Le conseguenze dell'amore

di kiku77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Molto rumore per nulla ***
Capitolo 3: *** Vite parallele ***
Capitolo 4: *** Non mi avevi detto che..... ***
Capitolo 5: *** Desiderare ciò che non puoi avere ***
Capitolo 6: *** Non andare; non partire ***
Capitolo 7: *** Madri ***
Capitolo 8: *** calma apparente ***
Capitolo 9: *** La vita; la morte ***
Capitolo 10: *** Restare o partire? ***
Capitolo 11: *** Rivedersi ***
Capitolo 12: *** Vivere davvero la vita e sentirsi come a casa ***
Capitolo 13: *** Quando arrivano le fatine ***
Capitolo 14: *** Festa a sorpresa ***
Capitolo 15: *** Il sesso ***
Capitolo 16: *** L'amore ***
Capitolo 17: *** Provare a parlare ***
Capitolo 18: *** Dov'eri? ***
Capitolo 19: *** Lasciare Amburgo ***
Capitolo 20: *** Il funerale ***
Capitolo 21: *** Il testamento ***
Capitolo 22: *** Io sono asciutta ***
Capitolo 23: *** A Barcellona ***
Capitolo 24: *** Il tuo sassolino nella scarpa ***
Capitolo 25: *** Il primo giorno di primavera ***
Capitolo 26: *** Il refettorio ***
Capitolo 27: *** Due gocce d'acqua ***
Capitolo 28: *** Quando i fiori si risvegliano ***
Capitolo 29: *** Prima di partire ***
Capitolo 30: *** Sei proprio tu? ***
Capitolo 31: *** I miei genitori ***
Capitolo 32: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 33: *** Ragione e sentimento ***
Capitolo 34: *** La scelta di Kumiko ***
Capitolo 35: *** Le cose semplici ***
Capitolo 36: *** Il mare dentro ***
Capitolo 37: *** Mi fai da testimone? ***
Capitolo 38: *** Non c'è molto tempo...... ***
Capitolo 39: *** ....ti voglio ascoltare..... ***
Capitolo 40: *** la fine e l'inizio ***
Capitolo 41: *** Ascoltare il vento ***
Capitolo 42: *** Le conseguenze dell'amore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao!...eccomi di nuovo qua…. Viste le recensioni e le tante visite ricevute, ho pensato di cominciare subito a pubblicare questa nuova ff…..spero vi farà piacere! In fondo mi sono detta: “ ma perché aspettare?”. ( Premetto, che non avendola ancora finita, non credo di riuscire a pubblicare ogni giorno, ma spero di aggiornare spesso).

Prima di tutto però vorrei dirvi GRAZIE per aver seguito con così tanto entusiasmo e coinvolgimento “Alla ricerca della felicità”.

Come ho sempre detto, è stato bello leggere i vostri commenti e ringrazio tutti; in particolare oggi vorrei ringraziare coloro mi hanno scritto una recensione con un loro giudizio globale sulla storia. Ringrazio per i complimenti , ma anche coloro che hanno mosso qualche critica o espresso un po’ di delusione su alcuni aspetti della storia. Non sono una che “se la prende” se riceve una critica giusta, motivata e costruttiva; e devo dire che chi ha esposto delle critiche, lo ha fatto per esprimere il proprio punto di vista e questo è sacrosanto. Mi dispiace se per qualcuna di voi, Sanae” non è cambiata”; provate a rileggerla…..il suo cambiamento non è nella vita pratica, ma è intellettivo, interiore, a mio (modesto) parere, o almeno, questo era il mio intento. Mi sembrava patetico farle trovare un lavoro o farle avere una vita più” indipendente”. In questo modo, secondo me, ci ha guadagnato la “poesia” complessiva della ff. Sono una che guarda molto alla “scrittura”. Mi interessa molto “ come suona” una cosa e questo a volte mi porta magari ad essere molto ( troppo) sintetica e a “tralasciare”, come giustamente avete notato, la singola gestione dei personaggi. E’ qualcosa su cui devo migliorarmi, avete ragione….!Speriamo che questa volta sia meglio sotto questo profilo.

Insomma…. tutto questo per dirvi che ho apprezzato moltissimo le vostre recensioni e cercherò di fare tesoro delle vostre osservazioni e dei vostri consigli. Spero che continuerete a scrivermi ( se vorrete) in totale libertà!

Veniamo  a noi….dunque questo è il seguito della mia prima ff. C’erano due personaggi, troppo interessanti per lasciarmeli sfuggire……Genzo e Kumiko…..So che Genzo è molto, molto amato. Io personalmente lo adoro..lo trovo “scuro” e un po’ “tenebroso”. So che a molti invece Kumiko non è che vada proprio a genio…diciamo che, essendo un personaggio, con non molto spazio sia nell’anime che nel manga, mi ha dato molta libertà. Ora capirete perché ho dato loro spazio nel cap “Genzo di nuovo”: io già stavo pensando a questa storia….

L’azione riprende esattamente dove era finita: siamo in primavera, in Giappone per le partite del torneo asiatico e finalmente Sanae è tornata a casa.

Naturalmente Sanae ( che è in assoluto il mio personaggio preferito nel manga) e Tsubasa sono i personaggi secondari, ma sono molto presenti nella storia.

Mi sono chiesta se chi comincia a leggere la storia da qui, senza aver letto “Alla ricerca della felicità”, riuscirà comunque a seguire l’azione: io spero di sì……..

Beh..direi che ho detto anche troppo…..( scusatemi se mi sono dilungata così tanto…)

Buona lettura!

____________________________________

 

 

Kumiko era concentrata ad osservare Michiko mentre, fra le sue braccia, si stava addormentando. Quando l’aveva a sé, si sentiva più forte: sembrava che il tempo si fermasse o quasi. Non aveva più paura. Non sentiva più nessuna inquietudine dentro.

“Come farò, quando alla fine della settimana te ne andrai, eh? Me lo  spieghi?” chiese alla bambina, che ogni tanto la guardava e sembrava quasi che le volesse rispondere.

“Dai, tra due mesi il campionato finisce e dopo torniamo…..non essere triste” le disse Sanae, impegnata a scegliere i dolci per la festa.

“Non faccio in tempo a riprenderti, che tu già te ne vai…..”

“Puoi sempre venire a trovarmi quando vuoi….adesso che è tutto a posto con i debiti….ti puoi anche concedere una vacanza, no? Barcellona è così bella…..”

Kumiko non rispose. Non riusciva ad immaginarsi lontana dal suo laboratorio: quello era il suo mondo, il suo piccolo adorato, dannato universo. Fuori da lì si sentiva persa.

“Allora hai deciso? “

Sanae si mise un dito davanti alla bocca: “Beh, oltre al dolce di loto, forse è il caso di sceglierne un altro…un po’ meno “carico”….i ragazzi dovranno stare un po’ attenti a mangiare; non parlo di Tsubasa… sai che lui alla cioccolata non rinuncia per niente al mondo…!”

“Già…..da quando sei scappata è rinsavito…..almeno lui…tra un branco di capre….io odio i calciatori…”

Sanae scoppiò a ridere….” Tu dici che odi gli uomini e adesso anche i calciatori ma secondo me alla fine non odi proprio nessuno….” disse Sanae

Kumiko andò verso di lei,”restituendole” Michiko: “No, no… tu dici così perché non mi conosci bene….io..io sono cattiva dentro….se dico che “odio” è perchè “odio” davvero!”

“Certo……” fece Sanae prendendola naturalmente in giro; “mah! Domani c’è l’ultima partita….speriamo che vada bene. Se pareggiamo possiamo accedere alle qualificazioni per i Mondiali… speriamo di farcela…..altrimenti la festa sarà un po’ triste…”

Sanae in due giorni aveva scelto finalmente una casa e la festa, dopo le partite della nazionale, sarebbe stata un modo per inaugurarla, anche se ci avrebbero dormito solo poche notti, prima di tornare in Spagna. L’aveva comprata da sola, perché Tsubasa era dovuto stare tutto il tempo in ritiro. Ma la notte prima di separarsi, praticamente avevano parlato fino al mattino su come doveva essere. E lei dal giorno successivo, si era impegnata a trovare qualcosa che somigliasse il più possibile a ciò che si erano immaginati. Erano entrambi molto felici.

Kumiko invece era seria in volto, come preoccupata di qualcosa, ma non sapeva cosa. Non amava indagare dentro di sé: tutte le volte che l’aveva fatto, aveva scoperto solo brutte cose. Meglio non pensare, non fiutare, ma semplicemente vivere alla giornata.

“Ecco…io non vengo alla festa…”

Sanae la guardò male.

“Come hai detto scusa?”

Cercò di trovare una scusa qualsiasi:” no….. è che qui c’è molto da fare….”

“Kumiko, guarda che ho scelto apposta domani l’altro perché è il tuo giorno di chiusura…..vedi di raccontarle ad un altro le tue frottole……” rispose Sanae molto infastidita.

“Io non mi sento molto di venire; mi sento abbastanza inadeguata…..”

“Inadeguata? Inadeguata a cosa? Che razza di parola è? Saremo noi…chi credi che ci sarà?”

“Dai….io non faccio parte del vostro mondo….hai capito bene cosa intendo”

“Punto numero uno la festa è mia e di  Tsubasa e tu ci sei eccome nel nostro mondo. Punto numero due: se non vieni, la festa non si fa….”

“Cosa fai? Mi ricatti?”

“Esattamente. E’ un ricatto a tutti gli effetti: a te la scelta…..se non mi chiami stasera, significa che c’hai ripensato…..adesso vado…..ah… non dimenticarti di pensare ad una torta leggera…..e…portami i fiori…..ti voglio bene…..”

Sanae mise la piccola nella carrozzina e se ne andò.

Kumiko ora guardava il dolce di loto, esposto in vetrina: la cioccolata perfettamente stesa sopra la base di pasta frolla, era costellata di piccole decorazioni floreali.

Non poteva non andare, lo sapeva. Aveva provato ma con Sanae, su certe cose non si scherzava affatto.

Era terrorizzata, all’idea di rivedere tutte quelle persone del suo passato. Le ragazze ormai erano delle estranee…..Yukari, Yayoi, Yoshiko….forse non l’avrebbero nemmeno riconosciuta.

I ragazzi non ne parliamo.

E poi fra di loro ci sarebbe stato sicuramente Genzo: era certa che le avrebbe fatto qualcosa. Lei se lo sentiva.

In fondo l’ultima volta che si erano visti, lui era stato così gentile……lei invece l’aveva salutato dandogli l’ennesima lezione di stile “ Se regali dei fiori ad una donna….ecc…..” Che stupida! Dare consigli ad uno come lui sulle donne! Proprio lui che aveva sempre la fila alla porta…..

Infatti il sorriso che le aveva fatto mentre stava per salire sul taxi, lei non aveva saputo interpretarlo: non aveva capito se era stato un sorriso di circostanza o di sfida o di compatimento….

Sicuramente di compatimento.

Se avesse potuto solo riprendere in mano quelle parole e trasformarle in un dolce, in un biscotto, allora sì, allora sì che forse sarebbe stato diverso.

Ma le parole non si mangiano.

Lei era un disastro completo; aveva sempre rovinato tutto con le parole.

Era certa che alla prima occasione lui si sarebbe vendicato di quella lezione: e sarebbe stato così facile, in mezzo ai suoi amici. …..

Sperò con tutto il cuore che potesse accadere qualcosa per impedirle di andare a quella festa. A lei, o ancora meglio a lui.

Ma Genzo non si sarebbe mai perso una festa di Sanae e Tsubasa…..loro erano la sua famiglia.

Aprì di più la finestra e cercò con gli occhi la sua ginestra di fiume, che stava crescendo  scoppiando di boccioli.

“Ah…..se potessi rinascere fiore, se potessi risvegliarmi fatta di pietra…..se potessi sparire da questo corpo terreno e dannato…..” chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni.

Per lei tutto era estremo.

 

 

Taro e Ryo guardavano un film mentre altri giocavano a biliardo nella hall dell’albergo.

Tsubasa invece era fuori in terrazzo a guardare le stelle, anche se il cielo era coperto.

“Che fai? Ti prende la malinconia?” chiese Genzo, raggiungendolo dopo poco.

“Lo sai… questa è la sua ora…è proprio l’ora della malinconia…..tu ancora non hai visto Michiko, ma ti assicuro che quando la vedrai….” fece una pausa…”…..quella mi farà diventare matto quando sarà un’adolescente….avrò la processione davanti a casa……è una piccola Sanae in miniatura. “

“Per fortuna perché se aveva preso da te…credo che la processione davanti a casa non l’avresti avuta….!Ma aspetto di vederla: io di donne me ne intendo….quindi….il mio giudizio ha un certo peso….”

Si misero a ridere. Ma erano nervosi. Nervosissimi.

“Come ti senti per domani?” chiese Tsubasa

Genzo si mise a posto il berretto e si sedette accanto al capitano.

“Bene. Ma sono un po’ nervoso. Sai  a volte quando si va in campo pensando che basta il pareggio, poi si rimane scottati……”

“Ma infatti noi domani scendiamo in campo per vincere.”

“Noi due sì ma in squadra siamo in tanti. Domani sarebbe meglio che facessi un discorsino….di certi elementi non è che mi fidi molto.”

“Ah Genzo smettila! Domani dirò due parole, ma giusto per farti contento. Sono certo che tutti siano consapevoli dell’atteggiamento che dobbiamo avere. Ci giochiamo un posto ai mondiali. Tutti vorrebbero andarci. Piuttosto…..come va la mano?”

Genzo aveva subito un infortunio durante le partite del campionato tedesco e non si era ancora del tutto ripreso.

“Bene, non preoccuparti”.

Naturalmente stava mentendo. Il dottore gli aveva sconsigliato vivamente di partire per le partite con la Nazionale. Avrebbe fatto meglio a riposarsi, ma appena aveva saputo della convocazione, aveva subito prenotato il volo per rientrare in Giappone.

Non avrebbe mai rinunciato alla Nazionale.

Tsubasa sapeva che c’era qualcosa che non andava. Eppure non se la sentiva, proprio quella sera di parlargli, di andare a fondo.

“Ah… se ci fosse Sanae, adesso….ti farebbe una delle sue domandine ……” disse il capitano.

“Per carità….è quasi un anno che non la vedo, sai cosa mi aspetta quando ci incontriamo? Il terzo grado. Per prima cosa, vorrà sapere perché il mister mi ha tenuto in panchina nelle uniche due partite in cui non ho giocato, tanto ci scommetto quello che vuoi che ha seguito tutti i campionati come sempre…”

“Sì, sì… te lo confermo….e questa domanda  l’ha gia fatta a me…” disse Tsubasa

“Ah… e tu cos’hai detto?”

Tsubasa sorrise ironicamente: “Io ho detto che forse era meglio che se la vedesse direttamente con te……”

“Sei un amico……”

“Beh…..sai ho anche avuto altro da fare con lei, che parlare di te….mi sono ritrovato con una figlia in più!”

“Giusto…..”

“E poi?” chiese Tsubasa

“Ah e poi mi chiederà il nome e la descrizione di tutte le ragazze con cui sono uscito….a questo sai cosa significa, no?”

“Certo…. Ti dirà che non sei cambiato per niente, e che devi maturare ecc ecc….eh…non ti invidio amico!”

“Almeno lo ammetti!....ma questa volta anch’io le devo chiedere una cosa…”

“Cosa?”

“Le chiederò come mai si è fatta andare a prendere da Ishizaki, invece di chiamare me….non gliela perdono facilmente….” Disse Genzo facendo finta di essersela presa.

Tsubasa si alzò; lui stava diventando abbastanza geloso di Sanae. Al pensiero che Ryo fosse stato con lei, che avesse chiesto a lui e non magari ad un’amica, lo infastidiva, perciò cambiò discorso: “Forse è il caso che rientriamo….cosa dici?”

“Si’ è meglio.” Disse Genzo.

“Comunque mi sa che hai ragione…..se Sanae fosse qui, ci sentiremmo meglio…, credo”

Il capitano gli fece un gesto d’intesa. Mancava molto ad entrambi.

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Capitolo 2
*** Molto rumore per nulla ***


( Intanto qualche ora prima….)

Una volta arrivata a casa, Sanae si trovò di fronte Yukari e Yayoi, appoggiate alla porta e molto scocciate.

“oh cavolo” disse lei fra sé e sé…….

Si era dimenticata che aveva invitato le ragazze a vedere la casa nuova. Il tempo con Kumiko volava sempre e Sanae si perdeva facilmente in quei giorni. Cioè…lei si perdeva sempre….

“Scusate…..” disse cercando la chiave per farle entrare

“Stavamo per andarcene…sei in ritardo di mezz’ora…..” disse Yukari. Ryo le aveva spiegato che era stato lui ad andare a prendere Sanae e non aveva ancora ingoiato il rospo. Era abbastanza risentita anche perché aveva visto benissimo quanto a Ryo avesse fatto piacere.

“Ero da Kumiko e…non mi sono accorta dell’ora….”

“Kumiko, sempre Kumiko…..” disse Yayoi “sono proprio curiosa di rivederla quella lì….”

I rapporti fra loro erano cambiati. L’assenza di Sanae aveva rafforzato il legame tra Yayoi e Yukari e il susseguirsi degli eventi aveva fatto sì che si fossero un po’ inacidite nei confronti della moglie del capitano. La vedevano cambiata, strana, assente. E poi a loro non andava assolutamente giù che Kumiko avesse preso tutta questa importanza nella sua vita.

Yukari non l’aveva mai sopportata. Yayoi non poteva dire di conoscerla bene ma a pelle non riusciva a provare simpatia.

Entrarono e Sanae, sempre con la piccola in braccio, ( i gemelli erano dai nonni Ozora), mostrò le stanze e gli arredi, che naturalmente erano stati messi dall’agenzia immobiliare. In due giorni Sanae non avrebbe trovato né il tempo né il modo di arredare una casa vuota, quindi tra quelle ammobiliate che le avevano fatto vedere, aveva scelto la più “vicina” ai  gusti suoi e di Tsubasa.

“Carina…” disse Yukari

“Un po’ troppo semplice ..Sanae, potresti mettere delle tende un po’ più di qualità e dei bei vasi cinesi. Conosco un negozio dove ne hanno di bellissimi….” Fece Yayoi, con un tono un po’ da prima donna. Alla fine, lei e Jun, avevano deciso di aspettare per il matrimonio. Proprio lei, che con la sua reazione alle parole di Sanae, aveva contribuito a “far scoppiare il tumulto” , aveva alla fine fatto tesoro dei suoi consigli e aveva optato per terminare gli studi. Sfoggiava sempre il suo diamante e avevano già comprato la casa dove sarebbero andati ad abitare. Ma l’esperienza di Sanae l’aveva fatta riflettere e ora, lei si sentiva una spanna sopra l’amica: si sentiva  la “vincente” fra le due . C’era un sentimento aspro nei suoi confronti e le sembrò il momento giusto per poterglielo riversare addosso.

“Alla fine….tanto rumore per nulla……..” disse Yayoi guardando Sanae.

Sanae a sua volta la fissò con tono interrogativo.

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire….guardati: tu, che volevi insegnare a me come vivere, che sei scappata e sembrava che dovessi sconvolgere il mondo…alla fine da brava mogliettina sei tornata all’ovile e per giunta hai sfornato un altro pargoletto….sei al punto di partenza….per questo ti dico che hai fatto tanto rumore per nulla…..hai fatto soffrire i tuoi amici, la tua famiglia, il tuo grande amore…..per cosa?”

Yayoi era una ragazza molto insicura, insicura di tutto; l’insicurezza però aveva una sorta di compensazione in altri lati del suo carattere: per esempio, se doveva ferire qualcuno, lo sapeva fare benissimo. Sapeva essere crudele nel modo in cui diceva le cose.

Yukari la fissò in malo modo:” …vi ricordate dov’eravamo tempo fa e i toni con cui parlavamo erano più o meno questi?...sappiamo bene cos’è successo dopo….non vogliamo mica ripetere ancora tutto quel casino, eh? Avanti cerchiamo di stare calme”

“Perché? Ho detto qualcosa di sbagliato? Mi sembra un’analisi abbastanza realistica di come stanno le cose….” disse Yayoi per giustificarsi.

Sanae intanto aveva messo Michiko nella culla e aveva preparato il bollitore per il tè.

Quelle parole lì per lì le avevano procurato un senso di dispiacere.

Ma si rendeva conto, che sarebbe stato inutile spiegare a Yayoi quello che sentiva dentro. Lei ormai era lontanissima dal loro mondo “dorato”. Lei aveva attraversato in treno il paese con i suoi bambini ed ogni secondo della sua vita era stato un tempo infinito in cui era andata al fondo di sé per comprendere cosa ci fosse di sbagliato nel suo cuore e nella sua mente. Non le era mai importato niente di fare l’università o di avere un lavoro, in fondo. Non era mai stato quello “il problema”. Lei stava cercando se stessa: aveva provato a capire chi fosse “Sanae” e aveva provato a salvare suo marito. A riaverlo. L’aveva anche scritto nella lettera a Tsubasa : ” rivoglio mio marito”.

Andare via, era servito a riavere il suo mondo. E i bambini…i bambini erano la cosa che sapeva fare meglio. Ma come spiegarlo a quelle due che la fissavano e scavavano dentro perché anche loro, non riuscivano più a interpretarla?

Sperò che Yayoi diventasse più forte e più sicura di sé.

Sperò che Yukari imparasse ad amare Ryo così come lui voleva essere amato: senza compromessi, senza gelosie ossessive. Lei conosceva così bene Ishizaki….

Ormai Sanae dentro era così forte che per provocare una reazione cattiva ci voleva ben altro….

Non rispose con una frase elaborata o con un’arringa difensiva per poter dare a Yayoi motivo di controbattere di nuovo. Lei aveva da fare….doveva andare a prendere i bambini e poi andare a cena dai suoi.

“Hai proprio ragione Yayoi…” disse” ho fatto tanto rumore per nulla….sono di nuovo al punto di partenza…..sono proprio un disastro, vero apina?” chiese alla sua Michiko, sorridendole e accarezzandole la fronte.

 

Presero il tè e come sempre parlarono di fesserie. Sanae ascoltò i loro consigli per rendere la casa più bella e poi il discorso cadde sui loro ultimi acquisti, gli esami all’università, qualche screzio coi fidanzati. A lei non chiesero nulla.

Dopo un po’, uscirono tutte insieme e Yayoi , prima di portare Yukari a casa, accompagnò Sanae dagli Ozora.

“Ci vediamo alla festa, allora” disse Sanae, salutandole.

Appena entrò in casa, fu praticamente travolta dai bambini e per un pelo non si ritrovò a terra.

“Lasciati aiutare Sanae” disse la signora Ozora prendendo Michiko fra le braccia.

Allora lei lasciò fare i gemelli e  si lasciò cadere e sommergere dai loro abbracci. La toccavano dappertutto mentre le parlavano sovrapponendo le loro voci e i loro discorsi e le premevano soprattutto il petto, la loro  nota dolente : il fatto che l’apina succhiasse il nettare e loro no, proprio non andava a genio a quei due…….

Sanae faceva finta di niente, cercava di assecondarli e ricambiava gli abbracci così come i baci, per fare in modo che la gelosia verso la sorella non diventasse ancora più evidente.

Anche i signori Ozora la guardavano e non sapevano più chi fosse: lei, sempre così schiva e silente, sempre così timida e di poche parole, coi suoi figli era la persona più disinibita del mondo. Le avevano slacciato la camicetta e alzato la gonna, ma lei non se n’era neanche accorta.

Il Signor Ozora allora tossì, come per riportarla sulla terra e lei, imbarazzata, si ricompose.

Aveva sempre avuto un buon rapporto con i suoi suoceri, specialmente con la madre di Tsubasa, perché sapeva che, a parte Kumiko, era stata l’unica donna che avesse provato un po’ di comprensione nei suoi confronti. Le era profondamente grata.

Si era già fatto molto tardi e così si offrirono di accompagnarla a casa dei suoi per guadagnare un po’ di tempo.

 

 

A casa Nakazawa, c’era sempre la solita aria seria e severa. Sanae cominciava a sentirsi soffocare lì dentro….era felice di aver trovato finalmente un posto tutto suo per la sua famiglia.

Sua madre fece molta festa ai bambini, ma, come al solito a lei per niente. Non erano mai andate molto d’accordo: troppo diverse nel carattere, troppo distanti nel modo di pensare e prendere la vita. Inoltre da quando era successo tutto il casino, a parte la felicità iniziale ( sempre comunque molto contenuta nella manifestazione esteriore) di riaverla a casa, si erano allontanate definitivamente.

La signora Nakazawa non aveva affatto perdonato sua figlia per essere scappata, per aver lasciato suo marito per tutto quel tempo. Non aveva sopportato i pettegolezzi della gente del posto, tanto meno le favole che erano state raccontate sui giornali. Per lei era solo una ragazza ingrata ed incosciente.

Suo padre uscì dopo una buona decina di minuti dal suo studio e insieme a lui anche una nuvola di fumo. Il suo ufficio era una ciminiera piena di scartoffie e libri di diritto.

La prima cosa che fece fu accarezzare la testa di Hayate e Daibu e poi andò dritto da sua moglie per prenderle la bambina. A tutti gli uomini faceva lo stesso effetto: avevano bisogno di vederla, tenerla e osservarla. Sanae pensava che la dolcezza di quella bambina, dalle bambine in generale, rendesse  i maschi un po’ più “morbidi”, un po’ meno “duri” e questa cosa l’affascinava molto.

Guardava suo padre e subito il pensiero andava alle loro conversazioni prima che se ne andasse, e a tutti i rimproveri, le incomprensioni. Avrebbe voluto abbracciarlo perché le faceva tenerezza…. Ma non lo fece…”probabilmente se lo abbraccio, sviene!” pensò.

Mangiarono e l’atmosfera, grazie alla confusione dei gemelli, sembrava un po’ più reale e meno austera. Sanae mangiava meccanicamente senza dare molto peso a quello che deglutiva: era stata una giornata molto intensa e dentro il suo corpo, si sentiva come vibrare….come quando sul letto nel suo appartamento nascosto, la primavera la trafiggesse di nuovo con i suoi frutti colorati e i suoi semi nuovi.

Mangiava e pensava a Tsubasa, a quanto lo amasse, a quanto avesse bisogno di stare con lui, adesso……Chiuse gli occhi mentre  qualche chicco di riso cadde sulle sue ginocchia scoperte e immaginò il suo corpo accanto a quello di suo marito.

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Capitolo 3
*** Vite parallele ***


La Nazionale giapponese vinse 3 a 0 contro il Vietnam e centrò la qualificazione. Hyuga aveva fatto una doppietta ed aveva fatto l’assist a Taro per il terzo goal. Tutte le azioni erano partite da delle giocate strepitose di Tsubasa. Avevano dato lezioni di calcio e la stampa, il pubblico, tutti erano in delirio. Molti dei giocatori si salutarono dopo la breve conferenza stampa. Taro, Genzo, Ryo e Tsubasa rientrarono a casa insieme. Si fermarono in un bel ristorante e aprirono una bottiglia di champagne per festeggiare la qualificazione e Michiko: quella bambina sembrava aver portato un’armonia inaspettata intorno a tutti.

Quando Tsubasa arrivò a casa, si sentì un po’ emozionato. Era la prima volta che varcava quella porta: la loro nuova casa in Giappone. C’era un piccolo giardino sul davanti e la casa era semplice, con delle grandi finestre e qualche pianta rampicante sulle pareti un po’ grezze di color crema. Già da fuori dava l’impressione di essere molto accogliente. E quella sensazione l’accompagnò anche entrando.

C’era un silenzio inaspettato: i bambini si erano addormentati sul divano, appiccicati come sempre.

Sanae era al solito posto: di fronte alla finestra della cucina, da cui si poteva scorgere un fetta di luna. Stava mettendo in ordine qualcosa e si sentiva scorrere l’acqua.

“Sono tornato…..che bello che è qui…”

Sanae si girò di scatto. Non si era accorta di qualcuno che entrasse.

“Ciao! Scusa… non ho mica sentito che eri arrivato….avete giocato così bene….Bravo!” Gli corse incontro per abbracciarlo forte forte.

“La casa è proprio come l’avevo sognata: semplice, ma così calda….”

Si baciarono a lungo. Lui tentò di spogliarla, perché l‘astinenza da lei era stata difficile da sopportare,  ma fu interrotto dopo poco da Hayate……

“Ciao papà!!”

Gli corse addosso e Tsubasa allora lo prese in braccio e lo fece volare un po’. Lui rideva come un matto.

“sshhhh! Fate piano…!” disse Sanae “….o sveglierete l’apina”

“Ah….giusto…la mamma ha ragione… andiamo a vederla un attimo?” chiese lui

“si’ va bene ma non la prendere in braccio, se no vuole il nettare….” Disse Hayate, con il ditino alzato. Sanae e Tsubasa si guardarono  e scoppiarono a ridere.

Sanae prese in braccio Daibu cercando di non svegliarlo e salirono tutti di sopra.

Entrarono nella camera matrimoniale dove Sanae aveva fatto mettere la culla di Michiko.

Tsubasa, con  Hayate in braccio, si avvicinò per osservarla. Ancora non riusciva bene a capacitarsi che fosse sua: era talmente bella che guardarla lo faceva emozionare ancora troppo. Quando erano nati  i gemelli  era stato tutto diverso. Il bene per i figli era lo stesso; ma l’effetto, l’impatto che avevano su di lui, no: quello era diverso. Forse perchè i gemelli, essendo maschi, li sentiva più vicini a lui, più in “sintonia”. Quella bambina, invece, si capiva  subito che proveniva da un’altra dimensione.

Le femmine……tutt’altra storia…..

“Senti Hayate….ma a te piacerebbe avere un altro fratellino o sorellina?” chiese Tsubasa a bruciapelo.

“No….un’altra apina non la voglio!” disse molto convinto. E ancora a Tsubasa e Sanae venne da ridere, ma cercarono di fare piano.

Dormirono tutti insieme, nella grande camera della nuova casa.

 

 

 

Genzo arrivò in villa e vide che la segreteria telefonica non lampeggiava: non c’erano messaggi.

Era tutto in perfetto ordine. La domestica doveva aver pulito a fondo in quei giorni, perché tutto risplendeva e sembrava nuovo.

C’erano un sacco di mobili e di oggetti, ma il salone pareva vuoto. Poteva quasi sentire il battito del suo cuore, perché nella stanza si creava un’eco. Si sdraiò sul divano e accese la tv. Si rialzò e riguardò verso il telefono nel caso  si fosse sbagliato: ma, no, non c’era alcun messaggio: nessuno l’aveva chiamato. Provò a fare il numero di Taro, ma poi si ricordò che avrebbe passato la notte a casa di sua madre e si rese conto che non era il caso di disturbarlo.

Andò di sopra e si cambiò.

Prese le chiavi della macchina e uscì di nuovo. Senza alcun posto dove andare.

 

 

 

Nel laboratorio della pasticceria, i ragazzi avevano stappato una bottiglia per festeggiare la qualificazione. Kumiko, però non aveva brindato. La partita, l’aveva solo ascoltata; giusto per un attimo, si era voltata e aveva interrotto il lavoro quando i giocatori erano entrati in campo.

Voleva guardarlo almeno un momento, per rendersi conto, dopo tutto quel tempo, di com’era. Se era ancora così bello.

Sperò che si fosse imbruttito di colpo o che, vedendolo, potesse sentire di avere una reazione di  indifferenza. Ma appena lo riconobbe, si sentì caldo dentro, all’altezza dei fianchi e del ventre. Era ancora bello come quella sera. Ancora di più.

Bellissimo e inarrivabile. Sfuggente e impenetrabile.

Con lo sguardo sembrava sempre in un posto più lontano, più misterioso di quello in cui si trovava realmente. Lei gli uomini non li aveva mai capiti: per questo diceva di odiarli. Si era dichiarata a Tsubasa e non aveva capito niente; anzi in cuor suo sapeva bene che lui amava Sanae, ma lei no, imperterrita, gliel’aveva comunque dovuto dire, come una stupida. Suo padre l’aveva tradita e lei, sul suo letto di morte, gliene aveva dette di tutti i colori perché la stava lasciando in un mare di guai. Nemmeno in quel momento, aveva avuto la lucidità per poterlo lasciar passare all’altro mondo in silenzio. Ed ora non trascorreva giorno in cui non si sentisse in colpa per averlo aggredito proprio mentre stava morendo. Suo fratello stava per sposarsi e avrebbe cambiato città, lasciandole in mano la pasticceria. Anche con lui non era mai riuscita ad avere uno straccio di rapporto. Se non fosse stato per Sanae e la generosità di Tsubasa, ora si sarebbe trovata in mezzo ad una strada.

Tutte le volte, quelle poche volte che era uscita con qualcuno, aveva sempre trovato il modo per non farsi richiamare. Così era stato anche con Genzo.

“Quanto sei scema….” si disse ad alta voce….tanto i suoi aiutanti lo sapevano che parlava da sola, come una pazza….“perché avrebbe dovuto richiamarmi?…lui è bello e impossibile, no? Com’è che aveva detto Sanae? Certo…. lui esce con delle tipe che sono alte due metri e pesano dieci chili e non parlano per non respirare, perché se respirano ingrassano….quanto sei scema Kumiko,  a volte non mi sembri neanche normale…. Che c’è? Che avete tutti da guardare?” disse alla fine del suo monologo a Ikeda e agli altri che si erano fermati ad ascoltarla.

“Non vi pago per sentire cosa dico…..forza….rimettetevi al lavoro…..”

Uscì fuori e  si accese una sigaretta. Era agitata e aveva caldo anche se la sera era tiepida e i mandorli creavano un po’ di umido intorno a lei.

“Ragazzi, scusatemi… ho bisogno di prendere una boccata d’aria…..Ikeda, per favore pulite tutto e chiudete. Non so quanto tempo mi ci vorrà…..” Si tolse il grembiule e prese a camminare.

“Quella è completamente fuori….” disse Ikeda.

Camminò fino a raggiungere il fiume. La luce dei lampioni accompagnava il suo passo rapido e spedito, come se fosse in ritardo per un appuntamento. Si appoggiò al ponte per guardare di sotto, per sentire il rumore dell’acqua che scorreva e seguiva un ritmo molto ben distinguibile anche se non preciso al millesimo. Il fiume riusciva sempre a calmare quell’ansia che le veniva su da dentro, con la paura di restare, di vivere così tutta la vita.

Chiuse gli occhi e sperò che l’inquietudine finisse presto.

Passarono due ragazzi con la macchina e si fermarono.

Uno dei due scese per fare il simpatico.

“Hey tesoro…. Cosa ci fai qui tutta sola? Hai bisogno di un passaggio?”

“Ci mancava solo di incontrare due sfigati…..” pensò……

 

 

“Oh chi si vede!” disse il barman, appena vide entrare Genzo.

“Siete stati grandi! “

Genzo gli sorrise dandosi una rapida occhiata intorno: non voleva essere riconosciuto…era andato lì perché non sapeva che fare, ma non aveva una gran voglia di parlare.

“Grazie… hai visto come ha giocato Ozora?”

“Guarda… sono senza parole…a quello bisognerà fargli un monumento prima o poi! Allora come mai da queste parti? Cosa bevi?”

“Ma.. avevo voglia di farmi un giro…un bicchiere di Champagne.”

Genzo parlava con l’amico e non si era affatto accorto, che c’era già una ragazza che lo stava puntando da un pezzo.

Cercò di muoversi per vedere se lui venisse colpito da qualcosa, ma Genzo era preso dal suo bicchiere e dai suoi pensieri più oscuri.

Allora si avvicinò.

“Cosa fai? Adesso non mi saluti neanche più?” chiese lei, sfoderando un sorriso incredibile.

“Maya….scusa non ti avevo proprio vista…….come stai?”

Lei gli si sedette accanto , senza distogliere lo sguardo  dal ragazzo.

“Oh…io sto bene….e tu? Non mi hai più chiamata…pensavo ti fossi divertito con me….io mi sono divertita molto….”

Lui guardò il bicchiere e sorrise.

“Certo che mi sono divertito…..sei magnifica….lo sai…” le disse. E già lei si pregustava di finire la serata con lui. Era troppo bella: adesso lui avrebbe fatto un po’ di scena e poi le avrebbe chiesto di andare a casa sua.

“Ho avuto da fare… e poi ero in Germania. Sono tornato da una settimana: ma c’erano le partite, quindi sono sempre stato in ritiro.” Si giustificò.

“Beh….adesso hai finito le partite, no? Stanotte dormirai a casa tua, immagino….”

Genzò si maledì per non aver preso il suo berretto: aveva proprio voglia di ritrovarselo sul volto, per nascondersi. Lei era veramente stupenda. Forse una delle ragazze più belle con cui fosse mai stato. E gli piaceva molto il modo in cui gli faceva capire che voleva passare la notte con lui. Probabilmente, lo sapeva che sarebbe finito lì, quella sera. Tanto ormai le ragazze con cui usciva sapevano quale fosse il suo giro, e quali le sue tappe. In Germania, come in Giappone.

Forse era proprio questo che lo stava turbando: il fatto che probabilmente, lei si era preparata per incontrarlo lì, nella speranza di farsi portare a letto un’altra volta; illudendosi naturalmente che prima o poi, lui avrebbe dato qualcosa in cambio. Era tutto matematico. Studiato a tavolino. Tanto avrebbe ceduto, no? E si sarebbe messo con qualcuno per un po’. Poteva essere lei la fortunata. I requisiti li aveva tutti.

A Genzo diede molto fastidio. Non perchè si sentisse usato: in fondo lui non aveva fatto diversamente. L’aveva incontrata e si era divertito con lei, senza tante pretese. Ma gli stava dando fastidio il modo in cui lei lo guardava: come a dire” tanto prima o poi, cadi…in trappola”. E poi negli occhi riusciva ad intravedere una specie di premeditazione. Lo trovò di cattivo gusto. Tutto qui.

“Pensi di rispondere o devo indovinare?” chiese lei, ancora più accattivante.

“No… sono ospite da alcuni miei amici…anzi sarà meglio che vada….mi ha fatto piacere rivederti”

Lei rimase di stucco.

Genzo si alzò,  pagò salutando il barman e uscì dal locale.

“Magari ci vediamo domani…..tanto io non ho niente da fare….” disse ancora Maya, che non si voleva arrendere.

“Chissà….” rispose lui, quasi prendendosi gioco della ragazza.

Salì in macchina e cominciò a guidare di nuovo senza meta.

Pensò di fermarsi in un altro locale, ma l’idea che si potesse ripetere la stessa cosa, lo fece desistere.

Attraversò la città e passando sul ponte, notò due giovani che tenevano per un braccio una ragazza: rallentò, perché non sembrava una scena amichevole. Quando fu oltre, guardò dallo specchietto retrovisore e vide che la ragazza stava cercando di “liberarsi”. Era notte fonda, ma il ponte era ben illuminato, quindi, non c’era possibilità di equivoci.

Nel dubbio, scese e decise di andare a vedere.

“dai, avanti… ti accompagniamo noi a casa….cos’è? hai paura di due gentiluomini come noi?” disse uno dei due.

“Sentite, ho detto che non ho bisogno…. Volete lasciarmi o no?” disse Kumiko, che adesso, cominciava ad avere anche un po’ di paura.

Genzo riconobbe una voce familiare, ma non riuscì ad accostarla a nessuna delle ragazze che conosceva. Poi avvicinandosi, si accorse che era Kumiko.

“Hey…. Kumiko…..è un’ora che ti aspetto…..dove diavolo sei stata?” fece lui, per vedere se i due se ne sarebbero andati senza doversi mettere le mani addosso.

I due giovani, non lo riconobbero, ma, vedendosi di fronte, un ragazzo così alto e muscoloso, lasciarono subito Kumiko e indietreggiarono.

“Salve ragazzi, avete bisogno di qualcosa?” chiese Genzo in tono amichevole

“No no…noi volevamo solo offrire un passaggio alla ragazza, ma…”

“E’ con me…..grazie comunque…magari la prossima volta chiedete, senza toccare……” disse lui, mentre loro svelti salivano in macchina e se la filavano via.

Kumiko era abbastanza sconvolta. Le avevano stretto il braccio così forte che le faceva male  poi, a ritrovarsi Genzo davanti, così di punto in bianco, dopo che per  tutto il giorno l’aveva ricordato e pensato, si sentì strana. Pensò che fosse una qualche energia che le aveva “trasmesso” quella pazza strega di sua nonna e la ragazza dal profondo le mandò un accidente.

“Stai bene?”

Lei rilasciò il braccio.

“Sì, sì… non è successo niente…grazie. Per fortuna che ti se fermato….”

“E’ l’una di notte… cosa ci fai qui, al fiume? Non ti hanno insegnato che per una ragazza girare a quest’ora è pericoloso?”

“io di solito gli uomini li faccio scappare tutti…..si vede che avevano proprio una bella fame…..” aveva parlato guardando indietro, in fondo al ponte per controllare che l’auto fosse davvero sparita. Non si era neanche resa conto di quello che aveva detto. Genzo le faceva venire in mente Sanae, e a Sanae diceva tutto….

“Beh… grazie, grazie ancora…” disse Kumiko incamminandosi verso casa.

“Ma ti accompagno io, no?” disse Genzo

Al che lei si fermò e si girò.

“Non ti disturbare…..hai già fatto troppo. Ti saluto…” e cominciò a fare qualche passo.

Proprio in quel momento cominciò a piovere forte forte.

“Accidenti, ma perché ho lasciato a casa il berretto?” si chiese, di nuovo, fra sé e sé Genzo.

“Dai Kumiko, non fare la preziosa….Sali in macchina o ti ci carico con la forza….non vedi che piove….?”

A quel punto era in trappola: “neanche una passeggiata in santa pace mi posso più concedere…robe dell’altro mondo!” pensò.

Corsero alla macchina e in un attimo furono all’asciutto.

Kumiko si girò un momento per guardarlo e accertarsi che fosse proprio lui.

Dall’agitazione tremava. Lui invece sembrava fatto di ghiaccio. Di pietra. Lo sguardo fisso sulla strada, senza uno straccio di espressione sul viso.

“Quanto vorrei essere come te” pensò lei.

Non parlarono. D’altra parte cos’avevano da dirsi? Lei avrebbe potuto complimentarsi per la partita. Ma non lo fece. Lui avrebbe potuto chiederle come stava. Ma preferì il silenzio.

Dopo pochi minuti raggiunsero la pasticceria.

L’insegna era spenta. I ragazzi avevano chiuso seguendo le istruzioni di Kumiko.

“Grazie per il passaggio” Aprì e scese. Una volta davanti alla porta, la pioggia ancora veniva giù  a goccioloni, ma lei rimase immobile, lì davanti.

Fissava la porta ma non entrava.

“Adesso entro e ricomincia tutto come prima…..” pensava” mi riprende quella malattia dentro che mi toglie il respiro… e non so che fare…”

Genzo l’aveva osservata e non credeva ai suoi occhi:” ma che diavolo sta facendo?” Pensò.

“E’ completamente fuori…..questa non è normale……” si disse ad alta voce e mise la prima per poter ripartire.

Poi riguardò e vide che lei ancora non si era mossa.

Allora spense l’auto e scese.

“Si può sapere che cosa stai facendo? Non hai la chiave?” chiese lui.

Lei lo guardò e il volto era sconvolto: non riusciva a capire se fosse solo pioggia o stesse piangendo.

“Avanti… dammi la chiave dai” la incitò lui.

Lei si frugò la tasca e diede la chiave a Genzo che aprì velocemente ed entrarono.

“Accidenti! Accidenti!” imprecò lui, che era tutto bagnato e che non sopportava di aver visto quello sguardo.

Riaprì la porta e se ne andò verso la macchina. Salì e sgommando corse via.

Kumiko cercò una sedia ma non aveva voglia di stare lì.

Guardò fuori dalla finestra. Cercò la sua ginestra di fiume e vide che i boccioli erano zuppi e pesanti.

Salì in camera poi entrò in bagno, infilandosi sotto la doccia.

 

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Capitolo 4
*** Non mi avevi detto che..... ***


Entrando in casa, lasciò impronte ovunque: era tutto bagnato ed era arrabbiatissimo.

Non riusciva a capire bene perché, ma vedere Kumiko in quelle condizioni l’aveva “disturbato” molto.

Si chiese perché non fosse rimasto lì, nel locale, in compagnia di Maya. Adesso gli era anche venuta voglia di stare con lei. Di stare con una donna. Perché era passato da quella strada?

“Accidenti….” lui non sopportava vedere la gente soffrire. E su quel volto l’aveva letto che lei stava male. Che c’era qualcosa che non funzionava bene.

Decise di farsi una doccia e di mettersi a letto. Si cambiò e si sdraiò chiudendo gli occhi, cercando di dimenticare quell’espressione.

La odiava. La stava odiando con tutto se stesso. Avrebbe di nuovo preso la macchina per andare lì  a dirglielo. Per dirle, che non si piange sotto la pioggia, che non si piange e basta, perché non può pensare di non aver alcun impatto sugli altri.

Nella vita bisogna affrontarle le cose; andare avanti. Era così che faceva lui. La gente che si piangeva addosso, lui non la sopportava proprio….

Niente, non riusciva a darsi pace. Si rivestì e si rimise in macchina.

 

 

Kumiko si asciugò i capelli e provò a fermare quel pianto a dirotto, che ancora segnava il suo viso.

Pensava a suo padre, a suo fratello, a Sanae, a quanto fosse piccolo il suo mondo. A quanto fosse banale il suo modo di vedere le cose e le persone. Dentro era sterile. Era completamente asciutta. Nessun seme, sarebbe mai spuntato. Lei non era come Sanae. Lei era proprio il contrario.

Si toccò il braccio e le faceva male.

Scese nel laboratorio a guardare i dolci che aveva preparato per la festa. Aprì una credenza e tirò fuori un po’ di cose. Non poteva dormire. Allora avrebbe fatto qualcos’altro.

Più impastava, più il pianto diminuiva; più la pasta diventava densa e consistente, più sentiva un po’di conforto. C’era un silenzio tale, che quasi , se alzava il coltello, poteva tagliare l’aria  e ascoltare il fruscio del gesto. Il rumore della pioggia si era dissolto e tutti dormivano.

Bussarono forte alla porta e lei andò a vedere.

Ebbe paura quando si ritrovò di nuovo Genzo di fronte, con gli occhi pieni di odio e di rabbia.

Era spiritato.

La spinse dentro, toccandole con forza una spalla.

“Che cosa vuoi?....che diavolo sei venuto a fare qui?” chiese Kumiko. Adesso anche lei era imbestialita. Gli parve anche brutto, finalmente.

“Cosa vuoi tu da me piuttosto!”

Lui avanzava e lei indietreggiava con il coltello in mano.

Kumiko era senza parole “Io? Io? Ah no… io non ho fatto niente… neanche lo volevo il tuo passaggio del cavolo….ci sarei arrivata da sola a casa, cosa credi? Non sono mica una di quelle mocciose con cui esci, che ti stanno ai piedi come dei cagnolini…..” era furiosa adesso.

Allora lui le mollò un schiaffo. Uno  schiaffo bello e  sonoro.

E lei con il coltello fece per colpirlo, ma Genzo fermò la sua mano e la strinse a tal punto che lei dovette lasciar cadere l’arnese affilato per terra.

Lei provò  a divincolarsi, ma lui stringeva il polso talmente bene che non ci riusciva, così gli diede un morso.

Genzo dolorante lasciò la presa e la fulminò con gli occhi.

“Adesso me la paghi” disse lui, controllandosi la mano infortunata: si poteva vedere benissimo il punto in cui i denti avevano stretto la carne.

“Esci da casa mia, se no chiamo la polizia, ti avverto” fece lei, allontanandosi e andando verso la scala che portava al piano di sopra, dov’era il suo appartamento.

“Non me ne vado fino a quando non mi chiedi scusa”

“Scusa per cosa? Io non ti devo niente. Vattene subito se no finisci nei guai.”

“Perchè non entravi in casa, prima?”

“Di che parli?”

“Quando ti ho accompagnato e non entravi…..perchè, perché non volevi tornare a casa? Perché piangevi? Dimmelo”

“Ma cosa t’importa? Sono affari miei…..” fece lei “guarda che non sto scherzando, Genzo. Fammi il favore di uscire subito. Tornatene a casa. Anzi…vai da qualche parte a rimorchiare un’amichetta così ti fa passare anche il nervoso…” non riusciva a non provocarlo. Lei ce l’aveva messa tutta per peggiorare la situazione.

Lui non ci vide più. Non si lasciava prendere in giro da quella pazza furiosa.

Salì le scale e la raggiunse.

“Dove credi di andare?”

L’afferrò per la vita.

“Lasciami! O mi metto ad urlare!!!!!!!!” disse lei, già gridando un po’.

Kumiko si girò e cominciò a batterlo nel petto così che lui la lasciasse.

Ma lui non sentiva niente, non provava niente.

La strinse ancora di più e la baciò sulla bocca.

Allora fu lei a mollargli uno schiaffo. Ma lei non riusciva a fargli male; anzi Genzo si mise a ridere, come a sfidarla.

A quel punto fu lei a baciare lui. Tanto anche a lei non importava niente, non sentiva niente. Era asciutta dentro, no? Lei era sterile dentro.

Si baciarono in modo molto confuso e poi lui la spinse dentro la camera facendola cadere e facendole battere una tempia  e il ginocchio contro il letto.

Non la spogliò neanche; le sganciò i pantaloni con violenza giusto per poterglieli abbassare il tanto che bastava e poi se li sganciò anche lui.

 

 

All’alba Kumiko era già nel laboratorio a riordinare tutto il casino che avevano fatto. Era il giorno di chiusura. Era il giorno della festa di Sanae e Tsubasa.

Metteva le cose a posto meccanicamente. Era totalmente assente.

Controllò la sua ginestra di fiume: molti boccioli, a causa della pioggia, erano caduti a terra, spezzandosi dal gambo.

“E’ così che mi sto sentendo” pensò lei “spezzata, rotta dentro…..”

Genzo si alzò e si diede una sistemata alla meno peggio. Si guardò la mano: dove Kumiko aveva dato il morso, c’era un po’ di gonfiore. Guardò il letto: sembrava un campo di battaglia. Tutto in disordine, con qualche chiazza di sangue e materiale organico in qua e in là. Corse in bagno e vomitò, dalla sensazione di schifo che aveva provato.

Per uscire da lì, doveva scendere e passare dal laboratorio: non c’era un’altra via. Sperò di incontrarla, perché dopo tutto quello che era successo, non voleva anche passare per vigliacco. Anzi, disse a se stesso, che non era accaduto niente di strano e che doveva solo pensare a far vedere la mano al suo medico quanto prima.

Lei era lì che faceva i biscotti. Con le mani faceva dei piccoli pallottolini e poi li schiacciava, li disponeva sulla teglia e spargeva l’uvetta. Sapeva che Genzo era di fronte a lei. Il suo odore d’ora in poi non l’avrebbe più scordato: era stato dentro di lei e ormai il danno era irreparabile. Come sempre Kumiko non aveva fatto una cosa che fosse giusta.

“Devo proprio essere nata sotto una cattiva stella” pensò.

Kumiko, imperterrita, con il volto che era di vetro, senza espressioni, proprio come quello di Genzo, non lo guardò e se non fosse stato per lui, l’avrebbe lasciato andare senza rivolgergli una parola.

Ma lui non aveva ancora finito di rovesciare su di lei qualcosa di brutto.

“Non mi avevi detto che eri vergine……”

Cercò di continuare a imburrare i suoi biscotti, senza dare peso alle parole. Senza tradire alcuna emozione, però, gli volle rispondere.

“E tu non mi avevi detto che eri un violento a letto….”

Genzo non aspettava altro “…comunque se me l’avessi detto mi sarei fermato….so quanto ci tenete voi ragazze a questa storia della verginità… e visto che invece per me quello che è successo stanotte non significa assolutamente niente…beh…se me l’avessi chiesto mi sarei fermato” continuò.

Kumiko aveva già registrato ogni singola parola che lui aveva pronunciato. Non aveva avuto alcun riguardo. Dentro si sentiva vuota. Capiva bene il senso delle parole…” visto che per me non ha significato assolutamente niente”…Mascherò i suoi pensieri: mostrò indifferenza.

“…..per me uno vale l’altro… tanto che differenza fa? Che differenza può fare? Non è cambiato niente; sono sempre io; sono sempre la stessa” rispose.

“Bugiarda” si disse fra sé e sé.

Era tutto diverso: lei era cambiata; non era più la stessa.

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Capitolo 5
*** Desiderare ciò che non puoi avere ***


 

Ciao!Qualche riga per ringraziarvi delle vostre recensioni e delle vostre reazioni sempre molto “vivaci”! Volevo anche precisare alcune cose: non l‘ho fatto prima per non rovinare la tensione che ha portato al capitolo di ieri, il primo “turning point “ di questa storia. Quando ho cominciato a pensare al seguito, sono partita proprio da questo “episodio”: è da lì che è scaturito il tutto. Quindi quello che è successo e come è successo, è fondamentale per poter capire  i due protagonisti, soprattutto Genzo. Sia lui che Kumiko, nel mio immaginario, sono 2 personaggi estremi, molto complessi. Genzo, è vero, ha avuto una reazione esagerata: ma credo che questi comportamenti siano anche un po’ normali, in un personaggio come lui, sempre teso al massimo all’autocontrollo. E’ nel manga il soggetto più” oscuro” ( a parere mio molto più di Hyuga) e questo dà a tutti infinite possibilità di descriverlo. So che ognuna/o di noi, poi ha il suo personalissimo modo di “sentire” e “vedere” la storia e so che sarà impossibile che tutti apprezzino il mio modo di vederla e di procedere. Ma spero che non la troverete banale e non vi stancherete di leggerla...( scusate se, come al solito, “qualche riga”…. è diventato un papiro……)

__________________________

Alla festa Kumiko arrivò puntuale. Parcheggiò il furgoncino e Tsubasa le andò incontro per aiutarla a portare in casa tutte le cose che aveva preparato. Non aveva toccato cibo ed erano già le quattro del pomeriggio. In compenso si era scolata due bei bicchieri di vino a stomaco vuoto e ora era un po’ stordita.

Appena Sanae la vide, la prese da parte.

“Cos’hai? Cos’hai fatto?”

Kumiko le sorrise e si diresse verso Michiko: la voleva prendere in braccio.” Niente….perchè? hai visto che sono venuta?”

Sanae le sorrise.” Sì…sono contenta….senti…se c’è qualche problema…..”

“Quale problema ci dovrebbe essere, scusa?”

“Non lo so…ti vedo strana…..”

Kumiko cercò di rassicurarla  e per mascherare il suo sgomento interiore, fu anche più gioviale e simpatica del solito.

Fece festa a tutti e si mise a parlare di vestiti, di scarpe e di viaggi con le ragazze. Neanche si rendeva conto che loro cercavano di snobbarla e di escluderla. In effetti non che dicesse molto: più che altro stava lì a fingere di ascoltare sorridendo.

“Come cambiano le cose nella vita, eh?” disse Yayoi, in tono pungente, guardando Kumiko.

“Già..” disse lei, senza battere ciglio

“Un giorno odi una persona, e poi ti ritrovi ad essere così importante per lei….chi l’avrebbe mai detto che tu e Sanae vi sareste incontrate di nuovo e sareste diventate così amiche…..” continuò, sempre con un velo di malizia.

Kumiko sorrise, ma non disse nulla. Non voleva essere sgarbata con le amiche di Sanae; cercò di tenere la bocca chiusa.

Yukari, che conosceva Yayoi fin troppo bene, intervenne, tentando di smorzare i toni, come sempre.

“Beh….chi l’avrebbe detto che saresti diventata pasticcera, piuttosto! …il lavoro deve portarti via molto del tuo tempo….segui ancora il calcio?”

“No..non lo seguo più molto…lavoro sempre! Ma il mio lavoro è tutto per me…..”

“Certo che non dev’essere facile mantenere la linea lavorando tutto il giorno in mezzo ai dolci e alle calorie….” a Yukari, venne proprio naturale fare questa osservazione; anche lei, pur non essendo così pungente nel tono come Yayoi, non riusciva a nascondere il suo disagio nel trovarsela lì di fronte; aveva notato come ogni tanto Sanae buttava lo sguardo verso Kumiko e riusciva bene a percepire quanta intimità avessero raggiunto. Non lo sopportava, perchè prima quella complicità con Sanae ce l’aveva solo lei ed ora invece sembravano solo due estranee.

“Ah beh se me ne fregasse qualcosa, sì…sarei già impazzita…ma a me non importa assolutamente. Anzi, mangiare è una delle cose che mi fa godere di più….”

Eccola lì, che non avendocela fatta più, aveva risposto e aveva “punto”. Non aveva semplicemente assecondato la battuta, ma aveva volutamente usato il verbo “godere” per “scandalizzare” quelle due ragazze e farle arrossire.

Infatti si erano guardate e si vedeva lontano un miglio che si sentissero in imbarazzo.

A quel punto, le sembrò che era stata abbastanza “carina” e che si poteva concedere un po’ di tempo per sé. Prese per mano Hayate e Daibu e si allontanò. “Molto meglio la vostra compagnia che quella dei grandi” pensò.

 

“Ma Genzo che fine ha fatto? “ Chiese Ryo, guardando l’orologio.

Era già passata un’ora e Sanae cominciava a preoccuparsi.

“Prova a chiamarlo,Tsubasa… come può aver dimenticato di passare?”

Provò a digitare il numero ma il telefono era staccato.

Dopo poco sentirono suonare  il campanello ed era lui.

“Ti aspettiamo da un vita…. Cosa ti è successo eh?”

“Ho avuto da fare….” disse lui, salutando un po’ tutti.

Vide Sanae. “Finalmente…..” disse lui, guardandola.

Sanae gli si avvicinò e si abbracciarono a lungo.

Tsubasa, si vedeva benissimo, che era infastidito. E anche Ryo. Fosse stato per Kumiko, poi,che lo aveva visto entrare dalla cucina,  gliel’avrebbe strappata di dosso con la forza. Erano tutti gelosi di lei.

“Ti ricordo che questa ragazza è già impegnata” fece Taro in tono formale

Tutti si misero a ridere.

“Non sai quanto tu mi sia mancata…” le sussurrò lui, prima di lasciarla….“Tsubasa, abbi pazienza… non la vedo da quasi un anno, praticamente…”

Tsubasa gli fece un sorrisino di circostanza, ma gli fece capire che Sanae era sua e di nessun altro.

“Vieni forza….” Sanae lo trascinò nell’altra stanza, chiamando con la mano anche Tsubasa.

Genzo vide la culla dove Michiko dormiva profondamente.

Gliel’avevano spiegato che era bella. Non avevano fatto altro che ripeterglielo tutti, quindi lui era preparato. Se l’era anche un po’ immaginata; anche se di esperienza nel campo dei bambini non ne aveva proprio.

Vederla però fu totalmente diverso da come se l’era aspettato.

Non sapeva bene dove trovare le parole per spiegare quanto fosse stupefacente.

“Che dici Tsubasa….io sarò troppo vecchio quando lei sarà una donna, eh?”….Tsubasa gli diede una pacca sulla spalla ridendo.

“Te l’avevo detto io…..una Sanae in miniatura… e poi ancora non l’hai tenuta in braccio….è lì che arrivano i dolori…tu sentissi com’è profumata…”

“e i due ometti?” chiese Genzo

“Sono in cucina con Kumiko…. Te la ricordi vero Kumiko?” chiese Sanae.

A lui andò di traverso la saliva

“Sì sì me la ricordo:”

“vai vai pure…..”

“Magari prima bevo qualcosa, eh?” chiese Genzo

“Ok… poi… beh ci mettiamo a sedere e mi racconti tutto…..” disse Sanae facendogli l’occhiolino.

“Come no? Non aspettavo altro!” disse Genzo ironicamente cercando conforto nello sguardo di Tusbasa che se la stava già facendo sotto dalle risate.

 

Genzo salutò Kumiko da lontano con un cenno al quale lei rispose con distacco e per il resto lui cercò attentamente di evitarla.

Dopo poco poi Sanae, Tsubasa e Genzo si appartarono e parlarono a lungo. Sanae cominciò a fare domande a raffica e Genzo non faceva in tempo a rispondere che già lei ne aveva di nuove; e più lui cercava di essere vago e sintetico, più lei andava al fondo delle cose, scavando da dentro per prendergli le parole. Tsubasa non faceva altro che fissarla e si sentiva quella sete, quella maledetta sete, mista a un sentimento di gelosia, che saliva, saliva sempre di più. Per tanti mesi non aveva potuto toccarla, non era riuscito a vederla, ed ora, ogni secondo che passava cercava di dilatarlo e amplificarlo per non perdersi neanche un frammento di lei. Era troppo preziosa.

Genzo era divertito dall’atteggiamento di Sanae: sentire di nuovo la sua voce, ascoltare il ritmo dei suoi pensieri, lo riportavano indietro nel tempo, a tutti quei momenti che avevano condiviso ed erano stati felici. Non si stancava della sua curiosità, non si stufava di rispondere; lei era l’unica persona con cui riusciva a sentirsi in sintonia fuori da un campo da calcio. Per il resto era solo caos e rapporti sfilacciati, che non avevano né capo né coda. Per un po’, riuscì anche a dimenticare l’episodio della notte appena trascorsa.

Kumiko aveva passato  il resto del pomeriggio in cucina a giocare con i gemellini: li aveva messi sul tavolo da lavoro e aveva dato loro un po’ di farina e dell’acqua. Avevano giocato a  fare il pane con lei. Li osservava mentre si sporcavano e ridevano: pensò che si sentiva così lontana dalla loro purezza; si sentiva sporca dentro. E brutta. E squallida.

Le venne quasi da piangere. Ormai l’effetto dei due bicchieri andava svanendo e tutta la loquacità se ne stava andando. Il suo mondo desolato e desolante la stava lentamente riportando alla realtà dei fatti.

Verso le sette e mezza, quando ormai alcuni erano già brilli ed altri se n’erano andati, Sanae lasciò Tsubasa e Genzo da soli in terrazza a parlare del loro rientro nei rispettivi club e raggiunse la cucina.

Appena vide i due bambini zuppi fino ai capelli scoppiò a ridere…..

“Ora mi dovrai dare un mano a  lavarli….!”

Kumiko la guardò e Sanae si accorse subito che i suoi occhi erano vuoti.

“Ma cosa c’è? Kumiko per favore dimmelo…..se ti ho fatto qualcosa, ti prego dimmelo…io speravo che fossi felice della festa….”

Sanae non poteva assolutamente immaginare cosa stesse succedendo dentro il cuore dell’amica. Pensava, come sempre, di essere lei la colpevole di qualcosa.

Kumiko la guardò di nuovo.

“Tu….tu sei il motivo per cui ancora non mi sono data una botta in testa…….l’unica cosa bella che c’è in tutto questo schifo che ho dentro….” Rispose

Sanae non capiva, non riusciva proprio a capire cosa tutti trovassero di così bello in lei: era una ragazza normale, aveva avuto paura ed era scappata, non aveva un lavoro, non aveva talento per qualcosa….eppure tutti l’amavano….

Kumiko invece si buttava sempre giù: perché? Lei era una dea della pasticceria, conosceva benissimo i fiori e  aveva affrontato i problemi;  non era scappata. Allora perché non era in pace con se stessa? Sanae non ce la faceva proprio a risolvere questo teorema.

“Kumiko…..ma dentro di te non c’è niente che faccia schifo….lo vuoi capire?” disse lei, con voce concitata.

La ragazza prese uno straccio e cominciò a pulire le mani dei bimbi.

“Avresti voglia di venire con me in un posto?” chiese a Sanae

“Adesso?”

“Sì, io ci devo andare adesso…perché se no sento che mi manca l’aria……”

Kumiko era esattamente così: o tutto o niente, o adesso o mai più…..

“Certo… se me lo chiedi in questo modo, come faccio a dirti di no…..solo che mi devo portare Michiko perché quando si sveglia, quella vuole il nettare, lo sai….”

“Michiko te la devi assolutamente portare…lei quel posto lo deve vedere”

“Vengo anch’io!!!!!!!” disse Daibu.

“Anch’io!!!” gli fece da contro canto Hayate.

“No…no voi fate il bagno con papà, eh?” propose Sanae.

A quel punto, i gemelli si guardarono e risero entusiasti, perché fare il bagno con Tsubasa era un po’ come giocare a calcio…..una delle cose più divertenti del mondo.

Sanae andò  a dirlo a Tsubasa

“Perché non lo fai anche tu Genzo? La vasca è così grande…..ti farebbe bene stare un po’ con i miei figli…..hai l’aria troppo seria oggi…” disse Sanae

“Beh…non è mica una brutta idea, però lo faccio solo se avete la paperella ….”

Tsubasa gli diede un pugno su un fianco per scherzo.

“E tu credi che con tre figli, io non abbia una paperella? Ho quella, più due- tre libri di gomma, un delfino e tante altre cose…vieni…. vieni di sopra così scegli il gioco che preferisci….” Disse con ironia.

Tsubasa prese in braccio i bambini e baciò Sanae con passione “ avrei preferito fare il bagno con te, veramente…..” le sussurrò ad un orecchio

Sanae gli sorrise facendogli capire che anche lei lo desiderava molto.

Kumiko si sentì un po’ in imbarazzo: si guardavano intensamente come se il resto del mondo non esistesse e riusciva perfettamente a cogliere quanta complicità ci fosse fra le loro menti ed i loro corpi.

“Resterà presto incinta di nuovo….” Pensò istintivamente. Aveva un sesto senso incredibile per certe cose ed avvertiva quanto Sanae fosse fertile semplicemente osservandola. Allo stesso modo, aveva invece il presentimento che per lei la natura avesse riservato un destino più infausto. Ma a lei non importava. Tanto nessuno avrebbe mai potuto desiderare un figlio da lei, pensava.

 

Le due ragazze salirono sul furgoncino e attraversarono la periferia.

“Dove mi porti?” chiese Sanae curiosa, dando un’occhiata alla culla di Michiko affinché fosse ben fissa sul sedile.

“E’ una sorpresa….”

Dopo una ventina di minuti ed aveva già cominciato ad imbrunire, arrivarono in una zona di campagna: attraversarono una strada di  terra e ai loro occhi si apriva una distesa di piccole lunghe serre.

“Siamo ai vivai dei Furosawa: è qui che vengo a prendere i fiori e  le piante. Qui è ancora meglio che in pasticceria……”

Sanae prese in braccio Michiko che nel frattempo si era svegliata e fece per spogliarsi e appoggiarsi al furgoncino per allattarla.

“No” fece Kumiko….” Aspetta: non qui. Stasera l’allatterai in un posto speciale.”

Allora Sanae si riabbottonò la camicetta e seguì l’amica all’interno di stradine piene di sassi e terriccio.

Oltre le casupole più grandi ce n’era una più modesta, tutta illuminata e dalle grandi vetrate.

Kumiko tirò fuori la chiave ( i proprietari gliene avevano fatto una copia) ed entrarono.

Sanae non credeva ai suoi occhi: c’erano tante specie diverse di orchidee; una più bella dell’altra; una più colorata di quella accanto; era un trionfo di luce, di delicatezza, di bellezza. Restarono in silenzio a contemplare quello spettacolo e Kumiko le trovò una sedia così che Sanae potesse dare il suo nettare alla piccola, senza perdersi un secondo di quell’incanto.

Il silenzio non sembrava neanche silenzio. Perché ognuna di loro, nel proprio cuore, stava provando uno sconvolgimento tale che nessuna parola, nessun libro, nessuna equazione sarebbe bastata a spiegarlo,  ma loro sentivano come una musica dentro. I loro mondi interiori dilatavano quel momento attraversando le dimensioni fisiche dello spazio e del tempo, senza che se ne potessero ben rendere conto.

Solo dopo molto, parlarono.

Sanae la guardò con dolcezza, nello stesso identico modo in cui guardava i suoi bambini.

“Kumiko…grazie…..è bellissimo…le orchidee sono bellissime…..”, stette ancora un secondo in silenzio  poi riprese” …ma non sono i tuoi fiori…..”

Kumiko la guardò dispiaciuta. “Ecco”, pensò..” Te ne sei accorta anche tu che faccio schifo….che faccio pena dentro e che sono sterile…io non potrò mai essere bella….” Continuò a pensare, aspettandosi che Sanae ora le avrebbe spiegato questo concetto in un modo un po’ più gentile, ma senza alterare il contenuto. D’altra parte cosa poteva mai aspettarsi?

“….ieri mattina sono andata in libreria. Perché io non è che ti capisca molto…sai? Sei una persona molto complessa. Sei difficile! Comunque…sono andata in libreria e.. ho comprato un libricino sui fiori….ho pensato che se ti devo capire, devo anche un po’ conoscerli questi fiori, no?”

Kumiko la guardò stupita. Lei non aveva mai comprato un libro sui fiori. Non ne sapeva granchè in teoria. Tutta la sua esperienza l’aveva fatta sul campo, dentro i vivai o dai fiorai.

“Ho notato in questi giorni, che guardi spesso la tua ginestra….tu la chiami “ginestra di fiume”….ma con l’acqua la ginestra non ha niente a che fare…..lo sapevi?”

Kumiko fece un passo indietro.

“beh…io l’ho trovata lungo l’argine del fiume.. la scorsa estate. Il fiume si era quasi ritirato e tra i sassi c’era questo cespuglio così colorato….mi ha colpito  e ne ho preso una radice…”

Sanae sorrise:”già… la ginestra è un fiore che nasce e cresce dove c‘è l’arido: nei posti dove ci sono pietre e sassi,  poca acqua, magari sui dirupi o nelle pareti scavate delle montagne colpite dal sole. Lei riesce a crescere e dare colore, dove c’è il deserto….la ginestra è il tuo fiore, perché tu sei così. Sei come una ginestra”, Sanae accarezzò Michiko e continuò” dentro di te c’è qualcosa di molto speciale, solo che tu non lo sai vedere….si vede da come fai la vetrina della tua pasticceria, da come impasti i tuoi frutti. Intorno a te c’è sempre qualcosa che va storto, ma tu non ti spezzi. Se anche non c’è acqua, o ci sono solo pietre e terra, la ginestra fa il suo fiore; e tu, anche se intorno tutti ti tradiscono, riesci sempre a fare qualcosa di buono……Certo, a chi non piacerebbe essere un’orchidea? Guardale……sono perfette: e le radici spugnose sono in perfetta armonia con i petali grandi e colorati…..sono così fragili però…..chiuse in questa gabbia di vetro…ad una certa temperatura, altrimenti muoiono…., Kumiko dammi retta, molto meglio essere ginestra che orchidea….Io se potessi trasformarmi in qualcuno, vorrei essere te; vorrei avere la tua forza…..”

Kumiko non era riuscita a guardarla: in tutta la sua vita, nessuno le aveva detto qualcosa del genere. Aveva messo in parole qualcosa di talmente intenso, che si sentiva il cuore fuori dal petto.

Magari tutti pensassero lo stesso, magari tutti potessero capirla come la stava capendo lei! Sanae la capiva proprio, era questo il fatto. Ma se ne sarebbe andata presto e di nuovo sarebbe ripresa la stessa vita, la stessa dannata  malattia. Come avrebbe fatto a sopportare tutto da sola?

“Cosa succede quando una ginestra vuole essere un’orchidea, Sanae? Che succede quando desideri qualcosa che sai già di non poter mai avere?” chiese Kumiko, con la stessa implorante ansia di risposta, con cui ci si rivolge ad un saggio o al proprio dio.

Sanae scosse la testa.

 “….Ahimè….ci si dispera e ci si strugge…..è molto doloroso…..non lo fare, se hai ancora un briciolo di amor proprio… non lo fare……” le rispose Sanae. Ma sapeva, che Kumiko non avrebbe seguito il consiglio, anzi….forse aveva già cominciato a desiderare ciò che non poteva avere.

“Non partire, non andartene…..io senza questo, senza di te….ormai mi sento persa” le disse ancora Kumiko, consapevole che anche quello era impossibile da ottenere.

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Capitolo 6
*** Non andare; non partire ***


Sanae, prima di entrare in casa, si volse un’altra volta per salutare Kumiko: lei, dal vetro del furgoncino la guardava e sentiva che già un po’ le mancava. Ripartì e si mise a piangere. Non si erano degnati di uno sguardo lei e Genzo. Il portiere non era andato a parlarle e Sanae non ci aveva fatto caso. Non aveva dato peso a molte cose, perché era stata presa dagli amici, dai bambini e quindi proprio non se n’era accorta.

“Non capisci niente” si disse. E accelerò.

“Sei ancora qui?” chiese Sanae a Genzo che era completamente assalito dai gemelli: stavano giocando a fare la lotta mentre Tsubasa si era improvvisato cuoco.

“Ho dovuto fare da baby-sitter alla tua prole…visto che non arrivavi….”

I bambini si precipitarono da lei e fu costretta a chiedere a Genzo di aiutarla con Michiko. Erano proprio gelosi della sorella.

Appena ebbe Michiko in braccio, fu folgorato dal suo buon odore. Non era come l’odore dei gemelli, l’odore dei “maschi”. Era un profumo più tenue, ma molto ben distinguibile. Gli occhi erano vispi e lo scrutavano come a domandargli chi fosse. Si sentiva a disagio, eppure non voleva lasciarla. Voleva andare e restare. Come quella sera con Kumiko: aveva provato ad andarsene,  poi aveva fatto di tutto ( le cose più orribili che avesse mai immaginato di fare) per poter restare.

“Genzo, però se me la guardi così…me la consumi…. Ci tengo ancora a mia figlia….” Disse Tsubasa con un mestolo in mano.

Sanae andò a dare una mano al marito, mentre lui la fissava e non aspettava altro che rimanere da sola con lei per amarla.

Adesso c’era armonia, c’era tanta bellezza e sembrava che niente avrebbe potuto rovinare quell’atmosfera così calda. Genzo era investito da questa energia positiva e nemmeno la mano faceva più male. Quando era con loro gli sembrava di essere più pulito e anche un po’ più vero. Cenarono tutti insieme nella nuova casa e trascorsero tutto il tempo a ridere e a scherzare: tutte le incomprensioni e la rabbia e il dolore erano solo un ricordo lontano.

Dopo aver aiutato a rimettere a posto, si fece l’ora per Genzo di andarsene.

“Ragazzi….ci vediamo in Spagna o ad Amburgo…..” disse lui

“Come?…..ci vediamo domani, no? “ chiese Tsubasa.

Genzo si mise il berretto “ No…io ho cambiato il volo: rientro domani. Ho bisogno di allenarmi e di mettere a posto questa mano…..vi chiamo appena arrivo….”

Sanae lo fissò: “ Da cosa stai scappando?” pensò di chiedergli. Poi si trattenne: non aveva voglia di rovinare quella giornata con una delle sue domande. Si sarebbe innervosito e si sarebbero salutati nel modo sbagliato. Tanto non sarebbero stati troppo tempo lontani.

Un volta richiusa la porta, Tsubasa non le diede neanche il tempo di girarsi, che già lui la stava spogliando. Non ce la faceva più ad aspettare.

 

 

 

Genzo guidò verso casa, ma proprio mentre era quasi arrivato fece un’inversione e si diresse al solito locale. Stare tutto quel tempo con Tsubasa e Sanae, che non avevano fatto altro che fissarsi e desiderarsi ( era una cosa molto evidente: i loro amici se ne accorgevano subito) l’avevano scombussolato e anche lui aveva voglia di stare con qualcuno.

Sperò di incontrare Maya.

E ovviamente lei c’era. Lei non aveva fatto altro che aspettare di essere chiamata; alla fine della giornata, ingoiata la delusione, perché il telefono non aveva squillato, si era fatta bella ed era uscita. Non era una che si arrendeva facilmente.

Quando lo vide entrare, non fece niente ma dentro capì che aveva vinto lei. Quella sera non se ne sarebbe andato da solo: si vedeva lontano un miglio che era entrato cercando lei.

Genzo , appena la vide, le si avvicinò, sorridendo.

“Avrei voluto chiamarti, ma oggi ho avuto molti impegni…..sei dispiaciuta?” chiese lui, con dolcezza, accarezzandole il volto.

“No….ma speravo di vederti…..ho voglia di stare con te….mi porti via?” fece lei, andando subito al sodo.

Genzo le sorrise di nuovo

“Possiamo andare a casa tua?” chiese lui

A Maya sembrò un po’ strano: di solito, tutte le volte che lei lo aveva invitato, lui aveva sempre rifiutato, optando invece per casa sua. Ma non le importava poi molto.

“Certo…”

Si alzarono e andarono all’uscita. Ognuno salì sulla propria auto e si diressero a casa di Maya.

Genzo c‘era già stato una volta ma da allora, Maya aveva cambiato diverse cose. Il divano era più grande e c‘erano molte più foto: tutte sue, naturalmente. Era una modella abbastanza conosciuta in Giappone e stava cominciando a lavorare anche all’estero. Non usciva certamente con Genzo per una questione di soldi: lei guadagnava bene. Era molto attratta da lui: questo prendere e lasciare, questo distacco che sembrava avere da tutto e da tutti era qualcosa che l’affascinava molto. Poi l’idea di stare con un calciatore le era sempre piaciuta.

Genzo la prese da dietro e la spogliò piano piano mentre già stavano insieme. Non ci fu violenza, non ci fu nessuna sorpresa. Ogni tanto lei tentava di baciarlo, ma lui, nonostante le due docce, il bagno coi bambini ed essersi lavato bene i denti,  si sentiva ancora il sapore di Kumiko in bocca: era sapore di menta e di zucchero e non riuscì a farsi baciare. Tutte le volte che lei ci provava lui scansava la testa e magari ricambiava con un bacio sul collo o sul petto magrissimo.

