà pure vero che la vita è
breve… ma ahimé, l’amore è
una dolce/amara circostanza sul quale non si può intervenire
troppo nettamente.
Detto ciò, vi auguro di aver gustato anche questo medesimo
sclero della mia mente malata di fan girl, sperando di veder presto
crescere il numero di recensioni *w*
Dimentico qualcosa? ?__?
Ah, sì! Lo spoiler!
XD
-Leonardo,
Leonardo da Vinci, devo parlare con lui, vi prego, è
urgente. Ditegli che lo cerca…- gemé col fiato
grosso, ma sentendo quella voce Arianna non ebbe più dubbi
su chi fosse.
-Ezio…- mormorò lei a fior di labbra ed occhi
sgranati.
Il ragazzo, interdetto, lasciò crollare le spalle.
-Presto, non dev’essere lontano! Cercate ovunque!-.
L’Auditore si voltò di scatto per vedersi venire
incontro tre guardie che, con le armi alla mano, imboccarono la strada
verso la bottega dell’artista.
Ezio tornò a guardare la ragazza a denti stretti.
–Fatemi entrare, presto!- sibilò.
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Capitolo 23 *** Attimi di follia e incredulità ***
Attimi di follia e incredulità
Il cielo cominciava a tingersi di arancio quando Arianna
sentì dolere le ginocchia a furia di stare piegata sul
tappeto. Il sangue faticava ad arrivare sino ai piedi: era rimasta
china, rannicchiata come un cucciolo bastonato in un angolo della
bottega tra la rientranza del camino e la parete, nascosta in mezzo
alle tele e le mille scartoffie del suo maestro. La schiena curva, le
braccia lasciate cadere mollemente lungo i fianchi, uno dei quali
premeva con forza sulla parete di mattoni. I tacchi bassi delle
scarpette le perforavano i glutei per quanto c’era stata
seduta sopra. La fronte appoggiata al muro e il collo teso facevano
insorgere un dolore lancinante alle spalle e alle vertebre, ma ad
Arianna non importava nulla di tutto ciò.
Il vero dolore era quello al cuore che, dal momento in cui era
rientrata in bottega, non aveva smesso di battere forte, ma con
lentezza; come i distanti tamburi di un nemico che si prepara alla
battaglia, il suo sangue pulsava nelle vene pigramente, annunciando che
nel più remoto del suo essere, dove neppure la sua bianca
anima osava affacciarsi, si annidava il male, il dolore,
l’ansia, la miseria. Là, dove
l’ingiustizia rendeva schiava la ragione, là dove
il desiderio di morte portava grazia a sentimenti contrastanti,
là dove nessun uomo di comune aspetto e capacità
s’era mai spinto, era regina la disperazione che
l’aveva resta pazza.
Pazza. Pazza come i mendicanti per le strade, come un malato di mente e
come la follia stessa, principessa di tutti i peccati
dell’uomo.
Finalmente giungeva l’epilogo di tanto dolore, si disse,
perché le porte della follia si spalancavano dopo tante
gocce di sudore versato e sgridate subite, senza mai opporsi o
ribellarsi. Era stata incapace di camminare sui propri passi, incapace
di rimettere a posto più aspetti della sua vita che lei
stessa aveva contribuito a gettare nel baratro.
Trascorsero le ore, ma Arianna non si mosse. Aveva messo radici in
quello che era diventato il suo nuovo nascondiglio, il rifugio da
pensieri e restanti tormenti che tornavano ad assillarla dopo tanto
tempo perso credendo di aver toccato il fondo, con la
costante illusione dell’inesistenza di un dolore peggiore di
questo.
In un attimo, paure e timori tornarono a riaffiorare come nuovi: a
breve Tommaso sarebbe rientrato dalle compere del mercato, e nel
trovarla lì a piangere in quel modo avrebbe fatto domande.
Anche Leonardo, di ritorno da Careggi con mastro Botticelli affianco,
si sarebbe agitato per la sua condizione fisica e psicologica
tutt’altro che sana.
Arianna sollevò leggermente la testa dal muro e si
voltò a guardare nel luogo in cui giaceva la scala usata per
arrivare alla finestra, dalla quale aveva fatto un bel volo.
Pensò che il trambusto e il disordine, assieme al suo
cappello gettato sul tappeto poco distante, avrebbe messo in allerta
più di una persona nel caso non si fosse decisa a rimettere
ordine.
Ma poteva davvero scovare in sé un residuo di forza
sufficiente che l’aiutasse a nascondere le tracce? Forse, si
disse, insabbiare il fatto l’avrebbe aiutata a dimenticare.
Non parlando a nessuno di quello a cui aveva assistito, quello che
aveva passato, le avrebbe permesso di vivere, pur nel segreto, una
comune esistenza. Forse, si disse,perché certezze, ora come
ora, proprio non ne aveva.
Fu allora che, nel buio più totale perché a
Firenze si era fatta notte, sentì bussare alla porta.
Il cielo luccicava delle sue stelle, la luna piena di inizio maggio
argentava i tetti delle case. Per le strade c’era un gran
frastuono di acciaio pesante in movimento: guardie che correvano da una
parte all’altra della città portando con
sé un’arma per mano.
Arianna inizialmente non badò a quel suono fastidioso, ma
quando questi -il povero fuori dalla porta - insisté, la
ragazza si costrinse ad alzarsi pur tremando.
Le gambe addormentate non la ressero e la ragazza ricrollò
in terra. Le ci volle qualche secondo perché la circolazione
del sangue tornasse viva, così la Pazzi raccolse il suo
berretto da terra e, col cuore in gola, andò ad aprire.
Fuori dalla bottega mise solo un occhio e il naso. Riconoscendo che non
si trattava né di Tommaso e né di Leonardo,
Arianna continuò a tener stretta la fessura
d’ingresso. –Chi cercate, messere?- chiese
sforzando una voce maschile, intravedendo il ciuffo di una capigliatura
castana spuntare da un cappuccio bianco, e due occhi altrettanto scuri,
posti su di un visto avvolto dalla penombra del portico.
-Leonardo, Leonardo da Vinci, devo parlare con lui, vi prego,
è urgente. Ditegli che lo cerca…- gemé
col fiato grosso, ma sentendo quella voce Arianna non ebbe
più dubbi su chi fosse.
-…Ezio- concluse lei a fior di labbra.
Il ragazzo, interdetto, lasciò crollare le spalle.
-Presto, non dev’essere lontano! Cercate ovunque!-.
L’Auditore si voltò di scatto per vedersi venire
incontro tre guardie che, con le armi alla mano, imboccarono la strada
verso la bottega dell’artista.
Ezio tornò a guardare la ragazza a denti stretti.
–Fatemi entrare, presto!- sibilò.
Arianna, senza pensarci due volte, aprì la porta del tutto e
lasciò entrare in bottega il ricercato che, appena fu nel
centro della stanza, indietreggiò fin quando dietro di
sé non trovò il complesso delle scale.
La ragazza richiuse, svelta e a chiave, ogni serratura alla
bell’e meglio. Poi indietreggiò a sua volta
aspettando il fatidico momento in cui i soldati avrebbero bussato.
-Dov’è Leonardo?- chiese Ezio nel panico in un
sussurro appena percettibile: la fatica di una gran corsa e la
disperazione per l’accaduto gli incrinavano il tono.
Arianna scosse la testa nervosamente, tesa come una corda di violino.
Scrutò allungo l’armatura e il buffo abbigliamento
del ragazzo, cosa che non aveva avuto modo di notare in altre
occasioni. La mantellina scura gli nascondeva per intero il braccio
sinistro, e proprio su quel fianco era legato il fodero di una spada,
sulla cui elsa l’Auditore aveva posato la mano per qualsiasi
evenienza. Il cappuccio gli nascondeva il viso e
l’oscurità della tarda serata giocava a suo
favore.
-Allora, dov’è?!- domandò stizzito il
ragazzo, non ottenendo risposta. Negli occhi, neri e profondi, si
crogiolavano paura, smarrimento e terrore.
-A careggi col Magnifico!- disse Arianna in preda al panico.
–Non tornerà prima di qualche giorno!-
confessò come se ne avesse colpa.
Di fatti Ezio si voltò verso di lei (distogliendo lo sguardo
fisso dalla porta) e aggrottò la fronte in modo dispiaciuto,
quasi scusandosi di averle messo tanta paura addosso. Ma nel gesto di
guardare Arianna in viso troppo allungo, vi riconobbe lo stesso volto
che si era scontrato con lui quella mattina in Piazza della Signoria.
-Tu…- mormorò esangue, incredulo. Nel frattempo
mosse un passo verso la ragazza, che invece indietreggiò.
–Tu… io ti ho già visto!-.
Arianna sobbalzò, temendo che Ezio l’avesse
riconosciuta come membro della famiglia sua rivale, ma dovette
ricredersi.
Ezio le venne più vicino. –Oggi, in
piazza… Dicevi che mio padre era innocente. Avevi delle
prove, allora!- scattò in avanti all’improvviso
come per agguantarla, ma Arianna fu più svelta e
schivò saltellando indietro a mo’ di cavalletta.
Gli occhi azzurri della fanciulla erano carichi
d’inquietudine e sospetto; quelli di Ezio mandarono un
leggero barlume di speranza.
Forse Arianna cominciava a capire perché il destino li aveva
fatti incontrare.
Maledetti, entrambi
vittime dell’ingiustizia.
Il frastuono di un forte bussare la risvegliò dai propri
pensieri, cancellandole frasi filosofiche dalla testa e riportandola al
da farsi in quella cruda circostanza.
-Per ordine della guardia fiorentina! Aprite questa porta!- eruppe un
soldato da fuori la bottega.
Arianna sobbalzò voltando il capo verso la porta.
Ezio, nel frattempo, si era già arrampicato sulle
impalcature e le librerie della bottega agile come un gatto,
raggiungendo la stessa finestra dalla quale si era gettata Arianna
quella mattina. Il ragazzo si fermò sul davanzale,
rannicchiandosi in perfetto equilibrio come un’aquila (era
tale la sua ombra che la luna proiettava sul tappeto del pavimento) e
si rivolse ad Arianna, la quale sapeva essere un maschio: -Dite a
Leonardo che tornerò presto a trovarlo. Ma se tenete alla
vostra vita, fareste meglio a tacere il nostro incontro a quella gente-
suggerì indicando la porta, alludendo alle guardie che
battevano la soglia.
Arianna annuì e lo vide lanciarsi nel vuoto oltre il
davanzale. Un leggero fruscio del vento accompagnò la sua
caduta nella paglia del carro sottostante.
Nella bottega ripiombò un improvviso silenzio che
durò qualche istante, poi interrotto dal violento bussare
delle guardie, che diventavano sempre più impazienti fuori
dalla porta.
Arianna esitò allungo sul da farsi. Strinse convulsamente i
pugni lungo i fianchi, immobile, pietrificata e rigida quanto poteva
esserlo il blocco di pietra da scolpire messo lì accanto dal
suo maestro qualche settimana prima.
-Aprite, aprite, ho detto! O buttiamo giù la porta!-.
La ragazza balbettò un timido “arrivo”,
atterrita da un medesimo strillo della guardia.
Fece per aprire, ma sentendosi venire addosso la porta che i soldati
avevano sfondato, fu costretta ad indietreggiare, finendo col sedere
per terra.
Il battaglione di guardie piombò nella bottega con un gran
frastuono di armi sfoderate, alla sola luce di quell’unica
torcia tenuta dal generale che, gridando a squarcia gola,
ordinò ad un bruto ed un agile di continuare le ricerche al
piano superiore.
-È entrato qui, non dev’essere andato lontano!
Scovate quel maledetto bastardo!-.
Nel frattempo una sentinella e un’altra guardia agile
setacciavano il cortile esterno della bottega, scrutando attraverso
l’oscurità della tarda serata in ogni angolo del
giardino.
Arianna si strinse le ginocchia al petto restando nascosta dietro la
porta per qualche minuto, fin quando il bruto e l’agile non
ricomparvero dalle scale.
-Di sopra è tutto pulito, signore- disse il bruto, la cui
voce ovattata dall’armatura in lamina sapeva incutere terrore
ai bambini.
Il generale imprecò e bestemmiò anche. Fece per
voltarsi, illuminando il nascondiglio della ragazza, ma ciò
non accadde perché dall’esterno si udirono delle
grida di altri soldati:
-Eccolo! Sta scappando! Prendiamolo, presto!-.
Il generale, il bruto e l’agile abbandonarono la bottega di
corsa unendosi ai compagni nel cortile, che avevano individuato il
bianco incappucciato mentre si arrampicava sulle finestre di un palazzo
accanto. Questi si issò sul tetto e fuggì
trafelato, nascosto nell’ombra della notte.
Appena fu certa d’esser sola nella bottega, Arianna attese
che i passi delle guardie fossero abbastanza lontani per alzarsi da
terra. Si affacciò lanciando un’occhiata per le
strade tutt’attorno alla piazza, che vide deserta.
Le forze armate di
Firenze saranno impegnate per un po’…
pensò Arianna a malincuore, indietreggiando.
Davanti ai suoi occhi lucidi dal terrore vedeva il viso di Ezio
Auditore nascosto dal cappuccio, e nelle orecchie aveva parole di morte
che la condannavano ad un futuro, ormai prossimo.
“Dite a
Leonardo che tornerò presto a
trovarlo…” aveva detto il giovane
per poi fuggire, prima che le guardie piombassero lì e lo
catturassero.
Incredibile la coincidenza, pensò la ragazza per quel che
venne dopo.
Tommaso rientrò in bottega di gran corsa appena intravista
da lontano la porta sfondata della bottega. Questa pendeva da una
parte, ma senza essere crollata del tutto.
Il Masini sorprese Arianna a braccia conserte sull’ingresso,
che fissava i pioli rotti e il legno scheggiato là dove il
bruto aveva dato una spallata. Un martello nella mano inferma e qualche
vecchio chiodo nell’altra.
-Gesù, Giuseppe e Maria…- boccheggiò
Tommaso lasciando cadere in terra la cesta con le spese.
–Cos’è accaduto qui?!-
strillò di un’ottava più alta, rivolto
ad Arianna che sobbalzò vedendoselo comparso accanto
all’improvviso.
La ragazza si strinse nelle spalle e nascose martello e chiodi dietro
la schiena. Scosse la testa mettendosi da parte, lasciando spazio a
Tommaso di contemplare tutta la bruttezza di quella porta.