“portami con te….” disse lei..

Lui dopo poco raggiunse il piacere e si staccò subito da lei.

“Portami con te” era il genere di frasi che lui odiava. Non amava parlare mentre faceva sesso.

Detestava sentirsi dire delle cose, e ancora di più dirle.

Maya si accorse di avergli provocato fastidio.

“Scusami…non intendevo veramente….sai…ero presa da te…..” tentò di giustificarsi.

Genzo si alzò a guardare fuori.

Ricominciò a sentire quella sensazione di schifo, che dalla mattina non l’aveva abbandonato: gli aveva semplicemente dato una piccola tregua durante la festa di Sanae. Ma ora eccola lì, a ricordargli che razza di essere umano fosse.

Prese i vestiti : “Devo andare…domani parto, devo ancora fare i bagagli…..”

“Come?....Guarda che hai ancora tempo….puoi restare ancora……..” Maya cercava di invogliarlo a rimanere.

Ormai Genzo era mentalmente lontanissimo da quel posto, da quella stanza e da quella donna, che in fondo era solo una bella statuina: non le aveva chiesto mai niente, non sapeva da dove venisse, come fosse la sua famiglia, che cosa le piacesse fare. Niente di niente. Gli sembrò di non conoscere bene neanche il suo corpo. Così come non aveva conosciuto il corpo delle altre con cui era stato.

La salutò con molta freddezza e Maya ci rimase malissimo.

Riprese la macchina e finalmente tornò a casa.

Fece la valigia e si lavò di nuovo. Rovesciò la testa e aprì la bocca così da far entrare l’acqua della doccia che scorreva calda: voleva dissolvere quel sapore, voleva soffocare la violenza con cui l’aveva presa e toccata. Voleva tornare al momento immediatamente prima e fermarsi.

L’acqua gli andò di traverso e cominciò a tossire. Dalla rabbia sferrò un pugno contro la parete della doccia e quella si frantumò in mille briciole di cristallo.

Aveva usato la mano buona che ora era in un lago di sangue.

Si asciugò e cercò di ripulirsi. Di sangue ne era uscito tanto ma si era fatto un unico taglio e non era profondo. Provò a medicarlo e dopo poco smise di sanguinare. Era stata più la scena che altro. Raccolse il più delle briciole e scrisse un biglietto alla domestica così che potesse fare attenzione e chiamasse qualcuno per ripararla.

Alla vista del sangue gli era subito venuto in mente il letto di Kumiko ed ebbe una sensazione brutta. Non poteva dormire così andò alla macchina.

Arrivò davanti alla pasticceria. Era piena notte e le luci del laboratorio erano accese. Due lavoranti erano fuori a ridere e scherzare fumandosi una sigaretta.

Spense la machina. E rimase lì. Nessuno poteva vederlo. E lui poteva solo vedere la luce che proveniva dalle finestre. Non si scorgeva altro per via delle tende pesanti.

Abbassò il seggiolino dell’auto e stette lì, a vegliare.

 

 

Kumiko, quella sera, fu meno severa del solito con gli altri ragazzi. Ogni tanto Ikeda la guardava un po’ sorpreso per il fatto che non li riprendeva se facevano battute o se si riposavano un po’ di più. Accese la radio e ad un certo punto si mise anche a ballare. Ma lei non lo rimproverò. Sembrava completamente assente.

Le faceva male il braccio, stretto da quei due ragazzi; la tempia, il ginocchio. Prima di vestirsi al mattino si era guardata e aveva visto qualche livido bluastro nelle cosce e all’altezza dei fianchi. Genzo era stato irruente: l’aveva presa con molta foga e lei l’aveva lasciato fare. Le aveva fatto male ma lei in quel momento aveva pensato che non stesse succedendo veramente. E poi lui era così… era sfuggente, come certi fiori che sbocciano di notte e al mattino sono già appassiti. Era così silente che quel suo mondo l’attirava e la rapiva.

Adesso sentiva male al ventre e pensò a come si erano baciati: confusamente, quasi mordendosi.

“Chissà se gli avrà dato fastidio sentire il mio sapore…..lui….. il suo era  così buono, e anche l’odore…il suo odore è così  buono…..”.

Si stava odiando perché a distanza di quelle poche ore, il ricordo di tutta quella confusione si mischiava ad una specie di desiderio di riaverlo dentro, di risentire quel sapore, quell’odore.

“Io non sono normale. C’è qualcosa in me che non va più bene….” Pensò.

 

 

All’alba suonò il cellulare di Genzo. Aveva messo  la sveglia per poter avere il tempo di riportare l’auto a casa e prendere un taxi per andare all’aeroporto. Si stirò e per un attimo non riuscì a capire dove si trovasse. Poi guardò fuori e tutto fu più chiaro. Ora c’era calma e silenzio. Tutto era chiuso. Senza vita.

Stava per rimettere in moto quando la vide portare fuori la spazzatura. Probabilmente non aveva dormito. Aveva la sua solita maglia e  i suoi soliti pantaloni da lavoro: tutta bianca, con i capelli raccolti e uno sguardo perso nel vuoto.

Pensò di scendere e salutarla. Poi cambiò idea. E di nuovo si disse di andare.

Lei già stava per rientrare…. si doveva sbrigare….

Aprì lo sportello e scese chiamandola.

“Kumiko!”….

Lei si girò lentamente: era in un altro mondo (nel suo mondo), quindi pensò anche che potesse essersi sbagliata. Invece no, eccolo lì, di nuovo.

“Io…. sto partendo….torno ad Amburgo.”

“Per me puoi andare anche all’Inferno” rispose lei.

Lui su due piedi non rispose. Non aveva più tanta voglia di risponderle: si sentiva in colpa.

“Come se non lo fossi già….” gli venne poi da dire.

“Ah certo…. Tu fai una vita bruttissima…..ti danno  un sacco di soldi per parare due tiri, che è l’unica cosa che sai fare, viaggi dappertutto, tutte le sere ti porti a letto qualcuno e non hai responsabilità…..beh…sì devo dire che è proprio l’inferno…..”

Kumiko era nervosa. Lui la rendeva nervosa: le tirava fuori il peggio da dentro……

“Mi dispiace …….io non immaginavo proprio che tu…..ho sbagliato, è stato tutto sbagliato….ma ormai è successo. Mi sento….dovevo vederti perché mi sento in colpa.” Disse lui, con una certa onestà, quasi umiliato.

“Ma se per te pensi che non sia significato nulla, perché dovrebbe essere diverso per me? Non siamo più nel 1300….tanto prima o poi sarebbe successo. Se non fossi stato tu, sarebbe certamente stato un altro, ma sempre più o meno come te…..i ragazzi “per bene” mi ignorano… io attiro il peggio del peggio…” voleva offenderlo. Voleva farlo sentire ancora peggio di quanto già non si stesse sentendo.

Genzo, non reagì. Doveva partire e non voleva provocarla. Era già abbastanza agitata e nervosa.

“Comunque se ti può consolare, non è che non abbia significato niente a causa tua; è che per me non significa mai niente: io sono proprio così con tutte…..non voglio amare nessuno. Non riesco e non voglio. Devo bastare a me stesso. Non posso e non voglio avere bisogno di  nessuno, specialmente di una donna. In un certo senso io ....... le  donne le odio…..”

“Allora siamo pari…..io odio gli uomini! E per te poi provo proprio un odio ancora più grande……” Kumiko pose lo sguardo sulla mano tagliata….” Che hai fatto……? Vedo che ti sei dato da fare già da stanotte…..solo che questa volta hai incontrato una Kumiko più scaltra che è riuscita a colpirti….ha fatto proprio bene!!….”

Si girò e rientrò.

“Genzo…” si disse appoggiandosi alla porta, con il cuore in gola” vieni dentro….non andare…non partire….” Chiuse gli occhi, nell’illusione che lui potesse entrare.

Ma dopo pochi secondi sentì l’auto andare via.

 

 

 

  

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Capitolo 7
*** Madri ***


Le cose si complicano…….portate pazienza….

________ 

Ad Amburgo Genzo viveva in un bellissimo attico di un palazzo antico. Gliel’ avevano trovato i suoi genitori, durante un loro viaggio in Germania e gliel’ avevano regalato. Era molto grande e con delle finestre immense. Gli interni erano particolarmente curati e l’arredatore aveva fatto il massimo per esaltare la struttura architettonica di base. Molti spazi erano stati lasciati vuoti e i mobili erano lineari, per lo più in materiali grezzi e naturali. Era tutto molto semplice e  i colori  dominanti erano caldi ma tendenti al chiaro. C’era una certa armonia fra i mobili, i quadri, e la luce che penetrava alle finestre.

Appoggiò la valigia e squillò il telefono.

“Pronto.”

“Ciao Genzo, sono la mamma…” era da circa due mesi che non si sentivano.

“mamma…ciao….come stai?”

Lei non rispose.

“Sono qui ad Amburgo….avrei bisogno di vederti quando hai tempo e se non disturbo”.

Non sembrava il tono e il modo naturale in cui una madre parla al proprio figlio. C’era quasi una specie di soggezione nel rivolgersi a Genzo. In fondo loro due erano quasi degli sconosciuti. Lei aveva scelto la carriera seguendo il marito nei suoi viaggi di lavoro per curare gli affari dell’impresa di famiglia. Non si ricordava neanche quando fosse stato l’ultimo periodo relativamente lungo trascorso insieme. Aveva avuto molto successo nel lavoro, ma per questo aveva dovuto sacrificare il rapporto con suo figlio. Il calcio, fortunatamente era stato per Genzo un “sostituto d’amore”: la sua passione per questo sport l’aveva aiutato a crescere “bene”, senza troppi complessi. Ed era diventato così forte, che in lui, la signora Wakabayashi si riconosceva; si ritrovava in quel suo sguardo così freddo, ma determinato.

Genzo non si aspettava di sentire sua madre.

“Ma…per me ci possiamo vedere anche subito….oggi sono libero….vieni da me?”

“D’accordo….”fece lei.

Nell’attesa, preparò il tè e guardò un po’ la tv.

Dopo una buona mezz’ora, suonarono alla porta.

Quando aprì, si ritrovò una donna molto magra e sciupata in volto, molto lontana dalla persona che aveva visto l’ultima volta.

“Mamma…..ciao……. tu lavori troppo…” le disse

“Ciao amore” disse lei e l’abbracciò. Non l’aveva mai chiamato così. Almeno, non negli ultimi tempi. Nessuno l’aveva mai chiamato veramente “amore”; tutte le volte che una ragazza a letto gliel’ aveva sussurrato, l’aveva fatto imbestialire. Ma detta da sua madre, quella parola sembrava nuova; sembrava avere un suono totalmente diverso.

Si sedettero e lui versò il tè.

“Come sei ordinato….sembra che non ci vivi qui….”

“…..la domestica viene tutti i giorni quindi…..poi io ero in Giappone…”

“Lo so, ho seguito le partite. Complimenti!”

“Davvero? Ma tu non guardi il calcio!” disse lui ridendo.

“Il lavoro non mi ha mai permesso di seguirti, ma  a me il calcio piace….” Rispose sua madre.

“beh sono contento….il calcio è tutto quello che ho, lo sai…”

“Sì lo so…”

Parlarono  del più e del meno. Genzo chiese del padre e lei spiegò che stava seguendo un affare molto importante negli Stati Uniti.

“Allora? Come mai sei qui? Non che non mi faccia piacere, non fraintendermi! E’ solo che sei sempre così occupata!”

Lei bevve un sorso di tè e cominciò a parlare.

“Io… Genzo sono molto malata”; posò la tazza e fece una pausa. Era nervosa e non sapeva bene come spiegarsi.

“….sono alla fine…non mi resta molto tempo e ho deciso di restare ad Amburgo perchè mi piacerebbe vederti più spesso….naturalmente non ti voglio distogliere dai tuoi impegni, dai tuoi amici….d’altra parte mi rendo conto che ti posso sembrare un po’ un’ ipocrita a venire qui adesso a dirti queste cose. …se non vuoi vedermi, ti capisco….”

Genzo la fissava e aveva recepito ogni parola: ogni sillaba era stata come il pugno che aveva dato alla parete della doccia. Ogni parola era un po’ di sangue che sgorgava fuori.

“Ma…cosa significa? Sei malata, ok, ma ci sarà anche una cura, no?”

Lei scosse la testa

“Non per questo genere di malattia. Si è diffusa in tutto il corpo….siamo andati dai migliori specialisti. Tuo padre mi ha portato ovunque, ma non c’è cura…..”

Genzo si alzò: adesso era nervoso anche lui e molto  arrabbiato.

“Perché lo vengo a sapere solo adesso?”

“Non volevo che ti preoccupassi e ti distraessi dal calcio. E’ stato un anno importante per la tua carriera. A cosa sarebbe servito dirtelo? “

Genzo si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

“ Certo….il calcio prima di tutto, il dovere prima di tutto, che importa se ti ammali e muori?” chiese ironicamente.

“Genzo, sai benissimo che non è questo il punto….”

“ Beh……comunque …. si può sempre provare a cercare meglio…” disse lui cambiando tono e atteggiamento ” qui in Germania sono all’avanguardia….domani facciamo qualche telefonata…non ci si può mica arrendere così…”

“Sono stata in Germania due mesi fa: mi hanno visitato in tre cliniche diverse. La diagnosi è sempre la stessa. Genzo…..credimi, ho cercato di guarire, ma questa volta, non c’è via di scampo…”

“Ma ci deve essere….possiamo farci dare il nome di altri dottori…..”

“Che differenza fa? Uno vale l’altro….” Rispose lei, accarezzando la sua tazza, con rassegnazione.

A queste parole Genzo ebbe come un sussulto. La stessa frase l’aveva pronunciata ore prima anche Kumiko, riferendosi al primo che avrebbe avuto il suo corpo.” Che differenza fa, che differenza può avere…uno vale l’altro….”

Pensò a quanto fosse spietato il destino.

“Lo so Genzo, che tu sei abituato a lottare. Ma anche tuo padre ed io. Credi che non abbia paura di morire? Ne ho, ne ho tantissima…..ma non voglio stare in ospedale per vivere due mesi in più. Vorrei poter stare un po’ con mio figlio…sapere cosa gli piace fare, conoscerlo un po’, perché io, nella malattia ho aperto gli occhi e mi sono resa conto, che ti ho solo partorito, ma poi ti ho perso…..non so niente di te.”

Genzo non sapeva cosa dire. Era stordito.

“Non voglio sconvolgere il tuo mondo. Prenderò un appartamento nelle vicinanze e se vorrai, potrai venire a trovarmi. Quando vorrai tu. Ma se non verrai, io saprò capire…..”

Lui ora si girò e la fissò: “Un appartamento? Tu sei fuori… tu resterai qui. Di posto ce n’è…non vedi?”

Sua madre si alzò: dalle finestre il panorama toglieva il fiato.

“Non lo so…io non vorrei “sconvolgere” la tua privacy….e poi tra poco avrò bisogno di un’infermiera….non so se sia il caso.”

“Non ho nessuna privacy…..non ho problemi. Se avrai bisogno di assistenza la troveremo. Però pongo una condizione” disse lui

“Sentiamo…”

“Ogni volta che troverò un medico che non ti abbia già visitato, gli permetterai di analizzare la tua cartella clinica…”

“Va bene….”

Lei lo abbracciò nuovamente. Lui era molto distaccato. Non sapeva abbracciare. Non sapeva come abbracciare veramente una donna, una madre. Sapeva solo come abbracciare Sanae….

“Andiamo a prendere le tue cose in albergo?”

“D’accordo” rispose.

 

 

Gli ultimi giorni in Giappone per Sanae e Tsubasa erano stati pieni di cose da fare. Avevano finito di sistemare la casa e piano piano, per non ridursi all’ultimo avevano fatto i bagagli. Inoltre erano stati un giorno intero al collegio musicale di Atsushi.

Sanae aveva abbracciato forte a sé il fratello e l’aveva baciato più volte. Trascorsero il tempo a contemplare la piccola Michiko e a parlare di calcio e pianoforte. Atsushi aveva suonato per loro alcune romanze di Shubert e poi avevano giocato nel parco con i gemelli; molti dei suoi compagni avevano chiesto l’autografo al capitano, che, come ai vecchi tempi, era stato disponibile e felice di scambiare una parola con chi lo seguiva e lo stimava.

“Non scappare più…..o se dovesse ricapitare…portami con te…..” le aveva detto Atsushi, quando si erano dovuti salutare.

Era stata un giornata stupenda.

Più si avvicinava l’ora di rientrare in Spagna, più l’emozione, l’adrenalina in Sanae cresceva.

Sperò di essere rimasta incinta con tutto il cuore perché nessuno dei suoi figli era stato concepito in Giappone. E lei trovava che fosse un po’ triste pensare di essersi amati così tanto nella terra in cui erano nati, senza avere generato almeno un frutto. Ma sapeva che era quasi impossibile perché l’allattamento era un ottimo anticoncezionale. Ogni tanto si metteva alla finestra per lasciare scorrere i suoi pensieri un po’ più liberamente e si rendeva conto di quanto le cose, le sensazioni, il modo di essere, cambiassero velocemente: alla notizia della gravidanza di Michiko era affondata in un mare di tristezza, aveva sconvolto il suo mondo e quello di Tsubasa e avevano rischiato di lasciarsi per sempre. Ora invece era dispiaciuta perchè per avere un altro figlio doveva aspettare di svezzare la bambina. Un’altra donna avrebbe benedetto tutto quel nettare al solo pensiero di potersi donare senza “rischiare” di restare incinta. Lei invece un po’ ne soffriva.

“Chissà come sta la moglie di Rivaul….chissà se quel figlio tanto cercato è arrivato…..” si domandò incuriosita. Non aveva ancora avuto il coraggio di chiederlo a Tsubasa perché temeva la risposta. Attraverso il vetro della finestra, oltre l’erba verde e le piccole piante che ancora dovevano crescere, lei riusciva a disegnare le sue riflessioni: quasi riusciva a descriverle per colore. Dentro era un’esplosione di giallo, di arancio e di rosso. Il fuoco, l’amore, la passione…..tutto era complicato, non c’era niente di semplice nella testa di una donna. Adesso lo sapeva: le bastava ascoltare il ritmo del suo respiro per capirlo. Le bastava guardare sua figlia o Kumiko o sua madre, per comprendere che dietro all’apparenza di un sorriso o un’espressione si nascondeva un groviglio, un lavorìo infinitamente più intricato di pensieri ed emozioni.

“Sarà quel che sarà…..”le cose arrivano quando meno te le aspetti”…aveva ragione Tsubasa quel giorno….” si disse ancora, questa volta però ad alta voce, per essere certa che i suoi pensieri avessero anche un suono.

 

Il giorno della partenza  arrivò ed era tempo di salutare gli amici, i genitori, Kumiko……

Sanae andò da lei da sola. La voleva tutta per sé, almeno per un momento.

Lei era al piano di lavoro, che girava con un cucchiaio una sostanza densa color crema, all’interno di una ciotola profonda e grande.

“Ci siamo…..” disse Sanae per attirare la sua attenzione.

Kumiko non alzò lo sguardo e continuò a mescolare.

“Hai odore di bambino……ti ha messa incinta un’altra volta…..io a quello lì gli spezzo il collo” disse Kumiko nervosamente, con gelosia nei confronti di Sanae al pensiero che Tsubasa non le avesse dato respiro…“..ma tu sei felice, no? Sei felice di avere un altro figlio….tanto lo so….però lui dio mio si potrebbe dare anche una controllata…” disse ancora, senza guardarla.

Sanae sorrise e si avvicinò prendendole la ciotola e il cucchiaio dalle mani per mescolare al posto suo. Faceva sempre qualcosa di inaspettato….

“Senti odore di bambino perché sono sempre con i miei figli…non posso essere incinta….sto allattando…..è come se prendessi la pillola, più o meno..….non temere….”

“E’ quel “più o meno” che fa la differenza….e questo non è l’odore dei tuoi figli……..ricordati che mia nonna era una strega…io queste cose me le sento…fidati…..” disse Kumiko “Ah….e non ti azzardare a fare un maschio…..!” le ordinò come se Sanae potesse accontentarla con la volontà.

Lei continuava a mescolare, senza foga, in modo molto diverso da Kumiko: era delicata e non c’era rabbia, non c’era ansia nei suoi movimenti.

“Spero che i giorni passino in fretta per poter tornare e rivederti……” disse con dolcezza, con un tono molto protettivo nei confronti di Kumiko.

“ Vorrei diventare un sassolino e vorrei finire da qualche parte, fra le tue cose così da poter venire con te. Mi sono sempre piaciuti i sassi…..” disse Kumiko

“Come farò senza i tuoi dolci? Senza la tua ginestra? Mi scriverai?” chiese Sanae.

Kumiko non scriveva.

“Beh…” disse Sanae…” almeno ci sentiremo al telefono?”

Al che lei la guardò dritta negli occhi.

“certo che ci sentiremo…..io ….”disse Kumiko. Avrebbe voluto parlarle e spiegare cosa fosse successo e cosa ci fosse in quel suo cuore maledetto…ma non ci riuscì.

Sanae mescolava e sentiva benissimo che a Kumiko era successo qualcosa. Così come sapeva che Genzo aveva anticipato il volo perché anche a lui era capitato qualcosa.

I suoi amici avevano bisogno di lei, eppure non si erano confidati. Perché? Si chiese in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** calma apparente ***


Genzo aveva lasciato la sua camera a sua madre: era la stanza più grande e anche quella più luminosa. Aveva spostato il letto un po’ più verso la finestra e aveva tolto la sua roba dagli armadi. Per il resto, non sembrava la camera di un ragazzo: sui comodini a parte le abat-jours, non c’era niente. Sul comò, idem. Alle pareti l’arredatore aveva messo due quadri, di cui uno di valore. Non c’erano foto, né oggetti. Era tutto molto spoglio, essenziale.

La Signora Wakabayashi, mise sul comò una bella foto di Genzo bambino e sul comodino stese tutti i barattoli con le medicine che doveva prendere.  Poi riempì la stanza di libri. Ora che non doveva lavorare, voleva leggere tutti i romanzi che non si era potuta concedere: voleva poesia, voleva il romanticismo. Voleva sognare.

Genzo si era trasferito in una delle tre camere per gli ospiti: aveva faticato ad abituarsi al letto; faceva molta fatica a dormire già per natura; inoltre, in quei giorni la sua vita non gli sembrava più la stessa. Era molto confuso: ancora non era riuscito bene a razionalizzare che sua madre stesse male. L’aveva vista dimagrita e molto sciupata, sì; ma non aveva la faccia di una che stesse per morire.

Era discreta e Genzo  apprezzava molto questa sua qualità.

Si ritrovavano a cena, quando  rientrava dall’allenamento e dalle cure alla mano che ancora non era guarita e parlavano del più e del meno. Lei non era invadente e non faceva domande: le bastava stare un po’ con lui, guardarlo, sentirlo parlare. Attraverso le sue poche parole, lei voleva riuscire a scoprire com’era.

Quella sera la cuoca aveva preparato del pesce e la tavola era molto ben apparecchiata. Genzo entrando salutò sua mamma e una volta seduto  di fronte a lei, notò un piccolo cabaret di dolci. C’erano dei tortini al cioccolato, dei piccoli cannoli e dei biscotti.

“Li ho presi io” disse la signora Wakabayashi…..”  vado matta per le cose dolci, lo sapevi?”

Genzo aveva lo sguardo fisso sul cabaret. Gli era passato l’appetito.

“No….non lo sapevo….ma mi sembra di vedere che mangi poco….” disse Genzo, che aveva notato il dimagrimento repentino e la poca fame di sua mamma.

“Oh…adesso mangio poco perché sto male, ma io sono sempre stata una buona forchetta. Adoro il cibo….come tuo padre del resto….ogni volta che c’era un po’ di tempo, noi andavamo al ristorante!” disse con un sorriso sulle labbra che sapeva di malinconia.

Osservò suo figlio che , tutto d’un tratto aveva cambiato espressione.

”Tu invece…..? A te non piace molto mangiare…..quando sei a tavola, sembra che tu non sia felice” gli disse, colpendolo dritto al cuore. Era sua madre e non lo conosceva per niente, ma come gli aveva detto, l’aveva partorito. Una madre certe cose di un figlio le capisce attraverso l’istinto.

“Beh….mangiare non è  che mi fa impazzire, diciamo…..”

Continuarono a parlare, ma con la testa Genzo era tornato in Giappone, alla cena all’Hilton, quando si era seduto tra due mondi: il mondo che conosceva, Maemi, di cui da quella sera non aveva saputo più niente  e quello che non conosceva, Kumiko; la rivide mentre quasi provava un piacere fisico ad assaggiare le pietanze di quel cuoco famoso.

La rivide mentre nel suo laboratorio, impastava nervosa chiedendogli se una donna avesse mai cucinato per lui.

E quel suo sguardo sconvolto sotto la pioggia, prima di entrare in casa ce l’aveva davanti, proprio adesso, al posto del piatto, al posto di sua madre. In quello sguardo lui aveva visto se stesso e aveva avuto paura.

La paura l’aveva accecato di rabbia. E per difendersi lui aveva attaccato la sua vittima.

Ricordava confusamente ma anche distintamente la notte di sesso con lei. Si ricordava ancora che cosa aveva provato a toccarla; a toccare un corpo vero di una donna. Era morbida e non aveva sentito le sue ossa. Le sue forme erano generose e lui aveva toccato la carne. Si era avventato su di lei, per spezzarla, per uccidere quello sguardo. Ed era affondato su qualcosa che era puro, intatto.

Lui l’aveva distrutto quel corpo. Aveva distrutto la sua innocenza, aveva portato via la sua purezza.

Risentì benissimo quella sensazione di schifo al mattino e la nausea salì di nuovo come se stesse succedendo in quel momento.

Bevve un bicchiere di vino.

“Che cos’hai? Sembri sconvolto……” disse sua madre

“No non è niente…scusa….” Genzo si alzò e aprì la finestra.

Erano passate già tre settimane dal suo rientro dal Giappone. I campionati erano ripresi e c’era una specie di calma apparente. Era finito anche aprile….e adesso cominciava la fase più difficile. Non doveva pensar ad altro se non a vincere tutte le partite. A giugno avrebbe dovuto ridiscutere il contratto e aveva ricevuto tante offerte da parte di altre squadre. Anche il Barcellona aveva dimostrato molto interesse per il portiere giapponese. Tsubasa sperava molto che Genzo potesse trovare un accordo con il suo club.” Che bello sarebbe giocare nella stessa squadra e vivere nella stessa città”, avevano entrambi pensato.

Genzo stava valutando tutte le opportunità, ma naturalmente l’opzione Barcellona, era in cima ai suoi pensieri. Se però veramente voleva sperare che questo interesse nei suoi confronti non scemasse, doveva continuare a dare il meglio.

Non doveva pensare ad altro. Tutte le cose che potevano distoglierlo da questo obbiettivo, doveva cercare di evitarle.

 

Nel frattempo sua madre si era assentata ed era tornata con in mano una foto.

“Guarda, Genzo….” gli disse mostrandogliela.

C’era lui in mezzo ai suoi genitori che reggevano una bella torta di compleanno con la panna e delle roselline ai bordi.

“Avevi compiuto 6 anni. Com’eri carino…..andavi matto per la torta alla panna…lo sai? Nello sguardo si legge che eri felice….”

Lui si guardò e provò tenerezza per quel bambino che ormai gli sembrava un estraneo.

“Posso tenerla?”

“Certamente..!”

“Vorrei mostrarla a Sanae quando la rivedrò….”disse Genzo con un po’ di tristezza.

“Ti manca molto eh?” chiese la signora Wakabayashi

“Beh…un po’, sai per me è diventata una sorella…ha avuto una bambina, l’hai saputo?”

“L’ho letto su un giornale….c’era una sua foto con Tsubasa….lei è bellissima, non trovi?”

“Si…”

Rimasero un po’ alla finestra commentando meglio la foto del compleanno e poi si risedettero a tavola per cenare.

Fu una  delle ultime volte che mangiarono insieme, perché da quella sera la malattia cominciò a risvegliarsi.

 

Quel fine settimana, al rientro dalla partita, Genzo fu costretto a chiamare il medico. Le fece una puntura di morfina per calmare il dolore e si decise di prendere un’infermiera a tempo pieno. Non poteva stare più da sola e Genzo entrava nella fase finale del campionato: era un momento molto delicato.

“Forse è il caso di dirlo a papà”

La Signora Wakabayashi scosse la testa.

“Lui….ha un’altra donna…non ci siamo separati perché sarebbe troppo complicato per la società. Ma di fatto, Genzo, non siamo più marito e moglie.”

Sua madre era stanca; era sfinita dalla malattia e non aveva tempo. Non aveva più tempo per poter ponderare e misurare le parole. Genzo era sconvolto.

“Come? Ma da quando..? …..e chi è?”

“Sono anni ormai….non lo so chi è: non l’ho mai vista.” Disse lei, con molta calma. Non c’era alcun risentimento. Non c’era nervoso o rabbia.

Invece Genzo, se se lo fosse trovato davanti, probabilmente l’avrebbe steso con un cazzotto.

“Hai praticamente violentato una ragazza….questa è la tua punizione “si disse…..” ecco il destino che viene a chiederti il conto: tua madre sta morendo e tuo padre è uno stronzo…il destino non ti viene a colpire sul calcio, che è il tuo mondo e lì sai bene come difenderti. Lui ti colpisce negli affetti….così hai le spalle al muro e non sai che fare….. pensavi di passarla liscia?” si disse questa sfilza di cose…..e il suo cervello andava veloce e attraversava tutto il suo io. D’improvviso pensò a Sanae, Tsubasa e i bambini…..” ti prego, fa che almeno a loro non succeda niente…..” implorò in silenziò, come se stesse pregando nel tempio.

“Non avercela con lui, Genzo…” sua madre, riprendendo a parlare, lo richiamò alla realtà.

“Tuo padre è sempre stato un uomo infedele….non lo fa per cattiveria….è proprio così di natura. E io l’ho sempre saputo. Se forse gli avessi dato altri figli, sarebbe cambiato, ma io ero troppo ambiziosa, troppo concentrata su me stessa...”

Genzo non ce la faceva a capire perché mai lo stesse difendendo.

“L’hai tradito anche tu?”

“Avrei voluto…ma io non sono come lui. Per me è stato l’amore della mia vita. Non avrei mai potuto amare un altro uomo. “

“Dovresti essere furiosa con lui! Io sono…sono furioso”

Sua madre gli sorrise.

“Lo sono stata….ma non è servito  a molto…come vedi. Lui non è cambiato….a volte reagiamo istintivamente alle situazioni, pensando che le cose cambieranno, ma quasi sempre tutto rimane com’è….ho imparato che non serve a molto reagire con l’istinto,  riversare sugli altri la propria rabbia….molto meglio accettare ciò che non si può cambiare…”

Genzo aveva ascoltato e quelle parole erano una lezione anche per lui. Si sentì ancora peggio.

Vide che sua madre era molto affaticata  e decise di calmarsi.

“Beh, ad ogni modo dovremo pur dirglielo che stai male….”

Lei lo guardò  un momento.

“Non ancora…”

 

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Capitolo 9
*** La vita; la morte ***


Ciao! Grazie a tutte le persone che stanno seguendo la storia  e ovviamente grazie di cuore a chi commenta! E’ bello vedere come ognuno recepisce a suo modo questa ff e si immagina come continuerà….io sono già abbastanza avanti quindi mi piace molto leggere le vostre intuizioni e aspettative su come procederà la storia. Lo so che con Genzo ci sto andando giù pesante…..però in questo modo posso “scavare” un po’ dentro il personaggio e rendere il suo mondo un po’ più realistico; almeno questo è il mio intento…. Buona lettura!

__________________

A Barcellona faceva già molto caldo. Le giornate erano trascorse serenamente anche se c’era molto da fare. Daibu e Hayate erano sempre più vivaci e non stavano mai fermi, nemmeno quando dormivano. Michiko cresceva a vista d‘occhio ed era una bambina molto solare, faceva festa a  tutti ed era simpatica. Faceva delle espressioni talmente intense con gli occhi, che si capiva subito che sarebbe stata una tipa interessante. Era curiosa e innamorata persa dei suoi fratelli che, ovviamente invece la “snobbavano” e cercavano di escluderla dal loro personalissimo universo. Erano gelosi di lei e della mamma che ormai da sola non si poteva allontanare: loro la sorvegliavano  a vista.

Il campionato ormai era finito; era la fine di maggio e mancavano solo due partite. Il Barcellona era primo davanti al Real Madrid. Dovevano stringere i denti ma erano abbastanza fiduciosi perché il calendario era stato più favorevole a loro, e, salvo colpi di testa, il campionato era da considerarsi vinto. Purtroppo dalla Champions invece erano usciti. C’erano stati vari infortuni ad alcuni giocatori importanti e il Mister aveva dato fiducia a Rivaul, ma il numero dieci aveva giocato male. Nella partita decisiva contro il Bayern, Tsubasa era entrato a venti minuti dalla fine e non era riuscito a fare granché. Il Mister era stato aspramente criticato per quelle scelte e correva voce che a fine stagione, la società avrebbe cambiato allenatore. Tsubasa era rimasto male, come tutti i suoi compagni naturalmente. Ma era giovane e fece tesoro di quell’esperienza per riprovare subito a far meglio in futuro. Piuttosto era sempre più colpito da Rivaul che ormai era irriconoscibile. Non era più lo stesso da quando sua moglie l’aveva definitivamente lasciato per tornare con i bambini in Brasile.

Tsubasa c’era passato: sapeva bene cosa stesse provando. Tentò anche di parlargli ma lui era  molto chiuso.

Sanae aveva provato a contattare l’amica in Brasile ma senza successo. Pensava spesso  a lei e sperava che ci potesse ancora essere una via perché si ricongiungessero.

Si  sedette mentre sul seggiolone Michiko dormiva beata dopo la poppata mattutina. Di sopra i bambini dormivano mentre Tsubasa era in ritiro con la squadra per preparare meglio la penultima partita.

Sentì entrare la mamma di Pinto e si salutarono calorosamente. Quando era tornata a casa, lei l’aveva aspettata con Pinto e il marito di fronte al giardino e aveva pianto. Era una donna molto emotiva e molto dolce.

“Scusa se sono un po’ in ritardo….”disse facendo piano.

“Non preoccuparti…spero di fare presto” disse Sanae.

Si pettinò con cura e si diede due gocce di profumo. Uscì con calma e respirò a pieni polmoni

 

 

“Può scendere dal lettino ora.” le disse il dottore, mentre si sfilava i guanti e si mise a scrivere qualcosa.

“E’ raro che succeda….è molto raro….. ma succede. A questo punto, spero che non stesse sfruttando l’allattamento come anticoncezionale … “

Sanae sorrise…..” No no…io non ho mai fatto niente per non restare incinta…”

“quindi…possiamo dire che questo bambino è una bella sorpresa?” fece il dottore ricambiando il sorriso.

“Sì… direi proprio di sì….mio marito ed io lo desideravamo tanto……. Poi……questa volta…” Sanae s‘interruppe perché intanto il dottore scriveva e  pensò che non gli importasse molto dei suoi affari.

“Dica dica….l’ascolto”

“..beh questo bambino è il primo che abbiamo concepito a casa nostra….in Giappone….lo so che sembro una stupida… ma sono felice….”

“ Non sembra per niente stupida….è una cosa stupenda….” poi il dottore si ricompose “ dunque ci rivediamo tra un mese …il 24 giugno può andare bene?”

Sanae fece un rapido calcolo ma per quella data, pensò che sarebbero già stati in Giappone per le vacanze.

“Io dovrei tornare in Giappone….”

“guardi allora facciamo una cosa….lei faccia le sue vacanze tranquilla. Se prima di partire ha qualche problema, fissa un appuntamento con la mia segretaria. Se invece, come speriamo, procede tutto bene, ci vediamo al suo rientro, diciamo intorno al 20 luglio?”
”sì va benissimo..grazie”

“In reparto troverà la collega che le fisserà le altre visite. Arrivederci”

“Arrivederci. Grazie”

 

Uscendo dalla clinica, il primo pensiero fu per Kumiko. Lei gliel’aveva detto; lei lo sapeva da prima.

Sanae era al settimo cielo e non sapeva che fare. Si sedette su una panchina lungo il viale alberato e prese il cellulare. Stava per chiamarla, quando il nome “Genzo” comparve sul display.

“Che bello!” pensò.

“Ciao Genzo……ho una notizia stupenda…..” disse Sanae appena aveva risposto.

“Mia madre sta morendo” disse lui.

Ci fu silenzio.

Per qualche secondo nessuno dei due parlò: se fossero stati l’uno di fronte all’altra, si sarebbero fissati, entrambi increduli: lei perché totalmente sorpresa e spiazzata da quella frase, lui stupito da se stesso per essere riuscito a dirlo a qualcuno dopo tutto quel tempo.

“Sto impazzendo….” Riprese Genzo……”Ti prego…vieni da me…..venite qui…..ho provato a dirlo a Tsubasa, ma ….non ci riesco…..”

Lei non fece domande. Era ancora lì con la frase “ sono incinta” pronta da dire; ce l’aveva sulla punta della lingua e non sapeva che fare.

“Aspettami” disse infine.

“Grazie” Genzo riattaccò.

 

Sanae si precipitò a casa e cercò in modo confuso e vago di spiegare alla madre di Pinto che doveva partire subito. Chiamò l’agenzia di viaggi e chiese quale fosse il primo volo per Amburgo. Ce n’era uno con qualche posto libero dopo tre ore.

Si fece aiutare a preparare una valigia con un po’ di cose e l’essenziale per i bambini poi chiamò un taxi e si fece portare all’aeroporto.

Durante il tragitto chiamò Tsubasa

“Hey….come va?” disse lui, tutto felice

“Sono un po’ agitata…..” disse lei e poi continuò” Senti…dopo la partita non rientrare con la squadra: chiedi il permesso di prendere  un volo per Amburgo…io sto andando da Genzo….sua madre sta molto male…ma non so esattamente cosa sia successo….ti chiamo quando arrivo…”

“Aspetta…..ma che cavolo…ma i bambini?” chiese Tsubasa

“Siamo tutti qui….stiamo per prendere il primo aereo disponibile….”

“Ma tu stai bene?” chiese lui

“Io?....io sto benissimo…..”

Si salutarono e Sanae riattaccò.

Tsubasa fu richiamato dal fisioterapista: era il suo turno per il massaggio. Prima di spegnere il cellulare provò a chiamare Genzo, ma lui non rispose.

Cercò di non farsi prendere dall’agitazione e  sperò con tutto il cuore che non fosse nulla di grave.

Durante il volo, Sanae attraversò con la testa i suoi armadi, e si fece mentalmente una lista di tutte le cose che nella fretta aveva dimenticato. Era molto agitata e aveva paura, perciò non se ne fece una colpa. Prima di imbarcarsi era riuscita ad avvisare Genzo così che potesse andare a prenderla.

Infatti all’arrivo lui era lì.

Aveva l’aria molto stanca e si vedeva subito che stava male.

Abbracciò Sanae molto intensamente e le accarezzò il volto sfiorandole il collo. Poi salutò i gemelli e abbracciò anche loro, come non aveva mai fatto. C’era molto calore, molta tenerezza nel modo in cui li accarezzava. Sembrava quasi che volesse piangere.

Infine prese in braccio Michiko e le sfiorò le guance.

“Come siete belli…..grazie Sanae di essere venuta”

Sanae non l’aveva mai visto così. Non sembrava neanche lui. La durezza del volto era come scolpita e lo sguardo era veramente triste. Lui si rimise gli occhiali per non farsi notare e indicò dove aveva la macchina.

“Perché non me l’hai detto subito?” chiese Sanae dopo che Genzo le aveva spiegato la situazione.

“All’inizio stava bene…..ma ora….e poi io…non volevo che ti preoccupassi….non volevo aver bisogno di te, di voi. Ma adesso è troppo dura: e poi oltre alla fine del campionato ho il contratto da discutere e se non ci siete voi ho paura di fare uno sbaglio“

Sanae gli prese una mano.“E’ in questi momenti che dobbiamo cercare di essere ancora più uniti….” disse per rincuorarlo.

“Grazie……” disse Genzo..” ah.. a proposito..qual’è la tua notizia bellissima?”

Sanae arrossì: “Oh… niente…una stupidaggine”

 

Arrivati a casa di Genzo, Sanae lasciò che i bambini curiosassero nella grande sala e, tenendo Michiko in braccio, si guardò intorno.

“La troverai molto cambiata……” disse lui, per prepararla.

Genzo le mostrò la camera che aveva fatto preparare per lei e Tsubasa e quella dove avrebbero dormito Hayate e Daibu.

La domestica salutò Sanae calorosamente con un cenno del capo e portò degli asciugamani puliti per tutti.

Sanae era già stata in quella casa molte altre volte; ora si sentiva odore di medicina e l’atmosfera era cupa. Genzo le fece strada ed entrarono nella stanza dove la signora Wakabayashi stava cercando di prendere un po’ di tè.

“Mamma…è arrivata Sanae” fece lui

Sanae le rivolse un sorriso, mentre la donna la fissava e le allungò una mano come ad invitarla ad avvicinarsi.

La ragazza, che reggeva ancora Michiko, aveva già le lacrime agli occhi, ma cercò di trattenersi. Ad ogni passo si rendeva meglio conto dello stato della donna: aveva un fazzoletto intorno alla testa, e la faccia molto stanca. Il colorito era spento anche se nello sguardo riusciva ancora a scorgere un accenno di vivacità e di coscienza.

“Sanae…..sei stata così gentile a venire a salutarmi…..” disse con la voce un po’ affannata.

“Salve signora……questa è…è Michiko……”

La signora Wakabayashi volle che la bambina fosse messa sul letto accanto a lei: la voleva guardare bene.

L’accarezzò e le sorrise; con le mani le fece un giochino e lei subito scoppiò a ridere.

“Ah… Sanae è stupenda…..complimenti….è davvero una bella bambina…..oh..e voi?” chiese ancora, notando i due gemelli che spuntavano da dietro la porta.

“Loro…loro sono i miei ometti…se li ricorda? Avanti fatevi vedere….”

Hayate e Daibu si avvicinarono e salirono sul letto perché non volevano essere da meno della sorella.

“Come potrei dimenticarli….ciao bambini…”

“Che cosa fai  a letto? “ chiese Hayate ingenuamente.

Sanae fece per riprenderlo ma la signora Wakabayashi alzò la mano per fermarla.

“sai sono malata……”

“Ah allora ci vuole la medicina!” disse Daibu.

La signora si mise a ridere di gusto e mostrò a Daibu e ad Hayate il comodino.

“Sì..infatti guarda quante medicine devo prendere…..!”

I due bambini fissarono il ripiano stupiti.

“Scusate….ora dovreste uscire….” Disse l’infermiera in tedesco, rivolgendosi a Genzo.

“Sì subito….” disse lui e spiegò in giapponese a Sanae che dovevano lasciare la stanza.

“ti trattieni qualche giorno? "Chiese la signora.

“Sì…se non sono di troppo disturbo…sa con i bambini facciamo un po’ di confusione….”

“A me piacerebbe molto se poteste restare….i bambini portano allegria, non è vero Genzo?”

Genzo annuì.

 

 

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Capitolo 10
*** Restare o partire? ***


Anche per Tsubasa, il rientro ad Amburgo dopo la partita vinta contro il Villa Real, fu traumatico: vedere la madre di Genzo in quelle condizioni aveva completamente spento tutta la gioia per aver vinto il campionato con una giornata di anticipo. L’Amburgo invece aveva perso. Ormai non c’era più niente da fare: la possibilità di arrivare primi era sfumato. Se avessero vinto l’ultima partita avevano però la possibilità di accedere alla Champions senza fare i preliminari.

Cenarono in silenzio senza parlare, mentre i bambini si erano addormentati sui divani e sembravano dei bambolotti, da tanto che erano perfetti nella loro innocenza.

Genzo muoveva la forchetta fra le pietanze e sembrava che cercasse qualcosa. Sanae era in preda alle sue consuete nausee e quindi mangiava sforzandosi; Tsubasa, che di solito al cibo non rinunciava mai, lasciò lì quasi la metà della sua porzione.

“Oggi mi ha chiamato il presidente del Barcellona” disse Genzo per vedere di alleggerire quella cupezza che c’era intorno a loro.

“Ah sì?” chiese Tsubasa” com’è andata?”

“Direi bene….dopo la partita, la prossima settimana prendo il primo volo e vado da lui….tu sarai già a Barcellona non è vero? L’ultima partita ce l’hai in casa, no?”

“Sì..” fece Tsubasa” così mi dirai di persona che cos ‘avrai deciso di fare…spero che troverete un accordo”

“Anch’io…..”disse Genzo…..” Quando partite per il Giappone voi?” chiese poi il portiere” Subito il giorno dopo? Avete già prenotato il volo?” continuò.

Tsubasa guardò l’amico e poi fissò Sanae, la quale ricambiò lo sguardo con molta intensità.

Genzo non capì.

“Noi non torniamo in Giappone, Genzo…” disse il capitano.

“Ah no? Andate in vacanza da qualche parte?” chiese incuriosito.

“No, restiamo ad Amburgo” fece Sanae.” Non penserai che ce ne andiamo lasciandoti qui da solo in questo momento….”

Genzo li fissò uno alla volta e lasciò la forchetta.

“No…ragazzi avete già fatto troppo….state facendo troppo…….e poi …qui le cose si mettono veramente male….io adesso, finiti gli impegni, me la posso cavare da solo”

“Non se ne parla…..” fece Tsubasa riprendendo a mangiare.

“Però….se sei d’accordo… vorrei che prendessimo una casa fuori Amburgo tutti insieme….con un po’ di giardino per i bambini….qui facciamo troppa confusione…e poi credo che anche a tua madre piacerebbe andare fuori ogni tanto…quando si sente meglio.”

Genzo teneva lo sguardo fisso sul piatto. Gli veniva da piangere.

Sanae pensò di aver detto qualcosa di sbagliato.
”Scusa Genzo, non mi fraintendere, questa casa è stupenda, ma sai…per i bambini un po’ di giardino sarebbe l’ideale….ma se non vuoi, non fa niente….restiamo qui….”

“No….è che io non so cosa dire…..io…grazie…..”

“Lo facciamo con il cuore. Se partissimo per il Giappone adesso, ci rovineremmo l’estate al pensiero che tu sei qui a vivere tutto questo da solo…non devi ringraziarci” disse Tsubasa.

“Domani chiamo l’agenzia e chiedo se ci trovano una bella casa con il giardino. Hai ragione Sanae qui è bello ma sembra anche di soffocare…..” disse infine Genzo.

 

Kumiko cantava a squarciagola nel suo laboratorio e ogni tanto con il mestolo faceva finta di avere il microfono. Poi prendeva la mano di Ikeda per fare la giravolta e muoveva le braccia e le gambe al ritmo della musica  che proveniva dalla radio appoggiata alla finestra. Sul piano di lavoro le teglie erano pronte per essere infornate e c’era profumo di marmellata di ciliegio e aroma di noci sgusciate.

Era ubriaca fradicia. Si era scolata tutto quello che c’era in frigo e ora si sentiva felice. Ikeda la guardava avvilito perché ormai quel teatrino cominciava a ripetersi troppo spesso e Kumiko si stava veramente facendo del male. Aveva provato a spiegarglielo, ma lei, offesa e orgogliosa, aveva negato l’evidenza.

Per fortuna gli affari andavano bene e lei era sempre più brava. Anzi, dopo aver bevuto era ancora più ispirata e i dolci le venivano meglio.

Quella notte era ancora più euforica perché fra poco Sanae sarebbe tornata e lei non vedeva l’ora. Aveva contato i giorni facendo una croce su tutti quelli che erano passati e più si avvicinava la fine del campionato, più l’attesa si faceva incalzante. Pensò a tutte le cose che avrebbe cucinato per lei e per i bambini, ai fiori che le avrebbe mostrato e a tutte le parole che questa volta avrebbe detto. Lei era il suo ossigeno, la sua voglia di vivere. Aveva sofferto così tanto la sua mancanza che non si ricordava neanche più l‘ultima volta che aveva riso da sobria.

Suonò il telefono: era Sanae. Lei chiamava a tutte le ore, tanto Kumiko non dormiva quasi mai.

“Ciao!” disse Kumiko alzando con una  mano la cornetta e tenendo nell’altra il mestolo.

“Hai bevuto, eh?” chiese Sanae che lo sentiva subito, ormai.

“no…è che sono felice!”

“Appunto! Tu sei felice solo quando sei ubriaca…..accidenti Kumiko….ma perché fai così?”

“Allora? Quando torni? Hai prenotato il volo?” chiese Kumiko ansiosa e cambiando argomento.

“Ecco….no….c’è  un problema….”

Kumiko smise di danzare e divenne seria. Ikeda, che la guardava, capì che aveva ricevuto o stava per ricevere una brutta notizia.

“Devo restare qui…..cioè non qui in Spagna, ma ad Amburgo…da Genzo. Purtroppo non potrò tornare in Giappone , Kumiko….”disse Sanae molto dispiaciuta.

“Mi stai prendendo in giro, vero? E poi cosa c’entra Genzo……”

“Non posso spiegarti per telefono…ti spiegherò tutto quando sarai qui…perché visto che io non posso venire…verrai tu, giusto?”

“Sanae….forse parliamo due lingue diverse…io venire dove?” chiese Kumiko, che adesso sentiva che l’acido del vino le saliva alla gola.

“Verrai qui ad Amburgo da Genzo.. prenderemo una bella casa in campagna.”

Kumiko continuava a non capire.

“Guarda che nel caso ti fossi scordata, io ho una pasticceria e non faccio le vacanze da una vita. Non ho mai preso l’aereo e non ho intenzione di venire ad Amburgo…..”

“Non te lo sto chiedendo….” disse Sanae….” Te lo sto praticamente ordinando…io ho bisogno di te….non sarà una vacanza. Qui c’è molto da fare…non credo di poter fare tutto da sola, specialmente nelle mie condizioni…..”

Kumiko rimase un attimo in silenziò e lanciò il mestolo con violenza contro un ripiano.

“Lo sapevo…..te l’avevo detto io, che ti aveva messa incinta ancora….quel maniaco sessuale…..ma adesso quando lo vedo, lo condisco io….”disse Kumiko

“Ancora non lo sa…. L’ho detto solo a te…. E poi guarda che io sono molto felice….” disse Sanae.

“Lo so, lo so che i bambini ti spuntano come fiori….lo so che sei felice  ma io Tsubasa lo odio lo stesso…..sono troppo gelosa…..non ti avrà mica presa per una coniglia?! Quando lo vedo glielo spiego io….gli faccio tutto il discorsino….glielo spiego io come deve fare…..”

“Quindi significa che verrai……”

Kumiko rimase in silenzio

“Dai Sanae ma come faccio? Come faccio? Non posso mica chiudere? Ho un sacco di lavoro….e poi a fare che? Ancora ancora se fossi a Barcellona ma ad Amburgo? No…dai come faccio?” chiese Kumiko a se stessa più che a Sanae.

Sanae si fece seria” Potresti lasciare ad Ikeda un po’ di responsabilità: in fondo è molto bravo no? Guarda Kumiko, non te lo chiederei mai se potessi fare diversamente. Ti prego, pensaci almeno. Pensaci domani, quando sei sobria…..” Sanae fece per riattaccare.

“Aspetta…..” disse Kumiko….” Ma è successo qualcosa a Genzo?” chiese cercando di nascondere l’ansia.

“No, non a lui…..lui sta bene…..è una cosa che riguarda sua madre” rispose Sanae.

Riattaccarono.

Kumiko si sedette per terra e fece un urlo. Poi si rialzò e corse di sopra.

Aprì l’armadio di suo padre e le salì il vomito; non fece in tempo ad arrivare al bagno e si mise a vomitare in mezzo al corridoio, inginocchiandosi e piangendo come una scema. Aprendo le ante, una vampata di chiuso e polvere le avevano provocato il rigetto. Gattonando rientrò in camera e con il braccio cercò di pulirsi la bocca. Scrutò con gli occhi nel buio e fra gli abiti pesanti. Alzò lo sguardo al ripiano superiore e vide quello che stava cercando: la valigia.

 

Ad un certo punto della notte, quando tutto era pronto, Ikeda salì a vedere Kumiko. Sentì un odore cattivo ed ebbe una smorfia di fastidio quando si vide costretto ad evitare di calpestare il vomito sul pavimento. Entrò nella camera e vide Kumiko sdraiata a dormire con accanto una valigia. Cercò di metterle  qualcosa addosso e le tolse le pantofole da lavoro. Poi prese uno straccio e ripulì tutto.

Al mattino, quando si svegliò e vide che non era nella sua camera ma sul grande letto di suo padre, provò una sensazione bruttissima addosso. Fece per alzarsi e uscire subito, poi quando vide la valigia, si ricordò della telefonata con Sanae e di tutto il resto. La trascinò in camera sua, l’aprì e la mise in terrazza affinché prendesse aria.

Scese al laboratorio e vide che i ragazzi del turno del mattino erano già al loro posto a passare i dolci fuori e verificare che tutto andasse bene. Dalla porta diede un’occhiata alla pasticceria e notò che era già piena di persone. I carrelli con i biscotti cominciavano già ad avere dei ripiani vuoti.

Uscì sul retro dopo aver preso una sigaretta.

Guardò la sua ginestra di fiume che, imperterrita, grondava di fiori e resisteva a tutto. Nonostante tutto.

Non stava provando niente: non riusciva a sentire più niente. Neanche la delusione di non rivedere Sanae, le faceva sentire dolore. Dentro si era fatto il vuoto.

Riguardò la sua ginestra come per chiederle: “ Ma tu cosa faresti, al posto mio?”

Ma non poteva. I fiori non parlano.

Si girò indietro, al piano di lavoro: “ Se potessi stendermi lì e venisse qualcuno a vivisezionarmi, adesso, cosa troverebbe nel mio cuore?”

Si mise a piangere senza neanche accorgersene. Le lacrime scendevano e lei non chiudeva neanche gli occhi; stava fissa a  guardare in fondo alla strada, sperando che da laggiù spuntasse la risposta.

“Ma che stai facendo? Piangi?”

Le chiese il ragazzo che aveva preso in prova per quell’estate.

“No che non piango. Perché?” chiese lei toccandosi il volto e sentendo il bagnato.

“beh….perchè ti scende del bagnato dagli occhi…..stai male?”

“no no sto bene…..torna al lavoro….su….” disse lei sputando fuori un po’ di fumo “ anzi..no aspetta…..”

Il ragazzo si fermò e le si avvicinò di nuovo.

“Hai mai preso un aereo?” gli chiese

Lui rimase un po’ stupito dalla domanda.” Sì una volta….sono andato a trovare mio zio in America”

“Ah…” fece lei

“Io…non ci sono mai salita su un aereo….”disse lei…” a dire la verità non ho neanche una valigia. Dovrei usare quella di mio padre. Tanto lui è morto, non credo che se ne avrebbe a male….”

Il ragazzo continuava a stare lì ma era evidente che non stesse seguendo i pensieri di Kumiko.

“Hai una ragazza?” chiese poi.

Lui sembrava molto imbarazzato….” Beh io..sì…… e tu?”chiese timidamente.

Kumiko gli sorrise e scosse la testa

“Io? Io… ma figurati…….non mi guarda nessuno…..non sono abbastanza carina…..” disse lei.

Lui la fissò sorpreso.

“ Se proprio mi posso permettere…io ti ho sempre trovata molto bella……sei…sei molto bella…..” e dopo aver fatto un  inchino per congedarla, scappò dentro, rosso come un peperone.

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Capitolo 11
*** Rivedersi ***


Ciao! Scusate se ieri non sono riuscita a mettere on line il capitolo.... (ho avuto una giornataccia)

_______

Genzo aspettava ormai da dieci minuti nello studio del presidente del Barcellona. Si era vestito bene e si era dato il gel nei capelli. Ogni tanto si guardava la mano: l’apriva, la chiudeva e cercava di discernere la sua forza mentale dalla realtà dei fatti. Ormai era da talmente tanto che con la volontà dissimulava il dolore che non sapeva più dire se sentiva male o no. Aveva la faccia un po’ provata dalla situazione che stava vivendo a casa e la tensione per l’incontro. C’era anche un velo di rilassatezza: con la vittoria dell’ultima partita, l’Amburgo si era aggiudicato l’accesso diretto alla Champions e si rendeva conto che molto del merito era stato suo. Era stato definito il miglior portiere del Campionato Tedesco e, anche se lì per lì, non era riuscito a gioire, sapeva quanto questo avrebbe potuto incidere sulla sua carriera.

Dopo poco il presidente arrivò e subito notò soddisfazione nei suoi occhi: “ho fatto bene a venire senza procuratore” pensò Genzo.

Fu una conversazione molto informale e l’offerta era buona.

“Prenditi il tuo tempo” gli disse in un ottimo inglese.

“Ci rivediamo tra una settimana?” chiese.

Genzo annuì.

Si salutarono cordialmente e poi Genzo uscì dalla stanza. Attraversò i lunghi corridoi e si fermò al museo all’interno dello stadio per ammirare tutti i trofei che il Barcellona aveva vinto. Era contento. Ma non come le altre volte. Fu certo che avrebbe firmato. E razionalmente si rendeva conto di quanto fosse fortunato. Ma il suo pensiero era fisso a sua madre. Non riusciva a fare altro che pensare  a lei. Tutti i medici che aveva consultato, l’avevano visitata ed erano stati categorici. Il verdetto era sempre lo stesso.

“Che senso ha tutto questo? “ si domandò. Poi pensò a suo padre, a quando l’avrebbe rivisto e  a cosa gli avrebbe detto.

“Ah eccoti…..” disse Tsubasa, distogliendolo dai suoi pensieri.

Si salutarono dandosi la mano come sempre e Genzo riassunse il colloquio con il presidente.

“Bene! Sono contentissimo…..allora torniamo ad Amburgo?” chiese lui, facendo uscire dalla tasca i due biglietti dell’aereo.

“Sì…chissà se Sanae se la sta cavando con il trasloco…dovevano venire proprio adesso mentre noi non ci siamo!…spero che mia mamma non sia stata male”

Genzo aveva giocato fuori casa e quindi mancava da una settimana perché erano stati anche in ritiro e Tsubasa ovviamente aveva trascorso la settimana a Barcellona. Sanae, quindi aveva dovuto pensare a tutto da sola.

L’agenzia aveva trovato una casa molto grande appena fuori Amburgo, in una zona tranquilla, immersa nel verde. Sanae si era occupata di tutto e, anche se ora si sentiva un po’ stanca, era contenta che fosse andato tutto bene e che Genzo non avesse dovuto affrontare anche il trasloco: non si era poi trattato in effetti di un trasloco vero  proprio perché avevano dovuto spostare solo gli abiti, gli utensili della cucina e soltanto qualche pezzo dell’arredamento, ma  sapeva bene com’era fatto....così ansioso e impaziente, avrebbe passato il tempo a litigare con i facchini e gli addetti dell’agenzia. Era stato molto meglio così.

“Ah…Genzo quasi dimenticavo…..” aggiunse Tsubasa quando Genzo si preparava a salire sul taxi per andare all’aeroporto.

“Spero non ti dispiacerà, ma sai, Sanae  ha chiesto a Kumiko di venire un po’ da noi e trascorrere qualche settimana insieme….. sono molto unite…la casa è grande e poi lei cucina da dio.. con tutto il rispetto, molto meglio della tua cuoca tedesca!” disse Tsubasa ridendo.

Genzo prese posto accanto a Tsubasa e si slacciò il colletto della camicia. Si scompigliò i capelli e aprì il finestrino dell’auto.

“Kumiko?......no no figurati.. per me non c’è nessun problema….” Disse, ostentando indifferenza.

 

 

Per tutto il volo Kumiko non aveva chiuso occhio. Se gliel’avessero detto che volare era così bello, se gliel’avessero spiegato, lei non avrebbe mai fatto la pasticcera, ma avrebbe provato a fare l’hostess…solo che forse non l’avrebbero presa per l’altezza…. “Va beh…al diavolo!” pensò: lei avrebbe tentato lo stesso. Era completamente agitata ed eccitata…. Si sentiva come un bambino che vede un gioco nuovo o un posto nuovo. Dal finestrino, per quanto le era stato possibile, aveva cercato mentalmente di registrare tutto.

Com’erano belle le nuvole….sembravano un mare, una distesa infinita di cotone….o di zucchero filato. Ogni tanto con la mano provava a sfiorare il vetro per scrutare meglio tutto quel bianco.

“Voglio restare quassù “ pensò….” Che pace….”

Dopo  l‘atterraggio e aver seguito la massa come una pecora perché non aveva assolutamente idea di come funzionasse un aeroporto, si ritrovò in mezzo alla confusione, con di fronte un mare di persone che chiamavano e salutavano.

Lei cercò fra quell’ ammasso di gente se riusciva a scorgere Sanae ma da lì era impossibile.

Poi dopo poco si sentì chiamare:”Kumiko! siamo qua!”

Seguì il suono della voce ed eccola là, tutta vestita di bianco (come sapeva di piacere a lei) con i bambini ai lati e Michiko in braccio che scalciava e si agitava perché con gli occhi seguiva tutti quei colori e quelle voci.

Corse verso di loro trascinandosi la valigia e si inginocchiò per prendere i bambini fra  le braccia.

“Ma non me l’avevate mica detto che lassù in cielo le nuvole sembrano fatte di cotone….ve l’ho mai fatto lo zucchero filato, eh Hayate?” chiese lei, persa nel suo mondo, totalmente incurante di sembrare un po’ strana.

Hayate la guardò ” no..non l’abbiamo fatto, però abbiamo fatto il pane..ti ricordi Daibu?” chiese al fratello.

“Sì sì..andiamo a fare il pane, Kumiko?”

“no… no noi adesso andiamo a fare tutto questo cotone….facciamo un dolce nuovo…oggi!” era eccitatissima. Se li prese ancora e fece a tutti e due un sacco di solletico.

Sanae la guardava e rideva, rideva anche lei come una bambina….

“Sanae…” disse alzandosi e scrutando la piccola Michiko.

Sanae le fece un gran sorriso. “Sono felice che tu sia qui….” disse.

Kumiko prese la bambina in braccio, mentre i gemellini correvano intorno alle due ragazze e fingevano di  essere degli aerei che volteggiano in mezzo alle nuvole.

“Anch’io…tanto…”

Sul taxi non ci fu modo di parlare, perché i due fratelli non diedero un attimo di tregua a Kumiko e la riempirono di domande. Lei sembrava molto divertita e Sanae la trovò insolitamente fresca, quasi serena.

Giunti davanti al grande giardino della casa, Kumiko si soffermò su due alberi dalle lunghe foglie lucide e dai frutti porosi e poi osservò i mazzi spontanei di margherite in qua e in là. Ebbe subito una sensazione positiva.

Sanae lasciò i bambini liberi di giocare. Il tempo era buono anche se all’orizzonte alcune nuvole sembravano già cariche di pioggia.

Michiko finalmente si era addormentata e Sanae riusci’ a metterla nella carrozzina. Era molto affaticata.

“Non occorreva che venissi a prendermi….hai l’aria molto stanca, hai bisogno di riposare un po’….” A Kumiko venne spontaneo buttare l’occhio sul ventre, che Sanae di proposito aveva nascosto bene, perchè ancora non aveva dato la buona notizia.

“Come stai?Non mi dire che Tsubasa ancora non se n’è accorto...” chiese lei

Sanae si sedette sui gradini dell’ampio porticato e invitò Kumiko a seguire il suo gesto.

“Sai com’è Tsubasa…..ancora non credo neanche che abbia capito bene come funzionino le mestruazioni…” disse Sanae ridendo.

“Solo una santa come te può stare con uno così…..santa donna…..!” disse Kumiko e si misero a ridere.

“Allora?...come mai siete bloccati qui?” chiese Kumiko

Sanae abbassò lo sguardo e divenne subito triste.

“La madre di Genzo ha il cancro…..sta….lei…beh ecco…non è rimasto molto tempo. E’ qui perché ha voluto passare gli ultimi tempi con suo figlio. Genzo è molto turbato…noi non ce la siamo sentita di lasciarlo da solo….”

Kumiko le prese una mano: “Generosi e di buon cuore come sempre…..tu e Tsubasa siete unici…” le disse, facendole capire che anche lei provava tanta riconoscenza nei confronti di suo marito e  che, battute a parte, lo stimava moltissimo come uomo.

“Beh… preparati… non è un bel vedere…..qui c’è odore di malattia dappertutto…..andiamo…. te la voglio presentare”

Si alzarono e portarono dentro la valigia . Kumiko, quando fu di fronte alla porta, prese un gran respiro.

Entrarono.

“Signora Wakabayashi…la nostra amica è arrivata…..le presento Kumiko” disse Sanae con un tono abbastanza basso di voce.

La Signora era piena di antidolorifici; era già tardo pomeriggio e a quell’ora il male era talmente forte che la dovevano sedare. Quindi era stordita e un po’ appisolata.

“Salve Kumiko….sono molto lieta di conoscerti…” le porse la mano e la ragazza ricambiò dandole la sua.

La signora accarezzò le dita di Kumiko con molta dolcezza” hai delle belle mani…..”..Kumiko arrossì.

“Lei è una pasticcera bravissima” disse Sanae.

“Davvero? Allora potresti fare tu il dolce per il compleanno di Genzo…lui da piccolo andava  matto per la torta alla panna…adesso dice che i dolci non li mangia più, ma secondo me se gliela facciamo, lui la mangia…” e si mise a ridere debolmente.

“Certo che gliela facciamo! Non è vero Kumiko?”

Kumiko la guardò implorandola di uscire perché stava per piangere. Riuscì a dire un flebile “ sì” poi, salutandola, se ne andarono.

Appena fuori, Kumiko abbracciò Sanae e pianse, pianse cercando di non farsi sentire.

Si diressero nella camera dove avrebbe dormito Kumiko e Sanae le diede un fazzoletto.

“E’ desolante vedere cosa ci può fare la malattia, non trovi? “ chiese Sanae

Kumiko non riusciva a tirare fuori le parole tanta era la pena che aveva provato a guardare quella donna. Le venne in mente suo padre, anche lui stroncato da un male incurabile. Si ricordava bene quegli odori e le espressioni. “ I malati, purtroppo, si somigliano tutti….solo che non ci si riesce mai  a fare l’abitudine… la malattia ti devasta l’anima…..” disse infine Kumiko.

Sanae la lasciò un attimo sola così che potesse rinfrescarsi  e magari farsi un bagno.

La giovane si guardò intorno: la camera era molto grande, con un bel letto matrimoniale e aveva un bagno tutto suo. Si spogliò e si infilò dentro la doccia. Si lavò rapidamente perchè era molto agitata all’idea di rivedere Genzo. Cominciava a sentirsi nervosa. Si asciugò e  rivestì con un po’ di fretta prendendo dalla valigia i primi indumenti che trovò. Voleva fare lo zucchero filato ai bambini e cucinare per Sanae. Chissà da quanto non mangiava qualcosa di buono….

Si diresse in cucina. Ormai era buio e i bambini erano crollati senza mangiare.

“E adesso?” chiese.

Sanae tolse loro le scarpe e li distese meglio sui divani.

“Si sveglieranno domani mattina….il più delle volte alla sera non mangiano….si addormentano così….però hanno fatto la merenda, quindi….lasciamoli stare”. Michiko dormiva anche lei tranquilla e beata.

“Vorrà dire che cucinerò per te….per voi cioè…” si corresse Kumiko, cercando con lo sguardo Genzo e Tsubasa.

“No…loro sono a Barcellona, dovrebbero rientrare stanotte o domani…tutto dipende da quanto dura il colloquio di Genzo…..quindi stasera siamo sole solette”

Kumiko tirò un sospiro di sollievo, anche se non aveva capito che genere di colloquio dovesse mai fare Genzo in Spagna. Comunque in questo modo avrebbe avuto un po’ più di tempo per “smaltire” l’incontro con la madre di Genzo, il volo in aereo, l’impatto con quel posto nuovo. Si sentiva abbastanza scombussolata dentro.

“Bene….allora… cosa vuoi?” le chiese

“Ho voglia di non sentire l’odore della malattia…” disse Sanae con gli occhi stanchi e  tristi.

Kumiko andò ad abbracciarla e poi aprì il frigo per vedere cosa potesse fare.

Cucinò delle verdure con le spezie per dare più profumo e poi fece una bella frittata .

Corse di sopra e se ne tornò con due stecche molto grandi di cioccolato che mise in un pentolino a bagnomaria perché potessero sciogliersi.

 

“Mamma …fai la cioccolata?” chiese Daibu seguito da Hayate con gli occhi ancora semichiusi.

Il profumo del cacao aveva invaso la cucina e la  sala che formavano una grande unica stanza.

“Non ci credo…” disse Sanae….

Kumiko si mise a ridere…. “Ehm..non per togliere niente alla vostra mamma ma la cioccolata l’ho fatta io.!”

I bambini cominciarono a tirarla per i vestiti affinché Kumiko ne desse loro un po’. Lei allora la mescolò mentre la riversava in un’altra ciotola, prese dei biscotti ( anche quelli portati da casa e fatti da lei), li inzuppò soffiando sopra e passò a distribuirli ai due bimbi e a Sanae, muovendosi a ritmo di musica anche se la musica non c’era. Anche i bambini le andarono dietro e allora Sanae andò ad accendere lo stereo e alla radio c’era una bella canzone pop molto conosciuta; tenne il volume non troppo alto per non disturbare la Signora Wakabayashi  e continuarono a ballare e ad inzuppare a turno i biscotti nella cioccolata fusa, cantando e usando il biscotto come microfono.

 

Tsubasa pagò il taxi e i due entrarono in casa dopo aver fatto pochi passi. Pensarono di trovare tutto spento e tutti a letto perchè erano già le dieci e mezza e Kumiko aveva fatto un viaggio lungo. Invece quando furono dentro, videro le due ragazze a piedi nudi che danzavano e cantavano con Hayate e Daibu che ridevano e si rincorrevano.

Tsubasa rimase divertito  mentre Genzo sembrava abbastanza sconvolto.

C’era odore di cioccolato e la stanza era piena di suoni piacevoli. Sanae e Kumiko si presero per mano e quando la canzone finì e ritornò la voce del dj, si fermarono cadendo  per terra. Allora anche i bambini si riversarono su di loro.

“Kumiko facciamo il cotone? Voliamo?” disse Hayate

Kumiko lo attirò a sé con un sorriso accattivante e lo riempi’ di solletico…..era troppo felice, era al settimo cielo…

“Domani facciamo tutto… ma adesso dobbiamo andare a dormire, no?” disse Sanae.

“Babbo!” disse Daibu accorgendosi dei due ragazzi là in piedi.

Sanae sorrise e andò anche lei come Hayate verso Tsubasa per abbracciarlo.

Kumiko restò ancora un secondo per terra mentre il sorriso le stava sfumando dalla faccia. Nonostante la cioccolata, avvertì subito il suo odore. Lui era accanto a quella splendida famiglia e sul volto c’era sgomento ma anche indifferenza. C’era un’espressione vuota e distrutta.

Kumiko cercò di alzarsi ma non ce la faceva perché sentiva caldo e sapeva che era tutta rossa dalla vergogna di essersi fatta vedere da lui, così felice e disinvolta. Tentò di nascondere le cosce con un po’ della sua gonna che adesso le sembrava decisamente troppo corta e provò a chiudersi la camicia che adesso pareva troppo scavata.

Il suo corpo era caldo come se la cioccolata si fosse fusa su di lei.

Non riusciva neanche a guardarlo. Le parve subito bellissimo. Come sempre. E immediatamente la malattia, l’ansia le salirono da dentro. Come se davanti a lui non ci fosse scampo.

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Capitolo 12
*** Vivere davvero la vita e sentirsi come a casa ***


Genzo salutò molto freddamente e salì di sopra.

“Non farci caso, Kumiko…” disse Tsubasa, sorridendole” E’ un momentaccio…..non dipende da nessuno di noi…”

“Certo”…disse lei, ancora accaldata.

“Li addormenti tu i bambini, Tsubasa? Così io do una mano a Kumiko….” disse Sanae.

“No…no vai a riposare, ci penso io qui…tanto lo sai che faccio fatica a dormire…”

“Ma non sei stanca?” chiese Sanae un po’ dispiaciuta per la freddezza con cui Genzo aveva dato “il benvenuto” a Kumiko.

“No…io non sono stanca, avanti vai….”

Si diedero la buonanotte e Kumiko restò un momento in mezzo alla stanza, giocando con i bottoni della sua camicia.

Tornò verso la cucina e cercò nel frigo qualcosa da bere. Vide una bottiglia di vino già  aperta e se ne prese un bicchiere.

Mentre beveva tutto d’un fiato con le mani che tremavano, rivide la sua espressione spenta e distante; si ricordava bene il suo volto e aveva imparato, attraverso la memoria, a ridisegnare esattamente quello sguardo fatto d’argilla, di pietra serena, con qualche granulo che risplende di più in base a come ci piove la luce sopra.

Sapeva bene cosa significava quello sguardo, perché era stato dentro di lei ed era come se un po’ gliel’ avesse trasmesso.

Si maledì per aver trovato una valigia, per essere salita sull’aereo e aver visto tutto quel cotone.

Ebbe la certezza di aver commesso l’ennesimo errore; non importava quanto buono fosse l’intento, non importava quanta volontà ci mettesse: lei riusciva sempre a prendere la decisione sbagliata.

Si prese un altro bicchiere e sentì che l’alcool cominciava a calmare tutti quei pensieri; iniziò a lavare tutte le posate, i piatti, i bicchieri. Cercò uno straccio e pulì il pavimento e vagò per le stanze della casa cercando di non fare rumore. C’era un lungo corridoio e una porticina più piccola rispetto alle altre, fatta di legno, con una scritta dipinta a mano. L’aprì e capì subito che era una dispensa. C’erano molte cose da mangiare e un altro grande frigo.

Stava per richiudere perché la miscela di odori che veniva da lì, si confondeva con il sapore del vino e le dava un po’ fastidio, ma girandosi, col piede urtò una cassetta di legno appoggiata sul pavimento. Si abbassò e vide che era piena di mele. Dovevano essere state portate da qualche contadino della zona, perché sembravano non trattate: erano una diversa dall’altra e molto imperfette nella forma. Ne prese una e la strofinò contro la gonna per poterle dare un morso.

Sentì i suoi denti che affettavano la polpa e poté avvertire quanto fosse fragrante. Allora se ne mise un po’ nella gonna e le portò sul tavolo della cucina.

Finendo di mangiare la sua, che intanto andava  ad attenuare l’effetto del vino, le sbucciò una ad una e le tagliò in piccole porzioni.

Cercò una teglia e riprese la ciotola che aveva usato per il cioccolato.

A Sanae aveva pregato, prima di partire, di farle trovare della farina, le uova, un po’ di lievito e del latte, a portata di mano, perché lei aveva i suoi momenti e se non c’era la farina, se non c’erano le uova e tutto il resto, diventava matta.

Sanae, infatti, a parte le uova che erano in frigo e che d’altra parte Kumiko aveva già notato e usato prima per  la cena, aveva messo tutti gli ingredienti che le potevano servire in bella vista, accanto ad un cesto di frutta, su uno dei ripiani della cucina.

Cominciò a preparare la sua torta di mele. Impastava, come sempre, nel solito modo, affondando con le mani e sentendo che il suo cuore si sarebbe potuto spezzare da un momento all’altro per l’estasi, perchè lei quando faceva le sue cose, entrava in un posto talmente speciale della sua testa, che se era ubriaca, l’ubriachezza andava via, se era triste la tristezza si dissolveva, se aveva male, il male spariva.

Le parve di stare meglio.

Quando fu pronta, la infornò e lavò tutti gli arnesi.

Dalle grandi vetrate il portico sembrava così bello e silente…..prese una sigaretta dalla sua borsa, che era rimasta per terra all’entrata e andò a sedersi sul dondolo fuori. Non era troppo caldo: ad Amburgo, il clima era dettato dai corsi d’acqua e l’estate era mite. Il cielo era coperto e da un momento all’altro pareva che potesse scoppiare in milioni di gocce di pioggia.

“Che bello se cominciasse a piovere adesso….” pensò.

 

Genzo si girava e rigirava nel letto, in preda ai pensieri più oscuri, come se dentro di lui ci fosse il demonio. Non riusciva a dormire nella nuova casa….in nessuna casa. Lui non amava dormire. Non amava mangiare. Era fatto proprio di pietra ed ora sembrava che la pietra si sgretolasse in tante piccole briciole.

Si alzò e aprì la porta della stanza di sua madre. La luce sul comodino era accesa: Sanae l’aveva coperta con un fazzoletto per attenuarla. Il volto di sua madre sembrava abbandonato; c’era calma e molto silenzio, eppure c’era anche una sensazione già molto forte di rassegnazione, come se una parte di lei avesse già lasciato questa vita sulla terra. Dal suo viso sembrava di cogliere come un distacco, una specie di assenza dalla realtà.

Si chiese se fosse solo lui a vederla in quel modo o se fosse proprio la malattia che trasformava i volti umani e li rendeva così scavati, ogni giorno un po’ meno reali, un po’ più assenti.

Si sedette e rimase a vegliarla; ma lui non sapeva bene come fare; non sapeva come stare accanto ad un malato. Per tutta la vita aveva cercato di sfuggire, di evitare di soffrire: nessun coinvolgimento sentimentale, nessuna emozione che non potesse controllare; attraverso il calcio, che era stata prima di tutto una scuola di disciplina, lui aveva educato se stesso a riconoscere da lontano dove ci fosse il dolore. E lui l’aveva sempre schivato. L’unica volta che si era fatto fregare era stata con Kumiko. Ma non sarebbe più successo, se l’era promesso.

Ora però, non poteva starne fuori; non poteva semplicemente lavarsene le mani.

Guardò la foto che sua madre aveva messo sul comò. Si domandò che fine avessero fatto tutti i pensieri che avevano provato quel giorno, nel momento in cui la foto era stata scattata.

“Chissà perché stavo ridendo….” gli scappò di dire…

“Perché eri felice….” Disse sua madre, che nel frattempo, si era svegliata.

“Scusa….ti ho svegliata….” disse lui, imbarazzato.

“No non preoccuparti…dormo a tratti sai, mi sarei svegliata comunque” fece una pausa poi riprese a parlare “….da piccolo Genzo sei stato molto felice…non ricordo di averti mai visto triste…..invece adesso….adesso non è che sei triste.. ma…..” s’interruppe. Pensò di sembrargli un’ipocrita a giudicarlo, a criticarlo, dopo che lui l’aveva presa in casa, malata e morente, sacrificando se stesso e anche condizionando i suoi amici pur di non lasciarla sola ed accontentarla. Preferì tacere. Sentì che non aveva alcun diritto.

“….non che sono triste ma….? Continua…ti prego..m’ interessa cosa pensi…” la invitò lui, che invece era molto curioso di sapere cosa volesse dire.

“Tu …sei come il tuo appartamento in centro…..appena sono entrata,  ricordi cosa ti ho detto?”

Genzo ci pensò su, ma sinceramente se l’era dimenticato.

“Ti ho fatto notare che sembra che tu non ci abiti…..come se fosse un appartamento vuoto. E’ bellissimo e perfetto. Tutto è in ordine, ma non c’e’ vita. Gli manca l’anima. In camera tua non c’era niente, niente che parlasse di te. In quella casa è come se fossi un fantasma. E stai vivendo la tua vita nello stesso modo: sei così forte a calcio perché difficilmente ti fai prendere dall’emozione o vai in crisi. Ti sei allenato a non aver bisogno di niente. Niente ti può scalfire. Nel calcio è una qualità. Ma nella vita….nella vita si deve aver bisogno di tutto! Scommetto che non ti sei mai svegliato con una ragazza accanto….voglio dire, tu non hai mai dormito con una donna….non hai mai aspettato l’alba con lei. Tu prendi, ti rivesti e te ne vai. O le chiedi di andarsene. Scommetto che non ti sei mai concesso un vizio…un qualcosa che andasse fuori dai tuoi canoni, dagli standard. A cosa ti serve, essere circondato da tutta questa bellezza, da tutte queste infinite possibilità che hai, se tu non le sai vedere…? Io non sono certo la persona adatta a dare lezioni di vita, perché se sei così, una buona fetta di responsabilità ce l’ho io. Se potessi tornare indietro, io vorrei fare quello che sta facendo Sanae per i suoi bambini. Vorrei essere morbida  com’è lei. Vorrei poterti dare quelle certezze che  invece ti sei dovuto cercare da solo. Io non posso più ormai. Non posso tornare indietro. Non posso cambiare il tuo passato e il modo in cui sei cresciuto. Ma tu hai tutta la vita davanti: tu puoi ancora cambiare! Puoi fare ancora in modo che tutto parli di te, se vuoi…..pensaci…..” la signora Wakabayashi chiuse gli occhi e sembrava molto affaticata.

Genzo l’aveva ascoltata senza guardarla, con gli occhi bassi, come quando qualcuno ti riprende e ti vuole insegnare qualcosa con dolcezza.

Era facile parlare. Tanto lei da lì a poco non ci sarebbe più stata su questa terra….ma cambiare, provare ad essere qualcun altro….se stesso, sembrava ormai impossibile a Genzo.

“Vorrei bere..Genzo..” lui si guardò intorno un po’ smarrito perché ancora in preda a riflettere su ciò che sua madre gli aveva detto.

“Vado di sotto a prendere una bottiglia d’acqua…questa è finita: torno subito.”

Cercando di fare più piano possibile, attraversò il corridoio e si fermò un attimo davanti alla porta di Kumiko.

“Sono stato un cane………” si disse.. ripensando a come l’aveva salutata.

Pensò addirittura di entrare e svegliarla per chiederle scusa: quella ragazza le provocava un malessere, un disagio interiore che non riusciva a tenere sotto controllo. Ma preferì scendere di sotto.

Appena si affacciò alle scale fu travolto da un profumo buonissimo. Fece i gradini e si avvicinò alla cucina: il forno era acceso e dentro c’era una forma tonda che cresceva e diventava sempre più dorata. In qua e in là spuntavano dei pezzi di qualcosa che era più chiaro nell’interno ma più bruciacchiato nei contorni. Il profumo era dolce ed ebbe la sensazione che gli aumentasse la salivazione.

Pioveva a dirotto da qualche minuto. Aveva guardato fuori e aveva notato qualcosa, ma dovette riguardare per accertarsene. Kumiko era sotto il porticato che osservava la pioggia. Probabilmente non riusciva a dormire. Per quello aveva fatto la torta.

Il suo contorno nascondeva una fetta di albero, giù in fondo al viale. Appoggiata ad una delle colonne sembrava che da un momento all’altro potesse perdere l’equilibrio. Era proprio quello il problema per Genzo: il desiderio di andare da lei, quasi a sorreggerla, era forte, fortissimo; ma allo stesso tempo c’era qualcosa che glielo impediva, come se sentisse che fosse troppo “pericoloso”. Kumiko era diversa dalle altre: questo ormai gli era chiaro.

Cercò di fare piano e prendendo la bottiglia tornò da sua madre.

 

Al mattino Sanae fu costretta ad alzarsi prima di tutti perché i bambini avevano fame. Li accompagnò di sotto chiedendo loro di fare piano. Sentì profumo di buono e prendendo il latte vide sul tavolo della cucina la torta di mele di Kumiko, con  intorno le margherite del giardino che lei aveva pazientemente  raccolto e asciugato  prima di andare a dormire quando  era già alba inoltrata.

“E’ come se fossi a casa…”pensò.

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Capitolo 13
*** Quando arrivano le fatine ***


Ciao! In questi giorni ero un po’ triste perché gli ultimi cap sono stati recensiti poco….grazie quindi a FlaR ( su Sanae sforna pupi hai ragione, ma lei in questa storia rappresenta la terra..) ed Elisadi80 ( ti ho scritto, spero tu abbia avuto la mia mail),  per i vostri commenti! Grazie per aver avuto modo e tempo di scrivermi….Forse questi capitoli sono piaciuti meno..forse è tutta la storia che piace meno… non so…vedo che viene visitata molto, ma “visitare” può essere anche aprire e chiudere senza leggere, quindi…. Le recensioni sono sempre un parametro più attendibile. Anche gli appunti e le critiche a me fanno sempre piacere. Grazie logicamente anche a tutte le altre: Lara80 ( mi sembra che viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda..), Miki87 ( questo Genzo come ti sembra?), Makiolina ( aspetto sempre di leggere le tue considerazioni…), Trottola, Hitomichan, Hikarisan ( dove sei finita? Spero tutto bene…), lisepotter. So quanto la vita di ognuno sia piena di impegni e cose da fare, perciò apprezzo davvero molto il fatto che abbiate dedicato del tempo per lasciarmi un pensiero. Grazie di cuore. Grazie alle persone che hanno messo la storia fra le loro preferite e fra quelle da seguire!

Questa storia è abbastanza complicata; l’intreccio si sviluppa in maniera più lenta, quindi posso immaginare che per qualcuno sia meno piacevole che la mia ff precedente.

Per me scriverla invece è un piacere immenso…..

Scusate se quando mi ci metto, non la finirei più con i miei commenti e riflessioni….

Buona Lettura!

_____________

Nei giorni seguenti Kumiko prese confidenza con la casa e imparò a conoscerne i ritmi. Aveva fatto lo zucchero filato con i bambini  e avevano comprato tutto l’occorrente per fare la torta alla panna per il compleanno di Genzo che era imminente.

Sanae era riuscita a riposare un po’ di più anche se ancora non aveva trovato il momento giusto per dire a Tsubasa  del bambino. Aveva cercato di coinvolgere Kumiko il più possibile nella sua quotidianità e trascorrevano anche molto tempo con la signora Wakabayashi.

“Ragazze….venite qui un attimo?” chiese quel pomeriggio.

Loro, che erano in corridoio a piegare delle lenzuola, si avvicinarono e notarono quattro grandi scatoloni posati al centro della camera.

“Sono arrivati tutti i miei vestiti….le mie borse….le mie scarpe… li hanno portati mentre eravate andate in centro…forza, che aspettate non siete curiose?”

Le due ragazze si guardarono e sorrisero. Si misero a scartare con forza e non credevano ai loro occhi. La madre di Genzo aveva un guardaroba stupendo: vestiti di tutti i tipi, di alta sartoria, di vari colori. Le borse erano tutte firmate e preziose, così come le scarpe.

“E’ tutto quello che sono riuscita a racimolare. Chissà la roba che ho lasciato nelle altre case e che si saranno prese le amanti di mio marito……” disse ridendo, poi aggiunse “Prendete tutto quello che volete e quello che non vi interessa, regalatelo a chi volete. Non sopporto l’idea che queste cose finiscano chiuse in un armadio.”

Kumiko la fissò un po’ stupita…” Ma anch’io?” chiese lei.

“certo… non mi sembra che fra tutte e due litigherete per un vestito…..non siete quel genere di ragazze….come del resto io…non sono mai stata troppo vanitosa. Ma mi piacciono le cose belle…”

Sanae allora cominciò a frugare meglio e anche Kumiko. Le due iniziarono a parlare animatamente, a confrontare i vari abiti mentre la madre di Genzo, quando riconosceva un pezzo speciale che poteva associare ad un momento particolare della sua vita, ne raccontava la storia. Ridevano e facevano battute…..

Ad un certo punto Kumiko tirò fuori un bellissimo vestito scuro, scollato dietro e lungo fino circa al ginocchio. Si allacciava dietro il collo e la stoffa luccicava. Sicuramente aveva diversi anni: a giudicare dal taglio, la Signora Wakabayashi l’aveva indossato da giovane, eppure sembrava alla moda, come se fosse appena uscito da una boutique di New York o Parigi.

“Che bello…..”

“Già….l’ho messo solo una volta….che peccato….sono tornati di moda questi vestiti….Kumiko penso che ti starebbe molto bene”

“Sì infatti” disse Sanae.

“Sì.. per andare dove? Ma figurati io con un vestito così… e poi non ci sto mica dentro!”

“Ma sì che ci stai! “ disse la signora Wakabayashi.

Scoppiarono a ridere e continuarono a fare un po’ di confusione.

Si sentivano da sotto, tanto che Genzo non riusciva a seguire il notiziario sportivo. Teneva in braccio Michiko, mentre Tsubasa giocava in giardino con Hayate e Daibu.

Decise di salire e appena si ritrovò di fronte alla stanza aperta, notò una danza di colori e di leggerezza. Fu colpito dal volto di sua madre: sembrava più vivo, più vispo.

“Ma che cosa state facendo… non riesco neanche a sentire la tv…..” fece lui per attirare l’attenzione.

Kumiko ridiventò seria immediatamente.

Non si erano quasi per niente parlati; proprio il minimo indispensabile, e aveva visto chiaramente che la sua presenza non era affatto gradita. All’inizio aveva anche pensato di tornare subito in Giappone, ma aveva visto quanto da fare ci fosse. Nonostante la domestica, i bambini davano da fare e anche se la signora aveva un’infermiera personale per tutta la giornata, di notte andava sorvegliata. Aveva cercato di resistere per Sanae e faceva in modo di evitarlo. Non che si dovesse sforzare più di tanto, perché in questo Genzo era bravissimo: ogni volta che lui si trovava nei pressi di lei, ecco che cambiava direzione o stanza. Non la guardava e non le chiedeva mai niente.

Kumiko si sentiva completamente “rifiutata” e per questo ancora più brutta, più asciutta dentro. Si odiava. Si odiava per avergli permesso di entrare nel suo mondo, così brutalmente, senza chiedere il permesso,senza fermarsi. Si odiava per non essere fredda come ghiaccio e per avere invece continuamente bisogno di cercarlo con gli occhi. Si detestava per vederlo ancora così dannatamente bello. Ma anche così irreparabilmente lontano. Inafferrabile.

Sanae aveva notato il suo comportamento e si era anche accorta che Kumiko cercava con disinvoltura di non prendersela, ma aveva capito che ne stava soffrendo molto. Ogni volta però che cercava di prendere da parte Genzo per parlargli ecco che lui spostava l’attenzione su qualcos’altro: sua madre, il contratto con il Barcellona ancora in sospeso, i bambini……

In un certo senso stava anche cercando di evitare lei e le sue domande.

L’unico con cui la sintonia era perfetta era naturalmente Tsubasa. E poi…i bambini. Genzo si era attaccato ai gemelli e a Michiko in modo quasi morboso. Solo loro riuscivano a tirargli fuori un po’ di tenerezza e a strappargli qualche sorriso.

 

“Le ragazze stanno prendendo i miei vestiti…….. la cosa non ti interessa per niente, no? Se vuoi portare quello che lasceranno alle tue amiche, fai pure….” disse sua madre ridendo e prendendolo evidentemente in giro….

Genzo la fissò ed era abbastanza frastornato.

Michiko appena vide sua madre cominciò ad agitarsi perché voleva andare da lei; allora Sanae, sorridendole, la prese, ma nello sforzo si sentì venir meno e furono solo i riflessi attenti di Genzo ad impedire che tutte e due cadessero.

Kumiko prese la bambina, mentre Genzo sorreggeva Sanae.

“Cosa c’è? Che hai fatto?” chiese ansioso lui.

Sanae cercò di scuotere la testa e sorrise per fare capire che stava bene.

“Niente…ho avuto un capogiro….”

“Adesso chiamo Tsubasa…” disse lui.

“No…lascia stare guarda è già passato….vado un secondo a sdraiarmi..”

“No..non un secondo… tu non scendi dal letto fino a domani” disse la Signora Wakabayashi.” Forza Genzo prendi tu Michiko, così Kumiko potrà aiutare Sanae …”

Genzo allora lasciò Sanae e Kumiko gli passò la bambina. Nel prenderla, lui le sfiorò un braccio e una mano. Tutti e due si fissarono un secondo: fu proprio la lunghezza di un attimo, eppure ad entrambi sembrò un’infinità. Kumiko sentì subito caldo e le venne in mente di nuovo tutta la confusione della notte passata con lui che si avventava su di lei, del caldo che aveva sentito. Genzo ricordò il suo sguardo stravolto e la sensazione di novità a toccare il suo corpo, così diverso da quello delle altre ragazze con cui era stato. Ma non tradì alcuna emozione. E dentro di lei si fece ancora più vuoto e desolazione.

Mise molti dei vestiti di nuovo dentro gli scatoloni per fare più ordine e poi accompagnò Sanae in camera.

 

Un volta sole, Sanae guardò l’amica con sollievo.

“Per fortuna che sei qui…..”

Kumiko ricambiò lo sguardo e accennò una smorfia per farla ridere.” Io sono il tuo sassolino nella scarpa, lo sai….anche se dovessi andare via….ci sarò sempre con te….”

Sanae la fissò più intensamente: “Ma tu non te ne vai vero?” chiese implorante.

Kumiko non rispose e andò alla finestra; aprendola si accese una sigaretta.

“Lo so come ti stai sentendo…..lui è così chiuso….Dio mio….lui sa essere così inospitale….ma cerca di capirlo: credo che per lui sia tutto nuovo. Genzo non è uno che ha molto a che fare con situazioni emotive forti….non è che lo sto difendendo, ma gli voglio così tanto bene….e voglio così tanto bene anche a te….cerca di portare pazienza.” Sanae la stava davvero implorando.

Kumiko prese un bel respiro. Pensò a cosa avrebbe detto Sanae se avesse saputo tutta la verità, se le avesse detto quanto lei amava e odiava Genzo. Quanto male le avesse fatto dentro. Ma anche quanto bene e quanto lo desiderasse ancora dentro di sé. Lei avrebbe capito e l’avrebbe aiutata. Ma per dirglielo avrebbe dovuto spiegarglielo bene e usare le parole. Lei non sapeva come fare, non sapeva dove andarle a pescare.

E poi Sanae doveva riposare. Non poteva darle altri pensieri.

Le sorrise disinvolta.

“Io resto a patto che stasera trovi un modo per dire a tuo marito che stai aspettando un’altra bambina…..”

Sanae la guardò.

“….Sì…bisogna proprio che glielo dica, però…io non lo so se sarà una bambina….io mi sento strana…..sai cosa intendo….?”

Kumiko la fissò: non che non lo sapeva; lei si sentiva tutt’altro che fertile dentro. Si sentiva asciutta, come quando i biscotti non vengono bene e sanno di bruciato. Dentro era tutto strappato, tutto spezzato. Lei un figlio non l’avrebbe mai fatto.

“No..Sanae non so cosa intendi….”

“Mi sento come la prima volta……mi sa che è un maschio……beh…poco male! Vorrà dire che la farai tu una bambina per me!”

“Contaci……” disse lei….” Le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio che le avrebbe preparato qualcosa di buono…

 

 

Dopo cena, sul lettone Hayate e Daibu giocavano con Sanae mentre cercava di raccontare loro una piccola favola. Non era facile perché ogni minuto loro cambiavano di posto e facevano mille domande. Era tutto un “perché” e “come mai” e “cos’è” e lei perdeva continuamente il filo.

Tsubasa, anche lui seduto sul letto cercava invece di distinguere le parole dal labiale del giornalista sportivo che dava le ultime notizie di calcio mercato. La confusione era talmente tanta che aveva rinunciato ad ascoltare….guardava quelle labbra che si aprivano e chiudevano e provava ad indovinare i nomi dei giocatori.

“Certo che con voi è impossibile guardare la tv….” gli scappò detto un po’ scocciato.

Sanae fece cenno ai bambini di fare un po’ più piano e dal ridere Hayate diede un calcio al grembo della mamma.

“Ahi….” fece lei che si alzò subito la camicetta e buttò un bacino.

Daibu la guardò stupito e chiese” Ma mamma ma cosa fai?”

“Do un bacio al tuo fratellino o alla tua sorellina…..” Daibu la guardò di nuovo, poi guardò la pancia della mamma e si avvicinò. Hayate ovviamente lo imitò.

“Ma dov’è scusa? Qui non c’è niente…..” e tutti e due si misero a toccare e alzare ancora di più la camicetta per veder dentro.

“Non si vede perché ancora è talmente piccolo che si può solo immaginare….” disse lei.

Loro non capivano.

“E come ha fatto ad andare lì….?” disse Hayate.

“uffa con tutti questi perché….” pensò Sanae……“Ce l’ha portato una fatina….e mentre dormivate mi ha detto che era un regalo speciale per voi…..”

“Ma io non lo voglio un fratellino! Non la voglio una sorellina!” disse Hayate.

“No..neanch’ io….che schifo….”

Sanae fece finta di niente.

“Che peccato…..quella fatina era stata così carina…..vorrà dire che le chiederò se può venire a riprenderlo…..adesso la vado a chiamare” e fece per alzarsi.

“Aspetta……!” disse Hayate….

Allora Sanae aspettò: “Dimmi amore….”

“ma se lo viene a riprendere, dove lo porta..?”

“Ah no…non lo porta da nessuna parte. Non diventa niente. Rimane solo un sogno e non può fare tutte le cose belle che fanno i bambini….che peccato….chissà come sarà triste la fatina…ora fammi andare perché lei passa solo una volta in tutta la notte….”

Lei si alzò e andò alla porta.

I gemelli si fissarono con sguardo serio.

“No no…aspetta ancora va……… forse è meglio che diventi un bambino…ma deve proprio succhiare il nettare anche lui?”

Sanae tornò sul letto, li prese e li baciò con tenerezza.

“beh…all’inizio sì, se no come fa a crescere…..e a diventare come voi?”

“Ma l’apina quando smette di prendere il nettare…?”

“Tra poco…..ancora un po’ e poi non lo prenderà più…”

Allora si misero tutti e tre a ridere e i due gemelli cominciarono a dare dei baci al grembo di Sanae e a fare carezze e a sussurrare parole che si capivano a metà.

Tsubasa, ovviamente era stato talmente concentrato ad interpretare quello che dicevano alla tele, che tutta questa scena stupenda se l’era persa. Una volta finito il tg sportivo, diede un’occhiata a Sanae e vide i  bimbi che baciavano e accarezzavano il suo ventre con molta tenerezza.

“Ma che state facendo?” chiese ridendo…” Quella cosa lì la deve fare papà mica voi…..!”

“Geloso anche dei figli….” pensò Sanae.

“SHSSS papà noi stiamo facendo le coccole al nostro fratellino….ce l’ha portato una fatina….lasciaci stare!”

“O sorellina….” disse Sanae

Tsubasa cercò lo sguardo di sua moglie che ora sembrava un po’ imbarazzata ma molto felice.

“Ma non avevi detto che durante l’allattamento era praticamente impossibile?.....”

“Sì, ma…a volte può succedere….è successo” disse lei teneramente  sempre piena di desiderio.

Lui la guardava e non sapeva cosa dire dalla gioia.

Le accarezzò le guance e la fossetta in fondo al collo. Poi la baciò.

“Sono felice….tu mi rendi felice….” disse lui.

Si alzò invitando i bambini a seguirlo.

Correndo arrivarono alla porta di Genzo e bussarono.

“Genzo! Genzo!” dissero i bambini

Tsubasa entrò: “…. Una fatina ha portato un bambino….” disse confuso e Genzo lo fissò divertito….” no cioè no una fatina, “ poi guardò i due bambini…” sì sì una fatina… beh insomma Sanae aspetta un bambino! Aspettiamo un bambino!” Tsubasa era eccitatissimo e i suoi occhi erano stracolmi di gioia.

Genzo allora si alzò e gli diede una pacca sulla spalla tirandolo a sé con l’altra mano per abbracciarlo.

Poi andò in camera loro e si avvicinò a Sanae che era seduta sul letto, con il suo pigiama estivo  di organza e la camicetta un po’ aperta.

“Sei così bella….” riuscì a dire.

Sanae gli prese la mano.

“Ti voglio bene”

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Capitolo 14
*** Festa a sorpresa ***


Ciao a tutte…grazie infinite per le vostre risposte…non so che dire…negli ultimi capitoli non avevo scritto niente di mio, perché ho sempre paura di “disturbare” sia voi che la lettura del capitolo… non lo so bene come spiegare…. Ma assolutamente non l’ho fatto perché non vi sia riconoscente o perché non mi interessino i vostri commenti! Anzi! Vado a controllare se c’è una recensione più volte al giorno e se vedo che non ci sono vado subito in paranoia….( sono fatta un po’ così!).

Come ho già detto, immaginando quanto la vita di ognuna sia presa da tutt’altre cose, vi sono ancora più grata se riuscite a recensire perché, io per prima (che lavoro e studio) rubo il tempo per dedicarmi alla scrittura di notte….., quindi so cosa vuol dire”non avere tempo”…

Sto cercando di pubblicare ogni giorno anche per questo, per ringraziarvi di leggermi e dell’attenzione che mi state dando; e anche per una questione di rispetto. Certo non nascondo che un po’ sono stata aiutata dal fatto che anche questa volta praticamente la storia mi “esce” da dentro molto velocemente, però è anche vero che non mi piace far passare troppo tempo tra un cap e l’altro: si spezza la tensione, ci si distrae e poi credo che sia deludente per chi legge. Almeno per me come lettore lo è ( detesto le attese…: sto seguendo alcune ff che non vengono aggiornate da molto e questo mi dispiace…., mi delude…!).

Makiolina: questa intro era in modo particolare per te!Penso l’avrai capito quanto m’interessi quello che hai da dire: non mi risparmi niente e apprezzo molto la tua onestà critica. Nel cap precedente volevo anticiparlo io che non ti sarebbe “piaciuto” il confronto tra Sanae e i bambini sulla fatina… penso di aver capito bene cosa intendi quando dici “sdolcinato” . Il che mi piace! Cioè mi piace pensare che magari tu non ti ritrovi molto con queste cose: sei coerente, segui una linea e la mantieni. E’ una bella qualità! Non perderla… Arriveranno presto dei capitoli dove, a parere mio, non c’è proprio niente di dolce… come in tutte le cose c’è sempre una sorta di compensazione fra gli estremi. Grazie per tutto quello che hai scritto!

Reggina: grazie mille per avermi scritto! Sono felice che Kumiko sia un personaggio in cui in parte ti ritrovi… a dirti la verità io in cucina faccio pena; ma volevo dare a Kumiko un talento che fosse sia creativo, che pratico ( quindi molto fisico) e concreto, ( per intenderci, non ho mai pensato di inserire un talento artistico nel vero senso della parola – pittura, scultura, musica ecc…); nutro molta ammirazione e stima per chi ha una passione per il cibo ed è una cosa che credo aumenti  molto la capacità di osservare i colori, le forme e ovviamente esalta i nostri sensi!

Hitomichan: Ciao! Che belli i tuoi commenti! No.. non sei per niente fuori di testa… penso che per molte, Genzo sia proprio il tipo ideale: bello e dannato…. ( ma perché amiamo farci così male?)… beh qualche Genzo in giro c’è ( ahimè più di qualche…) chissà che non ne incontri uno quando meno te l’aspetti…..! Tsubasa…sì Tsubasa arriva sempre dopo… ma è così limpido… è il personaggio che rappresenta la trasparenza!

FlaR: grazie ancora per quello che hai scritto… anche a me piace più questa storia che quella precedente. Mi permette di andare più a fondo con i personaggi. Sono perfettamente in sintonia con la tua considerazione sulla scena della fatina: era quello l’intento; poter spiegare a due bimbi in modo non traumatico che Sanae darà loro un fratellino  o sorellina.

Miki87: Grazie mille per aver recensito e non ti scusare! E…. IN BOCCA AL LUPO per l’esame! Grazie anche per i commenti che hai fatto sui personaggi!

Purple: ciao…non ti devi assolutamente scusare! Sono io che chiedo scusa un po’ a tutte …grazie comunque per la tua recensione. Sono contenta che questo sviluppo “lento” sia stato ben interpretato!

Di nuovo grazie a tutte e scusate se vi ho portato via dell’altro tempo, ma ci tenevo a scrivere qualcosa a ciascuna oltre alla riflessione iniziale.

Buona lettura!

__________________________

 

 

Sul dondolo, la Signora Wakabayashi prendeva un po’ d’aria, mentre Sanae le leggeva qualcosa.

Michiko dormiva; Kumiko, Hayate e Daibu erano seduti al tavolo della cucina impegnati a giocare con vari tipi di carta. In realtà Kumiko, con la scusa di farli giocare per tenerli buoni, stava preparando le roselline e i fiori colorati da mettere sulla torta alla panna per Genzo. Era il suo compleanno e alla sera avrebbero cenato tutti insieme festeggiando con la torta e una bottiglia di spumante o di champagne. Facevano tutto senza nascondersi perchè Genzo, insieme a Tsubasa, era partito presto al mattino per incontrare il presidente del Barcellona.

Le donne erano riuscite a tenere il segreto quindi sarebbe stata una bella sorpresa.

Impegnata a disegnare e ad arricciare la carta velina, ad arrotolare il verde dei gambi e a stendere i fili che dovevano sembrare pistilli, Kumiko si lasciava trasportare dai suoi pensieri. Nei pochi momenti in cui era riuscita a dormire, aveva sognato la sua pasticceria e il suo tavolo da lavoro, così liscio e pulito….i suoi mestoli, le teglie profumate e le vetrine piene di sapori buoni.

Aveva sperato che con la notizia di una nuova vita, in quella casa l’umore sarebbe cambiato e ci fosse stato modo di parlare con lui, di chiarirsi, di scambiare almeno due parole, senza aggredirsi.

Ma non era cambiato niente. Sembravano veramente due mondi troppo lontani, come due orizzonti che non potevano incontrarsi in un qualsiasi punto del pianeta. Eppure, nella violenza di quella notte, lei l’aveva sentito così vicino….”forse è solo una cosa fisica…” pensò…” sono attratta da lui solo perché è un bel ragazzo …” “ eppure io…più che stare con lui, toccarlo…io vorrei ascoltarlo…vorrei che mi dicesse cosa c’è dentro quel suo sguardo così scuro….perchè mi sembra di riconoscerlo…” pensò ancora.

Le vennero in mente le parole di Sanae alla sua domanda nel vivaio ” che cosa succede se vuoi qualcosa che non puoi avere?”….lei aveva detto ” non lo fare…se hai ancora un po’ di amor proprio…non lo fare…ci si dispera…..” Ed era così che si stava sentendo: era disperata dentro. Non una disperazione fatta di scenate o gesti plateali; la sua era una disperazione più discreta,  più arida. Era un sentimento che non si tramutava in parole, che non aveva un suono per poterlo tradurre in una canzone o  in un colore. Era qualcosa che somigliava all’indifferenza e l’indifferenza è ancora peggio della malattia.

Sperò di diventare come il foglio di carta che stava tagliando: sottile, poroso, quasi ruvido. Qualsiasi cosa faceva, il foglio rispondeva ai comandi: si piegava, si stracciava, si lasciava lacerare. Cambiava la sua forma, ma nell’essenza sempre carta era. Pensò che l’unica via per sopportare il suo rifiuto, fosse quello: piegarsi, lasciarsi strappare, lacerare, umiliare. Sempre vuota, sempre asciutta e sterile sarebbe rimasta.

 

 

Questa volta il colloquio fu molto più lungo ed articolato. Il procuratore questa volta c’era. E il Presidente aveva dietro i suoi avvocati e i suoi collaboratori. Una volta fatto il punto della situazione e chiarite alcune clausole, discussero un po’di cifre, ma fu facile trovare un accordo. Al pomeriggio firmò il contratto. Era ufficialmente il nuovo portiere del Barcellona. Fecero subito una breve dichiarazione alla stampa e Genzo espresse in modo molto formale la sua gratitudine e la sua contentezza per essere arrivato in un club così prestigioso.

Davanti ai flash dei fotografi e alle telecamere cercò di fare qualche sorriso, ma chi lo conosceva sapeva benissimo che si era dovuto sforzare. A lui, non importava molto il calcio in quel momento.

Appena finito ripresero l’aereo per tornare ad Amburgo.

Durante il viaggio non parlarono molto; Sanae aveva pregato Tsubasa di non lasciarsi scappare una parola sulla cena a sorpresa e lui, dalla paura di fregarsi, aveva detto veramente poco.

Dal canto suo Genzo era molto preso dai suoi pensieri più oscuri: sapeva che al più tardi il giorno dopo suo padre l’avrebbe chiamato per parlare del Barcellona e allora lui avrebbe colto l’occasione per dirgliene quattro a proposito di come si era comportato con sua mamma. Era molto teso. I confronti con lui erano stati pochi, ma tutti molto agitati.

Genzo, in un certo senso, si sentiva “tradito” da suo padre; lui, proprio lui, che gli aveva insegnato cosa fosse il rigore, cosa fosse l’attaccamento ai valori, alla disciplina, che lo aveva sempre un po’ criticato per la leggerezza con cui viveva i suoi vent’anni e al fatto che non avesse un rapporto stabile con una ragazza, ora si rivelava ai suoi occhi, come un uomo infedele e vigliacco.

Come aveva potuto essere così “falso”? Come aveva potuto lasciare sua madre e andare con altre donne? Sua madre era così bella…era la donna più bella che conoscesse ed era anche così intelligente. Genzo sapeva bene che se suo padre aveva avuto fortuna negli affari, buona parte del merito era senz’altro da attribuire a sua madre.

Gli venivano in mente tutti i discorsi, le prediche, le raccomandazioni. Si ricordava l’eloquenza con cui amava parlare della lealtà, della sincerità nei rapporti umani….ma quale lealtà? Ma chi credeva di prendere in giro? Ci era riuscito sì, ma poi, puntualmente la vita ti svela, ti spoglia delle tue certezze; ed ora lo stesso uomo che aveva sempre considerato un esempio, gli sembrava l’ultimo, fra gli ultimi.

L’odio nei suoi confronti aumentava ancora di più se guardava a se stesso e si confrontava con lui: si somigliavano molto. Anche lui, in campo era la persona più onesta del mondo e basava tutti i suoi rapporti sul rispetto; una volta fuori da quel rettangolo verde, lui cercava sempre una via di fuga….E non era onesto, non era leale; non era fedele.

 

Giunti all’aeroporto, si ritrovarono di fronte un gruppo di giocatori dell’Amburgo con una bottiglia in mano.

“Buon compleanno Genzo!” fece Kaltz.

Si salutarono tutti molto calorosamente anche se erano molto dispiaciuti della decisione del portiere di lasciare il campionato tedesco.

“Zitto zitto, ce l’hai fatta eh? Così invece di festeggiare solo il compleanno, festeggiamo anche la nuova squadra!” disse un altro.

“Ti abbiamo preparato una seratina con i fiocchi….” disse Kaltz dandogli uno spintone alla spalla.

Genzo era molto imbarazzato e sorpreso. Tsubasa capì di essere completamente nei guai…..

“No.. ragazzi quest’anno non è che mi senta molto di festeggiare….” disse Genzo quasi timidamente.

Ai suoi compagni non aveva detto niente di sua madre. Aveva spiegato che la casa in campagna era stata presa per passare le vacanze insieme a Tsubasa e alla sua famiglia.

“Ma come? Quando vedrai il locale…e le ragazze, mi ringrazierai….l’ho prenotato esclusivamente per noi….naturalmente sei invitato anche tu Tsubasa” disse uno dei ragazzi in perfetto inglese.

Tsubasa ormai non sapeva più che pesci prendere…..

“Ah ragazzi vi ringrazio molto, ma io è meglio che vada a casa…mia moglie mi sta aspettando, ma tu Genzo…se vuoi andare, vai pure……” che altro poteva dire?

Genzo non riuscì  a dire un parola: i ragazzi l’avevano praticamente trascinato in macchina senza che lui potesse dare altre spiegazioni.

“E adesso come glielo spiego alle ragazze?” si chiese Tsubasa, salutandoli con la mano.

 

“Dai dai Hayate sbrigati….mettiti qui, no no mettiti qua…” Sanae era così eccitata che non capiva più niente e più volte aveva fatto cambiare la posizione dei bambini per accogliere Genzo in casa.

La tavola era bellissima: Kumiko aveva cucinato tante pietanze della tradizione giapponese e aveva apparecchiato con cura. La torta era venuta benissimo ed era molto profumata.

La signora Wakabayashi, per l’occasione, si era tolta la vestaglia e si era vestita per bene. Sanae l’aveva aiutata anche a darsi un po’ di trucco e la felicità di quel momento sembrava nascondere  la malattia.

Tutto era perfetto e pronto.

Quando Tsubasa aprì la porta e sentì gridare” Buon compleanno!”dai gemellini, vide nelle ragazze e nella madre di Genzo lo stupore e la delusione.

“Babbo ma dov’è Genzo?”

Tsubasa si mise una mano nella testa e spiegò loro dell’incontro all’aeroporto.

“Non sapevo che fare…..i suoi compagni hanno affittato il locale giù al fiume solo per lui….non me la sono sentita di dirgli della nostra cena….”

“Certo” disse la signora Wakabayashi”…hai fatto bene….”

Sanae si sedette a tavola e Kumiko diede una rapida occhiata alla sua torta. Le venne da sorridere e pensò a quanto proprio il destino le stesse remando contro. Non che una torta potesse cambiare le cose fra lei e Genzo, ma magari l’avrebbe un po’ addolcito.

Era tutto inutile ormai.

“Vorrà dire che gli porteremo la torta noi…” disse la signora.

Tutti la guardarono.

“Si…Kumiko tu hai fatto questa torta con tanto amore e ora gliela porterai……lui la deve assaggiare assolutamente…..è il nostro regalo per lui…..ci andrai vero?”

Kumiko guardò Tsubasa come a dire “ perché non gliela porti tu?” ma Tsubasa la guardava e con gli occhi le faceva capire che non poteva andare contro il volere di quella donna che ormai stava morendo.

“Ma sa..io non credo che a lui farebbe molto piacere…non è che ci prendiamo molto io e lui….” Provò a dire timidamente Kumiko per vedere se la donna rinunciasse.

“Oh… voi vi prendete anche troppo…è questo il problema…dagli tempo…lui non è abituato….forza…rimetti la torta nella scatola”

Kumiko non capì cosa avesse voluto dire la madre di Genzo, ma eseguì l’ordine e si avvicinò alla porta per mettersi le scarpe.

“Bisogna chiamare un taxi…eh intanto tu ti vai a cambiare….” disse ancora  “ perché non ti provi quel vestito che hai trovato ieri?”

Kumiko rimase un attimo ferma.

“Ah  perché mi devo anche cambiare?” chiese lei.

“Non credo che ti farebbero entrare così” disse Sanae invitandola a seguirla.

Salirono di sopra.

“Perché diavolo non sei intervenuta? Non ho per niente voglia di fare la figura della scema, in mezzo a tutti quegli snob dei suoi amici! “ sbraitò Kumiko nervosamente.

“e amiche….” aggiunse Sanae

“Cosa vorresti dire?” chiese Kumiko ancora più arrabbiata mentre si faceva spogliare da Sanae.

“Lo so che non ti piacciono molto le ragazze che frequenta Genzo….anch’io le detesto….ma mi dà fastidio che tu cerchi di evitarle perché non ti senti all’altezza”

Kumiko che nel frattempo si era infilata il vestito e le stava benissimo, disse” ma è la verità….io quella sera all’Hilton….” poi si fermò.

“Quale sera all’Hilton?” domandò Sanae

Kumiko prese la spazzola e si pettinò con forza i capelli dando il fermaglio a Sanae affinché glieli potesse raccogliere.

“Niente lascia stare…è una lunga storia ….te la spiegherò più avanti…..”

Scese le scale e i bambini la riempirono di complimenti.

“Wow!” disse Tsubasa” stai veramente bene”

Lei era molto nervosa e arrabbiata e lo ringraziò mandandolo al diavolo, cosa che fece ridere tutti.

“Prima mi dice che sto bene e poi mi ridete tutti in faccia…..tanto la figura la vado a fare io mica voi” pensava.

Il taxi era arrivato e lei prendendo la torta salutò e se ne andò.

“Divertiti!” disse la madre di Genzo.

 

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Capitolo 15
*** Il sesso ***


 

Durante il tragitto Kumiko guardava il paesaggio nell’oscurità e si sentiva stranamente tranquilla; costeggiando il fiume poteva sentirne i benefici: esso infatti, la calmava sempre e riusciva a placare la sua inquietudine. Pensò alla sua ginestra e s’immaginò di poterne accarezzare i fiori proprio in quel momento; poi d’improvviso le venne da annusarsi le ascelle, perché sì, si era cambiata ma non si lavava dal mattino. Aveva odore di buono e subito si ricordò che, intanto che lei sbraitava e si muoveva nervosamente di qua e di là, Sanae era riuscita a passarle un po’ del suo latte profumato sotto le braccia, sui gomiti e anche sulle cosce. Si accarezzò e poté sentire quanto fosse liscia; ebbe una sensazione ancora più piacevole.

Il tassista si fermò e lei si trovò di fronte ad un grande locale tutto illuminato a festa. Da fuori sembrava un posto esclusivo e molto elegante.

Avanzò con la torta in mano e spinse la grande  porta dell’entrata.

Dopo pochi passi un uomo molto alto e vestito bene le si piazzò davanti con aria inquisitoria.

Le disse qualcosa ma lei ovviamente non sapeva una parola di tedesco. Provò a gesti a far capire che doveva entrare per consegnare la cosa che teneva in mano, ma non c’era verso.

Lui la squadrava dall’alto al basso con aria di sufficienza.

Allora lei disse l’unica parola che poteva dire:”Genzo”.

Al che lui, probabilmente, prendendola per una fan, le fece cenno di andarsene.

Kumiko non sapeva cosa fare; almeno voleva lasciare la torta e allora sfilò dal taschino della giacca dell’uomo una penna e scrisse qualcosa in giapponese sulla scatola, lasciandola a quell’ antipaticone sperando che arrivasse a destinazione.

Lui, con molta diffidenza la prese e aspettò che lei uscisse, cosa che Kumiko fece immediatamente.

Una volta fuori, aveva il cuore leggero.

Era contenta di non essere dovuta entrare e farsi vedere da Genzo conciata in quel modo. Anche se guardandosi, aveva notato che stava bene, che quasi le pareva di essere carina, sapeva che se fosse entrata, sarebbe sembrata il brutto anatroccolo e non le andava proprio.

Tanto se non l’aveva degnata di uno sguardo a casa, figuriamoci come avrebbe potuto trattarla in un locale con i suoi amici…..Era rimasta un po’ di tempo lì fuori ad aspettare che i suoi pensieri finissero di uscirle così rapidamente dalla testa e poi prese un bel respiro.

Decise di camminare lungo il fiume fino ad arrivare alla piazzetta da dove avrebbe ripreso un taxi.

 

Nel frattempo nel locale, intorno ad una gran tavolata con ogni ben di dio, Genzo era festeggiato dai suoi amici e le ragazze ballavano nella pista lanciando sguardi provocanti e seguendo con scrupolo il ritmo della musica.

C’era voglia di spensieratezza e di divertimento e Genzo sembrava più loquace del solito. In fondo quella situazione gli era più congeniale e  più familiare dello squallido quadretto che si era dovuto sorbire negli ultimi periodi. Se non fosse stato per Sanae , Tsubasa e i bambini, non avrebbe retto la pressione. Da quando sua madre si era trasferita da lui, prima nell’attico e poi in campagna, non era più uscito di casa se non per gli allenamenti o per impegni comunque legati al calcio. Era bello concedersi una serata del genere.

Si sentì chiamare e vide il signore elegantemente vestito con una scatola in mano.

“Hey.. ti hanno fatto un regalo?” chiese Kaltz osservandolo.

Genzo fissò l’oggetto e vide che c’era scritto qualcosa in giapponese: “ tua madre voleva tanto che avessi questa, per ricordarti di quando eri felice…..buon compleanno”

Genzo l’aprì e alla vista della torta con la panna e tutte quelle roselline e quei fiori lavorati con la carta, provò una gran tenerezza. Ma anche rabbia.

Gli amici gliela presero e tutti l’ammirarono perché era bellissima e sembrava un peccato doverla mangiare. Ma dall’aspetto sembrava anche buona.

Così una ragazza si alzò e cominciò ad affettarla.

Mentre il signore stava per tornare all’entrata, Genzo lo fermò:

“Ma chi l’ha portata?”

”  una ragazza giapponese, non molto alta con un vestito scuro…”

Genzo allora si alzò e corse verso l’uscita.

Guardò sia a destra che a sinistra ma pensò che Kumiko avesse scelto di camminare verso la piazzetta, ammesso che non fosse subito ripartita in taxi; fece qualche passo correndo ed eccola là: camminava lentamente e in totale solitudine.

“Kumiko” lui la chiamò.

Come quella volta all’alba,quando era uscita per buttare la spazzatura, pensò che si trattasse della sua immaginazione.

“Kumiko!” gridò allora un po’ più forte.

Lei si voltò e lo vide.

Si sentiva girare la testa perché era bellissimo, con la giacca scura e il gel nei capelli.

“Ma perché non sei entrata?” chiese lui, molto scocciato.

“C’ho provato, ma il tipo all’entrata non me l’ha permesso……”

“E’ stata una pessima idea….tu hai delle pessime idee” le disse.

“No, guarda che è stata tua madre. Me l’ha chiesto lei di venire qui….”

“Certo…come no…..ti ha anche detto di vestirti come una puttana?”

Kumiko non riusciva a capire come mai lui fosse sempre così tagliente con lei. Proprio non riusciva a comprendere come mai fosse così cattivo. Lei però non poteva stare zitta…non ce la faceva a non reagire.

“Sì… mi ha chiesto di mettere questo bel vestito che era suo, quindi presumo che anche lei sembrasse una puttana quell’ unica volta che l’ha indossato….e sai, visto che ha il cancro e sta morendo, non me la sono proprio sentita di dirle- “no, da tuo figlio a portargli il tuo regalo di compleanno non ci vado”..!”

Genzo, dal momento in cui aveva capito che a portare la torta era stata lei, aveva completamente perso la ragione; gli era salita la rabbia e  sentiva il sangue alla testa. A quelle parole su sua madre, dentro di lui si scatenò l’inferno.

L’afferrò per un braccio e la trascinò all’interno di una piccola strada laterale. La spinse al muro tenendola per le spalle e cominciò a baciarla nell’unico modo in cui l’avesse mai baciata: molto confusamente e disordinatamente. Nella foga le diede un morso sul labbro inferiore e poté sentire un po’ di sangue che scendeva.

Le mise una mano fra le cosce e fu facile, più facile dell’altra volta perché lei era stranamente più mansueta e non si era per niente ribellata.

La sollevò un po’ e provò piacere dopo pochi minuti.

La lasciò e lei, perdendo l’equilibrio, cadde a terra con le mutande che si erano tutte aggrovigliate alle sue caviglie.

Lui si girò, si chiuse i pantaloni,  e si appoggiò al muro tenendosi la testa.

Era successo di nuovo. Più o meno nello stesso identico modo. Stessa violenza. Stessa confusione. Stesso odio. Stesso amore, forse.

Kumiko era sconvolta. Era letteralmente sopraffatta dalle sue emozioni, che poi forse emozioni vere e proprie non erano: perché se provava a distinguerle, lì, per terra, in quello stesso istante, esse le sfuggivano.

Si sfiorò il labbro per asciugare il sangue e sentì che aveva pianto. Come prima di partire, lei non se n’era accorta. Così come non si era accorta che aveva fatto di nuovo sesso con Genzo.

Ormai capì che se anche c’era un briciolo di speranza, era affondato nel fiume insieme  a lei ora.

Non c’era più niente. L’asciutto era ancora più asciutto. Il vuoto era ancora più vuoto. E il giallo della sua ginestra non sarebbe stato più lo stesso giallo.

Non aveva più niente da perdere. Non c’era più niente da desiderare.

Quindi lo disse e si giurò che non  avrebbe più parlato per quella sera: “Ma perché amarti mi fa così male? Perchè mi fai così male?”

Lui che ancora aveva le mani alla testa e sapeva che se c’era anche una sola possibilità di cambiare, l’aveva ormai persa per sempre, non rispose.

L’aiutò ad alzarsi. E lei si fece aiutare.

Le tirò su lo slip e con il fazzoletto che aveva in tasca provò a tamponarle la piccola ferita al labbro.

Poi la prese per mano e senza parlare rientrarono nel locale; al signore ben vestito Genzo disse qualcosa in tedesco ( presumibilmente” lei è con me”) e poi diede un’occhiata al bagno delle signore per accertarsi che non ci fosse nessuno. Entrarono e chiuse a chiave.

Prese un po’ di salviette e le inumidì prima di pulirle le cosce e poi le schiena che era un po’ sporca di terriccio e di muffa del muro.

Lui faceva tutte queste cose  ma non la guardava perché sapeva che le aveva rubato l’animo, che adesso lei era veramente, completamente a terra.

Si diede una sistemata e di nuovo la prese per mano.

Entrarono nella sala dove tutti gli amici avevano mangiato la sua torta.

“Ma dov’eri finito?” chiese Kaltz

“Ragazzi questa è la mia amica Kumiko”

Più o meno tutti la salutarono e Genzo la fece sedere accanto a sé.

Ora fra i due era lei che sembrava di pietra e con lo sguardo era  in un posto lontanissimo da lì. Le ragazze la guardavano e commentavano il suo vestito, il modo in cui era pettinata, ma lei non si sentiva affatto il brutto anatroccolo. A lei semplicemente sembrava di non esserci. Lei in quella stanza non c’era più. Come il petalo quando si stacca e cade a terra e terra di nuovo diventa, lei si sentiva cadere e morire. E non era affatto brutto. O triste. Era forte, quello sì. Ma non aveva paura.

Le versarono da bere e notò una sedia libera lontana da lui. Allora si alzò e andò lì. Andò dove lui non potesse raggiungerla o toccarla.

 _________

 

Ciao! Grazie per le vostre recensioni  e grazie a tutti quelli che stanno leggendo e  seguendo questa storia! Sì lo so che il cap di ieri vi ha lasciato sul più bello ( scusa FlaR…..)…dovevo preparare per bene questo e, mi sa che molte saranno un po’ spiazzate o deluse….portate pazienza. È tutto ingarbugliato e incasinato…Niente in questa storia è scontato….A suo tempo ( perché io sono diciamo molto avanti con i capitoli) mi ricordo di aver pensato che fosse un po’ troppo banale far andar le cose in linea retta. …

 

Hitomichan: grazie per la recensione! Beh poteva essere un’idea carina  quella di far andare tutti al locale…certamente la situazione non sarebbe degenerata così….! Per quanto riguarda la scrittura, quando parto con un’idea cerco di scrivere un po’ tutte le notti : le idee per lo sviluppo in genere mi vengono di giorno, una dopo l’altra in modo molto naturale. Poi quando mi siedo al computer le rielaboro (anche tu scrivi?non ho avuto ancora  molto modo di vedere tutte le categorie del sito – nemmeno quella di CT per intero..ci sono più di 500 storie!- e se qualcuna di voi sta pubblicando qualcosa…)

Purple: ….spero non ci sarai rimasta troppo male……volevi una scena zuccherosa e invece qui va sempre peggio….scusami….

Elisa di80: grazie per avermi scritto! Poi ti rispondo per bene!

Al prossimo capitolo….

di nuovo grazie!

 

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Capitolo 16
*** L'amore ***


Erano ormai le tre e Kaltz riaccompagnò Genzo e Kumiko a casa. In macchina i due ragazzi parlarono tranquillamente e Genzo sembrava già aver dimenticato tutto; come se niente fosse, rideva e scherzava.

Ma quando salutarono il suo amico ecco che l’ombra, quello sguardo completamente privo di emozione, si impossessò di nuovo del suo volto.

Entrarono e salirono di sopra. Kumiko sentiva che lui era a pochi passi da lei e che non si era fermato davanti alla sua camera. Ma continuò ad avanzare senza parlare. Aprì la sua stanza e lui la seguì.

Lei era indifferente. Ormai, facesse quello che voleva. A lei non importava.

Lui stava lì di fronte a lei: le prese la faccia fra le mani e cominciò a baciarla dolcemente. Non c’era più rabbia. Non c’era più violenza. Si stavano baciando normalmente: c’era un ritmo ed era costante; c’erano delle pause ed erano naturali. Niente era forzato o avventato. Genzo le sganciò il vestito ma cercò di essere il più delicato possibile; anzi, fece attenzione affinché nei fermagli dell’abito non si impigliasse nessuno dei suoi bei capelli.

Il vestito, che era un po’ lento ai fianchi, cadde subito a terra e lei, che non aveva messo il reggiseno ( perché l’abito andava portato così), provò un po’ di vergogna: in fondo lui non l’aveva mai vista nuda.

Intanto Genzo si era tolto la giacca, la camicia, la maglietta della salute e il suo torace era teso, perfetto. D’istinto, come per coprirsi, a Kumiko venne d' appoggiarsi sul suo petto e Genzo non la respinse. In un primo momento però nemmeno l’abbracciò: gli vennero in mente, le parole di Tsubasa.

Una volta, durante i mesi in cui Sanae se n’era andata, lui si era confidato con Genzo e gli aveva raccontato che una delle cose che amava più fare, era guardarle ed accarezzarle la schiena. Diceva che farlo lo calmava, gli procurava piacere ma anche una gran pace interiore. Si ricordò bene in quel momento quanto lo avesse preso in giro: “con tutto quello che c’è da guardare in una donna, tu perdi tempo proprio sulla schiena?” gli aveva detto, canzonandolo.

Adesso lui era lì, con lei che si nascondeva ed era a pezzi e a Genzo bastava abbassare lo sguardo per poterle vedere bene la schiena. Non gli sembrava niente di speciale; perciò provò a toccarla. La trovò insolitamente morbida, non come la schiena delle ragazze con cui era abituato ad andare a  letto, così rigide e spigolose. La pelle di Kumiko era molto morbida e le scapole sembravano dune del deserto; erano come  onde del mare. Tutto era rotondo e delicato, non si sentivano le ossa. Con le dita tirò una riga al centro, ma la spina dorsale non si sentiva: per toccare le vertebre doveva fare una lieve pressione, doveva affondare leggermente con i polpastrelli. Sembrava fatta senza uno scheletro. Invece lui solitamente di una donna era la prima cosa che sentiva: le ossa, gli spigoli, la magrezza.

Anche verso il fondo, all’altezza dei reni, sfiorarla era come attraversare un posto nuovo, sentire qualcosa di nuovo. Non se lo seppe spiegare perché era stordito e confuso per quello che era successo. E sentiva anche che adesso la desiderava davvero, la voleva davvero stringere e toccare. In quel momento capì che cosa aveva cercato di dirgli Tsubasa e provò anche lui un senso di pace.

 

 

Quando Genzo si accorse che Kumiko stava per raggiungere l’orgasmo ( anche se lei non lo sapeva perché non l’aveva mai provato prima), le mise una mano sulla bocca dalla paura che potesse dire qualcosa.

Ma lei, non aveva alcuna intenzione di parlare. Lei si era ripromessa di non dire niente.

Anche lui arrivò al piacere e affondò con la testa sulla parte di cuscino che era rimasta libera respirandole sul collo: rimase sopra e dentro di lei perché non sapeva che fare adesso. Non sapeva come fare a liberarsi da quella morsa che sentiva pulsare nel suo cervello.

Lei sentiva la vischiosità del suo seme e per un momento le parve che tutto l’asciutto che dominava da sempre il suo grembo si fosse come dissolto. Si sentiva un po’ della sua saliva su alcuni punti del corpo, per i tanti baci che le aveva dato. E le sembrò di non essere più così vuota. Ma era l’ennesima illusione. L’ennesima flebile speranza che si sarebbe sciolta presto nell’acido del risveglio e della presa di coscienza.

Finalmente prese coraggio e si spostò. Si girò su un fianco dandole le spalle per non guardarla, per non vedere quanto  fosse innamorata di lui. Quell’amore gli faceva paura e lui non lo voleva. Non doveva volerlo.

Rimase un po’ lì, immobile. Le venne in mente il discorso di sua madre: ” scommetto che non hai mai aspettato l’alba con una donna. Tu prendi, ti rivesti e te ne vai” ; e fu esattamente quello che fece.

Si alzò e s’infilò i pantaloni prendendo svelto gli altri panni.

Kumiko lo vedeva bene: se ne stava andando e sapeva che sarebbe stato per sempre. Lei se lo sentiva, che da lì in poi la sua ansia sarebbe aumentata, che la malattia avrebbe ripreso il suo corso. “Dimmi qualcosa” implorò con il pensiero. “Amami….resta qui….” Si disse ancora.

Ma Genzo non si voltò ed uscì.

Richiudendosi la porta dietro, si appoggiò un attimo e mentalmente cercò il suo berretto per chiudersi la faccia, come a sparire.

Tsubasa saliva le scale con in mano una tazza di tè fumante, che aveva preparato per Sanae. E sul pianerottolo, lo vide, senza vestiti, fuori dalla stanza di Kumiko.

Si diedero un’occhiata intensa ma breve e Tsubasa non disse nulla.

“Credo che dovresti andare da Kumiko” disse a Sanae porgendole la tazza e spiegandole di Genzo.

Lei prese un sorso di tè e poi, sempre con la tazza in mano andò dall’amica.

“Posso entrare?” chiese bussando.

Kumiko non rispose e questo equivaleva ad un sì.

Aprendo la porta, vide Kumiko di spalle, in piedi di fronte alla finestra spalancata; era in canottiera e stava fumando.

Sanae si avvicinò.

“E’ per lui che volevi diventare orchidea, non è vero?” le chiese allungandole la tazza.

Kumiko di nuovo non rispose e provò a prendere la tazza. Ma le mani le tremavano e allora Sanae l’aiutò a berne un po’.

“E’ successo qualcosa in Giappone ….è per quello che mi hai portato al vivaio; è per quello che lui è ripartito subito per la Germania….ma come ho fatto a non capire?” si chiese Sanae parlando ad alta voce.

“…… non c’è niente da capire” disse Kumiko” è tutto finito….è finito prima ancora che potesse cominciare…..”

Sanae posò la tazza ancora fumante sul davanzale della finestra e le spense la sigaretta.

“vieni….” le disse.

Prendendole la mano, la guidò in bagno e aprì l’acqua . Riempì la vasca molto sopra la metà, mentre Kumiko sembrava totalmente assente. La spogliò con molta dolcezza, come faceva con i suoi bambini e la invitò ad entrare in acqua.

Le accarezzava la testa e con una spugna morbida le insaponò le spalle ed il collo.

“Hai una pelle bellissima” le disse.

Kumiko si faceva coccolare  e stava in silenzio ad ascoltare la voce di Sanae, che più che parlare sembrava che cantasse o raccontasse una storia.

Si ricordò, d’improvviso, di quando le fu dato il primo bacio. Non riusciva bene a distinguere il volto di quel ragazzo, perché per lei il primo bacio non era stato molto importante; come molti degli avvenimenti della sua vita, l’aveva brutalmente rimosso nascondendolo negli abissi della sua memoria. Eppure in quel preciso istante le parve di risentire la bocca di lui, di quel ragazzo ormai sconosciuto, che le si avvicinava con tenerezza e vergogna e si posava sulle sue labbra esitanti ed ansiose. Poteva sentire bene l’intensità del contatto e quell’avvenimento, che allora le era parso spiacevole, adesso invece le suggeriva un sentimento di nostalgia.

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Ciao a tutte…..grazie mille per le vostre recensioni: non sapete quanto sia bello per me poter leggere i vostri commenti, le vostre reazioni a come procede la storia…Grazie naturalmente anche a tutte le persone che stanno semplicemente leggendo la ff. Grazie a chi l’ha messa fra i preferiti e chi fra le storie da seguire!

Che dire…il titolo di questo cap è Amore, perché è ormai evidente che i due si amano; ma essendo due personaggi problematici, a quanto pare l’amore non basta….vedremo come andrà avanti.

MAKIOLINA: grazie per i tuoi commenti, che ho apprezzato molto e che trovo anche giusti. Secondo me Kumiko non reagisce perché è innamorata….e quando amiamo qualcuno è facile che rinunciamo a reagire. Poi come qualcuno di voi ha precedentemente sottolineato, questa ragazza non è forte come vuol far credere….( a proposito della festa…anch’io mi sarei vergognata e alla fine hai visto? Quando non le hanno permesso di entrare, in fondo ne è stata felice anche lei…!)

MIKI87: ciao! Grazie mille per aver recensito ! Nel mio immaginario Genzo è proprio così: passa da un estremo all’altro e non riesce a  “gestire” le emozioni. Fino a quando non imparerà a farlo, non credo  riuscirà ad essere più equilibrato. Molto dipenderà dalla sua volontà…..

HITOMICHAN: grazie per la recensione… che bella l’espressione “guscio vuoto”: credo che sia esattamente come si sia sentita Kumiko. Però vedi poi come fa? Lui la vuole e lei si concede….è un casino….

SUMIRE90: Ciao…beh mi fa piacere che aspetti con ansia di sapere come procede la ff… ti ringrazio molto. Come avrai potuto vedere, la serata non si è conclusa, ma non so….Kumiko è a terra e Genzo come al solito, prende e se ne va….

PURPLE:grazie per aver scritto !…devo dire che anche io ogni tanto quando correggo i capitoli (e non ti dico quanto ci metto….solo per la punteggiatura mi faccio dei viaggi…) un po’ mi commuovo perché lo so che è solo una storia, ma credo che molte delle emozioni che provano i personaggi, capita di provarle anche nella vita di tutti i giorni. La realtà supera sempre di gran lunga la fantasia….

FlaR: ciao...grazie per la recensione....no a quanto pare a Genzo non ne lasciano neanche una fetta....( e ben gli sta!...no dai scherzo..)

Mareluna: grazie infinite per quello che scrivi. Il fatto che in parte ti "ritrovi" nei pers. mi fa piacere. Anche se l'atmosfera è un po' "sognante", sto cercando di rendere i personaggi molto realmente. Grazie!

Scusate se quando rispondo, mi dilungo un po’, ma non so fare altrimenti….

 

Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Provare a parlare ***


Incredibilmente, appena Genzo si stese, riuscì a prendere sonno e dormì fino a mezzogiorno. Forse l’alcool combinato al sesso l’avevano stancato abbastanza per farlo crollare per qualche ora.

Nell’arco del sonno ogni tanto si era svegliato e aveva sentito il trambusto della casa quando, come tutte le mattine, si era animata, ma era riuscito sempre a riaddormentarsi. Quando si svegliò definitivamente, gli sembrò di aver dormito per un tempo infinito. Sentiva addosso il profumo di Kumiko: gli era penetrato fin sotto la pelle. Aveva cancellato completamente ogni traccia, ogni volto di ragazza con cui era stato. Non c’era altro che lei, nel suo vestito scuro, con i capelli raccolti e lo sguardo così intenso da toglierti il fiato. Non c’era posto per nient’altro, nella sua testa. C’era solo il ricordo della sua schiena bellissima e dei suoi silenzi profondi che usava per difendersi.

Ancora Tsubasa fu il suo primo pensiero, con la sua storia della terra e della radice per provare a spiegare che cosa fosse l’amore tra lui e Sanae.

Genzo non sapeva cosa fosse l’amore; fino a quel momento lui non aveva mai provato niente del genere. Non sapeva se era amore. Sapeva solo che l’immagine che Tsubasa aveva usato, rendeva chiara l’idea di quello che stesse sentendo. Anche se avesse provato con la volontà ( e ci avrebbe provato) a non cercarla, ad evitarla, lui era stato dentro di lei, e qualcosa di sé era rimasto ancorato a quel corpo, a quello sguardo.

Non sarebbe stato più lo stesso; la vita, il sesso. Tutto sarebbe cambiato. Tutto era già cambiato.

Solo che lui aveva una paura fottuta di andare da lei a dirglielo, perché c’era anche una specie di rabbia latente che era sempre lì in agguato e non sapeva come placarla, come farla sparire definitivamente.

La rabbia lo teneva ancorato alla realtà dei fatti e se ci pensava razionalmente, sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile amarla. D’altra parte gliel’aveva detto lei stessa:” perché mi fai così male?”

Si alzò: cercò con tutto se stesso di tornare in sé, ai suoi soliti pensieri, al suo solito modo di vivere. Si sforzò di pensare alla prima ragazza che gli veniva in mente, per poterla chiamare ed uscirci. Si doveva difendere, in qualche modo, per non venire sopraffatto, perché lui non era Tsubasa e Kumiko non era Sanae. Loro erano unici. Solo loro potevano essere la terra e la radice.

Attraversando il corridoio sentì una voce familiare nella stanza di sua madre: si avvicinò e riconobbe suo padre.

“…. non lo so… se fossi in te ci penserei bene” disse lei ”l’offerta mi sembra buona, ma prima di procedere a questa acquisizione io valuterei anche altre cose…”

Il signor Wakabayashi, senza sua moglie era un pesce fuor d’acqua: poteva uscire con tutte le donne del mondo, ma se aveva bisogno di un consiglio, era da lei che tornava.

“Forse hai ragione……posso mostrarti un po’ di documenti?” chiese lui.

“La mamma sta male, non lo sai?” disse Genzo entrando nella stanza.

“Ciao Genzo….come stai?....Ah.. a proposito….Buon Compleanno…” disse  suo padre.

“Che ci fai qui?”

“beh…sono venuto a trovare la mamma……” disse un po’ sorpreso dal tono del figlio.

“Genzo, io e tuo padre dobbiamo parlare un momento di lavoro…..per favore ci puoi lasciare  da soli? Tanto rimane a pranzo; avrete tutto il tempo di parlare….” disse sua madre, spiazzando un po’ entrambi.

Genzo a quel punto, li lasciò e scese di sotto.

Sanae e Tsubasa erano usciti con i bambini e c’era silenzio.

Kumiko aveva apparecchiato e stava lavando le verdure insieme alla domestica. Non si era accorta di lui e aveva il volto molto triste.

“Quando è arrivato mio padre?” chiese in tedesco alla domestica.

“Buongiorno ……sarà qui da un’ora.” Rispose la donna.

Kumiko, sentendolo parlare, anche se non aveva capito cosa avesse detto, smise per un attimo di muoversi, poi però senza girarsi, continuò come se niente fosse.

Genzo disse qualcos’altro alla domestica e lei se ne andò.

Doveva parlare con suo padre e sarebbe stato difficile: pensò di chiarirsi una volta per tutte prima con lei, così da togliersi un peso.

“Senti…..Kumiko, scusa per quello che ho detto ieri sera. E anche per quello che ho fatto. Io non so cosa mi prende in certi momenti…..”

Lei si girò e senza guardarlo prese un coltello e cominciò ad affettare ciò che aveva lavato.

“So che probabilmente tu queste scuse non le accetti…..quindi….niente….non so cosa fare. Dimmelo tu cosa devo fare per avere il tuo perdono.”

Lei lo fissò.

“Non ho niente da perdonarti. Non ti scusare. Non è che con le scuse o il mio perdono miglioriamo la situazione. Non cambia niente. Rimane sempre tutto uguale a se stesso.” Sembrava rassegnata. Avvilita.

“No, no,….se ci chiariamo cambia tutto….” disse lui.

“Avanti, dimmi….. cosa c’è da chiarire? Non puoi cambiare ciò che sei: io sono una ginestra e non posso diventare un’orchidea e tu….tu sei. …” s’interruppe; poi riprese: “…noi non funzioniamo per niente insieme. Siamo una cosa che si rompe: non c’è armonia, non c’è bellezza. Insieme tiriamo fuori solo cose brutte…Ognuno dei due ha una malattia dentro…ha una sorta di rabbia, di ombra che sale su e non dormiamo, non respiriamo, non possiamo aiutarci a vicenda….”

“Anche stanotte?” chiese Genzo “anche stanotte è stato brutto?”

Lei scosse la testa. Avrebbe voluto dirgli che no, che era stato bello e che lo amava talmente tanto che il cuore ormai sembrava scoppiargli. Ma come poteva? No, non poteva. Tanto non c’era possibilità di andare bene insieme.

“Vuoi sapere se mi è piaciuto? E’ questo che vuoi sapere?” chiese molto freddamente.

Lui la fissò perché i suoi occhi ora erano gelidi.

“Mi è piaciuto….ma non ha significato niente per me. Tu non significhi più niente per me.”

Fu come se quel coltello che aveva in mano gliel’avesse ficcato nel petto.

Rimase di stucco davanti al suo gelo, davanti all’indifferenza di quel corpo che ora sembrava lontano chilometri e chilometri da lui. Distante. Sconosciuto.

Sperò che stesse mentendo.

“Se mi ami, ti conviene dirmelo adesso” le disse Genzo, che in quel momento, irrazionalmente,  aveva un disperato bisogno di sentirselo dire.

“Anche a te conviene dirlo adesso” fu la sua risposta.

Allora lui si sentì con le spalle al muro. Era tornata la Kumiko di sempre, quella che risponde, che reagisce, che ti vuole provocare.

“Io non amo nessuno, lo sai…..non puoi chiedermi questo.” le disse.

Ecco. Ci era riuscita a farglielo dire.

“Voglio tornare a casa mia. Voglio tornare in Giappone…”sussurrò Kumiko, ma Genzo non sentì.

“Cosa dici?” chiese , ma in quel frangente la porta si aprì e Genzo fu assalito dai bambini che ridevano e cantavano.

“Siamo tornati” disse Tsubasa.“…..oh scusate…ho interrotto qualcosa?” chiese poi ingenuamente, notando lo sguardo severo di Genzo.

“No no…anzi…ormai è pronto!” fece Kumiko come se niente fosse.

Dopo poco entrò anche Sanae con Michiko e salutò sia Kumiko che Genzo con un gran sorriso.

 

 

Si sedettero a tavola, una volta che il Signor Wakabayashi ebbe finito di discutere con sua moglie. All’inizio sembrava tutto tranquillo e i bambini, che si erano stancati molto, erano stranamente calmi.

Sanae riuscì a mangiare con un po’ di tranquillità e ringraziò per quell’atmosfera di pace.

Passarono alcuni minuti, poi il padre di Genzo parlò.

“Speravo che prima di cambiare squadra e di firmare un contratto così importante, me ne avessi parlato…..tua madre mi ha detto che questa volta hai fatto tutto da solo, non hai chiesto un parere neanche a lei….non che tu abbia sbagliato, intendiamoci…il Barcellona è una scelta eccellente. Però, sai….almeno una parola me l’aspettavo…”

Kumiko mangiava fissando il suo piatto.

Genzo ogni tanto la guardava e si sentiva male. Si sentiva nel posto sbagliato al momento sbagliato.

“Anche tu magari me l’avresti potuto dire anni fa che andavi con altre donne….e con la mamma ci stai solo perché è un casino gestire il lavoro senza di lei….tu con tutti i tuoi discorsi su come ci si deve comportare…non riesco neanche a guardarti….mi fai vomitare….”

Suo padre rimase di stucco. Dirgli quelle cose davanti ai suoi amici, in quel modo.

Sanae prese i bambini e li portò di sopra: sentiva che sarebbe scoppiato l’inferno.

“Genzo…..ti sembra questo il modo di parlarmi? Cosa ne sai tu di queste cose…e poi non ti riguardano!” disse lui, per giustificarsi.

“Certo a me non riguarda mai niente…io devo solo pensare a giocare bene, vero? Il resto mi deve scivolare addosso…..con che coraggio ti sei presentato qui a parlare di lavoro? Ma ti rendi conto di quanto fai schifo?”

Kumiko appoggiò la forchetta. Le sembrava di sentire se stessa mentre imprecava, per motivi diversi, contro suo padre. Gli occhi erano già bagnati. Rimase al suo posto immobile.

Tsubasa si sentiva in imbarazzo; era diventato triste in volto e non sapeva se andare o restare….

“Guarda che io per tua madre ho fatto di tutto….siamo stati dai migliori medici ….abbiamo consultato i primari dei centri all’avanguardia! A tua madre non è mai mancato niente! E se non fosse per la sua decisione di venire da te, saremmo ancora sotto lo stesso tetto, cosa credi?”

“A fare cosa? Che sono anni che vai a letto con chi ti capita….e poi mi facevi la morale?....Hai tradito la donna più importante della mia vita….l’unica donna che significhi qualcosa …….per me sei morto…per me non esisti!”gridò Genzo alzandosi e andando alla porta.

Suo padre si alzò e l’afferrò per la camicia.

“Che cosa vuoi fare? Eh? Vuoi fare a pugni? Avanti…..” disse Genzo, che ormai non capiva più niente.

Allora lui lo lasciò. Lo lasciò andare.

Genzo si precipitò al garage per prendere la macchina e andare via.

Kumiko in quel momento si alzò e gli andò dietro.

“Aspetta…! Aspetta Genzo!” gli disse, gli gridò.

Lui era già salito in macchina.

Lei allora con i pugni cominciò a picchiare sul vetro. Era sconvolta e piangeva.

Genzo la vedeva bene. Vedeva distintamente i suoi occhi color cenere, così profondi. Vedeva perfettamente le lunghe ciglia un po’ inumidite dal pianto e la sua bocca stupenda che stava provando a dirgli qualcosa.

“Non scappare….non andare” gli disse dal vetro.

Ma lui spinse sull’acceleratore e corse via.

 

Kumiko aspettò che la macchina sparisse dalla strada, sfumasse come tutte le cose belle della sua vita. Ebbe forte la sensazione su di sé della morte, dell’assenza e solo quando si sentì abbracciare da Sanae, cominciò veramente a piangere e a lasciare che le lacrime venissero giù.

Il padre di Genzo era sconvolto. Non sapeva come comportarsi. Tsubasa era di fronte a lui ed era profondamente amareggiato.

Prese la sua valigetta e scusandosi per ciò che era successo salì in macchina e congedò i ragazzi.

“Chissà dove va…era fuori di sé…” disse il capitano sedendosi sul divano.

“Non ne va una giusta….sembra che il mondo remi contro di lui….cosa faccio? Lo vado a cercare?” chiese guardando le ragazze.

Kumiko era stravolta e tremava. Sanae gli fece cenno di no con la testa.

“Sono sicura che andrà dove sa di non poter essere trovato….lui è fatto così.”

L’aria adesso era cupa e triste.

I bambini dormivano e il silenzio era rotto di tanto in tanto dai singhiozzi di Kumiko che aveva comunque cominciato a sparecchiare e a rimettere a posto.

Passarono circa venti minuti e di colpo l’infermiera scese giù di fretta gridando qualcosa in tedesco.

Nessuno dei tre riusciva a capire, ma Tsubasa si precipitò di sopra. La madre di Genzo sembrava totalmente assente. Aveva perso conoscenza e l’infermiera gridava e si agitava convulsamente.

Tsubasa, che intanto era stato raggiunto dalle ragazze, diede il telefono all’infermiera e disse “Doctor! Ambulance!” per farle capire di chiamare i soccorsi.

Sanae la provò ad alzare un po’ e a farle prendere aria.

“respira, respira ancora…” disse Kumiko concitata.

L’infermiera chiamò i soccorsi e dopo qualche minuto fortunatamente la madre di Genzo era già sull’ambulanza verso l’ospedale, insieme a Kumiko e all’infermiera.

Tsubasa aveva preso l’altra macchina di Genzo ed era partito qualche minuto più tardi , per dare il tempo a Sanae di caricare i bambini e Michiko.

Sanae provò a fare il numero di Genzo: suonava libero ma non rispondeva.

Provò di nuovo e questa volta lo trovò spento.

 

 

Genzo aveva guidato in mezzo alla città senza capire dove potesse andare. D’istinto si ritrovò al campo di allenamento. Si fermò al parcheggio. Era  vuoto. Ancora tutti i calciatori erano in vacanza e nessuno, nemmeno i giocatori che erano rimasti a casa, erano ad allenarsi. Era una giornata fresca e c’era il sole. Aprì finalmente il finestrino, sul quale si potevano notare le manate di Kumiko.

Respirò a pieni polmoni sperando di potersi risvegliare da un brutto incubo, dalle sue abituali notti inquiete. Ma quando riaprì gli occhi si ritrovò allo stesso punto, nello stesso momento.

Squillò il telefono ed era un numero che non aveva in rubrica.

“Pronto…” disse lui.

“Chi non muore si rivede….spero…” disse una voce femminile all’altro capo del telefono.

Genzo era sconvolto, aveva riposto automaticamente quindi lì per lì non seppe cosa dire.

“Ah andiamo bene se non mi riconosci neanche più……sono io….. sono Maya…” disse la ragazza ridendo.

Genzo chiuse gli occhi e si mise una mano sulla testa.

“Ciao…scusa ….e’ che sto avendo una giornataccia….”

“Allora sarà meglio che vieni a prendermi subito così ti faccio passare tutti i cattivi pensieri….” disse con voce un po’ maliziosa.

A Genzo venne da sorridere…” eh sarebbe bello ma non sono in Giappone, purtroppo….”

“Guarda che lo so…sono io che sono ad Amburgo….sto solo fino a domani perché ho avuto un servizio fotografico e stasera ho un incontro di lavoro, ma se sei libero, adesso, io ci sono…..” fece lei, andando come sempre al sodo, tanto non c’era molto altro da dire.

“Qual è il tuo albergo?” chiese lui senza pensarci, perché sapeva che se avesse riflettuto, avrebbe di certamente detto di no.

Maya gli diede l’indirizzo e il numero della stanza.

Mentre guidava, suonò di nuovo il cellulare.

Era Sanae. Non rispose e lo spense.

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Ciao…come sempre grazie infinite a tutte! Grazie a chi semplicemente legge e un ringraziamento speciale va alle persone che lasciano una recensione: grazie, grazie grazie!

Come avete potuto leggere, adesso il ritmo è serrato, non c’è un attimo di respiro…

Miki87:grazie infinite per la tua ultima recensione. Sì..sicuramente c’è un po’ di masochismo nei pers.: probabilmente dipende dal fatto che ognuno di loro ha delle “cose in sospeso” con la propria vita e questo magari fa loro pensare che la via più facile ( amarsi e basta) nasconda l’ennesima fregatura….grazie anche per la tua considerazione finale che condivido in pieno.

Elisadi80: che dire…sai quanto tengo alla tua opinione, anche perché so che questi non sono i tuoi personaggi preferiti, quindi la tua recensione ha un valore aggiunto….grazie di cuore (oltretutto so che sei super impegnata, quindi…grazie del tempo che mi hai dedicato!)

Trottola: grazie per le tue recensioni…sono felice che la storia ti stia appassionando! Il finale non l’ho ancora scritto…ci sono vicina…ma ancora non c’è…quindi chissà….Per quanto riguarda il sesso: sì, direi che tecnicamente la parola giusta è “stupro”. Ma Kumiko, credo che si sarebbe volentieri fatta anche uccidere da lui…per come la vedo io, lei è davvero una estrema. Lo ama troppo…..