-I soldati, loro…- mormorò bianca in viso, e
già sentiva le lacrime pungerle gli occhi.
Tommaso si tolse il berretto portandoselo al petto, e si
passò una mano tra i mossi e corti capelli scuri.
–Dio mio… manco fosse passato di qua un Drago!-
eruppe.
-Perdonatemi se non ho potuto fare nulla- Arianna tirò sul
col naso e si asciugò gli occhi, cercando di non mostrare a
Tommaso il suo sconforto. Piuttosto preferì dargli le spalle
e perdersi nella penombra della bottega, circondata dalle tele e dai
cartoni incompleti del maestro pittore.
Tommaso sobbalzò. –Aspettate, Arianna, avete detto
“soldati”?- chiese ansioso.
Arianna annuì tremante, e l’uomo si
gettò ad abbracciarla di sorpresa. –Vi hanno
riconosciuta?! Volevano portarvi via?! Cercavano voi?! Arianna,
dannazione, rispondetemi!- eruppe il Masini posandole una mano sulla
testa.
La ragazza crollò in ginocchio ai suoi piedi, senza smettere
di piangere, euforica, pazza, fuori di sé.
Tommaso andò giù con lei, e non appena furono
entrambi seduti sul tappeto, assunse un’espressione
crucciata. -Arianna, non serve a nulla disperare. Ditemi
cos’è successo, chi o cosa cercavano, e tornerete
a fare sogni tranquilli- le promise, stanziandosi un po’ per
guardarla negli occhi.
Ma lei era troppo sconvolta per proferire parola sensata.
Così Tommaso tornò ad abbracciarla lasciando che
si sfogasse. Arianna fece piovere lacrime su lacrime, senza sosta e
come una fontana, per ben un’ora. Si fermò solo
quando il sonno ebbe il sopravvento, trascinandola con sé al
cospetto di Morfeo. Per quanto fosse magra e di media taglia, Tommaso
se la caricò in braccio con una certa fatica.
L’adagiò sulla poltrona, rinunciando da principio
a farsi tutte le scale, e la rimboccò in una coperta. Poi si
apprestò ad accendere il camino, e in fine
s’impose di riparare la porta. Prese martello e chiodi
là dove li aveva lasciati cadere Arianna e si mise subito
all’opera per concludere, prima che la stanchezza
s’impadronisse anche di lui e coricarsi a sua volta.
Angolo
d’Autrice:
Un rapidissimo
aggiornamento. Sfortunatamente non posso trattenermi troppo
perché sono davvero distrutta, adesso che sono quasi le
10.00 e mi si chiudono gli occhi.
Scrivere questo capitolo
è stata un po’ una baggianata (fatta qualche
settimana fa, perché ultimamente non ho più tanta
voglia di scrivere -.- ) che avrebbe dovuto inglobarsi nel capitolo
successivo, quando saluteremo di nuovo il nostro caro Ezio sul grande
schermo.
Fermo restando che
Arianna è una pazza, idiota, epilettica, quello che volete
voi (per le sue crisi di nervi e pianti isterici) volevo chiarire che
la scena descritta nelle prime righe si colloca in un possibile periodo
di tempo PRIMA che Ezio venga indirizzato da Paola verso la bottega di
Leonardo, affinché lui gli ripari la lama nascosta. Ho
pensato che Ezio, la sera stessa dopo essere sfuggito alle guardie,
fosse interessato a cercarsi qualcuno con cui condividere
l’accaduto e il suo dolore, o più semplicemente un
posto sicuro in cui stare.
Il poveretto, fatta
cilecca, andrà a dar noia a Paola e alla sua combriccola di
“amicone”.
Ho deciso di postare
questo capitolo a malincuore. So che molti di voi si stanno
affezionando ai personaggi e non possono fare a meno di seguire la
storia, ma come ho detto, la voglia di scrivere mi sta venendo meno a
causa dello studio e altri hobby altrettanto affascinanti.
Però non disperate: ci sarà sempre un capitolo
avanti a questo pronto ad essere pubblicato ^-^ questa è la
mia promessa.
(Adesso me ne resta solo
unooooo °___°)
P.S. (Alias Priorato di
Sion! XD LOL)
Manuuuuuu! Duove
seiiii?! XD
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Capitolo 24 *** Esercizio - Parte I ***
Esercizio
Parte
1
Furono i
quattro giorni più lunghi della sua vita.
Una volta
sfuggita al vincolo della noia, Arianna trascorse le mattine
ad aiutare Zoroastro con le sue faccende, apprendendo da lui ogni
segreto della cucina e della pulizia. Il Masini sapeva di non poter far
altro che tenerla impegnata, distrarla dal dolore. Sul volto della
ragazza leggeva quanto ella fosse combattuta dentro da un sentimento
che non voleva estraniare dal proprio corpo. Arianna aveva deciso di
rinchiudere tutti i ricordi in se stessa, chiedendo con mute parole che
Zoroastro non tentasse di far leva per aprire la prigione che ella vi
aveva costruito attorno. Non
ce n’è motivo, sarebbero fatica e tempo persi,
si ripeteva Tommaso, quando
tornerà Leonardo si sentirà sicuramente meglio,
tornerà normale, si diceva per
consolarsi. Non
le piaceva avere quella ragazzina sulla coscienza, lo metteva a
disagio. Poiché inizialmente Arianna aveva preferito
starsene chiusa in stanza a rimuginare senza sosta sui fatti che
l’avevano turbata, senza volerne discuterne con Tommaso,
questi si era sentito in dovere di rispettala e lasciare che la sua
mente e la sua maturità facessero il loro corso, al costo di
non intromettersi. Arianna non aveva più parlato per molto
tempo, in quei primi due giorni, quando il Masini l’andava a
chiamare su per le scale verso la soffitta e lei si faceva trovare
già in corridoio, pronta ad accompagnarlo al mercato oppure
ad aiutarlo con le stanze da spazzare, le tele da ordinare. Nonostante
il sole, le belle giornate, e il clima primaverile che lentamente
andava verso il caldo dell’estate, nella bottega del rinomato
Lionardo
di Ser Piero da
Vinci
si viveva un costante grigiore.
Qualsiasi cosa
Tommaso le chiedesse di fare, Arianna la eseguiva in un
silenzio di tomba, con la calma e il sorriso di un cadavere. Con un
certo brivido lungo la schiena, il Masini aveva inoltre notato quanto
la pelle della ragazza si fosse imbiancata, e aveva finito per darsene
la colpa.
Devo
smetterla di
cucinare solo verdure! Aveva pensato
stirandosi la pelle
del volto, una volta solo in cucina mentre la ragazza spazzava il pian
terreno della bottega. Era il 5 maggio e doveva occuparsi del pranzo
per entrambi, ma quella mattina aveva fatto il gravoso errore di
portare in casa solo altre verdure, come se nelle dispense non ce ne
fossero abbastanza. Lattuga, carote, pomodori, zucche e zucchine: tutti
i più deliziosi frutti della natura erano disposti
ordinatamente sul tavolo della cucina e Tommaso li fissava con
un’espressione crucciata, mordendosi il labbro. Avrebbe
voluto servire una sana insalata, ma qualcosa gli suggeriva che tornare
al mercato e comprare un coniglio sarebbe stata una mossa
più saggia quanto azzardata.
Dopotutto, la
nobile Pazzi, viziata con la cacciagione della ricca o
benestante cucina fiorentina, non poteva più permettersi i
soli vegetali nello stomaco. In qualche strano modo Zoroastro avrebbe
dovuto abituarla gradualmente
all’alimentazione dei “poveri pittori” o
quel tenore di vita avrebbe potuto ucciderla!
Il Masini si
passò le mani nei capelli, non riuscendo
lontanamente ad immaginare di comprare della carne, che oltretutto
costava non poco. In ogni caso, si impose di farlo.
Gettò
in un cestello intrecciato le verdure mettendole da
parte, si avviò di corsa in corridoio, giù per le
scale, e poi filò dritto fuori dalla bottega.
Arianna, che
se lo vide uscire sotto al naso così di fretta,
non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi e chiedergli dove fosse diretto,
il che avrebbe significato la prima parola dopo quarantotto ore.
La ragazza
inarcò un sopracciglio e mise da parte la scopa,
appoggiandola alla parete vicino al complesso delle scale. Sedette sui
gradini con un gran sospiro e si capacitò del maestoso
silenzio che l’avvolse.
Non le serviva
un grande sforzo per ricordare il giorno del processo.
Ogni immagine era ancora stampata nella sua mente, impressa come il
segno una verga ardente sulla pelle. L’emozione era stata
tale che ora, il solo ricordo di quei momenti, le faceva accelerare il
i battiti del cuore e l’intensità dei respiri,
mentre gli occhi le tornavano umidi.
Durante i
momenti che trascorreva in compagnia di Tommaso si sforzava
di mantenere il controllo, ma adesso che era sola con se stessa, senza
nessuno a cui nascondere il proprio dolore, Arianna stentava a
trattenere le lacrime accumulate in tanti anni di sofferenze altrui.
Non era solo
il processo degli Auditore a turbarla, ma tutti quei
quadri che aveva abbandonato nella bottega del Verrocchio e che
raffiguravano impiccagioni, suicidi, omicidi e condanne di centinaia e
centinaia di persone che Arianna non aveva mai conosciuto dal vivo, al
di fuori dei propri sogni. Fin da piccolissima, quand’era
solo una bambina con le treccine e gli occhi grandi, Arianna teneva
sottobraccio un quadernino che Guglielmo in persona le aveva insegnato
ad avere sempre vicino, sempre a portata di mano assieme ad un
mozzicone di graffite, carboncino o penna che fosse.
Nei remoti
angoli della sua mente si nascondeva da tempo la presenza di
un essere malvagio, che sapeva non appartenergli, e che per lei avrebbe
significato solo la rovina: era la certezza di una maledizione inflitta
a lei e alla sua discendenza che, nel corso dei secoli, avrebbe portato
questo peso in eterno. La condanna degli Auditore, ma soprattutto gli
episodi che ne erano derivati prima, quali la venuta di Vieri e
Francesco a Firenze o il bisticcio tra le due famiglie sul Ponte
Vecchio, non erano altro che tasselli di un puzzle che Arianna avrebbe
dovuto, ma non desiderava completare. Era una realtà assurda
per lei da accettare e con la quale, ovviamente, convivere. Suo padre
non aveva mai voluto parlargliene direttamente, pur insistendo
perché dipingesse per lui quello che vedeva. Inoltre,
Guglielmo le aveva parlato (quella volta nei giardini) di come i suoi
“poteri” si stessero affievolendo, proprio
perché Arianna ne stava diventando piena padrona.
La ragazza
avrebbe fatto di tutto per evitarlo, ma come provava a
negarsi la verità, questa s’imponeva dinnanzi ai
suoi occhi costringendola a sbatterci la testa, crudelmente, senza
alcuna pietà. E diventava dolore anche quello, costante,
incisivo, che metteva radici nel profondo del suo animo ed era sempre
lì a ricordarglielo.
Arianna si
strinse le ginocchia al petto, avvertendo il fiato mancarle
quando la presa del corpetto si fece ancor più stretta
attorno al busto. Quell’oggetto infame che indossava era
proprio la redenzione che cercava ma che continuava ad esserle negata,
si disse, perché nonostante la sua fosse una brava maschera,
Arianna sapeva chi o cosa era veramente. Lei era l’unica
persona alla quale non poteva nascondere ciò che aveva
fatto. È
impossibile mentire a se stessi, pensò, perciò
fin quando
questa farsa non avrà fine non potrò mai pensare
di esaurire il mio “dono”.
Travestirsi da
maschio per vivere accanto all’uomo che aveva
capito di amare (e immaginate queste parole arrossì) era una
condanna alla pari di quella che scontava dalla nascita. Lentamente,
Arianna riuscì a scacciare i macabri pensieri con una sola
immagine fugacemente delineata nella sua mente. Si portò una
mano sulla guancia, là dove Leonardo l’aveva
baciata con gioia una prima volta, quando Maria Auditore era venuta a
ritirare i dipinti che il suo maestro non avrebbe mai trovato senza il
suo aiuto. Dalla rosea pelle della guancia, Arianna fece correre due
dita sino alla morbida carne delle labbra, dove si annidava ancora il
sapore di una prova inconfutabile a favore del pittore. A quel ricordo
la ragazza arrossì ancor più, avvertendo la testa
vorticarle e una fastidiosa sensazione alla base dello stomaco.
Arianna si
chiese, giusto per distrarsi, quand’era stata
l’ultima volta che aveva desiderato così
ardentemente una persona del sesso opposto.
Curvando la
testa da un lato, si disse: mai.
Ecco
l’unica verità che le faceva scottare le
guance tutte le volte che ripensava a Leonardo o si trovava in sua
compagnia. I momenti più dolci erano stati senza dubbio le
lezioni di pittura del mese precedente, prima che la ragazza fosse
stata costretta a scappare dalla reggia di famiglia per unirsi a lui
travestita da ragazzo.
Forse nella
sua vita c’era stato qualche fanciullo carino che
le aveva fatto la corte, dopotutto era una bella ragazza, glielo
dicevano in molti senza incertezze, e anche una donna di una certa
fama. Molto probabilmente, quei pochi coraggiosi che avevano provato ad
avvicinarsi erano stati respinti dall’abbaio di Francesco,
che fin da bambino aveva sempre protetto la sorellina rinchiudendola in
una prigione di cristallo alimentata dalla sua gelosia. Ricordando
quelle volte Arianna finì per sorridere. La flebile allegria
svanì però nel fumo, quando la consapevolezza
della sua nuova circostanza le venne incontro con la furia di una
mandria di cavalli in corsa. C’era da considerare che Arianna
non avrebbe mai più potuto contare sul sostegno dei
fratelli, ai quali era stata raccontata quella stessa grande bugia che
aveva fatto piangere Bianca de’ Medici, in piazza, davanti
alla cattedrale della Santa Maria del Fiore, circondata dal suo popolo.
Arianna si
alzò dal gradino e si allontanò dalle
scale. Una volta nel centro della stanza, aggiustò gli
angoli del tappeto che copriva il pavimento, ma non seppe che altro
fare.