Makiolina: stamattina ho visto che c’era una recensione in più…..la tua! Non ci potevo credere…ero troppo contenta. Grazie mille…..come vedi le cose stanno prendendo una piega un po’ particolare… non so fino a che punto Sanae avrà modo di far ragionare il nostro portiere….grazie davvero per avermi scritto, considerando l’ora…!

Hitomichan: grazie per la recensione…l’ho vista ora…beh…sì direi che Kumiko è bravissima a farsi del male….

 Alla prossima!

 

 

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Capitolo 18
*** Dov'eri? ***


Come sempre… grazie mille a coloro che stanno leggendo questa storia e grazie a tutte coloro che commentano! Elisadi80 e Purple: grazie per le recensioni al cap di ieri!

Questo capitolo è un po’ amaro….

A presto

____

Rivedere Maya lo deluse un po’. Non sembrava più così bella come le altre volte. La trovava più magra e anche un po’ sciupata in faccia.

Cercò di nascondere il disagio e si concentrò sul suo volto, si sforzò di vederlo esattamente come se lo ricordava. Il problema era che lui non se lo ricordava più. Non se lo ricordava affatto. Se frugava nella sua memoria, vedeva solo Kumiko. La vedeva mentre impastava il suo pane, mentre disegnava con i bambini o fumava una sigaretta.

Si maledì, e maledì anche lei. Infine suo padre.

Maya lo abbracciò e gli allungò un bicchiere di vino bianco. Poi andò verso la finestra e chiuse le tende. Sapeva che a lui non piaceva parlare. Sapeva che doveva stare zitta. E si promise di non dire una parola, questa volta.

Mentre la spogliava e la toccava non riusciva a provare piacere. Era troppo sconvolto dalla discussione violenta che aveva avuto con suo padre e pur sforzandosi, non riusciva a rilassarsi.

Ad un certo punto, quando fu evidente che Maya aveva capito, Genzo si staccò da lei e affondò sulla sua parte di letto.

“Non ti piaccio più?” chiese lei delusa.

“…no scusa e che ho avuto una mattina bruttissima…non  riesco a rilassarmi….tu non c’entri niente…anzi…sei bellissima”

Allora lei gli sorrise e si rivestì.

“Sai…” disse lei per cambiare argomento e distoglierlo dal soffitto che sembrava l’unica cosa che gli interessasse ” sto lavorando molto in Europa. Credo che ci potremo vedere spesso, se ti fa piacere….”

“Certo…l’hai saputo che vado al Barcellona?” chiese lui.

“Sì…io credo che dovremmo uscire più spesso….siamo una bella coppia, no? “fece lei.

Genzo la guardava e pensava “ no, siamo una coppia che fa schifo….noi siamo due belle sagome fatte e messe lì….”

“Sì…siamo una coppia fantastica” disse mentendo e sorridendo.

Si domandò come potesse essere così falso e convincente. “Devo aver preso da quel cane di mio babbo” pensò.

“Resta quanto vuoi. Io devo andare…appena sono in giro ti chiamo, d’accordo?”

Lei si avvicinò per baciarlo, ma lui le accarezzò una guancia e preferì posare le sue labbra sulla fronte.

Non poteva immaginare di baciarla sulla bocca. Non poteva più ormai.

 

Rimase un po’ lì, con le mani dietro la testa a fissare il soffitto e a pensare.

Guardò l’orologio: erano già le sette passate. Decise di alzarsi e di rientrare.

Guidò con calma. La rabbia si era attenuata: si sentiva la testa pesante ed era anche stanco.

Una volta a casa, notò che l’altra macchina non c’era e che le luci erano spente. Non diede molta importanza alla cosa perché s’immaginò che Tsubasa avesse portato le ragazze e i bambini da qualche parte. Stare sempre a casa era abbastanza deprimente, se ne rendeva conto.

Entrò e tutto era tranquillo. C’era un po’ di confusione e anche questo gli sembrò strano perchè sia Sanae che Kumiko erano molto ordinate: i ripiani della cucina erano ancora pieni di pentole e piatti da lavare e per terra c’erano un po’ di giochi.

Chiamò la domestica ma non rispose.

Salì di sopra.

“Mamma…” disse.

Avanzò nel corridoio: la porta della camera era spalancata ma lei non rispondeva.

Entrò e vide il letto vuoto.

“mamma!” cominciò a gridare  e ad aprire tutte le altre porte. La casa era disabitata.

Si mise le mani nei capelli e corse di sotto. Andò avanti e indietro poi si prese il cellulare dai pantaloni e lo riaccese.

C’erano un sacco di chiamate perse di Sanae e Tsubasa e poi dopo qualche secondo lampeggiò la spia dei messaggi.

Aprì la busta luminosa.

“Appena leggi il messaggio vieni subito in ospedale, tua madre ha perso conoscenza…. ”

Lui come una furia si scaraventò in macchina e guidò fino all’ospedale.

Aveva il cuore a mille e sperò che non fosse niente di grave e che fosse tutto ok.

Parcheggiò e si precipitò nella hall.

Non ebbe bisogno di chiedere, perché li vide tutti là in fondo. Tsubasa era seduto sulle poltroncine con Hayate e Daibu  che dormivano sulle sue gambe. Sanae era di fronte a lui con Michiko fra le braccia. E più in fondo Kumiko era in piedi appoggiata ad una colonna: la vedeva di profilo e vide subito che stava piangendo. Stava piangendo nel suo solito modo: piangeva e neanche se ne rendeva conto.

Sembravano tutti molto tristi. Ognuno chiuso nei suoi pensieri.

Sanae accarezzava la piccola e ogni tanto guardava dalla fessura della borsa, forse nella speranza di sentire una chiamata arrivare.

Si avvicinò.

Tsubasa fu il primo ad accorgersi che era arrivato. Si alzò piano,  spostando i bambini: era serio e sembrava anche arrabbiato.

“Ma dov’eri? Dov’eri finito? Eh?” disse, dandogli una spinta e fissandolo con ira.

Allora Sanae andò da loro e con una mano prese un braccio a Tsubasa come per calmarlo.

“Come sta? Dov’è?” chiese Genzo impaziente.

“Genzo..forse è meglio se ti siedi un attimo” gli disse Sanae.

“Non ho voglia di sedermi, Sanae….posso andare da lei? Le devo parlare, devo spiegarle cosa è successo con mio padre….dici che se lo chiedo al dottore, me la fa vedere?” chiese lui, implorante.

Sanae scosse la testa. Kumiko si era avvicinata e le aveva preso dalle braccia Michiko. Andò a sedersi con la piccola accanto ai gemelli.

“Hanno fatto di tutto per salvarla, ma…..”

“Ti ho chiamato continuamente, sono andato da Kaltz a chiedergli se ti aveva visto…è tutto il pomeriggio che vago come uno scemo per la città nella speranza di vederti….ma dov’eri?”

Genzo aveva capito che cosa stavano cercando di dirgli.

Si sedette. Aveva la bocca asciutta.

Hayate si era svegliato e appena aveva visto Genzo, era andato da lui. Si guardarono e il bambino vide quanta tristezza c’era negli occhi di Genzo. Aprì le braccia per farsi prendere, come per consolarlo. Un piccolo che proteggeva un grande.

Il portiere allora lo sollevò e lo baciò sulla testa, come se quel bambino fosse suo. L’abbracciò teneramente. E rimasero tutti in silenzio.

 

 

Quando gli permisero di entrare nella stanza, era molto tardi.

Il volto era pallido, ma disteso. Non c’era più quella tensione provocata dal dolore. Le accarezzò la fronte e poté sentire quanto fosse già fredda.

“Era ancora così bella……..” pensò….”come può una cosa così bella svanire?” disse poi ad alta voce.

Più che tristezza, ora provava una grande desolazione. Non era riuscito a salutarla. Non era riuscito a prepararsi a non vederla più, a non parlarle più. Non aveva avuto abbastanza tempo.

Sanae lo raggiunse.

Restò dietro di lui, per non disturbare quel momento.

“C’eri tu con lei?” chiese.

“Sì…sono stata tutto il tempo con lei. Non era sola.”

“….. ti ha…..ti ha detto qualcosa?” chiese ancora, nella speranza che avesse parlato.

“Purtroppo no….ha perso conoscenza e non si è più svegliata….i medici dicono che è stato dolce….almeno, dopo tutto quello che ha patito, il trapasso è stato come addormentarsi.”

Lui stava zitto e a Sanae sembrava di sentirlo piangere.

Era molto a disagio perché, poteva immaginare quanto adesso si sentisse in colpa per non essere stato presente nel momento decisivo.

“Io…io le ho parlato….le ho detto di quanto tu l’ami e che lei è la donna più importante della tua vita e lo sarà sempre….. spero che abbia potuto sentire…”

Genzo si girò e prese le mani di Sanae per baciargliele  poi la strinse a sé.

Il dolore  ora gli stava opprimendo le tempie e il petto.

 

Una volta rientrati, Kumiko finì di mettere a posto mentre Sanae aveva lavato i bambini e li aveva messi a letto.

Genzo era rimasto a sedere sul dondolo con in braccio Michiko. Accanto a lui c’era Tsubasa.

Sembrava non avere il coraggio di entrare. Come paralizzato, riusciva solo a guardare la piccola mentre dormiva.

“ Voglio comprare questa casa….cosa ne pensi?”

Tsubasa si girò verso di lui e gli fece il primo sorriso triste della serata.

“penso sia un’ottima idea…..ci stiamo lasciando troppe cose di noi, per restituire le chiavi e andarcene via per sempre….”

Restarono ancora un po’ lì fino a quando non cambiò l’aria e furono costretti a rientrare.

Tsubasa prese Michiko e la portò di sopra.

Kumiko aveva preparato qualcosa di leggero, nel caso qualcuno avesse fame.

Genzo la stava osservando ma con la testa non era presente. La stava osservando mentre disponeva le pietanze sul tavolo e aveva gli occhi rossi da tanto che aveva pianto.

Lei si sentiva guardata, anzi scrutata, quasi spogliata da lui. Avrebbe voluto parlargli e dirgli qualcosa che avesse un senso, ma l’asciutto che si sentiva sul cuore le impediva di trovare anche solo un frammento di frase da tirare fuori.

Finì di apparecchiare e se andò di sopra.

“Sanae…lascia che i bambini dormano con me stanotte” disse Kumiko entrando nella grande camera; “ hai bisogno di riposarti. Se si svegliano ci penserò io”

Anche Tsubasa sembrava d‘accordo. Sanae era veramente distrutta e aveva bisogno di stendersi.

Allora lui aiutò Kumiko a trasferire i bambini nella sua camera.

“Kumiko….” disse Tsubasa…..

“Dimmi”…fece lei.

“Non pensare male di Genzo….lui…..” Tsubasa voleva cercare di difendere l’amico, il suo migliore amico, ma non sapeva bene come fare.

Lei riversò la coperta su Hayate e Daibu “ non preoccuparti…lo so com’è…..lo so com’è fatto. Ormai l’ho capito.”

“Credi ….credi di amarlo?” chiese il capitano, con la sua solita innocenza.

Kumiko non poteva rispondere.

“Dimmi Tsubasa…che differenza farebbe? Sia che lo ami, sia che non lo ami….siamo sempre al solito punto…..voglio solo tornare a casa…alla mia vita di prima. Voglio abituarmi a non vederlo. A non sentirlo.”

Tsubasa abbassò lo sguardo.

Lui sapeva di essere un disastro con i sentimenti. Ma aveva capito bene. Aveva capito che lei lo amava alla follia.

 

 

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Capitolo 19
*** Lasciare Amburgo ***


Ciao! Grazie Elisadi80 e Purple per le vostre recensioni: sono contenta che il cap di ieri vi abbia “emotivamente” coinvolto. Grazie anche a tutte le persone che hanno letto o visitato la storia. Lo so che magari qualcuno c’è rimasto male, sia per la morte della mamma di Genzo, sia per il fatto che non ci sia stata possibilità fra i due di dirsi addio. E’ molto, molto amaro. Non so spiegare come mi sia venuto in mente di scrivere questa parte così: l’ho immaginata con chiarezza, quasi fossero scene cinematografiche incastrate l’una con l’altra. Adesso per Genzo sarà tutto ancora più complicato. Il cap di oggi funge un po’ “da collegamento” per il rientro in patria e la preparazione ai prossimi eventi….

buona lettura

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Il mattino seguente le ragazze tornarono in ospedale per vestire la signora Wakabayashi. Sanae aveva scelto un bel tailleur color carta da zucchero e mentre gli addetti la preparavano, piangeva in silenzio. Era la prima volta che vedeva una persona senza vita così direttamente.

Kumiko era rimasta un po’ in disparte perché si sentiva coinvolta, ma anche un po’ un’intrusa e non riusciva a distaccare la sua esperienza personale da quell’avvenimento. Pensava incessantemente a suo padre e al terribile giorno in cui se n’era andato per sempre. Ricordava ogni particolare, dalla preparazione della salma al funerale e tutto il resto. Cercò di resistere per rispetto alla madre di Genzo che con lei era stata affettuosa e gentile; e soprattutto per Sanae.

Genzo si era occupato di tutte le pratiche per riportare sua madre in Giappone; là si sarebbero svolti i funerali: là sarebbe riposata per sempre.

Tsubasa aveva contattato il signor Wakabayashi per spiegargli tutto e per ritrovarsi in Giappone. Genzo non aveva avuto voglia di parlargli per telefono; provava un odio profondo per quell’uomo e lo collegava ormai anche alla triste fatalità di non aver potuto essere presente nel momento in cui sua madre si era sentita male.

Se lui non si fosse presentato, Genzo non ci avrebbe litigato e non sarebbe fuggito; e forse, anche se Maya avesse chiamato, il portiere avrebbe detto no all’invito di vederla.

Ormai non si poteva tornare indietro. Era inutile stare a pensarci.

Fecero i bagagli e ora, a parte i gemelli che facevano la solita confusione, c’era un’atmosfera pesante e di profondo silenzio. Non si parlavano. Nessuno sembrava avere qualcosa da dire.

Kumiko riempì la valigia e in una borsa comprata in centro ripose tutti i vestiti e le scarpe che la madre di Genzo le aveva regalato. Si rendeva conto che non li avrebbe mai indossati; non avrebbe avuto occasione per metterli. Lei non usciva quasi mai. Stava sempre in pasticceria. Ma non era abituata a ricevere attenzione dagli altri e le sembrava squallido  rinunciare a tutte quelle belle cose.

Diede un’occhiata a quella camera: le venne spontaneo stendersi sul letto un’ultima volta. Era lì che era stata con Genzo, per davvero. Senza confusione o violenza. Era lì che l’aveva baciato.

Il suo cuore batteva e pulsava rapidamente: più ricordava quella notte più il respiro era un po’ ansioso.

Provava distintamente una specie di angoscia al pensiero che fosse tutto finito. Che lei quel corpo non l’avrebbe più toccato. Che quel volto non l’avrebbe più sfiorato.

Si sentiva ancora più piccola. Ancora più imperfetta.

“Non so se potrò farcela…..mi sembra che mi manchi l’aria….” si disse fra sé e sé.

Genzo passava da lì in quel momento con la sua valigia pesante. La porta era spalancata e Kumiko era sdraiata con le braccia spalancate e gli occhi chiusi.

Era stupenda. Era talmente bella che neanche lui si riusciva a spiegare come mai stesse lì impalato senza andare a dirglielo. Senza andare a spiegarglielo, così che lei potesse amarlo.

Ma oltre alla malattia, ora c’era anche un asfissiante senso di paralisi. Non era più capace di fare niente.

Fu questione di un attimo; lei si rialzò e prese la sua roba: in quel frangente, lui passò di sotto senza che Kumiko se ne potesse accorgere.

 

Arrivò il momento di chiudersi la porta alle spalle.

Sanae e Kumiko salirono su un taxi con Michiko, mentre sull’altro c’erano Tsubasa con i bambini e Genzo: una volta seduto in macchina, strinse forte la chiave  e diede un’ultima occhiata al portico e al grande giardino.

“Tua madre è stata molto felice in questa casa, Genzo” disse Tsubasa nella speranza di poterlo consolare.

“Lo so….ma fa male….”

 

 

 

All’aeroporto, in Giappone, Genzo fu subito contattato dal personale della compagnia aerea per i documenti da firmare.

“Rimango io con lui” disse Tsubasa ”voi andate a casa….puoi dare tu una mano a Sanae, per favore?” chiese a Kumiko, che era visibilmente sconvolta nel vedere Genzo che si allontanava senza neanche degnarla di uno sguardo. Sapeva che non si sarebbero visti fino al funerale e già si sentiva male, malissimo.

“Kumiko?” chiese di nuovo.

“Ah… certo… certo… scusami….” disse lei diventando tutta rossa in volto.

Le due ragazze si allontanarono e presero un altro taxi.

Non parlarono. Sanae era letteralmente a pezzi. Aveva i piedi gonfi e cominciava a sentire la pesantezza di tutta quella situazione. Inoltre ai suoi non aveva detto di essere di nuovo incinta ed era un po’ tesa. Dopo averla aiutata con i bambini, Kumiko tornò a casa.

Dal taxi, appena vide l’insegna della pasticceria, ebbe una sorta di sussulto.

Scese disordinatamente: erano le dieci di sera e nel laboratorio le luci erano accese.

“Kumiko….” disse Ikeda guardandola.

“E’ tornata Kumiko! “disse un altro.

Tutti fecero un applauso e la salutarono con gioia. Lei era visibilmente emozionata.

“E’ bello vedervi….” disse e passò ad abbracciare uno ad uno, soffermandosi e stringendo ognuno di quei corpi come Sanae faceva con i suoi figli.

Ikeda notò subito che era molto triste e cambiata. La Kumiko di un po’ di tempo prima non avrebbe mai avuto un gesto di tale affetto.

Quando fu il suo turno, lei oltre all’abbraccio, lo accarezzò….” grazie..grazie di aver pensato a tutto” gli disse.

All’inizio rimasero stupiti, poi, facendo finta di niente, ricominciarono a   festeggiare e una ragazza andò a prendere una bottiglia di vino.

Lei andò subito a  cambiarsi e una volta in camera spalancò la sua terrazza: era tutto perfetto. I fiori e le piante erano stati innaffiati e curati. Il fiore di loto aveva messo su un bocciolo nuovo e l’albero di limoni aveva già due frutti.

Per qualche secondo sentì una vampata di profumo e le parve di essere di nuovo felice.

I ragazzi le parlarono un po’ e fecero molte domande. Intanto lei aveva preso gli ingredienti e aveva cominciato a fare qualcosa.

“Cosa vuoi fare?” disse Ikeda.

“Facciamo una torta con la panna e poi…domani dai Furosawa vado a comprare un po’ di rose……la riempiamo di roselline…..” disse lei, mentre stava piangendo e tutti, tranne lei, se n’erano accorti.

 

 

Genzo e Tsubasa tornarono dall’aeroporto a notte fonda. Si salutarono dandosi appuntamento per il giorno del funerale.

La villa aveva il viale illuminato e in casa le luci erano accese. Suo padre era arrivato prima di lui.

Entrò e lo vide seduto sul divano con un bicchiere in mano.

Suo padre allora si alzò di colpo: era a pezzi. Genzo se ne rese subito conto.

“Genzo….io….”

Il portiere lo guardò e provò sia rabbia che pena. Era troppo stanco per ascoltare e troppo paralizzato per poter parlare.

“Non ho voglia di parlare…..non ho niente da dire…… adesso ho bisogno di lavarmi e di dormire….” disse lui.

Salì di sopra e le stanze, i corridoi erano vuoti. I passi rimbombavano. Abituato ad avere tutte quelle persone intorno, ad avere i bambini che giocavano e cantavano, gli sembrava di essere un estraneo a se stesso.

Andò in bagno non appena ebbe posato la valigia e notò che la parete della doccia era stata sostituita. Non si vedeva alcun segno; gli operai avevano fatto un buon lavoro. D’istinto si guardò le mani; quella che era stata infortunata e morsa da Kumiko, e quella con cui aveva sferrato il pugno.

“Se solo potessi tornare indietro…almeno per un momento… “ pensò.

Si spogliò e lasciò che la doccia dettasse un ritmo ai suoi pensieri.

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Capitolo 20
*** Il funerale ***


Ciao a tutte…oggi pubblico un po’ prima: è domenica, non ho fatto altro che leggere il materiale per la tesi…. e ho il cervello un po’ fuso….( faccio una pausa…!)

Prima di tutto vorrei ringraziarvi di cuore per le vostre recensioni; è incredibile quanto, dopo ogni cap, con i vostri commenti, si potrebbe aprire un confronto “letterario” per parlare della storia, dei pers, di quello che vi aspettate, di ciò che avete percepito…e’ una cosa che mi stimola moltissimo e che apprezzo tanto.

Mareluna: mi sono emozionata a leggere la tua frase finale….il tuo commento è veramente profondo….grazie di cuore.

Makiolina:…le tue recensioni sono sempre bellissime e intense; grazie infinite per avermi dedicato il tuo tempo e per il fatto di leggermi e metterti a scrivere, nonostante gli orari…! Sono felice che nel cap di ieri la scena di Kumiko sul letto ti sia piaciuta; anch’io credo che sia particolarmente significativa per la vita interiore dei due pers. Grazie mille!

Miki87: inutile dirti che le tue considerazioni sui pers sono sempre accurate; più che altro sono contenta, che, nonostante Kumiko non sia un personaggio a te particolarmente gradito, tu stia cominciando ad apprezzarlo, o comunque stia cercando di “capirlo”. Genzo lo sto letteralmente massacrando…. E lo amo tantissimo! Pensa se lo odiassi!...grazie

_____

Il funerale fu celebrato al tempio. Taro, Ryo con Yukari, Jun e Yayoi furono i primi ad arrivare. Tsubasa e Sanae erano con Genzo e il padre dal mattino. I due non avevano parlato; avevano condiviso gli stessi spazi senza trovare modo di chiarirsi. A Genzo sembrava ormai impossibile parlare con suo padre e il signor Wakabayashi si sentiva troppo in colpa e anche improvvisamente privo di difese, realizzando che sua moglie non avrebbe più fatto parte della sua vita.

Nella tarda mattinata era arrivata anche Maya, che, appresa la notizia dai giornali, aveva pensato bene di partecipare al lutto di colui che già considerava “ il suo ragazzo”. Genzo l’aveva abbracciata ed era stato molto affettuoso, non sapeva neanche lui perché. Dentro di lui c’era un microcosmo ignoto di sentimenti e sensazioni: non riusciva a mettere a fuoco quello che stesse provando, quindi molti dei suoi gesti sembravano totalmente scollegati dal suo mondo interiore.

Kumiko arrivò poco prima che cominciasse la funzione.

Quando varcò la porta del tempio, nessuno poté fare a meno di notarla. Era vestita semplicemente: portava un paio di pantaloni neri un po’ larghi in fondo, con una maglia, sempre nera, fatta di tanti strati di velo e lasciava intravedere qualche trasparenza. Aveva i capelli raccolti, come sempre. Ma quello che colpì fu il fatto che teneva fra le mani un mazzo bellissimo di tulipani arancio e gialli.

Erano stupendi. E lei sembrava venuta da un altro pianeta.

Avanzò timidamente fino alla bara e posò il mazzo ad un lato, un po’ nascosto. C’erano delle composizioni molto elaborate e c’erano già tanti fiori, quindi, pensò che il suo omaggio fosse scontato e che fosse arrivata anche troppo tardi.

Genzo , che era davanti, tra suo padre e Maya, la vide ed era completamente senza fiato.

Lei sapeva sempre come stupirlo; non lasciava alcuna possibilità.

Mosso da qualcosa che anche lui non riusciva a comprendere, le si avvicinò mentre lei già stava tornando in fondo al tempio e andò verso il mazzo di tulipani per metterlo davanti alla bara dove tutti potessero vederlo.

“Grazie….sono bellissimi” riuscì a dire quasi sorridendo.

Lei non si era accorta di lui. Ebbe la solita sensazione: se, anche solo per un attimo, si fosse potuta trasformare in  pietra o sasso di fiume o cuore di farfalla, per poterlo sfiorare, per poterlo toccare un’ultima volta, lei l’avrebbe scelto all’istante. Avrebbe volentieri camminato all’inferno per potergli anche dire solo ancora una parola.

Era sempre bello. Era sempre lui. Erano ancora all’Hilton, seduti in quel bel ristorante, lui con il gel nei capelli e lei in ansia per scrivere i suoi appunti. Era ancora tutto lì, perché lei quelle emozioni le distingueva benissimo. Eppure era anche tutto finito. Tutto sepolto.

 

La cerimonia fu molto semplice ed informale.

I compagni di  nazionale che non erano potuti andare di persona, avevano inviato telegrammi o lettere di cordoglio, così come tante lettere e fiori erano stati mandati dai giocatori dell’Amburgo.

 

Nel pomeriggio tutti si recarono a Villa Wakabayashi.

Kumiko aveva lavorato tutta la notte per preparare le pietanze e le domestiche facevano avanti e indietro per portarle nella grande sala e fuori in giardino dove gli amici di Genzo, i parenti e tutti i collaboratori di suo padre si erano riuniti.

Sanae, invece, appena uscita dal tempio, aveva preferito tornare a casa con i bambini e Michiko perché non stava bene. La sera del rientro, appena sua madre l’aveva vista, con il grembo ingrossato, le aveva riversato le peggiori cose che avesse mai potuto immaginare. L’aveva accusata d’incoscienza e di troppa leggerezza e aveva palesemente mostrato tutto il suo disappunto per la decisione di avere un altro bambino.

“Siete così giovani…..pensi di fare un figlio all’anno?” le aveva gridato; “….. i figli sono anche da crescere.. da educare……”aveva continuato.

Suo padre era rimasto zitto senza commentare; ma Sanae aveva capito bene dalla sua occhiata che anche lui sembrava preoccupato.

A Tsubasa non aveva detto niente per non rattristarlo e fortunatamente gli Ozora  si erano limitati a congratularsi con loro. Si sentiva molto stanca e aveva avuto anche una lieve perdita; avevano dovuto chiamare il medico che, visitandola, l’aveva rassicurata; probabilmente il dispiacere per tutto quello che stava succedendo l’aveva scombussolata.

Per tutti questi motivi era andata da Genzo e l’aveva abbracciato per salutarlo.

Kumiko l’aveva seguita senza far vedere che se ne andava.

“Non vai neanche a salutarlo?….” le disse Sanae.

“Ti prego…andiamo” aveva detto lei con in braccio la piccola, mentre guardava Maya che non si era mai staccata un attimo da lui.

In taxi, all’inizio non parlarono.

“Kumiko perché piangi?” le chiese Daibu.

“perché sto male…..”

“allora ci vuole la medicina” disse il bimbo guardando il fratello, per chiedergli conferma.

“no…per la mia malattia non c’e’ medicina….” disse lei avvilita.

 

 

 

Genzo era stato molto occupato a salutare un po’ tutti, a stringere mani, ad ascoltare frasi di elogio su sua madre e cominciava a sentirsi soffocare.

Chiese a Maya di volerlo scusare e si allontanò andando verso la cucina.

Aveva bisogno di vedere un secondo Kumiko, di parlarle. Doveva almeno dire qualcosa, per ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per lui. Pensava di trovarla lì, ma non c’era. Nei tanti vassoi poteva distinguere le iniziali della pasticceria e ovunque il cibo parlava di lei: lui lo vedeva da come era disposto , dalle decorazioni. Ormai era abituato a riconoscere la sua mano.

Uscì e quasi si scontrò con Tsubasa.

“..Hai per caso visto Kumiko?” chiese al capitano, facendo finta di non essere poi tanto interessato.

“Veramente Kumiko se n’è andata subito con Sanae….perchè? non ti ha salutato?”

Genzo abbassò gli occhi.

“No…io ho salutato Sanae e i bambini ma lei non era lì in quel momento”

“Forse eri impegnato a parlare con qualcuno” disse Tsubasa, così tanto per dire.

“Sì.. sicuramente….”

A quel punto il portiere si allontanò e andò verso una parte un po’ nascosta del giardino; si sedette su una panchina di legno  e si mise la testa fra le mani.

Non passarono neanche cinque minuti e si vide un bicchiere di vodka sotto il naso.

Alzò gli occhi.

“Taro, l’intellettuale che mi porta da bere….è un evento!...” disse Genzo per fare il simpatico.

“Oggi sono buono, e se vuoi fare il bis non hai che da chiederlo!....” rispose Taro.

I due restarono un po’ seduti l’uno accanto all’altro senza parlare.

“Allora andrai a giocare in Francia…..” disse Genzo.

“Già…..sono un po’ agitato….io non sono come voi…. sono troppo emotivo….” disse Taro.

“Farai un ottimo campionato. Sei un giocatore eccezionale. E gli uomini emotivi….” Genzo s‘interruppe.

“gli uomini emotivi….?vai avanti!”

“beh …non fanno casini perché parlano e parlando a questo mondo si risolve quasi tutto” disse Genzo abbastanza rassegnato.

“Dì un po’, da quanto tempo esci con quello schianto di fotomodella? Non ha un’amica da presentarmi?” Taro voleva far ridere l’amico e allora cercava di fare battute, ma era pietoso. Se anche avesse avuto l’opportunità di uscire con una fotomodella, non l’avrebbe mai fatto. Lui aspettava di incontrare la ragazza della porta accanto. Lui aspettava la sua Sanae.

“Ah….non è che ci esco….e poi…non è un granchè….mi sembra così magra….mi fa quasi effetto toccarla”, disse Genzo senza neanche accorgersene.

Taro fece un gran respiro.

“Sei più grave di quanto pensassi…..” disse.

“Cosa?” chiese Genzo

“Ti sei innamorato….l’hai combinata grossa. Proprio adesso che hai cambiato squadra…non ci voleva…..Avanti …….. racconta………….”

Genzo guardò l’amico e bevve la vodka tutta d’un fiato.

“No….. non sono innamorato per niente. Io non sono proprio capace d’innamorarmi…... Sono arrivato a questa conclusione!”

“Rivoglio il Genzo di prima!……quello superficiale e sbruffone. E’ con lui che voglio parlare….non con quest’uomo distrutto dall’amore!!” disse Taro, alzando gli occhi al cielo.

Scoppiarono a ridere come due adolescenti.

“Volevo venire ad Amburgo, quando ho saputo di tua madre, ma la squadra era impegnata in alcune amichevoli e non mi hanno dato il permesso….” disse ancora Taro, tornando serio.

“Lo so, Tsubasa me l’ha detto…..ti ringrazio…”

Tornarono in silenzio per qualche secondo.

“Dimmi…..” disse infine Taro….”.si tratta di lei, vero?”

Genzo lo fissò con sguardo interrogativo.

“Kumiko……” disse Taro, sicuro di sé; poi continuò”….ti aveva già stracciato appena ti ha cacciato dal laboratorio il giorno che abbiamo trovato Sanae. Io ti conosco…..ho visto come l’hai guardata. Ti aveva già fritto……ah… Genzo…..sei un disastro completo” aggiunse alla fine.

Genzo si alzò.

“Nessuno mi frigge. Nessuno mi straccia. Ti stai sbagliando di grosso! Questa volta non hai capito niente!....”

Taro rimase a sedere, tranquillo.

“Prima risolvi questa cosa, meglio è. Lei è quel genere di ragazza che ti farà impazzire. Lei è come Sanae……e tu sei il nuovo portiere del Barcellona.”

“Ma che diavolo dici! E poi il calcio e la mia vita privata per me restano separati….io non sono come te, che mischi tutto…”

“Non fare il cretino…..almeno non lo fare con me. Io non ci casco, lo sai!” disse Taro questa volta alzandosi e andandosene.

“Accidenti….” disse Genzo gettando il bicchiere a terra.

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Capitolo 21
*** Il testamento ***


Ciao! Grazie infinite per le vostre recensioni al cap di ieri e grazie a tutte le persone che hanno letto! Scusatemi se stasera non rispondo singolarmente alle recensioni ( anche se vorrei), ma non ho abbastanza tempo …..Mi riservo di tornarci appena possibile…

Buona lettura!

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Genzo arrivò puntuale negli uffici legali della società dei suoi genitori. Era stato convocato per la lettura del testamento. Era l’ultima cosa da fare e poi insieme a Tsubasa e Sanae, sarebbe volato a Barcellona: la preparazione stava per cominciare.

Era stordito dall’alcool e molto nervoso. Non dormiva ormai da giorni. Maya era rimasta a villa Wakabayashi, prima di ripartire per i suoi impegni di lavoro, ma lui non era riuscito a sfiorarla.

Aveva provato a fare il numero di Kumiko molte volte, ma prima che potesse suonare libero, aveva buttato giù.

Il senso di paralisi, ormai era diventato come il dolore alla mano: non si rendeva conto se fosse reale o se fosse una proiezione della sua fantasia. Pensava a lei continuamente, ma non riusciva ad agire; allo stesso modo, non aveva fatto niente per riconciliarsi con il padre. I loro brevi discorsi avevano  riguardato questioni di lavoro e nessuno dei due aveva anche solo lontanamente provato a parlarsi e a spiegarsi. Chissà per quanto ancora avrebbero continuato a scappare……

Entrò nella sala riunioni, dove suo padre vestito molto elegantemente, l’aspettava già da dieci minuti. Lui era sempre in anticipo. L’avvocato salutò il portiere e una volta che ebbe preso posto, aprì il documento sigillato.

Lo lesse lentamente senza interrompersi. La stesura del testamento, il modo in cui era stato formulato, rispecchiavano la personalità della Signora Wakabayashi al millesimo: tutto era semplice, chiaro, fluido, scorrevole. Non c’erano punti oscuri, trappole o vincoli.

Ovviamente tutto il patrimonio in denaro e i beni immobiliari erano stati lasciati a Genzo. Le sue quote societarie passavano al figlio e il signor Wakabayashi ne avrebbe avuto la gestione fino a quando Genzo non avesse deciso qualcosa di diverso.

Il portiere aveva ascoltato, così come suo padre: era tutto nelle previsioni e sembravano non esserci sorprese.

“Ci sono tuttavia due punti che sono stati aggiunti durante il soggiorno della signora ad Amburgo….” disse l’avvocato, proprio mentre i due uomini che aveva di fronte cominciavano a rilassarsi.

“Legga…legga pure avvocato” lo invitò il Signor Wakabayashi.

L’avvocato si schiarì la voce e prese nuovamente la parola.

“Lascio la mia villa di Miami a Sanae Nakazawa e Tsubasa Ozora”, e l’avvocato s’interruppe come a fare una breve pausa ma dal discorso si era capito che non era finita lì.

Genzo sorrise: fu felice, anzi felicissimo che sua madre avesse pensato a quella splendida casa sul mare per i suoi amici. Avrebbe poi aggiunto certamente qualcosa lui in denaro per i bambini. Era il minimo che potesse fare per coloro che a tutti gli effetti considerava la sua famiglia.

“ e….lascio villa Wakabayashi, di cui sono unica e indiscussa proprietaria, a Kumiko Sugimoto…..”

Ci fu silenzio.

“A chi?” chiese il padre di Genzo, non riuscendo ad abbinare il nome a nessuna delle persone che conosceva.

“Lascio villa Wakabayashi, di cui sono unica e indiscussa proprietaria, a Kumiko Sugimoto…”

Genzo non aveva fatto una piega.

Aveva ascoltato e ora sentiva suo padre che gli chiedeva chi fosse “questa Kumiko” e sembrava in preda ad una crisi di nervi.

“Genzo vuoi rispondermi?”

“E’ la ragazza che era con noi ad Amburgo….”

Il signor Wakabayashi, rimase a pensare un attimo, poi si ricordò.

“Ah…sì….ma chi è, si può sapere? No, perché la villa….equivale ad un patrimonio, Genzo… cerchiamo di ragionarci con questa ragazza…..non vorrai veramente lasciarle la villa…?” fece lui, quasi cercando di convincere tutti, che la cosa migliore fosse trovare un accordo.

“Il testamento parla chiaro…” disse il legale della madre di Genzo.

“Allora.. si può sapere chi è?”

Genzo era ancora in preda alla sua paralisi emotiva: in quel momento le venne in mente lei, con i suoi capelli raccolti e i tulipani in mano. Come poteva spiegare a suo padre chi era? Cos’avrebbe dovuto dire?

 “E’ l’unica donna che ho saputo toccare, è l’ unica ragazza che ho desiderato veramente baciare….” Avrebbe voluto dire. Ma lui non avrebbe capito. Suo padre era un infedele, un cinico.

“Lei è…..non è nessuno……” Fu più facile del previsto. Fu così facile che quasi avrebbe voluto provare a ripeterlo, per convincersi.

“Beh… se è così…con il fatto che tua madre era malata ed era alla fine, potremmo offrirle una cifra in denaro per vedere se rinuncia. Che ne pensi?” chiese suo padre, guardando sia Genzo che l’avvocato.

“Certo certo….  si può fare… ma l’offerta dev’essere realistica…..” disse il legale.

“Diamine! Possiamo anche offrirle l’esatto equivalente… per quello non è un problema….allora, sei d’accordo?” chiese infine rivolgendosi a suo figlio.

Genzo era cresciuto a Villa Wakabayashi: lì c’erano tutti i suoi ricordi più cari. Quella casa significava molto per lui. In quel momento si sentì quasi tradito da sua madre, per aver scelto proprio quel bene da destinare a Kumiko. Non si capacitava della cosa. Perché non aveva scelto un‘ altra cosa? Magari la casa a Parigi, o i molti gioielli? Sentiva, che non era una casualità: sua madre era troppo intelligente. Attraverso quel gesto, stava cercando di dirgli qualcosa, ma lui era troppo chiuso per capire. Era troppo scuro.

“Genzo…ma cos’hai? Parlo con te e non mi rispondi neanche….”

“Scusa….sì sì…d’accordo…. Vado subito da lei….ditemi quant’è l’offerta e fatemi un assegno.”

“Sarà meglio che sia presente anche lei, non trova?” disse il signor Wakabayashi, rivolgendosi all’avvocato.

“Ovvio” fece lui.

Furono chiamati due periti e fu stimata un’offerta in denaro. Kumiko non avrebbe potuto rifiutare, pensava Genzo. In fondo a cosa le sarebbe servita quella casa?

 

 

Quando entrarono in pasticceria, erano le prime ore del pomeriggio. Non c’era molta gente: qualche studente, alcune signore a prendere il tè e due, tre persone in fila a ritirare dei dolci.

La vetrina era bellissima: piccoli dolcetti con i ribes dominavano di bianco e rosso il primo piano mentre sullo fondo, c’erano  torte di mele e ciambelle alla pesca. Genzo ebbe una sensazione positiva, come se fosse a casa, in un ambiente familiare. Ovunque poteva percepire il tocco di Kumiko: la sua pulizia, il suo senso dell’estetica, il suo accostare i profumi e i sapori.

Spontaneamente chiuse gli occhi.

Ikeda faceva avanti e indietro e sembrava un po’ nervoso.

“Scusa..” disse Genzo per attirare la sua attenzione.

“Sì…..prego…..” disse il ragazzo con gentilezza, ma appena si rese conto che quello davanti a lui era Genzo, si fece più serio e cupo. Lui sapeva che se Kumiko stava male era a causa sua.

“Dovrei vedere Kumiko….”

Ikeda squadrò prima uno poi l’altro, con diffidenza.

“un attimo…” disse.

Entrò nel laboratorio. I ragazzi erano andati a casa perchè avevano la pausa; Kumiko era intenta a disporre le rose sulla torta alla panna. Era la quinta che provava a fare. Ancora non sembrava affatto soddisfatta del risultato. Le prime erano venute troppo dolci. Poi troppo amare. E le rose affondavano subito dentro la panna. Aveva addirittura pensato di farle di carta, così come era successo ad Amburgo. In quei giorni non aveva parlato molto, chiudendosi nel suo segretissimo mondo interiore e stava provando in tutti modi a mettere in atto il suo piano: cancellare completamente Genzo dalla sua vita; dimenticare prima il suo odore, poi il suo volto e il suo corpo; cancellare il sesso e infine l’amore. Era un piano perfetto. E lei, che nella vita aveva già sofferto e aveva già applicato queste “tattiche” su di sè, aveva la certezza che ce l’avrebbe fatta. Bastava la volontà: il tempo e il distacco avrebbero fatto il resto. Era stata dai Furosawa a prendere le rose e aveva restituito la chiave della casa delle orchidee: promise a se stessa che le aveva guardate anche troppo, che le aveva sognate e desiderate fino all’inverosimile. Era tempo di tornare alla realtà, alla sua ginestra che, certamente non era bella quanto loro, ma resisteva a tutto e i suoi fiori silenti lasciavano almeno una possibilità alla sopravvivenza.

“Scusa….” disse timidamente Ikeda.

“Vattene…. devo pensare….vai a casa Ikeda…ci sto io qui….” disse Kumiko.

“Di là ci sono delle persone che hanno bisogno di te…..”

“oh cristo….” fece lei….” Falle entrare… e vattene…..” disse molto scocciata.

Ikeda aprì la porta a metà e fece entrare Genzo con l’altro signore.

“Non è giornata….vi avverto…” suggerì loro.

Kumiko era girata di spalle, seduta su uno sgabello. La linea del collo era un po’ incurvata, come se stesse cercando qualcosa e si capiva all’istante che era lì solo fisicamente, ma che con la testa era in un altro posto.

“Salve….” fece l’avvocato.

Kimiko non rispose.

“Come vede…sono un po’ impegnata…..se si può dare una mossa….” disse.

“Sempre il massimo della simpatia….” disse allora Genzo, ridendo e divertito.

Kumiko, al suono di quella voce, fu come riportata sulla terra.

Si girò di scatto e diventò tutta rossa, perché aveva una canottiera molto, molto scavata e le si vedeva il reggiseno. Nel suo laboratorio, quando era sola con Ikeda (che considerava un fratello), era abituata a lavorare spesso quasi nuda, soprattutto se provava a fare delle cose nuove.

A tutti e due gli uomini l’occhio ricadde subito lì, sulla scollatura e lei se ne accorse immediatamente.

Cercò imbarazzata un grembiule e se lo legò al petto in un attimo.

“Cosa volete…….ho molto da fare….”

Genzo la ritrovò come l’aveva “lasciata” le ultime volte: bella, troppo bella per non tentare di toccarla. Si sforzò con tutto se stesso di sembrare freddo e distaccato. E nemmeno quando vide la torta alla panna, fu tradito dalle sue emozioni.

“Ecco….” disse il legale” oggi c’è stata la lettura del testamento della Signora Wakabayashi….”

Kumiko si sedette di nuovo e si sistemò i capelli, temendo di essere inguardabile.

“E quindi?.....cosa c’entro io…..?”

“C’entri eccome” disse Genzo con un sorriso un po’ tirato in volto.

“Ah sì?…wow…io in un testamento non c’ero mai stata…..che onore!” continuò Kumiko, disinvolta ed ironica, per nascondere l’agitazione alla vista di Genzo.

“La signora le lascia Villa Wakabayashi…” disse l’avvocato.

Kumiko sorrise “ certo….come no! Mi lascia la villa…..” si ripeté.

“Guarda che non c’è niente da ridere….”fece Genzo, questa volta serio.

L’avvocato le diede il foglio indicando la parte che la riguardava. Kumiko diventò subito triste. Poi le venne da sorridere al pensiero della dolcezza di quella donna.

“Come lei potrà immaginare… la villa è un luogo speciale per Genzo…così…..”

“Non la voglio….” disse lei interrompendolo “non voglio niente da voi. Apprezzo molto il gesto di generosità della Signora, ma…non saprei che farmene di una villa….”

L’avvocato diede un’occhiata a Genzo come ad esprimere un sentimento di vittoria. Era stato più facile del previsto.

“ecco… infatti se lei è d’accordo, il signor Wakabayashi vorrebbe corrisponderle l’equivalente in denaro, così per non andare contro al volere del testamento”

Kumiko scosse la testa.

“Io non me ne intendo molto di cose legali, ma mi sembra un bel pastrocchio. Genzo, tua madre voleva lasciarmi la villa, non dei soldi…..” disse guardandolo.

Lui , appena lei lo incrociava con lo sguardo, si sentiva più debole. Non riusciva a sostenere la cosa in quel modo. Non rispose.

“comunque….non voglio neanche i soldi… non voglio niente…io con gli Wakabayashi ho chiuso….” disse con il tono più distaccato possibile. “Dentro di me non c’è più niente degli Wakabayashi….io sono asciutta…dentro” aggiunse.

Genzo gelò. L’avvocato invece non capì.

“Signorina forse lei non si rende conto….”

“Mi rendo benissimo conto…. Mi dica cosa devo fare.”

L’avvocato la fissò e si accorse che lei era veramente determinata.

“Ce l’ha un avvocato?” le chiese.

“Io ho un ottimo avvocato…” disse lei, sicura e granitica, infilando un dito nella panna.

Genzo impazziva dal desiderio di toccarla, adesso.

“Deve farsi scrivere una dichiarazione in cui afferma che rinuncia sia alla Villa che alla contro offerta in denaro…. Pensa di riuscirci per stasera? Sa, domani Genzo parte per Barcellona e suo padre per New York…”

“Stasera avrai la tua dichiarazione, così puoi andare a parare i rigori con il cuore più leggero, Genzo…” disse Kumiko spavalda.

Lui deglutì e se ne andarono.

Appena rimase sola, Kumiko, per reazione, scoppiò a piangere.

 

S’infilò le scarpe in fretta e raggiunse casa Nakazawa, dove raccontò tutto al padre di Sanae.

“Ma perchè? Perché hai detto così? Quelli ti offrivano un sacco di soldi…!” imprecò il signor Nakazawa.

“Proprio lei mi viene a fare la morale sui soldi?” chiese Kumiko ironica.

“….ma io sono io…ormai sono vecchio…sono un nonno….a proposito..ma dille qualcosa a Sanae…come si fa con tutti questi bambini? Mia moglie sta impazzendo…..” disse.

“Signor Nakazawa, stavamo parlando di me, non di Sanae! Sanae, lo sa anche lei com’è fatta no?....”

“Già….dicevo… tu sei così giovane…quei soldi ti farebbero comodo! Perché vuoi farti sfuggire un’occasione del genere? Dammi il numero di Genzo che gli parlo io … dico che abbiamo ragionato e ci abbiamo ripensato….”

“A parte che non ce l'ho.…. e poi... l’ho già detto anche a lui…con loro ho chiuso…io con quella famiglia ho chiuso….” disse lei.

“Dì un po’….ma non è che tu e Genzo?....” per alcune cose il Signor Nakazawa, sapeva fiutare ciò che la gente non diceva.

Kumiko diventò tutta rossa.

“Senta… mi prepari il documento così lo firmo e glielo vado a portare. Prima mi libero di questa cosa, meglio è” disse risoluta.

“Lontano dai guai non ci sapete proprio stare voi donne, eh?....” disse l’avvocato mentre al computer digitava le frasi “io, Kumiko Sugimoto rinuncio….”ecc ecc…..

Quando ebbe finito, Kumiko si diresse alla villa. L’aveva sempre vista da lontano ma non c’era mai stata.

Attraversò il grande e lungo viale alberato. Poteva capire facilmente perché la madre di Genzo l’aveva associata a lei: le aveva parlato molto del suo amore per i fiori e quel giardino era pieno di ogni ben di dio.

Parcheggiò e andò a suonare.

Non le aprì la domestica; le aprì Maya.

Lì per lì, ci rimase male e cercò di nascondere l’imbarazzo e il disagio.

Maya la guardava dall’alto al basso e si vedeva che era infastidita dalla presenza di Kumiko.

“Sì?” chiese, come a fare finta di non sapere chi fosse (invece se la ricordava, con i suoi tulipani, al funerale…)

“Ciao..io …io cercavo Genzo….”

“Entra entra…” disse, atteggiandosi a padrona di casa.

Varcando il salone, scorse Genzo che era tutto preso a giocare alla play station.

“Sono ore che gioca…” disse Maya sconsolata, sembrando un po’ più umana.

“Genzo?... c’è la tua amica…..”

Genzo sembrava non aver ascoltato.

“La ragazza dei tulipani…..”

Allora Genzo si fermò e si girò.

Lei era vestita da lavoro e sulla maglia aveva delle macchie di vari colori.

Lui si alzò un po’ impacciato.

“Ecco qui la dichiarazione” disse Kumiko allungandogliela.

Lui si avvicinò, la prese e la lesse.

“Va benissimo…..cos’ha detto il padre di Sanae?” chiese Genzo.

“….che sono una stupida….ovvio” disse lei.

“Ti saluto Wakabayashi… e vedi di farle due, tre parate per il verso….non  mi far vergognare Tsubasa… perché la squadra deve andare bene: loro hanno messo su la fabbrica dei bambini e lui deve guadagnare tanti soldi….” Kumiko era ubriaca e le parole le uscivano senza che lei le potesse controllare.

Era quasi alla porta, quando la sua attenzione fu catturata dalla grande vetrata laterale: da lì si vedeva l’altra parte del giardino.

Si fermò e si girò per accertarsi che non si stesse sbagliando. Senza alcun riguardo, aprì la porta-finestra e andò a vedere di persona. Maya guardò Genzo come a chiedergli perché non intervenisse.

Allora lui andò da lei.

“Che c’è? Cos’hai?”

Kumiko fissava gli alberi che aveva di fronte.

“Sai cosa sono?” chiese lei.

Genzo ridendo disse di no.

“Sono alberi di frangipani…..lo sai che sono molto rari in Giappone?Qui da noi ce ne sono solo un paio al tempio….chissà come fanno a resistere…devi avere proprio un bravo giardiniere…..” disse lei, accarezzandone il tronco e annusandolo appoggiando il petto e le braccia sulla pianta.

Genzo avrebbe voluto raggiungerla e toccarla, nello stesso esatto modo in cui lei toccava la corteccia di quello che ai suoi occhi era uno dei tanti alberi del suo giardino. Ma rimase lì, al suo posto.

Lei si staccò e raccolse qualche fogliolina caduta per terra e qualche seme.

“Questi li posso prendere?…..chissà che tua madre non mi faccia davvero un bel regalo…..provo a piantarlo anch’io stanotte…..” disse a se stessa più che a lui.

Genzo non rispose.

“… lo prendo per un sì….” disse lei.

Riprese la via dell’uscita e risalì sul suo furgoncino tutto scassato.

“Adesso è davvero finita. Con Genzo ho chiuso” disse ad alta voce, fissando la strada e  mettendo in moto.

 

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Capitolo 22
*** Io sono asciutta ***


Ciao….come sempre grazie a tutte per le recensioni, per avermi letto, e grazie anche a coloro che hanno messo questa ff tra le loro preferite o seguite…Stasera ho scritto il papiro…. Beh se non vi va potete sempre saltarlo e leggere solo il cap…..

Makiolina: Genzo in fondo in fondo ha capito molte cose , ma ha sempre paura. La famosa “paura di amare….”: è una brutta bestia da domare….vedremo come se la caverà…. (ammesso che se la cavi…). Grazie mille per aspettare sempre i capitoli e lasciare delle recensioni così lucide!P.S. la tua recensione sul cap di ieri è bellissima……e intensa….( che bella la similitudine su Maya…): semplicemente grazie…

FlaR: che bella recensione, la tua!Grazie! ( ma non eri tu quella che diceva che a volte “temevi di essere ripetitiva?....! mi sa che ti sottovaluti di brutto….). La tua analisi dei pers è condivisibile: per me è un po’ difficile spiegare alcune cose o “schierarmi” dalla parte di uno o dell’altro. Li vedo agire nella mia fantasia e a volte fanno dei gesti che non si possono molto spiegare ( vedi kumiko ammutolita di fronte a Genzo al funerale….)..ah CREPI per la tesi….(mi fa immensamente piacere sapere che ti piace come scrivo!)

Miki87: mi piace sempre il tuo modo così “asciutto” ( questa parola ritorna sempre in questa ff…!) e sintetico di inquadrare i pers; su Taro hai perf. ragione…qui continuerà ad avere un ruolo molto marginale, ma….speciale!…. sulla villa, beh… che dire….io avrei saputo che farmene, ma Kumiko è mossa dall’orgoglio e dal mal d’amore. Grazie come sempre!

Hitomichan:ciao! Grazie per la rec!… sì, se hai letto due cap in una volta , capisco la tristezza! E’ stata una parte abbastanza tosta…. Riguardo a Maya, io la detesto!. Spero di averla resa abbastanza str…(uhps)!

Elisadi80: che bello leggerti! Grazie mille per aver scritto! In due parole ( e il tuo senso dell’umorismo) hai centrato il succo del problema….Genzo….che soggetto….. 

Purple: ciao! Grazie per aver commentato! Beh sì.. a quanto pare i ruoli si invertono, ma qui le cose si complicano ulteriormente quindi non so più chi fugge e chi cerca…. Si vedrà….

E’ una storia “complessa”: quando fra i personaggi c’è incomunicabilità ( che è il male della nostra società, quindi non parliamo di extraterrestri, in fondo… parliamo di noi.. credo), è sempre un procedere a tentativi, è sempre un fare un passo avanti e poi due indietro, o il contrario, come giustamente qualcuna di voi ha anche scritto. Questo crea pathos, struggimento e rabbia. Ma anche molta poesia e ci fa sognare, ci fa sperare….

__

L’estate era finita e con lei tutti i colori erano cambiati. Gli alberi stavano lentamente rilasciando le loro foglie gialle e si preparavano alla muta. In Spagna come in Giappone.

Sanae vedeva ogni giorno crescere la pancia: a Natale il bambino sarebbe nato. Michiko e i gemelli crescevano bene e tutto procedeva a ritmo della stagione che stava cambiando.

Il Barcellona, neanche a dirlo, era in testa alla classifica e sia Tsubasa che Genzo stavano giocando benissimo.

Il portiere aveva preso casa vicino al capitano e passava molto tempo con lui e Sanae. Suo padre non lo sentiva mai, se non per qualche aggiornamento di lavoro e aveva ripreso la vita di sempre. Usciva con chi capitava e si divertiva a caso. Ogni tanto rivedeva Maya, ma dopo quello che era successo alla madre di Genzo, non era più come prima. Lei aveva provato a forzare la situazione, ma lui si era chiuso come un riccio. Di Kumiko non sapeva più nulla. Certo, sapeva che si sentiva con Sanae, ma lui non faceva domande e lei non ne parlava, perchè quelle poche volte che aveva provato, aveva subito recepito da lui una specie di rifiuto all’ascolto.

Aveva imparato a gestire la cosa e ormai, gli sembrava di averla dimenticata. Più che dimenticata, lui l’aveva soffocata dentro i suoi pensieri: sapeva che non poteva averla, che lei aveva chiuso con lui, quindi ogni volta che gli prendeva il desiderio di cercarla nella sua memoria, faceva qualcosa per soffocarla subito. Inoltre, gli pareva che in questo modo la sua vita stesse procedendo benissimo: meno coinvolgimenti emotivi aveva, meglio stava. Lui non sapeva amare e non ci voleva neanche provare: non voleva neanche “tentare” d’imparare.

 

In pasticceria gli affari andavano a gonfie vele. Con i primi freschi, la gente si rifugiava lì, a prendere qualcosa di caldo e a farsi coccolare con qualcosa di dolce. Il quotidiano della città  aveva dedicato un articolo a Kumiko in cui parlavano dei suoi dolci e anche a lei sembrava andare tutto bene.

Il fiore di loto continuava a sbocciare e la sua ginestra di fiume, resisteva a tutte le stagioni. Inoltre da un po’ aveva notato che il frangipani aveva messo le radici e si aspettava da un momento all’altro che spuntasse un accenno di fiore.

Lei tutti i giorni si ripeteva che aveva chiuso con  Wakabayashi e si auto-convinceva che il suo piano stava procedendo bene, ma allo stesso tempo tutti i giorni pensava a lui. Al mattino, sotto la doccia, perché l’acqua le ricordava la sensazione di umido che aveva provato mentre era stata con lui; al pomeriggio perché sul letto, durante la sua ora di riposo,  pensava al suo petto perfetto; di notte perché non riusciva a staccarsi dal pensiero dei suoi occhi. Sentiva continuamente il suo odore e non sapeva come mai. Più si lavava, più cercava di pensare ad altro, più lui era dentro di lei.

 

Quel pomeriggio (era circa metà settembre) si sentiva particolarmente nervosa. Aveva fatto dei cannoli ripieni ma non si erano gonfiati bene e uno dei suoi aiutanti non aveva lavato a fondo la piastra di uno dei forni.

Ikeda entrò nel laboratorio e sembrava anche lui un po’ agitato.

“La signora Ishimazi dice che non aveva ordinato la torta con le pesche, ma un dolce di loto…chi ha preso l’ordine?” chiese ai presenti.

Kumiko si girò: “ L’ho presa io l’ordinazione e sono sicura: ha detto torta con le pesche….”

“Non so cosa dirti… quella è di là che aspetta il dolce di loto ed è infuriata…….”

“e dalle un dolce di loto, no?” fece Kumiko sospirando.

“Se ci fosse glielo darei anche… ma sono finiti” disse Ikeda con tono di sufficienza.

Allora Kumiko si spostò e andò in pasticceria.

“Salve….ci deve essere stato un fraintendimento….purtroppo il dolce di loto è finito….come facciamo?” chiese, cercando di essere carina.

La signora Ishimazi sembrava in preda allo spasmo…lei voleva il dolce di loto e aveva una cena importante… e senza quello non sapeva come fare. E di qua e di là….

Kumiko ascoltava e cominciò improvvisamente a sudare freddo. Le lamentele della signora entravano nella testa e perforavano il cervello…..si toccò la fronte perché le sembrò di avere la febbre. Si appoggiò alla vetrina perché sentiva che il cuore rallentava il suo battito.

“Signorina….signorina!” disse la donna cercando di sorreggerla mentre Kumiko perdeva conoscenza e i pantaloni erano pieni di sangue.

“Un’ambulanza!Presto!!!chiamate un’ambulanza!!!!!!!” urlò, mentre Ikeda prendeva il telefono.

 

 

Si risvegliò all’ospedale. Appena si rese conto che era su un lettino con un camice addosso,fece per alzarsi, ma non ci riuscì. L’infermiera le sorrise.

“Ce l’abbiamo fatta per un pelo…..con l’alcool sarà meglio che ci vada piano…” disse.

Kumiko era stordita e le scappava da vomitare.

Entrò un dottore e anche lui le fece un cenno come di “bentornata”.

“Ha avuto un brutta minaccia d’aborto, ma siamo arrivati in tempo….però mi hanno detto che fuma come un turco e beve molto. D’ora in poi deve riposarsi di più e stare a riguardo…..il bambino ha sofferto……”

Kumiko non sapeva se stesse sognando o se il dottore stesse magari parlando con la sua compagna di stanza. Si voltò a destra e a sinistra ma nella camera era sola.

Fece per alzarsi di nuovo e questa volta riuscì almeno a sedersi.

“Come dice scusi?”

Il dottore la guardò.

“Non se n’era accorta che è incinta?”

Kumiko lo squadrò e cercò sul comodino le sigarette.

“Io infatti non sono incinta, non posso essere incinta. Io…io sono asciutta dentro.”

“Beh…. lei sarà anche asciutta dentro……. ma è anche incinta….”

“Guardi….ci dev’essere un errore. Adesso posso uscire? Ha visto le mie sigarette?”

“Allora non ci siamo capiti? Lei deve smettere di fumare!” disse il dottore un po’ infastidito.

Kumiko lo guardò e stava piangendo senza accorgersene.

“Non posso avere un figlio, io ho chiuso con Wakabayashi….non posso proprio…io sono sterile….”

“Quanti anni mi dà?” chiese il dottore.

“prego?” fece Kumiko.

“Avanti…non si vergogni…mi dica…quanti anni mi dà”

Kumiko non rispose.

“…. glielo dico io…ne ho 57 e sono primario di ginecologia da 20. Se una donna è incinta, io credo di avere le competenze per poterlo affermare….ora se poi lei ha chiuso con questo Wakabayashi…è un altro discorso….ad ogni modo è incinta ed è già di 2 mesi. Le dirò di più, nove volte su dieci, con una situazione come la sua, il bambino non supera le 4 settimane…..suo figlio ha una gran voglia di venire al mondo……”

Il dottore si alzò: “ Veda di parlare con qualcuno…sua madre…suo padre…e si faccia forza….; la voglio rivedere la prossima settimana e dev’essere pulita…niente sigarette e niente alcool”; detto questo, se ne andò.

 

Ikeda entrò ed era visibilmente emozionato…” ma perché diavolo non l’hai detto che aspettavi un bambino? Sciocca…”

Kumiko allungò la mano per farsi dare una sigaretta.

“Ora vai a chiamare un dottore vero:  gli dici che deve farmi abortire subito. Io con Wakabayashi ho chiuso. Non posso fare un figlio suo.”

Ikeda, dentro la camera dell’ospedale, le aveva dato una sigaretta e Kumiko fumava tremando.

Era ancora stordita ed eccitata. Perciò Ikeda le aveva semplicemente detto che per abortire ci voleva il suo tempo e che doveva solo stare calma.

Una volta finita la sigaretta, era talmente stremata che si addormentò di colpo.

La trattennero tutta la notte e Ikeda tornò tranquillo al lavoro.

Al mattino quando si risvegliò, pensò che avesse fatto un brutto sogno.

“Come stai?” le chiese l’infermiera, dandole il foglio per andare a fare le analisi e gli altri esami.

Kumiko provò ad alzarsi e questa volta ci riuscì.

“Sono incinta…..”

“lo so tesoro….” le disse ancora l’infermiera masticando una gomma.

“ma io non posso…..capisce?”

“Anch’io non potevo…. E poi alla fine ne ho fatti tre… eh…. cara mia benvenuta nel club!”

“No è che il padre……vede…io non sto con il padre….”

“Perché credi che io stia con mio marito? Lui fa quello che gli pare…… torna dal lavoro, si mette le pantofole, chiede se la cena è pronta, se i figli hanno fatto i compiti e poi si mette davanti alla tv per seguire lo sport,…..gli uomini….una gran fregatura…..tieni duro…non mollare…” le disse.

Kumiko non capiva più niente e non sentiva niente. Le fecero firmare una marea di fogli e le chiamarono un taxi.

Lungo il tragitto si teneva le mani sul grembo.

“vattene…vattene!” diceva.

Ogni tanto il tassista dava un’ occhiata per capire con chi ce l’avesse tanto.

“Io non ti posso tenere? Lo capisci? ……Si fermi… per carità si fermi…” disse poi.

Pagò e scese.

Si accese una sigaretta ed entrò in un bar per prendere un bicchiere di vino.

“Adesso lo so io cosa faccio” disse.

Appena ebbe il bicchiere davanti le venne da vomitare e dovette uscire fuori, rigettando sul marciapiede mentre la gente schifata passava.

Si mise a piangere.

Il cameriere la raggiunse e le chiese se avesse bisogno di qualcosa. Lei tirò fuori un po’ di soldi, pagò il suo vino e ringraziando se ne andò.

 

Arrivò stremata alla pasticceria.

“Cristo santo ma perché non hai chiamato? Ti saremmo venuti a prendere!” disse Ikeda andandole incontro.

La prese in braccio e la portò di sopra.

Intanto lei piangeva e le sembrava di non aver mai pianto così tanto.

“Come faccio adesso?”

“Adesso vai a Barcellona e gli dici che sei incinta,così lui si sblocca e ti sposa”

Kumiko scoppiò a ridere nel pianto.

“Come no! Mi sposa e mi dice che mi ama  e poi?”

“E poi vivete felici e contenti!” disse Ikeda.....“Senti” aggiunse facendosi serio” se vuoi abortire io ti accompagno anche adesso, ma Kumiko, fatti un esame di coscienza..tu con Wakabayashi non hai chiuso per niente….. Parlane con Sanae..magari lei ti sa dare un consiglio….”

“cosa vuoi che mi dica lei! Mi dirà di tenerlo! Figurati….”

“Un figlio non è come una torta, non è come un fiore. E’ una cosa seria….” disse Ikeda convinto.

“….ho capito! Ho capito!” disse lei, soffiandosi il naso.

 

Si riaddormentò di nuovo: non aveva mai dormito così tanto in tutta la sua vita. Probabilmente era l’effetto delle cure in ospedale.

Si risvegliò direttamente il giorno dopo e vide che Ikeda fumava guardando fuori in terrazzo.

“Hai visto che il frangipani sta attaccando?” le chiese, vedendo che aveva gli occhi aperti.

“Speriamo che ce la faccia…..” disse lei scrutando la pianta dalla sua visuale.

“Tieni, ecco il biglietto. Ho preso i soldi dalla cassa, ovviamente..” disse Ikeda porgendole la prenotazione del volo delle nove.

Kumiko prese il biglietto in mano e senza dire niente si alzò e prese di nuovo la valigia di suo padre.

Appena l’aprì però ebbe una sensazione brutta, bruttissima.

“Non resterò molto” si disse.

“Meglio che mi porti solo una borsa con poche cose…” disse “ non ho voglia di trascinarmi quella valigia pesante…tanto a dirglielo mi ci vorranno sì e no cinque minuti”.

Ikeda le sorrise

“Lo faccio solo per sentirmi la coscienza a posto; che tu lo sappia bene!” esclamò nervosamente.

 

Durante il viaggio le fu dato un posto che dava sul corridoio e non le fu possibile guardare dal finestrino. Non le importava molto, in fondo. Le nuvole sembravano improvvisamente poco interessanti rispetto alla sensazione di pienezza che aveva dentro. Si ripeteva che era asciutta e sterile, ma sentiva bene, che non era più così. Le bastava chiudere gli occhi per provare un senso di umido e di acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** A Barcellona ***


Ciao a tutte! Grazie mille a chi commenta, e a chi semplicemente legge!

La risposta per Makiolina è lunga, ma è per tutte, cioè, lei ha sollevato un problema e io tento di spiegarlo: spiegandolo, parlo della scrittura in generale, quindi penso che possa interessare un po’ a tutte quelle che mi seguono!( se non è così… come sempre basta saltare ‘sti papiri e andare al cap!)

Makiolina: wow..Kumiko me l’hai distrutta….  battute a parte; hai fatto la tua considerazione, che rispetto e non discuto perché l’opinione del lettore è sempre da ascoltare e bisogna anche rifletterci su, ma devo dire che ti sei anche risposta da sola. Io non posso difendere i personaggi, ma ho sempre cercato di “caratterizzarli” da un punto di vista linguistico e di comportamento. Ci sono degli stilemi che si ripetono perchè sono quelli che rendono il personaggio particolare e unico. Ognuno di loro ha le sue piccole fobie, le sue ossessioni, le sue “ripetizioni” e molte si manifestano nel modo in cui pensano e si esprimono. Kumiko è così e soprattutto quando è in difficoltà, queste “ossessioni” diventano incalzanti. Sul fumare e il bere… beh, se posso dire qualcosa a suo favore, lei non sapeva di essere incinta, quindi fino a quel momento ha continuato  a farsi del male ( credendo di applicare il suo piano). Io provo un po’ di tenerezza per lei, perché è sola e nei guai. Tu magari vorresti che fosse più responsabile e matura. Mi dispiace se l’hai trovata “pesante”..Vedremo come andrà avanti e se le tue sensazioni verso di lei cambieranno….. grazie comunque per la tua sincerità e coerenza.

Purple:sono felice che non immaginassi che kumiko potesse essere incinta. Quando ho pensato alla storia, temevo che fosse un po’ banale. Devono ancora succedere varie cose…. Vedremo se arriverà la scena “zuccherosa” che aspetti….! Grazie per continuare a seguirmi!

Giusyna: ciao! Grazie mille per avermi recensito! ( se poi penso che la mia è la prima storia che commenti… questo mi fa ancora più piacere!). Sono contentissima per quello che mi dici sul modo in cui scrivo e sulla storia. Spero che continuerai a leggermi!

Miki87: ciao! Grazie come sempre! Sono contenta che anche tu non ti aspettavi che kumiko fosse incinta…la reazione di Genzo la leggerai in questo cap… chissà se è come ti aspettavi…. Beh Ikeda non credo sia innamorato di lei; le è molto legato, ma fra di loro il rapporto è fraterno….almeno per il momento mi pare così. Diciamo che “narrativamente” parlando , Ikeda è una sorta di spalla…

FlaR: grazie per aver notato il cambio di ritmo: sì, i tempi sono più veloci e il ritmo è più conciso. Credo che questo renda  meglio la storia.… beh c’è la sensazione della fine, ma….ancora ci siamo lontane…devono ancora succedere varie cose….. !

Reggina: altro che pasticcera non professionista…!ma come cavolo si fanno i fiorellini di marzapane in casa? Devi essere davvero brava…Grazie per avermi scritto e per quello che pensi su Kumiko;io mi sono affezionata molto a questo prsg…!

Vi lascio al cap!

____

 

L’aereo atterrò puntuale: era domenica mattina.

Seguì la massa come la volta precedente e, una volta fuori, diede un foglio con l’indirizzo di Sanae e Tsubasa ad un tassista simpatico e chiacchierone, anche se lei, non conoscendo la lingua, non poteva capirlo.

Quando Sanae aprendo la porta se la vide di fronte, fu totalmente sorpresa.

A Kumiko venne spontaneo fissarle la pancia e sorrise.

Si abbracciarono e Sanae non sapeva cosa dire.

“Ma perché non me l’hai detto? Volevi farmi una sorpresa?”

I bambini le andarono incontro facendole molta festa e anche Michiko dal seggiolone rideva e si agitava perché voleva raggiungere i fratelli. Li strinse forte e cominciò a rispondere a tutte le loro domande. La facevano ridere perchè ogni tanto mischiavano il giapponese con lo spagnolo e lei non riusciva a capire.

Quando finalmente, si furono calmati, Sanae si sedette accanto a lei e riuscì a presentarle la madre di Pinto, che ora era una presenza insostituibile in casa: Sanae aveva bisogno di una mano.

Kumiko lo disse tutto d’un fiato; fu per lei una specie di prova generale.

“Sono incinta….sono venuta a dirglielo”

Sanae le alzò la maglia e accarezzò il ventre.

“Stavo per perderlo…io non ho un ciclo regolare e quindi non me n’ero accorta….”

Kumiko aveva capito benissimo che Sanae cercava, si sforzava di dimostrare entusiasmo per la notizia. Ma era evidente che le cose non stessero andando bene e che fosse molto preoccupata della reazione di Genzo.

“Lui….lui è cambiato….si è chiuso ancora di più… non so come potrà prenderla. Ogni volta che ho provato a parlare di te, lui ha sempre mostrato molta freddezza.”

Kumiko appoggiò la testa sullo schienale del divano.

“Lo so…. Posso immaginare. Ma almeno sta giocando bene?” chiese un po’ preoccupata.

Sanae sorrise” sì… siamo in testa alla classifica….anzi tra poco c’è la partita. Vuoi andare allo stadio? Io..sai non ci vado perchè mi stanco con niente, ma se vuoi ti ci faccio portare…”

“No no….preferisco stare con te fino a quando non rientrano…” disse Kumiko timidamente.

“bene!”

Mentre Hayate e Daibu guardavano la partita in tv e Michiko dormiva, continuarono a parlare e, anche se non c’era la solita leggerezza, la solita sensazione di benessere, dovuta alla tensione per l’imminente incontro, fu bello ugualmente per le due amiche confidarsi e raccontarsi come stessero andando le loro vite.

Kumiko decise di preparare la cena e anche Pinto e i suoi genitori furono invitati ad assaggiare le pietanze che avrebbe cucinato.

Genzo aveva trovato casa nello stesso quartiere di Tsubasa proprio a pochi passi e, di solito se giocavano in casa, la domenica sera cenava da loro.

Entrarono in casa ridendo e scherzando perché avevano vinto e tutto stava andando benissimo.

“ Dove sono gli ometti?” chiese Tsubasa

“Babbo! Babbo! Lo sai che Kumiko ha fatto il riso?” disse Daibu correndo verso di loro.

Tsubasa sorrise perché non aveva capito. Genzo, appena sentita quella parola si irrigidì subito.

La madre di Pinto si sporse dalla cucina e salutò.

“Vieni! Vieni Genzo!” disse allora Hayate.

Avanzarono e la videro mentre sul tagliere impastava e Sanae la guardava e scherzava con lei.

“ Dovevo mettere meno farina….. ma la farina è tutta così in Spagna?…. Sanae prendimi….” S’interruppe perché alzando gli occhi si accorse che loro erano lì.

Genzo era una statua di pietra. Rigido come una colonna. Scuro come una notizia brutta.

Tsubasa invece, limpido e solare come sempre, le fece un gran saluto e andò addirittura a darle un abbraccio.

“Che bella sorpresa! Ma tu lo sapevi Sanae?”

Lei scosse la testa rivolgendo lo sguardo a Genzo.

Kumiko era molto emozionata ma cercò di non darlo a vedere.“Adesso muoio, adesso svengo…” pensò.

Lui era….non sapeva neanche lei come dire. Avrebbe voluto abbracciarlo, appoggiare la testa sul suo petto e baciarlo.

Ma vide dal suo sguardo quanto lui fosse spiacevolmente sconvolto e poco disponibile.

Cenarono e fortunatamente i bambini, Pinto e Tsubasa contribuirono a mascherare il falso clima di festa per quella serata. Verso la fine del pasto, il capitano si rivolse a Kumiko:

“Allora quanto ti trattieni?”

“Non molto….devo solo…..sono venuta per parlarti, Genzo” disse fissandolo.

Genzo, che non aveva assolutamente mangiato, ma, come sempre aveva rovinato il cibo con la forchetta, ricambiò lo sguardo.

“Non vedo cosa ci dobbiamo dire….ci siamo detti già tutto, non ricordi? E poi se proprio c’è qualcosa, potevi fare una telefonata..” disse freddamente.

“Fosse una roba da telefonata, non dubitare, l’avrei fatto. “

“Dimmi, dimmi….ti ascolto” fece lui.

Kumiko abbassò gli occhi. Lui aveva un modo di parlarle che la faceva sentire umiliata.

“Preferirei parlarti in privato…è questione di un minuto….”

Genzo allora si alzò: “dai sbrigati….” disse maleducatamente ” andiamo a casa mia, così la facciamo finita con le scenette….”

Lei aveva le lacrime agli occhi. Anche Sanae. Tsubasa voleva intervenire, ma non ne ebbe il tempo.

Kumiko allora si alzò e lo seguì.

Fecero pochi passi nel buio, squarciato in qua e in là dalla luce dei lampioni della strada elegante di quel quartiere residenziale.

La sua casa era bellissima e molto ordinata.

Sul tavolo del salotto, c’era una rivista aperta su una foto di Maya, scattata durante una sfilata.

“Stai ancora con lei?” gli chiese.

Genzo, appoggiò la borsa da calcio per terra.

“Sto con chi mi pare”

“Sono incinta.”

Genzo si tolse il berretto facendolo ricadere sul divano. Non si riusciva a percepire se avesse capito o no.

Lei l’aveva detto distintamente.

“E quindi?” fece lui, con aria quasi di sfida.

Lei rimase un po’ spiazzata.

“Come quindi…quindi visto che è tuo, sono venuta a dirtelo…..”

Genzo neanche la guardava e andò verso una credenza: aprì un cassetto e prese il libretto degli assegni.

“Che stai facendo?” disse lei.

“Ti do un po’ di soldi…. Noi un figlio non lo possiamo avere….non vorrai mica tenerlo, no?”

Adesso lui la fissava e nei suoi occhi non c’era niente: né comprensione, né amore, né odio. Non sembrava neanche lo sguardo di una persona.

Kumiko adesso poteva vedere bene che quella sensazione di asciutto era andata via fisicamente ma era comunque il sottofondo, il sostrato della sua vita.

“Rispondimi, almeno….” disse lui incalzante.

“ ……. i tuoi soldi non mi servono a niente….non vali niente…..mi fai schifo…..vai... vai a parare due tiri, che è proprio l’unica cosa che sai fare… e vedi di non criticare tanto gli altri, tuo padre specialmente, perché sei esattamente come lui. Anzi! Forse sei anche peggio!” uscì sbattendo la porta e grondava dal sudore per le cose che aveva detto.

Camminò fino alla casa di Sanae e riprese la sua borsa. Sanae allora si alzò e fece per fermarla.

“Kumiko….calmati…”

“Che succede?” disse Tsubasa.

Kumiko si strofinò il volto:” se mi chiamate un taxi vado all’aeroporto. Tra due ore ho il volo per tornare a casa.”

“Come?” disse Sanae.

“Tanto lo sapevo che avrei fatto presto…..” disse Kumiko.

“Tsubasa per favore accompagnaci” disse Sanae e capì dal suo sguardo che non doveva fare domande. Il capitano si sentiva perso ed era molto dispiaciuto.

Mentre guidava, Kumiko si era sdraiata dietro, sulle gambe di Sanae che le accarezzava la testa e le sussurrava delle parole, ma lui non riusciva a sentirle.

Quella notte Genzo, spaccò tutto quello che si poteva immaginare di spaccare in una casa. Ad un certo punto, i vicini, spaventati, chiamarono la polizia.

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Capitolo 24
*** Il tuo sassolino nella scarpa ***


Ciao a tutte…. Grazie veramente di cuore per tutte le vostre recensioni. Sono tutte davvero accurate: vi chiedo scusa se non rispondo singolarmente stasera, ma sono un po’ in ritardo e vorrei invece farlo con calma ( ci tengo a rispondervi per bene! Mi sembra il minimo, visto il tempo che dedicate alla storia e a recensire!). Conto di rispondervi domani o al più tardi sabato ( il lavoro in questi giorni non mi lascia molto tempo… scusate ancora).

Grazie alle persone che leggono i vari capitoli e a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite.

Non so come prenderete il proseguire della storia….

Buona Lettura!

__

Passò giornate intere a piangere, a chiedersi come si fosse potuta illudere che Genzo finalmente si sarebbe aperto, si sarebbe lasciato amare.

Era distrutta e si sentì di nuovo veramente sola. Ikeda faceva su e giù tra la camera e il laboratorio, per tenerla sotto controllo e cercava di confortarla, anche se non era facile. Intanto il tempo passava e l’autunno era diventato inverno. La pancia cresceva e lei non aveva abortito.

Non sapeva neanche come spiegarselo. Non era felice di avere un bambino perché non era come Sanae. Non era felice in nessun modo ed era stata rifiutata ed umiliata per l’ennesima volta. Eppure non era stata capace di presentarsi il giorno stabilito per fare l’intervento. Perché per provarci, ci aveva provato. Aveva firmato tutti i fogli e aveva segnato il giorno sul calendario. Poi però non c’era andata. Aveva preferito ripulire il terrazzo e scendere di nuovo in laboratorio a dare un’occhiata.

Lentamente e faticosamente aveva ricominciato la sua vita.

Andava ai controlli dal primario di ginecologia, con il quale aveva fatto amicizia e non beveva e non fumava più.

Sanae le spediva una lettera per posta ogni settimana e anche quasi tutti i giorni via mail. Lei leggeva ma non rispondeva. L’aveva chiamata per dirle che avrebbe tenuto il bambino e poi, aveva smesso di sentirla assiduamente. La moglie del capitano la chiamava ogni due giorni, ma lei si negava quasi sempre.

Era doloroso perché Sanae era l’unica persona a cui si sentiva intimamente e indissolubilmente legata e sapeva che lei ne soffriva molto. Ma ogni volta che parlava con lei o leggeva le sue lettere, il pensiero andava dritto a tutto ciò che era successo e Kumiko stava cercando di riprendersi, di abituarsi a quell’assenza, a non vedere più Genzo.

Sapeva che per le vacanze non sarebbero rientrati in Giappone perché Sanae avrebbe partorito; invece di esserne triste pensò alla cosa come ad una benedizione. Sicuramente neanche Genzo sarebbe tornato e anche questo avrebbe aiutato la situazione.

Il Signor Nakazawa, in una mattina fredda e nevosa, entrò in pasticceria.

“Noi partiamo….andiamo a passare le vacanze a Barcellona; quest’anno verrà anche Atsushi con noi……il parto è vicino….”

Kumiko si avvicinò, rotonda e fresca come una magnolia e gli fece un inchino.

“Sanae al telefono non ha fatto altro che chiedere di te….di come stai e se ricevi le sue email e….”

“Le dica che sono il suo sassolino nella scarpa e che è dentro il mio cuore maledetto….le dica che non fa niente se è un maschio…..la perdono!” e gli fece l’occhiolino.

“ma…ancora non si sa…non l’hanno voluto sapere….è una sorpresa..”

Ma Kumiko lo sapeva già. Lei le cose se le sentiva.

“E tu Kumiko? Sai già se è un maschio o una femmina?”

Kumiko sorrise “per me non c’è alcuna via di scampo, signor Nakazawa…io, sono nata sotto una cattiva stella…..faccio un maschio….”

Il signor Nakazawa, che ormai con lei aveva confidenza, le andò vicino e le fece una carezza.

“Si ricordi di accarezzare anche Sanae…. Fate buon viaggio!” disse la ragazza.

 

 

Appena i Nakazawa misero piede nella casa di Barcellona, furono, investiti dai colori e dagli addobbi natalizi. C’era aria di festa e tutti erano felici. Sanae era bellissima e i bambini erano cresciuti tanto in quei mesi.

Si abbracciarono e appena ci fu modo di parlare, Sanae chiese subito di Kumiko.

Genzo era seduto sul divano a parlare con Atsushi  ma a Sanae non importava che potesse sentire.

“Allora dimmi…dimmi…come sta Kumiko? Le legge le mie mail?sta bene?”

Il Signor Nakazawa diede un’occhiata a Genzo e si sentì visibilmente in imbarazzo. Alla parola "Kumiko" tutti erano rimasti in silenzio.

Ma a Sanae non importava.

“Allora?”

Il padre di punto in bianco le fece una carezza. “Mi ha detto lei di accarezzarti e poi…. E poi ha fatto un discorso un po’ strano…..”

Sanae aveva già le lacrime agli occhi.

“Che discorso, che discorso?”

“ha detto che è il tuo sassolino nella scarpa…..”

Sanae dalla gioia l’abbracciò.

“ma io non so che vuol dire….”

“Lo so io, lo so io… vuol dire che mi pensa, che mi pensa sempre…..”

“Ah beh poi ha anche detto che ti perdona per il fatto che ……beh no meglio che non lo dica se no ti rovino la sorpresa…..”

“Ho già capito …” fece Sanae.

“Che cosa?” chiese Tsubasa.

“Niente niente….lei sa già se avremo un maschio o una femmina…sua nonna era una strega…chissà invece lei…..” ma s’interruppe. Almeno quello voleva risparmiarlo a Genzo.

Fra lei e il portiere , dopo il modo in si era comportato con Kumiko, il rapporto era un po’ cambiato. Non erano più così in sintonia come prima. Molto spesso non si capivano più al volo. Sanae aveva provato a parlargli, ma di fronte si era trovata un muro; una persona che non voleva ascoltare. Dopo un po’, ci aveva rinunciato, se pur con molta tristezza nel cuore. Per Tsubasa, Genzo era come un fratello ed era stato quello l’unico motivo per cui non si erano allontanati completamente.

 

Fu un Natale bellissimo. Sanae partorì la notte del 28 dicembre: ci mise dodici ore e fu il suo primo parto un po’ difficile. Ma il bambino era bellissimo e sano come un pesce.

Come sempre, non aveva voluto nessuno in sala travaglio e per Tsubasa l’attesa questa volta era stata straziante: aveva trascorso quelle interminabili 12 ore nel corridoio del reparto, camminando avanti e indietro, senza darsi pace.

Appena lo fecero entrare scoppiò a piangere come un bambino: era diventato un uomo e aveva imparato dal passato. Sapeva che quel momento era unico e non si lasciò scappare l’occasione di viverlo come veramente si sentiva. Guardava il piccolo e poi Sanae e si rendeva conto che lei era ancora più bella, era ancora più intenso il modo in cui parlava  e viveva quel frangente.

“Devi telefonare subito a Ryo……”

Tsubasa si mise a ridere.

“Sì…..e il bambino…come lo chiamiamo?”

Sanae lo fissò e lui capì.

Ryo era in giro con Yukari per le strade un po’ imbiancate del centro.

Sentì suonare il telefono e vide il numero di Tsubasa.

“….. Ozora, ma cosa ci fai alzato a quest’ora? Non sono le quattro del mattino a Barcellona….?”

“già….ti passo Sanae!”

“Hey….”disse lui

“E’ nato…..”

“Come? E me lo dici così?” Ryo cominciò a gridare in mezzo alla strada e Yukari lo guardava divertita.

“Evvai! Questo diventa un difensore di sicuro!”

“Speriamo! !" fece Sanae “.... e per buon auspicio io e Tsubasa gli daremo il tuo nome….sei contento?”

Ryo rimase in silenzio e Yukari vide che si stava commuovendo.

“Ryo hai sentito?....Ishizaki mi senti?” fece lei guardando Tsubasa sconsolata.

“Sanae…..vi voglio bene….”

Allora Sanae sorrise ” anche noi…!Ma non ti commuovere! Oggi è un giorno felice!”

 

L'indomani in ospedale, la camera di Sanae fu invasa da fiori mandati dai compagni di Tsubasa e i Nakazawa arrivarono con i bambini per vedere il piccolo Ryo.

Hayate e Daibu sorridevano felici mentre Michiko guardava stupita il nuovo venuto e sembrava voler chiedere a sua madre che cosa ci facesse lì. Tra poco avrebbe compiuto un anno e stava imparando a camminare. Sanae, una volta tornata a casa, avrebbe avuto il suo bel da fare.

Sua madre la guardava un po’ preoccupata perché gestire quattro bambini così piccoli le sembrava una cosa troppo grande, ma appena incrociava gli occhi di Sanae o quelli di Tsubasa, li vedeva così felici ed innamorati, che cercò di tranquillizzarsi.

Il Signor Nakazawa era letteralmente sopraffatto dalle sue emozioni e non riuscì a spiccicare una parola per la prima ora.

 

Genzo aveva appena buttato il telefono in faccia a Maya, con la quale ormai non faceva che litigare per qualsiasi cosa. Lei voleva passare il capodanno a Parigi, lui voleva restare in Spagna, così praticamente l’aveva mandata al diavolo.

Fu raggiunto dal messaggio della nascita del bambino e si precipitò in ospedale.

Mentre attraversava le vie del centro notò un piccolo chiosco di fiori e si fermò.

“Se mandi dei fiori ad una donna….” Il ricordo del monito di Kumiko, fu come un pugno in pieno volto.

“Desidera?” chiese una signora piccola e robusta.

“Vorrei dei fiori per un’amica che ha partorito” disse impacciato e a disagio.

“cosa mettiamo?”

Lui si guardava intorno e non sapeva cosa scegliere. Per lui un fiore era uguale all’altro. Non aveva alcuna importanza. Avrebbe voluto dire “ faccia lei”, ma le parole di Kumiko lo fecero resistere. Non erano fiori per una persona qualsiasi. Erano per Sanae.

Fra tutti, vide delle bellissime rose e degli altri fiori gialli di cui non conosceva il nome e scelse quelli.

“Ha un ottimo gusto, signore…vedrà che farà figura” disse la donna.

Varcando la soglia del reparto e attraversando la vetrata con tutti i bambini nelle loro culle, sentì un profondo malessere. Molti parenti indicavano dal vetro il piccolo o la piccola della loro famiglia e vide anche alcuni uomini che avevano tutta l’aria di essere diventati padri da poco.

Pensò che anche lui stava per avere un figlio e non l’aveva voluto e non aveva voluto lei e tutto il suo mondo di streghe e di cose troppo complicate emotivamente per lui. Pensò a come si stesse sentendo Kumiko in quei giorni e si chiese quanto mancasse ormai…

Era disperato. Ma anche paralizzato. Si sentiva incapace di amare. Lo vedeva dall’ombra che la sua figura procurava sul vetro. Lo percepiva. In fondo a parte “parare due tiri” come diceva lei ironicamente, che altro sapeva fare?

Fece quasi per tornare indietro, perché non era più in vena di andare dai suoi amici, ma Tsubasa l’aveva visto e lo chiamò.

“Vieni Genzo! E’ arrivato anche da bere!”

“Almeno quello” pensò.

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Capitolo 25
*** Il primo giorno di primavera ***


Ciao!Eccomi qua…. Grazie mille a tutte! In primis a chi trova il tempo e il modo di recensire ( e che recensioni!) e ovviamente anche a tutti coloro che leggono semplicemente!

Giusyna: grazie per le tue rec… beh hai ragione: la gravidanza può essere un motivo per “smuovere”  il cuore di pietra di Genzo. Era un passaggio quasi obbligato, diciamo (almeno per come ho immaginato io la storia). Lui l’ha presa molto male e sembra non tornare sulle sue posizioni… vedremo…!

Makiolina: grazie per il tuo commento e per la risposta che mi hai dato. Ho capito benissimo cosa volevi dirmi, e, a me importa molto cosa pensi! A me importa il parere di chi commenta, perché nella vita bisogna sempre ascoltare e provare a “frugare” nelle parole, nei consigli che gli altri ti provano a dare. E apprezzo molto la sincerità! Sul cap “A Barcellona”, sono d’accordo con te: Genzo è stato squallido. Sta veramente toccando il fondo. Stiamo a vedere cosa succede. Sarà veramente il fondo o può andare più giù? Sul cap di ieri: grazie per il tuo commento… sì, diciamo che è stato un capitolo un po’ più distensivo; c’era bisogno di riprendere fiato! Sono felice che l’idea di dare al bambino il nome Ryo sia piaciuta: era un modo per legare ulteriormente le due ff, per tenere i due mondi uniti e mi sembrava una citazione carina.

Purple: grazie di non annoiarti con tutto questo scrivere…io sono molto insicura come persona ( mille dubbi, mille domande…) quindi la tua rec mi ha fatto molto piacere. Riguardo al cap di ieri, penso anch’io che Kumiko abbia fatto tutto il possibile. Pare che ora sia tutto nelle mani di Genzo…..grazie ancora per scrivermi!

Elisadi80: che bello sapere che mi stai seguendo…grazie infinite per trovare il tempo per scrivermi! Spero che non rimarrai delusa dai prossimi capitoli. Siete tutte sul piede di guerra con Genzo… eh sì… è un po’  testardo!

Miki87: bellissima recensione: in poche righe come sempre sai dipingere perfettamente la situazione e i personaggi. Spero che il tuo odio  per Genzo sia solo passeggero….!grazie infinite! Sul cap di ieri: vedo che anche a te è piaciuta l’idea del nome del bambino! Bene…. Su Genzo…beh non preoccuparti: come dice Kumiko, “tu puoi fuggire quanto vuoi ma poi la vita ( il destino) ti viene a cercare….”…..prima o poi i conti con la realtà li dovrà fare no?

Trottola: ciao, grazie mille per la tua recensione! Riguardo a Genzo, da un certo punto di vista la tua analisi è giusta: ma la storia mi ha portato fin qui e non ho saputo immaginarlo in altro modo. E’ una parentesi, un passaggio della vita, la sua catarsi… Ora sta a lui rientrare in sé ( vediamo quando e se si deciderà);...sul fatto che l’amore tra lui è Kumiko sia malato, credo ormai non ci siano più dubbi, ahimè…..Non sai quanto mi faccia piacere che tu stia seguendo la storia; le tue osservazioni mi sembrano sempre lucide e mi fanno riflettere. Ti ringrazio anche per la rec di ieri: il fatto che trovi la ff avvincente mi rende felice; come ho già detto più volte, tendo sempre un po’ a concentrarmi molto sulla scrittura e la trama ( anche se magari non sembra) è, diciamo secondaria… quindi ho sempre un po’ paura di cadere in qualcosa di scontato o banale.

Mareluna: grazie mille per la tua ironia e il tuo umorismo! Lo so che Genzo proprio l’ho reso insopportabile…però in fondo in fondo i ragazzi così…sono quelli che affascinano di più…le donne amano farsi del male… ( o no? Sarà perché sappiamo confrontarci molto meglio con il dolore…). Sul cap di ieri, sono contenta che anche a te l'idea del nome sia piaciuta e Genzo qui è stato preso da un po' di malessere... ma è un osso duro!

Hitomichan: ciao! Grazie per aver scritto. Fino a qui è stato tutto abbastanza triste e come dici tu, questa nascita dovrebbe portare qualcosa di buono… almeno speriamo!

Vi lascio al cap, che è il primo di questa ff ad essere un po’ più corto rispetto alla media. Con esso, infatti si chiude una specie di “prima fase”……

Buona Lettura

__

Ci pensò il Signor Nakazawa, a fare un rapporto dettagliato e specifico a Kumiko di come si fossero svolte le feste. La ragazza vide il filmino e tutte le foto e si divertì molto quel pomeriggio ad ascoltare  i commenti dell’avvocato.

Kumiko aveva trascorso le vacanze in pasticceria lavorando sempre, tranne per le feste comandate. Il lavoro era la sua cura, era il suo modo per sopravvivere.

“Siamo stati così felici…..a parte Genzo….” gli scappò detto.

Kumiko lo fissò.

“Genzo? E come mai?” disse lei ironicamente.

L’avvocato scosse la testa..” sembra che dentro di lui ci sia il demonio… non è in pace con se stesso…..lui riesce a stare bene solo in campo, per il resto è un’anima in pena…..ma tu non è che….?”

“Io…?Io cosa?”

“Sai…è un tipo orgoglioso, magari se ci provi a parlare, siete ancora in tempo….”

Kumiko gli sorrise: l’avvocato faceva tenerezza.

“Io ho fatto tutto quello che potevo. Gli sto addirittura dando un figlio. Più di questo, più di tutte le umiliazioni che ho dovuto subire….io non posso fare altro.”

“ma…voglio dire…se lui tornasse?.....tu?”

“Lui non tornerà…..lo so per certo.” disse lei.

 

Dopo qualche giorno si decise e fece una telefonata a Sanae.

“Finalmente….almeno adesso che ho partorito….me lo merito questo regalo da te, no?” disse Sanae sentendo la sua voce.

“Ti devo raccontare tutto…” aggiunse.

“Per quello ci ha già pensato tuo padre!...ho visto anche il filmino….Il bambino è stupendo…tu sei stupenda….”

“E tu? Dimmi dimmi! Come va?”

“sto bene…tutto bene…sono una bomba ma a parte quello, sto bene….”

“hai paura di partorire?”

“Non lo so, cerco di non pensarci……io cerco di non pensare….”

“E la tua ginestra?”

“lei fiorisce, nonostante tutto…lo sai, me l’hai insegnato tu!”

“Ah..non vedo l’ora che arrivi l’estate per vederti….” disse Sanae, anche se sapeva che mancava tanto tempo a quel momento.

“Anch’io..” disse Kumiko, anche se al pensiero delle ferie estive e all’idea che Genzo potesse tornare in Giappone si sentiva male e le veniva subito un po’ d’ansia.

 Si salutarono con affetto e Sanae si fece promettere che si sarebbero risentite presto.

 

I giorni passavano, così come i mesi. L’inverno finì in un baleno lasciando posto alla primavera e tutte le piante che avevano riposato durante tutto il freddo, ora si preparavano a fiorire nuovamente.

Il 21 marzo la pasticceria rimase chiusa, perché all’alba, a Kumiko presero i dolori e Ikeda, insieme ad i ragazzi che avevano il turno del mattino, l’accompagnarono in ospedale.

Dal male piangeva, gridava e sbraitava contro tutti e tutte. Le ore passavano e lei soffriva sempre di più senza che il bambino si decidesse ad uscire.

“Forza Sugimoto….” le disse il dottore.

“Abbiamo fatto tanto per salvare questo bambino, ti ricordi? Adesso spingi !spingi!”

Kumiko diede l’ultima spinta ed ebbe la sensazione di morire. In quell’istante il dolore era stato talmente forte che con la memoria aveva attraversato tutti i momenti importanti della sua vita. Pensò a suo padre e poi, subito a lui, a Genzo, a quanto avrebbe desiderato ritrovarselo lì accanto, invece di essere sola come un cane, nel giorno più importante della sua vita.

Sentì piangere il bambino e ritornò sulla terra.

“Complimenti! Che bel maschietto! Bene bene! Benvenuto!” disse l’ostetrica quasi piangendo, perché aveva imparato a conoscere Kumiko e sapeva la sua storia; sapeva che non aveva nessuno su cui poter contare,  a parte Ikeda, che era pur sempre un ragazzo giovane ed un suo dipendente.

Appena lo vide, le venne da piangere. Le sembrava così piccolo, così indifeso….eppure anche così perfetto e forte….lui , si vedeva subito che aveva una gran voglia di vivere. Lo si capiva da quanto forte strillasse.

Lo strinse a sé con tenerezza e provò un senso di gratitudine.

 

Quando i ragazzi poterono vederlo, rimasero colpiti da quanto fosse bello. Kumiko non seppe dire a chi somigliasse, perchè di foto di quando era piccola non ne aveva molte e l’unica che aveva visto di Genzo lo ritraeva quando aveva sei anni. Ma era felice e guardandolo, d’istinto pensò che avesse preso da lui.

“E adesso?” disse Ikeda fissandola “ Come lo chiami?”

Quello era un tasto dolente. Kumiko aveva cercato nella sua memoria, aveva provato a frugare e trovare un nome che avesse un particolare significato per lei. Ma non ne aveva trovato nessuno. L’unico ragazzo importante, anche perché l’aveva salvata dai debiti e dal fallimento, era Tsubasa; ma il nome, da quando era diventato un giocatore famoso era molto inflazionato. E poi l’aveva sempre trovato un po’ troppo lungo. Poi, ovviamente c’era Ikeda, ma dargli il suo nome sarebbe stato poco pratico: trovarsi accanto due persone con lo stesso nome  24 ore su 24 o quasi, sarebbe stato un po’ complicato.

Nello stesso tempo, anche se si rendeva conto che era del tutto irrazionale, l’idea che potesse avere un nome legato al mondo del calcio, o, comunque al mondo di Genzo, le piaceva. Visto che il bambino non avrebbe avuto suo padre accanto, che almeno nel nome ne  portasse un segno…...

“La prima volta che ho visto Genzo e l’ho cacciato fuori dal laboratorio, io mi sono innamorata di lui. Ho sentito di amarlo.” Non si vergognava a dirlo.

I ragazzi rimasero in silenzio; lei negli ultimi tempi era stata molto chiusa e silenziosa. Sentirle dire una cosa così privata in quel modo, li lasciò perplessi.

“Non era da solo, quel giorno; con lui c’era Taro Misaki….che poi, dopo Tsubasa, è anche uno dei suoi più cari amici….lo chiamerò, così: lo chiamerò Taro”

Ikeda sorrise e anche gli altri.

“Che bel nome! E poi è corto e conciso! E Misaki è un giocatore bravissimo!”

Brindarono anche loro e finalmente a Kumiko fu concesso di bere un bicchiere di champagne.

Fu un giorno bellissimo. Un giorno speciale.

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Capitolo 26
*** Il refettorio ***


I ragazzi della Nazionale Giapponese erano stati attesi a lungo dai bambini che giocavano nella squadra per la Prefettura di Tokyo. Era ormai consuetudine per la Federazione fare questi giri promozionali nelle varie scuole calcio del paese. Era un modo per diffondere la passione per il calcio e per prendere tanti soldi dagli sponsor.

Quando finalmente i giocatori arrivarono, i bambini rimasero in silenzio, tanta era l’emozione di trovarsi di fronte ai loro beniamini. Anche in alcuni giocatori c’era un po’ di ansia: soprattutto per coloro che erano diventati genitori da poco, vedere tutti quei piccoli di 5-6 anni li aveva emozionati.

Tsubasa era sempre il più festoso e solare, così come Taro. Genzo invece sembrava sempre in un’altra dimensione. Era molto serio e scontroso e soprattutto in queste situazioni riusciva ad essere antipatico anche ai bambini che volevano fare i portieri e vedevano in lui una specie di dio in terra. Non vedeva l’ora che la giornata finisse.

Erano passati sei anni. Sei anni interminabili, lunghissimi.

Li aveva trascorsi nel silenzio più totale: senza chiedere, senza sapere.

Dopo tutto il casino con Kumiko e la morte di sua madre, era tornato in Giappone esclusivamente per le partite e gli impegni con la Nazionale. In quelle occasioni aveva accuratamente cercato di evitare tutte le possibilità d’ incontrare Kumiko. Per questo, non era più stato a Villa Wakabayashi, ma aveva sempre preferito il suo appartamento a Tokyo: lì si era sentito al sicuro.

E la fuga era andata alla grande. Non si erano mai più incontrati: almeno questo nella vita reale; perché dentro di sé non passava giorno in cui non pensasse a lei e non provasse ad immaginare come andasse la sua vita e soprattutto  come stesse il bambino. Era un pensiero costante, come un dolore che diventa un tormento e c’è sempre al fondo di te e tu non sai come fare; cerchi solo di andare avanti, di stare a galla.

Sanae e Tsubasa erano tornati varie volte, durante le ferie del capitano, ma Kumiko aveva accettato di vedere solo lei e i piccoli. Solo Sanae aveva visto il bambino e tutte due pensavano che fosse la cosa migliore: coinvolgere anche Tsubasa, sarebbe stato pericoloso e avrebbe potuto portare a riaprire ferite e dissapori. Il capitano sapeva che Kumiko aveva tenuto il bambino, ma non sapeva altro. In questo modo non c’era possibilità di parlarne con Genzo. Le due amiche  si sentivano spesso, anche se con i bambini e con la situazione che si era creata, non era facile poter vivere la loro amicizia con la leggerezza di prima.

Genzo era ancora al Barcellona, così come Tsubasa e avevano vinto praticamente tutto; a 27 anni, professionalmente avevano raggiunto il massimo. L’unico obbiettivo che ancora mancava era poter partecipare ai Mondiali visto che  le precedenti qualificazioni non erano andate a buon fine. I giocatori ora erano maturati e la Nazionale Giapponese sembrava più forte, quindi c’erano buone possibilità di centrare quest’obbiettivo alle qualificazioni che si sarebbero svolte a partire dall’anno successivo.

Nella vita privata invece il portiere era il solito disastro. Anche in Spagna aveva avuto un paio di flirt che erano durati un po’ di più rispetto alla media, ma per tutta la stampa rosa era l’inguaribile bello e dannato, uno scapestrato, lo scapolo d’oro. Invece di ammorbidirsi, con il passare del tempo si era indurito ancora di più ed era diventato sempre più scuro. Con le donne non riusciva ad aprirsi e loro, anche le ragazze più dolci, dopo un po’ si stufavano e lo mandavano a quel paese. Ma lui non ci faceva molto caso. Non era alla ricerca della stabilità.

 

Alla fine di quel pomeriggio avevano assistito ad una partitella dei bambini e poi Tsubasa aveva dato a ciascuno una piccola medaglia. I genitori avevano scattato foto e piano piano tutti se n’erano andati.

Alla sera, la Federazione aveva disposto che prima di tornare in albergo i giocatori cenassero all’interno del centro sportivo. Verso le sette e trenta i ragazzi avevano preso posto nel grande refettorio.

In un tavolo a parte l’allenatore dei bambini era in compagnia di un piccoletto che non stava fermo un attimo e sembrava totalmente disinteressato al suo piatto. Ogni tanto scendeva dalla sedia e cominciava a fare qualche palleggio; poi puntualmente il mister lo sgridava e lo rimetteva al suo posto.

“….. chissà chi è….” disse Ryo “ è veramente un bel bambino” aggiunse.

“Più che altro hai visto come ha giocato? Quello ha dei numeri…ha talento” disse Tsubasa, che l’aveva notato fra gli altri per la sua rapidità e per i movimenti. Hayate e Daibu, neanche a dirlo, erano già nei pulcini della seconda squadra del Barcellona e nel tempo libero si dedicava molto ad osservare i bambini che giocavano, quindi era un po’ più allenato degli altri a  notare il talento nei piccoli.

Genzo buttò l’occhio con distacco e ne rimase colpito: sì, era davvero un bel bambino, con i capelli nerissimi e i lineamenti perfetti. Più che altro gli sembrò per un attimo di averlo già visto. Dopo un secondo, si ributtò verso il piatto e ricominciò a fare zig zag nel suo riso.

“Sarà il figlio dell’allenatore… anche se sembra un po’ stufo di doverlo accudire…” disse ancora il difensore.

C’era abbastanza silenzio perché i giocatori della Nazionale, durante i pasti erano piuttosto composti; ormai non erano più dei ragazzini ed erano tutti dei calciatori ad un certo livello. Inoltre la vita in ritiro dopo una settimana (come in quel caso), cominciava a diventare un po’ noiosa.

Alcuni parlavano ma con molto ordine e piano.

Ad un certo punto si sentì una voce di ragazza.

“Taro? Taro? Ma dove sei?”

Misaki si ritrovò tutti gli occhi dei compagni addosso e con aria interrogativa si volse a vedere  chi lo stesse chiamando.

La ragazza, spuntò dal nulla, leggera e profumata: entrò senza rendersi conto di dove si trovasse e subito il bambino le andò incontro sbilanciandola.

“Scusami, amore…ho perso il treno!” disse lei.

Il bambino si mise a ridere “ tu mamma perdi sempre il treno!” disse lui, facendosi baciare e coccolare.

“Signora Sugimoto è la quarta volta che ritarda!” le gridò l’allenatore facendo cenno alla ragazza di tirarsi su, con tono severo.

“Mi scusi, ma questi orari mi ammazzano… non può fare allenamento in un altro posto? Per noi venire in treno è un problema…..”

“Certo..ora per le esigenze di uno si sconvolge la vita di tutti…” disse lui.

Nel frattempo fra i giocatori della Nazionale era calato il silenzio più assoluto. Genzo era immobile. Incredulo.

“Senti Taro…ma dimmi la verità.. sei proprio sicuro che vuoi giocare a calcio? Non è che vuoi fare un’altra cosa? Non sei stufo di prendere il treno? Non vuoi tornare alla vecchia squadra?....”Lei gli aveva fatto tutte queste domande ancora seduta per terra, tutta presa a parlare con il suo bambino.

“Il piccolo Taro è un fenomeno” disse l’allenatore”…la società ha già preparato tutti i fogli da firmare per vincolarlo fino a giugno….il presidente l’aspettava oggi alle quattro…ma lei naturalmente si è scordata…”

“…..oddio era oggi?..... No...  è che io non ci capisco proprio niente…ho una gran paura di fare una cavolata……. quanto vorrei che ci fosse tuo padre per prendere lui queste decisioni….accidenti!” esclamò Kumiko, facendo una smorfia al piccolo Taro.

“Mamma!” disse il bimbo…” ma io il babbo non ce l’ho!”

“scusa….lo so….lo so bene, ma è che lui …..se ci fosse saprebbe cosa fare….”

Taro scoppiò a ridere; parlare del papà sembrava essere una cosa normale per lui..” dai che sai decidere anche tu…!”

Kumiko si inginocchiò e gli mise a posto i pantaloni ” ma..speriamo…allora non ti sei stufato? No perché mi ha spiegato l’avvocato che se la mamma firma tu devi andare avanti, cioè per un po’ ti devi proprio impegnare…..”

“Chi è l’avvocato?“chiese Taro curioso.

“Ne abbiamo già parlato di questo,.. è il babbo di Sanae, te lo ricordi?”

Lui fece una corsa per prendere il pallone che nel frattempo era rotolato sotto il tavolo e faceva sì con la testa.

Kumiko si alzò ed era diventata anche lei una donna; con la gravidanza era diventata ancora più attraente e più intensa. Nello sguardo non c’era più il vuoto e nemmeno la malattia. Taro era diventato la sua ragione di vita.

Le capitò di guardare il tavolo e si irrigidì.

“Spero con tutto il cuore che quello non sia il tuo piatto…” disse guardandolo severamente.

“Non è che ho molta fame….”

“Che questa storia finisca presto, se no il calcio te lo scordi, hai capito? Devi mangiare, ma come te lo devo dire?”

Taro si mise a ridere, perché Kumiko ci provava a fare la parte dell’arrabbiata ma non ci riusciva se non per qualche secondo.

“..è evidente che questo bambino  è nato per giocare a pallone…quindi Signora, è meglio se si rassegna” disse l’allenatore.

“beh…se è per quello, io è da molto che sono rassegnata…non dubiti…da me non ha preso niente….se non l’avessi partorito, direi che non è neanche figlio mio!” rispose Kumiko, con la sua solita ironia, la sua voglia di rispondere, di “pungere”.

L’allenatore, accorgendosi che stavano dando spettacolo disse “forse è meglio se usciamo…..”

“Forza…. Prendi le tue cose” disse Kumiko al bimbo.

“… le farò avere un altro appuntamento per la prossima settimana…..” aggiunse il Mister accompagnandoli fuori.

“Kumiko…......” disse Tsubasa, abbastanza forte così che lei sentisse.

Lei aveva notato che c‘era altra gente nella stanza, ma non aveva distinto le persone.

In quel momento soffermò lo sguardo e vide il capitano.

“Mamma, ma come fa Ozora a sapere il tuo nome?” chiese Taro ingenuamente.

Lei lo fissò e poi cominciò a passare uno ad uno  quei volti e vide anche Genzo.

Il portiere era rimasto nella stessa posizione, con lo sguardo che sembrava sempre più sconvolto, sempre più triste.

Lei si sentì mancare la terra sotto i piedi. L’aveva visto tante volte in televisione e sui giornali.

Ogni volta era sempre come la prima; lei era ancora irrimediabilmente innamorata di lui.

Vederselo lì di fronte in carne ed ossa però era tutta un’altra cosa….

“Mamma mi vuoi rispondere?”

“Vieni Taro, andiamo…te lo spiego in treno”

Il bambino fece un saluto ai suoi beniamini e loro, anche se un po’ a disagio, ricambiarono.

Una volta usciti, Kumiko infilò la felpa al bambino.

“Signora si sente bene?” chiese l’allenatore

“Sì si..tutto bene, perché?”

“perché sta piangendo…..”

_

 

Ciao a tutte…

Grazie infinite per le recensioni, per leggere la ff e   grazie a chi ha messo la storia fra le preferite e seguite.

Purple: ciao! Grazie infinite per i complimenti! E sono molto contenta che il cap ti sia piaciuto, così come la scelta del nome!

Giusyna: grazie mille per aver recensito e per ciò che hai scritto. Concordo in pieno con il concetto che hai espresso relativamente alla nascita: questo bambino è molto importante….Ho cercato di rendere in modo molto sintetico e con semplicità ( come giustamente sottolinei) questa nascita, perché scene del genere possono facilmente portare a stucchevolezza e troppa “mielosità”. Invece con la sintesi, credo che questo pericolo si scampi sempre.

Miki87: grazie come sempre! Mi metti di buon umore con le tue rec! Genzo ora si ritroverà a fare i conti con la realtà. Vedremo come si comporterà…

Trottola: grazie per scrivere! Mi spiace per il nome… in quanto al resto, sono d’accordo con te. Anch’io Genzo lo adoro; rileggendomi non mi capacito di quanto lo abbia reso un pessimo elemento… un inetto di prima categoria. Ma avrà anche qualche qualità, … ( oltre a “parare due tiri”, spero!).

Veniamo al cap di oggi….

La scelta narrativa di fare un salto temporale così ampio è una delle prime idee che ho avuto quando ho pensato a questa storia. Per far sì che ci fosse una “risoluzione” ( negativa o positiva, questo non si sa) nel percorso interiore dei due personaggi, c’era bisogno di un confronto con un bambino già grandicello. Per come si è comportato Genzo fino ad ora, onestamente non credo che vedere un neonato potesse sconvolgergli la vita…. Magari per altri personaggi sì, ma non lui. Inoltre, come sempre, ho avuto l’impressione che una riconciliazione o una rottura definitiva immediatamente dopo la nascita di Taro, fosse abbastanza prevedibile e scontata. Infine, gli avvenimenti che determinano la trama, mi spuntano abbastanza da soli ( è un processo piuttosto irrazionale.. ) e la storia mi è venuta così.

E’ un taglio narrativo discutibile ( come tutte le scelte narrative d’altra parte) e probabilmente qualcuno ci rimarrà male. Come sempre, se qualcuno vorrà esprimere il proprio parere, sarò felice di leggerlo e di riflettere su critiche e consigli. Spero che proverete ad andare avanti nella lettura e spero di non aver deluso troppe persone….. alla prossima

 

 

 

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Capitolo 27
*** Due gocce d'acqua ***


 

Ciao! Grazie alle persone che hanno recensito e, che, in generale, mostrano sempre una grande disponibilità alla lettura. E grazie per aver ”capito” la mia scelta di fare questo salto nel tempo. Ringrazio moltissimo anche chi non scrive  recensioni, ma legge la storia e naturalmente, chi ha messo la ff tra le preferite e le seguite.

Ah…volevo anche dire che scrivere recensioni è una cosa bellissima, secondo me ( cioè io sono molto in difficoltà nel scriverle e sto cercando di imparare da quelle che ricevo., quindi da voi….) ed è abbastanza difficile. Non è affatto scontato. Virginia Woolf, ( un genio della scrittura, per me) ci scrisse anche un saggio sull’arte del recensire…. Trovo che questo sito sia stupendo anche per questo.

Giusyna: grazie mille per la tua rec, così accurata e dettagliata. M’interessa moltissimo sapere ciò che pensi e ti capisco quando dici che all’inizio ci sei rimasta un po’ male. E’ comprensibile e in parte me l’aspettavo: penso che fra molti lettori ci sia stata la stessa tua impressione iniziale. Ma sono contenta che poi, andando avanti, tu abbia trovato questa soluzione interessante. Adesso i 2 pers sono più maturi e i nodi della loro relazione/non-relazione vengono al pettine…..vediamo cosa succede!

FlaR: grazie infinite per avermi scritto e per approvare la scelta. Sulla famiglia Ozora avrai aggiornamenti subito in questo cap.! Ah… volevo anche dirti che ho già in testa un’altra storia ( anche se non ho scritto una parola, perchè sto finendo questa…. ), anzi, 2( sulla seconda vedi risp a Trottola) … alla fine vi stuferete tutte di me…. Va beh spero che ti faccia piacere cmq! Grazie

Miki87: ciao! Grazie mille per la tua rec ( voglio venire a lezione da te “di sintesi”! In due parole riesci ad esprimere molti concetti… mi piace molto come scrivi!va beh non che il mio parere conti granchè, però mi andava di dirtelo…)

Mareluna: cioè me la sono riletta diverse volte la tua rec, e tutte le volte mi viene da ridere…grazie! Hai un gran senso dell’umorismo! Grazie per i complimenti e per aver espresso stupore ( quando una storia ci stupisce, significa che c’è un briciolo di buono, il che  mi conforta!). Lo so che Genzo continua a suscitare emozioni contrastanti…. Riuscirà a stupirci?....

Purple: che dire…. Attraverso le tue poche parole, fai capire benissimo ciò che provi quando leggi….è una cosa stupenda per me che a mia volta ti leggo…grazie

Trottola: che bella recensione, cavolo! Lucida, analitica…Grazie! Ti ringrazio naturalmente per le cose positive che mi dici e per le osservazioni positive su Kumiko. Ah… te l’avevo scritto l’altra volta ma poi prima di mettere on line il cap l’ho cancellato ( perchè in fondo non so quanto te ne possa fregare...)…ma visto che alla fine mi dici che sei una mia "lettrice fedele", volevo dirti che in una delle tue prime rec, quando mi hai scritto che più che altro leggi storie yahoi ( si scrive così?..? non ho sotto la rec quindi non ti cito testualmente, ma il senso era questo, almeno credo), beh.. mi hai colpito e il giorno dopo mi è venuta in mente una storia sul genere ( la prima parte l'ho buttata già giù)Voglio provare a scriverla e se viene decente la pubblico. Se ciò succederà, sarà in parte grazie a quella rec.. quindi come vedete, su ciò che scrivete io rifletto parecchio...Tutto questo per dirti semplicemente"grazie". Riguardo all'incontro genzo/ taro, sì, nel cap è "rapido". Tendo molto a "vedere" le scene: mi rendo conto che a volte ho prorpio una visione quasi cinematografica della scena, il che, spesso la rende sintetica. Spero che nei prossimi cap però, lo sviluppo che ho dato, possa andare a riparare diciamo questa impressione che hai avuto.

Elisadi80: è sempre bello sentirti...grazie mille per trovare il modo di leggere e anche di recensire! Grazie per aver apprezzato il salto nel tempo e...no, tranquilla! taro vuole fare l'attaccante!grazie ancora!

Grazie a tutte e scusate se mi dilungo molto nel rispondervi. Spero che non dia troppo fastidio.

Vi lascio al cap.

______

 

Il tragitto verso l’hotel fu contraddistinto da un’atmosfera di profondo silenzio e imbarazzo. Fra i giocatori, ogni tanto si alzava qualche mormorio, ma nessuno parlava con il compagno di posto.

Genzo si era messo in fondo, da solo. Aveva messo le cuffie e faceva finta di ascoltare la musica. Ma non aveva acceso lo stereo: era assente, sconvolto.

Appena arrivarono, salì in camera, frugò con rabbia e ansia nella sua borsa, ne tirò fuori qualcosa e scese nella hall. Incontrò Tsubasa nel corridoio: si guardarono ma non si parlarono.

Quando Tsubasa entrò in stanza, vide la borsa di Genzo in disordine e prese posto sul letto. Digitò il numero di Sanae sperando che i bambini fossero ancora svegli.

“Pronto….” disse Michiko piagnucolando.

“Ciao piccola” disse Tsubasa.

Allora lei scoppiò a piangere sconsolata” Papà, Ryo mi tira i capelli!...e mi ha staccato la testa alla mia bambola….!”

Tsubasa alzò gli occhi al cielo.

“Passami Ryo che gli dico due parole…..dai non piangere….”

Allora Michiko fece cenno a Ryo, che se la rideva di gusto, di avvicinarsi al telefono.

“Ciao papà!Quando torni?”

“Torno domani…. …. Ryo….allora cos’è questa storia che tiri i capelli e rompi i giochi degli altri?”

“Ma guarda che lei prima mi aveva dato un pugno e ha sputato sul mio disegno!”

Tsubasa si grattò la testa.

“Beh…domani facciamo un bel discorso. Cercate di non litigare dai….”

“..Ok…” rispose Ryo, non molto convinto.

“Mi passi la mamma?”

“Mamma!!!!!!” gridò il bambino come se Sanae fosse all’altro capo del mondo.

Lei arrivò al telefono e cominciò ad accarezzare la testa di Ryo.

“Ciao” disse.

“Serata difficile, eh?” disse Tsubasa.

“Lascia perdere…” fece Sanae ridendo. Non era arrabbiata: era un po’ stanca, ma cercava di assecondare le litigate dei bambini con la sua dolcezza. E con la pazienza. Quando non c’era il capitano, era facile che si lasciassero andare di più e litigassero per qualsiasi cosa. Ormai Sanae ci aveva fatto l’abitudine.

“ Senti…è successa una cosa….”

Sanae smise subito di ridere.

“Ti sei fatto male?” chiese ansiosa.

“No…è Genzo che si è fatto male….ma non a giocare”

Sanae non capiva ovviamente.

“Dai Tsubasa…dimmi…cos’ha combinato….”

“Stasera ha visto il bambino. E’ stato….è stato un momento molto…forte…..lei è davvero forte….hai ragione.”

“Ma di cosa parli?..io non capisco….ma quale bambi….?” Nel momento in cui faceva la domanda, Sanae metteva insieme tutti gli elementi e risolveva l’equazione.

“Com’è successo?” chiese ancora più ansiosa.

Tsubasa le raccontò per filo e per segno quello che era accaduto e Sanae era rimasta concentrata su ogni parola.

“Chiama Kumiko….avrà bisogno di parlare con qualcuno, credo” le suggerì Tsubasa.

Si salutarono e appena Sanae riprese la linea, compose il numero di Kumiko.

Dovette aspettare un po’ prima che rispondesse.

“Pronto”

“Kumiko sono io” disse Sanae, molto agitata.

“Scusa, Taro è appena uscito dalla vasca; sono le dieci e ancora non sono riuscita a metterlo a letto. Questi nuovi allenamenti gli sconvolgono la vita…..” disse lei, ancora tutta confusa e soprattutto con Taro che cadeva dal sonno e doveva essere asciugato per bene.

“Mi ha chiamato Tsubasa”

A quel punto Kumiko capì che Sanae sapeva già tutto.

“Aspetta un momento” disse.

Appoggiò la cornetta e finì velocemente di mettere il pigiama a Taro poi lo accompagnò in camera e lo stese sul suo lettino. Il bambino si girò su un fianco e si addormentò subito. Era cotto.

“Ecco…scusa , ho messo a letto Taro, così posso parlare più liberamente. Come stai?” chiese, per rompere la tensione.

“Io? ….io….voglio sapere come stai tu? “

Kumiko si sentiva triste.

“Ma…così….non saprei dirti….vederlo è sempre scioccante per me, lo sai. Poi…beh..dovevi vederlo: era un blocco di tufo; sempre con quello sguardo così impenetrabile, inarrivabile….avrei voluto prenderlo da una parte e chiedergli che effetto gli faceva ritrovarsi di fronte suo figlio, così dall’oggi al domani…..io credo che neanche una bestia possa reagire in quel modo… con quella freddezza. Metà dei suoi compagni erano quasi commossi. Tsubasa era visibilmente emozionato. Invece lui…lui non mi sembrava più di tanto coinvolto.”

“Ma perché non mi hai detto di questi allenamenti con il Tokyo?Io lo sapevo che la nazionale sarebbe andata al centro sportivo…ti avrei avvisata!” disse Sanae.

“Perché non ne ho avuto il tempo! Sono tre giorni che non dormo e passo il pomeriggio in treno….cosa vuoi che vada a pensare! E poi non sapevo che il Tokyo fosse una società così importante e seria…vogliono che firmi un sacco di fogli per vincolare il bambino fino a giugno. Non ho capito molto; in pratica è come se glielo” vendessi”….è una cosa orribile da dire e da pensare. Ma quelli non mi danno pace, dicono che il bambino è bravissimo….”

“Anche Tsubasa me l’ha appena detto…..tuo figlio ha un gran talento, Kumiko!D’altra parte con due genitori come voi! Tu hai talento da vendere nel tuo campo e Genzo nel suo….”

“Avrei preferito che amasse cucinare, anziché correre dietro al pallone…ma, cosa posso farci? Taro non fa che pensare al calcio…tutto il resto viene dopo. Molto dopo!...”

“Già…dev’essere un male di famiglia….”

“Almeno tu puoi consolarti con Michiko! E poi…sicuramente farai altri figli… e speriamo che siano femmine! Io invece….ho solo lui….”

“No, no io di bambini non ne faccio più!Io con i bambini ho chiuso” disse Sanae ridendo.

“Certo… anch’io dicevo che con Wakabayashi avevo chiuso….poi invece hai visto com’è andata a finire? Ho generato il suo clone…e tutte le volte che lo guardo, mi sembra di vedere lui…..” Kumiko cercava di fare ironia, ma Sanae sapeva quanto avesse sofferto in tutti quegli anni e quanto ancora stesse soffrendo. Un’altra al posto suo, sarebbe caduta in depressione o avrebbe sposato per debolezza il primo che capitava. Invece lei, non si era venduta: non aveva ceduto a nessun compromesso. Aveva cresciuto il suo bambino con amore e dedizione; aveva continuato a lavorare e per lui aveva continuato ad alimentare il suo mondo segreto e specialissimo, pieno di storie, di fiori e di cose buone. Taro era molto felice ed era un bambino molto intelligente e simpatico.

“ Cosa devo fare? Secondo te devo firmare quei fogli?” le chiese

“Non lo so…io penso che se Taro è felice di fare quest’esperienza, almeno fino a  giugno potresti tentare. ……”

“Mi sembra ancora così piccolo…”

“Lo so, anche per me vedere Daibu e Hayate con la divisa del Barcellona, i primi tempi mi mandava fuori di testa. Poi piano piano, ho visto che loro erano felici e me ne sono fatta una ragione. Sai per i bambini è tutto più facile: per loro è un gioco. Loro non pensano che ci sia qualcosa dietro. E fin quando è così, è stupendo. “

“Hai ragione….ah.. cambiando argomento….ti ricordi che giorno è domani, non è vero?”

“Certo…è il primo giorno di primavera…è il compleanno di Taro!” disse Sanae

“Noi facciamo una piccola festa qui in pasticceria, come ogni anno. Ci saranno i miei dipendenti, gli amichetti di Taro e spero anche voi!”

“Certo? I bambini non vedono l’ora di incontrarvi!” disse Sanae.

“Ottimo..e questa volta, direi che potete venire al completo” disse Kumiko, intendendo che alla festa poteva andare anche Tsubasa.

“Davvero?”

“Beh…ormai non c’è più ragione che non veda Taro. Gli ho dovuto dire che è tuo marito perché non si spiegava come mai sapesse il mio nome…così, se a Tsubasa fa piacere, è il benvenuto”

“Stai scherzando, vero? Ne sarà felicissimo!”

“Allora sarà meglio che vada di sotto a fargli la torta con il cioccolato…è la sua preferita…!”

Scoppiarono a ridere e si diedero la buonanotte.

 

 

Nel frattempo Tsubasa era stato raggiunto da Taro e i due avevano deciso di scendere al bar per parlare con Genzo.

Il portiere era seduto su una poltroncina e sul tavolino c‘era un bicchiere di qualcosa, e una foto.

I due si avvicinarono e si sedettero. Ordinarono anche loro da bere e all’inizio non parlarono.

Nemmeno Taro, l’intellettuale, sapeva bene come rompere il silenzio.

Inaspettatamente fu Genzo a parlare.

“Quando hai detto che era bravo a giocare, beh ho alzato gli occhi su di lui e sapete cosa ho pensato?”

I due lo fissarono senza poter rispondere.

“Ho pensato” Io lui l’ho già visto….” E infatti…” disse indicando la foto sul tavolino ” eccolo lì….”

Tsubasa allora prese il piccolo riquadro in mano e dopo averlo osservato lo passò a Taro.

“Ma questo sei tu!” disse Taro…” ….sei…siete due gocce d’acqua….”

Genzo prese il bicchiere e bevve un po’. Non riusciva a capire se stesse provando qualcosa o se non sentisse niente.

“Adesso tutto sarà diverso….niente sarà più come prima…..” disse Tsubasa “Una volta che vedi tuo figlio, che lo vedi in carne ed ossa….tutto cambia….”

Genzo sapeva che aveva ragione. Fino a quel momento lui, sì, aveva saputo che questo bambino, c’era; ma non conosceva il suo nome; non sapeva come fosse fatto. Non aveva provato mai ad immaginarlo come qualcuno di veramente reale. Invece quella sera l’aveva incontrato. Ed era stato sconvolgente, anche se lui non era riuscito  a dire neanche una parola.

“Nonostante tutto, Kumiko deve averti veramente amato per avergli dato il mio nome” disse Taro .....“C’ero io quando vi siete visti quella volta. ….. Mi sa che vi siete fritti a vicenda……quel giorno”

Genzo non aveva nessuna voglia di ridere, e si spinse il berretto sulla testa.

“Quel giorno maledetto…..” disse lui.

“O benedetto……” disse Tsubasa “….dipende da come guardi le cose e dipende da cosa deciderai di fare, tu, Genzo. Continuerai a scappare?”

“Non lo vedi Tsubasa? Lui sta già pensando a come svignarsela….” disse Taro per provocarlo…”lui non sa fare altro……”

Taro si alzò e se ne andò. L’aveva detto volutamente per vedere come avrebbe reagito Genzo.

Ma il portiere era immobile, con lo sguardo fisso alla foto.

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Capitolo 28
*** Quando i fiori si risvegliano ***


Ciao a tutte! Come sempre infinitamente grazie per le tante visite ricevute e un grazie particolare ovviamente a chi ha tempo, voglia e modo di recensire!

Miki87: grazie per quello che scrivi ( e per come lo scrivi!)..Penso anch’io ( e non solo io, anche Tsubasa) che le parole di Misaki abbiano avuto il suo effetto… vediamo come procedono gli eventi….!

Giusyna: ciao! Grazie mille per aver recensito il cap. Direi proprio che Tsubasa, come affermi tu, pur restando semplice e un po’ “ingenuo” ( nel senso buono del termine), sta dimostrando quanto sia cresciuto e maturato. Una frase breve come quella che citi, racchiude però un forte messaggio. Ora sta a Genzo prendere coscienza della situazione…

FlaR: che dire….ormai mi mettevo a piangere leggendoti…. Quello che scrivi è un’analisi bellissima di Genzo e devo dire che io lo vedo esattamente come lo vedi tu. La tua percezione di lui si avvicina molto alla mia: l’ho reso così complesso, perché, un ragazzo che ha vissuto quello che ha vissuto lui, non può essere semplice. La ricchezza non ci rende migliori o più bravi e lui ne è la prova vivente. Ma sono molto affezionata a questo ps e spero che nei cap a venire ci sia modo di scoprire un lato nuovo di lui…. Ritorneremo forse tutte ad amarlo un po’ di più spero….. ma lui ha i suoi tempi…. Grazie mille per ciò che hai scritto, anche per le considerazioni finali….

Hitomichan: ciao! E’ sempre bello leggere le tue rec! Sono felice che questa Kumiko ti piaccia di più. E’ un pers che mi permette molta libertà e mi ci sto affezionando molto. E’ scura perché ha sofferto, ma con suo figlio è riuscita  ad ammorbidirsi. E’ passionale e non cede alle avversità della vita, come la sua adorata ginestra……Riguardo a Genzo, lo so che vi sta deludendo molto, ma per lui i sentimenti sono una roba grossa….chissà che il piccolo Taro non renda tutto un po’ più facile….grazie ancora!

Mareluna: grazie per amare questa storia! In questo cap troverai alcune delle risposte che cerchi. ….Spero di non essere stata banale. Ho cercato di rendere questo evento al meglio….

Reggina: Ciao! Sono contenta che anche tu abbia preso bene il salto nel tempo… mi serviva, per tutte le motivazioni che hai sottolineato! Riguardo all’orgoglio femminile…. Kumiko ha un grande problema: è cotta, stracotta di Genzo. E’ il genere di ragazza che si annienterebbe (in senso positivo) per la persona che ama, quindi per lei essere dura con lui è difficile. Ma è anche una persona che ha sofferto molto  e avrà modo di dimostrare ( credo) di essere cresciuta sotto certi aspetti.

Di nuovo grazie a tutte….è una parola che ripeto sempre e vorrei cambiarla, vorrei poterla scomporre in tutti i pensieri che vorrei mandarvi, ma non sono capace… solo quella parola resta…..

A presto

_____

 

Da quando era nato Taro, la pasticceria rimaneva chiusa il primo giorno di primavera. Kumiko puntualmente lavorava da sola tutta la notte per preparare i dolci per la festa di compleanno del suo bambino.

Quella notte, come ogni anno, fece la torta con la panna per Taro e la guarnì di rose. Era stata la torta di compleanno di Genzo, l’ultimo regalo che le aveva fatto sua madre, “il mezzo” attraverso cui gli eventi, nella loro storia, avevano portato al concepimento di quel bambino: era come se il destino avesse permesso attraverso quel semplice dolce che ci fosse un filo tra tutte le cose che  si erano susseguite e per questo Kumiko aveva fatto sì che continuasse ad essere parte della vita del piccolo Taro.

In seguito aveva preparato la torta al cioccolato per fare piacere al ragazzo che l’aveva salvata, Tsubasa, e che finalmente poteva riprendersi un posto nella sua vita; aveva fatto il dolce di loto, l’invenzione che aveva creato in onore della piccola Michiko e per Sanae avrebbe preparato le frittelle coi fiori. Il tavolo da lavoro era pieno di cose e la stanza profumava di zucchero e di sale.

 

 

I giocatori si salutarono nella hall dell’hotel: le amichevoli e gli impegni promozionali con la Nazionale erano terminati ed ora ognuno sarebbe tornato alla propria vita. Taro, Ryo e Tsubasa avevano fatto un’unica macchina e stavano per tornare a casa insieme. Genzo chiese se potevano dargli un passaggio: ormai non aveva alcun senso restare a Tokyo. Era stato Taro ad aver preso la macchina e quindi fu lui ad accompagnare a casa ciascuno dei compagni: prima Ryo, poi Tsubasa ed infine Genzo.

Di fronte ai cancelli di Villa Wakabayashi, Taro diede un’occhiata a Genzo mentre scendeva e prendeva la sua roba.

“Wakabayashi….ci sentiamo……” disse Taro.

“Si’…in bocca al lupo per il campionato” disse Genzo.

Taro gli fece un cenno con la mano e se ne andò.

Era da moltissimo tempo che non andava alla villa. Da sei anni appunto. Tutto dentro era perfetto; ogni cosa era al suo posto e la domestica aveva lucidato le porte e le finestre con precisione. Uscì in giardino e guardò i frangipani: ora gli sembravano bellissimi, perché gli ricordavano quell’ultima sera quando Kumiko ne aveva raccolto i semi e si erano detti addio.

“Dentro di lei c’era già il bambino e lei non lo sapeva…..” pensò.

Rivide alcuni momenti di lei. Risentì le cose che gli aveva detto a Barcellona quando lui voleva offrirgli dei soldi purché non tenesse il bambino. Non riusciva a capacitarsi di poter essere arrivato a tanto.

Non poteva stare da solo; più che altro, non poteva stare lì e allora tirò fuori la macchina dal garage e cominciò a guidare, come sempre senza meta.

Guidò avanti e indietro per tutta la mattina. Arrivò fino alla costa e si fermò un po’ a guardare il mare. Poi tornò indietro e senza accorgersene si ritrovò di fronte a casa di Tsubasa. Era lì che si connetteva con il mondo; era lì che c’erano le sue sicurezze.

Lo vide uscire con Michiko che gli teneva la mano e tutti gli altri che lo seguivano composti e felici. L’ultima ad uscire di casa fu Sanae.

Genzo scese dalla macchina e li salutò.

“Hey…” fece Sanae…” come stai?”

Genzo alzò le spalle come a dire “il solito”, ma Sanae poteva vedere bene che niente era come al solito e che era ancora sconvolto.

“Dove state andando di bello?” chiese ai gemelli, che nel frattempo gli erano andati incontro abbracciandolo.

“Andiamo al compleanno di Taro” disse Daibu.

Genzo lo guardò perplesso” Perché è oggi il compleanno di Misaki? Mi sembrava che fosse a giugno… e poi stamattina non ha detto niente…..” disse  ancora.

“Ma no! Noi andiamo al compleanno di Taro Sugimoto!”

A quel nome, Genzo s’irrigidì.

“Perché non vieni anche tu?” chiese Ryo che nel frattempo si era nascosto dietro il vestito di Sanae.

Tsubasa fissò il portiere e sorrise.

“Io?” chiese Genzo.

“Sì, sì vieni anche tu!” fecero i gemelli.

“ma….non credo che sia il caso….ma oggi è proprio il suo compleanno?” chiese come per avere conferma.

“Sì….è nato il 21 di marzo….il primo giorno di primavera…..” disse Sanae.

“….quando tutti i fiori si risvegliano….” disse Hayate guardando Daibu, perché quella era la frase che Kumiko ripeteva sempre al piccolo per addormentarlo e loro gliel’avevano sentito dire un’infinità di volte….

Sanae gli si avvicinò:” Forse è la tua occasione……avanti”

A quel punto Genzo allargò un po’ le braccia” beh…potrei anche venire…”

“Allora possiamo andare con lui, papà?”

“certo!” disse il capitano, felice che Genzo non stesse scappando. Forse le parole di Misaki avevano avuto un qualche effetto su di lui.

 

 

Arrivati alla pasticceria Tsubasa andò avanti con i bambini.

“Aspetta un attimo; vado a dire a Kumiko che ci sei” disse Sanae che era appositamente rimasta indietro con Genzo.

I bambini aprirono la porta e c’era già un po’ di gente, fra cui anche i loro nonni, i signori Nakazawa, e Taro rideva con tutti e aveva appoggiato su un tavolo i regali che aveva ricevuto. Quando vide Tsubasa, il piccolo, dopo un momento di imbarazzo, lo andò a salutare e poi cominciò a rincorrersi con i gemelli e con Ryo, mentre Michiko si guardava intorno cercando Kumiko.

La ragazza appena vide la bambina le andò incontrò e si accovacciò per stringerla e farle festa.

Salutò calorosamente Tsubasa e gli indicò la torta al cioccolato “L’ho fatta per te…” disse lei dolcemente.

Lui le sorrise e le accarezzò la testa.” E’ bello poterti rivedere…” le disse.

“Ecco Sanae!…” esclamò Kumiko vedendola entrare ”ma dov’eri finita?”

Le due si abbracciarono e Sanae la spinse verso un angolo in disparte.

“Senti..là fuori c’e’ Genzo…l’abbiamo incontrato mentre stavamo per venire qui. Lui…è qui per ….... può venire? Può entrare?” chiese con un po’ di imbarazzo.

Kumiko lo cercò con lo sguardo, scrutando dai vetri, ma non lo vide.

“Io non saprei.....” era l’ultima cosa che potesse aspettarsi e non sapeva cosa pensare ”….sì credo di sì…” disse con un po’ di esitazione.

“Brava” disse Sanae, mentre già era alla porta e gli faceva segno di entrare.

Genzo era molto teso e gli girava un po’ la testa dall’agitazione.

Entrò e non vide nulla; c’era gente e tanti bambini, quindi non riuscì a vederlo subito.

“Ciao Genzo” si sentì dire da dietro. Lui si girò e vide il piccolo Taro passare mentre correva con altri bambini.

“Ciao…..” disse lui, con la voce impastata e un po’ insicura.

Kumiko lo stava osservando e ora non sembrava più un blocco di tufo, come al refettorio. Si vedeva che era emozionato e a disagio.  Restò vicino alla porta del laboratorio per osservarlo meglio e vedeva come continuamente con gli occhi seguisse Taro e cercasse di scrutarlo meglio che poteva, come se volesse imprimerselo bene in testa.

Per un momento le venne quasi da piangere perché faceva tenerezza; poi però fu richiamata da qualcuno e  fece finta di niente. Genzo non l’aveva neanche guardata per un attimo e ci rimase male. Pensò che avrebbe almeno potuto provare ad essere carino con lei e almeno avesse potuto salutarla; ma Genzo era in apnea, era evidente.

Tutti presero posto alla tavola centrale che era tutta apparecchiata e c’erano delle belle decorazioni colorate. Genzo era rimasto un po’ più indietro e sembrava imbambolato, tanto che non erano rimaste più sedie.

Sanae fece per alzarsi e cedergli la sua, ma in quel momento Kumiko, che era seduta a capotavola con il bambino, attirò l’ attenzione.

“Vieni Genzo….puoi sederti qui, se vuoi… vicino a Taro….. tanto io faccio avanti e indietro…non ho bisogno di sedermi” disse tutto d’un fiato e un po’ rossa in faccia.

Era il suo modo per dirgli che se voleva una possibilità con suo figlio lei gliela stava offrendo. Era l’ennesimo gesto d’amore verso l’unico ragazzo che avesse mai amato.

“Sì sì Genzo vieni vicino a me?” chiese Taro tutto felice.

Genzo era rimasto a fissare Kumiko e aveva gli occhi quasi lucidi dall’emozione.

“….sei sicura? Non ti dispiace?” fece lui.

Kumiko accennò un sorriso e scosse la testa.

Allora Genzo si avvicinò e prese posto. Dopo neanche un minuto Taro, che non sapeva proprio stare fermo, gli era già finito in braccio.

Kumiko e Sanae si diedero un’occhiata d’intesa e si scambiarono le loro emozioni.

Genzo dopo i primi minuti d’imbarazzo, cominciò a prendere confidenza con quel corpicino morbido e fresco. Mentre lui parlava con un suo amichetto, gli venne naturale fargli una carezza sulla testa.

“Taro….” disse” mi dispiace io non ti ho fatto nessun regalo…..”

Taro lo guardò tutto felice” ma non fa niente…..” e lo abbracciò come per rincuorarlo.

Anche Tsubasa, nel vederli così vicini, si sentiva scosso dentro e gli veniva quasi da commuoversi. Sanae si avvicinò al capitano e si tennero la mano per un po’.

Mangiarono e brindarono più volte, mentre i bambini aiutavano Taro ad aprire i regali e si muovevano per tutta la pasticceria, giocando e cantando.

Verso il tramonto, Kumiko mise in tavola la torta vera e propria e Ikeda portò due bottiglie di champagne francese. Per le occasioni speciali, infatti, Kumiko, non si negava mai i vini o gli spumanti migliori.

Genzo osservò la torta che era proprio di fronte a lui: Kumiko gli era passata davanti per appoggiarla sul tavolo e con un fianco e le costole gli aveva sfiorato una spalla. Sentì tutto in una volta il suo profumo di buono e quella freschezza, quella verità che Kumiko aveva sempre con sé e Genzo ebbe la tentazione di prenderle un braccio per dirle “resta”. Era confuso e tanti ricordi, ricordi legati a lei, al suo corpo, a sua madre, a quella notte, ritornavano a galla come a galla erano le rose sulla torta bianchissima.

Ripensò all’amore che c’era stato fra loro due e in quel momento niente gli sembrò più vero: era stato imperfetto, come tutte le cose della vita, come la terra e la radice, ma era stato autentico. La verità del loro amore si era come rovesciata sulla crosta terrestre e aveva generato Taro e , adesso, per Genzo, non c’era niente, niente che potesse anche solo lontanamente avvicinarsi all’idea di bellezza e pienezza che percepiva guardando suo figlio.

Si strofinò gli occhi prima che qualcuno potesse accorgersi delle sue emozioni e Kumiko chiamò Taro.

Il piccolo tornò in braccio a Genzo per soffiare sulle candeline , mentre tutti gli invitati cantavano “Buon Compleanno”.

Taro abbracciò Genzo e poi cercò la sua mamma che lo prese su di sé e lo riempì di baci mentre gli parlava e gli diceva tante cose che gli altri non potevano sentire.

“Sei dentro il mio cuore….” disse infine ad alta voce Kumiko….” Come i fiori che si risvegliano in questo giorno di primavera….”

Taro si nascose la faccia sul petto di Kumiko mentre Daibu e Hayate ridevano e andarono anche loro ad abbracciare la loro mamma, perché quel genere di frasi faceva parte un po’ della loro memoria e del loro mondo esclusivo e perfetto.

Sanae allora chiamò anche gli altri suoi bambini e li baciò teneramente, mentre fissava Kumiko e cercava di dirle con gli occhi ciò che attraverso le parole non sarebbe mai riuscita ad esprimere: affetto, gratitudine, amore, gioia. E un senso di “abbandono” alla natura, alla terra che da sempre la teneva legata alle persone importanti della sua vita.

 

 

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Capitolo 29
*** Prima di partire ***


Ciao!Sono felicissima perchè soprattutto attraverso i commenti delle ragazze che scrivono recensioni, percepisco sempre molto “coinvolgimento”: significa che vi appassionate alla storia e quindi che c’è qualcosa di buono. Anche quando qualcuno fa delle osservazioni, questo è sempre sintomo di una riflessione e di un pensiero profondo dopo aver letto con attenzione e anche questo mi fa molto piacere. Ho letto le vostre rec di ieri e vi ringrazio tantissimo! Grazie FlaR, Mareluna, Purple, Giusyna, Sanae78, Miki87, Sany e Elisadi80 : oggi a voi rispondo “in coro” perché sento che i vostri commenti al cap sono sulla stessa "lunghezza d’onda" ( anche se come sempre ognuna di voi lo esprime nel suo modo particolare e speciale) e non farei che ripetere a ciascuna gli stessi concetti, annoiandovi e facendovi perdere tempo…. Sono felice che vi siate emozionate. Io mi emoziono di continuo pensando a questa storia… e soprattutto mi emoziono mentre la scrivo…e la sogno. Quindi sapere che un po’ di questo coinvolgimento emotivo vi raggiunge , non può che rendermi felice…grazie di cuore. Do un po’ più di spazio a Makiolina perché era qualche giorno che non scriveva e a Trottola per la sua rec diciamo un po’ meno favorevole rispetto alle vostre; leggo sempre ogni commento con scrupolo ma credo che sia doveroso ( almeno per me, per come sono stata educata) “non scappare” di fronte agli appunti negativi, ma cercare di ascoltare, elaborare e spiegare ( per quanto mi è possibile).

Makiolina: mi stavo preoccupando….sai che anche se non ti piace qualcosa, io ci tengo a saperlo…..Grazie tanto quindi per avermi scritto. Riguardo alla scena del refettorio, le tue osservazioni “logistiche”, sono assolutamente ragionevoli e plausibili. Beh le due opzioni che dai possono anche convivere insieme: i giocatori sono ad un tavolo vicino e Kumiko e l’allenatore con Taro parlano forte e si agitano un po’ ( dove c’è un bambino come ho immaginato Taro, c’è sempre caos…!), infatti ad un certo punto l’allenatore si accorge che stanno “dando spettacolo”; direi che quindi la tua analisi è azzeccata .Kumiko è sempre un po’ nel suo mondo: difficile che abbia una percezione razionale e reale di quello che le è intorno…..Come sempre puo’ piacere o meno. E’ una specie di “coup de theatre”, quindi posso capire se qualcuno ci sente un po’ di forzatura, anche se io ho cercato di prepararlo bene e di renderlo il più naturale possibile. Per la frase che dice  Kumiko a Taro, immaginavo che non ti potesse piacere… io più che dolce la trovo “poetica”( che nel mio mondo sono 2 concetti totalmente distinti), ma capisco che a qualcuno questo tipo di frasi possa non piacere…ormai i ps a questo punto sono ben definiti e naturalmente anche il loro modo di esprimersi. Grazie di cuore per aver scritto!

Trottola: intanto grazie per la tua recensione. L’ho letta stamattina prima di cominciare a lavorare e lì per lì, non ti nascondo che un po’ ci sono rimasta male…d’altra parte come posso pensare di piacere a tutti? Mi sto sempre più rendendo conto di quanto sia fortunata già ad avere tutte voi che mi scrivete e vi sono molto grata. E’ normale che i complimenti fanno sempre piacere mentre le critiche a volte, anche se ben scritte e costruttive, possono “far male”. Ma io ci tengo davvero molto ad ascoltarvi, per me il lettore è tutto. Senza un lettore una storia è quasi come se non esistesse e voglio cercare di migliorarmi proprio attraverso il lettore. Le vostre ( di tutte coloro che scrivono) percezioni hanno un effetto su di me e cerco di ragionarci il più possibile. Detto questo, non voglio giustificarmi per come scrivo e per come sta andando la storia: sarebbe patetico e ingiusto, perché alla fine, quello che conta è l’impatto che ha su di voi. Vorrei però tentare di spiegarti alcune scelte narrative, giusto per farti capire come ci sono arrivata: quello che leggiamo è percepito da noi in base a ciò che viviamo,ciò che conosciamo, ciò che sentiamo. Questo stesso cap che per te non è convincente, per FlaR (tanto per fare un esempio e scusa FlaR se ti sto citando) è il “migliore che abbia scritto”. Questo prima di tutto è stupendo perché ci fa capire quanto siamo unici e speciali e quanto la stessa cosa può sembrare diversa su di noi. Allo stesso modo,tu per esempio, lavorando con i bambini hai una concezione di loro, sicuramente molto più profonda di come posso averla io e questo ti porta a vedere Taro e gli altri bimbi della storia, come fatti di plastica, irreali. Io mi sono basata sulle mie ( poche) esperienze personali e sul concetto di fondo che ho dato alla storia e cioè: i bambini qui hanno un ruolo “salvifico”. Salvano i grandi. Li aiutano ad essere migliori. Taro non finisce in braccio a Genzo perché “gli vuole bene”, ma semplicemente perché è un bimbo affettuoso che non sta mai fermo e Genzo, per lui, è un mito, è il portiere della Nazionale, non è un estraneo.Il bimbo si muove con istinto. Un po’ come Kumiko, che, cede il suo posto al portiere,perché lo ama. E’ completamente irrazionale, se vuoi. E un’altra al posto suo, non gli avrebbe dato la possibilità neanche di entrare e partecipare alla festa. Però lei sì. Con questo non voglio assolutamente difendere né kumiko nè gli altri, ripeto. Probabilmente se la stessa scena l’avessi scritta tu,avresti dato un tono più realistico e meno “sognante”. L’avresti senz’altro scritta meglio, dal tuo punto di vista. Io ho cercato di seguire la traccia che ho in testa al meglio e nel mio intento non c’era affatto quest’idea del” buttare via”: mi dispiace se stai continuando a percepire questo e spero che nei pross. cap tu possa trovare meno questa sensazione. Spero che mi terrai aggiornata… su cosa ne pensi andando avanti. Ti ringrazio tantissimo e spero che sempre tutte coloro che scrivono lo facciano in assoluta libertà e sincerità. Per me è importante.

Scusate tantissimo se quando mi metto a parlare di scrittura, finisce sempre così…che non mi so regolare ….. ( va beh.. il lettore può sempre saltare a andare al cap!..).

Grazie infinite anche a tutte le persone che leggono semplicemente.

P.S. Causa impegni di lavoro, può darsi che nei prossimi giorni pubblichi un po' più tardi. Cerco comunque di mettere on line un cap al giorno...scusate sin da ora.

A presto

 

_____

Continuarono a festeggiare fino a tardi. Molti se ne andarono ma gli affetti più cari restarono. Michiko era crollata e Sanae l’aveva portata di sopra in camera di Kumiko, dove anche Ryo si era addormentato già da un po’.

I gemelli con Tsubasa uscirono fuori a giocare a pallone insieme a Genzo e Taro, mentre Sanae e Kumiko erano rimaste a ballare e a bere Champagne in mezzo alla pasticceria. Si tenevano per mano e seguivano la musica, senza vergognarsi di niente, perché l’alcool aveva cancellato qualsiasi accenno di pudore. Erano donne, ma in fondo, dentro di loro c’erano ancora due ragazze che sapevano sognare e volevano essere felici a tutti i costi.

Solo verso  le undici, Tsubasa rientrò e attirò  Sanae a sè per ballare con lei mentre Hayate e Daibu ridevano e si vergognavano un po’; anche Genzo rientrò con Taro in braccio che era tutto sudato e aveva gli occhi pieni di sonno.

Kumiko allora lo prese e lo portò di sopra: proprio mentre era a metà della scala si rese conto che Genzo aveva gli occhi fissi su di lei e a quel punto si girò per fargli capire che poteva salire anche lui.

Gli fece strada e Genzo entrò dopo di lei nella cameretta di Taro: era una stanza piccola ma molto bella, con le pareti colorate e tanti giochi ovunque. Kumiko spogliò il bimbo e cercò di infilargli il pigiama dopo avergli asciugato la sudata del collo. Lo stese sul letto senza che lui si risvegliasse: era troppo stanco. Gli diede un bacio e indietreggiò per affiancare Genzo.

Il portiere era rimasto immobile ad osservare la sequenza dei gesti con cui Kumiko aveva messo a letto il bambino: era rimasto folgorato dalla cura e dolcezza con cui toccava il piccolo e più lo guardava più ci si riconosceva come se sentisse che fosse suo.

“Non ho mai visto niente di simile….” disse ad alta voce.

“Non ho mai sentito quello che sto sentendo ora….” disse ancora….

Kumiko non lo guardò; gli rimase accanto e poteva sentire il suo odore, e riconosceva tutte le emozioni che tante volte aveva provato quando aveva avuto la possibilità di stargli accanto.

“Non abbiamo solo fatto cose brutte….abbiamo fatto anche qualcosa di buono, non credi?” chiese lei, per sentire che cosa mai potesse risponderle.

Genzo era paralizzato. Totalmente incapace di gestire quel momento. La testa gli scoppiava. Riuscì solo a guardarla per un momento e fu uno sguardo vivo, intenso.

Poi scese di sotto e se ne andò.

Diede un’occhiata a Sanae e Tsubasa.

“Ciao ometti, ci vediamo domani in aeroporto” disse salutando i gemelli cercando di nascondere le sue emozioni.

Sanae si precipitò di sopra.

Kumiko non si era mossa e il volto era distrutto: come doveva interpretare la reazione di Genzo? Si sentì umiliata, ancora una volta. Si sentì brutta e pensò al suo bambino che non aveva alcuna colpa e forse meritava un padre migliore.

“Cosa ti ha detto?” disse Sanae.

“Niente…..come sempre….è rimasto impalato..qui. Scapperà di nuovo: un figlio è una cosa troppo grande….lui non…. “ disse Kumiko senza nemmeno poter finire la frase.

“E’ già qualcosa che sia venuto alla festa, Kumiko” disse Tsubasa che nel frattempo aveva raggiunto le ragazze di sopra.

“Credimi” continuò….”per lui è davvero dura gestire queste cose….”

“certo…invece per me crescere il bambino da sola, come un cane, è stato facile …”

“No…certo…sai cosa intendo…. Dai Kumiko…..”

“Voi siete troppo coinvolti…non riuscite a dare un giudizio imparziale sui nostri comportamenti. Non riuscite a non farvi condizionare dal bene che ci volete, sia a me che a Genzo…io questo lo capisco….ma Tsubasa, è inutile: noi sappiamo solo farci male….spero solo che Taro sia felice. Solo questo chiedo alla vita….non voglio che soffra….non voglio….”

Sanae l’abbracciò e cercò di consolarla, come aveva fatto tante volte.

Quella stessa notte si dovettero di nuovo dire “addio” perché al mattino Tsubasa, Sanae e i bambini sarebbero ripartiti per la Spagna: il campionato sarebbe ricominciato dopo qualche giorno infatti.

“Parte anche Genzo quindi?” chiese Kumiko.

“Già….è un peccato che vi siate salutati così…..” disse Tsubasa.

“Ci salutiamo nell’unico modo che conosciamo…noi siamo così…maledetti e imperfetti….” disse Kumiko sconsolata e piena di amarezza.

“Lo sai che non è vero…dai, forza….”

“Tornerete a giugno?” chiese Kumiko.

“certo….” disse Sanae tenendole la mano.

Si salutarono con affetto e Kumiko parlò ai bambini e li accarezzò come se fossero figli suoi. Ora anche lei era madre e sapeva accarezzare con un altro tocco.

Rientrando, diede un’occhiata ai resti della torta sui piatti e provò la solita fitta dentro, come se si potesse rompere qualcosa, da un momento all’altro.

 

All’aeroporto, Tsubasa seduto con Ryo in braccio in attesa di imbarcarsi, dava ogni tanto uno sguardo all’entrata al gate per vedere se riusciva ad individuare Genzo: di solito erano loro ad essere in ritardo e non il contrario.

Dopo qualche minuto, era ora di salire in aereo e Sanae e Tsubasa si guardavano perplessi.

“Ma dov’è Genzo?” chiese Daibu.

In quel momento suonò il cellulare a Tsubasa. Era lui.

“Dove sei? Guarda che noi stiamo salendo sull’aereo…”

“Ho delle cose da fare…prendo il prossimo volo….quello che parte all’una del pomeriggio”

“ma così arriverai tardi a Barcellona! Il Mister è stato categorico….dobbiamo essere puntuali all’allenamento…. Verrai multato!”