La linea
logica dei suoi pensieri stava toccando argomenti sempre meno
piacevoli, tutti col fine ultimo di farla sentire un gran pezzo di
sterco con lo stomaco attorcigliato e pieno di farfalle. Arianna stava
immensamente male per ciascuna delle persone che, a causa delle sue
decisioni, soffrivano e avrebbero continuato a soffrire giorno dopo
giorno. Arianna aveva anche un utilissimo dono: trasmettere la propria
sofferenza a chiunque le gravitasse attorno. Non le bastava
accontentarsi di visioni sadiche o apocalittiche che la tormentavano la
notte, no, aveva anche l’irrefrenabile bisogno di arrecar
danno altrui, andando a rompere le cosiddette scatole a gente del tutto
estranea, come il povero Tommaso Masini che era scappato da lei qualche
minuto prima chissà per quale assurdo motivo!
Arianna si
maledisse cento e passa volte, poi sbuffò e si
guardò attorno con le braccia conserte.
La sua
attenzione cadde su una tela nascosta nella penombra di altri
quadri incompleti o appena abbozzati come disegni. Questa era per
metà coperta di un telo bianco macchiato di tempera, e
Arianna andò a scoprirla senza ulteriori indugi.
In pochi
secondi riconobbe il volto d’angelo e la dolce posa
in cui aveva avuto intenzione di ritrarlo. Un primo abbozzo delle ali
era già dipinto, anche la mezza macchia del viso e le ombre
su parte delle vesti.
La Pazzi
trasse la tela piccola tela dalle altre e
indietreggiò, così da poterla ammirare in tutto
il suo splendore alla luce del sole che veniva dalle vetrate. Dove i
raggi dorati della sfera incandescente si postavano, la tempera
sembrava brillare come se sul quadro vi fosse piovuto e fosse rimasta
qualche gocciolina. La bellezza e la morbidezza delle ali venne
triplicata, la rotondità del viso e l’acume
dell’espressione accentuata. La lucidità dei
capelli scuri e quel particolare taglio che gli incorniciava il volto,
immortalavano nei secoli un povero innocente ucciso dalla maligna mano
dell’ingiustizia.
Arianna si
rattristì al brutale ricordo di quello stesso
corpo appeso con un cappio al collo, mosso dai brividi spasmodici della
morte imminente, assieme a quello del padre e del fratellino minore. La
ragazza si sentì gelare il sangue, le vertigini salire alla
testa e la terra mancarle sotto i piedi, potendo quasi saggiare la
terribile sensazione di trovarsi sospesi a mezz’aria con una
corda attorno alla gola come unico appiglio.
Arianna
indietreggiò ancora, trovò un cavalletto
vuoto e adagiò lentamente la tela su di esso, senza staccare
i propri dagli occhi del soggetto raffigurato.
Devo
finirlo…
s’impose la ragazza. Per
l’onore, per la loro memoria…
In brevi
minuti preparò tempere, pennelli e barattoli con
acqua; indossò un grembiule e sì legò
al meglio i capelli, nascondendolo poi nel berretto blu ciano. Si
tirò su le maniche, sedé sullo sgabello e, coi
piedi a penzoloni e la ferma immagine del processo stampate sulla
fronte, cominciò a disegnare una nuova, seconda e piccola
figura accanto alla prima.
Tommaso
rientrò in bottega un’ora più
tardi, forse due, ma ebbe come la sensazione che non vi fosse nessun
altro. Trovò deserto il pian terreno, notando con stupore il
cavalletto leggermente spostato da dove ricordava di averlo lasciato,
ma nient’altro fuori posto. Vide la scopa appoggiata alla
parete e, richiudendosi la porta alle spalle, chiamò il nome
di Arianna.
La ragazza
comparve sul pianerottolo delle scale sfregandosi le mani su
uno straccio. –Ditemi- fece cordiale, sorridendo.
Tommaso
inizialmente non badò al suo improvviso cambio
d’umore e si rivolse a lei con naturalezza: -Vieni, aiutami a
portare questa… roba in cucina e…-, ma non
riuscì a concludere che lo stupore di sentirla parlare gli
fece cadere in terra dalle mani la cesta con la carne.
La ragazza,
che nel frattempo gli stava venendo incontro, si
fermò a metà delle scale sobbalzando per lo
spavento. Sgranò gli occhi e attese che il Masini dicesse
qualcosa a sua volta.
-Per la
Madonna, e che è successo?- esultò questi
allargando le braccia.
-A cosa vi
riferite, ser?- indugiò Arianna, dubbiosa, ma
più che altro desiderosa di far sembrare la cosa
“normale”.
-Non solo hai
ricominciato a parlare, ma ora mi dai anche del
“voi”!- commentò Tommaso.
Arianna si
strinse nelle spalle e non aggiunse nulla. Esaurì
gli ultimi gradini che li separavano e si chinò a
raccogliere la cesta ai piedi del ragazzo. Sbirciando al suo interno
mentre tornava verso la cucina, Arianna non riuscì a far a
meno di fermarsi e voltarsi, interdetta. –Carne?-
domandò scettica.
Il Masini
aggrottò la fronte, come se il solo suono di
quella parola gli procurasse una dolorosa fitta allo stomaco.
–Meno chiacchiere, ragazza, ti preferivo quanto zitta stavi-
blaterò sorpassandola.
Arianna lo
seguì sino in cucina a capo chino e
posò la cesta con i due conigli sul bancone. Tommaso accese
il fuoco del fornetto nel frattempo che la ragazza improvvisava un
tagliere e gli arnesi necessari. Una volta trovato adeguato, lo porse a
Tommaso che lo impugnò con una certa riluttanza.
Guardò prima la lama, poi Arianna, e in fine il primo
coniglio steso sul bancone a quasi un metro da lui. Dimezzò
la distanza con piccoli passi (sembrava una funzione religiosa di
chissà quale setta segreta) chiuse un occhio e strinse le
dita della mano libera attorno alla zampa posteriore
dell’animale, che poi tese lentamente.
-Non avete
chiesto se potevano tagliarvelo già?-
domandò Arianna notando il fastidio dell’uomo.
Tommaso non
rispose, probabilmente perché non ci aveva
pensato.
Arianna fece
una smorfia. -Siete almeno sicuro di sapere
come…-.
-No-.
-Ah,
bene…-.
Il giorno
seguente nessuno, nemmeno Tommaso
o il curioso vento freddo che avvolse Firenze, riuscì a
tenere Arianna lontana dalle strade.
La mattina del
6 maggio il Masini si era svegliato poco dopo
l’alba, era sceso dal letto, si era stiracchiato, lavato,
vestito come d’abitudine e, già pronto a
sfaccendare in casa con le pulizie e la colazione da preparare per
Arianna, si era avviato in cucina. Là, sulle imposte della
finestra che tutte le mattine Tommaso aveva l’abitudine di
aprire per affacciarsi fuori e godersi il sorgere del sole,
trovò attaccato con della tempera secca un biglietto
chiaramente scritto da Arianna, che solo nel postscriptum si firmava
col nome di “Vincenzo”. Il messaggio diceva in due
frasi brevi che la ragazza era uscita di casa con lo stomaco
già pieno (oltre che col coniglio del giorno prima a farle
le bizze in pancia); ringraziava della premura e avvertiva che sarebbe
rientrata in bottega solo quella sera, lasciando inoltre detto che, per
qualsiasi evenienza, avrebbe potuto trovarla all’Ospedale
degli Innocenti.
-Cos’hai
in mente, ragazzina?- si chiese Tommaso non senza
nascondere lo stupore di fronte un simile fatto. Il Masini ripose il
messaggio da una parte e lasciò anche lui la bottega,
diretto verso nord ovest, in una curiosa caccia alla fanciulla.
Percorse le
strade stringendosi nella mantellina presa con
sé prima di uscire, perché in quei giorni per
Firenze tirava un anomalo venticello autunnale proveniente dagli
Appennini. La città era ancora mezza assopita, alcune
botteghe sollevavano le serrande e sbloccavano le imposte, mentre la
gente spazzava gli ingressi dei cortili o i primi gradini delle Chiese.
Il cielo schiariva lentamente, poche delle stelle più
luminose si riuscivano a scorgere nonostante il sole che nasceva pigro
ad oriente.
Nel giro di
un’ora, volendo per sgranchirsi le gambe, volendo
per prendere un po’ d’aria fresca, come promesso
nel messaggio, Zoroastro raggiunse l’Ospedale degli Innocenti
e trovò Arianna seduta su una delle panche che circondavano
la gloriosa statua d’uomo con lancia nel mezzo della piazza.
Il Masini la riconobbe senza troppi sforzi: quel berretto blu ciano
rigonfio sulla nuca nascondeva parte dell’ancor lunga
capigliatura corvina; nella postura seduta con le gambe accavallate
emergeva l’atteggiamento femminile che in quei momenti che
era sola Arianna non provava neppure a nascondere. La piazza, di fatti,
era deserta dei suoi abituali visitatori, fatta eccezione per alcune
suore riunite sull’ingresso della costruzione, ad una ventina
di metri dalla fanciulla.
Quel che
colpì maggiormente Zoroastro fu cogliere, in mano
alla fanciulla, un quadernetto e un carboncino che ella teneva in
grembo, guardandosi attorno, aspettando qualcosa o qualcuno. Il nasino
leggermente all’insù della ragazza si protendeva a
saggiare l’aria fresca della mattina, le orecchie per
metà nascoste nel cappelletto si beavano del silenzio fin
quando sarebbe stato possibile.
Il Masini si
strinse più alla colonna dietro alla quale si
era nascosto, per evitare che Arianna lo vedesse e interrompesse la sua
attività, qualsivoglia questa fosse.
Di sottofondo
al silenzio di piazza cominciò a farsi sentire
qualche voce di gente, e proprio in quell’istante, quando il
suono di una campana annunciò l’inizio della
mattina, le strade attorno all’Ospedale si riempirono di
gente a passeggio.
Fu quando
Tommaso vide la ragazza aprire il quadernetto e cominciare a
copiare il volto di una donna che sedeva sulla panca di fronte alla
sua, che capì cosa realmente Arianna aveva in mente.
Esercizio…
Leonardo la
chiamava la parola chiave, come tutti i migliori pittori,
d’altronde, compreso il Verrocchio di cui aveva tanto sentito
parlare.
Tommaso
sentì inutile il bisogno di restare a guardare
ancora. Arianna sarebbe stata seduta su quella panca tutto il giorno a
riempire pagine e pagine di volti (occhi, nasi, bocche, orecchie) o
anche corpi (pose, atteggiamenti, gesti) fino a sera. Inoltre, non
c’era motivo di allarmarsi: vicino ad un Ospedale gestito da
gente di Chiesa chi avrebbe potuto darle noia, si chiese?
Nessuno.
Perciò
Tommaso fece dietro front e camminò sui
propri passi, lasciando che il garzone del caro Leonardo aspirasse alla
perfezione del suo maestro nel modo che preferiva.
Angolo
d’Autrice:
Alcuni
di voi si
staranno chiedendo che fine ha fatto Elisa! Ebbene, sono pronta a
rispondere a questa domanda con un semplice…
“Portate pazienza” XD Elisa
c’è stata, c’è e
continuerà ad esserci. Non posso darvi troppi spoiler su
quello che succedendo alla ragazza in questo momento. Sicuramente
è alquanto strano che voi come lettori riviviate i suoi
ricordi senza che lei (almeno da quanto scritto da te, brutta pazza di
una scrittrice!!) sia nell’Animus. In effetti è
esattamente così: Elisa non è
nell’Animus, eppure io vi sto raccontando i suoi
ricordi… ma allora che diavolo succede?! Vi starete
chiedendo…
Arrivata
a questo punto
della storia comincio a chiedermelo anch’io. Dopotutto
è altrettanto strano che la narrazione passi più
volte dal punto di vista di Arianna a quello di Leonardo
così, come per magia… alcuni di voi potranno
pensare che abbia semplicemente interrotto le vicende nel
“presente” per dare maggior spazio alla storia di
Arianna, altri potrebbero smettere di leggere pensando, invece, che sia
del tutto matta e incoerente come scrittrice! XD Non posso negare che
il secondo tipo di pensiero ha un che di corretto, nella sua forma, ma
è bene sottolineare che il modo in cui sta volgendo la trama
è del tutto e integralmente voluto. Perciò non
spaventatevi o fatevi troppe pippe mentali.
Piuttosto,
volevo
condividere con voi un gravissimo lutto… Il tre in
matematica sul pagellino di metà quadrimestre mi
è costato la mia ps3 -.- con la quale non potrò
più giocare fino a settembre, sempre e solo SE recupero il
debito, o meglio, SE passo l’anno. -.- Questo vuol dire
niente AC per, quanti, quattro, cinque mesi! °A°
I’m disperate ç_ç
Il
mio cuore si apre
alla gioia se penso ai vostri commenti lasciati nel capitolo precedenti
^-^ Grazie lullacullen,
renault
e goku94
per le rece, e anche ai silenziosi lettori nell’ombra, ovvero
Elkade,
Leowyinn95,
Dance
e Nyxenhaal86.
^-^ Spero di sentir presto anche i vostri pareri.
Per
oggi è
tutto, ci sentiamo alla prossima puntata! *-*
P.S.
(*---*)
Manuuuu!
Eh,
sì, quello era davvero mio padre! XD Io ni sacc’
scrivere o parlà u napulitano! LOL
|
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Capitolo 25 *** Esercizio - Parte II ***
Esercizio
Parte 2
Arianna
cercò una posizione più comoda sulla
panca di pietra.
La schiena le
doleva, non sentiva più le gambe e, come se
non bastasse, la donna che stava disegnando di nascosto aveva lasciato
la piazza prima che la Pazzi fosse riuscita a finirle il ritratto.
Arianna l’aveva maledetta mentalmente ed era andata subito a
caccia di altri volti, guardandosi attorno in modo circospetto. Accanto
a sé, sulla panca, riposava un anziano signore che se ne
stava con il bastone posato sulle ginocchia, probabilmente in procinto
a rincamminarsi tra breve, da come spostava svelto gli occhi da una via
all’altra, forse calcolando il percorso più breve.
Arianna, contando per di più le rughe sul suo volto, decise
di astenersi da esercizi di copia dal vero troppo complessi.
Se da una
parte se ne stava con le mani in mano, dall’altra
non c’era niente di meglio che riempirsi i polmoni di aria
fresca e genuina, soprattutto nei pressi di un ospedale.