“Te l’ho detto, Tsubasa… devo fare delle cose….”

“Fai come vuoi….cosa dico?”

“Ho già avvertito la società….non preoccuparti”

“Ma devo stare tranquillo?” chiese Tsubasa

“Tranquillissimo….ci vediamo tra un bel po’ di ore dai….saluta tutti” e Genzo riattaccò.

 

 

Davanti alla pasticceria, Genzo notò un bambino che palleggiava e sembrava aspettare qualcuno.

“Ciao…” fece il piccolo. Era sabato, quindi i bambini non erano a scuola.

“Ciao…” rispose Genzo.

“scusa…se vai dentro.. puoi dire a Taro che io è già da un pezzo che lo sto aspettando?”

Genzo sorrise..”certo…”

Entrò e vide che c’era un po’ di gente, ma il suo sguardo fu subito rapito dal suo bambino: era inginocchiato su una sedia, ad un tavolo vicino alla porta del laboratorio e disegnava su un foglio. Davanti a lui c’era un bel bicchiere di latte e un piatto con quattro biscotti di numero.

Genzo si avvicinò.

“Ciao Taro” disse con timidezza.

“Ciao” rispose il bambino con aria molto triste.

“Là fuori c’e’ un tuo amico che ti sta aspettando da un po’….mi ha detto di dirtelo.”

Taro allora si girò e guardò verso i vetri per vedere se riusciva ad individuarlo.

“Io…sono in punizione…non ci posso andare fuori…”

Genzo lo fissò stupito.

“Sei in punizione? E come mai?”

“La mamma ha detto che non posso alzarmi fino a che non ho fatto colazione….ma io….io non ..non ho fame”

Genzo osservò la colazione e si mise a sedere. Anche lui non mangiava quasi mai al mattino.  Lui mangiava giusto per reggersi in piedi. Non sapeva cosa dire. Non sapeva che fare. Fosse stato per lui, gliel’avrebbe dato subito il permesso di uscire….

“Sai anch’io non è che mangio tanto….ma oggi torno a Barcellona e dovrò allenarmi, quindi forse dovrei fare colazione…..cosa ne pensi?”

Taro lo guardò e alzò le spalle.

“Non vorrei che l’allenatore mettesse in punizione anche me…forse dovrei mangiare di più”

“Perché l’allenatore ti sgrida anche se sei grande?” chiese allora Taro un po’ più interessato.

“Scherzi? Quando mangiamo tutti insieme, passa ad uno ad uno per vedere se lasciamo il cibo nel piatto o no….”

Taro allora smise di disegnare.

“Ma come? Fa come la mamma?” chiese ancora.

“Eh sì…fa come la mamma. Allora cosa dici? Ti dispiace se faccio colazione con te?”

“Ma io…mi viene da vomitare….”

Anche a Genzo. Al pensiero di dover bere tutto quel latte e di ingoiare quei quattro biscotti, si sentiva male. Ma si voleva sforzare.

“Dai che se ci facciamo compagnia, forse, ce la facciamo…”

“Boh…proviamo…..” disse Taro.

Allora Genzo chiamò il cameriere e chiese che gli fosse portato lo stesso che aveva Taro.

Lui lo guardò in modo un po’ strano ma dopo poco fu di ritorno con ciò che aveva ordinato.

I due cominciarono a guardarsi e a ridere , mentre prendevano un sorso di latte o davano un morso ad un biscotto.

“Non mi va per niente….” disse Taro.

“neanche a me…” e giù a ridere.

Ikeda entrò un attimo in pasticceria per portare un dolce e vide padre e figlio che mangiavano  e parlavano. Come un qualsiasi padre e un qualsiasi figlio. Tornò subito in laboratorio.

“Tuo figlio sta mangiando….”

“Come no… certo… lui che fa colazione …..starà sciupando i biscotti come sempre…” disse Kumiko mentre rompeva delle uova in mezzo alla farina setacciata.

“Sta mangiando con suo padre….credo che dovresti dare un’occhiata….” disse ancora.

Kumiko allora si fermò e, incredula, si accostò alla porta aprendo giusto quel tanto per sbirciare fuori.

Erano davvero insieme: Taro e Genzo. E stavano mangiando sul serio.

Sembravano felici. Genzo sembrava felice.

Ebbe la tentazione di andare da loro, ma non lo fece. Era rimasta troppo male per come se n’era andato la sera prima e non era dell’umore giusto.

Intanto Taro aveva finito.

“Bravo….” disse Genzo.

“Allora adesso mi posso alzare?”

“Credo di sì.. vallo a chiedere a tua madre…anzi..me la chiami? Le devo parlare”

Taro corse dentro il laboratorio.

“Mamma mamma! Ho mangiato tutto: posso andare fuori?”

Kumiko si accovacciò per baciarlo e per pulirgli la bocca.

“Sì ma non ti allontanare dal piazzale dell’entrata”

“Ciao….”disse correndo…” ah puoi andare da Genzo? Ti cerca…”

 

Kumiko si alzò e andò di là.

Si sedette al posto di Taro: ora erano uno di fronte all’altra.

“ciao” disse lui, fissandola e guardando il bel volto, le ciglia, la bocca stupenda.

Kumiko si sentiva a disagio e  in disordine.

“Come hai fatto a convincerlo a mangiare?” chiese lei.

Genzo sorrise…” ma niente…gli ho detto che anche a me non piace molto mangiare….. e poi gli ho chiesto se potevamo fare colazione insieme”

Kumiko si guardò le mani e si accorse di quanto fosse agitata.

“Scusa se ieri sera sono andato via così…” disse lui.

“Ci sono abituata. E’ l’unica cosa che mi aspetto da te. Solo che invece ogni volta mi illudo che forse sei cambiato e sei diventato gentile….ma con me le persone sono sempre uguali a loro stesse….dipenderà da me, evidentemente….”

“Tu non sei cambiata….sei sempre pungente e aggressiva…..e…”

“Avanti…avanti forza…dille tutte le cose che vuoi dire…”

Genzo sorrise: più la guardava e più gli sembrava di sentirsi a casa. Non gli sembrava più un’estranea.

“….niente….”

Kumiko di nuovo si ritrovò sospesa, senza uno straccio di parola buona, senza un discorso che potesse essere chiuso. Con Genzo era come perdere l’equilibrio.

“Vorrei chiederti un cosa….”

“Dimmi…”

“Se sei d’accordo io vorrei chiamare il bambino ogni tanto…..così solo per sentire la sua voce e sapere come sta …..”

Lei aveva ascoltato e il cuore batteva veloce perché capiva che finalmente forse qualcosa stava cambiando : quel ragazzo così lontano, forse ora aveva voglia di provare ad amare qualcuno.

“Certo …non c’è problema…” disse lei.

“Grazie….allora….beh….. mi dai il tuo numero?…..perchè abbiamo fatto un figlio insieme, ma io il tuo numero di cellulare non ce l’ho….e non credo tu abbia il mio….” disse un po’ imbarazzato.

Lei arrossì, prese un blocchetto dalla tasca del grembiule e una matita tutta mangiucchiata.

Scrisse i numeri della pasticceria e il suo cellulare su un pezzo di foglio. Glielo lasciò sul tavolo e si alzò.

Si alzò anche lui e fece per andarsene.

“Genzo….” disse ancora lei.

“Sì?”

“Cosa devo fare? Firmo o no per la squadra di Taro fino a giugno.?”

Lui la fissò molto intensamente e poi si mise le mani in tasca.

“Sì….purchè sia vincolato fino a giugno…....dopo...…dopo si vedrà….” Fece lui, accennando un sorriso.

Lei non capì cosa avesse voluto dire, ma pensò che a questo punto Genzo non avrebbe mai fatto del male al bambino, quindi decise che avrebbe firmato.

 

Una volta fuori, si fermò un attimo a guardare Taro ed il suo amico che giocavano a calcio nel piazzale.

Taro, vedendolo, si fermò.

“Io…vado…devo tornare a Barcellona…” disse Genzo.

“Ciao!” disse Taro, come se niente fosse.

Genzo avrebbe voluto stringerlo a sé, abbracciarlo e dirgli che gli voleva bene. Ma non poteva. Ancora non poteva.

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Capitolo 30
*** Sei proprio tu? ***


Ciao a tutte! Grazie infinite come sempre per le vostre recensioni ( P.S. scusate se ieri ad alcune ho risposto in gruppo… spero non l’abbiate trovato di cattivo gusto…). Grazie anche a tutte le persone che stanno seguendo la storia e l’hanno messa fra le loro preferite e seguite!

Sanae78: grazie infinite per tutto quello che mi hai scritto e per il tempo che hai dedicato a recensire questi capitoli. Si’… il piccolo Taro ha un ruolo molo importante.. vedremo cosa succederà…

Giusyna: la tua recensione è stupenda; ti ringrazio veramente di cuore. Non solo perché mi fai i complimenti, ma per la profondità con cui li motivi e spieghi il tuo pensiero, oltre che i dettagli che hai sottolineato. Io ci sto molto attenta: potrei dire che non c’è una sola parola a caso… e se qualcuno lo percepisce, non può che rendermi felice… grazie

Miki87:Divertente la definizione di Genzo!....grazie mille per scrivere, per trovare sempre un modo così ironico e acuto di esprimere la tua reazione al cap…e ..sono felice che ti sei immaginata le scene!

Makiolina: semplicemente grazie….( non so come prenderai il cap di stasera – uno dei più difficili per me da scrivere….)

Hikarisan: uhelà…! Bentornata! No a parte gli scherzi.. speravo che prima o poi mi mandassi anche solo una riga …ti ringrazio moltissimo per continuare a leggere. So bene che siete tutte super impegnate e so che il tempo è sempre poco quindi la tua rec mi fa ancora più piacere!

Marychan82: Ciao.. grazie per la tua rec! Sono contentissima che la storia ti stia piacendo e mi ha fatto piacere leggere tute le tue osservazioni! Spero continuerai a leggere!

Vi lascio al cap che è abbastanza lungo e articolato.. spero non ci siano errori di battitura...vado un po' di fretta e lo rileggo solo una volta...se ce ne sono, scusatemi sin da ora...

A presto….

_____

 

Fu così che quasi ogni giorno Genzo chiamava in Giappone e parlava al piccolo Taro.

Quando sapeva che il bambino non aveva gli allenamenti, Genzo puntava la sveglia alle 8 del mattino così che potessero parlare mentre in Giappone era pomeriggio. Se invece era lui ad avere gli allenamenti, provava fra una  sua pausa e l’altra. Stavano al telefono e parlavano più che altro di pallone e facevano battute; Kumiko sentiva Taro ridere e scherzare e sempre di più si chiedeva come potesse scatenare in Genzo tutta questa gioia. L’impatto che il bambino aveva sul portiere era incredibile.

Ogni tanto Genzo parlava anche a lei ma tra loro più che le parole passavano delle pause di silenzio: erano attimi intensissimi, in cui sia lui che lei cercavano di trovare una frase qualsiasi, un accenno di rumore a cui aggrapparsi, tanti erano i pensieri che offuscavano le loro menti. Kumiko restava in attesa di un cenno, di una gentilezza da parte del portiere; Genzo, appena percepiva il suo respiro, perdeva il controllo e, nella paura di dire qualcosa di troppo, finiva col non dire niente.

Nel frattempo Taro era stato inserito nella squadra del Tokyo e aveva cominciato a giocare: gli era stata assegnata la maglia numero 10 ed era sempre più bravo; più passava il tempo più lui sembrava spensierato e felice ed era questo che dava forza a Kumiko. A se stessa, al suo amore per Genzo cercava in tutti i modi di non pensare.

 

A Genzo il tempo non passava mai. Fu la prima volta che egoisticamente sperò con tutto il cuore di uscire dalla Champions per poter tornare in Giappone appena fosse finita la Liga. E questa volta il destino fu dalla sua parte.

Vinsero il campionato ma non riuscirono ad accedere alla fase finale della Champions così, i calciatori alla fine di maggio furono liberi di andare in vacanza. Sanae e Tsubasa, prima di andare in Giappone, decisero di passare un po’ di tempo a Miami, nella casa che avevano ricevuto in eredità dalla Signora Wakabayashi. Chiesero anche a Genzo se volesse andare con loro, ma lui scelse invece di tornare subito a casa.

In tutto quel tempo, dopo aver conosciuto suo figlio, aveva riflettuto a lungo ed ora vedeva chiaramente i suoi sbagli: capiva perfettamente i momenti in cui la paura lo aveva paralizzato  e riconosceva nitidamente tutti i frangenti in cui avrebbe dovuto comportarsi diversamente.

Adesso era tempo di mettere a posto le cose. Era tempo di vivere davvero.

 

Appena uscì dall’aeroporto, si fece accompagnare alla pasticceria. Non chiudeva occhio da diversi giorni per via della tensione e dell’agitazione.

Una volta entrato vide Ikeda e lo salutò.

“Hey… come va? Bentornato” gli disse il ragazzo, con un po’ di diffidenza.

“Ciao… bene…. C’è Kumiko?”

“Sì, è di sopra con il commercialista. Vai pure” gli disse.

Genzo salì con foga le scale e attraversò il corridoio. La stanza era aperta e sentì una voce di uomo, così pensò di aspettare ad entrare.

“……è tutto a posto. Le tasse sono state versate e al momento è tutto in ordine. Se per caso hai qualche domanda, puoi chiamare la mia segretaria”

“No, è tutto chiaro. Sono contenta che stia andando tutto bene. ….”

“Vieni a cena con me stasera?” disse la voce maschile.

Kumiko rimase in silenzio.

“No…..”

“Cosa devo fare per portarti fuori?”

“Niente….io non esco con nessuno, lo sai, è inutile che ci provi…”

“… hai fatto voto di castità eterna?” chiese l’uomo ironicamente.

“ Non sono fatti tuoi…..”

“Kumiko, senti sei così giovane….il fatto che tu abbia avuto un figlio non può precluderti ad avere una storia con qualcuno…. Cioè da quant’è che non esci? Dopo la nascita di Taro ti sei vista con qualcuno? Dimmi la verità?”

“Sono cose che non ti riguardano….non mi serve un uomo….. non lo voglio…. Io non sono fatta per stare con qualcuno………”

“Non ti ho mica chiesto di sposarmi! Accidenti…. “ disse lui un po’ risentito.

“Ma mi stai chiedendo di uscire per cosa? Per finire a letto con te? No? A che scopo?....Io…non posso fare sesso con te…con nessuno…..io…io dentro sono stata come “interrotta”. Credimi… è meglio che tu mi stia lontano…”

“Guarda che io non mi arrendo facilmente….”

“Me ne sono accorta….tutte le volte che vieni è la solita storia!” disse lei quasi ridendo.

“Prima o poi vuoi vedere che cedi?”

“Cercati una brava ragazza e fatti una bella famiglia….sii felice…..e…stammi alla larga…. Io porto guai!”

L’uomo si alzò.

“Però sei così bella…. “ disse ancora.

“ma smetti! Io non sono bella per niente!” disse Kumiko cercando di sdrammatizzare.

“Allora ciao….”

“ciao….”

L’uomo, una volta fuori, si ritrovò di fronte Genzo.

Il portiere, che aveva sentito tutto, gli fece cenno con il dito di non dire niente e lo salutò con la mano.

Lui, un po’ stordito e imbarazzato, ricambiò il saluto e se ne andò.

Genzo bussò la porta spalancata.

“Che vuoi ancora?” chiese Kumiko che nel frattempo aveva iniziato a stirare prendendo i panni da una montagna appoggiata sul divano.

“Ciao…” disse Genzo entrando.

Kumiko lo squadrò, imbarazzata e stupita.

“Che ci fai qui?....da quanto tempo eri lì?”

“Ah..io? io sono arrivato adesso…. Ho giusto sentito lui che ti diceva che sei bella…..” disse Genzo, mentendo.

Lei arrossì, abbassando lo sguardo.

“Come stai? “ chiese il portiere, impacciato e molto a disagio.

“Il solito….tutto nella norma…. E tu? Complimenti per il campionato…” disse Kumiko cercando di sembrare fredda e indifferente.

“grazie…. Sono arrivato ora…..”

Kumiko si rimise a stirare.

“Taro è a scuola; esce tra poco.”

“Lo so…sono venuto a chiederti se posso andare a prenderlo io. Ho molta voglia di vederlo. …Mi manca… mi è mancato così tanto…..”

Lei sentiva il pianto che le veniva su da dentro. Ascoltare quelle frasi, la dolcezza con cui parlava del bambino la facevano emozionare. Era più forte di lei.

“Certo… vai… sarà molto felice anche lui di vederti… non c’era bisogno che passassi: potevi chiamarmi e basta…”

Genzo si aggiustò il berretto.

“No è che io…. Kumiko, io ho pensato molto in questo periodo …. e voglio… vorrei dargli il mio cognome. Vorrei dirgli che è mio….che sono suo padre…..”

Kumiko si fermò. Sentiva che gli occhi non avrebbero retto per molto e allora si strofinò la fronte per vedere se riusciva a nascondere l’agitazione.

“Sei sicuro?”

Genzo la fissò.

“Sì….sono  molto sicuro. Ma tu cosa pensi?”

Lei riprese a stirare.

“Se sei convinto….per me va bene.” Kumiko fece una breve pausa, smise di stirare e andò verso la finestra. Poi riprese:”Ma sappi che con i figli non si torna indietro. Se decidi di esserci, dovrai veramente esserci. Per sempre……”

Genzo si sedette spostando la montagna di panni.

“Lo so che hai sofferto molto a causa mia. Io…sono … io non valgo niente….so solo parare due tiri…come dici sempre tu…… Vorrei essere migliore, perchè Taro è un bambino stupendo….e unicamente grazie a te. Ho provato a cambiare ma … alla fine sono sempre io… Per lui però credo che non faccia differenza. Credo che lui mi saprà amare per quello che sono….è l’unica cosa buona che abbia fatto in tutta la mia vita. Non me la voglio perdere…..”

Aveva tenuto gli occhi bassi.

Kumiko aveva continuato a guardare fuori e si era messa a piangere senza accorgersene.

“Ok….Vai… vai pure….” disse lei.

“Grazie” rispose Genzo.

 

 

All’uscita da scuola Taro si guardò intorno per cercare sua madre e con molto stupore non riuscì a vederla. Gli parve strano perché lei era sempre lì, ad aspettarlo. Si mise a sedere sui gradini dell’entrata e non era turbato più di tanto: di sicuro sarebbe arrivata a minuti.

“Hey….ciao” disse Genzo.

“ciao Genzo! Sei tornato!” disse il bambino andandogli incontro e facendosi prendere in braccio.

“Come stai?”

“Bene… sto aspettando la mamma….”

“Mi ha dato il permesso di venirti a prendere… sei contento?”

Taro sorrise e lo abbracciò più forte.

Genzo lo strinse a sé.

“Mi sei mancato, lo sai?”

Taro sorrise ma non rispose. In fondo non capiva bene come mai quel ragazzo fosse così affettuoso con lui.

“Ti porto a casa mia, ti va?”

Taro fece cenno di sì con la testa e cominciò a raccontargli tutto quello che aveva fatto al mattino.

Arrivarono alla villa e Taro finalmente si calmò. Rimase senza parole di fronte alla bellezza e grandezza della casa.

“Ma tu stai qui?”

“Sì…” disse Genzo ridendo “ti piace?”

“E’…. è bellissimo…oh guarda! Hai l’albero della nonna!”

Genzo lo guardò e seguì il ditino del piccolo che indicava l’albero di fragipani.

“Lo sai che la mia nonna mi ha regalato un albero come quello?” disse Taro, ingenuamente “Ne abbiamo uno nel nostro piccolo giardino… alla mamma piace così tanto….è l’albero del Buddha, lo sai?”

Genzo era rimasto immobile a fissare quel piccolo a cui la madre non aveva negato nulla e a cui era stato dato un mondo intatto, perfetto, pieno di ricordi che nessuno avrebbe mai potuto portargli via.

“Si’…è l’albero di tua nonna…..è bellissimo…. tua mamma è venuta qui a prendere i semi e tu eri già dentro di lei, lo sai?”

“davvero?Ma allora tu la mia mamma la conosci da tanto?”

“Sì…….”

Genzo mostrò tutte le stanze e poi si misero in giardino.

“Ho qualcosa per te…” disse lui, tirando fuori dalla tasca la sua fotografia.

Taro gli sorrise e la fissò.

“Ma chi sono quei due signori che sono con me? io non li conosco….”

“Non sei tu….quel bambino sono io….e quelli sono i miei genitori” disse Genzo.

Taro riguardò meglio.

“Scusa… mi sembravo io…”

“Ci credo! Siamo uguali….” disse Genzo accarezzandogli la testa.

“Senti Taro io devo dirti una cosa …ma ho un po’ di paura…”

Taro lo guardò e scoppiò a ridere.

“Perché?” chiese con curiosità.

Genzo aveva pensato a lungo durante quei mesi su come porsi e come dirglielo, ma  adesso che si ritrovava di fronte a lui, gli sembrava impossibile tirare fuori quella frase.

“Io….  sono il tuo papà….”

Alla fine lo disse senza fare nessuna pausa. Lo disse e si sentì più vero: gli sembrò di avere finalmente su di sé un po’ di quella verità che tante volte aveva visto in Kumiko e non aveva voluto accettare. Il cuore andava a mille ma era leggero. Leggero come una piuma.

Taro era rimasto ad ascoltare e non era sicuro di aver capito.

“Sei tu?...sei proprio tu?” chiese. Prese di nuovo in mano la foto. La guardò; poi guardò Genzo e di nuovo la foto.

“Sì….”

“E perché non mi volevi? Perché non volevi la mia mamma? La mia mamma è bellissima….” disse il bambino un po’ smarrito e anche un po’ triste.

Genzo lo prese in braccio.

“Tu hai mai avuto paura di qualcosa?” chiese il portiere.

“Si’….”

“Ecco io avevo paura di amarti….. avevo paura di amare la mamma.Non è che non la volevo…La volevo eccome….ma avevo anche paura. E sono scappato. Sai…io non sono coraggioso come te….” disse lui.

Taro ascoltava e sembrava molto attento.

“Ma alla mamma gli vuoi bene?”

Genzo lo baciò sulla testa.

“L’ho amata moltissimo…. Solo che è un po’ complicato….”

“Ma cosa c’è di complicato…..non la trovi bella?”

“Sì….lei è bellissima…..ma….” Genzo s’interruppe di nuovo. Come poteva spiegare come fossero andate le cose e i motivi per cui tutto era andato così male?

Taro si liberò dal suo abbraccio e si mise a sedere di fianco al padre. Ora era confuso e in attesa di un risposta.

“Vedi…. è che  per i grandi i sentimenti non sono come per i bambini…. È tutto complicato…..” riprese, senza però spiegarsi bene.

Taro lo guardò; si alzò e andò verso un pallone che era accanto alla siepe.

Si mise a palleggiare: sembrava distante e assente, come se volesse sfuggire a quel momento. Non era rimasto soddisfatto di quella risposta, che effettivamente, era sconnessa e avrebbe fatto imbestialire anche il più calmo degli adulti.

Per qualche minuto restarono così: il bambino a palleggiare da solo e Genzo seduto a guardarlo senza riuscire ad andare avanti nel suo “discorso”.

“Giochiamo?” chiese allora Taro, visto che il portiere sembrava paralizzato.

“Certo….” disse lui.

Ebbe la sensazione che fosse stato un fallimento completo; s’immaginò di riportare il bambino a casa e di vederlo correre verso la madre in lacrime per la tristezza di aver saputo la verità.

Continuarono  giocare senza dirsi altro e dopo poco sentirono suonare alla porta.

Taro si fermò.

“Vuoi andare tu a vedere chi è?” chiese Genzo con dolcezza.

Taro gli sorrise e fece di “sì” con la testa: per lui era tutto nuovo ed era curioso.

Corse alla porta e si ritrovò di fronte una donnina ben vestita.

“Ciao” disse la signora.

Taro corse a nascondersi dietro alle gambe di Genzo facendo un po’ il vergognoso.

“Salve” disse il ragazzo.

“Buon pomeriggio…. E questo bambino chi è?” chiese.

“E’ il piccolo Taro….  dai fatti vedere, lei è la signora Morimoto…. È la domestica….”

Taro si nascose ancora di più, allora Genzo lo prese in braccio e cominciò a fargli il solletico da tutte le parti. Il bambino scoppiò a ridere.

“Basta… basta… babbo….” disse Taro ancora ridendo.

A quel punto, dopo aver sentito quelle poche parole, Genzo capì che non importava poi troppo se non era riuscito a spiegarsi.

Taro lo stava già accogliendo nel suo mondo senza fare troppe domande e senza chiedere troppe spiegazioni. Per quelle ci sarebbe stato tutto il tempo.

Il portiere si fermò e gli diede un bacio sulla testa.

“E’ il mio bambino…” disse guardando la domestica che era rimasta intenerita ma anche stupita perché in tanti anni che frequentava la villa e nonostante le assenze di Genzo, non era venuta a conoscenza di questo fatto.

“Piacere di conoscerti Taro…” disse la donna con tono affettuoso. Il bambino la salutò con educazione sempre tenendosi appiccicato alla gamba di Genzo.

“Hai fatto la merenda?” chiese dando un’occhiata al portiere.

Genzo si toccò la testa”…veramente no…. Prepara lei qualcosa?”

“Certo..” rispose la signora Morimoto.

 

Taro e Genzo presero posto in cucina e ora scherzavano e facevano battute.

Davanti ai panini al cioccolato che intanto la domestica aveva preparato, Taro si rifece un attimo serio.

“Ma… adesso cosa facciamo?” chiese con ingenuità, ma anche con un tono sicuro, come ad avvertire Genzo che ora voleva una risposta vera.

“Beh…. Adesso, se vuoi, cambieremo il tuo cognome..”

Taro lo scrutò incuriosito.

“E come si fa?”

“Bisogna andare in comune e diciamo all’impiegato che sul tuo foglio di nascita ci deve essere scritto che ti chiami Taro Wakabayashi…..sei contento?”

“Io? Io …però dobbiamo chiedere il permesso alla mamma….”

Genzo scoppiò a ridere.

“Certo….. glielo andiamo a dire?” chiese Genzo  e adesso sembrava un altro; sembrava davvero felice.

 

 

 

 

Appena Taro vide sua madre le corse incontro.

“Mamma mamma! Domani cambiamo il mio cognome?”

Kumiko, che era seduta fuori, aprì le braccia per accoglierlo e lo strinse.

“Cambiamo il cognome?...sì… se vuoi….”

Taro sorrise: “ sì sì…il babbo dice che sei bellissima….., vero babbo?” e si girò per guardare Genzo.

Lui si toccò la testa e sembrava molto imbarazzato.

“Babbo ma mi ascolti?”

Kumiko era diventata tutta rossa. Fra i due c’era molto disagio.

“Sì…..” rispose lui.

“Posso andare a dirlo ad Ikeda?”

“Certo… vai…” disse Kumiko accarezzandolo.

Genzo le si sedette accanto.

“E’ andata bene… a quanto pare….” disse lei.

“Sì…è andata benissimo…..”

Kumiko si alzò ….“Ottimo….”

“…c’è qualcosa che non va?” chiese Genzo, che intanto notava una certa agitazione in lei.

“No… è che è tutto così veloce….spero che vada tutto bene…..”

Anche Genzo si alzò e la guardò negli occhi” Certo che andrà bene…non farei mai del male a Taro….credimi…” Era convinto e a sua volta avrebbe dato sicurezza a chiunque.

Kumiko gli accennò un sorriso, e cercò di nascondere i suoi dubbi ed i suoi timori.

Si accordarono per incontrarsi il giorno dopo, che era l’ultimo di scuola, così da poter andare in comune per fare tutte le pratiche. E si salutarono.

 

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** I miei genitori ***


Ciao! Grazie di cuore a tutte le persone che hanno recensito e a tutte quelle che continuano a leggere questa ff!

Messaggio per Trottola: ciao…spero di cuore di non averti infastidita con la mia spiegazione ( un po’ lunga) alla tua ultima rec e di non esserti sembrata sgarbata o cose del genere…. Se è così, ti chiedo scusa…

Giusyna: grazie mille per le tue osservazioni. Sono sincera, il dialogo tra babbo e figlio è stato un passaggio difficile: non sapevo bene come renderlo; più che altro è stata difficile la reazione di Taro, immaginare come un bambino così piccolo potesse prendere una verità come quella. Sono felice che ti sia sembrata una buona parte e che si senta l’innocenza del bimbo. Genzo si sta addolcendo e anche questo è un passettino in più che fa verso il suo “percorso”. Vediamo come va avanti…grazie ancora!

Sanae78: ciao! Che bello che mi scrivi! Grazie! Sono d’accordo con te: questa rivelazione ovviamente fa bene a taro, ma chi ne aveva più bisogno era Genzo. Non a caso ho messo in evidenza il fatto che dopo si sentisse “leggero come una piuma”: volevo creare contrasto con l’immagiene che ha sempre avuto qui: di oscurità e pesantezza.

Miki87: grazie mille per recensire! Mi piace sempre come osservi e puntualizzi. Hai toccato un tasto dolente: è vero, kumiko ha dimostrato di essere un po’ arrendevole, ma d’altra parte il rischio qui era di farla passare per una str… Se non dava l’opportunità a Genzo di dire al bambino la verità ecc ecc, non sarebbe sembrata un po’ egoista?Il problema me l’ero posto, ma alla fine non me la sono sentita di renderla più dura... come sempre è una scelta e come tale, se ne può discutere… spero che però il proseguire dlla storia ti faccia apprezzare le sue prossime reazioni (non parlo dl cap di stasera…)

Hikarisan: ciao! Grazie come sempre! Sai che se mi scrivi ho un gran piacere… beh Genzo l’hanno odiato in molte…se la cosa ti può consolare…!

Elisadi80: Non sai quanto sia felice quando leggo una tua rec.. anche se è solo una parola! Grazie di leggere questa storia!

Marychan82: ciao… che dire…bellissima recensione… apprezzo molto come hai analizzato i pers, soprattutto Kumiko. La vedi come la sto vedendo ( e sentendo ) io e noto quanto precisa sia la lettura, mai superficiale o affrettata, ma sempre attenta ai particolari. E ‘ una cosa che noto in generale in chi mi scrive e non finisce di sorprendermi…. Grazie veramente.

Hitomichan: ciao! E’ sempre bello quando mi scrivi! Sì… dopo tutta questa tensione ci voleva qualcosa che andasse bene! Sono contenta che ti sia piaciuto il modo in cui si è svolto il cap di ieri;come ho detto ero un po’ preoccupata…. A differenza de “LA RICERCA DELLA FELICITA’”, qui ci sono stati vari punti complicati, perché la trama è più aggrovigliata e a livello di scrittura ho avuto un po’ di problemi…..grazie ancora!

Vi lascio al cap. anche questo è abbastanza lungo. Ah… non fatevi ingannare da quello che succede…ancora non siamo alla fine…..

____

 

Davanti alla scuola Taro vide Genzo e Kumiko che l’aspettavano insieme e appena li riconobbe corse ridendo verso di loro.

“Ciao Taro? Ma chi è quel signore?” fece un’amichetta dando la mano a sua madre.

“E’ il mio papà!” disse Taro tutto felice “ oggi sono venuti a prendermi i miei genitori!.....” Si capiva benissimo che lui aveva desiderato tanto dire le parole “i miei genitori”; chissà quante volte, vedendo gli altri bambini, aveva sognato suo padre, una famiglia vera.....

Kumiko era emozionata e le tremavano un po’ le mani. Genzo sembrava contento e disteso.

 

In comune, raggiunti dal Signor Nakazawa, firmarono tutti i documenti, mentre Taro giocava e disegnava su dei fogli che gli aveva dato un’impiegata.

“Sono molto felice, oggi” disse il Signor Nakazawa.

“Anch’io…” disse Genzo.

“E tu Kumiko?Non dici nulla?” chiese ancora l’avvocato.

Lei si sforzò di sorridere.

“Sì… certo che sono felice….solo che sono anche un po’ frastornata….è successo tutto in così poco tempo…..”

“Già….”

Genzo la guardava e vedeva bene quanto fosse bella. Riusciva a sentire quanto tentasse di nascondere le sue preoccupazioni. Non si fidava di lui. Ormai, come poteva? Lui la capiva.

Usciti, il signor Nakazawa si accese una sigaretta.“E adesso?” chiese ingenuamente.

Kumiko e Genzo si fissarono un secondo, senza parlare.

“…beh intanto stasera porto Taro e Kumiko a festeggiare in un bel ristorante….” disse Genzo con disinvoltura.

“Ottima idea!” fece l’avvocato..” allora buon divertimento!”

Si salutarono e  si avviarono alla macchina.

“Ma….non lo so se sia una buona idea…forse è meglio se ci vai con Taro e basta….” suggerì Kumiko.

Genzo si fece serio subito.“Dai Taro, vieni?” fece al bambino che era rimasto indietro.

“No… è meglio se ci sei anche tu…..ci sarà una sorpresa ed è per tutti, quindi….ti prendi una serata libera….” disse lui.

Lei salì in macchina e non disse una parola.

Giunti alla pasticceria, Genzo disse che doveva fare delle cose e salutò il piccolo e Kumiko dando loro appuntamento per la sera.

“Ma andiamo in un posto….in un posto elegante…..?” chiese lei, che intanto stava già pensando a cosa mettere.

“Sì…ti porto all’Hilton…..” rispose senza guardarla.

Lei aspettò che la macchina fosse sparita dall’orizzonte, inghiottita dalla strada.

Entrò in casa con Taro: Ikeda li salutò con calore, ma si accorse di quanto lei fosse sconvolta.

Taro si mise a giocare sul retro con il pallone mentre Kumiko tirava fuori un po’ di ingredienti per fare qualcosa.

“Cosa fai?”

“Non lo so…è un giorno felice oggi…però, lo sai che sono anche triste?”

“Questa volta andrà tutto bene, Kumiko, lui vuole troppo bene al bambino … cerca di rilassarti, di goderti questo momento…..”

Kumiko cercò di sorridergli e si mise ad impastare.

“Inventiamo un dolce nuovo oggi….” Sussurrò.

 

 

 

“Allora? cosa vuoi che mi metta?” chiese a Taro che era vestito bene e aveva anche un po’ di gel nei capelli.

Kumiko era in mutande e reggiseno davanti all’armadio aperto e mostrava al piccolo i suoi pantaloni e le sue maglie.

“Mettiti quello! Quello là….” E indicò un vestito che spuntava sulla destra.

Kumiko lo tirò fuori per guardarlo meglio. Era un tubino nero, classico, a balconcino, di tessuto elasticizzato. Era fra gli abiti che le aveva regalato la madre di Genzo.

“No…è troppo elegante…. E poi è molto scollato…non vedi?” disse a Taro per convincerlo.

“Ma mi piace quello! Poi hai detto che andiamo in un posto elegante!”

“Giusto…..” disse lei.

Allora si tolse il reggiseno e Taro cominciò a ridere.

“Ma cosa ridi? Non avrai mai visto il petto della mamma!sciocchino!” disse lei per farlo ridere ancora di più.

Cercò nel cassetto del comodino un reggiseno senza spalline e dopo averlo indossato, entrò dentro il tubino nero.

Le stava benissimo.

“Che bello…..” disse Taro.

Lei si girò e rigirò davanti allo specchio; si tirò su i capelli, poi li lasciò cadere sulle spalle; infine si mise le scarpe coi tacchi e di nuovo si guardò da tutte le prospettive.

“E’ una vita che non metto un vestito….mi sembro veramente ridicola….. vai vai a chiamare di sotto i ragazzi e falli venire su….”

Allora Taro chiamò Ikeda e gli altri dipendenti.

Appena la videro, cominciarono a fischiare e a fare battute.

“Idioti! Avanti ditemi come sto…..ma non sembro grassa?” chiese lei, fissando soprattutto Ikeda.

Lui sorrise “ Sei stupenda…..non ti azzardare a cambiare vestito!” disse ridendo.

Kumiko si diede un’ultima occhiata e cercò di convincersi.

 

Genzo arrivò puntuale e aperta la porta della pasticceria, che a quell’ora era piena di ragazzi e ragazze, notò subito Taro seduto composto ad un tavolo. Faceva dondolare le gambe mentre seguiva un cartone alla tv.

“Taro!” lo chiamò.

Il piccolo vide il papà e lo salutò.

“Come sei vestito bene! Ti sei dato il gel nei capelli….sei proprio un bel bambino, lo sai?”

Taro lo abbracciò.

Allora Genzo si alzò dopo averlo preso in braccio e si guardò intorno.

“Ma dov’è la mamma?” chiese il portiere.

“E’ un po’ nervosa….è dietro che fuma….però non glielo dire che ti ho detto che è nervosa…capito?”

Genzo si mie a ridere.

“D’accordo.”

Sempre con il bambino in braccio entrò nel laboratorio e dalla porta a vetri la vide sul retro, mentre fumava e guardava la sua ginestra, che dopo tutti quegli anni era diventata un lungo cespuglio che copriva tutto il muretto.

Genzo riusciva a vedere parte della sua schiena illuminata dal lampione e le gambe scoperte.

“Mamma, vieni?” gridò Taro.

Lei si voltò e a passo veloce entrò nel laboratorio.

“Eccomi….” disse lei.

Genzo la fissava e le guardava il petto e i fianchi disegnati perfettamente dal vestito.

“L’ho scelto io il vestito!” disse Taro orgoglioso.

Genzo allora guardò il bambino sorridendo” …hai proprio scelto bene….”

Kumiko arrossì. Appena era entrata le era venuto subito caldo, perché Genzo aveva scelto una giacca scura che esaltava le sue spalle larghe e sicure ed era bellissimo… come sempre.Cercò di restare lucida e prendendo la borsa fece strada ai due per uscire.

 

 

Una volta seduti al tavolo, Genzo chiese a Kumiko di ordinare lei per tutti.

La ragazza prese il menù e lo studiò rapidamente.Scelse delle pietanze leggere.

“Posso scegliere un vino un po’ costoso?” chiese a Genzo, con un po’ di vergogna.

“E c’e’da chiederlo? Scegli quello che vuoi”

Lei gli sorrise e questa volta fu un sorriso genuino e semplice: Kumiko quando aveva a che fare con il cibo si sentiva un po’ più sicura.

Taro non stava fermo un momento e faceva delle gran risate con suo padre. Lei li guardava e si chiedeva se fosse reale quel momento o se fosse solo frutto di un’illusione. Erano due sconosciuti eppure sembrava che avessero passato tutta la vita insieme. Com’era possibile? Cercò di rilassarsi e cominciò a bere un po’ di vino per sciogliere la tensione che sentiva dentro.

“Non voglio pensare a niente….voglio solo vivere questo momento e prenderlo come viene…” si disse fra sé e sé.

Fu una serata piacevole e divertente.

Al momento dei dolci, il cameriere arrivò con un carrello pieno di colori e torte squisite.

A Kumiko brillavano gli occhi e non sapeva cosa scegliere. Genzo ogni tanto la scrutava e coglieva le sue espressioni profondissime.

Scelse per tutti anche il dessert e mentre lo stavano gustando, Genzo tirò fuori dalla tasca una busta.

“Ah dimenticavo… Taro… qui c’è la tua sorpresa….”

Taro, con la bocca tutta sporca di cioccolato e il cucchiaino in mano, guardò la busta e poi sua madre.

Kumiko fece una faccia stupita ed era sincera perché lei non ne sapeva niente.

Genzo l’appoggiò sul tavolo,  diede un’occhiata a Taro come per invitarlo ad aprirla.

Taro allora si pulì le mani,  la prese tirandone fuori tre biglietti.

“Che cosa sono?”chiese

“Forza…leggi….” disse Genzo

“Mi…..Miami…..”

Kumiko fissò Genzo incredula.

“Lo sai dov’è?” chiese Genzo.

Taro scosse la testa: aveva sei anni… ancora di geografia  non è che ne sapesse granchè….

“E’ in America….ci vuoi andare? Vuoi andare da Hayate e Daibu?”chiese.

A sentire questi due nomi, Taro s’illuminò di gioia.

“Sì!!anche da Ryo e Michiko?”

“certo…”

“Ma andiamo tutti insieme? Noi tre?”

“Sì….” disse lui guardando Kumiko, che era rimasta impietrita e non sembrava molto contenta.

“Se te l’avessi chiesto, mi avresti detto di no… tanto lo so come sei fatta…così…ho preso i biglietti di mia iniziativa…..partiamo domani pomeriggio….”

Kumiko adesso avrebbe voluto prenderlo da parte e dargli uno schiaffo.

“Ma come faccio con il lavoro…scusa…..”

“Dai mamma ti prego ti prego!!”

“Beh lasci tutto ad Ikeda….si tratta di una settimana, mica di tutta la vita…te la potrai prendere una vacanza no? E poi così potrai stare un po’ con Sanae… speravo ne fossi felice…” disse lui, un po’ dispiaciuto.

Taro si era fatto triste e Kumiko  a quel punto, per non deludere il bambino, si sforzò di restare calma.

“Ok….” disse con un filo di voce.

Taro le saltò letteralmente addosso e con le mani le spingeva il petto senza neanche accorgersene.

“Sciocchino…” gli disse teneramente.

Genzo chiamò il cameriere per farsi portare il conto.

Kumiko alzandosi, si prese la bottiglia di vino che ancora non era finita. D’altra parte Genzo non aveva toccato l’alcool.

“Non crederai che lo lasci qui, vero?” disse guardando Genzo, che era rimasto colpito dal gesto.

“Tu sei matta…” sussurrò e lei lo guardò con aria di sfida.

 

 

Kumiko si tolse le scarpe e spiegò ad Ikeda che sarebbe partita.

“Nessun problema…” disse lui, che adorava avere un po’ più di responsabilità e stava pensando di chiedere a Kumiko di diventare suo socio.

Si salutarono perché il turno era finito. E allora, quando fu finalmente da sola, si sfilò il reggiseno, perché le dava fastidio e l’appoggiò su un ripiano. Prese la bottiglia e si attaccò per berne un po’.

Teneva gli occhi chiusi e intanto pensava al suo bambino, a tutto quello che era successo in quei giorni. Era frastornata e confusa e sentiva che ora l’alcool faceva effetto.

Si appoggiò di schiena al tavolo da lavoro, su quello stesso tavolo su cui tante volte si era immaginata stesa, vivisezionata e analizzata, per vedere cosa ci fosse dentro di lei. Dentro il suo cuore.

Aprì gli occhi e poi li richiuse: c’era tanto silenzio e  bevve un altro sorso. Dopo poco sentì caldo e davanti a lei si fece come un’ombra. Allora aprì gli occhi, questa volta di scatto, e vide che Genzo era di fronte a lei, ad un passo.

Era serio e la stava fissando.

Lei appoggiò la bottiglia e si aggiustò i capelli, cercando con lo sguardo dove avesse lasciato il reggiseno perché si vergognava all’idea che lui potesse notarlo.

“Si è addormentato subito…” disse lui, sempre fissandola.

“E’ stata una giornata intensa per lui….”

“Anche per me….” disse Genzo, che intanto era ancora fermo lì; non si muoveva di un centimetro.

“immagino….” disse lei e poi aggiunse “ scusa….” fece per spostarsi e allontanarsi dal tavolo da lavoro, ma lui nel frattempo aveva appoggiato le braccia sul piano, circondandola.

Era sempre serio e non parlava.

“Sarà meglio che vada di sopra a fare i bagagli… domani non ci sarà molto tempo…” disse ancora lei, cercando di muoversi per fargli capire che si voleva spostare.

Ma lui non si mosse e si appoggiò a lei quasi schiacciandola.

“Dai.. spostati” disse Kumiko, mentre lui già le stava baciando il collo  e con una mano cercava di slacciare la cerniera del suo vestito.

Lei sentiva caldo. Sentiva che il desiderio di lui era forte e anche a lei cominciava a mancare l’aria perché quel corpo l’aveva sognato troppe volte.

Kumiko gli prese le braccia come per spingerlo contro , ma lui era troppo forte e finalmente riuscì anche ad aprirle il vestito.

Lei tentò di coprirsi con le braccia: provava vergogna davanti a lui. Si sentiva inadeguata, brutta.

Come sempre.

“Dio mio quanto mi sei mancata….” disse lui….abbracciandola e sollevandola fino a  farla sedere sul piano di lavoro.

Lei non sapeva se aveva sentito bene perché il vino alterava un po’ la percezione delle cose. Eppure le pareva che fosse vero, che l’avesse detto sul serio.

“Cosa….. che cosa hai detto?…” chiese lei, per vedere se gliel’avrebbe ripetuto.

Ma lui non la stava affatto ascoltando: era troppo occupato a baciarla e a toccarla ovunque.

 

 

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Capitolo 32
*** Ritrovarsi ***


Ciao! Grazie alle persone che hanno recensito e a coloro che leggono e visitano la storia…

Sany: grazie mille per la tua rec! Eh lo so… che in molte si sarebbero comportate diversamente da Kumiko….sembra che per Genzo sia tutto in discesa, ma a volte ( anzi spesso) le cose non sono come sembrano…..

Giusyna: ciao! Ottima osservazione su Genzo: è proprio vero che a volte dà le cose un po’ per scontate ( anche nel cap di stasera), ma come sempre, il confronto con la realtà prima o poi ci deve essere no? E nella realtà di scontato non c’è niente….. grazie per avere scritto!

Sanae78: grazie infinite per scrivere!Beh.. diciamo che Taro sta dando una buona mano a dare questa idea di famiglia…e davvero c’è molta complicità tra Taro e Genzo.. ma come sempre tutto dipende da che intenzioni hanno i grandi… stiamo a vedere!

Makiolina: ciao! Sono contenta che questi ultimi cap ti siano piaciuti. In questa parte non sapevo bene come muovermi: sono andata molto ad istinto e ho cercato la semplicità. Grazie per aver compreso anche il fatto che alla fine i due ci ricascano…io credo che siano entrambi molto passionali e molto determinati dalla loro parte istintiva e a volte è più facile far passare le cose attraverso il corpo che la parola…è un concetto che qui ritorna  di tanto in tanto. Grazie ancora!

Miki87: hai ragione.. ma proprio MIAMI dovevo scegliere? Se ci penso anche a me verrebbe una voglia di partire!Riguardo alle tue sensazioni, non posso anticipare niente… mi dirai tu stessa (sempre se vorrai) se ciò che succederà corrisponde ai tuoi presentimenti….grazie per continuare a seguire la storia!

Marychan82: leggendo la tua rec, mi ha colpito una tua frase riguardo a Genzo” davvero non sa guardarsi dentro, non l'ha mai imparato...” : soprattutto mi ha colpito il verbo “imparare” perché proprio in questo cap Genzo parlerà del concetto di imparare/insegnare…. Da come descrivi i personaggi mi sembra davvero che sei entrata perfettamente nella loro psicologia.”Senti” quello che sentono loro ed è una cosa molto bella per me che sto scrivendo perché mi colpisce la tua sensibilità e il tuo spirito d’osservazione. Come ho già detto più volte, io rifletto molto su quello che mi dite… ti ringrazio davvero per esprimere il tuo punto di vista. Lo trovo davvero interessante!

Trottola:ciao….che bello che mi scrivi… io ho bisogno di persone viscerali che si appassionano e parlano dei personaggi e li criticano e si arrabbiano con loro e poi ci fanno pace e poi se la prendono di nuovo…..questo significa essere profondi e riflettere sulle cose, che si tratti di una ff o di una cosa seria non importa….. Quindi sentiti, sentitevi, libera/e di esprimere tutto ciò che volete ( naturalmente se volete e quando ne avete il tempo e il modo) e come volete. Io sono curiosa per natura…mi piace troppo ascoltare e leggervi… grazie….

Come sempre quando si tratta di rispondervi mi dimentico di cosa sia la sintesi…scusate…

Vi lascio a questo cap, che è di nuovo abbastanza lungo.......

A presto

_____

La notte era volata in un attimo. Dal laboratorio, Genzo l’aveva presa in braccio e l’aveva portata nella sua camera e non l’aveva mollata più.

Ogni tanto si staccava da lei, per riposarsi un momento, ma poi la ricercava subito.

Era stato intenso ma non violento o sgarbato. Solo che non le aveva detto una parola e lei, si sentiva confusa.

“Parlami” aveva detto fra sé e sé.

Ma lui niente.

Quando la notte cominciò a schiarire, Genzo si fermò e si riposò su di lei.

“Sei stato attento?” gli chiese, nell’illusione che tutto quel bagnato e quell’umido che si sentiva dentro, non fosse a causa sua.

Lui sorrise…” a dire la verità proprio per niente….”

“Andiamo bene….” pensò lei.

Lui la fissò e ricominciò a baciarla.

“Mamma…” sentirono chiamare. Taro si era svegliato o forse aveva chiamato nel sonno.

Kumiko spinse Genzo come a spostarlo, ma lui la fermò.

“Lascia… vado io…” disse.

 

Si mise i boxer e la maglietta della salute e andò a vedere.

“Taro… cos’hai fatto? Un brutto sogno?” chiese entrando e andando verso il letto del bambino.

Il piccolo, che era girato su un fianco, si mise a pancia in su e aprì le braccia per farsi prendere.

“Hai avuto paura?” chiese ancora Genzo, mentre l’aveva preso su di sé e lo coccolava teneramente.

Il bambino era mezzo addormentato e non rispose, ma stringeva forte il padre perché non lo lasciasse.

 

Kumiko intanto aveva cercato la sua camicia e si era di nuovo sdraiata sul letto, sotto le lenzuola che aveva cercato di rimettere in ordine. Nell’attesa che lui tornasse, il fatto di non sentire alcun rumore, le permise di rilassarsi e dopo poco si appisolò.

 

Era mattina quando la luce della finestra la colpì dritta al volto. Si sentiva schiacciata come se non potesse muoversi. Aprì gli occhi e si vide incastrata tra Taro, che le respirava sul petto a bocca  aperta e Genzo che aveva il braccio sul suo fianco e la testa appoggiata sulla schiena. Si sentì al sicuro, dopo tutto quel tempo passato nell’incertezza totale, nella paura e nella solitudine. “Anche se perdessi l’equilibrio” pensò” da qui, in questo momento, non potrei cadere, non potrei farmi male…..”

Rimase ancora un po’ fra loro e poi, cercando di non svegliarli si alzò.

 

Fece la doccia, si vestì e poi andò di sotto per vedere chi c’era. Ikeda aveva già cominciato a dare un po’ di ordini e sembrava molto sicuro. Era diventato un bravo pasticcere ed era un uomo ormai. Kumiko lo guardava muoversi e non poteva che provare riconoscenza perché lui era stato il suo amico, la persona che l’aveva aiutata di più a non darsi per vinta.

“Oh..ciao..” disse lui vedendola.

“Ciao…tutto ok?”

“Sì….tutto bene….”

Kumiko sorrise vedendolo un po’ impacciato:“Continua continua pure…oggi fa conto che non ci sia…io devo fare i bagagli….” disse Kumiko.

Allora lui le sorrise e riprese il lavoro.

Kumiko salì nuovamente al piano di sopra e andò nella piccola cucina del suo appartamento. Preparò il tè e il caffè e tirò fuori qualcosa per la colazione. Dopodichè andò in camera di Taro per iniziare almeno a fare la sua valigia. Riuscì con calma a riporre ogni cosa al suo posto e poi tornò in cucina.

Verso le dieci cominciò a sentir bisbigliare nella sua camera e capì che si erano svegliati. Passò qualche minuto e poi riuscì a distinguere le loro voci che ridevano e chiacchieravano. Taro faceva continuamente domante al padre e lui, come quando era con Sanae, era divertito e non si stancava di rispondere. Fecero la lotta e Taro rideva come un matto perché ogni volta che Genzo lo afferrava gli faceva il solletico.

Solo dopo una buona mezz’ora si alzarono e Taro corse dalla mamma per nascondersi mentre Genzo faceva finta di cercarlo.

“Kumiko…” disse il portiere entrando nella stanza..” è successa una cosa incredibile….” Kumiko lo fissava e non riusciva a capire se stesse facendo sul serio o scherzasse…” Taro è diventato invisibile….”

Allora il bambino spuntò dalla gonna della mamma e di nuovo giù a ridere come un matto.

Anche a Kumiko venne da ridere perché di solito il mattino era il momento più difficile: per far ingoiare un biscotto e un dito di latte al bambino, si assisteva ad una specie di tragedia. Invece, da quando c’era Genzo, Taro era leggermente migliorato e sembrava che rifiutasse il cibo un po’ di meno.

“Adesso fate colazione, no?” chiese allora lei, andando subito all’attacco.

Genzo guardò Taro e ancora scoppiarono a ridere.

“Ma…mi viene da vomitare…mamma”

“Dai… dai… che poi saliamo sull’aereo….bisogna fare colazione….forza” disse allora Genzo, cercando di essere serio.

A quel punto, Taro si sedette e rimase in silenzio perché non voleva dare dispiacere al padre.

Si sforzarono entrambi di mangiare qualcosa, mentre Kumiko era andata di là, in camera sua a rifare il letto e a tirare fuori le cose da portare via.

Le sembrava impossibile pensare che Genzo, dopo aver fatto l’amore con lei, fosse rimasto lì e non se ne fosse andato. Ancora non riusciva a razionalizzare la cosa.

Mentre riponeva i panni in valigia, si sentì osservata; Genzo era sulla porta che non le staccava gli occhi di dosso. Non sembrava intenzionato ad andarsene. Era ancora mezzo nudo ed era completamente rilassato. Non sembrava neanche lui, se non fosse stato per i suoi lineamenti stupendi, per il suo odore inconfondibile che ormai si era trasferito nel dna di Kumiko, e che lei, avrebbe distinto fra mille altri.

“Cosa c’è?” disse lei un po’ imbarazzata.

“Niente…ti voglio guardare….perchè? Non posso?” chiese.

Kumiko diventò tutta rossa.

“Fa pure….non so cosa ci sia da guardare..comunque se non hai niente di meglio da fare…” lo disse così tanto per dire.

“Qualcosa di meglio da fare ce l’avrei ma a quel punto ti dovrei anche toccare e spogliare….” disse lui allora.

Kumiko diventò ancora più rossa e scrutò oltre la porta per vedere di capire se Taro potesse sentirlo.

“E’ andato di sotto….” disse Genzo avvicinandosi e prendendole le mani per poterla tirare a sé.

“Mamma..mamma vieni a vedere!”

Kumiko si staccò subito dal suo abbraccio e si vedeva che era molto imbarazzata. Genzo invece era solo divertito, ma non si sentiva per niente a disagio. La desiderava troppo e non ci vedeva niente di male visto che era la madre di suo figlio. Non voleva più scappare.

Lui voleva restare.

 

Si fece una doccia e si vestì per poter andare a casa e fare anche lui la valigia. Nel laboratorio, quando arrivò, ci fu un attimo di silenzio e Ikeda lo squadrò con aria sospettosa perché, pur avendolo difeso a più riprese, provava anche un po’ di gelosia al pensiero che avesse trascorso la notte lì, con lei.

Kumiko stava dando una mano e lui, senza provare alcuna vergogna, si accostò verso di lei e le mise una mano sul fianco per accarezzarglielo.

“Allora vado… ci vediamo fra un paio d’ore…”

Kumiko era evidentemente confusa e i suoi gesti ora le sembravano totalmente inaspettati e nuovi. Non sapeva bene come reagire, come comportarsi.

“Va bene…” rispose facendo un mezzo sorriso.

Lo guardò andarsene: era già capitato altre volte. Sempre, aveva avuto un senso di vuoto, di abbandono, di umiliazione. Adesso invece sentiva che le cose erano diverse; eppure, non riusciva a comprendere se ne potesse essere felice o se dovesse invece prepararsi a difendersi, perché in fondo, anche se Genzo aveva dimostrato di essere gentile e molto passionale con lei, non le aveva parlato. Non le aveva detto niente di significativo, a parte quella frase…la notte prima, che ad ogni modo, alla sua richiesta, lui non aveva ripetuto.

Ci pensò Taro con il suo solito entusiasmo a richiamarla alla realtà e non ebbe più tempo per dedicarsi alle sue divagazioni.

 

Genzo aiutò il tassista a caricare le valige e poi si diressero all’aeroporto.

Taro non aveva mai visto un aereo, perciò il padre, appena ce ne fu la possibilità, si avvicinò con lui alla vetrata del gate e gli spiegò ogni cosa, cercando di rispondere alle sue incessanti domande. Kumiko li osservava seduta su una poltroncina ed era completamente incapace di razionalizzare quella situazione; ogni tanto qualcuno si avvicinava a Genzo, riconoscendolo, e chiedeva un autografo  o una foto e lui, era sorridente e molto disponibile. Suo figlio lo stava davvero rendendo una persona migliore.

Il viaggio, dopo il primo periodo di eccitazione più completa da parte di Taro, fu contraddistinto dal sonno: Kumiko e Genzo non avevano dormito quasi per niente la notte prima e quando il bambino si addormentò, anche loro crollarono in silenzio.

 

Tsubasa e i gemelli aspettavano un po’ agitati di vederli uscire dalle porte scorrevoli agli arrivi, e quando finalmente individuarono i loro volti, il capitano ebbe come un sussulto: eccoli là, tutti e tre, che ridevano e scherzavano come se fossero stati insieme da sempre, come se non ci fosse stato alcun lutto, alcuno strappo. Sembravano una famiglia. Ai suoi occhi in quel momento lo erano. E a stento trattenne la commozione.

“Taro!” gridò Hayate andandogli incontro con Daibu.

I bambini si fecero festa e Genzo accarezzò la testa dei gemelli con amore, esattamente come faceva Tsubasa. Da quando aveva conosciuto suo figlio, il repertorio dei gesti aveva cambiato ritmo e colore: era tutto più lento e meno confuso.

Tsubasa avanzò e abbracciò Kumiko con tenerezza ed entusiasmo mentre a Genzo strinse la mano con vigore come faceva sempre. Poi prese in braccio Taro e cominciò a  fargli tantissime domande, perché in fondo Tsubasa aveva ancora dentro di sè quella capacità di parlare ai piccoli nel suo modo unico e specialissimo, che lo rendevano amabile e divertente. Taro lo strinse e gli diede anche un bacio, perché il capitano per lui era un idolo; voleva diventare forte e bravo proprio come Tsubasa.

 

Sulla spiaggia, davanti a casa, Sanae aspettava ansiosa mentre Michiko e Ryo giocavano con la sabbia, litigando per prendersi le formine più belle e le palette meno rovinate.

Appena vide Kumiko, fece qualche passo: la ragazza si emozionò al solo pensiero di poter riabbracciare Sanae. La vedeva distintamente, nel suo abito bianco, leggero, mosso dalla brezza del mare. Era sempre più bella.

Si strinsero e Kumiko si mise a piangere.

“Ti voglio così tanto bene…a volte mi sembra di cadere….poi penso che tu sei nel tuo laboratorio che fai un dolce e non ho più paura…” disse Sanae.

“Sanae…” riuscì a dire.

Genzo e Tsubasa rimasero un po’ indietro perché non volevano rovinare quel momento. Per tutto quel tempo, a parte il giorno della festa di Taro, che comunque era stato particolare, le due ragazze avevano dovuto frequentarsi, come se  fossero due ladre. Avevano rubato momenti alla vita per fare in modo di non distruggere la loro amicizia, ma ne avevano sofferto. Adesso, non c’era più niente da nascondere e potevano parlarsi e stare insieme senza temere di offendere qualcuno e svelare chissà quale segreto.

Poi fu il momento di Genzo: si avvicinò e Sanae letteralmente gli si buttò sul petto, per farsi accarezzare la testa.

Quante volte aveva tentato di parlargli, di spiegargli o semplicemente di stringergli la mano per fargli capire che lei non si era spostata di un passo, che era rimasta lì in attesa che quel suo cuore ruvido e sgangherato lasciasse uscire il buono che aveva dentro. Ma lui si era sempre più chiuso. La paura lo aveva paralizzato e aveva atrofizzato in parte la loro amicizia che era qualcosa di  puro, autentico. Sanae l’aveva odiato per il modo in cui aveva rifiutato Kumiko e il bambino. E Genzo si era lasciato odiare senza lottare.

Era stato difficile e forse, se non fosse stato per il grande, indissolubile legame con Tsubasa, si sarebbero allontanati per sempre.

Ora in quella carezza Genzo stava mettendo tutto il suo affetto e la promessa di non avere più paura. Lei lo poteva sentire.

Kumiko e Tsubasa li guardavano mentre Michiko, già si era appiccicata alla sua gonna per farsi prendere e coccolare.

“Adesso però basta con tutte queste lacrime! Siamo in vacanza e siamo felici, no?” disse Tsubasa per rompere la commozione. E infatti tutti si misero a ridere e Sanae, prendendo per mano Taro, fece strada verso l’entrata.

Genzo fu felice di vedere che la casa era praticamente rimasta come l’aveva vista l’ultima volta: Tsubasa e Sanae non avevano voluto cambiare se non il minimo indispensabile per adattarla alle esigenze dei bambini. Avevano cercato di non stravolgere niente perché si potesse sentire la presenza della Signora Wakabayashi. In effetti tutto parlava di lei: gli accostamenti di colori, le foto delle capitali alle pareti, i grandi quadri di valore, i lampadari preziosi. Tutto sembrava come essere stato dipinto da sua madre e il portiere faticò a trattenere l’emozione.

Kumiko era semplicemente senza parole perché le stanze erano stupende e lei non era abituata a quell’eleganza e  a tutta quella ricchezza. Si sentiva a disagio ma il fatto di essere attorniata dalle persone che amava la faceva stare un po’ meglio.

I ragazzi portarono di sopra le valige seguiti dai bambini, da Sanae e Kumiko.

“Ecco le vostre camere…” disse Tsubasa…” qui c’è la tua Genzo e qui la tua, Kumiko; Taro, tu con chi dormirai? Con il babbo o con la mamma?” chiese sorridendo.

Taro era un po’ perplesso: diede un’occhiata a tutte e due le stanze e poi fissò Sanae.

“Sanae…ma perchè ci sono due stanze? Guarda che i miei genitori dormono nello stesso letto, non è vero babbo?” chiese con molta innocenza ma anche convinzione a suo padre.

Tsubasa si mise una mano sulla testa molto imbarazzato, così come imbarazzata era Sanae.

Genzo prese in braccio il bambino e lo baciò.

“babbo….dormi con la mamma vero?”

Kumiko era tutta rossa in faccia e  teneva gli occhi giù al pavimento, tanta era la vergogna. Taro nemmeno le aveva chiesto un parere; sembrava completamente in balìa del padre.

“Certo che dormo con la mamma…” rispose il portiere come se niente fosse; “Sanae scusa se non ti ho avvertito prima e hai dovuto preparare due camere…non c’ho proprio pensato a dirtelo….”

Sanae lo fissava, poi guardava Kumiko e poi guardava Tsubasa e i bambini e non sapeva cosa dire.

“Beh….non …non fa niente…..figurati….Kumiko… scegli tu quale delle due preferisci?”

Per fortuna che qualcuno aveva chiesto qualcosa anche a lei…

Kumiko alzò lo sguardo e  scelse quella che sembrava più luminosa indicandola con il dito.

Tornarono tutti di sotto tranne le due ragazze.

“Ma che gli avete fatto…? Quello non è Genzo…..” disse Sanae ancora incredula.

Kumiko si sedette sul letto ancora imbarazzata.

“Vi siete messi insieme….?” chiese tutta curiosa.

“Non proprio….è che l’altra notte…” disse Kumiko impacciata come un’adolescente.

“L’altra notte cosa?”

“beh hai capito no?....”

“Non ci sarai mica andata a letto?” chiese Sanae.

Kumiko non rispose e ciò, naturalmente, equivaleva ad un sì.

“Ma com’è successo? Scusa?” Sanae era curiosissima.

“Ti devo fare un disegno?” chiese allora Kumiko ironica.

Scoppiarono a ridere, ma Sanae poteva sentire che Kumiko era molto scossa.

“che c’è? Dai… dimmelo”

Kumiko scosse la testa.

“No… è che lui….non mi ha detto una parola….cioè non è che abbiamo parlato….quindi non riesco a capire cosa stia succedendo fra noi…. Anche quest’idea di venire qui….io non ero d’accordo. E’ tutto molto veloce, troppo veloce….”

“I calciatori vivono sospesi fra il tempo di una partita e l’altra, fra un ritiro e l’altro quindi…bruciano sempre le tappe…poi credo che per natura non amino molto parlare….almeno quelli che conosciamo noi…” disse Sanae.

“Ho capito, ma vista la situazione….almeno un confronto con lui l’avrei gradito. Abbiamo parlato di Taro, lui mi ha spiegato quanto ci tenga e questo ormai è chiaro. Ma con me…. Ecco, la situazione è abbastanza confusa.”

“Magari in questi giorni avrete modo di chiarirvi… non essere pessimista….” disse allora Sanae.

“Mah… speriamo bene” concluse Kumiko.

Le due raggiunsero il piano di sotto e uscirono per camminare e parlare in riva al mare.

 

Tsubasa guardava Genzo mentre giocava con i bambini e teneva in braccio la sua adorata Michiko.

“I tuoi figli sono stati la mia palestra” disse il portiere fissando Tusbasa.

Il capitano sorrise: era felice di vederlo così rilassato.

“Già….vedo che sei proprio allenato….bravo…. e ..” Tsubasa gli fece cenno di spostarsi lasciando i bambini un po’ da soli.

Allora Genzo lasciò andare Michiko e i due si appartarono senza perdere d’occhio i bambini.

“E con Kumiko…. ? Ha sofferto molto…. Spero che non vorrai fare il cretino proprio con lei….” Disse Tsubasa, alludendo ovviamente al fatto che dormissero insieme.

Genzo si scrollò la sabbia dalle mani.

“sai… Misaki aveva ragione quel giorno….” disse Genzo.

Poi rimasero un momento in silenzio.

“Lei mi aveva già stracciato il primo giorno in cui l’ho vista. L’ho amata da subito. A modo mio, cioè nel modo più sbagliato che esista, perché nessuno me l’ha insegnato. L’amore è qualcosa che impari un po’ tutti i giorni, attraverso i tuoi genitori, attraverso il tuo mondo. Io non ho avuto niente di tutto questo: ho avuto tanto, sì, ma non ho avuto un insegnante o un posto per l’amore. E quando lei è arrivata, ha vinto la paura. Io non sono come te Tsubasa. Tu l’amore lo metti in tutto: anche quando parli con me, nelle tue parole c’è più che l’amicizia. E’ proprio qualcosa che hai nel sangue. Sei speciale. Io invece no….io non so metterci amore nelle cose. Metto solo i miei pensieri brutti. La rabbia. La paura. L’amore lo sto imparando da mio figlio: lui non ha paura;quando gli ho detto che ero suo padre, mi ha abbracciato come per accogliermi nel suo mondo. Io al suo posto che avrei fatto, Tsubasa?”

Tsubasa non rispose. Era troppo colpito nel sentire Genzo parlare in quel modo.

“Te lo dico io, non mi vergogno: sarei scappato. Come sempre…”

Di nuovo silenzio.

“Adesso non posso più scappare, però. Dopo che lui mi ha abbracciato, non voglio più…. E Kumiko…. Beh non voglio più scappare nemmeno da lei. Ho bisogno di lei…lei mi fa perdere la ragione…..”

Tsubasa lo stava ascoltando giocando sulla sabbia con un piede.

“E lei tutte queste cose le sa?...” chiese.

Genzo si infilò le mani in tasca.

“Non è che le ho parlato molto….sai cosa si prova a stare lontano dalla donna che ami….ci sei passato…”

“Sì…. hai solo una gran voglia di toccarla….” disse Tsubasa.

“però….” aggiunse il capitano…” però loro vogliono delle risposte….se le meritano…devi dirle ciò che provi, Genzo”

Il portiere avanzò verso la riva. Sì: lo sapeva bene che doveva sbloccarsi  e parlarle.

L’orizzonte era una linea che tagliava il cielo e squarciava ogni suo pensiero: era tutto nitido, come quella riga laggiù in fondo. Eppure le parole gli venivano a singhiozzo. Sembrava tutto ancora così difficile…..

 

 

 

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Capitolo 33
*** Ragione e sentimento ***


Ciao!Ringrazio tantissimo, di cuore, le persone che recensiscono: leggo i vostri commenti con molto interesse e per me sono un continuo stimolo, un continuo cercare di far meglio (oltre che stuzzicare molto la mia immaginazione….). Grazie per il tempo che dedicate a questa storia! Grazie anche a chi legge semplicemente, a chi ha messo la storia fra le preferite e seguite. Di cuore.

Mareluna: ciao… e scusa… se ieri non ti ho risp… mentre mettevo il cap online mi hai recensita e me ne sono accorta troppo tardi..grazie infinite per le tue due ultime rec. Sono felice che la storia ti stia appassionando così tanto e grazie anche per “la scrittrice preferita”… anche se come sempre, sei troppo generosa…!Hai visto come si sta evolvendo Genzo? Io ho sempre adorato questo pers e gli sto dando la possibilità (piano piano) di dimostrare che è una bella persona… e adesso cosa succederà?....grazie ancora!

Sany: grazie per la tua rec e per la metafora ( direi perfettamente a tema!) tra Genzo e la crème brulée. Attraverso questa metafora si coglie benissimo com’è lui… è maturato e sembra intenzionato a “restare”. Stiamo a vedere…..

Sanae78: ciao!Hai ragione: Taro ha un ruolo determinante in vari cap. Alla fine i piccoli “risolvono” e smuovono i problemi dei grandi…anche in questo cap… tutto parte da una sua  frase…grazie per continuare a seguire la storia e a dedicare del tempo a recensire!

FlaR: sono felice che tu mi abbia scritto! Grazie! Sono d’accordo su Genzo e Kumiko… insieme sono strepitosi.. sarà perché la loro storia è così complessa, così umana…grazie anche per l’appunto sui bambini in braccio: hai ragione…. A volte mi lascio un po’ trasportare da quello che “vedo” nella testa e mi lascio un po’ troppo trascinare dal fatto che sento negli adulti di questa ff una sorta di “urgenza” di prendere in braccio i bambini… ma hai perfettamente ragione ( anche tu Makiolina…), il rischio è di renderli poco verosimili….grazie di avermelo fatto notare ( ne terrò senz’altro conto!)

Miki87: come al solito in poche parole riesci a fare una diagnosi perfetta della situazione e hai anche avuto una bella intuizione su Kumiko: è in paranoia completa… leggi il cap e capirai …..grazie infinite!

Giusyna: grazie di cuore per recensire sempre e seguire questa storia! Eh… non manca molto alla fine ma ci sono ancora delle cose da chiarire…. Abbiamo visto che i due sono sempre un po’ in “ritardo” l’uno sull’altra…  e questo è un bel problema…..

Marychan82: non so cosa dire…..io leggo e dico dentro di me “ ma com’è possibile?”, perché anche questa volta c’è qualcosa, come dici tu, nelle tue parole che “anticipa” quello che succederà. E bada che io sto scrivendo i cap finali quindi ho una visione globale della storia. Ho deciso quasi tutto (stanotte ho scelto la frase di chiusura….)….forse dipende dal tuo metterti davvero di fronte alla storia senza pregiudizi.. non lo so…so solo che ti ringrazio e ti ammiro perché credo che questa “disponibilità” alla lettura sia una qualità straordinaria. Io amo molto la letteratura e penso che leggere senza pregiudizi sia qualcosa che ti arricchisce profondamente…..grazie

Makiolina: grazie per quello che scrivi, per aver sottolineato quella scena di kumiko tra i suoi amori ( che per me è fondamentale) ( anche marychan82 ne parla nella sua rec)….. grazie anche per come parli del tuo leggere i cap…. se ti coinvolge, se anche solo una parola ti fa emozionare, beh… è come se la storia vivesse di vita propria….grazie infinite

Hitomichan: sono sempre contentissima quando mi scrivi… e sono felice che questi cap ti stiano coinvolgendo!Inoltre… beh, inutile dirlo, ma quando mi dite che “immaginate le scene”, sono al settimo cielo…immaginare è una delle cose che ci rende unici e speciali…..grazie!

Purple: Ciao!!! Sì… finalmente un po’ di zucchero è arrivato….ci voleva….ma adesso? Grazie infinite per aver scritto….

Vi lascio al cap……..che non è tanto lungo questa volta, ma per la storia è molto molto importante…..

A presto

__

I primi due giorni furono contraddistinti dal mare: lunghe passeggiate e bagni di sole. Scorpacciate di frutta con i bambini e giri in bicicletta come degli adolescenti.

Non si riusciva a tracciare un confine tra genitori e figli: sembravano un’unica bellissima famiglia, dove ognuno aveva un suo ruolo distinto, ma al contempo interscambiabile con quello degli altri. C’era gioia ed armonia e una gran voglia di non pensare. I bambini erano di tutti e così anche i genitori.

Soltanto di notte, quando il mare pulsava come un cuore e le falene prendevano a volare, ecco che si ricomponeva una gerarchia e si ricreava un ordine.

Le notti nella grande casa erano dominate da un silenzio profondo, rotto solo di tanto in tanto dalla voce sognante di Michiko che parlava molto nel sonno e dal respiro  un po’ affannoso dei grandi, che riuscivano ad amarsi, senza corrompere il mondo dei bambini.

Genzo non riusciva a fare a meno di Kumiko e lei si lasciava prendere senza opporsi. Non era stata con nessuno, non si era più fatta toccare, dopo l’amore con Genzo, quella notte ad Amburgo. Ed ora era come se il suo corpo tutto d’un tratto si fosse risvegliato e avesse un incessante bisogno di essere amato. In tutto quel tempo l’astinenza dal sesso non le era affatto pesata: quando pensava all’amore, lei, lo ricollegava sempre, indissolubilmente a Genzo, perciò, dal momento che sapeva di non poterlo avere, aveva imparato  in un certo senso ad ” interrompersi”( come diceva sempre al suo commercialista); ad interrompere i suoi desideri corporali, quasi fosse l’unico modo per poter trattenere il ricordo del piacere che lui le aveva fatto provare mentre avevano fatto Taro. Trovava che quell’emozione fosse stata l’unica cosa veramente perfetta che avesse mai avuto dalla vita: nessun dolce, nessun fiore, nessuna parola o  nota musicale avrebbero mai potuto rendere in bellezza quanto quel momento vissuto con lui. E sapeva, aveva sempre saputo che se si fosse donata ad un altro ( non importava chi), quel momento unico e speciale sarebbe svanito all’istante. Adesso, che di nuovo la vita, o il destino, l’aveva riportata a lui, poteva di nuovo provare quella sensazione; riviverla e concedersi a lui era l’unica cosa a cui non riusciva ad opporre resistenza.

In cuor suo sapeva quanto questo potesse essere pericoloso: Genzo non era stato in astinenza; aveva avuto altre donne durante la loro lontananza e quindi lei poteva essere una delle tante. Ma non le importava. Lo aveva desiderato troppo. Lo amava troppo.

 

Le ore volavano e quel giorno, durante il pranzo, l’atmosfera era particolarmente allegra.

Taro era sempre quello più scomposto a tavola: non riusciva a stare seduto e per finire la sua porzione, potevano passare anche tre quarti d’ora buoni. Genzo con pazienza stava accanto a lui finchè non arrivasse all’ultimo boccone.

In televisione davano un bel film d’amore che finiva con una scena dolcissima: lui e lei all’altare che si sposano.

Michiko, era assorta a seguire la vicenda, mentre Ryo e i gemelli si litigavano le ultime patatine fritte rimaste sul grande piatto posto al centro della tavola.

Sanae e Kumiko commentavano il vestito della ragazza del film, mentre Tsubasa, che aveva naturalmente finito il pranzo per primo, si era già messo sul divano a leggere una rivista sportiva.

Come se niente fosse, Taro, che sembrava totalmente assente ed incurante di ciò che avveniva in televisione, spuntò fuori con una delle sue domane pungenti.

“Babbo … ma tu quand’è che sposi la mamma?”

Genzo scoppiò a ridere mentre il bambino si era di nuovo alzato sulla sua sedia e teneva le braccia sulle spalle del portiere, perché oltre alla risposta, voleva anche giocare e saltare.

“Quand’è che sposo la mamma?” chiese lui, come per prendere in giro suo figlio.

Kumiko, che era rimasta di stucco, a causa di quella domanda, si alzò di scatto e rimproverò il bambino.

“Adesso Taro mi hai proprio stufata! Rimettiti seduto al tuo posto! Lascia in pace tuo padre e vedi di finire il pranzo in fretta…!”

Era sconvolta e andò di sopra.

Taro, che conosceva bene sua madre, si rimise subito a tavola e prese la forchetta in mano a testa bassa.

Genzo lo accarezzò, guardando Sanae e i bambini.

“dai.. su, fai il bravo…. Mangia tutto….” gli disse con molta dolcezza.

Poi si alzò e andò da lei.

Kumiko aveva tirato fuori la valigia e già ci stava infilando mezzo mondo.

“Che stai facendo?” chiese lui, con calma.

“Non sarei mai dovuta venire qui… lo sapevo,…. lo sapevo che era uno sbaglio.. ma io…io lo sai no? porto guai…io faccio tutto male…..”

“Dai… calmati….” disse lui restando alla porta.

“Lo senti? Hai sentito cos’ha detto tuo figlio?...quello pensa che stiamo insieme, ti rendi conto?” disse lei, con le lacrime agli occhi. Ed erano lacrime di rabbia, non di tristezza.