Arianna storse
il naso. Effettivamente aveva dimenticato quel piccolo
dettaglio: nell’edificio a pochi metri di distanza potevano
essere ricoverati i peggio malati di tutta Firenze. Come aveva fatto a
tralasciare un simile dettaglio, pensando di poter respirare in tutta
tranquillità?
La ragazza si
sollevò in piedi lentamente, un po’
per dissimulare lo stupore, un po’ per i crampi allo stomaco
che cominciava ad avere per la fame (oltre al fatto che il coniglio del
giorno prima non le era andato giù molto facilmente), e un
po’ per il dolore che le martellava la schiena. Non era
abituata a trascorrere ore in una posa tanto scomoda, si disse
storcendo le labbra in una smorfia, neanche quand’era in
bottega del Verrocchio veniva costretta a stare seduta su una panca di
solida pietra. Nella Camera della Tempera non mancavano mai comode
poltroncine, antiche sedie romane imbottite e sgabelli di varie
grandezze per chi aveva le gambe più lunghe e chi meno.
Arianna si
rattristò un poco a quei dolci ricordi. Sorrise
ricordando il volto scorbutico di Andrea mentre sgridava lei o gli
altri pittori, e si sentì avvampare di dolcezza tornando con
la mente ai boccoli da bambola del Lorenzino, tra i quali Gallo e
Davide mettevano spesso le mani.
Arianna si
sistemò il berretto da garzone sulla testa e,
mettendo da parte le immagini del passato, si concentrò su
un posto interessante dove riprendere i suoi studi.
C’erano
Ponte Vecchio, o anche il Mercato, perché
no? Le loro bancarelle ospitavano ogni giorno fiumi di gente che veniva
da tutta Firenze. Lì, si disse, non le sarebbero mancati i
dettagli da disegnare. Eppure dovette in fretta ricredersi,
poiché un luogo così chiassoso non faceva al caso
suo, dato il viziato bisogno di quiete della ragazza.
Doveva trovare
un posto affollato ma il meno caotico possibile. Un
giardino, una Chiesa, magari, o ancora meglio, un’Accademia.
Chissà quanti giovani avrebbe potuto incontrare chini a
studiare sui libri, così che lei potesse disegnare in pace
senza il timore che se ne andassero da un momento all’altro,
come invece aveva fatto quella donna di poco prima.
Ma in tale
preciso istante, mentre Arianna stava per avviarsi, fu
assalita da un’altra triste costrizione che lei stessa si era
imposta: nel biglietto in cucina, aveva lasciato scritto a Tommaso che
avrebbe potuto trovarla attorno all’Ospedale degli Innocenti
e in nessun altro posto. Se il Masini fosse venuta a cercarla ma non
l’avesse trovata, Arianna aveva ben idea che faccia avrebbe
fatto: un misto tra un orsetto lavatore arrabbiato e una volpe con la
coda tra le gambe, terribilmente in pena per l’allieva del
suo maestro e per come questi lo avrebbe sgridato.
Arianna
poté già immaginare la scena senza
difficoltà di come Leonardo, appena di ritorno da Careggi e
stanco per il viaggio, fosse costretto a subire una medesima ansia nei
suoi confronti.
No, si
disse, questa
volta mi
terrò lontana dai guai, pensò.
Il tutto
sfociò dunque in un pesante sospiro della ragazza
che, col quadernino sottobraccio, era pronta ad incamminarsi sulla via
del ritorno verso la bottega.
D’un
tratto la sua attenzione cadde su quattro chiassosi piccioni che,
appollaiati sul limitare di un tetto, borbottavano come comari. Alla
ragazza sfuggì un sorriso: quegli uccelli erano tanto buffi
quanto stupidi, si disse, e col tempo aveva imparato ad apprezzare
queste loro particolarità. Anzi, si corresse, col tempo
aveva imparato ad apprezzare le particolarità di tutti gli
animali.
Tra la cucina
vegetariana di Tommaso e il profondo sentimento
ambientalista di Leonardo, Arianna stava imparando in fretta ad
ammirare la natura e a studiarla in tutte le sue sottigliezze. Senza
dubbio il mondo nel quale era caduta, circondata dall’arte
del suo maestro e dalla magia di Zoroastro, influenzava la sua visione
dell’essere, amplificava la sua percezione e apriva lei delle
porte estranee e affascinanti. Succedeva sempre più spesso
che Arianna s’incantasse ad osservare per ore le cose
apparentemente più insignificanti, come la tela di un ragno,
i granelli della polvere, i riflessi della luce. Forse quello era un
semplice modo di ingannare ciò che l’aveva
tormentata a lungo per mesi, prima di trovare rifugio nella Bottega di
Leonardo.
Aveva tanto a
cui pensare, tanto su cui riflettere della propria vita,
si disse aggiustandosi una ciocca dei corti capelli corvini dietro
l’orecchio, ma ogni pretesto era buono per rimandare,
rimandare, rimandare il momento in cui avrebbe dovuto affrontare la
realtà, condannando se stessa ad un’esistenza
faccia a faccia con le sofferenze che la sua antenata sembrava averle
trasmesso.
Era unitile
continuare ad ignorare quel che era ovvio: ora
più che mai Cassandra era parte del suo spirito, la sua
leggenda si tramandava di generazione in generazione come un prezioso
ma doloroso segreto. Delle volte le immagini di una grande
città in fiamme l’avevano tormentata nel sonno,
quand’era piccolissima, e Arianna ne rimembrava il ricordo
solo ora, quando meno ne aveva il desiderio. Arianna sapeva che era
inutile sfuggire alla convinzione di essere legata ad un destino con
tutt’altro che un lieto fine, almeno non senza combattere.
Ma combattere
come? Con quali armi?
L’indulgenza?
La compassione? O magari il menefreghismo?
Durante
l’impiccagione degli Auditore Arianna si era lasciata
vincere dalla brama di salvaguardare il destino altrui, interferendo
nella condanna quando non avrebbe dovuto e quando, se non
l’avesse fatto, avrebbe potuto vivere più serena.
Forse continuare ad ignorare le sue visioni le avrebbe alleggerito il
cuore dai mali del mondo, proprio perché niente o nessun
altro sembrava disposto ad aiutarla, al fine di alleviare il suo grande
peccato.
Eppure Arianna
percepiva, nel profondo della propria anima, che un modo
per venir fuori da quel pozzo c’era ed era proprio davanti a
suoi occhi. Bastava semplicemente…
Fu in
quell’istante che, sollevando il mento dal petto, le
iridi azzurre della ragazza caddero su una figura comparsa dal nulla a
pochi passi da lei, attratte come da una calamità. Arianna
strinse convulsamente il quadernetto che aveva in grembo e quasi
rischiò di spezzare il carboncino in due pezzi.
Era un uomo le
cui vesti inconfondibili le aveva stampate nella mente
fin dal loro primo incontro ufficiale. Sedeva sulla panca di fronte
alla sua, oltre la fontana che stava nel mezzo, e sembrava fosse
rimasto lì a fissarla già da tempo prima che la
ragazza vi facesse caso. Gli occhi neri sparivano nell’ombra
del cappuccio bianco, i gomiti poggiati sulle ginocchia, le mani giunte
a mezz’aria, una sorta di smorfia sulle labbra, ove spiccava
la il ricordo della sassata di suo cugino, la schiena leggermente
curva: la fatale compostezza di Ezio Auditore la mise terribilmente a
disagio, facendole risalire dal profondo dello stomaco un gemito
imbarazzante.
Per
tutti i Santi! Cosa
ci LUI fa qui?!
Arianna stava
per alzarsi e fuggire via di corsa.
Effettivamente
non aveva idea del perché messer Auditore si
trovasse in Piazza, nei pressi dell’Ospedale degli Innocenti,
seduto sulla panca di fronte alla sua con precisione geometrica. La
fissava con troppa insistenza aspettandosi chissà quale
reazione che non le si fosse già dipinta in volto: Arianna
era arrossita come un pomodoro, tremava come una foglia e in breve si
sarebbe trasformata in un albero come la povera Dafne. Al costo di
riempire tutte le pagine di stupidaggini inutili, Arianna
s’impose di non alzare il naso dal quadernetto.
L’ultimo
dei suoi problemi ma anche il primo dei suoi timori
era, fino a pochi attimi fa, trovarsi di nuovo il ragazzo tra i piedi.
Il ricordo dell’esecuzione, del suo fallimento, viaggiava
costantemente assieme ad Ezio sotto forma di un’aurea che
attirava le disgrazie degli Dèi. Arianna tentò
(invano) di fingersi ancora distratta nel disegno, ma tutto
ciò che riuscì a scarabocchiare sulla carta fu
una linea neanche troppo dritta. Scoprì con una smorfia che
la mano le tremava. Faticava a mantenersi quieta mentre gli occhi
indagatori di Ezio la pungevano sulla cute persino attraverso il
tessuto del berretto che portava in testa.
Firenze dava i
primi chiari segni di affollamento quando Arianna
osò lanciare un’occhiata di sbieco alla panca dove
sospettava di trovare ancora seduto il suo muto osservatore, ma si
sorprese oltremodo nel constatare che era vuota (a parte le due donne
che vi si erano appena accomodate spettegolando e lamentandosi dei
rispettivi mariti).
La ragazza
alzò lentamente la testa e tirò un
sospiro di sollievo scrollando le spalle. Era in procinto di rilassare
i tesi muscoli del corpo quando, come un fulmine a ciel sereno,
udì un’improvvisa voce gentile irrompere nel
proprio padiglione auricolare.
-Posso
sedermi?- domandò Ezio alludendo al posto vuoto che
si era creato al suo fianco, per via del vecchio che se n’era
appena andato.
Il cuore di
Arianna perse uno, due… accidenti, tre colpi!
Non seppe se per paura o per vergogna, ma annuì e anche
più di una volta. Ebbe l’impressione che sarebbe
svenuta da un momento all’altro mentre Ezio prendeva
comodamente posto accanto a lei senza attendere una vera e propria
risposta, oltre a quel muto cenno della testa.
Appena fu
certa del calore che emanava il suo corpo accanto al proprio,
Arianna si scansò leggermente fingendo di dover sistemarsi
più comoda. Ezio probabilmente si accorse del suo disagio,
ma non solo per via del suo atteggiamento sfuggente: c’erano
le guance rosse, gli occhi lucidi e sgranati, le mani inferme e le
labbra serrate. Arianna era una statua di marmo che ritraeva chi ha
appena visto un fantasma. D’altro canto, Ezio Auditore, col
suo cappuccio bianco accompagnato dal frastuono delle varie cinghie ed
armi legate al fianco (quali una daga e uno stiletto) non pareva altro.
Inutile dire
quanto Arianna fosse tesa in quel momento, in bilico tra
il fuggire via di corsa oppure trattenere il fiato fino allo svenimento
(cosa che, involontariamente, stava già facendo).
-Vi prego, non
spaventatevi- la rasserenò inutilmente il
ragazzo guardando tutt’altra parte, forse per dissimulare il
fatto che stava parlando con lei.
Sbaglio,
o tutte le
guardie della città gli stanno alle calcagna?!
-Avrei
preferito che ci vedessero assieme il meno persone possibili, ma
dovete dirmi urgentemente se Leonardo è rientrato da
Careggi- disse, mal celando la nota d’ansia che gli incrinava
la giovane voce. Sembrava oltremodo turbato dal dolore della sua
perdita, soprattutto ora che doveva fare i conti con chi pareva avesse
intenzione di coinvolgere nelle sue faccende.
Arianna
avrebbe preferito mentire, dicendo che Leonardo non sarebbe
tornato prima di un mese, un anno, magari, pur di tenere il suo maestro
lontano da quelle pericolose faccende politiche. Leonardo ne sapeva di
politica quanto di matematica, in quei tempi, e Arianna stentava ad
immaginarlo impegnato in altro che non fossero i suoi scarabocchi
anatomici, i dipinti e la natura.
-Vi prego,
parlate!- sibilò il ragazzo a denti stretti.
–Sarei venuto di persona, ma le guardie circondano la zona
attorno alla bottega ed è assai rischioso per me, nelle mie
condizioni che voi conoscete, traversare quelle strade. È
solo per questo motivo che vengo ad importunarvi, ser-
spiegò.
Arianna
provò una briciola di compassione. Forse una
pagnotta intera, ma non di più. Poteva dare per certo che
Leonardo sarebbe rientrato se non quella sera stesa,
l’indomani mattina, ma non aveva il minimo interesse nel
vedere il suo maestro subito impegnato appena tornato da un lungo
viaggio estenuante. Ad Ezio, decise, avrebbe detto di venire la
prossima settimana, così la ragazza avrebbe avuto modo e
tempo di preparare Leonardo su come stavano realmente le cose. Forse,
si disse, non avrebbe dovuto interferire e invece di posticipare la
visita di messer Auditore nella bottega del da Vinci se ne sarebbe
dovuta stare zitta, buona e in disparte come la coscienza le suggeriva.
Eppure, era più greve in lei il senso di protezione verso il
suo maestro per via di un altro motivo, del quale non poteva certo
discutere con il totale estraneo che le sedeva accanto.
Qualche
sera fa ho fatto
un sogno che pagherei per non rifare ancora!
Era stato
durante la notte della partenza di Leonardo per Careggi che
Arianna aveva sognato, tacendo, che il suo amato maestro veniva
picchiato da una guardia della città, con l’unica
accusa di aver ospitato in casa il famigerato e ricercatissimo Ezio
Auditore. Arianna si era svegliata, balzando sul letto e soffocando un
grido prima che Tommaso, dal piano di sotto, potesse sentirla urlare
per poi venire a consolarla come avrebbe fatto una madre affettuosa.
Arianna, preferendo evitare certe smancerie, si era costretta a restare
sveglia tutta la notte con le ginocchia strette al petto e gli occhi
sgranati. Il vero fantasma la tormentava costantemente negli incubi.
Quelli che lei non chiamava più “sogni”
già tempo, erano l’onnipresente peso di una
maledizione che le dilaniava le carni. La consapevolezza di non poter
alterare il futuro, anche quando le persone che amava erano in
pericolo, le strappava le viscere dal corpo come una lenta agonia.
-Il vostro
nome-.
Arianna si
riscosse d’un tratto dai suoi pensieri,
scoprendosi intenta ad osservare la fontana di fronte col vuoto negli
occhi.