“E’ normale…” disse Genzo, ancora calmo e rilassato” siamo i suoi genitori….è ovvio che vuole che ti sposi…”

“Ah.. certo….è normale…” disse lei, che ancora infilava alla rinfusa i vestiti tutti spiegazzati nella valigia.

“Dimmi Genzo”, fece lei fermandosi ” cosa succederà alla fine della settimana, quando ognuno tornerà alla sua vita…. Quando noi torneremo in Giappone e tu in Spagna….cosa succederà quando passando davanti ad un chiosco di giornali, Taro vedrà la tua foto mentre sei in compagnia della bellona di turno, eh? Cosa gli dovrò dire? Cosa succederà?” chiese lei, completamente fuori di sè.

Lui avanzò di un passo.

“Non succederà….” disse con convinzione.

“Certo…. Non succederà…..ti darai all’astinenza….è ovvio” disse Kumiko ironica.

“Non succederà perché è qualcosa che non m’interessa….” disse ancora Genzo.

“Come no…”

“M’interessi solo tu….” disse allora lui.

Lei smise di mettere a posto le cose.

“Genzo… senti… io …tu… ..io ho sofferto molto per te. Ti prego….non prendermi in giro un’altra volta… sai quanto sia debole con te….… non rendere tutto più difficile…” disse, cercando di difendersi.

“M’interessi solo tu…” ribadì lui….” Noi ci sposiamo….io…io ti voglio sposare…..”

Kumiko scosse la testa.

“Noi non possiamo sposarci….” disse lei….” Noi abbiamo la nostra vita in Giappone e tu sei lontano.. non funzionerebbe mai….”

“Vieni con me….”disse lui.

Allora lei riprese a fare la valigia.

“E come ….. come potrei?” chiese disperata.

“Potrai aprire una pasticceria a Barcellona, potrai fare ciò che vuoi… vieni con me……”

Di nuovo lei scosse la testa. Le pareva impossibile.

“Che cosa fai? Adesso che ho smesso di scappare io,  cominci tu?” chiese infine Genzo, e questa volta era arrabbiato e Kumiko poteva scorgere quella rabbia, quell’ombra che sempre avevano contraddistinto il suo volto.

Lei non rispose e non lo guardò.

Genzo allora prese e se ne andò.

Kumiko sentì sbattere la porta e si sedette sul letto sconsolata.

 

Dopo un po’ però decise di scendere e dopo aver guardato Taro, che era rimasto immobile al suo posto mentre Sanae si era seduta accanto a lui, uscì fuori per raggiungere Genzo.

Il portiere era in riva al mare con le mani in tasca e con i piedi cercava di tracciare delle linee sulla sabbia.

“Io non sono brava a scappare….” disse Kumiko.

Lui non si scompose.

“Noi..noi abbiamo sempre fatto tutto in fretta e male… anche adesso stiamo ricadendo negli stessi errori…abbiamo sofferto e ci siamo fatti del male a vicenda. Ma ora non siamo più solo noi: c’è anche Taro e io non voglio che soffra….dobbiamo essere sicuri di quello che facciamo d’ora in poi; ogni singola decisione che prendiamo dev’essere ragionata….capisci?”

“Non hai per niente fiducia in me? Eh? Avanti dillo…tanto l’ho capito…”

“…Non si tratta di questo, Genzo. E’ che…il matrimonio è una cosa seria….cioè dobbiamo essere sicuri…”

“Io sono sicuro….sei tu forse che hai dei dubbi….. “

“Mettiti nei miei panni….perchè dovrei pensare che sei sicuro? Da cosa dovrei averlo capito…? Praticamente oggi è il primo giorno che ci parliamo….non mi dici mai niente…” disse lei con tristezza.

“Ma di notte mentre ti tocco, tu non lo senti quanto sono sicuro? Non lo senti?  Io mentre sono dentro di te ti dico tante di quelle cose….solo che te le dico con il pensiero…..non riesco a parlare, lo sai….”

Kumiko si sedette per terra, sulla sabbia.

“Sai..una volta  al tempio un monaco mi ha detto che se non diamo un nome alle cose, è come se  non esistessero….tutto ha bisogno di un nome, ogni singola cosa che esiste su questa terra. E’ come se ci si aspetti un suono, una parola….io aspetto una parola da te….almeno una….”

Allora Genzo si sedette dietro di lei prendendola a sé e abbracciandola.

“Sei così piccola che ti posso chiudere qui dentro, nel mio petto…” disse lui stringendola ancora di più a sé.

“Se dessi retta al mio corpo, al mio istinto, io ti sposerei anche adesso, qui in terra….” disse Kumiko “ però devo anche ascoltare la mia ragione: io….tu non sai quasi niente di me, Genzo, ma…io ho sofferto molto a causa dei miei genitori…. Non vorrei mai, mai per niente al mondo che Taro patisse anche solo un millesimo di quello che ho patito io…..lui non mi ha chiesto la vita: sono io che gliel’ho data .. siamo noi che lo abbiamo fatto… ed è un bambino così felice…..un nostro gesto istintivo, solo per farlo contento sul momento, potrebbe inaridire tutto. Pensaci. Se veramente vuoi bene a Taro, devi provare ad aspettare…. Devi veramente capire cosa vuoi…...”

Genzo le prese le mani per farle intendere che aveva capito.

Rimasero ancora un po’ lì a farsi coccolare dal vento; dopo un po’ arrivò anche il piccolo Taro che a sua volta si mise a sedere fra le gambe della mamma e cominciarono a ridere perché a tratti Genzo faceva loro il solletico.

A guardarli da dietro, sembravano una cosa sola: un’unica forma ondulata in movimento, totalmente in armonia, fra la sabbia e il mare, a re-inventare la linea retta dell’orizzonte.

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Capitolo 34
*** La scelta di Kumiko ***


Ciao… grazie infinite alle persone che commentano questa ff e a coloro che la stanno leggendo!

Miki87: come sempre, grazie per mandarmi un tuo pensiero sui cap! Penso che il cap di ieri sia stato veramente importante sotto tanti punti di vista, anche se la dolcezza di fondo, ha forse attutito il “colpo” ( Kumiko che dice “non possiamo sposarci…” è stata una bella botta per genzo..): grazie a Taro, Genzo e Kumiko si sono affrontati e lei ha dimostrato di non essere poi così arrendevole come sembrava… stiamo a vedere cosa succede …

Giusyna: grazie per la tua analisi così precisa della situazione…hai colto a pieno sia le emozioni di Kumiko che la condizione in cui si trova Genzo. Ora, come dici tu, lui è “alle strette”. Come si comporterà?

FlaR: grazie per quello che mi scrivi….e soprattutto sono felice che quella frase ti abbia colpito. Non sai quanto c’ho pensato! E’ difficile mettermi nei panni di Genzo e fargli dire qualcosa a suo modo….Lui è speciale e quando parla, dice sempre poco; in quel poco ci deve essere tanto….!E anch’io credo che in quella frase Genzo abbia provato a dirle che l’ama, l’ama da morire. Ma a quanto pare…a Kumiko non basta….

Marychan82: grazie mille per quello che hai scritto….le tue recensioni sono veramente profonde…grazie per quello che dici ( per l‘intensità con cui lo dici) e per gli aspetti che cogli nella storia. C’è verità nelle tue osservazioni: il rapporto con il cibo, che è uno di leit motif della storia (anche di quella precedente, vedi il cap Genzo di nuovo) per Taro, Kumiko e Genzo; il concetto di dare un nome alle cose, che tu hai razionalizzato e spiegato talmente bene che non c’è bisogno che aggiunga molto...! Sono felice che si riesca a sentire, che tutte queste idee ci sono, ma entrano nella storia in modo naturale. E’ qualcosa a cui tengo molto!Io…non mi stanco mai di leggerti..  grazie di cuore!

Sanae78: grazie mille per aver commentato il cap! Sono contenta delle percezioni che hai avuto e il fatto che si riescano ad assaporare le tante emozioni che hanno attraversato i prs mi rende felice…!grazie!

Vi lascio al cap…..

A presto

_

L’indomani, mentre tutti erano in spiaggia, suonò il cellulare a Tsubasa.

Era una telefonata dalla Spagna e Kumiko non riusciva a capire niente: era molto felice di aver parlato con Genzo, anche se lui, “quella parola” non l’aveva detta. Aveva deciso di godersi gli ultimi tre giorni senza farsi troppe paranoie e stava cercando di preparare il bambino alla separazione dal padre. Una volta in Giappone, Genzo sarebbe rimasto ancora una settimana, ma poi con Tsubasa, Sanae e i bambini sarebbe rientrato a Barcellona. Per Taro era tutto nuovo e non si rendeva bene conto di cosa sarebbe accaduto: da un momento all’altro si aspettava che i suoi si sposassero e nelle sue fantasie non c’era spazio per altro se non per i giochi e per il pallone.

Kumiko vide che Sanae era diventata seria e sembrava anche triste. Lo stesso si poteva percepire dallo sguardo di Tsubasa.

“Ma cos’è successo?.... sta male qualcuno?” chiese lei.

Tsubasa con lo sguardo fissava il cellulare.

“Era il direttore amministrativo del Barcellona….la società sta richiamando i giocatori… dobbiamo rientrare: c’è stato un cambio  ai vertici e hanno deciso di iniziare prima la preparazione….”

Kumiko era rimasta in silenzio e cercava di mettere a fuoco ogni parola. Guardava Sanae e si vedeva chiaramente quanto questo la rendesse triste perchè significava non poter andare in Giappone.

“Sanae…” disse Tsubasa guardando lei e poi i bambini.

Lei sorrise, “Non fa niente….” disse per tranquillizzare suo marito.

“Se vuoi, puoi andare dai tuoi e raggiungermi tra un po’….” disse il capitano; ma si vedeva che non era sincero e non aveva piacere.

“No…non importa…torniamo tutti con te…i bambini non hanno la scuola…se non te li godi un po’ adesso, quando ci stai con loro?” disse Sanae.

Tsubasa le sorrise e poi andò da Genzo che stava costruendo una pista per le biglie ai bambini. Lo chiamò da parte; Kumiko memorizzò, quasi fossero fotogrammi, i cambi graduali di espressione che si dipingevano sul suo volto: dal sorriso luminoso e felice, ad uno un po’ più contenuto, poi più nervoso, fino a che il sorriso non c’era più e la bocca erano due labbra che si mordevano fra loro mentre la fronte si era corrugata e il pugno era stretto. Guardò Taro e poi lei.

Si fissarono un istante. Non c’era più tempo per prepararsi: avrebbero dovuto parlare subito al bambino.

Sanae corse in casa e si chiuse in bagno perché voleva piangere e stare da sola. Non era triste perché non avrebbe rivisto i suoi; piuttosto pensava a suo fratello che ora frequentava il conservatorio a Tokyo e avrebbe fatto la sua prima piccola tourné da solista. Pensava alla sua bella casa, alla sua terra che così tanto vedeva nei suoi sogni di notte, quando nessuno poteva chiamarla o interrompere il filo dei suoi pensieri. Pensava a tutto questo e non poteva fare altro che piangere.

Kumiko bussò e lei le aprì. Questa volta, dopo tanto tempo, fu lei a consolare la moglie del capitano, a sussurrarle filastrocche in giapponese e a parlarle delle preghiere sulla montagna, come per farla sentire meno lontana da casa.

Kumiko dal canto suo era sconcertata. Quando si rese conto che gli altri erano rientrati, capì che dovevano uscire dal bagno e che era tempo di cominciare a fare i bagagli.

Tsubasa chiamò per prenotare i posti nel primo volo disponibile.

“Kumiko…. naturalmente tu puoi restare quanto vuoi….” le disse Sanae.

“No…. No …noi torniamo a casa….” rispose lei.

Allora il capitano richiamò e prenotò due posti per il volo per Tokyo e da quel momento cominciò la confusione. I bambini avevano capito da un po’ ed erano saliti ( tranne il piccolo Ryo) di sopra a raccogliere i loro giochi.

Taro invece era tornato fuori a terminare la pista.

Genzo lo raggiunse.

“Taro… ascolta… dobbiamo andare via….”

Taro, in fondo aveva intuito che c’era qualcosa di strano e aveva un po’ di paura. Così fece finta di niente e continuò a lavorare la sabbia per fare un percorso.

“Hey… guarda che sto parlando con te….” disse lui “bussandogli” delicatamente su una spalla.

“Dove dobbiamo andare?” chiese lui.

“Devi tornare in Giappone con la mamma….”

“E tu? Perchè non vieni?” chiese ancora il bambino.

Genzo lo abbracciò e cominciò a baciarlo sulla faccia, mentre Taro provava a dimenarsi.

“Lasciami …” disse imbronciato.

Allora Genzo lo lasciò.

“Io..non posso venire con voi. Devo allenarmi. Devo tornare a Barcellona…”

Taro allora corse verso casa senza voltarsi.

Appena vide sua mamma, sentì che non poteva trattenere il pianto, ma era orgoglioso almeno quanto i suoi genitori e ingoiò le lacrime.

“Ma perchè il babbo non ti sposa mai?” le chiese.

Lei piuttosto che rispondere avrebbe di gran lunga preferito ripetere lo strazio del parto. Ma non era possibile.

“Perché ci vuole tempo…. Questo comunque non significa niente…. Noi ti vogliamo tanto bene anche se non ci sposiamo…” disse Kumiko con dolcezza.

“Ma io no!non vi voglio più bene!” gridò il bambino correndo di sopra come una lepre.

Kumiko voleva raggiungerlo , ma Genzo che intanto era rientrato e aveva sentito, la fermò.

“Lascialo un po’ da solo….è sconvolto….”

Allora Kumiko salì in camera sua e fece i bagagli: di fronte, dall’altra parte del letto c’era Genzo che faceva la sua.

Lei ogni tanto lo guardava e notava come gli si fossero gonfiati un po’ gli occhi, dalla tristezza. Continuava a riporre i panni dentro la borsa e la mente era tutta corrugata.

“Ce l’ha con me” pensò lei.

“Tutti e due adesso mi staranno odiando…” continuò a pensare.

Si sentì tremendamente in colpa e come sempre ebbe quella sensazione di malessere, un presentimento brutto. Ma non poteva sposare un uomo solo perché era il padre di suo figlio; non poteva sposare uno che non le aveva mai detto che l’amava.

Lei sentiva che lui era cambiato e che adesso lei aveva un posto nel suo cuore. Ma non le bastava. Avrebbe affrontato tutto, ma non l’umiliazione di ritrovarsi accanto a lui senza avere la certezza che il suo amore fosse ricambiato sul serio.

Per questo, proprio per questa convinzione di verità, che aveva dentro, non disse nulla.

Sapeva che lui si stava aspettando un suo ripensamento, ma Kumiko decise di non cedere. Era troppo rischioso e lei aveva sentito già abbastanza dolore.

Dopo un po’ si guardarono un’ultima volta da soli.

Genzo con la mente le attraversò i vestiti, le affondò dentro come aveva fatto di notte: senza riguardo, senza risparmiare un millesimo del suo corpo, della sua passione , del suo bene. E lei si lasciò attraversare senza opporre resistenza. L’istinto le diceva una cosa, ma la ragione un’altra.

Lei scelse la seconda via.

 

Taro, nel frattempo, si era calmato: Hayate e Daibu gli avevano detto che sarebbe andato tutto bene e che senz’altro si sarebbero visti presto. La sicurezza che non aveva trovato negli adulti, Taro la ricevette dai suoi amici e questo fu sufficiente perché si mettesse a raccogliere i suoi giochi e ad infilarli nel suo zainetto.

Quando Genzo entrò in camera, Taro gli andò incontro e questa volta, sapendo che per un po’ non si sarebbero visti, si fece abbracciare e coccolare.

Il piccolo non si staccò più dal padre per tutto il tempo che rimase.

All’aeroporto la scena che si presentava al passeggero solitario, distratto ma anche curioso, era intensa: da una parte la piccola Michiko accanto a Kumiko; Sanae seduta un po’ in disparte mentre Ryo le raccontava la storia di un pesce in un acquario; Tsubasa e i gemelli che silenziosi guardavano la vetrata del gate; molto più in là, lontani dal mondo, come a separarsi da tutto, Genzo seduto per terra, appoggiato alla parete, con Taro sullo scollo che lo abbracciava e poi si distaccava per fargli una domanda e di nuovo gli dava una carezza e un bacio e poi ancora gli diceva una parola.

Quando Michiko glielo concedeva, Kumiko con lo sguardo cercava Taro e Genzo, e le veniva da piangere: non riusciva ancora a credere che tra loro ci fosse una tale sintonia. Era come se si fossero conosciuti da sempre, dal primo giorno in cui il bambino era venuto al mondo. I sei anni in cui il portiere non c’era stato, si erano dissolti esattamente come le gocce più piccole della rugiada quando arriva il sole e i fiori cominciano ad aprirsi completamente.

Ora che entrambi avevano conosciuto quel genere di amore, l’amore che ti dà un genitore e quello che ti dà un figlio, il distacco sarebbe stato straziante. Quasi , per un momento, le venne da maledire il giorno in cui il destino li aveva fatti incontrare di nuovo, al refettorio. Fino a quel momento il fato era stato a guardare; in silenzio aveva fatto in modo che ognuno di loro schivasse l’altro e la vita, senza troppe emozioni, era “filata liscia”.

Ma non si può evitare il destino per sempre; la vita ti viene sempre a chiedere il resoconto di ciò che hai fatto; per spogliarti delle tue paure. Per condannarti. O per salvarti.

Nel suo caso, Kumiko non riusciva bene a distinguere la traiettoria del destino. Sapeva che il suo corpo era stato dato in dono a Genzo e che nessun altro l’avrebbe mai potuto corrompere. Ne aveva le prove, quindi su questo ormai non c’era molto da pensare. Il suo cuore, il suo cuore maledetto era un groviglio di fili spinosi, come gambi di rosa e petali di oleandro essiccati dal sole: c’era profumo, c’era molto spazio, ma non c’erano convinzioni, a parte l’amore assoluto per Taro.

Nella sua testa la frase “cosa giusta da fare” si scontrava incessantemente con “cosa sbagliata da  non fare”: era un continuo pensare e ripensare e non riusciva a fare chiarezza.

Aveva sperato che Genzo l’aiutasse: sarebbe stato sufficiente che lui si fosse aperto un po’ di più e lei avrebbe rinunciato a tutti i suoi dubbi e l’avrebbe seguito all’istante.

Ma lui era indomabile.

Le sembrò irrimediabilmente tutto inutile.

“Michiko, dai.. su dobbiamo andare…” disse Tsubasa richiamando tutti alla realtà.

Il volo per Barcellona era stato annunciato e si dovevano sbrigare.

Kumiko avrebbe dovuto aspettare ancora un paio d’ore e farsi mezzo aeroporto a piedi per andare al suo gate ( gli addetti della compagnia aerea, avevano fatto restare lei e il bambino a quell’uscita in via del tutto eccezionale).

“Ti telefono tutti i giorni, va bene? Quando in Spagna è mattino e in Giappone è sera, ti telefono così mi racconti quello che hai fatto e come stai….” disse Genzo, cercando di sembrare sereno, credibile e rassicurante (le tre cose che da sempre ,fra molte altre, gli venivano meno).

“E se si rompe il filo del telefono e  non mi puoi chiamare?” chiese Taro, tutto bagnato dal pianto in faccia.

Allora Genzo tirò fuori il suo cellulare.

“Ma io ti chiamo con questo… lo vedi? Non c‘è nessun filo… non si può rompere…”

I due si abbracciarono per l’ennesima volta.

“E… se un giorno ti stufi di chiamarmi?.....” chiese ancora.

Genzo si inginocchiò di fronte a lui e gli mise a posto i pantaloni.

“Io non mi stufo mai di telefonarti….io…. mi manchi già molto…..”

“Sicuro?” domandò il bambino.

“Sicurissimo….”

Genzo gli baciò una guancia e gli accarezzò la testa.

“Forza… vai dalla mamma…”

Kumiko aveva abbracciato i bambini e mentre piangeva aveva stretto a sè Tsubasa e Sanae, anche lei molto triste. Le due amiche si erano parlate a lungo in quei giorni, ritrovando quella complicità che per troppo avevano dovuto soffocare. Separarsi adesso, sembrava loro inaccettabile.

“Ragazze” disse Tsubasa…” cercate di essere forti….dai…”. Anche lui era molto provato emotivamente, anche se aveva cercato di nasconderlo perché non voleva che i bambini se ne accorgessero.

“Mi raccomando…” disse il capitano abbracciando e baciando Taro…” proteggi la mamma…..”

Anche Sane e i bambini andarono intorno a Taro e tutti lo salutarono con affetto.

Ryo mostrava per la duecentesima volta il suo album di figurine di animali a Taro e voleva raccontare anche a lui la storia del pesce in un acquario, ma Michiko gli diede un morso sull’ avambraccio e lui zittì subito. I gemelli scoppiarono a ridere e anche Taro accennò un sorriso.

Genzo fece qualche passo verso Kumiko. Lei teneva gli occhi a terra. Già sentiva quanto le sarebbe mancato.

“Ti prego…” disse lui” non mandare il bambino al Tokyo….anche se ti faranno pressione, non firmare nessun accordo… lascia che riprenda a giocare nella sua vecchia squadra…”

Kumiko lo guardò e non sapeva cosa pensare.

“credimi…. lo dico per il suo bene…..”

“ok… non preoccuparti….”

Nel frattempo Taro era arrivato da loro e si attaccò ad una gamba della madre.

Allora Kumiko si accovacciò per capire se fosse ancora molto arrabbiato con lei, ma nel suo sguardo di bambino, c’era solo bellezza e leggerezza.

“Mamma….mamma sei tanto bella..” disse lui nascondendo la faccia fra le sue cosce tirando la stoffa della gonna come piaceva a lui.

Kumiko sorrise.

Genzo la fissava e pensava esattamente la stessa cosa. Lo pensava, ma non fu capace di dire una parola.

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Capitolo 35
*** Le cose semplici ***


Grazie come sempre a tutte le persone che scrivono , leggono e si appassionano a questa ff....

Miki87: ciao!grazie per aver scritto! ..lo so….lo so che Kumiko avrebbe anche potuto accettare i “passi da gigante” di Genzo. In fondo lui, a modo suo, gliel’ha detto che l’ama. Ma Kumiko sta tentando di difendersi….non so fino a che punto ci potrà riuscire…..

Sanae78: ti ringrazio moltissimo per la tua bella rec, e per aver sottolineato il passaggio di sanae che piange per nostalgia. Ci tenevo ad inserire una nota di malinconia perché altrimenti la coppia OZORA sembrava ormai troppo perfetta e di plastica. Non so se hai notato quando ho scritto che Tsubasa, le propone di andare in Giappone, ma “si vedeva che ..non aveva piacere…”. Sono anche d’accordissimo con ciò che scrivi: anche secondo me Sanae soffre molto per essere lontana dal Giappone….

Marychan82: grazie infinite per quello che scrivi… il tuo modo di sentire i pers è come se mi aprisse ancora meglio gli occhi, non so bene come dire: io scrivo e li vedo da una certa prospettiva, in certi momenti, davanti a me sono a tutto tondo, ma non sempre. E mi aiuta leggere come li percepite voi, cosa ne pensate, come li interpretate. Hai un modo molto poetico di esprimerti. Ti ringrazio davvero per dedicare proprio a questa storia questo tuo modo così intenso di scrivere…Riguardo alla domanda su Taro al Tokyo: in parte credo che sia così. Forse preferirebbe vederlo giocare, sì, ma in un posto più sicuro…sotto la sua protezione…sa quanto il calcio sia “spietato” per certi aspetti…. Grazie ancora

Giusyna: grazie mille come sempre per la tua rec. Anch’io, se posso esprimere il mio parere ( anche se in quanto autore, non dovrei…uhps), sono d’accordo con Kumiko. Secondo me ha fatto bene. Lei ha sofferto troppo: ha paura… ma ce la farà a resistere?

Sany: ciao… grazie per la tua rec così “coinvolta”! le tue osservazioni sono tutte condivisibili…vallo a spiegare a quei due, pero’!

Mareluna:ciao! Che bello quando mi scrivi! Sono felice che la storia ti appassioni tanto…. Anche a me…credimi, all’idea che tra poco è finita mi sento un po’ triste…vorrei continuare a scrivere su questi 2 pers.. mi piacciono troppo. Ho capito perfettamente cosa vuoi dire e, senz’altro quando siamo al penultimo cap lo dico. Così ci prepariamo un po’ tutte…

Makiolina: bellissima rec…lucida, precisa..non so neanche cosa dirti… so solo che l’avrò già letta 5-6 volte ….!Grazie per il tempo che mi hai dedicato e per tutte le riflessioni che hai espresso. Nelle tue parole ci sono anche delle intuizioni….ma non posso anticipare niente…..

Hitomichan: eh.. lo so… ma dai era troppo scontato se finiva così….va beh che sulla trama non lavoro molto, ma ho cercato di fare il possibile per rendere questa ff un po’ speciale ( ve lo meritate no?!). Devo dire la verità…. La storia mi viene proprio da dentro…il modo in cui si susseguono gli eventi è un processo del tutto irrazionale, su cui non applico nessun ragionamento. Solo in un secondo momento ( quando cioè scrivo fisicamente i cap), cerco la coerenza e la coesione fra i vari elementi… quindi non so come dirti.. mi è venuta così! …. Spero che saprai aspettare…..grazie ancora!

Vi lascio al cap che è di transizione ma… fondamentale…….

A presto

__

 

 

Per Taro, dopo i primi giorni, che furono un po’ duri, la vita riprese il suo corso. Si godeva le vacanze, giocando a pallone con gli amichetti e puntualmente ogni sera, all’ora stabilita , si piazzava davanti al cellulare appoggiato sulla mensola del corridoio e  aspettava che il padre lo chiamasse.

Le loro conversazioni erano lunghe e articolate, perché sia l’uno che l’altro erano molto curiosi e facevano molte domande; di tanto in tanto Taro  scoppiava a ridere e sembrava molto felice.

Per Kumiko era un continuo cercare di sopravvivere. Si sentiva molto strana fisicamente; dopo tutto quel sesso, ripiombare nell’astinenza non era stato come sei anni prima. Le mancavano molto le notti passate con lui e pensava che, visto che non aveva avuto molto altro, fosse anche normale. Inoltre aveva continuamente la sensazione di averlo ancora dentro di sè.

La vita era amara, senza di lui. Lavorava e pensava a Taro, temendo ogni giorno che potesse accadere qualcosa di brutto, sperando che potesse succedere qualcosa di bello.

Tutti i giorni Sanae le scriveva  e lei ora aveva imparato a rispondere. All’inizio erano solo frasi sconnesse o molto, troppo sintetiche. Poi, piano piano, erano diventati pensieri più profondi e ben scritti e Sanae capiva , attraverso le sue parole, tutto quel mondo che prima lei esprimeva solo attraverso il suo amore per i fiori o i dolci.

Era riuscita a raccontarle le sue cose più intime e private e le aveva parlato a lungo di sua madre; cosa che non aveva mai fatto con nessun altro.

Per Kumiko, le email a Sanae erano un modo per sciogliere un po’ della sua durezza interiore. Con la moglie del capitano, era tutto più semplice; ogni cosa sembrava risplendere di luce propria e anche  i suoi ricordi più terribili, parevano far meno male una volta che li aveva scritti sullo schermo del computer.

Parlavano di Genzo e Sanae non faceva che ripeterle di quanto fosse triste e avesse radicalmente cambiato abitudini; non usciva con nessuno; non usciva quasi più. E sembrava aspettare solo di chiamare il bambino.

Parlava poco ma Sanae riusciva a sentire che gli mancava anche molto Kumiko.

 

Genzo si svegliava e chiamava il piccolo Taro. Tutta la sua giornata ruotava intorno al momento della telefonata a suo figlio; tutto il resto passava in secondo piano. Ogni volta, quando riattaccava, aveva una sensazione di vuoto, di perdita, di assenza. Niente e nessuno, nell’arco del giorno riusciva a colmare quella sensazione di mancanza ed era tremendo per lui. Si presentava puntualmente alle sedute di allenamento e lavorava sodo come aveva sempre fatto nella sua vita. Nel tempo libero, passeggiava solo o con i bambini di Sanae e Tsubasa per i parchi di Barcellona e si fermava spesso ad osservare gli alberi, le foglie. I fiori.

Poi la sera si sedeva fuori e guardava il cielo che cambiava colore; adesso capiva che cosa fosse la malinconia, quella specie di fitta al cuore e allo stomaco di cui così tanto gli aveva parlato Tsubasa.

Di notte invece c’era posto solo per lei, per il suo corpo stupendo, per la sua bocca e per quegli occhi che sempre gli chiedevano una parola e lui lì, fermo, impalato.Tutte le certezze, tutte quelle piccole difese mentali che si era costruito crollavano al solo ricordo della sua schiena morbida e del suo petto nudo.

Viveva nell’attesa di poterla rivedere e toccare.

Aveva incontrato suo padre, mentre era di passaggio a Barcellona per lavoro e  gli aveva raccontato tutto. Il signor Wakabayashi aveva ascoltato le poche parole di Genzo ed era rimasto a guardare fuori mentre erano seduti in un bel ristorante del centro.

“E pensare che quando ti ho chiesto chi fosse…. tu mi hai risposto che non era “nessuno”….Sei sempre stato un ragazzo chiuso….”

“Non avresti mai capito… anche se ti avessi detto cosa provavo per lei…cosa provo per lei, tu non avresti capito…”

Suo padre scosse la testa.

“Io ho amato una sola donna in tutta la mia vita. Ed è stata tua madre. Io avrei capito, Genzo…”

Genzo lo fissò.

“Se davvero credi di amarla, devi andare da lei e devi dirglielo. Perdere la donna che ami è come perdere se stessi.”

“Mi fa paura….l’amore mi fa paura…il pensiero di averla e poi magari di perderla….mi fa troppo male. Invece se le sto lontano… mi sembra di….”

“Sopravvivere….ti sembra di farcela… e di non avere nessun tipo di dolore. Ma ne vale la pena?Per cosa? A che scopo….non puoi difenderti dall’amore. E’ una cosa che non funziona. Tua madre lo sapeva che vi amavate…è per quello che le voleva lasciare la villa…. Adesso è tutto chiaro.”

Prese l’ultimo sorso di caffè e poi guardò l’orologio.

“Sarò in Giappone quando avrai la partita con la Nazionale…. E se sei d‘accordo vorrei conoscere il piccolo. E anche questa ragazza…vorrei rivedere la ragazza dei tulipani….”

Genzo si alzò “Va bene….”

Ognuno andò per la sua strada e Genzo invece di salire in macchina, decise di fare due passi. La città era piena di gente e ogni tanto qualcuno lo fermava per una foto e un autografo. Lui sorrideva all’obbiettivo e si sentiva un po’ più vero, un po’ più vivo.

Davanti ad una vetrina fu attirato dal bagliore e dal luccichio degli oggetti esposti. Entrò.

“Salve” disse una commessa.

“Salve…”

“Posso aiutarla?”

Genzo fissava il ripiano perfettamente pulito e lucido.

“Non lo so….”

La commessa lo fissò un po’ perplessa ma poi sorrise.

“Guardi pure… io resto qui e se vuole un consiglio, chieda…”

“Non so dove guardare….non so….”s’interruppe.

“Si tratta di una ragazza?” chiese lei, che di uomini sperduti ne aveva visti a decine.

Genzo allora la guardò.

“Ma…sì…. potrebbe essere…..lei….noi abbiamo un bambino stupendo….”

La commessa lo guardò con dolcezza.

“Beh…. La madre di un bambino stupendo, si merita un regalo altrettanto stupendo, no?”

Genzo aveva ricominciato a guardare il ripiano. Ma non parlava. Lui faceva sempre perdere l’equilibrio alle donne.

“Io credo che le serva un anello…..” disse allora lei.

“Un anello?”

“Già….”

“Un anello come? Un anello è complicato…. Lei fa la pasticcera….non porta gli anelli..”

“Oh vedrà che il suo lo porterà di sicuro…. “

“Le ho fatto molto male….” disse Genzo ancora con gli occhi bassi.

“Allora ci vuole qualcosa di semplice. Le cose semplici, senza tanti arzigogoli, sembrano più vere. Sono più sincere” disse la ragazza tirando fuori da sotto il banco un astuccio con tante vere di diverse fattezze.

Il portiere le osservò e in un primo momento le parvero tanti cerchietti d’oro, uno identico all’altro. Si abbassò con il busto per cercare meglio e dopo poco vide che invece ogni cerchietto era diverso: cambiava lo spessore, la grossezza; qualcuno avevano delle piccole pietre colorate, altri invece niente.

“Gliene porto degli altri…”

“No… aspetti….” Genzo uscì un attimo e andò alla vetrina: sul secondo ripiano, c’era un anello dalla vera sottile in oro bianco con una piccola perla di corallo.

“Voglio quello….”

La commessa l’aveva raggiunto e sorrise.

“E’ bellissimo….” disse lei

“Dice?”

“Sì….ha davvero buon gusto….”

Corse alla macchina e si fermò davanti alla casa di Tsubasa.

Una volta entrato, cercò il capitano e Sanae, che erano seduti sul divano a giocare con i bambini.

“Ciao Genzo!” dissero in coro i gemelli.

“Ho comprato un anello…” disse lui tutto d’un fiato, guardando Sanae e Tsubasa, come non li aveva mai guardati prima.

 

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Capitolo 36
*** Il mare dentro ***


Ciao a tutte……ieri mattina mi sono svegliata con in testa il seguito a questa storia….alla fine mi odieranno tutti…. in testa quindi, riassumendo, ho tre storie: peccato che non ne abbia ancora cominciata una, tranne quella yahoi (appena abbozzata)….va beh….lasciamo stare… se volete prenotarmi la croce verde, direi che è ora....

Vi ringrazio sempre molto per le vostre recensioni! Quante cose avrei da dire…solo che non ho molto tempo stasera, sarò un po’ breve…scusate!

Giusyna: da come ti esprimi si vede che ami scrivere…bella la definizione che hai dato al cap…grazie infinite!

Miki87: sì immagino anch’io che Tsubasa abbia reagito più o meno come dici tu!...poteva anche essere un’idea approfondire le reazioni, ma mi piaceva troppo chiudere il cap così…riguardo al padre, sì, hai ragione… ci voleva un po’ di tregua anche perché portare rancore non serve a niente…giusto?grazie mille per  i tuoi commenti!

Makiolina: ci voleva sì!... riguardo al corallo, c’è un motivo e sarà la storia a portarti la risposta….su Kumiko, beh, che dire, mi rendo conto che ormai conoscete il mio stile: c’è una frase che ho messo apposta per questo…chissà se è da quella che ti è venuta questa idea…sto vedendo che anche altre pensano lo stesso…..vediamo cosa succede….grazie per aver scritto!

Mareluna: grazie a te per dedicare del tempo alla storia e per scrivermi! Mi fa molto piacere! Grazie per tutte le tue considerazioni!

Sany: che bello che il cap ti abbia fatto venire in mente un episodio della tua vita…spero anch’io che Kumiko non si faccia scappare un ragazzo così…. Sta guadagnando dei punti, no?

Marychan82: grazie infinite per quello che mi scrivi…non so che dire….mi rende felice il pensiero che questi pers ti portino ad esprimerti così….è bello pensare che un “semplice “ racconto possa darci l’opportunità di tirar fuori tutto questo…grazie

Sanae78: ciao! È sempre bello quando mi scrivi… riguardo a kumiko.. non posso anticipare niente…..mentre sul nonno, beh, direi che sarebbe bello se ci fosse un contatto fra il padre di Genzo e Taro…chissà ….

Scusatemi se sono stata un po’ striminzita (odio rispondere così… di solito mi ci metto con più calma… ) ma in queste ultime settimane praticamente non ho mai tempo….

Ringrazio tanto anche tutte le persone che leggono semplicemente.

Ed eccoci al cap di stasera… uno di quelli a cui sono più “legata” emotivamente ….

A presto

___

Finalmente, era arrivata la tanto attesa partita con la Nazionale, la prima del girone per le qualificazioni. L’autunno era nel suo momento più intenso: ottobre profumava di giallo e  il vento portava via le foglie dagli alberi.

Tornare in Giappone era stato il sogno ricorrente di Genzo dall’estate, da quel giorno all’aeroporto di Miami in cui aveva dovuto separarsi da Taro e Kumiko. Tsubasa gli era accanto e poteva percepire quanto il portiere, nell’arco di quei mesi fosse veramente cambiato. Ne era fiero ed era felice di averlo sempre difeso: sapeva che prima o poi le cose sarebbero cambiate ed ora, quello stesso vento che fuori sembrava portare via solo foglie, dentro i loro cuori stava spazzando via, forse definitivamente tutta la tristezza, tutti gli avvenimenti brutti degli ultimi lunghi periodi della vita del suo migliore amico.

Durante i giorni del ritiro, finalmente poteva chiamare Taro ogni due-tre ore e già questo lo rendeva più felice. Sapeva che purtroppo Kumiko non avrebbe potuto portare il bambino alla partita, perché proprio quel giorno doveva seguire un servizio di catering per un hotel, ma appena finita la gara, sarebbe corso da loro e avrebbe potuto rivederli.

Al tramonto, dopo l’allenamento, si sedeva accanto a Tsubasa e, nonostante l’aria quasi fredda, si mettevano a guardare il cielo che imbruniva perché era lo sfondo alla malinconia. Non c’era più alcun bisogno di parlarne: tutti e due condividevano esattamente lo stesso stato d’animo. Tsubasa, anche se ormai era abituato, senza Sanae e i bambini, che erano rimasti a Barcellona, si sentiva vuoto. Genzo idem.

Restavano fermi e in silenzio a contemplare la luce e ognuno a suo modo, la scomponeva in mille piccole particelle come per imprimersele dentro  e associarle a un loro personalissimo ricordo, un’immagine della loro donna o dei bambini. Nelle loro teste, era come assistere alla proiezione di un film o alla recita di un attore.

Solo quando la notte era fitta e scura, si alzavano e rientravano.

 

Il piccolo Taro, si era addormentato piangendo, quando Kumiko gli aveva spiegato che non l’avrebbe potuto portare allo stadio. Si era messa a piangere anche lei, dallo strazio e dal senso di colpa, ma purtroppo quell’impegno di lavoro era stato programmato da tempo ed il cliente aveva espressamente richiesto la sua presenza, quindi non poteva fare altrimenti.

Tutto il suo corpo era in fermento ormai da giorni al pensiero di rivederlo, anche se sarebbe stato solo per poche ore: Sanae al telefono le aveva spiegato che dopo la partita, Genzo e Tsubasa avrebbero trascorso la notte a Nankatsu per poi riprendere il volo del mattino.

“Gli chiederò di restare qui tutta la notte…..” si disse fra sé e sé…” con me….tutta la notte” si disse ancora.

Lui tanto non avrebbe parlato come sempre, quindi lo avrebbe fatto lei.  Aveva bisogno di lui. Non ce la faceva più. Era lo stesso se era sbagliato; se insieme erano “una cosa che si rompe”; molto meglio rompersi, che restare così, sospesi e non sapere di che morte dover morire.

 

Taro, all’ora della partita tra il Giappone e la Tailandia, si piantò di fronte al televisore e non diede udienza a nessuno.

Kumiko l’aveva lasciato in casa da solo, con i due ragazzi che facevano il turno del pomeriggio in pasticceria, mentre lei era andata all’hotel con Ikeda e gli altri per il servizio di catering. Si muoveva con destrezza e controllava i piatti e i cabaret in ogni minimo dettaglio: tutto era vagliato dal suo occhio iper critico e anche il più piccolo difetto nella posizione di una fogliolina e di un petalo che facevano semplicemente da ornamento, veniva subito corretto. Questo modo di lavorare era stato trasmesso a  tutti i suoi dipendenti, specialmente ad Ikeda che, oltre ad essere diventato bravo almeno quanto lei, aveva ereditato una certa dimestichezza a guardare le cose anche con un forte senso dell’estetica. Doveva molto a Kumiko e cercava di apprendere tutto da lei.

Il cliente andò di persona a complimentarsi con loro che, una volta soli, stapparono una bottiglia di vino sudafricano per festeggiare il successo.

Quando rientrò trovò il bambino addormentato, girato su un fianco.

“E’ stato buonissimo” disse la ragazza che l’aveva messo a letto.

“Grazie….la partita è andata bene?” chiese.

“Sì abbiamo vinto 2 a 0, goal di Tsubasa e Taro. Genzo ha parato anche un rigore….” disse la ragazza.

Kumiko arrossì “Ah… bene…. Per caso ha chiamato qualcuno?”

“… no…. Perché?”

“No… beh… pensavo che Genzo fosse già qui… sono già le undici e la partita è finita alle quattro… sai domani mattina deve subito rientrare e speravo potesse salutare Taro…. Speravo che passasse….” disse sconsolata e un po’ amareggiata.

“Beh .. ci sarà stata la conferenza stampa e poi… ….. arriverà, non disperare…”

Kumiko le sorrise.

“Certo… grazie mille…. Vai pure a casa…. Buonanotte”

“Ok.. è tutto chiuso e in ordine di sotto. A domani”

 

Kumiko si affacciò al terrazzo senza aprirlo completamente: l’aria era già troppo fresca e aveva paura di far prendere freddo a Taro. Lo prese in braccio cercando di non svegliarlo e  lo portò nella sua cameretta.

Si tolse le pantofole e andò nella piccola cucina per farsi un po’ di tè. Sentiva che il cuore pulsava veloce: l’attesa e la speranza si mischiavano al terrore che qualcosa andasse storto e che Genzo non riuscisse ad arrivare.

Si annusò e sentiva che puzzava di sudore e di mangiare. Doveva fare la doccia ma non poteva perché sapeva che se si fosse infilata in bagno e lui fosse arrivato (e certamente non avrebbe suonato ma solo bussato, per via dell’ora tarda), probabilmente non avrebbe sentito e lui magari se ne sarebbe andato….

Prese il tè e si era già fatta mezzanotte.

Le veniva da piangere.

“Quanto sei stupida Kumiko…. Sarà in giro a fare baldoria… sarà in qualche locale a spassarsela… come sempre…. Invece di passare un po’ di tempo con suo figlio… invece di stare con me….”

Capì che ormai era troppo tardi e decise di fare il bagno.

Proprio quando stava per spogliarsi sentì bussare.

Corse ad aprire ed era lui.

“Scusa…. Ti ho chiamato mille volte ma hai il cellulare spento e il telefono della pasticceria dev’esser messo male…non riuscivo  a prendere la linea…”… disse lui

Kumiko lo guardò e aveva il cuore a mille: diede un’occhiata al cellulare sul tavolo e infatti non lampeggiava…. Il telefono sulla mensola aveva la cornetta spostata… sicuramente ci aveva giocato Taro. Lei, totalmente distrutta, dopo la giornata di lavoro, non ci aveva fatto caso, anche perchè col telefono non è che avesse molta dimestichezza.

Lo fece entrare ed era tutta rossa in volto.

“Io… non me ne sono accorta, scusa te….”

Genzo era molto agitato.

“Abbiamo trovato un incidente e siamo stati bloccati per almeno due ore …”

Kumiko si era allontanata; aveva aspettato tanto quel momento e adesso invece si sentiva a disagio e in disordine. Voleva scappare….

“Come stai…” chiese lui, che, allo stesso modo non sapeva bene come comportarsi.

“…bene..che bravo che sei stato… hai anche parato un rigore… mi hanno detto… chissà quanto avrai reso felice Taro….”

Genzo si tolse il berretto. Era nervoso ma non voleva nascondere il suo volto. Voleva che lei lo guardasse bene.

“Grazie… sono stato anche fortunato.. avevo studiato un po’ i rigoristi della squadra. Il numero 11 ha tirato dove tira sempre, quindi….”

Kumiko nel frattempo aveva fatto un altro passo indietro. Lui indossava la divisa ufficiale della Nazionale ed era lavato e profumato. Lei era tutta una chiazza di crema e cioccolato e aveva odore cattivo.

“Beh… che facciamo qui imbambolati?” disse lei” andiamo a svegliare Taro così almeno lo puoi salutare…. Tra poche ore hai il volo…..”

Kumiko si girò e  fece per andare nella sua stanza.

“Non prendo questo volo….ho chiesto tre giorni di permesso e me li hanno dati… ho molto da fare qui..” disse lui fissandola, ma rimanendo esattamente dov’era.

Kumiko si fermò e si girò, spiazzata e sorpresa.

“Ah sì?” chiese, per aver conferma.

“Sì…… devo convincere la mia ragazza a sposarmi…..” lo disse senza tradire nessun tremore nella voce. L’aveva detto senza pause ma lentamente.

Lei rimase di stucco.

“Pensa…. In questi tre giorni la devo prima convincere, poi la devo sposare e infine la devo portare a Barcellona…. Secondo te ce la faccio?” chiese lui, che ancora sembrava molto serio e convinto.

Kumiko ora era sbiancata e sembrava una statua.

“Non l’ha detto sul serio…. Non lo sta dicendo a me…” si disse fra sé e sé.

“Allora? Ce la faccio?”

“Credo…. Che … credo che dipenderà da quello che le dirai….” rispose lei.

Genzo le sorrise e fece un passo avanti. Lei di conseguenza uno indietro.

“Questa volta faccio le cose per bene. Mi sono preparato il discorso. Che poi, se ci pensi bene… è sempre lo stesso discorso che fa ogni uomo alla propria donna” disse Genzo.

Lei si mise in posizione di ascolto.

“Le dirò che l’amo, che l’ho sempre amata, come ha cercato di spiegarmi invano e più volte Misaki.”

Lei si sentiva svenire. Si stava sentendo male e avrebbe voluto tanto avere una sedia, lì a portata di mano.

“ma… non credo che sarà sufficiente…. Almeno per lei….” Disse Genzo.

“In fondo..” continuò “ se lei si guarda dentro ,lo sa bene che io l’amo. Lo sa già. Sua nonna era una strega… queste cose lei le sente prima degli altri….” Fece una pausa.

“Ma quello che non sa è che  l’amore che provo per lei mi ha sempre fatto troppa paura … il pensiero di dipendere da lei, mi fa venire voglia di scappare. Perché è questo che sta per succedere. Io la sposo e dopo dipendo da lei, dalla sua bellezza, dalla sua verità. Lei non lo sa che quando sono dentro di lei tutti i miei pensieri si sciolgono e diventano come un mare ….come può saperlo? Io non sono mai stato capace di dirglielo…dare un nome a questo, a questo mare… è difficile…che nome gli dai? Per tutti questi motivi, se io la sposo e poi lei se ne va, se lei un giorno smette di amarmi, io.. come farò? E’ questo il problema. Io senza di lei ormai non posso più stare….….”

Kumiko aveva ascoltato le sue parole. Erano molto di più di quanto lei avesse chiesto. Aveva chiesto un parola…. Ora lui gliene aveva riversate un’infinità e le pareva di aver ascoltato un brano musicale, di aver assaggiato un dolce che ancora non aveva inventato  o visto un petalo nuovo…

“Ma lei non se ne andrà….perchè tu le sei dentro. ….e una volta che sei entrato….non sei più uscito….anche questo è un problema….”

“Dici che allora si può fare?” chiese Genzo.

Ci fu un attimo di attesa. E silenzio.

“Ti voglio toccare…” disse lei.

Allora lui si avvicinò.

“No no… aspetta… prima… prima scusa ma mi devo lavare…”disse lei,ritornando sulla terra e scendendo dal mondo in cui lui l’aveva trascinata.

Ma Genzo ora era vicinissimo.

“Aspetta sai,…. ho odore cattivo… ho lavorato tutt…” il portiere non le diede il tempo di finire la frase.

“Ti lavo io…” disse lui, prendendola in braccio.

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Capitolo 37
*** Mi fai da testimone? ***


Ciao a tutte e grazie infinite  a coloro che hanno recensito e a tutte le persone che leggono questa ff!

Giusyna: ciao! Scusa forse mi sono espressa male…il mio “.. alla fine mi odieranno tutti” era riferito all’idea di scrivere un seguito a questa ff e non per l’epilogo che darò a”le conseguenze dall’amore”….andavo un po’ di fretta e forse ho usato le parole sbagliate.. scusa! Grazie per la tua rec !

Miki87: d’accordissimo con quello che dici…. Spero che con questo discorso che ho fatto fare a Genzo, si capisca veramente quanto io ami questo pers! Grazie mille per avermi scritto!

Sany: Grazie infinite per il “bellissimissimo”! beh sì non manca molto…

Sanae78: grazie per la tua rec.! Sono felice che il cap ti abbia coinvolta.. !è stato uno fra quelli che ho amato di più scrivere..

Makiolina: grazie infinite per aver dato peso alla contrapposizione tra lui pulito e lei sporca….c’è sempre un qualcosa tra i due che non è a tempo (a parte il sesso, uhps!);L'ESSERE UNO "IN RITRDO SULL'ALTRO" è un elemento portante nella storia, nella loro storia e credo anch’io, che possa succedere e che abbia dato un senso di veridicità alla storia. La coppia perfetta, nel posto perfetto al momento perfetto…beh..mi sa che è un’utopia…immaginavo che le frasi non me le dicessi…vediamo come procede la storia…grazie ancora!

Marychan82: grazie per quello che scrivi e per come riesci a dire le cose… Leggendo le tue rec, mi sento capita, non solo come autore della ff, ma anche capita veramente nello stile, nella scrittura, nel modo di gestire i persg. E’ come dici tu: ho pensato molto a questo discorso, perché il rischio che fosse banale era alto. Nello stesso tempo doveva essere semplice perché Genzo parla poco.. sulla gravidanza….non posso dire niente…. Vedremo….grazie ancora, anche per tutte le altre tue considerazioni.

Mareluna: grazie per la rec! Sono felice i non esserti sembrata scontata e banale…sono le due cose che temo di più a livello di contenuto quando scrivo…

 

Eccoci qua…   cap strutturale, di cerniera….chiamatelo come più vi piace…..

A presto!

__-

 

Fu un suo stesso starnuto a svegliarla. Si guardò intorno e sentì che le lenzuola erano umide così come i suoi capelli.

Avevano fatto l’amore nella vasca da bagno e poi avevano continuato a letto, ma senza asciugarsi.

Vide i vestiti di Genzo per terra ma lui non c’era. Si alzò e cercò la sua camicia, mentre le era venuta la pelle d‘oca dal freddo.

Andò nella cameretta di Taro e vide Genzo, che si era seduto a contemplare il bambino che dormiva.

Si avvicinò e gli toccò la fronte.

“Sei tutto freddo….ma perché non ti sei infilato sotto le coperte con Taro?” chiese lei, prendendo dalla cassettiera un panno di lana per riscaldarlo.

Appena gli fu di fronte lui la prese per i fianchi e appoggiò la testa sul suo ventre, tenendo gli occhi chiusi.

Lei gli mise una mano fra i capelli e lasciò che affondasse nel suo grembo come a scoprire i suoi segreti.

“Non volevo svegliarlo…è così sereno quando dorme…” disse il portiere strofinandosi contro la camicia da notte.

Si alzò e cominciò a baciarla sulla bocca, facendo scivolare una mano dentro la camicia per premerle il petto. Non riusciva a fare a meno di toccarla ormai.

“Mi manderai al manicomio….  sono un uomo finito….” disse continuando a toccarla  e a cercare un modo per spogliarla nuovamente.

“Babbo….” disse Taro ancora con gli occhi semichiusi riconoscendo la voce del padre.

Lui si fermò stringendo a sè Kumiko per un momento e poi la lasciò per poter abbracciare il bambino.

Taro si fece baciare e coccolare da Genzo.

“Posso dormire nel tuo lettino?” chiese allora il portiere al bambino, che già si stava riaddormentando e riuscì solo a fare un debole cenno con la testa.

Si stesero giù e Kumiko rimboccò loro le coperte.

“….meglio che torni di là..... se no… lo sai che non resisto…” disse lui guardandola.

Kumiko era arrossita ma lui nella penombra non riusciva a vedere. Gli diede un bacio sulla fronte e tornò in camera sua per cambiare le lenzuola.

Non era ancora l’alba ma non riusciva più a prendere sonno. Stava per sposarsi e non aveva un matrimonio: cioè non aveva gli invitati, non aveva le partecipazioni, il vestito, i suoi genitori… Niente.Aveva solo lui. E Taro. Eppure per un istante le sembrò che fosse perfetto e che non mancasse nulla.

Ikeda, entrando nel laboratorio, la risvegliò dai suoi pensieri.

“Sei in anticipo..” disse Kumiko.

“Non ho chiuso occhio dall’eccitazione per la giornata di ieri… siamo grandi!” esclamò Ikeda pieno di soddisfazione.

“Dai… siediti.. ho bisogno di parlarti….”

Ikeda si sedette e tornò serio.

“Io e Genzo ci sposiamo….vado via…. Andiamo a vivere a Barcellona….”

Ikeda la guardava: quella ragazza era la sua insegnante, era una sorella, una madre, una figlia, un amico… era tutto.

“ Lo sai che mi stai ammazzando vero?”

Kumiko sorrise.

“Non so se ce la farò….tu sei la mia storia, sei il mio diario….io al pensiero di non poterti parlare mi sento male….ma dovevi sentirlo ieri sera mentre mi faceva la dichiarazione. Lui mi ha interrotta dentro….….”

“Lo so… “

“Vorrei che ti prendessi cura di tutto qui…voglio che diventi mio socio. Solo così potrò stare tranquilla”

Ikeda abbassò la testa senza rispondere.

“Che c’è?” chiese lei impaziente.

“No…è che io non me lo posso permettere. Non ho i soldi per poter comprare una quota….te lo volevo proporre io.. pensa che mi ero anche informato per ottenere un mutuo, ma, con la mia situazione, non me lo concedono…..”

Kumiko si sedette.

“Non crederai mica che ti venda una quota?”

“Come no? L’hai detto tu stessa! Si fa così….o no?”

“Ikeda, ma io….  io la quota te la voglio regalare! Non vorrei mai dei soldi da te!” disse allora lei sorridendo.

Lui era rimasto impalato e immobile.

“Come, me la regali? Ma vale tanto…..”

“Mai quanto te, quanto la tua amicizia…. Io sono stata aiutata da Tsubasa ricordi? Ora è il mio turno…..ti prego…. Accetta……”

Ikeda le si avvicinò e, chinandosi, le mise la testa sulle ginocchia.

“Sei diventato un sentimentale….” fece lei, per farlo ridere.

Ma lui ora stava piangendo come un bambino. Per la gioia e la riconoscenza.

“Ah … e non ho finito….. ho bisogno che tu faccia un’altra cosa per me….” aggiunse Kumiko.

“Dimmi….”

“Vorrei che fossi il mio testimone oggi…..io, lo sai, a parte Sanae… non ho nessuno…..”

Ikeda le baciò una mano.

“Sarà un onore…..ma…. tuo fratello? Pensi di chiamarlo? Di dirglielo?”

Kumiko con delicatezza gli fece capire che voleva alzarsi. Andò verso la finestra e si prese una sigaretta. Ormai non fumava quasi più; lo faceva solo quando era molto nervosa.

“No…. ormai… è una vita che non lo sento….”

Si capiva ad occhio nudo che ne soffriva molto; si vedeva lontano un miglio che il fatto di non avere più alcun rapporto con il fratello era un dolore profondo e privatissimo. Ma certe cose per Kumiko erano come dei buchi neri: dei punti fissi, in fondo al suo universo,che una volta finiti lì non si riuscivano più a riconnettere con il resto. Erano e restavano irrimediabilmente perduti.

Ikeda capì che non ne voleva parlare e preferì restare in silenzio.

 

 

Verso le otto Genzo scese al piano di sotto dove Ikeda e altri dipendenti avevano già infornato i biscotti e alcune crostate di frutta.

“Allora ….ce l’hai fatta…..” disse al portiere.

Lui sorrise.

“So che ti mancherà molto….”

“Già….” rispose Ikeda

“Senti…” disse ancora Genzo” dopo la cerimonia in comune pensavamo di fare un piccolo rinfresco a casa mia… te l’ha detto Kumiko?”

“Sì… stiamo già preparando tutto….ci sarà molta gente?”

“No…solo voi, mio padre, qualche suo collega di lavoro, alcuni dei miei compagni di Nazionale…. e….” Genzo s’interruppe.

“E?”

“Io….so che il padre di Kumiko è morto, ma della madre non mi ha mai detto niente…. Non so se sia viva e non so come sia messa con suo fratello….”

Ikeda scosse la testa.

“Di sua madre non ha mai parlato neanche a me…. E con suo fratello non c’è più alcun rapporto….è sola… a parte te e Sanae….”

“E te, naturalmente….” aggiunse Genzo.

“Mi ha chiesto di farle da testimone…..”

“Lo so….ne sono felice… sarà una cerimonia un po’ improvvisata, ma non c’è molto tempo….anzi… dov’è Kumiko?”

“E’ uscita per vedere di trovare un vestito…un vestito bianco. Sai lei di bianco ha solo i panni da lavoro e credo che almeno al vestito ci tenga…. Le ragazze di solito sognano l’abito da sposa, no?”

Genzo l’aveva ascoltato e si sentiva un po’ triste per non poter dare a Kumiko un matrimonio come si deve. D’altra parte non c’era tempo: il mattino dopo doveva rientrare a Barcellona categoricamente.

“Certo….io devo andare in comune per fissare l’orario  e prima devo andare da Misaki… Taro sta ancora dormendo: chissà quanto sarà felice quando glielo diremo…..”

“Sarà al settimo cielo….vai vai pure tanto qui ci siamo noi. Quando si sveglia ci penserò io….”

“Grazie”

Genzo salutò anche gli altri ragazzi e uscì con passo veloce.

Guidò fino a casa di Misaki e suonò alla porta con un  po’ di emozione.

“Hey….ma non dovresti essere già in Spagna?” chiese Taro trovandoselo lì di fronte.

Genzo non rispose, se non con un cenno della mano e, una volta dentro, salutò il padre di Taro che era già in cucina e fissare la luce che proveniva dalla finestra come se stesse dipingendo con la mente.

“Allora? Cosa mi racconti di bello? Come sta il piccolo Taro?”

“Bene…. Tu… tu quando torni in Francia?” chiese Genzo imbarazzato.

“Stasera alle sei, perché?”

“Perché oggi mi sposo e mi serve un testimone….non mi posso sposare senza di te… tu sei il mio testimone….sei il testimone di tutto quello che c’è tra me e Kumiko……”

Taro aveva sentito bene. Era lì che fissava il suo amico, quel ragazzo alto e sicuro di sé, sbruffone e superficiale: era lui, lo riconosceva bene. Eppure sembrava un altro. Aveva tutta l’aria di uno che avesse ricevuto un colpo al volto e si fosse come svegliato. Era solido come una pietra eppure nel suo sguardo c’era qualcosa di nuovo, un bagliore, un riflesso, una verità che non aveva mai colto.

“No…dico sei libero vero?” chiese ancora Genzo, impaziente, perché Taro non aveva risposto e sembrava totalmente preso dai suoi pensieri.

“Liberissimo…..io….certo…sì… dopo Tsubasa, chi altri può farti da testimone?” chiese allora Taro per fare una battuta. Ma lui, era risaputo, che in quanto a battute faceva pena.

“No…no, no… io l’avrei comunque chiesto a te. Tu sei il mio testimone….” disse Genzo.

Taro si toccò la testa; aveva già gli occhi lucidi perché lui non era come gli altri: lui si emozionava e non provava poi troppa vergogna a manifestarlo.

“Grazie……”

“Grazie a te….. e scusa… scusa se ti è sembrato che non ti volessi ascoltare quando mi parlavi…. Io….io le tue parole me le ricordo ancora. Me le ricorderò per sempre.”

Fra i due ci fu un po’ di imbarazzo, ma poi si abbracciarono come ci si abbraccia fra fratelli e fu un momento intenso, indimenticabile per ognuno di loro.

“Beh… devo andare in comune per fissare l’orario…. Vieni con me?”

“Certo!”

“Dimenticavo…. Spero che verrà anche lei, signor Misaki….. “

“Sarà un piacere! Congratulazioni!”

Genzo e Taro si infilarono le scarpe e si diressero verso gli uffici del comune.

 

 

Kumiko aveva passeggiato per le vie del centro. Si ricordò di Sanae e del loro incontro, proprio mentre lei stava cercando il vestito per la festa della nazionale. Le venne in mente quella lunga chiacchierata e le parve che fosse passato un secolo. Guardava distrattamente le vetrine e si sentiva un po’ triste. Era autunno inoltrato e faceva già un po’ freddo: trovare un abito che somigliasse a quello di una sposa senza esserlo, non sarebbe stato facile e lei aveva poco tempo. Doveva fare la valigia, telefonare alla scuola di Taro per informare il preside della loro partenza e ritirare alcuni  documenti. Doveva parlare con il Signor Nakazawa per la quota da dare a Ikeda e fare ancora un milione di altre cose….

Inoltre, all’idea di non sposarsi al tempio, ma solo in comune e senza la sua amica, le dava un senso di smarrimento. Anche se fino a qualche ora prima era sembrato tutto perfetto, ora poteva scorgere tutte le crepe, tutte le cose imperfette che da sempre la caratterizzavano.

Erano già le dieci e si doveva anche lavare i capelli, farsi un bagno…..

Suonò il cellulare: era Genzo.

“Ciao” disse lei

“Ciao… hai comprato il vestito?” chiese Genzo un po’ imbarazzato

“Non ancora….perchè?”

“….c’è un problema….dobbiamo presentarci qui a mezzogiorno, perchè al pomeriggio non celebrano i matrimoni….volevano farlo subito….l’assessore ha accettato l’orario solo per farmi un favore…..temo che dovrai sbrigarti….”

Kumiko fisso’ il polso e si rese conto che il tempo era davvero poco.

“Faccio prima possibile…..ma Taro?”

“L’ho lasciato che dormiva…. Ora torno da te e gli do la notizia” disse Genzo.

“Ok… ciao…”

Kumiko si guardò intorno: sulla sinistra c’era una bella boutique e decise di entrare imponendosi di trovare qualcosa a tutti i costi.

 

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Capitolo 38
*** Non c'è molto tempo...... ***


Grazie di cuore a chi commenta i cap, grazie a chi legge e segue questa ff….

Sanae78: …semplicemente…grazie

Giusyna: beh..anche a me sarebbe piaciuto che Sanae (e Tsubasa) fossero lì con Kumiko e Genzo; ma avevo quella sensazione di “troppo bello”, nel senso di “troppo perfetto” che avrebbe sicuramente stonato (sempre dal mio punto di vista ovviamente…). La fretta rende tutto più complicato, ma come dici tu, quello che conta sono loro….!Grazie per avermi scritto!

Marychan82: grazie per la tua rec e per le considerazioni ( o meglio, le spiegazioni) che dai sia su come procede il cap, sia su come si possano sentire i prs. Credo che ciò che scrivi su Kumiko sia verissimo. E’ un po’ ( un po’ molto!) spaventata, ma l’alternativa a tutto questo sarebbe vivere senza di lui,  e credo che sarebbe altrettanto difficile, no?

Mareluna: ciao! Spero che un po’ della tua ansia se ne vada in questo cap! ah.. grazie per commentare sempre con tanto entusiasmo!

Miki87: grazie per la rec! Eh sì… come avevo detto, Taro qui ha un ruolo marginale ma speciale; mi sarebbe piaciuto dargli un po’ più di spazio, ma in questa ff, non c’è stato modo per come l’ho pensata e scritta. Comunque, anche se è solo di passaggio, almeno attraversa i momenti veramente importanti della vicenda!

Hitomichan: bene! Sono contenta che ti stia piacendo l’evoluzione della storia….la fretta, beh… la fretta è un elemento portante anche di questo cap….grazie per la tua rec!

Makiolina: Ciao….sì il cap di ieri, rispetto alla “media-emotiva” degli altri sempre molto alta, è dedicato, come dici bene tu, “alle cose da fare” e quindi c’è meno tensione e meno pathos. Ma una “pausa” forse ci voleva…. Grazie infinite per i tuoi commenti!

Cap abbastanza lungo e articolato

A presto!

____

Dopo aver riaccompagnato Misaki a casa, Genzo tornò in pasticceria.

Taro era seduto ad un tavolo e sembrava completamente assorto a colorare un disegno, ignorando la colazione di fronte a lui.

“Buongiorno…” disse il portiere.

Taro, riconoscendo la voce del padre, si girò di scatto e corse verso di lui abbracciandolo.

Si strinsero per qualche minuto e senza parlare, dai loro corpi passarono tante emozioni.

“…. Stai bene?”

Taro rispose di sì e poi, come un fiume in piena, cominciò a raccontare al padre del suo disegno e dopo chiese come avesse fatto a parare il rigore al giocatore della Tailandia.

Genzo davanti a lui ritrovava tutta la sua calma, tutta la sua pazienza e minuziosamente provò a descrivere i pensieri e  i movimenti che avevano accompagnato la preparazione alla parata di quel rigore.

Taro era tutto concentrato ad ascoltare e senza accorgersene cominciò a mordicchiare un biscotto.

Genzo fece finta di niente, anche se in cuor suo era felice di vedere il bimbo mangiare.

“Rimani un po’?” chiese poi il bambino, prendendo il suo bicchiere di spremuta per bere.

Genzo lo fissò.

“Riparto domani….” rispose.

Taro allora appoggiò il bicchiere sul tavolo, abbassò lo sguardo e riprese a colorare mostrando indifferenza.

“Ma prima di partire…..oggi a mezzogiorno devo fare una cosa…..” disse il portiere.

Taro era assente. Era troppo deluso nel sapere che il padre non avrebbe passato molto tempo con lui.

“A mezzogiorno…. Sposo la mamma…..” disse ancora.

Il bambino, al suono di quelle parole, alzò la testa e fissò il padre incredulo.

“Hai capito?” chiese Genzo.

“Oggi a mezzogiorno?” chiese a sua volta Taro.

“Sì… e poi domani… venite con me… in Spagna….sei….. sei contento?”

Taro non rispose ma lasciò cadere il pennarello e abbracciò Genzo con tutta la forza che aveva.

“Dimmi amore… sei contento che sposo la mamma? E che andiamo via?”: era la prima volta che diceva quella parola. A nessuno mai, era riuscito a dirla…..

“Sì…sì babbo” disse Taro affondando la testa sulla spalla di Genzo.

 

 

“Ecco… ..... io mi devo sposare fra due ore… e … non ho il vestito… mi serve qualcosa di bianco…..qualcosa che somigli a un vestito da sposa….” disse Kumiko con molto imbarazzo di fronte alla commessa, che era una signora di mezza età, molto truccata e un po’ sconcertata.

“….un vestito bianco ….da sposa…..”

“Esatto…..” ribadì Kumiko.

La signora si guardò intorno. Sembrava titubante e incerta. Kumiko la fissava.

“Ti prego ti prego… trova qualcosa di bianco” implorò dentro la sua testa.

La commessa frugò mentalmente ogni angolo del negozio. Si spostò per controllare meglio e poi chiese alla ragazza di aspettare un attimo.

Se ne ritornò dopo qualche minuto con degli abiti fra le mani.

“ecco…. proprio da sposa noi non abbiamo niente…. Ma di bianco… di bianco qualcosa c’è…..sono tutti un po’ costosi però…”

“Ah… non importa…purchè sia bianco….”

La signora accennò un sorriso e tolse con molta cura gli involucri agli abiti.

“Sono pezzi unici….” disse lei.

Uno ad uno li appoggiò sul banco. Erano stupendi: uno in particolare colpì l’attenzione di Kumiko.

Era un completo a vita alta con il corpetto completamente lavorato a mano con delle applicazioni in madreperla e la gonna che si apriva in vari strati di tessuto. Le maniche arrivavano a metà dell’avambraccio e la scollatura era profonda, tanto che da sotto partiva una specie di velo che copriva la teorica attaccatura del seno.

Le sembrò perfetto.

“Vorrei provare quello….” disse con timidezza.

“Sì… direi che è il migliore….” concordò la commessa.

Kumiko entrò nello spogliatoio e si levò i suoi indumenti da lavoro. Provò un po’ di emozione mentre infilava l’abito cercando di non rovinare le applicazioni e il tessuto prezioso.

Si guardò allo specchio e le veniva da piangere. Per un attimo le parve che quel vestito avesse aspettato proprio lei per essere indossato.

Uscì e la commessa le sorrise immediatamente.

“E’ perfetto….. sta benissimo….ecco …si metta anche le scarpe:..” e nel frattempo si era già chinata aiutando Kumiko  a salire sui  bei tacchi bianchi.

“Lo prendo…. Grazie….”

“beh le ci vogliono anche i collant…” aggiunse la commessa, in tono materno.

“Ah sì… ….”

“E poi ci vuole un soprabito…..”

La commessa aveva ragione. Indossare soltanto l’abito era troppo poco all’aperto.

Kumiko si guardò di nuovo intorno e poi fissò l’orologio “devo fare in fretta… non ho ancora fatto il bagno…..” disse un po’ avvilita.

“Guardi… questo dovrebbe andare bene”. La signora le mostrò uno spolverino bianco,elegantissimo.

Lo aprì per fare in modo che Kumiko ci si infilasse dentro e la ragazza, trovò che anche quello fosse perfetto.

“ottimo…. Bene….allora posso andare…”

“Eh no….” disse ancora la commessa.

Kumiko la guardò perplessa.

“Cosa manca ancora? Io…io non ho più tempo……”

“Ha già comprato la biancheria intima?”

Kumiko arrossì “Come dice scusi?”

“Ha capito benissimo…. Ci vuole qualcosa di speciale….venga… mi segua…”

Kumiko seguì la commessa in un altro reparto e fu affidata ad una giovane donna dai capelli scuri e il viso stupendo.

“Questa ragazza ha i minuti contati….ha comprato un abito per sposarsi…. E non ha un completo intimo….trova qualcosa per lei, per la prima notte…..” facendo l’occhiolino alla sua collega.

Kumiko fissò la giovane con imbarazzo.

“beh …. ci vuole davvero qualcosa di speciale…..” disse.

Tirò fuori un completo bianco bellissimo.

“I ricami sul pizzo sono stati fatti riprendendo la tradizione andalusa. Appena suo marito la vedrà con questo, comincerà a sognare…..”

Kumiko provò a toccare le trasparenze e poteva sentire la bellezza e la finezza della trama dei ricami. In tutta la sua vita non aveva mai visto niente di così prezioso.

“E’ bellissimo…..”

La giovane sorrise e ripose il completino nella sua confezione. Kumiko ringraziò e si diresse alla cassa dove la signora l’aspettava con l’abito da “sposa”.

“Congratulazioni allora…..”

Kumiko le sorrise e ringraziò.

Una volta uscita, corse verso il primo taxi libero e  rientrò a casa.

 

“Mamma! Mamma! Ti sposi!” disse Taro appena Kumiko varcò la porta della pasticceria.

Kumiko posò le cose sul tavolo e abbracciò il bambino.

“Taro….ma sei contento? Non sei triste di andare via da Nankatsu?” chiese lei preoccupata.

“Un pochino… ma io voglio che stiamo con il babbo…..lo sai che forse vado a giocare nel Barcellona, come Hayate e Daibu?” disse Taro tutto orgoglioso.

“Ah sì….? Che bello!” esclamò lei un po’ agitata “.. ma il babbo dov’è?”

“E’ andato a casa a cambiarsi….adesso vado anch’io…torno a prenderti più tardi” disse Ikeda, intervenendo alla conversazione.

Kumiko gli sorrise. Guardò il bambino:“Taro, che dici, facciamo il bagno insieme?”

Taro corse subito di sopra.

“Sì si! Vieni mamma!”

Dentro la vasca, Taro rideva e si faceva insaponare per bene mentre sua madre le raccontava la storia di quando era nato. La storia cominciava da molto prima e lui ogni volta l’ascoltava con la stessa attenzione.

“….e poi? E poi cosa succede?”

“Eh….la sera del compleanno del babbo, io gli ho portato la torta e lui ….e abbiamo dormito insieme e ci siamo voluti tanto bene. E’ così che si fanno i bambini…….è così che ti abbiamo fatto….” disse lei, con molta naturalezza.

“Allora adesso che ridormi con il babbo fai ancora un bambino?” chiese Taro.

“Chissà… può succedere…..” rispose lei.

Taro si nascose abbracciando sua madre e continuarono ancora qualche minuto a lavarsi e a chiacchierare.

Poi uscirono dall’acqua e Kumiko cominciò ad asciugare il bambino. Andarono nella sua cameretta e Kumiko scelse un bel paio di pantaloni e una camicia bianca.

“Posso mettermi il maglioncino azzurro?” chiese Taro indicando nel cassetto il suo indumento preferito.

“Certo….  Sarai bellissimo….”

Di nuovo guardò l’orologio: mancavano 20 minuti a mezzogiorno. Era in ritardassimo.

“Adesso Taro vai di sotto e appena arriva Ikeda, digli di tagliarmi un po’ di “fiori  del vento” giù in giardino. Digli di scegliere quelli più giovani.”

Taro scese di sotto, profumato e ben vestito e si mise davanti alla porta per aspettare Ikeda.

Nel frattempo Kumiko scartò tutte le cose che aveva comprato; tagliò le etichette e cominciò a vestirsi. Fece in fretta, ma riusciva benissimo a distinguere ogni singolo frammento dei suoi pensieri. In quel momento, che passò veloce, ma dentro di sé si dilatò in un lungo, appassionato alito di luce, riuscì a vedere il volto di sua madre. Se lo ricordò in tutti i suoi particolari e sentiva che l’emozione per poterla vedere nitidamente nella sua memoria era un regalo, l’ennesimo regalo che la vita le stava facendo. Guardò in terrazza i fiori che pareva dormissero e pensò che forse anche sua madre, in qualche angolo del mondo, stesse dormendo senza sapere che lei era diventata una donna e si stava sposando. Infine, quando fu il momento di raccogliersi i capelli ancora bagnati, pensò a Sanae.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per averla lì con sè. “Sanae…” disse ad alta voce e le sembrò di sentire la sua voce, mentre le sussurrava una canzone o una delle sue poesie, per calmarla dopo le tante tempeste della sua vita. Chiuse gli occhi mentre il bel fermaglio attraversava il concio e poi si risvegliò per tornare sulla terra. Si diede un po’ di mascara, un filo di matita e un po’ di lucidalabbra. Il volto era fresco e bellissimo.

Scese le scale con calma.

“Mamma….” disse Taro vedendola.

Ikeda era molto elegante, nel suo abito scuro, con la cravatta. Accanto, la sua ragazza, Kaori, era come una giornata d’estate, tutta  vestita di rosa.

“Come sei bella….” continuò Taro…

Kumiko sorrise e capì guardando suo figlio, che il vestito doveva proprio essere quello giusto.

Ikeda si avvicinò porgendole il mazzo di anemoni che aveva preparato per lei.

Kumiko lo prese e aprendo un cassetto del laboratorio, prese un bel fiocco dorato per tenere i fiori insieme.

“Un bouquet un po’ improvvisato….ma vero….” disse guardando la ragazza di Ikeda.

“Forza sbrighiamoci….” disse poi il ragazzo un po’ agitato.

 

 

Intanto Genzo, insieme a Taro  e i loro padri erano già in municipio. Qualcuno aveva fatto girare la notizia che il portiere si sarebbe sposato e all’entrata si erano radunati un po’ di giornalisti e fotografi.

“Non ci voleva….” disse il portiere, molto agitato; era elegantissimo e più che un giocatore di calcio, sembrava un attore.

“Dai… non farci troppo caso” disse suo padre, che era nervoso almeno quanto il figlio.

Genzo lo aveva avvertito del matrimonio la mattina stessa, appena era atterrato a Tokyo. L’uomo aveva annullato tutti i suoi appuntamenti per arrivare in tempo e, come al solito, c’era riuscito. Era emozionato e non vedeva l’ora di incontrare suo nipote.

L’assessore li fece accomodare nella sala e dispose i documenti che i due sposi avrebbero dovuto firmare. La giovane segretaria, arrossendo, fece un piccolo inchino verso Genzo e si vedeva  chiaramente che era una sua ammiratrice.

Genzo le sorrise e poi guardò l’orologio.

Dopo poco i dipendenti della pasticceria, facendo un po’ di confusione varcarono la soglia della stanza.

“Stanno arrivando…” disse un ragazzo sorridendo in direzione di Genzo.

Ikeda parcheggiò velocemente.

“Accidenti…” disse.

“Che c’è?” chiese Kaori, fissandolo e poi  voltandosi verso Kumiko.

“Non vedi? E’ pieno di giornalisti…. Qualcuno in comune avrà spifferato la notizia…”

Kumiko accarezzò Taro. Di lei non le importava molto, ma all’idea che prendessero di mira il bambino le dava fastidio.

“…. facciamo così……” suggerì Ikeda.” Noi scendiamo dalla macchina con Taro e tu aspetti un attimo. Tutti resteranno qui per vederti… così Taro passerà un po’ più inosservato…..”

“ottima idea!” esclamò Kumiko.

Allora Ikeda e la sua ragazza scesero e, prendendo per mano Taro, camminarono verso l’entrata. Qualcuno cominciò a scattare foto, e i due ragazzi si sentirono come due divi ad una serata importante: si guardarono e scoppiarono a ridere.

Appena Genzo riconobbe la voce di Taro, cominciò a sentire che il suo battito aumentava.

“Ciao Babbo!” disse il piccolo, correndo verso di lui.