-Il vostro
nome, di grazia- Ezio rinnovò la domanda.
La ragazza
inclinò la testa dall’altra parte,
sfuggendo allo sguardo di lui che indagava anche troppo sulla pelle
liscia del suo volto e le forme morbide del suo corpo.
–Vincenzo- disse prima di alzarsi, ma il tentativo di
lasciare la piazza fu vano quando Ezio le afferrò il polso,
costringendola a tornare seduta.
-Sono lieto
che vi siate almeno degnati di rispondere, ma non avete
ancora risposto alla prima domanda- disse gelandole il sangue nelle
vene con un’occhiata che non tradiva rifiuti.
-Tra una
settimana- gemé Arianna, cercando di pronunciare
meno parole possibili perché il tono di voce maschile era
ancora in via di sperimentazione. –Passate tra una settimana.
Allora Leonardo sarà pronto per ricevervi-.
A quel punto
Ezio la lasciò andare, e Arianna volle
allontanarsi da lui con estrema lentezza, spostandosi un poco sulla
panca. Incrociare quegli occhi era come perdersi in un abisso di
sconforto, rassegnazione, disperazione, dolore… In quegli
occhi, pensò, si rispecchiavano tanto bene i suoi.
Arianna si
richiuse la porta alle spalle delicatamente, notando con
stupore che Tommaso era riuscito a farla tornare come nuova anche dopo
le movimentate vicende delle ultime sere. Un penetrante profumino di
verdure bollite fece capolino dritto in gola quando, con
l’acquolina in bocca, Arianna comprese che Tommaso stava
già preparando il pranzo.
La ragazza
posò il quadernetto sul tavolo più
vicino e si avviò su per le scale quasi di corsa. Giunse in
cucina sistemandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
-Alla buon
ora!- gioì Tommaso lanciandole
un’occhiata. –Credevo che il pranzo avrebbe fatto
prima a freddarsi- la riprese.
-Non sai che
gioia tornare a mangiare qualcosa di verde- dovette
ammettere la ragazza aiutandolo ad apparecchiare la tavola, sapendo
bene dove trovare piatti e quant’altro tra le dispense e i
cassettoni. Ormai la bottega di Leonardo era la sua seconda casa.
La
mia casa e basta, pensò
subito dopo.
Tommaso
inarcò un sopracciglio e finì di tagliare
le carote che poi riversò nel pentolino di rame sopra al
focolare. –Mi stai prendendo in giro?-.
Arianna scosse
la testa. –Quel dannato coniglio è
rimasto sullo stomaco anche a me- confessò. –In
qualche assurda maniera, credo di essere diventata una mastica erba-
ridacchiò giocosamente.
-Madre Santa!-
esultò il Masini, come se avesse ottenuto una
grande vittoria. –Quando Leonardo lo verrà a
sapere, credo che farà i salti di gioia-.
Saltellando
o meno dalla
gioia, a me basta rivederlo… Arianna
sospirò misurando l’entusiasmo di Tommaso nel
pronunciare quelle parole. Anche
Zoroastro dev’essere contento per il suo imminente ritorno.
Spero solo che nessuno degli uomini politici spesso invitati da Lorenzo
non gli abbia dato noia per quella maledetta accusa di
sodomia…
-Siedi pure,
è quasi pronto- la informò Tommaso
con un radioso sorriso.
Arianna
rinunciò a mettersi seduta, in quanto la schiena
reclamasse dell’altro riposo. Si appoggiò al
davanzale e, incrociando le braccia sotto il seno, tacque assorta nella
contemplazione del paesaggio che prendeva vita fuori dalla finestra. I
comignoli dei tetti più vicini sprigionavano fumo bianco e
per tutta Firenze si diffondevano i profumi delle particolari spezie
che la penisola offriva loro. Dal basilico all’origano, dal
prezzemolo all’aglio e così fino alla cipolla.
-Allora-
cominciò Tommaso tenendo basso il fuoco che bolliva
le verdure. –Cos’hai disegnato di bello?- chiese.
Arianna
sgranò gli occhi, interdetta da quella domanda.
–Come sapete che ero a disegnare?-.
Zoroastro si
strinse nelle spalle. –Chiamalo intuito- disse
con naturalezza.
Arianna
sospirò tornando a guardare fuori dalla finestra.
–Nulla che potrebbe interessare un mago-.
Tommaso scosse
la testa ridendo.
Arianna si
adombrò. –Cosa ridi?-.
-Rido,
Arianna, perché sono le esatte parole che mi sento
dire da Leonardo quando lo sorprendo a scarabocchiare sui suoi
quadernetti. Su questo non c’è niente che vi
contraddistingue: siete così pieni di voi stessi, del vostro
essere artisti, che vi ritenete superiori a tutti scultori, maghi,
fabbri e artigiani vari! Pensate che gli altri non possano
comprendervi, e per tanto riservate solo ai vostri simili le
spiegazioni più interessanti!- invece che lamentarsi,
Tommaso sembrava profondamente turbato da ciò.
–Secondo me, un giorno non molto lontano, io
morirò per le pazzie che quell’uomo circonda di
tanta gelosia!-.
Arianna
soffocò una risata, ripensando alle più
strampalate invenzioni che di tanto in tanto Leonardo schizzava sui
suoi fogli.
-Avanti, ora
siedi davvero, che è pronto-.
Quella sera
Arianna non poté fare a meno di tenersi
nuovamente impegnata nel disegno.
Sedeva alla
scrivania del suo maestro, al pian terreno della bottega.
Tommaso era di sopra a mettere ordine nella cucina, come al solito,
dopo la cena appena consumata. Si sentiva il frastuono delle stoviglie
che il Masini puliva nel secchio dell’acqua che, come da
routine, avrebbe poi svuotato per le strade affacciandosi semplicemente
dalla finestra.
Il lume di una
candela rischiarava la carta e guidava l’abile
penna d’oca bianca che la ragazza faceva danzare sul papiro
come fosse un’estensione della propria mano. Arianna era
circondata di vecchi libri e quasi spariva dietro le copertine di essi,
che costituivano un muro tra lei, i suoi disegni e la sua fantasia, e
il mondo reale all’esterno.
A farle
compagnia nell’oscurità della notte
c’era il piccolo Marcus. La gabbietta del pettirosso era
sulla cima di una pila di tomi e suo ospite era impegnato nelle
attività serali della toeletta. Si punzecchiava col becco
l’interno delle ali, tra una piuma e l’altra a
caccia di qualche insettino fastidioso. Di tanto in tanto gli sfuggiva
un cinguettio che faceva sorridere la ragazza, china sul foglio a
scarabocchiare corpi di donne.
Due delle
grandi finestre in alto erano aperte e lasciavano passare una
corrente d’aria fresca. Il cielo notturno era punteggiato di
centinaia di stelle, i rumori della strada si confondevano con le voci
dei passanti o dei mercanti del quartiere di San Lorenzo. In
lontananza, una campana suonò sei rintocchi annunciando la
sera tarda e il tempo di coricarsi.
Arianna
alzò la testa dai disegni guardando il pettirosso
attraverso le sbarre. Marcus la scrutò a sua volta con i
suoi occhietti neri.
-Che dici, lo
aspettiamo?- chiese, rivolgendosi al pennuto.
Questi
canticchiò.
Arianna
sorrise. –Lo considero un sì- disse
tornando a disegnare.
Tommaso, che
si era fermato sulle scale nascosto nella penombra, e che
aveva sentito le parole della ragazza, tornò indietro sui
propri passi senza fare rumore. Era sceso per dare ad Arianna
l’ordine di farsi trovare a letto in meno di 20 secondi, ma
ci aveva ripensato col cuore in mano.
.:Angolo
d’Autrice:.
Mi rivolgo a renault ma generalmente a tutti dicendo: sì,
all’interno delle vicende di Assassin’s Creed II,
avete sentito bene, viene nominato un certo
“Vincenzo”. Maggiori delucidazioni al momento della
verità, ma se volete indagare fate pure! XD
Chiedo perdono ad Elkade
per la mia ulteriore svista nel capitolo precedente! XD Non avrei
dovuto inglobare nella narrazione il punto di vista di Tommaso,
confondendo oltremodo lo sviluppo della trama. Quella cosa che stai
pensando, riguarda solo e unicamente Leonardo, come da me confessato
qualche mese fa! :3 La mia decisione di mettere il Masini al centro
delle vicende, nel capitolo precedente, era prettamente legata ad un
fatto stilistico, nonché di gusto personale! XD Sai, per
fare un po’ di scena, come suol dire! O magari,
semplicemente, per riempire qualche riga in più
<.<
· Un primo puntino speciale lo
dedico tutto a Leowynn95
che sta seguendo con tanto interesse questa fan fiction senza sapere
esattamente di cosa parli ^^ sì e grazie, ricordavo
vagamente chi fosse Zoroastro nell’Antica Persia, mi mancava
l’appellativo “Maestro” XD ancora grazie
mille per la recensione e i complimenti :3 (p.s. ho aggiornato anche il
Nido del Drago, la ff su Hyperversum, nel caso non ci avessi ancora
fatto caso ^^ ci becchiamo lì!)
· Un secondo puntino speciale
lo dedico tutto a lullacullen.
Grazie per la tua recensione per l’ammissione alle storie
scelte di questa storia che, sinceramente, non merita tanto. Ti
chiederei di cancellare la recensioni perché non credo che
questa fan fiction possa piacere a tutti, soprattutto come contenuti.
Ribadisco dicendo che apprezzo davvero tantissimo, sono commossa, ecco,
ma credo che tu stia offrendo troppo. Sono comunque troppo felice che
tu ti sia avvicinata così al mondo di Assassin’s
Creed grazie alle mie storie. Non credevo di avere questo dono! XD
Detto ciò, ringrazio tutti calorosamente e vi do
appuntamento alla prossima puntata :3
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Capitolo 26 *** Una calorosa accoglienza ***
Questo post è
unicamente incentrato sul ritorno di Leonardo a Firenze dopo la
trasferta a Careggi :3 Presenta un’ipotetica situazione posta
in una reale circostanza.
Destreggiarsi tra
personaggi storici di un tale rilievo e importanza non è
stato affatto semplice: ad ogni battuta di ciascuno mi palpitava il
cuore nel costante timore che gli stessi facendo dire qualcosa di
sbagliato. Pertanto, poiché l’idea nasce come
parte non fondamentale della trama, non è legata
né ai precedenti né ai successivi capitoli, se
non per una piccola parte contenuta nelle ultime righe.
Indirizzato a chiunque
abbia deciso di leggere questo mio breve tributo alla Bottega del
Verrocchio: spero che vi piaccia ^^
Una calorosa accoglienza
Era il dì, o meglio, la sera del 7 maggio 1476 quando il
convoglio di pittori, letterati e poeti rientrò a Firenze da
Careggi.
La marcia del ritorno era durata tutta la giornata. Il gruppo si era
mosso alle prime luci dell’alba per raggiungere Firenze solo
quella notte, sotto un magnifico cielo stellato. Erano una dozzina in
totale, gli artisti, accompagnati da cinque guardie armate: non si
poteva certo rischiare che le maggiori ricchezze e conoscenze del tempo
venissero derubate da furfanti o rapinate lungo il tragitto!
Subito avanti c’erano i soldati di Lorenzo e la sua carrozza,
dentro la quale riposavano il piccolo Piero e la madre Clarice.
Tutt’attorno si erano disposti i fedeli alabardieri: la
prudenza non era mai troppa.
Ormai in vista delle mura, sul sentiero sterrato che percorreva in
sella al suo cavallo, Leonardo, che si era permesso di chiudere gli
occhi, si sentì gelare da una curiosa folata di vento che
gli scompigliò i capelli e i lembi del mantello. Il cavallo
tirò indietro le orecchie e rischiò
d’inciampare sulla via, per metà assopito come il
padrone.
L’amico affianco azzardò un ghigno furbastro sulle
labbra sottili. –Non vorrai mica azzopparti prima di veder
conclusa la tua fama, pittore- arrise.
Leonardo accorciò le redini e gli scoccò
un’occhiataccia. –Non portar altra sfortuna, te,
Sandro, che di ‘sti tempi ne avanza- sopraggiunse con una
smorfia.
L’artista fece avvicinare la sua bestia a quella
dell’inventore e si guardò dagli altri compagni
che marciavano con loro. –Se ti riferisci
all’ospite che ti fa le bizze in bottega, perché
considerarla sfortuna?- sghignazzò. –Potresti
sempre metterla a posa e farne un bel modello, una volta che
è donna- propose con leggera malizia.
Leonardo aggrottò la fronte.
–All’età sua penso che donna lo sia
già, ma questo cosa c’entra? E poi non mi pare
cosa buona: non lei, non Arianna, conoscendola non accetterebbe mai
timida com’è- ammise sussurrando appena il suo
nome.
Quell’uomo era l’unico di cui Leonardo si fidasse
abbastanza da svelargli il malandrino segreto della Pazzi nella sua
bottega. Sapeva che Sandro, su sua richiesta, non ne avrebbe fatto
parola con nessuno, potendo stare sereno che il detto, piuttosto, se lo
trascinava nella tomba.
Alessandro di Mariano di
Vanni Filipepi, più comunemente noto come il Botticelli,
all’epoca aveva trentuno anni e quella sera vestiva di una
primaverile mantellina sopra ad un abito rosso mogano. La calzamaglia
color rame e il decorato copricapo arancio simboleggiavano la sua
maturità artistica e il suo raffinato gusto nel vestire.
I due si erano conosciti nella bottega del Verrocchio ed erano stati
inseparabili, assieme al Lorenzino di Credi, per quel breve tempo che
era stato loro concesso assieme. Perché Sandro, ormai adulto
e ben fatto, aveva aperto una sua bottega qualche anno prima e
già aveva garzoni e discepoli ovunque, a Firenze. Due,
giovanissimi, solo bambini, se li era portati dietro a Careggi giusto
quella settimana, ma erano rientrati a Firenze la settimana scorsa,
precedendo il maestro. Il Magnifico stesso si era congratulato per la
sua dedizione e interesse verso gli altri, premiando
l’artista in una generosa somma in denaro, con la quale
Sandro, aveva detto, avrebbe fatto ristrutturare la casa paterna.
-Mi piacerebbe tanto conoscerla la tua allieva- disse il Filipepi ad un
tratto.
Leonardo lo fulminò con un’occhiata di braci anche
attraverso il buio della notte.