Il signor Wakabayashi, vedendolo, sentì una specie di fitta dentro. Era un piccolo Genzo: stesso sguardo, stessa corporatura, stesse espressioni. In un secondo, quel poco dell’infanzia di suo figlio gli attraversò l’anima e gli si riempirono gli occhi di lacrime.

Genzo abbracciò Taro.

“Come sei elegante… sei un bel bambino…..” gli disse; “babbo….” aggiunse, volgendosi a suo padre e appena lo vide praticamente in lacrime si trovò spiazzato.

Taro fissò quel signore e gli si avvicinò ”perché piangi? Stai male?” chiese, tutto preoccupato.

“No….è che… sono felice di vederti… sono felice di conoscerti…..” rispose.

“Taro, lui è mio padre… è tuo nonno….”

Taro sorrise.

“Ciao nonno!” disse come se niente fosse.” Adesso arriva anche la mia mamma!” aggiunse tutto orgoglioso.

Il signor Wakabayashi gli fece una carezza.

“Ti va di sederti accanto a me mentre i tuoi genitori si sposano?” chiese quasi con timidezza.

“Sì….va bene!” disse il piccolo.

Genzo assisteva alla scena e gli sembrava di vedere un altro: tutta la durezza, la rigidità del padre, alla vista del bambino, si erano dissolte come la neve quando batte il sole e la temperatura è sopra lo zero.

Si sentiva completamente travolto dalle emozioni, dai pensieri, dall’agitazione e immaginò di essere accanto a Tsubasa, per ascoltare una sua frase, una qualsiasi sua frase, che sicuramente avrebbe dato un senso e una direzione a tutto quel fragore interno.

Non potè neanche riprendere fiato, perchè un silenzio quasi irreale calò dentro la stanza: Kumiko era alla porta; appoggiò il soprabito sulla prima sedia libera e poi riprese in mano i fiori.

“Che bella….” Si sentì dire da qualcuno in fondo.

Genzo non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti: vederla fu come morire e nascere di nuovo. Non sentiva nessun rumore, non distingueva più i colori. Soltanto le pulsazioni del cuore erano come un martello che gli spaccava il corpo e gli faceva girare la testa.

Si morse le labbra e si maledì per tutti i giorni che erano passati e che lui aveva buttato via senza stare con lei. Maledì la paura, quella fottuta paura che gli aveva fatto perdere tutto quel tempo perché adesso ogni secondo senza di lei sarebbe stato l’eternità e già sentiva male.

Kumiko lo guardava e le sembrò ancora più sfuggente, ancora più irraggiungibile.

“Chissà cosa sta pensando” si chiese.

“Vieni da me” si disse fra sé e sé Genzo.

Quando furono ad un passo l’uno dall’altra, lei abbassò lo sguardo imbarazzata.

“Sei dentro di me….” disse lui ad alta voce, dal niente, nel silenzio totale, completamente incurante che tutti potessero sentirlo.

Kumiko allora lo guardò e gli sorrise.

Avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, ma l’assessore si schiarì la voce per cominciare la lettura degli articoli.

“bene…. Direi che possiamo cominciare….”

Entrambi arrossirono e si disposero uno accanto all’altra.

Ognuno rimase chiuso nel suo segretissimo mondo. Le parole dell’assessore erano il sottofondo al ritmo dei loro pensieri. Tanto non c’era bisogno di ascoltare. Loro si erano promessi l’uno all’altra, quel giorno, in pasticceria, prima che l’imperfezione della vita e del mondo li catapultasse nella realtà. Loro erano una cosa sola, che tagliava l’orizzonte, di fronte al mare. Non c’era molto da dire ormai.

“E.. adesso se volete scambiarvi le fedi….” disse infine.

Genzo si svegliò dal suo sogno, così come Kumiko. Si guardarono imbarazzati come due quindicenni. Genzo si toccò la testa. Lui aveva il suo anello di corallo, ma non voleva darglielo lì, con tutta quella gente.

Misaki si mise la testa fra le mani….” Non ci credo…..” disse.

Si sentì un po’ di bisbiglìo in fondo alla sala.

“Niente fedi per noi…..” disse Kumiko, sorridente e pungente come sempre. “…..vada pure avanti….” Cercò di mascherare la delusione e l’imbarazzo. Certo non le fregava molto di portare un anello al dito, però provò dispiacere al pensiero che Genzo non avesse seguito la tradizione nemmeno in questo.

“…..quindi vi dichiaro marito e moglie”

Un applauso si alzò nella sala e si sentì una bottiglia stappata: i dipendenti di Kumiko si erano organizzati bene, portando lo champagne anche lì.

Kumiko e Genzo seguirono le istruzioni dell’assessore e firmarono tutte le pratiche poi Taro si attaccò all’abito della mamma perché voleva abbracciarla.

Kumiko guardò il portiere: aveva voglia di essere baciata, di toccarlo, e lui la guardava e non si capiva assolutamente cosa stesse provando.

“parlami”…gli chiese silenziosamente.

Ma Genzo era come paralizzato e riuscì solo a sorriderle mentre si abbassava per chiacchierare con Taro.

Il signor Wakabayashi allora si diresse verso la ragazza e la salutò con affetto.

“La ragazza dei tulipani…..” sussurrò.

Lei arrossì e gli fece un inchino.

Genzo era già in fondo alla stanza che l’aspettava.

“Andiamo?” chiese con dolcezza.

Tutti andarono a complimentarsi con lei, mentre attraversava la sala e non faceva che sorridere un po’ impacciata.

Fuori i fotografi erano aumentati e Genzo la prese sotto la sua spalla per proteggerla mentre Taro teneva la mano ad Ikeda.

Corsero alla macchina e insieme agli amici, si diressero a villa Wakabayashi.

 

 

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Capitolo 39
*** ....ti voglio ascoltare..... ***


 

 

……..grazie infinite come sempre….

Sanae78: grazie per sottolineare sempre il lato “dolce” di questa storia: il piccolo Taro e gli affetti che si ritrovano….!

Sany: beh..hai già detto tutto te.. non so cosa aggiungere…sapevo che la questione delle fedi avrebbe sollevato un po’ di critiche a Genzo…però dai, tutto sommato non è andata poi così male, soprattutto perché Kumiko l’ha salvato in corner dalla figuraccia!grazie per aver scritto!

Miki87: il vestito è andato alla grande direi…. Vediamo come va quello che indossa sotto (uhps…)…..grazie come sempre per il tuo umorismo!

Giusyna: grazie per quello che scrivi….per l’anello dovrai ancora pazientare, ma…per poco….

Babytvb81: ciao..grazie per il complimento!

Marychan82: grazie a te per aver trovato comunque un momento per lasciare la tua traccia, nonostante i tuoi impegni. Lo apprezzo molto. Non sapete quanto possa far piacere leggere i vostri pensieri….

Makiolina: come si vede che ormai, in un certo senso, mi “conosci”!…conosci come scrivo… che bello (e anche grazie…) …  Ad alcune delle tue domande troverai risposta, già da questo cap. In teoria quando Genzo è andato da Sanae e Tsubasa dicendo “ho comprato un anello ” dovrebbe anche avergli detto di voler sposare Kumiko. L’idea della telefonata mi era balenata in testa, ma ho preferito che in questi cap Sanae ( che è l’asse portante delle due ff) venisse solo “evocata” da Kumiko. Fa sempre parte un po’ di quel concetto di poesia che ho dentro….(naturalmente del tutto personale e quindi anche molto discutibile..!)

Vi lascio al cap….

A presto

___

 

 

Alcuni fra i compagni di Nazionale che non erano dovuti ripartire subito, erano già alla villa, quando gli sposi arrivarono.

Inoltre anche molti dei collaboratori del signor Wakabayashi affollavano l’entrata, per salutare il portiere e la giovane moglie.

Misaki invece dovette salutare l’amico senza partecipare alla festa: doveva raggiungere l’aeroporto a Tokyo e prendere il volo per Parigi. Si abbracciarono calorosamente e Misaki accarezzò il volto di Kumiko:” spero ti renderà felice…te lo meriti…” disse. Genzo l’aveva guardato seriamente quasi a giurargli che ce l’avrebbe messa tutta e Kumiko lo salutò con un sorriso.

Una volta dentro, lei si ritrovò a stringere mani e a fare inchini a tanti sconosciuti e si sentiva un po’ in imbarazzo.

Taro era corso fuori con qualche bambino a giocare a pallone e i dipendenti della pasticceria sembravano i più allegri e i più entusiasti della festa.

Ishizaki aveva portato un po’ di cd e, dopo aver fatto amicizia con una delle ragazze che lavoravano alla pasticceria, sotto l’occhio vigile di Yukari, aveva cominciato a mettere su la musica.

Le domestiche, “supervisionate” della signora Morimoto, servivano da bere e avevano imbandito una tavola nella grande sala con tante cose buone da mangiare, molte delle quali preparate da Ikeda in persona.

Genzo era lontano da lei, occupato a parlare con gli amici di suo padre e, quindi,  dopo poco, si ritrovò da sola. Le venne una gran tristezza e le cominciavano a far male le scarpe. Decise di cercare il suo soprabito per andare fuori a sorvegliare suo figlio.

“Hey Taro! Non correre così che poi sudi e ti ammali….” provò a gridare, ma il bambino neanche aveva sentito, tutto preso a scartare i suoi avversari nel grande parco, in mezzo ai frangipani.

“Ne vuoi?” si sentì dire ad un certo punto.

Si voltò e riconobbe Yukari con in mano due coppe di champagne.

“Grazie….sì… ne ho bisogno….”

Kumiko prese il bicchiere e Yukari notò quanto le mani le tremassero.

“Agitata, eh?” chiese.

Kumiko le sorrise.

“Terrorizzata…. direi…..”

Scoppiarono a ridere.

“Io….mi sa che mi sono proprio comportata male con te…” disse Yukari seriamente.

“Ma… no…. Da quant’è poi che non ci vediamo?.....” disse Kumiko per sdrammatizzare.

“Sono stata molto gelosa di Sanae….è questo il fatto… proprio non ti sopportavo….non sopportavo l’idea che avessi preso il mio posto….”

“Siamo tutte gelose di Sanae….ognuno di noi la vorrebbe tutta per sé…..” disse Kumiko.

Yukari la guardò: “ ma tu….tu sei la sua migliore amica…come puoi esserne gelosa?”

“Ti assicuro che lo sono… all’inizio al solo pensiero che Tsubasa la toccasse…. Dio mio quanto l’ho odiato….nessuno doveva toccarla dentro la mia testa….è una cosa che non so spiegare…..è la gelosia che si può provare verso la propria madre… credo….”

Yukari non rispose. Anche se sapeva che era un sentimento ingiustificato e forse anche “sbagliato”, era altrettanto vero che l’aveva provato anche lei, quindi capiva benissimo il senso delle parole di Kumiko.

“ ma ora non sei più gelosa….”

“beh… non come prima!” esclamò Kumiko “ ma un po’ lo sono ancora…comunque Sanae ti vuole bene come te ne voleva prima di incontrare me… non sai quante volte mi ha parlato di te…..”

“Sul serio?” chiese Yukari con impazienza.

“Ti giuro!... “ affermò Kumiko.

“Mah… perché è sempre tutto così complicato nella vita?....niente è trasparente, niente è semplice…..” disse Yukari un po’ avvilita.

“Non lo so…. “

“Vorrei poter tornare indietro e non essere stata così fredda con te….” disse Yukari.

“Non preoccuparti…io…non me lo ricordo neanche più…. Ricominciamo tutto da adesso se vuoi….” propose Kumiko.

Non era vero, ovviamente: lei se lo ricordava bene quanto fosse stata fredda nei suoi confronti. Ma vedeva negli occhi di Yukari un dispiacere sincero e voleva darle un’altra possibilità.

“Da adesso?” chiese Yukari per conferma.

“certo….” disse lei convinta.

Si sorrisero e brindarono insieme.

“ah.. eccoti…..” disse Genzo interrompendo il brindisi.

“Meglio che rientri…” disse Yukari….” Kumiko… grazie…”

“Grazie a te di essere venuta …..”

Genzo si avvicinò e Kumiko gli porse il bicchiere offrendogli l’ultimo sorso.

“No.. non posso…tra pochi giorni giochiamo…”

Allora Kumiko finì lo champagne e poi posò il bicchiere per terra stringendosi il soprabito perché cominciava a sentire il freddo.

Guardarono Taro correre, restando in silenzio.

“E’ già tutto sudato….” disse lei.

Genzo sorrise.

“…lo so che non è stato come speravi….come sognavi….è stato un matrimonio un po’ così….. a parte il fatto che eri … che sei stupenda….”

Kumiko arrossì.

“…grazie….”

“Tutte le ragazze sognano il tempio addobbato, gli amici più cari… i fiori….invece tu….non hai avuto niente…..niente di tutto questo… mi dispiace….”

“Non fa niente…..è stato bello lo stesso….”

Genzo teneva una mano dentro la tasca della giacca dove aveva l’anello e stava cercando di trovare due parole in croce da dire per darglielo.

Ogni tanto Kumiko lo guardava e non capiva che cosa stesse pensando.

“Mi fai un po’ paura….” disse lei.

“Perché?”

“perché… sei sempre così inarrivabile…..non riesco mai a capire cosa ti frulla per la testa……”

Genzo sorrise.

“No….è che vedi…io….” Fece per tirare fuori la custodia quando si sentirono chiamare.

“Kumiko? Genzo?”

Lei si girò.

“Salve Signor Nakazawa!” disse andandogli incontro.

“Scusa il ritardo….congratulazioni! ciao Genzo!”

Genzo lo salutò un po’ impacciato e si avvicinò a loro, lasciando che la custodia ricadesse dentro la fodera della tasca.

“Ho ritirato i documenti che volevi e ho preparato la pratica per cedere una quota della pasticceria ad Ikeda…ci possiamo sedere un momento così ti spiego tutto? Lo so che proprio mentre c’è la festa è un po’ squallido, ma….il tempo è poco…” aggiunse il padre di Sanae.

“Certo… andiamo dentro..” disse Kumiko, mentre già faceva strada ai due e cercava con gli occhi Ikeda.

Si appartarono nello studio del Signor Wakabayashi e discussero di ogni cosa per circa un’ora. La luce cominciava a cambiare e Genzo andò a chiamare Taro che era fradicio.

“Ma io voglio ancora giocare……” disse il bambino imbronciato.

“Niente storie, Taro.. guardati sei…..tutto bagnato… adesso la mamma si arrabbia….” disse Genzo.

Appena Kumiko lo vide infatti, fece una faccia seria e Taro si nascose dietro le gambe del padre.

“Avanti…. Vieni che cerchiamo un asciugamano e ci rimettiamo in ordine….” disse con molta dolcezza. Tanto più di mezzo secondo arrabbiata non ci riusciva a stare.

I due salirono di sopra insieme alla signora Morimoto e Kumiko asciugò il bambino.

Piano piano la villa iniziò a svuotarsi e Genzo ricominciò a stringere mani e  ad accomiatarsi dai vari invitati.

Kumiko stava provando a far mangiare qualcosa a Taro anche se lui sembrava tutto rapito dalle decorazioni del piatto più che dal suo contenuto.

“Taro…il nonno deve andare…..lo saluti?” chiese a quel punto Genzo.

Taro scese dalla sedia e andò ad abbracciarlo.

“Ciao nonno! Ma dove vai ora?” chiese curioso.

“Devo andare in America…spero di vederti presto…”

“Anch’io!”

Il signor Wakabayashi salutò con affetto Kumiko e strinse la mano a Genzo.

“Allora..ci sentiamo….” disse Genzo.

“Sì…. In bocca al lupo per il campionato….. “

“Crepi…. Se ti va… se ti capita di essere in giro.. fammelo sapere… ti faccio avere i biglietti per una delle prossime partite….”

“Certo….sono molto felice per te…..per voi…. Siete una bella famiglia….” disse emozionato.

A Genzo veniva su un po’ di commozione perché con suo padre non ci parlava quasi mai e il rapporto era molto complicato. In quei momenti però tutto sembrava così facile…neanche gli sembrava di stare di fronte allo stesso uomo che aveva odiato. Tutto era diverso.

Una volta richiusa la porta, raggiunse il bambino e Kumiko, e si sedette a tavola per provare ad ingoiare qualcosa anche lui.

Kumiko finalmente si tolse le scarpe e potè rilassarsi un momento.

Genzo e Taro si misero a giocare in sala e lei salì in camera. Era molto stanca.

Le domestiche intanto avevano cominciato a riordinare tutto.

Solo dopo un’ora buona sentì Genzo avanzare di sopra con in braccio il bambino addormentato.

Lo appoggiò sul letto della camera accanto alla sua e Kumiko, che nel frattempo era entrata, si occupò di svestirlo e di mettergli il pigiamino che si era portata dietro perché sapeva che avrebbero passato la notte da Genzo.

Taro ogni tanto apriva gli occhi ma era completamente addormentato. Appena sua madre lo infilò sotto le coperte, si girò su un fianco, la sua posizione preferita, e non si mosse più.

Kumiko tornò in camera.

“Faccio la doccia” sentì dire da Genzo.

“Sì…” disse lei un po’ impacciata.

Si sedette sul letto. Scrutò dentro la borsa e vide la sua camicia da notte. Ma decise di non metterla.

Quando sentì che l’acqua aveva smesso di correre e distinse il rumore della parete della doccia che si apriva, capì che era il momento.

Si sciolse il concio e con le mani si sistemò i capelli che le ricaddero morbidi sulle spalle.

Si sganciò il vestito e con lentezza riusci’ ad aprire la lampo: in un attimo l’abito fu giù, ai suoi piedi. Lo ripose su una sedia e si sistemò le calze, facendole aderire bene alle cosce.

Prese il profumo da dentro la borsa e se ne diede un goccio dietro i lobi delle orecchie, poi si mise in piedi davanti alla finestra con le mani dietro la schiena.

Era molto agitata  e si vergognava un po’ a stare così. Lei non si era mai sentita bella. Non era mai stata sicura di niente nella sua vita. Specialmente davanti a lui, poi, che era il suo paradiso e il suo inferno, quelle poche briciole di certezza che aveva si scontravano con il suolo e, facendo fragore, si dispiegavano in mille dubbi e pensieri.

Ma aveva avuto un matrimonio imperfetto e almeno la sua “prima notte” doveva andare a colmare tutte le piccole cose storte che erano successe durante il giorno.

Adesso doveva essere tutto perfetto.

Rimase ferma con il respiro leggermente affannoso.

Genzo si strofinava l’asciugamano sulla testa, tutto assorto nei suoi pensieri quando usci’ dal bagno.

“Alla fine Taro si è addormentato senza che me ne accorgessi….” Genzo, alzando lo sguardo, la vide.

Si fermò. Smise di strofinarsi la testa. Smise di pensare. Di respirare.

Kumiko si sforzò di guardarlo; la tentazione di abbassare gli occhi era tanta, ma cercò di non vergognarsi.

Avanzò di qualche passo.

Lui la fissava e non capiva niente: restava impalato di fronte al candore dei ricami che esaltavano le sue forme, il suo corpo bellissimo e generoso.

Lei avanzò ancora fino a raggiungerlo. Gli prese l’asciugamano e lo fece cadere a terra. Poi gli diede un bacio su una guancia fino a scivolare sul collo e sulle clavicole. Scese fino al petto e poi risalì cercando la sua bocca. Cominciò a baciarlo e  intanto lo accarezzava ovunque, soprattutto sulle braccia, quelle stesse braccia che così spesso l’avevano stretta e “imprigionata” a lui. Con una mano arrivò fino al girovita e chinandosi leggermente gli sfilò i boxer.

Si mise le mani dietro e si slacciò il reggiseno da sola; fece scendere le spalline e intanto lo baciava sulla bocca, in punta di piedi.

“Che cosa c’è?” chiese lei, vedendo quanto fosse smarrito.

Lui non rispose: le prese il volto fra le mani ed iniziò a baciarla. Sempre guardandola, le accarezzò il petto e poi si inginocchiò per appoggiarle il volto sul grembo come piaceva tanto a lui. La strinse a sé abbassandole lo slip per baciarla e poi la spinse giù affinché si potesse sedere su di lui, lì per terra.

 

 

 

 

Genzo si riversò sul letto mentre Kumiko, che gli era sopra, si stirò come fanno i gatti, per prendersi l’ultimo secondo di piacere. Poi si abbandonò sul suo torace e chiuse gli occhi.

Non sapeva dire se fosse stato così bello perché era la prima notte di nozze. Il sesso era l’unica cosa che conosceva veramente fino in fondo di Genzo. I suoi pensieri erano un libro ancora da scrivere e da leggere; le sue parole erano talmente rade, che come spighe di grano, poteva ricordarle a memoria; le sue paure, le sue emozioni erano tutte chiuse nelle sue mani e lei del suo mondo non conosceva quasi nulla. Lo stesso si poteva dire di lei: a Genzo non aveva raccontato quasi niente di sé. Si era sempre tenuta i suoi buchi neri ben nascosti. Aveva soffocato dentro tutto quello che era riuscita a trattenere. Ma nel sesso no: nel sesso sembrava che tutto fosse facile e limpido e trasparente. Si attraversavano a vicenda e non c’era bisogno di parlare, di spiegare, di capire.

Diventavano una cosa sola e quella notte, ancora di più, Kumiko ebbe la certezza che niente era avvenuto per caso. Riusci’ a capire che quella prima notte, sotto la pioggia, nella violenza della loro disperazione, si erano incontrati e si erano trovati. Pur provando a rovinare tutto con i loro caratteri maledetti, non ci erano riusciti perché si erano lasciati una trama sui loro corpi, e il corpo, come il sangue,  è forte come la morte. Puoi scappare e gridare e imprecare ma ti ritroverai sempre di fronte alla tua verità.

Genzo le accarezzò i capelli e poi la spinse con fermezza per potersela ritrovare sotto. Voleva guardarla per bene.

Si baciarono a lungo, nel silenzio profondo delle ore che si preparavano a diventare giorno, sfruttando ogni minuto che restava per toccarsi e godere l’uno dell’altra, quasi fosse l’ultima possibilità, l’unica certezza.

“Parlami” chiese lui, tutto d’un tratto.

Kumiko lo fissò stupita. A Genzo non piaceva parlare mentre faceva sesso. L’aveva imparato bene.

“Ti voglio ascoltare” disse ancora.

Lei lo baciò più volte, accennando un sorriso.

“Ma…. non so cosa dirti…..”

“Raccontami di quando abbiamo fatto Taro….” disse lui ” So che questa storia la racconti benissimo….” aggiunse.

Genzo si staccò da lei e restò a riposarsi sul suo grembo, come al solito.

Lei gli toccava la testa con passione: lo adorava; adorava il modo in cui sapeva appoggiarsi su di lei.

“E’ una storia molto lunga….sei proprio sicuro?”

Lui non rispose. Il che significava  “sì”.

“….una notte, dopo aver guardato a lungo la mia ginestra ,andai a passeggiare sul fiume…. Era buio, ma il ponte era ben illuminato dai lampioni e dopo poco incontrai…….”

Kumiko, tenendo gli occhi chiusi, raccontò la loro storia d’amore, mentre Genzo lentamente, si addormentava su di lei, come un bambino.

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** la fine e l'inizio ***


Giusyna: ti ringrazio veramente tanto per la rec. di ieri. L’ho letta e riletta diverse volte e più rifletto sulle tue parole , più mi sembrano veritiere nei confronti dei due pers. La loro indole è quella, perché” è parte integrante di loro”, ma c’è anche qualcosa che cambia; c’è un senso nuovo di percepire le cose….hai espresso questo concetto talmente bene e così profondamente, che lì per lì, sono rimasta davvero senza parole. Grazie…

Miki87: mi metti di buon umore con il tuo modo di scrivere…! Per l’anello ancora c’è un po’ da aspettare…sono contenta che il breve episodio tra Kumiko e Yukari sia stato apprezzato: mi sembrava anche un modo per far “partecipare” Sanae alla festa, visto che è di lei che parlano.E poi Yukari è un pers. buono: mi faceva piacere darle una possibilità per riavvicinarsi a lei. Grazie mille per aver scritto!

Sanae78: grazie per quello che hai scritto; una delle tue più belle rec, a mio parere, perché in poche parole hai sottolineato degli aspetti molto importanti per la storia. Grazie per aver amato la parte finale; quella su cui ho lavorato di più. Spero ti sia piaciuta, la frase..” kumiko…. si stirò come fanno i gatti….”…. ( non mi sarebbe mai venuta in mente però se non avessi ripensato al grandissimo Dino Campana…)

Makiolina: “tu conosci me, io conosco te”…e poi dicono che le parole non contano….le parole contano contano eccome! Grazie infinte per la tua recensione. Mi sorprende sempre il modo in cui interiorizzi la storia e te la tieni stretta, legando ogni elemento ( tutta la tua considerazione su Genzo-Maya ecc… è un’analisi perfetta: mi hai fatto la radiografia anche questo giro..!): questo permette di andare oltre la storia e vedere i cambiamenti, le evoluzioni (a volte involuzioni) dei personaggi. Sapevo che la parte della festa non ti avrebbe entusiasmato…diciamo che funge un po’ da “ponte” per preparare tutta la seconda parte del cap. Riguardo all’anello, ci vuole ancora un pochino… sono un po’ in ansia perché è una scena che aspettano tutti… chissà se sarà come ve la immaginate…grazie per dedicarmi il tuo tempo.

Grazie anche a tutte le persone che leggono senza recensire, e a coloro che hanno messo la storia  fra le preferite o seguite...

 ______

 

 

Quando Genzo si svegliò, Kumiko non c’era più. La sua borsa era chiusa e l’abito da sposa era stato piegato e riposto sulla sedia. Si alzò e andò da Taro che dormiva ancora profondamente.

“Dobbiamo alzarci…..” disse con dolcezza, appoggiando il volto sul cuscino accanto alla testa del bambino.

Taro aprì gli occhi e abbracciò suo padre.

“Tra poco partiamo….sei contento?”

Il bambino fece cenno di sì con la testa e si sedette sul letto accanto al portiere.

Rimasero un po’ lì imbambolati e poi Genzo aiutò Taro a lavarsi e a vestirsi.

Di sotto trovarono un bigliettino di Kumiko dove diceva che li avrebbe aspettati in pasticceria: era andata da sola per poter fare i bagagli per bene.

Era troppo scossa però per poter fare la valigia seguendo un ordine. Mise dentro le prime cose che le capitarono a tiro e riuscì a stare un po’ più attenta solo quando fu il momento di occuparsi della roba per il bambino.

Ogni tanto guardava al terrazzo: scorgeva alcuni dei suoi vasi, fra cui la pianta di limoni e si era messa a piangere senza rendersene conto.

Andarsene a parole era una cosa: farlo era un’altra.

Ai suoi occhi le stanze del suo appartamento adesso erano bellissime; così vissute, intime. C’era profumo di latte, di biscotti, mischiato all’odore dei fiori quando si riposano. I colori erano tutti un po’ sciupati: eppure erano caldi e soprattutto lei li riconosceva perfettamente. Sapeva come la luce cadeva sugli oggetti e anche questo le dava forza, sicurezza.

Ora doveva prendere e andare via.

Certo sarebbe tornata e quello sarebbe sempre rimasto il suo posto, la sua casa. Ma sapeva che una volta partita, niente sarebbe stato come prima. Una parte della sua vita si stava chiudendo e lei si sentì misera e impaurita.

Finì di chiudere le due valige e scese al piano di sotto. Mentre faceva i gradini, riconosceva perfettamente il rumore ( adesso le sembrava musica) delle sue pantofole sul legno scricchiolante e le venne da sorridere.

Una volta dentro il laboratorio, fu come se il petto le si squarciasse. C’era fragore dentro di lei: un rumore metallico, come di utensile sterilizzato pronto ad inciderle la carne, tracciando minuziosamente una linea all’altezza delle costole per cavarle tutto.

Il piano da lavoro era lucido; gli arnesi disposti secondo una logica studiata a tavolino, dopo anni di pratica; gli ingredienti perfettamente ordinati nelle dispense. Profumo di sale e di zucchero come sempre ovunque. Dall’emozione le veniva da vomitare. Non c’era nessuno: era il giorno di chiusura ed aveva chiesto ad Ikeda di non andare a salutarla; sarebbe stato troppo duro per lei.

Accarezzò le superfici del laboratorio e fu come accarezzare se stessa: tutto lì dentro parlava di lei e adesso, al solo pensiero di ritrovarsi in tutt’altra realtà le parve doloroso ed ingiusto.

Aveva fatto le sue scelte e non poteva farci niente: quando aveva rivisto Sanae, lavorare in quel laboratorio significava tutto per lei. Poi era arrivato Genzo: il suo odore le era penetrato fino alla radice dei capelli e lì, in quel posto immaginario che tutte le donne hanno oltre la parete dell’utero.

Era stata la sua fine. Il suo inizio. Aveva provato a rinnegare il corso degli eventi: ma quell’odore ormai era come la combinazione magica per farle funzionare il cuore, per farla vivere.

“Addio…” sussurrò guardando la porta che dava sul retro dove la sua ginestra era solo un arbusto in letargo, in attesa della nuova primavera.

Un suono di clacson l’avvisò che Taro e Genzo erano arrivati: si strofinò gli occhi, fingendo di essere felice.

“Mamma…sei pronta?” chiese il bambino correndo come un matto.

“Quasi….” disse lei sforzandosi di sorridere ” Hai fatto colazione?” chiese.

“sì sì….” rispose lui.

Genzo li raggiunse: lei lo fissava e faceva quasi fatica a reggersi in piedi. Non era ancora abituata a ritrovarselo così, di fronte, come se niente fosse.

La rendeva nervosa e fragile.

“Cosa c’è?” chiese lui, che aveva notato il suo pianto.

“niente….” rispose, in difficoltà.

Taro intanto era andato di sopra a controllare che sua madre non avesse dimenticato nessuno dei suoi giochi preferiti.

“come niente….. hai pianto…..”

Kumiko allora si lasciò un po’ andare e le lacrime scesero silenziose sulle guance.

Genzo osservò il laboratorio.

“Potrai lavorare anche a Barcellona….potrai fare quello che vorrai….lo sai vero?” le chiese restandole lontano.

Kumiko fece cenno con la testa che aveva capito.

“Scusa…” disse lei. In fondo Genzo, più di quello che stava dicendo cosa poteva fare? Magari andarle un po’ più vicino e stringerla e parlarle. Ma sapeva che chiedere tutte quelle cose insieme forse era troppo.

“Mi fai paura…” disse ancora.

Allora il portiere sorrise di nuovo, come la sera prima.

“Perché?”

“Perché … mi guardi e non capisco cosa pensi…..” ribadì lei.

Lui abbassò lo sguardo e non rispose. Non aveva tanta voglia di parlare. Non avevano dormito quasi  per niente e si sentiva molto stanco.

“Ho preso tutto… andiamo?” chiese Taro impaziente.

Allora Genzo sorrise. Caricarono i bagagli in macchina e si diressero all’aeroporto. Parcheggiò e diede le chiavi all’addetto: ci avrebbe pensato un collaboratore di suo padre a riportare la macchina a Villa Wakabayashi.

Varcando l’entrata delle partenze, Kumiko sentì che il vento si stava alzando e realizzò lucidamente che stava per lasciare il suo paese.Taro le parlava ma lei non sentiva, non capiva più niente. Era completamente travolta da un sentimento di incertezza e di paura. Genzo era davanti a lei: vedeva le sue spalle larghe e sicure. Ma le sembrava nuovamente il solito ragazzo sfuggente, che non ti parla  e non ti vuole fare entrare nel suo mondo, anche se ti sposa e ti dice che sei dentro di lui.

Conosceva bene quella sensazione: quante volte l’aveva guardato andarsene e sparire, inghiottito dall’asfalto, da un aereo, da una macchina.

Adesso però la sua figura le era davanti e non stava scappando. C’era anche lei. Erano insieme.

Provò a prendere un respiro più profondo e affrettò il passo per raggiungerlo.

 

 

In aereo, guardando il finestrino, Kumiko aveva raccontato a Taro del primo viaggio che avevano fatto insieme, quando lui era dentro la pancia della mamma. Gli aveva parlato delle nuvole e dello zucchero filato e poi era finita lì, sempre lì, alla storia della ginestra e dell’orchidea. Il bambino ascoltava sua madre raccontare tutte queste storie e sembrava rapito dal suo canto.

Genzo faceva finta di dormire con il berretto a chiudergli il volto: invece non si era perso una parola, nemmeno una, di quei racconti. Il mal di testa spingeva sulle tempie e c’era un sostrato del suo cervello che cercava di allontanarsi da lei, da loro, per poter ritrovare un po’ di concentrazione in vista degli allenamenti e della partita imminente. Ma era tutto inutile: non importava da quale angolo guardasse o pensasse; si era fatto un tale vuoto dentro di sé che le parole pronunciate da Kumiko risuonavano come onde leggere e ampie, tanto da colmare tutto il suo inferno.

Solo quando Taro si era finalmente addormentato, stendendosi sulle gambe di lei, Genzo riemerse dal suo berretto. Kumiko continuava a fissare fuori anche se la luce era cambiata e non si vedeva quasi niente. Il finestrino le serviva da specchio per filtrare meglio i suoi pensieri, probabilmente.

Sentì un brivido al seno, come quando la brezza del mattino ti entra fin sotto i vestiti; si girò e lui la stava toccando come se fossero soli e nessuno potesse guardare.

Si allungò oltre il sedile del mezzo dove Taro aveva steso le gambe, e le infilò la mano dentro la maglietta senza alcun riguardo, proprio come faceva sempre. La fissò e cominciò a baciarla.

Lei si era lasciata toccare e baciare ma si sforzò di non andare in estasi: voleva tenere gli occhi aperti per vedergli il bel volto e provare a capire se anche in quel momento fosse così capace di non far trapelare alcuna emozione.

Genzo era tutto concentrato su quel corpo di donna e gli occhi sembravano lontani anni luce da tutto e da tutti. Kumiko continuava a guardarlo e a cercare le sue risposte, ma le domande che stava facendo cadevano nel vuoto.

Lui aveva la fronte corrugata e sembrava molto serio. Ogni tanto smetteva di baciarle la bocca per scendere sul collo e giù fin dove poteva. Kumiko si girò per guardare le persone all’altro lato del corridoio ma fortunatamente erano tutte rannicchiate e addormentate, perciò si vergognò un po’ meno.

Taro dopo poco si mosse e disturbò il portiere che già stava impazzendo dal desiderio.

“Babbo lasciala stare la mamma…..” disse nel sonno.

I due si fissarono e scoppiarono a ridere.

 

 

 

Considerando il ritardo fra i cambi e il fuso orario, quando arrivarono a Barcellona era primo pomeriggio. Agli arrivi, Sanae e Tsubasa erano proprio in prima fila, nervosi ed eccitati come quando ci si aspetta una notizia nuova.

Appena riuscì a scorgere Taro, Michiko cominciò a chiamare con forza e, a quel punto, Ryo, che fino a quel momento era rimasto assorto ad osservare i passanti, si unì alla voce della sorella e agitò le mani con entusiasmo.

I piccoli si corsero incontro e si fecero festa.

Kumiko affrettò il passo per farsi abbracciare da Sanae; nervosa ed impaurita, aveva bisogno di sentire fisicamente la presenza dell’amica.

Dal canto suo, la moglie del capitano, appena la vide con chiarezza, riuscì a percepire quell’infinito struggimento che da sempre caratterizzava il suo mondo; aprì le braccia e l’accolse con dolcezza. Poi cercò le sue mani ed ebbe un attimo di esitazione quando vide che Kumiko non stava portando l’anello. Fissò Genzo, il quale, molto imbarazzato, la invitò, attraverso l'espressione del volto, a non fare domande, e a quel punto, Sanae  abbracciò di nuovo Kumiko intensamente.

“Che bello vederti….” disse.

“Quanto avrei voluto averti vicina……” ripose Kumiko.

Tsubasa salutò Genzo e gli fece cenno di sbrigarsi: purtroppo erano già in ritardo per l’allenamento.

Kumiko guardò il capitano e si lasciò abbracciare con decisione anche da lui.

“Congratulazioni….” disse Tsubasa.

Kumiko arrossì e poi corse verso i bambini di Sanae per abbracciarli a sé.

“Ma dove sono Hayate e Daibu?” chiese.

“Sono agli allenamenti….li vedrai più tardi” disse Sanae sorridendo.

“A proposito di allenamenti…” disse Tsubasa” Genzo bisogna che corriamo… siamo in ritardo…”

Genzo diede una rapida occhiata a Kumiko, che lo stava fissando delusa e sorpresa.

“Andiamo… andiamo” disse il portiere.

“Babbo ma quando torni?” chiese allora Taro, tutto impaurito.

“Torno presto Taro, stai tranquillo…..”

“C’è anche la riunione tecnica…” disse Tsubasa….guardando le due ragazze.

“Ma come? Devi già andare via?” chiese allora Kumiko, sperando di non aver capito bene.

“Sì… ci vediamo stasera….” disse Genzo, avviandosi verso la macchina.

Sanae le lanciò un’occhiata, come  a dire “ Stai tranquilla” e allora lei non chiese altro.

Al parcheggio si divisero e, una volta salite, le due amiche si guardarono intensamente per un attimo.

“Allora?” chiese Sanae.

Kumiko si volse dietro e vide che Taro, Michiko e Ryo erano presi dalle loro chiacchiere innocenti così si sentì libera di parlare.

“Allora niente…. Ci siamo sposati….ma … mi fa paura….”

Sanae scoppiò a ridere.

“Guarda che non c’è niente da ridere…..” disse Kumiko.

“No, scusa è che mi ricordi me….. anche a me Tsubasa faceva paura…”

“Non è possibile…. Tsubasa è così trasparente…. È un libro aperto… perché ti faceva paura, scusa?”

Sanae mise in moto.

“Perché mi voleva sempre toccare ma non mi parlava quasi mai… e non è che sia migliorato di molto negli anni, quindi rassegnati pure…..” disse senza esitazioni.

“Sì, va bene, ma almeno tu lo guardi e capisci cosa pensa…cioè si vede….”

“Adesso sì, ma quando siamo arrivati in Spagna, non tanto…. Non sai quante volte ho pianto, di nascosto, perché non mi sentivo capita…. però non ci puoi fare niente.. non c’è soluzione: tu gli appartieni. Non hai via di scampo” disse.

“ Tu stai con me vero?” chiese Kumiko, presa da un’ansia che le saliva dagli abissi.

“Sempre….” rispose Sanae, lasciando il cambio per cercare la sua mano.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Ascoltare il vento ***


Ciao..oggi mi sento un po’ triste…siamo arrivati: questo è il penultimo cap….

Ringrazio le persone che leggono questa ff, quelle che l’hanno messa fra i preferiti e i seguiti e, vorrei mandare un ringraziamento speciale a tutte coloro che hanno recensito: non immaginate quanto davvero abbia apprezzato i vostri commenti, le vostre analisi, il vostro modo di reagire alla storia…grazie di cuore.

Giusyna: ultimamente stai scrivendo delle recensioni così intense e precise, che non so cosa dire: ti leggo con attenzione e medito sulle tue considerazioni…ancora una volta Kumiko credo abbia mostrato le sue debolezze, il suo essere disperatamente umana. Io la sento così: tremendamente imperfetta, ma meravigliosa e vera. Grazie.

FlaR: sono io a non trovare le parole per ringraziarti per la tua rec: bellissima e “forte…”. Sono rimasta colpita dalla diagnosi che fai su Genzo e Kumiko ed io, che adoro le parole, sono rimasta lì ferma a ripetermi 2-3 volte l’aggettivo che hai usato, “speculare”….grazie. Credo che già da questo cap sentirai che la sensazione che kumi sia una copia di sanae, vada via. Sono due esseri distinti e unici e tu l’hai sottolineato perfettamente. E’ logico che nel cap di ieri c’erano delle corrispondenze fra di loro: il senso di smarrimento poi in Kumiko è ancora più forte perché lei, in Giappone, avendo un lavoro nel quale si identifica, lascia molto di sé. Volevo che questa “partenza” avesse molta risonanza perché secondo me lei ne sta soffrendo tantissimo e sa bene, in fondo lo sappiamo tutte, che non sarà così facile, ricominciare da capo in Spagna.

Sanae78: grazie per la rec. sì….per kumiko è veramente difficile andarsene “sul serio”…in fondo fino a quel momento, è proprio grazie alla pasticceria, al suo lavoro che è andata avanti….

Trottola: felicissima di leggerti….grazie per le osservazioni e per aver apprezzato la scelta sulle fedi…..

Miki87: in tre righe hai detto un sacco di cose….penso che nel cuore di Kumiko i pensieri affollino tutto lo spazio disponibile….dev’essere stato difficile scegliere…. E ogni volta che facciamo una scelta, scartiamo delle possibilità. Lei ha scelto l’amore..speriamo che abbia fatto la cosa giusta….grazie per aver scritto…

Makiolina:....stavo per mettere on line il cap e ho visto la tua rec..grazie grazie infinite per quello che scrivi, per analizzare sempre così lucidamente tutto. Non ti sfugge niente....

A presto..

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Una volta giunti davanti alla porta di casa, Kumiko si fermò un secondo. Fu solo un attimo ma fu limpido ed intenso: si ricordò di quella sera, quando Genzo l’aveva trascinata lì e lei gli aveva detto di essere incinta. Era stato forse il momento più brutto della sua vita, se si escludeva la morte di suo padre, e tutto ciò che aveva provato, ora rifioriva alla memoria senza che lei si potesse difendere. Ebbe il desiderio di scappare, di sfuggire e di sparire. Invece Sanae le diede le chiavi e la invitò ad aprire.

Kumiko tremava.

“Lo so cosa stai pensando… ma adesso è tutto diverso….. forza….” la incitò Sanae.

La ragazza infilò la chiave e sentì il rumore della serratura che si schiudeva. Taro e i bambini corsero dentro impetuosi e Michiko lo invitò a salire.

“Vieni vieni Taro! C’è una sorpresa”.

Taro, con curiosità fece le scale e dopo qualche minuto gridò a sua madre di raggiungerlo.

Ma Kumiko era rimasta sulla soglia perché ogni passo dentro quella stanza era come tornare a quel momento: ricordava benissimo lo sguardo freddo di Genzo e i suoi gesti meccanici ed indifferenti.

“Mamma! Ma cosa aspetti!” gridò allora Taro impaziente.

Sanae le sorrise per tranquillizzarla e a quel punto Kumiko si fece coraggio e salì di sopra.

Ai suoi occhi si aprì una scena piena di luce: Genzo, al rientro da Miami,  aveva cominciato a  far preparare la cameretta per Taro ed era semplicemente stupenda. C’erano animali e fiori dipinti su ogni parete e i mobili erano dell’azzurro che piaceva tanto al bambino. Sembrava di entrare in un’altra dimensione, in un altro mondo.

Taro e Michiko si tenevano la mano mentre ascoltavano Ryo che raccontava loro di come nascono le farfalle e da dove vengono i gusci di lumaca (era un bambino intelligentissimo e un gran osservatore) , mentre si soffermavano su ogni singola illustrazione delle pareti.

Kumiko era rimasta di nuovo sulla soglia e non aveva parole; era tutto di una tale bellezza che le sembrava di fare un torto al mondo della fantasia, entrando in quell’universo speciale.

Sanae allora le diede una leggera spinta e lei si mosse.

“Taro….. il babbo ti ha fatto un regalo bellissimo, non credi?” chiese.

“Sì… io al babbo gli voglio proprio tanto bene….” rispose il bambino, con gli occhi pieni di felicità.

Kumiko entrò e si sedette per terra aprendo le braccia e aspettando che i bambini andassero verso di lei. A quel gesto, tutti e tre si precipitarono e si fecero coccolare ridendo.

Sanae indietreggiò per osservare meglio la scena e  il cuore le stava scoppiando dalla gioia.

 

 

Dopo un po’ le due ragazze scesero di sotto e Sanae cominciò a mostrarle per bene la casa: in fondo lei aveva visto solo la sala all’entrata.

Notò che i mobili erano cambiati: era tutto molto pulito e scarno.

“Sai com’è fatto Genzo….. tutto ridotto all’osso, all’ essenziale…” disse Sanae, notando lo sguardo perplesso di Kumiko.

“Si’… è tutto così….”

“…. freddo….” disse Sanae finendo la frase. “Ti ci vorrà un po’ per dar vita a questa casa…. Ma non credo che farai fatica…. Tu porti la vita ovunque vai,  solo a guardarti!” aggiunse sorridendole.

Kumiko arrossì e le corse vicino per tenerle la mano.

“Ti ho fatto un po’ di spesa… perché il frigo era vuoto…” disse ancora Sanae.

“Grazie…”

“Adesso se vuoi ti porto al mercato così puoi comprare quello che  manca e poi andiamo a prendere i bambini dall’allenamento.” propose Sanae “ … sempre se non siete troppo stanchi…”

“No… figurati….sono talmente agitata che ho il cuore che mi rimbomba in gola…”

Allora, chiamarono i bambini per tornare fuori.

Mentre in macchina (una otto posti…) attraversavano la città, Sanae indicava i monumenti importanti e i luoghi che avrebbe imparato a conoscere di più: la scuola internazionale che avrebbe frequentato Taro, i mercati, il piccolo palazzo dove davano lezioni di spagnolo e il Camp Nou.

Kumiko ascoltava e cercava di memorizzare i posti, gli orari e tutto il resto. Si sentiva frastornata e confusa, ma anche eccitata e felice. Il fatto di non essere sola, le dava forza e provò a lasciarsi alle spalle tutte le sensazioni negative che animavano il suo io.

Fecero la spesa e la giovane si preoccupò soprattutto di comprare tutto ciò che occorresse per poter fare dei dolci. Infine si fermarono in un chiosco di fiori e Kumiko comprò qualche piccolo bulbo di geranio e ciclamino da piantare in giardino.

Ottobre in Spagna era mite e già questo la confortava. Si immaginò di riempire la casa di fiori e vasi, così da profumare ogni stanza e al solo pensiero, si sentì un po’ più serena.

Di fronte al campo di allenamento dei bambini ebbe un sussulto quando vide i due gemelli che giocavano con disinvoltura in mezzo al prato verde. Si mise a piangere senza accorgersene, ricordando di quando li aveva visti la prima volta e li aveva fatti giocare con la farina insieme ad Ikeda.

Loro correvano ed inseguivano il pallone dando indicazioni e ricevendone dai compagni e sembravano così felici….

Dopo poco Daibu si girò sentendo la voce della sorella e appena riconobbe il volto di Kumiko le corse incontro.

Si aggrappò alla rete e lo stesso fece lei.

“Kumiko! Kumiko!” gridò Hayate che non perdeva mai di vista il fratello e lo aveva seguito mentre era andato verso di lei.

Raggiunse Daibu e restarono un attimo aggrappati alla rete e a fissarsi.

“ Come siete belli….” riuscì a dire lei tutta bagnata dalle lacrime in volto.

Anche Taro li raggiunse e li salutò con tanto affetto non nascondendo la sua eccitazione a vederli con la maglia del Barcellona. C’era stupore nei suoi occhi e sperò con tutto il cuore di poter giocare presto anche lui in quel campo con loro, come gli aveva detto suo padre.

Attesero con impazienza la fine dell’allenamento e dopo essersi abbracciati e stretti forte, salirono tutti in macchina e rientrarono a casa.

Kumiko posò la spesa e poi passò il resto del pomeriggio e della sera a casa di Sanae. Cucinò per i bambini, anche se Taro si era addormentato quasi subito: il fuso orario e tutto il resto lo avevano fatto letteralmente crollare.

Preparò il riso e le frittelle di verdure: agitava con disinvoltura la frusta per miscelare bene il composto e poi lo versava a piccole dosi sulla padella che friggeva. I bambini chiacchieravano rubandosi la parola per catturare l’attenzione di Kumiko: facevano a gara a chi dicesse qualcosa che potesse farla ridere e adesso lei era rilassata e divertita. Sanae guardava e soprattutto gustava le pietanze che la sua amica a mano a mano che erano pronte, posava sul tavolo: il cibo cucinato da Kumiko profumava in modo speciale e il sapore sulla lingua si scioglieva piano piano  così che lei poteva dividere gli ingredienti e riconoscerli uno ad uno.

“Kumiko! Kumiko! lo sai che le farfalle non hanno l’udito?” saltò fuori Ryo per fare colpo su di lei, dopo che Michiko aveva tenuto la parola per più di cinque minuti spiegandole di quanto la sua bambola fosse stata ammalata la settimana prima.

Kumiko lo fissò stupita.

“Ryo, ma come fai a sapere tutte queste cose? “

“L’ho letto nel mio libro sulle farfalle….lo vuoi vedere?”

“certo!” rispose lei…

Ryo scese veloce dalla sedia e fece per correre di sopra.

“Aspetta Ryo!”disse Kumiko tutta seria” .. ma se non hanno l’udito….come fanno ad ascoltare il vento?” chiese.

Il piccolo la guardò e alzò gli occhi al soffitto cercando la risposta.

“… non lo so….mi sa che questo non c’è scritto……” rispose.

“Avanti….” lo incitò Daibu “vai a prenderlo….così vediamo ….”

Allora Ryo riprese la corsa e mentre era di sopra, gli altri continuarono a parlare e a ridere.

Andarono avanti così anche per tutto il dessert che fu ovviamente improvvisato: Kumiko caramellò lo zucchero in un pentolino e poi ci riversò il latte fin quasi a sodarlo, per farlo diventare una crema. Infine cosparse le coppette con il cacao e le distribuì ai bambini.

L’atmosfera era calda e gioiosa e le risate risuonavano nell’aria.

 

Dopo un po’ i bambini si misero a giocare da soli e le due ragazze chiacchierarono a lungo mentre riordinavano. Kumiko le raccontò del matrimonio e le descrisse per filo e per segno il suo abito. Sanae aveva fatto mille domande e lei, come Genzo, aveva risposto con pazienza ed accuratezza ad ognuna.

Si confidarono dubbi e paure e Kumiko le raccontò, senza provare vergogna, della prima notte di nozze. Sanae aveva ascoltato curiosa e attenta e ogni tanto aveva sorriso arrossendo, probabilmente ricordando i suoi primi momenti privati con Tsubasa.

“Sono già le dieci… ma quando tornano?” chiese Kumiko, che cominciava ad avvertire la stanchezza.

“Quando hanno le riunioni tecniche possono rientrare a qualsiasi ora… però domani mattina sono liberi. Faranno allenamento al pomeriggio… ti ci vorrà un po’ ad ambientarti e ad abituarti agli orari. Ma una volta entrata nel “meccanismo” vedrai che ti sembrerà tutto normale….”

“certo…” disse Kumiko un po’ spiazzata.

Prese Taro su di sé e rientrò a casa dando la buonanotte ai bambini che il giorno dopo avevano la scuola e stavano morendo di sonno.

“Domani verso le dieci vengo da te così ti accompagno a scuola per iscrivere Taro, ok?”

“Sì…. grazie Sanae… notte”

“notte” rispose la moglie del capitano.

Attraversò svelta il viale e sentì l’odore delle foglie morte che erano cadute a terra. Quel genere di odore lei lo riconosceva a memoria: sapeva di terra umida e di carta bruciata dal sole.”Anche in Giappone è lo stesso….” si disse fra sé e sé.

Aprì la porta e salì in camera. Non mise il pigiama al bambino: poteva vedere che era veramente distrutto e lo lasciò con i suoi vestiti. Il giorno dopo lo avrebbe lavato e cambiato con calma.

Si diresse in camera sua e di Genzo e diede un’occhiata alla finestra. Era tutto buio ma poteva distintamente sentire quanto le mancasse il suo amato terrazzo dove tutti i suoi fiori ora stavano riposando.

Scosse la testa cercando di scrollarsi di dosso quell’alito di malinconia e si spogliò per fare il bagno.

Non riusciva a tenere il tempo: la differenza d’orario l’aveva scombussolata e sentiva una specie di adrenalina dentro che le impediva di rilassarsi completamente.

Si asciugò e si passò un latte profumato sul corpo. Poi tornò in camera e tirò fuori la camicia che avrebbe dovuto indossare la prima notte di nozze. Era bianca, di lana sottile, con i bordi  ricamati a mano e la scollatura molto ampia.

La indossò e scese di sotto per aspettare Genzo.

Curiosò nel frigo e osservò minuziosamente i frutti che Sanae aveva disposto in un bel cesto al centro del tavolo della cucina.

Attraversò la libreria e lesse in qua e in là i titoli dei dvd e di alcuni libri disposti con ordine e pulizia e poi si stese sul divano. Erano le undici e mezza ed ora sentiva che le palpebre volevano chiudersi, la vista si annebbiava e i pensieri si confondevano.

Avvilita e delusa decise di salire in camera e stendersi; non riusciva più ad aspettarlo sveglia.

Non passarono che alcuni minuti però e sentì il rumore della porta che si apriva.

Allora si alzò di colpo e scese di sotto.

Rimase un momento all’inizio delle scale vedendolo entrare, scuro esattamente come la notte, tutto serio e pensieroso in volto.

Genzo si tolse il berretto e appoggiò la borsa. Non si accorse di lei e si diresse in cucina per bere.

Allora Kumiko scese le scale e lo raggiunse.

“Dicevo che non arrivavi più…..” disse appoggiandosi alla porta.

Lui continuò a bere, incurante di lei, incurante di tutto.

A guardarlo pareva lontanissimo.

“Stai bene?” chiese lui, fissando la finestra accanto al lavandino.

“si’….. e tu? Com’è andata?” chiese con un filo di voce.

Fu allora che si voltò  e prese coscienza che lei era lì, ad un passo o quasi da lui.

Ecco che stava per ripetersi la solita scena. Lui che avanza e lei che indietreggia. Sempre uno in ritardo sull’altra, come un giradischi rotto che però riesce a far musica e non si sa come.

La stanza era finita e Kumiko si ritrovò alla parete. Lui l’aveva spinta fino a lì senza sfiorarla, ma semplicemente guardandola. A quel punto le si avvicinò appoggiandosi su di lei e con la mano la toccò in mezzo alle cosce. Premeva con forza e  a Kumiko venne spontaneo afferrare quel braccio per potersi difendere e allontanarlo anche se una parte di lei non voleva assolutamente che lui si fermasse.

Provò a spostarlo ma Genzo era più grande, più forte di lei; senza la sua collaborazione, sarebbe stato impossibile.

Allora lasciò la presa avvilita e felice allo stesso tempo. Intanto Genzo l’aveva già spogliata e si era aperto i pantaloni. La sollevò, come quella notte ad Amburgo, e cominciò a baciarla con confusione e fretta.

Proprio mentre le stava entrando dentro lei provò a dirlo.

“Genzo…..parliamo un po’?  Io….” e si dovette fermare perché già stava provando piacere…” io ho tante di quelle cose da dirti adesso…..”

Ma era troppo tardi ormai. Lui era già perso in lei e non capiva più le parole, come se la torre di Babele si fosse materializzata dentro il suo cervello.

Però anche a lui passò davanti il ricordo di quella notte disperata e non voleva darle l’impressione di essere tornato a quel punto; la desiderava allo stesso modo sì, con quella foga, quella fame che proprio non riusciva a controllare, ma era un desiderio mosso dall’amore, non dall’istinto, perciò sentì che doveva dire qualcosa.

Tante parole attraversarono la sua gola mentre la stringeva e si muoveva dentro di lei; era difficile catturarle e trattenerle per poi dar loro fiato affinche’ le corde vocali vibrassero. Gli sembrava un’impresa impossibile: a confronto, difendere la porta del Barcellona era un gioco da ragazzi.

Sapeva che sarebbe arrivato presto al piacere ma che di nuovo avrebbe continuato a volerla e a prenderla, nonostante il mal di testa e la stanchezza.

“Ti amo….” disse infine, senza riflettere più su come o cosa dire.

Lei si sentiva svenire e invece voleva restare vigile, voleva provare a rispondere….

“….lo sai….lo sai che le farfalle non possono ascoltare il vento?…..”

Genzo la fissò un secondo mentre la premeva contro il muro con ancora più forza, dalla paura che potesse sfuggirgli, proprio come la farfalla, posata sul fiore, che non appena vede incombere un’ombra vola via, veloce. Non si spiegava come lei riuscisse sempre a sorprenderlo, e a fargli sembrare tutto nuovo.

“…..non sono mai stata con nessun altro…..io…io ti ho sempre aspettato…..” disse ancora lei, con un accenno di voce.  

“…lo so…..” le sussurrò lui, chiudendole la bocca con la mano.

 

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Capitolo 42
*** Le conseguenze dell'amore ***


Sono tristissima….mi dispiace proprio che questa storia sia finita.” Finita” è una parola un po’ grossa, perché come ho detto, un seguito c’è, ma lo devo buttare giù. Spero  di riuscire a farlo il prima possibile, anche perché la testa se no mi scoppia.

Grazie veramente di cuore a tutte le persone che hanno attraversato questa storia, leggendola.

Grazie a chi l’ha messa fra le preferite e seguite.

E un grazie specialissimo a chi ha recensito…..

Miki87: grazie per quello che hai scritto…lo so che quando una storia finisce dispiace…poi questi persg sono così intensi….. il cap di ieri è a doppia faccia: c’è il ricongiungimento con Sanae e la loro condivisione di un mondo che le vede intimamente unite e una specie di ritorno “alle origini”, nella scena di sesso tra Kumiko e Genzo. Ma credo che lo scambio di battute fra i due faccia capire che c’è un voler procedere e andare avanti insieme….

Sanae78: grazie sempre per recensirmi… tu noti sempre gli aspetti più dolci…mi colpisce sempre questa cosa! Grazie!l’idea della cameretta mi sembrava un modo per sottolineare il fatto che genzo sta provando a mettercela proprio tutta per imparare ad amare….

Sumire90: grazie per la recensione! Spero anch’io di pubblicare presto qualcosa e sarà naturalmente su CT (le altre cose non mi interessano….)….grazie anche per aver apprezzato l’aggiornamento dei cap.

Makiolina: …eh anche per la ricerca della felicità il finale ti aveva delusa….ci dev’essere un’energia negativa che ci colpisce alla fine! No.. dai sto scherzando! E’ che tu vuoi tutta introspezione e come si fa? Avevo bisogno di una scena di ricongiungimento tra Sanae e Kumiko, dove si sottolineassero le caratteristiche della seconda ( la fantasia linguistica, l’amore per i fiori e i bambini e ovviamente il cucinare): c’è un po’ di “azione”e so che le “ azioni” non ti fanno impazzire. Ma la struttura narrativa a mio parere lo richiedeva. Per la seconda parte, beh, sì c’è un ritorno indietro, perché secondo me una persona non può “stravolgersi” completamente se soprattutto ha un carattere come quello di Genzo. Lui è molto passionale (quasi violento, anzi lo è stato) e non può diventare un altro dall’oggi al domani….ci vuole più tempo. Quello che conta è ciò che si dicono, anche se per te non è stato sufficiente. Genzo che dice ti amo e lei che risponde nel suo solito modo, cioè aggrappandosi alla sua poesia, al suo mondo intimo e solo in un secondo momento dice “ti ho sempre aspettato…”è molto molto intenso, per come li vedo io ( ovviamente è sempre tutto discutibile!). Grazie infinite….( le tue recensioni sono state molto importanti per me.. )

Giusyna: grazie per il tuo commento, profondo e sempre così accurato nel voler cogliere aspetti importanti di questa storia. Grazie per quello che dici sul mio modo di scrivere ( che è l’aspetto che mi interessa di più, anche se sinceramente a questi personaggi gli voglio un bene dell’anima…). Spero che continuerai a leggermi…

Trottola-1° rec: sto male anch’io…. se ti può consolare! e ti sto pensando molto per via della mia storia yaoi…….ma speriamo che venga decente….ti mando un abbraccio.

FlaR: grazie per la recensione….io a cucinare faccio veramente pena…ma adoro mangiare e adoro guardare le persone che cucinano. Non so da dove sia scaturita questa idea di accostare kumiko alla cucina: come mi è già capitato di spiegare, le volevo dare un talento, ma che fosse molto legato al concreto e alla manualità. E attraverso questo, credo che un po’ tutte l’abbiamo amata.

Riguardo alla frase…beh è una frase che ritorna, che c’è già stata e che secondo me riassume benissimo tutto ciò che è Kumiko.

Trottola-2° rec: semplicemente grazie….non so che dire. So solo che ogni tanto prenderò e mi rileggerò le cose che mi hai scritto. Grazie anche per questo concetto sui persg che credo rimanga anche in questo cap: ho messo una frase molto significativa che fa capire quanto comunque ci sia ancora di “amaro” in loro….

Marychan82: grazie anche a te infinitamente per le due rec ed è bellissima questa cosa che sia tu che trottola abbiate “ritrovato” delle passioni attraverso la storia. Sono particolarmente contenta che tu faccia riferimento ( fra le altre cose) all’aderenza alla realtà, perché è questo che ho sempre cercato di fare; di rendere la storia “possibile”.Ci ho messo tanto di mio e di quello che sto attraversando in questo momento. E’ stato forse un modo per trattenere tutte le cose che ho paura di perdere….grazie

Mareluna: grazie per avermi dedicato del tempo nonostante i tuoi impegni e problemi, e per tutte le volte che mi hai scritto, sottolineando sempre il fatto che non sono scontata. Ci tengo davvero tanto.

Sany: a Parigi….ho capito bene? Huau…che bello! Sei super scusata! Grazie a te per avermi scritto e per i complimenti e le considerazioni!

 

Ci sarà immagino molta aspettativa sul finale…quindi , come sempre quando “ ci si aspetta” qualcosa, c’è un margine di rischio alto, che esso non sia congeniale a come lo vorreste voi. Non parlo tanto di come va a finire, ma di come l’ho scritto, di cosa fanno i prsg ecc… Spero che vi troverete comunque qualcosa di buono. ( ah…Kumiko qui fa una certa cosa: non è frutto della mia fantasia, ma l’ho visto fare in Africa). Sono un po' agitata...mi scuso se ci dovesse essere qualche errore di battitura: l'ho letto un sacco di volte ma adesso non sono molto lucida...scusate.

 

Grazie a voi per scrivere, per avermi fatto sentire che la lettura della storia per voi è stata profonda e vera. Il vostro spirito critico mi ha fatto compagnia, mi ha fatto pensare e riflettere e io amo tanto ragionare sulle cose ( nel caso ancora non si fosse capito…) perciò ogni vostra rec e’ stato un regalo.

Mi ero abituata a rispondervi….a prendermi il mio tempo per leggere per bene i vostri commenti e scrivervi qualcosa…..so già che da domani mi mancherà molto. Mi ha colpito tantissimo il fatto che ognuna a suo modo, ha sempre espresso con onestà e forte spirito critico ( è così che si deve recensire) ciò che la lettura vi suscitava. Nessuna delle rec è banale o scontata: in ognuna ho sempre trovato qualcosa, anche fosse solo una parola, per pensare a quanto interessante fosse questo “ dialogo” con voi. Come direbbero sicuramente Kumiko e Sanae, “queste cose non potrà portarmele via nessuno da dentro di me…” Grazie di cuore….

So che vi sembrerà strano, anche perché io ho scritto solo una semplice storia, ma vorrei anche tanto ringraziare la letteratura, in generale, che è il mio grande amore. E, adesso in particolare, Virginia Woolf, che sto studiando e di cui dovrò scrivere. Lei adorava le parole, ci si disperava di fronte, si struggeva come una foglia in autunno, perché non riusciva a scomporle nei suoi mille pensieri e nelle sue mille emozioni. Dentro di me la sua visione del mondo ha lasciato sempre una traccia: ora più che mai.

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La spia luminosa della sveglia indicava le cinque e trenta. Era buio e c’era silenzio. Ci mise qualche secondo a capire dove fosse e più che altro in quale posizione si fosse addormentata. Era sdraiata di traverso, con un lembo di coperta addosso e i piedi nudi, perciò sentiva freddo.

Si tirò su e con il lenzuolo si coprì il petto. Genzo era seduto con la testa fra le mani.

“Cosa c’è?” chiese lei avvicinandosi e appoggiandosi alla sua schiena che era calda e le dava sicurezza.

“Mi fa male la testa” disse facendo una breve pausa e poi continuò ”….. non posso prendere niente… domani c’è la partita.”

Kumiko si inginocchiò e infilando le braccia sotto le sue spalle lo spinse a sé per baciargli i capelli e coccolarlo, come non aveva mai fatto prima.

Lui si lasciò andare: in quei mesi dormire da solo era stato tremendo. Il solo pensiero che adesso fosse lì gli dava l’impressione di poter sopportare meglio quel suo perenne tormento interiore.

“Dovresti sforzarti di mangiare di più…..” gli disse, dandogli l’ultimo bacio e allontanandosi per vestirsi.

Genzo la guardò con un po’ di delusione.

“Non resti un po’ qui?” chiese.

Lei scosse la testa “Dai.. alzati…vieni tu da me….” lo invitò sorridendogli.

Erano a metà della scala, quando Genzo decise di tornare di sopra.

“Arrivo subito…” disse.

Kumiko spostò una sedia dal tavolo, prese uno straccio e lo mise proprio di fronte.

Genzo arrivò dopo neanche un minuto con le mani in tasca.

“Siediti…” fece lei.

Allora lui sorrise con un po’ di malizia” Non vorrai mica rifarlo qui… sulla sedia…. No, perché proprio non ce la faccio fisicamente…..” disse lui.

Kumiko scoppiò a ridere.“….. ma cos’hai capito? “

“Ah.. è vero.. con te è tutto una sorpresa…..” rispose Genzo sedendosi come gli aveva chiesto lei.

Kumiko prese un limone dal cesto di frutta e lo tagliò nel mezzo.

Si inginocchiò di fronte al portiere e strofinò ogni metà del frutto sotto i suoi piedi, spremendo il succo che ricadeva sullo straccio irregolarmente.

“Vedrai che tra un po’ il mal di testa ti passa……”

Genzo l’aveva osservata mentre si dedicava a lui con attenzione, misurando ogni gesto con passione, con amore.

“Dove l’hai imparata questa cosa?” chiese divertito e stupito.

Lei era seria e si vedeva  che non ne voleva parlare.

“E’ una storia lunga…. e non è importante…. ma …ma funziona….abbi fede”

Allora Genzo, prima che lei si alzasse, le accarezzò il volto e la baciò sulla bocca.

Kumiko si diresse verso il piano della dispensa chiedendo a Genzo di restare ancora qualche minuto seduto, così che il succo entrasse fin dentro la pelle; lui non si mosse. Guardava il modo in cui versava il latte nel recipiente e la precisione con cui prendeva tutto quello che le serviva per fare qualcosa, anche se non riusciva a capire cosa.

Si alzò dopo un po’ mentre Kumiko seduta allo sgabello teneva il mento appoggiato ad una mano e scrutava il pacco di farina davanti a lei.

Le si avvicinò sedendosi allo sgabello accanto e posò sul piano, proprio vicino alla farina, la piccola custodia che da un po’ di giorni girava da una tasca all’altra.

Lì per lì lei non ci fece caso; poi lo sguardo fu colpito da quella scatolina scura e preziosa. Con la coda dell’occhio guardò Genzo e vide quanto fosse nervoso ed imbarazzato.

Kumiko si mise dritta sulla schiena facendo finta di niente. Aspettò che dicesse qualcosa.

“E’ per te…..”

Lei lo fissò, molto sorpresa. Quella scatola era del tutto inaspettata.

“E’ da quando sono arrivato in Giappone che avrei dovuto e voluto darti questa cosa, ma….non avevo trovato il momento…..il momento giusto…”

Kumiko ascoltava senza staccargli gli occhi di dosso perché in quel momento Genzo aveva un’espressione che non gli aveva mai visto prima e ciò che la colpiva era che lei riusciva benissimo a capire cosa significasse: era un misto tra vergogna e timidezza. Il suo sguardo era quasi limpido adesso; sapeva che si trattava solo di un momento e che tra poco lui sarebbe tornato inarrivabile e sfuggente, ed in parte,  era anche il suo bello. Ma le sembrò un enorme sforzo da parte sua, verso di lei, e gliene fu grata.

“Non sei curiosa?......non vuoi vedere cosa c’è dentro?” chiese un po’ ansioso.

Kumiko abbassò lo sguardo.

“Sì…. “ rispose, “ e tu?” chiese inaspettatamente lei ” Tu cosa stai provando adesso?”

“Sto pensando che vorrei tanto avere il mio berretto in testa……mi sento uno stupido… neanche avessi quindici anni…”

Kumiko sorrise. Sembrava sincero, ma chissà quante volte aveva fatto dei regali come quello con tutte le ragazze che aveva avuto, pensò. E lo pensò senza gelosia, ma solo facendo silenziosamente una constatazione.

“Io….una cosa del genere non l’ho mai regalata a nessuna e nemmeno avrei mai immaginato di farlo….…..”

In quel momento un brivido le passò attraverso il petto e le sembrò di non avere più la spina dorsale: non aveva alcun motivo di mentire; se lo stava dicendo, doveva essere vero.

“Non ce la faccio più…. Apri la custodia, Kumiko” implorò Genzo.

Lei sorrise nuovamente e la prese in mano.

“Spero che non ci sia la spina di un riccio…..” disse lei per farlo ridere.

“O un petalo di margherita…..” rispose lui, accarezzandole una guancia.

Finalmente sollevò la parte superiore della scatola e vide l’anello con la perla di corallo. Era di un rosso sangue. L’intensità del colore era talmente forte che sembrava volesse rubare la flebile luce che cominciava a salire dalla grande vetrata.

Era semplice ed insolito. Lei non si aspettava niente, quindi non seppe dire come si sentì all’inizio. Certo fu, che fra tutti gli anelli che avrebbe potuto scegliere, era andato dritto al fondo della questione. Ormai lui lo sapeva che lei era fuori dall’ordinario e che un diamante, seppur bellissimo e sicuramente gradito, non avrebbe suscitato quella reazione emotiva che invece adesso le si stava dipingendo sul volto: totale sorpresa, curiosità e molte, molte domande…

Come un bambino che si affida al suo istinto, Kumiko, di fronte al corallo aveva provato piacere. Le ricordava il fuoco, i frutti rossi dell’inverno, i ritmi caldi del suo cuore e l’incostanza dei suoi umori. Se proprio doveva portare un anello che le somigliasse, beh di certo in quello si riconosceva alla perfezione.

Era emozionata e le tremavano un po’ le mani mentre lo sfilava dalla custodia per osservarlo meglio.

“E’ bellissimo……”

Genzo lo prese e  glielo mise al dito.

“Ti sposo…. Con questo ti sposo ancora……” disse.

E allora lei lo abbracciò e cominciò a baciarlo con passione infilandole le mani sotto la maglietta della salute per amarlo nuovamente.

“Aspetta…..” disse lui….” Non ho ancora finito….. ti devo parlare…..ti devo spiegare….” Aggiunse.

E Kumiko si fermò perché tutte quelle emozioni insieme le parevano troppe e all’idea che lui volesse parlarle, si sentiva venir meno.

“Ma non c’è niente da spiegare…. Guarda che mi piace moltissimo……hai scelto un anello stupendo…” disse lei che in quel momento era in estasi e si sentiva talmente in sintonia con lui che non le servivano più le parole.

“No no…. Io invece te lo voglio dire…..perchè non c’è niente a caso…niente è per caso fra di noi….”

Kumiko si staccò da lui e capì che Genzo non si stava sforzando di parlarle: lui ne aveva bisogno.

“Il giorno che ti ho comprato il corallo, non l’avevo previsto. Non avevo mai pensato all’idea di regalarti un anello. Ho pranzato con mio padre e dopo tanto abbiamo parlato. Uscendo dal ristorante, invece di salire in macchina, ho deciso di farmi un giro a piedi: le parole di mio padre risuonavano ancora dentro di me ma non era tanto quello che mi rendeva così calmo. Eri tu….”

Kumiko lo fissò, mentre lui, concentrato su un punto invisibile del ripiano, prendeva un bel respiro.

“Io camminavo e mi sembrava di averti accanto….come se stessimo passeggiando insieme per le vie di Barcellona. Eri bellissima e soprattutto eri felice. Dentro la mia testa ti muovevi e chiacchieravi con decisione. Mi ricordo che quasi mi veniva da ridere da solo…..Ad un certo punto mi sono fermato e ho visto questo corallo. L’ho visto senza rendermene conto. Guardavo perplesso la vetrina senza capire cosa ci facessi lì e d‘istinto sono entrato. Solo dopo che la commessa mi aveva mostrato diversi anelli, mi sono reso conto che quello che cercavo, l’avevo trovato ancora prima di entrare. Non avrei mai potuto regalarti un diamante….” disse lui.

Kumiko restava in ascolto. Certo…. Un diamante era un po’ troppo per lei, pensò.

“I diamanti nascono dentro la roccia, nella terra e la terra…. la terra mi spaventa…” disse prendendosi un’altra pausa” invece… invece il corallo nasce e cresce in fondo al mare…..come il mare che tu mi hai portato dentro…..”

Lei non sapeva che dire. Non sapeva se abbracciarlo o aspettare. Come la notte in cui si era dichiarato, nel suo modo singolare ed unico, era talmente sconvolta dalle emozioni che non riusciva a capire se stesse accadendo sul serio o se fosse solo un sogno.

“Il mare è silenzioso come me, che non riesco mai a parlare. Nel mare è tutto tranquillo. Ogni tanto qualche creatura marina sfiora il corallo, ma non gli fa niente. E’ al sicuro laggiù: non è esposto al vento, alla pioggia, al freddo o al piede pesante dell’uomo che schiaccia la terra e non si accorge se calpesta qualcosa. E poi…. Se ci pensi bene il corallo non è altro che un arbusto…e tu ami così tanto gli arbusti….questa perla è  un fiore, è come la tua ginestra, come le piante che tieni nel tuo bel terrazzo, in Giappone…..è semplicemente un altro fiore da guardare…..”

Lei stava piangendo e adesso lo abbracciò e lo baciò sulle guance e i baci facevano un po’ di rumore.

A Genzo venne da ridere….” Hai ascoltato? Hai capito?”

“Sì…..” disse lei.

Restarono stretti l’uno all’altra e poi Genzo le riprese la mano per accarezzarle l’anello.

Si guardarono negli occhi e preferirono ascoltare il silenzio di quel momento piuttosto che aggiungere altre parole.

Poi Genzo si staccò dall’abbraccio e diede un’occhiata alla dispensa.

“…Mi è passato il mal di testa…” disse

“Bene….” fece lei, avvicinandosi ai fornelli per fare il tè.

“A dire la verità…. Mi sembra anche di avere fame……” aggiunse.

Kumiko si girò e si sforzò di non mostrargli la sua felicità a quelle parole.

“…allora ti preparo la colazione….cosa vuoi?”

“non lo so….decidi tu, dai”

“Ok”

Nel frattempo Taro si era svegliato ed era sceso di sotto.

“Ciao babbo…”

Genzo si voltò e allargò le braccia.

“Ciao! Io e la mamma facciamo colazione….mangi con noi?”

Taro si avvicinò e si fece baciare e coccolare da suo padre ” Sì.. “ disse ridendo dal solletico.

Kumiko fece una macedonia di frutta e poi preparò le crepes al cioccolato.

Si sedettero a tavola e mangiarono con calma mentre ormai si era fatto giorno e la luce aveva illuminato tutto come se ogni cosa fosse nuova.

Genzo e Taro erano ancora al tavolo che ridevano e scherzavano quando Kumiko tornò al piano di lavoro e dopo aver accarezzato il suo corallo fissò di nuovo il pacco di farina, un po’ pensierosa.

Taro si alzò e prese una pallina per giocarci e correre da tutte le parti.

Il portiere allora tornò da lei. Si guardarono e si sorrisero un po’ imbarazzati. Genzo, dal niente, prese il pacco di farina e lo scartò svuotandone il contenuto sul ripiano, davanti allo stupore di Kumiko. Poi prese due uova e le spaccò in malo modo trattenendo i gusci e  facendo ricadere tuorlo e albume sulla montagna di farina. Si fermò e lasciò un po’ di posto così che Kumiko si potesse mettere davanti a lui per cominciare ad impastare. Lei, totalmente perplessa, seguì d’istinto l’invito di Genzo e , una volta incastrata fra lui e il ripiano, cominciò ad impastare lentamente, scegliendo un ritmo e seguendolo. Ogni tanto si guardava l’anello.

“Non preoccuparti…. Il corallo non si rompe, non si rovina…..” disse lui per tranquillizzarla.

Genzo cominciò ad impastare con lei,  accompagnandola nei movimenti e nel ritmo.

“Che cosa facciamo?” chiese a Kumiko, mentre Taro era salito sullo sgabello e in ginocchio osservava divertito i suoi genitori che  giocavano con la farina.

“Mamma, non rispondi?” chiese impaziente e curioso, guardando prima lei, poi il padre.

Kumiko sorrise al bambino e poi inclinò un po’ la testa facendo capire a Genzo che voleva tanto un bacio sul collo; bacio che non tardò ad arrivare. Il piccolo Taro allora scoppiò a ridere perché gli sembravano tutti e due un po’ strani.

Lei ascoltava la musica che facevano i suoi pensieri nella  testa e nel cuore: c’erano tutti i colori del cielo e in fondo, proprio dove si trova la linea perfetta e regolare dell’orizzonte riusciva a  vedere una macchia gialla intensa come una giornata di primavera.

“Mamma….mamma ma cosa facciamo?”

Lei lo guardò e di nuovo sorrise, prima di intrecciare le sue dita con quelle di Genzo, tutte imbiancate, come dalla neve. Poi parlò.

“Oggi….…. oggi inventiamo un dolce nuovo……”

 

 

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