-Ah, perdonami… il
tuo allievo- si corresse il Botticelli con grazia, senza
mai peccare nel fine tono di voce. –Da come ne parli, sembra
padrone di un grande talento. Gli insegnerai qualche trucco di quelli
che non hai mai voluto condividere con nessuno?- domandò
curioso.
Leonardo sorrise guardando a terra, e nel contempo fece una carezza al
cavallo. –Forse. Il talento nel disegno non gli manca, ma
deve far pratica coi colori e con le ombre. Troverò giorni
da dedicargli, se è quello che chiedi-.
Sandro sembrò soddisfatto. –Benone, ma cerca di
non metterlo troppo in mostra lasciando che ritocchi i tuoi quadri, per
esempio, o qualcuno potrebbe interessarsi alla sua mano piuttosto che
alla tua- scherzò.
-Di questo ne dubito, Sandro, ne dubito fortemente- sospirò
Leonardo alzando il naso e guardando le stelle, mentre il cavallo
proseguiva senza comandi assieme a quelli degli altri acculturati.
–Chi mai potrebbe interessarsi all’arte
d’una donna travestita da uomo?- sospirò,
chiedendo più a se stesso che ad altri.
Il Botticelli si adombrò. –Perché dici
ciò?- domandò confuso. –Sottovaluti la
sua capacità di mimetizzarsi oppure sei in forse del suo
talento?-.
-Affatto, anzi. Mi fa quasi invidia per quanto io mi sforzi
d’imitare il pennello leggero di una donna, ma percepisco che
non è aperta al mondo come vorrei. Quando sono con lei mi
accorgo a malincuore della sua timidezza, del timore che
l’avvolge. Il sorriso sulle sue labbra non è mai
pieno, mai vero. C’è qualcosa di oscuro, macabro
in lei, che la trattiene, che le sbianca spesso il viso e le inumidisce
gli occhi- disse Leonardo tutto d’un fiato.
Sandro si aggiustò il cappello con una mano. –Mi
sembra più che normale. Non emerge mica da un campo di rose
e fiori, Leonardo. Quella ragazza ne ha passate di brutte in famiglia.
Poi, sbaglio, o mi dicesti che suo padre l’aveva picchiata?-
pronunciò serio.
L’inventore annuì, ma con breve convinzione.
–Si è tutto risolto, ovvio, ma la settimana
scorsa-, cominciò abbassando il tono -è pure
venuto a farle visita-.
Sandro sgranò gli occhi. –Chi? Messer…
Guglielmo?- sussurrò.
L’altro annuì. –Proprio lui-.
-Perché non me l’hai detto subito!-
imprecò quello. –Cos’ha fatto?
Cos’ha detto?- chiese con curiosità crescente.
-Voleva parlare con… lui,
nient’altro, ‘sta tranquillo-.
-Devo star tranquillo quando il mio più caro amico rischia
la forca!- digrignò Sandro a denti stretti e voce bassa.
–Appena sarai a Firenze, guarda te se non
t’arrestano! E si può sapere di cosa hanno
parlato?-.
-In vero penso di non conoscere tutti i dettagli. Quel che so,
è che suo padre terrà il segreto, non
dirà nulla alle guardie, tantomeno alla moglie. A lui basta
saper la figlia sana. Non vuole che torni a casa, dove sa che ad
attenderla c’è il peggiore di tutti i cani
rabbiosi- spiegò.
-Chi, Vieri?-.
-No, Bianca-.
-Ah- ne convenne Sandro, rilassandosi sulla sella. –Se lo
dici tu- ammise stringendosi nelle spalle.
-E poi la sua famiglia ha ben altro a cui pensare-.
-Tipo?-.
Leonardo si voltò in parte verso di lui. -Arianna mi parlava
spesso di un processo, e Guglielmo ha solo confermato le sue parole.
Pare che in causa ci sia suo fratello Francesco, il maledetto che ha da
poco tirato fuori gli artigli contro la famiglia Auditore. Guglielmo
cercherà in tutti i modi di stemperare la faccenda, ma non
so quanto allungo i Medici riusciranno a tener in mano la situazione-
borbottò.
-Temi che sia successo qualcosa mentre Lorenzo non era in
città?- domandò Sandro, severo.
-Non lo temo,- disse Leonardo guardando lungo la strada e arrivando a
cogliere un battaglione di guardie molto numeroso appostato
più avanti, con fiaccole e armi alla mano.
–…Io so
che è successo qualcosa- concluse l’inventore
quando il Botticelli seguì il suo sguardo.
~ ۞ ~
A tener buone le questioni politiche era stato, per la prima volta
nella storia, il fratello minore di Lorenzo, Giuliano, rimasto in
città mentre il parente si occupava dei lussuosi incontri
tra la maggiore gente colta della Toscana. Ma il terzogenito di casa
de’Medici non aveva fatto un ottimo lavoro come garantito:
sotto a quel suo grosso naso adunco da gran signore erano passati
quattro processi in due giorni. Lorenzo, appena saputa la notizia,
aveva preceduto i suoi accompagnatori ed era volato di galoppo dentro
Firenze, scortato solamente da tre guardie.
-Che accade?-.
-Ma dove va correndo?-.
-Sarà grave?-.
Un chiacchiericcio confuso prese piede tra gli artisti, mentre la
carrozza proseguiva lenta oltre le mura. Al suo interno, allarmati
quanto il Principe di Firenze, stavano il piccolo Piero e Clarice.
Sandro aggrottò la fronte e fece per portare avanti il
cavallo, ma Leonardo si allungò sulla sella e lo
frenò, tirandogli le briglie al posto suo.
-Acquietati, amico mio, non riguarda noi- disse, serio.
-Per ora- biascicò Sandro, nervoso, affiancando il palafreno
a quello dell’inventore che taceva inquieto.
-E così i tuoi timori erano corretti- commentò il
Filipepi
con una nota amara nella voce. –Preghiamo che non sia gran
cosa-.
Appena il convoglio di artisti entrò in città e
salutandosi si sparpagliò per le strade ognuno con la
propria dimora da raggiungere, Sandro smontò di sella e
prese a tirare il cavallo per le briglie.
Leonardo dubitò se imitarlo o meno. Si guardò
attorno circospetto, accorgendosi con stupore delle pochissime guardie
rimaste a pattugliare le vie. Scambiò con l’amico
un’occhiata e i due vennero presto affiancati dal Verrocchio.
Questi si mise in mezzo tra di loro, altrettanto perplesso.
–Mah, che stranezze accadono quando il Magnifico non batte la
faccia- commentò l’orafo maestro grattandosi il
mento.
Lui e il Botticelli si avviarono discutendo, ma Leonardo
restò indietro. Smontò tardivo dalla sella, prese
il cavallo per le redini e lo legò alla staccionata, vicino
all’abbeveratoio, assieme agli altri. Gli carezzò
il muso un’ultima volta e poi si avviò
anch’egli.
I tre artisti seguirono il corso principale di Firenze e giunsero in
vista della casina del Verrocchio ormai a notte inoltrata. Le finestre
dell’edificio erano ben illuminate e dall’interno
veniva anche un gran chiasso: musica, ma soprattutto
l’allegro cianciare di una quindicina di persone.
-C’avrei scommesso l’oro colato, guarda-
mugugnò Andrea andando verso l’ingresso della
bottega. Quando bussò due potenti colpi sulla porta (le
chiavi l’aveva affidate a Lorenzino perché
portasse avanti bottega mentre lui era fuori città) nessuno
venne ad aprire per parecchi minuti.
Leonardo e Sandro si barattarono una nuova occhiata divertita.
-Suvvia, Andrea, sono ragazzi- tentò il Filipepi vedendo
adirato quello che un tempo era stato suo maestro.
-Non ragazzi, Sandro! Bestie di Satana, altroché! Maledetti
Diavoli!- imprecò l’orafo e bussò di
nuovo, ancora più forte. –Aprite ‘sta
porta, bastardi!-.
Di questo passo la butta
giù quella porta… pensò
Leonardo, scrollando le spalle ad una medesima folata di vento, che
inaspettatamente gli trascinò nelle orecchie un silenzioso
suono di passi.
Leonardo si voltò e scrutò circospetto
l’oscurità alle sue spalle, mentre il Verrocchio
continuava a bussare con violenza per farsi sentire dai suoi garzoni.
Nonostante il gran frastuono che faceva Andrea sulla porta, Leonardo
era sicuro di aver sentito, e poi visto, qualcuno muoversi nei
dintorni, dove le loro ombre, proiettate sui muri delle case dai
bracieri sulla soglia, si crogiolavano
nell’oscurità della notte.
Sarà stato un
gatto… pensò. L’artista si
maledisse di tanta pignoleria e, sospirando, preferì alzare
gli occhi al cielo stellato giusto per distrarsi.
-Basta, io ci rinuncio!- proruppe d’un tratto Andrea battendo
sulla porta un ultimo colpo. -Hanno fatto baldoria tutta la notte
‘sti cagnacci, perciò che continuino pure,
finché non muoiono alcolizzati o a far l’amore nei
forni!- ringhiò il Verrocchio circondandosi dei suoi
discepoli più fedeli. –Ah- sospirò,
-meno male che ci siete voi a far luce in ‘sta galleria buia.
I miei Angeli- disse posando le mani sulle spalle di Sandro e Leonardo
con una smorfia in viso.
-Mastro Andrea, dovete accettare che la gioventù non
è più come una volta, e lasciare che la stessa
faccia il suo corso. Che paghino le conseguenze della loro ubriachezza-
lo consolò il Botticelli.
-Sandro, Sandro, Sandro- gli fece eco Andrea scuotendo la testa.
–Non è la loro vita che mi fa pena, ma sono
preoccupato per l’arte mia che dorme là dentro con
loro!- eruppe in ansia il maestro.
Il Botticelli s’irrigidì sgranando gli occhi.
–A questo fatto non avevo pensato- confessò
smarrito. –I quadri, se fosse successo qualcosa…
le tele… le tempere- balbettò.
Nella Bottega di Andrea
Sandro ha lasciato molti dei suoi ultimi dipinti su commissione. Pare
che li abbia portati al Verrocchio prima di partire per Careggi,
perché Andrea scegliesse assieme a lui quali portare alla
mostra di luglio.
Leonardo si inclinò dalla sua parte. -Se non sbaglio,
là dentro c’hai lasciato anche la tua di arte,
Sandro- sussurrò l’inventore
nell’orecchio del pittore.
Il Filipepi inarcò un sopracciglio e scrutò
allungo lo sguardo malandrino di Andrea e Leonardo, che sotto i baffi
se la ridevano di gusto.
Sandro Botticelli, che di pulizia e precisione era sapiente
più degli altri, andò incontro alla porta di
corsa e cominciò a battere su di essa. –Cagnacci
schifosi! Se vi siete azzardati a toccare le mie tele, state certi che
non vedrete l’alba! Aprite! Infami, aprite, subito!-.
L’orafo e l’inventore scoppiarono in una grassa
risata che, sia in strada che in bottega, attirò
l’attenzione di gente: una ronda di guardie
camminò loro accanto ma non diede fastidio alcuno.
Piuttosto, mentre ridevano, qualcuno si affacciò dalla
finestra del terzo piano della bottega con una faccia a dir poco brilla.
-Mastro! Mastro!- esultò il ragazzo sporgendosi e agitando
il braccio.
I tre fiorentini tornati da Careggi alzarono la testa, sorpresi. La
fronte di Andrea impiegò mezzo secondo a corrugarsi e gli
occhi a farsi piccoli piccoli per la rabbia.
-LORENZO!- gridò furibondo. –Cristo in Croce! Esci
dal mio studio, bastardo!- strillò agitando un pugno
minacciosamente.
Il Lorenzino si voltò verso l’interno della
bottega e chiamò a gran voce gli altri garzoni, ignorando
del tutto l’ammonimento del maestro. –Amici! Mastro
Andrea è tornato!-.
Leonardo si preparò a vedere il peggio, nel frattempo che
Sandro gli tornava vicino.
Due giovanotti si sporsero a guardare giù e, appoggiandosi a
Lorenzo lo schiacciarono con il loro peso sulla balconata.
-Mastro Andrea!- salutò uno agitando la bottiglia mezza
vuota di vino nella mano.
-Com’è andata a Careggi, maestro?- chiese
l’altro, singhiozzando.
-Ubriachi come cani, che v’avevo detto?- borbottò
il Verrocchio levandosi il cappello e stirandosi i capelli
all’indietro con un gesto nervoso.
-Leonardo!- esultò d’un tratto Lorenzo di Credi,
facendo sobbalzare l’inventore. Questi tornò a
guardare la finestra accigliato, ma Lorenzo parlò di nuovo
prima che il da Vinci potesse aggiunger parola.
-Leonardo! Leonardo! Vi ho cercato tanto in questi giorni! Devo dirvi
una cosa importante!- annunciò.
-E ditemela, dunque- pronunciò quieto Leonardo.
-Io vi amo, Leonardo!-.
Al suono di quelle parole le guance dell’inventore si
colorarono come peperoni. Sandro si portò una mano davanti
alla bocca, sconvolto, ma soprattutto per nascondere la risata, e
Andrea si batté il palmo in fronte, esasperato.
-Io vi amo, Leonardo! V’ho sempre amato e voglio esser vostro
per sempre! Portatemi via da ‘sto posto, voglio star con voi
in bottega! Il nostro talento assieme ci guiderà lontano
come il vento, me lo sento e…-.
Lorenzo proseguì ben oltre, scendendo in dettagli che
descrivevano Leonardo addirittura come suo eroe. L’inventore,
da un lato, non riuscì a sentirsene tanto sorpreso;
dopotutto, quelle volte che Davide e Gallo deridevano il Lorenzino per
i suoi boccoli dorati da bambola, Leonardo ci andava sempre di mezzo
per difenderlo. Era il minimo che il fanciullo non gli fosse
riconoscente in cuore, ma non a tal punto da dire di amarlo.
Alle spalle del Lorenzino, per la sua manifestazione di ubriachezza, si
levava un coro di risate.
-Vieni qui, Lorenzo, te lo do io l’amore che cerchi!-
scherzò qualcuno dall’interno.
Ora a tingersi di rosa furono le guance del fanciullo biondo, che
voltandosi si vide trascinato da un compagno verso il centro della
stanza, laddove gli altri garzoni ridevano come iene.
Nel frattempo, al pian terreno e fuori dalla bottega, i tre pittori
aspettavano pazienti.
-Se non stesti già ridendo, Sandro, direi che stai a
piangere- commentò Andrea con una smorfia, lanciando
un’occhiata al Filipepi.
Questi sarebbe esploso da un momento all’altro: le guance
gonfie, le labbra strette e lo stomaco contratto, peggiorava quando i
suoi occhi umidi si posavano su Leonardo.
L’inventore scrollò le spalle dissimulando il
rossore in viso e guardò altrove. –Non
è divertente- borbottò riferito a ciò
che Lorenzo aveva confessato.
-Il tuo promesso ha organizzato proprio una bella festicciola, eh?-
fece eco Andrea, incrociando le braccia al petto. Guardò
severamente il suo allievo più giovane, ma il da Vinci
preferì evitare altre battutine sulle fragili condizioni
mentali del Lorenzino, così declinò
l’argomento.
-Maestro, è più probabile che Lorenzo sia stato
trascinato dal volere altrui proprio perché tanto deriso,
perciò penso che non sia stata sua l’iniziativa di
tale monelleria. Non infierite troppo su di lui- spiegò
greve.
-Immagino, immagino- assentì il Verrocchio. –Ma
spiegalo tu al vicinato, quando verranno in Bottega con torce e
forconi, tra qualche ora, tsk!- sollevò il mento
indispettito.
La forza di volontà venne improvvisamente meno a Sandro, che
nel silenzio della notte scoppiò in un gran ridere. Leonardo
allora gli scoccò un’occhiata burbera, ma
già Andrea sembrava esserne stato influenzato,
perché a poco a poco anche sulle sue labbra compariva un
sorriso.
-Hai finito?- domandò scocciato Leonardo ad Alessandro.
Questi si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi.
–Sì, sì, perdonami, amico mio, se non
ho resistito-. In faccia era rosso come un peperone, nonostante la poca
luce.
Leonardo si strinse nelle spalle, aggiustandosi il mantello.
In quello stesso istante il volume della musica sembrò
abbassarsi fino a dissolversi, e quando la porta della bottega si
aprì, per Firenze era già tornato un dolce
silenzio.
-Lode alla Vergine! Un miracolo!- eruppe il Verrocchio piombando
all’interno senza accorgersi del ragazzo che aveva aperto la
porta, e che Andrea spintonò in terra dalla furia. Il
fanciullo si riassestò sui piedi reggendosi al pilastro
vicino, guardando come il suo maestro sbatteva porta dopo porta
gridando a squarcia gola poche ma chiare parole:
-Bastardi! Mettete ordine, pulite i muri e lavate le schifezze dalla
vostra e dalla mia roba!-.
Come soldatini, orafi e giovani artisti, seppur poco coscienti di
sé, scattarono sull’attenti e poi dritti a
svolgere il dovere loro dettato da Andrea, che se li vide correre
davanti, su, giù, a destra e a sinistra come formiche sul
cui formicaio è piovuto un tacco di stivale.
Quando anche Sandro e Leonardo (in quest’ordine) entrarono in
bottega, l’uno si mise a braccia conserte godendosi la scena,
l’altro richiuse la porta perché le urla del
Verrocchio non turbassero il sonno dei vicini.
-Sarà una lunga notte- sospirò Sandro.
-Forse dovresti dar una mano anche tu, e pregare che non ti abbiano
rovinato i quadri- sopraggiunse Leonardo appena gli fu affianco.
Il Botticelli si adombrò. –Odio darti ragione-
disse incamminandosi. Salì le scale e scomparve al secondo
piano dell’edificio.
Per qualche minuto, forse un’ora, le attività in
bottega chiesero man forte di tutti gli artisti che, sotto dittatura di
Andrea, tirarono a lucido il locale. Sandro aveva colto intatti i suoi
ultimi lavori, e alcuni cartoni e studi di corpi su carta che aveva
sbadatamente abbandonato nello studio del Verrocchio. Questi, cogliendo
il disordine che i suoi garzoni avevano lasciato nelle sue stanze,
aveva sfuriato come un toro contro chi per primo gli capitasse a tiro.
Gli stessi orafi che avevano fatto danni a molti degli stampi o modelli
in terracotta si occuparono di pulire il pian terreno, mentre i
musicisti, amici di amici degli artisti, fuggivano dalla bottega prima
che Andrea li prendesse a mazzate.
-Mastro Leonardo-.
Sentendosi interpellato da una voce acuta e giovanile,
l’inventore si voltò, ma si vide costretto ad
abbassare di molto lo sguardo verso il suolo. Il bambino che
l’aveva chiamato per nome gli tirava ora un lembo del
mantello giusto per attirare la sua attenzione. Il bambolotto vestiva
come un adulto, ma non poteva avere più di sette, otto anni.
Aveva le guance pallide, gli occhi grandi e verdi, i capelli bruni,
lisci, appiattiti da un berretto rosso.
Leonardo si addolcì, pensando che fosse uno degli scultori
bambini di cui il Verrocchio amava circondarsi, soprattutto in quei
tempi, avendo interrotto i corsi di pittura di cui, invece, si occupava
ogni tanto Lorenzo.
-Mastro Leonardo, Lorenzo è nel cortile- disse.
L’inventore parve non capire e aggrottò la fronte.
-Non si sente bene- aggiunse il bambino lasciandogli il mantello e
facendo un passo indietro, come spaventato dalla sua reazione.
Leonardo allora si diede un certo contegno, ringraziò il
fanciullo posandogli una mano sulla testa e si avviò per il
giardino dietro la bottega.
Appena fu all’sterno, di nuovo sotto il cielo stellato e
circondato delle piante in vasi che collezionava Andrea per farne
ritratti di nature oppure impastarle per semplici tempere,
trovò Lorenzino seduto sulla panchina di travertino grezzo,
appoggiato con un gomito al bordo della fontanella. Il crosciare
dell’acqua limpida sulla pietra diffondeva il suo dolce suono
di campanelli per tutto il giardino, e il profumo di fiori si mescolava
alla fresca umidità della notte.
Il fanciullo stava proteso in avanti e con quei boccoli luridi di
tempera e spettinati aveva davvero una pessima cera.
Leonardo andò ad accomodarglisi accanto. Lorenzo
sobbalzò per lo stupore quando se lo vide comparire davanti
al naso all’improvviso, perché probabilmente era
distratto dal fastidio di stomaco e dalle bollicine nella testa.
-Come ti senti?- chiese Leonardo cordiale.
Il viso di Lorenzo, ancora sporco di tempera qua e là
nonostante avesse le mani bagnate nel tentativo di lavarsela via, si
tese in una smorfia, ma non disse nulla.
Leonardo lo capiva: dopo quella sera alcuni dei sui compagni avrebbero
ricordato le sue parole e gente come Gallo Cecconi o Davide Marrozzi
avrebbe continuato a deriderlo.
-Non devi sentirti in imbarazzo per ciò che hai detto-
cominciò Leonardo. -Sotto gli effetti del vino mi sarei
aspettato cose ben peggiori, credimi- ridacchiò.
–L’importante è che adesso sia passato-
concluse.
Lorenzo annuì tirando su col naso. Leonardo gli porse un
fazzoletto ricamato che portava nel taschino del giubbetto e
lasciò che il fanciullo bagnasse la stoffa con
l’acqua della fontanella ringraziandolo, utilizzando
l’oggetto per togliere le macchie di tempera restanti dal
volto.
Leonardo lo contemplò allungo, dubbioso più che
altro su quanto di vero potesse esserci nelle sue parole. Il Lorenzino,
sentendosi osservato, tornò presto ad arrossire.
-Mi chiedevo se era bugia anche il fatto che mi hai cercato- disse
Leonardo con naturalezza. –Magari per qualcosa di
più serio-.
Lorenzo annuì. –Sì, infatti, quello era
vero-.
-Ebbene?-.
-Qualche giorno fa sono stato alla vostra bottega ma non ho trovato
nessuno. Volevo accertarmi che steste bene, sapete: in piazza ho veduto
l’impalcatura e tre cappi, si sarebbe celebrando un processo,
Umberto avrebbe impiccato tre genti, così ho pensato che voi
e Tommaso poteste essere ancora coinvolti in
quell’accusa…- s’interruppe per via di
un groppo alla gola. –Ho saputo che eravate a Careggi solo
quando sono tornato in bottega di Andrea, il quale prima di partire non
mi ha lasciato detto che sareste andato con lui. Di questi tempi, poi,
quando la politica è in mano a Giuliano ne succedono di
tutti i colori: avrete saputo del rapimento di Arianna, suppongo-
assentì flebile, con le labbra ancora gonfie e arrossate per
il troppo vino bevuto.
Leonardo annuì assente, con la testa altrove.
–Ormai è una triste storia vecchia anche quella,
Lorenzo, non pensiamoci. Piuttosto, sai a chi era contro la condanna?-
domandò allarmato.
Lorenzo rispose prontamente. –Purtroppo sì,
Leonardo. Uno dei morti era un amico di Michele, l’orafo
della nostra bottega… Gallo ha organizzato per lui questa
“festicciola”- spiegò senza mezzi
termini.
-Hai un nome?- insisté l’inventore.
-Più di uno: gli Auditore, ser- assentì il di
Credi. –Federico, Giovanni e Petruccio- chiarì.
Leonardo s’irrigidì. Appena sentito pronunciare il
cognome della famiglia aveva temuto il peggio. Leonardo capì
che a morire era stato il ramo maschile, e non rimase stupito di tale
scelta. Rifletté alcuni istanti sulle parole di Lorenzo, che
lo osservò allungo senza staccargli gli occhi di dosso,
accorgendosi di aver quasi rischiato di confondere Ezio con il Federico
di cui parlava il biondino accanto.
-Ed Ezio?- chiese infatti.
Lorenzo inarcò un sopracciglio. –Chi?-.
-Ezio, Ezio Auditore- spiegò meglio. –Se non hanno
impiccato anche lui, dov’è?-.
Lorenzo si strinse nelle spalle, dubbioso. –Non so di chi
parlate, maestro-.
-Perdonami, Lorenzo, ma adesso devo…-.
Quello annuì, comprendendo al volo che il suo signore avesse
altro di cui occuparsi. –A presto, messere-.
L’inventore lasciò il cortile, rientrò
in bottega e volò ai piani superiori, su per le scale,
evitando agilmente garzoni che gli venivano incontro con scatoloni,
attrezzi, scope e dipinti da sistemare al loro posto.
Trovò Sandro e Andrea nella Camera delle Tempere, dove
Gallo, Davide ed altri stavano finendo di mettere ordine.
Si avvicinò al Verrocchio. -Mastro Andrea, per me
è tempo d’andare- disse stringendo la mano al
mentore.
-Non lo metto in dubbio. Rammenta che il Magnifico sarà
lieto di rivederci assieme a Careggi quando i tempi saranno migliori,
perciò tieniti sano- gli augurò col cuore.
–Ma vedi di portare anche quel tuo giovine garzone di cui mi
hai parlato- aggiunse.
Leonardo sobbalzò. –Chi…?- avrebbe
voluto chiedere se stava parlando di Arianna, ma il Verrocchio lo
precedette smentendo i suoi timori.
-Sì, quell’ometto vegetariano di cui ti lamenti
spesso. Tommaso, se non sbaglio, il Masini- rise.
-Ah, Zoroastro- sospirò di sollievo. –Lui non
è uomo d’arte, ma potrebbe fargli bene un tuffo
nella cultura nostra- arrise sconsolato.
-Hai fatto una faccia, amico mio, come se gli avessi piantato uno
stiletto in petto giusto ‘sta mattina!- rideva Andrea.
-Be’, sono solo un po’ stanco, maestro, e turbato
da tante cose-.
-Risolvi i tuoi guai, Vinci, e vieni a trovarmi più spesso.
Ma soprattutto, vedi di non mancare alla mostra di luglio.
Lì sì che ci sarà gente importante!-.
-Senz’altro- sorrise Leonardo.
Alle spalle di Andrea, Sandro aveva sostituito il maestro dettando
ordini agli scolari e aiutando gli allievi Verrocchiani a sistemare le
tele.
-Salute anche a te, Sandro!- fece Leonardo avviandosi.
Quello gli rispose con un cenno del capo, ma appena si distrasse, uno
studente imbranato poco distante da lui lasciò cadere in
terra la tela che stava spostando. Il dipinto, di mezzo metro per uno,
si appiattì sulle tegole del pavimenti, ma sbattendo contro
una fitta serie di altri quadri, procurò un effetto a
catena. Nell’arco di pochi secondi l’intera parete
occidentale della Camera della Tempera si svuotò dei dipinti
ad essa appoggiati. Tele grandi e piccole ostruirono il passaggio e
acciaccarono piedi di rinomati artisti disperati.
Leonardo non ebbe neppure il coraggio di voltarsi a guardare la faccia
del Verrocchio, affianco a lui, che vide Sandro gonfiarsi come un
pallone.
-Gallo, dannazione, hai le mani di ricotta!- lo sgridò
Andrea e il ragazzo scappò via dalla camera a gambe levate,
inseguito dal maestro.
-Sarà proprio una lunga notte…-
sospirò Leonardo.
Mentre lui e Sandro aiutavano i pochi studenti rimasti a tirare su i
dipinti da terra, l’inventore s’imbatté
in un quadro dalla mano inconfondibile. A tratti il disegno stentava di
prospettiva, ma, completo in ogni minimo dettaglio, sfumatura o ombra,
raffigurava la chiara impiccagione di uomo nudo con un solo panno
attorno alla vita a coprigli l’intimità. Questi
pendeva per il collo da Palazzo Vecchio, di notte, guardando con gli
occhi fuori dalle orbite verso la piazza affollata di gente.
Leonardo rabbrividì, ma allo stesso tempo fu affascinato ed
attratto come una calamita da quel dipinto, sapendo già a
chi appartenesse. Deciso a portare il quadro con sé, lo
sollevò da terra e lo avvolse in un telo bianco che
rubò da un’altra opera. Se lo mise sottobraccio e
si avviò fuori dalla camera.
-A ladro!- scherzò Sandro vedendolo andar via.
-È solo in prestito, lo giuro!- rise Leonardo andando per la
sua strada, senza voltarsi.
Il Botticelli non aggiunse altro.
Tanto Leonardo sapeva che si sarebbero rivisti. Se non in privato,
allora alla mostra che il Verrocchio avrebbe tenuto nel cortile della
Santa Croce sulla fine di luglio.
Restituirò il
dipinto in quell’occasione, pensò
sorridendo.
~ ۞ ~
.:Angolo
d’Autrice:.
Come detto inizialmente, e come avrete avuto modo di capire voi stessi,
quest’ultimo capitolo è stato pressoché
“inutile” ad un livello logico. Diciamo che ho
voluto improvvisare, anzi, dare sfogo alla mia fantasia annoiandovi
come al solito con le mie scemenze incentrate su Leonardo XD Spero che
abbiate pietà di me per quello che avete letto, in quanto
poco attinente a quello che realmente è la trama originale
sia di AC che della fan fiction da me inventata.
Detto questo, credo che non ci siano grandi parentesi da aprire. A
parte forse il fatto che, vorrei rammentarvi, la mostra del Verrocchio
della quale si parla non è altro popò di meno
che… la stessa mostra alla quale Ezio si recherà
per uccidere Umberto Alberti, nei primi blocchi di memoria.
Perciò siate pronti a vederne delle belle ;D
Sandro Botticelli ha ora una certa importanza, ma non molta in futuro,
quando i due artisti perderanno un po’ i contatti…
per poi ritrovarsi in vecchiaia, ed io e Manu sappiamo dove, quando,
come e perché! XD (P.S. *---*)
Sempre sul rapporto
Leonardo/Sandro vorrei segnalarvi due meravigliose fan fiction a
carattere yaoi moooolto spinto (rating rosso) ma anche moooolto dolce,
di una eccezionale scrittrice. ^-^
Ultimamente sto
dedicando pochissimo tempo alla scrittura, e avrete notato che manco
già da un po’ su msn, dove compaio a singhiozzi. I
motivi sono tanti ma sempre gli stessi. Sono stata febbricitante tutta
la settimana, giorni di più giorni di meno, e un libro
stupendo di uno scrittore meraviglioso piovuto dal cielo mi ha
letteralmente fatta prigioniera nel suo mondo. Guarda se non casca
l’asino anche lì <.< come se non
avessi già abbastanza fan fiction in corso! Grrrrr! Che
rabbia mi fa sta cosa! Be’, l’estate è
alle porte, direte voi, c’è tempo per scrivere!
COL CA**O!
Quella brutta tr… trota di una professoressa di matematica
non ha ancora capito che è LEI che non sa spiegare se il 99%
della classe ha l’insufficienza in materia! -.- Ma
dico…
Vabbuò… annuncio ufficialmente che non ho
più un capitolo pronto e che potrei pubblicare il prossimo
non prima di due o tre settimane! XD Ho alcune altre ff da seguire, di
cui una da concludere ._.
A presto :D
La vostra Ire :3
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Capitolo 27 *** Ritratti ***
Ritratti
Prima di
entrare, Leonardo si voltò a guardare un pigro sole tingere
d’arancio l’orizzonte. Il suo sguardo
spaziò oltre tetti di casi e cupole di chiese, dove
l’alba di un nuovo giorno si annunciava clamorosamente
bandendo le ombre della notte.
L’artista avrebbe voluto soffermarsi a guardare quello
spettacolo meraviglioso come faceva tutte le mattine, ma ad
impedirglielo era un sonno prepotente dovuto al viaggio estenuante
appena concluso. La sua stanchezza estrema dipendeva anche dalle
fatiche acconsentite nella bottega del Verrocchio, dove si era offerto
di dare una mano con tanta gentilezza.
Ora se ne pentiva, se ne pentiva amaramente. Le palpebre pesavano sugli
occhi azzurri più del quadro che portava sotto braccio,
avvolto in una tela. Le gambe stavano cedendo e, quando
entrò in bottega, dovette appoggiarsi subito al tavolo
più vicino. Aveva le tendenze di un ubriaco; se Tommaso
l’avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che il suo
uomo si fosse unito alle baldorie organizzate dai garzoni di Andrea.
L’avrebbe sgridato come fa una madre permalosa e
l’avrebbe spedito a letto con i calci al culo.
L’idea non lo infastidiva troppo, si scoprì a
pensare con un mezzo sorriso.
Lasciò il dipinto sul tavolo e andò a richiudere
la porta senza fare rumore. Salendo malfermo le scale di legno,
gettò distrattamente un’occhiata al salone in
penombra. Si fermò a metà della rampa e
tornò indietro di un gradino rischiando
d’inciampare. Quando si voltò del tutto, vide con
chiarezza ciò che, bene o male, si sarebbe dovuto aspettare
di trovare.
Ripercorse i propri passi fino all’ingresso e raggiunse
l’ampio scranno nascosto nell’oscurità.
Lì, tra le ombre di una trentina di volumi impilati come una
muraglia, si nascondeva un piccolo corpo di giovane donna. Delle
candele disposte attorno alla sua figura restava un misero stoppino
immerso nella cera, un po’ della quale era strabordata e
colata sulle copertine dei libri.
La sua allieva giaceva sulla scrivania con una guancia poggiata sui
fogli e un braccio disteso, le dita della cui mano intrappolavano con
delicatezza la piuma d’oca bianca. Un po’
dell’inchiostro le era finito sul viso, che premeva sui
disegni interrotti a metà, un altro po’ si era
essiccato nel canale della penna che Leonardo le sfilò
dolcemente dal palmo. Ripose la piuma bianca tra le altre compagne
colorate in un contenitore di terracotta e richiuse il barattolo
dell’inchiostro con un tappo di sughero, sperando che non si
fosse già seccato anche quello.
Arianna doveva averlo aspettato sveglia finché le forze
l’avevano concesso. Aveva cercato una distrazione nel disegno
finendo col riempire pagine e pagine di schizzi, ma dal respiro
profondo e regolare della ragazza, Leonardo intuì che aveva
ceduto non prima di qualche ora prima. Leonardo non riuscì a
scacciare l’idea di aver lasciato consumare tutta quella
carta pregiata e costosa alla sua allieva, ma allo stesso tempo si
addolcì nel gettare un’occhiata
all’ultimo disegno fatto dalla fanciulla.
Era solo uno schizzo, certo, ma i tratti del volto, il collo della
camicia, i capelli fluenti e il berretto erano dettagli di un riuscito
tributo al suo maestro. Arianna l’aveva disegnato e non una
volta soltanto: scostando qualche altro foglio, Leonardo
contò almeno una dozzina di se stesso e nelle espressioni
più bizzarre. Dallo stupore alla collera,
dall’imbarazzo ad un semplice broncio, Arianna aveva dato
piena nota della qualità espressionistica nei propri
ritratti. Leonardo se ne sentì immensamente imbarazzato, ma
ugualmente commosso mentre sulle labbra gli compariva lo stesso sorriso
che Arianna aveva saputo “copiare” tanto
fedelmente.
Immaginando che sarebbe potuto crollare in sonno affianco alla sua
allieva, Leonardo si costrinse a svegliarla. Prima le scostò
una ciocca dei capelli da davanti gli occhi chiusi, poi le
carezzò la testa aspettando una sua reazione.
-Arianna- chiamò, -Arianna, svegliati-.
Lei si destò sorridendo, si mise seduta composta,
stropicciò gli occhi e guardò un istante il suo
maestro. –Leonardo- mormorò prima di gettarglisi
al collo, abbracciandolo.
Leonardo barcollò. –Anch’io sono felice
di vederti-.
Arianna lo lasciò andare di colpo. –Come
è andata a Careggi?- volle chiedere entusiasta, ma senza
riuscire a nascondere lo sguardo assonnato.
Leonardo le carezzò il viso e le scrostò
dell’inchiostro dalla guancia. –Di questo parleremo
domattina. Non permettiamo alla stanchezza di uccidere la ragione di
entrambi- le sorrise affabile.
Arianna annuì, si alzò dal grosso scranno e si
stirò il giubbetto. Restare in quella posa contorta, distesa
sopra la scrivania, le aveva raggrinzito le maniche della camicia,
oltre che premerle oltremodo il corpetto sul seno. La ragazza fece per
portare i disegni con sé, ma l’artista le
allontanò le mani dai fogli e le lasciò intendere
che ci avrebbe pensato lui. Arianna, forse un po’ dubbiosa ma
bisognosa di sonno, acconsentì con un sorriso; poi Leonardo
la guardò salire le scale. A metà della rampa, la
Pazzi si fermò e lo fissò dall’alto,
finché il maestro, ancora distratto da alcuni disegni della
sua allieva, non si voltò a guardarla.
-Ben tornato- disse lei, per poi riprendere la salita e sparire nel
corridoio del secondo piano.
Leonardo rimase immobile fissando a lungo il punto in cui la sua
allieva era stata inghiotta dall’oscurità. Quando
finalmente si mosse, fu per andare a sistemare le carte disordinate che
aveva chiesto ad Arianna di lasciare così come stavano. Le
raggruppò battendo i bordi sul tavolo e si accorse che erano
in numero ben superiore a quelle che aveva adocchiato poco prima,
mentre sbirciava i ritratti che Arianna aveva fatto di lui. Nel gesto
di sollevare e posare da una parte la pila di fogli, a Leonardo gliene
sfuggì uno. Il papiro svolazzò e si
posò in terra. Quando l’inventore si
chinò a raccoglierlo, faticando a piegarsi sulle ginocchia
senza cadere in avanti per la stanchezza, aggrottò la fronte
nel cogliere cosa vi era disegnato: era un mezzo busto di donna
ritratta con le mani tra i capelli, la bocca aperta in un grido
disperato e gli occhi stretti. Era curata nei minimi dettagli, tra cui
le rughe del volto e l’abbigliamento povero, e occupava un
intero foglio. Leonardo lo afferrò e se lo portò
davanti al naso per guardarlo meglio. Solo allora si chiese cosa avesse
spinto Arianna a raffigurare un soggetto tanto macabro e
dall’anima colma di dolore. Tornò alla pila di
fogli e infilò quello in mezzo agli altri, sollevandone
alcuni. A quel punto vide con chiarezza che Arianna, di gente
disperata, arrabbiata, euforica o piangente ne aveva disegnata a
sacchi.
Bastò un impercettibile spostamento d’aria e
l’intero ammasso di fogli si fu sparpagliato sul pavimento. I
volti addolorati di donne in lacrime, le sopracciglia aggrottate di
uomini sudati e arrabbiati e le urla di bambini spaventati coprirono in
pochi secondi il pavimento attorno alla scrivania come
un’onda schiumosa sulla spiaggia.
Leonardo si portò una mano alla bocca. Il suo volto era,
come quello di molti tra i disegni di Arianna, il ritratto dello
stupore, del terrore, dell’angoscia.
La gente ai suoi piedi costituiva una folla che stava assistendo ad un
qualche spettacolo abominevole. Gente che stava guardando la morte,
gente che temeva e rimpiangeva la morte, e gente che la desiderava
altrui. Se da una parte Arianna aveva disegnato donne grondanti di
lacrime e bambini spaventati, dall’altra c’erano
soldati, uomini o giovani che gridavo parole del tipo:
“Sì! Sangue! Morte! Uccideteli!”.
Leonardo poteva sentire le loro voci, poteva circondarsi dei loro corpi
e poteva crogiolarsi nel puzzo del loro desiderio di giustizia.
In fine, non potendo più sopportare quella vista,
indietreggiò finché non fu con le spalle al muro.
Dentro di sé si stavano risvegliando i tormenti che aveva
confessato a Sandro durante il viaggio di ritorno: la sua allieva, la
sua preziosa perlina, era pazza, pazza o maledetta. Ciò che
disegnava era di altri mondi, a partire dai quadri ripugnanti che aveva
lasciato nella bottega del Verrocchio o nelle mani della sua famiglia.
Quadri, quelli, dei quali Guglielmo si prendeva cura personalmente.
Improvvisamente gli occhi sgranati del pittore caddero su un singolo
disegno.
Spiccavano, tra i vari schizzi di pose e particolari, tre figure
pendenti per il collo. La prima era un uomo ben vestito, la seconda un
ragazzo ventenne, la terza solo un bambino.
Quella fu la goccia: Leonardo si chinò e raccolse i fogli
con foga. Corse dall’altra parte della bottega e li
gettò nel camino. Li coprì di legna e cosparse il
tutto con l’olio di una lampada. Quando il fuoco si accese,
il pittore si rese conto di star respirando a fatica. Si
lasciò cadere sulla poltrona alle proprie spalle e
fissò le fiamme ardere gli studi della sua allieva.
Non avrebbe voluto farlo. Era combattuto, ma non avrebbe dovuto farlo
comunque. Lui più di tutti sapeva cosa volesse dire essere
diversi, diversi agli occhi delle persone; lui più di tutti
aveva compreso solo in parte, ma stava imparando cosa significasse
portare il peso della diffidenza sulle proprie spalle, il peso di gente
brava solo a criticare senza capire, soffermarsi a studiare, a
comprendere la natura umana e tutte le sue forme. Eppure Leonardo aveva
paura, paura di aver preso tra le mani qualcosa di molto più
grande della mera natura animalesca dell’uomo. In lui stava
crescendo il timore di aver accolto tra le braccia qualcosa di
magnifico ma altrettanto pericoloso. Arianna aveva un dono per
l’arte, ma aveva un dono anche per qualcos’altro.
Poi si addormentò.
.:Angolo
d’Autrice:.
Poverissimo capitolo di appena tre pagine. Avete tutto il diritto di
uccidermi per l’affronto abominevole a questa storia o alla
letteratura italiana in generale. Pubblicare quest’estratto
del finalmente ritorno di Leonardo nella sua bottega è stata
una necessità. Dall’indomani, vedrete, date le
circostanze, cambieranno molte cose sia nella routine
dell’artista che in quella della protagonista. Ho intenzione
di dare una bella batosta ad Arianna. (Ehm… non pensate a
male… o forse dovreste? O.o)
Nonostante io arranchi faticosamente nel mio dovere di scrittrice (e
ancor più dolorosamente in quello di lettrice e
commentatrice) sappiate che in questi giorni non mi darò
pace per portare ad un livello presentabile i capitoli successivi.
Grazie ad eventuali lettori, recensori o nuovi curiosi. Purtroppo non
ho tempo di dilungarmi troppo, sto crollando dal sonno…
^^ A presto!
Caltaccia.
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